Santa Verdiana a Firenze | Farneti, Van Riel

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a cura di fauzia farneti silvio van riel

Santa Verdiana a Firenze Da monastero a sede universitaria: sette secoli di storia


La collana Ricerche di architettura, restauro, paesaggio, design, città e territorio, ha l’obiettivo di diffondere i risultati della ricerca in architettura, restauro, paesaggio, design, città e territorio, condotta a livello nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura ed al Consiglio editoriale della Firenze University Press. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, favorendone non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e la Firenze University Press promuovono e sostengono questa collana per offrire il loro contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo.

The Research on architecture, restoration, landscape, design, the city and the territory series of scientific publications has the purpose of divulging the results of national and international research carried out on architecture, restoration, landscape, design, the city and the territory. The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture (DIDA) and to the Editorial Board of Firenze University Press. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence and the Firenze University Press promote and support this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-La-Villette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo Rodriguez-Navarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy


a cura di fauzia farneti silvio van riel

Santa Verdiana a Firenze Da monastero a sede universitaria: sette secoli di storia


Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Si ringraziano Pietro Bongiovì, Paola Conti, Margherita Martini, Sandra Pisani, Giuseppina Carla Romby; inoltre Giuliana Aiello, Sonia Baldazzi, Sara Bertolini, Anna Bolla, Luciano Cannas, Filippo Cherubini, Lorena Di Girolamo, Ilaria Garibaldi, Irene Lisi, Giulia Manca, Monica Minichini, Silvia Nicoli, Irene Nizzi, Elisa Orlando, Ilenia Serpico, Daniela Sgrosso, Gabriela Elena Tognacca, Rita Zilli. Abbreviazioni AGCV ASCFI ASFI ASTUC CF CRSGF ICCD LFA-DIDA LSP SABAP UNIFI

Abbazia di Vallombrosa, Archivio Generale della Congregazione Firenze, Archivio Storico Comunale Firenze, Archivio di Stato Archivio Storico del Territorio, Ufficio Catalogo Comune di Firenze Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione Laboratorio Fotografico del Dipartimento di Architettura Lavori e Servizi Pubblici Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città Metropolitana di Firenze e le Province di Pistoia e Prato Università degli Studi di Firenze

in copertina Chiesa di Santa Verdiana, rilievo materico: sezione trasversale del coro alto. progetto grafico Laboratorio Comunicazione Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Gaia Lavoratti

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2017 ISBN 978-88-9608-095-5

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


indice

Presentazioni Saverio Mecca Francesco Napolitano

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Introduzione Mario Bevilacqua

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Il monastero di Santa Verdiana a Firenze. Da luogo di silenzio e di culto a sede di pena carceraria Fauzia Farneti

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Da carcere femminile a plesso universitario Francesco Pisani

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Gli interventi di consolidamento e ricostruzione strutturale eseguiti nell’ala orientale dell’ex monastero per il suo adattamento a plesso didattico Silvio Van Riel

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La lettura del testo architettonico: il monastero di Santa Verdiana Ornella Mariano

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Analisi sullo stato di conservazione dei materiali Monica Lusoli

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Il recupero delle storie di Santa Verdiana nel complesso dell’antico monastero Anna Medori, Mariarosa Lanfranchi, Cecilia Frosinini, Cristiano Riminesi

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Monitoraggio del microclima di alcuni ambienti storici del complesso di Santa Verdiana a Firenze Fabio Sciurpi

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a cura di fauzia farneti silvio van riel

Santa Verdiana a Firenze Da monastero a sede universitaria: sette secoli di storia



presentazione Saverio Mecca

Direttore del Dipartimento di Archtettura Univesità degli Studi di Firenze

Questo testo, che segue a pochi mesi la pubblicazione al complesso di Santa Teresa e al recente intervento, restituisce il fecondo ed approfondito interesse dei docenti del Dipartimento di Architettura per le strutture e l’architettura che caratterizzano il complesso di Santa Verdiana, l’altro edificio storico della nostra Scuola di Architettura, senza per questo dimenticare la sede ‘storica’ di via Micheli dove ha trovato posto la prima Scuola Superiore di Architettura fiorentina alla fine degli anni Venti. Nel vasto ed articolato programma promosso dal Rettorato per potenziare, negli anni ’70 e ’80 del Novecento, le sedi universitarie nel centro storico fiorentino, alla Facoltà di Architettura fu assegnata una porzione dell’ala est dell’ex casa di pena femminile di Santa Verdiana, che nel luglio del 1986 risultava inutilizzata, per essere adibita ad aule didattiche. Il primo progetto redatto dall’Ufficio Tecnico del Rettorato ebbe il merito di sollecitare il completo recupero del complesso, all’interno del programma complessivo elaborato dal prof. Roberto Maestro. Purtroppo l’intervento di recupero rimase incompiuto e, colpevolmente, sono ancora da completare sia l’intervento sulle aule che due parti del complesso che anche nelle originali intenzioni erano ritenuti fondamentali: il recupero e restauro degli ambienti più antichi del monastero e il nuovo accesso da piazza Annigoni. I testi contenuti nel volume analizzano e puntualizzano le vicende storiche che hanno caratterizzato il complesso architettonico nelle sue stratificazioni storiche fino a valutare lo stato di conservazione dei materiali e degli elementi strutturali allo stato attuale. Alla redazione di questi contributi hanno partecipato docenti e studenti del Dipartimento di Architettura e di altri dipartimenti dell’Università di Firenze, facendo diventare il loro luogo di lavoro la ‘fabbrica’ delle loro ricerche, in stretta simbiosi fra teoria e pratica, con la scoperta di luoghi ed ambienti attualmente poco accessibili. La pubblicazione di questi contributi permette di arricchire e completare la base conoscitiva essenziale per ogni futura iniziativa progettuale sul complesso architettonico di Santa Verdiana. Presentando questo volume devo ricordare e segnalare anche l’impegno editoriale prestato dal nostro laboratorio Comunicazione e Immagine per la pubblicazione del testo su Santa Teresa e , ora, su Santa Verdiana.

pagina a fronte Foto aerea del complesso di Santa Verdiana.



presentazione Francesco Napolitano

Dirigente in posizione di comando Area Edilizia Univesità degli Studi di Firenze

La presentazione di questo volume che analiticamente ricerca e rileva l’edificio monumentale di Santa Verdiana trasformatosi da luogo di culto a sede carceraria e poi a università, è l’occasione per riflettere sul discusso tema dell’interpretazione del monumento e della sua possibilità di trasformazione. Superato l’atteggiamento conservazionista e dimenticate le ipotesi economiciste degli anni ‘70 dove il monumento assumeva la funzione di contenitore indifferente agli usi, è risorta negli ultimi anni la logica propria alla tradizione dell’architettura che considera il monumento come materiale di straordinario interesse da studiare e da interpretare. In questa logica la fase della conoscenza, del rilievo del monumento, della ricostruzione della storia delle sue parti, dei modi in cui è stato interpretato nelle diverse epoche, della lettura delle contaminazioni, delle aggiunte, delle sottrazioni che la struttura monumentale ha subito nel corso del tempo, assume una importanza fondamentale e punto di partenza per qualsiasi ipotesi di funzionalizzazione. I saggi che il libro raccoglie costituiscono quel bagaglio di conoscenza su cui fondare il pensiero per i futuri progetti e per tramandare la storia del monumento.

pagina a fronte Veduta del chiostro (foto LFA-DIDA).



introduzione Mario Bevilacqua

Dipartimento di Archtettura Univesità degli Studi di Firenze

La trama della città è intessuta di segni sovrapposti: luoghi e funzioni si stratificano nel tempo e nello spazio, dando forma a topografie che mutano più o meno velocemente ma che mantengono tracce che possono restituire una leggibilità diacronica. La città del sacro, oggi frammentata ma sempre fattore di identità della nostra società multireligiosa, è stata la matrice su cui si sono innestati i più profondi e duraturi processi di definizione delle società urbane occidentali. Dal medioevo al Settecento le complesse topografie del sacro si definiscono in modo caratterizzante attraverso la fondazione e lo sviluppo dei complessi monastici entro le mura, dove la realtà femminile gioca un ruolo fondamentale, imprimendo segni architettonici riconoscibili e forti. La Controriforma impone alla clausura femminile regole di assoluta separazione che, in pochi decenni, definiscono una geografia spaziale di lunga durata: una vera e propria città invisibile, silente, assente, eppure protagonista. I decreti tridentini vengono declinati da Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, in una serie di prescrizioni minuziose esposte nel volume Instructionum fabricae del 1577: si raccomanda per le clausure, permesse solo entro la protettiva cerchia difensiva delle città, che vengano evitati i luoghi più direttamente a contatto con le comunità religiose maschili, le istituzioni laiche, il fitto dell’abitato. La ricerca di isolamento all’interno delle mura deve escudere i contatti spaziali, visivi, acustici: la prossimità con edifici sviluppati in altezza, o posti in posizione più elevata, che possano dominare visivamente le strutture claustrali, è un tema delicatissimo (nei secoli darà luogo a una casistica di contenzioso legaleurbanistico estremamente complessa); si raccomanda la lontananza da piazze o vie troppo frequentate, per evitare contatti e soggezioni visivi e sonori. Essenziale, all’interno di recinti invalicabili, la ricerca di aree aperte all’aria, alla luce, al verde. Pellegrino Tibaldi, architetto di Carlo Borromeo a Milano, ribadisce l’importanza di chiostri e giardini: le religiose non siano tenute come schiave incarcerate, ma che gli sia anche recreatione accioché affaticate dalle continue orationi non siano d’altri travagli opresse, ne abbiano cose per le quali si inducano alle infermità.

Essenziali per il corpo, gli spazi aperti lo sono anche per lo spirito, e per la disciplina, come sottolinea ai primi del Seicento l’arcivescovo di Firenze Alessandro de Medici — poi papa Leone XI — in un meticoloso Trattato sopra il governo dei Monasteri che recepisce e declina per la realtà della capitale granducale le prescrizioni tridentine e borromaiche: È necessario che sendo le monache prive dei piacere del mondo habbino dei trattenimenti spiriturali, et esercitii di devotione, come sono nei loro orti, e cortili tabernacoli con rappresentationi del Sepolcro di

pagina a fronte Veduta dell’aula 1, già refettorio del monastero (foto LFA-DIDA).


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Christo di Santa Maria di Loreto, di santo Jacopo di Galitia, e simili a quali in giorno di feste determinate faccino processioni, et non è difficile per questi luoghi ottenere dal Papa indulgenze per le monache, come molte ve ne sono.

La localizzazione nella città del Cinquecento e del Seicento delle clausure riflette dunque specifiche logiche insediative, e modifica profondamente l’assetto della città tardomedievale: i monasteri femminili si vanno disponendo a ridosso delle mura, dove possono godere di isolamento, e al contempo ampliarsi con orti e giardini, e dove vengono a costituire una simbolica corona attorno all’abitato, mura spirituali a ridosso di quelle di pietra. A Firenze, una vasta area a est che dal tardo medioevo vede la presenza dei conventi delle Murate e di Santa Verdiana, si amplia ulteriormente, e si completa, con le carmelitane scalze di S. Teresa nel 1628. Alcuni assi principali si vengono a caratterizzare come veri e propri percorsi del sacro. Il tratto estremo di via Sangallo è ormai percepito a metà del Settecento come una “via sacra”, un’arteria processionale che comunica la devozione della città a chi entra da nord, innestandosi poi nell’area medicea verso la chiesa palatina di S. Lorenzo e verso il santuario mediceo dell’Annunziata, innervato ai monasteri ‘dinastici’ della Crocetta e degli Angiolini. Possiamo vedere riferimenti precisi nella topografia sacra della Roma del Seicento, con l’asse privilegiato di accesso alla residenza pontificia del Quirinale e lungo la via Pia, caratterizzata come “via dell’estasi” dalla presenza delle clausure femminili e dall’insediamento barberiniano dell’Incarnazione; e lungo la “strada regia” della Lungara,il cui tratto centrale scorre tra nuovi insediamenti claustrali. Un altro caso molto noto e significativo è quello di via Crociferi a Catania, dove clausure femminili e conventi maschili si dispongono in sequenza continua per volere del vescovo Riggio dopo l’annientamento della città col terremoto del 1693. A Firenze Porta al Prato e porta S. Frediano si configurano come aree di insediamenti di clausura, così come l’accesso all’area della reggia granducale di Pitti. La dinastia regnante si riserva, come nei casi di Madrid, di Parigi, e della Roma barberiniana, il patrocinio di un convento privilegiato — la Crocetta — collegato da percorsi riservati col santuario dinastico dell’Annunziata. In ogni città la topografia del sacro si articola in reti di riferimenti complessi, in relazione agli ordini religiosi maschili di afferenza, al mecenatismo del patriziato, alle protezioni delle dinastie regnanti. Ai riferimenti architettonici più evidenti, monumentali, degli istituti maschili (a Firenze i Gesuiti a San Giovannino, i Teatini ai Santi Michele e Gaetano, i Filippini a San Firenze, ecc.), fanno da contrappunto gli istituti femminili, immediatamente riconoscibili per la loro ostentazione di quello che potrebbe essere definito un vero e proprio non-linguaggio, una negazione che è espressione architettonica di pura umiltà, povertà, sottomissione. Il declino dei segni del sacro nella città settecentesca viene infine sancito dalle soppressioni napoleoniche, che uniformano in tutti gli Stati assoggettati alla Francia normative, procedure e prassi di interpagina a fronte Veduta della testata del braccio orientale da piazza Annigoni (LFA-DIDA).

vento e riuso di strutture straordinariamente vaste e versatili proprio in relazione alla loro funzionalità essenziale. In Italia, alle soppressioni napoleoniche seguono quelle unitarie, che, con la definitiva cancellazione di segni e riferimenti della città controriformista, permettono lo sviluppo di nuovi aggrega-



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ti laici, istituzionali, comunitari (enti pubblici, musei, biblioteche, scuole e università, caserme, carceri, ospedali, ecc.), rendendo nel contempo utilizzabili enormi aree per lo sviluppo urbano e la speculazione fondiaria: un patrimonio di strutture dalle caratteristiche architettoniche non monumentali e quindi pronte per un rapido adattamento rifunzionalizzante, e aree inedificate in posizione strategica per l’indispensabile, rapido adeguamento alla crescita e funzioni della città moderna. La ricerca sul monastero di Santa Verdiana affronta in modo analitico vicende complesse, come con acribia illustra il saggio di Fauzia Farneti basato per la prima volta su una esaustiva ricerca documentaria, e su un nuovo rilievo condotto e attentamente commentato da Ornella Mariano. Fondato in età tardogotica e poi arrivato alla sua massima espansione tra Cinquecento e Seicento, dopo la soppressione tardosettecentesca, quando ne fu proposta la riutilizzazione come macello, l’insieme di fabbricati attorno al vasto chiostro quattrocentesco subisce nel corso dell’Ottocento l’adattamento a struttura carceraria, che ne determina un progressivo stravolgimento e degrado, che però lascia intatta la chiesa di Santa Verdiana e i suoi arredi barocchi, e ampie parti di monastero, mentre la vasta area verde è sacrificata allo sviluppo della viabilità e dell’edificato circostanti. Acquisito dall’Università nel 1986, il complesso è subito sottoposto a interventi impegnativi di riqualificazione e rifunzionalizzazione — dettagliatamente analizzati dal saggio di Francesco Pisani — attraverso scelte di pesanti demolizioni e ricostruzioni (peraltro rimaste interrotte). Il saggio di Silvio Van Riel si inserisce all’interno delle attuali normative tecniche per la messa in sicurezza strutturale degli edifici storici, indicazioni che impongono un articolato processo metodologico di conoscenza specifica della struttura sulla quale intervenire. Nel caso specifico di Santa Verdiana è stata analizzata l’ala orientale, su cui si sono attestati i primi lavori di ristrutturazione e restauro per l’adattamento del complesso edilizio a plesso universitario. L’accurata indagine documentaria ha reso possibile la ricostruzione degli interventi strutturali, che sono alla base del progetto di adattamento, e l’individuazione delle tecnologie e dei materiali che hanno caratterizzato questa fase di lavoro. Di particolare rilevanza sono i lavori di consolidamento eseguiti sulle strutture storiche delle volte che caratterizzano gli ambienti dell’ala orientale e le lavorazioni eseguite sul sistema di copertura lignea di questa parte del complesso. Il saggio di Monica Lusoli indaga con particolare sensibilità il sistema dei materiali storici che caratterizzano tutta la struttura. Questa analisi, propedeutica e fondamentale alla conoscenza delle tecniche costruttive che nel tempo hanno caratterizzato la storia del complesso, evidenzia le tipologie delle singole lavorazioni e lo stato di conservazioni dei materiali. Nell’ambito dell’attuale metodologia della pratica restaurativa questa indagine riveste un ruolo fondamentale per l’individuazione delle caratteristiche specifiche dei materiali utilizzati e dei criteri più corretti e compatibili per il restauro e la conservazione delle caratteristiche storiche del complesso edilizio. I restauri delle emergenze monumentali e dei numerosi e significativi lacerti decorativi superstiti (di


introduzione • mario bevilacqua

cui dà conto il saggio di Anna Medori, Mariarosa Lanfranchi, Cecilia Frosinini, Cristiano Riminesi), ancora tutt’altro che conclusi, restituiranno una leggibilità che proprio i lavori più recenti curati dall’Ateneo avevano purtroppo contribuito a rendere opaca. Lo studio analitico delle vicende del complesso monumentale di Santa Verdiana è un momento essenziale, un passaggio obbligato, per la messa a punto di ogni intervento di riqualificazione e riuso che voglia mantenere un dialogo vero, concreto, duraturo e sostenibile — lontano dagli interventi prevaricanti e distruttivi a cui abbiamo spesso assistito in un passato non troppo lontano — tra la città di oggi, le sue funzioni, le sue esigenze, e il suo immenso e straordinario patrimonio.

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il monastero di santa verdiana a firenze da luogo di silenzio e di culto a sede di pena carceraria Fauzia Farneti

Università degli Studi di Firenze

La dislocazione dei conventi di clausura all’interno della città rispecchia specifiche logiche insediative. A Firenze, così come nella maggior parte delle realtà italiane, i conventi e i monasteri di clausura, come le prime istituzioni di beneficenza fiorentine, si dispongono lungo alcuni assi principali1 e a ridosso delle mura, dove possono ampliarsi con giardini e orti (Bevilacqua, 2014, p. 967; Weddle, 2006; Fantozzi Micali, Roselli, 1980; Litchfield, 2008; Bagliani, 2012). Le vicende dei complessi religiosi hanno avuto significativi riflessi nella vita di Firenze e la loro storia si inserisce in quella artistica e urbanistica della città. La conoscenza della loro consistenza architettonica in rapporto anche al contesto culturale e artistico è significativa al fine di individuarne un adeguato recupero. La storiografia ha messo in evidenza che nell’Alto Medioevo la ‘nobiltà’ promuoveva l’edificazione di complessi religiosi soprattutto per motivi politici mentre, nei periodi successivi, questa era dettata da sentimenti religiosi e/o devozionali. È il caso del monastero di Santa Verdiana che venne costruito in prossimità della terza cerchia delle mura urbane, vicino alla Porta della Giustizia, ai margini del quartiere di S. Croce, nel popolo di S. Ambrogio, per iniziativa privata come il vicino monastero intitolato alla santissima Annunziata e a Santa Caterina, detto delle Murate2. Niccolò di Manetto di Bonagiunta3, notaio e mercante fiorentino originario di Castelfiorentino (Salvestrini, 2012, p. 1152), nel 13924, dettando le sue ultime volontà, con un atto di pura devozione decise, in assenza di eredi maschi, di destinare buona parte dei propri beni alla costruzione in Firenze di un monastero femminile da intitolare alla beata Verdiana, ‘patrona’ del castello da cui proveniva la sua famiglia. Due anni dopo la sua morte, fece seguito quella dell’unico figlio e della moglie Bartolomea di Marco di Francesco degli Alberti; si definirono così le condizioni affinché le volontà testamentarie potessero avere seguito (Richa, 1755, vol. II, pp. 221-235). A partire dal 1394 gli esecutori testamentari entrano in azione: trattano con i monaci di Vallombrosa l’acquisto di alcune proprietà poste in S. Ambrogio lungo via delle Fornaci5, adiacenti i beni di NiccoEsempio significativo è via Sangallo, definita a metà Settecento una “via sacra”. Fu Giovanni de’ Benci, nel 1424, a finanziare la costruzione del monastero a ridosso delle mura. 3 Nella chiesa di Santa Croce una lapide sepolcrale in marmo di Carrara e fascia in verde di Prato, con al centro l’arme di famiglia in marmo rosso, posta nel dicembre 1394 nel pavimento, nelle adiacenze del sesto pilastro della navata sinistra, ricorda ancora Niccolò di Manetto di Bonagiunta e i suoi eredi. 4 Il 29 febbraio 1391, stile fiorentino, quindi 1392 (stile comune). 5 Poi San Procolo di Fuori; in seguito la via sarà chiamata di S. Verdiana, verso la metà del XVI secolo delle Fornaci e, dal 1870, via dell’Agnolo. Niccolò aveva indicato quali esecutori testamentari e tutori della figlia Margherita, Paolo di Cino de’ Nobili, 1 2

pagina a fronte Facciata della chiesa di Santa Verdiana (foto LFA-DIDA).


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Fig. 1 Fasi di costruzione del monastero dalla fine del XIV al primo decennio del XVI secolo sul rilievo di Giuseppe Del Rosso (elaborazione grafica arch. Monica Lusoli).

lò6; non si conoscono i rapporti intercorsi tra Niccolò e l’abate di Vallombrosa certo è che egli risiedeva fuori dalla Porta alla Croce e non lontano dal monastero vallombrosano di San Salvi (Salvestrini, 2012, p. 1153). Benedetto da Monteluco7, abate di Vallombrosa, vende loro “uno palagio”8 realizzato intorno agli anni trenta del Trecento (Salvestrini, 2012, pp. 1155-1160; Loccatelli, 1583, pp. 160-163; Vasatu-

Palagio del Padre Generale Vallombrosano (1330 ca.-1394) e cappella dedicata a Santa Verdiana (fine XIV sec.?)

ro, 1994, p. 83)9 accorpando alcuni edifici appositamente acquistati dai monaci presso Porta alla Cro-

Chiesa di Santa Verdiana (XV secolo)

Giovanni di di Niccolò di Taldo Valori, Bivigliano di Marco degli Alberti, fratello di Bartolommea, il frate Giorgio di Nuto, priore di San Gallo, il prete Iacopo di Vanni e Giovanni Riccialbani. ASFI, CRSGF, 90, 67, cc. 3v, 4r; 90, 144, cc. 5r-v.; ivi, 260, 123, Creatio seu fundatio et dotatio monasterii S. Verdianae, 1394, c. 5r. 6 ASFI, CRSGF, 90, 144, c. 45r; il documento è citato in Sframeli 1994, p. 33. 7 Fu abate dal 1387 al 1400. 8 Giuseppe Richa riferisce che la “casa” ha un orto di stiora 20, Richa, vol. II, 1755, p. 222. 9 Nel territorio fiorentino, alla data 1320, l’abbazia di Vallombrosa poteva contare su due poli: il monastero di San Salvi e la struttura del Guarlone dove l’abate risiedeva durante le sue visite a Firenze che, però, non rispondeva alle caratteristiche di sicurezza indispensabili trovandosi isolato dal tessuto urbano. 10 Nell’estimo fiorentino del 1377 si dichiara che nell’immobile “abita messer l’abate quand’è in Firenze, e la famiglia di Va-

Braccio meridionale del monastero (dal primo decennio del XV secolo) Braccio occidentale (prima metà del XV secolo) e orientale (seconda metà del XV secolo) del monastero

ce (Salvestrini, 1998, p. 83)10.


il monastero di santa verdiana a firenze: da luogo di silenzio e di culto a sede di pena carceraria • fauzia farneti

Fig. 2 Palagio del Padre Generale Vallombrosano, ambiente terreno prospettante l’attuale via dell’Agnolo, poi adibito a sagrestia della chiesa di Santa Verdiana ed in seguito ripartito in due vani. In primo piano il pilastro centrale di appoggio delle quattro volte a crociera di copertura.

con chase da llato e orto di dietro […] uno giardino a llato al detto palagio con chasa da lavoratore che […] posto nel popolo di Santo Anbruogio, luogo detto la via da le Fornaci che da primo e secondo via, a terzo […] di Monna Lena, da quarto le chase di Vallombrosa con parte di San Salvi11

un immobile con altre case di Vallombrosa e di San Salvi nelle quali “si fa il monistero”12. Viene così acquistato oltre il palagio del Padre Generale dei monaci vallombrosani13, un grande orto e alcuni piccoli fabbricati adiacenti all’edificio (Follini, Rastrelli, 1975, vol. VI, p. 38) che vengono a costituire l’impianto originario del monastero di clausura femminile, a ridosso delle mura, una dislocazione all’interno della città che riflette specifiche logiche insediative14. Nell’agosto dello stesso anno ancora si sta valutando il sito; infatti, in un libro delle spese, gli esecutori testamentari annotano soldi dieci di piccoli […] per dare bere a’ maestri che vennono a vedere il situ del munistero (Salvestrini, 2012, p. 1156).

Si ritiene che il palagio fosse articolato in due piani15 e occupasse l’area adiacente la chiesa; il piano terreno era presumibilmente organizzato in due ambienti quadrangolari, ciascuno coperto da quattro

lenbrosa”: ASFI, Estimo, 338, c. 25v. In una fonte storica del XVII secolo viene riferito che l’abate di Vallombrosa cedette “un loro ospizio nel popolo di Santo Ambrogio, luogo detto la Casa Grande dell’abbate”; cfr. Abbazia di Vallombrosa, AGCV, B. II. 19: Ricordi e memorie del venerabile Monastero e Monache di S. Verdiana in questa città di Firenze, ms. secc. XVII-XIX, cc. 3r, 8r. 11 Gli acquisti sono registrati a partire dal 1398: ASFI, CRSGF, 90, 144, Inventario de’ beni di Niccolò di Manetto Bonagiunta. 12 ASFI, CRSGF, 90, 143, c. IIIr. Si rimanda anche a G. Richa vol. II, 1755, p. 222. 13 Fra’ Giorgio di Nuto, priore di San Gallo, e Paolo di Cino de’ Nobili in qualità di esecutori testamentari acquistano il palazzo dell’abate per 1651 fiorini d’oro. 14 Tale dislocazione dà al monastero la possibilità di ampliarsi con orti e giardini. 15 Nell’Ottocento viene rialzato di un piano.

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volte a crociera impostate su un pilastro centrale ottagonale e peducci laterali16 (fig. 1). In seguito all’edificazione della chiesa, che doveva avere un impianto ad aula, copertura a capriate ed essere priva di abside, il vano prospiciente via dell’Agnolo viene in parte adibito a sagrestia17; l’ambiente posto a nord mantiene ancora l’impianto trecentesco18, con una pavimentazione più bassa rispetto quella della saa sinistra Fig. 3 Palagio del Padre Generale Vallombrosano, prospetto sull’attuale via dell’Agnolo, porzioni di muratura in blocchi lavorati di pietra forte (fotopiano realizzato dall’arch. Ornella Mariano, particolare). Fig. 4 Palagio del Padre Generale Vallombrosano; in pianta sono rappresentate in verde le due porzioni di muratura in blocchi lavorati di pietra forte. Si noti la corrispondenza di quella sinistra con la muratura interna di divisione della chiesa dalla sacrestia (elaborazione grafica arch. Ornella Mariano). a destra Fig. 5 Palagio del Padre Generale Vallombrosano, prospetto sull’attuale via dell’Agnolo dopo gli interventi realizzati nel corso dei secoli; porzioni di muratura in blocchi lavorati di pietra forte.

grestia (fig. 2). La cantina al livello interrato, alla quale si accede mediante una scala parallela alla parete nord, ripropone anche nella scansione delle volte su pilastro centrale la struttura del piano soprastante. La finestra “a bocca di lupo”, ancora leggibile sulla parete ortogonale a via dell’Agnolo anche se tamponata, fa intuire l’entità del cambiamento di quota e l’affaccio dell’edificio su uno spazio aperto. Il paramento murario esterno dell’edificio in pietrame misto19, corrispondente al palazzo vallombrosano, presenta ancor oggi due porzioni di muratura in blocchi lavorati di pietra forte, di cui uno di circa cm. 72 corrispondente alla muratura interna di divisione della chiesa dalla sacrestia (figg. 3-5), e potrebbe fare presumere un’articolazione del prospetto mediante arcate su piedritti, come ancora si può rilevare a Firenze in alcuni edifici di impianto medioevale20. Le due sale al primo piano ricalcano esattamente quelle del livello inferiore e sono coperte da soffitti lignei cassettonati; la prima, pressoché quadrata, attualmente si presenta cieca ma in origine si apriva su

Lo spessore dei muri raggiunge anche i 70 cm. Il vano è stato ripartito in due mediante una muratura che ha inglobato il pilastro. L’altra parte, quando il monastero è stato utilizzato a carcere, è diventata spazio di pertinenza degli appartamenti delle guardie carcerarie conservando l’originale quota altimetrica. 18 Fatta eccezione per i divisori in cartongesso aggiunti nel 2013 per assecondare le necessità della nuova destinazione a cucina. 19 La caduta parziale dell’intonaco mette a vista la muratura. 20 Si cfr., ad esempio, con la Casa della Compagnia di Orsanmichele. 16 17


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una loggia posta a nord mediante due aperture, le cui tracce sono rese evidenti dai tamponamenti. Le pareti dei due ambienti presentano un decorazione pittorica trecentesca a finto parato con motivi geometrici21, che trova analogie nelle sale di palazzo Davanzati a Firenze (Fossi Todorov, 1979, p. 373)22; nel primo la caduta del colore ha reso visibile nell’articolazione superiore della tenda dipinta un ornato ad elementi architettonici gotici molto diffuso nella decorazione domestica di fine Duecento e Trecento non solo fiorentina (Davidsohn, 1956, vol. VII, pp. 623-624). Nella sala adiacente, di maggiori dimensioni e prospettante via dell’Agnolo, al di sopra degli ornati a finto parato di una parete è stata rappresentata, presumibilmente quando la residenza vallombrosana diventa monastero, una Crocifissione con la Vergine e San Giovanni Evangelista, attribuita a Niccolò di Pietro Gerini (Boskovits, 1975, p. 407; Sframeli, 1994, pp. 29-33) come il Cristo in pietà23 dipinto intorno al 1375-80 nella lunetta della porta di accesso alla clausura, nella sala adibita a parlatorio, fra il chiostro e la chiesa. Al di sopra della sala si trova un ulteriore ambiente con aperture, oggi in gran parte tamponate, e con una trave e varchi per l’alloggiamento di travi lignee, che lasciano intuire una ripartizione originaria in due piani (figg. 6, 7). Sulla parete orientale si nota un allineamento di porte sull’asse verticale che suggerisce un unico corpo scale di collegamento fino al pianterreno. Questa parte del fabbricato non è coeva al palagio vallombrosano e la presenza di elementi decorativi, quali le volute che decorano la parte inferiore di una nicchia, analoghe a quelle che ornano il lavabo di un ambiente del primo piano24, esclude un uso a servizio (figg. 8-10). La prima immagine di Santa Verdiana è stata dipinta nel palagio vallombrosano da un pittore ignoto in una data precedente all’aprile 1398; un documento, infatti, riferisce: fiorini due […] ebbe il dipintore che dipinse sancta Verdiana al luogo dell’abate dove si debbe fare il munistero di beata Verdiana25

senza ulteriori precisazioni relative all’ambiente26. Nel 1395 si dà inizio ai lavori di adeguamento a monastero delle case e del palagio del Padre Generale; la sua costruzione avvenne per tappe successive in rapporto alla disponibilità economica e non in funzione dell’acquisto delle ‘particelle’ vicine, secondo un modo di procedere riscontrabile in molti cantieri dell’epoca. Una nota di pagamento, datata 20 novembre 1400, relativa all’acquisto di legnami per “lo rapezzaleto L’apparato decorativo potrebbe essere attribuito all’abate vallombrosano o a una fase immediatamente precedente. Si ricordano altri esempi di panneggi dipinti sulle pareti e sulle coperture lignee in palazzo Vegni e nella Torre dei Lanfredini. Questa tipologia di parato, unito alla rappresentazione dell’architettura, è documentata anche dalla letteratura. 23 Il dipinto è stato gravemente compromesso durante i lavori di adattamento degli ambienti a carcere; restaurato negli anni trenta del Novecento è ormai allo stato larvale. 24 La posizione attuale non è quella originale. 25 ASFI, CRSGF, 90, 144, cc. 57r, 60r, 61r. Si rimanda anche a Follini, Firenze, pp. 40-45; W. e E. Paatz, Die kirchen von Florenz. Ein kunstgeschichtliches Handbbuch, Frankfurt-am-Main 1953, V, pp. 400-404 (400). 26 Questa immagine è andata perduta come molte altre decorazioni pittoriche. 21 22

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Fig. 6 Ambiente sopra la sala della Crocifissione. È evidente che il volume era ripartito in due piani (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139). Fig. 7 Ambiente posto sopra alla sala della Crocifissione. Veduta dal tetto della chiesa (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

del palco della chiesa”27 fa presumere che l’edificio religioso non sia stato costruito ex novo ma costituisca il risultato dell’adeguamento di una fabbrica precedente28 (Farneti, 2013, vol. 1, pp. 51-57). L’abate vallombrosano ottiene che il monastero sia intitolato a San Giovanni Gualberto e alla beata Verdiana29 e posto sotto l’obbedienza di Vallombrosa (Salvestrini, 2012, p. 1156) 30; nel 1402, passa sotto la protezione della Signoria fiorentina31 (Richa, vol. II, 1755, p. 223). La tutela è sancita dall’inserimento sul portale di accesso, aperto sull’odierna via dell’Agnolo, degli stemmi raffiguranti la croce del Popolo, il giglio di Firenze e l’aquila di Parte Guelfa32. Il suo successore, Bernardo Gianfigliazzi33, favorisce la continuazione dei lavori fino al 1405-1406 ma già dal 7 maggio del 1400 aveva trasferito nel nuovo cenobio ancora in costruzione alcune religiose provenienti dal monastero di San Giovanni Evangelista34 (Richa, 1755, vol. II, p. 222). I numerosi pagamenti, relativi alle maestranze e all’acquisto di materiali quali colonne, biette di ferro e piombo, datati fino al primo decennio del Quattrocento, fanno presumere la ristrutturazione degli edifici precedenti che vengono inglobati nel nuovo progetto e l’inizio della costruzione del braccio meridionale del chiostro a ridosso del palagio vallombrosano35. Si tratta di un cantiere portato avanti da ‘artigiani’ specializzati: muratori, scalpellini, fornaciai, lastraiuoli, legnaioli, chiavaiuoli e fabbri guidati da una maestro muratore senza la presenza di un architetto. Dalla documentazione relativa a Giacomino di Guccio e a Filippo di Michele si evince che i pagamenti dei materiali e dei lavoratori vengono effet-

pagina a fronte a sinistra Fig. 8-9 Ambiente sopra la sala della Crocifissione; al centro della parete si apre una nicchia decorata nella parte inferiore da un apparato a volute. Particolare della decorazione (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139). a destra Fig. 10 Lavabo di un ambiente del primo piano, nelle adiacenze della sala della Crocifissione.

ASFI, CRSGF, 90, 143, c. 95r. ASFI, CRSGF, 90, 143, c. 95r. 29 Ancora non era stata canonizzata. 30 Le monache ottennero anche di accoppiare alla gruccia, simbolo di Vallombrosa, due serpenti intrecciati, simbolo legato alla santa. 31 Il monastero era ancora in costruzione. 32 Gli stemmi ormai poco leggibili murati sopra il portale d’ingresso in via dell’Agnolo attestano questa protezione. 33 Fu generale dal 1400 al 1422. 34 Nel 1406 se ne insediano solo quattro, guidate dalla badessa Maddalena di Iacopo di Dino dei Pecori. Il monastero di San Giovanni Evangelista è l’unico cenobio femminile dell’ordine vallombrosano a Firenze. Il Libro dei Ricordi, redatto nel XVII secolo, riferisce che nel monastero accedono alcune fanciulle provenienti dalle famiglie fiorentine più significative. 35 ASFI, CRSGF, 90, 143, c. 95r. 27 28


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tuati a scadenza di 7-10 giorni, meno frequenti e più modesti durante i mesi invernali36 dal momento che i lavori rallentano37. Tra i lavoratori, il nome più ricorrente è quello di Michele d’Andrea, titolare di una bottega, che presumibilmente svolgeva la funzione di “maestro”, di capo cantiere38; infatti a lui “si pagò […] per dare alle maestranza che fecero l’intonaco”39. Tra il 1400 e il 1409 sono portati avanti interventi decorativi per i quali sono chiamati Agnolo Bandino (Colnaghi, 1986, p. 3; Sframeli, 1994, p. 33) 40, sostituito nel 1403 da Niccolò di Pietro Gerini41 responsabile della maggior parte delle decorazioni pittoriche all’interno del monastero, Lorenzo di Niccolò suo allievo42 (Tartuferi, 1983, pp. 3-18; Colnaghi, 1986, p. 162), Contro di Giovanni (Colnaghi, 1986, p. 77) 43 e Francesco di Scolaio (Haines, 1989, p. 189). Dal 1459 in poi nelle stanze del monastero è attivo Paolo Schiavo44 (Sframeli, 1994, pp. 29-33), pittore legato alla famiglia Medici per la quale aveva già lavorato in precedenza; la sua presenza è documentata anche nel 1472 quando decora l’ala orientale, da poco edificata, in cui aveva dipinto, entro il luglio del 1464, anche Pietro del Massaio. Una seconda fase di lavori sembra avere inizio intorno al 1425 e concludersi intorno al 1430, con il denaro delle doti delle monache e delle rendite delle terre e dei poderi lasciati in eredità al monastero da Dicembre, gennaio e febbraio. Falaschi E., Il monastero fiorentino di Santa Verdiana nel 1400, tesi di laurea, Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 20022003. 38 In questi stessi anni la bottega di Michele d’Andrea era impegnata per l’Opera di Santa Reparata. 39 ASFI, CRSGF, 90, 143, c. 96r., adì 23 aprile 1401. 40 Agnolo riceve pagamenti “per parte di dipintura”, dal 20 novembre 1400 al 20 ottobre 1403 per un totale di quindici fiorini, in otto soluzioni. Cfr. ASFI, CRSGF, 90, 143, cc. LXXXXVr-CXr. 41 Niccolò godette di molta popolarità nell’ambiente fiorentino di fine Trecento inizio Quattrocento. In Santa Verdiana lavorò in collaborazione con Lorenzo di Niccolò; la prima nota di pagamento a loro intestata è datata 22 settembre 1403 e, l’ultima, il 16 aprile 1404 per un totale di ottantatre fiorini. Altri pagamenti separati nel 1405. Ai due era associato Bettino di Zanobi documentato dal 1404 al 1409. 42 Nel 1399 Niccolò di Pietro Gerini lavora insieme a Lorenzo di Niccolò e a Spinello Aretino al polittico di Santa Felicita, datato 1401. 43 ASFI, CRSGF, 90, 143, c. CXIr. L’artista risulta iscritto all’Arte fra il 1386 e il 1408. 44 Il pittore è attivo nel monastero con una certa continuità dato i suoi legami con i Medici. Un libro dei conti del novembre 1459 riferisce la realizzazione di un “Sancto Piero” oggi perduta; Schiavo è presente anche nel 1472, quando si costruisce il lato orientale del monastero. 36 37

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Niccolò e gestite dagli esecutori testamentari. I lavori di architettura risultano affidati a Chiaro di Michele che assieme al padre aveva partecipato alla fondazione del monastero. È in questi anni che viene edificato il cosiddetto “verone nuovo cole volte e col tetto” nel lato meridionale del chiostro, e organizzato un ambiente terreno a “sagrestia”45. Il portico è coperto con volte a crociera impostate su peducci trapezoidali dentellati e su pilastri ottagonali con capitelli a foglie d’acqua, la tipologia più comune nell’architettura fiorentina del Tre-Quattrocento, con una doppia fila di quattro foglie alternate, delimitate in alto dall’abaco e in basso dal collarino. Il monastero a partire dagli anni sessanta del Quattrocento gode del patronato mediceo dal momento che furono abbadesse due cugine di una sua dama, suor Maria Angiola de’ Medici e suor Vittoria BerFig. 11 Biblioteca Nazionale di Parigi, Pietro di Jacopo del Massaio, Ptolomaei Claudii Cosmografia Florentia, 1475-1500.

zighelli, come in seguito beneficerà della protezione di Violante di Baviera. Infatti Giovanni de’ Medici46 dimostra la propria devozione ampliando il complesso monastico che ancora “riteneva molto dell’antico Palazzo Abbaziale” (Richa, 1755, vol. II, pp. 224-225). La veduta di Pietro di Jacopo del Massaio47 è significativa per l’indicazione della consistenza edilizia del complesso religioso, acquisita presumibilmente con i lavori finanziati dai Medici48 e rilevabile anche da altre rappresentazioni della città realizzate negli ultimi decenni del secolo49 (fig. 11). Tale protezione medicea si deve alla badessa di casa Medici, Piera di Bivigliano50, la cui casa paterna si trovava in via della Nave51 (Viviani della Robbia, 1946, pp. 150-151) presso la chiesa di San Tommaso52, da lei donata al monastero di Santa Verdiana assieme ad altre proprietà. Grazie alla donazione di 3554 lire da parte di Giovanni e della consorte Ginevra degli Alessandri, fatta nel 1462, il monastero viene ampliato perdendo il “carattere di casa di campagna abbaziale” (Viviani della Robbia, 1946, p. 154); infatti a partire dall’anno successivo i lavori riprendono coordinati dai maestri muratori Meo Gallese e Giovanni di Nardo con la costruzione di alti muri di recinzione e di separazione del monastero dal giardino e dall’orto e del braccio orientale del complesso religioso che al piano terreno comprende il refettorio grande. Alcune note di pagamento relative a scavi di fosse di fondazioASFI, CRSGF, 90, 1, c. 36v, Ricordi della badessa suor Maddalena. Giuseppe Richa riferisce il patronato a Cosimo de’ Medici. I legami fra il monastero e la famiglia Medici sono confermati dalla presenza della badessa Piera di Bivigliano de’ Medici, a partire dal 1451. 47 Cfr. Biblioteca Nazionale di Parigi, Pietro di Jacopo del Massaio, Ptolomaei Claudii Cosmografia Florentia, 1475-1500. La veduta precedente, datata 1469, non mostra il monastero di Santa Verdiana. 48 ASFI, CRSGF, 90, 62, cc. 5v, 6r. L’abate di Santa Maria di Montepiano, che sorvegliava i lavori, il 29 giugno 1461 riferisce “Ricordo faccio io Domenico Francescho soprascripto che Giovanni di Nardo e Meo Gniese muratore presono a murare il convento dele monache di Santa Verdiana da Giovanni di Cosimo e fece mezzano P. Francesco da Pistoia e per soldi 9 el braccio a tute sue spese, cioè calchina, pietre, rena e magistero”. 49 Si fa riferimento, ad esempio, alla Veduta di Firenze detta della Catena, attribuita a Francesco di Lorenzo Rosselli, 1472, Berlino, Kupferstichkabinett; alla Veduta di Norimberga realizzata intorno al 1493 e alla Florentia di Sebastiano Münster (1550 circa). 50 Piera nel 1452 ottiene in dono per il monastero “uno osso del braccio” della santa tolto “dalla massa del beato corpo”, dietro richiesta di Giovanni de’ Medici al pievano di Castelfiorentino che custodiva la sacra spoglia con l’approvazione dell’arcivescovo Antonino Pierozzi. ASFI, CRSGF, 90, 60, c. 4r. Oggi la reliquia è conservata presso l’abbazia di Vallombrosa. Si rimanda a Salvestrini 2012, per approfondimenti. 51 Oggi via dei Tosinghi. 52 La chiesa si trovava in piazza del Mercato vecchio e venne demolita per fare spazio ai nuovi edifici prospettanti piazza Vittorio Emanuele II, oggi piazza della Repubblica. 45 46

pagina a fronte Fig. 12 Stefano Bonsignori, Nova pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata, 1584. Particolare con la veduta del monastero di Santa Verdiana.


