Per una città giusta | Tarsi

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elena tarsi presentazione di

fernando matos rodrigues

Per una CittĂ Giusta Politiche e progetti di inclusione urbana in Portogallo


La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo. The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA). The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


ricerche | architettura design territorio

Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-LaVillette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo RodriguezNavarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy


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fernando matos rodrigues

Per una CittĂ Giusta Politiche e progetti di inclusione urbana in Portogallo


La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Questo libro è un esito delle ricerche sviluppate grazie ad un finanziamento della Fundação para Ciência e Tecnologia — FCT del governo portoghese (SFRH/BPD/82510/2011) a cui ho avuto accesso grazie al sostegno del Centro de Estudos Sociais dell’Università di Coimbra: il mio primo ringraziamento va quindi ai miei orientadores Elsa Lechner e Giovanni Allegretti del CES che hanno seguito tutto il percorso di ricerca. Un grazie di cuore al Professore e amico Fernando Mato Rodrigues per il testo di presentazione a questo libro ma soprattutto per la generosità con cui mi ha accolto nella comunità scientifica e affettiva del LabhSocial; colgo anche l’occasione per ringraziare gli architetti Andrè e Antonio Cerejeira, il professor Manuel Carlos Silva e tutti gli abitanti della Ilha da Bela Vista. Ringrazio anche la professoressa Isabel Raposo per il prezioso confronto e la sempre grande disponibilità e tutti i colleghi che hanno partecipato ai seminari da noi organizzati sul tema del diritto alla città. Un ringraziamento fondamentale va alla mia amica Rita Silva, a tutti gli attivisti di Habita e agli abitanti del Bairro 6 de Maio perché sono la vera speranza di una città più giusta. Dedico questo libro a Claudia, Clara e Riccardo che sono la mia famiglia a Lisbona e che mi hanno sempre accolto nei loro cuori come nelle loro case. Al professor Paloscia va invece tutto il debito possibile per l’incoraggiamento che sempre riserva per me e senza il quale questo volume non avrebbe preso vita. A Marinella, Massimo, Iacopo e Ginevra va un ringraziamento speciale per il generoso sostegno costantemente presente. Un grazie a Maura che si è letta tutti i capitoli per correggerli senza mai smettere di affermare che il contenuto le piaceva. Un grazie a Simone perché anche se arrabbiato non mi dice di no. Un grazie a Giorgio che è il mio illustratore preferito e disegna Lisbona ad occhi chiusi. Un grazie a Miriam, Bruno, Marla e Maura perché come una vera e propria famiglia si sono sorbiti lo stress di questo nuovo “parto” senza mai smettere di volermi bene. Infine un grazie a Mirko per la sua meravigliosa calma.

in copertina Lisbona, illustrazione di Giorgio Fratini.

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Gaia Lavoratti

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2018 ISBN 978-88-3338-055-1

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


indice

Presentazione Fernando Matos Rodrigues

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Introduzione

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La prospettiva spaziale e lo sguardo Sud-Nord come strumenti interpretativi e progettuali: l’esperienza brasiliana come modello

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Lo sguardo Sud-Nord La giustizia spaziale

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Esclusione Urbana: verso una comprensione ampia delle principali cause

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Esclusione sociale ed esclusione urbana: una piccola ma sostanziale differenza

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Le logiche dell’esclusione

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Mappare l’esclusione urbana: un esercizio su Porto

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Costruire spatial justice: riqualificazione inclusiva del tessuto storico 71 Giustizia spaziale e diritto al luogo

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Ilhas operarias a Porto

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Una panoramica sulle politiche per le Ilhas

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Il progetto per la Ilha de Bela Vista

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Una strategia contro il displacement: laboratori partecipati e diritto alla città

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La città informale e la nuova politica abitativa 91 La costruzione informale a Lisbona Programmi abitativi e politiche per gli insediamenti informali in Portogallo

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Un caso paradigmatico: Amadora

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La Nuova Generazione di politiche abitative

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Un contributo critico alle nuove politiche per gli insediamenti informali

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Conclusioni | Come costruire una città giusta? 131 Bibliografia 137


le speranze hanno qu da compiere, nascere ed è per questo che, delusioni, non sono questo mondo. 6

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uel certo destino e l’una dall’altra, malgrado le tante ancora finite a

presentazione • fernando matos rodriguez

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José Saramago


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per una città giusta. politiche e progetti di inclusione urbana in portogallo • elena tarsi


presentazione Fernando Matos Rodrigues

Antropologo, Ricercatore presso la CICS.Nova Universidade do Minho. Direttore del Laboratório de Habitação Básica e Social

