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Paesaggio come forma del paese

costruire una cornice analitico-interpretativa, progettuale e normativa per un governo integrato del territorio regionale (Gisotti 2018). È un percorso di certo non privo di ostacoli: la redazione di un piano paesaggistico è un processo estremamente lungo, complesso e oneroso, come mostra il quadro attuale relativo alla sua redazione, adozione e approvazione nelle regioni italiane (Gisotti 2016; Mibact 2017); è un atto di portata politica e culturale oltre che uno sforzo sul piano tecnico-amministrativo, che può anche non pervenire all’approvazione. Esso chiama in causa la necessità di condurre processi di concertazione e co-pianificazione che, specie se avviati fin dall’inizio dell’elaborazione dello strumento (con il coinvolgimento di tutti i settori e i soggetti presenti al livello di governo del territorio regionale), sono indispensabili perché il piano possa avere un’impostazione effettivamente multisettoriale, che ne renda operativo il carattere multidisciplinare. Infine, la fase dell’attuazione di un piano paesaggistico approvato apre un ventaglio ampio di ulteriori problematiche, in larga parte ancora oggetto di studio, sia per l’esiguità delle esperienze esistenti, sia per la difficoltà di operare sistematizzazioni e generalizzazioni, specie nel raccordo con le leggi di governo del territorio presenti nelle singole regioni. In ultimo, occorre riflettere sulla possibilità che, nella prassi urbanistica, prevalgano interpretazioni riduttive dell’attuazione del piano, che vedono le conformazioni e gli adeguamenti dei piani comunali al piano paesaggistico riferirsi prevalentemente (se non esclusivamente) ai beni paesaggistici (Cassatella, Paludi 2018). In quest’ottica, la progettualità del piano contenuta nella sua parte strategica (in particolare nei suoi progetti e programmi integrati) rischia di non trovare una ulteriore declinazione alla scala locale. Malgrado queste difficoltà, i piani paesaggistici regionali possono rappresentare strumenti d’importanza rilevante per la delineazione di un progetto di territorio regionale che riprenda anche l’indicazione fornita dalla CEP (art. 5) in merito alla necessaria integrazione del paesaggio nelle politiche di pianificazione urbanistiche e territoriali.

Paesaggio come forma del paese Alla base del cambiamento culturale e normativo portato dal Codice e dai nuovi piani paesaggistici, si situa una concettualizzazione di paesaggio come struttura di carattere relazionale (“territorio il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, recita l’art. 1, c.1 del Codice). Una lunga tradizione di studi soprattutto storico-geografici ha contribuito a generare questa visione. Alberto Predieri, in un saggio fondamentale del 1969, la ripercorre illustrando – con grande capacità prefigurativa – un’idea di paesaggio molto affine a quella che oggi definiamo strutturale. Ripercorriamo alcuni passi del saggio di Predieri per meglio afferrare questa idea.

Predieri ha dato un contributo fondamentale sul piano giuridico al superamento di una concezione sia visibilista che squisitamente ecologica del paesaggio: se è vero che “il paesaggio è l’insieme delle fattezze di una località” – scrive – è anche vero che “questo insieme di fattezze, ovvero questa forma composita, è il risultato di più forze interagenti e infra-reagenti in varia misura. Il paesaggio è l’espressione di una dinamica di forze naturali, ma anche, e soprattutto, di forze umane” (Predieri 1969, pp. 8-9). Tale considerazione, per l’autore, vale soprattutto per il paesaggio italiano. Prosegue, quindi, affermando che “come risultante di forze umane e naturali che agiscono perennemente, come paesaggio integrale, perciò, il paesaggio è un fatto fisico oggettivo, e al tempo stesso un farsi, un processo creativo continuo, incapace di essere configurato come realtà immobile, suscettibile di essere valutato diacronicamente e sincronicamente, sempre tenendo presente la sua non staticità. Il paesaggio, dunque, è la forma del paese, creata dall’azione cosciente e sistematica della comunità umana che vi è insediata” (ibidem, pp. 10-11). Stabilendo un’analogia tra linguaggio e paesaggio, Predieri afferma che quest’ultimo “in questo suo aspetto di comunicazione presuppone – come qualsiasi comunicazione – un sistema di relazioni, che ineriscono alla società, che la esprimono, senza che con ciò si voglia dimenticare che questa espressione non è l’univoca sintesi delle strutture sociali nel cui ambito agisce la comunità che trasforma il paesaggio” (ibidem, p. 12). Non è difficile leggere, in queste dense affermazioni di uno tra i giuristi che ha maggiormente contribuito al dibattito sul paesaggio italiano (oltre che all’evoluzione della sua tutela), l’influenza degli studi di Lucio Gambi ed Emilio Sereni, esplicitamente citati da Predieri nel saggio del 1969: non solo per quanto riguarda la concezione strutturale di paesaggio, definito infatti come risultato dell’interazione tra forze naturali e umane e come “sistema di relazioni”4. Ma anche per la centralità del ruolo delle comunità insediate nel “riconoscere” il paesaggio, le sue fattezze, i suoi principi generativi: la “azione cosciente e sistematica” di cui parla Predieri richiama il pensiero di Gambi, il quale affermava che “solo quando gli uomini hanno una cognizione discretamente matura di questa individualità territoriale in cui dimorano, si svolgono quei processi di costruzione che con il loro sedimentare e incrociarsi hanno prodotto il paesaggio” (Gambi 1986, p. 103). E riecheggia, inoltre, il pensiero di Emilio Sereni, che definiva il paesaggio “quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale” (Sereni 2001, p. 29)5 .

