luigi marino
Il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere
La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo. The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA). The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.
ricerche | architettura design territorio
ricerche | architettura design territorio
Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-LaVillette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo RodriguezNavarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy
luigi marino
Il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere
Il volume è l’esito di un progetto di ricerca e didattica condotto da: Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio (DIDA) Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici (SAGAS) dell’Università degli Studi di Firenze La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.
in copertina Resti delle chiesa del Vescovo Malechios a Mekawer (Giordania)
progetto grafico
didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Gaia Lavoratti
didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2019 ISBN 978-88-3338-058-2
Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset
indice
Presentazioni Maurizio De Vita Guido Vannini
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The vulnerability of ruined buildings
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An atlas of the causes of deterioration
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For a project proposal
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Il restauro archeologico
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I settori di interesse e di intervento
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Il concetto di vulnerabilità
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La vulnerabilità di edifici ridotti allo stato di rudere
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Le cause principali di deperimento di un sito archeologico
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I danneggiamenti da mancati interventi di restauro e salvaguardia
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Un atlante delle cause di deperimento
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Patologie presenti nelle aree archeologiche e negli edifici allo stato di rudere Pathologies in archeological areas and ruined buildings Terreni e rocce | Land and rock Murature | Walls Presenza dell’acqua | The presence of water Vegetazione | Flora
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L’addestramento del personale
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Gli elementi formativi
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Le discipline diagnostiche
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
La metodologia per l’approfondimento delle conoscenze
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Il programma specifico di addestramento
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Per una proposta di intervento
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Un criterio generale per la scelta di soluzioni
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Il livello di compatibilità
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Il restauro di emergenza
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La protezione delle creste
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Le integrazioni delle lacune
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Consolidamento (provvisorio e definitivo)
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Bibliografia
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Scheda di registrazione della vulnerabilità in aree archeologiche e manufatti allo stato di rudere
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Modalità di redazione della scheda
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luigi marino
Il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
presentazione Maurizio De Vita
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A Gerusalemme i tradizionali edifici in pietra vengono progressivamente sostituiti con strutture in c.a. rivestite con lastrine di pietra.
Direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio DIDA
La dispensa di Luigi Marino dal titolo Il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere è in realtà un esteso saggio critico che offre sia rigorosi riferimenti metodologici per il restauro archeologico visto dalla parte dell’architetto che si confronti con la cultura della conservazione che puntuali ed efficacissime indicazioni e considerazioni sull’operatività sul campo, fra loro sempre interrelati costantemente e coerentemente. La complessità dell’azione restaurativa, la molteplicità e la specificità delle condizioni dei manufatti, delle forme di degrado e dei dissesti, del loro grado di vulnerabilità e delle soluzioni che possono essere prospettate sono quindi costantemente ricondotte ad un sistema di riferimenti di metodo alto e fortemente radicato nella cultura restaurativa cui l’architetto può e deve riferirsi quale operatore colto e scientificamente preparato a fronte della fragilità del sito storicizzato. Le azioni, le sequenze, le scelte che l’attività pratica impongono vengono qui spiegate ed esemplificate con grandissima chiarezza ed ampiezza di dettagliate indicazioni tanto nella consapevolezza delle infinite loro combinazioni quanto in quella della necessità scientifica di passaggi operativi irrinunciabili pena la perdita di materia antica quanto fragile. Questo saggio rappresenta quindi un prezioso compagno di viaggio per ogni operatore che si dovesse porre di fronte all’atto eminentemente culturale della conservazione di ogni manufatto storicizzato allo stato di rudere perché ogni sua parte è generosamente e sapientemente tratta da una lunga e vasta esperienza dell’autore che ha sempre saputo e voluto incrociare criticamente i principi e le riflessioni teoriche più incisive ed alte con la personale estesissima esperienza nei cantieri di restauro. Oltre a ciò esso crea una condizione culturale ed operativa di grandissimo interesse e, val la pena notare, di segno alquanto raro: a fronte di non poche diatribe per non dire autentici conflitti circa la presenza in campo di competenze diverse considerate spesso quali esclusive dalle parti, (dagli archeologi e dagli architetti quindi in opposizione fra loro) per presunte paternità elettive di ogni scelta ed azione conseguente qui si chiarisce e si pone la necessità dell’azione interdisciplinare, della necessaria e salvifica interazione dei saperi tecnici. Un grande merito di questo saggio sta dunque anche nel chiarimento della assoluta complementarità dei ruoli per una conduzione scientifica ed efficace delle fasi del-
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
la conoscenza, delle valutazioni diagnostiche e degli interventi restaurativi, del necessario confronto dell’archeologo e dell’architetto in tutte quelle fasi perché la materia antica possa raccontarsi oggi e domani con la forza e l’intensità documentale di ogni sua parte, ritrovata e sapientemente conservata. In questo senso il saggio rappresenta benissimo anche il sentire recente e la volontà che la Scuola di specializzazione in Beni archeologici e la Scuola di specializzazione in Beni architettonici e del Paesaggio dell’Università degli Studi di Firenze ritengono di voler e dover esprimere nei loro corsi, nei loro laboratori e in occasioni di dibattiti e discussioni organizzate congiuntamente, per un programma di formazione integrato, per la creazione di operatori che sappiano collaborare, che vedano al centro di tutto il patrimonio ed ogni singolo manufatto consegnatoci dalla Storia.
presentazione Guido Vannini
Direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici SAGAS
Si tratta di un prezioso manuale ‘tascabile’ per una prassi tanto consueta e diffusa, per essere parte costitutiva dello stesso ‘mestiere’ archeologico, quanto ancora largamente affidata ad un empirismo troppo dipendente da cultura ed interessi di singoli operatori. Un manuale che — frutto di una lunga esperienza sul campo, di una partecipazione all’elaborazione di riferimenti teorici e normativi e che peraltro rimanda ad un trattato con caratteri di sistematicità uscito non molto tempo fa — rappresenta una riuscita sintesi per un tema che da decenni costituisce una delle massime competenze scientifiche, professionali e didattiche del suo autore, che connotano il profilo di uno specialista che occupa un posto peculiare in un’area da sempre cruciale (e controversa) fra la declinazione storica dell’architettura e quella dell’archeologia. È questo uno strumento che credo possa costituire un passo importante per superare definitivamente anche un’eredità conflittuale fra archeologi e architetti (che ha anche prodotto spesso un’estraneità fra due approcci potenzialmente contigui) per affrontare interdisciplinarmente (magari condividendo un ‘linguaggio‘ come quello proprio dell’archeologia dell’architettura) le diverse problematiche che il cantiere offre. Probabilmente proprio questa collocazione — che peraltro in alcune Scuole (come quella fiorentina) ha trovato una specifica area di indagine condivisa nell’Archeologia dell’Architettura (o dell’edilizia storica, denominazione d’origine che meglio si attaglia ai suoi scopi fondamentali) — ha ostacolato (a volte impedito) che si coagulasse un’attenzione, da entrambe le parti e come sarebbe stato (e sarebbe) ragionevole e necessario, all’altezza della straordinaria importanza del merito della questione: stiamo parlando della conservazione delle tracce materiali della nostra memoria storica. Si può qui richiamare la definizione mannoniana di conservazione della memoria attraverso l’esito di indagini e di memoria conservata, potremmo dire allo stato potenziale, su quanto si mantiene in situ. In altri termini, questo manuale contribuisce sostanzialmente a colmare una lacuna che prossimo definire ‘cronica’ in un settore operativo fondamentale della prassi archeologica, tanto che da tempo il ‘restauro’ è prescrizione esplicita in tutte le concessioni di scavo (non solo in Italia).
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
Uno strumento ‘prezioso’, questo saggio sia nel senso di estrema utilità per condurre l’ultima operazione di qualsiasi indagine archeologica sul terreno; e, appunto, a volte la prima di una successiva fase che, attraverso la conservazione, ponga le premesse di una comunicazione per un uso civile dei risultati — o almeno di una loro selezione — della ricerca condotta. Per la gestione, sotto il profilo della conservazione, di aree attrezzate e soprattutto per la quotidianità della prassi archeologica scientifica e professionale, l’autore insiste infatti sulla necessità di un’apposita formazione di competenze specifiche (le cui cognizioni sono puntualmente individuate, categorizzate e riorganizzate a sistema, professionalmente gestito), indicando sintetiche ma precise sequenze di cognizioni ed abilità da conseguire. Una base non solo come ‘istruzioni per l’uso’ — a cominciare dalla consapevolezza della necessità di un approccio culturale preciso che metta a fuoco non solo gli obbiettivi, ma anche le stesse modalità per raggiungerli — ma per programmare percorsi di formazione specialistica in un settore che non può essere lasciato ad un empirismo sia pure informato. Le procedure di conservazione, come quelle della ricerca (e la distinzione fra di essi non è poi così netta) costituiscono infatti anche un linguaggio che come tale, deve potere essere condiviso per affinare metodi e procedure in rapporto a finalità non generiche. Insomma si tratta di un manuale atteso, frutto di riflessioni ed esperienze sedimentate ad opera dell’autore senza dubbio più titolato a cimentarsi nella creazione di uno strumento agile ma che può fare riferimento a una messe di studi precedenti, presenti nell’accurata selezione bibliografica; razionale e ben strutturato anche per sequenza logica di procedure e prassi, così come per i tematismi specifici che, pure dipanandosi fra i vari argomenti trattati con chiara essenzialità in un’architettura organica e consequenziale, si prospetta ottimo per consultabilità, prima ancora che per lettura. Ottima (anche per essenzialità) la scheda proposta, che appare predisposta in particolare — oltre le peculiari indicazioni per interventi conservativi — per impostare quella manutenzione, informata e programmata, che si presenta come il migliore restauro. Coerentemente, punti di for-
presentazione • guido vannini
za del saggio si presentano: l’elaborazione di una casistica ad ampio spettro di un’accurata e convincente classificazione dei fattori di rischio, di vulnerabilità e di deperimento la cui ‘diagnosi’ — documentata sul campo proprio per indirizzare od ottimizzare gli stessi interventi in atto — costituisce la base per la successiva prognosi; mettere in discussione prassi consolidate, a fini di conservazione, quali il reinterramento o la protezione delle creste dei muri; la “ricostruzione didattica”; il “restauro di emergenza”… In effetti, anche dalla casistica comunque attinta dall’autore nella sua lunga, intensa e quanto mai varia esperienza sui cantieri archeologici non solo di tutta Italia ma con importanti esperienze europee e mediterranee, per almeno un quarantennio, emerge un empirismo ed una sostanziale improvvisazione — a fronte della molteplicità di situazioni concrete presenti — disarmanti. Anche se si deve osservare che la distanza che si coglie, netta, fra elaborazioni concettuali, discussioni metodologiche, varietà di cantieri specializzati, quando non sperimentali, nel campo del restauro monumentale e quello, appunto archeologico (nello specifico su strutture prevalentemente interrate), si può cominciare a ritenere in via di progressiva riduzione. Questo essenzialmente per il ricomporsi della continuità concettuale fra sequenze stratigraficamente colte nelle strutture interrate, in quelle topograficamente estese e soprattutto in elevato, propri dei recenti strumenti di analisi archeologica, come le archeologie degli elevati e, più in generale, ‘leggere’, essenzialmente frutto di un approccio storicistico. Certo si tratta di nuove prassi ancora quanto mai circoscritte come casistica ma, si può ritenere, destinate ad espandersi. Un’espansione che, nell’apparato di sistema messo a punto da Luigi Marino e dalla sua Scuola, penso che in misura crescente archeologi ed architetti restauratori potranno trovare strumenti adeguati per affrontare la sfida del tempo (proiettato al futuro, questa volta).
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
the vulnerability of ruined buildings
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Lo scavo archeologico all’interno di un edificio impone la presenza di una équipe interdisciplinare di alta specializzazione (Lisbona).
The vulnerability of ruined buildings is generally very different than that of buildings that are still standing. They may have very different pathologies and levels of risk, though they also often have high resistance levels because the ruins having adapted to environmental conditions. The situation risks becoming significantly more serious when archeological sites are left without protection and in ruined constructions when the architectural structures’ degeneration has very low tolerance thresholds and becomes a load that is difficult to support. One of archeological restoration’s unique qualities is the dynamic condition in which the work is done and the constant variability of the conditions that constructions will experience. For example, it is clear that the difficulty of acting on archeological building constructions has less to do with the fact that the were underground for a long time and more to do with the sudden changes in conditions that they underwent during excavations (with major differences in the levels of recovery depending on excavation methods and strategies) and the state of neglect to which they were often left before restoration, which may therefore be inadequate. In practice, we continue to see reconstructions justified, on each occasion, by the intention to render the ruins easier to understand for a wider public. Yet, these ruins have often been neglected at length and would have been more easily saved if action had been taken more promptly. The areas of expertise and action in archeological restoration are quite diverse, including: large range and small scale prospecting, reconnaissance and site inspection techniques, diagnostic survey campaigns in extended areas and/or on samples, surveys of special sites and monuments (such as artificial and natural hypogea, active or abandoned excavation faces, surveys of lands, valleys and submerged constructions), non-destructive geophysical studies, developing new forms of graphic rendering (manual and/or automated), testing survey procedures from earlier periods, emergency surveys, dynamic surveys repeated over time, preparation of specific tables, surveys on construction materials and traditional building technological solutions (both those habitually applied on a large scale and those in uncommon forms and scales), study and development of operating chains for traditional construction techniques, logistical organization and preparing equipment before excavation campaigns,
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pagina a fronte Puntellamenti d’urgenza realizzati con elementi metallici e distributori di carico.
pagine seguenti Puntellamenti precauzionali a seguito del sisma del 2003 a Bam (Iran). Varie soluzioni per la protezione delle creste dei muri e contenimento del fronte di scavo.
conservation of constructions under excavation, cleaning, procedures for storing moveable finds, in situ protection of non-moveable finds, control of degenerative environmental effects (primarily, water and flora infestation) and human actions (vandalism, poor usage and the pressure of uncontrolled tourism), temporary (seasonal or periodical) or permanent covers, actual or symbolic integrations, partial substitutions, moves, use of copies, small-scale educational replicas, the use of landscaping to fill in missing parts, controlled neglect with observations of pathologies and speed with which they develop over time, planning and management of automatic survey systems to procure data about progressive deterioration, development and management of reference atlases for future projects, testing materials and innovative procedures, testing conservation materials and solutions used on other occasions, temporary or permanent structural consolidations, material consolidation and protection, conservation or revision of previous restorations, museum display planning (in urban or non-urban settings) on of off site, planning regular and repeated maintenance, organization of archeological areas integrated with natural and environmental parks, management of guided educational tours, education for different schooling levels and publication of project results. One category of restoration work that is sometimes uncontrollable is structural consolidation. Archeologists and architects’ methodological disputes and claims of authority over an archeological restoration are often rendered moot by the risk of collapse, which means that the situation is taken over by a structural engineer, whose decisions are never questioned. A similar approach is seen in cases of cataclysms (usually natural, but not infrequently caused by long neglect), when the declaration of a state of emergency seems to suspend any statement of principle and justifies only choices that are considered immediately utilitarian. Emergency restorations are an increasingly common area of action. They become necessary when action must be taken quickly and effectively, possibly in very difficult conditions; there may be a lack of necessary technical tools, financial resources and time (whether because it was unforeseen or effectively unforeseeable), and work conditions are created that require almost instantaneous decisions and plan changes in short time frames. In the future, especially in urbanized areas, emergency restorations are likely to become a large part of projects. Prompt diagnostic analyses may be required to plan the most suitable operations to ensure the building materials and their environment survive, making the best use of the conditions of discovery, while protecting its future informational potential. Choices are often especially sensitive because, in most cases, errors made cannot be remedied. A plan for effective study and investigations must include preventative diagnostic studies, during and after excavation, that can define
the vulnerability of ruined buildings
emergency action criteria and subsequent regular maintenance plans. This involves organizing an operating chain able to connect every decision and technical action, including isolated ones, to a series of decisions and actions in which they make sense. The primary issue is to make immediate decisions to avoid letting already precarious situations worsen. It is not unlike what a doctor would do working in an ambulance or an emergency room, trained to act following a set protocol that can minimize risks, especially during critical transition intervals during which damage could develop uncontrollably or irreversibly. In most cases, the restoration of ruined buildings seems to be limited to reconstructing forms, protecting the tops of walls and filling in gaps. In archeological areas and in ruined monuments, the disaster event’s period of incubation runs the risk of becoming more serious as “warning events” may become naturally less noticeable due to natural (or acquired) weakness. Though, at times, the danger is not recognized because there is a widespread attitude of unwillingness to see the risk. In restoration sites and even more in archeological excavations, there is a quite common habit of “denying danger”. Preventative measures, especially those taken only after a disaster has occurred (and quite often, repeatedly), are often seen as a passive compliance with regulations rather than an active tool to combat, or at least limit, actual risks.
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the vulnerability of ruined buildings
Only recently, and with much difficulty, the terms of restoration are starting to shift towards concepts of minimal intervention and systematic maintenance. In recent years, there has been a reduction of the role of repairs beyond the necessary and limiting actions mistakenly considered to be solutions, favoring instead recovering local materials and artisan traditions. These traditions are almost always reliable because they have been tested and proven over long periods of use, respecting transformations and adaptations that they have undergone over time and, except in rare cases, we are not authorized to correct. The most advanced new procedures are those that see restoration as preservation operations using minimally invasive interventions that as reversible as possible. These may stop (or just slow) processes of the materials degradation and the structures instability. They may also protect the information that the building may be able to provide in the future. These involve careful prevention operations and subsequent regular and repeated maintenance. The plan of action must be based on an analysis of the site/monument’s features that is as detailed as possible, on knowledge of and respect for its specific historic and informational characteristics, on awareness of the uniqueness of the conditions that we may find, working on the idea of ensuring the greatest degree of survival for structures and conditions that are (at least) similar to those in which they were found. Available protocols for verifying and gathering data mainly apply to studies of archeological areas, sites and monuments. For verifying states of conservation, these protocols do not seem to have been adequately tested. The procedure for archeological surveillance operations has been in effect for over thirty years. During an era of major work on the land (including roads, zonings and monument restoration in historic centers), the need arose to verify archeological potential (archeological risk) to avoid possible (expensive) interruptions in work. Programs for on-site monitoring (sometimes combined with targeted excavation samples) led to the preparation of risk charts. The informational value of ruined buildings is usually quite significant, both in terms of the immediate data recovered from them (for example, we can “see” inside a wall without the need for any demolition), as well as their future potential. Of course, this is contingent on the discovered building surviving in its “original” form. The importance of the remains of ruined buildings is in the fact that they can serve as a guide fossil for phenomena that we were not originally able to comprehend. They may be experimentation areas for localized solutions and tests over time. The true problem has to do with diagnostic backwardness, the inability or lack of will to conduct scientific studies on materials, construction techniques, changes over time, the state of conservation (material degradation and structural instability) and options for intervention.
