Entroterra | Cecilia Marcheschi

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cecilia marcheschi

Entroterra Museo per le Genti senza Storia Altavilla Irpina − Avellino



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “La proposta progettuale della laureanda Cecilia Marcheschi, originata da una attenta lettura dei caratteri fisici e culturali del luogo, mostra un disegno coerente quanto razionale nei suoi assetti fondamentali. Scelte morfologiche e tecniche costruttive adottate connettono il recente inserto al contesto esistente, offrendo la visione di una sperata quanto necessaria renovatio urbana”. Commissione: Proff. C. Crescenzi, F. F. V. Arrigoni, G. Bartocci, M. Pivetta, S. Galassi, M. Coppola, G. Cardinale Ringraziamenti A tutti gli altavillesi, alla nostra battaglia. Al Comune di Altavilla senza di cui la stampa di questa opera non sarebbe stata possibile.

in copertina

Assonometria di progetto

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Federica Giulivo

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2020 ISBN 978-88-3338-122-0

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


cecilia marcheschi

Entroterra Museo per le Genti senza Storia Altavilla Irpina − Avellino



Presentazione

Respiro la fatica della stanza a stare Dove gli uomini non sono più. (Mario Benedetti) Oltre il sessanta per cento del territorio italiano è il fitto mosaico di Comuni di medie e piccole dimensioni che dalla metà del secolo scorso progressivamente hanno perduto capacità di offerta occupazionale, servizi sociali — istruzione, sanità, trasporti — numero di abitanti. Un’incessante de-antropizzazione che, pur nelle discordanze dei casi singoli, accomuna quelle che sono state definite le Aree interne. Un accadimento ed una deriva di straordinaria complessità che richiede per una sua riforma l’applicazione di un vasto campo di saperi, competenze, strategie. Luoghi sulla soglia dell’estinzione e dunque esemplari, quasi che la loro instabile condizione di spoliazione, di lento disfarsi, restituisse con maggiore nitore le conoscenze, le sensibilità, le prassi che hanno dato costrutto a paesaggi, aggregati, artefatti: risorse generali resistenti quanto dense di futuro. Il progetto di Cecilia Marcheschi ospitato in queste pagine trae origine dagli esiti della tesi dottorale dell’architetto Plinio Vanni che dentro il diffuso fenomeno delle terre marginali ha avuto come suo punto baricentrico il piano di riparazione del nucleo più vulnerato di Altavilla Irpina, un borgo nella media valle del fiume Sabato in Campania. Ciò che rende prossime tra loro queste due linee di ricerca è lo scorgere nelle sintassi e nelle trame urbane ereditate una ricchezza spaziale ancorché storico-testimoniale capace di nutrire pensiero critico ed esercizio compositivo. Where each second stood heir to the first: la tesi di Cecilia Marcheschi propone il drastico rifacimento dell’orlo settentrionale dell’insediamento ma deve essere compresa come impegno sui temi della continuità e della continua, silenziosa mutazione del vigente una volta estinta la logica della disgiunzione o dell’antinomia esibita — un abito intellettuale che implica l’attenzione alla durata, al tempo lungo della costruzione e dei suoi significati. Una vicinanza allo stato delle cose che non comporta passive adesioni né coazioni a ripetere quanto riconosce nell’attrito con il reale la scaturigine stessa del possibile, dello sperato. La difficoltà maggiore che il progetto ha affrontato è stata quella di conciliare le necessità funzionali — il Museo per le Genti senza Storia nasce da una concreta ipotesi museologica — con le giaciture, le misure, le articolazioni volumetriche, i valori di posizione propri del sito, e consegna al disegno del suolo il compito di cucire tra loro antiche e nuove spazialità pubbliche — una rete di passaggi, scale, slarghi, piazze, che attivano lo scambio tra interno ed esterno, tra mondo privato e vita comunitaria. È segno di maturità disciplinare il fatto che tale filamento di discendenze non si arresti sulla soglia delle opzioni di indirizzo o concettuali o di costanza morfologica ma investa pienamente la razionalità tettonica; lo studio e il recupero di materie, lavorazioni, tecniche murarie tradizionali come via di accesso privilegiata alla verità specifica di ogni tópos e all’intimo del corpo architettonico. Fabrizio F. V. Arrigoni Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Abbandoni

Assenza, più acuta presenza. Vago pensiero di te vaghi ricordi turbano l’ora calma e il dolce sole. Dolente il petto ti porta, come una pietra leggera. (A. Bertolucci, 1929) L’Italia nel corso della Storia ha conosciuto innumerevoli episodi di abbandono e di ricostruzioni, gli abitanti di città e paesi hanno lasciato i luoghi di origine a causa di guerre, di calamità naturali, mancanza di lavoro, servizi o opportunità, portiamo sul nostro territorio ancora i segni di civiltà antiche sepolte e riemerse millenni dopo. Ma ognuna di queste rotture, di queste separazioni, non è mai stata neutra, ogni abbandono porta con sé delle conseguenze, “la scelta dell’abbandono produce sempre uno scarto. La fuoriuscita non è mai pulita, netta, senza attriti. L’abbandono è un’esplosione, una detonazione lenta che frammenta, frattura, disintegra, incenerisce. L’ab-

bandono pone in questione la struttura del mondo che si lascia; mette in tensione le relazioni; modifica la densità dei luoghi, cambia la morfologia dell’abitato e degli spazi; il loro aspetto formale, i loro usi”1. In un’epoca in cui le nuove protagoniste dell’abitare diventano le dense e piene aree metropolitane fonte di ricchezza e di guadagno, il problema dello spopolamento dei centri minori dell’Italia, privi di servizi, spesso troppo isolati e mal connessi, diviene più attuale che mai. Se da un lato la città si riempie di vita, tempio del consumo, con le mille “opportunità” e una morale basata sullo sfruttamento e sul profitto, dall’altro quell’insieme disomogeneo di centri minori, o parti di essi, in cui un esperimento di vita in collettività per secoli è stato spontaneamente praticato, sta andando lentamente a scomparire, abbandonato a se stesso e privato della sua linfa vitale, con rischiose conseguenze, come la disgregazione di comunità e la dissipazione di memorie e culture locali, che nei secoli hanno dettato l’identità della nostra terra. Lì, dove la vita non popola più le strade,

un’assenza densa di significato riempie le case, un silenzio assordante si ode per i vicoli dei borghi vuoti. Al posto dei paesi e della loro vitalità rimangono le spoglie di una vita passata, rovine, scarti rimasti inermi in cui si racchiude una condizione duplice, la rappresentanza di una vita e il suo lento e inesorabile scorrere. “La maceria-eikon segna, è prova, dell’inevitabilità del divenire e dell’inabissamento del tutto nel nulla (“Pare che l’essere delle cose abbia come suo unico obiettivo morire”) e, simultaneamente, evidenzia l’ottusa tenacia delle eccelsi moli, divenendo esse il supporto attivo, il ruvido torsolo su cui tessere il filo di una rammemorazione, di un recupero emotivo e concettuale di ciò che frana, di ciò che si va estinguendo. Un passo doppio tra impermanenza e costanza, tra essenza e presenza, un continuo scorrere tra le rispettive perimetrazioni e separazioni che afferra il presente come stratificazione, coalescenza di temporalità plurime” 2. Qui sorge allora spontanea una domanda, cosa fare con quel che 7 resta? Cosa fare con chi resta?


