Introspection w
Promuovere il cambiamento sociale, progettare per il bene pubblico Susanna Cerri
Grafici modesti, lavoratori tra masse di gente semplice che ha il diritto di partecipare alla comunicazione, alla cultura, al sapere, alla gestione sociale. Grafici che sentano che la tecnica è un mezzo per trasmettere cultura e non strumento fine a sé stesso per giustificare la sterilità del pensiero o peggio per “sollecitare inutili bisogni”. Albe Steiner
Il mestiere di Grafico 1978
instant book
DIDALABS
Il volume raccoglie gli esiti del Modulo di Grafica, all'interno del Corso di Communication Design, al primo anno di Laurea Magistrale in Design, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Firenze. Il corso, tenuto da Laura Giraldi e Susanna Cerri, affronta temi del Comunication design da un duplice punto di vista: quello della comunicazione del design, legato più alle caratteristiche comunicative del prodotto, alla sua capacità di dialogo con l'utenza (Laura Giraldi), e quello parallelo della comunicazione visiva legato alle forme espressive del testo e delle immagini (Susanna Cerri) Il volume contiene una selezione dei lavori prodotti dagli studenti nel secondo semestre dell'anno accademico 2019-2020. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.
progetto grafico susanna cerri
didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze
Stampato su carta Fedrigoni Arena Rought
didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2020 ISBN 978-88-3338-140-4
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Introspection Promuovere il cambiamento sociale, progettare per il bene pubblico.
You have to be smart, and yo about the nature of commun by training. But of course, wh always been to me the reaso an ethical practice. If the pra communicating ideas, then y for what you're communicati consequences of what we do communication.
ou have to know something nication, either by instinct or hat you're suggesting has on for supporting the idea of actice is, in fact, involved in you have to be responsible ing. I can never separate the o from being in the world of Milton Glaser
The design of dissent 2005
At one time graphic design was used primarily for th commerce, but today social communication is the ce graphic designers and this necessitates well-develop information design, social interaction and semantics Expertise in persuading consumers to purchase prod developed, and now persuasive skills must be applie positive social behaviour, such as ethnic and racial t conservation and environmental citizenship. Encouraging behavioural change has, in fact, becom greatest tasks of the graphic designer. The cultivatio judgment — the use of typography, organisation of i of symbols and logotypes — must be taught as mea communication rather than simply as aesthetic techn denigrate the typographic sophistication of classic Swiss design or the symbolic power of Polish poster to emphasise that visual technique has a social purp Victor Margolin Icograda Design Education Manifesto 2011
he promotion of entral challenge for ped principles of s. ducts is highly ed to promoting tolerance, energy
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Può il design promuovere il cambiamento nei comportamenti sociali?
rs, but rather pose. Victor Margolin1 in questo brano, estratto dal Icograda Design Education Manifesto2, già nel 2011 poneva l’attenzione su quello che è diventato ancor più oggi, nella nostra contemporaneità, un nodo fondamentale del ruolo del graphic designer 1 Victor Magolin, autore, accademico e teorico della disciplina, domandandosi se e in che modo, insegnando desi è espresso frequentemente sul sign, possiamo aiutare gli studenti a impegnarsi in ruolo del design nella società. In una intervista del 3 marzo 2010 un mondo notevolmente interconnesso e immediacon Russell Kennedy, presidente to come quello dove si trovano a esprimersi, ma più di Icograda sosteneva che “I designer hanno la capacità di frammentato, instabile e totalmente disconnesso da cambiare il mondo perché hanno ciò che conta davvero (Resnick 2015). l’esperienza per progettarlo. Ma la storia del design è stata una L’idea alla base del pensiero che stiamo parafrasanstoria di rapporti di potere distorti do è quella che sia necessaria una trasformazione in cui i clienti hanno avuto la maggior parte del potere ei designer hanno risposto alle loro
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richieste piuttosto che proporre i propri progetti. Ovviamente il problema è il capitale. Qualcuno deve pagare per il design e questo è stato il problema più grande nel tentativo di promuovere un ruolo più proattivo per i designer. Chi pagherà per il lavoro? Ho sostenuto altrove che i designer devono essere sostenitori molto più forti di ciò che credono dovrebbe essere progettato e devono lavorare di più per persuadere coloro che hanno un capitale a investire nei loro progetti”. (cfr. https://www. ico-d.org/connect/features/ post/359.php) 2 L’Icograda Design Education Manifesto, è un documento fondamentale che definisce la posizione dell’International Council of Design sull’educazione al design. Icograda Design Education Manifesto è stato sviluppato nel 2000 attraverso la collaborazione di un gruppo internazionale di designer. I partecipanti rappresentavano una sezione trasversale geograficamente, politicamente, economicamente, culturalmente e socialmente diversificata della comunità dell’educazione al design. Il Prof. Ahn Sang-Soo (Corea del Sud) ha guidato il progetto che
dell’educazione al design intesa a riconsiderare come realmente formeremo le nostre future generazioni di giovani professionisti. La tradizione della progettazione grafica si è sviluppata prevalentemente negli anni, come sostegno e promozione del commercio ma sono diversi e significativi i momenti dove graphic designers ma anche fotografi, scuole progettuali ecc, “riflettono e si pronunciano circa la dimensione etica della professione, lo specifico del suo ambito disciplinare, il proprio ruolo nei confronti della società, ed, infine, sul valore che, dal punto di vista economico, umano e culturale, il progetto ha nei confronti di quest’ultima”3. Si pensi
per esempio al manifesto del 1964 First Thinks First4 dove già si richiama con forza la necessità di identificare le priorità assumendo un “coraggio etico” con valori che vadano al di là del mero ritorno economico ritenendo importante se non irrinunciabile impegnare la propria professionalità in opere che, contemporaneamente, contribuiscano fattivamente al miglioramento della società. Il documento del ‘64 è stato aggiornato e ripubblicato con un nuovo gruppo di firmatari come manifesto First Things First 2000, da
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susanna cerri Può il design promuovere il cambiamento nei comportamenti sociali?
è stato tradotto in diciassette lingue e presentato all’Icograda Millennium Congress Oullim 2000 a Seoul. Oullim , la parola chiave dell’Icograda Millennium Congress, è una parola coreana che significa “grande armonia”. Proposto come un nuovo paradigma appropriato per il design, il concetto di Oullim invitava a “sintonizzare la natura, l›uomo e le macchine e di armonizzare est e ovest, nord e sud, così come passato, presente e futuro”. Il Consiglio Direttivo di Icograda 2009-2011 ha celebrato il 10° anniversario con un aggiornamento del Manifesto. Questo aggiornamento aveva lo scopo di aiutare a guidare il programma di studi di progettazione e fornire ai docenti e agli studenti gli strumenti per gestire i problemi attuali e futuri nella formazione del design. La sua forma e il suo contenuto si rivolgevano alla natura partecipativa e sociale dello scambio accademico nella comunità online di oggi, modellata dai progressi tecnologici. 3 Letizia Bollini, I“manifesti”, coscienza etica della professione, in Letizia Bollini, Carlo Branzaglia, (a cura di), No brand more profit / Etica e comunicazione, AIAP, 2003, p. 53 4 l manifesto First Things First redatto il 29 novembre 1963 e pubblicato nel 1964 da Ken Garland ha registrato sostegno da oltre 400 grafici e artisti e ha ricevuto anche l'appoggio di Tony Benn, parlamentare di sinistra radicale e attivista, che lo ha pubblicato nella sua interezza sul quotidiano «The Guardian».
Manifesto First Things First scritto e proclamato da Ken Garland, all'Institute of Contemporary Arts in una sera del dicembre 1963 e pubblicato nel gennaio 1964. Tra i vari punti si legge: “... abbiamo raggiunto un punto di saturazione in cui l'urlo acuto della vendita al consumo non è altro che puro rumore. Pensiamo che ci siano altre cose su cui vale la pena usare la nostra abilità ed esperienza. Ci sono cartelli per strade ed edifici, libri e periodici, cataloghi, manuali di istruzione, fotografia industriale, sussidi educativi, film, servizi televisivi, pubblicazioni scientifiche e industriali e tutti gli altri media attraverso i quali promuoviamo il nostro commercio, la nostra educazione, la nostra cultura e la nostra maggiore consapevolezza del mondo...” Ken Garland, First Things First, 1964.
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In un contesto come quello della Gran Bretagna ricca e benestante degli anni '60, ha cercato di ri-radicalizzare un'industria del design che i firmatari ritenevano fosse diventata pigra e acritica. Attingendo alle idee condivise dalla teoria critica, dalla Scuola di Francoforte e dalla controcultura dell'epoca, ha ribadito esplicitamente la convinzione che il design non è un processo neutro e privo di valori schierandosi contro una cultura consumistica che essenzialmente interessata all'acquisto e alla vendita di prodotti puntando su una a dimensione umanista alla teoria del
un gruppo di 33 figure della comunità internazionale del graphic design molto influenti quali Jonathan Barnbrook, Nick Bell, Andrew Blauvelt, Hans Bockting, Irma Boom, Sheila Levrant de Bretteville, Max Bruinsma, Siân Cook, Linda van Deursen, Chris Dixon, William Drenttel, Gert Dumbar, Simon Esterson, Vince Gelo, Ken Garland, Milton Glaser, Jessica Helfand, Steven Heller, Andrew Howard, Tibor Kalman, Jeffery Keedy, Zuzana Licko, Ellen Lupton, Katherine McCoy, Armand Mevis, J. Abbott Miller, Rick Poynor, Luciendesign grafico. ne Roberts, Erik Spiekermann, Jan van Toorn, Teal Triggs, Rudy VanderLans, Bob Wilkinson, e pubblicato simultaneamente su «Adbusters» (Canada), «Emigre» (numero 51) e AIGA Journal of Graphic Design (Stati Uniti), «Eye» n. 33 vol. 8, autunno 1999, Blueprint (Gran Bretagna) e Items (Paesi Bassi). Il manifesto successivamente è comparso in molte altre riviste e libri in tutto il mondo, con lo scopo preciso di generare discussioni sulle priorità della professione del designer e delle scuole di design. I firmatari del manifesto sostenevano che i designers hanno il dovere di prendere posizione nelle loro scelta di lavoro, per esempio non promuovendo industrie e prodotti percepiti come dannosi. Esempi di progetti che potrebbero essere classificati come inaccettabili includono molte forme di pubblicità e design per produttori di sigarette, compagnie di armi e così via. Anche nella cultura italiana numerosi sono stati i manifesti che hanno portato contributi e riflessioni sui temi del progetto sociale. A partire dalla Prima biennale del-
5 La lettera aperta di Margolin e Manzini che esorta tutti i progettisti ad agire e rispondere alla crisi che la democrazia sta attraversando è pubblicata su http://www.democracy-design. org/open-letter-stand-updemocracy/ 6 Daniela Piscitelli, First Things First. Comunicare le emergenze. Il design per una contemporaneità fragile, Listlab 2018, p. 150 7 Cfr. Dunne & Raby, Design for Debate, http://dunneandraby. co.uk/content/bydandr/36/0 <ultima visita maggio 2020>. Il tema è ripreso e trattato da Metahaven, Note sul design speculativo, in Giorgio Camuffo, Maddalena Dalla Mura (a cura di), Graphic Design Wolrlds/Words, Electa, 2011, p. 268. 8 cfr. Albe Steiner, Il mestiere di grafico, Einaudi 1978, p. 207.