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ne lasciano presumere modifiche dell’impianto esistente, ovvero fanno pensare a nuove edificazioni53. Alla morte di Giovanni nel 1463, i lavori sono sospesi e riprendono dopo circa dieci anni sotto la direzione di Michele di Taldo, con la realizzazione del nuovo dormitorio, collocato al piano superiore del lato orientale54, ancora da completare. Nella Veduta della città di Firenze di Stefano Bonsignori, incisa nel 158455, si distingue chiaramente la chiesa preceduta da un avancorpo, il campanile, il volume corrispondente al palagio abbaziale, il braccio occidentale e quello orientale del chiostro ancora incompleto56 (fig. 12); al muro di recinzione che chiude il complesso nel lato settentrionale, è addossato un fabbricato a falda unica più basso rispetto gli altri. Dalla stessa veduta si evince che sul muro della chiesa prospettante via delle Fornaci57 si aprono due finestre a sesto rialzato, tuttora parzialmente visibili nel paramento esterno, tamponate durante i lavori di ristrutturazione intrapresi fra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento quando viene aperta una nuova luce ad arco fortemente ribassato che rispondeva all’esigenza di regolarizzare il rapporto con la campata dell’aula (figg. 13-14). Tale ipotesi trova conforto nella collocazione di una monofora in corrispondenza dell’altare laterale destro della chiesa e sovrapposta a una parte della finestra di lessico cinquecentesco. Dall’ottobre 1403 all’aprile 140558 le monache avevano fatto dipingere le perdute vetrate delle finestre da Niccolò Tedesco o “della Magna”, autore di vetrate nei cantieri fiorentini più significativi quali Santa Maria del Fiore e Orsanmichele (Fiorelli Malesci, 1986, p. 60 nota 34; Sframeli, 1994, pp. 29-30). 53 ASFI, CRSGF, 90, 62, c. 5v, 6r: “[…] per braccia 66 del fondamento fa la fossa che è lunga braccia 3 larga braccia due […] e la fossa de lo fondamento”. Il pagamento del 22 ottobre 1463 riferisce che il muro era lungo 96 braccia (circa 55 metri e 68 cm), che corrisponde all’incirca alla lunghezza del corpo di fabbrica del lato orientale. 54 ASFI, CRSGF, 90, 62, c. 16v. 55 Stefano Bonsignori, Nova pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata, 1584. 56 Dal 1463 al 1568 sono andati persi i Libri di Ricordanze di S. Verdiana. 57 Successivamente via dell’Agnolo. 58 Niccolò di Piero “che fa le finestre di vetro” viene pagato complessivamente ventinove fiorini, s. 33 e d. VIIII.

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Sulla stessa muratura esterna si notano ancora le tracce di una porta di accesso, aperta in corrispondenza della seconda campata del sottocoro, tamponata nel 193059. Nell’angolo nord orientale della Veduta del Bonsignori è inoltre evidente un piccolo volume, addossato alla struttura muraria, individuabile nella cappella dedicata a Santa Verdiana, decorata con un ciclo pittorico in terra verde dedicato alla vita della santa60. Il monastero tra l’età rinascimentale e barocca Verso la metà del Cinquecento si registra la necessità di un ampliamento degli ambienti adibiti alla vita comunitaria, dato il numero elevato di monache (Viviani Della Robbia, 1946)61, e di lavori di maFig. 14 Prospetto del complesso monastico sull’attuale via dell’Agnolo (fotopiano realizzato dall’arch. Ornella Mariano). Fig. 13 Chiesa di Santa Verdiana. In pianta sono rappresentate in verde l’ingombro delle due finestre medioevali. Si noti la corrispondenza di quella superiore con l’altare laterale destro della chiesa e la sovrapposizione di quella inferiore a una parte della finestra cinquecentesca (elaborazione grafica arch. Ornella Mariano).

nutenzione della chiesa che, da quanto si evince dalla documentazione, doveva trovarsi in uno stato di grave degrado, nonostante le monache avessero incaricato un pittore di controllare due volte l’anno lo stato degli intonaci e delle imbiancature (Orefice, 1996, p. 68). Nel 1563 è realizzata la scalinata dell’edificio religioso62, che viene dotato in facciata di un portico a tre arcate a tutto sesto su colonne tuscaniche, secondo una formula diffusa nel territorio del granducato63 (fig. 15).

Firenze, SABAP, Preventivo di Spesa…” richiusura a tutto muro del vano di porta di accesso alla chiesa sulla via dell’Agnolo”. Per approfondimenti si rimanda al testo di A. Medori, M. R. Lanfranchi, C. Frosinini, C. Riminesi, in questo volume. 61 Nel 1526 risultano 62 ospiti: 35 suore corali, 11 novizie e 16 servigiali. Facevano parte della comunità: il confessore, il governatore o procuratore, tre Operai nobili, due medici fisici, il fattore ortolano e un suo aiuto, la fattoressa. In seguito furono aggiunti altri due ortolani, un vetturale e un manovale. 62 ASFI, CRSGF, 90, 6, c. 67v. 63 Su questo tema cfr. Morolli, 2002, pp. 115-152. 59 60


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L’ammodernamento portato avanti dagli ultimi decenni del secolo ai primi del Seicento, come in molti altri edifici religiosi in Toscana, viene realizzato in relazione agli adeguamenti liturgici richiesti dal Concilio di Trento; le Instructiones Fabricae, emanate nel 1577 da Carlo Borromeo, definiscono la normativa architettonica della chiesa riformata fornendo indicazioni sugli altari, il posizionamento delle finestre, la presenza del portico in facciata, le immagini da collocare sui portali di accesso. Nello stesso anno è ricostruito il muro dell’orto verso Porta alla Croce64, danneggiato dalla “piena” dell’Arno del 1557 che aveva provocato gravi danni anche ad altri edifici come ad esempio al vicino convento delle Murate; è inoltre ampliata l’anticucina ed eretto il muro davanti al refettorio terreno65 (Orefice, 1996, p. 68). Una nota di spesa indica nel 1564 il completamento del muro verso le Murate che delimita l’orto “grande”66 e altri lavori esterni. Nel settembre dell’ anno seguente viene intrapreso un intervento di restauro nella chiesa che “era tutta scalcinata […] et screpolata”; nell’ambito di questi lavori si decide di “farla imbiancare et scorrer tutte le dipinture che erano quasi perse”67, andando a celare un ciclo di affreschi. Sulla parete d’altare era dipinta infatti una Crocifissione attribuita al Gerini (Sframeli, 1994a, p. 172), andata perduta, ma documentata, seppur allo stato di frammento, da una ASFI, CRSGF, 90, 6, c. 68\1. ASFI, CRSGF, 90, 6, c. 74; cfr. anche Orefice 1996, p. 68. 66 I documenti attestano spesso interventi alle mura di recinzione. San Carlo Borromeo detta prescrizioni applicabili a livello locale dei termini più generali dei decreti conciliari: “[…] Alle mura degli orti ho fatto per il più aggiungere due braccia pure di mattone, sopramattone, molto debole, acciò chi vi volesse salire appiccandosi, o appoggiandosi scale si tiri adosso il muro”. Carlo Borromeo, Instructiones fabricae ecclesiasticae, 1575 (cap. XXXIII, “De monasterio monialium”. 67 ASFI, CRSGF, 90. 6, Ricordanze dal 1550-1571, seg. to B, c. 75r. “La chiesa ristaurata. Ricordo come del mese di settembre 1565”. 64 65

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fotografia degli anni trenta del Novecento; si tratta presumibilmente di uno di quei frammenti riferiti dalle relazioni di sopralluogo e di restauro degli stessi anni, recuperati con il descialbo e restaurati da Dino Dini68 (Sframeli, 1994, p. 33). Dopo circa un decennio, nel 1576, si rifà il ciborio “con li suoi gradi et Padiglione di seta et d’oro et altre sue appartenenze” che appesantisce l’altare e due anni più tardi si rende necessario rafforzarlo con “dua mensoloni […] di pietra concia, et servono sotto e gradi del Ciborio del Santissimo Sacramento”69. A partire dagli anni Sessanta si afferma l’attuale configurazione dello spazio ecclesiale con il suo ampliamento e la ricostruzione del campanile parzialmente demolito da un fulmine; a questa data si registra la presenza del coro alto delle monache, coperto da una “volta di stuoia”70. Fig. 15 Chiesa di Santa Verdiana, facciata con il portico a tre arcate a tutto sesto su colonne (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

Un decennio prima, nel 1566, gli interventi si erano concentrati nel refettorio, con lavori di manutenzione che riguardavano soprattutto la pavimentazione e la sostituzione delle spalliere, e negli spazi esterni71. Anche l’alluvione del 31 ottobre del 1589 provoca gravi danni nel complesso religioso in cui si “alzò l’acqua nel chiostro duo braccia e un quarto et si empié tutto il monastero insieme con le stanze del Sig. Priore” che si trovano “nel giardino” (Viviani Della Robbia, 1946, p. 167); il granduca Ferdinando, come in altri monasteri ugualmente danneggiati, “provvide di huomini e strumenti” e fa “rivedere le fogne del convento, votarle et mettervi li chiusini di pietra”, dando inoltre aiuti economici. Dalla fine del Cinquecento al Settecento la chiesa ad impianto longitudinale ad aula unica è oggetto di lavori di rifigurazione che interessano per lo più l’interno. Sulla parete sinistra dell’aula “al entrare in chiesa” con il “concorso e aiuto di piu monache […] havendone dato la cura alla R. S. Beatrice de Mei”72, viene messo in opera l’“organo fatto di nuovo” da Giovan Battista di Giovan Paolo Contini73, inquadrato da una edicola in pietra serena, in sostituzione di quello “cattivo […], portatile, quale stave in coro di dette monache” che viene consegnato “al maestro che fece l’organo in conto di pagamento”74. Suor Virginia Rinuccini e la sorella, suor Serafina, “desiderose del commodo e benefitio di tutte le monache”, alla destra e alla sinistra dell’organo fanno aprire due finestre a rettangolo sdraiato chiuse da

Nella relazione descrittiva dell’intervento viene riferito «nella parete dove ora si trova l’altare principale sono stati liberati dalla calce dei frammenti di affresco». 69 ASFI, CRSGF, 90, 63, cc. 8r, 10v. 70 ASFI, CRSGF, 90, 63, 51v “Ricordo come a di dell’in. to mese di Maggio si fece la volta di stuoia al coro delle monache e […] si spesero s. di 136”. Nel 1563 la documentazione fa riferimento al coro delle monache, presumibilmente quello basso: ASFI, CRSGF, 90, 63, Ricordanze dal 1550-1571, seg. to B; a c. 75r si legge “In tt. o 7 di gesso et 20 arpioncini per mettre sotto la volta del coro delle Monache b 18 p. to detto”. 71 Viene sostituita una colonna del chiostro e realizzato un barbacane al muro dell’orto, in prossimità delle mura cittadine. 72 ASFI, CRSGF, 90, 63, Libro di Elemosine e Legati e Ricordanze, Lib. D (1542-1696), 1594 “furono in tutto monache 18 che spesero […]cioe: S. a Serafina Rinuccini fece fare tutto l’ornamento di fuori e spese s. di 50 e l’altre di sotto fecero il resto cioe S. a Speranza Dati, s. di 20 S. a Beatrice Mei s. di 12 S. a Vangelista Gabburi s. di S. a Nannina Gabburis s. di 6 S. a Clarice e S. a Cammilla del Nero s. di 2 S. aHipolita de Milanese s. di 2 S. a Agnesa Cerretani s. di 1 S. a VerdianaPortinari s. di 1 S. a Margherita Eletta e S. Gio. Eletta Sardingelli, s. di 3 S. a M. a Franc. a Rinuccini s. di 4 S. a Arcangiola e S. a Cornelia s. di 6, S. a Lucretia Doffi e A. Agnola Soderini s. di 1 Alle quali Dio o m. renda la mercede in vita eterna”. 73 Si rimanda a ASFI, CRSGF 90, 53, fasc. 1, c. 62v, 12 ottobre 1594. Una nota di spesa del 21 novembre 1596 documenta un pagamento di lire 2 per l’accordatura dell’organo. ASFI, CRSGF, 90, 14, c. 164r. 74 Il vecchio organo viene stimato “scudi 15 e il nuovo ce lo fece pagare scudi 70 e il resto con altri piu ha pagato il monte”. 68

pagina a fronte Fig. 16 Chiesa di Santa Verdiana, parete sinistra dell’aula.


grate (fig. 16) 75 come quelle del coro alto, che si estende dalla controfacciata fino all’arco trasversale di chiusura della volta dell’aula; è questo un ampio spazio posto al livello superiore, sostenuto da una successione di tre campate coperte da una volta a padiglione lunettata (figg. 17-18). Negli stessi anni, dopo la revisione dell’allestimento dello spazio sacro, gli interventi interessano l’apparato decorativo della chiesa con lo scialbo, sulla parete destra dell’altare maggiore, di una piccola Crocifissione, riportata alla luce nel 1747. Lavori significativi sono realizzati nel 1620 “alla soffitta del Coro” alto dove stanno le monache “a udir la Messa”76, costruito nella seconda metà del secolo precedente, e nel settembre del 1624, viene ultimata la scala di pietra di collegamento del coro “di sotto delle monache al coro di sopra”77, da identificare con quella ancora presente nello spazio ricavato dal frazionamento dell’originale ambiente unico78 (fig. 19). Si ritiene che, nel coro basso, sulla parete in comune con la chiesa in cui era inserito l’or-

Le due monache “[…]spesero s. di 30”. ASFI, CRSGF, 90, 63, Libro di Elemosine e Legati e Ricordanze, Lib. D (1542-1696). Secondo le prescrizioni di San Carlo Borromeo “ho ancora ordinato circa gl’organi, che suonano le monache, e riescono in chiesa, che l’apertura sia serrata con ferrata, e che la tastatura sia di dentro, acciò che mentre suonano non vegghino in chiesa: abbino questi una porta con buona chiave perché non sia lecito a tutte praticarlo meglio sarebbe, che fussero tutti dentro al choro, et il suono uscisse per le grate, donde escono le voci della salmodia”. Carlo Borromeo, Instructiones fabricae ecclesiasticae, 1575 (cap. XXXIII, “De monasterio monialium”. 76 I lavori furono intrapresi da “S. Sinolfo” che frequentava il monastero e “si tratteneva alle grate”, cfr. ASFI, Tribunale della Nunziatura Apostolica, 857, vol. 2, c. 25v, testimonianza della priora del monastero, suor Beatrice Mei, nel processo di suor Maria Vittoria Frescobaldi, 1620. 77 L’intervento viene commissionato da suor Camilla del Nero “allora sagrestana, e si spese in tutto scudi 20”; ASFI, CRSGF, 90, 63, c. 59v. 78 Nello spazio adiacente l’attuale aula 10. 75


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Fig. 17 Chiesa di Santa Verdiana, veduta del coro alto dallo spazio presbiteriale (foto LFA-DIDA).

gano, si trovasse una struttura, impostata su mensole in pietra79 a 2, 40 m. dal piano di calpestio80, che percorreva tutto il lato lungo del vano fino alla scala, a creare un collegamento con la scala del coro alto. Sull’ambiente del coro basso si impostava un ulteriore piano coperto a capriata lignea81, andato perduto82 (figg. 20-22). Nei primi anni del Seicento, il quattrocentesco altare maggiore venne ricostruito per volontà di suor Lucrezia Doffi83 (Richa, vol. II, 1755, p. 226; Viviani della Robbia, 1946, p. 160) su progetto di uno fra i più attivi architetti di Firenze, Matteo Nigetti84, impegnato in quegli anni nella costruzione della chiesa dei SS. Michele e Gaetano e, con Giovanni de’ Medici85, nella progettazione del mausoleo mediceo; per la chiesa monastica propone una struttura architettonica, già diffusa a Firenze dalla seconda

pagina a fronte Fig. 18 Chiesa di Santa Verdiana, coro alto adibito a laboratorio dall’amministrazione carceraria (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139). Fig. 19 Scala in pietra di accesso al coro alto. Sulla parete di fondo si nota la trave di imposta del solaio del piano superiore demolito dal Genio Civile nei primi anni trenta del Novecento (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

metà del Cinquecento, in cui l’altare, fulcro dello spazio ecclesiale, è collegato a due setti laterali aperLe mensole, che sono state oggetto di un consolidamento successivo, sono ancora in loco e presentano un aggetto di circa cm. 71. Piano di calpestio del coro basso. 81 Due travi con mensole poste sui lati corti dell’aula conservano memoria di questo solaio. 82 Il piano è stato demolito durante i lavori di adeguamento realizzati dal Genio Civile negli anni trenta del Novecento; si rimanda al testo di Ornella Mariano in questo volume. 83 Per un costo di 278 ducati. Suor Lucrezia mette a disposizione l’usufrutto dei beni patrimoniali. 84 ASFI, CRSGF, 90, 14. Sono documentati al Nigetti due pagamenti, uno il 29 maggio 1606 e l’altro il 24 settembre dello stesso anno. 85 Fratello di Francesco I. 79 80


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ti con porte simmetriche sul vano retrostante86. A realizzarlo sono i muratori Bartolomeo e Francesco Calosi87, che abitano in una casa di proprietà delle monache in via dell’Agnolo, e lo scultore Bastiano Bozzolini di Fiesole con il figlio Bernardino88 (fig. 23). Un intervento di descialbo ha riportato alla luce le volute a baffo dipinte al di sopra del frontone curvilineo spezzato che completa la porta laterale destra della parete di fondo, ornate da elementi floreali che danno una nota cromatica all’insieme; l’ingannevole apparato architettonico presumibilmente esteso a tutta la parete, dipinto dal quadraturista Ferdinando Melani e scialbato successivamente, si integra perfettamente con l’architettura reale, enfatizzandola e completandola. L’altare maggiore in marmi policromi è inquadrato da una edicola posta su due colonne con capitelli corinzi dorati, come il cherubino che decora il timpano ad arco ribassato ed altri elementi decorativi; in basso, ai lati della mensa, sono inserite due specchiature con l’arme della famiglia Doffi e l’insegna del monastero; si devono al Nigetti anche gli altari laterali in pietra serena (figg. 24-25). Il senese Pietro Sorri realizza la perduta pala d’altare tra il novembre del 1605 e il giugno del 160689 (Richa, vol. II, 1755, p. 226) con la Vergine assunta in cielo, un tema da lui anticipato nella tela per il duomo di Livorno eseguita fra il 1603 e il 1605 (Sframeli, 1994a, p. 172). In questa fase dei lavori, nelle cornici poste sulla parete d’altare, in asse con le porte, che si qualificano per il ricco repertorio decorativo costituito da medaglioni entro volute, vasi con fiaccole e festoni, sono inserite due piccole tele con l’Adorazione dei pastori e l’Adorazione dei Magi ritenute del Cigoli90 o attribuite al Sorri o a Benedetto Veli (Sframeli, 1994a, pp. 172-173). In questo caso si tratta della sagrestia. Bartolomeo e Francesco sono documentati dal 1602 al 1606; ASFI, CRSGF, 90, 14, cc. 193r., 209r., 210r., 214v., 215r., 218r.v., 222r.-v., 225v., 228r.-v., 229r.-v., 230r.-v., 233v. 88 I Bozzolini risultano presenti nel 1606; ASFI, CRSGF, 90, 14, c. 225v. Bastiano Bozzolini, “scalpellino” di Fiesole, nel 1604 aveva collaborato con Andrea Ferrucci alla decorazione del loggiato di palazzo Serristori a Firenze (L. Ginori Lisci 1972). Il figlio Bernardino, nel 1630, fornisce quattro colonne con capitelli e tre archi “pe sopra a le cholone”, necessari alla realizzazione del loggiato nel Collegio dei Gesuiti a Firenze (oggi liceo Classico Galileo), ancora esistente al piano terreno. 89 ASFI, CRSGF, 90, 14, cc. 224v., 225r.-v., 226r. 90 Nei documenti del tardo Settecento le tele sono ritenute del Cigoli mentre le fonti le attribuiscono a Pietro Sorri. 86 87

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Figg. 20-22 Il coro basso adibito dall’amministrazione del carcere a refettorio e, successivamente, a teatro (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

Quando nel 1625 su commissione di suor Maria Vittoria Frescobaldi vengono coperte “le spalliere di seta taffetà grave rossa e gialla” (Viviani della Robbia, 1946, p. 74), l’altare è completato dal nuovo ciborio marmoreo disegnato da Fabrizio Boschi, intagliato da Felice Gamberai e dorato da Francesco Lucherini; l’opera viene apprezzata da Michelangelo Buonarroti il Giovane che, consultato per un giudizio, la definisce “cosa squisita”. Grazie al mecenatismo di suor Maria Fedele Ticci, committente di numerosi altri lavori portati avanti in quegli anni, come la “nuova porta di noce lavorata a tornio”, la pala di Pietro Sorri “tutta guasta” (Viviani della Robbia, 1946, p. 162) viene sostituita nel 1680 con la nuova tavola raffigurante l’Assunta tra santi Benedetto, Giovanni, Gualberto, Sebastiano, Verdiana, Umiltà, Michele Arcangelo, Giovanni Battista e Reparata, dipinta da Pier Dandini91. In seguito alle soppressioni napoleoniche del 1808 l’Assunta è stata rimossa assieme alle due opere attribuite a Benedetto Veli92 e, restituita alla chiesa dopo la restaurazione, subisce la medesima sorte di abbandono del monastero; negli anni trenta del Novecento sarà restaurata93 e ricollocata sull’altare maggiore. Nello stesso 1680 l’altare viene dotato di un nuovo ciborio, una vera e propria architettura in miniatura che assume come modello il tempio cupolato, interamente realizzato in pietre dure, con bronzi e argenti, su disegno di Pietro Paolo Giannozzi e Antonio Masoni, per volontà di una monaca (fig. 26). Il monastero fino all’Ottocento è articolato in numerosi ambienti legati alle attività quotidiane delle monache: la spezieria, posta nel chiostro, sulla cui porta intorno al 1566 era stata dipinta da un pittore fiammingo non meglio identificato L’incoronazione della Beata Vergine94 e “un Gesù in sulla gocciola sotto a detta figura”; la sala della “stufa per le erbe” e l’altra “dei telai per filare e tessere il lino e la canapa”; un verone per lavare il grano posto nell’ultima parte del braccio occidentale; la stanza del lavatoio in prossimità del cortile meridionale in cui si apre una loggia; locali di servizio aperti sull’orto grande; l’antirefettorio, il refettorio terreno, la cucina, il “comodo”, il pollaio con l’antistante corte, la stanAlla base del dipinto il pittore scrisse “PETRUS DANDINI FACIEBAT. D. MARIA FIDELIS TICCI. PERMITTENTE D. MARIA DE’ MEDICI, ABBATISSA. 1680”. 92 Firenze, Archivio dell’Accademia di Belle Arti, Processi verbali, n. 26; la citazione si trova in M. Sframeli 1994, p. 177. 93 Firenze, Opificio delle Pietre Dure, Gabinetto Restauri, n. 212 del 1938. La tela è stata restaurata anche successivamente a causa dei danni subiti durante l’alluvione del 1966. 94 ASFI, CRSGF, 90, 65, c. 77, 1566, Spesa della Coronazione fatta nel chiostro sopra l’uscio della spezieria. 91

pagina a fronte Fig. 23 Chiesa di Santa Verdiana, parete d’altare, Matteo Nigetti (foto LFA-DIDA).




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za del forno e quella “della legna”95. Quest’ultima, come le “volte per tenere il vino”, si trovava in prossimità del muro di recinzione e quindi della

Fig. 26 Chiesa di Santa Verdiana, altare maggiore in marmi policromi come il ciborio (Foto LFA-DIDA).

porta acciocché quelli, che necessariamente vi devono andare, non abbino occasione di scorrere per le più intime parti della clausura96 (Zarri, 1986, p. 414; Bevilacqua, 2014, vol. 2, pp. 968-970).

I refettori sono due, uno al primo piano per l’infermeria e l’altro, comune e molto ampio, al pianterreno che, nella seconda metà dell’Ottocento, risulta ancora decorato da cinque quadri rappresentanti il Cenacolo “con quattordici figure compresi due serventi in piedi”, San Benedetto che opera un miracolo “con figure grandi al vero”, La decollazione di San Giovanni, Santa Verdiana prostrata dinanzi ad un tabernacolo coll’immagine della Vergine e più Santi, Nostro Signore legato alla colonna97; da un cro-

Rilievo di Giuseppe del Rosso e progetto per la rifunzionalizzazione di una parte del monastero a carcere femminile del 1863: Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139. 96 A Firenze l’arcivescovo Alessandro de’ Medici ha una particolare attenzione per l’organizzazione delle clausure della città e, nel 1601, indirizza al suo vicario un lungo e articolato Trattato sopra il governo de Monasteri, incentrato essenzialmente su questioni concrete di controllo in cui il tema architettonico risulta centrale. Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze, Panciatichi, 119, t. II, cc. 85-110; copia in BAV, Vat. Lat 10444, cc. 333-348. 97 Le opere sono ancora presenti nel 1863; Firenze, ASTUC, 0180, Chiesa e Monastero di S. Verdiana, Inventario Oggetti d’Arte compilato nel Marzo del 1863 da Carlo Pini. 95

pagina a fronte Fig. 24 Chiesa di Santa Verdiana, veduta dell’aula dalla parete d’altare (foto LFA-DIDA). Fig. 25 Chiesa di Santa Verdiana, altare laterale destro (foto LFA-DIDA).

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Fig. 31 Sala della Crocifissione, primo piano del braccio meridionale; pianta con il ribaltamento dei fotopiani delle pareti (elaborazione arch. Giulia Manca e arch. Elisa Orlando).

Parete A (nord)

Parete B (ovest)

Parete D (est)

Parete C (sud)

via dell’Agnolo

pagina a fronte in alto Fig. 27 Sala della Crocifissione, primo piano del braccio meridionale, Crocifissione con la Vergine e San Giovanni, foto di fine anni Trenta del Novecento prima dell’intervento di descialbo delle pareti voluto dall’arch. Piero Sanpaolesi (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

cifisso antico “in cartapesta, grande al vero” e considerato “opera pregevole”98, proveniente da un convento dei frati, come riportato nell’iscrizione: ANNO DOMINI MCCCLXXX MENSE JULII TEMPORE NR. DOMINI MINIATIS ABBATIS (Viviani della Robbia, 1946, p. 165). Il centro della copertura voltata era ornato da un medaglione con la figura di Santa Verdiana “a mezzo busto”, un bassorilievo “a colori” in terracotta invetriata delimitato da una ghirlanda di frutti, fiori e foglie, attribuito all’“epoca di Luca della Robbia” o alla scuola di Giovanni della Robbia99. In una parete lunga del refetto-

Fig. 28 Sala della Crocifissione, primo piano del braccio meridionale, Crocifissione con la Vergine e San Giovanni; stato attuale in cui si rileva il grave degrado della Crocifissione e dell’apparato decorativo parietale riportato alla luce mediante il descialbo realizzato da Amedeo Benini nel 1941.

rio si trovava il pulpito la cui “scaletta di accesso” era ricavata nello spessore della muratura100; demolito

Fig. 29 Sala della Crocifissione o sala adiacente, primo piano del braccio meridionale; prime fasi del descialbo (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

Una annotazione a margine dell’inventario del 1863 riferisce che il crocifisso è stato restaurato a cura della Soprintendenza di Firenze, foto n. 25952. 99 Firenze, Archivio Gallerie Storiche Fiorentine, Commissione Conservatrice, 1864, 18, aprile 1864. 100 ASFI, Ufficio Genio Civile 1780-1982, parte prima 1780-1941, 212.

in basso Fig. 30 Sala della Crocifissione, primo piano del braccio meridionale, veduta della parete nord, stato attuale.

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Figg. 32-33 Sala della Crocifissione, primo piano del braccio meridionale; decorazione pittorica del cassettonato ligneo nei colori bianco, rosso e blu che attualmente si trova in uno stato di grave degrado.

durante i lavori di adeguamento a carcere, ne rimane ancora un lacerto. Nel cimitero, posto nell’“orto della clausura”, si trovava una cappella nella quale è documentato un bassorilievo con la Vergine e il Bambino e, ai lati, due figure di santi, attribuito al “tempo di Giovanni della Robbia”101. Gli ambienti del corpo di fabbrica più antico, posti al primo piano del braccio meridionale prospettante l’attuale via dell’Agnolo, sono stati interessati da alcuni interventi di manutenzione a partire dal 1724, quali la tinteggiatura delle pareti e del soffitto ligneo cassettonato, che va a celare l’antica decorazione; nella sala maggiore, adibita a “refettorio delle inferme”102 e illuminata da una unica finestra103, in questa occasione venne ritrovata sulla parete nord “nel levare quadri […] dietro a uno di essi” una Crocifissione con la Vergine e San Giovanni104 “d’antichissimo autore”, fatta restaurare e inquadrare da una cornice lignea trattata a imitazione del marmo e filettata d’oro da suor Anna Ferroni105. L’apparato decorativo a finto parato con riquadri geometrici che percorreva le pareti è stato ritrovato e descialbato durante i restauri voluti da Piero Sanpaolesi alla fine degli anni trenta del Novecento106: sotto vari strati di tinta si è trovato una decorazione trecentesca affrescata […] si è dovuto con ferri taglienti togliere i vari strati di tinta sovrapposta indurita, rifermato tutto il colore ed alle parti mancanti passata una tinta neutra107 (figg. 27-31).

È Amedeo Bellini, nel 1941, ad occuparsi del descialbo che ha riportato alla luce le decorazioni parietali realizzate a “buonfresco”, con pontate alte due metri e l’ausilio di corda battuta di color rosso, su pagina a fronte Fig. 34 Sala della Crocifissione, primo piano del braccio meridionale; decorazione pittorica del cassettonato ligneo nei colori bianco, rosso e blu che attualmente si trova in uno stato di grave degrado. Fig. 35 Sala adiacente alla Crocifissione, primo piano del braccio meridionale; della decorazione pittorica del cassettonato ligneo, analoga a quella della sala della Crocifissione, rimangono pochi lacerti.

cui poi è stato eseguito direttamente il disegno108. Dall’analisi visiva risulta ancora chiaro che i motivi a Firenze, Archivio Gallerie Storiche Fiorentine, 1869, Commissione Consultiva, 59, 16 settembre e 3 dicembre 1869. ASFI, CRSGF, 90, 65, c. 50r, Ricordanze…” Il palco di refettorio dell’Inferme ritinto e fatto la finestra di vetro”. 103 Le altre due finestre saranno aperte durante i lavori iniziati nel 1940 e diretti dall’arch. Piero Sanpaolesi. 104 La Crocifissione, realizzata a fresco, mostra ridipinture successive a secco soprattutto in corrispondenza del cielo e di San Giovanni. 105 ASFI, CRSGF, 90, 65, c. 50r, 1732, “Il palco di refettorio dell’Inferme ritinto e fatto la finestra di vetro”. 106 Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana, cartella 1, Preventivo di spesa per i lavori da eseguirsi in Carcere di S. Verdiana. Restauro di due sale da adibirsi a laboratorio, 19 dicembre 1940. Sanpaolesi era funzionario responsabile presso la Soprintendenza ai Monumenti di Firenze. 107 Citazione tratta dalla richiesta di pagamento del restauratore inoltrata alla Soprintendenza ai Monumenti di Firenze nel luglio 1941. 108 Danneggiate dall’alluvione del 1966, le decorazioni risultano fortemente compromesse nel 1978, come si evince dalle fotografie realizzate in occasione di un sopralluogo della Soprintendenza, che mostrano l’incuria generale in cui versano le due sale 101 102


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tendaggio parietali sono anteriori alla Crocifissione; infatti la caduta di una parte della sua cornice evidenzia come sotto di essa prosegua la decorazione geometrica e come quest’ultima sia stata martellinata109 per far aderire meglio il nuovo intonaco che doveva servire per la sua realizzazione110. Nello stesso intervento portato avanti da Benini viene ritrovata anche la decorazione pittorica del cassettonato ligneo nei colori bianco, rosso e blu che attualmente si trova in uno stato di grave degrado; sono emerse inoltre le balze a tralci di foglie con putti in grisaille su fondo blu e al centro una formella mistilinea, dipinte fra le mensole a voluta fogliata su cui si impostano le travi (figg. 32-35). Al di sotto, su tre pareti corre un cornicione a lacunari che poggia su finte mensole prospettiche e su pilastri da cui pende il parato a formelle mistilinee, decorate a nodi e riquadri geometrici. Gli ambienti di uso quotidiano del monastero sono interessati da una manutenzione ordinaria fino al 1743 quando, nonostante le difficoltà economiche, ha inizio una nuova stagione di lavori che interessa la copertura della chiesa111; alcuni anni dopo, nel 1751, sono chiamati a decorare la nuova volta a botte due tra le personalità più significative del panorama artistico fiorentino, il quadraturista Ferdinando Melani che dipinge il costrutto architettonico, e il figurista Vincenzo Meucci che realizza la Glorificazione di Santa Verdiana (Farneti, 2002, pp. 175-177). Il figurista è autore anche delle figurazioni dipinte nelle due lunette dei lati corti, con la raffigurazione della Santa reclusa nella cella e tormentata dalle serpi (figg. 36-39). L’illusionismo architettonico, che aggiorna l’apparato decorativo con un genere pittorico ampiamente documentato a Firenze e nel granducato dalla metà del Seicento, modifica la geometria della copertura e amplifica lo spazio in verticale fino a raddoppiarlo. L’architettura picta gioca affrescate. In questa occasione i due ambienti vengono liberati dagli arredi ammassati alle pareti ma il restauro non viene eseguito neppure quando il carcere sarà trasferito a Sollicciano e l’ex monastero adibito a plesso didattico della Facoltà di Architettura. 109 Il ‘quadro’ rettangolare della Crocifissione risulta disassato rispetto alla decorazione geometrica del finto parato. 110 La sala attualmente presenta uno stato di grave degrado, dovuto principalmente all’abbandono di questi ambienti; in molte parti si evidenzia la perdita della pellicola pittorica. L’alluvione del 1966 ha provocato ulteriori danni, poiché l’acqua dell’Arno arrivò fino a qualche centimetro sopra il livello del primo piano dell’edificio. L’umidità di risalita ha innescato inoltre i fenomeni di solfatazione e di risalita in superficie dei sali, principale causa del degrado della pellicola pittorica. A questi vanno aggiunti i danni al tetto che hanno favorito la percolazione di acqua piovana e il varco che si è creato in un angolo del soffitto ligneo, con il conseguente ingresso di volatili dal sottotetto alle stanze decorate, hanno aggravato tale situazione; i danni antropici e le fessurazioni sono evidenti sulle pareti. 111 ASFI, CRSGF, 90, 59, cc. 10-11.

pagine 42-43 Figg. 36-39 Chiesa di Santa Verdiana, volta dipinta a finte architetture con al centro la Glorificazione di Santa Verdiana, 1751, Ferdinando Melani e Vincenzo Meucci. Particolari decorativi.

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un ruolo non solo illusivo, inteso a sedurre e a sviare lo spettatore, ma mette anche in relazione, attraverso giochi ottici, l’ambiente dipinto con quello in cui si trova il riguardante, unificando spazio reale e spazio fittizio. Al Melani si deve anche la perduta cornice, “un padiglione sostenuto da due Angioli”, che faceva da contorno (Richa, vol. 2, 1755, p. 227) 112 ad un piccolo affresco annicchiato posto sulla parete destra verso l’altare maggiore, raffigurante San Giovanni Gualberto inginocchiato ai piedi della croce e datato agli inizi del Cinquecento113; celato il 7 agosto del 1596114 in occasione della costruzione del pergamo in noce115, è stato ritrovato nel 1747 dai muratori mentre costruivano un palco per i musici116. In seguito è stato nuovamente scialbato e recuperato durante i lavori di restauro della chiesa eseguiti nel 1939 Figg. 40-41 Chiesa di Santa Verdiana, parete destra verso l’altare con il San Giovanni Gualberto inginocchiato ai piedi della croce, particolare.

da Dino Dini (figg. 40-41).

112 Le monache “vollero restituire alla Sant’Immagine il culto onde da Ferdinando Melani fecero dipingere a fresco per ornamento un padiglione sostenuto da Due Angioli con bella custodia di cristalli”, che è stato scialbato. 113 Firenze, ASTUC, 0180, Chiesa e monastero di S. Verdiana, c. s., 20 gennaio 1939. 114 La data viene riferita in un foglio rinvenuto dentro alla nicchia, messo dalle monache. 115 Il pergamo viene costruito a spese dei Rinuccini. 116 I musici avrebbero dovuto suonare durante la festa per la consacrazione di sette monache.


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La laicizzazione del monastero in seguito alle soppressioni La soppressione delle clausure tra Settecento e Ottocento consegna a Firenze, come in altre città, un patrimonio di edifici e suoli che si rivela indispensabile all’adeguamento funzionale della città, anche in relazione alla loro versatilità. Il monastero di Santa Verdiana, pur essendo compreso nell’elenco degli enti religiosi da riconvertire in conservatori o da ridurre a “vita comune” in base ai provvedimenti adottati dal governo lorenese nel 1785, riesce a mantenere la propria funzione religiosa (Orefice, 1996, p. 69) fino alle successive soppressioni napoleoniche del 1808, quando si pensa ad un suo riutilizzo a fini produttivi117. Inizia così il processo di laicizzazione e di trasformazione del monastero che ha portato il complesso al suo assetto contemporaneo. Giuseppe Del Rosso esegue il rilievo del complesso e viene incaricato del progetto della sua trasformazione a stabilimento di macellazione118 (figg. 42-45). Il documento grafico eseguito dall’architetto è significativo per la comprensione della destinazione d’uso dei diversi ambienti del complesso monastico a cui si accede ancora dall’antico ingresso aperto in via dell’Agnolo, disassato rispetto il chiostro (fig. 46); le grandi dimensioni dei vani terreni fanno presumere funzioni legate alla vita comunitaria mentre al piano superiore dei lati est e ovest una lunga serie di celle denotano il loro uso a dormitorio. Nel rispetto della tradizione tipologica monastica i tre bracci del complesso si articolano attorno al chiostro, con un pozzo centrale e aiuole di erbe aromatiche a segnare gli assi principali; alcuni ambienti giustapposti definiscono parzialmente il lato settentrionale trovando continuità in un muro di delimitazione in prossimità dell’antico orto. Una scala a rampa unica119, posta nelle adiacenze della sagrestia e accessibile anche dal chiostro, costituisce il collegamento verticale con il verone, con la cosiddetta sala della Crocifissione, con il piano superiore articolato in dieci stanze e con un “Quartiere a tetto composto da cinque Stanze ed un Terrazzo coperto”, prospettante via delle Fornaci, il cortile di servizio120 e il chiostro; si tratta del corpo di fabbrica che ingloba il palagio vallombrosano. La planimetria catastale del 1832121 documenta la stessa consistenza volumetrica del rilievo di Del Rosso, in cui i bracci occidentale e orientale si sviluppano con corpi di fabbrica fino al muro di delimitazione verso l’attuale largo Annigoni. I portici del chiostro, già tamponati e scanditi da un ritmo costante di finestre, sono accessibili da quest’ultimo mediante tre passaggi in corrispondenza degli assi mediani (fig. 47); alla destra del refettorio sono presenti tre vani di minore dimensione che potrebbero essere identificati con

Nel 1783 nell’orto grande era stato benedetto il nuovo camposanto. Il rilievo è oggi conservato presso l’ASCFI, CF, amfce 2303 (cass. 10, ins. F). La chiesa viene destinata a mattatoio o “ammazzatoio del bestiame minuto” e la cappella di Santa Verdiana a stalla come il refettorio e tutti gli ambienti del braccio orientale del chiostro. Cfr. Parigi, Archives Nationales, Catalogue général des cartes, Plans et dessins d’architecture pour les pays étrangers, Italie, Toscana, Cartella Projets d’un abattoir public à établir dans l’ancien convent de S. Verdiana à Florence par Giuseppe Rosso. 119 La rampa di scale era posta nel vano che negli anni trenta del Novecento sarà aperto su via dell’Agnolo a costituire l’accesso agli ambienti dell’Amministrazione Militare e, successivamente, verrà a costituire l’ ingresso agli appartamenti di proprietà comunale. 120 Nella pianta di Giuseppe Del Rosso è indicato con la lettera B. 121 ASFI, Catasto storico generale della Toscana, comune di Firenze, sez. B, foglio 2. 117 118

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la cucina e ambienti di servizio. Il verone del braccio meridionale, parzialmente tamponato, risulta ripartito da setti trasversali in tre spazi comunicanti. In prossimità della definitiva soppressione del monastero viene compilato nel 1863 da Carlo Pini, su incarico della Commissione Conservatrice di Belle Arti122, un inventario molto dettagliato delle opere e degli oggetti d’arte conservati nel complesso religioso, con brevi descrizioni anche delle pitture murali, fra queste un crocifisso di grandezza minore del vero, confitto con quattro chiodi. Frammento di una storia dipinta in fresco coperta ora dalla calcina. Opera assai mediocre e guasta. Secolo XVIII123

collocata presumibilmente nel verone del primo piano, all’angolo dei bracci meridionale e orientale del chiostro, oggetto di ridipinture nel Settecento rilevabili dalle fotografie storiche124 (fig. 48). La Real Prefettura della Provincia di Firenze sollecita l’invio del funzionario per la conoscenza delle opere d’arte. Firenze, SABAP, Catalogo generale dei monumenti e degli oggetti d’arte del regno, Chiesa e convento di Santa Verdiana, Inventario degli oggetti d’arte compilato nel marzo del 1863 da Carlo Pini. Si rimanda anche alla documentazione fotografica, Firenze, Catalogo Fotografico degli Uffizi, inv. n. 12705. 124 È andato perduto essendo rimasto esposto alle intemperie. 122

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Figg. 42-43 Pianta del soppresso convento di S. Verdiana in Firenze, progettato dal Consiglio Municipale per il Pubblico Ammazzatoio (m 0,675x0,525) e sezione, Giuseppe Del Rosso, 1813 (Paris, Archives Nationales, Pierrefitte-Sur-Seine).

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Fig. 44-45 Monastero di Santa Verdiana, piante del piano terra e del primo piano, Giuseppe Del Rosso, 1808 (ASCFI, CF).