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The most important elements to consider include: • traditional materials and construction techniques used; • the presence of unusual wall fittings and those that were used on a wide scale; • the presence of indigenous construction solutions and those that can be considered imported; • the adoption of historic materials and procedures may or may not have a preventative function against possible categories of slowly developing damage (such as water seepage, ground failures, and anomalous thrusts of structural parts) or sudden damage (mainly, earthquakes, floods, landslides and fires); • the presence of signs attesting to earlier interventions such as excavations, refilling, restorations, removals or modifications that, though correct and carefully implemented, may have triggered later mechanisms of degradation and instability. A ruined building left in situ (with or without adequate protection), if kept under observation, may become an observation point from which the following aspects may be monitored and evaluated for the time needed: • pathologies and the speed with which degenerative phenomenon are cyclically reproduced and • which, if exceptional events occur, can suddenly worsen or develop unique, unpredictable resistances • developing and potential risks caused by natural conditions or those • induced by a lack of maintenance or poor usage, as well as those due to restoration errors • characteristics of materials and construction solutions • solutions implemented in earlier periods and their validity over time • incidence of specific damage caused by disaster events on buildings already in advanced stages • of deterioration • usability of “traditional” or alternative solutions Frequently, during an archeological excavation or in a restoration site in an urban area, the area is cordoned off and access is restricted, creating a lack of interest or at times hostility in the public. Yet, the presence of a restoration site could be an opportunity for a conscious rediscovery of local history, stimulating greater commitment to conservation and care for local heritage. Each site could also become a point of reference for other
the vulnerability of ruined buildings
sites and the experiences of each excavation and restoration project could form an original knowledge base and an invaluable opportunity for new thinking about local history. The interpretation of historic texts (of any type) requires an interdisciplinary approach. Stages of investigation allow for the advance of research and development of controls that are progressively better suited to the individual features of each instance. At any point in research, they should allow a return to earlier levels of research to make corrections or improvements. For example, a truly interdisciplinary study can establish solid points that are accepted by different specialists, which breaks the viscous cycle of hypotheses that risk eventually becoming points of certainty on which subsequent larger theories are based. A significant role could be played by informative, educational system that can be updated regularly as work proceeds in archeological and restoration sites. It could help provide adequate information on the progress of the sites, the discovery of historic building structures, the discovery of finds, the acquisition of new data about urban history, and the changes (and advantages) that future development of work could bring the area. This would be an innovative system as it could provide information about individual sites, and possibly several sites, that could be constantly updated. This would be an invaluable opportunity for cultural integration, involving different users and spurring appropriate responses from society. A signage system that can be updated (using concise educational devices) could be an occasion to develop an informational network, taking different educational approaches for different levels of education and civic involvement. This would activate the spread of information about individual areas of the city and place where we live, linked to a wider system of knowledge. Naturally, the target of this tool would be the residents of the areas in which the sites are located, especially young people. They can be involved as more than passive users, putting them in active roles involved in managing the information, working closely with professionals on the site (such as architects, archeologists and restorers). This would make the site function as a special educational place for organized school trips and as an observation point from which less interested, informed passersby may be stimulated (by the presence of others and always changing signage) to be quickly updated, which could spur greater interest over time.
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an atlas of the causes of deterioration
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Sull’angolata di una torre a Ain Tounga (Tunisia) sono ben evidenti i segni del collasso
An atlas of the causes of deterioration in an archeological area and/or in a place of outdoor ruined buildings is based on corresponding pathological evidence. This evidence can be loosely grouped in a few basic categories. As needed, sub-categories can be derived from these, which are more detailed and allow further definition. We can take into consideration causes that have immediate effects (whether disasters or otherwise) or are slowly developing (though not therefore less dangerous). Individual stresses can act in isolation, occasionally, cyclically or permanently. However, they very often arise in combination, increasing the difficulty of a diagnostic assessment and increasing their destructive potential. There are wide ranging instances of possible degradation and instabilities for walls. However, they can be summarized in a few of the most common categories. Degenerative phenomena may occur in isolation, though they more frequently occur in concert with other causes. In such cases, intervention on walls with complex pathologies may have complications that make diagnosis more problematic and interventions more onerous. For the conservation of “wall findings”, an essential factor is the level of knowledge obtained about the findings, regarding mainly: construction materials (such stones, brick, lumber, mud and mortars), techniques for extraction, transportation and processing during and after excavation, modes of use and construction technologies; transformations over time; state of conservation at time of discovery or studying and comparing with (when possible) previous situations in terms of the degradation of materials and the structures’ instability, evaluating actual or presumed risk and determining a realistic “life expectancy”. Reconnaissance and targeted site inspections can form a basis for designing survey campaigns (for dimensions, materials and structures, diagnostics of material degradation and structural instability) in progressively greater detail in order to ascertain, record and interpret evidence (for training, for use, neglect and reuse). In an archeological campaign, the information gathering phase has the primary goal of ascertaining the data’s potential to properly proceed to a historic interpretation. A campaign for ascertaining the state of conservation gives priority to define the level of vulnerability of the finding to make the best decisions to extend its life as long as possible. The first analytical lev-
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Lo scavo urbano esige strategie diverse in relazione al ruolo che si vorrĂ assegnare ai ruderi rinvenuti
el involves collecting data about evident pathologies (which may be added into a framework of previous knowledge, including past and recent case histories). The second level involves filtering the information found. The third level brings together all data and formalizes it to determine an early diagnostic framework. When representing architectural parts, careful attention must necessarily be given to the wall fittings, joint mortars and plasters; to the geometric anomalies that may be the expression of different construction and repair phases or symptoms of recent or previous failings (in progress or stabilized); and evidence of (intentional or random) transformations, indicating the most likely causes and timeline. The kinematics of wall structures can be represented with simplified macrovolumes for complex systems of rigid structures (or those considered as such), or, more effectively, with the rendering of detail and more realistically adhering to conditions that are found in each instance. It may be important to identify and effectively represent the geometric characteristics of the discontinuities (both inherent and added on) so the movements of potentially vulnerable blocks or elements can be discerned. The factors that cause (or help reduce) deformations should be carefully and promptly identified as they allow us to understand why and how the wall is moving. Materials of different lithotypes and sizes may be dangerous if the degenerative mechanisms are in progress, because they can contribute to deviating the thrusts, which can make it more difficult to interpret the fissure situation and more expensive to implement effective tools to remedy it. Loads concentrated on elements with different resistance capacities can cause phenomena that could trigger dangerous degenerative chain reactions, if they do not stay localized. It should be kept in consideration that the local resistance of a historic wall, which may vary greatly over short distances, is based fundamentally on issues of balance.
for a project proposal
The phenomena discussed here affect archeological areas and ruins differently depending on numerous factors. Danger levels may vary depending on a site and structures’ conditions. The development of mechanisms and the speed with which they develop may depend greatly on the effective preparation of feasible plan of systematic maintenance. This is a second solution that could prevent degenerative mechanisms (or at least limit them to acceptable, controllable terms). The first solution depends directly on procedures adopted during excavation. The use of strategies that are better aware of conservation needs and the presence on the site of personnel trained in conservation could vastly help the future protection of built finds that are to stay in situ. Project plans should be focused mainly on “regular maintenance” procedures that are repeated over time, assessing criteria for testing and control. This can lead to drafting a model plan and operational technical specifications to define the criteria for analyzing prices of individual intervention categories. Increased preventative attention should be given to aspects that are more specifically structural and the relationships between the exposed structures and the structures and the ground that gradually covered them. More attention should be given to the variations in load and thrust conditions, as well as those induced by new conditions that arise during the excavation, sometimes with uncontrollable speed and varying degrees of trauma. For project proposals for an archeological area or ruined building to be truly effective, they must keep in consideration the actual state of the area and architectural structures (effective preventive diagnostics which can be adapted as work progresses) and forecast future conditions. Projects for building ruins and archeological areas should meet the following criteria: • be effective immediately yet flexible for needs that may arise to modify solutions in the light of new, unforeseen needs; • integration between archeological finds surviving under ground level and architectural ones above ground;
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Il contenimento delle spinte del terrapieno nella cittadella di Aleppo (Siria) è realizzato con sacchi riempiti della terra di scavo.
pagina a fronte Le integrazioni della antica pavimentazione a Mekawer (Giordania) sono realizzate con nuovi elementi lapidei e traversine della dismessa ferrovia.
• ability to complete work with workers who are not highly specialized (though appropriately trained) with the support of specialists, when necessary; • plan for easy, effective maintenance; preparation of personnel and suitable equipment and the necessary economic resources; • the use of easily procured equipment (such as portable and removable covers, exhibition and educational modules that can be easily adapted to other situations and locations) • experimental quality of some solutions to be tested during a reasonable period of use before being adopted on a wider scale; • preparation of a data collection center on the area’s state of conservation and to study the dynamics of material degradation and structural instability. This center might also serve as a point of connection between all specialists working in the area or monument. The sequence of steps around which to develop a restoration project for an archeological site or ruined building include: • defining the problem; • describing the current state; • analyzing the events that caused the degradation and instability; • describing the desired situation; • determining possible objectives; • defining the quality level required for the present and future; • analyzing conditions that could help solve the problem and those which may be hindrances; • forecasting a monitoring and maintenance plan over; • assessing resources and powers able to reduce hindrances.
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
il restauro archeologico
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Cantiere di scavo a Umm Qeis (Giordania). Il materiale è costituito quasi esclusivamente da elementi di crollo.
Il Restauro archeologico è parte del restauro architettonico; rappresenta un ambito interdisciplinare che ha connotazioni certamente singolari poiché la degenerazione delle strutture archeologiche si presenta con forme patologiche che hanno soglie di tollerabilità molto ridotte. La definizione restauro archeologico identifica nelle accezioni più comuni interventi conservativi di manufatti e reperti mobili provenienti per lo più da operazioni di scavo. In mancanza di una definizione più corretta e libera da equivoci si utilizza la stessa definizione anche con il significato di conservazione, manutenzione e valorizzazione di manufatti edili ridotti allo stato di rudere e aree archeologiche. Una delle differenze significative tra il restauro architettonico e quello archeologico sembra risiedere nel fatto che mentre per il primo esistono teorie e conseguenti modi di operare, per l’altro, a fronte della relativa scarsità di contributi teorici, esiste una ricchissima quantità di interventi. L’antichità del manufatto non è necessariamente una discriminante in quanto edifici archeologici ancora in buone condizioni possono avere trattamenti che sono usuali nel restauro architettonico mentre edifici meno antichi, ma per varie cause ridotti allo stato di rudere, esigono un approccio metodologico e procedure di intervento diversi. Un esempio evidente è costituito da edifici che, vecchi non più di uno-due secoli, possono essere fortemente danneggiati da eventi calamitosi: terremoti, alluvioni e frane in particolare ma anche eventi bellici che sembrano colpire sempre più frequentemente il costruito. La classificazione tra “monumenti vivi” e “monumenti morti” non è più sostenibile poiché la conservazione di un manufatto (che ha comunque un valore di documento) non può essere condizionata soltanto dalle reali possibilità di riutilizzo con funzioni simili o comunque non dissonanti da quelle originarie.
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
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Risparmi di terra protetti con sacchi di terra a Tell Massos (Israele).
Una delle singolarità che il restauro archeologico presenta è legata alla condizione dinamica in cui gli interventi di scavo e di restauro avvengono e alla variabilità costante delle condizioni in cui i manufatti si trovano a cantieri aperti e a quelle in cui si troveranno a vivere in seguito. La difficoltà di restauro di manufatti edili archeologici non dipende tanto dal fatto di essere stati per molto tempo sotto terra quanto piuttosto dai bruschi cambiamenti delle condizioni a cui sono soggetti durante lo scavo (con una forte differenziazione dei livelli di recupero in conseguenza delle strategie di scavo), alla variabilità delle condizioni ambientali che troveranno in seguito e al frequente stato di abbandono in cui verranno spesso lasciati prima di interventi che diventeranno, pertanto, inadeguati dal punto di vista conservativo. Gli aspetti più evidenti del ritardo disciplinare del restauro archeologico sono evidenziati da prassi di intervento che ripropongono, con poche varianti, modelli operativi di cui è verificabile la frequente scarsa efficacia. Il restauro di manufatti edili ridotti allo stato di rudere sembra ridursi, nella maggior parte dei casi, a restituzioni di forme giustificate dalla pretesa di facilitarne la comprensione da parte di quel pubblico che durante i lavori e per lunghi periodi successivi ne è stato tenuto accuratamente lontani. Di fatto, sembra abbastanza ricorrente che vengano ignorati pur significativi aspetti legati ai materiali originari e alle tecniche costruttive, alle funzioni che hanno avuto nel tempo e alle trasformazioni e adattamenti che hanno subìto e che, salvo rari casi, non siamo autorizzati a correggere.
il restauro archeologico
Dopo le prime indicazioni del XVIII secolo, la ricerca archeologica suggerisce i primi provvedimenti normativi di tutela ma quasi sempre riservati agli oggetti da collezione (reperti da museo). Le revisioni critiche della seconda metà dell’800 hanno modificato in parte concezioni che, in nome di una pretesa unità di stile, si basavano sulla eliminazione di parti ritenute incongrue sulla base di modelli di prevalente carattere storico e stilistico. Agli inizi del ‘900 gli interventi si concentrano soprattutto sui ruderi romani, ostiensi e pompeiani con la preponderante azione di “reintegrazione e sistemazione delle rovine” (soprattutto in vista delle celebrazioni del bimillenario augusteo) mentre si sviluppano i primi interessi per gli aspetti più specificatamente tecnici. La maggior parte degli interventi è caratterizzata da restauri di liberazione e di completamento. Il ricorso sempre più frequente ai “più svariati mezzi della tecnica e della scienza moderna” (Giovannoni) se da una parte permette una maggiore affidabilità tecnica, dall’altra rende gli stessi interventi talvolta molto pesanti e difficilmente reversibili. Un ruolo importante è svolto dal cemento nella presunzione di una sua affidabilità illimitata. Le formulazioni teoriche e le esperienze di cantiere più importanti — e che avrebbero condizionato, nel bene e nel male, intere generazioni di restauratori — sono quelle date da G. Giovannoni e, soprattutto, G. Boni (Le relazioni Restauro dei Monumenti (Giovannoni) e La conservazione dei ruderi ed oggetti di scavo (Boni) sono state presentate al Primo Convegno degli ispettori onorari dei monumenti e scavi (Roma, 1912). Le classi di intervento definite da Giovannoni (restauro di consolidamento, restauro di ricomposizione, restauro di liberazione, restauro di completamento e di ripristino, restauro di innovazione) sono state applicate agli edifici ridotti allo stato di rudere provocando di volta in volta reazioni contrastanti o in perfetta adesione. Per contesti archeologici le proposte di Boni sono più puntuali e specifiche. Il grande rispetto per gli originali che Boni proponeva rappresentava una novità per l’epoca e senza dubbio poco condiviso se, nella pratica corrente, si continuava a operare con interventi prevalentemente mirati a trasformare “una mutile informe rovina” in un “accento e ritmo di bellezza nella cornice del paesaggio pompeiano” come avrebbe sostenuto pochi anni dopo A. Maiuri. Le difficoltà diventeranno ancora maggiori nel periodo del dopoguerra quando l’adozione del cemento in estensione condizionerà in maniera determinante la maggior parte degli interventi. Negli interventi più recenti una classe di degrado/dissesto delle strutture (che sta assumendo caratteristiche sempre più allarmanti) è legata alla qualità di prodotti usati la cui affidabilità non è stata sufficientemente sperimentata prima dell’impiego su vasta scala. Pur a fronte di un dibattito sempre più serrato sulla conservazione, caratterizzato da un notevole salto di qualità e alcune realizzazioni esemplari, bisogna registrare, per la protezione di edifici ridotti allo stato di rudere (soprattutto se non facilmente riutilizzabili) una qualità ina-
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
deguata. La sproporzionata fiducia nella tecnologia e nei “prodotti per il restauro” (resine di sintesi innanzi tutto) e la spregiudicatezza di alcuni interventi (“l’antico come pretesto”) sembrano essere causa di molti danni. Sembra opportuno ricordare come nei cantieri di scavo non sono quasi mai previste attrezzature e un adeguato addestramento del personale per intervenire in condizioni di emergenza quando si ricorre piuttosto a rimedi improvvisati e soluzioni legate soltanto alle richieste e alle disponibilità momentanee. Le indicazioni della Conferenza di Atene e della Carta di Venezia danno buoni risultati per il restauro monumentale ma non sembrano altrettanto validi per quello dei ruderi che continuano a sopportare periodi di abbandono e di degrado seguiti da operazioni di ricostruzioni più o meno mimetiche basate su modelli teorici piuttosto che su pertinenti analisi di come realmente gli edifici sono stati costruiti e/o sono stati trasformati nel tempo. La trattatistica degli anni della ricostruzione presenta alcune novità ma bisognerà aspettare almeno fino alla fine degli anni ‘70 per riscontrare qualche rinnovamento di principio ed esempi operativi a cui far riferimento. A fronte di un indubbio avanzamento delle discipline archeologiche — la New Archaeology propone regole per una costruzione logica delle ipotesi e dei risultati sul campo — (Binford e Binford, 1968) i problemi conservativi sembrano riguardare soprattutto i reperti da scavo. Per questi vengono elaborate efficaci metodologie di classificazioni che, invece, mancano per le strutture murarie e, in particolare, per quanto riguarda lo stato di conservazione. Più recentemente, con una certa fatica i termini del restauro tendono a spostarsi verso i concetti del minimo intervento, reversibilità e della manutenzione sistematica mentre, nella pratica, si continua ad assistere ad interventi di ricostruzione giustificate, ancora volta, dalla intenzione di rendere comprensibili ad un pubblico più vasto gli stessi ruderi che, lasciati in abbandono per molto tempo, avrebbero potuto più agevolmente essere salvati se si fosse intervenuto con maggiore tempestività. Questi vengono giustificati dalle “situazioni anomale” e “necessità straordinarie” che dipendono da sollecitazioni calamitose, da uno stato di vulnerabilità diffusa sempre più avanzata e soglie di tollerabilità sempre più labili. Non di meno va osservato che molti interventi sono condizionati (nel bene e nel male) da una sempre maggiore moda di “grandi eventi” nei quali anche aree archeologiche e ruderi sono strumentalmente coinvolti.
il restauro archeologico
Il cantiere di restauro e quello di restauro archeologico si trovano ad essere spesso area di conflitto tra architetti e archeologi a causa del fatto che rivendicano competenze esclusive e proteggono posizioni di un presunto privilegio. Le incomprensioni e le reciproche accuse rischiano, di fatto, di nuocere anche ai siti e ai monumenti che si ritrovano a ridursi a terreno di aspre contese di principio. Non è difficile condividere l’idea di chi ritiene che troppo spesso nei cantieri di restauro si ignorino i dati e i contesti archeologici (sia nello scavo del sottosuolo che nella demolizione di strutture fuoriterra) ma al tempo stesso va ricordato come la presenza di architetti-restauratori (che è bene ricordarlo rappresentano una categoria diversa da quella degli architetti-progettisti di nuove architetture) nei cantieri di scavo è sporadica. Anche quando si è in presenza di strutture edili più o meno vulnerabili. Il peso emergente e sempre più pressante delle discipline della conservazione esige una profonda riflessione sui rispettivi ruoli dell’architetto-restauratore e dell’archeologo e la riorganizzazione dei quadri di collaborazione, anche a livello istituzionale. Le esperienze di collaborazione finora attivate indicano percorsi comuni di grande interesse scientifico e di forte utilità pratica. Il cantiere di restauro archeologico si pone come un ambito nel quale si possono sviluppare programmi realmente interdisciplinari nei quali siano abolite gerarchie precostituite e ruoli sussidiari ma le competenze siano valorizzate strategicamente al fine di avere la migliore conoscenza del sito-manufatto e assicurarne il massimo della conservazione. É evidente con quanta cautela vadano utilizzate ambigue definizioni come architetto-archeologo e archeologo-architetto che di tanto in tanto qualcuno ripropone. L’architetto-restauratore e l’archeologo presentano molti punti in comune che riguardano una formazione basata sull’architettura antica, sullo studio di tecnologie costruttive e materiali tradizionali, sulla pratica della ricerca e della documentazione sul campo (il rilievo documentale e diagnostico, per esempio), sullo strategico uso delle informazioni che provengono sia dagli archivi di carta che dagli archivi del suolo. L’adozione di criteri di indagine stratigrafica per gli elevati amplia notevolmente le occasioni di confronto e collaborazione e rende architetti e archeologi ancor più vicini poiché hanno la caratteristica comune di essere costretti a dover demolire, proprio per conoscerle meglio, parti importanti delle loro fonti di informazione. Condizione questa che rende il lavoro di architetti e archeologi peculiare rispetto a qualunque altra attività di ricerca e operativa di carattere “storico”.