la grafica, con la sua indagine sul manifesto di pubblica utilità, tenutasi a Cattolica nel 1984, alla Carta del Progetto grafico, con la pubblicazione delle tesi per un dibattito sul progetto della comunicazione, fino alla più recente Stand up for Democracy (2017)5, lettera aperta
alla Comunità del design firmata da Ezio Manzini e Victor Margolin. Tutte queste prese di posizione testimoniano una radicata tendenza a considerare il progetto di design come “sentinella dei disagi del mondo”6 nell’ottica della creazione di uno spazio nel quale il progetto rappresenti il luogo dove “definire in quale tipo di mondo vogliamo vivere”7. In Italia storicamente il tema del progetto come strumento della vita democratica ha avuto espressione e fondamento in una delle principali figure del secolo scorso, il progettista milanese Albe Steiner che individua la figura del progettista grafico non più come il designer che attraverso il bell’oggetto conforta la società ammalata, non più come uomo elegante, mondano, sorridente, scettico, egoista, narcisista, amante dei formalismi, bensì come soggetto che sente “responsabilmente il valore della comunicazione visiva come mezzo che contribuisce a cambiare in meglio le cose peggiori”8 . Oggi la comunicazione sociale, in tutte le sue molteplici forme, è diventata la sfida centrale per i grafici e l’esperienza che negli
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9 A Parigi nel maggio 1968, la rabbia e la frustrazione per la povertà, la disoccupazione e il governo conservatore del generale Charles de Gaulle, diedero luogo ad un movimento di massa per dei radicali mutamenti sociali, senza precedenti. La politica paternalistica e conservatrice del generale Charles de Gaulle e le vicissitudini della guerra d’Algeria e la crescita dei movimenti pacifisti degli Stati Uniti, contro guerra del Vietnam alimentarono le prime contestazioni. Nel mese di maggio, i lavoratori e gli studenti scesero nelle strade in una ondata di scioperi, manifestazioni e comizi e il 18 maggio 10 milioni di lavoratori sono in sciopero e tutte le fabbriche e le università sono state occupate. Durante questi giorni di fermento fu costituito l’Atelier Populaire, e gli studenti francesi cominciarono a mandare al potere la loro immaginazione. I docenti e studenti dell’Ecole des Beaux Arts erano in sciopero, e gruppo di loro si riunì spontaneamente nel dipartimento ‘litografiche’ per produrre il primo manifesto della rivolta, Unione delle Usines, Universités
anni abbiamo acquisito nel persuadere i consumatori ad acquistare i prodotti deve essere applicata alla promozione di comportamenti sociali positivi come la tolleranza etnica e razziale, il risparmio energetico e la cittadinanza ambientale in generale. Promuovere il cambiamento comportamentale è diventato uno dei compiti del graphic designer, a mio avviso il compito fondamentale. Ciò significa che l’uso della tipografia, l’organizzazione dell’informazione, la creazione del segno grafico nella sua complessità devono ora essere insegnate come strumenti utili alla comunicazione sociale piuttosto che come pure tecniche di comunicazione visiva. È superfciale e sbagliato pensare che lavorare sulla comunicazione sociale si riduca a elaborare azioni che inneggino alla rivolta, anche se questa è stata ed è ancora una componente innegabile. Negli anni abbiamo visto relazioni importanti e significative quali per esempio quella tra l’Atelier Populaire9 e il movimento politico del ‘68 a Parigi, ma “l’istigazione alla rivolta” è solo una piccola parte del lavoro di un attivista del design 14
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Alcuni manifesti comparsi sui muri nel maggio del '68 prodotti dall'Atelier Populaire
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e questa modalità, sebbene preziosa in certe situazioni, non è di certo l’unica. La progettazione che lavora per una transizione graduale verso obiettivi collettivi a lungo termine, anche se meno eclatante, è il tipo di progettazione che può aiutare la gente comune: un design che coinvolge le persone senza rivendicare una qualche superiorità morale10.
e i poster di Atelier Populaire progettati e stampati come anonimi, furono distribuiti gratuitamente. I manifesti prodotti dall’Atelier Populaire sono armi al servizio della lotta e ne costituiscono una parte inseparabile. Il loro posto legittimo è nei centri del conflitto, vale a dire nelle strade e sui muri delle fabbriche. Utilizzarli per scopi decorativi, mostrarli in luoghi di cultura borghese o considerarli come oggetti di interesse estetico significa compromettere sia la loro funzione che il loro effetto. Ecco perché l’Atelier Populaire ha sempre rifiutato di metterli in vendita. 10 Il riferimento è all’articolo di Natalia Ilyn “What design activism is and is not: a primer for student” pubblicato in Elizabeth Resnick, Developing Citizen Designers, Bloomsbury USA Academic, 2016, pp. 64-65. 11 Un esempio concreto e attuale di questo è il lavoro portato avanti da graphic designers come Peter Bil’ak e Thomas Huot-Marchand all’interno di progetti come quello di Decodunicode, Missing script e istituzioni come l’Atelier
Progettare per il design sociale significa spesso lavorare per chi non ha accesso agli strumenti della progettazione, al pensiero strategico o alla conoscenza dei sistemi di comunicazione di cui avrebbero invece necessità per difendere se stessi o le proprie cause, cause politicamente non vantaggiose, cariche di complessità, incentrate su gruppi e persone che non sono “attori” del mondo. Gli attivisti del design progettano per il bene pubblico e questo può voler dire salvare una lingua dall’oblio11, come sostenere le persone che hanno passato la vita a imparare a fornire aiuti umanitari ma non sanno nulla sulla progettazione di un sito web. Come disciplina, il Social Design, inizialmente ispirato tra gli altri dagli scritti di Victor Papanek12, ha quindi come obiettivo quello di incoraggiare designer e professionisti creativi ad adottare un ruolo proattivo per effettuare cambiamenti tangibili, per
A designer mu culturally, and for the impact on the citizenr
Pagine dal libro Milton Glaser, Mirko Iliċ, The design of Dissent, Rockport, 2017. In occasione dell'uscita in libreria della prima edizione del volume nel 2005 la School of Visual Arts di New York oranizzò una mostra di presentazione dove furono esposti oltre 100 manifesti di tutto il mondo. La mostra e il libro esaminano i contrasti tra governi e cittadini tradotti in grafica: pace, diritti umani, diritti degli animali, controllo delle armi, eguaglianza, conflitti, diritti delle donne, diritti degli omosessuali.
Steven Heller
Citizen Designer: Perspectives on Design Responsibility 2003
ust be professionally, socially responsible his or her design has ry.
rendere la vita migliore per gli altri, piuttosto che vendere loro prodotti e servizi di cui non hanno bisogno né desiderio.
National de Recherche Typographique di Nancy (cfr. https:// decodeunicode.org/, https://anrt-nancy.fr/fr/presentation/) 12 Nel 1972, Victor Papanek, designer e, all’epoca, Preside di Design presso il California Institute of the Art, pubblica il suo libro polemico Design for the Real World dove afferma “il disegno pubblicitario, che tende a persuadere la gente ad acquistare cose di cui non ha bisogno, con denaro che non ha, allo scopo di impressionare altre persone che non ci pensano per niente, è forse quanto di più falso oggi può esistere”. Il libro, inizialmente pubblicato in svedese due anni prima, guadagna rapidamente popolarità internazionale con la sua richiesta di una nuova agenda sociale per i progettisti. Dalla pubblicazione di Design for the Real World molti altri designer hanno risposto alla chiamata di Papanek e cercando di sviluppare programmi di progettazione per esigenze sociali che vanno dai bisogni dei paesi in via di sviluppo ai bisogni speciali degli anziani, dei poveri e dei disabili.
Lo “strumento” manifesto Per tutti questi motivi è stato chiesto agli studenti di lavorare sulla progettazione di manifesti considerando il manifesto lo strumento alla base del gesto comunicativo politico, dove politico si riferisce a polis, alla città, uno strumento che si rivolge direttamente ai cittadini, membri di una comunità, formanti una collettività. Il manifesto quindi come strumento di comunicazione democratico: vive nello spazio pubblico, e dialoga direttamente con la gente, per rivolgergli una domanda, per spingerlo alla riflessione: è comunicazione allo stato puro. Il manifesto è sempre stato uno dei media fondamentali nella relazione tra la città e i suoi abitanti: il mezzo più povero più banale e più tradizionale ma in grado di incidere prepotentemente nello spazio pubblico, nella diffusione dell’informazione. Molti i grafici e designers che hanno prestato la propria professionalità ad amministrazioni pubbliche e partiti politici dagli anni Settanta agli anni Novanta, accomunati dalla ricerca di una nuova forma di comunicazione dei messaggi dal contenuto politico e sociale, dal rifiuto delle retoriche persuasive proprie della pubblicità commerciale, dall’elaborazione di linguaggi visivi semplici e diretti. Tra questi sicuramente Massimo Dolcini designer pesarese, capace di promuovere, organizzare e produrre messaggi originali efficaci e incisivi attraverso l’uso fondamentale di uno strumento
Il dissenso, quando è al suo meglio, è alimentato dall’empatia e dall’idea che le altre persone contano. Se qualcuno viene ferito o vittimizzato, siamo tutti feriti o vittime. È necessario che si esprima il dissenso. Deve essere espresso, perché proteggere la democrazia è l’unica speranza che abbiamo. Milton Glaser
The design of dissent 2005
cardine della comunicazione quale il manifesto murale. Dolcini ha documentato la crescita del paese e il passaggio in corso da una società prevalentemente agricola, contadina, ad una industriale illustrando i suoi manifesti con segni che rimandano al vissuto rurale e artigianale dei suoi 13 Cfr. Mario Piazza, Massimo Dolcini. La grafica per una cittaconcittadini: arnesi, animali, attrezzi dinanza consapevole, Grafiche agricoli e strumenti di lavoro divenAurora, 2015, p. 19. 14 Su questo tema ha scritto tano protagonisti ‘accessibili’ alle pagine significative Guy Boninformazioni e alla condivisione della siepe nella sua pubblicazione, Civic City, Cahier 2 Design and vita pubblica. Tutto il lavoro di Dolcini Democracy, Bedford Press, del mira alla costruzione di un “modello 2010. dialettico e partecipato”13 tra progettista, committente e utente e alla creazione di un linguaggio di facile decodificazione, ma forte e riconoscibile nel tentativo di creare una identità dell’amministrazione stessa privilegiando immagini chiare e comprensibili da tutte le parti coinvolte.