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Quando nel 1865 Firenze diventa capitale del nuovo Regno, dà inizio ad una serie di profondi mutamenti volti alla sua trasformazione in moderna città europea; il riordino dei servizi pubblici assumono un carattere prioritario125. I ministeri, le caserme, le carceri e le scuole trovano sistemazione in complessi monumentali e conventuali o monastici; nell’ambito di questa riorganizzazione il monastero di S. Verdiana è definitivamente soppresso (Fantozzi Micali, Roselli, 1980, p. 48) con la decisione di adibire a carcere femminile l’area dell’orto recintato posto nell’ala occidentale del complesso religioso. Già nel 1863 era stato effettuato un rilievo del monastero per una sua “conversione in carcere” femminile126 e redatto un progetto in sei tavole, che non verrà realizzato ma le cui idee progettuali troveranno traduzione negli anni immediatamente successivi; tra queste, il muro merlato a delimitazione del cortile d’isolamento nel “piazzale che accede alla chiesa” e la costruzione di una torretta semicilindrica per contenere le latrine (figg. 49-54). In seguito il piccolo cortile verrà chiuso, con la costruzione di un corpo di fabbrica a piano unico adibito a parlatorio delle carcerate e sul suo solaio sarà posto un camminamento di collegamento fra le fabbriche (fig. 55). In questa occasione la colonna in asse con quella del portico dell’edificio religioso, posta a sostegno della tettoia di protezione dell’accesso al parlatorio delle monache127, viene ad essere addossata alla muratura della nuova costruzione (fig. 56). La redazione di un nuovo progetto crea il presupposto perché si faccia un ulteriore sopralluogo preliminare durante il quale il Genio constata la presenza di numerose opere artistiche; le considerazioni degli ufficiali sono in effetti di grande interesse, poiché descrivono ciò che ritengono essere le più importanPer approfondimenti cfr. Romby, 2016, pp. 9-23. Firenze, SABAP, Archivio fotografico, 139, Ex convento di S. Verdiana, Piante generali dei Monasteri di S. Verdiana e dello Spirito Santo situati in Firenze, esposte ad intelligenza dei diversi progetti per un carcere femminile. 127 La presenza della tettoia si evince anche dal progetto redatto nel 1863. 125

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Fig. 46 Antico ingresso al monastero aperto sull’odierna via dell’Agnolo. Nell’architrave sono ancora riconoscibili i tre stemmi raffiguranti la croce del Popolo, il giglio di Firenze e l’aquila di Parte Guelfa ormai compromessi dal degrado (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139). Fig. 47 I portici del chiostro dalla fine del Settecento risultano tamponati e scanditi da un ritmo costante di finestre. La presenza di puntelli lignei attestano lo stato di dissesto strutturale. Nel braccio meridionale si nota la sovrapposizione di un doppio ordine di logge di cui quella del primo piano tamponata. Il braccio occidentale si articola ancora in tre piani e lascia intravvedere il primo braccio del carcere negli anni sessanta dell’Ottocento. Il centro del chiostro è segnalato da un pozzo completato da un elemento a trilite con colonne (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

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Fig. 48 Crocifissione dipinta nel verone del primo piano del braccio meridionale. a sinistra Foto degli anni Trenta in cui si nota lo scialbo della cornice e di alcuni elementi figurativi. La porta adiacente è completata da un apparato ornamentale a finta architettura, da attribuire presumibilmente a Ferdinando Melani, analogo a quello che decora la porta, ormai tamponata aperta nel muro di fondo del braccio occidentale che dava accesso alla cosiddetta “stanza mortuaria” del monastero. a destra Foto realizzata nei primi anni Quaranta: la pittura murale è stata descialbata e l’intervento alla porta ha danneggiato l’architettura ingannevole del sovrapporta. Queste fotografie costituiscono l’unica testimonianza di questi apparati decorativi parietali (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

ti tra quelle rimaste nella struttura, e cioè “tre dipinti murali del secolo XIV”128, nel locale attiguo alla loggia del primo piano e l’altro nella cappella terrena dedicata a Santa Verdiana (fig. 57). Le stesse opere vengono in seguito fotografate e archiviate da parte degli uffici preposti alla tutela, tanto che, in occasione della permuta della proprietà dell’immobile tra le autorità militari e le carceri giudiziarie, continua uno scambio di informazioni tra i due uffici tecnici a proposito del loro stato di conservazione129. Da questo momento hanno inizio le trasformazioni soprattutto delle pertinenze esterne, espropriate in momenti diversi per assecondare le nuove previsioni urbanistiche. L’ampia zona posta ad ovest del complesso di proprietà del conte Antonio Baldelli, delimitata da cortine edilizie e circoscritta da una strada a cui dava il nome, via dell’Ortone130, e le costruzioni limitrofe vengono espropriate tra il 1867-

pagina a fronte Fig. 49 Piante generali dei Monasteri di S. Verdiana e dello Spirito Santo situati in Firenze esposte ad intelligenza dei diversi progetti per un carcere femminile, Tav. I, 1863 (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139): A. Parte del monastero con fabbricati ed orto che si occuperebbe col progetto n. III per un carcere femminile, come il più plausibile ed economico, sviluppato nelle tavole di N. 2, 3, 4, 5 e loro allegati. B. Casa attualmente abitata dal fattore delle monache. C. Stabile attualmente affittato con l’orto annesso. D. Parte del monastero con orto che si occuperebbe col progetto N. II di 40 celle al primo piano con porzione della Fabbrica annessa. Fig. 50 Profilo e sezione del Carcere sulla linea AB e CD delle Piante, 1863 (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

1869 e il 1876 per l’apertura di via della Mattonaia131 di comunicazione con il nuovo “mercato succursale” di Sant’Ambrogio (Romby, 2016, p. 39), progettato da Giuseppe Mengoni132 (fig. 58). Nel 1865 l’orto recintato del monastero, intermedio tra l’Ortone e il braccio occidentale, su cui in precedenza insisteva la casa dell’ortolano del monastero133, risulta già di proprietà demaniale mentre il nucleo originario del complesso religioso era ancora occupato dalle monache. Come si evince dal rilievo datato 30 settembre 1868 a corredo dell’espropriazione della proprietà Giuntini (fig. 59), situata tra la fine di via dell’Ortone e il monastero, eseguita per l’apertura di via della Mattonaia, l’antico orto è parzialmente occupato dai nuovi corpi di fabbrica carcerari e lo spazio di resulta viene utilizzato dalle deFirenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187. Ex convento di Santa Verdiana. Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187. Ex convento di Santa Verdiana. 130 Si tratta di un percorso sinuoso tra le antiche case popolane, di cui oggi rimane solo una piccola porzione che collega Borgo la Croce con piazza Ghiberti, in angolo con via del Verrocchio. La strada era senza sbocco e gli abitanti delle case dal 12 maggio 1784 godevano di una servitù di passaggio, come ricorda una lapide posta sull’angolo al n. 35R. 131 Vengono espropriati, ad esempio, due immobili di proprietà del conte Baldelli in Borgo la Croce, destinati ad affitto. 132 ASCFI, CF, LSP, f. 7357, Mercato di S. Ambrogio. 133 “In una cosa tra l’altre ho trovata molta difficoltà, e questa è il provedere circa gl’ortolani sendo necessario per la sanità, et per gli erbaggi, che i monasteri habbino orto, e non piccolo, alla cui cultura non possono attendere le donne, ma bisognano huomini. Questa è cosa pericolosa, perché sendo di gran fatica non la possono sostenere i vecchi, et i giovani non stanno bene dentro alla clausura”; Carlo Borromeo, Instructiones fabricae ecclesiasticae, 1575 (cap. XXXIII, “De monasterio monialium”. 128

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Fig. 51 Pianta del piano terreno del monastero di S. Verdiana in Firenze con due progetti per un Carcere femminile, terzo progetto, 1863 (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139). Fig. 52 Progetto di un Carcere giudiziario femminile occupando al primo piano del monastero quaranta celle, e porzione di Fabbrica per il Quartiere delle Suore di CaritĂ , ed altri usi del Carcere quivi notati, primo e secondo progetto, 1863 (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).


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Fig. 53 Pianta del piano terreno del III Progetto per un Carcere Giudiziario Femminile, profittando di una parte di stabile ed orto nel Monastero di S. Verdiana in Firenze, prossimo alle Murate, 1863 (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139). Fig. 54 Pianta del primo piano del III Progetto per un Carcere Giudiziario Femminile, e Pianta del 2 Piano del contiguo stabile divisibile in due Quartieri, 1863 (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

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Fig. 55 Cortile della chiesa con il corpo di fabbrica a piano unico adibito a parlatorio delle carcerate e il primo braccio del carcere (Firenze, SABAP, Archivio Corrente, A/187). Fig. 56 Cortile della chiesa; in secondo piano la colonna della tettoia di protezione dell’accesso al parlatorio delle monache risulta addossata alla muratura del nuovo parlatorio delle carcerate (Firenze, SABAP, Archivio Corrente, A/187). Fig. 57 Cappella di Santa Verdiana, decorazione della parete d’altare con le storie della vita della santa, prima del restauro.

pagina a fronte in alto Fig. 58 Espropriazioni per la realizzazione del mercato di S. Ambrogio (ASCFI, Archivio Disegni).

tenute come area ricreativa134. La pianta del complesso realizzata nel periodo post unitario (1884) atte-

Fig. 59 Espropriazione della proprietà Giuntini, situata tra la fine di via dell’Ortone e il complesso monastico, per l’apertura di via della Mattonaia, 30 settembre 1868 (ASCFI, Archivio Disegni).

sta la progettazione di celle carcerarie nel lato nord dell’ex monastero.

a destra Fig. 60 Veduta del piano terra del secondo braccio, con le celle a ballatoio (Firenze, SABAP, Archivio Corrente, A/187).

del monastero detti “casa dell’ortolano”, ed interessano anche il muro del braccio occidentale dell’ex

Fig. 61 Primo braccio del carcere con il vano centrale coperto da volte a vela (Firenze, SABAP, Archivio Corrente, A/187).

Alla fine del secolo vengono costruiti due bracci di celle, a ballatoio su un vano centrale (figg. 60-61), con una torretta semicilindrica per ciascuna sezione contenente i servizi igienici comuni (figg. 62-63), che delimitano un ampio cortile quadrato, nell’area prima occupata dall’orto e dagli edifici di servizio monastero. Nei due cortili sono ricavati spazi rettangolari a pettine, destinati all’“ora di aria” delle detenute135. Il lato settentrionale del muro di cinta del cosiddetto “orto recintato” è invece coinvolto nella 134 135

ASCFI, CF, LSP, f. 7357, Espropriazione orto S. Verdiana. Il primo cortile è compreso tra i due bracci di celle mentre il secondo è delimitato dal muro di recinzione del carcere e il se-


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sistemazione del nuovo piazzale per il mercato della frutta, odierno largo Annigoni. Inizialmente organizzato come un vuoto centrale, separato dall’adiacente mercato da una serie di botteghe disposte perpendicolarmente alla recinzione136, successivamente sarà modificato eliminando questa barriera e le botteghe verranno addossate al muro perimetrale del carcere e del monastero, liberando il passaggio tra i due spazi pubblici; la configurazione che si viene a creare rimarrà inalterata fino agli ultimi anni del Novecento (fig. 64). Con il Regio decreto del 7 luglio 1866137 il Comune di Firenze aveva acquistato una porzione di terreno sul limitare dell’orto ad est138, verso le mura urbane, di proprietà delle monache di Santa Verdiana che in seguito viene venduto al Comitato Italiano Florance Hand Publick Vorkes Company Limited e da questo alla Banca Anglo Italiana di Londra che, nel 1885, chiese al Comune di entrare in possesso anche della parte di orto rimasto alle religiose. Il Comune decise invece di venderlo al Demanio, il quale incaricò la propria sezione tecnica di determinarne il prezzo di compravendita139. Coevi sono gli espropri per l’allargamento di via dell’Agnolo (ex via della Fornace) e la creazione di viale Carlo Alberto (fig. 65). Dopo circa trent’anni140 il Ministero dell’Interno incarica il Corpo reale del Genio Civile di procedere a uno studio di riutilizzazione parziale e di ampliamento del complesso a carcere giudiziario maschile. Nel 1890 infatti, il prefetto chiede all’ingegnere capo del Genio di redigere urgentemente un pro-

condo braccio di celle. Dagli elaborati grafici a corredo del progetto di costruzione di “cunicoli sotterranei per rifugi antiaerei”, redatti nel 1943, si evince la loro demolizione. 136 Vedi progetto del marzo 1882, ASCFI, CF, LSP, f. 7357, Trasferimento dei Mercati delle frutta e arnesi rurali nel mercato di S. Ambrogio; dal 1868 al 1891. 137 ASCFI, CF, LSP, f. 7357, Espropriazione orto di S. Verdiana, decreto n. 3036. 138 Si tratta dell’“orto grande” del monastero. 139 ASCFI, CF, LSP, f. 7357, Orto di S. Verdiana retrocessione al Demanio. Il prezzo di vendita viene fissato in £ 1291. 86 in accordo con l’Ufficio d’Arte Municipale, come risulta dalla perizia dell’ing. Domenico Moretti. 140 Negli anni Novanta.

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Figg. 62-63 Torrette semicilindriche dei due bracci carcerari, contenenti i servizi igienici comuni (Firenze, SABAP, Archivio Corrente, A/187).

getto di riduzione dell’ex monastero di Santa Verdiana a carcere giudiziario maschile per 430 detenuti, diviso in sezioni secondo le norme di riforma carceraria141; questa soluzione avrebbe dovuto sostituire le due precedenti del 1887 e 1888, redatte sempre dal Genio, giudicate non consone al numero dei detenuti (fig. 66). Per il protrarsi dei tempi e riconosciuta la “insufficienza dei locali nelle carceri delle Murate” a causa dello “sgombero delle carceri giudiziarie di Santa Teresa”142 per i lavori di trasformazione di quest’ultimo a carcere a sistema cubiculare, la Direzione Generale delle Carceri del Ministero dell’Interno dispone nel 1893 di ridurre con la minima spesa “alcuni locali dell’ex monastero annes-

pagina a fronte a sinistra Fig. 64 Progetto per la costruzione di un contromuro nell’orto del carcere femminile di Santa Verdiana in Firenze e nell’attiguo convento omonimo. Nella pianta sono riportate le botteghe addossate al muro di recinzione (ASCFI, Archivio Disegni). a destra Fig. 65 Piano Regolatore, sezione I, in rosa scuro la porzione dell’orto grande venduta alla Banca Anglo Italiana; in rosa chiaro la porzione dell’orto grande destinata all’ampliamento di via dell’Agnolo (ASCFI, Archivio Disegni). Fig. 66 Tracce per la compilazione del progetto di riduzione dell’ex convento di S. Verdiana in Firenze a Carcere Giudiziario Maschile della capacità di 430 detenuti, piano terreno, 1890 (ASFI, Ufficio del Genio Civile 1780-1982, parte prima 1780-1941, 212).

so al carcere femminile, adattandoli a carcere succursale giudiziario per 100 detenuti”143 che avrebbe dovuto trovare spazio nel piano terreno del complesso144, secondo uno studio dell’ingegnere Alessandri che non ha trovato realizzazione. Tra Cinquecento e Settecento questa parte della città di forte espansione era stata un’area privilegiata per l’insediamento di sedi religiose quale, ad esempio, il monastero di Santa Teresa delle Carmelitane Scalze, fondato dalla nobile Francesca Guardi Ugolini nel 1626145; lungo via dell’Agnolo il quattrocentesco monastero di clausura intitolato alla Santissima Annunziata e a Santa Caterina146, detto del-

ASFI, Ufficio Genio Civile di Firenze 1780-1982, Parte prima 1780-1941, Faldone 212, Riduzione dell’Ex Convento di Santa Verdiana in Firenze a carcere giudiziario cellulare succursale delle Murate. Il progetto definitivo è del 21 marzo 1890. 142 Convento fondato nel 1628 dalle Carmelitane Scalze che, con l’annessa chiesa a pianta esagonale, costituisce un capolavoro del colto architetto e matematico Giovanni Coccapani e tra le più significative architetture del Seicento fiorentino. Per approfondimenti sul monastero si rimanda a Richa, vol. I, 1754, pp. 344-355; Paatz, 1940-1954, vol. V, pp. 237-240; Bevilacqua, Romby, 2007, pp. 399-400. 143 ASFI, Ufficio Genio Civile di Firenze 1780-1892, Parte prima 1780-1941, Faldone 212. La stima dei lavori è datata 31 gennaio 1893 e il progetto viene iniziato nel febbraio dello stesso anno. 144 Questa soluzione è possibile dal momento che il servizio cucina sarebbe stato effettuato direttamente dall’Amministrazione delle Murate, attiguo all’ex monastero. 145 Riconosciuto con bolla pontificia da Urbano VIII nel 1627. 146 È stato ristrutturato dall’architetto Domenico Giraldi nel 1845. 141


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le Murate, complessi religiosi che come quello di Santa Verdiana nel corso del XIX secolo sono stati riconvertiti in virtù di una eccezionale versatilità dell’impianto, a uso carcerario. Gli interventi ad opera del Genio Civile e la tutela della Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna Il Genio Civile, il 24 giugno 1891, aveva sollecitato il Commissariato per le Belle Arti a provvedere alla conservazione dei ritrovati “tre dipinti murali del secolo XIV”147 e comunicato la volontà di rimuovere il soffitto ligneo decorato del refettorio delle inferme148 e il lavabo in pietra che si trovava nell’antirefettorio149, ritenendo la loro conservazione non compatibile con la nuova destinazione d’uso; la cosiddetta sala della Crocifissione150 e quella attigua verranno poi adibite ad alloggi per le guardie carcerarie. In seguito agli interventi attuati a partire dal 1930 ad opera del Genio Civile, la parte del monastero ancora in uso alle religiose viene assegnata all’ampliamento del carcere e alle necessità dell’Amministrazione Militare (figg. 67-68). Date le condizioni di grave degrado, il Genio Civile esegue numerose demolizioni anche sconsiderate, concentrate nell’antico chiostro, dove vengono smantellate sei campate del braccio meridionale e smontate le sette colonne di pietra “di forma ottagonale”, da anni inglobate nelle murature di tamponamento delle arcate, e accatastate assieme alle basi, ai capitelli e a “qualche altro frammento” nel cortile, “davanti al demolito chiostro”151 (figg. 69-70). Firenze, SABAP, Archivio Corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana. La catalogazione era stata effettuata dal Commissariato per le Antichità e Belle Arti. 148 Nel refettorio delle inferme o sala della Crocifissione. 149 La sala attigua a quella della Crocifissione. 150 Dalla documentazione si evince che non furono prese le misure necessarie per la conservazione delle opere d’arte contenute in questi ambienti. Firenze, SABAP, Archivio Corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana. 151 ASFI, Ufficio Genio Civile di Firenze 1780-1982, Parte prima 1780-1941, 332. I lavori di demolizione hanno inizio il 20 dicembre 1930. 147

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a sinistra Figg. 67-68 Rilievo del complesso con la ripartizione operata dall’Amministrazione Militare e dal carcere. Piano terra e primo piano, 1933 (ASCFI, Archivio Disegni).

Nello stesso anno l’ingegnere Capo evidenzia la “necessità urgente di lavori alle parti pericolanti”

a destra Figg. 69-70 Locali dell’ex magazzino militare, novembre 1930. Lavori di demolizione e di ricostruzione nel braccio meridionale (ASFI, Fondo Genio Civile 1780-1982, parte prima 1780-1941, 332).

di Finanza, nel febbraio dell’anno seguente denuncia alla Soprintendenza la demolizione “abusiva”

dell’ala più antica constatate durante un sopralluogo152; il degrado si estendeva, infatti, al verone e a tutte le strutture del secondo piano del braccio meridionale, tanto da ritenere la demolizione l’unico intervento possibile dal momento che nessuna delle strutture offriva garanzia di stabilità. L’Intendenza del chiostro meridionale “a tre piani ed a sette arcate per ciascun piano”153, ovverossia della loggia inferiore, del sovrastante verone tamponato e di quello ancora aperto del secondo piano154, fatta eseguire dall’Ufficio del Genio Civile in accordo con la direzione delle carceri riunite di Santa Verdiana e delle Murate (fig. 71 e cfr. fig. 47), segnalando che con tale intervento era stato “messo allo scoperto” su una ASFI, Ufficio Genio Civile di Firenze 1780-1982, Parte prima 1780-1941, Faldone 332. Si fa riferimento alla lettera del 18. 10. 1930 inviata dalla Direzione delle carceri giudiziarie all’ingegnere capo del Genio Civile: “In occasione di una permuta dei locali tra questa Amministrazione e quella militare, ho constatato che gli edifici presentano gravi lesioni da fare seriamente temere pericoli a persone e cose”. 153 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana, cartella 1. Lettera del 28 febbraio 1931 scritta dall’ing. capo dell’Intendenza di Finanza di Firenze e diretta al Soprintendente all’Arte Medioevale e Moderna. 154 Il verone del secondo piano insiste sul coro basso poi refettorio delle carcerate e, successivamente, sala del teatrino. 152


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parete, un “pregevole affresco di opera non ben precisata, ma antica” rappresentante un Gesù Cristo in croce di grandezza “poco meno del naturale”, situato con ogni probabilità sulla parete interna del verone155, “e qua e là, delle pareti, affreschi rappresentanti figure con fregi a vari colori”. Lo stesso intervento interessa anche la copertura del coro alto che viene rifatta156. A partire dal 1936 sono intrapresi interventi nella chiesa, adibita a magazzino militare, affidati al restauratore Dino Dini e seguiti da Ugo Procacci; ”vecchie infiltrazioni di acqua” piovana avevano in parte disgregato l’intonaco dell’affresco della volta in una larga zona, “in fondo alla chiesa a destra in cornu epistulae”, in particolare intorno al terrazzino rappresentato presso la figura della Fede157; in alcune parti vengono eseguiti lavori di ridipintura. Mediante il descialbo, Dini riporta alla luce sulla parete d’altare dei frammenti di affresco. Due anni dopo si registra il rifacimento della pavimentazione della chiesa e della sagrestia e la sostituzione degli scalini in pietra serena del presbiterio; viene inoltre proposto un intervento conservativo e Si tratta di una parete che attualmente fa parte dell’appartamento del custode. La sostituzione delle tre capriate comporta la perdita della volta ad incannicciato della quale oggi rimangono i peducci. 157 Firenze, ASTUC, 0180, Chiesa e monastero di S. Verdiana, c. s., novembre-dicembre 1938. 155 156

Fig. 71 Prospetto del braccio meridionale prima dei lavori di demolizione realizzati dal Genio Civile (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

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Fig. 72 Schemi planimetrici di una porzione del braccio meridionale e orientale, piano terreno e primo piano, realizzati dall’architetto Piero Sanpaolesi (Firenze, SABAP, Archivio Corrente, A/187).

di “possibile ripristino” dei porticati del chiostro e degli ambienti più significativi del complesso e delle

Figg. 73-74 Lavori di ricostruzione del portico meridionale, architetto Piero Sanpaolesi (Firenze, SABAP, Archivio Corrente, A/187).

lontà del Genio Civile di demolire i locali fatiscenti dell’ex palagio vallombrosano situati “sopra e attor-

“parti artistiche” più importanti della porzione del fabbricato prospettante via dell’Agnolo. Infatti, dopo l’interessamento del Ministero dell’Educazione Nazionale, la Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna, con la decisione di procedere a proprie spese al restauro, si pone contro la vono” alla chiesa, corpi di fabbrica che presentavano pericolo di crollo per la “ormai deperita armatura di tetti e solai”. Una lettera del 13 febbraio 1936 della Soprintendenza, data l’importanza artistica delle parti dell’ex monastero delle quali si era proposta la conservazione, aveva intimato la sospensione di qualsiasi nuovo lavoro di demolizione nei lati del chiostro, da considerarsi tra i più significativi rimasti a Firenze, ad esclusione della parte posta all’estremità dell’ala sinistra, limitata da un corpo sporgente sull’area del cortile e dal mercato di S. Ambrogio158. Contestualmente si sollecita il recupero di tutto il materiale ricavato dalla demolizione del portico meridionale del chiostro e la messa in protezione degli affreschi, segnalando anche la presenza di altri apparati decorativi pittorici parietali “nei locali affittati”159. 158 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana, cartella 1; si tratta della sala della Crocifissione. 159 Anche nel marzo 1926 un funzionario dell’Intendenza di Finanza aveva segnalato alla Sopraintendenza all’Arte Medioevale


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in alto Fig. 75 Lavori di ricostruzione del braccio meridionale e proposta progettuale di quello occidentale (ASFI, Fondo Genio Civile 1780-1982, parte prima 1780-1941, 330). Fig. 76 Braccio occidentale prima della demolizione; nell’ordine inferiore del prospetto sono visibili le tracce delle arcate e le colonne inglobate in gran parte nella muratura (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139).

Nel dicembre 1940 Piero Sanpaolesi, architetto della Soprintendenza ai Monumenti delle provincie di Firenze, Arezzo e Pistoia rileva l’importanza artistica della sala grande del primo piano, detta della Crocifissione, e di quella adiacente, date in uso per diversi decenni alle famiglie delle guardie carcerarie che avevano prodotto gravi danni a causa dei lavori di “adattamento”, e si decide un intervento di restauro: il consolidamento del solaio del salone sovrastante160, che avrebbe consentito l’utilizzo dell’ambiente superiore, e la riapertura di due finestre sulla parete esterna della sala grande, lateralmente a quella centrale. Lo stesso intervento di restauro architettonico, strutturale e dell’apparato decorativo161 è previsto per la sala adiacente che presenta analoghe decorazioni murali e un soffitto cassettonato ligneo che nell’impianto originario si presume fosse analogo a quello del salone ma che ormai risulta molto compromesso. Vengono ripristinati i collegamenti fra questi ambienti destinati a laboratori per le recluse, e fra questi e la sala già adibita a laboratorio162. Le lacune dell’apparato decorativo mettono in evidenza i diversi tamponamenti delle aperture degli ambienti, attestando attualmente le numerose modifiche apportate nel corso dei secoli per adeguarli alle diverse destinazioni d’uso. e Moderna la presenza di un affresco nella cucina del quartiere affittato a un agente carcerario; Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana. 160 La documentazione archivistica attesta l’intervento di restauro nel soffitto ligneo scialbato, che viene smontato dalla ditta Rangoni “per poterlo lavare”; i pannelli sono rincollati e rimontati; molti correnti vengono rinforzati con staffe e due sostituiti. Sono fermate le mensole e le formelle, in parte riutilizzate e in parte rifatte, eseguita la ripulitura delle travi e travicelli e “colorito con una mano di penetro e due d’olio cotto”. La ditta realizza anche i tre infissi in legno delle finestre. 161 Il restauratore Amedeo Benini esegue nel 1941 una perizia relativa al restauro degli affreschi delle pareti; descialba il soffitto ligneo della sala e ferma il colore che tendeva a spolverare. Esegue i saggi sulle pareti ed effettua il descialbo riportando alla luce la decorazione a tendaggio. 162 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana, cartella 1.

Fig. 77 Lavori di riapertura del portico occidentale e di ricostruzione del primo piano che verrà adibito ad infermeria (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139). in basso Fig. 78 Progetto per la nuova infermeria da collocare al primo piano del braccio occidentale (Firenze, SABAP, Archivio Corrente, A/187).

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Il rilievo eseguito alcuni anni prima, nel 1933163, restituisce la divisione degli ambienti tra il carcere e l’Amministrazione Militare; il chiostro era stato diviso in due settori e quanto rimaneva a ovest di questa delimitazione viene attribuito al primo, mentre il braccio orientale e parte di quello meridionale, al secondo (cfr. figg. 67-68). La demolizione del muro di separazione tra il chiostro e la corte retrostan-

Figg. 80-82 Pianta e sezioni del rifugio antiaereo costruito nel primo cortile del carcere, 1943 (ASFI, Ufficio Genio Civile di Firenze 1780-1992, parte seconda, 168, fasc. 1).

te aveva generato un grande spazio aperto, diviso longitudinalmente dalla nuova ripartizione, conformato come la giustapposizione di due rettangoli molto allungati. La netta separazione degli spazi determinata dalla doppia funzione aveva reso necessario un nuovo accesso, ottenuto dall’apertura su via dell’Agnolo dell’ambiente del vano scale adiacente la sacrestia che, nell’impianto originario del complesso religioso, presumibilmente costituiva una porzione di un’antica loggia adiacente il palagio vallombrosano; nella direzione opposta lo stesso costituiva l’accesso al chiostro. Le modifiche più evidenti avevano riguardato l’area orientale del complesso: le finestre della loggia sono tamponate e rimane solo l’accesso centrale. Nel refettorio terreno sono rappresentate quattro finestre prospettanti il “demaniale giardino”, ampliato, e risultano demoliti gli ambienti di servizio, fra cui la cucina, ancora riportati nelle piante della seconda metà dell’Ottocento164 (cfr. figg. 43, 50). Non sono rappresentati gli ambienti ad ovest del braccio occidentale, perché già in uso da tempo a struttura detentiva, ben prima che le religiose lasciassero il complesso. Nel primo piano del braccio meridionale, il verone risulta in parte tamponato con passaggi tra i setti divisori; una porta aperta sulla parete sud costituisce il collegamento con la prima sala, decorata a finto tendaggio. L’adiacente sala della Crocifissione rimane inaccessibile dalla prima e l’unico collegamento è garantito dal vano scala dell’ingresso di via dell’Agnolo, una sistemazione rilevabile anche nello schema planimetrico realizzato dall’architetto Piero Sanpaolesi alcuni anni dopo (fig. 72). Tra la fine degli anni Trenta e i primi del Quaranta iniziano i lavori di ricostruzione del portico meridionale e del sovrastante verone (figg. 73-74) secondo il progetto redatto dall’arch. Sanpaolesi165 con il conAggiornamento realizzato dal dott. Torrini, dopo i lavori di ristrutturazione condotti nel 1931. Si confronti il rilievo di Del Rosso e la pianta di progetto del 1863. 165 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana,. Preventivo di spesa per i lavori da eseguirsi al chiostro di Santa Verdiana. È portata avanti la sistemazione, con “sterro di circa 70 cm. di altezza” del piano del cortile per riportarlo al livello originario e il restauro dell’ala sinistra del chiostro, dove devono essere demoliti il tetto, i muri dei due piani “moderni in sopraelevazione delle logge antiche”, che erano state murate nei lavori ottocenteschi; la ricostruzione integra163 164

pagina a fronte Fig. 79 Pianta del piano terra del complesso (1900) con l’indicazione dei due cortili oggetto di intervento: A primo cortile, B secondo cortile (ASFI, Ufficio Genio Civile di Firenze 1780-1992, parte seconda, 168, fasc. 1).

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tributo economico del Ministero dell’Educazione Nazionale; si dà inizio nel lato occidentale del chiostro all’intervento di riapertura e di consolidamento delle arcate e delle volte, di demolizione dei due piani sovrastanti (figg. 75-77) e la successiva ricostruzione del primo da adibire a infermeria166 (fig. 78). Nel novembre 1940167 la Soprintendenza, constatato lo stato deplorevole di conservazione delle decorazioni pittoriche della cappella terrena dedicata a Santa Verdiana, adibita a magazzino dell’“84 reggimento di fanteria”, ne dispone lo sgombero e la chiusura della porta di accesso con un “sopramattone” per impedire ulteriori danni168. Due anni dopo i lavori risultano in gran parte completati: il portico meridionale ricostruito con un intervento di anastilosi che non tiene conto dei caratteri originari; gli ambienti del primo piano risanati e rimodernati; il verone meridionale parzialmente tamponato e destinato a uffici169; nel primo piano vengono ricavati alloggi per le guardie carcerarie. La seconda guerra mondiale e i suoi effetti sulla fabbrica di Santa Verdiana A partire dall’agosto 1943 si provvede a mettere in sicurezza dai bombardamenti le detenute e il personale, circa 260 individui, con la progettazione di due “cunicoli sotterranei per rifugi antiaerei”, nei due cortili della porzione carceraria del complesso; nel cortile posto a nord del fabbricato, “limitato da un doppio ordine di alti muri di cinta”, il ricovero non viene realizzato per la diminuzione del numero dei detenuti170 (fig. 79). I lavori eseguiti dall’impresa Nello Cioni171 nel primo cortile “al centro del fabbricato” si concludono il 24 aprile 1944. Il piano delle fondazioni del rifugio, lungo m. 14.40, è realizzato a meno tre metri dal piano di calpestio del cortile; le pareti perimetrali sono costruite in pietrame con listatura di mattoni e malta idraulica e i “sette elementi” dei cunicoli sono coperti con volte; si accede al rifugio “paraschegge” tramite due scale poste negli angoli contrapposti del cortile, chiuse da cancelli di ferro. Di questo intervento non rimane traccia visiva e se ne era persa la memoria (figg. 80-82). Una parte degli ambienti prospettanti via dell’Agnolo, che prima dell’ultimo conflitto mondiale doveva essere restaurata a cura della Soprintendenza, nel 1952 risultano ancora in uno stato di abbandono

le del portico e del loggiato demoliti in corrispondenza del lato d’ingresso del chiostro; il restauro del braccio del chiostro a destra dell’entrata, con l’apertura del portico murato e la completa ricostruzione della loggia e del tetto sovrastante; la sistemazione, previo abbattimento degli ottocenteschi “muri rialzati moderni” della tettoia posta sulla testata destra del fabbricato di via dell’Agnolo, compresi i necessari consolidamenti delle “mura di sostegno, sconnesse e lesionate”. 166 ASFI, Ufficio Genio Civile di Firenze 1780-1982, parte prima 1780-1941, 212. 167 Nei primi anni quaranta del Novecento nel carcere di Santa Verdiana prestano servizio circa venti suore appartenenti alla Congregazione di San Giuseppe dell’Apparizione, di origine francese. Chiamata dal Governo Toscano di Leopoldo II a funzioni di assistenza e controllo nel carcere femminile di S. Gimignano, la congregazione aveva seguito le detenute prima nel trasferimento nella villa Ambrogiana a Montelupo Fiorentino e, successivamente, nel carcere fiorentino di Santa Verdiana. 168 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187. Ex convento di Santa Verdiana, c. s., 13 dicembre 1940. 169 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187. Ex convento di Santa Verdiana, c. s. 170 Decisione della Direzione delle carceri giudiziarie di Firenze, trasmessa all’ufficio del Genio Civile il 1 febbraio 1944. ASFI, Ufficio Genio Civile di Firenze 1780-1992, parte seconda 1938-1971, 168, fasc. 1. 171 I lavori sono realizzati con un contratto di cottimo fiduciario, datato 4 agosto 1943 n. 2397, per un importo di L. 12. 772, 40. La stessa impresa si occupa anche del rifugio “anticrollo dei vani esistenti nel seminterrato della casa di pena di S. Teresa” con perizia del 31 maggio 1943. Nelle carceri delle Murate non è possibile costruire il rifugio. ASFI, Ufficio Genio Civile di Firenze 1780-1992, parte seconda 1938-1971, 168, fasc. 1.


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e in condizione di grave dissesto come tutto il fabbricato dell’ex monastero “aggregato al magazzino vestiario”, collocato nell’ala orientale del complesso, per la “sua vetustà congiunta alla totale mancanza di manutenzione e ai gravi danneggiamenti subiti durante e alla fine del periodo bellico”. La direzione del carcere comunica alla Soprintendenza la necessità di un intervento di messa in sicurezza in attesa di un progetto di recupero totale. Al termine del conflitto mondiale con i fondi destinati alla riparazione dei danni di guerra “si ripara” solo una parte dell’ex monastero, per cui il magazzino può essere utilizzato solo parzialmente mentre sussisteva la necessità della sua totale disponibilità. Gli ambienti del carcere femminile fra l’agosto 1954 e il 1956 vengono ammodernati per un miglioramento igienico sanitario con l’installazione di un impianto docce in sostituzione di quello esistente ormai inefficiente a causa della “vetustà” e per l’aumento del numero delle detenute, conseguente all’apertura di una sezione per “minorate psichiche” nell’ala adiacente la torre nord172. Nel 1958 in ciascuno dei due corridoi antistanti le celle al piano terreno viene realizzato l’impianto di riscaldamento. Il carcere femminile nel 1983 viene trasferito a Sollicciano; dal 1986 il complesso, per fasi successive, è stato adibito a plesso didattico della facoltà di Architettura173. Se Santa Verdiana, come altri ‘luoghi’, oggi esiste ancora è perché il riuso nel tempo, che ha visto fortunatamente riconversioni e trasformazioni non troppo traumatiche per adeguarsi alle esigenze funzionali diverse e alle mutate risorse della città odierna, le ha permesso di continuare a ‘vivere’. La morte di un’architettura è, infatti, determinata dalla perdita di una destinazione d’uso. Ed è questo il messaggio forte che Santa Verdiana deve trasmettere ai suoi ultimi, in ordine di tempo, utenti: gli studenti della Scuola di Architettura.

172 173

ASFI, Ufficio Genio Civile 1780-1992, parte seconda 1938-1971, 176. Il complesso viene acquisito dall’Università degli Studi di Firenze nel 1986.

Fig. 83 Mercato alimentare in piazza Lorenzo Ghiberti a Firenze, 1960-1969 (Raccolta privata).

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da carcere femminile a plesso universitario Francesco Pisani

Università degli Studi di Firenze

Nel 1974 venne bandito il concorso appalto che porterà alla costruzione, terminata nel 1982, dei nuo-

Largo Pietro Annigoni

vi stabilimenti carcerari a Sollicciano ed il conseguente svuotamento dei complessi carcerari creati nel XIX secolo nel quartiere di Santa Croce. L’amministrazione comunale consapevole che ciò avrebbe

via F . Pao lieri

piazza L. Ghiberti

zionale di idee per il recupero al quartiere e alla città degli immobili adibiti a istituti penitenziari dei complessi delle Murate, di Santa Verdiana2 e di Santa Teresa. Gli esiti furono esemplificati in una mostra tenutasi proprio nel complesso di Santa Verdiana dal 24 settembre al 30 ottobre del 1988 (Conti, 1988); al concorso parteciparono più di centocinquanta gruppi di architetti, urbanisti e tecnici, ma nessun progetto fu dichiarato vincitore; l’idea principale che emerse fu quella di creare un’area polifunzionale in grado di recuperare le funzioni culturali, sociali e produttive tradizionali del quartiere. L’ateneo fiorentino, a metà degli anni ottanta del Novecento, era da tempo alla ricerca di locali da destinare ad aule universitarie; in considerazione della grave carenza delle sue strutture edilizie aveva più volte segnalato alle amministrazioni locali l’urgente necessità di ottenere la disponibilità di locali idonei da destinare a tali finalità. La questione fu oggetto di numerosi incontri e riunioni ai massimi livelli a cui parteciparono il Prefetto, il Sindaco, l’Intendente di Finanza e il Rettore dell’Università. Nel cor-

via S. V erdiana

avuto un grande impatto su una importante porzione della città, bandì nel 19861 un concorso interna-

via dell'Agnolo

prima consegna seconda consegna porzioni indisponibili Fig. 1 Fasi di consegna delle porzioni del complesso, elaborata sulla base del rilievo planivolumetrico redatto negli anni Ottanta del Novecento (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187). La toponomastica è stata attualizzata.

so di tali incontri emerse che per dare inizio all’Anno Accademico 1986-1987, dopo un attento esame di tutto il patrimonio immobiliare sia demaniale che comunale, a quel momento l’unica e migliore soluzione sarebbe stata la concessione, in uso temporaneo, all’ateneo fiorentino di alcuni locali dell’ex casa di pena di Santa Verdiana che risultavano nel luglio del 1986 vuoti ed inutilizzati, quindi idonei per l’insediamento di quattro o cinque aule3. Il 10 ottobre 1986 venne consegnata4 all’Università una porzione del complesso di Santa Verdiana corrispondente grosso modo alla parte monastica, adibita a magazzino generale degli istituti carcerari (fig. 1). Il 24 marzo 1987 venne approvato5 dalla soprintendenza il progetto che prevedeva un primo intervento in una porzione del complesso di S. Verdiana consistente in: restauro, recupero e adeguamento funzionale 1 Il 19 novembre 1986 il comune di Firenze bandisce il “Concorso internazionale sul recupero e ipotesi funzionai del complesso Le Murate”. 2 Cfr. il testo di Fauzia Farneti in questo volume. 3 Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187, 1, Ex Convento di S. Verdiana, dal 1891 al 1987. 4 UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia, verbale di consegna, 15 dicembre 1990. 5 Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187, 2, Ex Convento di S. Verdiana, dal 1987 al 1987.

pagina a fronte Lato settentrionale del chiostro con il corpo di fabbrica realizzato negli anni Novanta del Novecento.


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da carcere femminile a plesso universitario • francesco pisani

redatto dall’architetto Roberto Maestro in collaborazione con l’ufficio tecnico dell’ateneo fiorentino; il 14 luglio del 1987 iniziarono i lavori. Questi interventi miravano ad un restauro conservativo delle parti storiche del monastero, come risultavano essere dopo gli interventi di restauro e consolidamento attuati nella prima metà del XX secolo6, e che non presentavano particolari compromissioni nel loro impianto originario. L’intervento era la prima parte di ‘una idea’ più ampia specificata in una relazione redatta dai proff. Domenico Cardini e Roberto Maestro nell’agosto 1986 (fig. 2) per recuperare l’intero complesso ad uso dell’università e della comunità. Questa volontà verrà perseguita anche nel suc-

Fig. 3 Veduta del muro di delimitazione del cortile delle detenute di Prima Linea dal braccio meridionale del chiostro, 1987 (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia). Fig. 4 Veduta del braccio orientale del chiostro con le arcate tamponate e al primo piano le ‘finestrelle’ riaperte delle celle monastiche (foto LFA-DIDA).

cessivo intervento “il secondo stralcio”, che ad oggi non ha portato al pieno compimento del progetto generale ed ha lasciato in sospeso alcune criticità per cui si dovrebbe predisporre un terzo intervento. Il progetto di restauro, nella parte dell’ex monastero, al piano terra ha realizzato un nuovo ingresso su piazza Ghiberti, nel muro di recinzione in prossimità dell’angolo nord ovest del complesso. Ha interessato inoltre il giardino del chiostro con la pavimentazione dei percorsi per permettere un comodo accesso ai portici, la demolizione del muro di delimitazione del cortile delle detenute di Prima Linea7 (fig. 3) e ha portato avanti alcuni interventi di consolidamento sulle strutture8. Prevedeva anche la rimozione delle tamponature delle arcate del braccio orientale del chiostro, ma non essendo ammessa una successiva chiusura con sistemi vetrati per una confortevole fruizione degli ambienti nei mesi invernali, si è optato per il mantenimento dello status quo9 (fig. 4). Per il ripristino dell’antico volume degli ambienti adibiti a magazzini (fig. 5) è stato abbassato il piano di calpestio degli vani terreni del braccio orientale; la riapertura di alcune porte, tamponate dall’amministrazione carceraria, ha permesso il recupero del sistema dei percorsi originari (fig. 6). Al piano terreno della stessa ala è stato demolito il tramezzo che separava il braccio orientale del chiostro dagli altri spazi del complesso (fig. 7), ripristinati gli intonaci, creati due gruppi di servizi igienici, installati nuovi infissi, nuovi impianti elettrici e termici e costruita ex novo una centrale termica nella parte nord est. Sono state inoltre predisposte quattro

Cfr. il testo di Fauzia Farneti in questo volume. Prima Linea è stata un’organizzazione di lotta armata, nata nell’autunno del 1976, di estrema sinistra italiana di stampo comunista, fuoriuscita da Lotta Continua; Prima Linea sarà seconda in Italia solo alle Brigate Rosse, per numero di persone colpite, di azioni armate e di aderenti. La pericolosità dell’organizzazione impose la costruzione di strutture di isolamento per le detenute di Prima Linea rinchiuse nel carcere di S. Verdiana. 8 Cfr. il testo di Silvio Van Riel in questo volume. 9 Il mancato intervento rende questa porzione tra le più soggette al degrado dei materiali. 6 7

pagina a fronte Fig. 2 Ipotesi di utilizzazione del complesso di Santa Verdiana a Firenze da parte dell’Università di Firenze. Relazione dei proff. D. Cardini e R. Maestro e arch. G. Fialà, agosto 1986 (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187).