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i settori di interesse e di intervento
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Lo scavo non attento ai problemi conservativi può esporre fronti di scavo e murature a forti rischi.
I settori di interesse e di intervento che rientrano negli ampi e articolati ambiti interdisciplinari del restauro archeologico comprendono: • prospezioni a vasto raggio e a scala ridotta; • tecniche di ricognizione e sopralluogo; • ricognizione aerea con droni (SAPR); • campagne di rilievi diagnostici in estensione e/o per campione; • rilievi di siti e monumenti particolari (ipogei artificiali e naturali, fronti di scavo attivi e abbandonati, rilevati di terreni e valli, manufatti sommersi, siti e insediamenti terremotati…); • indagini non distruttive di tipo geofisico; • sperimentazione di nuove forme di restituzione grafica (di tipo manuale e/o automatizzate); • procedure di collaudo di rilievi di altra epoca; • rilievi di emergenza; • rilievi dinamici ripetuti nel tempo (rilievi in tempo reale durante frane e smottamenti, fenomeni alluvionali…); • elaborazione di tavole tematiche a diversi livelli di specializzazione e approfondimento; • indagini sui materiali da costruzione e sulle soluzioni tecnologiche edili tradizionali (sia quelle abitudinarie applicate su vasta scala sia quelle che si presentano in forme ed estensioni inusuali); • studio e sperimentazione di catene operatorie relative alle tecniche costruttive tradizionali; • organizzazione logistica e predisposizione di attrezzature prima delle campagne di scavo; • conservazione dei manufatti in corso di scavo; • pulizia, catalogazione e procedure di stivaggio dei reperti mobili; • protezione in situ dei reperti inamovibili (terre e murature); • procedure di rinterro (parziale o totale) di murature rimesse in luce e attivazione di procedure di controllo della degenerazione che comunque si attiva;
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• controllo delle azioni ambientali degenerative (l’acqua e la vegetazione infestante innanzitutto) e dell’azione antropica (vandalismo, cattivo uso o pressione di un turismo incontrollato); • coperture provvisorie (stagionali o periodiche) e/o definitive; • integrazioni reali e simboliche; • sostituzioni di parti (con funzione strutturale e/o formale); • spostamenti (dislocazioni nell’ambito del cantiere o altrove); • utilizzo di copie tridimensionali; • repliche didattiche in scala ridotta; • utilizzo del verde per il completamento di parti mancanti; • abbandono controllato con osservazioni su forme e velocità con cui tali fenomeni si sviluppano e/o si riproducono nel tempo; • impianto/gestione di centraline di rilevamento (automatico o no) del progressivo deterioramento; • formazione e gestione di atlanti di riferimento per interventi futuri; • sperimentazione di materiali e procedure innovative; • collaudo di materiali e soluzioni conservative impiegate in altre occasioni; • consolidamenti strutturali provvisori o definitivi; • consolidamento e protezione dei materiali, conservazione o revisione di restauri precedenti; • musealizzazione in situ (in ambito urbano ed extraurbano) o in altro luogo; • predisposizione di programmi di manutenzione ordinaria e ripetuta nel tempo; • organizzazione di aree archeologiche integrate con parchi naturalistici ed ambientali; • gestione di percorsi didattici assistiti; • didattica ai vari livelli di scolarizzazione degli utenti; • studio e attivazione di procedure e soluzioni per utenti diversamente abili; • divulgazione e pubblicazione dei risultati degli interventi. É noto come lo scavo archeologico (programmato o di emergenza) possa costituire, esso stesso, l’innesco per meccanismi (tra i più pesanti) di degrado dei materiali e di dissesto delle strutture, se l’intervento non viene condotto con un previdente e adeguato livello di attenzione per i problemi conservativi. I processi di deperimento delle strutture (murature e fronti di scavo) si attivano proprio durante lo scavo a causa del brusco cambiamento delle condizioni ambientali e del complesso sistema dei contenimenti delle spinte.
il concetto di vulnerabilità
Il concetto di vulnerabilità è stato introdotto nello studio dei rischi naturali per i quali non sempre è possibile l’attivazione di interventi diretti sulla sorgente del pericolo, quando l’affidabilità dei sistemi dipende da avvenimenti aleatori di origine antropica (errori, mancata previsione, inefficace manutenzione, danneggiamenti intenzionali…) o di origine naturale (catastrofi, calamità naturali…). La vulnerabilità tipologica si riferisce ai parametri socio-tecnologici la cui risultante definisce il grado di indifferenza nei confronti di una possibile perturbazione ambientale. Importanti sono, a questo proposito, il livello di conoscenza locale dei fenomeni e la efficacia dell’addestramento alla gestione dell’emergenza (prima, durante e dopo). In ambiente archeologico, in particolare, non è raro che la situazione venga ulteriormente compromessa da un frequente forte abbassamento del livello di guardia a causa di una diffusa riduzione della percezione stessa del rischio. Le azioni intraprese per ridurre la vulnerabilità (il fattore P — la prevenzione — è un fattore riduttore della vulnerabilità) di un sistema contribuiscono, in maniera più o meno efficace, alla riduzione del rischio. É evidente, però, come non si possa parlare di rischio zero soprattutto se consideriamo che non si tratta quasi mai degli effetti di una sola causa ma di una più complessa compresenza di fattori. Nelle aree archeologiche la fase 2 dell’evento calamitoso (periodo di incubazione) rischia di assumere connotazioni ancora più delicate perché gli eventi premonitori possono risultare meno avvertibili a causa della naturale o acquisita labilità delle strutture ma anche a causa della ridotta sensazione del rischio. Se la tesi della imprevedibilità degli esiti di uno scavo archeologico come fosse una “disciplina dell’imprevisto” (E. Caliano, 2010) non è sostenibile, dal punto di vista più strettamente legato allo stato di conservazione la casistica è solitamente ancor più ridotta e, quasi sempre, riconducibile a patologie ricorrenti. A condizione, ovviamente che siano conosciute e si sappia riconoscerle sul terreno. La sensazione di rischio risulta spesso fortemente limitata nei siti e nei monumenti anche in cantieri che potenzialmente possono avere caratteri di emergenza. Le motivazioni sembrano essere costituite dal fatto che gli eventi vengono considerati prevalentemente in sé co-
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
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Il riempimento di un’area di scavo con la stessa terra non sempre risulta essere la soluzione migliore.
me se fossero indipendenti dalle cause che possono averli provocati. In molti casi sembra non sia possibile nemmeno definire il limite tra cause naturali e responsabilità umane. Nel campo dell’archeologia non è raro che cantieri dichiarati provvisori, nella pratica assumano caratteri di stabilità con un progressivo peggioramento di situazioni conservative che inizialmente erano state sottostimate. Nei cantieri edili le condizioni di rischio possono dipendere anche dal fatto che convivono diverse imprese esecutrici che operano non sempre in sintonia di spazi e di tempi, con classi di rischio interferenziali diverse ma che possono, proprio a causa della compresenza, sommarsi. L’archeologo che scava deve mettere l’elmetto e avere le scarpe da cantiere anche quando opera all’aperto e sembra che non ci possano essere rischi? La legislazione relativa alla sicurezza del lavoro ha avuto un notevole sviluppo; in particolare ha modificato in maniera sostanziale la gestione dei cantieri edili entro le cui norme rientrano anche i cantieri di scavo archeologico e di restauro. Queste tipologie di cantieri comportano analisi attente dei rischi per gli operatori che possono essere non indifferenti sebbene spesso sottovalutati. Le attenzioni e le procedure previste dal D. Lgs. 626/94 e dal D. Lgs. 494/96 (cantiere temporaneo o mobile) supera il concetto di prevenzione e protezione bloccata in un’ottica tecnico-normativa per suggerire condizioni di lavoro verso una dimensione progettuale, organizzativa e gestionale della sicurezza. Le lavorazioni che si svolgono in un cantiere archeologico potrebbero apparire “più semplici” e meno rischiose. Questo lascia intendere che il rischio sia legato soprattutto all’errore umano: ignoranza delle possibili dinamiche potenzialmente pericolose, eccessiva confidenza con operazioni e attrezzature impiegate, stanchezza e noia per lavorazioni ripetitive, fretta di concludere. Bisogna ammettere che una vera “cultura del rischio” (“un aspetto culturale fondamentale della modernità, per il quale la consapevolezza dei rischi sostenuti diventa un mezzo per colonizzare il futuro” A. Giddens, 1991) è ancora lontana nelle pratiche dello scavo archeologico e del restauro, pur a fronte di buone formulazioni teoriche generali.
la vulnerabilità di edifici ridotti allo stato di rudere
La vulnerabilità di edifici ridotti allo stato di rudere è solitamente molto diversa da quella di edifici ancora in piedi potendosi presentare con forme patologiche e livelli di pericolosità molto diversificate. Talvolta succede che materiali e procedure antiche possano avere avuto una funzione preventiva contro alcuni possibili classi di deperimento a lungo sviluppo (infiltrazione di acque, cedimenti di terreni, spinte anomale di parti strutturali…) o a sviluppo repentino (soprattutto terremoti, alluvioni, frane e incendi). Non raramente, anche a fronte di sollecitazioni che hanno causato rilevanti danni a strutture integre, si rileva come quelle allo stato di rudere possano aver subìto danni minimi o comunque ridotti. Tra i motivi si possono ricordare le altezze solitamente ridotte dei ruderi, gli scollegamenti tra le parti e le frammentazioni che hanno ridotto i rischi di sollecitazioni concentrate. Allo stesso tempo edifici ridotti da tempo allo stato di rudere possono evidenziare la bontà di soluzioni adottate in tempi passati (un collaudo a distanza di tempo) ma anche naturali adeguamenti delle strutture alle condizioni ambientali che possono aver facilitato o meno la sopravvivenza delle strutture. Nella maggior parte dei casi si continuano a proporre parziali o totali ricostruzioni (precedute da estese demolizioni, non sempre giustificate), talvolta aggiornate soltanto nei materiali e nelle procedure di applicazione, con maestranze inadatte. I risultati sono spesso quelli di una generale trasformazione di strutture tendenzialmente elastiche in rigide che presenteranno maggiore sensibilità verso eventi calamitosi. Negli ultimi anni si è cominciato a ridimensionare il ruolo delle riparazioni spinte oltre il necessario e limitare interventi ritenuti risolutori a vantaggio del recupero di tradizioni artigianali e dalla costante ripetizione degli interventi. Le soluzioni più avanzate sono quelle che identificano il restauro con operazioni conservative caratterizzate da interventi minimamente invasivi e al massimo reversibili, capaci di frenare (o anche soltanto rallentare) i processi di degradazione dei materiali e dissesto delle strutture salvaguardando anche il potenziale di informazioni che il manufatto, in tempi successivi, potrà ancora fornire. Si tratta di predisporre una accorta opera di prevenzione (ancor prima dello scavo che dovrà tenere maggiormente in conto le necessità immediate e i futuri obblighi conservativi) e avviare una successiva opera di manutenzione ordinaria e ripetuta nel tempo.
le cause principali di deperimento di un sito archeologico •
Uno scavo archeologico/ architettonico deve essere preceduto da una corretta valutazione dei rischi conservativi futuri.
Le cause principali di deperimento di un sito archeologico, spesso destinato a peggiorare nel tempo, possono essere: • scavo non attento ai problemi conservativi; • mancato riconoscimento di elementi “sensibili” con conseguente distruzione (o innesco di meccanismi degenerativi destinati a peggiorare nel tempo); • errata valutazione del ruolo strutturale di alcune parti; • le aree indagate e le strutture poste in luce sono lasciate incustodite e prive di idonea protezione dagli eventi atmosferici e dall’azione antropica; • non si provvede a tempestivi interventi di restauro e messa in sicurezza degli elementi archeologici ad alto rischio di deperibilità rinvenuti (stucchi, affreschi, mosaici…); • riduzione del livello di attenzione (o mancanza di attenzione) anche in presenza di rischi; • il cantiere presenta difficoltà di gestione; • l’area di cantiere è di pertinenza privata e necessita di continui compromessi che impediscono un’azione corretta; • cantiere in condizioni di emergenza. L’area sottoposta ad indagine archeologica è situata in zone in cui è necessario agire con rapidità, per motivi diversi: zone urbane a forte traffico nell’ambito di lavori pubblici, aree a densità edilizia, zone a rischio allagamento, frana, ecc., zone di conflitto, limitatezza delle risorse; • vulnerabilità del sito. L’area dello scavo potrebbe presentare una vulnerabilità (naturale o acquisita) che rende più complessa la gestione e più difficile la conservazione in situ: vulnerabilità naturale (terreni di riporto, acque disperse…), indotta (urbanizzazione), accessibilità non controllata, mancanza o inefficacia di programmi manutentivi, sovresposizione a forti sollecitazioni di utilizzo turistico;
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Uno scavo nella steppa di Tell Malkhata (Israele) ha poche possibilità di sopravvivere nel tempo. L’azione dell’acqua rappresenta una delle prime cause di degrado di un’area archeologica.
pagina a fronte L’efficacia di una copertura è legata alla manutenzione che si riesce ad assicurare nel tempo.
• condizioni di scavo pericolose: necessità di scavi profondi (vaste aree o a sezione obbligata), trincee, necessità di scavi a ridosso di strutture edilizie a rischio crollo, murature e fronti di scavo esposti, presenza di stratificazioni complesse (differenze di materiali, compattezza, giacitura…), presenza di materiali di accumulo e difficoltà di smaltimento di materiali di scavo, presenza di elementi vibranti; • difficoltà di protezione temporanea/stabile: mancanza o inefficacia di strutture protettive, mancanza di controllo nel tempo delle strutture protettive, permanenza delle strutture protettive oltre il limite previsto.
i danneggiamenti da mancati interventi di restauro e salvaguardia
I danneggiamenti da mancati interventi di restauro e salvaguardia, con conseguente degrado di elementi sensibili e perdita di informazioni archeologiche, possono dipendere da: • mancata tutela e azione conservativa nel tempo; • azioni antropiche (atti vandalici, furti, ecc.) in aree tutelate/non tutelate; • danneggiamenti “ambientali” indotti dall’area di scavo lasciata in abbandono (crolli, allagamenti, proliferazione di vegetazione, discariche…); • difficoltà nell’individuazione dei centri di vulnerabilità; • assenza (o riduzione) della percezione del rischio; • difficoltà (o incapacità) a valutare i livelli di vulnerabilità e le possibili azioni di riduzione del rischio; • necessità di “utilizzo” immediato.
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
un atlante delle cause di deperimento
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Una soluzione collaudata da 110 anni di esercizio al teatro romano di Verona (A. Avena 1907).
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Crollo di una cortina a causa della spinta del terreno carico d’acqua a Raqqa (Siria).
Un atlante delle cause di deperimento che si possono presentare in un’area archeologica e/o in edifici allo stato di rudere è basato è basato sulle corrispondenti evidenze delle patologie. Consideriamo soprattutto manufatti all’aperto lasciati senza protezione ma è evidente come molti fenomeni degenerativi possano essere riferiti anche a manufatti posti al riparo e perciò solitamente meno esposti alle sollecitazioni ambientali. Non di rado avviene che la presunzione che scavi effettuati all’interno presentino una maggiore capacità di resistenza possa provocare una riduzione di attenzione i cui effetti negativi si renderanno evidenti in tempi brevi. In linea di massima i fenomeni degenerativi possono essere raggruppati in classi riconoscibili dalle quali far derivare, quando necessario, classi subordinate di maggior dettaglio. Una prima suddivisione riguarda cause che hanno effetti immediati, più o meno catastrofici, oppure a lento sviluppo, ma non per questo meno pericolosi. Una efficace base di partenza per la classificazione delle cause di deperimento dei beni culturali è stata proposta da G. de Guichen (2001).
Effetti immediati e catastrofici
Effetti lenti e cumulativi
cause naturali
cause umane
cause umane
cause umane
cause umane
cause naturali
terremoto
pubblico
professionale
professionale
pubblico
erosione
inondazione
guerra
mancanza di:
errori di:
ignoranza
T. inadeguata
eruzione vulcanica
terrorismo
quadro giuridico
scavi
affluenza visitatori
sali dissolti
tempesta
fanatismo
quadro amministrativo
trasp. costruzione
abrasione
UR. Inadeguata
uragano
vandalismo
politica
distribuzione spazi
vibrazioni
agenti corrosivi
fulmine
scavi clandestini
progetto culturale
documentazione
graffiti
inquinamento
grandine
furto
sensibilizzazione
manipolazione
caccia al tesoro
luce
maremoto
urbanizzazione
motivazione
riserve (stivaggio)
dimenticanza
microrganismi
fuoco
lavori pubblici
formazione
esposizione
vegetazione
arature profonde
scelte
supporto
insetti
pianificazione
clima
roditori
comunicazione
illuminazione
polveri
controllo sicurezza
conservazione
manutenzione
restauro
pagine seguenti La scheda diagnostica documenta efficacemente lo stato di conservazione di un tratto di muro etrusco (“indagine per campione”) con informazioni rese a vero e a falso colore (D’Angelo, Daniele, Falasca 1998).
Le sollecitazioni possono intervenire isolatamente, in maniera sporadica (un acquazzone estivo improvviso o una perdita occasionale di liquami inquinanti), in maniera ciclica (piogge stagionali) o permanente (esposizione costante all’azione del mare) ma molto spesso possono presentarsi in maniera associata tra loro aumentando le difficoltà e amplificandone il potere distruttivo. Anche nei quadri complessi le singole patologie sono spesso individuabili ma può diventare difficile definire le interrelazioni che possono crearsi tra loro, soprattutto quando non c’è una che tende a emergere sulle altre oppure quando si creano le condizioni per prevalenti sintomatologie subdole che possono rendersi manifeste soltanto a seguito di indagini specifiche ed elaborazioni mirate dei dati. Se si potesse condensare in un solo termine la causa prevalente di degrado/dissesto archeologico si potrebbe efficacemente utilizzare quello di erosione che bene esprime il meccanismo a cui sono soggetti le aree archeologiche e i monumenti allo stato di rudere. L’erosione si sviluppa con lente e inesorabili sollecitazioni che, apparentemente non nocive, possono causare, direttamente o indirettamente, danni irreversibili. Ancor più pericolosi perché si rendono manifesti soltanto in fasi molto avanzate dei processi degenerativi.
patologie presenti nelle aree archeologiche e negli edifici allo stato di rudere pathologies in archeological areas and ruined buildings
Terreni e rocce | Land and rock 1.0. superfici delle terre e delle rocce | land and rock surfaces 1.1 terreno vegetale non controllato | uncontrolled plant terrain 1.2. terreno lavorato | modified terrain 1.3. terreno di scavo non orizzontale | horizontal excavation terrain 1.4. differenze di terreno e contatto con materiali diversi | differences in terrain and contact with different materials 1.5. presenza di materiali di accumulo | presence of accumulation 1.6. differenza di scavo emergente | difference of emergent excavation 1.8. pareti di scavo verticali | vertical excavation walls 1.9. pareti di scavo inclinate | inclined excavation walls 1.10. riempimenti | refilling 1.11. riempimenti con funzione strutturale | refilling with a structural function 1.12. Le superfici rocciose o di terra | rocky or muddy surfaces 1.13. falesie e scogliere | falaises and cliffs 1.14. I terreni umidi | moist terrains 1.15. scavi clandestini | clandestine excavations Murature | Walls 2.0. perdita di verticalitĂ nelle strutture murarie | loss of verticality in wall structures 2.1. differenze di materiali | differences in materials 2.2. differenze di apparecchio | differences in fittings 2.3. rovesciamento di cresta | overturning of wall crests 2.4. slittamento al piede | slippage at base 2.5. spinta mediana | median thrust 2.6. cedimento di base | failing at base
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
La casistica dei cedimenti/ erosione di strutture murarie è molto ampia ed esige corrette diagnosi di dettaglio e nel complesso.