Centro Comunitario, Santa Filomena, Amadora Foto dell’autrice

Portogallo, affermare il diritto all’abitare Il libro della collega e amica Elena Tarsi è senza dubbio un contributo importante per la comprensione delle questioni legate all’accesso all’abitare e alla città in questa tarda modernità. Il titolo “Per una città Giusta” rimanda con chiarezza alle problematiche che caratterizzano i territori contemporanei e alla necessità di trovare soluzioni partecipative e collaborative, che coinvolgano i cittadini nella costruzione di una città equa, diversificata ed efficiente, democratica e accessibile a tutti indipendentemente dalle differenze di reddito. Un lavoro scientifico di grande complessità che ci traghetta tra due esperienze, due mondi, il Portogallo e il Brasile, che pur parlando la stessa lingua, hanno realtà urbane e sociali molto diverse caratterizzate da scale territoriali e dimensioni socio-politiche molto asimmetriche. È in questi luoghi della lusofonia che l’autrice sviluppa la sua ricerca sulle problematiche dell’esclusione, indagando le potenzialità della partecipazione per l’affermazione di programmi alternativi ed inclusivi nelle aree metropolitane di Porto e Lisbona. Elena Tarsi è una protagonista attenta e partecipe del processo di costruzione di città dal carattere democratico, e sostenitrice dell’importanza dei laboratori permanenti come luoghi di discussione e definizione dei significati concreti e simbolici di una società in forte trasformazione. Con il lavoro sul campo in Brasile e in Portogallo, imperniato sulle questioni dell’inclusione e del diritto alla città, studia e ci fa conoscere le pratiche della partecipazione dei cittadini alla politica urbana. La sua opera riflette la preoccupazione per la crisi del sistema di rappresentanza tradizionale e l’attenzione per i cambiamenti delle componenti spaziali all’interno della città. Attraverso momenti di confronto in congressi e seminari, ma, soprattutto, con la presenza sul campo e l’osservazione diretta insieme agli abitanti delle Ilhas della città di Porto, l’autrice ha elaborato una differente prospettiva epistemologica, una diversa riflessione scientifica e metodologica sulle problematiche da affrontare e sul ruolo dei processi partecipativi nella costruzione del diritto alla città. Il suo lavoro rappresenta indubbiamente una fiaccola critica che illumina possibili percorsi e soluzioni, a partire da programmi ed esperienze come


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quella sviluppata nella Ilha de Bela Vista nella città di Porto. La sua volontà di confrontarsi con idee, tesi ed esperienze testimonia di un forte impegno in ambito scientifico ed accademico mirato ad una comunicazione del sapere incentrata sull’approfondimento di teorie e metodi che contribuiscano a costruire una città più giusta. In Portogallo l’abitare è un diritto costituzionale e un dovere di programmazione da parte del governo, così come lo è la sua attuazione, mentre spetta ai comuni definire regole di occupazione, uso e trasformazione del suolo urbano, secondo una politica di pianificazione territoriale e urbanistica. Nonostante ciò, siamo ancora lontani dalla reale affermazione di questo diritto, soprattutto nelle città di Porto e Lisbona. A Porto, dove il processo di gentrificazione è particolarmente evidente — soprattutto nelle freguesias di Bonfim, Campanhã e Lordelo do Ouro — le conseguenze dirette sugli abitanti sono già ben note, con espulsioni quotidiane e spostamenti forzati. La deregolamentazione dei contratti di locazione e i pochi vincoli nel definire usi specifici per gli immobili urbani, consentono ai proprietari di utilizzare le case e gli appartamenti di proprietà nella forma a loro più conveniente in termini economici, determinando una mancanza di tutela della grande maggioranza degli inquilini. Se consideriamo i limiti che i diversi quadri giuridici a sostegno della riabilitazione e del reinsediamento hanno dimostrato, attraverso gli effetti della liberalizzazione dello sfratto del Novo Regime do Arrendamento Urbano (NRAU), non vi sono dubbi che sia urgente unire le forze per la difesa e la riaffermazione dell’abitare come necessità e diritto dei cittadini. In sintesi, è chiaro che la liberalizzazione del mercato immobiliare, sostenuta dalla pubblicazione della NRAU nel 2012, coincide con la volontà di aumentare la redditività della proprietà urbana per destinazioni d’uso che la tradizionale edilizia regolamentata non consentiva. La città di Porto sta vivendo un momento di grande crisi abitativa motivata dalla pressione speculativa di grandi gruppi immobiliari che investono pesantemente nella riabilitazione e nel turismo, speculando sull’aumento dei valori al mq si pongono in ottica contraria all’accesso alla casa e al diritto alla città di tutte le classi e gruppi sociali. Il problema della casa è elemento centrale della questione urbana che contempla la produzione dell’ambiente costruito e una riproduzione sociale che garantisca i diritti essenziali per una vita dignitosa, piena e plurale per tutti. La “Carta da Habitação” per la città di Porto (Lahb, 2018) considera come obiettivo fondamentale l’adozione di strategie mirate a salvaguardare l’accesso alla casa, considerando non solo il degrado fisico del parco abitativo esistente, i cambiamenti nella tipologia delle famiglie, la terziarizzazione delle attività urbane e l’aggravamento del quadro giuridico legato alla locazione, ma anche