4 Ricordiamo che Gambi scriveva, nel 1986, che territorio è “spazio definito e determinato da caratteristiche, o per meglio dire da un insieme di rapporti che unificano queste caratteristiche” (Gambi 1986, p. 103) 5 Lo studio dei paesaggi italiani condotto da Emilio Sereni nella sua Storia del paesaggio agrario italiano (1961) legge il territorio italiano dall’antichità fino agli anni ’50 del Novecento attraverso l’iconografia e rappresenta uno dei testi

La componente visibile ed estetica del paesaggio non viene in questo modo negata ma raccordata con una percezione intersoggettiva e condivisa, messa in atto dalle comunità insediate. In questa concettualizzazione crediamo si catturi buona parte dell’estetica del paesaggio storicamente prodotta nell’ambito della cultura italiana, un’idea distante dai canoni del pittoresco e del sublime e profondamente informata dalle “regole dell’arte”. Lo ha spiegato magistralmente Piero Camporesi, nel rintracciare le matrici storiche del paesaggio italiano: “nel Cinquecento”, nota Camporesi, “non esisteva il paesaggio, nel senso moderno del termine, ma il paese, qualcosa di simile a quello che è per noi oggi il territorio […] luogo o spazio considerato sotto il profilo delle sue caratteristiche fisico-ambientali […] tangibile quasi nella sua concretezza, [che] apparteneva alla sfera estetica in modo del tutto secondario” (Camporesi 1992, p. 9). La concezione della bellezza non era ancora disgiunta da valutazioni utilitaristiche, ma anzi “ciò che era ben fatto […] secondo l’intelligente applicazione delle regole dell’arte non poteva non essere bello” (ibidem, p. 80). È a partire da questo nucleo di senso che in alcune regioni italiane (oggi coincidenti con la Toscana, parte dell’Umbria e delle Marche) si è sviluppata, tra Trecento e Cinquecento, una prima estetizzazione delle forme del territorio per mezzo di un doppio movimento: il processo di riorganizzazione della campagna messo in atto dalla borghesia urbana che culmina con l’appoderamento e la costruzione della villa-fattoria, e la sua celebrazione estetica attraverso la rappresentazione iconografica (ma anche attraverso la descrizione letteraria transitata nelle laudatio urbis) (Cosgrove 1990; Turri 1998; Bonelli Conenna et al. 2004; Gisotti 2008). Il paesaggio inteso come forma del paese, per tornare alla definizione di Alberto Predieri, scaturisce da questo doppio processo e non allenta mai in modo definitivo il suo legame con gli aspetti funzionali, divenendo oggetto di un apprezzamento estetico saldamente ancorato alla struttura territoriale. La tradizione di studi storico-geografici fin qui citati ha esercitato un’influenza considerevole sui paradigmi di paesaggio posti alla base dei piani paesaggistici appartenenti alla cosiddetta seconda generazione (Lanzani 2008; Gambino 2010). Tali piani, infatti, a differenza di quelli redatti in conformità con la legge Galasso che impiegavano per lo più un approccio ecologico-ambientale, hanno in gran parte adottato un concetto di paesaggio inteso come dispositivo strutturale e relazionale (Gisotti 2018). Alcuni esempi tra i più noti: il PPR piemontese comprende un Quadro Strutturale che evidenzia i “fattori costitutivi della struttura paesaggistica, articolati in relazione agli aspetti naturalistico-ambientali, storico-culturali e percettivo-identitari” (NTA, art. 7, c. 1). Nel

di riferimento fondamentali sul tema.

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