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Fig. 5 Veduta degli ambienti terreni del braccio orientale adibiti a magazzini, 1984 (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139). Fig. 6 Veduta del braccio orientale del chiostro dopo gli interventi del ‘primo stralcio’ del progetto di restauro e di recupero (foto LFA-DIDA).

aule (figg. 8, 9) e realizzati i relativi percorsi di accesso nella porzione del complesso costruita ex novo dall’amministrazione carceraria nel dopoguerra (fig. 10), addossata all’ala est dell’ex monastero. Nel piano superiore, nell’unico grande ambiente che correva lungo tutto il braccio orientale (fig. 11) sono state riaperte le antiche ‘finestrelle’ delle celle monastiche e realizzati due tramezzi per suddividerlo in due grandi aule (figg. 12, 13). Negli ambienti laterali adiacenti, costruiti nel dopoguerra dall’amministrazione carceraria, sono stati ricavati spazi per laboratori a supporto della didattica, e un gruppo di servizi igienici. Nel braccio occidentale, nell’ex infermeria del carcere, sono stati collocati ambienti per i docenti; l’ex teatrino è stato trasformato in un’ampia aula disimpegnata comunque mediante un tramezzo dalla scala di pietra di accesso all’ex coro alto, adibito ad aula didattica. Anche in questo piano sono stati ripristinati gli intonaci, sostituiti gli infissi e stesi nuovi impianti tecnologici per garantire lo svolgimento della didattica. Questa fase dei lavori ha riaperto le ‘finestrelle’ delle celle monastiche sui due prospetti, che sono stati oggetto anche del ripristino delle superfici intonacate, gravemente degradate, e di una ritinteggiatura complessiva (figg. 4, 14). In previsione dei lunghi lavori del secondo stralcio, che avrebbero interessato la porzione carceraria del complesso, l’accesso carrabile di servizio ai magazzini su via dell’Agnolo è stato allestito come ingresso principale temporaneo10 per le attività didattiche. In generale gli interventi di trasformazione da carcere a sede universitaria della parte antica del com-

pagina a fronte Fig. 7 Progetto di “straordinaria manutenzione e recupero” del complesso di Santa Verdiana. Variante in corso d’opera, stato sovrapposto, 1990 (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187).

plesso di Santa Verdiana hanno lasciato in sospeso alcune questioni quale, ad esempio, la rifunzionalizzazione degli ambienti più antichi del monastero, in parte non assegnati dal Comune all’Ateneo; inol-

10 Questo ingresso, pur essendo adatto alla fruizione del complesso, risulta essere poco sicuro poiché si apre sulla stretta e trafficata via dell’Agnolo.


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tre, trovandosi questi nel “cuore” del braccio meridionale (fig. 1), rendono problematica una razionale soluzione distributiva compatibile anche con le istanze conservative. Problematici risultano anche i collegamenti verticali nelle parti storiche del complesso, la cui soluzione è stata rimandata ad un intervento successivo; infatti, ad oggi, essi sono garantiti da strutture provvisorie in materiali da cantiere (figg. 15, 16) e da un ascensore che è andato a sostituire il montacarichi dei magazzini (fig. 17). I collegamenti verticali originari del monastero, demoliti o trasformati durante

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il periodo carcerario, e quelli in uso all’istituto di pena giunti a noi, erano inadatti ad una struttura didattica poiché troppo ripidi e angusti, oppure frutto di superfetazioni e quindi poco compatibili con un intervento di restauro. Questi ultimi sono stati giustamente rimossi con l’intervento di adeguamento a

Fig. 10 Veduta esterna della porzione del complesso costruita ex novo nel dopoguerra (foto LFA-DIDA).

struttura universitaria. In data 20 aprile 1990 l’amministrazione comunale ha preso possesso dell’ex “compendio” penitenziario; il 17 settembre il Consiglio Comunale di Firenze ha deliberato di concederlo in comodato per cinquant’anni all’Università degli Studi di Firenze e il 15 dicembre dello stesso anno il Rettore dell’ateneo fiorentino ne ha preso ufficialmente possesso11. Tra il luglio 1989 e il luglio 1991 viene redatto dall’architetto Roberto Maestro il “Progetto per la nuova Facoltà di Architettura”, che interessa gran parte degli edifici strettamente carcerari risalenti alla fine dell’Ottocento e la porzione settentrionale degli spazi monastici. Maestro si prefigge di utilizzare nel modo migliore le architetture esistenti, di ridare dignità civile alla parte più propriamente carceraria con l’eliminazione degli elementi tipici delle strutture segregazionali quali grate, finestre a bocca di lupo, vuotatoi e garitte. Inoltre il progetto integra la parte monumentale antica con la parte ottocentesca e ricerca una flessibilità distributiva che permetta la variazione d’uso degli ambienti nonché l’orga11

Vedi nota 4.

pagina a fronte Fig. 8 Piano terreno, aula 5 (foto LFA-DIDA). Fig. 9 Piano terreno, aula 6 (foto LFA-DIDA).

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nizzazione degli spazi per lo svolgimento di eventi culturali aperti alla città12. La porzione ottocentesca si componeva di due corpi di fabbrica addossati perpendicolarmente al braccio occidentale del monastero, che si elevavano per tre piani ed erano coperti a capanna; l’interno si articolava con celle disposte sui lati lunghi e servite da ballatoi che affacciavano su un vano centrale a tutt’altezza (fig. 18). Nelle testate degli edifici, verso piazza Ghiberti, trovavano spazio i corpi scale e i vuotatoi che si estroflettevano dal perimetro dell’edificio in forma di torri semicircolari (fig. 19). Tra i due edifici si apriva un cortile, chiuso sul lato occidentale da un edificio di due piani che fungeva da collegamento, dove trovava spazio oltre ad ambienti di servizio anche l’asilo nido per i figli delle detenute. L’accesso al comparto detentivo era possibile attraverso l’ingresso principale del monastero su via dell’Agnolo, che immetteva nel cortile antistante la chiesa dove l’amministrazione carceraria aveva costruito, addossato al braccio meridionale delle celle, un corpo di fabbrica a un piano, coronato da una merlatura adibito in un se-

Fig. 11 Veduta dell’ambiente adibito a magazzino posto al primo piano del braccio orientale, 1984 (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 139). Fig. 14 Veduta del prospetto del braccio orientale con le ‘finestrelle’ riaperte (foto LFA-DIDA).

condo momento a parlatorio del carcere. I lavori eseguiti per la Facoltà di Architettura hanno rimosso13 il parlatorio del carcere riportando al voSi dà seguito ad un accordo firmato il 21 gennaio 1989 dall’Ateneo con il Comune che riprende le istanze del concorso internazionale di idee per la riqualificazione dei complessi carcerari e del quartiere. 13 Durante i lavori è stata rimossa, senza lasciare traccia, l’antica colonna antistante l’ingresso al parlatorio delle monache, che nelle trasformazioni ad opera dell’amministrazione carceraria era rimasta in posizione a memento. 12

pagina a fronte Fig. 12 Braccio orientale, primo piano, aula 8 (foto LFA-DIDA). Fig. 13 Braccio orientale, primo piano, aula 9 (foto LFA-DIDA).

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Fig. 15 Veduta della scala di collegamento tra il loggiato e il verone del primo piano (foto LFA-DIDA). Fig. 16 Veduta della scala di collegamento in testata del braccio orientale (foto LFA-DIDA).

lume originario l’antico cortile. I due bracci delle celle sono stati radicalmente trasformati, mantenendo solo la scatola perimetrale; all’interno sono stati realizzati tre solai di piano ex novo, blocchi di servizi igienici e corpi scala. Nel primo braccio del carcere sono state conservate le volte a vela di copertura del vano centrale e i pilastri di sostegno, creando così sui tre piani aule a pianta basilicale (figg. 20, 21); nel secondo braccio del carcere sono stati creati ambienti didattici fruibili sia in modo unitario che separatamente, impiegando come divisori infissi metallici (figg. 22, 23). I fronti del secondo braccio sono stati sistemati con la ripresa degli intonaci degradati, la rimozione delle ‘bocche di lupo’ dai vani finestra centrali e il mantenimento dei davanzali e delle cornici in arenaria grigia (fig. 24). Nel primo braccio le aperture sono state risagomate per aumentare la luminosità interna, richiesta dalle nuove esigenze didattiche, mantenendo solo la scansione degli assi verticali del vecchio sistema di aperture (figg. 25, 26).


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È stato demolito l’edificio di collegamento dei due bracci carcerari per far spazio al nuovo ingresso su piazza Ghiberti e ad un’aula gradonata. Gli spazi tra le testate dei bracci e il muro di cinta, dopo la demolizione dei vuotatoi, sono stati saturati con volumi edilizi ad un piano in cui hanno trovato posto ambienti di supporto alla didattica e di servizio; questa soluzione ha permesso di configurare ex novo la ‘facciata’ della Facoltà di Architettura (fig. 27). Sopra il nuovo corpo centrale, al terzo piano, è stato creato un percorso di collegamento all’aperto, un vero e proprio ‘belvedere’ sullo skyline del quartiere con la cupola brunelleschiana sullo sfondo. Il cortile tra i bracci carcerari diventa punto di collegamento tra le antiche strutture monastiche e il nuovo ingresso attraverso due percorsi perimetrali; in esso è stato costruito un corpo scale che permette di evacuare in sicurezza l’edificio in caso di necessità, attraverso due veroni di nuova costruzione (fig. 28). L’intervento previsto nel secondo stralcio ha realizzato anche due corpi di fabbrica aperti al piano terra, uno con arcate a chiusura del chiostro nel lato nord, l’altro con pilastri architravati a prolungamento dell’antico braccio occidentale14 fino al muro di recinzione su piazza Annigoni (fig. 29). Infine, con14 Questi nuovi volumi nella pianta e nella sagoma non riprendono le preesistenze documentate, infatti il prolungamento del braccio occidentale, per larghezza scavalca il muro di recinzione che separava il chiostro dall’orto grande.

a sinistra Fig. 19 Pianta del “Fabbricato di S. Verdiana”, piano primo, s. d. (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187). a destra Fig. 17 Spazio di collegamento degli ambienti adibiti a magazzini generali degli Istituti Carcerari con il montacarichi sostituito in seguito dall’ascensore, 1984 (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187). Fig. 18 Primo braccio del carcere con un doppio ordine di ballatoi, 1984 (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187).

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tro il muro di recinzione nella porzione tra piazza Ghiberti e largo Annigoni è stato creato un corpo di fabbrica longitudinale che avrebbe dovuto ospitare gli uffici della segreteria, ma che alla fine dei lavori è stato destinato a sede per mostre temporanee. I lavori di trasformazione dell’ex complesso carcerario di Santa Verdiana, come già accennato in precedenza, non hanno portato alla soluzione definitiva di alcuni aspetti di fruibilità e di accessibilità dell’intero complesso, nonché di compatibilità con le istanze del restauro. Alcuni interventi hanno dato avvio a nuove criticità; ad esempio, le arcate orientali del portico del chiostro, ancora tamponate, presenin basso Fig. 20 Veduta dal piano terra del primo braccio del carcere, 1984 (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187). in alto Fig. 21 Lo stesso spazio del primo braccio dopo i lavori del ‘secondo stralcio’, veduta dell’aula 15 (foto LFA-DIDA).

tano un pessimo stato di conservazione materiale15 che toglie qualità anche alla componente formale. Gli antichi ambienti dipinti del primo piano del corpo meridionale sono in stato di completo abbandono e il piano superiore inaccessibile: la loro conservazione e il loro restauro sono operazioni non previste mentre andrebbero attuate a breve termine, dato anche il gravissimo stato di conservazione delle antiche decorazioni parietali, la cui importanza era già stata segnalata dall’architetto Piero Sanpaolesi. Il sistema dei collegamenti verticali sempre nella parte antica del complesso andrebbe risolto definitivamente in modo organico e compatibile con le preesistenze. Gli interventi fin ora eseguiti per fasi 15

Cfr. il testo di Monica Lusoli in questo volume.


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successive, non hanno realizzato in tutto il complesso un sistema continuo di percorsi che ne permetta la fruizione al coperto in caso di pioggia. Un discorso a parte va fatto per i nuovi volumi aggiunti dal progetto per la Facoltà di Architettura; parte di essi, come il corpo d’ingresso, le scale d’evacuazione e la nuova facciata su piazza Ghiberti esprimono, con le loro linee, la loro contemporaneità, acquisendo una forza espressiva che nella correttezza della ‘distinguibilità’ dell’intervento nuovo accostato all’antico, unita all’uso di materiali tradizionali, come la pietra forte, la pietra serena, il laterizio e l’intonaco chiaro, valorizzano il plesso scolastico. Altri invece, come gli edifici relativi alle aule 18 e 19, la cui costruzione non ha tenuto conto di una rigorosa lettura delle preesistenze e delle trasformazioni storiche, usando elementi formali banali e privi di significato architettonico, pur impiegando materiali tradizionali, diventano segni deboli che non riescono a confrontarsi con l’esistente storico cosicché, nell’insieme generale, creano una nota stonata, per cui l’armonia del complesso risulta alterata.

in basso Fig. 22 Veduta dal piano terra del secondo braccio del carcere, 1984 (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187). in alto Fig. 23 Lo stesso spazio del secondo braccio dopo i lavori del ‘secondo stralcio’, veduta dell’aula 12 (foto LFA-DIDA). pagine 82-83 Fig. 24 Prospetto sul cortile del secondo braccio. Si noti il mantenimento delle bocche di lupo nei vani finestra laterali (foto LFA-DIDA).

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Fig. 27 Veduta dell’attuale ingresso al plesso didattico di Santa Verdiana da piazza Ghiberti (foto LFA-DIDA).


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In conclusione, gli interventi che hanno trasformato l’ex carcere femminile di Santa Verdiana in sede universitaria hanno rispettato gli aspetti monumentali del complesso, permettendo un uso compatibile degli stessi a vantaggio della collettività; resta da portare a pieno e definitivo compimento il recupero delle parti antiche, del corpo orientale edificato nella seconda metà del Novecento dall’amministrazione carceraria. Riprendendo le istanze del concorso internazionale di idee per la riqualificazione dei comin basso Fig. 25 Prospetto del primo braccio dal cortile della chiesa, 1984 (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187).

plessi carcerari e del quartiere si dovrebbe prevedere una loro apertura ad uso del quartiere e della città di Firenze, per fini culturali quali mostre e convegni, senza entrare in conflitto con l’attività universitaria.

in alto Fig. 26 Lo stesso prospetto sul cortile della chiesa dopo i lavori del ‘secondo stralcio’ (foto LFA-DIDA). pagina a fronte Fig. 28 La nuova sistemazione del primo cortile con il vano scala (foto LFA-DIDA). Fig. 29 I nuovi corpi di fabbrica realizzati nella porzione settentrionale (foto LFA-DIDA).

Bibliografia Conti S. (a cura di) 1988, Un’idea per le Murate. Progetti ammessi alla prima fase del Concorso internazionale bandito dal Comune di Firenze, catalogo della mostra (Firenze 24 settembre - 30 ottobre 1988), Milano.




gli interventi di consolidamento e ricostruzione strutturale eseguiti nell’ala orientale dell’ex monastero per il suo adattamento a plesso didattico Silvio Van Riel

Università degli Studi di Firenze

Negli ultimi anni è stato portato avanti da alcuni studiosi del Dipartimento di Architettura di Firenze un vasto programma di ricerca sul complesso di Santa Verdiana che ha coinvolto discipline diverse ma complementari, quali la Storia dell’architettura per l’indagine storico-documentale, il Rilievo architettonico e strutturale e il Restauro per lo studio delle condizioni di conservazione delle architetture e delle strutture. Come si evince dalla ricerca storica lo studio della parte architettonica e, in particolare, strutturale è condizionato dalla stratificazione degli interventi che hanno profondamente mutato le caratteristiche tipologiche, edilizie e volumetriche dell’impianto originario, interessando in maniera significativa le parti strutturali del manufatto. Nonostante questo, sono ancora leggibili gran parte delle strutture originali nelle loro linee architettoniche e nelle tecniche costruttive. L’indagine strutturale è stata eseguita applicando i dettami dell’attuale normativa tecnica sulle costruzioni esistenti, attuando le metodiche previste dal “percorso conoscitivo”1, che prevede delle distinte e qualificate fasi d’indagine prima di qualsiasi progetto che possa coinvolgere l’impianto strutturale. L’indagine storico documentale ha evidenziato le vaste e articolate trasformazioni edilizie e architettoniche che il primitivo impianto monastico ha avuto nel corso dei primi tre secoli dalla sua fondazione, con il costante aumento della consistenza del costruito attraverso tutta una serie di interventi di ampliamento della volumetria che hanno determinato un aggregato non omogeneo. Le vicende storiche del monastero sono ampiamente trattate in altre parti di questo volume ma, seppur brevemente, occorre ricordare alcuni episodi della vita del complesso che hanno determinato la situazione attuale e, quindi, individuare quelle trasformazioni che hanno inciso profondamente non solo nell’architettura, ma nella ridefinizione delle caratteristiche strutturali del manufatto. Già dal 1785 il governo lorenese aveva inserito il complesso di Santa Verdiana nell’elenco degli enti religiosi da riconvertire in conservatori o da ridurre a “vita comune”; nonostante le soppressioni napoleoniche del 1808,

1 Le norme tecniche del 2008 e la relativa circolare del 2009 prevedono che per l’intervento sugli edifici esistenti sia eseguita una fase di studio per una conoscenza approfondita del manufatto su cui si deve intervenire, propriamente detto “percorso conoscitivo”. Le fasi richiedono un’accurata indagine storico documentale per definire la “vita” del manufatto dalla sua realizzazione ai giorni d’oggi, con particolare attenzione agli interventi che possono incidere sulla sua struttura; il rilievo architettonico con l’indagine sui materiali e sul loro stato di conservazione (degrado); il rilievo strutturale con l’analisi dei dissesti, lesioni e/o deformazioni, la valutazione dei nodi strutturali e la caratterizzazione meccanica dei materiali. La qualità del percorso conoscitivo stabilisce i “livelli di conoscenza” che sono fondamentali per definire i “fattori di confidenza”, parametri numerici che possono penalizzare le prestazioni meccaniche dei materiali nelle valutazioni statiche e sismiche.

pagina a fronte Corpo orientale dell’ex monastero, da largo Annigoni.


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a destra Fig. 1 Elaborato grafico di progetto degli interventi di adattamento ad aule didattiche, piano terra (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187). a sinistra Fig. 2 Elaborato grafico di progetto degli interventi di adattamento ad aule didattiche, piano primo (Firenze, SABAP, Archivio corrente, posizione A/187).

solo successivamente, nel 1813, fu affidato all’architetto fiorentino Giuseppe Del Rosso2 il progetto di trasformazione del monastero a stabilimento di macellazione, intervento non realizzato, preceduto dal rilievo architettonico dell’intero complesso che ha permesso di valutare l’effettiva consistenza del manufatto e l’articolazione interna, confermata poi dalla planimetria catastale del 1832. Nel 1865 è pagina a fronte in alto Fig. 3 Braccio orientale durante i lavori (su concessione del Parco Archeologico dell’Appia Antica, MiBACT — Capo di Bove, Archivio Cederna, 295/295005).

decisa la secolarizzazione del monastero, con la destinazione a carcere femminile e la costruzione di

Fig. 4 Vista dei lavori nel braccio orientale, esterno dell’attuale aula 8 (su concessione del Parco Archeologico dell’Appia Antica, MiBACT — Capo di Bove, Archivio Cederna, 295/295009).

Le religiose, comunque, continuano ad abitare la parte più antica del complesso fino al 1931, quando

a destra Figg. 5-6 Braccio orientale nel 1978 e nel 1984 (Firenze, SABAP, Archivio Fotografico, 193). Fig. 7 Braccio orientale prima dell’inizio dei lavori; vista dei volumi edilizi prospettanti il cortile verso l’aula bunker (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

un nuovo corpo di fabbrica a tre piani adibiti a celle di reclusione, edificato nell’orto del monastero a ridosso dell’ala occidentale. Nei decenni successivi il carcere verrà ampliato con la costruzione di un nuovo braccio, analogo al precedente. questa parte viene divisa fra il carcere e l’Amministrazione Militare. A partire dagli anni trenta del Novecento vengono attuate le più profonde trasformazioni architettoniche e strutturali ad opera del Genio Civile, precedute da ampie campagne di demolizioni, che riguardano tra l’altro una parte del chiostro con la rimozione delle volte in muratura e delle colonne in pietra serena. A seguito di questi interventi si apre un contenzioso fra la Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna ed il Genio Civile, al quale viene vietato ogni altro intervento di demolizione e intimata la ricostruzione del chiostro, riutilizzando gli elementi originali, un intervento completato agli inizi de2

Per approfondimenti si rimanda al testo di Fauzia Farneti in questo volume.


gli interventi di consolidamento e ricostruzione strutturale • silvio van riel

gli anni quaranta del Novecento. Nella fase successiva dei lavori, che interessa il decennio 1940-1950, vengono eseguiti gli interventi di ricostruzione di alcune parti demolite e adattate a nuove funzioni; la parte più antica e storica dell’impianto originario, quella prospiciente via dell’Agnolo, comprendente la chiesa, gli ambienti adiacenti e le sale decorate del primo piano risultano essere in grave stato di dissesto, ancora nel 1952, tanto da richiedere alla competente Soprintendenza la necessità di urgenti lavori di messa in sicurezza di queste strutture, in attesa dell’esecuzione di un progetto unitario di restauro, che non verrà mai realizzato. Con il trasferimento delle carceri femminili a Sollicciano nel 1983, le strutture architettoniche dell’ex monastero, a seguito dell’attuazione del programma di potenziamento delle strutture universitarie nel centro storico, vengono destinate a sede del polo didattico della Facoltà di Architettura (1986); viene prevista la redazione di un progetto complessivo di ristrutturazione dell’intero complesso, suddiviso in tre stralci. Il primo, completato nel 1990, ha realizzato ad opera dell’Ufficio Tecnico dell’Università degli Studi di Firenze, la ristrutturazione del braccio orientale e del chiostro (figg. 1-7); il secondo, su progetto di Roberto Maestro, ha riguardato l’area dell’ex carcere e la chiusura del lato settentrionale del chiostro con un nuovo volume; nel terzo, solo in parte eseguito, si sarebbe dovuto risanare e restaurare i volumi della parte più antica e di pregio artistico, quella prospiciente via dell’Agnolo; nell’ultimo decennio sono stati condotti i lavori di restauro della decorazione pittorica della parete d’altare della cappella dedicata a Santa Verdiana. A livello strutturale saranno analizzati gli interventi che hanno caratterizzato il recupero funzionale ed edilizio del complesso architettonico, nella cui esecuzione sono stati previsti interventi di consolidamento di elementi, quali volte e solai, che ancora conservavano le caratteristiche storiche dell’antico monastero. Nell’ampia documentazione grafica conservata3 è possibile individuare e comprendere la successione delle lavorazioni strutturali che sono state eseguite al momento dell’adattamento dell’im3

UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia.

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Figg. 8-9 Piante strutturali del progetto originale, elaborato nel 1986/87 (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

mobile a plesso didattico universitario. Questa analisi, tecnico documentale, è fondamentale per poter definire, assieme al rilievo strutturale, le caratteristiche degli interventi di consolidamento e, in particolare, la tipologia e l’uso dei materiali quali l’acciaio e il calcestruzzo. Prima di addentrarci nell’analisi puntuale e dettagliata di queste lavorazioni è necessario premettere che nell’ottica della normativa tecnica del periodo nel quale sono stati concepiti ed eseguiti questi lavori, la metà degli anni ottanta del Novecento, l’intervento strutturale sull’architettura e l’edilizia esistente veniva concepito come un insieme sistematico di opere locali di consolidamento, valutando con calcoli statici e sismici il singolo


gli interventi di consolidamento e ricostruzione strutturale • silvio van riel

intervento, come nel caso di aperture di vani porta o la rimozione di porzioni murarie con la sostituzione di protesi in acciaio o cls. armato. Questi interventi eseguiti su un manufatto di carattere storico, per cui soggetto a vincolo, erano concepiti come interventi di miglioramento sismico e non prevedevano una verifica globale, statica e sismica, dell’intero complesso edilizio composto da un insieme di unità strutturali. L’attuale normativa impone una valutazione numerica di verifica statica e sismica sul modello strutturale globale, seppur composto da diverse unità strutturali, come nel nostro caso. Per poter far questo, nella fase diagnosti-

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ca è propedeutica la ricostruzione documentale degli interventi che si sono succeduti nel tempo sul manufatto, cercando di definirne le caratteristiche esecutive con la caratterizzazione meccanica dei materiali con cui sono stati realizzati. La documentazione storica, unitamente al rilievo strutturale, nello studio preliminare servirà alla costruzione e definizione del modello strutturale ed alla redazione delle relative verifiche statiche e sismiche, per la valutazione della sicurezza dell’immobile, che sarà effettuata in un secondo tempo. in alto Fig. 10 Tabella con le caratteristiche meccaniche dei nuovi materiali utilizzati nell’intervento (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia). Fig. 11 Schema grafico per il calcolo del dimensionamento degli elementi in acciaio per le nuove aperture (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia). a sinistra Fig. 12 Scala preesistente all’intervento di adattamento (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

La documentazione tecnica redatta dal Servizio tecnico del Rettorato, ad opera del progettista ing. Riccardo Falcioni, mostra un ampio repertorio di documenti grafici e tecnici, con un corredo di immagini fotografiche del periodo. Di particolare interesse risulta essere la Relazione geomorfologica e sulle fondazioni e la Relazione di calcolo, con il dimensionamento degli elementi strutturali utilizzati per i portali in acciaio, in sostituzione di porzioni murarie asportate ai fini di una più corretta funzionalità dei percorsi e degli ambienti4. Significativi anche gli elaborarti grafici strutturali che, nella logica grafica del periodo, permettono di identificare l’ubicazione e le caratteristiche tecniche dell’intervento (figg. 8, 9). Questa relazione, oltre ai calcoli specifici relativi al dimensionamento dei telai per le nuove aperture in sostituzione della muratura asportata, è ricca di informazioni sulle caratteristiche meccaniche dei nuovi materiali utilizzati, acciaio e cemento, di estremo interesse ai fini delle informazioni sulla struttura, oggi richieste dall’attuale normativa tecnica (fig. 10). In questa fase i lavori hanno interessato l’ala orientale con la definizione degli spazi, dedicati alle aule

pagina a fronte in alto Fig. 13 Tabella con le caratteristiche tecniche e meccaniche del nuovo solaio(UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

per la didattica, ed il chiostro, con gli ambienti direttamente collegati e prospettanti il braccio meri-

Fig. 14 Progetto strutturale degli elementi in acciaio del nuovo solaio (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

“aggiunte incongrue” limitate e la realizzazione, ex novo, della nuova centrale termica per tutto il

in basso Fig. 15 Particolari esecutivi strutturali degli elementi in acciaio e laterizio del nuovo solaio (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

dionale. L’intervento5 privilegia la riorganizzazione funzionale delle aule, con la definizione dei percorsi e, conseguentemente, con l’apertura di nuovi accessi e la realizzazione di ampi vani, per i quali sono predisposti e calcolati specifici interventi strutturali. Questi prevedono la demolizione di alcune complesso. In estrema sintesi gli interventi riguardano, in particolare, l’apertura di vani porta nelle murature portanti, la realizzazione di aule, di una nuova scala di acceso al piano superiore e della nuova L’intervento viene effettuato, ad esempio, per creare il corridoio di accesso alle aule 3, 5 e 6. Si fa specifico riferimento alla Relazione Tecnica elaborata dall’Ing. Riccardo Falcioni, del Servizio Tecnico dell’Università, datata 19 settembre 1987.

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gli interventi di consolidamento e ricostruzione strutturale • silvio van riel

centrale termica; stranamente in questa relazione non sono menzionati gli interventi di consolidamento alle volte, anche se ben specificati negli elaborati grafici. L’apertura dei nuovi varchi determina la realizzazione del corridoio di accesso alle aule e la definizione dei nuovi servizi igienici che, come la centrale termica, sono ubicati in quella parte del lato orientale del complesso costruita nell’ultimo ampliamento del dopoguerra; buona parte delle murature sono realizzate in laterizio pieno a due teste. Per l’apertura dei nuovi varchi non sono rispettati i dettami della normativa sismica vigente (D. M. 19 giugno 1984, p. C. 5d e successive integrazioni) per cui le porzioni di muro asportate sono sostituite da un equivalente telaio in acciaio (IPE H160), del quale viene fornito il calcolo analitico con le sollecitazioni al carico verticale, ai momenti prodotti dalle azioni sismiche ed a taglio (fig. 11). Tutti i telai per le aperture sono vincolati a terra, alla fondazione esistente, con piastre in acciaio e relativi tirafondi.

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Fig. 16 Schema grafico per il calcolo del dimensionamento degli elementi in acciaio per il nuovo telaio (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia). Fig. 17 Disegno esecutivo, in pianta, del posizionamento del nuovo telaio in acciaio per la creazione della nuova aula (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

Il nuovo corpo scala, in sostituzione dell’esistente che si trovava in condizioni di fatiscenza strutturale, (fig. 12) viene solo individuato ma il nuovo collegamento è affidato ad un successivo stralcio; in questa fase viene realizzata una scala, in profili tubolari, quindi chiaramente precaria, che è tuttora in opera, con le dovute attenzioni manutentive, in attesa della sistemazione finale dell’ala su via dell’Agnolo. Infine viene realizzata la nuova centrale termica e il nuovo solaio con un sistema di travi in acciaio, a cassettonato, e tavelloni in cotto (figg. 13-15). Fra gli interventi strutturali, che la relazione tecnica metteva in particolare evidenza, si rileva la realizzazione del “vano aula nuova” (figg. 16-17), un ampio spazio che si sarebbe dovuto recuperare dall’unione di due ambienti rettangolari, delle dimensioni di 7, 50 x 4, 10 m. ubicati al piano terra dell’ala orientale e prospettanti direttamente il cortile su via dell’Agnolo. Questa soluzione, non realizzata, avrebbe richiesto la demolizione della muratura portante il solaio al primo piano, con la sostituzione di un telaio in acciaio equivalente, formato da due profili HEB H180, affiancati e collegati fra loro da tre calastrellature passanti imbullonate e piastre saldate; le medesime sezioni sono utilizzate per i piedritti e la trave orizzontale. Anche questo telaio avrebbe dovuto essere vincolato a terra, alla fondazione esistente, con piastre in acciaio e relativi tirafondi. Come accennato l’intervento non è stato eseguito al momento della realizzazione dei lavori, molto probabilmente per l’eccessivo onere economico: opere provvisionali di puntellamento del solaio preesistente, demolizione manuale a cantieri della muratura esistente a due teste di laterizi pieni e la messa in opera del telaio. Inoltre una simile soluzione, che la normativa tecnica vigente al momento accettava, avrebbe potuto alterare lo schema statico e sismico

pagina a fronte in alto Fig. 18 Particolare costruttivo degli infissi in ferro di chiusura del portico nel chiostro (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia). a destra Fig. 19 Particolare esecutivo del gattaiolato sotto il piano di calpestio del chiostro (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia). Fig. 20 Lavori di risanamento ed impiantistici eseguiti nel chiostro (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

del solaio e delle murature d’ambito del vano. Gli interventi strutturali, più squisitamente di risanamento e consolidamento, eseguiti in questa fase hanno previsto la realizzazione di un solaio areato, gattaiolato, costruito sopra il pavimento esistente del chiostro, con l’uso di muretti ad una testa di laterizio pieno e tavelloni, su cui è stata posta una soletta in cls armata con rete elettrosaldata e, al di sopra, l’attuale piano di calpestio. In questa fase è stato inoltre realizzato uno scannafosso perimetrale, aderente alle murature del chiostro, in setti di c. c. a. dello spessore di cm. 15, per l’alloggiamento degli impianti per la nuova destinazione. Questo intervento necessario al fine dell’isolamento dall’umidità ha permesso di risanare il chiostro che, oggi, è diventato il vero fulcro dell’attività degli studenti, sia per lavorare sia per il relax, un vero micro-campus del plesso didattico (figg. 18-20).


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Gli ambienti storici del monastero: il refettorio e la cosiddetta “stanza del forno”6, che nel progetto di riutilizzo devono diventare aule didattiche e che nel tempo, nonostante piccoli interventi di tamponature e riaperture di porte e finestre, hanno conservato l’originale struttura di copertura, sono soggetti ad opere di consolidamento delle volte a padiglione lunettate. Questo sistema costruttivo, presente anche nel braccio più antico meridionale, propone una struttura portante in elementi resistenti di laterizio, montati a coltello, apparecchiati secondo le generatrici che caratterizzano la curvatura del padiglione e le lunette. Gli elaborati grafici presentano un intervento di consolidamento nel rispetto della struttura originaria, sottoposta a normali opere di manutenzione, con la sostituzione del riempimento in materiale sciolto con cls alleggerito con argilla espansa, a formare il piano di calpestio orizzontale. Su questo sono realizzati cordoli orizzontali incrociati in C. C. A., delle dimensioni di cm. 60 x 15, armati con 4 φ 16 e staffe φ 6/30”. Questo sistema di cordoli è vincolato alla muratura perimetrale esistente con am-

6 L’attuale aula 2. Questa indicazione è riportata nella pianta del 1865; per la foto si rimanda al testo di Fauzia Farneti in questo volume.

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Fig. 21 Pianta strutturale con indicati gli interventi di consolidamento delle volte e del solaio piano del volume adiacente (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

morsature a coda di rondine con 2 staffoni φ 12 per una lunghezza fuori muro di 80 cm. (figg. 21-23). Le ammorsature, come esplicitano gli elaborati grafici, sono poste nel punto di raccordo dei cordoli in adiacenza alle murature e, in qualche maniera, si sovrappongono al disegno delle lunette e delle volte. Il piano rigido dell’impalcato è ottenuto mediante l’esecuzione di una soletta in cls, armata con rete elettrosaldata φ 6 a maglie di 20 x 20”. Questo intervento eseguito sulle volte esistenti dell’ala orientale ha la funzione principale di distribuire in maniera omogenea i carichi d’esercizio e ridurre l’azione sulle volte esistenti che, comunque, sono state dotate di tiranti in metallo al fine di annullare la spinta delle stesse sulle murature d’ambito, migliorando sensibilmente l’effetto scatolare dell’impaginato murario.

pagina a fronte Fig. 22 Pianta strutturale con indicati gli interventi di consolidamento delle volte degli ambienti storici (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

Nei solai piani a copertura dei volumi occupati nell’antico monastero dalla cucina e dagli ambienti adiacenti, “rifatti negli anni Trenta e Quaranta”, vengono eseguiti interventi di consolidamento locali, con la messa in opera di solette in cls. di vari spessori, armate con rete elettrosaldata φ 6 a maglie di 20 x 20”, al fine di garantire maggior sicurezza alla strutture esistenti.


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In questo lotto di lavori, particolarmente documentato7 è l’intervento di risanamento e consolidamento delle strutture di copertura del “corpo alto”8 di quest’ala orientale del fabbricato, di notevoli dimensioni (8, 50 x 57, 80 m.), che protegge gli ambienti storici dell’ex monastero (fig. 24). L’impalcato di copertura, le cui strutture portanti, capriate ed orditura secondaria, sono state oggetto di interventi nel corso dell’ultimo secolo presenta, al momento dell’esecuzione dei lavori, diverse criticità di sicurezza imponendo un intervento non solo di pura manutenzione ma anche strutturale. Il grande vano è coperto da un insieme di capriate lignee, con tetto a capanna a geometria diversa, a una o due falde, variabili nel senso della lunghezza del vano. Il numero delle capriate è di 13 e sottendono 14 campi intermedi di copertura, la cui struttura è formata da arcarecci, travicelli ed un piano di tavelle di cotto; l’orditura secondaria negli ultimi due campi poggia sui timpani murari a chiusura del grande ambiente. La geometria delle capriate varia, come chiaramente indicato nel disegno (figg. 25, 26); dalla n. 1 alla n. 6 il tetto è a falda unica con il colmo spostato sulla parete perimetrale esterna9. In questo caso gli arcarecci poggiano su di un falso puntone che grava sul vertice della capriata sottostante, alla palladio semplice, dotata di saette. Dalla n. 6 alla n. 8 la copertura è a capanna mentre dalla n. 8 alla n. 10 si inverte il senso della falda, con il colmo spostato verso il cortile; anche in questo caso la geometria non varia con la presenza del falso puntone a sorreggere l’orditura secondaria. Infine dalla decima alla tredicesima capriata il tetto riprende lo schema a capanna che poggia sulla parete terminale, con il timpano triangolare. Nei cambi di falda le murature di tamponamento poggiano sui falsi puntoni. All’inizio dei lavori sono emerse varie criticità: la mancanza del falso puntone sulla capriata n. 1, sostituito da un “ometto” in falso sul puntone della capriata; alla settima capriata sono presenti due tavoloni longitudinali per trattenere i due puntoni a causa di scorrimenti delle loro sedi negli incastri inferiori. Dalla relazione si evince che: “le strutture a sostegno del tetto appaiono tutte sufficientemente dimensionate ed uniformemente ‘ordinate’ nei loro componenti”, salvo per le criticità già citate. Pur presentando aspetti di conservazione generale buoni, ad un esame più approfondito sono emersi fenomeni di degrado del materiale, come attacchi biotici, insetti xilofagi (cerambricidi) e la presenza di carie brune dovute alle infiltrazioni d’acqua avvenute nel tempo. Naturalmente risultano fortemente degradate per la presenza di carie brune (funghi della famiglia dei basidiomiceti) gli elementi lignei infissi nelle murature, in particolare le testate degli arcarecci e alcuni appoggi delle capriate. Inoltre, altri elementi critici risultano essere i collegamenti metallici delle capriate, che talora sono mancanti e, quando presenti risultano allentati, come nel caso delle saette con i puntoni. Stante questa situazione vengono ipotizzate due tipologie di interventi, di risanamento e consolidamento di tipo urgenti, ai fini di garan7 Si fa specifico riferimento alla perizia di variante redatta in data 10 febbraio 1988, con il relativo computo metrico ed estimativo dei lavori. 8 Le attuali aule 8 e 9. 9 La copertura ha questa geometria dal momento che in questa porzione la fabbrica era articolata in tre piani, come ancora si può notare da alcuni elementi del prospetto.

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tire livelli di sicurezza compatibili con la futura destinazione d’uso e lavori di trattamenti conservativi e protettivi per tutte le strutture lignee di questo corpo edilizio. In questa fase dei lavori sono previsti il bloccaggio del nodo puntone-catena mediante la messa in opera di n. 4 barre filettate in acciaio φ 14, all’interno di perforazioni passanti rese solidali al legno con l’uso di betoncino di resina epossidica, iniettata a pressione, poi fissate con piastre in acciaio con bulloni, al fine di rendere solidale il vincolo. Questo intervento è eseguito su tutte le 13 capriate del vasto ambiente. Inoltre, sulle capriate n. 7 e n. 13, le cui catene sono in precario stato di conservazione, è previsto l’affiancamento di tirantature in acciaio della sezione di 5 x 100 mm. all’estradosso della trave lignea, resa solidale con l’incollaggio con resina e chiodi ad infissione pneumatica. La catena sarà vincolata con una coppia di bolzoni metallici φ 16 nei nodi puntone-catena. A completamento dell’intervento è prevista la solidarizzazione degli arcarecci al puntone delle capriate con piastre in acciaio a L, chiodate agli elementi lignei.

a sinistra Fig. 25 Elaborato grafico di progetto che evidenzia i particolari esecutivi dell’intervento di restauro e consolidamento delle strutture lignee di copertura (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia). a destra Fig. 26 Elaborato grafico presente nel Libretto delle Misure che evidenzia l’intervento di consolidamento e restauro eseguito sulle strutture lignee di copertura del vano storico dell’ala est (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia).

È previsto anche l’impregnamento delle zone cariate ed il riempimento delle parti vuote, tramite iniezioni, in pressione, di resina epossidica caricate con inerti vegetali. Questo intervento deve essere eseguito per tutte le strutture lignee ammalorate, in particolare nelle testate delle capriate e negli arcarecci inseriti nelle murature. A completamento del consolidamento degli elementi lignei si prevede il riempimento a rasatura con betoncino di resina epossidica, integrata con inerti a fibre vegetali e piccole spillature in acciaio ortogonali al piano di frattura e l’esecuzione di trattamenti antiparassitari ed ignifughi, al fine di garantire livelli di conservazione e sicurezza delle strutture lignee di copertura. Con questo intervento strutturale e restaurativo si completa il lotto dei lavori previsti per l’ala orientale.

pagina a fronte Fig. 23 Lavori sull’estradosso delle volte dell’ex refettorio, negli ambienti corrispondenti alle attuali aule 8 e 9 (su concessione del Parco Archeologico dell’Appia Antica, MiBACT — Capo di Bove, Archivio Cederna, 295/295010). Fig. 24 Vedute del prospetto del ‘corpo alto’ del braccio orientale, particolare (foto LFA-DIDA).

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la lettura del testo architettonico il monastero di santa verdiana Ornella Mariano

Architetto libero professionista

L’analisi della grammatica del monumento, oltre che indispensabile alla conoscenza del complesso, rappresenta una preziosa occasione per sottolineare la ricchezza di questo importantissimo documento storico che, per naturale caducità materica e superficialità di valutazione, rischia di andar perso. Rilievo geometrico-architettonico Il rilievo, condotto con tecniche a misurazione indiretta delle distanze, diretto da Giovanni Pancani, è stato affiancato da una campagna di dettaglio con tecniche tradizionali, sia per compensare l’acriticità della campionatura con il laser-scanner e la parzialità delle scansioni effettuate, che per superare quell’allontanamento dell’operatore dal manufatto, spesso prodotto dalla settorializzazione del rilievo strumentale. L’intento è lo sfruttamento virtuoso di tutte le potenzialità offerte, integrate dalla insostituibile conoscenza diretta del bene. Il complesso presenta una tale varietà altimetrica, generata dalla sua natura di organismo ottenuto per addizioni e stratificazioni successive, da aver reso necessaria l’individuazione di sei sezioni orizzontali. La descrizione materica dei prospetti è stata ottenuta mediante restituzione fotogrammetrica sulla base delle snapshots, ricavate in fase di post-produzione dalla nuvola dei punti. Gli ambienti del piano terra (-0,04/+1,08 m) sono distribuiti intorno allo spazio centrale del chiostro, suddivisi in tre corpi di fabbrica e filtrati dal portico coperto con volte a crociera (fig. 1). Il braccio meridionale, lungo via dell’Agnolo, è compreso tra due spazi aperti in testata ed è articolato intorno al nucleo centrale composto dalla sacrestia e dai locali di servizio alla caffetteria (ovvero due sale del nucleo originario), cui si affiancano la chiesa ed il parlatorio ad ovest e il corpo scala degli ex-appartamenti delle guardie carcerarie nonché un’aula per la didattica prospiciente il cortile secondario, ad est. Il braccio occidentale delimita lo spazio dell’ex orto recintato, in seguito sede del carcere femminile, mentre quello orientale ospita la grande sala del refettorio1, l’antirefettorio ed è concluso in testata dalla cappella dedicata a Santa Verdiana (figg. 2-5). Il piano interrato (-2,30 m) è limitato ad una piccola porzione sul lato nord del braccio meridionale e si compone di un ambiente adibito a locale tecnico: uno spazio quadrangolare, in corrispondenza dell’attuale cucina a servizio della caffetteria al piano terra. Vi si accede mediante una scala ad una rampa lungo la parete nord, in cui si apre una finestra (fig. 7).

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Attualmente ospita l’aula1.

pagina a fronte Veduta del chiostro, particolare.


