enrico lanfredini
Fin dove si vede Nei luoghi dove è originaria la malinconia. Viabizzuno headquarters a Bentivoglio (BO)
tesi | architettura design territorio
Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea di Enrico Lanfredini. Commissione: Proff. A. Brodini, F. F. V. Arrigoni, R. Bologna, A. Capestro, L. Zaffi, G. Cardinale.
Il lavoro è stato premiato come vincente al concorso di tesi ATA2021, bandito da Archistart Motivazione giuria: per la capacità di inserire efficacemente in un non luogo costellato di capannoni industriali privi di identità formale un progetto che reinterpreta in modo convincente l’utilizzo dei materiali che hanno contraddistinto gli edifici tipicamente agricoli della bassa padana nel secolo scorso. L’eleganza e la sobrietà degli interni rappresentano in modo convincente l’identità del marchio di cui si presuppone sarà la sede. Si può solo immaginare come apparirà nella nebbia il nuovo skyline definito dalle coperture in policarbonato ma l’intervento è senza dubbio misurato e raffinato. www.archistart.net
in copertina
Assonometria isometrica del dettaglio costruttivo del padiglione produttivo, Enrico Lanfredini, 2020.
progetto grafico
didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Federica Aglietti
didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 ISBN 978-88-3338-148-0
Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset
enrico lanfredini
Fin dove si vede Nei luoghi dove è originaria la malinconia. Viabizzuno headquarters a Bentivoglio, (BO).
Presentazione
Dove l’uomo ha lavorato bene, lì è il bene, per l’uomo: lavoro sopra lavoro, gli è già abitabile il mondo: (Sanguineti E., Ballata del bene culturale). Dagli anni dieci del Novecento le architetture per il lavoro sono state avvertite come campo sperimentale dove saggiare materiali e modalità tecnologiche: “cose nuove” dove con maggiore risolutezza modificare i codici espressivi, istituendo inedite sintesi tra costruzione e forma, espressione strutturale e disegno. Un’armonia, un equilibrio posto come fine da un volontarismo riformatore che nei suoi risultati più maturi faceva cenno ad una più ampia progettualità politico-sociale alla quale ogni agire tecnico era eticamente chiamato a corrispondere. Il radicale riassetto della macchina produttiva che dal finire degli anni settanta ha connotato il piano del Capitale per un verso ha posto termine a tale vicenda almeno nella sua sino ad allora ontologica compromissione con lo stesso destino della Großstadt. Il progetto di Enrico Lanfredini per la sede centrale dell’azienda Viabizzuno a Bentivoglio nella pianura padana germina su tale vicissitudo e si dipana secondo due assi di ricerca mutuamente intrecciati: un primo orientato a rifondare una riconoscibile razionalità insediativa in quei luoghi della soglia che sono le campagne urbanizzate; un successivo impegnato a fissare varianti morfo-tipologiche capaci di tramare assieme trascorse eredità edili con contemporanee urgenze funzionali, un cimento sui temi della continuità e dell’“innovazione sottile”. Possiamo rintracciare in certi passaggi diaristici di Ottiero Ottieri l’ipotesto che supporta questo comporre; annotava Ottieri su un quaderno del 1959: «dopo Bologna si lasciano i paesaggi di nebbia e senza sole, ma più raccolti, ordinati, dove l’uomo si impegna nel suo compito. La civiltà industriale favorisce questa misura piena del lavoro, questa dedizione. Ha i contorni netti […] la civiltà industriale si nutre di orari, di soddisfazioni interiori, di coscienza a posto, di lento quotidiano progresso». L’esercizio di Lanfredini appare indirizzato a restituire piena intelligibilità al fatto architettonico - sachliche Architektur nel vocabolario concettuale di Hermann Muthesius - che nel caso di specie significa: forte carattere unitario dell’insieme, ordinamento gerarchico delle parti, chiara sintassi distributiva, “linguaggio realizzativo” come prima matrice dell’abito formale, impiego di poche materie. Nelle pagine iniziali del libro compaiono alcune fotografie che sono l’esito dei soggiorni di studio dell’autore; sono immagini dove le case contadine, le rimesse agricole, gli artefatti delle infrastrutture emergono come realtà fantasmatiche da paesaggi vaghi, velati da vapori e luci calcinate. Si dà allora una sotterranea complicità tra la sospensione e il silenzio di questo vedere-sentire e la gravitas, la solidità certa dei volumi immaginati, come se alla mutevolezza del trascorrere delle stagioni l’opera tenti l’azzardo di un insperato durare, di un necessario, tenace consistere.
Fabrizio F.V. Arrigoni Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze
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Prefazione
In treno verso Cremona: molte industrie e campagne piattissime, qui, mentre il treno passa gli alberi e i pali della luce sorprendono con la loro verticalità, saltando fuori all’improvviso da tutta questa piattezza. (Celati G., 2018).
Viaggiando nelle periferie della bassa padana è difficile non sentirsi stranieri. Appena fuori dalle città finisci in un paesaggio anonimo che per trasformarsi in industria ha furiosamente svenduto sè stesso. Al mattino in queste pianure la luce è completamente assorbita dai colori del suolo. C’è un vapore azzurrino che fa svanire le distanze e oltre un certo raggio si capisce che le cose sono là, disperse nello spazio. Ciò che più di tutto sorprende è questo nuovo genere di campagne, dove si respira un’aria di emarginazione urbana. Qualcosa che assomiglia all’attraversamento di una specie di deserto di solitudine, che però è anche la vita normale di tutti i giorni. Ogni momento in avanti è spazio vuoto, tempo vuoto da colmare, riempito da un numero sconfinato di cartelli pubblicitari, da nomi di località inesistenti e molto cielo, un cielo larghissimo sopra la distesa di appezzamenti a rettangolo, tagliati da fossi e ampie carreggiate. Interminabili rettifili ad alta velocità di scorrimento mettono in comunicazione le principali città emiliane, mentre tutto intorno piatte campagne, case, albe-
ri e campanili affiorano, molto bassi sul fondo, lontani e dispersi nello spazio. L’autostrada Bologna-Padova è una marea di traffico pesante, incessante rumore di camion che passano e aria che vibra. Una costellazione di fabbriche e capannoni industriali. Nella grigia giungla di cemento dell’area produttiva Castello-Bentivoglio, a pochi chilometri a nord di Bologna, la nuova fabbrica esprime il linguaggio dell’architettura rurale. Il padiglione produttivo, insieme al centro ricerca, lo showroom e il teatro disegnano una corte intorno alla quale si distribuisce l’intero sistema, diffidente verso ciò che esternamente lo circonda. La torre, insieme a un filare di pioppi cipressini, trasforma per un istante l’interminabile autostrada in una qualsiasi strada di campagna.
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Traversata delle pianure
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Tagliando per i campi
Foto di “La bassa padana. Sparse per la pianura nella provincia bolognese”, Enrico Lanfredini, 2019.
La pianura del Po potrebbe delineare la terra di confine materiale e ideologico tra il mondo centroeuropeo e il mondo mediterraneo. In verità nell’immenso spazio che abita questo confine si sviluppa una realtà che Cesare Zavattini definisce generatrice di malinconia, un cortocircuito tra natura e sfruttamento della natura e persone che ci vivono. L’estensione e la continuità del paesaggio, con il ripetersi di acqua, tralicci, condomini, alberi, case rurali, chiese e la più generale assenza della figura umana, provoca in chi percorre, ma più di tutti in chi abita questi luoghi, un conflitto viscerale combattuto tra la sensazione di più sperduta solitudine e la convinzione che ha chi viaggia di essere l’unico a coordinare lo spazio con un progetto. “La bassa padana è un territorio ben poco definito. Come la nebbia che spesso d’inverno la pervade, non presenta confini chiari. E non ha un’organizzazione interna riconoscibile, con una precisa gerarchia di luoghi: è una vasta distesa di terre di pianura interrotte ogni tanto da qualche paesino che sembra più un’isola che un paese”1.
Lungo le strade di campagna i colori sono tutti smorzati, sfumature di ocra e seppia, il colore del mattone vecchio in una chiesa, il grigio polveroso dell’acciottolato fino in fondo alla strada, gente pallida che sta quieta in un bar aspettando che il tempo passi. La cosa che sorprende maggiormente anche di fronte all’inquinamento del Po, agli alberi malati, alle puzze industriali, allo stato d’abbandono in cui volge tutto quanto non ha a che fare con il profitto, è la sensazione di attraversare luoghi dove nessuno vuole abitare perché non succede mai niente. Per chi vive qui la linea di terra dell’orizzonte, lontana e senza ondulazioni, diventa confine tangibile e sancisce per alcuni la fine inafferrabile e offuscata dalla nebbia della malinconia, per altri invece disegna un limite troppo lontano, per quelli che sono troppo uguali a questi luoghi, per cercare altro. Le campagne sono là, solcate da schemi geometrici ad ampie maglie di vie carrabili e campestri, per la maggior parte sconosciute ai più; così comincia il percorso di ricerca e studio lungo queste terre.
“Quando percorri queste strade senti chiaramente che il ritmo del viaggio rallenta per sincronizzarsi con quello della vita che c’è qui. Per sincronizzarsi al vento leggero sugli alberi, all’attesa dei pescatori, alla concentrazione degli aironi, alle nuvole immobili”2. La sistemazione del suolo, dominato da lisce superfici di arativa piattezza, inciso in modo uniforme da una griglia regolare di fossi di drenaggio, ha raggiunto un tal peso da costituire una tra le caratteristiche più importanti del paesaggio. Nella grande piana, senza alcun tipo di ondulazioni, non esistono più fontane lungo le vie suburbane e gli stradoni tutti dritti non accorciano proprio un bel niente. Le strade a scacchiera immutabili per trenta o quaranta chilometri, i sentieri su e giù dagli argini dei canali, i solchi di diverse colture, hanno tutti una linearità che sembra convergere in prospettiva verso lo stesso punto d’orizzonte. Zone così piatte e uniformi che tutto compare ad altezza d’occhio, si sente quasi nostalgia di un punto un po’ sopraele- 11 vato per guardarsi attorno.