“Bisogna rintracciare, cogliere, interrogare i segni della vita e della memoria non già nei luoghi abitati e vissuti, pieni di gente, di oggetti, di palazzi, di macchine, ma in maniera paradossale proprio la, dove i luoghi sembrano finiti, la vita cessata. Ritrovare i semi della vita proprio là dove l’uomo ha rischiato e rischia di smarrirsi, perdendo i luoghi e i rapporti con essi. Ho cercato di capire come la voglia di esserci sia tanto più forte e decisiva là dove si sono vissute le esperienze del perdersi, dove sembrano prevalsi il vuoto, la fine. Ho pensato di suggerire come ogni abbandono comporti una ricostruzione, ogni scomparsa pure drammatica e dolorosa, prelude una nuova presenza ”.3 Se dal punto di vista sociale e politico le parole d’ordine diventano cultura e territorio, dal punto di vista archi-

tettonico-progettuale cioè che resta, le macerie fisiche, i frammenti, i detriti di ciò che è stato, risultato dell’azione della Storia nelle sue varie epoche, diventano il punto di partenza per una nuova spinta, diventano il nesso, il filo conduttore che permette di riprendere una narrazione interrotta, o come nel caso di Altavilla Irpina che rischia di interrompersi. Una riqualifica quindi che non porta ad un’asettica ricostruzione ‘com’era dov’era’ ma che giochi un ruolo intermedio tra le varie ‘temporalità’ che identificano il locus compresa quella attuale, una ricostruzione che non indossi le vesti della preesistenza ma nel cui sangue essa scorre. Il nucleo più antico di Altavilla Irpina, risultato di un lento processo di stratificazione che a partire dal medioevo secolo dopo secolo l’ha portato alla conformazione attuale, da

anni è disabitato, con l’eccezione di pochi edifici ad uso residenziale. Il lavoro proposto inserito all’interno di un più ampio progetto di riscrittura dell’antico tessuto residenziale minimo, si pone l’obiettivo di riconfigurare la fisicità di un luogo che sembra destinato a scomparire, utile a preservare e tramandare storie e memorie locali. Il luogo trascurato, denso di resti, scarti, macerie o rovine, diviene così il terreno fertile, base e substrato per il progetto del museo per le Genti senza Storia.

Vito Teti, Quel che resta, l’Italia dei paesi tra abbandoni e ritorni, Donzelli, Roma, 2017

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2 Fabrizio F.V. Arrigoni, Fogli, scritture per l’architettura, Didapress, Firenze, 2018

Vito Teti, Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati, Donzelli, Roma, 2004

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pagina successiva PHAÌNESTHAI Osservatorio fotografico di paesologia Romagnano al Monte (Salerno) Fabio Semeraro, 2014



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Storia del Partenio

È questo illimitato mondo contadino prenazionale e preindustriale, sopravvissuto solo fino a pochi anni fa, che io rimpiango. (P.P. Pasolini, 1975)

Fiumi Statale 88 Parco del Partenio Bassa valle del Sabato Provincia d’Avellino

Il comune di Altavilla Irpina ricade nell’area geografica del Partenio e bassa valle del Sabato. Oltre l’omonima comunità montana, la zona comprende infatti anche i territori limitrofi. “Il Partenio è un ambito nodale per chi vuole addentrarsi nel cuore dell’Appennino, attraverso le valli dell’Ofanto, del Sele, del Calore e del Sabato, da cui successivamente seguire per la Puglia”1. Connotato dalle alte cime a cui si alternano vallate verdi solcate da torrenti, è costellato da un arcipelago di paeselli abitati fin dai tempi più antichi. Nell’età preromana popolavano la zona tribù di lingua osca (sanniti), sparse tra Abruzzo, Molise, Puglia, Lazio e Campania, fra questi vi erano gli “Hirpini” di cui rimane a ricordo il nome dell’omonima zona geografica. In tale periodo le popolazioni, la cui sussistenza era strettamente legata alla pastorizia e all’agricoltura, erano distribuite in dei villaggi mobili detti

“vici”, collegati tra di loro tramite impervie strade in terra battuta. A seguito delle guerre sannitiche e con la conquista da parte dei romani, si assistette ad un’imposta romanizzazione. Ingenti masse di persone furono inviate nella zona al fine di fondare nuovi insediamenti a struttura ippodamea o ad accampamento ed isolare le tribù locali. Del fiorente periodo romano, che portò all’incremento dei territori coltivati e allo sviluppo di attività artigianali, il Partenio porta ancora numerose tracce sulle sue terre, come ad esempio la grande opera idraulica dell’acquedotto sannitico. Il declino dell’impero romano rese vani i progressi fatti nell’organizzazione dei territori, gli abitanti privati del loro punto di riferimento principale si affidarono alla protezione di signorotti locali, tornando ad un’agricoltura si sussistenza e abbandonando i terreni bonificati. Anche le città di matrice romana vennero definitivamente abbandonate con l’arrivo dei longobardi, la cui ridistribuzione sul territorio portò al sorgere dei tipici insediamenti fortificati, in zone quanto più impervie pos-

sibile e dal tessuto principale composto da edilizia povera. Un importante avvenimento durante l’epoca medievale è rappresentato dalla fondazione dell’abbazia di Montevergine per mano di San Guglielmo, destinata a divenire una grande potenza latifondista, meta di pellegrinaggi e simbolo ancora oggi della profonda e radicata cultura religiosa e contadina locale. La situazione migliorò nel X secolo e successivamente con l’arrivo dei normanni, grazie soprattutto alle piccole chiese, che per incrementare la redditività dei possedimenti ecclesiastici svilupparono forme più avanzate di agricoltura, tanto che attorno ad esse si svilupparono veri e propri centri abitati. Per quanto riguarda i nuclei urbani di fondazione precedente, invece, furono sottoposti da parte delle popolazioni normanne all’incastellamento, privilegiando quei nuclei con una posizione più ‘fortunata’ rispetto ad altri, sia per quanto riguarda la difendibilità che i mezzi di comunicazione, come la vicinanza ad arterie principali. Il periodo alto medievale rimane un’epoca 11 di riferimento per quanto riguar-


da gli insediamenti attuali, di cui molti ancora conservano le tracce, come nel caso di Altavilla Irpina. Tale situazione rimase invariata all’incirca fino al XV secolo, quando alcuni nuclei urbani si rafforzarono, conformandosi come veri e propri stati feudali. Nacquero in questo periodo nuove forme di residenza, come la casa a corte, e iniziano circolare nuove Maestranze, i cui manufatti ancora si ammirano sui numerosi palazzi rinascimentali che costellano la zona. Il benessere generale, che portò un amento della popolazione e un conseguente ampliamento delle città, proseguì fino al 1688 quando l’Irpinia fu investita dal primo disastroso terremoto. Già ai tempi, il sisma fu una vera disgrazia per i più poveri e al contrario un’occasione ottima per gli abbienti signorotti locali, che ricostruirono le loro residen-

ze inglobando gli aggregati limitrofi, appartenenti a chi non poteva permettersi una tale spesa. Con l’epoca borbonica vi fu un notevole incremento per quanto riguarda le vie di comunicazione, proseguito successivamente dalle politiche del Regno d’Italia, a cui dobbiamo anche l’arrivo della strada ferrata. Il treno, con il traffico sempre più veloce delle merci, non giovò di certo all’arretrato entroterra, che fu fin dal principio escluso dagli interessi dello Stato italiano, ma al contrario incrementò il divario economico tra le zone interne e quelle costiere. La situazione non è che peggiorata con il passare del tempo, in epoca contemporanea l’interno territorio ha registrato una perdita diffusa del valore dei terreni votati all’agricoltura, ad esclusione di alcune produzioni loca-

li note, con l’utilizzo di tali terreni a fini edificatori, alterando non di poco l’equilibrio paesaggistico locale. L’arretratezza, la mancanza di lavoro e di opportunità ha portato all’emigrazione di buona parte degli abitanti di queste zone, che vedono diminuire la propria popolazione di anno in anno, con la conseguente perdita delle culture locali, come quella contadina, che con i suoi saperi e detti tramandati di generazione in generazione e con il suo forte sentimento religioso mariano, ha connotato l’area fino a pochi decenni fa.