3.0. perdita di orizzontalità nelle strutture murarie | loss of horizontality in wall structures 3.1. smembramento degli elementi di piccola taglia | detachment of small elements 3.2. rovesciamento degli elementi di grande taglia | overturning of large elements 3.3. spostamento di elementi lapidei | shift of stone elements 3.4. presenza di materiali diversi | presence of different materials 3.5. erosione della terra | soil erosion 3.6. scavi archeologici non protetti | degeneration of unprotected archeological excavations 4.0. perdita di allineamento nelle murature | loss of alignment in walls 4.1. differenze di comportamento dei muri | differences in wall behavior 4.2. sollecitazioni esterne | external stresses 4.3. rotazioni | rotations 4.4. vibrazioni e martellamenti | vibration and pounding 4.5. puntellamenti e/o consolidamenti | shoring and/or consolidation 4.6. presenza di intonaci | presence of plasters 4.7. le pavimentazioni | floors 4.8. degenerazione per scavi archeologici non protetti | degeneration of unprotected archeological excavations 4.9. fenomeni di degenerazione per abbandono | phenomena of degeneration due to neglect Presenza dell’acqua (tavola dell’acqua) | Presence of water (water plan) 5.1. acque meteoriche diffuse o concentrate | diffuse or concentrated meteoric waters 5.2. acque di ristagno | stagnant water 5.3. linee o superfici di acqua ruscellante | lines or surfaces of streaming water 5.4. fenomeni di infiltrazioni a monte dei muri | seepage at the top of walls
patologie presenti nelle aree archeologiche e negli edifici allo stato di rudere
5.5. acque ritenute da terreni smossi e piante | water retained by loose earth and plants 5.6. inefficaci sistemi di raccolta e smaltimento | ineffective collect and drainage systems 5.7. acque concentrate in poche aree impermeabili | water concentrated in a few impermeable areas 5.8. ruscellamento nelle superfici verticali | streaming on vertical surfaces 5.9. concrezioni calcaree | calcareous concretion 6.0. azione di fattori ambientali | effect of environmental factors 6.1. variazioni di temperatura | temperature variations 6.2. effetto vento dominante | dominant wind effect 6.3. vento a raffica | wind gusts 6.4. vento incanalato | channeled wind 6.5. presenza e/o assenza di barriere | presence or absence of barriers Vegetazione | Flora 7.1. vegetazione | uncontrolled flora 7.2. vegetazione concentrata | concentrated flora 7.3. concentrazione di vegetazione arborea | concentration of tree flora 7.4. vegetazione “sotto serra | “greenhouse� flora 7.5. microvegetazione | wet microflora 7.6. vegetazione consolidante | consolidating flora 7.7. vegetazione per integrazione vegetale di murature | flora as integration for walls 7.8. muschi e licheni | moss and lichen
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Danneggiamenti in atto e potenziali: scavo al disotto del piano di fondazione, mancata protezione della cresta del muro, scavo su un solo lato del muro, omessa protezione da eventi meteo.
Le condizioni di vulnerabilità dei siti e delle strutture rimesse in luce possono presentare ulteriori peggioramenti a causa di trasformazioni involontarie o volontarie. Il contenimento dei processi degenerativi può essere legato alle decisioni che si prendono in corso di scavo (se non si facesse niente cosa succederebbe? e se si adottasse una certa soluzione invece di un’altra? Quali sarebbero i vantaggi, quali gli svantaggi alla luce delle sintomatologie presenti?). In molti casi è possibile limitare la tendenza al degrado/dissesto ricorrendo a soluzioni “naturali”, soluzioni “tradizionali” non escludendo, beninteso ma con le dovute cautele, soluzioni basate su materiali e tecnologie moderne.
l’addestramento del personale
L’addestramento di un personale adeguatamente specializzato deve tener conto della singolarità delle situazioni che si possono incontrare e la necessità di dover assumere decisioni importanti con la consapevolezza che potrebbe essere necessario adottare adattamenti a situazioni prima non prevedibili. Gli elementi formativi importanti da prendere in considerazione devono mirare ad acquisire conoscenze e maturare abilità al fine di: • intervenire in casi di emergenza su manufatti allo stato di rudere per assicurarne la protezione immediata e assicurare le condizioni di futura sopravvivenza; • conoscere le caratteristiche dei materiali e delle strutture e saperle riconoscere sul terreno; • valutare i livelli di rischio immediati e futuri delle strutture e intervenire di conseguenza con opere di puntellamento, protezione, copertura…; • valutare il potenziale di informazione che un rudere è ancora in grado di dare e, di conseguenza, individuare le peculiarità storico-sociali del territorio e, di conseguenza, promuovere la conoscenza della ricchezza dell’eredità culturale; • eseguire una efficace documentazione dello stato di fatto a carattere dinamico; • comporre e gestire un archivio di soluzioni conservative e di valorizzazione adottate nel tempo nelle diverse aree (collaudo in situ); • addestrare personale locale (per le indagini e la gestione) nell’ottica di provocare ricadute di interesse (e anche di tipo occupazionale); • sviluppare sistemi comuni d’informazione e comunicazione attraverso l’uso di nuove tecnologie.
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gli elementi formativi
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Puntellamento provvisionale con una struttura in laterizio.
Soltanto la capacità di apprendimento e di rinnovamento costante da parte degli operatori può consentire l’affidabilità dei ruoli e sviluppare il coraggio di mettere in dubbio posizioni di privilegio non sempre giustificabili, con l’adeguamento consapevole a nuove esigenze e l’adozione di rinnovate metodiche, conoscenze tecniche specifiche e capacità di gestirle attraverso la connessione di efficaci sequenze operative. Queste osservazioni sull’apprendimento e sull’aggiornamento possono sembrare eccessive per tecnici che, come gli architetti, gli ingegneri e i geometri fanno dell’operatività una base irrinunciabile della loro attività. In realtà, non è difficile verificare quanto frequente possa essere il rischio dell’appiattimento di una informazione che diventa unidirezionale. Si impara a fare una cosa e la si ripete all’infinito senza porsi minimamente il dubbio se la direzione nella quale si sta andando sia (o continui ad essere) quella più giusta. In assoluto e in relazione ai singoli casi si presentano. Questa condizione già grave per l’edilizia in genere, può assumere caratteri di maggiore gravità e di più pericolose conseguenze, nel caso di operazioni sul patrimonio storico quando la riproposizione meccanica di procedure standard, indipendenti dalla singolarità dei casi che si incontrano, può rischiare di causare reazioni ancora più pesanti. Il rinnovamento delle metodologie di accertamento e di intervento non può che passare attraverso la pratica di un lavoro diretto sulla fabbrica rilevandone ed interpretandone le stratificazioni e le trasformazioni avvenute, analizzando lo stato di conservazione e valutandone i possibili sviluppi. Non si tratta di isolare “gruppi” o “collezioni” di oggetti o manufatti ma, al contrario, di analizzare le relazioni esistenti tra gli oggetti stessi. Si tratta di verificare e quantificare la sopravvivenza di materiali e tecniche costruttive tradizionali (tradizionali di ogni singola area), del loro impiego su vasta scala oppure di utilizzo sporadico, del riutilizzo nello stesso luogo per altri edifici, la permanenza delle stesse procedure per tempi più o meno lunghi (di fatto, un pratico controllo della loro efficacia); di analizzare lo stato di conservazione in cui si trovano i resti, di valutare i meccanismi degenerativi (degrado dei materiali e dissesto delle strutture) e le dinamiche di evoluzione di tali fenomeni (almeno dall’epoca della scoperta ad oggi).
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Nel collasso di tutto l’edificio le strutture ad arco sono sopravvissute in situ: il progressivo deperimento di una area in corso di scavo; le strutture sono sollecitate da aggiunte moderne; protezione stagionale dei ruderi.
pagina a fronte Erosioni eoliche differenziate su una tomba a blocco e la retrostante parete a Petra (Giordania)
La prevenzione contro l’impoverimento culturale ed economico locale non può che partire dalla presa di coscienza che non può esservi sviluppo reale (capace anche di produrre reddito) che non tenga conto della salvaguardia delle risorse locali. Comprese le risorse umane, le capacità manuali e di inventiva, sapienze costruttive e accortezze manutentive, tradizioni di imprese e operatori ecoefficienti. L’impegno verso la tradizione esige innanzi tutto una completa conoscenza della propria storia e delle storie locali in particolare ancora troppo spesso a torto ritenute marginali. Atteggiamenti critici e metodologie di indagine assistite da procedure scientifiche potranno permettere di individuare, con l’avanzare delle indagini, anche aspetti forse meno appariscenti ma non per questo meno importanti. In fasi mature della ricerca questi potrebbero rendersi più evidenti e facilitare quelle operazioni conoscitive di sintesi che all’inizio parevano impossibili anche perché nella quasi totalità dei casi i dati sono frammentari, a causa di un approccio lacunoso e imperfetto della realtà. A maggior ragione, allora, bisogna verificare e analizzare quale possa essere il valore intrinseco e di rappresentatività del materiale recuperato e moltiplicare gli impegni per la sua conservazione “in originale”. Solo materiali originali potranno essere utilizzati da generazioni successive di operatori più preparati, più organizzati e ricchi, più fortunati.
le discipline diagnostiche
Le discipline diagnostiche applicate ad altri settori presentano una ricchezza di metodi e di strumenti di notevole interesse che possono avere una utile applicazione nell’ambito del restauro archeologico. Indagini distruttive e, soprattutto, quelle che non prevedono demolizioni e danneggiamenti degli originali hanno avuto uno sviluppo tale da suggerire utili applicazioni anche nel campo del restauro archeologico contribuendo a limitare, in tal modo, quella pericolosa “improvvisazione” che spesso caratterizza una vasta parte degli interventi. Per il restauro archeologico è determinante che gli interventi siano preceduti da esaurienti e corrette indagini diagnostiche che potranno addirittura limitare le necessità di interventi che, nella maggior parte dei casi, sono proprio dovute all’arretratezza diagnostica. Se in uno scavo archeologico le variabili possono essere in parte imprevedibili, quelle relative alle patologie delle strutture e dei materiali da costruzione si riducono spesso a casistiche limitate o comunque riconducibili ad ambiti conosciuti o sufficientemente controllabili.
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la metodologia per l’approfondimento delle conoscenze •
Distruzione della copertina protettiva su un muro ad Aguntum (Austria).
La metodologia per l’approfondimento delle conoscenze (preventive e in corso d’opera) è chiaramente regolata dalla specificità delle indagini stesse ed è mirata a definire quadri organici di riferimento. Fondamentale risulta la elaborazione e la gestione di strumenti come: • redazione di un atlante dei materiali (originari e aggiunti nel tempo) e delle strutture (originarie o adattate a nuove esigenze); • un atlante dei danni (evidenti e/o nascoste), delle degradazioni dei materiali e dei dissesti delle strutture; • definizione dei livelli di vulnerabilità (congenite e/o acquisite) e valutazione delle capacità da parte delle strutture di reagire autonomamente alle diverse sollecitazioni (fenomeni di fluage). Devono essere analizzati i criteri più comuni di intervento. In particolare, dovrebbero essere sperimentate soluzioni di intervento che si basano su operazioni conservative caratterizzate da interventi minimamente invasivi e al massimo reversibili capaci di frenare (o almeno rallentare) i processi di degradazione dei materiali e dissesto delle strutture. Si tratta, allora, di predisporre una accorta opera di prevenzione, ancor prima dello scavo che dovrebbe tenere maggiormente in conto le necessità conservative immediate e i futuri obblighi conservativi. Le proposte di intervento dovrebbero essere precedute anche da specifici sopralluoghi finalizzati alla conoscenza dei criteri di intervento eseguiti nelle stesse aree in altre occasioni perché possono fornire preziose indicazioni operative. Una particolare attenzione dovrebbe essere riposta nei controlli su operazioni di rinterro che sembrano costituire la più frequente procedura in alternativa all’abbandono. In realtà, in più occasioni, abbiamo potuto verificare che tale soluzione non è sempre affidabile in quanto una parte consistente degli originali rinterrati è comunque destinata a perdersi. Com’è dimostrato da alcuni scavi che hanno rimesso in luce siti e strutture che pochi anni prima erano stati scoperti.
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il programma specifico di addestramento
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Efficace ed elegante soluzione adottata al Colosseo per suggerire la presenza dell’anello esterno non più esistente.
Il programma specifico di addestramento di una Unità Operativa da impiegarsi in operazioni di restauro archeologico prevede una ricerca teorica ed operativa finalizzata all’acquisizione di competenze e abilità operative che riguardano i seguenti punti: Indagini conoscitive Verifica dello stato delle conoscenze e delle realizzazioni nel campo degli interventi di emergenza sia in ambito urbano che extraurbano. Raccolta di una documentazione relativa. Studio e realizzazione di una scheda di catalogo adeguata ed organizzazione di un archivio specifico a più chiavi di lettura ed utilizzo. Rilievi ed accertamenti di emergenza L’obbiettivo è fornire strategie per la registrazione e la interpretazione dei fenomeni che altrimenti rischiano di andare perduti o di non essere sufficientemente compresi. Per ottenere sistemi operativi validi ed applicabili in condizioni di emergenza è necessaria la messa a punto di procedure che, derivate da conoscenze di rilievo delle dimensioni, dei materiali e delle strutture e dello stato di conservazione siano adattate ed organizzate in un complesso operativo di collaudata efficacia e localmente adattabili alla singolarità delle situazioni. Rilievi dinamici Il confronto tra diversi rilievi e/o due osservazioni sullo stato di conservazione di un manufatto, a distanza di tempo, può contribuire a chiarire e dimensionare fenomeni degenerativi in attiytuazioni a rischio. Importante può risultare il protocollo che prevede operazioni di controllo ripetuto a distanza di tempo e procedure di collaudo che permettono di elaborare una sorta di “cartone animato” di un’area e/o di un monumento e, talvolta, prevedere gli sviluppi che questi potrebbero avere in futuro.
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L’impiego di geotessili con funzione protettiva non sempre risulta essere la soluzione migliore.
Indagini non distruttive Le attuali tecniche non invasive applicate alle analisi diagnostiche risultano le più adeguate ad effettuare indagini per il restauro in quanto aggiungono all’integrità dell’oggetto anche l’eseguibilità direttamente in situ potendo offrire risultati in tempi brevi e controlli immediati. Interventi distruttivi È stato più volte affermato che lo scavo archeologico rappresenta, di fatto, una delle principali cause di deperimento dei siti scavati poiché attiva processi degenerativi causati dai bruschi cambiamenti ambientali e microambientali a cui i reperti edili e lo stesso sito saranno soggetti in seguito. La situazione è destinata spesso a peggiorare se lo scavo non tiene conto della vulnerabilità di siti e monumenti, se non vengono adottate strategie di scavo che siano sensibili ai problemi conservativi e se allo scavo non segue una accorta e sollecita opera di conservazione secondo procedure di manutenzione ordinaria e, quando necessaria, straordinaria efficace e sollecita. È chiaro che la sicurezza dipende dal livello qualitativo dei dispositivi e delle procedure che si riesce a porre in atto preventivamente, dall’efficacia e dal loro corretto utilizzo e dall’attenzione nella gestione quotidiana.
il programma specifico di addestramento
Interventi “per campioni” Accertamenti per campioni significativi e rappresentativi possono costituire uno strategico modo di lavoro e un efficace strumento per tenere sotto controllo situazioni più ampie e permettere estensioni controllate, quando se ne ravvisasse la necessità o se ne disponessero i mezzi e le condizioni necessarie. La scelta dei campioni da indagare deve rispondere alle diverse esigenze degli specialisti presenti in cantiere. Meccanismi degenerativi Determinante può risultare aver maturato la capacità finalizzata al rilevamento diagnostico dei meccanismi più ricorrenti in un’area archeologica/struttura muraria allo scopo di evidenziarne con tempestività ed efficacia le forme patologiche e dimensionarne le incidenze anche in relazione alla velocità con cui tali fenomeni si presentano eccezionalmente o, più frequentemente, si ripropongono in maniera ciclica. In particolare: • superfici delle terre e delle rocce: terreno vegetale non controllato, terreno lavorato, terreno di scavo non orizzontale, differenze di terreno e contatto con materiali diversi, presenza di materiali di accumulo, differenza di consistenza delle stratificazioni, pareti di scavo verticali o non verticali; • perdita di verticalità delle strutture edili: differenze dei materiali lapidei, differenze di apparecchio, rovesciamento di cresta, slittamento al piede, spinta mediana, cedimento di base, degenerazione per scavi non protetti; • perdita di orizzontalità: smembramento degli elementi di piccola taglia, rovesciamento degli elementi di grande taglia, spostamento di elementi per calpestio o lavorazione, erosione della terra, differenza dei materiali lapidei, degenerazione per scavi archeologici non protetti; • perdita di allineamento: differenze di comportamento dei muri (spessori, materiali, leganti…), sollecitazioni esterne; • vegetazione: vegetazione diffusa o concentrata non controllata, differenze di apparato radicale, presenza di alberi isolati o concentrati, vegetazione su terreni di riporto; • presenza di acqua: acque meteoriche diffuse e aree di ristagno, linee e superfici di concentrazione di acqua, acque ritenute da piante o terreni smossi, inefficaci sistemi di raccolta e smaltimento; • presenza di vento: effetto vento dominante, vento a raffica e incanalato, effetto Venturi ed “effetto vela” sotto le tettoie.
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Area di scavo invasa da liquami di fogne non controllate.