presentazione • fernando matos rodriguez

i processi di supervalutazione della proprietà privata e delle attività che sostituiscono sempre di più le funzioni di residenza. La “Carta da Habitação” per la città di Porto propone come principi costitutivi la ristrutturazione e la riqualificazione degli alloggi esistenti, la promozione di alloggi di base, la locazione regolamentata e accessibile e la tutela del diritto alla casa degli inquilini in qualsiasi circostanza. Pertanto, essa sostiene la promozione degli alloggi di base di proprietà pubblica e cooperativa in un processo integrato di discussione partecipativa sui programmi abitativi; la creazione di regimi fiscali e normativi per favorire l’accesso agli alloggi e la penalizzazione delle attività speculative dei fondi immobiliari che operano nel centro storico di Porto (attività purtroppo favorita dal potere pubblico attraverso l’esenzione dell’Imposta Municipale sugli Immobili). Questo libro viene alla luce, infine, in un contesto di emergenza sociale e di grande complessità politica in Europa e nel mondo e rappresenta indubbiamente un importante contributo all’approfondimento di teorie e pratiche relative alla costruzione di una città giusta e democratica; uno strumento utile alla definizione di politiche che garantiscono l’accesso alla città a partire dall’implementazione di modelli e programmi partecipativi che difendano il diritto all’abitazione e alla città.

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introduzione

Porto, Centro Storico Foto dell’autrice

Nel 2010 una delle cinque torri del Bairro do Aleixo a Porto viene rasa al suolo con la dinamite. Nel Bairro, costruito a Porto negli anni ’70 per rialloggiare la popolazione che viveva nel centro storico oggetto di riqualificazione, l’amministrazione comunale concentrò 300 famiglie socialmente ed economicamente vulnerabili, secondo la tradizione europea dell’edilizia pubblica. Il quartiere guadagnò presto la fama di luogo dove si condensavano attività criminali e soprattutto di consumo e traffico di droga. Dagli anni ’70 ad oggi la zona dove sorgono le torri ha acquistato un notevole valore economico tanto da stimolare l’interesse di un’impresa immobiliare sull’acquisto dell’area. Lo stigma costruito negli anni attorno alle cinque torri del Bairro do Aleixo, alimentato dai media, è diventato quindi la principale argomentazione della proposta di radere al suolo gli edifici spostando le famiglie residenti verso la periferia orientale della città dove si concentrano i quartieri di edilizia pubblica costruiti a partire dai primi anni ’90. La vicenda del Bairro do Aleixo è paradigmatica delle tematiche trattate in questo volume: le manifestazioni spaziali delle disuguaglianze sociali, le cause e gli attori che contribuiscono alla costruzione di questi fenomeni all’interno della città, le retoriche che giustificano operazioni di esclusione urbana sono l’oggetto delle riflessioni di seguito presentate. La ricerca si interroga su quali siano le strategie specifiche del nostro campo disciplinare, il planning, per contrastare l’esclusione urbana e costruire città giuste. L’accento sugli aspetti propositivi di queste riflessioni si evince dal titolo: contribuire alla costruzione della spatial justice (Soja 2009, 2010; Marcuse et al. 2009) e dell’inclusione sociale e urbana è, infatti, l’obiettivo generale del lavoro di ricerca svolto. Il contesto che viene analizzato come laboratorio di esperienze è quello portoghese: questo libro nasce infatti come frutto di una ricerca sviluppata nel corso di sei anni grazie ad una borsa di post-dottorato finanziata dalla Fundação de Ciência e Tecnologia del governo portoghese e svolta all’interno del Centro de Estudos Sociais dell’Università di Coimbra. L’orientamento iniziale della ricerca ha subito nel corso del tempo alcune modifiche dando risultati tendenzialmente diversi da quelli immaginati nella stesura iniziale del progetto. Il