Vanni P., 2017, I luoghi dell’abbandono, Ipotesi per la riscrittura architettonica di parti degli antichi nuclei urbani, quale strategia di rivitalizzazione dei centri minori irpini del Partenio e della bassa Valle del Sabato: il caso studio di Altavilla Irpina (Av), FedOA, Napoli

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pagina successiva Foto del centro storico Altavilla Irpinia




Altavilla Irpina morfologia e storia

pagina precedente Evoluzione storica paese Ferrovia Fiume Sabato Statale 88 Nucleo originario Espansione rinascimentale Espansione tardo-rinascimentale e seicentesca Espansione settecentesca Espansione ottocentesca Espansione successiva

In questi scorsi giorni, pieni di sole e di luce, sono asceso lentamente fin sull’alto del nostro Monte Toro (…) Lassù non giunge l’ansare affannoso della vita dei grandi centri, ne il frastuono giocondo degli opifici, che, nella sottostante ricca vallata del Sabato, riempiono l’aria di fumo, di gridi di canti, d’esultanza; ma il silenzio dei campo esuberanti di fecondità, ma l’onesto clamore dei piccolo paesi, vigilanti dalle alture, la gaia distesa del verde, e la voce tranquilla dei villaggi appollaiati sui colli, sui poggi sparsi sui piani, quasi nascosti dietro folte chiome d’alberi. E tutte così questa nostre contrade, tutte così! (Michele Severini, 1917) Tra l’immenso arcipelago di paesi che costellano la zona del Partenio, in una posizione strategica poiché a pari distanza da Avellino e Benevento, ad un’altitudine media di 335 m s.l.m. è collocato Altavilla Irpina. Il suo nucleo urbano si sviluppa su tre colli, Ripa, Torona e Foresta che dall’alto dominano la verde e rigogliosa valle del Sabato, solcata a sua volta dalla strada stata-

le e da quella ferrata, principali collegamenti con le zone limitrofe. Come ogni città storica, il tessuto d’Altavilla Irpina visto dall’alto si presenta come un complicato collage, i cui pezzi, grandi o piccoli, colorati o monocromi, vicini o lontani, si sono affiancati nel corso della Storia, andando a formare il grande disegno, per sempre incompiuto, della città. Necessario quindi, per poter aggiungere un brano in questo racconto scritto a più mani, conoscerne gli autori, che dalle origini, fino all’epoca contemporanea, hanno portato il paese alla sua conformazione attuale. Partendo dal principio è necessario nominare i Caudini, una tribù sannitica, dai quali è probabile derivi l’originario nome di Altacauda, che come è facile intuire, indicava un insediamento alto all’interno del territorio dei Caudini. Dal periodo di dominio romano, a testimonianza della magnificenza delle popolazioni del luogo è giunto fino a noi, visibili in alcuni suoi tratti, l’importante acquedotto sannitico, che forniva le provvigioni d’acqua alla città di Benevento. Per quanto riguarda le epoche successive le notizie sono poco chia-

re, sicuramente passò sotto il dominio dei longobardi e successivamente sotto quello normanni che configurarono l’insediamento come presidio strategico a difesa del territorio circostante sulla cima dal colle Ripa, da cui la vista spazia fino a Benevento. L’antica struttura fortificata risalente all’epoca normanna è riconoscibile nelle volumetrie del Palazzo Comitale, un’elegante residenza che oggi porta le vesti tipiche rinascimentali. Intorno ad esso si addensarono le prime abitazioni dell’antico borgo medievale. “I manufatti del minuscolo borgo si svilupparono lungo un percorso dall’andamento curvilineo e fortemente irregolare, posto a mezza costa fra la cima del promontorio delle ‘Ripe’ ed i suoi versanti scoscesi che, ancora oggi, fanno da sponda ai due compluvi laterali. Il primo è quello interposto fra questa altura ed il colle ‘Foresta, verso sud-ovest; il secondo, invece separa le ‘Ripe’ dalla collina del ‘Torone’ verso nordest. Le misere costruzioni destinate al ricovero della popolazione, si addossavano, ieri come oggi, alle pa- 15 reti rocciose del picco fortifica-


to, restando al di sotto della quota naturale su cui spiccava la vecchia struttura militare”1. La struttura fortificata che proteggeva l’antico nucleo racchiudeva l’agglomerato urbano. Il tracciato ellissoidale, risultato dell’orografia del terreno, era interrotto da quattro porte nei punti cardinali, le cui tracce oggi sono andate completamente perdute ad accezione del torrione ‘Bruno’ nei pressi di ‘porta Nova’ ancora visibile nel suo profilo cilindrico inglobato nelle costruzioni di Piazza Severini. A partire dall’epoca rinascimentale con l’edificazione della Chiesa dell’Annunziata (imponente monumento in tufo che ancora oggi sfida le scoscese pareti rocciose), grazie ad un forte incremento demografico il nucleo originario iniziò ad espandersi, prima saturando tutto lo spazio disponibile sul colle Ripe, successivamente verso la zona

orientale dell’altura e verso meridione, occupando le pendici settentrionali del colle Foresta. A questo periodo risale anche la ricostruzione con le sue vesti attuali di Palazzo Comitale, da parte della famiglia di feudatari De Capua, a cui dobbiamo anche il nome attuale di Altavilla Irpina, a ricordo della città Hauteville di Normandia da cui la famiglia proveniva. Le espansioni settecentesche ed ottocentesche tra momenti fiorenti e momenti di crisi, come la peste del 1656 e il sisma del 1688 hanno portato a loro volta alla saturazione del crinale e ad una nuova edificazione verso sud-est, con la nascita, sulla traccia di un antico torrente, di quella che ancora oggi è la principale arteria cittadina, Corso Garibaldi, la cui conformazione attuale da boulevard francese risale a interventi novecenteschi.

Per la storia del paese irpino, un anno fondamentale è rappresentato dal 1886, quando vennero rinvenuti i giacimenti di zolfo. Gli scavi iniziarono contemporaneamente da parte di “Ferdinando Capone” di Altavilla Irpina e dei “Di Marzo” di Tufo con ottimi risultati. Nel 1907 quando l’attività estrattiva era in piena efficienza il Severini scrisse che per Altavilla Irpina si trattò “di un vero tesoro, una sorgente inesauribile di ricchezza, la fonte principale di vita, uno dei più preziosi doni, che la munificente natura abbia potuto elargire ad Altavilla”. Il declino dell’attività industriale, che non fu in grado di compete con i bassi prezzi dei mercati mondiali del secondo dopo guerra, va di pari passo con il declino del paese, privato di una delle sue principali fonti di lavoro.

In alto Attuale Corso Garibaldi, veduta dal lato sud cartolina Altavilla inizio ‘900 (www.altavillahistorica.it) Cartolina Piazza F.lli Severini Altavilla anni ‘50 (www.altavillahistorica.it)


In alto Cartolina Via Roma e fontana del ‘600, Altavilla anni ‘30 (www.altavillahistorica.it) Miniere di zolfo Veduta dalla ferrovia cartolina 1939 (www.altavillahistorica.it)

Ad incrementare i problemi derivanti da una sempre minore popolazione giunse il famoso terremoto che nel 1980 devastò buona parte dell’Irpinia con conseguenze disastrose ancora oggi non del tutto risolte. Ad Altavilla Irpina in particolare, a differenze dei paesi dell’alta Irpinia che registrarono numerosi morti, i danni del sisma riguardarono solo edifici, ma l’incapacità e la disonestà delle politiche locali aggravarono la situazione. Gli interventi di ricostruzione ad Altavilla “hanno portato ad una marcata forma di sprawl nelle aree collinari della cinta rurale periurbana”, con conseguenze negative sul paesaggio altavillese, andando a incrementare l’abbandono del nucleo antico e scoraggiandone il recupero. “1982. La ricostruzione inizia dov’è più facile, nelle campagne. Dove c’era un rudere per i porci viene velocemente

edificata una casa in cemento armato. Comincia il walzer delle betoniere”2. A questo periodo risale anche il “progetto delle infrastrutture e dell’arredo urbano per la riqualificazione del centro antico”, con la riuscita realizzazione di una strada panoramica che circonda la porzione settentrionale del nucleo antico. Il percorso, partendo da uno spiazzo all’altezza della cripta della Chiesa madre percorre, seguendo l’orografia del terreno, il fianco settentrionale del monte Ripe, a ridosso di quelle minute unità abitative di origine medievale, fino a ricongiungersi con via san Pellegrino. L’intervento di riqualificazione, non ostante la moltitudine di panorami mozzafiato che offre, non è bastato a contrastare quel lento e rovinoso cancro che stava, già in tempi antecedenti al sisma, proliferando per le vie del

centro storico, ed anzi la panoramica a sua volta è divenuta vittima di questo lento declino fino al suo totale disuso. Ultimo e discutibile intervento urbano di ingente consistenza risale al 2003. Il ‘riordino urbanistico’ di via Capone e via Vanni ha portato alla drastica demolizione e sostituzione di una parte di tessuto storico urbano, naturalmente equilibrato nella sua disomogeneità tra architettura minuta ed emergente, con un asettico isolato in calcestruzzo armato dai prospetti anonimi, le cui radici sembrano affondare in una grigia periferia piuttosto che in un borgo storico. Vanni P., 2017, I luoghi dell’abbandono, Ipotesi per la riscrittura architettonica di parti degli antichi nuclei urbani, quale strategia di rivitalizzazione dei centri minori irpini del Partenio e della bassa Valle del Sabato: il caso studio di Altavilla Irpina (Av), FedOA, Napoli