Fig. 1 Roma, ICCD, Chiostro dell’ex-monastero di Santa Verdiana (1992).

Al primo piano (+4,05/+4,73 m) in corrispondenza del portico sud si apre il verone, parzialmente tamponato2, alle cui spalle si attesta un’ aula3 dove è presente l’unico accesso alle sale decorate del palagio. Distributivamente indipendente, il blocco ad est di queste ultime si articola in un appartamento per piano disposto longitudinalmente al corpo scala del civico 12 di via dell’Agnolo. Una serie di piccoli ambienti quadrati fraziona il braccio ovest, nella configurazione creata a seguito dell’adattamento ad infermeria delle carcerate e che poi ha ospitato il Dipartimento di Matematica (fig. 9). Ad est, invece, il volume del refettorio è affiancato da una terrazza che insiste sul portico del piano terra (figg. 6, 8, 10-13). Al secondo piano, la quota di calpestio (+6,70/+6,80 m) individua ad est le grandi sale dei dormitori, poi suddivise in aule didattiche (fig. 17), mentre nel braccio meridionale è limitata all’ex coro alto delle monache, corrispondente al portico antistante la chiesa ed accessibile unicamente tramite la scala in pietra situata nell’ex coro basso (figg. 14-16, 18-20). Il piano +9,95 m identifica esclusivamente il doppio volume realizzato sopraelevando il palagio vallombrosano, di cui ovviamente ricalca la consistenza planimetrica; attualmente configurato come un corpo isolato all’interno della fabbrica, è il risultato delle demolizioni operate dal Genio Civile nel 1930 (fig. 21). Inoltre alla quota fittizia +13,30 m dello stesso, le riseghe perimetrali la muratura e una trave superstite testimoniano la precedente esistenza di un ulteriore impalcato (figg. 22-24).

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Attualmente occupato in parte dall’appartamento del custode. Già coro basso delle monache.


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Analisi stratigrafica degli elevati Il fronte su via dell’Agnolo mostra tracce visibili sia della storia costruttiva del complesso che delle trasformazioni subite in seguito. La leggibilità stratigrafica di un edificio è necessariamente parziale in quanto dipende in larga misura dalla presenza o meno di strati di rivestimento, degrado, dissesti e altri fattori che possono ridurre o accentuare la visibilità delle sue superfici e discontinuità (Doglioni, 2002). In questo caso, però, il fronte è in buona parte intonacato, occultando di fatto la maggioranza dei contatti al contorno tra superfici diverse e rendendo impossibile la canonica redazione della matrice di Harris. Per questo motivo, l’analisi è stata condotta integrando due differenti metodologie di lettura. Alla classificazione delle tipologie murarie per ‘campioni’4 (figg. 25-27) è stata affiancata una schedatura delle unità stratigrafiche murarie limitata agli elementi ‘notevoli’, ovvero alle tracce che interrompono la continuità muraria (figg. 28, 29). Altri dati interessanti sono scaturiti dalla cronotipologia delle aperture, tutte corrispondenti a fasi edilizie differenti (fig. 30). È stato possibile rilevare la presenza di nove differenti tipi di tecniche costruttive, catalogate e poi restituite in una mappatura per dare evidenza della distribuzione, individuando così l’indicatore cronologico principale. La ricognizione degli elementi resistenti che le caratterizzano è ulteriore conferma del fatto che il panorama edilizio fiorentino è stato dominato dalla pietra di cava o di fiume: la città era circondata da cave di ottima qualità e le fornaci urbane producevano soprattutto calce, mentre il laterizio era limitato alle necessità delle strutture orizzontali. Per la sua ridotta presenza è stato fatto comunque riferimento alle curve mensiocronologiche già sperimentate in Toscana (Tempesti et al., 2013). In sintesi, i risultati delle analisi consentono di delineare una successione di almeno tre fasi costruttive relative al monastero. L’osservazione della muratura del piano terreno e l’interpretazione delle relative unità stratigrafiche, confermano la preesistenza di una serie di strutture (Fase 1) accorpate al palagio vallombrosano per la costruzione del monastero. Considerazioni diverse vanno fatte per la fase successiva, della quale si riconosce agevolmente la tecnica tipo A (muratura in ciottoli), chiaramente distinguibile dalle altre. Nei cantieri religiosi, difatti, molto spesso venivano scelte le soluzioni più economiche a livello costruttivo, in linea con le esigenze di povertà. Il costo del materiale semilavorato dipendeva dalla quantità e qualità, nonché dalla facilità di approvvigionamento: oltre ai ciottoli, in Arno finivano regolarmente macerie riutilizzabili, per questo un braccio di pietre di fiume aveva un costo inferiore, proprio perché non veniva spianato (Frati, 2006). Di conseguenza, le murature meno curate erano spesso accompagnate da una malta di qualità. Il rivestimento di pietra concia appare limitato a ridotte superfici circostanti le aperture e le connessioni angolari degli edifici, come consuetudine. La fase costruttiva conclusiva coincide con la modifica cinquecentesca delle aperture della chiesa, ovvero la tamponatura delle monofore medievali e la realizzazione dell’unica finestra a sesto ribassato, la cui posizio-

4 Per approfondimenti sulla registrazione per campioni si rimanda a R. Francovich, R. Parenti, Archeologia e restauro dei monumenti, Firenze, 1988.

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Spazi didattica (aule, laboratori) Spazi professori (stanze personali) Spazi studenti (aule studio, ass. studentesche) Ex spazi religiosi Servizi (portinerie, punti info, ecc.) Appartamenti Percorsi Ingressi Fig. 2 Analisi distributiva, pianta del piano terra dell’intero complesso.

pagina a fronte Fig. 3 Rilievo architettonico: pianta del piano terra degli ex spazi monastici.



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Figg. 4-5 Sezione longitudinale del braccio meridionale: rilievo architettonico e materico; da sx gli ambienti del coro alto, della chiesa ed del palazzetto.

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Fig. 6 Analisi distributiva, pianta del primo piano dell’intero complesso. Fig. 7 Rilievo architettonico: pianta del piano interrato.

pagina a fronte Fig. 8 Rilievo architettonico: pianta del primo piano degli ex spazi monastici.




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Figg. 10-11 Sezione trasversale del braccio meridionale: rilievo architettonico e materico; da sx il verone, il coro basso e la chiesa. pagina a fronte Fig. 9 Il chiostro, particolare del braccio occidentale.

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Figg. 12-13 Prospetto del braccio meridionale sul chiostro: rilievo architettonico e materico.


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Figg. 14-15 Sezione trasversale del coro alto: rilievo architettonico e materico; da sx l’ingresso al parlatorio e il portico della chiesa.

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Fig. 16 Analisi distributiva, pianta del secondo piano dell’intero complesso.

pagina a fronte Fig. 17 Il chiostro, particolare del braccio orientale. Fig. 18 Rilievo architettonico: pianta del secondo piano degli ex spazi monastici.



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Figg. 19-20 Sezione longitudinale del braccio meridionale: rilievo architettonico e materico; da sx gli appartamenti delle guardie carcerarie, il palazzetto, il coro basso e il parlatorio.

pagine 120-121 Fig. 21 Il chiostro, particolare del braccio meridionale.



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Fig. 22 Rilievo architettonico: pianta della sopraelevazione del palazzetto, quota +13,30. Figg. 23-24 Sezione longitudinale del braccio meridionale: rilievo architettonico e materico; da sx gli ex appartamenti delle guardie carcerarie, il palazzetto, la chiesa ed il coro alto.


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Figg. 25-26 Prospetto via dell’Agnolo, rilievo materico e analisi stratigrafica per campioni.


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ne asseconda quella degli altari laterali. Difatti, considerando la sovrapposizione di una delle finestre ogivali con il frontone dell’edicola laterale della chiesa, risulta chiaro che questa trasformazione sia da annoverare tra gli interventi della fine del XVI secolo. Ulteriori distinzioni si possono fare considerando il solo nucleo originario (palagio), il quale sembrerebbe realizzato in tre fasi analoghe alle precedenti. La prima di modifica di strutture preesistenti al piano terra, come sembra dimostrare la mancanza di ammorsatura tra la muratura a filaretto e i piedritti in conci di pietraforte (fig. 27, tipo E), la mancanza di allineamento tra questi ultimi e la scansione spaziale degli ambienti retrostanti, nonché la sovrapposizione della mostra di una finestra al piedritto centrale. La seconda, relativa al piano nobile, è ribadita dalla sovrapposizione della mappatura con l’impronta degli orizzontamenti; infine la sopraelevazione, evidenziata dalla campionatura muraria. La lavorazione superficiale dei conci in pietraforte individuati della USM11 (fig. 29) e la loro coincidenza con il setto murario che divide la chiesa dal palagio per tutto il suo sviluppo verticale, lascerebbe supporre che siano parte del cantonale del nucleo originario. A conforto delle informazioni desunte dalla lettura del monumento, è stata eseguita una prova termografica che, però, non ha prodotto risultati significativi a causa della sfavorevole esposizione del fronte: la presenza del vicino complesso delle Murate ne scherma la parte inferiore dall’irraggiamento solare diretto, e quello radente non è sufficiente per riscaldare lo spesso strato di intonaco presente. Ne consegue che l’ipotesi sul cantonale rimane tale. In altri casi, invece, sono state le USM stesse a dare evidenza ad indicazioni documentarie frammentarie: tra le varie sostruzioni murarie e risarciture di buche pontaie, sono da segnalare soprattutto due passaggi tamponati. Il primo, con arco di scarico in laterizio a due teste (fig. 29, USM02-03), è situato nella porzione ancora visibile del muro di cinta del complesso, tra il portale principale con le armi del Comune di Firenze e il portico della chiesa; il secondo (fig. 29, USM06), invece, occupa l’intera larghezza della seconda campata del sottocoro della chiesa e la dimensione rilevata dell’architrave metallico conferma quanto riportato nel preventivo di spesa del settembre 1938, per i lavori da eseguire alla chiesa ad opera della Soprintendenza ai Monumenti5. Rilievo strutturale È la descrizione strutturale — pur se limitata al braccio meridionale — a mettere in risalto il valore storico ed il pregio costruttivo di questo monumento, ancor più del rilievo architettonico. Analogamente a quanto fatto precedentemente, sono stati redatti sei impalcati per assecondare le variazioni altimetriche. Pur nella complessità legata ad un oggetto cosi articolato, l’individuazione dell’organismo resistente è stata facilitata dalla coincidenza del sistema strutturale con quello architettonico. Le strutture verticali portanti sono state qualificate sia tramite l’analisi stratigrafica del fronte su via dell’Agnolo, che sulla base della documentazione d’archivio e delle foto di cantiere realizzate durante gli interventi restaurativi più recenti. pagina a fronte Fig. 27 Prospetto via dell’Agnolo, schedatura campioni murari.

Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana. Preventivo di spesa pei lavori da eseguirsi alla Chiesa di Santa Verdiana. 5


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Tipo A | MURATURA IN CIOTTOLI Muratura in ciottoli fluviali (pillori) privi di lavorazione superficiale, apparecchiati in corsi suborizzontali con zeppe in laterizio e sporadici ricorsi a spina-pesce. Elementi di dimensioni variabili tra 2-3 cm, 4-9 cm, 10-17 cm legati con malta a base di calce color beige, letti di posa e giunti molto alti.

Tipo D | MURATURA MISTA IN PIETRAME E LATERIZIO Muratura in pietrame sbozzato privo di lavorazione superficiale e laterizio pieno posato di testa (6-7x12-13 cm), apparecchiata in corsi sub-orizzontali con zeppe in laterizio ed embrici. Legata con malta a base di calce, letti di posa 1,5 cm e giunti molto larghi.

Tipo G | MURATURA MISTA IN CIOTTOLI E LATERIZIO Muratura in ciottoli fluviali (6-7 cm), laterizio pieno posato di testa (5-6x11-12 cm) e bozze sdoppiate (12-14 cm), apparecchiata in corsi sub-orizzontali e paralleli. Legata con malta a base di calce, letti di posa e giunti variabili.

Tipo B | MURATURA MISTA IN CIOTTOLI E PIETRAME Muratura in ciottoli e pietrame, apparecchiati in corsi suborizzontali con bozze sdoppiate (10-17 cm) e pillori di dimensione compresa tra 6-8 cm. Legata con malta a base di calce, letti di posa circa 1 cm e giunti molto larghi.

Tipo C | MURATURA A RICORSI Muratura a ricorsi alternati di ciottoli fluviali (6,5-7 cm) e laterizio pieno posato di testa (6,57x11-12 cm). Legata con malta a base di calce, letti di posa 1-1,5 cm, giunti laterizio circa 1 cm mentre quelli dei pillori sono molto larghi.

Tipo E | MURATURA A FILARETTO

Tipo F | MURATURA IN PIETRAME

Muratura a filari sub-orizzontali di altezza diversa (5-6/12-16 cm) in macigno sbozzato ad ascettino, privo di lavorazione superficiale, e conci in pietraforte di reimpiego. Legata con malta a base di calce, letti di posa 1-2 cm e giunti di circa 1 cm.

Muratura a filari sub-orizzontali della stessa altezza (6-6,5 cm) in macigno sbozzato, privo di lavorazione superficiale, e conci in pietraforte di reimpiego (16-22 cm). Legata con malta a base di calce, letti di posa e giunti di circa 1 cm.

Tipo G | MURATURA LATERIZIO

Tipo G | MURATURA LISTATA

Muratura in laterizio pieno apparecchiato di fascia, probabilmente di reimpiego data l’alta variabilità della dimensione degli elementi resistenti (5-7x1113x28-30 cm). Legata con malta a base di calce, letti di posa e giunti di circa 1,5 cm.

Muratura in pietrame sbozzato (1120 cm), apparecchiato in corsi suborizzontali e regolarizzato da due filari in laterizio pieno (5-5,5x1112x25,5-26 cm). Legata con malta a base di calce, letti di posa e giunti compresi tra 1-2 cm.

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santa verdiana a firenze. da monastero a sede universitaria, sette secoli di storia • fauzia farneti, silvio van riel

a destra Fig. 28 Prospetto via dell’Agnolo, rilievo architettonico con indicazione delle USM. in basso Fig. 29 Prospetto via dell’Agnolo, schedatura delle unità stratigrafiche murarie. pagina a fronte Fig. 30 Prospetto via dell’Agnolo, abaco delle aperture.

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Sostruzione muraria in laterizio pieno apparecchiato di testa, probabilmente di recupero date le dimensioni 4,5-7x18-20 cm; legata con malta a base di calce, letti di posa 1,5 cm, giunti sfalsati di circa 1 cm.

01 Tamponatura in laterizio pieno, apparecchiatura gotica sulla sinistra e di fascia sulla destra (4,5-5x13x28 cm; malta a base di calce con letti di posa 1-1,5 cm e giunti di circa 1 cm.

05 Sporto di gronda in laterizio pieno, formato da orditura aggettante dalla parete, apparecchiata in ricorsi sfalsati a dente di sega (h. 5,5-6 cm); letti di posa 1,5 cm, giunti quasi a secco.

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Arco di scarico in laterizio pieno a due teste, alternato di testa e di fascia, ed intradosso tamponato sempre in laterizio ma apparecchiato in foglio (5-5,5x12-13x29-30 cm); malta a base di calce, letti e giunti 1-1,5 cm.

02 Risarcitura in laterizio pieno, probabilmente dovuta alla creazione di apertura in breccia (recupero, 6x18 cm) legata con malta a base di calce, letti e giunti 1,5 cm. Architrave metallico h. 50 mm.

06 Piedritti in conci di pietraforte, posati in corsi orizz. e paralleli; privi di ammorsatura alla muratura perimetrale (21-28, 36-38 cm); nastrino rettangolare a scalpello (15-20 mm), spianatura a subbia; malta di calce, giunti 0,5 cm.

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Passaggio tamponato con laterizi pieni UNI, apparecchiatura gotica con malta a base di calce, letti di posa 2 cm, giunti di circa 1,5 cm.

03 Muratura in laterizio pieno con h. media 6,5 cm; la porzione visibile è troppo limitata per dedurne l’apparecchiatura. Malta a base di calce con letti di posa e giunti superiori ai 2 cm.

07 Conci di pietraforte, posati in corsi orizz. e paralleli (17, 24 cm); lavorazione superficiale: nastrino rettangolare a scalpello (15 mm), spianatura a picconcello e subbia; malta di calce, letti di posa 2 cm.

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Portale con piedritti in conci squadrati di pietraforte, alternati di testa e di fascia (h. 1319, 20-26, 27-30 cm) lavorazione superficiale: nastrino a scalpello su tre lati (20-25 mm), spianatura a subbia; letti di posa quasi a secco. Architrave su mensole in pietra serena, con le tre armi del Comune di Firenze: croce rossa, giglio ed aquila con drago.

Finestra ad arco a sesto leggermente ogivale in conci squadrati di pietraforte, posa alternata di testa e di fascia (h. 16-22, 30-35 cm), lavorazione superficiale: nastrino a scalpello su tre lati (15 mm) e spianatura a subbia. Letti di posa quasi a secco.

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Finestra ad arco a sesto ribassato in laterizio pieno ad una testa posato di fascia, con doppia ghiera intradossale posata di testa (6-7x13-14x28-29 cm). Malta a base di calce con letti di posa e giunti di circa 1 cm. Apertura strombata esternamente con infisso ligneo a pettorale fisso, quattro specchiature di cui una sola mobile.

Finestra rettangolare con mostra in intonaco; inferriata a maglia quadrata vincolata nei nodi. Apertura strombata internamente con infisso ligneo a doppio battente.

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Risarcitura di buche pontaie con: laterizio pieno in foglio ridimensionato (12-13x1516 cm) con elementi posati di testa su tre lati; 3 laterizi di fascia (4,5x28-29 cm); laterizio in foglio posato in orizzontale o verticale.

Finestra ad arco a sesto ribassato, con brise-soleil a telaio metallico e lamelle in vetro armato.

04 Cantonale in conci squadrati di pietraforte, posati alternati di testa e di fascia, ammorstati su muratura in ciottoli (13-18, 22-24, 30-35 cm); spianatura superficiale a subbia. Malta a base di calce, letti e giunti 1 cm.

Finestra quadrata con apertura strombata esternamente. Architrave in pietra serena e rinforzo estradossale ligneo. Attualmente priva di infisso.

08 Stemma in pietra serena raffigurante l’arme del fondatore, ser Niccolò di Manetto di Buonagiunta.

Finestra quadrata con apertura strombata esternamente, tamponata in laterizio pieno apparecchiato in foglio.

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Impalcato quota d’imposta +0,00m I solai contro terra di questi ambienti (fig. 31) non si configurano come solai rigidi; fanno eccezione solo le volte a crociera della cantina, in laterizio pieno (5x14x28 cm) apparecchiato a coltello secondo le generatrici e impostate su pilastro quadrangolare centrale (figg. 32-33). Il tipo di posa traspare dall’intonaco degradato mentre la dimensione dell’elemento resistente è stata rilevata in situ (figg. 34-35). La muratura d’ambito è in laterizio pieno (6/7x11/12x30/31 cm). L’attuale quota di calpestio del portico, poi, è il risultato dei lavori di primo intervento realizzati tra il 1987-1990 nella porzione dell’ex-monastero di Santa Verdiana assegnata all’Università degli Studi di Firenze. Il Primo Stralcio, redatto dal Servizio Manutenzione Straordinaria del Rettorato, ha riguardato principalmente gli spazi del braccio orientale, da adibire ad aule per lo svolgimento dell’attività didattica, ed il chiostro. Limitatamente a questo impalcato, è stato predisposto uno scannafosso perimetrale in muretti di conglomerato cementizio aderenti al sodo murario (sp. 15 cm), dedicato all’alloggiamento delle nuove condotte impiantistiche (fig. 36); parallelamente, sul pavimento originale del portico (in cotto 14x28 cm, posato a spina-pesce) ne è stato creato uno nuovo, sopraelevato mediante gattaiolato in tavelloni (40x80x5 cm) posati su muretti ad una testa, completato da soletta in cls armata con rete elettrosaldata6 (fig. 37). Impalcato quota d’imposta +4,00m La variabilità di tipologie delle murature d’ambito presente conferma quanto già delineato con l’analisi stratigrafica, sia per il nucleo centrale che per i corpi di fabbrica successivamente annessi (figg. 38-39). Gli ambienti principali sono coperti da volte a crociera, fatta eccezione per l’ex-parlatorio, che presenta una volta a padiglione lunettata, e per gli spazi di collegamento, voltati a botte ribassata in laterizio pieno apparecchiato a coltello con ricorsi paralleli all’asse (sp. 15 cm). Le volte a crociera del palazzetto ricalcano per dimensione ed apparecchiatura quelle dell’impalcato precedente, salvo essere impostate su pilastro centrale a sezione ottagonale; al contrario, le volte a crociera dell’ex-magazzino militare sono impostate su semipilastri aderenti la muratura d’ambito ed affiancate da una serie doppia di archi ribassati. Demolite nel 1930 ad opera del Genio Civile, le prime sei campate del portico sud vengono ricostruite nel 19367 su iniziativa della Regia Soprintendenza ai Monumenti, previo ricollocamento in sede dei pilastri in pietra serena a sezione ottagonale precedentemente smontati (fig. 43). Le volte a crociera, anch’esse in laterizio pieno apparecchiato a coltello secondo le generatrici (6.5x15x30 cm), sono affiancate da archi a sesto ribassato ad una testa non ammorsati all’intradosso delle volte, mentre il riempimento è contenuto da rinfianchi in muratura a due teste, dello spessore di 30 cm (figg. 41-42). L’incatenamento è solo trasversale. Il giornale dei lavori e la relativa documentazione fotografica sono conservati presso l’archivio degli uffici Amministrazione Area Edilizia dell’Università degli Studi di Firenze. 7 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, ex convento di Santa Verdiana. Preventivo di spesa pei lavori da eseguirsi al Chiostro di Santa Verdiana, datato 4 settembre 1936. 6


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Completata la ricostruzione del portico, vengono restaurati gli spazi ‘pregevoli’ del braccio meridionale in consegna alla Soprintendenza, da destinare principalmente a laboratori per le recluse. Il primo intervento è dell’agosto del 1939: viene sostituito l’impalcato ligneo pericolante che costituiva il solaio del coro basso, ora da adibire a refettorio delle carcerate, con uno Stimip A48 a nervature longitudinali8 (Solaio a Travi Incrociate Minimo Peso, in questo caso con nervature in una sola direzione, fig. 40). Brevettato e prodotto dalle fornaci RDB di Piacenza, è costituito da un complesso di laterizi opportunamente disposti a formare dei cassettonati a perdere fra i travetti in c. a. gettati in opera (figg. 44-45). Impalcato quota d’imposta +6,70m Individua le volte a padiglione lunettate del portico e del sotto-coro della chiesa (fig. 46). In laterizio pieno apparecchiato a coltello secondo le generatrici, le specchiature centrali hanno corsi perpendicolari all’asse delle lunette indentate. Le volte sono affiancate da archi ribassati della larghezza di tre teste, non ammorsati all’intradosso, e sono impostate su colonne tuscaniche in pietra serena (fig. 47). Il pavimento in mattonelle di graniglia, che definisce il piano di calpestio del coro alto, è stato posato in opera nel 1939 nell’ambito dei lavori di trasformazione appena menzionati. Impalcato quota d’imposta +10,00m Anche in questo caso la muratura d’ambito evidenzia le fasi evolutive del monastero: dalla muratura in ciottoli e laterizio pieno posato di testa del nucleo centrale, si passa a quella in pietrame sbozzato e zeppe in laterizio del coro basso e alla muratura in pillori della chiesa. L’impalcato è formato dai solai lignei cassettonati delle sale decorate del palazzetto, dalla copertura del coro basso, nonché dalla volta in falsa camera canna della chiesa (figg. 48-49). Le due sale al primo piano, in origine spazi occupati dall’abate di Vallombrosa e poi refettorio e antirefettorio delle inferme nel divenuto monastero, sono oggetto dello stesso progetto di restauro. In una nota del dicembre 1940, a firma di Piero Sanpaolesi, funzionario della Soprintendenza, si legge: In queste sale sono state fino a pochi anni addietro le famiglie delle guardie carcerarie e gravi sono i danni prodotti da questo adattamento. Tuttavia con un consolidamento del solaio sovrastante al soffitto in legno, consolidamento che in futuro permetterà di utilizzare anche lo stanzone del secondo piano, la riapertura di finestre e porte […] il salone può essere portato ad un perfetto stato9 [fig. 50].

Entrambi descialbati da Amedeo Benini nel 1941, i solai lignei vengono restaurati l’anno seguente: Da saggi fatti sotto i vari strati di calce che lo ricoprono esiste una finissima decorazione che può definirsi esemplare, perché dipinta tutta a mano sin sui travicelli, formelle, fregio e travi10 (fig. 51).

La differenza nella ricchezza del dettaglio tra i due palchi, asseconda l’ipotesi che individua nella saCarteggio, analisi di costo ed esploso armature in: Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana. 9 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana. 10 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana, Preventivo di A. Benini per il Palco nei locali del P. Piano — Reclusorio Femminile di S. Verdiana. 8

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SOLETTA ARMATA in CLS sp. 3 cm con rete elettrosaldata ø 6/30”

Fig. 31 Rilievo strutturale: primo impalcato, quota d’imposta +0,00m.

GATTAIOLATO tavelloni 40x80x5 cm su muretti ad una testa h. 5,5 cm

PAVIMENTO ORIGINALE cotto 14x28 cm posato a spina-pesce

PAVIMENTO in quadri di cotto formato 40x40 cm

SCANNAFOSSO muretti in conglomerato cementizio aderenti al sodo murario sp. 15 cm

PAVIMENTO in quadri di cotto formato 40x40 cm MASSETTO in malta di calce e sabbia grossa RIEMPIMENTO in calcinacci ben battuti VOLTE A CROCIERA in laterizio apparecchiato a coltello secondo le generatrici, sp. 15 cm impostata su pilastro quadrato centrale l. 150 cm

la del Crocifisso quella madornale: il “palco dal magnifico spontito architettonico”11 è un articolato solaio ligneo cassettonato a tripla bussola della prima metà del Trecento, riccamente dipinto con motivi floreali policromi e decorazioni geometriche; l’orditura primaria è costituita da travi incamiciate con fodere dalla finitura color legno (ocra rossa e ocra gialla), posate su mensole a voluta fogliata, con corpagina a fronte in alto Fig. 32 Imp+0,00 Volte a crociera, in evidenza l’apparecchiatura che traspare dall’intonaco degradato. Fig. 33 Imp+0,00 Volte a crociera, particolare del pilastro centrale d’imposta. a destra Figg. 34-35 Imp+0,00 Volte a crociera, elemento resistente. Fig. 36 Foto di cantiere (1990), realizzazione dello scannafosso impiantistico. Fig. 37 Foto di cantiere (1990), realizzazione del pavimento sopraelevato.

nici intagliate a dentelli e riquadrature dipinte. La stessa voluta fogliata, ma di dimensione ridotta, decora il doppio ordine di mensole a sbalzo che sostiene l’orditura secondaria, mentre il loro interasse è arricchito da controregoli intradossali al bastone che ricreano il motivo a cassettoni. Infine i travicelli sono sormontati da regoli portanti a sezione trapezoidale, controregoli coprifilo e dal tavolato a comporre la trama tipica di questo tipo di palco (figg. 52-54). Il solaio cassettonato della prima sala, invece, è ad una sola bussola inclinata, con travi a grossa squadratura prive di fodere e di decorazioni, posate su mensole a voluta fogliata ma ben più semplici delle precedenti (figg. 55-58). Come già indicato nell’excursus storico, nel 1930 l’ingegnere capo del Genio Civile, constatato il gran-

Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana, Preventivo di A. Benini per il Palco nei locali del P. Piano — Reclusorio Femminile di S. Verdiana.

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de deperimento degli ambienti al secondo piano del braccio sud, ritenne che l’unico provvedimento utile ad evitare il pericolo fosse la demolizione. Dalla sezione trasversale allegata alla perizia di somma urgenza redatta nel novembre dello stesso anno12 (fig. 61), risulta evidente come la grande sala del coro basso fosse coperta da un impalcato ligneo, la cui quota d’imposta è tuttora testimoniata dalle travi di bordo parzialmente inglobate nei setti murari di testa. Inoltre la configurazione dell’attuale copertura, a doppia orditura impostata su capriate lignee zoppe a spigolo vivo, pare ricalcare fedelmente quella ormai perduta del secondo piano, tanto da sembrare semplicemente traslata verso il basso (figg. 5960). Benché dal libretto delle misure relativo a questi interventi si evinca chiaramente che gran parte del materiale posto in opera sia nuovo, alcuni elementi sono stati salvati dalla demolizione, come ad esempio un consistente numero di travicelli (sez. 10x12 cm, a differenza dei più recenti di sez. 8x8 cm). Per quanto riguarda la chiesa, le foto di cantiere del 1997 relative al restauro di due porzioni di intonaco distaccate13 hanno permesso sia di ricostruire la gerarchia della falsa volta in camera canna che di appurare la geometria delle sovrastanti incavallature, attualmente inaccessibili, del tutto simili alle più antiche dell’attiguo coro alto benché zoppe (figg. 62-63). L’orditura principale è disposta nell’interasse tra le capriate lignee: le centine doppie, realizzate con tavole sagomate e accoppiate a giunti sfalsati, sorreggono correnti di sezione 5x5 cm e la stuoia in canne intrecciate a canestro. La volta è stata realizzata nel 1743, in occasione del restauro della copertura della chiesa, e successivamente dipinta dal quadraturista Francesco Melani e dal figurista Vincenzo Meucci.

ASFI, Fondo del Genio Civile di Firenze 1780-1982, parte prima 1780-1941, F. 332. Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, ex convento di Santa Verdiana, progetto n. 27/1/97: Lavori di restauro e consolidamento dell’affresco del soffitto della chiesa.

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RIEMPIMENTO in calcinacci ben PAVIMENTO STRATO DI battuti contenuti in piastrelle ALLETTAMENTO MASSETTO da rinfianchi in di graniglia, in conglomerato muratura di laterizio in malta di formato 20x20 cm cemento dello cementizio dello pieno a due teste sp. 3 cm spessore di 2 cm spessore di 4 cm sp. 30 cm

ARCHI RIBASSATI in laterizio ad una testa non ammorsati con l’intradosso delle volte sp. 30 cm

VOLTE A CROCIERA in laterizio apparecchiato a coltello secondo le generatrici sp. 15 cm. Prime 6 campate ricostruite nel 1936

PILASTRI in pietra serena smontati durante le demolizioni del 1931 e rimontati nel 1936. Sezione ottagonale L. 12 cm, L. 18 cm

Fig. 38 Rilievo strutturale: secondo impalcato, quota d’imposta +04,00m.

PAVIMENTO in piastrelle di graniglia formato 20x20 cm sp. 3 cm

STRATO DI ALLETTAMENTO in malta di cemento dello spessore di 2 cm

VOLTA A PADIGLIONE LUNETTATA in laterizio apparecchiato a coltello secondo le generatrici, parte centrale a corsi perpendicolari all’asse delle lunette indentate sp. 15 cm (con riempimento sp. 40 cm)

MASSETTO in conglomerato cementizio dello spessore di 6 cm

NERVATURE LONGITUDINALI in conglomerato cementizio gettato in opera (stimip a) h 47 cm armate con 2 ø18 staffe ø6/55”

CASSETTONATO h 41 cm, casseratura a perdere in laterizio composta da spondali ad L e tavelle di plafonatura conclusa da soletta di tavelloni 7x18x56 cm

VOLTE A CROCIERA in laterizio apparecchiato a coltello secondo le generatrici, sp. 15 cm. Impostata su pilastro centrale ottagono L. 28 cm


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Fig. 39 Secondo impalcato, sezione di riferimento. VOLTA A BOTTE in laterizio apparecchiato a coltello con corsi paralleli all’asse sp. 15 cm (con riempimento sp. 43 cm) PAVIMENTO in lastre di marmo formato 40x40 cm, sp. 3 cm VOLTA A BOTTE in laterizio apparecchiato a coltello con corsi paralleli all’asse, sp. 15 cm (con riempimento sp. 37 cm)

VOLTE A CROCIERA in laterizio apparecchiato a coltello secondo le generatrici, sp. 15 cm (con riempimento sp. 30 cm)

M01

MURATURA IN CIOTTOLI | pillori apparecchiati in corsi sub-orizzontali legati con malta a base di calce

M02

MURATURA IN PIETRAME | macigno sbozzato in filari sub-orizzontali della stessa altezza

M03

MURATURA MISTA IN CIOTTOLI E PIETRAME | bozze sdoppiate e pillori legati con malta di calce

M04

MURATURA A RICORSI | ciottoli fluviali alternati a laterizio pieno posato di testa

M05

MURATURA IN LATERIZIO | laterizio pieno apparecchiato di fascia legato con malta di calce

M06

MURATURA LISTATA | pietrame sbozzato regolarizzato da filari in laterizio pieno

M07

MURATURA MISTA IN CIOTTOLI E LATERIZIO | pillori e laterizio pieno posato di testa

M08

MURATURA MISTA IN PIETRAME E LATERIZIO | pietrame sbozzato e zeppe in laterizio

M09

MURATURA A FILARETTO | macigno sbozzati e conci di pietraforte

M10

DIVISORIO IN CARTONGESSO

P01

PIETRA SERENA | pilastri a sezione ottagonale e colonne a sezione circolare

P02

PIETRAFORTE | pilastro a sezione quadrata e piedritti non ammorsati alla muratura limitrofa

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Fig. 40 Dettaglio 1: solaio Stimip A48 a nervature longitudinali.

in basso Fig. 41 ASFI, Fondo del Genio Civile di Firenze 1780-1982, parte prima 1780-1941, 330. Fig. 42 Firenze, SABAP, Archivio fotografico, n. 4764.


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in alto Fig. 43 Portico sud, in primo piano le volte ricostruite. in basso Fig. 44 Solaio Stimip, schema prospettico (Santarella, 1932). Fig. 45 Solaio Stimip, Bollettino tecnico RDB (1951). pagine 138-139 Fig. 46 Portico della chiesa, volta a padiglione lunettata.

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VOLTA A PADIGLIONE LUNETTATA in laterizio apparecchiato a coltello secondo le generatrici, parte centrale a corsi perpendicolari all’asse delle lunette indentate, sp. 15 cm (con riempimento sp. 30 cm)

ARCHI RIBASSATI in laterizio spessore ad una testa larghezza a 3 teste non ammorsati con l’intradosso delle volte

COLONNE d’imposta della volta ordine tuscanico in pietra serena, d. 40 cm

Fig. 47 Rilievo strutturale: terzo impalcato, quota d’imposta +06,70m.

TRAVI DI BORDO prive di funzione statica, memoria del solaio ligneo del secondo piano demolito dal genio civile nel 1930

CAPRIATE classiche, in legno d’abete a spigolo vivo, sostituite nel 1930. Interasse 3.60 m

CENTINA DOPPIA orditura principale in tavole sagomate accoppiate a giunti sfalsati e chiodate CORRENTI orditura secondaria, interasse 20 cm sezione 5 x5 cm STUOIA canne spaccate ed intrecciate a canestro, fissate all’orditura secondaria ARRICCIO malta di calce e sabbia di fiume

pagina a fronte Fig. 48 Rilievo strutturale: quarto impalcato, quota d’imposta +10,00m.


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SOLETTA in conglomerato cementizio e rete da recinzione sp. 2 cm PANNELLI ISOLANTI materassini rigidi sp. 3 cm ARCARECCI in legno d’abete a spigolo vivo, sezione 14x18 cm. Sostituiti nel 1930

MANTO DI COPERTURA in coppi ed embrici di laterizio

MEMBRANA impermeabilizzante elastomerica PIANELLE in cotto 15x30x2.5 cm TRAVICELLI in abete sezione 8x8 cm (sostituiti) e 10x12 cm

Fig. 49 Quarto impalcato, sezione di riferimento.

MENSOLE a voluta fogliata con cornici di riquadratura

TRAVI (abete) a grossa squadratura interasse 260 cm, sezione 40x45 cm TAVOLATO tavole di abete, sp. 2 cm REGOLI portanti, a sezione trapezioidale, inchiodati sull’orditura secondaria CONTRO REGOLI coprifilo, a protezione dallo sfarinamento del massetto TRAVICELLI (abete) interasse 45 cm, sezione 8x14 cm finitura con vernice impregnante color legno ed olio cotto BUSSOLE tavole inclinate inserite in appositi incassi nei travicelli, in gran parte sostituite nell’intervento di restauro del 1940 TRAVICELLI (abete) interasse 45 cm, sezione 10x13 cm intradosso dipinto con motivo floreale nei colori rosso, bianco e blu

TAVOLATO tavole di abete sp. 2 cm

TRAVI INCAMICIATE (abete) interasse 290 cm, sezione 35x45 cm REGOLI portanti, a sezione trapezioidale, inchiodati sull’orditura secondaria CONTRO REGOLI coprifilo, a protezione dallo sfarinamento del massetto MENSOLE a voluta fogliata, con cornice intagliata a dentelli e cornice di riquadratura dipinta a motivi floreali policromi MENSOLE A SBALZO (abete) interasse 45 cm, sezione 7x10 cm a sostegno dell’orditura secondaria decorate con voluta fogliata BUSSOLE tavole inclinate o verticali inserite in appositi incassi nei travicelli

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in alto Fig. 50 Palazzetto, estradosso del solaio cassettonato della sala madornale. a destra Fig. 51 Palazzetto, solaio ligneo cassettonato a tripla bussola della sala madornale.

pagina a fronte Fig. 52 Palazzetto, particolare della decorazione pittorica del solaio ligneo della sala madornale.



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Fig. 53 Palazzetto, intradosso del solaio cassettonato della sala madornale (ricostruzione digitale). a destra Fig. 54 Dettaglio 3: solaio ligneo cassettonato a tripla bussola.

Fig. 55 Palazzetto, estradosso del solaio cassettonato della prima sala decorata (ricostruzione digitale). a destra Fig. 56 Dettaglio 2: solaio ligneo cassettonato semplice.

pagina a fronte Figg. 57-58 Palazzetto, solaio ligneo della prima sala decorata.



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Fig. 59 Copertura del coro basso, sullo sfondo le tracce del solaio ligneo preesistente. Fig. 60 Copertura del coro basso (UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia). a destra Fig. 61 ASFI, Fondo del Genio Civile di Firenze 1780-1982, parte prima 1780-1941, 332.

pagina a fronte in alto Figg. 62-63 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A187, ex convento di Santa Verdiana, progetto n. 27197. in basso Fig. 64 Firenze, SABAP, Archivio fotografico, Santa Verdiana, cortile (1921-22).


la lettura del testo architettonico: il monastero di santa verdiana • ornella mariano

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TRAVICELLI in abete sezione 8x8 cm più della metà sostituiti nel 1931

ARCARECCI in legno d’abete a spigolo vivo, sezione 18x20 cm. Sostituiti nel 1931

PANNELLI ISOLANTI materassini rigidi, sp. 3 cm MEMBRANA impermeabilizzante elastomerica MANTO DI COPERTURA in coppi ed embrici di laterizio

SOLETTA in conglomerato cementizio e rete da recinzione sp. 2 cm

PIANELLE in cotto, 15x30x2.5 cm

CAPRIATE classiche, in legno d’abete a spigolo vivo, due sostituite nel 1931 e due originali con decorazioni geometriche policrome. Interasse 3.10 m

PILASTRINI in pietra serena, smontati durante le demolizioni del 1931 e rimontati nel 1936. Sezione ottagonale L. 8cm

Fig. 65 Rilievo strutturale: impalcato di copertura del coro alto. Fig. 66 Rilievo strutturale: impalcato di copertura del verone.

TRAVE in legno d’abete a spigolo vivo, sezione 18x25 cm TRAVICELLI in abete, sezione 8x8 cm MEMBRANA impermeabilizzante elastomerica MANTO DI COPERTURA in coppi ed embrici di laterizio

PIANELLE in cotto, 15x30x2.5 cm PANNELLI ISOLANTI materassini rigidi sp. 3 cm pagina a fronte Fig. 67 ASFI, Fondo del Genio Civile di Firenze 1780-1982, parte prima 1780-1941, 332, perizia (1930). Fig. 68 Copertura verone, particolare dei pilastrini in pietra serena.

SOLETTA in conglomerato cementizio e rete da recinzione, sp. 2 cm


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TRAVE lignea superstite di un precedente impalcato intermedio sezione 28x42 cm

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Fig. 69 Copertura del coro alto, confronto incavallature.

Impalcato di copertura È composto da tre coperture distinte: quella del verone ad orditura semplice, realizzata contestualmente alla ricostruzione del portico nel 1936; la copertura del coro alto, a doppia orditura su incavallature lignee sostituita nel 1931, ed infine la copertura del doppio volume. I relativi manti di rivestimento sono stati sostituiti nel 1990, in occasione degli interventi operati dall’Ufficio Tecnico del Rettorato. La prima (fig. 66), realizzata cinque anni dopo la demolizione dell’originale, presenta attualmente una quota di gronda inferiore. L’ordine dei travicelli in abete è posato su travi di bordo a spigolo vivo, sorrette da mensole lignee a voluta fogliata, a loro volta sostenute dai pilastrini in pietra serena a sezione ottagonale precedentemente smontati (fig. 68). Durante le demolizioni al tetto della parte di fabbricato che prospetta il cortile, si è constatato che una parte del tetto che copre la ex chiesa di Santa Verdiana è in condizioni di avanzato deperimento, tanto che le armature risultano marcite e tarlate14.

Così l’Ingegnere Capo del Genio Civile introduceva la necessità di ricostruire la copertura del coro alto (fig. 65), sostituendone integralmente le armature. Tuttavia delle quattro capriate presenti, solo quelle centrali ricalcano la geometria dello schema riportato nella relativa perizia dei lavori (fig. 71), pagina a fronte Fig. 70 Doppio volume, particolare della muratura d’ambito.

14 ASFI, Fondo del Genio Civile di Firenze 1780-1982, parte prima 1780-1941, F. 332, relazione allegata alla perizia suppletiva del 27/02/1931.



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MANTO DI COPERTURA in coppi ed embrici di laterizio

MEMBRANA impermeabilizzante elastomerica

PANNELLI ISOLANTI materassini rigidi sp. 3 cm

SOLETTA in conglomerato cementizio e rete da recinzione sp. 2 cm

PIANELLE in cotto 15x30x2.5 cm ARCARECCI in legno d’abete a spigolo vivo sezione 18x20 cm TRAVICELLI in abete sezione 8x8 cm

Fig. 71 ASFI, Fondo del Genio Civile di Firenze 1780-1982, parte prima 1780-1941, F. 332, perizia suppletiva (1931). Fig. 72 Rilievo strutturale: impalcato di copertura del doppio volume.

come pure gli arcarecci della loro zona d’influenza. Le altre due incavallature, invece, presentano caratteristiche originali: nelle modanature delle mensole, sia della catena che dei contraffissi, nel rinforzo in mezzaria della corda e non ultima, nella decorazione geometrica policroma che arricchisce l’intradosso della catena della capriata di testa (fig. 69). Ulteriore conferma del reimpiego di materiale esistente è la variabilità delle sezioni degli arcarecci restanti, ovvero circa la metà. La copertura prosegue in corrispondenza della chiesa, ma a falda unica anziché doppia, assecondando le incavallature zoppe e attestandosi sulla porzione superstite del muro di spina del secondo piano. La copertura del doppio volume (fig. 72) è a doppia falda su arcarecci a sezione rettangolare, variabili nelle dimensioni da un elemento all’altro. La configurazione volumetrica di questo ambiente isolato, come anticipato, è il risultato dello smantellamento del secondo piano (fig. 67): dalla documentazione fotografica sono immediatamente riconoscibili i collegamenti tamponati con gli spazi ancora esistenti e non, in particolare con il corpo scala degli ex-appartamenti delle guardie carcerarie, che ha sostituito l’originale collegamento verticale monastico (fig. 70).


la lettura del testo architettonico: il monastero di santa verdiana • ornella mariano

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analisi sullo stato di conservazione dei materiali Monica Lusoli

Università degli Studi di Firenze

Le vicende storiche che hanno interessato il complesso di Santa Verdiana hanno portato alla formazione di un aggregato architettonico eterogeneo che ha mantenuto solo in parte caratteristiche di monumentalità. Gli edifici che formano il complesso architettonico risalgono ad epoche diverse, sono caratterizzati da tecniche costruttive proprie del periodo di realizzazione e impiegano materiali differenti. Il complesso di Santa Verdiana, ai sensi del Codice dei Beni Culturali, può essere definito ‘complesso monumentale’ ovvero costituisce un insieme formato da una pluralità di fabbricati edificati anche in epoche diverse, che con il tempo hanno acquisito, come insieme, una autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica (Codice dei Beni culturali, DLgs 42/2004, art. 101, c. 1f).