E oggi? quale è il ruolo che dobbiamo occupare e sviluppare come designers? Cosa abbiamo appreso da questa lunga eredità e come possiamo rileggerla e renderla vitale? Come può il design contribuire allo sviluppo della democrazia? In che modo questa parola può nuovamente guadagnare credibilità? Come possiamo evitare il rischio di una democrazia intesa solo come un ‘tranquillante’ per l’opinione pubblica? Dobbiamo tornare a interpretare il termine ‘democrazia’, come forma di partecipazione: la democrazia si spinge oltre il diritto formale di voto e la nozione di libertà va oltre la possibilità di scegliere tra un’offerta illimitata di generi di consumo14. Ogni professione dovrebbe affrontare questa domanda scomoda, non solo quella dei designers, e favorire una coscienza critica di fronte all’enorme squilibrio tra i centri di potere e le persone sottomesse a que20
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Massimo Dolcini, Il diritto di essere deboli. Manifesto esposto nella la mostra “Pour les droits de l’homme. Histoire(s) Image(s) Parole(s)”, organizzata nel 1989 al Museo Beauborg di Parigi dall’associazione Artis 89 e dal collettivo grafico francese Grapus: un progetto voluto dal Governo Francese per celebrare il 200esimo anniversario della rivoluzione francese e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino. Protagonisti i lavori di 65 progettisti, grandi maestri della grafica invitati a partecipare da ogni parte del mondo, fra cui Dolcini, appunto, che rappresentò l’Italia insieme a Pierluigi Cerri e Andrea Rauch.
sti poteri. Forse non è possibile ‘progettare la democrazia’ ma sicuramente possiamo collaborare con tutti gli strumenti di cui il design dispone, affinché l’ecosistema democratico migliori diventando più giusto e accogliente (Manzini, 2018) tenendo conto che il design ha sempre un valore politico e le scelte che facciamo, i contesti dove lavoriamo sono sempre una scelta politica: consapevole o no. Hannah Arendt sosteneva nel soggio Vita Activa che: “La sfera pubblica, in quanto mondo comune, ci riunisce insieme e tuttavia ci impedisce, per così dire, di caderci addosso a vicenda.
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Il termine “pubblico” significa il mondo stesso, in quanto è comune a tutti e dis dallo spazio che ognuno di noi vi occup privatamente. […] Vivere insieme nel mo significa essenzialmente che esiste un m di cose tra coloro che lo hanno in comu come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno; il mondo, come ogni in [in-between], mette in relazione e separ uomini nello stesso tempo.
Hannah Aren Ciò che rende la società di massa così difficile da sopportare non è, o almeno non è principalmente, il numero delle persone che la compongono, ma il fatto che il mondo che sta tra loro ha perduto il suo potere di riunirle insieme, di metterle in relazione di separarle”15. La motivazione principale del social design è quella di promuovere il cambiamento sociale positivo all’interno della società in cui opera, progettare per il bene pubblico. Natalia Ilyn16 sostiene che quando uno studente si diploma in graphic design ottiene una “licenza per persuadere”17: essere in grado di usare le tecniche del convincimento, della persuasio-
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Vita Activ 1958
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15 Cfr. Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, 2012, p. 42 (ed or. The Human condition, University of Chicago Press, 1958) 16 Natalia Ilyn, insegna Design e dirige il Dipartimento di Design al Cornish College of the Arts di Seattle, dove insegna storia e critica del design, design per l'attivismo sociale e design di transizione. 17 Cfr. Natalia Ilyn, op. cit., p. 65.
ne, avere la capacità di comunicare, conferisce anche la responsabilità di comprendere cosa e per chi comunichiamo e scegliere di imparare a pensare in modo più ampio. Impegnarsi nel social design significa anche capire in cosa crediamo, cosa è realmente importante e a questo dedicare tempo e talento. Per questo motivo è stato chiesto agli studenti di provare a lavorare su sé stessi, approfittando di un momento di isolamento quale quello indotto dalla pandemia e provare a trovare dentro di sé un tema che li coinvolgesse personalmente ma che alla stesso tempo potesse avere una valenza collettiva, un motivo per essere condiviso con il mondo. I risultati sono stati molto al di sopra delle aspettative considerando anche che per molti di loro il graphic design non è l’obiettivo principale del loro percorso formativo. È stato proprio questo momento di introspezione, questa ricerca di qualcosa di importante da condividere e per cui impegnarsi che è stato alla base della forza espressiva dei lavori che non rinunciano alla volontà di usare la tipografia e la forza delle immagini, riuscendo a rendere seducenti e coinvolgenti temi difficili come l’isolamento culturale, il pregiudizio o le politiche migranti. L’etica non può non essere presente nel processo di lavoro di in graphic designer, il concetto di design non deve essere semplicisticamente appiattito solo su concetti di estetica, stile e tendenze. Il design può e deve fare molto di più: può cambiare, può ispirare, può coinvolgere e al suo meglio, contribuire a risolvere i problemi del mondo.
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I lavori presentati in questo volume sono una selezione degli esiti del Modulo di Grafica, all'interno del Corso di Communication Design, al primo anno di Laurea Magistrale in Design, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Firenze. Il corso, affronta temi del Comunication design da un duplice punto di vista: quello della comunicazione del design, legato più alle caratteristiche comunicative del prodotto, alla sua capacità di dialogo con l'utenza (Laura Giraldi), e quello parallelo della comunicazione visiva legato alle forme espressive del testo e delle immagini (Susanna Cerri) Una panoramica completa dei lavori di tutti gli studenti è visitabile online sul all'indirizzo cdm.didacommunicationlab.it/. Il sito è stato realizzato dal Didacommunicationlab, il laboratorio di Comunicazione appartenente al sistema Dida-Labs del Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Firenze.
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Il periodo di blocco indotto dalla pandemia di Covid-19 è stato alla base di questo progetto realizzato con gli studenti al primo anno della Magistrale in Design. L'idea alla base dei lavori è stata quella di realizzare quattro poster che, partendo dalle emozioni personali accumulate nel periodo forzato di isolamento, evolvessero in una campagna di sensibilizzazione su temi sociali collettivi, affrontando argomenti quali l'isolamento culturale, il pregiudizio o il cambiamento climatico. Dal punto di vista della restituzione grafica si richiedeva un uso espressivo della tipografia in un linguaggio rigorosamente monocromatico.
https://cdm.didacommunicationlab.it/
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Riccardo Amatucci
Isolamento come momento di analisi introspettiva: il rapporto con l’arte Il progetto è molto personale, e riflette la mia passione per l’arte. Attraverso i poster ho cercato di indagare il nostro legame con essa, che abbiamo generalmente un po’ trascurato in questo periodo di lockdown forzato. Ho cercato di raccontare quindi ciò che ci trasmette e le sensazioni che ci fa provare, individuando quattro concetti-chiave del nostro rapporto con l’arte, da rappresentare tramite delle composizioni tipografiche che mi hanno permesso di sperimentare e che mi sembravano uno strumento molto adatto ai temi trattati, collegato in qualche modo a ciascuno degli argomenti.
Art is Imagination: Il poster vuole raccontare l’importanza dell’immaginazione, ovvero la facoltà umana di creare un pensiero, senza seguire nessi logici o regole, che ci porta a sognare, a creare e a staccarci dalla realtà, proiettandoci in una dimensione effimera in cui scomponiamo continuamente immagini ed idee per ricomporne di nuove, proprio come in un collage. Art is Sharing: Il poster vuole raccontare l’importanza della condivisione, del legame tra i singoli individui. L’arte nasce come espressione del proprio io interiore, della propria personalità e delle proprie idee, da trasferire al pubblico in una dimensione di condivisione continua di pensieri. Nel collage i singoli elementi sono disgiunti, ma si uniscono per comporre l’immagine finale. Art is Freedom: Il poster vuole raccontare la libertà di esprimere sé stessi, senza dover sottostare a regole o convenzionali particolari, ma potendo mostrare la propria interiorità, con l’arte che diviene così un atto puramente psicologico, pura espressione mentale dell’artista. Il collage permette di esprimersi liberamente, sfogando la propria creatività sperimentando accostamenti di colori, texture, font. Art is Emotion: Il poster vuole raccontare come l’arte sia in grado di emozionarci, provocando in noi uno stato di coinvolgimento che va ad alterare il nostro stato emotivo, generando sensazioni che possono essere sia positive che negative, ma in entrambi i casi molto coinvolgenti. Il collage non guarda alle regole tradizionali della tipografia, creando una composizione meno leggibile, ma anche più espressiva.
Alibek Atahanov
Isolamento sociale come stile di vita: la quotidianità dei nomadi del Kirghizistan I quattro poster affrontano il tema dell’isolamento sociale mettendo a confronto questa tattica vissuta recentemente a causa del COVID-19 con quella scelta dalle famiglie nomadi dei Kirghizistan come proprio stile di vita. Il progetto racconta la quotidianità di questa vita che ci sembra molto lontana e impensabile nella modernità, una vita fatta di molte rinunce e difficoltà, ma che possiede tante sfaccettature incantevoli. Una vita libera, minimale, primordiale, in costante movimento tra i meravigliosi paesaggi del Kirghizistan. Una vita di amore, condivisione, cura, impegno e libertà.