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2 Arminio F., 2011, Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia, Mondadori, Milano

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Museo per le Genti senza Storia origini

pagina precedente Parte della collezione dei tessuti recuperati e donati al museo. (museo delle Genti senza Storia, Lucia Portoghesi)

Il progetto per il Museo delle Genti senza Storia si affianca ad una ben più ampia e precedente proposta di riscrittura urbana dell’antico nucleo storico, iniziata grazie ad un dottorato di ricerca dal titolo “I luoghi dell’abbandono, Ipotesi per la riscrittura architettonica di parti degli antichi nuclei urbani, quale strategia di rivitalizzazione dei centri minori irpini del Partenio e della bassa Valle del Sabato: il caso studio di Altavilla Irpina (Av)”. Un approfondito lavoro di studio, e di indirizzo progettuale per il recupero del borgo principalmente concentrato sul recupero del tessuto edilizio minore ad uso residenziale, per me fedele guida durante l’intero lavoro. La collezione del Museo per le Genti senza Storia, a sua volta, ha origini lontane. Attualmente, è disposta lungo la loggia vetrata che circonda il chiostro del Palazzo comunale, un luogo poco adatto e sicuramente troppo piccolo per accoglierla. Da qui nasce la necessità di trovare una nuova sistemazione idonea ai reperti della raccolta, che spaziano dal periodo preistorico, passando per quello medievale, fino all’archeologia industriale, narrando la mode-

sta storia di una comunità. Una sezione particolare è rappresentata da una serie di abiti, di cui alcuni squarci furono rivenuti nell’ossario della Chiesa e recuperati grazie ad una campagna di restauro, a seguito delle ricostruzioni post sisma. Tale campagna, risalente al 1983, ha portato all’apertura di laboratori di restauro con il progetto futuro di un’ipotetica succursale universitaria legata al restauro dei tessuti. L’area di progetto, un brano da riscrivere Il lotto su cui il progetto è stato pensato è un lembo di terra dell’antico fianco settentrionale del paese in cui gli edifici si configurano, o meglio si configuravano, come fortificazioni naturali, addossati agli scoscesi fianchi del colle Ripa. Alle sue spalle si impongono, all’interno del denso tessuto urbano residenziale, i due monumenti principali del borgo: il Palazzo Comitale, nel punto più alto, e appena dietro il Santuario dei Santi Martiri Pellegrino e Alberico Crescitelli. Lungo la traccia delle mura naturali, una manciata di macerie e qualche tenace parete interrompono il percorso curvilineo disegnato dagli edifici an-

cora intatti ed enfatizzato dalla strada panoramica, che parecchi metri sotto, si snoda a sua volta lungo un marcato dislivello. Il lotto di forma irregolare, connotato da forti cambiamenti di quote, è situato in una posizione particolare. A meridione vi si affacciano le umili casette tufacee del paese, a settentrione ed a oriente è delimitato dalla panoramica e dall’immenso paesaggio, ad occidente di nuovo una manciata di casette in linea sviluppate in altezza e dalla modesta profondità, si addossano sullo scosceso fianco del colle. Il lembo di terra, si configura inoltre come punto di passaggio, da un lato è raggiungibile infatti dal paese, dall’altro una ripida scalinata che parte dalla panoramica termina su un modesto slargo a confine con il lotto, ricollegando le due zone. Il progetto quindi si inserisce su un lotto denso di tensioni, fulcro tra due polarità, paesaggio naturale e città, punto di frattura, lungo “l’antica traccia” dettata dalle preesistenze, e collegamento tra varie quote, quella inferiore dettata dalla panoramica e quella su- 19 periore dal paese.



Il progetto

Sono monti lontani, alti e azzurri, chiari e apriche colline; sono ondulate pianure, coperte di grano o d’erbe o di arbusti che intrecciano i loro rami con quelli degli alberi più alti e formano, con l’edera, con le viti, con le siepi, ammassi inesplicabili di verde, sotto i quali spariscono fossi e sentieri. Sono fertili vallate, profonde, parallele, formate da grandi ondulazioni di terreno, solcate da fiumi e da torrenti, e sono bianchi paeselli, sparsi su chin e scoscese, ‘come branchi di pecore pascenti’, o torreggianti sui culmini; e sono vie rotabili e mulattiere, che si spiegano come nastri serpeggianti su per i pendii e giù nelle valli, fino a che svaniscono sull’estremo lembo dell’orizzonte. Sono ridenti casini, graziosamente variopinti, e boschetti romiti e silenziosi, e selve risonanti di trilli e di gorgheggi, di zirli, di pigoli, di sussurri, e pittoresche insenature, e strada ferrata, e gallerie lontane e nere, e ponti maestosi, e cappellucce povere, e capanne affondate negli argini, ‘e quete ville solitarie e care’, e aie vaste e biancheggianti nell’immenso verde che le circonda e dal quale, di

tanto in tanto, sale una patetica nenia contadinesca, che si va lentamente perdendo nello spazio infinito. Sono bizzarri cocuzzoletti, e gole strette, e spianate deliziose, ed erte ripide, e dappertutto una grandezza di linee, una magnificenza di verde, una limpidità di cielo, un silenzio, una quiete, che ricreano lo spirito. (Michele Severini, 1907) Percorrendo la statale che congiunge Avellino a Benevento ed alzando lo sguardo verso il fianco del colle Ripa, il complesso del museo per le Genti senza Storia appare, ben saldo, aggrappato alla parete rocciosa. Composto dall’edificio polifunzionale ad oriente, a confine con le preesistenze, dall’edificio museale a settentrione, e dalla torre al di là della strada panoramica, si fa carico di rimodellare il fianco ferito del paese, costituendosi come fulcro tra due polarità: il borgo costruito e l’immenso paesaggio, elemento che diviene protagonista più volte all’interno del progetto tra timidi scorci e ampie vedute. I volumi in tufo, del museo e dello spazio polifunzionale, compatti nella ba-

se ma frammentati in altezza, ripropongono quel senso di disordine legato all’apparente mancanza di una regola insediativa che domina l’intero centro storico, ma che in realtà ha avuto nel corso della Storia quell’unica regola insediativa dettata dall’andamento del terreno e dagli strapiombi rocciosi, fortificazioni e robuste pareti naturali per gli edifici che vi si addossano. A livello planimetrico il progetto ripropone quello che era l’ingombro delle preesistenze, lungo il confine con la panoramica a proseguire il disegno avviato dalle antiche case confinanti, connotate dallo spiccato sviluppo volumetrico in altezza piuttosto che in profondità. La torre, collegamento verticale e nuova porta d’accesso al paese, richiamo all’antico tracciato fortificato, offre un magico scorcio da cui è possibile ammirare il famoso paesaggio irpino cantato da poeti e ammirato da uomini illustri. Il sistema di piazze, articolato in quattro livelli altimetrici principali interconnette i vari elementi dislocati sulla forte pendenza, che si alternano tra scorci segreti e ampie stanze all’a- 21 perto.