Quando viaggi sembra di avanzare di pochi centimetri l’ora anche perché la scena resta fissa per un lungo arco di tempo e l’orizzonte dice sempre che sei disperso in un punto qualsiasi sulla linea della terra, come le cose che si vedono in distanza, come i campanili lontani che fanno asse con chi cammina per un bel pezzo. “Bisogna cercare un altro punto con cui fare asse, e immaginare che ci si arriverà una volta o l’altra”3. Sotto questa interminabile distesa di cielo tutto è immobile, grigio, tranquillo. Qualsiasi cosa sviluppi maggiormente la dimensione verticale diventa allora autorevole: rivela un singolare episodio di sospensione in tutta questa piattezza. In contrapposizione al dominio incontrastato del piano orizzontale che dà luogo a un generale disorientamento, qui la verticalità costituisce quasi un ideale architettonico. Il campanile, la torre colombaia si manifestano come una costante del paesaggio padano, elemento architettonico presente in forma diffusa su tutto il territorio. Nella bassa si parla generalmente di torre rurale circoscrivendola all’ambi-
to extraurbano e sottolineando il suo stretto legame con l’agricoltura. La torre può essere considerata come dispositivo esterno all’insediamento agreste in quanto traccia appartenente e ordinatrice del paesaggio. Era principalmente usata per essere visti più che per guardare: erigere la colombaia era un diritto di prestigio, in quanto concesso alla famiglia richiedente in funzione del rango di appartenenza e della proprietà terriera posseduta. Lo spostamento della riflessione sul piano verticale pone immediatamente l’attenzione lungo i fiumi, dove filari di salici, olmi e pioppi disposti su linee scalate, formano insieme agli argini un ordine spaziale che esiste soltanto da queste parti. Alberi e torri svettano eccentrici in mezzo alla generale uniformità del paesaggio. È immediato il confronto e al tempo stesso la relazione che si instaura tra il costruito e gli elementi verticali della campagna antropizzata, in un rapporto quasi paritetico tra artificio e natura. Di fianco a questa analogia file interminabili di pali della luce sorprendono
con la loro volgare verticalità, come altissimi crocefissi. Un’esagerazione di fili per decine e decine di chilometri che avvolgono le campagne con un rumore continuo. I piloni dell’alta tensione si susseguono a distanza regolare, proseguono nei campi a perdita d’occhio e distruggono per un istante il precario equilibrio dimensionale della pianura. E poi alla fine, dico anche, nelle fotografie i pali e i fili della luce rovinano sempre le inquadrature. (Ghirri L., citato in Brondi V., Zamboni M., 2016, p. 30).
Codeluppi V., Zavattini. Cuore padano, <https:// www.doppiozero.com/rubriche/1919/201604/ zavattini-la-bassa>, (12/19). 2 Brondi V., Zamboni M., 2016, Anime galleggianti. Dalla pianura al mare tagliando per i campi, La nave di Teseo. 3 Celati G., 2018, Verso la foce, Feltrinelli. 1
Foto di “La bassa padana. Sparse per la pianura nella provincia bolognese.”, Enrico Lanfredini, 2019.
Costellazioni
Foto di “La bassa padana. Sparse per la pianura nella provincia bolognese.”, Enrico Lanfredini, 2019.
Ad un certo punto anche la trigonometria delle torri e degli alberi perde importanza; la presenza di casolari, stalle e ruderi semi-abbandonati costringe a posare lo sguardo sugli insediamenti rurali ogni volta che attraversi in auto queste strade. Molto distanti tra loro, ciascuna fabbrica conquista più tempo per essere guardata, contemplata come punto di riferimento in un paesaggio che, nel suo grigiore, si sottrae all’attenzione di chi osserva, definendo una cornice metafisica. Un arcipelago di punti in uno spazio dove le distanze, per chi vive questi casolari, adesso acquisiscono senso e proteggono. Da quando l’agricoltura è soggetta a forme di gestione industriale, che hanno sovvertito il rapporto uomo territorio, gli insediamenti rurali hanno perso in gran parte il loro significato originario. Oggi gli abitanti di questi sistemi corali sono andati tutti a vivere nelle villette geometrili sparse nelle campagne, e il bestiame è stato traslocato in grandi capannoni. Sono rimasti soltanto solitari gruppi di costruzioni a quadrato con cortile interno e ingresso ad arco. In alcuni di questi cortili ci sono
ancora gli strumenti agricoli abbandonati e paglia per terra. Un cimitero di corti deserte. “La presenza uniforme dell’edilizia agricola nella bassa padana è dovuta all’evoluzione economica che ha avuto luogo in questo territorio nel periodo compreso tra gli ultimi venti anni del diciannovesimo secolo e il primo quarto del ventesimo. Il settore primario si è sviluppato in senso capitalistico: la connessione con l’economia industriale, la generalizzazione della fittanza, l’incremento dell’allevamento, l’introduzione di nuove colture e dell’agronomia come disciplina moderna e specialistica si confrontano con modelli costruttivi portatori di più aggiornati saperi tecnologici, non disgiunti da istanze sul piano linguistico orientate a definire un carattere nazionale dell’architettura”1. Anche per merito dell’apporto teorico garantito dalla manualistica che ha guidato l’azione di proprietari, tecnici e costruttori, tutta la produzione di edilizia rurale esibisce uno straordinario carattere di unità. Gli splendidi esiti di questa architettura, dove il laterizio è presenza esclusiva o incontrastato protago-
nista che subordina a sé il legno, la pietra, il ferro, si ritrovano nei tipi della corte chiusa lombarda e piemontese, nei complessi rustici dei caseifici ottagonali del piacentino, nelle cascine a porta morta parmensi e reggiane, negli alti portici a pianta quadrata del ferrarese. Questi fabbricati si presentano come un complesso isolato, senza accostamenti con altre costruzioni. Sono in osmosi con il territorio che li circonda, sembrano quasi nascere dalla terra. La casa agricola, quella della pre-industrializzazione e dell’esodo dalle campagne, avvenuto in modo traumatico negli anni Cinquanta, contava, entro il suo perimetro, anche un centinaio di persone. Tra queste, all’interno di una gerarchia ben definita c’erano: il proprietario o il fittabile, il fattore, i bifolchi, i cavallanti, i salariati, i braccianti e numerosi altri specializzati. L’impianto, pur assumendo caratteristiche particolari a seconda dei casi, conserva, per gli edifici fondamentali, il medesimo schema distributivo: ogni costruzione è organizzata intorno ad un grande spazio centrale, vero e proprio fulcro dell’attività del complesso rura-
le. Quest’ultimo, delimitato da edifici ha due possibilità di comunicazione con l’esterno, costituite da un ingresso principale e da uno secondario in direzione dei campi. I fabbricati che perimetrano l’intero organismo sono infatti tutti rivolti verso la grande aia, lasciando al di fuori muri quasi completamente privi di aperture. Ogni costruzione trova in questi impianti una sua precisa collocazione dettata da esigenze strettamente legate alla vita agricola che hanno condizionato, oltre che le scelte distributive, anche quelle costruttive. L’ottimizzazione nella distribuzione dello spazio si traduce, in ogni singola parte della fabbrica, nell’adozione di una particolare tecnica costruttiva. Ciò è evidente nei fabbricati destinati, al piano terreno al ricovero di animali e al piano primo all’immagazzinamento del fieno. Alle massicce strutture voltate della stalla si contrappone lo slancio degli archi dei fienili e del portico. In tutti gli edifici rurali emerge, per dimensioni e caratteristiche, la casa padronale, collocata in posizione centrale e immediatamente riconoscibile da chi accede attraverso l’ingres- 15 so principale. Talvolta una pic-
Foto di “La bassa padana. Sparse per la pianura nella provincia bolognese.”, Enrico Lanfredini, 2019.
cola cappella votiva rappresenta il punto di collegamento fra interno ed esterno. Posta per lo più di fianco all’accesso principale, consente la partecipazione alle funzioni religiose anche a coloro che non risiedono nel complesso. Gli studi più precisi e integrali sulla tipologia della casa rurale della bassa pianura padana sono certamente quelli portati avanti da Lucio Gambi e Mario Ortolani sulla casa rurale della Romagna e su quella della pianura emiliana pubblicati dal CNR nel 1950 e nel 1953. La grande piana dell’Emilia Romagna è stata suddivisa, per alcuni secoli, tra vari stati e staterelli. Luoghi geograficamente molto vicini hanno subito diversi condizionamenti culturali. Ciò ha avuto ricadute anche sull’architettura degli insediamenti rurali che, in un’area relativamente piccola, si sono conformati con chiare differenze. La classificazione proposta dall’Ortolani per le case rurali della pianura emiliana si articola in tre classi: • forme complesse a elementi separati • forme complesse a corte • forme a elementi giustapposti Nelle case a corte aperta gli elementi costitutivi classici dell’insediamento rurale, e cioè l’abitazione, la stalla-fienile, i pro-servizi, sono separati gli uni dagli altri e sorgono in mezzo a un cortile. Nelle case a corte chiusa gli elementi costitutivi si ordinano regolarmente, secondo una tendenza del tutto naturale, intorno ad una corte quadrangola-
re che, per essere circondata dagli edifici, o semplicemente da un muro di cinta, viene appunto definita chiusa. Nelle case a blocco, i soliti elementi costitutivi subiscono un’aggregazione parziale e cioè l’abitazione, la stalla-fienile e il portico vengono riuniti in vario modo in un unico edificio che può contenere o no anche i pro-servizi, o alcuni di questi: la posizione del portico connota in maniera diversa le case di questa classe tipologica nelle varie aree geografiche in cui si articola la regione. La pianura emiliana viene suddivisa in pianura ferrarese, bolognese, modenese, reggiana, parmense e piacentina, quella romagnola invece in pianura a est del fiume Savio fino a Cattolica, forlivese, faentino-imolese e di recente formazione tra i fiumi Reno e Savio. Nella pianura ferrarese prevale la tipologia di edifici a corte aperta, che prevedono ben distinte la destinazione residenziale da quella produttiva. Gli edifici sono collocati in una corte lineare, disposti in sequenza, allineati anche se distinti e separati; lo scopo della voluta separazione è essenzialmente l’impedimento della propagazione di eventuali incendi. L’abitazione ha la pianta rettangolare e copertura a capanna, senza sporto. Il vano di ingresso taglia la casa in senso trasversale e consente di uscire sul retro. La stalla-fienile invece è un edificio di dimensioni maggiori, a pianta rettangolare, suddiviso longitudinal-
mente in tre fasce: quella centrale è la stalla, quelle laterali sono i veri portici. Nella pianura bolognese sono presenti soltanto le case a corte aperta e le case a blocco. Le case a corte aperta sono costituite da abitazione, stalla-fienile, pro-servizi e casella. Gli edifici sono disposti con una certa libertà: in linea, a scacchiera, a squadro oppure contrapposti, all’interno di una specifica area di pertinenza, mai recintata se non da elementi di vegetazione. La casa a blocco invece prevede l’accostamento laterale dei tre elementi costitutivi: l’abitazione, la stalla e il portico. I manufatti rurali modenesi hanno un rapporto stretto di parentela con l’impianto urbanistico bolognese o ferrarese. La casa modenese si differenzia dalle precedenti dal numero di piani fuori terra, tre anziché due. Inoltre la casa bolognese è quasi sempre coperta da un tetto a padiglione, mentre quella modenese sembra molto più alta anche per la presenza del tetto a capanna. L’abitazione presenta un piccolo vano d’ingresso, niente a che vedere con la loggia bolognese o con il portico ferrarese. La stalla-fienile è un edificio a pianta rettangolare, chiuso su tre lati e solitamente aerato da un portico o da un grigliato di mattoni. È molto frequente qui, più che nelle altre aree della regione, la presenza della torre colombaia. Nella pianura reggiana le tre classi di cascinali rurali sono tutte presenti anche