Questo insieme di architetture trova ulteriore specificazione nella definizione di “costruito storico” data da Riccardo Francovich e Giovanna Bianchi, come “risultato di un lungo processo di cambiamento, dalla costruzione alle successive fasi di trasformazione e di riuso” (2002, p. 101). Il complesso monumentale è quindi “il risultato di fattori culturali, storici ed individuali di una comunità” e non potrà essere compreso appieno se non si considera il contesto storico, geografico e sociale in cui è stato prodotto (Francovich & Bianchi, 2002, p. 103). L’analisi dello stato di conservazione dei materiali dell’edilizia storica deve considerare che il degrado è un fenomeno naturale che non può essere totalmente prevenuto, i cui effetti possono essere ridotti ed il processo in parte rallentato dalla conoscenza del comportamento dei materiali stessi. Il processo conoscitivo dello stato di conservazione e delle cause del degrado richiede il concorso di competenze diverse nelle discipline chimiche, mineralogiche, fisiche, ambientali e climatologiche, quindi l’analisi descrittiva rimane solo un primo livello della ricerca che dovrà essere seguita da indagini più approfondite con l’utilizzo di indagini diagnostiche non distruttive. In generale i beni culturali collocati in zone urbane risentono di un degrado accentuato, legato alle azioni sinergiche dei vari fattori di invecchiamento. L’ex “casa circondariale femminile di Santa Verdiana” risulta vincolata nel 1984 ai sensi della legge 1 giugno 1939 n. 1089, poiché “conserva numerosi e pregevoli elementi architettonici e decorativi originali” e considerato che l’immobile costituisce un’importante testimonianza delle costruzioni di carattere religioso di epoca rinascimentale e riveste quindi grande importanza per la storia dell’arte e della cultura in Firenze1. 1

Dichiarazione di interesse datata 13 luglio 1984 a firma del Sottosegretario Galasso.

pagina a fronte Veduta del lato settentrionale del complesso, da piazza Annigoni (LFA-DIDA).


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Fig. 1 Portale di accesso al piano interrato del palagio dell’abate. Particolare dell’architrave e dei conci con ugnatura. Fig. 2 Portale di accesso al piano interrato del palagio dell’abate. Particolare della porzione inferiore.

Il nucleo originario del complesso risale alla prima metà del Trecento ed è individuabile nel palagio dell’abate di Vallombrosa2 di cui rimane traccia nel corpo di fabbrica contiguo alla chiesa, tuttora caratterizzato da una distribuzione degli spazi interni, da un apparato costruttivo, strutturale e decorativo medievale. Confrontando quanto precisano Aurora Cagnana e Stefano Roascio studiando la tipologia del palatium abbatis, che, nel basso medioevo, riveste due funzioni, quella strettamente residenziale e quella pubblica per l’abate che esercita una sorta di potere giurisdizionale (2007), si trovano molte affinità con gli ambienti indicati. L’impianto era rettangolare e in alzato l’edificio presentava almeno due piani sovrapposti con diverse destinazioni d’uso; infatti, mentre al piano terreno erano collocati gli ambienti pubblici e di rappresentanza e talvolta anche un magazzino, al secondo piano trovava posto la camera, ovvero l’appartamento dell’abate che in genere conservava anche un ingresso indipendente da una scala esterna, posta in una corte privata. Il primo piano spesso si articolava in uno spazio residenziale privato e una grande sala di rappresentanza. Le analogie sia in pianta che in elevato sono stringenti anche considerando che secondo quanto affermano i due autori, il palatium quando apparteneva ad un complesso più articolato, come si può presupporre dai documenti per la residenza dell’abate vallombrosano3, non manca mai di una chiesa o di una cappella, interna o esterna, in cui si svolgono

pagina a fronte Fig. 3 Stipite in conci di pietraforte contiguo all’ex parlatorio delle monache. Fig. 4 Portale tamponato collocato all’intersezione tra il braccio orientale e quello meridionale del chiostro (foto LFA-DIDA).

funzioni religiose private o aperte al pubblico e di altri edifici per i ministeriales e i servitori. Con questa premessa possiamo analizzare alcuni degli elementi architettonici presenti in questa parte del com-

2 3

Cfr. contributo in questo volume di Fauzia Farneti. Cfr. contributo in questo volume di Fauzia Farneti.


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plesso come risalenti al medioevo e considerarne lo stato di conservazione a partire da questo periodo. In particolare l’accesso al piano interrato sottostante il palazzo abbaziale (figg. 1, 2) è caratterizzato da conci in pietra forte squadrati, sagomati a smorzare lo spigolo, con nastrino a scalpello e lavorazione superficiale a subbia o picconcello. La stessa finitura dei conci e simile apparecchiatura si riscontra in altri piedritti di aperture lungo i bracci del chiostro (figg. 3, 4); infatti già a partire dalla metà del Trecento era consueto l’impiego di pietra concia a rivestire le superfici circostanti le aperture e gli spigoli degli edifici (Frati, 2006). In questo caso i giunti in malta di calce sono sottili. L’architrave in pietra serena, su mensole di pietra bigia, termina con una cornice dentellata che richiama inglobandone uno, i peducci del chiostro inseriti nel braccio meridionale e in quello occidentale (fig. 5). Nel braccio orientale i peducci in pietra serena presentano una decorazione a foglie d’acqua riprendendo i pilastri ottagoni che fronteggiano. L’accostamento tra l’architrave, le mensole a sottosquadro con spigoli arrotondati e i conci di pietra forte, per le differenze nei materiali e nella lavorazione superficiale, è abbastanza insolito se

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in alto Fig. 5 Particolare di un peduccio con decorazione a dentelli.

lasciato a vista come accade in questo caso4. L’angolare è reso con una ugnatura che inizia nel concio della mensola e, smorzando lo spigolo esterno, termina nel concio più basso andando a sovrammetter-

Fig. 6 Particolare del capitello del pilastro nell’attuale sagrestia (foto LFA-DIDA).

si ad un echino rovescio che fa da plinto. L’echino presenta macchie dovute probabilmente all’azione

in basso Fig. 7 Peduccio nell’attuale sagrestia: si notano le tracce lasciate dallo scalpello piano utilizzato per la lavorazione superficiale delle facce (foto LFA-DIDA).

posizione defilata, sono in buono stato di conservazione.

Fig. 8 Peduccio nell’attuale sagrestia: le facce sono caratterizzate da nastrino perimetrale ben evidente nello spigolo in primo piano (foto LFA-DIDA).

dei detergenti utilizzati per pulire i pavimenti. Tutti i conci lapidei, essendo collocati all’interno e in La stessa ugnatura è presente nei capitelli dei pilastri ottagoni al piano terra dell’originario palagio abbaziale, attualmente nella sagrestia e nell’ambiente adiacente alla caffetteria5. In questo caso i conci del fusto sono intonacati quindi non è possibile identificarne la lavorazione superficiale impiegata né con certezza il litotipo utilizzato. Nonostante alcune mancanze e distacchi nell’intonaco mettano in evidenza il substrato murario, non si riconosce una omogeneità di aspetto petrografico tale da poter sciogliere il dubbio sull’impiego della pietra forte. Nel confronto con pilastri analoghi impiegati ad esempio nella coeva casa della compagnia di Santa Maria a Orsanmichele si apprende che i conci del fusto come i capitelli potevano essere spianati a martellina dentata fine o, in precedenza, ad ascettino,

pagina a fronte Fig. 9 Prima stanza del palagio dell’abate: si notano le chiusure dei varchi murari preesistenti e le discontinuità presenti per assenza di ammorsamento.

4 Non è sempre facile distinguere la pietra serena dalla bigia; quest’ultima ha grana più fine e color lionato sudicio; il degrado appare sotto forma di croste superficiali continue e parallele alle laminazioni originali che ricoprono strati di pietra già fortemente decoesi. L’acqua di imbibizione è responsabile della solubilizzazione della poca calcite presente facendola riprecipitare negli strati più superficiali e provocando discontinuità strutturali. 5 Attualmente lo spazio è destinato ad ambiente di servizio della caffetteria.


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avere letti di posa molto sottili, altezza tendenzialmente costante (Frati, 2006). Come indica Mario Frati, l’uso della martellina dentata è particolarmente efficace sui litotipi locali poiché essa viene impiegata con colpi frequenti ma leggeri ottenendo superfici ben spianate che resistono meglio all’azione degli agenti atmosferici esponendo solo lievi rugosità e non essendo percosse in profondità. Il capitello del pilastro della sagrestia ha nastrino perimetrale lavorato a scalpello piano, come probabilmente la restante parte della superficie; la stessa finitura presentano i peducci trapezoidali presenti nel medesimo ambiente (figg. 6, 7, 8). Al primo e al secondo piano di questa porzione di edificio, corrispondenti agli spazi di abitazione dell’abate, si collocano due stanze con decorazioni pittoriche parietali e soffitti cassettonati, e un unico ambiente in stato di semiabbandono che costituisce il sottotetto6. Per fare delle considerazioni sul loro stato di conservazione è necessario riconoscere che sono chiusi alla fruizione da tempo e presentano problematiche inerenti il sottoutilizzo e l’assenza di manutenzione continuativa. Per questi ambienti si deve parlare di tutela e di salvaguardia poiché il perdurare del pessimo stato di conservazione in cui si trovano metterebbe a rischio le decorazioni pittoriche, testimonianze importanti dell’arte medievale, ma anche le strutture. Date le condizioni termoigrometriche in cui si collocano, i cassettonati lignei 6

Gli ambienti sono ben analizzati nei contributi di Fauzia Farneti e di Ornella Mariano.

pagine 160-161 Fig. 10 Vista del chiostro con il pozzo centrale. Sul fondo il braccio occidentale (foto LFA-DIDA).

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patiscono per degrado abiotico e biotico7 e sono mancanti di alcune assi del tavolato. L’indagine visiva non fa rilevare la condizione delle travi di abete incamiciate, delle mensole e dei travicelli. Le pareti laterali sono interessate da soluzioni di continuità che si esplicitano in lesioni dell’apparato murario o in discontinuità legate alla mancanza degli ammorsamenti tra le murature originarie e le riprese che si sono succedute nel tempo per la chiusura di varchi preesistenti (fig. 9). Queste ultime sono spesso fiFig. 12 Veduta dal giardino del braccio occidentale del chiostro: si nota l’eterogeneità dei pilastri. Fig. 11 Vista del chiostro verso il braccio meridionale e quello occidentale.

nite a malta cementizia andando a costituire una ulteriore e specifica manifestazione di degrado antropico. Sulle pareti si notano inoltre fenomeni di alterazione cromatica del colore, di deposito superficiale di materiale estraneo, per lo più costituito da polveri e guano di piccione e di degrado antropico, soprattutto graffi, incisioni, scritte e abrasioni. L’apparato pittorico, abbastanza leggibile nella sua interezza, si presenta localmente lacunoso per cadute della pellicola pittorica o dello strato di intonaco superficiale. Soprattutto in prossimità del cassettonato si notano colature e macchie dovute ad infiltrazioni 7 Per analizzare lo stato di conservazione dei legni rif. UNI 11205: 2007 — Beni culturali — Legno di interesse archeologico ed archeobotanico — Linee guida per la caratterizzazione. La norma definisce i parametri chimici, fisici, biologici atti a valutare lo stato di conservazione del materiale.


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dalla copertura o a effetti di precedenti interventi sugli elementi lignei; residui di descialbo e di stratificate coloriture si possono leggere sulle pareti e sul cassettonato. Fra i primi ad interessarsi dello stato di conservazione di questi ambienti fu Piero Sanpaolesi che il 19 dicembre 1940 redige una relazione sull’ex monastero di Santa Verdiana in cui evidenzia “i danni prodotti” dall’uso di queste stanze fatto da parte delle famiglie delle guardie carcerarie che chiaramente, non riconoscendone il valore, non avevano prestato attenzione alla conservazione delle decorazioni pittoriche parietali presenti nel salone posto al primo piano e che lo stesso architetto giudicava “esempio raro” ormai di decorazione parietale affrescata a disegni geometrici8. Egli prevedeva una serie di interventi con il fine ultimo di riportare il salone ad “un perfetto stato di conservazione”, per poi essere adibito a laboratorio per le recluse. Alla relazione si unisce il preventivo di spesa in cui vengono dettagliati i lavori indicati dal Sanpaolesi e relativi al restauro dei soffitti cassettonati lignei, alla creazione con “rottura di muro” di un finestrone e di due porte, al rifacimento del pavimento e di una porzione di palco “con demolizione di quello pericolante”9. Sanpaolesi, che nel 1973 nel Discorso metodologico sul restauro propone come obiettivo la “conservazione della fisicità del monumento/documento” e ritiene che “il valore di un edificio, oltre all’aspetto formale, [sia dato] dal materiale originario” che lo compone (Dezzi Bardeschi, 2012, pp. 30, 31), in questo restauro palesa il suo metodo di intervento per la conservazione, rispettando l’opera d’arte e il suo valore documentario, mantenendo ove possibile, altrimenti ricostruendo con tecniche adeguate ancorché moderne. Chiamato insieme a Ugo Procacci a collaborare con il Soprintendente Giovanni Poggi si interessa ai primi esperimenti diretti alla conservazione delle opere d’arte mediante anche il trattamento dei materiali costituenti, studiando e testando il modo di consolidarli e proteggerli (Spinosa, 2011) 10. Dal 1938 al 1943 lavora nell’Ufficio Tecnico della Soprintendenza ai Monumenti, inizia ad occuparsi della conservazione dei manufatti in arenaria e sperimenta l’applicazione per imbibizione in profondità di liquidi consolidanti come i silicati e i fluosilicati: l’applicazione per imbibizione naturale o artificiale di un liquido induritore nella pietra originaria deteriorata avrebbe provocato una nuova diagenesi con aumento della consistenza e della compattezza. Nonostante questo suo interesse e probabilmente perché gli studi erano ancora all’inizio, sembra che negli interventi proposti nel complesso di San-

Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, 1, ex convento di Santa Verdiana dal 1891 al 1987, Relazione Soprintendenza. 9 Firenze, SABAP, Archivio corrente, Posizione A/187, 1, ex convento di Santa Verdiana, Preventivo di spesa per i lavori da eseguirsi in carcere di Santa Verdiana, restauro di una sala da adibirsi a laboratorio, 19 dicembre 1940. Sull’argomento cfr. contributo in questo volume di Ornella Mariano 10 Dal 1932 al 1938 Sanpaolesi è assunto nella Reale Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna di Firenze, sotto il Soprintendente Giovanni Poggi, come salariato temporaneo; si distingue anche per la sua capacità di “restauratore espertissimo” e profondo conoscitore delle tecniche e dei materiali, antichi e moderni. Nel 1936 si laurea in Architettura e viene assunto in seguito a concorso con la qualifica di Architetto Aggiunto dalla Soprintendenza. Nei progetti redige un’attenta relazione tecnica in cui traccia i principi teorici e metodologici dell’intervento di restauro partendo però da un’accurata indagine che ha il suo incipit nella ricognizione del manufatto attraverso una campagna fotografica per poi approfondirsi con ricerche storico-archivistiche e il rilievo delle tracce materiali anche ricorrendo a saggi. 8

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ta Verdiana non vengano utilizzati i fluosilicati di cui, attualmente, non si rileva traccia su nessun elemento lapideo. I trattamenti con fluosilicati si sono dimostrati, nel tempo, deleteri perché inducevano alterazione cromatica della superficie e formazione di croste molto coerenti che, sovrapposte al substrato, producevano fenomeni di rigonfiamento causati dalle tensioni interne. Questi prodotti, oltre a produrre acido fluoridrico che reagisce con la calcite formando fluorite, danno come risultato della loro decomposizione silice amorfa che in un primo momento si dimostra utile a ridurre la porosità della parte alterata ma, in effetti, è molto pericolosa perché a causa della sua igroscopicità favorisce la ritenzione dei fluidi acquosi aumentando il volume e generando tensioni nel materiale. Nell’insieme di queste architetture di Santa Verdiana, i litotipi impiegati sono quelli di origine locale: la pietra serena11, la pietraforte12 e la pietra bigia13. Quest’ultimo litotipo è stato studiato per primo da Targioni Tozzetti che afferma che se tutti gli architetti facessero savia e proporzionata scelta delle pietre per gli edifizi, secondo la qualità del luogo in cui devono impiegarsi, non si vedrebbero tuttogiorno sfarinarsi e cadere a pezzi i pietrami di edifizi bellissimi, si pubblici che privati (Targioni Tozzetti, 1768, v. 1, p. 10).

Agostino del Riccio a proposito della pietraforte ricorda che il suo colore è sereno che pende in nericcio, quando è stata assai tempo in opera, non teme l’acque né venti, ma sta sempre forte, però merita questo nome di pietra forte (Del Riccio, 1979, LXXXV, c. 32v).

Tutti i litotipi indicati sono presenti negli elementi architettonici del chiostro che, per quanto a prima vista sembri un’opera omogenea, mostra ad un’analisi poco più approfondita la sua eterogeneità dovuta alla realizzazione delle strutture che lo compongono non simultanea e al successivo adeguamento delle stesse a nuove esigenze d’uso e costruttive (figg. 10, 11).

Fig. 14 Particolare di uno dei quattro pilastri con capitello a foglie frappate (foto LFA-DIDA).

Le differenze che si evidenziano tra i pilastri ottagoni che caratterizzano i bracci del chiostro hanno giustificazione nelle modifiche che nel corso del tempo sono state apportate a questi spazi14. Nel braccio occidentale i pilastri si differenziano per dimensioni, per tipologia del capitello, per caratteristiche litologiche del materiale lapideo utilizzato, comunque un’arenaria a grana medio-fine (figg. 12, 13). Si distinguono capitelli a foglie d’acqua con contorno semplice e capitelli con foglie a frappatura natura11 La pietra serena o macigno, è una roccia sedimentaria torbiditica a matrice argillosa di colore azzurrognolo, ceruleo al taglio fresco e da grigio chiaro ad avana per alterazione; ha una bassa resistenza agli agenti atmosferici con degradazione sia per esfoliazione che per decoesione superficiale. Per ovviare ai problemi di decoesione e dissoluzione del legante, in passato si usava proteggere gli elementi lapidei con sostanze grasse, olii, cere che “impermeabilizzavano” la superficie. Era garantita la manutenzione con pulizie e trattamenti periodici. La pietra serena posta all’esterno veniva anche protetta con scialbi o intonachini. Negli edifici si procedeva a periodica sostituzione dei paramenti lapidei e delle decorazioni degradate: per la pietra serena secondo un ciclo medio di cinquant’anni data la sua facilità a degradarsi, mentre per la pietraforte si preferiva restaurarla e veniva sostituita solo occasionalmente. 12 La pietraforte è una roccia sedimentaria torbiditica; ha colore grigio azzurrognolo al taglio fresco, ocra (ferrigno) per alterazione. È un’arenaria litica a cemento carbonatico con grana fine; ha evidenti laminazioni convolute e frequenti vene di calcite. 13 A partire dalla seconda metà del Cinquecento viene impiegata anche la pietra bigia, una varietà dello stesso tipo litologico con colorazione bruno-chiara e una consistenza maggiore che la faceva preferire negli usi all’aperto. La maggiore resistenza alle alterazioni la si deve ad una seconda cementazione dovuta a percolazione di acque ricche di carbonato di calcio che impregnano la pietra. 14 Cfr. contributo in questo volume di Fauzia Farneti.

pagina a fronte Fig. 13 Veduta del braccio occidentale del chiostro da quello meridionale.

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in alto Fig. 16 Veduta della serie dei pilastri del braccio occidentale; al centro i due di dimensioni minori. Fig. 17 Particolare dei pilastri minori in buono stato di conservazione (foto LFA-DIDA).

a destra Fig. 15 Distribuzione dei diversi tipi di capitello lungo i bracci del chiostro: in giallo e rosso i pilastri di dimensioni minori, in verde e in verde chiaro quelli di dimensioni maggiori; in giallo i cinque pilastri probabilmente rimontati nel 1936; in verde chiaro i quattro pilastri con foglie dei capitelli a frappatura naturistica (rielaborazione dell’autore su rilievo del piano terra del complesso redatto da Ornella Mariano).


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listica; in particolare sono di questo tipo i capitelli di quattro pilastri ottagoni del braccio occidentale, realizzati in un’arenaria ocracea, ricca di ferro (fig. 14). L’arenaria, indipendentemente dal bacino di provenienza per interazione con l’ossigeno atmosferico e l’acqua, perde il colore grigio e assume una netta colorazione giallastra dovuta alla formazione di ossidi ed idrossidi di ferro. Il fenomeno è limitato alla superficie esterna e non può essere considerato una forma di degrado quanto una testimonianza dell’invecchiamento della pietra non incidendo sulle sue caratteristiche conservative. Questi pilastri nella loro interezza presentano un degrado differenziato in funzione dell’esposizione agli agenti atmosferici: nel capitello sia le prime che le seconde foglie esposte a est quindi esterne rispetto al porticato, hanno lingue particolarmente erose; ugualmente lo sono i sovrastanti cavetto, listello ed echino e l’astragalo. La parte inferiore del fusto e la base sono interessate da erosione, polverizzazione ed esfoliazione; specificamente risultano aver perso ogni leggibilità le modanature poste verso l’esterno del porticato. L’altro tipo di capitello si presenta in tre diversi pilastri posti nel braccio occidentale; due tipi hanno dimensioni ridotte tanto che le basi dei pilastri non impegnano interamente la larghezza della panchina sottostante, in pietra forte (figg. 15-17). Il terzo ha dimensioni rapportabili a

Fig. 18 Ultima campata del braccio occidentale: pilastro di dimensioni maggiori con capitello a foglie d’acqua semplici. Fig. 19 Prima campata del braccio occidentale: in angolo, pilastro di dimensioni maggiori con capitello a foglie d’acqua semplici eroso nella porzione basamentale. Fig. 20 Particolare della base con foglie angolari.

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quelle dei pilastri con capitelli frappati e trova applicazione nel pilastro d’angolo tra il braccio meridionale e quello occidentale e nell’ultima campata della serie di piedritti (figg. 18, 19). L’arenaria impiegata in queste tre tipologie ha grana fine ed è di colore ceruleo; probabilmente si tratta di pietra serena e la lavorazione superficiale delle facce del fusto è a scalpello con nastrino perimetrale. Le basi dei pilastri di dimensioni minori, in buono stato di conservazione, presentano foglie semplici che si appoggiano sul plinto andando a caratterizzarne gli angoli (fig. 20). Le due tipologie di capitelli di dimensioni minori si differenziano per proprietà litostratigrafiche e macroscopicamente per lo stato di conservazione; infatti uno dei due capitelli di uguali dimensioni ha le lingue delle seconde foglie e piccole porzioni del listello e della gola dritta mancanti; presenta inoltre tracce di lavorazione superficiale a scalpello e una fratturazione verticale che dal listello prosegue fino all’abaco interessando una delle prime foglie (fig. 21). A questo tipo corrispondono per dimensioni e stato di conservazione quattro pilastri del braccio meridionale che mostrano, però, una maggiore compromissione della parte inferiore del fusto e della base con esfoliazione ed erosione degli spigoli e delle modanature; la porzione dei pilastri verso il giardino, esposta a nord, mostra maggiormente i segni dell’azione degli agenti atmosferici che si è esplicata nella caduta degli strati superficiali per esfoliazione, nella degradazione differenziale della pietra che evidenzia così la stratificazione dei clasti, nell’erosione delle parti più aggettanti, le modanature toriformi di queste basi non canoniche e le decorazioni angolari con foglie (fig. 22). Uno di questi piedritti ha un’evidente integrazione nel fusto, caratterizzata da una discontinuità orizzontale che corrisponde all’inserimento di un rocco al di sotto del capitello; il concio ottagonale ha facce lavorate a scalpello con nastrino perimetrale e macchie che si sviluppano anche nella porzione di fusto sottostante (fig. 23). Il pilastro addossato alla muratura che chiude le tre arcate orientali del braccio posto a meridione presenta anche un sistema di fessurazioni del fusto caratterizzato anche da macchie e alterazione cromatica dovuta forse all’ossidazione localizzata dei minerali ferrosi componenti (fig. 24). Per effetto dell’azione degradativa nella maggior parte di questi piedritti si nota la maggiore resistenza della malta presente nel giunto tra fusto e base rispetto agli elementi lapidei (fig. 25). È a questo tipo che probabilmente corrispondono le “5 antiche colonne in pietra serena con relative basi e capitelli” rimontate, secondo un preventivo di lavori risalente al 193615, in occasione del rifacimento di questa porzione di porticato demolita sei anni prima. Nello stesso documento vengono previsti “restauri alle volte a crociera e alle colonne in pietra serena del portico e della loggia” del braccio occidentale, le cui “colonnette antiche [con il] parapetto della loggia del 1° piano” rimangono in situ nonostante sia prevista la riapertura delle arcate sottostanti; la testimonianza di questa permanenza è avvalorata da alcune immagini storiche conservate presso l’Archivio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Firenze. Nella stessa occasione viene anche sistemato lo stilobate in mu-

Firenze, SBAPSAE, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana. Preventivo di spesa pei lavori da eseguirsi al Chiostro di Santa Verdiana, datato 4 settembre 1936.

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Fig. 22 Erosione differenziata delle basi del braccio orientale: l’esposizione a nord favorisce il degrado. Fig. 23 Pilastro del braccio meridionale: il fusto presenta un rocco aggiunto in prossimità del capitello; macchie interessano le foglie e porzione del fusto. Fig. 24 Erosione ed esfoliazione del pilastro addossato alla muratura delle arcate del braccio meridionale. Fig. 25 Esfoliazione ed erosione della base e del fusto realizzati in litotipi diversi; la malta del giunto appare meno degradata degli elementi lapidei.

pagina a fronte Fig. 21 Pilastro di dimensioni minori con capitello degradato da erosione e fratturazione; nella pianta di fig. 15 l’unico giallo nel braccio occidentale.

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ratura e vengono apportati “i restauri necessari delle strutture e decorazioni dei pietrami, nonché l’applicazione dei perni di ancoraggio in ottone”16. Nella loggia meridionale si prevede di rimontare le sette “colonnette antiche […] compresi i restauri necessari” e la ricollocazione della cimasa in pietra serena con cornice sagomata di appoggio delle stesse. Da documenti coevi si evince che negli anni Trenta l’intonaco impiegato è confezionato con malta di calce e la coloritura da dare come finitura dei prospetti esterni è realizzata con latte di calce e colore. Il pilastro ottagono di dimensioni ridotte, con capitello a foglie d’acqua semplici collocato nella penultima campata del braccio occidentale non ha subito fenomeni degradativi e le superfici materiche che lo compongono sono in ottimo stato di conservazione; probabilmente questo piedritto è una sostituzione recente come lo sono il fusto e la base di quello limitrofo che godono della stessa situazione di mantenimento (fig. 17). La panchina dei due bracci, occidentale e meridionale, è in lastre di pietra forte murate con giunti medio-stretti a filo dell’alzato dei muretti che la sostengono, talvolta all’interno dello strato di intonaco degli stessi. Interessata dal degrado tipico di questa pietra, che si sfoglia secondo diaclasi anulari concentriche, in alcune porzioni appare tipicamente caratterizzata da degradazione differenziale e sensibilmente compromessa (figg. 26, 27). Alcune integrazioni incongrue in malta cementizia ne caratterizzano la parte posta in prossimità dell’attuale caffetteria, realizzata probabilmente in un secondo momento in lastre di minori dimensioni (fig. 24). La porzione montata in corrispondenza delle arcate chiuse del braccio meridionale è sensibilmente degradata, fratturata e lacunosa; in molte porzioni è infestata da vegetazione che si è radicata in corrispondenza delle zone mancanti, sul substrato murario, nei giunti tra le lastre, al piede della panchina. L’apparato radicale di questi vegetali agisce in due modi provocando la disgregazione dei leganti chimici inorganici delle malte e degli intonaci ad opera delle sostanze emesse e favorendo la decoesione e la caduta degli intonaci per effetto della spinta causata dalle radici che penetrano in profondità anche nelle fessure più sottili, facilitando poi la penetrazione dell’acqua e di altri inquinanti atmosferici (fig. 28). Fig. 26 Particolare della panchina in pietraforte: laminazioni convolute e fratturazioni in parte riprese con malta. Fig. 27 Particolare della panchina in pietraforte: esfoliazione e uso incongruo della malta cementizia nel giunto tra due lastre. Fig. 28 Particolare della panchina in pietraforte in corrispondenza delle arcate tamponate nel braccio meridionale. Mancanze dell’intonaco e della pietra con messa in evidenza del substrato murario interessato da presenza di vegetazione. La base del pilastro è fortemente erosa e presenta scagliatura.

La “provvista di copertura in pietra forte per la panchina del loggiato a terreno” risale al 1939 quando viene prevista anche la “fattura di nuovi capitelli e [la fornitura] di una nuova colonna esagona [con l’] esecuzione di varie tassellature ai capitelli basi e colonne”17: proseguono i lavori e probabilmente in sede di esecuzione vengono evidenziate delle problematiche che al momento del progetto non erano previste. I pilastri e gli altri elementi lapidei smontati negli anni Trenta erano ipoteticamente accantonati in qualche luogo del complesso in cui sono rimasti almeno sei anni quindi è probabile che al momento del rimontaggio siano stati in condizioni di conservazione non proprio ottimali. Le finiture prevedevano “lavori di decoratore: coloritura di tutte le pareti interne ed esterne a tempera e a bianco di Firenze, SBAPSAE, Archivio corrente, Posizione A/187, Ex convento di Santa Verdiana. Preventivo di spesa pei lavori da eseguirsi al Chiostro di Santa Verdiana, datato 4 settembre 1936. 17 ASFI, Ufficio del Genio Civile 1780-1982, parte prima 1780-1941, 330, preventivo di spesa per restauri all’ex convento di Santa Verdiana datato 16/12/1939 16


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calce, dei soffitti, volte, tanto del I° come del piano terreno” mentre in precedenza doveva essere stata eseguita la “ringranatura” di alcune lesioni esistenti “nelle volte di copertura del piano terreno e [in ] collegamento col muro tergale”. Tra il 1939 ed il 1988 sembra che il sistema di discontinuità sia stato risolto tant’è che nella ricognizione al complesso di Santa Verdiana, fatta in occasione dei lavori di adattamento a sede universitaria18 dal geometra Furio Innocenti il 4 giugno dello stesso anno, non vengono evidenziate lesioni anche se i vani al piano terreno sono in “scadenti condizioni di conservazione e manutenzione anche a seguito dell’umidità permanente” affiorante19. Si evince inoltre che le strutture murarie sono in pietra, di notevole spessore e hanno intonaci interni a calce deteriorati in più punti dalla presenza dell’umidità. Gli intonaci esterni sono in mediocre stato di conservazione e per quanto concerne quelli dei prospetti lungo strada e delle facciate dei cortili interni, in pessimo stato. In rapporto agli ambienti poste18 19

Per approfondimenti cfr. contributo di Francesco Pisani in questo volume. UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia

Fig. 29 Particolare della campata centrale del portico esterno alla chiesa: colonne, stipiti del portale e paraste erose nella porzione inferiore interessata anche da esfoliazione. Fig. 30 Portale dell’ex parlatorio delle monache: sia le mostre che il frontone mostrano segni del degrado da erosione. La struttura superiore costituisce punto privilegiato per il fenomeno di colonizzazione biologica.

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riori alla chiesa si dice che gli affreschi sono “deteriorati”; le cantine al piano terreno sono in condizioni mediocri mentre quella al piano seminterrato è “scadente”. Per ovviare ad alcune di queste criticità vengono previsti una serie di interventi che prevedono la tinteggiatura al quarzo plastico per esterni, la spazzolatura delle pareti e dei soffitti del chiostro, la stesura di una mano di fissativo a solvente sulle facciate esterne del chiostro, la pulitura “delle parti in pietra da eseguirsi su facciate o altre superfici compreso gli elementi architettonici modanati” e la rasatura della soffittatura a volte del loggiato con materiale acrilico20. Certo i materiali utilizzati non si confanno più ai valori del costruito storico con cui si confrontano e che è affetto delle stesse patologie già rilevate alla fine degli anni Ottanta fra cui l’umidità “permanente” di risalita è la principale costante. Nel complesso riveste particolare importanza l’edificio della chiesa che, posto a meridione, ha una facciata limitata da cantonali in conci di pietra forte posati alternati di testa e di fascia e un portale in arenaria tipo pietra serena con frontone mistilineo e timpano decorato (fig. 29). La parte inferiore dei piedritti della mostra è interessata da esfoliazione, erosione e deposito superficiale che corrispondono proprio al fronte di risalita individuato su questo prospetto e su quello contiguo. In quest’ultimo si apre il portale dell’ex parlatorio del monastero che ha mostre e timpano con lo stemma di Santa Verdiana in arenaria a grana fine tipo pietra bigia (fig. 30). Le modanature del frontone sono particolarmente erose ed esfoliate rispetto allo stemma e al sole a dodici raggi da cui è probabilmente scomparso il trigramma. Il timpano mostra lacerti di una delle due volute che completavano lateralmente lo stemma e che nel tempo hanno subito un forte processo di erosione. Anche le modanature laterali dei piedritti e dell’architrave risultano poco leggibili a causa degli stessi fenomeni degradativi. Le porzioni inferiori dei piedritti risultano fortemente danneggiate dall’umidità, di cui si nota il fronte di risalita, e interessate da fratturazione ed esfoliazione degli elementi lapidei. Al di sopra del portale una piccola tettoia, posta a protezione, costituisce un punto privilegiato di sviluppo di colonizzazione biologica a causa dell’umidità che permane nel muro. Una serie di fessurazioni dell’intonaco ne denunciano momenti di distacco e possibili criticità costruttive dovute anche ai cambiamenti subiti nel tempo da questa porzione di edificato. Le due finestre aperte su questo prospetto sono realizzate con litotipi diversi: quella situata a sinistra è in pietra bigia, presenta un listello perimetrale interno analogo a quello del portale e, tranne la mancanza di una foglia dello strato superficiale della pietra o alcune macchie dovute a lacerti dell’intonaco preesistente, si trova in buono stato di conservazione; l’altra posta in alto, in pietra serena, subisce maggiormente l’azione degli agenti atmosferici, soprattutto della pioggia battente e presenta stipiti e architrave molto compromessi da fenomeni di erosione, ed esfoliazione profonda. In quest’ultimo caso si nota anche una fratturazione dell’architrave lapidea causata dalla presenza dei fori in cui si inseriva 20

UNIFI, Archivio Uffici Amministrazione Area Edilizia, Libretto delle misure.

Fig. 32 Prospetto esterno dell’aula 1: le ultime due finestre sono caratterizzate da mostre in pietra serena, erose e esfoliate. Fig. 33 Interno dell’aula 1, ex refettorio, particolare della cornice lapidea dell’accesso al pulpito: la parte inferiore dei piedritti è interessata da erosione e esfoliazione. Fig. 34 Portico esterno alla chiesa, particolare con lo stilobate e la porzione inferiore del pilastro d’angolo e delle colonne. pagina a fronte Fig. 31 Particolare del prospetto dell’ex parlatorio con le due finestre interessate da degradi diversificati in funzione del litotipo e della collocazione.

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Fig. 35 Vedute del sottocoro e degli altari laterali: la porzione basamentale è interessata da esfoliazione, efflorescenze ed erosione.

la grata di chiusura del varco (fig. 31). L’intonaco del davanzale presenta fessurazioni, rigonfiamenti e

Fig. 36 Altare maggiore in marmi policromi: gradini e balaustri sono interessati da esfoliazione, efflorescenze ed erosione; le crustae marmoree presentano degradazione differenziale con dissolvimento dei leganti ed evidenziazione dei clasti.

camente è testimoniato in quest’ area21. A quest’ultima finestra si possono paragonare le due aperture

distacchi causati dall’inadeguato allontanamento dell’acqua piovana e dalla vicinanza della sottostante cornice lapidea inserita nella muratura, lacerto di quel piccolo loggiato con una colonna che storipresenti nell’ambiente che era il refettorio delle monache al piano terreno, ora aula 1; ugualmente i piedritti e l’architrave sono in pietra serena e presentano problemi di esfoliazione, con la perdita di strati anche di spessore importante; macchie ed erosione della parte inferiore dei piedritti completano le manifestazioni del degrado su questi elementi architettonici probabilmente coevi (fig. 32). All’interno di questo ambiente, ora aula 1, tra le due finestre ricordate, si nota un vano ricavato nello spessore del muro il cui accesso è costituito da una cornice in pietra serena che attualmente si presenta liscia, senza tracce di lavorazione superficiale se si eccettua la chiara e leggibile presenza di un nastrino a scalpello nel giro interno corrispondente alla battuta dell’infisso che probabilmente impediva l’ingresso al pulpito nei momenti non previsti dalla liturgia. I montanti sono interessati nella porzione inferiore da diaclasi di esfoliazione e, nella restante parte, da graffi. L’elemento che costituiva la soglia di accesso, abraso sulla faccia superiore, ha una lesione orizzontale che interessa parte dello spigolo. Alcune macchie completano la fenomenologia del degrado della cornice (fig. 33). Nel portico antistante la chiesa le tre colonne tuscaniche in pietra serena, cinquecentesche, presentano erosione delle modanature del capitello e della base; nel fusto si notano fenomeni di rigonfiamento e distacco degli strati superficiali della parte inferiore causati dagli agenti atmosferici (figg. 29, 34). La colonna, posta nel lato nord, è in peggiore stato di conservazione essendo anche interessata da mancanze localizzate; le porzioni posteriori del capitello e del fusto sono anche caratterizzate da macchie e croste superficiali (fig. 30). All’interno, le corrispondenti colonne poste a sorreggere il coro alto presentano un’alterazione croma21

Cfr. il contributo di Fauzia Farneti in questo volume.


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a sinistra Fig. 37 Lesioni nell’ultima campata del portico esterno, in corrispondenza del muro perimetrale interessato anche da fronte di risalita e presenza di efflorescenze. in alto Fig. 38 Particolare della soluzione di continuità che interessa l’unghia della volta del portico esterno.

tica nella parte inferiore e l’erosione dei plinti basamentali data dall’umidità di risalita dal suolo. Degli stessi problemi di esfoliazione ed erosione, presentando anche evidenti efflorescenze patiscono i seicenteschi altari laterali in cui gli spigoli e le modanature risultano talvolta mancanti (fig. 35). I gradini dell’altare maggiore e la porzione inferiore dei balaustri su cui poggia la mensa in arenaria tipo pietra serena hanno gli stessi problemi aggravati da integrazione incongrue di malte, stese per restituire omogeneità allo strato superficiale della pietra; questi stanno polverizzando distaccandosi in sfoglie a causa di subefflorescenze22. L’acqua di capillarità si mostra con diverse forme di degrado, macchie di umidità, distacco di intonaci, distruzione delle malte di connessione nei giunti, cristallizzazione dei sali, degrado di pietre e laterizi. Ai danni fisici provocati dall’acqua nei materiali, se ne aggiungono altri di natura chimica legati al suo potere solvente in quanto essa funge da veicolo per ogni sorta di materiale solubile: inquinanti atmosferici, sali contenuti nei terreni quali cloruri, solfati e nitrati. Le crustae di marmi policromi che compongono l’altare presentano degradazione differenziale dovuta alla parziale dissoluzione del legante e favorita dalla natura prevalentemente brecciata degli stessi. I clasti appaiono in rilievo rispetto alla superficie della matrice che si mostra fessurata in corrispondenza dei clasti di maggiori dimensioni (fig. 36). Nelle volte del portico esterno e del sottocoro, si notano lesioni, in prossimità del muro esterno, in corrispondenza della prima campata, che interessano anche la limitrofa parete interna del coro (figg. 37, 38). 22

Tutti i gradini sono affetti dalla stessa problematica.

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Il pilastro d’angolo del portico antistante l’ingresso della chiesa, in bozze lapidee squadrate, evidenzia esfoliazione e erosione dei conci realizzati in un’arenaria a grana fine che presenta varie tonalità di colorazione. I tre gradini su cui si imposta il portico sono erosi e caratterizzati da colonizzazione biologica e infestazione vegetativa (fig. 34). Anche le modanature del finestrone rettangolare del prospetto dell’edificio religioso sono esfoliate e interessate da licheni. Lo stemma in arenaria posto al di sopra ha perso ogni leggibilità; anche nelle foto storiche appare eroso ed esfoliato a causa della sua collocazione: in alto, senza alcuna protezione, è soggetto all’azione delle piogge battenti, del vento e dell’insolazione (fig. 39). Colonizzazione si ha anche sull’intonaco del campanile a vela che presenta fenomeni di distacco. Elemento di degrado introdotto dall’azione umana sono i dissuasori per volatili che alterano i profili degli elementi architettonici, costituiscono impedimento al corretto defluire dell’acqua piovana e con-


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tribuiscono al permanere e all’accumulo dei depositi superficiali di materiali estranei al substrato. Il portale esterno lungo via dell’Agnolo ha piedritti in conci squadrati di pietraforte, con nastrino a scalpello e spianati a subbia o a picconcello; l’architrave appoggia su mensole in pietra serena con stemmi del Comune di Firenze erosi e non più leggibili (fig. 40). Al pari degli stemmi le modanature superiori, di cui si intuisce la presenza nella fascia discontinua su cui si imposta l’arco a sesto acuto di scarico della muratura, sono completamente abrase. Gli stipiti del portale sono caratterizzati da croste di deposito superficiale che ha aderito alla substrato lapideo sfruttando anche l’irregolarità causata dalla finitura superficiale. Il chiostro è un altro elemento di monumentalità che ancora conserva il complesso. Nel braccio orientale, il quattrocentesco peduccio in pietra serena prossimo al portale di accesso alla stanza adiacente l’ex refettorio, caratterizzato da una decorazione a foglie d’acqua, appare particolarmente compromesso a causa di un esteso fenomeno di erosione che ne ha disgregato le articolazioni, asportando le lingue delle foglie, l’abaco con il cavetto, il listello e l’echino e parte dell’astragalo poligonale (fig. 41). La tipologia è dei primi anni del XV secolo come dimostra la similitudine con i peducci conservati presso il Museo di San Marco e risalenti ad Andrea di Onofrio o con quelli visibili in pa-

Fig. 41 Particolare del peduccio a foglie d’acqua contiguo al portale d’accesso alla sala adiacente all’ex refettorio: erosione e mancanze della pietra si evidenziano nelle foglie e nelle modanature. Fig. 42 Il portale lapideo rimontato con zanche metalliche per l’accesso alla sala adiacente all’ex refettorio; lateralmente la pietra appare parzialmente sbozzata e irregolare. pagina a fronte in alto Fig. 39 Prospetto lungo via dell’Agnolo con il portale d’accesso all’ex monastero e la porzione superiore della facciata della chiesa limitata da angolari in pietra forte. in basso Fig. 40 Particolare del portale di accesso all’ex monastero: stipiti in pietra forte con deposito superficiale, architrave con stemmi del Comune di Firenze interessati da erosione ed esfoliazione.