Particolare attenzione dovrà essere dedicata a situazioni ricorrenti nelle aree archeologiche: • strutture sotto tettoia: effetti di erosione a causa di correnti incanalate, fenomeni di ristagno di acque non controllate, fenomeni di percolazione di acque meteoriche ai bordi delle tettoie, sollecitazioni localizzate a causa di anomale concentrazioni di fenomeni termoigrometrici, sollecitazioni a causa di errati o insufficienti puntellamenti; • strutture murarie parzialmente o totalmente scavate: perdita di geometria in verticale e/o orizzontale, erosioni concentrata e/o diffusa in cresta, erosione o scalzamento al piede a causa di acque meteoriche di ruscellamento e di infiltrazione, degradazione/ dissesto a causa di vegetazione pericolosa o potenzialmente pericolosa, perdita di parti a causa di scavi archeologici non protetti, quadri fessurativi riconoscibili e plessi fessurativi estesi, espulsione di parti in cresta, al piede o mediane; • percorsi e aree di sosta: perdita di tracciato a causa della invasione di vegetazione o a causa della estensione delle aree di scavo o di servizio, effetto dell’acqua superficiale non controllata; • aree di scavo: erosione diffusa e per ruscellamento delle superfici verticali e orizzontali, perdita di geometria e stondamento degli spigoli, accumuli di materiali di erosione, allagamenti in aree impermeabili o rese tali, fenomeni di espulsione di materiali, vegetazione infestante, fronti di scavo abbandonati.
per una proposta di intervento
I fenomeni degenerativi incidono sulle aree archeologiche e sui ruderi in maniera differenziata in conseguenza di molteplici fattori. I livelli di pericolosità possono variare a seconda delle condizioni del sito e dei manufatti. L’evoluzione dei meccanismi di degrado/dissesto e della velocità con cui si sviluppano potrà dipendere in maniera determinante dalla predisposizione (efficacia e fattibilità nel tempo) di un programma di manutenzione sistematica. Questa rappresenta la seconda possibile soluzione per evitare (o quantomeno ricondurre a termini accettabili e controllabili) meccanismi degenerativi. La prima dipende direttamente dalle procedure adottate in corso di scavo o smontaggio/demolizione delle strutture murarie. Una maggiore attenzione preventiva dovrebbe essere dedicata agli aspetti più specificatamente strutturali e alle relazioni che le murature rimesse in luce hanno tra loro e con i terreni che nel tempo li avevano coperti e di fatto protetti. Maggiori attenzioni dovrebbero essere dedicate alle variazioni delle condizioni di carico e delle spinte ma anche quelle indotte dalle nuove condizioni che si vengono a creare, con rapidità talvolta incontrollabile e in maniera più o meno traumatica, proprio durante le operazioni di scavo e di demolizione. Le proposte di intervento che verranno fatte per un’area archeologica o per un edificio allo stato di rudere, per essere realmente efficaci, non potranno non tenere conto dello stato in cui si trovano aree e manufatti (efficacia diagnostica preventiva modificabile in corso d’opera in conseguenza degli sviluppi che gli interventi avranno) e prevedere le condizioni in cui si troveranno in seguito valutandone le diverse componenti. L’intervento su resti edili e sull’area archeologica dovrà rispondere ai seguenti requisiti: • efficacia per l’immediato ma flessibile alle eventuali necessità di adattamento delle soluzioni adottate alla luce di nuove e impreviste esigenze; • integrazione degli interventi sui resti sopravvissuti sotto il piano di campagna con quelli fuori terra; • realizzabilità dei lavori con manodopera non altamente specializzata (ma comunque adeguatamente addestrata) con il ricorso, ove necessario, a operatori di alta specializzazione;
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Un’area di scavo riempita con terreno smosso che facilita la proliferazione di vegetazione spontanea.
• previsione di una facile ed efficace manutenzione; predisposizione del personale, delle attrezzature adatte e le risorse economiche necessarie; • impiego di attrezzature facilmente recuperabili (coperture e protezioni di facile montaggio e smontaggio, moduli espositivi e didattici adattabili ad altre soluzioni o collocazioni); • valutazione di precedenti soluzioni adottate da sottoporre a collaudo durante un ragionevole periodo d’uso prima dell’adozione su più vasta scala; • predisposizione di un Centro di Raccolta dati sullo stato di conservazione dell’area e di studio sulle dinamiche di deperimento delle strutture e delle aree nonché il monitoraggio sulla validità degli interventi eseguiti. Tale Centro potrà utilmente svolgere la funzione di elemento di connessione tra tutti gli specialisti impegnati. pagina a fronte È opportuno ricordare che i micropali sono una soluzione efficace per consolidamenti ma devastanti del sottosuolo archeologico e quasi mai reversibili.
In linea di massima la sequenza dei punti intorno a cui sviluppare un progetto di restauro di un sito archeologico o di un manufatto architettonico ridotto allo stato di rudere comprende: • definizione del problema; • descrizione dello stato attuale e individuazione delle cause remote e vicine; • valutazione delle dinamiche del progressivo peggioramento delle condizioni; • descrizione della situazione desiderata; • determinazione degli obbiettivi possibili; • definizione dei livelli di qualità richiesta per il presente e per tempi successivi; • analisi delle condizioni che possono essere frenanti nella soluzione del problema; • analisi delle condizioni che possono essere di aiuto nella soluzione del problema; • valutazione delle risorse e delle forze capaci di ridurre le azioni frenanti.
un criterio generale per la scelta di soluzioni
Un criterio generale per la scelta di soluzioni appropriate in un intervento di restauro deve tener conto di numerosi fattori: • valutazione delle specificità delle situazioni; • rispetto dei materiali e delle tecnologie originarie; • rispetto dell’intervento minimo e della reversibilià; • riconoscibilità degli interventi; • consapevolezza dei limiti dell’intervento e dei processi di naturale invecchiamento nel tempo; • possibilità di attualizzazione; • attivazione di procedure di documentazione delle condizioni precedenti l’intervento, quelle in corso d’opera e quelle successive.
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il livello di compatibilità
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“Classico” esempio di integrazione delle lacune su una cortina in opus reticulatum.
Il livello di Compatibilità dell’intervento si ottiene incrociando le risposte che si possono avere con le diverse componenti del concetto stesso di Compatibilità: • familiarità con il concetto di compatibilità; • criteri di campatibilità a livello chimico-fisico; • criteri di compatibilità a livello tecnico e operativo; • valenza di altri fattori (tecnici e funzionali) nella valutazione della compatibilità degli interventi di conservazione; • criteri di compatibilità a livello estetico; • criteri di compatibilità tra materiali tradizionali e moderni; • criteri di compatibilità a livello socio-culturale. Una attenzione a parte merita la “ricostruzione didattica” di monumenti e aree archeologiche (structural reconstruction, Drury 1982) legittimata dalla testimonianza archeologica, la fonte materiale a cui la ricostruzione è legata e dalla quale dipende. La ricostruzione, come tutti i linguaggi che si basano sull’impiego di immagini, esprime notevoli potenzialità comunicative soprattutto quando è necessario fare astrazioni e presentare anche completamenti di parti non più esistenti. La realizzazione di efficaci immagini attraverso l’uso di modelli in tre dimensioni, più delle ricostruzioni virtuali pur di grande fascino, offre al pubblico un coinvolgimento visivo e sensoriale consentito dalla possibilità che ogni spettatore ha, in maniera autonoma, di esplorare la struttura in ogni sua parte.
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il restauro di emergenza
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Opera provvisionale certamente efficace per l’immediato ma vulnerabile nel tempo.
Un ambito di intervento sempre più spesso ricorrente, e che è destinato a caratterizzare in futuro sempre più gli interventi sui ruderi, è costituito dal restauro di emergenza. Per questo si esigono operatori capaci di intervenire, in tempi ristretti, con efficacia anche nelle condizioni più difficili, quando vengono a mancare (perché non previsti o, più raramente, non prevedibili) i mezzi tecnici, il tempo e le risorse economiche necessarie. Queste, in particolare, vengono utilizzate come la giustificazione più frequente per ritardi che sono destinate a far lievitare i costi di quegli interventi che, se fossero stati eseguiti, in fasi iniziali del processo degenerativo di siti e monumenti, avrebbero avuto costi molto più contenuti. Il vero problema non risiede nella impossibilità di prevedere eventi calamitosi oppure lunghi cicli degenerativi (i cui effetti si renderanno evidenti quando sarà molto difficile e costoso porvi rimedio) quanto piuttosto nella insufficiente conoscenza degli effetti che potrà avere e nella mancanza di un addestramento a contenerli. Sempre più frequentemente, infatti, si creano le condizioni per interventi che esigono decisioni quasi improvvise e cambi di programmi in tempi ristretti. In analogia con lo scavo archeologico di emergenza, talvolta, si è obbligati ad eseguire analisi diagnostiche tempestive e predisporre i più opportuni interventi per assicurare la sopravvivenza dei materiali edili e del loro ambiente sfruttando al meglio le condizioni di rinvenimento e salvaguardandone anche il potenziale documentario futuro. Le scelte saranno ancora più delicate perché, nella maggior parte dei casi, agli eventuali errori non sarà possibile porre rimedio. In tali casi si rendono necessarie procedure che, derivate da quelle che possiamo considerare ordinarie, esigono procedure e strategie diverse maggiormente adeguate alla singolarità dei casi che si presentano. Nella maggior parte dei casi si è obbligati ad eseguire analisi diagnostiche tempestive e predisporre i più opportuni interventi per assicurare la sopravvivenza dei materiali edili e del loro ambiente sfruttando al meglio le condizioni di rinvenimento (indipendentemente dalle valutazioni che si possono fare sulla antichità e/o valore intrinseco del reperto) ma salvaguardandone anche il potenziale documentario futuro. Un intervento di emergenza deve essere rapido ed efficace; deve raggiungere cioè gli obbiet-
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Soluzioni diverse e di diversa efficacia per il sostegno di strutture architettoniche. Un vano invaso da acque meteoriche incontrollate.
tivi massimi con procedure appropriate in relazione alle risorse disponibili riducendo i pur inevitabili rischi. Il campo di applicazione del restauro di emergenza è vasto ma riguarda con particolare gravità l’ambito urbano dove solo raramente è possibile organizzare campagne regolari di scavo e dove, al contrario, sempre più frequentemente si effettuano rinvenimenti occasionali di ruderi durante interventi per i sottoservizi e, più frequentemente, durante interventi di restauro di edifici posti in aree pluristratificate. L’indagine complessiva tende alla individuazione e alla determinazione del “rischio”, almeno in prima approssimazione e successivamente con maggiore approfondimento. L’individuazione, cioè, degli elementi e delle condizioni di pericolosità per le opere stesse e per l’uomo e per accertarne le effettive possibilità di recupero attivo. Il problema principale è quello di riuscire ad assumere decisioni immediate per non far peggiorare situazioni che si presentano già precarie, non diversamente da come farebbe un medico che opera in ambulanza o al pronto soccorso, abituato ad operare sulla base di un protocollo prestabilito, capace di ridurre al minimo i rischi soprattutto durante gli intervalli critici di transizione durante i quali i danni potrebbero evolversi in maniera incontrollabile o irreversibile. La situazione sembra presentarsi in termini ancor più delicati nel caso di scavi urbani quando i cantieri sono fortemente condizionati da vincoli ambientali e dalla necessità di fare presto.
la protezione delle creste
La protezione delle creste dei muri e le integrazioni delle lacune rappresentano le più frequenti categorie di intervento in edifici ridotti allo stato di rudere. Gli interventi sulle creste e sulle lacune vengono utilizzati spesso come principale elemento di giudizio, sulla base di valutazioni di carattere prevalentemente estetico e di efficacia tecnologica immediata, nonché modello di riferimento da riprodurre, quasi meccanicamente in altri esempi. La definizione cresta del muro identifica la parte sommitale di un muro e soggetto, se non protetto, all’azione di diversi agenti degenerativi; la definizione collo del muro identifica, invece, lo strato sottostante e interessa generalmente le superfici di paramento verticale per 15-20 cm. La protezione delle creste ha, innanzi tutto, lo scopo pratico di impedire infiltrazioni di acque meteoriche nei muri smembrati e non protetti da tettoie evitando, allo stesso tempo, ribaltamenti all’esterno degli elementi di apparecchio a causa dell’indebolimento delle parti più alte delle cortine. Si deve ritenere che la classe degenerativa più frequente e pericolosa sia rappresentata dall’acqua che può essere presente in varie forme. Questa agisce direttamente (p.e. infiltrazioni) oppure diventa veicolo per altre forme degenerative che da essa dipendono (p.e. proliferazione di vegetazione infestante). Per estensione del concetto, si possono utilizzare gli stessi termini anche in riferimento a fronti di scavo rocciosi e/o terrosi. Le pareti di scavo rappresentano un elemento di grande delicatezza ben riconosciuta dalla normativa sulla gestione di un cantiere edile che prevede procedure di sicurezza, anche per profondità ridotte di scavo, con l’obbligo di scarpature inclinate e tagli a gradoni (in conseguenza delle caratteristiche dei terreni) che sono in netto contrasto con le esigenze degli archeologi che vorrebbero, invece, pareti sempre verticali e libere. Evidentemente la delicatezza di interventi sulle creste aumenta in siti nei quali coesistono strutture architettoniche e fronti di scavo che possono presentare, per vari motivi) grandi differenze di vulnerabilità. L’area di interesse può riguardare azioni locali oppure azioni estese che, solitamente meno gravi, possono però creare difficoltà diagnostiche e, in seguito, problematiche condizioni operative proprio a causa della loro estensione. Per molti aspetti la protezione delle creste tende ad ampliarsi comprendendo anche le integrazioni delle parti più alte dei muri. Tali operazio-
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La protezione delle creste rappresenta una delle più frequenti classi di intervento sui ruderi. Dalla casistica disponibile si potrebbe imparare per ridurre i rischi di fallimento.
ni possono essere giustificate dalla predisposizione di uno strato “preparatorio” per reggere la copertina ma anche, sempre più frequentemente, per rendere i ruderi “comprensibili” al pubblico integrandone alcune parti. Le soluzioni che finora sono state adottate costituiscono un atlante di riferimento di grande interesse perché gli interventi realizzati, sottoposti al collaudo di periodi talvolta molto lunghi, sono valutabili, in tutte le loro componenti. In particolare quelli più direttamente riferibili alla scelta dei materiali e alle tecnologie impiegate, al controllo della catena operatoria per la preparazione e la posa in opera. Si potrebbe quasi dire che mentre per il trattamento delle superfici verticali è sempre stata richiesta la competenza di un progetto per interventi sulle creste dei muri si è sempre ritenuto che fosse sufficiente, nella maggior parte dei casi, la pratica dei muratori disponibili in cantiere che, di volta in volta, hanno adottato la soluzione ritenuta più efficace, prendendo a modello gli esempi più conosciuti e utilizzando il materiale disponibile in loco. Le indicazioni di metodo su cui si basa l’intervento sulle creste dei muri sono essenzialmente quelle suggerite dalla Carta Italiana del Restauro (1972). Vengono riproposti, sotto forma appena aggiornata, i criteri di intervento sperimentati negli anni ’20-’30 quando integrazioni di lacune e protezione delle creste diventavano strettamente funzionali alla presentazione di restauri che dimostravano “che si era perfettamente capito il monumento” (Calza, 1929). La grande campagna di interventi previsti per la fine degli anni ’30, quando Roma, in particolare, ma tutta l’Italia e parte del bacino del Mediterraneo si trasformeranno in un vasto cantiere di restauro archeologico, consentirà di sperimentare, nel bene e nel male, tutte le possibili soluzioni di intervento che all’epoca si potevano immaginare. La Carta Italiana del Restauro pur vietando (art. 6) “completamenti in stile o analogici, anche in forme semplificate” all’art. successivo permette “aggiunte di parti accessorie in funzione statica o reintegrazione di piccole parti storicamente accertate attuate secondo i casi o determinando in modo chiaro la periferia delle integrazioni oppure adottan-
la protezione delle creste
do materiale differenziato seppure accordato, chiaramente distinguibile…”. Nelle allegate “Istruzioni per la salvaguardia e restauro delle antichità” vengono date ulteriori indicazioni proponendo l’impiego di materiali lapidei simili (ma che “si dovranno mantenere le parti restaurate su un piano leggermente più arretrato”), cortine laterizie (che “sarà opportuno scalpellare o rigare”) oppure l’impiego di nuovi blocchi nelle misure antiche (“usando… scaglie dello stesso materiale cementato con malta mescolata in superficie con polvere dello stesso materiale”). Le disposizioni specifiche date per la protezione delle creste si limitano al suggerimento a mantenere “la linea frastagliata del rudere” utilizzando uno “strato di malta mista a cocciopesto che sembra dare i migliori risultati sia dal punto di vista estetico sia da quello della resistenza agli agenti atmosferici”. Per i colli dei muri appena scavati e perciò esposti in maniera brusca agli agenti atmosferici Giacomo Boni aveva proposto “uno strato di pietre intonato per dimensione e colore ma così resistente da servire da cappello a difesa dell’opera sottostante”, l’impiego di blocchi di conglomerato per coprire una struttura di blocchi monolitici superstiti, copertine di cocciopesto e di cotto, tettoie e stuoie, fogli di tela oleata e cartone bitumato o, più stabilmente, l’adozione di lamiere ondulate di ferro zincato e scandole di legno foderate in piombo arrivando a suggerire anche l’uso della flora più adatta. Per il consolidamento di intonaci e stucchi prevedeva, in alternativa alle “cornici di inviluppo” e alle sigillature esterne, l’uso di “grappe di rame a testa piatta, che si faranno penetrare in forellini trapanati”. Ancora arretrate e poco praticate sembrano le attenzioni alle procedure di attivazione di sistemi protettivi temporanei nei periodi tra campagne diverse di scavo, quando le aree archeologiche rischiano di essere lasciate senza controllo e nei periodi di maggiore inclemenza meteorologica. Ancor più rare sono le soluzioni per proteggere le creste dei muri durante le operazioni di scavo quando infiltrazioni dall’alto e variazioni delle spinte laterali, se non controllate, sono destinate a peggiorare con l’avanzare della profondità di scavo e quando l’eliminazione della terra su uno o entrambi i lati del muro può facilitare danneggiamenti con rovesciamenti di cresta, spanciamenti e slittamenti al piede o perdite più o meno concentrate di orizzontalità. Gli interventi di cui si ha conoscenza consentono di elaborare una lista, sia pure provvisoria, di esempi di protezione alle creste dei muri allo scopo di assicurare protezioni temporanee oppure protezioni a più lunga scadenza. Si tratta di soluzioni, poste in opera in epoche variabili, che sembrano aver dato buoni risultati, alcune appena accettabili, altre assolutamente da rifiutare. La presenza di soluzioni poste in opera già da tempo, se non manomesse da interventi successivi, permette una sorta di collaudo sul campo, ad adeguate distanze di tempo. L’errore più ricorrente, qualunque sia la soluzione adottata, sembra essere quello legato alla
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pretesa di eseguire un intervento “definitivo” che non ha bisogno di una costante manutenzione. La pretesa affidabilità nel tempo sembra essere una delle più ricorrenti caratteristiche pubblicizzate nella merceologia dei prodotti per il restauro.
pagina a fronte In pochi tratti di muro sopravvivono diverse soluzioni (diversamente accettabili) di protezione delle creste.