se la tipologia di quelli a blocco sono i più diffusi e si articolano in diversi sottotipi: l’edificio con rustico, porta morta e tetto a colmo differenziato e la tipologia classica a porta morta con prospetto unitario e tetto a colmo indifferenziato. Quest’ultima presenta gli stessi elementi della casa a blocco della pianura bolognese, ma raggruppati in modo diverso. Il portico è posto al centro, tra abitazione e stalla e qui prende il nome di porta morta. La casa colonica nel parmense è organizzata prevalentemente a blocco con abitazione, grande portico centrale e il rustico posti in sequenza lungo un asse longitudinale. Qui gli elementi presentano sempre coperture, e in alcuni casi anche strutture, indipendenti. Ciò fornisce all’edificio un profilo volumetrico movimentato; l’Ortolani infatti scrive che la casa rurale parmense appare una casa d’architettura vivace, a notevole movimento di masse. Il portico qui viene utilizzato sul lato maggiore della stalla, rivolto a sud, o sul lato maggiore di tutto l’edificio. La tipologia delle case a corte aperta è quella che caratterizza maggiormente la provincia di Piacenza: gli edifici sono organizzati intorno a un’aia rettangolare centrale. Le corti chiuse di questi luoghi sono cinte da mura e presentano due punti di accesso; spesso vengono caratterizzate da torri 17 colombaie che uniscono alle fun-
zioni connesse con l’allevamento dei colombi, quelle più guerresche di osservazione e di difesa. Nella pianura romagnola a sud-est il tipo edilizio di riferimento è una costruzione a pianta rettangolare a due piani, inserita quindi nella tipologia delle case a blocco. L’elemento caratteristico di queste costruzioni è il portico, con una larghezza media di quattro metri. Le case rurali della pianura forlivese hanno pianta rettangolare con la parte centrale a due piani, ma scompare del tutto il portico sulla facciata sud. La forma rettangolare di questi edifici ha per lo più proporzioni di uno a uno e mezzo. Occorre dividere l’area della pianura faentino imolese in due sottozone: una compresa tra il fiume Montone e Santerno, l’altra dal Santerno verso occidente, verso il Sillaro. Nella prima zona il modello tipologico di riferimento è la casa a blocco di forma rettangolare a due piani, con rapporti di uno a due, invece che di uno a uno e mezzo come nel caso delle costruzioni della pianura forlivese. Nella seconda zona è presente un tipo morfologicamente diverso da quello precedentemente descritto: la
forma in pianta dell’edificio è quadrata e il tetto è a quattro falde, caratteristica ereditata dall’adiacente tipo bolognese. In generale nella casa faentino-imolese assumono notevole rilevanza i pro-servizi, che in parte sono congiunti alla casa e in parte isolati e ubicati marginalmente alla corte. Presso Lugo, sul fianco della stalla, in confino si trova un locale rettangolare, normalmente a un piano che viene utilizzato come ricovero di utensili e carri. Un altro annesso comune a queste zone è quello in cui trova collocazione il forno con la stanza per gli equini, i suini e il pollaio. Qui prevale una tipologia a pianta quadrata e di dimensioni ridotte, preceduta da una loggia e sormontata da una copertura a falde. Nella pianura romagnola tra il Reno e il Savio grazie alla bonifica avvenuta nei primi anni del Novecento sono sorte numerose boarie, così definite dal Gambi. La boaria comprende vari edifici in muratura notevolmente ampi, ariosi, sani e posti, come tutte le case rurali, attorno a una corte, cinta frequentemente da salicacee o tamerici o da biancospino. In questa corte c’è, regolarmente, una costruzione di maggiore entità,
a due piani, in cui si ricavano le stanze di abitazione riservate alle famiglie del boaro, e altri edifici, uniti o meno a quella costruzione e che servono di ricovero al bestiame o per deposito dei prodotti. Il fabbricato rurale deve oggi porsi al servizio di un’economia profondamente diversa da quella per la quale era stato costruito. Dove persiste il settore primario compaiono grandi silos, vengono annessi nuovi magazzini per più moderni allevamenti e coperture in acciaio per la custodia delle macchine. Le novità della civilizzazione hanno accelerato, negli ultimi decenni, il ritmo della sua espansione. Il primo risultato è stato un esodo massiccio delle popolazioni rurali verso i grandi centri abitati. “Attraverso questa strada la città ha invaso la campagna e il paesaggio rurale si è impregnato delle novità urbane che l’industrializzazione ha inevitabilmente imposto”2.
AA. VV., 1995, “Costruire in Laterizio”, n. 47, Di Baio Editore. 2 Corna-Pellegrini G., La casa rurale della pianura padana si integra alla città, <http://www.ub.edu/ geocrit/sn/sn-146(048).htm>, (02/20). 1
Foto di “Da qualche parte nel nord Italia”, Fabrizio Vatieri. Reportage prodotto da Davide Coppo, 2018.
L’occupatore
“Kühe an der Ruhrmündung”, Duisburg-Ruhrort. Albert RengerPatzsch, 1930.
Sta preparando l’occupazione e la sottomissione definitiva dei quartieri oltre il fiume, ancora in rivolta. Detta ordini ai suoi ufficiali e manda messaggi ai capi dell’organizzazione; il suo esercito dovrà irrompere in vari punti nella zona oltre il fiume, fare evacuare donne e bambini, sequestrare le armi degli insorti, bruciare e radere al suolo molte case. (G. Celati, 2018). “Nella seconda metà del Novecento le spinte innovative che hanno portato a una rapida evoluzione del sistema produttivo hanno contribuito alla crisi del settore agricolo. Le leggi legate ad un sistema di tipo padronale soccombono alla logica della società industriale, determinando un considerevole abbandono delle campagne. A esso si è accompagnato un inurbamento della popolazione agricola alla ricerca di benessere economico e condizioni di vita migliori. Allo sviluppo incontrollato della periferia urbana, corrisponde un progressivo cambiamento del paesaggio e delle tipologie residenziali legate alle attività rurali. Nelle campagne sono introdotte nuove forme di conduzione che richiedono l’inserimento di tipologie le quali non sempre riescono a correlarsi con il paesaggio preesistente. L’azienda agricola allora cambia aspetto e si adatta alla logica produttiva che impone la realizzazione di spazi destinati ad attività redditizie.
Da quest’ultime nascono nuove esigenze che si traducono nell’aggiunta di volumi alle strutture originarie, lasciate nella maggior parte dei casi in condizioni di sottoutilizzo e oggetto di lento e inesorabile degrado”1. Svincolato dalla modernizzazione e dall’adeguamento delle case rurali al mercato corrente, si sviluppa un cambiamento nei metodi di produzione in direzione di una quasi totale meccanizzazione del lavoro. Si tratta di un processo graduale, in cui le spinte innovative hanno convissuto a lungo con le forme produttive tradizionali. Questo fenomeno ha generato cambiamenti che si sono sviluppati a macchia di leopardo in gran parte della regione. Da qui deriva la compresenza per molto tempo di metodi produttivi moderni con economie di trasformazione tradizionali. Solo successivamente l’irrobustirsi dei primi ha determinato a cascata il diffondersi di effetti imitativi nei territori limitrofi a quelli in cui il cambiamento era nato. Si è manifestato gradualmente il declino e poi la scomparsa delle precedenti forme di produzione. La superficie agraria è andata così progressivamente diminuendo, fagocitata dall’estensione delle nuove aree urbane e industriali. L’espansione crescente e incontrollata di quest’ultime ha sbiadito i confini delle città. “Non è più comprensibile leggere dove finiscono i centri abitati: quartieri e
quartieri, sensi unici e semafori, rallentare e accelerare secondo il traffico; dove finisce una città e inizia la campagna non è più un limite territoriale, ma un cambiamento nei movimenti di guida, in attesa di venire consegnati ognuno alla proprie destinazioni”2. Per certi versi oggi le campagne non sembrano più campagne, tutte invase, a intermittenza, da capannoni industriali, traffico ed erbe selvatiche che occupano dovunque i terreni vaghi, arbusti che vivono nella fuliggine delle fabbriche, piante che si arrampicano sugli alberi malati per le piogge acide; danno l’assalto a colate di calcestruzzo, e crescono anche lì più rigogliose che mai. Fuori dalle città finisci in un paesaggio anonimo che, per trasformarsi in industria ha furiosamente svenduto se stesso. Qualcosa che assomiglia all’attraversamento di una specie di deserto di solitudine, che però è anche la vita normale di tutti i giorni. Ogni momento in avanti è spazio vuoto, tempo vuoto da colmare, riempito da un numero sconfinato di cartelli pubblicitari, da nomi di località inesistenti e da molto cielo, un cielo larghissimo sopra la distesa di appezzamenti a rettangolo, tagliati da fossi e ampie carreggiate. Questo nuovo genere di distese coltivate, dove si respira un’aria di emarginazione urbana è stato prodotto da una drastica rottura della continuità del paesaggio, dovuta alla costruzione scon-
siderata di strade, edifici e capannoni. Lungo le strade provinciali compaiono sfilate di fabbriche in un numero quasi infinito. Mentre il paesaggio attorno è gremito di villette e palazzi condominiali, sono poche le case coloniche ancora visibili dalla strada. Le costruzioni agricole, abbandonate in mezzo ai campi, sono affiancate e soffocate da immense zone industriali, dove ci si perde come nella periferia di una metropoli. I capannoni, solitamente prefabbricati e privi di un qualsiasi legame con il contesto, legittimano la loro presenza radunandosi in cittadelle industriali. Circoscrivono delle parvenze di conglomerati urbani, affollati quotidianamente soltanto per l’arco di una giornata lavorativa e disabitati nei giorni di riposo. Imponendo all’intorno il loro carattere industriale e accostandosi, ad armi impari, alle costruzioni agricole con una scala dimensionale del tutto diversa, mettono in crisi i rapporti di quest’ultime con il paesaggio. Lo sfondo agricolo è stato così violentemente trasformato a causa di un’industria radicalizzata su gran parte del territorio che sembra, in certe circostanze, non ammettere più del tutto le cascine.
AA. VV., 1995, “Costruire in Laterizio”, n. 47, Di Baio Editore. 2 Celati G., 2018, Verso la foce, Feltrinelli. 1
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In una giungla di cemento
Mantova
Cremona Castel S. Giovanni Piacenza
Rovigo Suzzara Firenzuola
Guastalla Bondeno
Mirandola
Fidenza
Capparo Ferrara
Parma
Codigoro
Carpi Cento
Reggio
Portomaggiore
Nonantola Modena
Comacchio
Argenta
Bologna Lugo
Ravenna
Imola
Forme complesse a elementi separati
Forme a elementi giustapposti
Forme complesse “a corte”
Casa di struttura elementare
Suzzara Ariano
Gonzaga Guastalla Novi
Mirandola
Copparo
Bondeno Finale
S. Felice
Codigoro
Ferrara
Carpi
Migliarino Gento S. Pietro
Portomaggiore
Nonantola S. Giovanni
Modena
Argenta
Castelfranco
Scandiano
Budrio
Sassuolo Bologna
Medicina
Casa a elementi separati delle terre vecchie ferraresi
Casa a elementi separati del tipo bolognese
Casa a elementi separati delle bonifiche ferraresi
Casa a elementi separati del tipo modenese
Comacchio
Case sparse
Cartina costruita per “L’atlante fisicoeconomico d’Italia”, Renato Biasutti, 1940.