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libro ne espone solo alcuni, quelli che a mio parere acquistano una valenza più operativa e progettuale. Le trasformazioni che interessano le città europee in questo momento storico vanno nella direzione di creare città sempre più controllate, fortificate, duali (Musterd et al., 2016; Tulumello, 2017); la pressione turistica sulle aree storiche (García-Hernández, 2017), il capitale finanziario che cartolarizza lo spazio urbano (Moreno, Shin, 2018) rappresentano una deriva che consente l’accesso alla città solo a chi ha potere economico. I processi di polarizzazione socioeconomica e di ghettizzazione della popolazione economicamente vulnerabile, il controllo sempre maggiore dello spazio pubblico alterano le nostre città rendendole di fatto meno porose, più frammentate e pericolose. I paesi del Sud Europa vivono questi processi in maniera più marcata: la crisi economica che li ha colpiti ha infatti sistematicamente indebolito il potere pubblico nel suo ruolo di regolatore e di conseguenza la disciplina urbanistica è sempre più relegata a operazione tecnica che asseconda le regole del mercato. La disuguaglianza crescente nella nostra società si manifesta nello spazio e produce esclusione urbana. Decifrare la precisa responsabilità delle politiche pubbliche e della pianificazione nell’aggravare questo fenomeno o contrastarlo è una sfida urgente per la nostra disciplina. In Portogallo gli ultimi anni sono stati caratterizzati dall’inasprirsi delle dinamiche di espulsione (Sassen, 2014) degli abitanti (dai centri storici oggetto di riqualificazione, dalle case di cui non riescono a pagare il mutuo, dai quartieri informali), ma la coalizione attualmente al governo ha studiato e adottato una nuova politica abitativa che mette in campo misure di tutela della popolazione rispetto alla pressione del mercato. La tensione tra rendere i territori sempre più competitivi da un lato e proteggere le fasce più deboli dalle dinamiche di esclusione urbana dall’altro sembra difficilmente contenibile in un’unica strategia: la Nuova Politica Abitativa portoghese cerca di farlo puntando sulla riqualificazione dell’edificato. Se il mercato privato risponderà agli incentivi e se le famiglie vulnerabili verranno realmente tutelate rispetto al diritto alla casa, al luogo e alla città, si potrà verificare solo in seguito. In questo volume si scatta una fotografia delle dinamiche più negative di questo momento storico: polarizzazione, gentrificazione, espulsione, ma allo stesso tempo si gettano sguardi sulle possibili azioni per costruire città giuste. Il libro è organizzato in quattro capitoli cui seguono brevi considerazioni conclusive. Il primo capitolo presenta l’approccio metodologico. La ricerca nasce all’interno di una visione post-coloniale (Watson, 2009; Robinson, 2011) che critica le rigide teorie urbane costruite sulla base dell’esperienza occidentale ritenendole non adeguate alla comprensione dei fenomeni attuali e che pone l’accento sull’opportunità in questo senso rappre-


introduzione

sentata dalle esperienze urbane periferiche. Queste ultime infatti sono in grado di aprire nuovi percorsi di conoscenza rispetto alle trasformazioni in atto, di arricchire teorie costruite esclusivamente sull’esperienza urbana europea a in definitiva di comporre una visione più veritiera della complessità del mondo urbano attuale. All’interno di questa cornice, l’analisi qui proposta nasce dalla comparazione tra due esperienze urbane molto diverse anche se legate dagli evidenti percorsi storici comuni: quella brasiliana e quella portoghese. Il libro si inserisce quindi in un filone di ricerca che riconosce le peculiarità dei paesi periferici del sistema europeo e dei propri fenomeni urbani e che tenta di dare autonomia rispetto alla lettura dei fenomeni dei paesi centrali. I due punti di vista sono: la prospettiva Sud-Nord, ovvero utilizzare schemi analitici e interpretativi ma anche best practice sviluppate al Sud (in Brasile) per comprendere dinamiche in forte trasformazione presenti al nord (Portogallo); la prospettiva spaziale (Soja, 2009, 2010) che significa adottare una visione critica che considera lo spazio come la chiave per leggere e comprendere i fenomeni, invertendo il consueto ordine di importanza rispetto all’utilizzo dello sguardo storico. Il secondo capitolo offre una lettura critica del fenomeno dell’esclusione urbana: le riflessioni si sviluppano nel tentativo di identificare quali siano i principali fattori che causano l’esclusione all’interno dei sistemi urbani, attribuendo un preciso ruolo al planning nell’inasprire o contrastare il fenomeno. Nel primo paragrafo si mettono in luce le differenze tra i due concetti di disuguaglianza socio-economica ed esclusione urbana, chiarendo perché l’utilizzo di quest’ultima si considera più adatto nella lettura dei fenomeni urbani contemporanei. Il secondo paragrafo presenta il tentativo di identificare quattro logiche che sottendono i fenomeni di esclusione urbana attraverso una lettura incrociata tra contesto brasiliano e portoghese. Nel terzo paragrafo invece si discutono i risultati di un esercizio di mappatura nella città di Porto che confermano la tesi sostenuta, ovvero lo strutturale processo intra-urbano di polarizzazione socio-economica. Il terzo capitolo affronta il tema complesso della riqualificazione delle aree storiche delle città che spesso sono accompagnate dalla perdita del tessuto sociale ed economico dovuto a fenomeni di sostituzione della popolazione residente. Il primo paragrafo ricostruisce il processo storico di formazione delle Ilhas a Porto come forma spaziale legata al processo di industrializzazione. Nel secondo paragrafo, attraverso l’esperienza della Ilha da Bela Vista, progetto partecipato di riqualificazione che garantisce ai residenti la permanenza nel tessuto storico, si identificano alcuni principi sui quali costruire politiche che difendano il diritto al luogo. Nel terzo paragrafo si sottolineano i caratteri di riproducibilità dell’esperienza raccontata per contribuire a costruire politiche che contrastino il displacement.