Copertine in malta Si tratta delle classiche copertine a bauletto (dette anche “casse da morto”), a cuscino (la sezione superiore è parabolica schiacciata) o a tavoletta (a sezione approssimativamente rettangolare). I lati esterni delle copertine che tradizionalmente arrivano oltre il bordo del muro, formando in tal modo una sorta di gocciolatoio per proteggere il collo del muro, in alcuni casi vengono tenuti arretrati di qualche cm dai bordi formando una specie di scossalina la cui efficacia però non sempre sembra assicurata. Le copertine possono essere realizzate con malta di calce, malta di cocciopesto (in assoluto una delle migliori soluzioni), malta di calce con bitume e brecciolino dello stesso tipo lapideo dei muri (la cosiddetta “pelle di elefante”) oppure in malta di cemento (soltanto in pochi casi si rivela realmente efficace). Si sono visti bauletti in malta nella quale sono stati affogati frammenti di laterizio e/o piccole scaglie di pietra per mimetizzare le vaste superfici cementizie grigie e, sia pure più raramente, copertine realizzate con forte prevalenza di ghiaia. La mancata predisposizione di giunti di dilatazione può causare talvolta fratture nelle copertine. Recentemente sono state adottate malte antiritiro che, però, per vaste superfici sviluppate in una direzione prevalente, com’è ricorrente in una cresta di muro, non riescono comunque ad evitare fessurazioni trasversali alla direzione del muro. Non è raro osservare come, in molti casi, il danneggiamento delle copertine, invece di funzionare come superficie di sacrificio (una superficie a perdita programmata) a vantaggio degli originali, rischia di accelerare il degrado dei materiali e dissesto delle strutture, innescando meccanismi di rigetto più o meno concentrati proprio nelle parti che avrebbe dovuto proteggere. Laterizio Copertine di laterizio sono usuali in molte aree archeologiche sia nel caso di murature in mattoni sia quelle in pietrame; si utilizzano laterizi antichi di recupero e/o laterizi nuovi ad apparecchio più o meno regolare. In alcuni casi una superficie regolare copre tutta la cresta, altre volte i laterizi vengono alloggiati su piani di posa diversificati in maniera da rispettare le differenze di consistenza delle varie parti di muratura; altre volte ancora i laterizi (talvolta frammentati o appositamente scheggiati) sono stati apparecchiati a suggerire le superfici articolate tipiche dei ruderi. In alcuni casi le parti superiori delle murature sono integrate e protette da uno strato di alcuni filari di laterizio apparecchiati in maniera riconoscibile rispetto alla cortina sottostante (cornici, romanelle o filari
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fuori piano). Non di rado tali operazioni comportano l’attivazione di procedure di scuci e cuci più o meno ampie. Le copertine realizzate in laterizio presentano il vantaggio di una relativa facilità di esecuzione e di manutenzione (smaltimento delle acque innanzitutto) ma presentano lo svantaggio di rendere indifferenziate le superfici e non facilitare la interpretazione delle relazioni stratigrafiche tra le parti. In alcuni casi di protezioni temporanee si è verificata la utilità di un doppio strato di laterizi, intervallati da una guaina impermeabile anticondensa, apparecchiati a secco con sabbia o terra vagliata. Strati di pietrame Si tratta di soluzioni di applicazione molto simili a quelle di laterizio ma di più frequente uso. Pietrame di pezzatura variabile può essere impiegato a formare uno strato protettivo piano (si impiegano scaglie tendenzialmente piatte) oppure a bauletto (con pietra da spacco di maggiore spessore). Spesso il pietrame viene posto su uno strato di lastre di piombo (che però presentano il rischio di danneggiamento a causa di correnti vaganti), cartone bitumato, guaine o allettamenti di malta, a diretto contatto con la superficie originaria allo scopo di assicurare l’impermeabilizzazione del muro e segnalare l’aggiunta. Elementi protettivi monolitici Le mantelline protettive possono essere realizzate con lastame lapideo, lastre prefabbricate, lamiere di piombo o di zinco (sagomate sulle creste e attrezzate con scossaline), assi di legno con funzione di protezione stabile o temporanea. Tali elementi possono avere una forma indifferenziata tale da coprire contemporaneamente una
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Diverse soluzioni di protezioni con “pelle di elefante”.
vasta superficie di cresta oppure essere opportunamente adattate alla singolarità delle situazioni che di volta in volta si presentano. Gli elementi di copertura devono essere poste in opera con una opportuna inclinazione o essere dotate di un sistema di gocciolatoio per evitare fenomeni di percolazioni. Nel caso di coperture provvisorie, soprattutto se realizzate con elementi che facilitano fenomeni di condensa (il caso più frequente è costituito dai fogli di PVC utilizzati efficacemente contro la pioggia ma deleteri, se lasciati stabilmente) è opportuno interporre tra esse e la cresta del muro degli spessori (laterizi, elementi di legno sagomati…) in maniera da assicurare una idonea circolazione d’aria o utilizzare uno strato capace di assorbire l’eventuale umidità (tela di sacco, sabbia…). Una osservazione a parte va riservata ai geotessili; erroneamente considerati come la più sicura soluzione protettiva oggi disponibile e utilizzati diffusamente, di fatto, possono provocare danneggiamenti non indifferenti con effetti che, a sviluppo subdolo, si renderanno evidenti soltanto in fasi avanzate quando il rimedio sarà più difficile e costoso. Una soluzione non frequente ma pure utilizzata prevede l’impiego di elementi di pietre artificiali (una miscela di prodotti sintetici con aggiunta di polveri provenienti da elementi litoidi simili a quelli dei muri sui cui devono appoggiarsi) lavorati in cassaforma o modellati direttamente sulle murature e collocati in opera in maniera da riempire tutti gli interstizi e coprire tutte le superfici. Spalmate di malta Le superfici vengono protette da una mano di malta a spessore variabile allo scopo di regolarizzare e impermeabilizzare le superfici. Solitamente convesse (per assicurare lo smaltimento immediato delle acque meteoriche) talvolta sono invece concave (per raccogliere l’acqua e condurla ai sistemi di scarico). In alcuni casi nella malta sono infisse delle pietre allo scopo di ridurre la sensazione che il muro sia stato “tagliato” e suggerire parti murarie non più esistenti. Le spalmate di malta vengono spesso utilizzate anche nei raccordi tra murature diverse e nelle riparazioni occasionali di copertine danneggiate oppure per realizzare scossaline.
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Pellicole Sono associabili alle spalmate di malta gli impieghi di pennellature di asfalti, sostanze gommose e simili. Possono essere poste in opera (previo la pulizia delle superfici) ed eliminate più o meno agevolmente se la sostanza impiegata forma un film che non si lega alla muratura su cui è posta. In alcuni casi possono risultare utili soluzioni che si basano su bende gessate ma queste devono obbligatoriamente essere protette superiormente da una guaina che riduca i rischi di contatti diretti con l’acqua meteorica. Sacchi Sacchetti di juta o similari (comunque è preferibile non siano di plastica) riempiti di terra (meglio se proveniente dallo scavo) possono essere utilmente impiegati per proteggere le creste dei muri e dei fronti di scavo e per assicurare un efficace “ricarico” delle murature e/o terre sottostanti soprattutto nel caso di scavi eseguiti soltanto su un lato del muro. Talvolta i sacchetti sono stati posti a coprire superfici ampie; in tali casi è risultato utile sovrapporre allo strato di sacchetti della terra costipata (ed eventualmente seminata). In ambienti particolarmente inclementi dal punto di vista meteorologico si possono utilizzare due strati sovrapposti di sacchetti dei quali, quello superiore è realizzato con un telo impermeabile. Zolle erbose Un cuscino di terra seminata con piante a radici a trama fitta crea uno strato protettivo dalle acque meteoriche assicurando, allo stesso tempo, una buona coibentazione della parte alta della struttura muraria. La cresta del muro può essere tenuta staccata dalla zolla erbosa interponendo uno strato isolante (fogli di bitume per esempio o un leggero strato di malta) o una guaina antiradice. Alcune esperimenti stanno dimostrando che l’impiego di zolle e piante tendenzialmente grasse anche in aree tendenzialmente aride può contribuire a ridurre i rischi di locali variazioni termoigrometriche molto brusche e assicurare l’umidità necessaria perché la terra/malta di interconnessione non secchi, “slegando” gli elementi di apparecchio, e provocando l’espulsione di parti. La soluzione che si basa sull’impiego di zolle erbose può essere vantaggiosa anche per trattamenti protettivi periodici utilizzando zolle di vivaio opportunamente preparate.
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le integrazioni delle lacune
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Integrazione di parti ammalorate con nuovi elementi lapidei.
Le raccomandazioni della Commissione NORMAL (1/88 — materiali lapidei) riferiscono il termine lacuna alla caduta di parte di un dipinto mentre per le strutture murarie suggeriscono l’impiego del termine mancanza. Il restauro di completamento è una delle categorie ipotizzate da Giovannoni ricorrendo a integrazioni con la “soppressione delle sagome e degli ornati”. Si ripropone con una certa frequenza soprattutto in occasione di interventi post-calamità o interventi con prevalente valore simbolico e rappresentativo. Nella convinzione che non sia ammissibile la ricostruzione integrale di un edificio qui utilizziamo il termine lacuna per indicare una perdita di parti una volta presenti e il termine integrazione come parziali completamenti giustificati da motivi statici ed estetici, per facilitare la comprensione del rudere oppure per facilitare interventi di una corretta manutenzione. “… si può (o si dice di dover) (re)integrare per: a) sorreggere, sostenere, consolidare; b) proteggere, riparare, mantenere; c) rendere leggibile, far parlare, spiegare; d) migliorare, riqualificare, ridar vita e pregnanza al frammento anche in un nuovo contesto” (S. Musso, 1997). Negli interventi di fine Settecento - primi Ottocento sono già distinguibili alcuni casi di integrazioni anche se non sempre sono chiare le intenzioni di distinzione con l’antico. La storia degli interventi di integrazione dei ruderi è ricca di esempi che tracciano direzioni che spesso si sono sviluppate in parallelo: quelle basate su una sostanziale neutralità, limitata all’essenziale, e quelle nelle quali prende spesso il sopravvento una mano creativa. Nei cantieri romani in particolare sono state sperimentate e adottate soluzioni che sono in bilico tra la chiara denuncia delle parti nuove e le integrazioni invisibili. Tra il restauro scientifico (Boito) e il restauro in stile (Fontana) si colloca L. Grifi che teorizza il restauro di sostegno (costruzione di parti con funzione strutturale) e il restauro diretto (piccole opere di risarcimento). A G. Boni e C. Ricci si deve l’adozione del sottosquadro impiegato forse per la prima volta a S. Maria Antiqua. Impiegato successivamente su vasta scala sarà codificato nella Carta di Venezia nel 1972. Negli anni ’30 la necessità di rendere maggiormente manifesti i risultati degli scavi (in contrasto con gli interventi attenti e ridotti al minimo che aveva suggerito il Boni) rientrava in un programma politico per il quale anche l’archeologia e il restauro
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La facciata del castrum di Qasr el-Heir (Siria) è stata rimontata nel museo di Damasco.
pagina a fronte I ruderi emersi dallo scavo sono stati protetti da teche di cristallo ad atmosfera controllata (in seguito tutta l’area è stata rinterrata).
giocavano un ruolo importante per dimostrare l’efficienza statale. A tale scopo servivano anche gli interventi nelle colonie: nel teatro di Sabratha, per esempio, “si ritrovano tutte le varie fasi dalla liberazione al consolidamento, alla ricomposizione ed ognuna chiaramente definita e differenziata” (B. Apollonj, 1938). Gli interventi eseguiti nel ventennio costituiscono un catalogo di grande interesse. Al III Congresso di Storia dell’Architettura Calza relazionava sugli interventi ostiensi dove gli interventi di integrazioni sono stati segnalati da una “linea incisa tra il nuovo e il vecchio”. Oltre al reimpiego di materiali antichi e l’utilizzo di materiali nuovi un certo successo ha avuto la pietra artificiale realizzata con una mescola di polvere di materiali litoidi simili a quelli originali e prodotti sintetici. Per le murature legate con malta le tecniche impiegate presentano diversità nel corso del tempo: differenziazione dei materiali e indicazione dei bordi delle lacune, riquadrature e incorniciature. I materiali da costruzione moderni in breve tempo tendono a cambiare colore, le integrazioni delle lacune che pure erano ben accordate al momento della posa in opera possono diventare fortemente contrastanti. Sebbene poco impiegate merita ricordare alcune integrazioni realizzate con architetture vegetali, costituite da piante, tappeti erbosi e alberi. L’idea di Boni e le realizzazioni di Muñoz e de Vico meriterebbero una riflessione e un rinnovato interesse per soluzioni efficaci e sempre reversibili. La vegetazione può essere utilizzata per integrare parti murarie residue, proteggere le creste e riempire cavità, suggerire murature andate perdute.
le integrazioni delle lacune
Strutture e apparecchi diversi possono essere segnalati dall’uso differenziato di essenze diverse ma sfruttando anche le diverse dinamicità cromatiche e volumetriche date dalle trasformazioni stagionali. Allo stato attuale la tendenza sembra essere quella dell’utilizzo di materiali simili (laterizio per integrare cortine laterizie, pietra per muri in pietrame…) senza dimenticare però l’impiego di materiali “neutri” (elementi metallici semplificati posti a suggerire sagome e volumi andati perduti) e più recenti integrazioni virtuali realizzate con proiezioni, animazioni e suoni. Queste possono svolgere un ruolo molto importante soprattutto nei casi di strutture fortemente frammentate, nei casi di scarsa comprensibilità e quando gran parte delle strutture sono ancora interrate. Strettamente connessa agli interventi di integrazione delle lacune e di protezione delle creste è la predisposizione di superfici di sacrificio, diverse tipologie di interventi definitivi ma più frequentemente provvisori allo scopo di assicurare alle parti più esposte alle sollecitazioni atmosferiche una efficace protezione. Le operazioni di reintegrazione delle lacune e di localizzate ricostruzioni devono tener conto della specificità dei dati disponibili, devono essere attinente al concetto irrinunciabile del minimo intervento e del rispetto del materiale originario, devono essere riconoscibili e adeguatamente documentati, devono accordarsi alle parti originali del monumento. Gli interventi devono essere reversibili e costantemente aggiornabili alla luce di nuove e più affidabi-
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Integrazione simbolica di una colonna con tondini metallici.
li conoscenze. Dalla ricca casistica di modelli di intervento si traggono quelli più significativi e ricorrenti. Integrazioni con materiale diverso Hanno costituito la casistica più ampia di impiego ricorrente soprattutto tra le due guerre. La compatibilità tra materiali originali e quelli di integrazione ha sempre rappresentato aspetti problematici. Il materiale più utilizzato (fino all’adozione generalizzata delle resine per le quali non esiste ancora un collaudo affidabile) è il cemento ritenuto il più affidabile dei materiali. A fronte di alcuni esempi che si possono ritenere accettabili — grazie a buoni materiali e sapienze costruttive — risalta una ricca casistica di interventi falliti e che non di rado hanno provocato nel giro di qualche anno notevoli peggioramenti. Frequenti sono gli interventi con “materiali gerarchicamente meno nobile”: laterizi su cortine lapidee, lapidei meno nobili su lapidei, malte su laterizi e lapidei. Già nel 1781 a Segesta erano stati impiegati calcari di porosità diverse con lavorazioni grossolane per gli ornati. Per ridurre le probabili discordanze cromatiche si ricorre spesso a patine artificiali. Materiale tradizionale intonacato Le integrazioni con laterizi o lapidei su cortine lapidee vengono intonacate con malte di calce (preferibile) o cemento. La stesura di intonaco protegge le cortine ricoperte dagli agenti atmosferici e tende ad armonizzare la parte
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nuova a quella originale. Eventuali risalti e decorazioni possono essere ricordati da rilievi in stucco e polvere di pietra (soluzione già adottata alla Zisa di Palermo alla fine del XVII secolo) oppure da sagome “graffiate” sull’intonaco o leggere velature colorate. L’intonaco deve essere rinnovato periodicamente. Sono da rifiutare le malte sintetiche che sebbene siano di facile applicazione e di stabilità cromatica male si accostano ai colori di muri tradizionali e creano una barriera che provoca ristagni di umidità e distacchi. Conglomerato cementizio Può essere realizzato con inerte lasciato a vista o con graniglia e polvere del materiale originario. Il getto può essere lavato e spazzolato oppure lavorato in superficie con strumenti abrasivi o a percussione. In alcuni casi si può rilavorarlo con intonaci o stucchi. Questa soluzione può essere utilmente impiegata in particolare nel caso di completamenti “volumetrici” (cornici, modanature…) ma anche quando le integrazioni devono svolgere una funzione strutturale. Molti autori hanno espresso giustificati dubbi sulla correttezza dell’impiego di conglomerati perché fortemente invasivi e praticamente irreversibili se non a costo di pesanti demolizioni di parti originali contigue. Pannelli e volumi prefabbricati Di buona utilità ed efficacia possono essere pannelli prefabbricati o costruiti in situ sul calco della lacuna. Applicati soltanto dagli anni ’80 (Ginevra, Aosta…) sono di facile installazione e reversibilità senza provocare danni agli originali. Trattandosi generalmente di materiali leggeri (legno, polistirolo, cartone…) solo raramente possono essere utilizzati all’esterno. Resine La loro funzione è prevalentemente quella di consolidante e collante. Possono essere impiegate nelle malte (resina e polvere di pietra con o senza un legante) come aveva sperimentato C. Ricci nel 1950 nel Foro di Augusto. Attualmente si utilizzano anche per la confezione di elementi leggeri destinati a rivestire murature di integrazione. Il poliuretano può essere utilizzato per riempire cavità nei muri e sottosquadri nei fronti di scavo. Reintegrazioni con materiali simili L’impiego con lo stesso materiale degli originali è il metodo più ricorrente per colmare una lacuna. Il vantaggio principale è il fatto che si riducano i rischi di rigetto visto che i materiali hanno stesse caratteristiche meccaniche e chimico-fisiche. Per rendere riconoscibili gli interventi si ricorre a frequentemente a sottosquadri oppure differenziazioni di apparecchio. De Angelis d’Ossat (1977) ha messo in guardia dall’impiegare un materiale troppo appariscente che inciderebbe “in modo vistoso sul monumento e ne modificherebbe l’aspetto tradizionale”.
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Diverso apparecchio Comunemente si ricorre a soluzioni d’apparecchio con materiali nuovi o di recupero posati con diverso allettamento: opera incerta per completare cortine in opera reticolata, laterizi per integrare muri in opera incerta; laterizi collocati a 45° oppure posati di testa. Si tratta di interventi che riescono solitamente bene in murature regolari (opus quadratum, reticulatum o vittatum) ma esigono una adeguata accortezza nella lavorazione. Regolarizzazione dell’opus originario Le mancanze possono essere risarcite con materiali nuovi ma non dissonanti con quelli originari: mattoni industriali su una opera laterizia oppure elementi lapidei (potrebbero essere i conci provenienti dalla stessa fabbrica) tagliati a macchina (talvolta rilavorati nella faccia in vista) a reintegrare cortine di pietrame in opera quadrata. Se nei restauri del XIX secolo il criterio adottato era quello della “distinguibilità minima” poi trasformato in “massima diversificazione” è tornato più recentemente a un “criterio minimale” (S. Gizzi, 1988). L’aspetto negativo è costituito dal fatto che non sempre viene garantita la riconoscibilità dell’intervento soprattutto quando sono presenti articolate stratificazioni degli elevati. Diverse lavorazioni delle superfici Usuali sulle cortine murarie lapidee e laterizie. Si tratta di un provvedimento già segnalato da C. Boito (1883) che suggeriva che le parti aggiunte avessero un trattamento in superficie “con carattere diverso da quello del monumento”, avvertendo che, possibilmente nell’apparenza prospettica le nuove forme non urtino troppo con il suo aspetto artistico. Le lavorazioni superficiali possono essere realizzate fuori opera oppure, preferibilmente, in opera quando le nuove cortine sono già allestite. Prevedono tipologie diverse: scalpellatura (“sarà opportuno scalpellare o rigare la superficie dei mattoni moderni” all. A alla Carta del Restauro, 1972), martellinatura, bocciardatura, graffiatura, sabbiatura, superficie scabra. Diversificazione dei giunti di malta Si tratta di un trattamento frequente per le murature prive di intonaco. Le soluzioni e l’efficacia possono variare in maniera sensibile a seconda degli apparecchi murari e della sopravvivenza delle malte di interconnessione originali o quelle poste in opera in occasione di interventi più o meno recenti (diversamente stilate o rifluenti). Diversificazione della geometria delle superfici Per evidenziare le parti reintegrate, soprattutto nel caso di superfici ridotte, si può ricorrere a sottosquadri o soprasquadri.
le integrazioni delle lacune
Alcuni esempi sono decisamente efficaci ma in tanti altri, nel caso di eccessive frammentazioni delle superfici originali per esempio, si rischia di avere dei risultati confusi. Quando le murature presentano forti avvallamenti il sottosquadro che parte dal filo originario provoca un inevitabile effetto di soprasquadro “di riflesso” (Gizzi, 1988). Semplificazione delle masse La soppressione degli ornati e di altri elementi architettonici è una procedura già utilizzata a metà del XIX secolo e regolata nel 1883 da Boito che suggeriva la “soppressione di sagome e ornati”. Le Istruzioni dettate dal M.P.I., in sintonia con i dettami della Carta Italiana del Restauro indicavano che “l’eventuale aggiunta o sostituzione […] deve essere contenuta nei limiti della più assoluta semplicità ed eseguita con materiali e tecniche che ne attestino la modernità…”. All’Alte Pinakothek di Monaco viene realizzata (H. Dölgast, 1957) una “ricostruzione creativa” mantenendo le proporzioni e il ritmo dei dettagli dell’edificio sventrato durante la seconda guerra mondiale. Delimitazione degli interventi Le superfici e gli elementi in rilievo devono essere segnalati per mezzo di una delimitazione dei bordi tramite le diverse soluzioni di volta in volta proposte: cornici eseguite con piccoli elementi di cotto o pietrame, nastri di metallo o plastica, incisioni più o meno profonde, nastri di malta colorata… Già nel 1813 il Regolamento per Pompei stilato durante l’amministrazione francese prevedeva “una linea di permanente colore o serpeggiante o retta secondo l’andamento del restauro” Segnalazione di parti perdute Quando integrazioni più o meno consistenti si rendono necessarie per migliorare la visibilità dei ruderi ma soprattutto per motivi strutturali le aggiunte possono essere segnalate con trattamenti delle cortine tramite: dentellature o ammorsature a dente di sega. Nello sperone occidentale del Colosseo l’intervento del Valadier (1828-9) è segnalato da una ammorsatura a denti di sega. Si tratta di una soluzione che sarà riutilizzata fino ad oggi sia pure con piccole differenze e adattamenti alle singolarità delle condizioni. Nel caso di interventi su pavimenti la segnalazione può suggerire planimetrie utilizzando materiali diversi oppure solchi incisi o piccole cornici in risalto Segnalazione degli interventi I suggerimenti di C. Boito che gli interventi di restauro fossero segnalati da date, epigrafi o simboli vari saranno ripresi nelle varie Carte del restauro per dare agli interventi una correttezza scientifica anche se non mancherà chi sarà contrario ritenendo sufficiente le indicazioni delle sagome a fronte di “una babele di segnalazioni, ogni rappezzo, a sentire sempre la Carta del ‘72” (Marconi).