Isolation Il primo poster funge da introduzione a questa storia, partendo appunto dall’isolamento come stile di vita. Nel titolo, la “i” di “isolation” è separata dal resto, proprio per indicare l’io che si isola dalla società. Appena sotto il titolo vi è il termine “libertà” scritto in kirghiso utilizzando caratteri runici dell’alfabeto Orkhon-Yenisei, usato dalle originarie 40 tribù nomadi che partendo dalla siberia si sono unite e stabilite nell’attuale Kirghizistan. Le descrizioni all’interno dei poster sono a loro volta nomadi. Non seguono una struttura ben precisa, si spostano, escono dai margini, questo a rappresentare la vita di questi gruppi e l’inesistenza del concetto dei confini nella loro cultura. Infine, nella parte inferiore, una fotografia che mostra due yurte posizionate in mezzo alla natura selvaggia, circondate da infinite catene montuose e molto lontane, fisicamente e socialmente, dalla vita della città. Awkana La cucina ha un ruolo fondamentale nella vita dei nomadi nelle yurte. Rappresenta anche qui, nonostante le innumerevoli differenze culturali con tutto il resto del mondo, il principale momento di socialità con la propria famiglia ed in particolar modo con eventuali ospiti. Il cibo servito è frutto di caccia, pastorizia e allevamento, mentre farine, frutta e verdura sono spesso oggetto di scambio durante gli spostamenti. In tavola è presente tutto contemporaneamente. Non ci sono ordini come per le abitudini gastronomiche occidentali. Frutta, verdura, carne, latte, tè, pane etc. sono tutti pasti e bevande consumati insieme. Questo “disordine” è rappresentato dai testi di descrizione inclinati e spostati in varie direzioni. Anche il titolo gioca la sua parte del disordine in quanto contiene una lettera dell’alfabeto cirillico. Salbuurun La caccia nomade tradizionale, chiamata Salbuurun è andata sempre più dispersa negli anni. Si tratta dell’unica tattica di caccia mai registrata che impiega il lavoro di squadra composta da cacciatore, cane, cavallo e aquila reale. Questa pratica che veniva tramandata di generazione in generazione è stata vietata, insieme allo stile di vita nomade nel suo insieme, durante il controllo da parte dell’Unione Sovietica. Dopo l’indipendenza, diversi storici dell’arte hanno riportato in vita il Salbuurun ma principalmente per dimostrazioni e rievocazioni. Tutto in questo poster è dinamico, dalla fotografia che mostra il cacciatore in azione, al titolo graffiato, il testo runico sfocato e il paragrafo descrittivo totalmente irregolare. In questo le parole escono violentemente dai margini di testo, le parole saltano a capo in modo imprevedibile e il tutto segue la dinamicità dell’aquila in foto. Schyrdak I popoli kirghisi sono stati tra i primi ad aver utilizzato il feltro. Vestiti, accessori, tappeti da terra, da parete, le stesse yurte sono fatte in feltro. Principalmente l’utilizzo di questo materiale è utilizzato per gli Shyrdaks, ovvero i tappeti tradizionali dei kirghisi. Questi oltre ad essere incantevoli per la loro simbologia grafica, sono fondamentali per proteggersi dalle intemperie, mantenersi al caldo e stare comodi, oltre che a scambiarli e venderli per altri beni. Il poster mostra un bambino steso al sole sopra uno shyrdak esprimendo bene i valori e le qualità di questo artefatto artigianale. Allo stesso modo tutta la parte tipografica segue lo stesso ondulamento del tappeto, ammorbidendosi e creando piccole dune che ne indicano la morbidezza. L’effetto ondulato è stato applicato anche sul testo runico, che appunto rappresenta la nomenclatura “shyrdak”.
Al
Mirko Burberi
libek Atahanov
Isolamento sociale come stile di vita: la quotidianità dei nomadi del Kirghizistan #ri | #re sono prefissi che hanno un valore iterativo, indicano il ripetersi di un’azione nello stesso senso o in segno contrario. Alle volte conferiscono un significato nuovo al verbo originario. Dobbiamo tornare a fare qualcosa che si era perduto, cercando di farla meglio, reagendo, ripensando, ripartendo, rinnovando... I manifesti realizzati in questo progetto vogliono descrivere e comunicare ognuna di queste quattro fasi (reagire, ripensare, ripartire, rinnovare). Il linguaggio visivo utilizzato varia da poster a poster, in modo che, a ciascuno di essi, sia conferita una maggiore distinguibilità e, al tempo stesso, un’eguale importanza e un’uguale gerarchia visiva. In questo modo la funzionalità relativa all’impatto comunicativo rimarrà sempre elevata. Ogni manifesto ha una didascalia, uguale per tutti, dove, oltre ad essere specificata l’azione che lo caratterizza (re-act, re-think, re-start, re-new), sono riportate, come una sorta di filo conduttore che lo lega agli altri del gruppo, le parole di Aristotele: what we must learn to do, we learn by doing [ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendo] Parole che, in un certo senso, riassumono il messaggio di questo progetto. Tornare a fare un qualcosa che avevamo perduto, implica sempre una nostra volontà di azione, una volontà di fare, di mettersi in gioco, di ricominciare da situazioni nuove... in poche parole: reagire, ripensare, ripartire, rinnovare.
“What we must learn to do, we learn by doing” [Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendo] Aristotele
Lisa Capaccio
Irrazionalità di un pregiudizio
Il ciclo mestruale costituisce ancora oggi un tabù. Da sempre la società induce la donna a viverlo con un senso di colpa e di inadeguatezza, riducendola spesso ad un mero fenomeno biologico. Sono i miti e le tradizioni, uniti all’esperienza personale, a contenere abbondanti insegnamenti sul ciclo e non la società, come invece dovrebbe essere. Fortunatamente esiste un nuovo approccio radicale a cui è necessario dar voce, che vede questo fenomeno come una fonte di ricchezza e di potere per la donna, se conosciuto consapevolmente in ogni sua fase.
Archetipo della Strega. Ogni mese la fase mestruale, rappresentata dall’archetipo della Strega, mette in contatto la donna col principio di vita e di morte perché è con essa che si conclude definitivamente il ciclo mestruale. Si tratta di una fase di ritiro in cui è normalissimo sentire il bisogno di stare da sola. Le energie che caratterizzano questa fase sono basse ma molto profonde, così da potersi incentrare in un momento di introspezione e di maggior contatto con se stessa. Archetipo della Vergine. La fase preovulatoria, collegata all’archetipo della Vergine, è un periodo di rinascita in cui la donna è dotata di un’energia più leggera e giocosa, quasi fanciullesca: la mente della donna inizia a riattivarsi e così facendo crea un terreno fertile per nuove idee. In questa fase si ha a che fare con un’energia che va verso l’esterno e predispone la donna a ricercare cose nuove e ad entrare in contatto con il lato più spensierato di se stessa. Archetipo della Madre. La fase ovulatoria corrisponde alla fase del ciclo in cui la donna entra in stretto contatto col suo lato materno, sia dal punto di vista fisiologico che da quello energetico. Non a caso l’archetipo che simboleggia tale fase è proprio quello della Madre. In questa fase si esaltano il senso di accudimento e di accoglienza, che predispongono la donna ad essere più aperta e disponibile nel prendersi cura degli altri con gioia. Archetipo dell. La fase premestruale, caratterizzata dall’archetipo dell’Incantatrice, è in assoluto quella più creativa di tutte. Anche se spesso non viene vissuta serenamente per via delle ripercussioni che ha sul piano fisico, dal punto di vista energetico è alimentata da un’energia molto profonda che serve ad avvicinare la donna a percepire la sua parte più intima e sensibile con l’obiettivo di creare le basi per ospitare un’eventuale gravidanza.
Giulia Chiarelli
La musica racconta le emozioni della pandemia L’idea del progetto vede 4 manifesti diversi accomunati dalla partecipazione tematica: LA MUSICA (grande alleata nei giorni di isolamento sociale). Attraverso la scelta di 4 canzoni è voluto raccontare 4 aspetti che hanno segnato questa dura pandemia. La scelta delle canzoni è derivata da 4 brainstorming che evidenzia alcune sensazioni / emozioni che hanno accompagnato questo periodo. Ad ogni canzone è stata associata l’immagine simbolo; Secondo: fondere immagini e parole.
Imagine Alla canzone di John Lennon è stata associata l’immagine di due mani che si stringono. Questo manifesto è simbolo della solidarietà ricevuta da ogni singola parte del mondo, che ci ha insegnato, ancora una volta, che non esistono distinzioni di genere o di razza di fronte al bisogno. Inno Nazionale Italiano Qui è stata associata una bandiera come simbolo di unione, appartenenza, legame e coraggio. Per ricordare gli sforzi fatti in massa per riuscire ad uscire da questa pandemia. Rinascerò, Rinascerai Alla canzone di Roby Facchinetti è stata associata l’immagine di una mascherina chirurgica come simbolo dei medici che in questo periodo sono stati fondamentali, con estrema resilienza, ci hanno dimostrato che nonostante la stanchezza, la paura e lo sforzo è importante combattere con costanza e perseveranza senza mai mollare. Here comes the sun Alla canzone dei The Beatles è stata associata l’immagine di un aereo come simbolo della di rinascita e di ripartenza. Con la fine del lockdown tante persone dopo molto tempo hanno potuto riabbracciato familiari che si trovavano lontani e in altre regioni.
Marco D'Antuono
120 giorni di agonia
L’intero progetto si basa sul trasmettere, tipograficamente, le sensazioni personali dettate dal periodo vissuto, gli ultimi 120 giorni. All’inizio della quarantena, la sensazione prevalente era quella della NOIA. Successivamente, appena sono iniziate le lezioni online, percepivo molto NERVOSISMO, dovuto dalla scarsa qualità della rete internet. In seguito ho iniziato a sentire molta STANCHEZZA causata dalla sovrapposizione di consegne, lezioni, revisioni e tutte le attività universitarie che hanno caratterizzato il periodo. Ora, in fine, la sensazione più sentita è l’ANSIA degli esami.
Noia Per il poster tipografico della noia mi sono ispirato alla precisione a alla linearità di disegni e scarabocchi che si fanno in momenti di noia, la frase è “uffa non so cosa fare” per sottolineare la banalità del pensiero in contrapposizione alla maniacali dell’elaborato. Nervosismo Per il poster tipografico del nervosismo ho proposto una frase impulsiva dettata dalla situazione e imitato il motivo del nervosismo tramite l’effetto glitch della frase. Disturbando l’intero poster come se in esso ci fosse una vera e propria mancanza di connessione o segnale. Stanchezza Per il poster tipografico della stanchezza mi sono bassato sulla pesantezza e sull’espansione dei singoli caratteri. Questa sensazione è stata dettata dai mille impegni universitari che occupavano le giornate, proprio per indicare che le 24 h non bastavano ho deciso di far sborsare il tutto dall’area di lavoro. Ansia Per il poster tipografico relativo all’ansia, riguardante l’ultimo periodo, ho cercato di proporre un manifesto molto sporco e rovinato, proprio per indicare che l’ansia è qualcosa di dannoso. Le sbavature e le macchie di inchiostro sono state pensate per sottolineare la sensazione percepita.
Carlotta del Prato
Comunicare attraverso il progetto grafico le sensazioni vissute durante i mesi della pandemia Il progetto grafico racconta i primi mesi del 2020. La pandemia da Covid19 ha investito in pieno la nostra quotidianità, mettendo in standby la vita di ognuno di noi. Attraverso la progettazione grafica, con una chiave di lettura incentrata sull’impatto emotivo, si vuole condurre un’analisi introspettiva sul periodo storico e sociale dei nostri giorni. L’intento è quello di utilizzare il foglio di progetto per far emergere l’irrazionale, comunicando attraverso il progetto grafico le sensazioni vissute durante i mesi della pandemia. Il lavoro consiste in una serie costituita da 4 poster. In ogni poster, uno per ognuno de i quattro mesi dell’emergenza in Italia (Marzo, Aprile, Maggio, Giugno), è presente un omaggio musicale, che sintetizza il pensiero oggetto di progettazione grafica.