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Il quarto capitolo si occupa del tema dell’informalità e analizza le politiche e la legislazione che nel corso del secolo scorso, fino alla Nuova Stagione di Politiche Abitative appena inaugurata in Portogallo, si sono riferite alle aree costruite informalmente. In tale contesto, la pianificazione svolge un ruolo centrale nella difesa del diritto alla casa. Il dibattito internazionale sul ‘diritto alla città’ (Lefevre, 1968; Harvey, 2008) e sulla giustizia spaziale (Soja, 2010) ha dato nuova attenzione al livello multiplo dei diritti in un periodo in cui il sistema neoliberale trasforma il cittadino in auto-imprenditore e in cui lo Stato non si assume la responsabilità dei cittadini, ma controlla e punisce soluzioni non conformi. (Brawley, 2009)

Come sostenuto da Roy (2005), possiamo considerare l’informalità come un altro modo di urbanizzazione, tipico per le città del Sud del mondo e invece di demolire abitazioni informali analizzare quali tipi di diritti siano connessi con tale contesto. L’esperienza portoghese raccontata in questo libro diventa occasione di riflessione sia nel contesto italiano privo di politiche e strategie realmente tese a diminuire le disuguaglianze sociali, sia all’interno delle ricerche che tentano di leggere nei paesi del Sud europeo dei percorsi comuni, e infine anche per la specifica tematica degli insediamenti informali che rappresenta una realtà largamente diffusa nei paesi dell’est europeo e che richiede urgentemente politiche e strategie (UNECE, 2015). Se lo slogan ‘diritto alla città’ è stato adottato anche da UN-HABITAT (2010) chiedendo nuovi approcci alla pianificazione ma poco tradotto in termini di visioni strategiche e di specifiche politiche o pratiche, ‘il diritto al luogo’ sembra ottenere sempre più importanza nell’orientare interventi di giustizia spaziale: lo spostamento della popolazione a basso reddito, legato non solo ai processi indotti dalla gentrificazione (Newman, Wyly, 2006) ma anche agli spostamenti causati dai progetti di rigenerazione urbana (Davidson, 2007; Allen, 2008), sembra essere il campo cruciale su cui giocare questa sfida.


introduzione

La prospettiva spaziale e lo sguardo Sud-Nord come strumenti interpretativi e progettuali: l’esperienza Brasiliana come modello

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per una città giusta. politiche e progetti di inclusione urbana in portogallo • elena tarsi


la prospettiva spaziale e lo sguardo sud-nord come strumenti interpretativi e progettuali l’esperienza brasiliana come modello •