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Sezione trasversale

Sezione trasversale

Sezioni trasversali

Pianta quota +4.50m

01_piazza 1 Edificio I 02_percorso espositivo Edificio II 03_aula studio 04_terrazza/loggia Torre 05_belvedere

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01 Pianta quota -9.00m

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01_piazza/terrazza1 Edificio I 02_bar 03_cucina 04_deposito bar 05_servizi igienici 06_deposito\vano tecnico Torre 07_accesso torre 0 2 4

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scala 1:200 0

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I percorsi “L’esigenza che l’architettura debba radicarsi negli strati profondi della tradizione per succhiarne l’alimento e qualificarsi è il contenuto nuovo che una parte del moderno italiano ha versato nella vicenda novecentesca, tramutandosi in un nitido quanto definito tratto del suo procedere (…) Vi sono valori emergenti, facilmente classificabili, e difendibili (come i monumenti veri e propri o certi panorami caratteristici), ma il vero problema è di inserirsi negli ambienti connettivi fra dette emergenze; possono essere i monti, le colline, il litorale, le brughiera poetica o l’edificato di un qualsiasi agglomerato urbano di qualsiasi epoca, l’ultima compresa, s’intende” (Ernesto Nathan Rogers,1957)

L’itinerario di un ipotetico visitatore che incuriosito si addentra per la strada tortuosa che porta al paese antico, inizia dal piccolo parcheggio ai piedi della Chiesa madre. Da lì la panoramica, seguendo l’andamento del terreno, curva per il fianco del colle, verso la base massiccia dell’edificio che accoglie il museo, in direzione della torre. In corrispondenza dell’imbocco della strada, una seconda viuzza, più stretta, ma dalla pendenza decisamente più dolce, inizia la salita verso il livello principale del complesso, quello della piazza da cui è possibile accedere al museo e all’edificio polifunzionale o salire ancora verso il paese. Proseguendo per la panoramica invece, si impone la torre. Con i suoi pilastri irregolari in calcestruzzo, carat-

terizzati dalle ombre che rincorrono i profili smussati, svolge una duplice funzione, la prima di collegamento verticale con la piazza principale a ben 9 metri di dislivello, la seconda di belvedere. Durante l’intera salita, infatti, l’alternarsi dei pilastri permette fugaci scorci verso il paesaggio, ma è sulla vetta, che l’interrompersi di questi apre la vista verso le verdi cime. Accanto alla torre, lungo la strada, si apre uno spiazzo; un’ampia piazza/ terrazza sul paesaggio si pone a servizio del bar, che occupa la parte inferiore dell’edificio museale e a cui si accede tramite una vetrata arretrata, che porta la luce all’interno del locale bucando il massiccio muro in tufo. Il bar, indipendente rispetto al museo, accoglie i clienti nell’ampia stan- 25 za allungata.



Alle spalle del bancone, opposto rispetto all’ingresso, una parete divide dalla zona di preparazione pasti, illuminata e ventilata grazie all’alta finestra aperta sulla doppia altezza. Accanto all’ingresso del bar una porta più piccola permette l’accesso al deposito del museo, collegato agli altri piani tramite il vano scale e l’ascensore. Svoltando l’angolo e costeggiando il muro imponente, interrotto solo da una serie di piccole e profonde fessure che enfatizzano la massa del volume, si nasconde tra l’edificio museale e quello polifunzionale una stretta scalinata, terzo punto di connessione tra la piazza principale e la strada ed evidente richiamo alla morfologia del paese, la cui articolazione su vari livelli spesso rende necessario l’utiliz-

zo di scale per connettere una quota con l’altra. La panoramica continua il suo percorso costeggiando la base dell’edificio polifunzionale e successivamente delle case preesistenti lungo lo scosceso fianco, fino al bivio che permette di risalire verso via San Pellegrino o di scendere per una piccola e stretta stradina, scorciatoia percorsa quotidianamente dai minatori all’epoca della fiorente attività dell’industria di zolfo. Salendo le strette scalette, invece, lo spazio si decomprime aprendosi sulla piazza pubblica. Articolata su due livelli si configura come un’ampia stanza all’aperto, circondata dal denso tessuto urbano che impedisce il contatto visivo con il paesaggio, ad eccezione di due scorci, il primo incor-

niciato dal profondo e stretto taglio che separa il museo dall’edificio polifunzionale, il secondo al di là dei volumi tufacei in prossimità della torre. Dalla piazza, fulcro del progetto è possibile intraprendere vari percorsi: accedere al museo, allo spazio polifunzionale o continuare la salita verso il paese, imboccando una nuova rampa di scale e accedendo allo spiazzo superiore.

27



Esploso assonometrico quota +8.10m 11_piazzetta I1 Edificio II 10_spazio espositivo quota +4.50m 08_piazza 1 Edificio I 09_percorso espositivo Edificio II 07_aula studio Torre 10_belvedere quota 0.00m Edificio I 01_ingresso museo 02_percorso espositivo Edificio II 03_ingresso 04_sala conferenze 05_servizi igienici Torre 06_accesso torre dal paese quota -4.50m Edificio I 12_percorso espositivo/sala tessuti 13_deposito 14_servizi igienici quota -9.00m 15_piazza/terrazza Edificio I 16_bar 17_cucina 18_deposito bar 19_servizi igenici 20_deposito/vano tecnico Torre 21_accesso torre dalla panoramica




tavola 10

Sezione trasversale

Sezione trasversale

Prospetto sulla strada panoramica

Pianta quota +4.50m

01_piazza 1 Edificio I 02_percorso espositivo Edificio II 03_aula studio 04_terrazza/loggia Torre 05_belvedere

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Pianta quota 0.00m

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01_piazza Edificio I 02_ingresso museo 03_percorso espositivo Edificio II 04_ingresso 05_sala conferenze 06_servizi igienici Torre 07_accesso torre dal paese 0 2 4

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scala 1:200 0

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Il museo La ricerca inusuale che ha dato vita al museo si riferisce a quattro secoli di vita del piccolo centro irpino dal XVI al XIX secolo, ma lo stesso museo presenta testimonianze che vanno dal periodo preistorico, passando per quello medievale, fino all’archeologia industriale. Lo scavo dell’ossario della Chiesa madre, e la continua ricerca di brandelli degli abiti con i quali veniva inumata la gente comune, dominano tuttavia l’esposizione e individuano in sostanza la ragione della nascita del museo. (Lucia Portoghesi) Il percorso che porta all’accesso del museo segue un muro scandito da una serie di fessure regolari che si aprono sull’interno, sotto la tettoia rivestita in breccia che ricuce il prospetto frammentato dato dagli sbalzi

delle sale espositive. Alla quota principale, infatti, il possente blocco che fa da base all’edificio si frammenta in tre volumi scolpiti dal tetto a falda e collegati fra loro tramite dei passaggi vetrati. Il volume dell’edificio museale si articola su quattro livelli, di questi tre sono occupati dai preziosi resti, mentre l’inferiore è occupato dal deposito e dal bar indipendente, precedentemente citato. Dalla hall d’ingresso è infatti possibile imboccare le scale (o l’ascensore) e iniziare il percorso espositivo. Al livello inferiore si trovano collocati i servizi igienici e una lunga sala con un piccolo deposito, dedicato alla particolare sezione riguardante i tessuti restaurati. Gli antichi vestiti esposti sono accolti nelle apposite teche progettate e illuminati con luce principalmente artificiale (indicata per gli spazi espositivi), le strette fessure che fe-

riscono il volume di tufo aprendo la sala verso l’esterno non permetto infatti il passaggio di molta luce naturale. È comunque previsto un sistema di tendaggio al fine di oscurare totalmente la sala, in caso di necessità. Alla quota della piazza, superate le scale, i ritrovamenti archeologici sono disposti in tre sale aperte sulla piazza e, dal lato opposto, a nord, sulla panoramica, tramite le piccole fessure, che permettono fugaci scorci verso l’esterno e il passaggio di poca e fioca luce verso l’interno. È tramite i tagli, che il paesaggio diviene protagonista. Pausa tra una sala e l’altra, infatti, i passaggi vetrati permettono la vista e l’affaccio verso la vallata circostante. Il paesaggio irpino, a sua volta importante elemento narrativo della cultura locale si mescola così ai resti delle sale divenendo parte del percorso mu- 33 seale stesso.




Dettaglio tecnologico

0 0,5 1

2,5

5

01_solaio di copertura rivestimento in breccia irpina bocciardata guaina traspirante impermeabilizzante pannello per isolamento termico barriera al vapore calcestruzzo armato controsoffitto

02_lucernario a doppio vetro infisso con vetrocamera di copertura infisso con vetro secondario opaco

Le tre sale superiori, più ampie rispetto alle inferiori e chiuse su tutti i lati, sono illuminate tramite luce zenitale che passa dai lucernari aperti sulle falde. La luce, al contrario, inonda le passerelle che attraversano i tagli vetrati, collegamenti tra una sala e l’alta e punto di contatto tra i due piani. Tra le sale espositive si differenziano quelle centrali, comunicanti grazie alla doppia altezza. Il solaio a sbalzo del primo piano permette oltre che l’affaccio, il passaggio della luce, che non trovando ostacoli, lambisce le pareti in cemento fino al piano inferiore. Una piccola finestra, inoltre, rompe il prospetto esposto a nord portando di nuovo il paesaggio e le verdi montagne all’interno del museo, tra i ritrovamenti archeologici che da quelle stesse terre provengono. Il cemento a vista dai colori caldi, anonimo e al contempo av-

volgente, fa da sfondo agli antichi oggetti, mentre la breccia irpina, materiale usato con il tufo come rivestimento esterno, rifinisce i passaggi tra una sala e l’altra. Fa eccezione tra le sale quella in cui sono esposti i tessuti, in quanto è una parete di tufo che fa da fondale all’esposizione. Tale materiale, principalmente usato nell’esterno, viene infatti riproposto anche all’interno del museo, divenendo parte dell’esposizione. La scelta è dettata dalla volontà di dare risalto a quell’elemento, principale antico materiale da costruzione e di conseguenza importante e caratteristico per la cultura locale.