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lazzo da Uzzano in via de’ Bardi o in palazzo Busini-Bardi su via de’ Benci. Anche la parte terminale, una semi-piramide, è interessata da erosione che ne ha intaccato lo strato superficiale evidenziandone la granulometria e ha tolto ogni leggibilità alla conclusione, una goccia o un bocciolo. Il portale limitrofo, in pietra serena, è ancorato al substrato murario per mezzo di zanche metalliche, non mimetizzate nella muratura e giustificabili con una sua ricollocazione; il rimontaggio è testimoniato anche dalla rottura del cornicione per essere inserito in corrispondenza del peduccio e dalla collocazione a vista della sbozzatura laterale dei conci, normalmente allettata nella muratura (fig. 42). Cornicione ed echino dritto ad ovoli e frecce fasciato da una foglia risultano realizzati in un unico monolite di pietra serena distaccato dal sottostante portale; quest’ultimo evidenzia aree superficiali esfoliate ed, in particolare nella parte inferiore, erose (fig. 43). Lo stesso tipo di degrado mostrano gli altri portali con mostre lapiFig. 43 Porzione inferiore delle mostre lapidee del portale d’accesso all’aula di studio adiacente l’aula 1: esfoliazione ed erosione delle modanature. Fig. 45 Conci in pietra forte lavorati a subbia o picconcello degli stipiti della porta riaperta con il progetto di Roberto Maestro. Fig. 46 Particolare della lavorazione superficiale dei conci che si diversifica in funzione delle facce: un nastrino perimetrale a scalpello limita un’area a martellina dentata fine e a subbia o picconcello. Fig. 47 Particolare del concio in pietra forte: le rugosità presentano deposito superficiale e graffi. pagina a fronte Fig. 44 Aula di studio contigua all’aula 1: portale tamponato con erosione, esfoliazione e macchie localizzate nella porzione inferiore.

dee e modanature analoghe presenti nella parete corta meridionale dell’ex refettorio delle monache e quello tamponato della stanza adiacente; in entrambi i casi si tratta probabilmente di arenaria del tipo pietra serena (fig. 44). I conci di pietra forte lavorati con gli strumenti già menzionati, caratterizzano i piedritti delle aperture e alcune angolate; anche la porta dell’ex refettorio, riaperta con i lavori seguiti al progetto di Roberto Maestro23, ha la stessa caratterizzazione; in questo caso la lavorazione superficiale dei conci è compromessa dall’uso di uno strumento a punta, impiegato probabilmente per rimuovere l’intonaco soprastante tant’è che alcune tracce si sovrappongono al nastrino. Gli stipiti presentano tipologie di degrado dovuto alla fruizione continua quindi macchie e deposito superficiale (figg. 45, 46, 47). Anche i lacerti di apparecchiatura muraria in conci di pietra forte, collocati sul prospetto di via dell’Agnolo sono caratterizzati dallo stesso tipo di lavorazione superficiale, nastrino a scalpello e spianatura a subbia; i giunti sono sottili (figg. 48, 49). Nella porzione di più recente realizzazione lo stato di conservazione dei materiali è determinato da scelte progettuali ed esecutive non sempre adeguate e da assente o insufficiente manutenzione ordina23

Cfr. contributo in questo volume di Francesco Pisani.




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ria. Il cortile interno, corrispondente al preesistente spazio tra i due corpi di fabbrica del carcere femminile, è caratterizzato da un esteso fenomeno di colonizzazione e di patina biologica: questi problemi derivano essenzialmente dalla presenza di umidità nelle murature perimetrali, allontanata con metodologie non sempre adeguate e soddisfacenti (fig. 50). La stessa causa hanno le efflorescenze che si notano sulla scalinata davanti alla portineria di accesso al plesso universitario o i distacchi dell’intonaco localizzati lungo i parapetti dei percorsi di collegamento tra le varie aree didattiche (fig. 51). Cimase non sufficientemente sporgenti o senza gocciolatoio, canali di scarico con forma o dimensione non appropriata fanno dilavare l’acqua lungo le superfici verticali delle murature; l’igroscopicità dei materiali unita alle condizioni ambientali della localizzazione in cui si combina una scarsa ventilazione alla presenza di vegetazione erbacea, arbustiva ed arborea, costituiscono l’ambiente ideale per il proliferare dei micro e macro organismi che si insediano nel substrato murario e su cui poi possono aderire polve-

Fig. 48 Veduta del prospetto del palagio dell’abate vallombrosano: al piano terra lacerti di muratura in conci squadrati di pietraforte lasciati a vista.

pagina a fronte Fig. 49 Particolare dei conci lavorati a subbia o picconcello con deposito superficiale. pagine 182-183 Fig. 50 Cortile tra i due blocchi dell’ex carcere con vegetazione erbacea, arbustiva ed arborea: il parapetto e l’attacco a terra della rampa è interessato da colature e colonizzazione biologica.

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re, terriccio ecc. 24 (fig. 52). Le stesse cause sono motivo degli estesi distacchi che caratterizzano l’intonaco o la coloritura dei parapetti dei terrazzi e delle scale che fungono da collegamenti per questa porzione del plesso: la pioggia battente, non evitata da nessuna struttura di copertura, l’assenza di canali di scarico per l’acqua piovana che affluisce alle superfici di calpestio, della zoccolatura laterale, di una corretta acquatura dei gradini fa permanere l’umidità all’interno delle strutture, sviluppare subefflorescenze e provocare il rigonfiamento e poi il distacco degli strati superficiali di finitura (figg. 53, 54). Ciò è favorito anche dall’impiego della malta cementizia nella realizzazione degli intonaci. La parte espoFig. 52 Particolare del canale di scarico per le acque piovane del corpo scale: distacchi di intonaco, colonizzazione biologica. Fig. 51 Scalinata limitrofa alla portineria: le efflorescenze marcano la presenza di umidità permanente sulle strutture derivante da condizioni ambientali e da acqua di risalita dal substrato.

sta a sud, corrispondente al braccio settentrionale dell’ex carcere ha un alto basamento in conci lapidei che, mostrando variazioni della saturazione del colore, evidenzia il fronte di risalita dell’umidita ascendente dal terreno e manifesta il contenuto idrico che è trattenuto dal substrato. L’attacco a terra del paramento è caratterizzato dalla presenza di vegetazione che ha trovato nella soluzione di continuità del giunto esistente tra il piano in cotto della rampa e l’elevato del muro, un ambiente concavo idoneo alla radicazione anche grazie al materiale estraneo che vi si è depositato (fig. 55). I conci eterogenei in composizione petrografica, trattamento superficiale e dimensioni sono in buono stato di conservazione; apparecchiati in corsi orizzontali di altezza pressoché costante presentano giunti medi in cui talvolta la malta di allettamento è assente o arretrata (fig. 56). È di riferimento la norma Uni 11182, Materiali lapidei naturali ed artificiali. Descrizione della forma di alterazione: termini e definizioni, Milano, 2006.

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Nell’ordine superiore del prospetto i davanzali e le cornici in pietra serena, poste a protezione delle finestre dalla pioggia battente, sono interessati da fenomeni di erosione, mancanza e degradazione differenziale lungo gli strati di posa (fig. 57). Nelle superfici di contatto con i davanzali l’intonaco del prospetto inizia a distaccarsi a causa della differenza di coefficiente di dilatazione termica, di colore e di porosità dei materiali contigui. I fenomeni di dilatazione differenziale riguardano l’interfaccia di materiali assemblati in contiguità ma anche zone eterogenee dello stesso materiale e interessano, per effetto dell’inerzia termica, solo pochi centimetri del materiale stesso (Gasparoli, 2002, pp. 70, 170). Nell’edilizia storica l’impiego di malta di calce per la realizzazione degli intonaci e degli strati di allettamento, mitigava queste problematiche. L’altra facciata lunga di questo corpo dell’ex carcere è ugualmente conclusa da una fascia basamentale in conci lapidei eterogenei di altezza pressoché costante nei corsi; anche in questo caso le maggiori problematiche legate alla conservazione sono l’umidità di risalita, evidenziata dalla diversa tonalità di

Fig. 53 Particolare del parapetto del corpo scale: l’intonaco e la coloritura si distaccano dal substrato murario a causa di difetti di esecuzione di pendenze o impermeabilizzazioni. Fig. 54 Rampa delle scale esterne: colonizzazione biologica sullo zoccolino del parapetto e sulla cimasa.


colore dei conci in prossimità del terreno su cui si accumula anche un deposito estraneo, l’arretramento della malta di allettamento nei giunti, la presenza di vegetazione al piede della muratura, qui caratterizzato da un sottile cordonato lapideo eroso e mancante in alcune porzioni. Anche su questo prospetto i davanzali in pietra serena risultano erosi negli spigoli esterni e talvolta mancanti (figg. 58, 59). Le cornici dei davanzali presentano inoltre una colorazione differenziata dovuta al dilavamento disoFig. 55 Prospetto meridionale del secondo blocco dell’ex carcere femminile, particolare del basamento in conci di pietra locale di dimensioni variabili, apparecchiati in corsi orizzontali. Fig. 56 Particolare dell’apparecchiatura muraria: conci eterogenei, giunti con malta mancante o arretrata.

mogeneo della loro superficie e quindi ad una diversa ossidazione dei minerali componenti. Il prospetto orientale del chiostro in cui le arcate sono rimaste tamponate nonostante il progetto del 1936 ne prevedesse la riapertura, è qualificato da una condizione conservativa in cui al degrado degli strati superficiali degli intonaci si somma quello degli elementi lapidei presenti (figg. 60, 61). La cimasa del parapetto del primo piano, in arenaria tipo pietra serena, è mancante di estese porzioni della terminazione toriforme che ne costituiva il gocciolatoio e presenta soluzioni di continuità nella superfi-

pagina a fronte Fig. 57 Prospetto meridionale del secondo blocco dell’ex carcere femminile: mancanze ed erosione delle cornici lapidee e dei davanzali delle finestre (foto LFA-DIDA).

cie superiore permettendo all’acqua di dilavare sul prospetto e di infiltrarsi nella muratura sottostante.

Fig. 58 Prospetto settentrionale del secondo blocco: davanzali in pietra serena con spigoli erosi e degradazione differenziale e cornici superiori con mancanze ed esfoliazione.

luppata secondo l’andamento delle colature che interessano il prospetto. Questa situazione di umidi-

Fig. 59 Particolare di uno dei davanzali delle finestre del piano terreno del prospetto settentrionale del secondo blocco: degradazione differenziale che porta a diaclasi da esfoliazione.

né una giustificata fruizione quindi è omessa dalle normali operazioni manutentive (fig. 62). Nel tem-

Quest’ultima, a causa delle problematiche specificate e dell’esposizione, è coinvolta in un processo degradativo in cui si sommano gli effetti dei rigonfiamenti e dei distacchi di intonaco all’erosione e alla polverizzazione dei materiali lapidei, e agli effetti chimico-fisici della colonizzazione biologica svità permanente della muratura è aggravata e condizionata dallo stato in cui si trova la parte inferiore del prospetto che insiste su una porzione del corridoio perimetrale del chiostro in cui non si ha passaggio po, si è depositato uno strato di materiali eterogenei che ha costituito la base di un insediamento di muschi che direttamente non apportano danni al substrato, avendo radici poco sviluppate, ma che contribuisce al permanere dell’umidità al piede della muratura; questo tipo di degrado diventa inoltre forma


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di impoverimento dei valori dell’edificato, dell’architettura. Lo stesso risultato è legato alla presenza di distacchi e rigonfiamenti dell’ intonaco sulla maggior parte delle porzioni inferiori delle superfici murarie, di graffi, scritte e orme impresse sui muri o di materiali estranei attaccati alle pareti al di fuori delle zone destinate a questo scopo. Queste manifestazioni di degrado antropico sono conseguenze della destinazione d’uso del complesso ma non strettamente pertinenti ad essa quanto, piuttosto, ad un uso sconsiderato ed incauto dell’architettura monumentale. In seguito ad un attento esame delle problematiche inerenti la fruizione dei Beni Culturali è stato individuato nel rischio antropico uno dei parametri più determinanti ma meno studiati per una fruizione sostenibile. Le condizioni igrometriche della muratura nelle arcate, quelle ambientali e di impianto hanno incrementato il naturale processo di disgregazione per dissoluzione del legante dell’arenaria di cui sono realizzati i pilastri che ancora sono inglobati nei tamponamenti. Non visibili all’esterno, se non nel caso di alcune modanature dei capitelli, all’interno i pilastri ottagoni, probabilmente di tipologia analoga a quelli degli altri bracci, risultano molto erosi tanto da non essere più leggibili nella loro morfologia: ca-

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pitelli e basi sono diventati amorfi per effetto della dissoluzione del legante e della polverizzazione dei clasti; la parte inferiore del fusto è interessata da esfoliazione (figg. 63, 64). Anche la panchina in pietra serena su cui poggiano i piedritti, che è l’elemento che mette in comunicazione l’esterno con l’interno favorendo i ponti termici, è interessata dagli stessi effetti di degrado. All’interno la superficie del manufatto appare localmente interessata da rigonfiamenti degli strati componenti, da esfoliazione e da macchie derivanti da efflorescenze e da deposito superficiale mentre all’esterno è interessata da colonizzazione biologica, presenza di vegetazione, erosione e mancanze. Anche lo strato superficiale dell’intonaco interno si presenta rialzato e distaccato in molte porzioni, mettendo in evidenza un substrato talvolta disgregato. Lo stato di conservazione della parete esterna di questo braccio è tale da mettere a rischio la durabilità dei pilastri lapidei già molto compromessi. Fig. 61 Prospetto del braccio orientale del chiostro interessato da colature e colonizzazione biologica in prossimità della cimasa del parapetto della terrazza del primo piano.

Il prospetto limitrofo a questa porzione di edificato presenta un portale chiuso con mostre lapidee, una serie di finestre disassate e due lacerti di mensole in arenaria; contigua alla cappellina di Santa Verdiana di cui prosegue il prospetto, questa apparecchiatura muraria è caratterizzata da alcune lesioni che interessano le due aperture più basse e il portale, sviluppandosi in verticale in corrispondenza dei pie-

Fig. 60 Prospetto del braccio orientale del chiostro con arcate tamponate in cui è presente colonizzazione biologica, distacchi e deposito superficiale.

dritti (figg. 65, 66); probabilmente queste soluzioni di continuità della muratura sono causate dalle

Fig. 62 Corridoio perimetrale del chiostro contiguo al braccio orientale: panchina in pietra serena, strato di muschi sull’ammattonato e presenza di vegetazione.

alcuni elaborati grafici della fine dell’Ottocento in cui si nota l’accesso all’ambiente proprio da que-

rampe di scale presenti nell’ambiente attiguo alla cappellina e addossate al prospetto in un periodo storico successivo al 1933, quando, nel rilievo aggiornato dal Torrini, la porta è già chiusa a differenza di sto varco, mediante alcuni gradini25. Le mostre monolitiche in pietra serena sono interessate da erosio25

Cfr. contributo in questo volume di Fauzia Farneti.


ne ed esfoliazione della pellicola esterna tanto da non rendere più leggibile la lavorazione epidermica che ne caratterizzava gli elementi; sugli stipiti si notano tracce di pittura o di un precedente intonaco poi rimosso e, sulla cornice dell’architrave e sul fregio, manifestazioni di colature legate a deposito superficiale e colonizzazione biologica. Gli spigoli aggettanti dell’echino e del sottostante astragalo, tangenti alle lesioni risultano mancanti. L’intonaco in corrispondenza delle discontinuità strutturali e nelle aree adiacenti è rialzato e parzialmente distaccato. Anche in questo caso la porzione inferiore della muratura è significativamente compromessa dall’umidità di risalita dal terreno e dagli effetti della pioggia; riprese incongrue sono state effettuate sull’intonaco andando ad aggravare la situazione conservativa delle mostre lapidee già interessate da erosione. Il collegamento tra il prospetto originario del braccio occidentale e uno dei nuovi corpi di fabbrica costruiti a chiusura del lato nord del chiostro, nel secondo stralcio dei lavori eseguiti per la realizzazione del plesso didattico26, presenta una criticità non risolta, ben evidente nello stato di conservazione degli intonaci di quest’angolo: rigonfiamenti e distacchi interessano sia la coloritura che lo strato superficiale intonacato; colature, deposito superficiale e colonizzazione biologica denunciano il problema dell’intersezione delle coperture dei due diversi corpi di fabbrica come insoluto (figg. 67, 68). Anche il peduccio sottostante e la parete in cui termina la serie delle arcate risentono di questa criticità. L’elemento pensile, tipologicamente uguale a tutti quelli presenti in questo braccio e in quello meridionale, con echino a dentelli, lavorazione superficiale a scalpello, ha spigoli mancanti e la parte esposta ad occidente maggiormente erosa (fig. 69). 26

Cfr. contributo in questo volume di Francesco Pisani.

Fig. 63 Arcate tamponate del braccio orientale con pilastri inclusi nella muratura, erosi ed esfoliati. Nella panchina basamentale si nota il fronte di risalita soprattutto dalla diffusione di distacchi dell’intonaco ed efflorescenze. Fig. 64 Particolare dei pilastri di una campata del braccio orientale: l’erosione ha portato alla consunzione delle forme delle modanature dei piedritti che hanno perso leggibilità. Fig. 65 Lesioni sul prospetto del corpo settentrionale.


Fig. 67 Attacco tra il braccio occidentale e il corpo settentrionale di recente realizzazione.

Il fondale del porticato presenta uno dei lacerti di decorazioni pittoriche ancora presenti nel complesso monumentale; come le altre testimonianze è in pessimo stato di conservazione, lacunoso e interessato da lesioni del substrato murario che ne compromettono la durabilità. Il piede della muratura presenta efflorescenze, polverizzazione e scagliatura derivanti dall’umidità di risalita e di contatto dal terreno. Tra i prospetti del complesso quello che si sviluppa lungo via dell’Agnolo ha lo stato conservativo peggiore: l’intonaco mancante in più aree non fornisce più uno strato di finitura e di protezione del substrato murario che appare esposto all’azione dell’acqua piovana e degli altri agenti inquinanti (figg. 39, 70). La tessitura muraria irregolare e caratterizzata da una grossa presenza della malta, rappresenta un altro elemento di debolezza nei confronti dell’azione degli agenti atmosferici: vento e pioggia possono rappresentare elementi perturbatori importanti. La parte inferiore del prospetto è interessata da deposito superficiale e dall’azione dell’umidità di risalita che innesca e favorisce il fenomeno di erosione sul legante dell’intonaco. Gli elementi lapidei presenti, i conci in pietra forte dei piedritti del portale, le cornici delle finestre e i lacerti in pietra concia sono caratterizzati da deposito superficiale particolarmente tenace la cui aderenza al substrato è aumentata in quei casi in cui le facce sono lavorate a subbia e quindi aumentano la superficie di esposizione. La parte basamentale è anche quella più interessata da degrado antropico: eventi accidentali o voluti, segni, macchie e azioni vandaliche si collocano


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fino ad altezza uomo. Lo stesso sistema fessurativo dello strato superficiale dell’intonaco è rilevabile sul prospetto di piazza Lorenzo Ghiberti, con distacchi e mancanze ed in stato conservativo mediocre: le colature e le efflorescenze localizzate nella parte superiore della muratura, in prossimità della cimasa, denunciano l’uso di malta cementizia per la realizzazione dell’intonaco e l’inadeguatezza della cimasa stessa che appare erosa ed esfoliata in molti tratti superficiali (fig. 71). La stessa cimasa è interessata da colonizzazione biologica che si può notare anche sulle cornici lapidee delle finestre del prospetto, dove si evidenziano manifestazioni di degrado legate all’igroscopicità dei materiali, efflorescenze saline, colature e macchie unite a fenomeni di erosione superficiale. Il dilavamento della facciata, non impedito o contrastato da nessun elemento di copertura porta alla dissoluzione del legante dell’intonaco, all’abrasione dello strato di coloritura, alla formazione di colature nere dovute al deposito superficiale presente sulle aree dilavate e all’insediamento di colonie di microorganismi. Lo stesso problema mostra il prospetto orientale del complesso, con fenomeni analoghi di distacchi di intonaco, colonizzazione biologica e degrado antropico (fig. 72). La porzione basamentale, è ugualmente caratterizzata da fronte di risalita dovuto all’umidità migrante dal terreno, rigonfiamenti e distacchi di intonaco legati alla polverizzazione del legante e alle subefflorescenze, colonizzazione biologica soprattutto al piede della muratura e degrado antropico costituito essenzialmente da scritte. In prossimità della copertura, al di sotto della gronda, si notano alcune riprese dell’intonaco, non uniformate alla restante parte del prospetto con idonea coloritura, e tracce di colature e distacchi che scaturiscono da problematiche legate al posizionamento del canale di scolo della grondaia, in cui sembra non affluisca totalmente l’acqua piovana proveniente dal tetto. L’analisi del monumento/documento permette una conoscenza che non è necessariamente finalizzata allo studio propedeutico al restauro ma può portare ad una previsione delle possibili cause di rischio

Fig. 66 Portale lapideo tamponato sul prospetto del corpo settentrionale. Colature e colonizzazione biologica sull’architrave mancante degli spigoli. Fig. 68 Colature e distacchi di intonaco corrispondono a percolazioni di acqua dalla copertura.

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Fig. 69 Fondale del braccio occidentale: lacerto di decorazione pittorica interessato da riprese incongrue, mancanze, distacchi ed efflorescenze. Da notare il peduccio con decorazione a dentelli. pagina a fronte Fig. 70 Prospetto lungo via dell’Agnolo.

perdita. La conoscenza dei materiali, delle tecniche costruttive, delle apparecchiature murarie, degli elementi decorativi non può prescindere dalla considerazione della storia evolutiva dell’edificato e sociale del contesto. Come previsto dalla normativa vigente27, il percorso della conoscenza prevede l’identificazione dei materiali, del loro stato di degrado e delle loro proprietà meccaniche per arrivare ad una buona valutazione della qualità muraria.

Fig. 71 Prospetto su piazza Lorenzo Ghiberti con ingresso al plesso universitario.

pagine 194-195 Fig. 72 Prospetto orientale: distacchi e mancanze su un prospetto caratterizzato anche da integrazioni e macchie (foto LFA-DIDA).

Le “Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale — allineamento alle nuove Norme tecniche per le costruzioni”, recepiscono integralmente il documento approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nell’Assemblea Generale del 23 luglio 2010, prot. n. 92, contenente l’allineamento della Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri per la valutazione e riduzione de rischio sismico del patrimonio cultuale del 12 ottobre 2007 alle nuove Norme tecniche per le costruzioni 2008

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il recupero delle storie di santa verdiana nel complesso dell’antico monastero Anna Medori Restauratrice

Mariarosa Lanfranchi, Cecilia Frosinini Opificio delle Pietre Dure

Cristiano Riminesi

Restauratore

Premessa al cantiere La “riscoperta” delle pitture murali tardo quattrocentesche conservate nella parete di fondo della cappella dedicata a santa Verdiana all’interno nel complesso omonimo, situata sul lato orientale dell’antico complesso vallombrosano, ha avuto inizio nel 2009 nell’ambito di un lavoro di tesi presso la Scuola di Alta Formazione dell’Opificio delle Pietre Dure1 (Lanfranchi, Lanterna, Medori 2015, 26) e grazie al contributo del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze che dal 1986 ha la sede all’interno dell’ antico complesso religioso2. Il lavoro si è concluso nel 2013 dopo varie pause impiegate per il discernimento delle scelte d’intervento e della metodologia operativa più consone al caso. La cappella aveva suscitato il nostro interesse all’epoca della scelta dell’argomento di tesi a causa dei segni ancora presenti dell’ultima alluvione fiorentina (1966) e per l’aspetto confuso della parete di fondo dovuto a una serie di ridipinture mal conservate che in molte aree facevano intravedere una pittura sottostante eseguita in terra verde e pochi altri colori (fig. 1). L’intera superficie si presentava in generale offuscata dalla presenza di uno strato grigiastro, costituito prevalentemente dal fango portato dall’acqua dell’Arno, che rendeva difficile la lettura dei soggetti raffigurati nella parete di fondo. Le pitture in oggetto rappresentano un omaggio alla Santa titolare del cenobio: santa Verdiana venerata nel contado fiorentino perché vissuta e morta a Castefiorentino (FI). La scena principale raffigura la Santa monaca in trono tra le consorelle3 mentre ai lati sono narrati i fatti e i miracoli compiuti dalla Santa durante la vita terrena.

1 Cfr. A. Medori, Storie di santa Verdiana (sec. XV) nell’ex-convento di santa Verdiana a Firenze. Studio della tecnica artistica e dello stato di conservazione. Restauro della parete dell’altare. Elaborazione del progetto conservativo globale della cappella, tesi della Scuola di Alta Formazione OPD, a. a. 2009, relatori F. Farneti, C. Frosinini, C. G. Lalli, M. Lanfranchi, M. Sframeli. 2 Grazie in particolare all’interessamento della prof. Fauzia Farneti, docente di Storia dell’Arte della Facoltà di Architettura all’epoca della tesi, dell’arch. Margherita Martini, responsabile dell’Ufficio Pianificazioni e Fabbisogni dell’Area Servizi Tecnici e Patrimonio. La direzione dei lavori del cantiere di restauro è stata della dott. Cecilia Frosinini, responsabile del settore pitture Murali dell’Opificio delle Pietre Dure, con il contributo della dott. ssa Maria Cristina Improta; dopo il completamento del lavoro di tesi il cantiere è proseguito per alcuni anni sotto il tutorato metodologico dell’Opificio. Insieme all’Opificio era coinvolta la Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici delle province di Firenze, Pistoia e Prato: la Soprintendente dott. ssa Cristina Acidini e il funzionario di zona Brunella Teodori. 3 Erano infatti undici le monache che dovevano originariamente abitare il monastero secondo quanto aveva predisposto Ser Niccolò Manetto di Buonagiunta nel suo testamento, ricco notaio originario di Castelfiorentino che in assenza di eredi maschi, al sopraggiungere della sua morte, aveva lasciato i suoi beni per la realizzazione di un monastero dedicato alla sua Santa patrona. Cfr. G. Richa 1755, II, p. 221.

pagina a fronte Foto realizzata nella campagna in multispettrale, prima del restauro, da Ottaviano Caruso.


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Fig. 1 La parete di fondo con le Storie di santa Verdiana (XV sec.) prima dell’intervento conservativo.

La decorazione della parete termina in alto con la lunetta che si raccorda alla volta a botte dov’è raffigurata la Crocifissione con i dolenti e nell’angolo a sinistra si riconosce una figura orante esterna alla scena, di dimensioni più piccole rispetto alle altre e inginocchiata, nel modo in cui solitamente si presenta il committente e quindi probabilmente da identificarsi con l’Abate Generale di Vallombrosa4. Il complesso monastico di Santa Verdiana è oggi il frutto di una serie di fasi costruttive di epoche diverse; la nostra cappella in particolare è ricavata da un ambiente facente parte probabilmente del primo acquisto del fondatore e quindi appartiene al nucleo più antico5. Viene decorata nel secolo XV all’epoca perciò degli ultimi lavori di sistemazione realizzati in quel secolo, quando il monastero goIl personaggio nella lunetta, difficilmente identificabile poiché gravemente danneggiato dall’alluvione, è vestito da prelato, ciò ha permesso a priori di escludere una possibile identificazione con Giovanni de’ Medici che in quel periodo patrocinava il convento. Il fatto che non porti l’aureola esclude anche l’identificazione con san Bernardo degli Uberti, il monaco a cui apparteneva un tempo la cella, poiché canonizzato subito dopo la sua morte, nel 1139. Il piccolo affresco entro la nicchia nella chiesa situata nel complesso, raffigurante san Giovanni Gualberto, secondo il cartiglio trovato al suo interno quando venne riscoperto nel Settecento, rappresenta il Santo privo del nimbo e nello stesso atteggiamento della figura nella lunetta; inizialmente ciò aveva fatto pensare ad una possibile identificazione di quest’ultima col Santo titolare rappresentato quando ancora era un laico. Esistono infatti alcune incisioni anonime del 1490 dove il Santo è raffigurato senza aureola ma con vesti laiche mentre indica il Crocifisso al nemico perdonato che si trova inginocchiato con le mani giunte. Cfr. Savioli, Spotorno 1973, pp. 42-45, figg. 1, 2. 1, 3. 1. Secondo Don Pier Daminano di Spotorno, monaco vallombrosano conoscitore e studioso dell’iconografia di san Giovanni Gualberto, più probabilmente la figura inginocchiata è da identificarsi con l’Abate Generale che era in carica durante il periodo in cui furono realizzate le pitture. 5 Secondo la tradizione sarebbe stata la cella del beato Bernardo degli Uberti quando il complesso era di proprietà della comunità monastica maschile vallombrosana. Cfr. Sframeli 1993, nota 35, pp. 40-41. 4

pagina a fronte Fig. 2 Santa Verdiana come appariva prima dell’intervento di restauro, nella versione della ridipintura del 1799. Fig. 3 La luce ultravioletta evidenzia la mano benedicente della Santa secondo la versione tardo-settecentesca e i diversi interventi di ridipintura sul libro che appare invece spostato e di proporzioni diverse nella versione originale.


deva del patrocinio di Giovanni de’ Medici (1421-1463), figlio secondogenito di Cosimo il Vecchio6. Il resto della cappella presenta invece decorazioni evidentemente più tarde che ripartiscono architettonicamente l’aula, fatte eseguire nel 1799 dalle monache, come si legge su uno dei cartigli dipinti nelle pareti laterali. Fanno eccezione i due Santi raffigurati entro le nicchie, a destra dell’altare san Giovanni Gualberto, eponimo insieme alla Santa del cenobio, nonché fondatore dell’Ordine Vallombrosano e, a sinistra, san Benedetto, entrambe probabilmente eseguiti nel secolo XVII stando all’iconografia7 (Savioli, Spotorno 1973, pp. 83-109, fig. 39-74). Tuttora queste altre pareti e la volta si presentano in pessime condizioni ed è marcatamente visibile in alto il livello raggiunto dall’acqua nell’alluvione del 1966. Si attendono i fondi per completare il recupero e ridare visibilità alla cappella valorizzandone i contenuti con un’adeguata informazione diretta soprattutto agli studenti che frequentano l’Ateneo e che ignorano la ricchezza storica di questo spazio. 6 La scelta di santa Verdiana come ente beneficiario era dettata dai legami familiari che univano la famiglia Medici con Piera di Bivigliano, badessa del monastero dal 1451. Cfr. Sframeli 1993, p. 37. 7 L’iconografia di san Giovanni Gualberto nella nicchia daterebbe la sua esecuzione tra i primi anni e non oltre il settimo decennio del Seicento. Già da questo periodo e soprattutto nel Settecento l’iconografia del santo cambia radicalmente e nelle incisioni viene rappresentato a cavallo con la spada sguainata o in atteggiamenti di più intima religiosità.


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Le fasi decorative della cappella e alcune vicende conservative Dai documenti sopravvissuti alle sfortunate vicende conservative succedute nei vari secoli per il complesso8 riconosciamo alcune date significative che molto probabilmente giustificano gli interventi di ridipintura che si sono riconosciuti sull’opera. Tali interventi sono stati verosimilmente dettati dalla necessità di porre rimedio ai danni causati dalle ripetute inondazioni dell’Arno, data la vicinanza del monastero al fiume, unite all’intenzione di rivitalizzare la decorazione, in seguito a cambiamenti di gusto, aggiungendo nuove cromie al verde inizialmente utilizzato per l’esecuzione delle figure (fig. 2). Lo studio della complessa stratigrafia9 ha messo in evidenza tre principali interventi di ridipintura che celavano circa tre quarti della pittura originale talvolta cambiandone anche l’impostazione delle figure. Il primo intervento di ridipintura si può datare stilisticamente al secolo XVI10, quasi sicuramente eseguito dopo una delle tante inondazioni di quel periodo, per aggiornare lo sfondo ai lati del trono della Santa sostituendo il roseto con un paesaggio di fattura raffinata in cui comparivano due piccole abbazie ai due lati11. Il secondo e più consistente intervento di ridipintura venne invece realizzato nel secolo successivo a seguito dell’alluvione del 1589. Previde molto probabilmente il montaggio di un ponteggio per raggiungere tutta la superficie pittorica che venne sostanzialmente trasformata: da una pittura prevalentemente monocroma in una policroma. È in quest’occasione che probabilmente viene anche cambiata l’inclinazione del volto del san Giovanni, spostato il libro sostenuto dalla Santa nella scena principale in una posizione più centrale (fig. 3), vengono inserite delle scritte esplicative a corredare le scene laterali e viene sostituita la scritta “I. N. R. I.” sul cartiglio sopra la croce con lettere più ordinate e colorate in nero anziché in rosso. Si occultavano inoltre le ultime scene del registro inferiore con due ghirlande, forse perché rappresentavano storie legate alla tradizione popolare e non comprese nella biografia ufficiale della Santa o semplicemente perché gravemente danneggiate dal contatto prolungato con le acque alluvionali.

8 I documenti relativi al monastero di Santa Verdiana si trovano all’Archivio di Stato di Firenze, nel fondo Corporazioni Religiose Soppresse dal Governo Francese, 90, e altri presso il monastero di Vallombrosa. 9 Le ipotesi sulla successione dei diversi interventi sono state compiute sulla base di osservazioni eseguite direttamente sull’opera, ad occhio nudo, tramite l’ausilio di lenti d’ingrandimento e con l’apporto di apparecchi che hanno permesso di indagare la materia tramite ingrandimenti fino a 50x e quindi con l’utilizzo di radiazioni nell’ultravioletto. Sono state effettuate, inoltre, analisi stratigrafiche su campioni prelevati dall’opera. Le osservazioni riscontrate sono state confrontate con i risultati ottenuti dalle indagini scientifiche e con le informazioni storico-documentarie relative alla cappella. 10 Si tratta dell’unico intervento all’interno della cappella registrato dalle fonti archivistiche in un documento redatto da una monaca nel 1751. Secondo il Libro dei Ricordi, nel monastero vi erano due bellissime cappelle, quella dedicata a santa Verdiana “posta dall’altra parte del chiostro, nella di cui Tavola si vede dipinta a fresco la Santa egregiamente, e nelle parti laterali si osservano bellissime pitture opere del Frate, rappresentanti in Corno Evangelii il Monte Cassino, ed in Corno Epistolae la gran Valle d’Ombrosa”. L’identificazione di questo artista citato come “Frate” è impossibile allo stato attuale degli studi. Cfr. Libro di Ricordi e memorie del Monastero di S. Verdiana, p. 9r. 11 La visione più chiara di questi elementi, una chiesa con un campanile, un palazzo e altre casette isolate, si otteneva con la fluorescenza UV, essendo dipinti con dei materiali molto fluorescenti. Probabilmente erano rappresentate, a sinistra del trono, in corrispondenza del san Benedetto dipinto sulla parete laterale, l’Abbazia di Montecassino e, a destra, in riferimento al san Giovanni Gualberto, l’Abbazia da lui fondata a Vallombrosa.


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L’ultimo intervento, testimoniato dall’iscrizione del secondo cartiglio sulla parete di destra, si data al 1799 e completava l’aspetto della cappella; i documenti ci dicono che venne fatto eseguire grazie alle doti delle novizie, probabilmente in seguito all’elezione della nuova badessa avvenuta nell’anno precedente. Lo scopo era di risanare e aggiornare le pitture più antiche dedicate alla Santa e insieme conferire un aspetto omogeneo all’intera aula, legando in qualche modo le pitture della parete dell’altare alle nuove decorazioni. Per questo fu montato un ponteggio per arrivare sia a realizzare le decorazioni ex novo sulla volta che a rielaborare le parti alte del ciclo con ridipinture molto spesse e coprenti e inserendo anche altre varianti figurative: la posizione della mano destra della Santa, ad esempio, non più di sostegno al libro, bensì benedicente (vedi figg. 2-3); mentre una delle due serpi, collegate nell’iconografia di Santa Verdiana, le era stata spostata in grembo anziché in basso. A questo intervento risalgono anche le due insegne del monastero nel primo registro in basso, realizzate sopra le ghirlande della versione seicentesca12. La successione di questi interventi prova come la manutenzione delle pitture fosse stata una costante preoccupazione della comunità religiosa residente nel complesso che custodiva il decoro degli ambienti della vita claustrale. È invece con il cambio di destinazione che si apriva per la nostra cappella Alle monache del monastero viene concesso di poter abbinare le due serpi nella propria insegna, la gruccia vallombrosana, che così modificata si trova scolpita in varie parti del convento e della chiesa nonché dipinta entro uno scudo in ambo i lati del primo registro.

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Fig. 5 Particolare della scena con la Morte di santa Verdiana, prima delle operazioni di rimozione delle ridipinture. Le figure sono realizzate con la terra verde, mentre le altre parti della pittura sono eseguite con colori molto semplici. Fig. 4 La cappella come si presentava negli anni del carcere: utilizzata come deposito di pellami lavorati dalle detenute (Firenze, SABAP, Archivio Corrente, A/187).

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Fig. 6 Grafico delle giornate.

un lungo periodo di scarsa cura interrotto in concreto solo dal nostro intervento del 2009. La pacifica

Fig. 7 Immagine ottenuta dalla fusione del termogramma nell’infrarosso termico e dall’immagine nel visibile del dipinto murale.

storia del monastero fu infatti minacciata prima dalle riforme lorenesi, poi da quelle napoleoniche dove venne progettato di fare degli edifici del monastero un macello e della cappella una stalla. Per fortuna non andò mai in porto il progetto, ma con l’Unità d’Italia si arrivò alla definitiva soppressione del cenobio con l’apertura del carcere femminile all’interno delle antiche mura13 (fig. 4). Nel 1983, infine, con l’inaugurazione della nuova sede carceraria di Sollicciano alla periferia di Firenze, le detenute vennero spostate e solo tre anni più tardi il complesso di proprietà del Comune di Firenze, venne concesso in utilizzo ad uno dei poli didattici del Dipartimento di Architettura. La tecnica esecutiva della parete dell’altare Il ciclo dedicato a santa Verdiana è realizzato con una tipologia di tecnica pittorica molto diffusa negli ambienti religiosi fiorentini nella seconda metà del Quattrocento dove non è difficile trovare cicli pittorici in cui la terra verde è utilizzata per l’esecuzione degli elementi figurativi e altri pochi colori, generalmente terrosi, sono destinati a colorire le altre parti della pittura14 (fig. 5). La testimonianza in letteratura della diffusione di decorazioni eseguite “in verde” si trova nel Libro dell’Arte di Cennino CenDurante gli anni del carcere la cappella era adibita a deposito dei pellami che venivano lavorati dalle detenute. Riguardo ai cicli pittorici eseguiti con la terra verde in Toscana nel secolo XV cfr. Dittelbach 1993. Si veda ad esempio il contributo sulla decorazione pittorica del chiostro di San Miniato al Monte, Lanfranchi, Innocenti, Galliano Lalli, Lanterna 2015, pp. 336-51.

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nini (Colle di Val d’Elsa, 1370 - Firenze, 1427), scritto a cavallo tra il XIV ed il XV secolo; all’interno del capitolo CLXXVII Del lavorare camere o logge a verdeterra in secco (Cennini 2005, pp. 201-202). Un richiamo al significato dei colori tra cui il verde, si ritrova qualche decennio dopo anche nel trattato di Leon Battista Alberti, Della pittura e della statua. Qui l’Alberti scrive dell’esistenza di quattro generi di colori da lui considerati “puri” poiché riscontrabili in natura. Questi colori sono il rosso del fuoco, l’azzurro dell’aria, il verde dell’acqua ed il cerognolo della terra. Tutti gli altri colori sono generati dalla mescolanza di queste quattro tinte con il bianco e il nero (Alberti 1804, pp. 16-17). I consigli cenniniani per i procedimenti tecnici e albertiani per l’utilizzo dei colori puri sono effettivamente seguiti dal maestro delle Storie di santa Verdiana che per le figure utilizza una base verde di fondo sulla quale, una volta impostato il disegno in punta di pennello con l’ocra gialla, il rosso e talvolta il nero, ottiene i volumi sovrapponendo e sfumando il bianco e il nero. Le parti architettoniche della composizione, gli sfondi, i dettagli e gli elementi decorativi sono infine completati con colori semplici, o puri come li definisce l’Alberti, come il nero, il rosso e l’ocra gialla, mescolati al bianco e al nero. La pittura, così come sembrerebbero confermare alcune analisi di laboratorio15 è essenzialmente eseguita in affresco. Il supporto murario è costituito da pietrame misto su cui è stato steso un arriccio abbastanza grasso nello stesso rapporto inerte/legante dello strato d’intonaco successivo, ma con aggregati a granulometria più grossa. La presenza di giornate piuttosto estese (fig. 6), nonostante la velocità di realizzazione di questa tecnica e l’inserimento di fibre vegetali tra i componenti della malta dell’intonaco per aumentare i tempi di lavorazione, potrebbe aver portato il pittore a proseguire la sua opera sull’intonaco ormai “stanco” e questo spiegherebbe in parte la debolezza meccanica delle stesure pittoriche. L’applicazione delle porzioni d’intonaco, come di consuetudine, parte dall’alto: per prima perciò è stata eseguita la lunetta sulla quale si giustappone la cornice orizzontale che, a sua volta, è sormontata dalla scena principale con la Santa in trono tra le consorelle e dalle cornici laterali con le finte colonne terminate da capitelli corinzi; le scene della vita della Santa sono state realizzate per ultime e su un’unica porzione d’intonaco. Il disegno sull’intonaco steso in parete è composto tramite incisioni dirette per il trono e per le architetture delle scene, mentre con le battiture di corda vengono tracciati gli spessori delle diverse cornici, a mano libera si realizzano invece le figure. Il disegno degli elementi figurativi, visibile in alcuni punti dove il colore è abraso o caduto, è tracciato innanzitutto sull’intonaco pittorico, quindi prima della stesura verde uniforme di fondo16; il segno è eseguito in punta di pennello con l’ocra gialla e talvolta ripreso e rinforzato con terra rossa o nero.

