contrastanti ricezioni della sagrestia nuova Massimiliano Rossi
Università del Salento
The image of the Sagrestia Nuova as a severe, bicrome structure, witness of the enduring legacy which would have been inspired by Brunelleschi, is a mere reconstruction of Cosimo’s age, paradoxically codified in absence of his own author. Its material history reflects perfectly the distinction – present in Vasari’s Vite – between the Drawing’s primacy and the realm, potentially anarchic, of the pictorial variety. Vasari will worry about cutting, with the sword of his historical -theoretical system, what the clementine patronage had joint, although in a precarious equilibrium: Raphael’s manner and Michelangel’s one. In doing so he will offer a partial and instrumental interpretation of the wavering Buonarroti’s attitude towards the ornamental decoration. On these bases, this contribution has, therefore, the aim at accounting for Sixteenth – and Seventeenth – Centuries “aberrant” reuses happened to Michelangelo’s statues as well as for those reappearances which propose a “normalized” version of them.
I La ricomparsa dell’Aurora e del Crepuscolo (fig. 2) in gesso, nelle misure originali dei prototipi, nel favoloso ninfeo della Villa Visconti Borromeo Litta di Lainate, presso Milano, nei tardi anni Ottanta del Cinquecento1, è il punto di partenza per me e direi la più sconcertante delle riproposizioni sulle quali mi è stato chiesto di intervenire. La loro riconfigurazione nel genere di statue da giardino, parallela alla ben più celebre dei sistemazione Prigioni nella buontalentiana grotta grande a Boboli realizzata tra il 1584 e il 15852, testimonia una fortuna totalmente alternativa a quella in chiave di grave, alta retorica funebre che la destinazione delle statue avrebbe dovuto imporre in maniera unilaterale, e che va di pari passo con la progressiva obliterazione dell’originale, incompiuta, struttura architettonico-decorativa della Sagrestia Nuova: una cancellazione che ha – com’è noto – in Vasari il principale responsabile sia in chiave di architetto che in quella di biografo (Carrara, Ferretti, 2016). Vorrei perciò affidare alla contrastante ricezione nella critica e storiografia così come nella concreta prassi imitativa cinquecentesche (ma in un caso, clamoroso, anche secentesche) il compito di illuminarci sulle vie della fortuna – lo vedremo antitetiche più che divergenti – alle quali condusse l’ambiguità prima di tutto iconografica delle celeberrime statue michelangiolesche, duchi inclusi, sulla quale tanto ha insistito – fors’anche troppo – la critica più recente (Residori, 2014; id., 2017; Nelson, 2017;
Desidero ringraziare Alessandro Morandotti e Adriano Anzani che mi hanno consentito di esaminare da vicino le statue del Ninfeo di Lainate, forse ricavate “dalle matrici che Leone Leoni conservava nel suo palazzo di Milano, insieme a molti altri calchi di statue illustri del presente e del passato”, cito da Morandotti, 2005, p. 48, al quale si dovranno aggiungere Boucher, 1981 e i contributi di Cupperi, 2004 (2005a) e Cupperi, 2004 (2005b). Sulla diffusione dei calchi in altri contesti, oltre al saggio nel presente volume di Monica Bietti pp. 103-121, vedi anche Fadda 2019. 2 In ultimo Conticelli, 2014. 1
massimiliano rossi
pagina a fronte Fig. 1 Michelangelo Buonarroti, Tomba di Lorenzo duca d’Urbino, Firenze, Sagrestia Nuova