L’insediamento sparso, nella pianura emiliana, trova le proprie origini già nell’organizzazione etrusca suddivisa in pagus e vicus, ma inizia ad affermarsi soprattutto in epoca romana. Proprio a causa delle sue antiche origini, la casa sparsa si è solitamente sviluppata in relazione ad uno schema organizzativo più ampio. Da sempre mantiene come riferimento, nella dislocazione dei poderi e delle relative case, le vie di comunicazione e la scelta del sito della centuriazione romana. “L’insediamento rurale nella bassa pianura padana rivela una generale uniformità che è frutto delle grandi operazioni di prosciugamento delle aree inondate e palustri, intraprese agli inizi del XVI secolo e continuato assiduamente fino a metà del XX. Operazioni grazie alle quali il volto topografico di queste aree si è radicalmente trasfigurato con la creazione di quadri paesistici adatti ad accogliere lo sviluppo agricolo”1. Proprio in questo arco di tempo si registra in tutto il territorio della pianura, ma in quello della bassa bolognese in particolare, il momento di massima espansione delle architetture rurali distanti dagli aggregati urbani principali, seppur sempre affiancati all’insediamento accentrato. La diffusione di questo tipo di abitazioni è direttamente proporzionale allo sviluppo della forma di contratto definita mezzadria. Secondo quest’ultima il proprietario, di soli-
to borghese o nobile cittadino, concede terreno e abitazione con i relativi edifici annessi al mezzadro, che oltre ad avere l’obbligo di abitare sul fondo, deve al padrone la metà dei prodotti coltivati e la prestazione di altri servizi. Con la diffusione dell’insediamento sparso iniziano a delinearsi i tratti tipici del modello di architettura rurale prevalente nel bolognese, del suo podere e della sua corte, codificato definitivamente, agli inizi del XVIII secolo, dall’architetto Carlo Francesco Dotti. L’edilizia agricola bolognese appare abbastanza uniforme nelle sue tipologie e con caratteristiche proprie ben definite, simili ma non uguali a quelle di altre zone. Si notano infatti alcune differenze estetiche e funzionali tra il tipo di corte bolognese e quello modenese, tra il reggiano e il ferrarese. La diversità delle costruzioni rurali deriva in parte dalla maggiore o minore estensione del fondo e dalla sua redditività, dalla capacità di ospitare una famiglia più o meno numerosa, dal tipo di coltivazioni prevalentemente praticate, dalla possibilità di allevare più o meno bestiame e dalla disponibilità dei materiali edilizi nella zona. La cascina della pianura bolognese si sviluppa attorno all’aia centrale, come una sorta di piccola azienda estremamente organizzata, in cui ogni singolo elemento ricopre un ruolo preciso, privo di casualità.
“Ciò che più di tutto caratterizza infatti la corte rurale è la forte relazione che lega i singoli elementi tra loro, con l’estensione del podere e con i riferimenti del territorio naturale e centuriato in cui si colloca”2. Gli edifici si dispongono rispettivamente nei punti strategici dell’antica maglia ortogonale romana e la stessa collocazione e costruzione tiene in considerazione i materiali a disposizione sul territorio. La peculiarità principale della corte rurale bolognese sta nell’utilità che contraddistingue ogni suo singolo fabbricato e nell’individuazione dell’adeguatezza della tipologia architettonica all’uso preposto, senza mai abbandonare però la volontà di costruire edifici non solo fruibili, ma anche architettonicamente rilevanti. Nel bolognese, dal XVI secolo, questa particolare forma di architettura si stabilizza in due formule principali: la casa a elementi separati, detta anche a corte aperta e la casa a elementi giustapposti, detta anche casa a blocco. Alle due forme non corrispondono modalità differenti di coltivare o lavorare il terreno, poiché entrambe si sviluppano sui terreni organizzati per appoderamento, anche se il primo tipo risulta avere una diffusione maggiore rispetto la seconda tipologia e viene associato a terreni di più grande estensione di quanto non av- 25 venga per la casa a blocco.
Elementi di un insediamento tipo a corte aperta, Monografia del podere bolognese, 1881.
(d) (c)
(b)
(a)
(a) (b)
(c)
(2)
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(a) (g)
(g)
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(b) (a)
(b)
(b)
(e) (g)
(g)
(1) Gli elementi caratteristici di un insediamento tipo a corte aperta (da Comizio Agrario di bologna, Monografia del podere bolognese, Bologna, 1881) 1. Piante dell’abitazione: a) loggia; b) cucina; c) magazzino; d) cantina; e) sala; f) granaio; g) camera da letto 2. Pianta della casella: a) magazzino; b) portico 3. Pianta dei pro-servizi: a) forno; b) porcile 4. Pianta della stalla-fienile: a) stalla; b) portico
(b)
(3)
(4)
“La dimensione del fondo è vincolata in un’estensione pari alla capacità di una famiglia di lavorarlo e di ricavare dal terreno, che di solito copre un’area compresa tra i cinque e i venti ettari, il massimo della rendita. Suddiviso in morelli, ovvero in gruppi di campi orientati nella stessa direzione, il fondo è regolato da una rete ortogonale di siepi, filari, fossi, scoline che ricalcando l’antico tracciato della centuriazione, definiscono i confini tra una proprietà e l’altra e permettono di mantenere i campi liberi dalle acque, convogliandole ai collettori e da qui ai corsi d’acqua principali”3. In tutte le costruzioni rurali, ma soprattutto nella tipologia a corte aperta, il cortile assume un ruolo fondamentale. Oltre a definire l’ordine insediativo di tutte le costruzioni, costituisce lo spazio verso il quale si rivolgono gli edifici utili alla vita contadina e separa la dimensione abitativa da quella produttiva. È molto frequente in queste costruzioni anche la presenza di una colombaia, ossia di una torre rurale, non troppo alta, che assume nel tempo funzione di ricovero dei colombi, di attrezzaia e deposito e, in alcuni casi, diventa anche componente della dimora padronale.
La caratteristica più evidente di una casa a corte aperta è che, in questa tipologia architettonica, tutti gli elementi che la compongono sono gli uni staccati dagli altri, ma mantengono uno stretto legame nella loro disposizione all’interno della corte. I quattro elementi fondamentali che definiscono questo sistema sono la casa, la stalla-fienile, i pro-servizi e la casella. La casa, solitamente a pianta quadrata con tetto a padiglione, è collocata al centro del cortile e la facciata principale, resa riconoscibile dal portale d’ingresso, orientato a sud e posto sull’asse centrale, si rivolge quasi sempre alla strada o ai campi coltivati. È attraversata da una loggia, che può essere passante, se taglia l’intero edificio fino a permettere l’uscita da una porta speculare a quella d’ingresso, oppure chiusa se il suo ruolo è essenzialmente quello di dividere e di permettere l’accesso agli ambienti del piano terra, assumendo la stessa funzione di un corridoio. L’altezza della porta principale deve essere tale da consentire il passaggio dei carri e degli attrezzi agricoli, così da permetterne il ricovero entro la casa stessa. Al piano terra, entrando sulla destra, si trova la cucina con il suo grande cami-
no e il basso recinto in muratura per la legna, mentre l’acqua del secchiaio, nel sottoscala retrostante la cucina, viene scaricata direttamente nel giardino tramite una tegola. Altri locali collocati sempre allo stesso piano sono i magazzini dove vengono riposti gli attrezzi e la cantina, spesso collocata ad un livello più basso degli altri ambienti. Al piano superiore si accede mediante una scala posta al centro della loggia. Qui si trova in certi casi, nello spazio corrispondente a piano terra all’ingresso, una sala che distribuisce al granaio, a tutte le camere da letto e alla stanza con il filatoio. La distinzione appena fatta in realtà è abbastanza labile, perché gli ambienti non hanno una suddivisione precisa a priori, ma vengono identificati in base alle funzioni cui sono preposti. La facciata della casa prevede di solito tre oppure cinque file verticali di finestre e quelle al piano più basso sono solitamente più piccole rispetto a quelle del piano superiore, mentre la porta segue una forma ad arco talvolta decorata da mensole. Tutte le stanze si affacciano sul verde del prato che circonda l’abitazione, altro aspet27 to questo che distingue la ca-
Foto di “La bassa padana. Sparse per la pianura nella provincia bolognese.”, Enrico Lanfredini, 2019.
sa a corte aperta dalle altre tipologie di case rurali. La casa si rapporta con l’altro elemento fondativo, la stalla-fienile, detta anche teggia, attraverso diverse soluzioni: l’una di fianco all’altra, con i due fronti principali rivolti verso la strada o verso i campi; l’una dietro l’altra, sul medesimo asse dove le facciate dunque si fronteggiano o si susseguono; la facciata della stalla dirimpetto ad un lato della casa o ancora i due edifici posti a squadra. La stalla-fienile nella casa a corte aperta è dunque un edificio a sé stante. Generalmente a pianta quadrata, o tendente al quadrato, si sviluppa su due livelli, con copertura a quattro falde, scandita in tre fasce. Le due più esterne sono riservate solitamente a portico a tutta altezza, mentre quella centrale contiene la stalla al primo livello, appoggiata a settentrione e servita da un terzo portico sul lato sud. Sopra la stalla viene organizzato il fienile, nel quale ricorrono spesso dei motivi decorativi ricavati dalla libera disposizione dei mattoni, per garantirne una corretta aerazione. La facciata principale si riconosce grazie all’ingresso incorniciato da due pila-
stri binati. La versatilità del portico antistante la stalla, costituente in alcuni casi anche un fienile aggiuntivo, permette di utilizzarlo in diversi modi a seconda delle esigenze legate alle varie stagioni. Con l’introduzione della coltura industriale della canapa, cominciano a trovare spazio, nei cortili delle case rurali, edifici appositi, chiamati caselle, adibiti al ricovero e alla lavorazione di questa fibra. Sono costituite da un porticato a tutta altezza aperto su due o tre lati, con i restanti tamponati e la copertura a doppia falda. Con il declino della canapa, la casella perde nel tempo la propria originale funzione, per diventare un deposito per il fieno e il foraggio o come magazzino per gli attrezzi. Nel cortile della casa a corte aperta troviamo i pro-servizi, una costruzione a pianta quadrata adibita a forno, pollaio o porcile, con le varie funzioni suddivise da muri interni e da un piccolo portico che introduce al forno. Fondamentale è infine la presenza del pozzo, che a differenza della casella e dei pro-servizi che non hanno una posizione fissa nella dislocazione degli edifici entro la corte, si trova di solito tra la
stalla e la casa. Sia le formule più antiche, a bilanciere, che quelle più recenti con carrucola e secchio in rame, sono di solito coperti da un piccolo tetto a due falde.
1 Comizio agrario Bologna, 1881, Monografia del podere bolognese, Compositori. 2 Visentin C., Pezzani A., Le antiche corti rurali, <http://ilpaesaggiodellabonifica.it/ #quintoitinerario-leantichecortirurali>, 01/20. 3 Redazione Pianura Bolognese (a cura di), L’Architettura nelle campagne, < https:// turismoinpianura.cittametropolitana. bo.it>, 01/20.
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“Ancient and modern towns compared”, Contrasts, Augustus W. N. Pugin, 1841.