Marzo Il tema centrale del poster di Marzo è la sensazione di spaesamento e di caduta totale: la razionalità non riesce a cogliere il senso di ciò che stiamo vivendo. Ogni giorno si aggrava sempre di più eppure, nonostante il dramma che viviamo non riusciamo ancora a capire cosa stia effettivamente succedendo. La paura si percepisce quando l’uomo si ferma e ascolta: le città sono ferme, tutto fuori è immobile e il silenzio è assordate. Il silenzio generalmente è portatore di pace, ma il silenzio di Marzo è stato diverso: accompagnava verso la paura. Solo qualche sirena in lontananza rompeva il vuoto, rinforzando questa maledizione. Aprile Aprile è il mese dell’avanzamento del lockdown e con esso l’immobilità si stabilizza ulteriormente. Lo spaesamento di Marzo lascia il posto a sensazioni forti e travolgenti: Aprile ha rappresentato il mese delle grandi domande sul futuro, sulle prossime mosse e sui progetti personali che ancora non ripartono. L’emergenza da Covid19 ha fermato tutto e con esso anche il futuro, che passo dopo passo, ognuno di noi lotta per costruirsi: non si riesce più a mettere a fuoco una strada da percorrere, ciò che si prova adesso è rabbia e delusione. Maggio Il mese di Maggio è il mese della riapertura e delle prime libertà dopo 67 giorni di lockdown. L’emozione preponderante durante il quinto mese del 2020 è la sensazione di insicurezza. La casa ha rappresentato per i precedenti mesi l’unico posto sicuro: fuori il mondo rappresentava il pericolo di contagio. Eppure durante Maggio è possibile piano piano tornare a concedersi delle libertà fondamentali, è possibile tornare da alcuni dei propri affetti più cari, aspettando di poter allargare ancora i confini delle libertà personali. Ma nonostante i numeri del contagio in ribasso, con le paure dei mesi passati, la domanda che vorrei porre è la seguente: “Ti senti sicuro?”. Giugno Infine è arrivato anche Giugno e con esso la possibilità di poter tornare a spostarsi e a sentirsi un po’ più liberi. I mesi passati hanno portato a vivere tante sensazioni contrastanti e adesso forse anche i più insicuri possono tornare a respirare. L’incertezza rimane, lo spettro dei mesi passati è sempre dietro l’angolo: ogni tanto si vacilla e si teme ancora, ma la conquista più grande è quella di volerci comunque riprovare. O almeno iniziare a farlo.
Giulia Giovannini
Raccontare il senso del tempo
Il progetto si basa sull’interpretazione di due dei cinque valori della letteratura analizzati da Italo Calvino nella sua opera Lezioni Americane del 1985: leggerezza e rapidità e i loro rispettivi opposti, pesantezza e lentezza. L’intento è quello di dare una rappresentazione grafica a questi concetti per raccontare il senso del tempo e della condizione umana contemporanei, cercando di restituire, attraverso elementi opposti e contrastanti, la sensazione emotiva che ciascun valore racchiude in sé.
Leggerezza Calvino individua nella leggerezza una chiave per leggere il mondo, evidenziando come la realtà che ci circonda sia corpuscolare, composta da parti minuscole e leggerissime, nonostante ai nostri occhi appaia compatta e solida. E’ possibile traslare questo concetto nei rapporti tra gli esseri umani, i quali tutti insieme formano qualcosa di più grande, una comunità unica e unita in cui ognuno dipende dall’altro. Pesantezza Come accade per ogni valore positivo della vita, non lo si può davvero apprezzare se non si vive il suo opposto negativo, così non si può provare la leggerezza se prima non si toglie un grande peso. Momenti estremamente bui e pesanti si sono susseguiti nei mesi di lockdown, che abbiamo dovuto imparare a contrapporre a momenti di leggerezza e spensieratezza. Rapidità In letteratura il tempo narrativo può essere modellato a nostro piacimento, diversamente dalla realtà. La rapidità è un concetto che descrive molto bene il mondo contemporaneo, il quale si evolve ad una velocità tale che molto spesso nemmeno ci rendiamo conto dei cambiamenti che avvengo attorno a noi. Gli eventi che abbiamo recentemente vissuto sembra che vogliano gridarci di rallentare e frenare il nostro vivere frenetico. Lentezza La storia a chiusura di capitolo del disegno del granchio insegna che la lentezza è una componente fondamentale nel processo della creazione. La lentezza è un concetto che oggi ci è totalmente estraneo, abituati a vivere in un mondo dove tutto deve essere fatto nel minor tempo possibile. Il mondo però ci sta chiedendo di rallentare, di riabituarci alla lentezza, come siamo stati costretti a fare nei mesi passati.
Oliver Ranchez
Il distanziamento fisico, per rallentare o fermare la diffusione di una malattia contagiosa Il tema del mio progetto è il distanziamento sociale anche chiamato distanziamento fisico, si intende un insieme di azioni di natura non farmacologica per il controllo delle infezioni volte a rallentare o fermare la diffusione di una malattia contagiosa. L’obiettivo del distanziamento sociale è di diminuire la probabilità di contatto di persone portatrici di un’infezione con individui non infetti, così da ridurre al minimo la trasmissione della malattia, la morbilità e, conseguentemente, la mortalità. Ho cercato di rappresentare questo tema tramite i font giocando sulla trasparenza, sulla dimensione e posizione all'interno del foglio, come se le lettere fossero le persone che stanno vivendo questo periodo. Tutti e 4 i poster sono uniti dallo stile utilizzato, una piccola distorsione del carattere che viene scomposto in piccoli puntini, un effetto glitch che è maggiore nei primi poster per accentuare lo stato di confusione della fase 1 e sarà meno visibile verso il quarto poster.
Fase 1 Nel primo poster volevo rappresentare la solitudine che abbiamo passato restando isolati nelle nostre cose durante la fase 1 e utilizzare una lettera unica su tutto il poster per ricollegare questa sensazione. Come se la lettera rappresentasse la persona isolata evidenziandone la fragilità durante questa fase, infatti guardando il poster l’osservatore percepisce la mancanza del resto delle lettere che simboleggia la solitudine dell’individuo. Fase 2 Nella fase 2 che stiamo vivendo in questi giorni, in cui si può già uscire, andare a lavoro, trovare i propri cari, ho pensato di rappresentare questa incertezza che precede la fase 1. Siamo liberi di uscire però ci sono sempre le misure di sicurezza che dobbiamo rispettare, pensavo di rappresentare questa atmosfera inserendo le lettere sparse su tutto il poster con orientamenti diversi anche inclinate e perfino tagliate, in modo da trasmettere il grosso punto interrogativo che abbiamo tutti su cosa ci riserva il futuro. Infatti l’osservatore vedrà le lettere ma non riuscirà a leggere la frase, per trasmettere la sensazione di confusione. Fase 3 La fase 3 come la 4 sono due poster più immaginari, ho pensato ad una possibile fase 3 in cui siamo tornati alla normalità e non ci sarà più bisogno della mascherina, ma nelle persone è rimasta la paura, di poter essere contagiati da altre persone. Quindi nel poster della fase 3 ho pensato di rendere già leggibile la frase però vediamo tra le lettere una distanza surreale che simboleggia la paura nella testa delle persone. Il testo sarà più leggibile rappresentare il graduale ritorno alla normalità. Fase 4 Nella fase 4 ho ipotizzato uno scenario in cui la paura della trasmissione del virus non c’è più e l’interazione con le persone migliora perché questo periodo ha fatto capire quanto siano importanti i piccoli gesti come gli abbracci, le strette di mano o semplicemente un sorriso. Infatti nel poster il testo sarà leggibile gli spazi sono rispettati, come per rappresentare un ritorno alla normalità, seguito da un miglioramento tra le relazioni umane.
Noemi Emidi
La visualizzazione dei dati per raccontare il cambiamento climatico Sono state analizzate 4 declinazioni del tema “Plastic-free”, ipotizzato come argomento principe per la nuova edizione della mostra Broken Nature (2021). La tecnica usata (data visualization) prevede la rappresentazione schematica di grandi quantità di dati per suscitare interesse e coinvolgere l’osservatore inesperto. Gli elaborati comunicano le informazioni raccolte secondo diversi livelli di profondità visiva, una volta decifrato il visual viene posta una call-to-action per “attivare” chi osserva, ora consapevole.
Overshot Day In base all’inclinazione del segno grafico sono rappresentati i mesi in cui i paesi del mondo raggiungono il loro overshoot day, in Italia ad esempio cade in maggio. Specie a Rischio Lo schema comunica in base alla posizione e alla concentrazione del tratto grafico la quantità di specie a rischio estinzione nel secolo in corso nei diversi continenti della Terra. Produzione CO2 La produzione ed il consumo di oggetti in plastica ha come conseguenza una maggiore produzione di CO2 che porta al peggioramento del surriscaldamento ambientale globale, qui si evidenziano i Paesi con la più alta percentuale (USA e Cina) Aspettativa di Vita Le linee ascendenti rappresentano un confronto dell’aspettativa di vita tra diversi paesi, nei quali vi è sovente una produzione giornaliera pro-capite di rifiuti plastici molto elevata (>0,5 Kg).
Silvia Farolfi
Dare forma alle parole con le parole
I 4 poster hanno come obiettivo quello di comunicare delle tematiche forti e attuali attraverso l’utilizzo delle parole. Sono proprio le parole che legate tra loro danno vita all’immagine comunicativa. Insieme all’immagine, in ognuno di essi, troviamo una citazione che aiuta ad enfatizzare sia il tema comune, I CAN’T BREATHE, che quello individuale che ogni poster affronta.
Black lives matter Le frasi scritte sui cartelloni che la gente agitava durante le tante manifestazioni, in America, del movimento Black lives matter, prendono forma in una gamba che con il ginocchio schiaccia e comprime la frase “I can’t breathe” che si spezza esattamente come il fiato, come una vita, come tante vite. L’immagine nel suo complesso vuole ricordare l’orrendo gesto con cui l’agente di polizia ha soffocato e ucciso George Folyd. Violenza sulle donne La siluette di una donna che viene strangolata dalla forza delle parole. Una donna che è costretta a vivere con il difetto e con la vergogna semplicemente perché donna. La linea che forma il profilo della donna è l’insieme delle tante e orribili cose che una donna si sente dire contro, che siano tante o una sola, che siano dette per molto tempo o una volta sola sono sempre parole violente che feriscono. Covid-19 Le parole dai cui siamo stati bombardati in questi mesi di lockdowun da ogni mezzo di comunicazione, radio, social media, tv, danno forma ad un volto nascosto dietro una mascherina, stanco e abbattuto. Un’immagine che ricorda la potenza di un virus che ha compromesso a libertà di tutti. Inquinamento Un fumo di parole, le parole che sono la causa dell’inquinamento, che esce da fabbriche posizionate su un mondo reso fragile dall’uomo, compromettendo la salute umana e degli ecosistemi.
Andrea Silverii
Le frasi che hanno raccontato la pandemia Il tema del progetto è strettamente legato al periodo che stiamo vivendo, in particolare alla diffusione del virus Covid-19. In particolareho voluto enfatizzare quattro frasi che più di tutte sono entrate nella nostra quotidianità, che siano esse positive o negative, ma enfatizzandole attraverso il contrasto con immagini forti, che mettono in luce l’aspetto più drammatico di questa pandemia.