03_chiusura verticale rivestimento in blocchi di tufo staffe di ancoraggio rivestimento-setto intercapedine di aria pannello per isolamento termico setto portante in calcestruzzo armato

04_solaio intermedio a sbalzo calcestruzzo armato

05_solaio intermedio pavimento parquet massetto in cls alleggerito di livellamento massetto porta impianti guaina fonoassorbente calcestruzzo armato controsoffitto

06_solaio controterra pavimento massetto in cls alleggerito di livellamento massetto porta impianti pannello per isolamento termico barriera al vapore getto in cls armato con rete elettrosaldata vespaio areato fondazione a platea magrone

07_parete controterra guaina impermeabilizzante setto in calcestruzzo armato scannafosso guaina impermeabilizzante setto in calcestruzzo armato pannello per isolamento termico setto in calcestruzzo armato intonaco

0,4 cm 0,3 cm 10 cm 0,2 cm 35 cm 80 cm

8-16-8

25 cm 4,5 cm 10 cm 27 cm

30 cm

0,15 cm 3 cm 10 cm 1 cm 27 cm 40 cm

0,15 cm 3 cm 10 cm 10 cm 8 cm 40 cm 40 cm 15 cm

0,3 cm 27 cm 60 cm 0,3 cm 25 cm 10 cm 32 cm 1,5 cm


02 01

03

04

05

07 06






tavola 10

Sezione trasversale

Sezione trasversale

Sezioni trasversali

Pianta quota +4.50m

01_piazza 1 Edificio I 02_percorso espositivo Edificio II 03_aula studio 04_terrazza/loggia Torre 05_belvedere

01 05

03 04

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Pianta quota +4.50m 01_piazza 1 Edificio I 02_percorso espositivo Edificio II 03_aula studio 04_terrazza/loggia Torre 05_belvedere 0 2 4

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scala 1:200 0

2

4

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20


Edificio polifunzionale Di fronte all’ampia vetrata che porta all’interno del museo, scavata sotto il secondo livello della piazza, si apre la hall d’ingresso dell’edificio polifunzionale. Da qui si accede al lungo volume articolato su tre piani, simile nelle sue forme scultoree ai frammentati edifici museali. Al piano terra una modesta sala conferenze da settanta posti si sviluppa su un forte dislivello (circa 3 metri). La parte finale infatti si raccorda con la quota della panoramica, in maniera da permettere l’apertura dell’uscita di sicurezza nei pressi del palco. I materiali che rivestono la sala sono stati pensati e quantificati al fine di avere un’acustica ottimale al suo interno (vedi capitolo “acustica”). Un’ampia pannellatura lignea, in cui è intagliata una piccola finestra che permette un timido scorcio

verso il paesaggio, fa da sfondo al palcoscenico; i pannelli acustici sagomati bianchi posizionati sul soffitto schermano le luci alla vista; il cemento dai toni non troppo freddi crea un’atmosfera avvolgente e calda. Al piano superiore l’aula studio si apre su una loggia che rompe il volume monotono del prospetto offrendo una stupenda vista verso la vallata e verso i colli. L’ultimo piano del volume, illuminato esclusivamente da luce zenitale ospita un ampio spazio dedicato alle esposizioni di artisti locali. Il particolare lucernario pensato per la sala permette un’illuminazione ottimale per l’ambiente; i setti in calcestruzzo orientati infatti schermano la luce diretta proveniente da sud e incanalano la luce che arriva da nord, mentre la lamiera in doppio strato di alluminio microforato

in parte riflette e in parte diffonde la luce in maniera da creare un’atmosfera uniforme all’interno di tutto lo spazio. L’accesso principale all’ultimo piano del volume avviene tramite una porta che affaccia su un piccolo slargo. Dal secondo livello della piazza infatti il percorso verso il paese continua tramite una scalinata, prima più ampia e poi sempre più stretta, fino all’ultima piazzetta del sistema progettato, nesso fra il nuovo edificio e le preesistenze oltre che ultimo scorcio verso il paesaggio prima di addentrarsi nel denso tessuto del borgo.

43




Dettaglio tecnologico

0 0,5 1

2,5

5

01_lucernario di copertura a doppio vetro infisso con vetrocamera di copertura 25 cm setti in calcestruzzo armato infisso con vetro opaco profilo in metallo doppio foglio di alluminio microforato profilo in metallo con sistema di illuminazione

La sala conferenze La progettazione della sala conferenze è stata guidata da una particolare attenzione al comfort acustico. Le dimensioni ridotte dello spazio non richiedono particolari attenzioni, una scelta e un posizionamento consapevole dei materiali al fine di ottenere un tempo di riverbero adeguato è quanto basta per consentire la miglior esperienza di ascolto possibile. Il tempo di riverbero adatto è stato ottenuto bilanciando opportunamente il numero di superfici fonoassorbenti e fonoriflettenti presenti all’interno della sala, avendo cura di posizionarle nei punti opportuni, in maniera da creare riflessioni o assorbimento di suono laddove è necessario. La volontà progettuale è stata quella di trattare le pareti laterali, come per il museo, con il cemento del setto portante a vista, moti-

vo per cui la posizione dei pannelli fonoassorbenti è stata prevista sul soffitto. Per il rivestimento alle spalle del palco, all’opposto, è stata scelta una pannellatura in legno riflettente, in maniera da incrementare le riflessioni di suono verso il pubblico. Il calcolo per ottenere il tempo di riverbero ottimale è stato svolto secondo il metodo indicato dalla norma UNI EN 12354-6, 2006, Acustica in edilizia. Valutazioni delle prestazioni acustiche di edifici a partire dalle prestazioni di prodotti. Parte 6: Assorbimento acustico in ambienti chiusi. (Formula di Sabine T60 = 0,161 * (V/A) con V=volume sala e A=unità fonoassorbenti totali. T60 ≤ T60ottimale verificata per frequenze comprese tra 250 e 4000 Hz con Tott=0,32*log(Vsala)+0,013).

02_chiusura verticale rivestimento in blocchi di tufo staffe ancoraggio tra rivestimento e setto intercapedine di aria pannello per isolamento termico setto portante in calcestruzzo armato

4,5 cm 10 cm 27 cm

03_solaio intermedio pavimento parquet massetto in cls alleggerito di livellamento massetto porta impianti guaina fonoassorbente calcestruzzo armato controsoffitto

0,15 cm 3 cm 10 cm 1 cm 35 cm 30 cm

25 cm

04_porte scorrevoli infisso in alluminio con doppio vetro camera

05_solaio intermedio pavimento massetto in cls alleggerito di livellamento massetto porta impianti guaina fonoassorbente calcestruzzo armato controsoffitto pannelli fonoassorbenti sagomati

06_solaio controterra pavimento in microcemento massetto in cls alleggerito di livellamento massetto porta impianti pannello per isolamento termico barriera al vapore getto in cls armato con rete elettrosaldata vespaio areato fondazione a platea magrone

0,15 cm 3 cm 10 cm 1 cm 30 cm 30 cm

0,15 cm 3 cm 10 cm 10 cm 8 cm 40 cm 40 cm 15 cm


01

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04 05

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Tecniche e struttura

pagina precedente Studio delle murature in tufo Muratura classica in tufo con giunti a vista Muratura in tufo con giunti invisibili Rivestimento in tufo con giunti invisibili