Inizialmente la debolezza del colore ci aveva fatto ipotizzare l’esecuzione a secco di alcune parti della pittura. Per escludere tale ipotesi è stato analizzato, dalla Dott. ssa A. Andreotti, un campione di terra verde, privo di ridipinture, sul quale non sono state trovate tracce di un legante di natura organica. 16 Pur non avendo rintracciato alcuna prova dell’esistenza della sinopia, si può ipotizzare che, secondo le tecniche tradizionali di lavoro, che ne sia una al di sotto dell’arriccio. 15

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Stato di conservazione Le cause di degrado riscontrate sulle pitture si devono principalmente all’azione delle acque alluvionali che hanno portato varie sostanze nocive sulla superficie e insieme hanno asportato materiale originario dilavandolo, unite all’incuria occorsa dopo il trasferimento delle monache dal complesso; e alla presenza di fenomeni di umidità di risalita come evidenziato dai rilievi termografici nell’infrarosso termico (vedi termogramma di fig. 7). La risalita capillare è evidente fino alla quota dell’altare (circa 1, 0-1, 2 m dal pavimento), con una tendenza a crescere da destra verso sinistra. Sempre dal rilevo termografico è stato rilevato che il fenomeno dell’umidità di risalita capillare è maggiormente presente sulla parete di sinistra che in parte confina con il cortile interno e presenta il piano del pavimento ad un livello più alto rispetto a quello della cappella. Sulla parete di destra invece non si hanno evidenze di fenomeni di umidità di risalita capillare; l’ambiente confinante con questa parete è un aula nella quale durante il periodo dei corsi sono tenute normalmente le lezioni. I risultati ottenuti mediante i rilievi termografici sono stati confermati dalle rilevazioni con lo strumento dielettrommetrico denominato SUSI (Sensore di Umidità e Salinità Integrato) 17, capace di rilevare, fino ad una profondità di 2 cm nel supporto, il contenuto di umidità e la presenza di sali. Le analisi scientifiche18 hanno rilevato la presenza di una patina grigiastra costituita prevalentemente da fango e sali inquinanti19, questi ultimi, veicolati per risalita capillare dall’acqua all’interno della porosità dell’intonaco, erano concentrati soprattutto nella parte bassa, causa principale della perdita della pellicola pittorica di tutta la zona che va da terra fino all’altezza dell’altare. Erano inoltre presenti diffusamente dei residui di piombo, rilevati tramite la spettrofotometria di fluorescenza ai raggi X (XRF), provenienti dalla benzina delle automobili e portati in soluzione dall’acqua dell’ultima alluvione20.

Le misure sono state effettuate grazie all’intervento dell’IFAC-CNR di Firenze, nelle persone di R. Olmi e C. Riminesi. I risultati delle campagne di misure saranno oggetto di una successiva pubblicazione. 18 Le analisi necessarie al caso studio sono state condotte principalmente dal Laboratorio Scientifico della Fortezza da Basso, in particolare da Giancarlo Lanterna e Carlo Lalli, insieme a Federica Innocenti e Maria Rizzi; Natalia Cavalca per le indagini in XRF; Roberto Boddi del settore Climatologia dell’OPD per i rilievi microclimatici, proseguiti da Fabio Sciurpi per la Facoltà di Architettura. Nell’ambito del cantiere di tesi sono stati coinvolti vari esperti scientifici per consulenze, sperimentazioni e analisi: test di pulitura eseguiti con gel, soluzioni micellari e microemulsioni nell’ambito della tesi di laurea di C. Ehlers (Università di Colonia) svolta presso la Facoltà di Chimica dell’Università di Firenze (Luigi Dei; Emiliano Carretti e Irene Natali); Mara Camaiti e Fabio Fratini del CNR-ICVBC di Firenze per lo studio delle malte e la consulenza sull’applicazione e il funzionamento del Silicato di Etile; Maria Perla Colombini e Alessia Andreotti dell’Università di Pisa per le analisi GC-MS delle componenti organiche; Nicole Seris per le misure in situ di colorimetria e micro-foto (Soprintendenza della Valle d’Aosta; dott. Lorenzo Appolonia); Roberto Olmi e Cristiano Riminesi dell’IFAC-CNR per le misure di salinità degli intonaci. 19 Secondo la lettura del prelievo tramite FTIR la patina grigiastra era caratterizzata da carbonato di calcio, nitrati, gesso, materiale di natura silicatica e minori quantità di ossalati; cfr. c. 10, scheda S. 1681, Archivio Lab. Scientifico, analisti C. Lalli, F. Innocenti. 20 L’indagine XRF, eseguita da Natalia Cavalca e Federica Innocenti, collaboratrici del Laboratorio Scientifico dell’Opificio delle Pietre Dure, rileva la presenza di piombo in tutti i punti di misura e potrebbe quindi derivare dal materiale di deposizione superficiale contenente questo metallo pesante (per esempio piombo tetraetile), mentre nei punti con elevati conteggi si suppongono stesure pittoriche di ridipintura eseguite a secco con biacca. Tale ipotesi è stata confermata in seguito tramite le analisi stratigrafiche. 17


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Costatavamo inoltre una forte decoesione del film pittorico (originale e di ridipintura) e dell’intonachino dovuto alla perdita di legante a seguito del contatto prolungato e ripetuto delle acqua fluviali . 21

Allo stesso modo si erano prodotti numerosi distacchi e cadute dell’intonaco, concentrati in due fasce, una a circa un metro da terra e l’altra alla base della lunetta, dove probabilmente l’acqua aveva avuto modo di ristagnare per diverso tempo prima del deflusso. Un po’ ovunque erano ben visibili delle piccole lacune prodotte dal rigonfiamento delle miche22 contenute nella sabbia dell’intonaco. Segnaliamo infine la presenza di guasti alla pittura dovuti ad interventi antropici, come graffi, abrasioni e fori di chiodi, realizzati soprattutto negli anni in cui il complesso era stato adibito a sede carceraria e la cappella a magazzino.

Per lo strato cromatico originale dobbiamo supporre che la debolezza meccanica del colore sia dovuta anche alle caratteristiche intrinseche dei pigmenti di natura argillosa, come la terra verde e le altre terre presenti. Si tratta infatti di pigmenti grassi e a granulometria non troppo fine; ciò impedisce, al momento della loro lavorazione ad affresco, che la calce trasmigri in superficie nella giusta quantità necessaria a fissare tali pigmenti nel tessuto cristallino che si forma durante il processo di carbonatazione. Questo è il motivo principale per cui nel tempo questa tipologia di decorazioni, soprattutto quelle più esposte agli agenti atmosferici e all’umidità, tendono a degradarsi. 22 Le miche sono un tipo di fillosilicati capaci di rigonfiarsi e quindi sfaldarsi secondo piani paralleli quando assorbono l’acqua. 21

Fig. 8 Particolare durante la rimozione delle ridipinture sulla veste monocroma della Santa. Fig. 9 Il volto di santa Verdiana durante l’intervento di rimozione delle ridipinture.

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Fig. 10 Particolare del volto della Maddalena prima dell’intervento di restauro.

L’intervento conservativo L’obiettivo iniziale all’epoca del lavoro di tesi era quello di rimuovere lo strato di deposito costituito essenzialmente da fango e depositi vari (piombo presente un tempo nella benzina, idrocarburi, polvere, ragnatele, ecc.) rispettando le ridipinture che al tempo volevamo ancora mantenere. Per ottenere tale scopo sono stati eseguiti diversi test di pulitura sperimentando tensioattivi, solventi e chelanti, nonché la combinazione con supportanti e addensanti diversi. La scelta finale è ricaduta sul Tri-ammonio-citrato distribuito attraverso la giapponese e quindi con tamponi di cotone abbiamo rimosso il primo strato di sporco grigiastro, ad eccezione di alcune zone dove era molto difficile la separazione degli strati sovrapposti per la fragilità della pellicola pittorica sottostante. Tale operazione è stata eseguita solo dopo aver messo in sicurezza le zone distaccate dal supporto23, successivamente consolidate in profondità24 e dopo un blando preconsolidamento della pellicola pittorica eseguito con casei-

La messa in sicurezza è stata effettuata facendo aderire sulla superficie della garza di protezione applicata con Ciclododecano al 60% in Cicloesano, seguito da Paraloid B72® al 10%, per evitare la sublimazione veloce del primo adesivo, prima del consolidamento definitivo, e infine per poter rimuovere più facilmente la resina acrilica al momento dell’asportazione delle garze. 24 Il consolidamento dei distacchi d’intonaco è avvenuto tramite iniezioni di una malta idraulica premiscelata (Ledan SM02®) previa rimozione dei molti residui di materiale presenti all’interno. Tale operazione è stata preceduta, con un congruo tempo di anticipo, da un consolidamento delle pareti dell’intonaco gravemente decoeso mediante iniezioni di silicato di etile in alcol etilico, per implementare la coesione degli intonaci e permettere l’adesione alle pareti della malta stessa. 23


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nato d’ammonio a basse percentuali al fine di non ostacolare le possibili scelte di rimozione delle ridipinture . 25

Il tentativo di ridurre i sali inquinanti nella parte più bassa della parete veniva effettuato con impacchi di assorbimento e verificato nel tempo tramite misurazioni del contenuto salino con lo strumento SUSI (Sensore di Umidità e Salinità Integrato). Le misure servivano anche per mettere a confronto le due tipologie di impacchi sperimentati: il primo a base di sepiolite, pasta cellulosica (Arbocel BW40®) e sabbia a granulometria media26, mentre il secondo era un vero e proprio intonaco temporaneo “di sacrificio” applicato su uno strato di pasta cellulosica. In entrambe le applicazioni si voleva fare in modo che i sali, con l’asciugatura delle soluzioni acquose, venissero a trovarsi negli spessori drl materiale sovrammesso, decontaminando gli strati sottostanti. Purtroppo i soli impacchi, nonostante siano stati ripetuti più volte, non erano sufficienti a risolvere il problema ad oggi ancora aperto e in attesa che i nuo-

È stata utilizzata la caseina Leuenberger® al 2% nebulizzata o data a pennello sulle zone decoese e al 10% sotto le scaglie. Per i sollevamenti che interessavano anche una parte d’intonachino abbiamo invece utilizzato il Primal E411® (5-10%). Le scaglie venivano riadagiate, attraverso l’interposizione di un foglio di carta giapponese, mediante la pressione di una spugna bagnata, asportando così gli eventuali residui superficiali. 26 La Sepiolite è utilizzata come materiale adsorbente; la pasta cellulosica è utilizzata per le sue caratteristiche idrofile necessarie per una maggiore durata del tenore di umidità dell’impacco e per dare struttura portante all’impasto; la sabbia come aggregato, poiché capace di creare un sistema poroso traspirante simile a quello dell’intonaco. 25

Fig. 11 Particolare del volto della Maddalena dopo l’intervento di restauro.

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Fig. 12 Particolare del volto del Cristo prima dell’intervento di restauro.

vi studi in corso forniscano delle direttive utili alla risoluzione definitiva, ad esempio individuando e interrompendo la fonte dei sali dal pavimento. Alla fine della prima pulitura la lettura dei soggetti della decorazione si recuperava, ma rimaneva il nodo cruciale delle molte ridipinture di assai scarsa qualità sovrapposte alla prima versione quattrocentesca che pareva invece pregevole. Dopo alcune prove di pulitura più approfondita e dopo aver valutato empiricamente la quantità di originale sopravvissuto, sceglievamo di asportare le ridipinture, procedendo con applicazioni localizzate di carbonato d’ammonio in poltiglia per rigonfiare lo strato da rimuovere, riuscendo a rimettere in luce la decorazione originaria per buona parte conservata (figg. 8, 9). Questo metodo risultava però impraticabile in alcune zone dove lo strato in terra verde era meccanicamente più debole, per cui prima di procedere alla asportazione delle sovrammissioni cromatiche, dovevamo garantire un ulteriore e ben localizzato implemento di coesione. A tal fine sperimentavamo e poi applicavamo l’Etil-silicato27; questo materiale era d’altronde già nella nostra considerazione per un secondo obbiettivo: il consolidamento finale dell’intonaco pittorico insieme alla pellicola cromatica, entrambe scarsamente coesi in molte e disseminate zone. Decidevamo quindi di attuare una sperimentazione seguita dal Laboratorio Scientifico dell’Opificio delle Pietre Dure mettendo a confronto il bario idrossido e il silicato di etile al fine di comprendere non solo l’effetto sulla pellicola pittorica, ma anche le rispettive capacità di penetrazione. I requisiti richiesti erano quelli che il materiale consolidante potesse penetrare fino a raggiungere tut27 Silres BS-OH100® della ditta Wacker, utilizzato puro, applicato in due stesure a pennello direttamente sulla superficie per 3 sessioni applicative eseguite a distanza di 2 giorni. Tale metodologia ci veniva suggerita dalla consultazione di un lavoro di tesi svolta presso la SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana) che intendeva appunto approfondire le interazioni tra la terra verde priva di coesione e il Silicato di Etile in quanto materiale consolidante dotato di buona affinità. Cfr. Cantini 2010-2011, SUPSI.


ta la sezione interessata dalla disgregazione e che insieme non comportasse grandi movimenti d’acqua per evitare la dissoluzione e lo spostamento verso la superficie delle sostanze presenti nell’intonaco e

Fig. 13 Particolare del volto del Cristo dopo l’intervento di restauro.

non rimosse con il nostro metodo di pulitura parsimonioso d’acqua e quindi molto confinato alla superficie. Fortunatamente il problema dei sali solubili era limitato nella zona più bassa con la muratura a vista e solo qualche lacerto di arriccio, e quindi non dovevamo prevedere eventuali interazioni saline con i consolidanti sulle parti dipinte28. Per capire quale fosse il sistema più efficace sono state provate quattro modalità diverse: ad impacco di pasta cellulosica per il Bario e con diversi protocolli applicativi per il Silicato e valutando infine i risultati alla luce di alcune analisi scientifiche29. Si applicava quindi il Silicato di etile che si era mostrato come il più efficace per l’implemento di coesione della pellicola cromatica e della porzione del supporto a contatto con il colore30. La chiusura delle numerose lacune e un accurato ritocco pittorico hanno infine consentito il definitivo recupero della decorazione in terra verde nella cappella di Santa Verdiana, uno dei pochi esempi fiorentini sopravvissuti all’oblio e quindi alla rovina per incuria, o alla distruzione premeditata per il decadere del gusto pittorico che le avevano generate (figg. 10-14). Sia l’azione del Silicato di Etile che quella del Bario Idrossido vengono ostacolate dai sali solubili e deliquescenti, per il silicato, infatti, impediscono una buona penetrazione innescando l’idrolisi anticipata e per il bario possono interagire con l’anione Ba++ formando altri sali rispetto al carbonato di bario. Le conseguenze si riflettono sul successo del consolidamento e sulle caratteristiche cromatiche della superficie che possono alterarsi con patine biancastre. 29 Sulle zone selezionate per la sperimentazione si controllavano le caratteristiche del colore e della porosità con metodi non invasivi, prima e dopo i trattamenti. È stata inoltre controllata l’effettiva penetrazione dei materiali mediante carotaggi eseguiti in prossimità di alcune abrasioni dopo circa un mese dalle applicazioni, tempo sufficiente per le reazioni di idrolisi e condensazione del Silicato. 30 Per approfondire la parte sulla sperimentazione metodologica per il consolidamento finale cfr. Lanfranchi, Lanterna, Medori, 25, 2013, pp. 178-188. 28

pagina 210-211 Fig. 14 La parete di fondo con le Storie di santa Verdiana (XV sec.) dopo l’intervento conservativo.



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monitoraggio del microclima di alcuni ambienti storici del complesso di santa verdiana a firenze Fabio Sciurpi

Università degli Studi di Firenze

La conservazione preventiva ed i parametri di conservazione Gli ambienti in cui sono conservati beni di valore storico-artistico sono costituiti da una complessità di elementi in interazione, attribuibili all’ambiente stesso ed ai materiali costituenti gli oggetti esposti. Queste interazioni, se non opportunamente controllate e limitate, sia nella durata che nell’intensità e frequenza, possono dare luogo a processi di natura irreversibile che sono alla base dei fenomeni di degrado. Inoltre, la musealizzazione di un bene, se da un lato permette la fruizione collettiva dell’opera, dall’altro può portare a problemi seri per la conservazione del manufatto stesso, dovuti all’interazione tra il bene e l’ambiente circostante (visitatori, conservatori, illuminazione, ecc.). In tali casi risulta spesso necessario attuare un compromesso tra le scelte di carattere culturale-fruizionale e conservative, sulla base del rischio di degrado che si considera accettabile per i beni musealizzati (Carletti et al., 2005). Gli ambienti di conservazione debbono essere quindi analizzati e monitorati al fine di valutare la loro idoneità alla conservazione degli oggetti in essi contenuti (Boddi et al., 2010). In mancanza di informazioni sui parametri fisico-tecnici presenti in tali luoghi non é infatti possibile valutare l’esistenza di situazioni di rischio per la conservazione delle opere esposte, premessa indispensabile alla programmazione di eventuali interventi atti a riportare la situazione entro limiti di accettabilità. Inoltre, i parametri ambientali interni non influiscono solo sulla conservazione degli oggetti esposti, ma anche sul comfort globale dei visitatori, fattore che non deve essere trascurato in un ambiente musealizzato (Sciurpi et al, 2015; Pitzurra et al., 2001). Ogni opera d’arte esposta ha esigenze conservative ottimali in funzione del materiale di cui é costituita, del luogo di provenienza, degli sforzi cui é soggetta, dell’iter di invecchiamento e delle condizioni ambientali cui é stata sottoposta nel tempo (‘storia climatica’). Dunque l’attenzione si deve rivolgere allo studio ed al controllo dei parametri che influenzano la conservazione degli oggetti collocati all’interno di contenitori espositivi, e quindi principalmente a (Thomson, 1986; Stolow, 1987; Camuffo, 1998): • radiazioni elettromagnetiche provenienti da sorgenti di luce naturali ed artificiali; • condizioni termoigrometriche sia dell’aria in prossimità dell’oggetto, che delle superfici ove sono collocate le opere, e loro variazioni nel tempo; • qualità dell’aria interna (quantità di polveri e di gas inquinanti presenti nell’aria). Tutti questi parametri presi singolarmente hanno effetti diversificati sugli oggetti esposti e ciò principalmente in dipendenza della natura dei materiali costituenti l’opera d’arte. Non vanno però dimentica-

pagina a fronte Decorazione pittorica della parete occidentale della sala della Crocifissione, primo piano.


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santa verdiana a firenze. da monastero a sede universitaria, sette secoli di storia • fauzia farneti, silvio van riel

N piazza Ghiberti

SV

via dell’Agnolo

Fig. 1 Pianta del piano terra del complesso di Santa Verdiana a Firenze con evidenziato uno degli ambienti monitorati (SV).

ti i complessi sinergismi tra questi tre fattori, che possono comportare fenomeni di degrado amplificati ed a volte imprevedibili. Le radiazioni luminose possono per esempio provocare fenomeni di indebolimento, alterazione cromatica, ossidazione e opacizzazione di molti materiali (principalmente di natura organica) a seguito di effetti fotochimici, e nel contempo costituiscono la fonte dell’energia di attivazione per una qualsiasi reazione chimica o biologica. Le condizioni termoigrometriche possono provocare variazioni dimensionali, rigonfiamenti, rotture e distacchi (in maniera diretta con il variare del contenuto di vapore dei materiali stessi e dell’aria ambiente), effetti biologici (formazione di muffe, funghi ed insetti sui materiali, favorita da temperature superiori a 20°C ed umidità relative maggiori al 65%), e nel contempo costituiscono il substrato necessario per l’attivazione di qualsiasi fenomeno chimico di ossidazione e corrosione, e possono dare luogo alla trasformazione chimica di sostanze aggressive amplificandone gli effetti. Infine, l’effetto che l’inquinamento indoor provoca sugli oggetti esposti varia in funzione del tipo di inquinante, della sua concentrazione, delle caratteristiche morfologiche e chimiche del materiale esposto e può essere amplificato da condizioni particolari di temperatura, umidità relativa e luce. Allo

pagina a fronte Fig. 2 Pianta del piano primo del complesso di Santa Verdiana a Firenze con evidenziato uno degli ambienti monitorati (CR).

stato attuale, pur essendo nota l’esistenza di interrelazioni tra i vari parametri fisico-tecnici, le correlazioni fra cause ed effetti, con le azioni di acceleranti dei processi, sono oggetto di studio. Ai fini di una corretta conservazione, è quindi opportuno raccogliere i valori di tali grandezze, cui il


monitoraggio del microclima di alcuni ambienti storici del complesso di santa verdiana a firenze • fabio sciurpi

N piazza Ghiberti

CR

via dell’Agnolo

manufatto è stato sottoposto nel tempo, e metterli a confronto con la sequenza di eventi caratterizzanti il degrado dell’oggetto stesso; andrebbe cioè sempre presa in considerazione, quando esiste, la storia ambientale dell’oggetto, per quello che riguarda i parametri termoigrometrici, illuminotecnici e di qualità dell’aria interna. In questa ottica diventa particolarmente importante la conservazione preventiva degli oggetti esposti negli ambienti museali, indicando con tale termine tutte quelle azioni che hanno lo scopo di ridurre il rischio di degrado cui l’oggetto da esporre sarebbe sottoposto e di individuare sistemi alternativi per mostrare l’opera nel miglior modo possibile, agendo non direttamente sulla stessa bensì sull’ambiente e sulle condizioni di esposizione, creando un ambiente di conservazione ideale attraverso il monitoraggio e controllo ambientale indoor, la corretta gestione dell’ambiente museale, ecc. (Carletti et al., 2001). Il monitoraggio ambientale all’interno di una struttura museale può contribuire fortemente alla prevenzione dei danni causati a beni di interesse storico-artistico da non adeguate condizioni termoigrometriche. Il controllo dei parametri termoigrometrici rappresenta dunque una tematica di basilare interesse al fine di mantenere condizioni ideali per la conservazione delle opere artistiche contenute negli ambienti espositivi (Camuffo, 1998). In generale si può inoltre affermare che le richieste di controllo microclimatico negli ambienti destinati alla conservazione di manufatti di interesse storico-artistico sono superiori a quelle necessarie per il comfort delle persone (Thomson, 1986).

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santa verdiana a firenze. da monastero a sede universitaria, sette secoli di storia • fauzia farneti, silvio van riel

alimentazione memoria dimensioni risoluzione sensore temperatura accuratezza sensore temperatura scala di temperatura risoluzione sensore umidità relativa accuratezza sensore umidità relativa scala di umidità relativa

Tab. 1 Principali caratteristiche tecniche degli strumenti utilizzati.

Batteria al Litio da 3, 6 V 32000 letture; intervallo lettura da 1 s a 10 gg. 72 x 60 x 33 mm 0, 01°C 0, 3 °C da -25 a +85 °C 0, 3% 3% da 0 a 95%

La conservazione di opere d’arte impone prima di tutto valori di temperatura ed umidità relativa dell’aria il più possibile stabili non solo sul lungo periodo (stabilità mensile e annuale), ma anche sul breve e brevissimo periodo (stabilità giornaliera e oraria). Sono inoltre le caratteristiche specifiche dei materiali esposti a determinare sia gli intervalli di temperatura ed umidità relativa che i loro gradienti temporali ritenuti accettabili per la conservazione. Per la definizione dei valori idonei alla conservazione si dovrebbe fare riferimento alla storia ambientale dell’oggetto stesso e quindi ai valori con i quali l’oggetto nel tempo si è messo in equilibrio (clima storico) (UNI EN 15757, 2010); in mancanza di tali informazioni o di specifiche prescrizioni o indicazioni dei conservatori del bene, si può fare riferimento alle indicazioni riportate su due documenti basilari in tema di controllo microclimatico: il Decreto Ministeriale del 10 Maggio 2001 Atto di Indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo nei musei e la norma UNI 10829 del 1999 Beni di interesse storico e artistico. Condizioni ambientali di conservazione. Misurazione ed analisi. La norma 10829 fornisce inoltre una metodologia per la misurazione in campo delle grandezze ambientali termoigrometriche e di illuminazione ai fini della conservazione di beni di interesse storico e artistico e fornisce indicazioni relative alle modalità di elaborazione e sintesi dei dati rilevati per una loro valutazione finalizzata al contenimento dei processi di degrado. Sulla base di queste premesse, è stata condotta un’indagine sul microclima interno di due ambienti storici del complesso di Santa Verdiana a Firenze volta ad evidenziare il comportamento termoigrometrico dell’edificio. Nei paragrafi che seguono sono riportati una breve descrizione dell’edificio oggetto dell’indagine, la metodologia adottata e la strumentazione utilizzata, i principali risultati del monitoraggio ambientale effettuato (temperatura, umidità relativa, temperatura superficiale) ed alcune considerazioni inerenti l’idoneità delle condizioni di conservazione. Descrizione degli ambienti storici monitorati Gli ambienti oggetto del monitoraggio si trovano nella parte storica del complesso di Santa Verdiana a Firenze; in specifico si tratta della cappella della Santa (ambiente denominato SV in fig. 1) e dell’ambiente in cui è stata rinvenuta una pittura murale di valore rappresentante la Crocifissione di Gesù (ambiente denominato CR in fig. 2). Entrambi gli ambienti SV e CR non sono attualmente aperti al pub-

pagina a fronte Fig. 3 Pianta (a sinistra) e sezione con vista dell’altare (a destra) della Cappella di Santa Verdiana con indicata la posizione dei sensori utilizzati.

blico e si trovato in un cattivo stato di conservazione; in essi sono presenti pregevoli pitture murali, alcune delle quali recentemente restaurate. La cappella di Santa Verdiana si trova al piano terra della parte antica dell’ex monastero e non presenta parti direttamente a contatto con l’esterno, trovandosi completamente delimitata da altri ambienti in-


monitoraggio del microclima di alcuni ambienti storici del complesso di santa verdiana a firenze • fabio sciurpi

N

SV_4 (h=1.50m) SV_1 (h=2.50m) SV_2 (h=1.50m)

SV_1 (h=2.50m)

SV_3 (h=1.50m)

SV_4 (h=1.50m) SV_2 (h=1.50m)

EXT

terni riscaldati o non riscaldati; non sono quindi presenti finestre o porte finestre verso l’esterno. Si tratta di una struttura pesante caratterizzata da murature con grossi spessori realizzate prevalentemente in pietra e laterizio e copertura con volta a botte. L’ambiente non è illuminato naturalmente e le uniche lampade presenti sono quelle utilizzate dai conservatori per le operazioni di restauro delle superfici pittoriche interne, che vengono quindi accese solo negli orari di lavoro. Non è presente nessun impianto volto al controllo climatico dell’ambiente interno eccezion fatta per le stufette utilizzate dai restauratori ed accese anch’esse esclusivamente negli orari di lavoro. Nell’ambiente sono presenti pitture murali del XV secolo con scene che ritraggono la vita di Santa Verdiana. Il secondo ambiente monitorato si trova al primo piano della parte antica del complesso e presenta sulla parete a sud tre ampie aperture che si affacciano su via dell’Agnolo; le restanti pareti confinano con spazi interni non riscaldati. Solo in una apertura è ancora presente l’infisso con telaio ligneo e vetro semplice; è presente una schermatura esterna in cattivo stato di conservazione e ci sono evidenti segni di infiltrazioni di acqua piovana. Anche in questo caso si tratta di una struttura pesante caratterizzata da murature con grossi spessori realizzate prevalentemente in pietra e laterizi e solaio ligneo. Nell’ambiente non sono presenti sistemi di illuminazione artificiale e di climatizzazione. Le pareti interne dell’ambiente risultano in gran parte dipinte; fra le decorazioni spicca il pregevole affresco raffigurante la Crocifissione di Gesù. A tale ambiente si accede da una stanza che non presenta pareti ed aperture verso l’esterno.

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SV_1

SV_3

SV_4

SV_2

Fig. 4 Foto della collocazione dei sensori interni. Da sinistra: SV_1, SV_2, SV_3 e SV_4 (foto F. Sciurpi).

Campagna di monitoraggio del microclima: metodologia di misura e strumentazione utilizzata Per quanto riguarda il monitoraggio dei parametri termoigrometrici, l’indagine è iniziata nell’aprile 2012, interessando prima la cappella e successivamente l’altro ambiente. In particolare nella cappella il monitoraggio è stato effettuato dal 17 aprile 2012 alla fine di maggio 2014, con alcune interruzioni dovute a questioni tecniche. Successivamente, dal 15 giugno 2015 a tutt’oggi, i sensori sono stati spostati nell’altro ambiente, anche in questo caso con alcune interruzioni dovute a questioni tecniche. Durante il periodo di monitoraggio nella cappella si sono svolte le operazioni di restauro degli affreschi. Per tali misure in continuo sono stati usati datalogger1 modello TGU 4500 Tinytag Ultra 2 della ditta Gemini Data Loggers2 che sono stati programmati per registrare i valori di temperatura di bulbo secco ed umidità relativa dell’aria ogni 15 minuti. Solo nella cappella è stato anche utilizzato un datalogger, dello stesso modello, per la misura della temperatura superficiale delle pareti affrescate, programmato con lo stesso range di campionamento. Nella Tab. 1, oltre ad una immagine della tipologia dei sensori utilizzati, sono riportate le principali caratteristiche tecniche degli stessi3. In generale, le postazioni di misura interne sono state scelte tenendo conto delle esigenze funzionali e di fruizione dell’ambiente, delle esigenze di funzionamento degli strumenti (evitando postazioni prossime a sorgenti di calore localizzate, fonti di luce diretta o altre cause di perturbazione locale che possono influire sul corretto funzionamento degli strumenti stessi), nonché delle caratteristiche geometriche degli ambienti. Nelle figg. 3 e 4, per l’ambiente SV, sono riportate rispettivamente le posizioni dei datalogger all’interno degli ambienti monitorati ed all’esterno (EXT), nonché le foto degli stessi. I punti di misura de-

pagina a fronte Fig. 5 Pianta e foto dell’ambiente al primo piano con indicata la posizione dei sensori utilizzati e la foto del CR_2 (foto F. Sciurpi).

nominati SV_1, SV_2, SV_3 ed EXT hanno monitorato i valori di temperatura a bulbo secco dell’aria Di proprietà del Laboratorio di Fisica Ambientale per la Qualità Edilizia dell’Università di Firenze. <http: //www. geminidataloggers. com>. 3 Rielab. da <http: //www. geminidataloggers. com>. 1 2


monitoraggio del microclima di alcuni ambienti storici del complesso di santa verdiana a firenze • fabio sciurpi

CR_3 (h=2.50m)

CR_2 (h=2.50m)

CR_1 (h=0.50m)

CR_2

ambiente (θ espressa in °C) e quelli di umidità relativa (u espressa in %), mentre quello denominato SV_4 ha monitorato i valori della temperatura superficiale (θs espressa in °C) della parete di fondo con l’altare e gli affreschi di maggiore interesse, al fine di evidenziare eventuali fenomeni di condensazione superficiale. Nella fig. 5, per l’ambiente CR, sono riportate la posizione dei datalogger all’interno degli ambienti monitorati, nonché una foto degli stessi. In tutti i punti di misura (CR_1, CR_2 e CR_3) sono stati monitorati i valori di temperatura a bulbo secco dell’aria ambiente (θ espressa in °C) e quelli di umidità relativa (u espressa in %). Facendo riferimento ai due documenti basilari in tema di controllo microclimatico in ambienti espositivi (D. M. 10. 5. 2001 e norma UNI 10829 del 1999), nella Tab. 2 sono riportati, a titolo indicativo, i valori di riferimento consigliati per i parametri ambientali (temperatura ed umidità relativa) relativi alla conservazione della categoria di beni presenti nei due ambienti monitorati (‘Pittura murale, Affreschi’). I valori forniti devono essere intesi come ‘valori consigliati’ da adottare in mancanza di specifiche prescrizioni (per esempio da parte dei responsabili della conservazione del bene storico) o norme specifiche sull’argomento.

N

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Tab. 2 Valori termoigrometrici consigliati per assicurare le condizioni ottimali di conservazione chimico-fisica del manufatto ‘Pittura murale, Affreschi’. Tab. 3 Quadro riassuntivo dei dati rilevati (temperatura ed umidità relativa) nelle postazioni più significative e definizione dell’indicatore PI. In grigio scuro i valori non accettabili.

Fig. 6 Andamento della temperatura di bulbo secco θ (°C) nell’ambiente SV in una settimana tipo estiva. Fig. 7 Andamento della temperatura di bulbo secco θ (°C) nell’ambiente SV in una settimana tipo invernale.

Fig. 8 Andamento dell’umidità relativa u (%) nell’ambiente SV in una settimana tipo invernale. Fig. 9 Andamento della temperatura nei punti di misura SV_1 e SV_2 in relazione a quello dell’esterno in un anno di monitoraggio.

Fig. 10 Andamento dell’umidità relativa nei punti di misura SV_1 e SV_2 in relazione a quello dell’esterno in un anno di monitoraggio. Fig. 11 Andamento della temperatura nei punti di misura CR_1 e CR_3 nel periodo di monitoraggio da giugno a dicembre 2015.

Fig. 12 Andamento dell’umidità relativa nei punti di misura CR_1 e CR_3 nel periodo di monitoraggio da giugno a dicembre 2015. Fig. 13 Diagramma combinato dei parametri di temperatura ed umidità relativa confrontati con quelli consigliati dal MiBAC per il punto SV_1 e CR_1.

fonte rielab. da: D. M. 10. 5. 2001 rielab. da: UNI 10829 del 1999

θ (°C) da 10 a 24 da 6 (inverno) a 25 (estate)

u (%) da 55 a 65 da 45 a 60

punto di misura

θmin

θmax

θmedia

umin

umax

umedia

PIq

PIu

SV_1 SV_2 CR_1 CR_3

13, 7°C 12, 8°C 6, 1°C 10, 1°C

30, 0°C 31, 8°C 32, 5°C 32, 2°C

20, 8°C 20, 2°C 21, 5°C 22, 5°C

30% 35% 34% 35%

73% 83% 91% 78%

55% 64% 62% 54%

75% 76% 64% 60%

66% 29% 44% 57%


monitoraggio del microclima di alcuni ambienti storici del complesso di santa verdiana a firenze • fabio sciurpi

Analisi e discussione dei dati rilevati: considerazioni conclusive I dati termoigrometrici rilevati con i datalogger sono stati trasferiti su PC mediante cavo USB e poi elaborati tramite fogli di lavoro excel con la realizzazione di grafici dove è riportato l’andamento dei parametri misurati nel tempo. I dati rilevati sono stati inoltre elaborati determinando i valori massimi, minimi e medi annuali, mettendo inoltre in relazione i valori interni con quelli corrispondenti esterni, ed infine realizzando diagrammi di frequenza cumulata e relativa, al fine di individuare il Performance Index (PI) quale indicatore della qualità conservativa dell’ambiente in relazione alla tipologia di beni conservati, secondo quanto stabilito dalla Norma UNI 10829 e dalla bibliografia scientifica (Sciurpi et al., 2015; Del Curto D, 2010; Pavlogeorgatos, 2003). Questo indicatore rappresenta la percentuale di tempo durante la quale il parametro misurato ricade entro il range di valori ritenuto accettabile per la conservazione del bene contenuto nell’ambiente espositivo. Nella fig. 6, per l’ambiente SV, è riportato l’andamento della temperatura di bulbo secco nelle tre postazioni interne confrontato con quello esterno in una settimana tipo estiva. I sensori nelle posizioni SV_2 e SV_3, posizionati circa alla stessa altezza, riportano lo stesso andamento, mentre quello SV_1, posizionato più in alto, rileva temperature maggiori fino ad un massimo di circa 1°C, segno della presenza di una seppur minima stratificazione dell’aria. Dalla figura sono inoltre ben evidenti gli effetti di alterazione della temperatura interna dovuti alla presenza dei restauratori ed alla accensione delle lampade usate nelle operazioni di restauro che hanno comportato un aumento delle temperature interne durante l’utilizzo (in particolare nella giornata del 9 agosto 2012). Tali effetti risultano molto più visibili in regime invernale. Nella fig. 7 è riportato l’andamento della temperatura di bulbo secco nelle tre postazioni interne confrontato con quello esterno in una settimana tipo invernale. In questo periodo le differenze tra i tre sensori interni diventano minime (inferiori a 0, 5°C), fatto salvo nei momenti di presenza dei restauratori4, quando, per effetto dell’accensione delle lampade e delle stufe per il riscaldamento, le temperature interne aumentano con escursioni massime nel breve periodo anche di 6°C con conseguenti effetti sulla stratificazione dell’aria. Nella fig. 8 per la stessa settimana tipo invernale è riportato l’andamento dell’umidità relativa nelle tre postazioni interne confrontato con quello esterno. Anche l’umidità relativa interna risente dell’effetto delle operazioni di restauro che, determinando un aumento della temperatura, hanno come diretto effetto una corrispondente diminuzione dell’umidità relativa, come si legge nelle giornate del 21 e del 27 dicembre 2012. Nelle figg. 9 e 10 è riportato rispettivamente l’andamento della temperatura e dell’umidità relativa dell’aria nelle due postazioni SV_1 e SV_2 confrontato con quello esterno per un periodo di un anno (da aprile 2012 a marzo 2013); nel grafico è anche riportato il range ritenuto ottimale dalle lineeguida del MiBAC (D. M. 10. 5. 2001). 4

In particolare nelle giornate del 21 e del 27 dicembre 2012.

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santa verdiana a firenze. da monastero a sede universitaria, sette secoli di storia • fauzia farneti, silvio van riel

Dalla fig. 9 è ben visibile che, per il tipo di beni presenti, il problema maggiore si manifesta nei periodi estivi quando le temperature interne, anche in assenza di carichi termici endogeni, tendono ad aumentare influenzate da quelle esterne e dall’assenza di ricambi d’aria, raggiungendo valori massimi di circa 32°C. Per quanto riguarda l’umidità relativa si vede come i valori monitorati vadano al di fuori di quelli consigliati dal MiBAC (D. M. 10. 5. 2001) per periodi temporali maggiori e distribuiti su tutto l’anno, con una preponderanza nelle stagioni intermedie (primavera e autunno). Per quanto riguarda la misura della temperatura superficiale della parete muraria dietro l’altare, i valori rilevati dal sensore SV_4 sono risultati inferiori a quelli della temperatura dell’aria nella posizione SV_1 di circa 1°C durante i mesi estivi e di circa 0. 5°C negli altri mesi dell’anno con umidità relative massime del 70%; risultando quindi la temperatura superficiale sempre superiore alla corrispondente temperatura di rugiada non si è mai verificato il rischio di condensazioni superficiali sulla parete in analisi. Per quanto riguarda i locali che si affacciano su via dell’Agnolo, le due postazioni che hanno monitorato l’ambiente con la pittura murale del crocifisso (CR_1 e CR_2) hanno riportato valori similari con differenze di temperatura dell’aria di meno di 0. 5°C e di umidità relativa dell’ordine del 5%; tali valori a causa della pressoché assenza di infissi presentano variazioni molto repentine nel tempo, anche nel breve periodo. L’altro ambiente interno adiacente (CR_3) invece si è dimostrato caratterizzato da valori dei parametri termoigrometrici molto più stabili e caratterizzati da minori brusche variazioni nel tempo. Nelle figg. 11 e 12 è riportato rispettivamente l’andamento della temperatura e dell’umidità relativa dell’aria nelle due postazioni CR_1 e CR_3 per uno dei periodi di monitoraggio (da giugno a dicembre 2015); nel grafico è anche riportato il range ritenuto ottimale dalle lineeguida del MiBAC (D. M. 10. 5. 2001) per la conservazione delle pitture murali. Dalla fig. 11 è ben visibile che, per il tipo di beni presenti, il problema maggiore si manifesta nei periodi estivi quando le temperature interne tendono ad aumentare influenzate da quelle esterne, raggiungendo valori massimi di circa 33°C. Per quanto riguarda l’umidità relativa si vede come i valori monitorati vadano al di fuori di quelli consigliati dal MiBAC (D. M. 10. 5. 2001) per periodi temporali maggiori e distribuiti su tutto l’anno, con una preponderanza nell’autunno ed inverno. Nella Tab. 3, per le grandezze di temperatura a bulbo secco e di umidità relativa nelle posizioni SV_1, SV_2, CR_1 e CR_3, sono riassunti i valori rilevati in termini di valori minimi, massimi e medi relativi al periodo di monitoraggio analizzato, nonché il valore del Performance Index rispettivamente per la temperatura (PIθ) e l’umidità relativa (PIu), quale indicatore della qualità conservativa dell’ambiente monitorato. Nella tabella le caselle campite in grigio chiaro indicano valori dei parametri termoigrometrici accettabili (ai sensi del D. M. 10. 5. 2001), mentre quelle campite in grigio scuro indicano valori non accettabili e quindi potenziale causa di degrado del bene conservato. Nella fig. 13 infine è riportato un diagramma a dispersione relativo ai punti di misura SV_1 e CR_1


monitoraggio del microclima di alcuni ambienti storici del complesso di santa verdiana a firenze • fabio sciurpi

con evidenziata la porzione di diagramma che ricade contemporaneamente nei valori dei parametri termoigrometrici (θ e u) considerati ottimali per le pitture murali secondo il MiBAC (D. M. 10. 5. 2001). Il diagramma evidenzia chiaramente come le condizioni ottimali di conservazione, in termini di temperatura ed umidità relativa dell’aria, siano raggiunte contemporaneamente molto di rado, con conseguenti potenziali problemi di degrado per i beni presenti nell’ambiente. Nell’ottica quindi di una futura musealizzazione del bene, risulterà necessario intraprendere tutte le azioni necessarie al corretto controllo dei parametri ambientali indoor per ricondurli nei range ottimali per la conservazione del bene, limitando quindi le influenze del clima esterno e delle alterazioni interne dovute alla presenza di persone-fruitori.

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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Luglio 2017



Questo testo, che segue a pochi mesi la pubblicazione relativa all’intervento nel plesso universitario di Santa Teresa, mostra il fecondo ed approfondito interesse dei docenti per le strutture e l’architettura che caratterizzano il complesso di Santa Verdiana, l’altro edificio storico della nostra Scuola di Architettura, senza per questo dimenticare la sede “storica” di via Micheli dove ha trovato posto la prima Scuola Superiore di Architettura fiorentina alla fine degli anni venti del Novecento. Il primo progetto redatto dall’Ufficio Tecnico del Rettorato ha avuto il merito di sollecitare il completo recupero del complesso, all’interno del programma elaborato dal prof. Roberto Maestro. Questo intervento rientrava all’interno del vasto e articolato programma promosso dal Rettorato, negli anni settanta e ottanta del Novecento, per potenziare le sedi universitarie nel centro storico fiorentino. Alla Facoltà di Architettura era stata assegnata una porzione dell’ala est dell’ex casa di pena femminile di Santa Verdiana, che nel luglio del 1986 risultava inutilizzata, da adibire ad aule didattiche. La pubblicazione di questi contributi permette di arricchire e completare quel “percorso conoscitivo” essenziale per ogni futura iniziativa progettuale sul complesso architettonico di Santa Verdiana. Fauzia Farneti ricercatore e professore aggregato in quiescenza di Storia dell’Architettura presso la Scuola di Architettura e di Storia e tecnica degli apparati decorativi presso la Scuola di Specializzazione in Beni architettonici e del paesaggio, ha rivolto le sue ricerche ad ambedue i versanti della sua attività didattica. Ha studiato e studia l’incidenza dell’architettura costruita sulla pittura di quadratura con numerose partecipazioni a convegni internazionali sul tema. Oltre all’attività scientifica, a partire dal 2004 ha attivato convenzioni con enti pubblici per l’attuazione di iniziative tese alla conoscenza e alla valorizzazione dei beni culturali. Fa parte del comitato organizzatore del convegno internazionale REUSO, che dal 2014 viene organizzato annualmente e alternatamente in Spagna e in Italia. Silvio Van Riel già professore associato di Restauro architettonico e Consolidamento degli edifici storici presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze dove si è laureato nel 1975 e dove ha svolto attività didattica e di ricerca, come cultore della materia, professore incaricato a contratto ed infine come professore di ruolo. Attualmente è professore incaricato a contratto dei Laboratori di restauro 1 e 2. Gli interessi di ricerca sono sempre stati volti allo studio delle problematiche statiche e sismiche degli edifici esistenti, con la partecipazione a Convegni nazionali ed internazionali sul tema. Attualmente ha in corso una ricerca interdisciplinare a Madrid, a Berlino e in alcuni centri italiani sulle criticità sismiche tipiche degli aggregati edilizi. Fa parte del collegio dei docenti della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università degli Studi di Firenze. È nel comitato organizzatore del convegno internazionale REUSO, che dal 2014 viene organizzato annualmente e alternatamente in Spagna e in Italia.

ISBN 978-88-9608-095-5

€ 35,00


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