Sotto questo cielo metallico
Il rapporto tra industria e assetto urbanistico e territoriale ha subito nel tempo profonde modifiche. Dalla prima rivoluzione industriale, fino all’inizio del XX secolo, le fabbriche e le residenze coesistono, soprattutto sotto forma di quartieri operai, all’interno o ai margini delle città. Le attività industriali soppiantano progressivamente quelle agricole. Quelli che prima erano castelli, pagliai, fienili e stalle, diventano capannoni industriali e aggiungono a sé la ciminiera, simbolo ossessivo e prepotente del loro nuovo status. All’interno di un calderone stilistico eclettico, che contiene ogni cosa e il suo contrario, si sviluppa una preferenza per il neoromanico o neomedievale, per il gusto cioè del massiccio e del monumentale, del solido. Spesso, in questo intervallo storico, l’industria stessa assume il compito di elemento ordinatore dello spazio, vista la sua necessità di localizzarsi nei pressi delle vie di comunicazione principali o delle fonti di materie prime. Attorno a essa trovano collocazione tutte le altre funzioni e nascono numerosi centri urbani generati dall’insediamento degli stabilimenti industriali. Nella città però, la concentrazione di più fabbriche in zone limitate ha generato l’aumento sia dell’inquinamento che della distanza nei confronti del terreno non urbanizzato, considerato soltanto come fonte
di approvvigionamento e come un serbatoio di rifiuti. Il disegno modernista della città sancisce, agli inizi del Novecento, con la città industriale teorizzata da Garnier, la chiara suddivisione degli spazi in base alle diverse attività: abitare e lavorare. La caratteristica predominante di questo travagliato periodo è la contrapposizione e la convivenza difficile tra il polo dell’utopia e quello del realismo, riguardanti i principi di zonizzazione che vengono poi sviluppati dai maestri del razionalismo. Questo determina, in senso pratico, la concentrazione della produzione in aree monofunzionali, con gli scarti di un sistema progredito in un’inarrestabile polverizzazione, un sistema in cui a una singola proprietà corrisponde un’attività produttiva e anche quel filamento di città necessario a connetterla. A partire dalla seconda metà del Novecento il problema del rapporto tra città e industria si muove verso il fronte del confronto con il territorio. Inizia una fase di divaricazione, in cui alla ricerca di una coerente forma urbana si comincia ad affiancare l’obiettivo della valorizzazione del territorio. Si passa dalla polarizzazione, dall’economia della città fabbrica, a un’economia che si esternalizza, delocalizzandosi in una pluralità di piccole e medie imprese. Le politiche di sviluppo terri-
toriale rimangono mirate principalmente al miglioramento del benessere sociale ed economico, mentre l’attenzione per il paesaggio, nel quale si inserisce il nuovo sistema industriale, interviene a posteriori, secondo un approccio prettamente curativo. Il decentramento, ovvero il fenomeno di migrazione delle attività produttive in aree maggiormente appetibili per accessibilità e prossimità a specifici servizi, ha causato l’affermarsi in molte regioni del paese dei distretti produttivi. Insieme a un sostenuto allontanamento residenziale, questi mutamenti hanno prodotto un radicale cambiamento nelle politiche di localizzazione dei siti industriali, organizzati adesso in filiere produttive decentralizzate, contribuendo così alla formazione di zone di margine tra i centri urbani e il territorio agricolo e generando impatti significativi soprattutto sul sistema paesaggistico. Nella maggior parte di queste realizzazioni è riconoscibile una diffusa propensione a non farsi carico del rapporto con l’intorno e a lavorare in una logica introversa e decontestualizzata. Molti interventi recenti, infatti, tendono a caratterizzarsi per una scarsa attenzione alle relazioni territoriali ostentando spesso un’architettura sgraziata e totalmente prefabbricata. Gli esempi sono molteplici: capannoni inutilizzati, periferie inabitabili, in- 31 teri territori violentati e inquina-
“Replacing Coal for NYT”, George Etheredge, 2017.
ti, paesaggi letteralmente sconvolti e cementificazione ovunque. L’intero territorio della pianura padana, soprattutto lungo le principali vie di comunicazione, è disseminato di stabilimenti produttivi geograficamente molto concentrati. Il distretto industriale trova luogo in un disegno che ha conquistato in modo violento la periferia, a causa anche di architetture degli spazi del lavoro che rimandano a un’idea di territorio che progressivamente svanisce. La città infinita è satura di aree industriali, piattaforme produttive, assi attrezzati, infrastrutture pesanti. Poiché lontano dai centri urbani si genera il nuovo, è utile prestare attenzione a quello che si muove al suo interno e interrogarsi su quale sia la direzione da seguire. La distribuzione urbana di certe aree industriali nasce senza ordine, ma ciò nonostante sovverte e rende obsolete in pochi decenni le regole insediative e spaziali che per secoli hanno misurato l’organizzazione dei suoli. Nonostante la natura reticolare dei distretti e delle loro strutture organizza-
tive favorisca una fiorente crescita e lo sviluppo di tutto il sistema produttivo a livello economico, resta il fatto che chi vive nel quotidiano questi luoghi si trova di fronte a grigie astronavi posate nel centro dell’Emilia. L’area produttiva Castello-Bentivoglio, a cavallo dell’autostrada Bologna-Padova, sorge a pochi chilometri a nord del capoluogo emiliano e ricalca la situazione appena descritta riguardante sia il disordine di aggregazione che l’alienazione sociale dei distretti produttivi. Il ritmo incalzante e accelerato del lavoro che anima questi luoghi svanisce alla fine della giornata lavorativa e non resta che un agglomerato di capannoni, un’isola deserta di cemento, impregnata da un senso di solitudine. Il progetto per il nuovo stabilimento della Viabizzuno si pone come fine principale quello di trovare, in mezzo alla nebbia della pianura, un punto di incontro tra architettura industriale e caratteri propri del territorio, in direzione di un obiettivo che travalica la sola qualità estetica del progetto, ma guarda alla dignità delle relazioni definite dall’intero sistema col contesto.
Alla nuova fabbrica, e a un gruppo consistente di stabilimenti del distretto produttivo, si accede esclusivamente tramite via Romagnoli. Il nuovo impianto, oltre ad avere dimensioni più significative rispetto alla maggior parte degli altri insediamenti, occupa l’angolo a sud-est di una delle quattro porzioni in cui può essere suddivisa l’intera area produttiva. Le caratteristiche tecniche che avrebbe dovuto avere la nuova fabbrica sono state indicate dagli architetti interni alla Viabizzuno. Il lavoro sviluppato, quindi, tiene in considerazione la necessità dei processi produttivi e delle dinamiche organizzative che l’azienda deve avere: una porzione consistente di servizi dedicati al cliente costituiti dal teatro-scuola, dallo showroom commerciale, dalla fondazione e da una piccola struttura ricettiva; un sistema gestionale definito dal centro ricerca, da uffici amministrativi e tecnici e da un considerevole archivio di materiale e dati; uno spazio principale di grandi dimensioni destinato alla produzione e allo stoccaggio, 33 all’interno del quale un’area mi-
Maquette in scala 1:500.
Maquette in scala 1:500.
Planivolumetrico del progetto, area produttiva Castello-Bentivoglio.
nore è destinata alle lavorazioni secondarie; infine un’autorimessa per dipendenti e clienti, da circa centocinquanta posti auto. La posizione del sito rispetto alla strada di accesso è rilevante nella scelta insediativa della nuova fabbrica. Questa è costituita da volumi tra loro collegati, che seguono l’andamento dell’area di intervento a eccezione del fianco a nord. Chiunque acceda all’area produttiva è obbligato ad attraversare via Romagnoli; qui il muro parallelo alla strada piega leggermente, per accompagnare il percorso verso l’ingresso e definire una pertinenza adeguata all’accesso principale. La direzione diagonale della parete in mattoni scaturisce una tensione con i volumi che si sviluppano al di sopra di essa. In un impianto che tende a chiudersi, anche con una certa diffidenza nei confronti del contesto, gli elementi iconici e maggiormente distinguibili nei lineamenti della fabbrica sono senza dubbio i volumi, rivestiti in policarbonato, del padiglione produttivo e della torre della fondazione. Certamente la torre, all’interno di un complesso che predilige la distribuzio-
ne orizzontale, è il soggetto che assume il ruolo più importante nella dicotomia delle due realtà con le quali deve confrontarsi. Sul fronte fiacco e monotono del distretto produttivo, svetta come unico elemento verticale, come episodio singolo che sopravvive all’anonimato delle scatole edilizie che caratterizzano la più parte delle fabbriche circostanti. Insieme all’inclinazione del muro, catalizza la distribuzione verso l’ingresso principale e diventa segno iconico che denota un significato e determina un comportamento. Sul retro, nel confronto dinamico ed essenziale con l’autostrada, assume un valore più alto nel momento in cui, non solo veste un organismo funzionale, ma ne amplifica le possibilità comunicative suggerendo un diretto collegamento con le torri e i campanili disseminati nella pianura. L’edificio industriale si trova qui immerso nella vegetazione, che il progetto coinvolge e arricchisce nella sua articolazione, amplificandone i caratteri e accompagnandone i movimenti, in modo analogo a quanto avviene nello scenario agricolo.
Insieme a un filare di pioppi cipressini, la torre trasforma, per un istante, l’infrastruttura più ambita dall’industria in una qualsiasi strada di campagna. Il vago sospetto, comune al modo di fare emiliano, e la considerazione degli interessi interni dell’azienda definiscono il disegno di un recinto protettivo. Quattro elementi, che accolgono le principali funzioni indicate dall’azienda e rimandano all’essenza delle unità compositive della casa agricola bolognese: casa, stalla-fienile, pro-servizi e casella, si avvolgono intorno a una corte centrale. Se la sua forma chiusa indica l’atto di difendere lo spazio contenuto, la struttura baricentrica della fabbrica, come il grande cortile agricolo, assume il compito di armonizzare e definire un intervallo collettivo tra destinazioni d’uso molto distanti tra loro, ma soprattutto di determinare una sensazione di conforto a chi, nello spazio del proprio lavoro, si confronta con lo scenario del paesaggio circostante. I volumi del padiglione produttivo, degli uffici, del teatro-scuola e dello showroom commerciale emer- 37 gono dalla piastra basamentale,
Rappresentazione della vista dall’ingresso su via Romagnoli.
Rappresentazione della vista dall’autostrada Bologna-Padova.
Esploso assonometrico.
rivestita in laterizio, che disegna i confini dell’impianto e garantisce una distribuzione continua tra i vari ambienti. L’unico momento in cui il recinto lascia spazio a un dialogo con l’esterno è nella relazione instaurata dal basamento con la torre della fondazione. Questa, insieme al muro che la collega all’intero sistema, delimita una nuova piazza, uno spazio collettivo che accoglie le funzioni più pubbliche dell’azienda. Qui si affacciano l’ingresso principale, l’ingresso della fondazione, il teatro scuola e l’archivio fotografico liberamente consultabile. L’ultimo elemento, essenziale per l’equilibrio totale, è quello più indefinito, costituito dai due filari di pioppi cipressini. Se da un lato svolgono esclusivamente funzione protettiva rispetto al contesto e all’autostrada, dall’altro trasportano la fabbrica nel bel mezzo della campagna bucolica. La volontà di separare il flusso pubblico costituito da clienti e ospiti, da quello di servizio dei dipendenti e dei fornitori, definisce inevitabilmente una porzione principale e una secondaria della nuova via carrabile, che permette una totale accessibilità ai vari brani della fabbrica.