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consolidamento (provvisorio e definitivo)
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Integrazione di parti in pietra con laterizio a sagome semplificate.
Gli interventi di consolidamento assumono connotazioni particolari a causa delle condizioni in cui siti e monumenti si trovano al momento della scoperta o dell’inizio dei lavori e alla loro sensibile variabilità nel tempo. I cantieri archeologici per loro stessa natura richiedono metodi e procedure che, pur se derivati dal consolidamento di terreni ed edifici, esigono strategie differenziate per assicurare il massimo della sicurezza. I consolidamenti strutturali rappresentano una categoria di interventi piuttosto ricorrenti (molto più frequenti di quanto le pur difficili condizioni dei muri sembrano richiedere) e meno controllate. Le competenze sono rivendicate dall’architetto e dall’archeologo ma, nella pratica, sono gestite dallo strutturista al quale si chiede soltanto di “far stare in piedi il muro”. Tra gli interventi più frequenti si ricordano quelli che si rendono necessari per assicurare una maggiore distribuzione dei carichi a terra, quelli che si rendono necessari per riportare in verticale i muri fuori piombo, quelli necessari al ricarico delle strutture e terreni. I modelli di calcolo per le verifiche strutturali e gli interventi che si utilizzano provengono spesso dall’edilizia corrente basati sull’impiego di calcestruzzi armati. Nelle aree archeologiche avviene spesso che si debba ricorrere a consolidamenti precauzionali destinati cioè a un lavoro a termine da revocare non appena sono cambiate le condizioni di emergenza che li aveva provocati. Gli interventi possono essere costituiti da manufatti allestiti in situ (muri di sostegno, paratie…), opere prefabbricate (palancolate, gabbioni…), tecnologie artificiali (iniezioni, congelamenti…) e opere basate su soluzioni di bioingegneria (viminate, prosciugamenti…). I sistemi di maggiore impiego sono costituite da puntelli e sbadacchiature di murature e sezioni di scavo che possono agire con azioni locali o con azioni estese.
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bibliografia
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Le integrazioni dei pavimenti musivi con un battuto di cemento hanno provocato la concentrazione del degrado nelle aree meno resistenti corrispondenti alle parti originali.
Una bibliografia, per quanto essenziale, sulla conservazione di aree archeologiche e manufatti allo stato di rudere, non può che partire dai contributi di Giacomo Boni (La conservazione dei ruderi ed oggetti di scavo) e Gustavo Giovannoni (Il restauro dei monumenti) presentati al Primo Convegno degli Ispettori onorari dei monumenti e scavi, Roma 1912, e pubblicati l’anno successivo in “Bollettino d’Arte”, VII, 1913, 1-2. D. D’Angelo e G. Daniele, I restauri archeologici italiani fra le due guerre, in C. Nenci (ed.), Restauro archeologico. Didattica e ricerca 1997-9, Firenze 2001; L. Vlad Borrelli, Restauro archeologico. Storia e materiali, Milano 2003; D. D’Angelo e S. Moretti, Storia del restauro archeologico. Appunti, Firenze 2004. I vari aspetti che riguardano il restauro dei ruderi complessivamente e in particolare le diverse componenti di questo singolare ambito interdisciplinare sono in: C. Pietramellara e L. Marino (eds.), Contributi sul ‘Restauro Archeologico’, Firenze 1982; J-P. Adam, Dègradation et restauration de l’architecture pompéienne, Paris 1983; N. Stanley Price (ed.), La conservazione sullo scavo archeologico, Roma 1986; AAVV, Conservazione e manutenzione di manufatti edili ridotti allo stato di rudere, Firenze 1989; A. Melucco Vaccaro, Archeologia e restauro, Milano 1989; M. Berdocou (ed.), La conservation en archéologie, Paris 1990; M.S. Cronyn, The Elements of Archaeological Conservation, London 1990; R. A. Genovese (ed.), Tecniche per il restauro archeologico, in “Restauro”, 110, 1990; Faut-il conserver les ruines?, Paris 1991; L. Masetti Bitelli (ed.), Archeologia, recupero e conservazione, Firenze 1993; B. Amendolea, R. Cazzella e L. Idrio (eds.), I siti archeologici. Un problema di musealizzazione all’aperto, Roma 1993; Ministère de la Culture, Conserver ou détruire les ruines archéologiques, Atti dell’Incontro di Montpellier (8-11 avril 1992), Marseille 1995; S. Ranellucci, Strutture protettive e conservazione dei siti archeologici, Pescara 1996; G. Biscontin e G. Driussi (eds.), Dal sito archeologico all’archeologia del costruito. Conoscenza, progetto e conservazione, Padova 1996; G. Infranca, Manuale di restauro archeologico, Roma 1999; L. Marino (ed.), Restauro di manufatti architettonici allo stato di rudere, Corso di Perfezionamento in Restauro archeologico (A.A. 2001-02), Firenze 2002; C. Dezzi Bardeschi, Archeologia e conservazione. Teorie, metodologie e pratiche di cantiere, S. Arcangelo di Romagna 2007; S. D’Agostino,
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Piccoli e localizzati interventi possono essere utili ad assicurare per tempi accettabili buoni livelli di protezione.
pagine seguenti “Ricostruzione” della volumetria della chiesa con reti metalliche a Siponto (E. Tresoldi, 2013).
Cairoli F. Giuliani, M.L. Conforto, E. Guidoboni, Raccomandazioni per la redazione di progetti e l’esecuzione di interventi per la conservazione del costruito archeologico, Napoli 2009; L. Marino, Conservation et valorisation d’architectures traditionnelles à l’état de ruine, in M. Matteini, M. Salem Elsheikh (eds.), Procedings of an International Conference on Conservation of Cultural Heritage (National Library of Egipt, Cairo 19-21 oct. 2009), Cairo 2012, pp. 48-61; L. Marino, Il restauro archeologico, Firenze 2016 (il volume riunisce due precedenti quaderni: Materiali per un atlante delle patologie presenti nelle aree archeologiche e negli edifici ridotti allo stato di rudere [2009] e Il rischio nelle aree archeologiche [2013]); D.Fiorani (ed.), Restauro e archeologia, in “Materiali e strutture. Problemi di conservazione”, VII, 2018, A.Ugolini, Dall’emergenza alla prevenzione. Archeologia preventiva e progetto di conservazione/restauro del patrimonio archeologico, in RICerca e REStauro 2019; sez. Tutela, pratica, codici e norme, Roma (in corso di stampa). I rapporti tra conoscenza e conservazione: J. Le Goff, Documento/monumento, in Enciclopedia Einaudi, Milano 1978; E. Benvenuto, La conoscenza e il progetto, in N. Pirazzoli (ed.), Restauro architettonico: il tema strutturale, Ravenna 1994; S. D’Agostino e A. Melucco Vaccaro, Il rudere archeologico: un contributo alla conoscenza della sua vulnerabilità, in Biscontin, Driussi 1996, pp. 29-37; M. Bellomo e S. D’Agostino, Documents in Stone: at the interface of material history and conservation, in Atti del Convegno Internazionale STREMAH Structural Studies Repairs and Maintenance of Historical Buildings (Bologna 2001) VII, 2001, pp. 593-7; S. D’Agostino, La conservazione strutturale del Costruito in muratura. Rapporti di ricerca “Il progetto di Conservazione. Linee metodologiche per le analisi preliminari, l’intervento, il controllo di efficienza, Firenze 2001; M. Foucault, L’archéologie du savoir, Paris 2002; A.Ugolini, Quale conoscenza per le ‘aree archeologiche strutturate’, in: RICerca REStauro; Sez.IB, Questioni teoriche: Tematiche specifiche, Roma, 2017, pp. 226-235. La presentazione sistematica dei vari aspetti che riguardano il restauro archeologico è in:
bibliografia
L. Marino (ed.), Dizionario di Restauro Archeologico, Firenze 2003 (171 voci con bibliografia); L. Marino e M. Coppola, Restauro archeologico di siti e monumenti in F. Gurrieri (ed.) Dizionario generale del restauro, Firenze 2013 (79 voci con bibliografia). Per le relazioni tra le varie figure professionali che intervengono in un cantiere di scavo-restauro e raffronti metodologici con altre specializzazioni: R. Paone, Il carattere interdisciplinare dell’archeologia e il ruolo dell’architetto-archeologo, in Pietramellara e Marino (1982), pp. 105-22; Ph. Rahtz, Archaeologists and Architects: Areas of Communication, Collaboration and Conflict, In “Archaeological Paper from York”, 1984, pp 152-57; R. Franchi, L. Marino, G. Vannini, Il cantiere di restauro come area interdisciplinare, in Scienza e Beni Culturali. Il cantiere della conoscenza, il cantiere del restauro, Atti del Convegno di studi (Bressanone 2730 giugno 1989), Padova, 1989; R. Tagliabue, Architetto e archeologo, confronto tra campi disciplinari, Milano 1993; L. Marino, Le médecin des monuments. Y a-t-il des analogies entre l’architecte-conservateur et le médecin?, in Actes du XIII Congreso internacional de rehabilitación del patrimonio arquitectónico y edificación (Tetuán Marruecos 10-12 ottobre), 2016; L. Marino, L’addestramento al restauro architettonico. Didattica e cantiere simulato (pp. 139163) in V.D. Porcari (ed.), XIV Congresso internazionale di riabilitazione del patrimonio (Matera 18-20 giugno 2018), Napoli 2018. I problemi connessi alle integrazioni e “ricostruzioni” sono stati affrontati da molti autori. Per gli specifici aspetti legati alla interpretazione e conservazione nonché la cosiddetta “archeologia sperimentale”: J. Coles, Archaeology Experiment, 1973 (ed. ital. Archeologia sperimentale, Milano 1981); P.J. Drury (ed.), Structural reconstruction. Approaches to the Interpretation of the Excavated Remains of Buildings, Oxford 1982; S. Gizzi, Le reintegrazioni nel restauro, Roma 1988; P. Stone, N.L. Molyneux (eds.), The presented Past, London 1994; Arco, La reintegrazione nel restauro dell’antico, Roma 1997; P. Stone, P. Plannel, The Constructed Past. Experimental Archeology, education and the public, London 1999. Gli aspetti legati al consolidamento provvisionale e/o definitive sono stati affrontati da numerosi autori. Per quanto riguarda i ruderi, in particolare, e le cautele di fronte a interventi che rischiano di essere molto pesanti: S. D’Agostino, Il contributo dell’Ingegneria strutturale alla conservazione dei siti archeologici, in Atti Convegno Nazionale sulle Tecniche per il Restauro Archeologico, “Restauro”, n. 110, 1990, pp. 40-57; L. Marino, Interventi reversibili (?) per il consolidamento dei ruderi, in A. Buti (ed.) Il consolidamento come forma di protezione al resto archeologico, Genova 1996; S. D’Agostino, Indagine strutturale di un monumento archeologico ridotto allo stato di rudere, IV Corso Perfezionamento in restauro dei manufatti architettonici allo stato di rudere, Firenze, 2006; S. D’Agostino (ed.), Ingegneria e beni culturali, Bologna 2018.
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
titolo saggio • nome cognome
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modalità di redazione della scheda
Ogni scheda1 è caratterizzata da un numero identificativo che va assegnato in maniera progressiva. Nel caso le schede vengano compilate contemporaneamente da più operatori si potrà optare per una numerazione indipendente (ogni operatore avrà la sua numerazione che verrà riordinata in fasi successive) oppure si potranno utilizzare schede prenumerate che fanno riferimento a un elenco generale, indipendente dagli operatori e dalla cronologia di compilazione. Le risposte devono essere finalizzate e sintetiche. Nel caso dovesse essere necessario disporre di maggiore spazio (ulteriori chiarimenti, correzioni…) si può far ricorso a espansioni mirate riportando le note su altri fogli dopo aver segnato i numeri identificativi2 delle voci che si intende ampliare (vedi punto 18). La segnalazione dell’esistenza di dati di espansione sarà segnalata barrando la casella posta vicino al numero 18. Commenti e prime sintesi potranno essere annotate, invece, nella casella 12. 1 indicazione del rischio presente3 (o prevalente): ambientale, amministrativo, antropico, botanico, cantiere di restauro, geologico, geotecnico, idraulico, inquinamento, meteorico, scavo archeologico, sicurezza, sismico, strutturale, tecnologico… Le schede verranno compilate dallo specialista (o gruppi di specialisti) dell’ambito delle diverse competenze disciplinari a cui il rischio fa prevalentemente riferimento. Sarà/nno questo/i a suggerire la eventuale necessità di nuovi sopralluoghi da parte degli stessi operatori oppure, nel caso di una maggiore complessità diagnostica, da parte di specialisti di discipline diverse. La scheda è tratta da: L. Marino, Il restauro archeologico, Firenze 2016. Per questo le singole caselle della scheda sono identificate con numeri progressivi (e locali derivazioni). Alcune voci sono uguali per tutte le schede, altre (le nn. 5, 6, 7 e 8) invece devono essere caratterizzate dai singoli specialisti. 3 Qui sono riportate soltanto le voci che possono essere considerate le più frequenti ma è evidente come il panorama delle possibili espansioni sia ampio potendo riguardare una casistica molto articolata. Alcune voci di una stessa scheda potrebbero costituire la base per nuove schede. Riteniamo, però, che per lo scopo pratico che vuole avere la schedatura che proponiamo (facilitare l’identificazione delle classi di rischio e la valutazione della vulnerabilità immediata e quella potenziale), sia preferibile basarsi su un numero ridotto di schede in rappresentanza dei principali ambiti disciplinari coinvolti nelle azioni di restauro archeologico. Per alcuni aspetti pratici la raccolta di schede specifiche su un monumento o un sito archeologico può costituire una sorta di “fascicolo del fabbricato”. Questo contiene gli elementi base per “l’identificazione dell’edificio”, quelli per la “sicurezza statica” e la “sicurezza impiantistica”, gli elementi per una sintesi degli accertamenti, eventuali provvedimenti conseguenti ed eventuale piano di gestione del fabbricato. 1 2
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il restauro di siti archeologici e manufatti edili allo stato di rudere • luigi marino
1.1. indicazione degli eventuali rischi secondari e quelli che possono derivare dal principale. Un aspetto non indifferente, e capace di condizionare in maniera talvolta sensibile le valutazioni, è costituito dal fatto che le emergenze e i rischi possono essere valutati in maniera diversa a seconda delle condizioni del momento: d’inverno il rischio prevalente potrebbe essere la pioggia mentre, nello stesso sito, in estate potrebbe essere la siccità. In alcuni casi, quella che potrebbe essere una risorsa stagionale potrebbe diventare un handicap in un’altra occasione. Operatori diversi possono essere fortemente condizionati, in maniera differenziata, oltre che da personali specializzazioni o interessi, dalla capacità di sopportare le diverse condizioni ambientali. 1.2. dichiarazione delle motivazioni per cui le indagine vengono eseguite (ricerca, accertamento diagnostico, previsione di intervento, emergenza…) e il Committente (Soprintendenza, Università, Ente di tutela, Amministrazioni, privato…)4. 2 indicazioni identificative del luogo (città o un territorio più ampio5, se necessario). 3 indicazioni sul sito e/o sul monumento6 (chiesa, castello, area archeologica…). 4 indicazioni relative alla parte7 del monumento su cui si interviene. 5 elementi sensibili: è la parte più importante della scheda. Contiene indicazioni su-
4 Tali indicazioni potranno essere di grande utilità per definire le diverse strategie di indagine (obiettivi, tempi, competenze, necessità di risorse, ricadute prevedibili, criteri di collaudo…). Sempre più frequenti sono le necessità di assistenze allo scavo in cantieri pubblici e privati. L’ampliamento delle conoscenze archeologica nei centri storici può avere ulteriori vantaggi se si attivano preventivamente processi conoscitivi e politiche di tutela adeguate. Le schede compilate “in cantiere” consentono, infatti, livelli di notevole approfondimento proprio quando si ha la possibilità di toccare con mano situazioni altrimenti inavvicinabili. 5 Per la valutazione del rischio di una singola area o di un singolo monumento è, comunque, utile la conoscenza di un territorio più ampio e quando i fenomeni degenerativi possono essere visti e interpretati nel loro sviluppo in un ambito spazio-temporale di riferimento. 6 Riteniamo che anche il monumento più piccolo non possa essere considerato come un elemento singolo; piuttosto, deve essere considerato come un elemento che ha riferimenti precisi con l’ambiente circostante, sia per motivi di evoluzione storica (quando un elemento può contribuire a comprenderne un altro) sia perché anche un singolare stato di conservazione (magari anomalo solo in apparenza) può essere meglio compreso analizzando il contorno e le condizioni ambientali. 7 Molte volte non è possibile (o necessario) indagare un intero sito/monumento. Si può ripiegare su parti ridotte, considerate strategicamente come “campioni” significativi e rappresentativi attraverso indagini per punti, linee o superfici o, meglio, attraverso transetti opportunamente scelti, anche in relazione agli obbiettivi dell’indagine stessa. In ogni caso sarà necessario annotare sulla scheda le condizioni ambientali e umane al momento della redazione della scheda che potrebbe essere condizionata proprio da variabili naturali e dalle difficoltà di elaborazione dei dati raccolti. A. Ferdière e E. Zadora-Rio (eds.), La prospection archéologique, Paris 1986. Per le tecniche di raccolta ed elaborazione dei dati: P. Saly, Méthodes statistiques descriptives pour les historiens, Paris 1991; F. Djindjian, Méthodes pour l’archéologie, Paris 1991
modalità di redazione della scheda
gli elementi che definiscono il rischio e quali sono le condizioni. Questa parte va organizzata in relazione alle specificità delle diverse classi di rischio e va definita dai singoli specialisti8. Se necessario, si possono fare voci articolate con sottovoci di maggiore approfondimento9. Modifiche e ampliamenti possono essere annotate alla voce 18 (dove sono previste le espansioni). 6 indicazioni sulla permanenza dei fattori di rischio: da quanto tempo permane ogni singolo fenomeno10 e quali sono le condizioni di variabilità nel tempo11. Indicazioni sulle condizioni di Variabilità o Stabilità e valutazioni di massima della gravità: Valori: 1 (poco), 2 (medio), 3 (alto),? (indefinibile). Gli elementi di valutazione (cause dirette/indirette, variabilità nello spazio e nel tempo…) possono essere aggiunte nell’espansione della scheda. La valutazione complessiva deve essere sintetica e tener conto della media delle singole voci. 7 la valutazione dei peggioramenti complessivi nel tempo (1: scarso, 2: medio, 3: alto,?: non definibile) può servire a dare indicazioni di massima sui possibili sviluppi e, quindi, permettere la previsione dell’evoluzione dei livelli della vulnerabilità12.