São Paulo, tessuto urbano informale Fonte: Google Heart

L’approccio metodologico utilizzato per questa ricerca nasce dal mio personale percorso di studi che per certi versi ha un carattere peculiare: fin dalle prime esperienze infatti, le mie analisi hanno avuto come oggetto territori e città ‘lontani’. Questa lontananza non è solo geografica, parliamo di un altro emisfero, ma anche e soprattutto culturale. Guardare alla metropoli sud-americana senza un senso di forte spaesamento, tanto intellettuale quanto disciplinare, come quando ci si trova ‘lontani da casa’, è impensabile. È quindi necessario un lungo processo di ‘adattamento disciplinare’ se realmente interessa comprendere i fenomeni che tali scenari presentano. Questo lungo e impegnativo percorso diventa un bagaglio importante di conoscenze che può essere messo a frutto anche ad altre latitudini. In riferimento alle esperienze brasiliane del Bilancio Partecipativo che venivano per la prima volta ‘tradotte’ e sperimentate in Europa, Allegretti (2003) usava la formula evocativa ‘il ritorno delle caravelle’. Se infatti per lungo tempo la direzione in cui si muoveva il sapere è stata univoca, dal Nord al Sud del mondo, siamo ormai pronti (e desiderosi) di affiancarle la direzione opposta e aprirci al sapere prodotto altrove. Questa direzione è quella che chiamo prospettiva SUD-NORD, ovvero la possibilità di avvalersi del sapere costruito altrove per comprendere fenomeni nuovi o per leggere quelli conosciuti in maniera rinnovata. Cambiare prospettiva d’analisi è un’operazione che contribuisce in ogni caso ad ampliare la consapevolezza su una determinata problematica perché permette di considerare punti di vista prima trascurati. In questo quadro nasce la scelta di utilizzare l’esperienza brasiliana come modello, sia per costruire quadri analitici ‘nuovi’ sia per stimolare proposte progettuali più efficaci. Il fatto di aver approfondito a lungo le tematiche della segregazione e dell’esclusione urbana nel contesto brasiliano (si veda Tarsi, 2013, 2014) mi ha permesso di tentare di tradurre gli sguardi acquisiti per comprendere i processi in azione nelle metropoli portoghesi e allo stesso tempo di aprire nuovi orizzonti di ricerca nel mondo urbano attuale, attraverso un approccio fortemente euristico.


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Lo sguardo Sud-Nord Nel 2009 Vanessa Watson pubblica “Seeing from the South: Refocusing Urban Planning on the Globe’s Central Urban Issues” dove sostiene che il divario tra la teoria e la pratica della pianificazione, plasmate per lo più nel Nord del mondo e i crescenti problemi di povertà, disuguaglianza, informalità, rapida urbanizzazione e frammentazione spaziale, (in particolare, ma non solo, nelle città del sud globale) siano da colmare attraverso una prospettiva dal Sud. Questo punto di vista ha infatti la capacità di mettere in crisi le ipotesi precostituite sulle quali la pianificazione si basa per dare risposte ai problemi sociali e di aprire possibilità di esplorare approcci alternativi alla pianificazione. Due anni dopo Jennifer Robinson, anche lei sudafricana, scrive “Cities in a world of cities: the comparative gesture” (2011). Queste due voci hanno segnato un punto di svolta per gli studi urbani aprendo la strada all’approccio post-coloniale, già da tempo assimilato da altri campi disciplinari. Robinson denuncia che gli studi comparativi tra le città siano stati limitati enormemente da due ‘manovre teoriche’ che per più di un secolo di studi urbani hanno reso alcune città non paragonabili ad altre: la prima consiste nell’aver considerato da un certo momento in poi la città come luogo della modernità, creando una forte separazione tra città simbolo di questa modernità (soprattutto legata ai fenomeni di industrializzazione) e quelle considerate non-moderne (basti pensare alle città africane); la seconda invece dipende dal paradigma dello sviluppo che ha fatto sì che per decadi si desse per scontato che l’esperienza urbana dei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo non avesse nulla in comune con quella dei paesi sviluppati. L’intreccio dei concetti di modernità e sviluppo nelle teorie urbane (Robinson, 2006) ha di fatto invalidato i paragoni tra città appartenenti a diversi contesti geografici e sistemi geopolitici; inoltre lo studio delle città del Nord del mondo ha prodotto teorie urbane generali alle quali le città del Sud dovevano fare riferimento ed adeguarsi. Chiaramente dal Sud si levavano voci in difesa della peculiarità dell’esperienza urbana; Milton Santos già nel 1978 sosteneva la necessità che alle caratteristiche distintive della città (per esempio la forte dualizzazione economica) fosse accordata una teorizzazione diversa e distintiva (Santos, 1978). Robinson (2011) conclude chiaramente affermando la necessità di superare i limiti degli studi comparativi per rispondere ad una sempre maggiore domanda di un approccio internazionale e post-coloniale degli studi urbani. All’interno di questa cornice ho avanzato l’ipotesi che l’esperienza urbana dei paesi del Sud del mondo non solo sia utile per gli studi comparativi ma diventi paradigmatica in relazione ad un processo che interessa sempre di più i paesi del Nord. La prospettiva