Lungo la prima sono disposti, in prossimità dell’ingresso, solamente alcuni parcheggi di rappresentanza e l’imbocco del parcheggio sotterraneo. Questo, dedicato per lo più ai clienti, ma accessibile anche ai dipendenti, è collocato al termine di via Romagnoli ed è in comunicazione direttamente con le due hall di ingresso, una per i clienti e l’altra per il centro uffici. La maggior parte degli stalli dedicati al personale, invece, sono organizzati nelle vicinanze del padiglione produttivo. Anche l’area di manovra, dedicata esclusivamente ai mezzi impegnati nel carico e scarico merci, è collocata lungo la porzione più di servizio del percorso, sul retro della fabbrica. Questa trova spazio in uno scarto planimetrico del lotto, in prossimità del magazzino e diametralmente contrapposta all’ingresso principale. La chiara separazione dei flussi e la scomposizione dei vari servizi si rispecchia anche nell’impianto planimetrico. Seppur distinti e indipendenti dalle altre funzioni, i singoli volumi entrano in relazione gli uni con gli altri per mezzo di un sistema di percorsi, interni ed
esterni, e di destinazioni d’uso intermedie che riescono a cucire i vari ambienti in un sistema totale. Le hall d’ingresso, una cardine dell’accesso per i clienti e l’altra accessoria, dedicata al centro uffici e alla foresteria, sono disposte in asse tra loro e sono rivolte rispettivamente una verso il fronte principale, l’altra verso quello secondario della strada di servizio alla fabbrica. Il primo ingresso costituisce la vera e propria accoglienza, l’altro invece, è un passaggio freddo coperto, che raccoglie il flusso del personale, non necessariamente filtrato dalla hall principale. Nella loro contrapposizione tagliano trasversalmente l’impianto e richiamano il disegno dell’ingresso passante che caratterizza gran parte degli accessi alle case rurali. Come la loggia nelle abitazioni agricole, così la sistemazione dei due ingressi è sufficiente a definire la direzione di sviluppo dei movimenti interni dell’azienda. Da un lato tutti i reparti amministrativi destinati alla produzione 41 e alla vendita, dall’altra una se-
Profili longitudinali e planimetria del piano terra.
rie di funzioni indirizzate alla cura e alla considerazione dei rapporti con ospiti e clienti. Dalla hall d’ingresso su via Romagnoli è possibile accedere direttamente allo showroom commerciale. Un primo ambiente ricettivo, nel quale sono sistemati due uffici vendite, introduce alla galleria fotografica. Questa ospita, insieme a una serie di espositori, alcuni prototipi studiati nelle varie collaborazioni e accompagna la visita ai tre volumi destinati ad accogliere la mostra dei più recenti prodotti dell’azienda. A conclusione del percorso espositivo è sistemato un deposito per il materiale d’archivio prodotto per fiere ed eventi. Accessibile agli ospiti in visita allo showroom, diventa esso stesso parte dell’esposizione. Allo stesso tempo svolge quindi la funzione espositiva insieme a quella più pratica di semplice appoggio sia per lo showroom, che per il magazzino di produzione. Tramite questa cerniera, lo showroom e il padiglione produttivo stabiliscono un punto di contatto attraverso una terza funzione. La stessa situazione si verifica nella connessione interme-
dia tra il settore produttivo e il blocco direzionale per mezzo di un ambiente organizzato per entrambe le parti. Il centro uffici si sviluppa parallelamente allo showroom e, accessibile dall’ingresso secondario, ospita i settori amministrativi necessari all’azienda. Distribuiti su due livelli, qui trovano posto gli uffici della direzione, gli architetti interni, i grafici, i laboratori tecnici e gli illuminotecnici. In una rigida e ben definita organizzazione degli spazi e delle mansioni è di nuovo l’elemento di connessione tra due volumi ciò che scaturisce una tensione. Alla fine della distribuzione longitudinale di questo volume è collocata un’area di collaborazione e interscambio di idee tra progettisti e tecnici. Qui trova luogo, insieme alle camere climatiche necessarie allo svolgimento dei test sui prodotti finiti, un’aula attrezzata dedicata a incontri e riunioni tra i vari ambiti produttivi. Sia lo showroom commerciale che il centro uffici lavorano come sistemi subordinati al padiglione produttivo e viceversa; si instaura così una relazione dinamica di partecipazione, che permette il continuo confronto di idee e
una catena produttiva ininterrotta tra i vari settori. Lo spazio destinato alla produzione è esaltato volumetricamente, rispetto agli altri corpi di fabbrica, dalla copertura a falde, che richiama alla mente l’andamento delle coperture delle cascine disseminate nella pianura. La struttura interna, costituita dalla ripetizione dell’allineamento in serie di pilastri ad albero collaboranti, settorializza l’ambiente interno adibito in parte a deposito e in parte organizzato e attrezzato per le lavorazioni. Nella triplice separazione dell’impronta a terra, che ricorda la suddivisione della stalla-fienile in stalla vera e propria e portici laterali, anche il padiglione produttivo è accompagnato sui fianchi da una serie di servizi minori che accolgono gli spogliatoi, i laboratori chimici e di cartongesso, la minuteria e materioteca e le lavorazioni private di Hermès. Questi spazi trovano posto lungo il perimetro del progetto, rivolti verso l’esterno.Costretti ad aprirsi, per permettere l’adeguata illuminazione e aerazione degli spazi di lavoro in- 43 terni, si relazionano con il conte-
sto in modo completamente diverso rispetto a come invece si rivolgono gli altri ambienti verso la grande corte centrale e gli altri giardini privati. La piastra del basamento rivestita in mattoni e i volumi che si elevano al di sopra di essa mantengono un carattere complessivamente introspettivo. Questi elementi, chiari nella loro definizione e separazione, rinnegano un confronto diretto con l’esterno e si presentano come entità totalmente cieche. Oltre a mostrare il carattere riservato del progetto, la scelta di non rivolgersi mai verso la situazione esterna pallida, disordinata e confusionaria garantisce, a chi quotidianamente frequenta questi spazi per lavoro, un affaccio su un quadro più silenzioso e misurato. Il piano superiore del centro uffici, nel quale è organizzato il gruppo gestionale dell’azienda, si articola intorno a tre corti, ciascuna delle quali caratterizzata da diverse dimensioni e gradi di aggregazione. La più grande garantisce una pertinenza esterna attrezzata per la sala da pranzo e per l’aula magna, verso quella più intima e ridotta, invece, si affacciano gli uf-
fici dei preventivi speciali e su misura. Nell’insieme assumono le sembianze di una nuova corte, ridotta e secondaria rispetto a quella centrale del progetto. L’idea di inserire altri giardini, dedicati ciascuno a determinate porzioni di progetto, torna in più episodi, soprattutto per garantire agli ambienti a livello stradale una maggiore riservatezza. Sono utilizzati nel fronte a sud degli uffici, per schermare quelli rivolti verso la strada del piano terra; in adiacenza alle camere della foresteria, per garantire una pertinenza totalmente privata; negli spazi intermedi tra i volumi dello showroom, adatti anche a ospitare esposizioni esterne. Il basamento, nel momento in cui, come in queste occasioni, è costretto a concedere degli spiragli di dialogo al contesto, è continuamente mediato da un grigliato in laterizio. La gelosia, disegnata dalla disposizione dei mattoni a losanghe, filtra le connessioni tra le due realtà. Il carattere fortificato, messo in mostra nei confronti del distretto produttivo, è ribaltato all’ombra della pensilina che cinge internamente la corte. Il giar-
dino centrale, separato ed esaltato per mezzo di uno scarto di quota dal percorso che lo avvolge, è il nucleo centrale dell’organizzazione delle funzioni che si rivolgono verso la pertinenza privata. La corte, in un sistema come questo, dove convivono destinazioni d’uso e funzioni molto distanti tra loro assume quindi un ruolo aggregativo. Diventa emblema di collettività, il denominatore comune e il fine ultimo verso cui tendono tutti i vari ambienti che si relazionano con il giardino. La galleria fotografica nella sua interezza, la distribuzione al piano terreno del centro uffici, il teatro-scuola e in parte anche il padiglione produttivo, filtrato dall’utilizzo della solita gelosia, si affacciano ed entrano in relazione con la corte per mezzo di grandi vetrate continue. Prende forma così un’atmosfera interna mediata e scollegata dalla frenesia degli edifici industriali circostanti. Con l’intenzione di dar vita a situazioni di conforto anche nei luoghi di lavoro, la corte interna rimanda alla quiete bucolica della campagna e riconosce nell’equilibrio del paesaggio rurale, ormai troppo distante da quello dei distretti
Rappresentazione della vista d’ingresso al padiglione produttivo.
Rappresentazione della vista all’interno della hall d’ingresso alla fondazione.
produttivi, una delle sue manifestazioni più convincenti. La condizione di industria autostradale, dovuta alla posizione della fabbrica opportunamente dislocata in prossimità della direttrice Bologna-Padova, impone un confronto diretto con la grande arteria a scorrimento veloce. L’autostrada è una via di comunicazione del tutto sui generis. Dotata di alcune prerogative essenziali che non possiedono le altre vie di comunicazione, tra le quali la popolarità, non ha rivali quanto a libertà di spostamento, di traffico e di autodeterminazione di tempi e percorsi. La constatazione ovvia, quindi, che le autostrade siano un grande vettore di traffico e di scambi internazionali, di uomini e di merci, svela il motivo preferenziale per cui la maggior parte delle industrie scelgano di installarsi in prossimità di queste infrastrutture e tendano a distinguersi rispetto ad altre diversamente collocate. Oltre il complesso industriale l’unico elemento che si staglia al di fuori dei confini della corte è la torre della fondazione. Leggermente isolata dalla costruzione principale, si tratta di un intervento che
mira ad assumere un valore avanzato in fatto di ricerca sull’immagine aziendale e sull’autopubblicità, attento all’aspetto semantico, coerente con l’intero progetto. La torre della fondazione prende forma ricalcando le proporzioni non troppo slanciate dei campanili e delle torri rurali sparse nella pianura, che presentano solitamente un rapporto tra base e altezza di uno a due. È il solo elemento, dei diversi volumi costituenti la fabbrica, che insieme al filare di pioppi cipressini, si rivolge all’autostrada. Tenendo conto della reperibilità fugace del messaggio pubblicitario su questo fronte, il binomio tra architettura e natura diventa la sintesi di un linguaggio complesso, fortemente legato al carattere del territorio, il landmark della lettura e interpretazione del paesaggio. La torre ospita al suo interno la fondazione e assume un ruolo pubblico. Definisce quindi un luogo coinvolgente e attrattivo, svincolato dagli interessi prettamente produttivi dell’azienda. Con l’intenzione di aprirsi a nuove idee, la coesistenza di certe discipline speci-
fiche permette lo sviluppo di risonanze e intersezioni culturali imprevedibili. Al suo interno, infatti, l’ambiente a tutta altezza della hall d’ingresso esalta le forme plastiche della scala, che permette l’accesso ai vari livelli dedicati all’esposizione degli eventuali allestimenti temporanei. Un impianto ben fatto, esteticamente non meno che tecnicamente, è la maggior pubblicità che possa fare un’azienda, poiché torna a onore dell’amministrazione e dà le prime garanzie per una produzione scelta e accurata. (A.Melis, citato in Raja R., 1983, p 155).
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Tra tecnica e linguaggio
Pattern dei materiali.