Da bambino andavo spesso dai miei nonni, a San Giuseppe Vesuviano. Spesso mi intrattenevo per ore fuori dalla casa, in un lungo cortile dove si aprivano anche altre case. Con un pozzo al centro. Spesso, lì, c’era un uomo, piccolo di statura ma massiccio — col baricentro basso come un calciatore —, che con una sua squadra di 2-3 operai costruiva muri di confine e piccole case matte. Usava la pietra di tufo. Tutta la zona vesuviana, ma in generale tutta l’area, ne è ricca, è ricca di tufo. Il tufo [la pietra di tufo] è il materiale da costruzione a me più familiare. E’ [il tufo, la pietra di tufo] il mattoncino della Lego con cui sono costruiti gli edifici della mia memoria [infantile, adolescenziale]. Interi pezzi di insediamenti vesuviani prima e casertani poi mi sono apparsi attraverso superfici di tufo. [Con varie rifiniture, trattamenti, orditure.] Ricostruisco la parete di tufo della mia memoria [che corrisponde alla parete di tufo che desidero]. La memoria conserva i desideri. (Beniamino Servino)

Per quanto riguarda i materiali sono stati privilegiati i locali. Per il rivestimento principale esterno non si poteva che scegliere il tufo, roccia vulcanica, la principale pietra utilizzata storicamente per murature portanti e non, nell’edilizia in tutta la zona. La muratura classica utilizzata per l’architettura monumentale storica in tufo prevedeva filari di blocchi con giunti a vista, alternando un filare da circa 25 cm con due da circa 12,5 cm, o più semplicemente filari da 25 cm con giunti alternati. Il tufo è un materiale particolare, molto poroso e facile da lavorare, le misure standard di un blocco all’incirca sono 12,5x40x25 cm ma vista la semplicità della lavorazione, spesso variano in base alla cava e alle necessità. Tale duttilità di lavorazione, se da un lato rappresenta una qualità del materiale dall’altro ne è anche criticità: non può infatti essere utilizzato con spessori troppo sottili, sia per una difficoltà di taglio, che con misure ridotte porta alla disgregazione del materiale, sia per la corrosione superficiale causata da una prolungata esposizione agli agenti atmosferici esterni.

Nel caso del progetto la disposizione del tufo è stato pensato a filari alternati, con un filare da 25 cm alternato a due da 12,5 cm. Per la pezzatura è stato deciso di utilizzare blocchi con le due dimensioni in profondità e in altezza fissa (25 e 12,5 cm) ma variabile in larghezza, ricreando un disegno irregolare e più caotico a richiamo dell’architettura popolare in tufo, in cui la muratura in blocchi non seguiva una trama prestabilita ma veniva eseguita con materiale di fortuna trovato sul luogo e assemblato in modo pressappoco casuale. Il tufo inoltre è stato utilizzato in modo da nascondere i giunti tra un mattone e l’altro, grazie ad una risegatura effettuata nella parte posteriore dei blocchi in cui viene posizionata la malta. Questa particolare tecnica, utilizzata storicamente dalle maestranze locali, non comporta un’eccessiva lavorazione grazie proprio alla duttilità del materiale, che viene tagliato con delle semplici seghe. Lo spessore importante del rivestimento, di 25 cm, vuole preveni- 51 re quel deterioramento causato


dalla corrosione del materiale provocato della prolungata esposizione agli agenti atmosferici. Rompono la monotonia del tufo i filari in breccia irpina, anch’essa pietra di estrazione locale, di colore chiaro; vista la sua resistenza (spesso viene impiegata nell’architettura urbana per il rivestimento di strade) è stata utilizzata anche per la copertura. Per la pavimentazione urbana delle piazze di nuova edificazione è stata scelta la pietra lavica, di colore scuro, pietra usata già in altre zone del paese per rivestimenti di piazze e manti stradali. Un’eccezione è rappresentata dall’intervento lungo la panoramica, in cui è stato deciso di mantenere e di riproporre nell’area della terrazza/piazza la pietra preesistente. La torre dalla base in tufo si innalza con possenti pilastri in cemento, ma-

teriale idoneo e abbastanza resistente per sfidare tali altezze. Struttura La prima cosa da tenere di conto per la progettazione di un nuovo edificio nella zona dell’entroterra appennino è di certo l’alto rischio sismico. Dalla mappa di pericolosità sismica risulta infatti ben chiara la posizione dell’area di Altavilla Irpina. Per quanto riguarda la tecnologia, visto lo spessore massiccio di rivestimento in tufo, pietra molto porosa e che quindi permette il passaggio dell’acqua, è stato necessario prevedere un’intercapedine fra il rivestimento e il setto portante in maniera da permettere la circolazione dell’aria ed evitare la formazione di muffe che andrebbero a danneggiare il calcestruzzo. L’aggancio tra il rivestimento e la

parete avviene tramite delle staffe in acciaio con una forma ad L poste ogni 4 o 5 filari, intervallate a loro volta da rinforzi secondari. Il sistema di ancoraggio è stato ipotizzato sovradimensionato visto l’alto rischio sismico della zona. Particolare attenzione è stata fatta al nodo tecnologico infisso-parete, prevedendo una piastra metallica di supporto ancorata al setto il calcestruzzo armato, su cui scarica il tufo e su cui è agganciata la breccia che fa da rivestimento alla parte superiore della fessura. Per il museo è stata prevista una struttura in setti portanti in calcestruzzo armato dallo spessore di 27 cm. Di tale struttura è stato analizzato un punto critico, cioè la discontinuità in altezza dei setti portanti. Tre setti principali paralleli sono la base per l’intero edificio museale, ma


Dettaglio tecnologico della parete 0 0,050,1

0,25

Nodo tecnologico infisso-parete 0,5

Blocco in breccia irpina sagomato 26cmx60cmx100cm

Staffa di ancoraggio tra rivestimento e parete Setto il calcestruzzo armato 27 cm Isolante 10cm

Lastra metallica di supporto su cui scarica il rivestimento Blocchetto in breccia irpina 25cmx12,5cmx50cm

Griglia per la fuoriuscita dell’aria

Ancoraggio breccia-lastra metallica

Intercapedine 4,5 cm Rivestimento in tufo 25 cm

Malta

Breccia irpina 35cmx7cmx60cm Ancoraggio lastra metallica-parete cls


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6,8

7,8 2

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2,3 0,27 5

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,56

2,3 0,27 5

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16

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4.50 4.85

11 2,5 ,69

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2,5

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4,81

4.50 4.85

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b 30

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30 30

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125

30

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,06

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11,72 Ø23 3

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9,31

4,2

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4,2

4,34

4,34

4,34

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6,48 4,34 4,2 4,81

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4,34

9,31

4,2

4,2

5,7

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4,34

4,34

5,7

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4,81

4,81

4,81

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2,5

11 2,5 ,69

6

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125

30

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125

50

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,06

14

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,7 14

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,06

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30

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a fianco Pianta strutturale Piano O

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piano -2 9,19

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8,37

piano -1

3

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2,5

,7

2,5

6

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0,2 7

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2,5

06

7

piano 0

Ø23

1.20

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piano 1 0,2

4.50 4.85

2,35 0,27

,56 16

piano 2

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9,18

,33

5,92

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5,92

11

,06

,7

in alto in senso orario Vista assonometrica Sezione bb Schema di funzionamento della parete Sezione aa

6,8

camento realizzato senza accortezze porterebbe quasi sicuramente al crollo degli edifici confinanti. La soluzione prevede l’utilizzo di diaframmi in calcestruzzo armato il cui ruolo è quello di contenere il terreno sotto le fondazioni degli edifici esistenti. La costruzione dei diaframmi prevede la realizzazione di uno scavo delle misure esatte di ogni diaframma, eseguito tramite idro fresa, tecnica che consente di scendere molto in profondità. Una volta eseguito il foro viene inserita la gabbia e gettato il calcestruzzo, che va a formare il possente setto. I setti, la cui lunghezza massima è 2,5 m si susseguono per la lunghezza necessaria. 11