la prospettiva spaziale e lo sguardo sud-nord

Sud-Nord acquista particolare significato nel tentativo di comprendere fenomeni che si presentano in maniera massiccia e strutturale nelle metropoli del sud del mondo ma che possiamo ritrovare in maniera minore e in alcuni casi puntuale nelle città europee. Mi riferisco soprattutto al riemergere della costruzione informale dello spazio, ai fenomeni di displacement strettamente legati ai programmi di riqualificazione urbana, ai processi di polarizzazione e segregazione delle fasce più deboli della popolazione, all’autosegregazione dei condomini di lusso, al controllo sempre maggiore dello spazio pubblico, tutte dinamiche che trasformano significativamente la città europea e che impongono nuove prospettive capaci di comprenderle e orientarle. Come sostiene Fortuna “queste altre città, come in generale le città latino-americane, contengono in sé un potenziale euristico inestimabile e ampiamente inesplorato per sperimentare una riforma della teoria urbana” (Fortuna, 2015, p. 3). L’analisi della realtà urbana brasiliana, sicuramente significativa per comprendere le dinamiche che interessano il resto del continente Latino Americano e per riflettere sulle caratteristiche della città del Global South, ha un potenziale fino ad oggi trascurato nell’aiutare a leggere l’attuale processo di inasprimento della disuguaglianza nelle società europee. La crisi economica ha prodotto in molti paesi, tra cui il Portogallo, impatti in termini di accesso alla città i cui contorni iniziano ad essere leggibili; un dato significativo è l’aumento vertiginoso del numero delle famiglie insolventi1 che è aumentato dal 2007 al 2013 del 2000%, sommando un numero totale di 32.294 processi aperti e superando per la prima volta del 40% i fallimenti delle imprese (Frade, Coelho, 2015, p. 637). Senza lavoro o con i redditi diminuiti, con spese aumentate, multipli crediti e pochi risparmi, molte famiglie portoghesi ricorrono al fallimento come soluzione finale pur sapendo che perderanno la casa e rischiando di non ricevere il perdono del debito. Queste famiglie entrano in una spirale discendente di vulnerabilità economica e vanno ad aumentare il numero della necessità abitativa. Secondo Frade e Coelho, l’impatto dei programmi sociali (escluse le pensioni) nel ridurre il rischio di povertà è diminuito da 8,5 punti percentuali nel 2009 a 6,8 punti percentuali nel 2012. Persino i lavoratori con impieghi più stabili e sicuri, in particolare i dipendenti pubblici, hanno subito tagli importanti alle loro entrate. Nel loro insieme, i tagli salariali e pensionistici, combinati con una maggiore tassazione (incluse le eccedenze di reddito straordinario e riduzione dell’esenzione fiscale), hanno portato a un forte calo degli standard di vita, che è stato particolarmente acuto per la classe media. (Frade, Coelho, 2015, p. 637) 1 Il credito delle famiglie, contratto principalmente a scopo abitativo a tassi molto agevolati ha costituito per decenni la politica abitativa nazionale, sostanzialmente finanziarizzando l’accesso alla casa. “Per i due decenni precedenti la crisi, il debito delle famiglie era aumentato molto rapidamente: il tasso del debito, che rappresentava solo il 20% di reddito disponibile nel 1990, salito al 40% nel 1995 e al 124% nel 2009” (Frade e Coelho 2015, p. 637).

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per una città giusta. politiche e progetti di inclusione urbana in portogallo • elena tarsi

Aumento dell’Insolvenza delle famiglie Fonte: Frade, Coelho 2015 su dati INE

100%

56,6

16,8

Impatto dei programmi sociali sulla riduzione del rischio di povertà Fonte: Frade, Coelho, 2015 su dati INE 2011

72,2

75,9

18,8

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Inevitabilmente, queste condizioni economiche sfavorevoli hanno avuto un effetto negativo sulla solvibilità finanziaria delle famiglie. Un altro dato rilevante è l’aumento vertiginoso, dovuto alla pressione turistica e a quella del capitale finanziario, dei prezzi di vendita e di affitto dell’offerta abitativa, totalmente sproporzionati rispetto ai redditi medi, soprattutto nelle aree storiche delle principali città. Le riflessioni sviluppate in questo volume nascono dal tentativo di rispondere ad alcune domande: l’aumento della dualità sociale nel contesto portoghese tende a riflettersi nell’aumento della polarizzazione e della segregazione a livello urbano? È possibile comparare concettualmente l’esclusione urbana della città brasiliana con quella che si verifica nelle città portoghesi? In che modo questo confronto può contribuire alla comprensione del fenomeno in Portogallo? Come l’esperienza brasiliana può contribuire alla costruzione di politiche e progetti per città più eque?