L’approfondimento dell’aspetto costruttivo e tettonico trova ragione nella finalità di utilizzare l’occasione progettuale per una riflessione sul rapporto, non soltanto tra architettura e ingegneria, ma specialmente tra tecnica e linguaggio. La possibilità di aprirsi a flussi esterni e rendere eclettico il lavoro tecnico suggerisce come i criteri architettonici possano essere di grande aiuto e significato anche per l’aspetto più ingegneristico1. Il problema non viene affrontato soltanto dal punto di vista costruttivo, di particolari tecnologici, ossia di traduzione in termini tecnici di un’idea di architettura elaborata precedentemente. È piuttosto la continua interazione e dialettica tra tecnica e linguaggio che definisce i caratteri del progetto, dove la tecnica, al di là della risoluzione di un problema costruttivo, diventa chance per ampliare la gamma delle modalità espressive e linguistiche. L’intenzione è quella di sfruttare certi pretesti dati dai manufatti rurali per compiere delle scelte di architettura: il profilo volumetrico diversificato, la torre colombaia, il portico d’ingresso, le coperture a falde, la porta morta. In questo modo i caratteri dei singoli elementi tecnici si trasformano in idee per il progetto di architettura, con la volontà di connotare positivamente l’infrastruttura e il paesaggio in cui va a inserirsi.
L’esperienza maturata con la ricerca analitica condotta sulle case rurali della pianura emiliana, in particolare quelle del bolognese, ha accompagnato la concezione del progetto durante tutto il suo evolversi. Concezione intesa come idea basilare, programma-guida, progetto mentale. Analizzando l’aspetto costruttivo dei fabbricati agricoli è evidente come le tecnologie impiegate sono state quasi sempre una risposta sapiente e intelligente alla mancanza di risorse e ai limiti imposti dalle condizioni climatiche, caratterizzate da frequenti precipitazioni e umidità. L’utilizzo del mattone pieno è dovuto al fatto che le zone circostanti sono ricche di argilla e che questo possiede ottima resistenza meccanica, coibenza termica, comodità di trasporto e messa in opera. Le strutture in laterizio, di regola, assolvono sia alla funzione di chiusura dell’ambiente dall’esterno, sia a quella statica di sostegno delle strutture dei solai e delle coperture generalmente realizzate in legno. Specialmente nella stalla fienile si nota una più dedicata espressione ed attenzione nella struttura. A differenza di altre aree territoriali, anche prossime per ragioni geografiche, questo tipo edilizio nella realtà agricola della pianura bolognese è rimasto inalterato nell’organizzazione logica e costruttiva, dalla
sua codificazione nella prima metà del Settecento. Lo schema insediativo presenta, nella sua semplicità, la massima rispondenza alle esigenze funzionali originarie e ciò ne ha decretato il suo successo. Nel tempo sono stati costruiti edifici, destinati alla singola funzione di accogliere il bestiame, delineati da una grande dignità architettonica e quindi divenuti saldamente tipici della tradizione costruttiva bolognese. La struttura, in certi casi forte e massiccia per la presenza dei pilastri in mattoni, in altri esilissima e aerea per l’utilizzo del calcestruzzo armato, determina i caratteri di un edificio a pianta libera, articolato sotto una grande copertura dalla geometria regolare e dalla forma molto compatta. Questa è definita da un’orditura primaria che può essere costituita da capriate, o più comunemente da un sistema misto di travi e colonnelli, che spesso sostengono una seconda corona più interna, fino a reggere il colmo che è sempre privo di diretti sostegni verticali. I tetti sono sempre realizzati in legno e le essenze maggiormente utilizzate per la grande orditura sono il pioppo, l’abete e il rovere, con netta prevalenza per la prima in quanto facilmente reperibile sul posto. I caratteri strutturali, soprattutto per la scelta dei materiali utilizzati nella costruzione di questo de- 49 terminato tipo edilizio, hanno
Dettaglio costruttivo e maquette in scala 1:2.
Solaio di copertura _lamiera di colmo in zinco-titanio _massetto delle pendenze in cls alleggerito con canale di raccolta delle acque piovane in alluminio _guaina impermeabilizzante _pannelli coibenti in sughero _tavolato in legno di pioppo _trave secondaria in legno lamellare di pioppo Sistema di vetratura _profilo a scatto in policarbonato uvp _pannello in policarbonato alveolare _montante in acciaio zincato _intelaiatura con lastre orizzontali di irrigidimento in legno lamellare di pioppo _montante in acciaio zincato _pannello in policarbonato alveolare Solaio di copertura _strato di ghiaia _massetto delle pendenze in cls alleggerito con canale di raccolta delle acque piovane in alluminio _guaina impermeabilizzante _pannello per isolamento termico _barriera al vapore _soletta collaborante in cls con rete elettrosaldata _trave alveolare a fori circolari profilo IPE 300 _trave secondaria profilo IPE 160 _controsoffitto in cartongesso Chiusura verticale _grigliato a losanghe realizzato con mattoni S.Anselmo CR001 ISC _rivestimento in mattoni S.Anselmo CR001 ISC _malta addittivata con colla _isolante esterno realizzato con cassero a perdere in EPS _getto in ca _isolante interno realizzato con cassero a perdere in EPS _finitura interna con intonaco Chiusura verticale interna _scaffalatura realizzata su disegno _finitura interna con intonaco _isolante acustico in lana di roccia _getto in ca _isolante acustico in lana di roccia _finitura interna con intonaco Solaio controterra _pavimentazione in lastre in cemento resina 300x300 su malta di alloggiamento _massetto in cls alleggerito portaimpianti e pannello portatubi con carta anticondensa _barriera al vapore _pannello per isolamento termico _getto in ca con rete elettrosaldata 200x200 _vespaio ventilato con moduli di tipo iglù in plastica _magrone _terreno stabilizzato Pavimentazione esterna _pavimentazione in lastre 600x300 di arenaria macigno extraforte _strato di malta livellante _massetto delle pendenze in cls alleggerito con canale di raccolta delle acque piovane in alluminio _guaina impermeabilizzante _strato di base misto bitumato _sottofondo _terreno stabilizzato
2 mm 100 mm 2x80 mm 45 mm 400x80 mm 5 mm 20 mm 50 mm 230x230 mm 50 mm 20 mm
100 mm 100 mm 150 mm
100 mm 100 mm 20 mm 90 mm 250 mm 60 mm 20 mm 600 mm 20 mm 30 mm 250 mm 30 mm 20 mm
30 mm 150 mm 120 mm 170 mm 360 mm 200 mm
100 mm 50 mm 150 mm 200 mm 300 mm
Solaio di copertura _strato di ghiaia _massetto delle pendenze in cls alleggerito _guaina impermeabilizzante _pannelli coibenti in sughero _barriera al vapore _tavolato in legno di pioppo _controsoffitto in legno _trave portante in legno lamellare di pioppo Solaio di copertura _strato di ghiaia _massetto delle pendenze in cls alleggerito con canale di raccolta delle acque piovane in alluminio _guaina impermeabilizzante _pannelli coibenti in sughero _barriera al vapore _soletta collaborante in cls con rete elettrosaldata _trave alveolare a fori circolari profilo IPE 300 _trave secondaria profilo IPE 160 _controsoffitto in cartongesso Chiusura verticale interna _finitura interna con intonaco _isolante acustico in lana di roccia _getto in ca _isolante acustico in lana di roccia _finitura interna con intonaco
6
&
Sistema di vetratura _infisso in legno con doppiovetro laminato temperato _pilastro in acciaio _intonaco di finitura _sistema di oscuramento in tessuto
2 ( *
6
30 mm 1650x200 mm
100 mm 30 mm 2X80 mm 150 mm
20 mm 30 mm 250 mm 30 mm 20 mm
30 mm 130 mm 150 mm
600X70 mm
300X200 mm
&
2 +
Solaio intermedio _pavimentazione in lastre in cemento resina 300X300 su malta di alloggiamento _massetto in calcestruzzo allegerito portaimpianti e pannello portatubi con carta anticondensa _soletta collaborante in cls con rete elettrosaldata _trave alveolare a fori circolari profilo IPE 300 _trave secondaria profilo IPE 160 _trave portante in legno lamellare di pioppo _controsoffitto in cartongesso
100 mm 30 mm 2x80 mm
(
*
?
-
+
?
Solaio controterra _struttura in acciaio zincato rivestita con pannelli in legno _massetto in cls alleggerito portaimpianti e pannello portatubi con carta anticondensa _barriera al vapore _pannello per isolamento termico _getto in ca con rete elettrosaldata 200x200 mm _vespaio ventilato con moduli di tipo iglù in plastica _magrone _terreno stabilizzato Pensilina _lamiera di colmo in zinco titanio _barriera al vapore _massetto delle pendenze in cls alleggerito _guaina impermeabilizzante _soletta in ca _finitura con intonaco _trave portante in legno lamellare di pioppo
450 mm 150 mm 100 mm
360 mm 200 mm
2 mm 100 mm 30 mm 180 mm 20 mm 600X70 mm
Dettaglio costruttivo.
definito i sistemi tecnologici adottati per la nuova fabbrica. La realizzazione dell’edificio è basata su tutto il corpo di fabbrica ancorato a fondazioni continue del tipo a cordolo. Queste si estendono per l’intera lunghezza dei muri in elevazione, dei quali costituiscono un costante appoggio. Le fondazioni di questo genere permetto una corretta distribuzione dei carichi della struttura verticale, sono realizzate in calcestruzzo con sezione rettangolare e hanno una larghezza leggermente superiore a quella delle pareti sovrastanti. Le chiusure perimetrali della fabbrica sono posate in opera con il sistema costruttivo definito climablock. Questo consente di realizzare pareti in cemento armato in grado di integrare le capacità di resistenza meccanica del calcestruzzo con le capacità di isolamento termico del polistirene. Tramite blocchi, collegati tra loro per mezzo di un incastro guidato, realizzano una casseratura in EPS atta a ricevere il getto e a portarlo a maturazione. I casseri rivolti verso l’esterno hanno uno spessore di 9 cm, quelli sul fianco interno del getto invece di 6 cm.