È solo un'influenza Rappresentazione delle pericolose parole pronunciate dal presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. Andrà tutto bene Contrasto tra le parole di speranza ormai all’ordine del giorno con la terribile situazione dei senzatetto di Las Vegas. Abituatevi a perdere i vostri cari Rappresentazione delle parole di Boris Johnson, diventate ormai celebri per la loro freddezza. 2015 Le parole di Bill Gates nel 2015 che oggi più che mai risultano di estrema attualità.
Vittoria Stella
Once upon a time Storia di una pandemia
“Once upon a time – Storia di una pandemia” è il titolo della serie di poster pensanti per rappresentare il periodo storico che stiamo vivendo. I poster scandiscono i vari momenti più tragici che abbiamo dovuto affrontare: dal bollettino che quotidianamente aggiornava sul numero di vittime, e più i morti aumentavano più si disumanizzavano; al periodo di prigionia imposto dai vari DPCM, in cui l’unica possibilità di un contatto con il mondo esterno era rappresentato dal recarsi a fare la spesa; ed infine il grande punto interrogativo, ovvero il futuro, che è ignoto e fa paura.
The Bullettin Il numero delle vittime riportato nel bollettino aumentava giorno dopo giorno, facendo perdere la concezione stessa di vittima: non erano più delle persone ma solo dei numeri. Imprisonment Il DPCM impose la Prigionia: le case divennero le celle, non erano concesse visite, né riduzioni di pena. 57 furono i giorni trascorsi dietro le sbarre. Yard Time Durante la prigionia era concessa solo un’Ora d’aria al giorno per poter fare la spesa. Resi statici dalla prigionia, immobili come statue, solo i pensieri erano liberi di creare assembramenti. The Unknown Il futuro che ci attende è ancora Ignoto, è come un buco nero che risucchia qualsiasi speranza o pensiero positivo, a volte l’ignoto fa più paura del male attuale.
Mirko Romanelli
Il dualismo tra uomo e natura
L’idea progettuale per la realizzazione di questa collezione di poster nasce dall’intenzione di sensibilizzare l’uomo ai problemi ambientali del nostro pianeta, attraverso un messaggio forte, conciso ed estremamente chiaro. L’intento è sottolineare la drammaticità della situazione mediante un’associazione di immagini e lettering, abbinati a tratti disegnati a mano che rappresentano l’effetto sull’ambiente, l’elemento che muta in relazione al nostro comportamento. I poster valorizzano il contrasto fra la rigidità progettuale del lettering e l’irregolarità del disegno, creando una contrapposizione formale che rappresenta il dualismo fra uomo e natura, attraverso un percorso che attraversa le principali tematiche del tema ambientale.
The Water Rises Il crescente aumento delle temperature ha portato inevitabilmente allo scioglimento delle calotte polari, alterando irrimediabilmente gli ecosistemi naturali e portando ad un futuro innalzamento del livello dei mari. Questo poster raffigura un ghiacciaio ormai scomparso, sciolto a causa delle alte temperature, ricordandoci che l’acqua si sta alzando, monito per l’uomo, spesso incurante delle conseguenze. The Breaking Point La deforestazione incontrollata sta portando alla progressiva distruzione dei principali polmoni verdi del mondo, fra tutti le foreste dell’Amazzonia. Il poster rappresenta la frattura insanabile creata fra uomo e natura, raffigurata dall’asfalto, che investe e schiaccia tutto creando un punto di rottura insanabile. Everything Burns L’innalzamento delle temperature ha portato all’aumento progressivo di incendi boschivi, arrivando a distruggere ettari di foreste ed interi ecosistemi, come accaduto in Siberia e Australia. Questo poster invita alla riflessione e a prendere consapevolezza della drammaticità del problema, rappresentando con tratti a mano il tronco spoglio dell’albero, ormai bruciato, una lapide, a ricordarne l’esistenza. Tutto brucia. Destroy The Future If It Doesn't Belong To You L’uomo è sempre indifferente ai problemi che non lo riguardano, a ciò che lui sente distante, ignorandone le conseguenze con una percezione distorta ed errata. Questo poster rappresenta concettualmente l’insieme della collezione, una critica al comportamento miope e ignorante dell’uomo medio, incapace di comprendere i danni che sta causando al pianeta e riluttante alla conoscenza. Una visione pessimisitica del panorama mondiale, dato che questa è la natura dell’uomo, distrugge tutto se non gli appartiene.
Camila Saulino
Trasmettere i sentimenti e i pensieri dei migranti tramite la tipografia L’idea di progetto era quella di realizzare una critica sociale a scopo informativo, poichè nella nostra società non si parla abbastanza dei motivi per cui migliaia di persone decidono di intraprendere questo viaggio della speranza rischiando le loro vite. Il lavoro sperimenta l’uso della tipografia con immagini di impatto caratterizzate principalmente da sguardi ed espressioni di migranti che hanno vissuto in prima persona questo scenario. L’idea è stata appunto quella di trasmettere tramite la tipografia i sentimenti e i pensieri dei migranti che si vedono costretti a fuggire del loro paese di origine a causa di conflitti politici, violazioni dei diritti umani, crisi economiche e cambiamento climatico. Questo lavoro sarà un modo di dare voce alla loro dura storia e i loro diritti trascurati.
Flussi migratori Il primo manifesto vuole introdurre la tematica dei flussi migratori attraverso una citazione provocatoria. L’idea è stata quella di far dialogare tipografia e immagine. I caratteri sono sfocati e rovinati in modo da trasmettere dolore e paura, un concetto visibile anche nello sguardo del bambino. L’intera immagine possiede un effetto di disturbo che si riprenderà negli ulteriori poster. Le origini Il titolo “origins” è stato scelto per illustrare alcuni dei motivi per cui i migranti si vedono costretti a lasciare il loro paese di origine, e appunto l’origine di questo viaggio. Il titolo sembra essere stato bagnato e quindi ha un effetto sfocato e i caratteri sono leggermente deformati. Infine parti del corpo del testo sono cancellate, si tratta di una provocazione poichè spesso non arrivano le sufficienti informazioni della loro dura storia. Un numero, una vita Il terzo manifesto comprende alcune statistiche dei flussi migratori nel Mediterraneo negli ultimi sei anni. I numeri degli arrivi in Europa e i morti e scomparsi in mare si sovrappongono alla fotografia. Nei giornali vediamo spesso tanti numeri, ma non bisogna scordare che dietro ogni numero c’è una vita. Per questo motivo l’immagine è sfocata e disturbata, perchè si perde il concetto di persona. Abuso Infine l’ultimo poster ha lo scopo di invitare alla riflessione attraverso la testimonianza di Bakary, un ragazzo guineano di 16 anni. Il lavoro vuole dare voce alle terribili condizioni che alcuni dei migranti vivono in Libia. La parola “abuse” vuole esprimere questo concetto in tutte le sue declinazioni come abuso di potere, maltrattamento, abuso sessuale, uso illlecito ed eccesso.
Alessandro Hoffman
Il migliore amico dell'uomo anche nella pandemia Con questi 4 poster ho cercato di ricreare in quattro fasi ben distinte, il mutare della figura del cane durante il periodo Covid. Mi sono voluto soffermare su questo aspetto per far capire come sia facile e comico essere etichettato dalla massa. I miei temi sono: Dangerous (la paura del cane che sia trasmettitore di virus), Object (il cane utilizzato come oggetto solo perché unico mezzo per poter evadere dalla quarantena), Prevention (il cane da trasmettitore di virus diviene la vittima del virus e deve essere protetto) e Love (quando capiamo che l’eccesso delle etichettature non porta da nessuna parte e torniamo ad amarci con i nostri animali). Dopo una fase di ricerca e molte prove, ho cercato una rappresentazione tramite l’ausilio del 3d. Il cane rappresentato in nero e sotto diverse forme per ogni poster è in relazione ad un altro oggetto in bianco, nel quale sarà rappresentata la parola titolo del poster. Lo sfondo nero interagisce con la sagoma nera del cane in modo che sembrino un tutt’uno.
Dangerous Sei passato da amarlo ad evitarlo o peggio abbandonarlo. Hai avuto paura di una etichettatura assegnatagli senza troppi fondamenti. Object Ti è servito e forse lo hai usato, addirittura trovato sotto qualche annuncio che lo prestava in cambio di denaro. Non era più il piacere reciproco di passare del tempo insieme all’aperto ma un mezzo per evadere dalla quarantena. Prevention Era diventato vulnerabile, il virus poteva farlo morire. L’attenzione a prevenire è divenuta eccessiva prevenzione. Love Dagli errori si impara e ti rendi conto di pesare ogni giudizio in maniera diversa. Tornerai ad amarlo come sempre fatto, perché infondo nessuno ti ama come lui.
Jonathan Lagrimino
Il tempo nella situazione di emergenza
La situazione di emergenza che stiamo vivendo, e che ci ha coinvolto tutti a livello mondiale, ha rimesso in discussione totalmente la nostra personale percezione del tempo. Molti hanno dovuto mettere in stand by le proprie vite, interrompere la loro routine, reinventarsi o adattarsi professionalmente con uno smart working “improvvisato” e “improvviso”. La vita “fast” di queste persone si è interrotta diventando di colpo “troppo slow”. Altri hanno vissuto invece la situazione inversa e la loro vita ha subito una brusca accelerata e tutto improvvisamente è diventato “troppo fast”. Questo progetto è una riflessione personale su vari aspetti della nostra vita e di come essi siano indissolubilmente scanditi dal ticchettio di un orologio.
Paradox La routine quotidiana è, per ognuno di noi, una dimensione inevitabile, indipendentemente dallo stile di vita che si sostiene. Un “mostro che ci ingabbia” dal quale spesso vogliamo fuggire; ma anche un velo di illusione che ci distrae dalle nostre mancanze e ci fa sentire “un po’ meno vuoti”. È questo il paradosso, quando la routine scompare, non ci resta che rincorrerla. Dualism Viviamo in una società “fast” e nel movimento caotico e perpetuo di questa società frenetica ognuno di noi cerca di ritagliarsi il proprio momento “slow”. Questo binomio, tra velocità e rallentamento, determina la situazione, alquanto paradossale che viviamo, situazione nella quale i momenti “fast” sono sempre troppo “slow” e i momenti “slow” sono sempre troppo “fast”. References Questo lungo periodo di quarantena ha visto combattersi una dura battaglia: quella tra diurni e notturni. La mancanza di una routine e la difficoltà di costruirsi un nuovo ritmo per le proprie attività ha spinto molti a rivoluzionare i propri orari e a non avere più punti di riferimento. All’insegna della nuova filosofia “lavoro quando sono produttivo, dormo quando ho sonno”. Lacks Il tempo scandisce la pesantezza delle nostre mancanze: possiamo stare qualche giorno da soli, rinunciare a una cena il sabato sera, ad un aperitivo, ad una passeggiata al parco. Ma se queste rinunce si protraggono nel tempo, come se avessimo smesso di assumere un farmaco, piano piano riappariranno i sintomi delle nostre “malattie”.