,42

14

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1,7

a fianco in alto Sovrapposto piante

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125

effetti dovuti alle masse eliminando il calcestruzzo nelle zone dove ha meno effetto. Questa tecnologia risulta adatta alle zone ad alto rischio sismico in quanto la minor massa partecipante significa una drastica riduzione del rischio di danni strutturali. Un’eccezione è rappresentata dal solaio della hall d’ingesso all’edificio polifunzionale, in cui, vista l’ampia luce, si è optato per una soluzione mista calcestruzzo armato-acciaio, composto da travi HBE e soletta in calcestruzzo a doppia armatura. Un secondo punto critico è rappresentato dall’attacco del progetto con gli edifici preesistenti, nello specifico è stato analizzato il caso degli edifici posti a confine con la hall d’ingresso a sud-est, quest’ultima infatti si trova a una quota inferiore rispetto alla quella degli edifici preesistenti. Lo sban-

2,5

6

8

5,0

11 ,7

2,5

6,8

4,81

4,81

11 2,5 ,69

,33

solo uno di questi è contiguo per tutta l’altezza, gli altri due si interrompono alla “quota 0”. Infatti nei piani superiori, in cui abbiamo la frammentazione del volume museale, le pareti in calcestruzzo armato che organizzano lo spazio sono poste in direzione perpendicolare rispetto ai tre setti inferiori. Le diverse necessità distributive impediscono di proseguire le parete fino alla quota inferiore. Queste pareti, quindi, si comportano come pareti-travi, appoggiate sui due dei tre setti inferiori, e nella parte finale a sbalzo. La maggior parte dei solai sono realizzati in calcestruzzo a soletta piena alleggerita con doppia armatura. Questa tipologia di solaio differisce dai classici a doppia armatura nel fatto che tra un’armatura e l’altra, prima di eseguire il getto vengono inserite delle sfere in polietilene al fine di minimizzare gli

4,2

4,34 2,5

9,31

2,5

4,2

4,81

4,81

11

50

30

125

55

50

50

125





Postfazione Ora si fanno case con altri materiali, ma chi ha dormito l’infanzia in camere intonacate sopra tufo ha sentito per forza la ninnananna delle terre flegree, sante balie del sud. (Erri De Luca, 2010)

Negli anni immediatamente successivi al drammatico sisma del 23 novembre 1980, Altavilla, oltre all’immancabile “walzer delle betoniere”, vide un gruppo di tecnici e studiosi, tra i quali l’archeologa Lucia Portoghesi, sorella del più noto architetto Paolo, dedicarsi ad una approfondita analisi di alcune delle principali architetture specialistiche presenti in paese. Fu in tale occasione che, tra le altre cose, vennero riportati alla luce i resti mortali di un numero, non meglio precisato, di Altavillesi anonimi che, come era consuetudine prima dell’Editto di Saint Cloud, erano stati sepolti all’interno della cripta/ossario del “maestoso tempio” cittadino, ovvero la Collegiata di Santa Maria Assunta in Cielo. Una montagna di ossa, indumenti ed effetti personali appartenenti a quelle che, su intuizione della prof.ssa Portoghesi, sarebbero divenute, da quel momento in poi, le Genti senza Storia della piccola comunità irpina. È in questo contesto che si inserisce il progetto, tema della tesi di laurea di Cecilia Marcheschi, la quale si è mossa sapientemente all’interno di un brano dell’antico tessuto urbano minore, opera di anonimi artefici del passato, tra i quali, è verosimile ipotizzare che vi fossero proprio quegli uomini e quelle donne, a cui il museo stesso è dedicato. La giovane autrice ha sfruttato i lacerti edilizi, frutto della coscienza spontanea architettonica delle antiche genti locali, per rimodellare un piccolo pezzo di Altavilla, facendo uso della ormai indispensabile coscienza critica del progettista. Il complesso del nuovo museo vuole riaffermare, con forza, una presenza, una continuità con il passato, ancorandosi idealmente alle preesistenze affioranti dal costone roccioso di quell’estremo lembo di abitato a strapiombo sulla vallata. Marcheschi si aggira tra gli stretti e tortuosi percorsi gradonati dell’antico borgo semi-disabitato, scorgendo, fra le cortine murarie dirute, gli infissi scardinati e la rigogliosa vegetazione infestante, l’essenza più intima della tradizione socio-culturale e costruttiva locale. La rielabora attraverso il proprio gesto compositivo ed il risultato che ne deriva è un moto centripeto che riporta al centro del discorso architettonico locale, il luogo da cui tutto ebbe origine, il punto esatto dove scoccò la scintilla generatrice di una comunità, oggi dispersa nel territorio circostante e nel mondo. Il progetto propone un’azione di rifondazione e di ricucitura del tessuto urbano; la trasposizione dell’esterno in interno e viceversa. Immaginando un tour virtuale attraverso le sale rischiarate da lame di luce zenitale, o tagliate da squarci verticali che inquadrano scorci del paesaggio urbano e rurale circostante, la sensazione è quella di passeggiare per gli antichi vicoli, in cui si manifesta l’eterea sospesa presenza degli abitanti del passato e si acquisisce la consapevolezza che ognuno di noi, se preso singolarmente, sarà, prima o poi, individuo senza storia, ma se considerato come componente di base di un tutto più ampio, chiamato comunità, sarà parte integrante nella continuazione e nella conservazione dell’identità e della memoria storica di quest’ultima. Il progetto vuole racchiudere e conservare questa identità, nella tettonica del nuovo pezzo di città tufacea “che scalza intonaci e si restaura il giallo che è il colore di rima del paesaggio”.1 Plinio Vanni

59 1

Erri De Luca, 2010, Tufo, Edizioni Libreria Dante & Descartes, Napoli



Bibliografia

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61



Indice

Presentazione Fabrizio F. V. Arrigoni

5

Abbandoni

7

Storia del Partenio

11

Altavilla Irpina, morfologia e storia

15

Museo per le Genti senza Storia: origini

19

Il progetto

21

Tecniche e struttura

51

Postfazione Plinio Vanni

59

Bibliografia

61

63


Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Novembre 2020



Al viaggiatore che da Avellino percorre la strada verso Benevento, Altavilla Irpina si presenta, tra le dense pennellate di verde, aggrappata sul fianco del colle Ripa, quasi a fare la guardia sulla vallata sottostante. Fin dal Medioevo Altavilla è sopravvissuta ad assedi e terremoti, ma rischia oggi di scomparire afflitta da una grave malattia, la malattia dell’abbandono. Il lento e pericoloso cancro che sta infettando non pochi luoghi dell’Italia non ha cancellato questo paese, ma ha comunque portato all’abbandono di buona parte del suo nucleo più antico a vantaggio di zone di espansione moderne, spesso terreni fertili per improprie speculazioni, o di lontane città, che offrono condizioni di vita più agiate. In un’epoca in cui le grandi metropoli, divengono le protagoniste dell’abitare, i paesi, al contrario, si svuotano, rischiando di sparire con le proprie comunità, portatrici di memorie e culture locali. Al posto di questi luoghi e della loro vitalità appassita rimangono le spoglie di una vita passata, mura inermi apparentemente vuote in cui si racchiude una condizione duplice, la rappresentanza di una vita e il suo lento e inesorabile scorrere. Il lavoro si pone l’obiettivo di raccogliere le macerie e le rovine rimaste e di sottrarre all’incuria e all’oblio un brano di terra sul fianco ferito dell’antico borgo irpino che versa in stato di abbandono. Ai piedi del monumentale Palazzo Comitale che domina il paese dal suo punto più alto, tra i tracciati stretti e tortuosi dei vicoli che solcano gli isolati tufacei del centro antico, si erge, il museo per le Genti senza Storia. I volumi del complesso, monumentali ma frammentati; la torre, nuova porta d’accesso al paese e belvedere; il sistema di piazze, che interconnette i vari elementi dislocati sulla forte pendenza: questi elementi, con le loro radici ben piantate nella roccia, si propongono così come biglietto da visita al viaggiatore che stanco del rumore del frastuono cittadino si addentra alla ricerca di orizzonti sconfinati per le strade tortuose di questo magnifico entroterra irpino. Cecilia Marcheschi, Lucca, 1993, architetto. Si forma presso la Scuola di architettura dell’università degli studi di Firenze dove si laurea nel 2019 con il professore Fabrizio F. V. Arrigoni discutendo la tesi presentata in questa pubblicazione. L’anno successivo consegue l’abilitazione alla professione e inizia la sua esperienza professionale come architetto con un tirocinio extra-curriculare in Portogallo.

ISBN 978-88-3338-122-0


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