Esternamente le pareti sono rivestite con mattoni faccia a vista del tipo corso CR001 ISC. Si tratta di un formato inedito, con dimensioni 50x4x10 cm, realizzato dalla fornace Sant’Anselmo con sede in provincia di Padova. Rispetto al mattone bolognese, più tozzo nelle sue proporzioni, questa tipologia conferisce allo sviluppo fortemente longitudinale dei prospetti una maggiore qualità estetica, riprendendo però la colorazione rossa, tipica del mattone tradizionale. L’azienda garantisce inoltre anche la fornitura degli elementi necessari per il montaggio della gelosia. Questa è realizzabile con la stessa tipologia di mattoni utilizzati per il rivestimento esterno, posati direttamente in opera, con il semplice taglio degli angoli in modo da ridurre il giunto di malta e garantire maggiore stabilità. Il motivo decorativo, che assume dimensioni anche rilevanti, è reso stabile al ribaltamento grazie all’utilizzo di malta additivata con colla.Nei casi in cui è necessario garantire maggiore stabilità alla struttura è opportuno disporre i corsi orizzontali su due file
di mattoni e alloggiare l’armatura nel giunto di malta tra questi elementi. Le chiusure orizzontali, interne ed esterne, sono realizzate con travi alveolari e travetti in acciaio. La definizione di due diverse tipologie di solaio è necessaria per risolvere il problema della copertura in episodi che presentano caratteristiche dimensionali diverse. In alcuni ambienti, anche se in numero ridotto, il passo strutturale risulta essere maggiore di 6,50 metri, mentre per il resto della costruzione l’interasse tra gli appoggi non supera questa distanza. Naturalmente le due coperture differiscono soltanto per l’utilizzo di sagome diverse. Nel primo caso sono impiegati profili IPE600 per le travi alveolari e IPE330 per i travetti, nell’altro invece rispettivamente IPE300 e IPE160. Le installazioni e le infrastrutture tecniche, delle quali fanno parte anche gli impianti di aerazione e illuminazione che offrono le condizioni ideali per lo svolgimento delle diverse attività, sono integrate in modo organico nel progetto della struttura, oppu- 53 re inserite nell’intercapedine del
controsoffitto che definisce le varie altezze dei locali interni. La carpenteria è completata da serramenti e rivestimenti interni in legno, l’altro materiale da costruzione derivato dallo studio morfologico delle cascine. “Storicamente l’utilizzo di tipologie diverse delle forme edilizie e anche delle strutture nasceva dall’adattamento alle diverse condizioni climatiche e ambientali ed insieme dall’impiego di materiali costruttivi locali con procedimenti operativi quasi sempre tradizionali”2. È soprattutto negli elementi strutturali realizzati con l’utilizzo di questo materiale che si nota una certa corrispondenza con le strutture tipiche delle costruzioni rurali. La pensilina, che si sviluppa sui quattro lati della corte e offre riparo al percorso esterno lungo tutto il suo perimetro, interpreta il portico tradizionale con un linguaggio contemporaneo. Questa consiste di una soletta in calcestruzzo armato di 18 cm di spessore ed è sostenuta da travi in legno lamellare di pioppo aventi altezza 60 cm e spessore 7 cm. Le travi strutturali hanno sempre due punti di appoggio a di-
stanza variabile compresa tra i 2,00 m e i 4,20 m e aggettano anche in questo caso con dimensioni diverse comprese tra i 4,00 e i 7,00 metri. La trama delle travi portanti viene poi infittita per mezzo della ripetizione degli stessi elementi con un ritmo più serrato, per contrapporsi allo sviluppo longitudinale del percorso esterno di collegamento tra le varie funzioni della fabbrica. La struttura portante lignea torna anche nella copertura del teatro-scuola, necessaria per superare una luce di circa 10,00 m. Internamente la doppia orditura di travi a vista definisce un cassettonato a compartimenti quadrati che caratterizza l’arena espositiva e prevede l’alloggiamento dei vari strumenti di illuminazione, necessari per lezioni ed esposizioni. In questo caso però la struttura in legno viene verniciata con una tinta di colore bianco, così da dialogare in modo organico con le pareti perimetrali e garantire la massima adattabilità a qualsiasi tipo di evento. Ma è soprattutto nello scheletro puntiforme del padiglione produttivo che
il tema delle strutture in legno trova la sua manifestazione massima. Un ampio spazio libero a sezione variabile, che raggiunge l’altezza minima indicata dall’azienda di dieci metri, è scandito dalla triplice ripetizione dell’allineamento di quattro pilastri ad albero collaboranti. Questi costituiscono la struttura portante e il carattere più espressivo del capannone dedicato alle lavorazioni interne dell’azienda. Ogni pilastro è ancorato al proprio plinto di fondazione, adeguatamente dimensionato, tramite un elemento prefabbricato in calcestruzzo. Alla base di questo componente sono predisposte delle scarpette HCC, mentre gli ancoraggi HAB, profondi 70 cm, sono posizionati nella fondazione opportunamente distanziati da una dima metallica. Durante il montaggio questi pezzi sono connessi tramite dadi. Successivamente lo spazio rimanente tra la fondazione e il pilastro viene riempito con malta ad alta resistenza a ritiro compensato, per garantire una connessione rigida alla struttura. I singoli elementi in legno lamellare di pioppo che, insieme al componente
Rappresentazione della vista all’interno del padiglione produttivo.
Maquette in scala 1:50.
Maquette in scala 1:50.
prefabbricato, costituiscono il pilastro ad albero vero e proprio, hanno ciascuno sezione 40x60 cm. La connessione dei singoli elementi che compongono il pilastro avviene per mezzo di una forcella con fori asolati. Tramite ancoranti a vite e connettori portapilastro in acciaio al carbonio è garantita la prestazione della struttura. A questo sistema si sovrappone poi la copertura degli oltre 3000 mq del padiglione produttivo. La membratura del tetto è costituita da un’orditura principale di travi binate in legno lamellare di pioppo aventi sezione 120x18 cm, e da una trama secondaria di travi, anch’esse in pioppo, aventi sezione 40x18 cm. Per quanto riguarda la chiusura della copertura viene utilizzato un tavolato maschiato in pioppo, che definisce il piano di appoggio per la sovrapposizione dei vari strati di isolanti e impermeabilizzanti, completati poi da un secondo tavolato in legno grezzo appoggiato su una doppia orditura di listelli per la ventilazione e dal rivestimento esterno costituito da una lamiera in zinco-titanio aggraffata.
Nell’intercapedine tra le travi binate principali viene integrato il sistema d’illuminazione artificiale. “Vengono utilizzati degli apparecchi di illuminazione a sospensione, realizzati con un tronco di piramide in alluminio ossidato verniciato a polvere con un’asta di sospensione rigida in acciaio cromato, con diffusore completo di ottica lamellare frangiluce composta da alette in ottone naturale sabbiato, policarbonato satinato e lenti diffondenti”3. Per quanto invece riguarda l’illuminazione naturale degli ambienti di lavoro interni, che prediligono una luce diffusa e omogenea, questa è garantita dal rivestimento in policarbonato opale, che trova posto, appena sopra il piano terra destinato agli spogliatoi e ai laboratori tecnici, lungo tutto il perimetro del padiglione. La struttura intelaiata costituita da montanti e lastre di irrigidimento in legno, aventi sezione 23x23 cm, permette la corretta posa in opera dei pannelli alveolari in policarbonato che hanno ciascuno spessore 2 cm. A conclusione del discorso costruttivo è opportuno specificare che la costruzione, per garantire una corretta
adempienza alle norme antisismiche in vigore, è suddivisa in strutture minori. L’introduzione di giunti sismici, in corrispondenza delle connessioni tra i diversi fabbricati garantisce una risposta autonoma delle strutture e impedisce la propagazione degli effetti. Nei punti di taglio è necessario considerare la realizzazione di nuove pareti di bordo, che devono mantenere tra loro una distanza non inferiore a 1/100 dell’altezza della costruzione con sviluppo verticale maggiore. L’Architettura non è mai cambiata, fin dagli inizi. Il problema è sempre lo stesso: mettere un tetto, proteggere l’uomo, proteggerlo dall’esterno e dunque costruire il rapporto tra terra e cielo. Il tema è sempre stato e continua a essere questo. (Snozzi L., 2016).
1 Conzett J., 2007, Architettura nelle opere di ingegneria, Umberto Allemandi & C. 2 AA. VV., 1995, “Costruire in Laterizio”, n. 47, Di Baio Editore. 3 Viabizzuno (azienda), 2018, Manuale della luce 03, Viabizzuno.
Dettaglio terra-tetto della struttura.
Solaio di copertura _lamiera di colmo in zinco-titanio con canale di raccolta delle acque piovane in alluminio _tavolato in legno grezzo _listelli in legno grezzo _guaina impermeabilizzante _pannelli coibenti in sughero _barriera al vapore _tavolato maschiato in legno di pioppo _trave secondaria in legno lamellare di pioppo _trave principale binata in legno lamellare di pioppo _sistema di illuminazione a sospensione integrato nella struttura Sistema di ancoraggio _elemento portante in legno lamellare di pioppo _forcella con fori asolati _ancorante a vite _connettore portapilastro in acciaio al carbonio _elemento prefabbricato in cls Plinto di fondazione _elemento prefabbricato in cls _scarpetta tipo halfen hcc _dima di montaggio _ancoraggio di fondazione con tirafondi hab _armature pilastro di fondazione _sottoplinto in ca gettato in opera Solaio controterra _resina cementizia spatolata _massetto in cls alleggerito portaimpianti e pannello portatubi con carta anticondensa _barriera al vapore _pannello isolante in polistirene espanso estruso _strato isolante di polietilene espanso _massetto di livellamento portaimpianti elettrico e idrico _soletta in cls con rete elettrosaldata 200x200 mm _vespaio ventilato con moduli di tipo iglù in plastica _barriera alla risalita di umidità _magrone _ghiaione _terreno stabilizzato
2 mm 25 mm 50 mm 2x80 mm 45 mm 400x80 mm 1200x180 mm
400x600 mm 60 mm 48 mm
30 mm 700 mm 10 mm 1450 mm 30 mm 150 mm 110 mm 10 mm 120 mm 50 mm 360 mm 200 mm
59
Postfazione fin dove si sente “bella la montagna, bellissimo il mare. ma la mia pianura quanto è più bella!!!” mn
un viaggio, un percorso, un racconto. oltrepassando soglie, attraversando porte, una strada da intraprendere a volte da soli, ma sempre da condividere per costruirsi, per costruire insieme. si apre la porta, la luce entra, ogni uomo che la attraversa è portatore della propria luce attraverso il suo lavoro. ogni uomo riflette nella consapevolezza della propria ombra. in alto guarda l’uomo, dal basso cresce la sua storia per la costruzione del futuro fatto di credo, di valori, di ideali, di passioni. solida base per accedere ai diritti di tutte le genti. la luce scandisce il tempo con la sua ombra, peso della storia che è stata. lodiamo i tempi antichi per imparare a vivere nei nostri. è con l’impegno di tutti che si innalza un grande progetto senza confini né pregiudizi, nel rispetto delle diverse culture e delle diverse religioni, forti delle proprie tradizioni nella consapevolezza del dovere di costruire un percorso comune. attraversando le porte del viaggio l’uomo ritrova la sua luce. grande il lavoro di enrico, che è riuscito ad interpretare tutti questi miei pensieri, i miei sogni, il mio lavoro.
marionanni fondatore e responsabile del pensiero progettuale di Viabizzuno bentivoglio, bologna
61
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Indice
Presentazione Fabrizio F.V. Arrigoni
5
Prefazione
7
Traversata delle pianure Tagliando per i campi Costellazioni L’occupatore
9 11 15 21
In una giungla di cemento Case sparse Sotto questo cielo metallico Tra tecnica e linguaggio
23 25 31 49
Postfazione
61
Bibliografia
62
63
Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze 2021
Viaggiando nelle periferie della valle padana è difficile non sentirsi stranieri. Appena fuori dalle città finisci in un paesaggio anonimo che per trasformarsi in industria ha furiosamente svenduto se stesso. L’autostrada Bologna-Padova è una marea di traffico pesante, incessante rumore di camion che passano e aria che vibra. Nella grigia giungla di cemento dell’area produttiva Castello-Bentivoglio, la nuova fabbrica esprime il linguaggio dell’architettura rurale. Il padiglione produttivo, con il centro ricerca, lo showroom e il teatro disegnano una corte intorno alla quale si articola l’intero sistema, diffidente verso ciò che esternamente lo circonda. La torre, insieme a un filare di pioppi cipressini trasforma per un istante l’interminabile autostrada in una qualunque strada di campagna. Il lavoro è stato premiato come vincente al concorso di tesi ATA2021, bandito da Archistart. Enrico Lanfredini. Più volte ho scherzato sul fatto di essere nato a diciannove anni. Dalla leggerezza di inizio percorso alla totale dedizione per ciascun lavoro, il viaggio verso l’Architettura è senza dubbio il più memorabile tra i vari intrapresi. C’è la presa di coscienza, la fatica, la passione smisurata.
ISBN 978-88-3338-148-0