Nicole Flachi
Black lives matter
Il tema di questo progetto è quello del BLACK LIVES MATTER, il movimento attivista internazionale, originato all’interno della comunità afroamericana, impegnato nella lotta contro il razzismo. L’intento è quello di mettere in risalto dei sentimenti come l’oppressione, l’ansia, ma allo stesso tempo un senso di comunità. L'ispirazione nasce dalle manifestazioni, dai cori, dagli striscioni e dai cartelli: sono state riprese 4 frasi e sono state trasformate negli slogan principali dei poster.
I CAN’T BREATHE Il primo manifesto si concentra sull’aspetto del soffocamento dato dalla mancanza di aria. L’idea era quella di ricreare l’ultimo momento di George Floyd, afroamericano immobilizzato e soffocato a morte dal ginocchio di un poliziotto. In primo piano abbiamo la scritta nera “I CAN’T BREATHE”: essa da forza all’immagine e proietta l’osservatore verso la crudele vicenda accaduta negli Stati Uniti. In secondo piano, inserita all’interno del font, abbiamo l’immagine sfocata di un poliziotto rafforzato da un’altra immagine posta sopra. Infine, sullo sfondo, la stessa immagine del poliziotto, ma con l’opacità quasi al minimo, in modo da creare quel senso di offuscamento della vista che capita quando perdi i sensi. AM I NEXT? Tutti possono essere vittime e tutti inconsapevolmente “bulli”, perché è sufficiente un messaggio, una presa in giro, magari ritenuta innocua, per far partire una serie di conseguenze che possano produrre davvero tantissimi danni. Bisogna guardare in faccia la realtà: la società si nutre della paura delle persone. Si dice che a volte uno sguardo vale più di mille parole. Gli occhi rassegnati di questo soggetto urlano paura: “SONO IO LA PROSSIMA VITTIMA?” La sua espressione è la prima cosa che colpisce, poi lo sguardo si sposta sulla scritta al cui interno è inserito il continuo della foto, come se fosse l’eco di quell’urlo. SILENCE IS BETRAYAL Il più grande complice della violenza è il silenzio, un silenzio che ogni anno è capace di uccidere o causare invalidità permanenti più di quanto possano fare malattie e incidenti. La violenza è un cancro sociale che non conosce confini né status sociali, può colpire chiunque, che tu sia una persona comune o una celebrità, per sconfiggerlo bisogna usare l’antidoto della cultura, educando e sensibilizzando i giovani al rispetto e alla parità. La pittura corporea è stata una delle prime forme di espressione artistica, infatti molte tribù utilizzano la pittura facciale per differenziarsi tra di loro e per creare la propria identità. Questo poster si ispira a ciò: all’identità creata dal tratto di un dito e di un colore. SAY HIS NAME Un manifesto per non dimenticare tutte le vittime di razzismo. Sono delle persone che avevano una famiglia, amici e soprattutto un nome, un’identità. Il pugno chiuso è il simbolo del movimento “Black Lives Matter”, quindi era quasi un dovere inserirlo per questo poster commemorativo. Posta centrale, sopra l’icona del BLM, c’è la scritta “SAY THEIR NAMES”, “DÌ I LORO NOMI” e intorno ad essa si sviluppano le scritte con i nomi di alcune vittime. Le scritte in font calligrafico sembrano delle firme, a simboleggiare l’idea che quelle persone sono passate di qua e hanno lasciato il loro segno.
Marija Pejovic
TRASFORMAZIONE tra-s-forma-azione
Possibilità del passaggio che viene creata attraverso una dimensione “in mezzo”. Per in mezzo si intendono tutti i questi posti (spazio-temporali) quali rifletono una posizione ferma(ta), ma da altra parte apprano lo spazio per cambiamento - flusso. Una continuita’ del passaggio e’ cio che e’ stabilito nella radice della trasformazione. Trasferimento da intangibilità a tangibilita’ viene con la creazione della forma. Necessità del movimento come mood di ottenere trasformazione finale porta con se una fortezza del azione che puo‘ essere creata solo dal’ unione.
TRA Indica una posizione intermedia che ha principalmente un significato stazionario, ma che da altra parte sempre apre una possibilità di passaggio. S S sta per infinito e indica la singificanza di costante e continuo come condizione primaria e fondamentale per ogni cambiamento. FORMA Rappresenta il processo di costruzione e creazione di un aspetto completo da un'unità più piccola e amplifica l'idea di gruppo e la sua fortezza. AZIONE Infine, la vera trasformazione di una struttura è sempre condizionata dal constante movimento e dall'aspirazione verso finalità che raramente viene raggiunta e l'unica vera necessità è la sincronia costante di tutte le sue parti.
Riccardo Petruzzelli
Mancanze da Covid
Questo virus ci ha rubato le cose più importanti, il tempo, il calore delle persone a cui vogliamo bene, i piccoli gesti che donano felicità e serenità. Ha creato distanze che non hanno permesso le cose essenziali per un essere umano. Tra le tante vittime di questo momento ci sono i nostri nonni, forti e fragili allo stesso momento, che si sono visti privare di gesti come una semplice carezza ma di grande valore sia per loro che per i loro figli e nipoti. Il momento del contatto umano è svuotato della sua fisicità ed è riempito da l’unica cosa che ci era concessa: le parole.
Mano nella Mano Stringere la mano per ricevere e dare quella forza che a volte manca, per infondere calore e vicinanza. Carezza A volte abbiamo solo bisogno di una carezza nient’altro. Non vogliamo le parole di sempre, né quelle frasi che sono state dette e ridette tante volte, vogliamo solo sentirci riaffermati, accolti e valorizzati dal contatto di una mano che passa dolcemente sulla nostra pelle. Abbraccio L’abbraccio è un segno, un simbolo, un tratto visivo che è anche emozione. Può esprimere la sintesi di pensieri, di pulsioni affettuose, senza l’uso di parole o sguardi. Un abbraccio, per conforto o gioia, dà benessere ad anima e corpo. Bacio sulla fronte Un bacio sulla fronte, simbolo di protezione e tenerezza. Un mezzo per dimostrare il proprio affetto ad una persona cara a cui vogliamo far sentire la nostra presenza, così con un gesto semplice ma ricco di significato.
Alessia Mingione
L'inquinamento delle plastiche nell'ambiente marino
La plastica ormai è ovunque, ma quello che preoccupa è l’indifferenza o la non conoscenza di quello che comporta per l’ambiente e per gli animali, o che comporterà in futuro per noi. Tutto nascerà proprio da qui, dai nostri mari, dalle nostre spiagge e dal buon pesce che magiamo quotidianamente. Questo progetto si basa sulla rappresentazione di quattro manifesti aveti come tema le conseguenze dell’inquinamento delle plastiche nel patrimonio marino vissuto in prima persona dagli animali stessi.
Reti fantasma killer L'allarme arriva dall'organizzazione World Animal Protection che chiede, ai leader del mondo riuniti a New York per la Conferenza mondiale sugli oceani, di aderire alla sua iniziativa per eliminare le reti e gli altri attrezzi da pesca fantasma. Uccidono ogni anno circa 100 mila animali marini, in primis tartarughe, delfini e balene. Plastica circolare L’oggetto più piccolo colpisce l’animale più grande. È il caso di un qualsiasi oggetto circolare in plastica gettato o ritrovato nei mari che è una vera e propria piaga per gli animali marini, sia sotto che sopra la superficie del mare. I pesci, le le tartarughe, i volatili, delfini e tante altre specie muoiono soffocati dai cerchi di plastica utilizzati per tenere insieme le lattine, o dai cerchietti per la chiusura delle bottiglie in plastica, o da qualsiasi altro pezzo d’imballaggio circolare. Per quanto in alcune parti del mondo siano stati vietati i confezionamenti di plastica, restano comunque ancora troppi i rifiuti di questo tipo che inquinamento i nostri mari. Plastica invisibile Dalle alici alle balene, dalle tartarughe agli uccelli marini, sono almeno 135 le specie marine mediterranee che ingeriscono oggetti di plastica. I danni derivanti dall'ingestione di plastica sono numerosi e differenti, come per soffocamento o per blocco gastrointestinale o per il non riuscire più ad assorbire il nutrimento del cibo, ma tutti portano a un esito certo: la morte o la grave compromissione della salute delle tartarughe. I rifiuti possono infatti incastrarsi nell'intestino, o perforarlo portando l'animale al decesso, oppure avvelernare la vittima col rilascio di sostanze tossiche. Un mare di plastica Il mare, in molti posti del mondo, è già un cumulo di plastica. Con le otto tonnellate di plastica che ogni anno finiscono negli oceani e con le analisi su pesci, sale da cucina, acqua del rubinetto e perfino quella in bottiglia, tutti contenenti residui percentuali di microplastiche, anche l'uomo si troverà coinvolto direttamente con questo materiale. Così, la parola “plastica” diventerà essa stessa una causa di morte. Qualsiasi oggetto in plastica una volta finito in acqua si spezza in frammenti più piccoli per azione dell’erosione e delle correnti, raggiungendo dimensioni microscopiche inferiori ai 5 mm di diametro.
Giulia Piscitelli
Miopia is always an error
Quante volte sentiamo dire che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ed è vero... grazie agli occhi possiamo esprimere le nostre emozioni, vedere il mondo che ci circonda, apprendere, raccogliere l’attimo che fugge. La miopia ti permette di vedere le cose in modo diverso, diverse sfumature, colori e luci. Si dice che la miopia sia un difetto dell’occhio molto diffuso, oggi più che mai e questo è il significato più comune a cui tutti pensano quando sentono parlare di miopia, un errore di rifrazione. Ciò su cui voglio porre l’attenzione di chi osserverà il mio lavoro è che la miopia può assumere altri significati; spostare quindi l’osservatore dal significato principale a quello secondario, mettendo in evidenza alcuni temi importanti e di attualità su cui dovremmo tutti riflettere.
Refractive Error Il primo significato di miopia. Un errore di rifrazione. La miopia che ci impedisce di mettere a fuoco gli oggetti lontani. Social error Il secondo significato di miopia. La miopia è un errore sociale. La miopia di chi non vuol vedere, di chi fa finta di non vedere per paura, per negligenza, per omertà, per opportunismo o egoismo. Arrogance error Il terzo significato di miopia. Un errore di arroganza. L’uomo e la sua arroganza, la sua convinzione di essere al centro dell’universo, di essere onnipoente e perfetto. Siamo molto più vulnerabili di ciò che crediamo e ce ne dovremmo rendere conto guardando quanto siamo piccoli rispetto all’universo che ci circonda. Total error Il quarto significato di miopia. Voglio descrivere questo poster con una semplice frase di un uomo che aveva visto ben oltre il suo tempo... “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi.” Albert Einstein
Eleonora Morlino
Dal sentirsi in gabbia alla libertà
In questi mesi assurdi, dovuti al COVID19, mi sono ritrovata a combattere con le mie emozioni mese per mese. Ho attraversato momenti di panico più totale all’euforia più contagiosa. L’inizio del lockdown, il mese di marzo, è stato un momento di smarrimento, confusione e paura (1° manifesto). Per poi passare all’apatia, dove tutto ciò che accadeva mi lasciava indisturbata (2° manifesto). Dopo il seguirsi di queste due fasi, ho affrontato quella del rifiuto, mese di maggio, dove mi trovavo ad essere arrabbiata con il mondo intero per essere costretta a subire l’isolamento per colpa di persone dal comportamento discutibile. Finalmente, come in ogni momento brutto, arriva uno spiraglio di luce, il mese di giugno, ha segnato per me la rinascita e come mi piace dire: UNA FENICE CHDE RINASCE DALLE PROPRIE CENERI.