8 È evidente come non sia possibile definire preventivamente voci che vadano bene in ogni condizione. Lo specialista, in base alle situazioni che trova sul campo, potrà ampliare/ridurre le voci già predisposte nella scheda base; potrà modificarle in conseguenza delle singolarità di volta in volta riscontrate. Riteniamo sia preferibile che ogni specialista intervenga all’inizio con una scheda “specifica” che potrà adattare, in seguito al confronto con altri operatori intervenuti secondo metodiche e procedure di ogni singolo ambito disciplinare, per una più ampia copertura di orizzonti di ricerca. 9 La tecnica detta “l’albero dei guasti” (Fault Tree Analysis) bene si presta alla individuazione e registrazione degli scenari incidentali. 10 Si capisce quanto importante possa essere riscontrare e differenziare fenomeni presenti da lungo o breve tempo; fenomeni antichi ma ormai stabilizzati e altri ancora attivi, fenomeni più recenti attivi o (almeno apparentemente) già fermi. I fattori di rischio, allora, vanno previsti per il futuro come conseguenza determinante dalle situazioni di ieri e quelle di oggi. Salvo rare eccezioni. Si tratta, in sintesi, di accertare gli elementi più rappresentativi della dinamica delle trasformazioni avvenute da quando se ne ha notizia. L’ideale sarebbe un confronto con le condizioni documentate, ricorrendo anche a strumentazioni o metodiche diverse, prima e durante le operazioni di scavo/restauro. Va considerato che, soprattutto nei siti/monumenti con storia di lunga durata, è possibile che alcune delle tracce relative al degrado di lunga durata, trasformazioni, reimpiego, degrado e dissesto (cause naturali o antropiche) possano essere documentate a causa di riparazioni, adeguamenti strutturali o funzionali, asportazioni, demolizioni che diventano, così, tracce guida per le interpretazioni anche se non sempre sono compiutamente riconoscibili le stratificazioni e le relative correlazioni cronologiche. 11 Vanno registrate le differenze tra fenomeni ciclici a breve sviluppo (alternanza giorno-notte), medio sviluppo (variazioni stagionali) o lungo sviluppo; vanno registrate altresì le variazioni omogenee e lineari nel tempo e quelle “a salti”. 12 Un rilevatore specializzato e addestrato a lavorare in situazioni reali potrà stabilire quali sono i fattori di rischio e le relative condizioni sulla base delle informazioni raccolte e il confronto con le condizioni pregresse. È evidente come le casistiche possano essere ricondotte fondamentalmente a tre: condizioni stabili, condizioni in peggioramento, condizioni in miglioramento (rare ma comunque possibili). Le difficoltà risiedono, in pratica, nella determinazione dei livelli dei peggioramenti (velocità e incidenza), il coinvolgimento di piccole parti o piuttosto in estensione.
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7.1. quali sono gli elementi13 su cui si basa la valutazione delle trasformazioni/peggioramenti avvenuti fino alla data attuale (documentazioni d’archivio, testimonianze dirette/indirette, tracce materiali). 7.2. quali sono gli elementi (reali e/o presunti) su cui si basa la previsione dello sviluppo futuro e l’indicazione dei possibili andamenti in tempi diversi. 7.3. vanno date indicazioni sulla possibilità che si possano avere inversioni di tendenza14 o recuperi (parziali/complessivi) in futuro, in che modo e a che condizioni15. 8 schedatura della documentazione esistente16 (rapporti a stampa, manoscritti, grafici, fotografie…) a cui si è fatto/si potrebbe far riferimento e di quella (generica/specifica) prodotta in occasione della redazione della scheda. Vanno date indicazione sulla reperibilità dei documenti17 e la loro collocazione (archivio pubblico/privato, collezioni, materiali pubblicati o inediti…) 8.6. indicazione della avvenuta collocazione (o la previsione a farlo in breve tempo) delle informazioni raccolte e dei dati elaborati su cartografie specializzate (redazione di carte tematiche18) 13 Le valutazioni sullo sviluppo pregresso potrebbero derivare dal confronto di documenti di epoca diversa ordinati, e dei quali sia verificabile l’attendibilità, secondo una sequenza temporale (corpora di fotografie databili o cartoline illustrate, perizie…) e tematica (tipo di patologie presenti, classi di intervento…). A fianco di ogni fonte di informazione va data una doverosa indicazione sulla sua affidabilità. Una particolare attenzione deve essere posta nella valutazione dell’inizio dei fenomeni degenerativi poiché, salvo in casi rari (un terremoto, per esempio, o un’azione volontaria), si può riscontrare piuttosto un progressivo sviluppo nel tempo (a sviluppo non sempre lineare) con termini di riferimento non precisi. “Crescere-non vediamo crescere gli alberi, i bambini. Solo che un giorno, quando li si rivede, si resta sorpresi del fatto che il tronco sia diventato già così massiccio o che il bambino ci arrivi ormai alla spalla. Invecchiare: non ci vediamo invecchiare” F. Jullien, Le trasformazioni silenziose, Milano 2010 (Paris, 2009). 14 Le inversioni di tendenza potrebbero dipendere da motivi naturali (cambiamenti più o meno repentini delle condizioni ambientali, fenomeni di adeguamento dei ruderi e dei siti a nuove condizioni…) oppure appositamente provocati (un locale consolidamento, un drenaggio a monte…). 15 Si potrebbe arrivare, in molti casi, a condizionare le ipotesi di intervento alle domande: se non si facesse nulla, a che rischi si andrebbe incontro? Qual è il “minimo” intervento possibile? È possibile ipotizzare un incremento di rischio accettabile? Fino a quando è possibile rinviare gli interventi? Le analisi del tipo “cosa succede se” (what if) si basano sulla previsioni di quali potrebbero essere le conseguenze di un certo evento, quali siano i livelli di sicurezza che è possibile assicurare oppure quali siano le misure destinate a limitare i livelli di rischio. In molti casi è possibile definire un “livello di rischio accettabile” (il costo che si è disposti a sostenere a fronte di eventi indesiderati che dipendono dal rapporto tra danno probabile e vantaggi possibili). 16 Ci potrebbero essere fonti informative particolari (p.e. carte geologiche, filmati di epoca passata anche non professionali, banche dati specializzate, erbari…) e specifiche dei singoli ambiti disciplinari. Allo stesso tempo possono essere utilizzate fonti di informazioni dirette (testimonianze orali) oppure tracce sul campo (archivi del suolo). 17 J. Le Goff ricordava come i materiali della memoria possono presentarsi in due forme principali: i monumenti, eredità del passato, e i documenti, scelta dello storico. 18 In previsione di una divulgazione delle schede o di un futuro coinvolgimento di altri vanno fornite le necessarie chiavi di lettura e i codici per i successivi aggiornamenti che potrebbero essere eseguiti anche da altri.
modalità di redazione della scheda
9 valutazione del livello di gravità: O: nullo 1: basso, 2: medio, 3: alto, 4: elevato,?: indefinibile. Lo O e il 4 vanno usati solo in casi estremi19. Vanno definiti, finché possibile e in seguito alla caratterizzazione dei diversi ambiti disciplinari, le caratteristiche dei livelli di gravità complessiva20. 10 individuazione ed eventuale descrizione degli elementi di particolare gravità (per caratteristiche, localizzazione, estensione e/o quantità, possibili sviluppi…), valutazione dei livelli21 (scala O-1-2 -3-4-?). A fianco di ogni fonte di informazione va data indicazione della affidabilità della valutazione di gravità dei singoli elementi e della loro incidenza nel quadro diagnostico complessivo. 11 indicare se c’è bisogno di ulteriori approfondimenti e indagini specialistiche e il presumibile livello di urgenza. 12 spazio disponibile per annotazioni aggiuntive e di prima valutazione22. 19 Si propone che vengano utilizzati, in maniera prevalente, tre livelli di valutazione (in alcuni casi potrebbe essere utile indicare quali sono i criteri di valutazione adottati) più la possibilità di lasciare indecisa la risposta, perché il redattore della scheda non è in grado di darne una convincente oppure perché non è stato possibile, per il momento, eseguire l’accertamento (e che viene rinviato ad altra occasione). In alcuni casi si potrebbero utilizzare anche due livelli contemporaneamente: nel caso di un manufatto architettonico antico completamente “foderato” da una struttura moderna si potrebbe usare lo O per indicare la compatibilità dell’intervento e con 4 la nuova condizione strutturale (inaccettabile, quindi, dal punto di vista conservativo ma “utilizzabile” dal punto di vista strutturale come avviene di frequente quando si inserisce un nuovo elemento strutturale (p.e. una trave in c.a. in un rudere). Nella classificazione proposta da M. Dunkley (Protected wreck sites at risk. A risk management Handbook, English Heritage, 2008) le valutazioni sono basate sulla percentuale di resti sopravvissuti [molto buono (>80%), buono 61-80%), mediocre (41-60%), cattivo (21-40%), pessimo (<20%)]. 20 È evidente come la valutazione della gravità di un fenomeno sia fondamentalmente condizionata dall’ambito disciplinare e dalle condizioni in cui si opera. Per fare un utile esempio si consideri la scala empirica di intensità macrosismica prevista dall’European Macroseismic Scale (Grunthal 1998) articolata sulla possibilità di A — danni leggeri, B — moderati, C — gravi, D — molto gravi, E — distruttivi. A ogni tipologia edile, in relazione ai materiali usati e alle tecniche costruttive, si associano le diverse classi di vulnerabilità. È evidente come, l’assenza di informazioni non voglia automaticamente dire che non ci siano, in atto o potenziali (per naturale predisposizione o condizione acquisita), fenomeni degenerativi. 21 Anche in questo caso è preferibile concentrare, se possibile, la valutazione sui valori 1-3. 22 La raccolta dei “segni” individuati, degli indizi relativi ai processi di trasformazione e alterazione e la loro correlazione, è possibile definire almeno in linea di massima una prediagnosi. Non diversamente da quanto avviene in medicina dove alla raccolta dei dati dell’anamnesi (indagine sulla storia delle patologie, individuali e familiari, di un malato) e l’esame obiettivo (le evidenze) porta alla compilazione di una cartella clinica che cerca di fare una prima sintesi dello stato di salute che, adeguatamente tenuta aggiornata, accompagnerà il decorso della malattia indicandone i possibili sviluppi futuri. Per sua natura la diagnosi clinica è uno dei momenti più importanti e impegnativi della professione medica e prevede che il medico tenga conto delle nuove acquisizioni e faccia buon uso dell’esperienza, dell’abilità, della sensibilità e capacità di valutazione. Il decorso e l’esito della malattia sono spesso condizionati proprio dell’abilità del medico di formulare una corretta e precoce diagnosi. Allo stesso modo, l’intervento su un monumento può essere fortemente condizionato dalla capacità dell’architetto di raccogliere informazioni, eseguire esami obiettivi, test diagnostici ed eseguire le necessarie correlazioni necessarie alla definizione di un quadro diagnostico su cui basare il progetto di restauro.
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pagina a fronte Ricostruzione didattica di un villaggio palafitticolo nell’Archeoparco di Boario.
13 seriazioni tematiche. Nelle singole caselle segnalate con lettere va riportata, con numerazioni progressive, la presenza di elementi riferibili a voci specializzate23 che riguardano i singoli aspetti. 14 riferimento ad altre schede e ad allegati alla stessa scheda24 (materiali documentari reperiti e/o prodotti). 15 valutazione dell’affidabilità complessiva della scheda: P pessima, C cattiva, M mediocre, B buona, O ottima,? indefinibile (le “P e O” vanno usate solo in casi estremi)25. 16 autore/i della scheda e data. 17 revisore/i della scheda e data. La revisione (controllo a distanza di tempo) dei dati riportati in una prima stesura, indipendentemente dal fatto che le due stesure siano state fatte dalla stessa persona o da due operatori diversi, può rappresentare un importante strumento di verifica e di collaudo26. Gli eventuali insuccessi nella rilevazione/registrazione L’elenco dipenderà, evidentemente, dalle caratterizzazioni disciplinari della scheda e potrà essere definito sul campo in risposta alla singolarità delle situazioni che di volta in volta si trovano. Gli elenchi relativi saranno riportati nella casella 18, dedicata alle espansioni. Per esempio: scheda numero progressivo 42; a — monumenti funerari, b — monumenti sacri, c — murature in laterizio, d — murature in pietrame, e — murature intonacate, f — monumenti restaurati tra il 1925 e il ’27, g — monumenti restaurati tra il 1927 e il ’29, h — restauri fatti da Antonio, i — restauri fatti da Giovanni, l — restauri pagati dallo stato, m — restauri pagati da un comune, n — monumento su cui esiste un progetto di indagine recente (2004-10), o — monumento su cui esiste un progetto di intervento (2011), p —…. In sintesi: una classificazione come questa proposta (scheda 42: a-31, d-18, f- 14, g-1, h-6, l-13, o-2,…) potrebbe essere interpretata così: la scheda 42 si riferisce a un edificio funerario (il 31° schedato tra quelli funerari), presenta murature in laterizio (ed è il 18° edificio in laterizio tra i 42 finora schedati), è stato restaurato tra il 1925 e il ’27 (nello stesso periodo sono stati restaurati altri 13 edifici, indipendentemente dalla tipologia e i materiali), è il primo edificio di cui si ha notizia ad essere stato restaurato anche nel periodo successivo; l’autore degli interventi è Antonio (autore di altri 5 interventi), insieme ad altri 12 casi l’intervento è stato pagato dallo Stato, sull’edificio esiste un progetto di intervento (ed è il secondo edificio per il quale esiste un progetto 2011)… Le informazioni che è possibile trarre dalle schedature sono di numero molto elevato potendosi incrociare le singole informazioni con diverse classi di altri dati che sarà possibile graficizzare in diversi modi. Nel caso ipotizzato prima, per esempio, si potrebbero estrapolare tutte le schede che presentano un numero nella casella h; si avrebbe l’elenco di tutti gli edifici restaurati da Antonio, indipendentemente da altri elementi. Da tale elenco si potrebbero isolare le schede che hanno un numero nella casella c ed avere, in tal modo, l’elenco di edifici in laterizio restaurati da Antonio. 24 I dati registrati vanno correlati tra loro e con altre classi di informazioni per avere quadri più significativi e tali da indirizzare verso diagnosi di maggiore affidabilità 25 La valutazione complessiva è fatta dallo stesso redattore della scheda. Questi provvederà anche ad annotare eventuali osservazioni e giustificativi alle scelte operate. 26 Va tenuto presente il ricorrente rischio per il quale, in pratica, si trova quello che si cerca. Se i dati fra due stesure diverse coincidono si può ipotizzare che le due redazioni siano entrambe buone (anche se non è del tutto escluso che si facciano gli stessi errori in condizioni e tempi diversi); se le stesure eseguite in tempi diversi non coincidono possono mettere in evidenza errori in una delle due redazioni (non escludendo, ovviamente, errori su entrambe) oppure, verificata la correttezza delle due raccolte di informazioni, mettono in evidenza trasformazioni avvenute sul monumento/sito successivamente alla data del primo rilevamento. Le osservazio23
può dipendere dalle caratteristiche del manufatto (particolarmente difficile o di disagevole osservazione), da cause esterne (condizioni ambientali) oppure da errori umani. 18 espansione (eventuale) della scheda27.
ni che di volta in volta vengono eseguite, purché tra loro confrontabili, possono documentare (e per molti aspetti “dimensionare”) le vicende storiche del manufatto, le trasformazioni avvenute nel tempo, le variazioni dello stato di conservazione (forme patologiche e velocità con cui si presentano occasionalmente o si riproducono ciclicamente). I confronti consentiranno, con un livello di affidabilità direttamente legato alle precisione con cui sono state fatte le rilevazioni e le raccolte dei dati, la registrazione delle progressive trasformazioni e le previsioni sullo stato in cui siti e manufatti si troveranno in futuro. Le previsioni sono basate proprio sulla consequenzialità degli avvenimenti. Consentiranno, inoltre, con buoni livelli di accettazione, l’attivazione delle successive azioni di controllo e la definizione di azioni di contenimento di indesiderati peggioramenti. L’efficacia dell’azione manutentiva e degli interventi straordinari, in fin dei conti, è legata molto spesso proprio alla scelta dei tempi più opportuni di intervento. 27 Per l’aggiunta di testi che non è possibile inserire negli spazi delle singole caselle si può utilizzare la casella di espansione dedicata alla raccolta in maniera ordinata di allegati (scritti, copie, fotografie…), di note e commenti. Se la scheda fosse stampata su un foglio A3 potrebbe essere utilizzata, piegata in due, come cartella che contiene gli allegati.
Finito di stampare da Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. | Napoli per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Febbraio 2019
Le condizioni di vulnerabilità dei siti e delle strutture rimesse in luce possono presentare ulteriori peggioramenti a causa di trasformazioni involontarie o volontarie. Il contenimento dei processi degenerativi può essere legato alle decisioni che si prendono prima e durante gli scavi. L’addestramento di un personale adeguatamente specializzato deve tener conto della singolarità delle situazioni che si possono incontrare in edifici ridotti a rudere e la necessità di dover assumere decisioni importanti con la consapevolezza che potrebbe essere necessario adattarsi a condizioni prima non prevedibili e che a eventuali errori potrebbe non essere più possibile porre rimedio. La capacità di apprendimento e di rinnovamento costante da parte degli operatori può consentire una maggiore affidabilità dei ruoli e sviluppare il coraggio di mettere in dubbio posizioni di privilegio non sempre giustificabili e adottare rinnovate metodiche, sensibilità e conoscenze tecniche specifiche sviluppando le capacità di gestirle attraverso la connessione di efficaci e consapevoli sequenze operative. Luigi Marino. Già professore associato di Restauro Architettonico insegna restauro Archeologico presso la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio DIDA e la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici SAGAS dell’Università di Firenze. E’ stato Direttore del Corso di Perfezionamento in Restauro Archeologico. Si occupa della conservazione e della manutenzione di edifici allo stato di rudere e di aree archeologiche, in particolare quando si è costretti a intervenire in condizioni di emergenza. Su questi temi ha messo a punto metodi e strumentazioni originali collaudati e applicati in numerosi cantieri in Italia e nel Vicino Oriente.
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