Scared Il mese di marzo, è stato un momento di smarrimento, confusione e paura. Per questo motivo la scelta stilistica della composizione di questo manifesto raffigura delle linee confuse che rappresentano lo stato mentale provato e le parole altrettanto confuse poste al di sopra del tracciato. Apathy Dove tutto ciò che accade mi lascia indisturbata. Traducendo questo concetto in raffigurazione grafica abbiamo queste parole che rimangono parzialmente indisturbate all’accostarsi di linee verticali che stanno ad indicare gli avvenimenti del mondo. Rejecton Mese di maggio, sono arrabbiata con il mondo intero per essere costretta a subire l’isolamento per colpa di persone dal comportamento discutibile. Abbiamo questi banner che sovrastano situazioni come la didattica a distanza e il distanziamento sociale. A Million horizons await us Arriva uno spiraglio di luce, il mese di giugno, ha segnato per me la rinascita. Come indica il testo: UN MILIONE DI ORIZZONTI CI ASPETTANO, così è rappresentato simbolicamente da questo sole che sta per nascere e illuminare i nostri orizzonti.
Simona Calderone
Esprimere il concetto di unione e il senso di appartenenza del popolo italiano durante la lotta al covid-19 L’idea del progetto prevede 4 manifesti e in ognuno di essi viene rappresentato uno dei monumenti storici più importanti che racchiudono/abbracciano l’Italia da Nord a sud, con l’inserimento (tramite la sperimentazione della tipografia), in ogni manifesto, della frase “andrà tutto bene”. Questa frase verrà adattata ai vari dialetti delle regioni rappresentate attraverso i monumenti. Tutto questo per enfatizzare il concetto di unione e il senso di appartenenza del popolo italiano durante la lotta al covid-19; sottolineando che nonostante il dialetto sia diverso da regione a regione il significato è uguale per tutti e che quindi siamo tutti uniti nonostante le diversità sociali.
Milano Rappresentazione del Duomo di Milano con l’inserimento della frase in dialetto “andrà tutto bene” della regione Lombardia. Aggiunta di una texture per sdrammatizzare e dare un tocco di gioia e speranza. Roma Rappresentazione del Colosseo di Roma con l’inserimento della frase in dialetto “andrà tutto bene” della regione Lazio. Aggiunta di una texture per sdrammatizzare e dare un tocco di gioia e speranza. Alberobello Rappresentazione dei Trulli di Alberobello con l’inserimento della frase in dialetto “andrà tutto bene” della regione Puglia. Aggiunta di una texture per sdrammatizzare e dare un tocco di gioia e speranza. Agrigento Rappresentazione della Valle dei Templi di Agrigento con l’inserimento della frase in dialetto “andrà tutto bene” della regione Sicilia. Aggiunta di una texture per sdrammatizzare e dare un tocco di gioia e speranza.
Andrea Senatori
1940, Charlie Chaplin: il discorso all’umanità
1940, Charlie Chaplin, il discorso all’umanità del film “Il grande dittatore”. Tema scelto perché stiamo vivendo un periodo duro, che il virus ha accentuato, in cui ancora regnano divisioni, razzismo e assente coesione; perché pur essendo del 1940 sembra fatto per noi, per chi, in momenti di difficoltà, ha bisogno di una spinta per ricominciare, per donare e guardare l’altro come fratello. Uniti, per ripartire, per proseguire. Così dovrebbe essere, nonostante ogni difficoltà. “Let us all unite!”
Let's all Unite Un ultimo poster in cui la scritta si ripete ancora una volta, quasi come un urlo, per tenere bene a mente lo scopo finale del discorso. Una bandiera, senza segni e senza colori, non ci sono provenienze, non ci sono distinzioni geografiche. “Siamo della razza umana” disse Einstein, ed è proprio così che dovremmo ragionare un po’ più spesso. Uniti per ripartire, uniti per proseguire. Let's all Unite Una foto del 1963, la grande Marcia su Washington per il lavoro e la libertà. Famosa per la frase "I have a dream" ma altrettanto importante per la presenza di 300.000 persone di cui la maggior parte donne. Uniti e coesi verso un risultato comune. Let's all Unite Odio, razzismo, discriminazioni, non serve andare agli anni ’40 per questo. Basta aprire gli occhi oggi. Tutti elementi che dovremmo combattere, con l’aiuto, integrazione, coesione, unione. Due mani che non solo si stringono, si afferrano, si aiutano, senza distinzioni di colore, senza distinzioni di provenienza. Let's all Unite 9 novembre 1989, cade il muro di Berlino. Dopo anni di divisioni, lotte e tensioni, finalmente cade quello che diventerà il simbolo per il mondo intero di un processo di riunificazione. Riabbracciare il fratello, dopo un distanziamento sociale imposto dalla crudeltà dell’uomo.
Alice Del Balio
Una soggettiva interpretazione del tempo in quattro differenti declinazioni In questo ultimo anno più che mai siamo stati messi difronte al nostro personale tempo, che si è presentato a noi in modo chiaro, in tutte le sue sfaccettature e spesso senza nemmeno lasciarci la possibilità di una via di fuga. Abbiamo dovuto subirlo, abbiamo cercato di controllarlo, ce ne siamo dimenticati pensando a noi stessi e raramente abbiamo saputo convivere attimi di amore con lui. Il tempo è uno specchio che ci mette a nudo difronte a noi stessi: ci mostra chi siamo, chi siamo stati e cosa stiamo facendo per essere ciò che vogliamo.
Hic et nunc È una dimensione di tempo equilibrato, effimero, esiste nel momento in cui viene vissuto. Hic et nunc è la linea che separa gli opposti, è l’istante in cui il tuo sguardo incrocia quello di un passante, è l’attimo in cui il tuo cuore salta un battito, è il corpo che si fa niente e la mente che diventa infinito. Attesa L’attesa è un tempo congelato; proteso mentalmente verso il futuro, ma inesorabilmente bloccato al presente. È un tempo pesante, denso, colloso, ti soffoca e ti schiaccia sotto al suo peso. L’attesa è un sensazione di totale impotenza di fronte al tutto. Controllo Il tempo non si ferma davanti a niente e nessuno; è un fiume in piena, una folata di vento che ti sferza il viso. Per quanto tu possa cercare gestirlo, lui rimane una bestia indomita che corre, e scorre selvaggiamente senza lasciarti riprendere fiato. Non lo puoi ingannare. Quotidianità Le questioni domestiche, gli impegni lavorativi, la vita di tutti i giorni. Il tempo passa scivolando via, senza assumere un suo spessore e la mente viaggia su tutt’altra dimensione. Quando si torna con i piedi per terra non si sa più che ora o che giorno sia, perché fino a quel momento non ha avuto importanza.
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susanna cerri Può il design promuovere il cambiamento nei comportamenti sociali?
Alessia Porro
Quale distanza ci separa davvero?
All’inizio di questo periodo d’emergenza, ciò che ci ha più spiazzati è stato il distanziamento sociale, l’annientamento del contatto, della stretta di mano, degli abbracci e dei baci spontanei, quella distanza fisica ai quali mai siamo stati costretti prima d’ora. E se non fosse così? E se il 2020 fosse soltanto la riproposizione di fatti già accaduti? E se questa distanza oggi tanto temuta, in realtà, ci fosse stata anche ieri soltanto in forme diverse? L’intento del progetto è quello di indagare il tema della distanza attraverso un confronto, tra i tanti fatti d’attualità avvenuti in quest’anno ed eventi del passato e attraverso questo percorso chiederci: Quale distanza ci separa davvero?
1918 Influenza spagnola Cento anni fa l’influenza spagnola ha cambiato radicalmente la vita delle persone, costringendole al distanziamento e all’utilizzo di dispositivi di protezione facciale, per contenerne al massimo la diffusione. 2020: nella stessa circostanza , ci viene detto che è obbligatorio l’utilizzo della mascherina e noi ci inventiamo modi alternativi per rendere questi nostri dispositivi, degli accessori belli e alla moda. Nel 1918 due donne fanno lo stesso: una busta di plastica e del nastro adesivo, diventano gli strumenti perfetti per potersi guardare e comunicare in sicurezza. 1955 Razzismo in america Montgomery, Alabama, 1° dicembre 1955: terminata la giornata lavorativa, la quarantaduenne Rosa Parks, di pelle nera e di professione sarta, prende l’autobus 2857, diretta a casa. Si siede in una fila centrale, ma quando dopo poche fermate sale un passeggero bianco, il conducente le chiede di alzarsi per lasciargli il posto, come impongono le regole. Rosa le conosce bene: i neri siedono dietro, i bianchi davanti, mentre i posti centrali sono misti e si possono usare solo se tutti gli altri sono occupati, ma la precedenza spetta sempre ai bianchi. «Non stavolta», pensa Rosa, e senza rifletterci troppo risponde che «no», non intende alzarsi. 2020: per contenere il contagio, le regole dicono che bisogna viaggiare con posti alternati a scacchiera e occupare solo il 50% dei sedili. George Floyd, di pelle nera, viene ucciso ingiustamente da un agente di polizia bianco. 1970 Omofobia A New York, dalla fine degli anni ‘70 fino agli inizi degli anni ‘90 vi furono le “sfilate dell’orgoglio”, persone queer e trans che sfilavano per le strade di Manhattan. Raduni di persone che si rendevano visibili in un momento in cui il mondo in generale non era interessato a vederli, a stargli accanto e tantomeno a considerarli in quanto persone. 2020: le notizie dicono che la pandemia ci ha cambiati e una ragazza viene uccisa dal fratello perché non accettava il fidanzamento di lei con un ragazzo trans. 1990 Net generation 2020: il Coronavirus ci obbliga a mantenere almeno un metro di distanza dall’altro, a salutarci da lontano, a non abbracciarci e a non baciarci. Prima della pandemia non c’erano restrizioni, potevamo salutarci, abbracciarci, baciarci, non avere distanza eppure eravamo troppo presi dai nostri innumerevoli device per farlo, per guardare negli occhi chi ci stava accanto. Negli anni ‘90 nasce la cosiddetta net generation, i Millenials, la generazione della dipendenza da smartphone e della ormai totale alienazione.
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Biblio grafia
di riferimento
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Finito di stampare da Bandecchi & Vivaldi | Pontedera per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Dicembre 2020
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