la prospettiva spaziale e lo sguardo sud-nord

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Con l’obiettivo di dare rinnovate letture a questi fenomeni e di partecipare alla costruzione di politiche e programmi capaci di accompagnare e gestire questi cambiamenti, mi sono servita degli schemi interpretativi sviluppati per comprendere le dinamiche urbane brasiliane, applicandoli ad una lettura delle trasformazioni attuali delle metropoli portoghesi. In Brasile i fenomeni di frammentazione ed esclusione urbana sono oggetto di numerosi studi e nel corso degli ultimi venti anni sono stati sviluppati molti programmi e politiche dal forte carattere sperimentale orientate alla costruzione di città più inclusive. Molte ricerche si sono occupate di comprendere, descrivere ed interpretare quali siano state le forze che hanno plasmato lo spazio urbano brasiliano (Santos, 1982, 1996; Maricato, 2001; Rolnik, 2003; Villaça, 2001, 2012, tra gli altri). Le problematiche evidenti delle metropoli del paese sono state al centro di un intenso dibattito all’interno del Forum per la Riforma Urbana a partire dal processo di democratizzazione del paese (1985), coinvolgendo professionisti, accademici, attivisti dei movimenti e comunità. Con l’insediarsi del primo Governo Lula nel 2003 fu poi creato un apposito organo di gestione a livello federale, il Ministero delle Città che diede una forte spinta alla definizione e sperimentazione di nuove politiche in ambito urbano e metropolitano. Il Brasile, grazie alla sua esuberante crescita economica ha acquistato molta importanza a livello internazionale al punto di essere stata sede della Coppa del Mondo nel 2014 e subito dopo dei Giochi Olimpici del 2016. Le trasformazioni urbane legate ai mega eventi hanno rinnovato l’interesse nazionale e internazionale sulle problematiche delle

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metropoli del paese, mettendo in luce come il Brasile continui a caratterizzarsi per una profonda disuguaglianza sociale ben visibile nel paesaggio delle sue città. L’esclusione assume un’identità spaziale e culturale molto marcata: la favela rappresenta questa segregazione dal punto di vista sia spaziale che simbolico. Le città brasiliane sono un terreno di studio privilegiato del fenomeno dell’esclusione urbana dato che questa si presenta come strutturale alla formazione del tessuto urbano. Un contributo specifico del Brasile all’interno degli studi urbani, è quello di essere riuscito a superare i limiti disciplinari nell’approccio delle questioni urbane, che, data la propria natura del fenomeno, necessitano di una prospettiva transdisciplinare (Fortuna, 2012, p. 147). In aggiunta, quando le città latino americane sono rientrate nell’agenda urbana internazionale, è stata utilizzata una prospettiva bottom-up per analizzare, attraverso una specifica attenzione politica e sociale, gli aspetti socio-spaziali della segregazione delle metropoli. Credo che la profonda dualità urbana caratteristica delle metropoli brasiliane, possa permettere, se adeguatamente analizzata e interpretata, di gettare nuova luce sui fenomeni dell’esclusione e della segregazione che interessano le metropoli della periferia dell’Europa. La condizione semiperiferica che caratterizza l’inquadramento dei due paesi nel sistema economico e politico internazionale è infatti un altro parametro che ha influenzato la scelta di utilizzare le categorie analitiche sviluppate per comprendere la metropoli brasiliana; la tesi è che questo inquadramento contribuisca a produrre fenomeni spaziali simili in contesti storicamente e socialmente molto diversi. Lo sguardo simultaneo sui due contesti permetterà di evidenziare come nel caso portoghese siano presenti le condizioni per creare metropoli fortemente duali in termini sociali e spaziali. Questo ci permette inoltre di superare la ‘dominazione concettuale’ dei paesi dell’Europa centrale rispetto ai paesi periferici, ovvero la tendenza, sottolineata da vari studiosi (Diogo, 2006; Fortuna, 2012), di non riconoscere le particolarità delle condizioni sociali ed economiche dei paesi meno influenti e i differenti fenomeni urbani che queste condizioni producono. L’ipotesi che sto avanzando è che esista un processo che alcuni economisti chiamano di latino-americanizzazione dei paesi del Sud d’Europa (Bichara, Platò 2012; Araújo, 2010; Moisés, 2011), visibile non solo negli aspetti della ristrutturazione dello Stato e delle politiche economiche ma anche nella produzione dei fenomeni di dualità ed esclusione urbana. Senza dubbio questi fenomeni dipendono dai contesti specifici in cui si verificano ma come sottolinea Harvey (2008) in definitiva si inquadrano dentro ad un modello di città costruito globalmente sotto l’influenza del sistema economico neoliberista sulle politiche urbane. In questo senso, l’esperienza delle città latino americane, come ricordato da Carlos Fortuna, “offre la possibilità di coltivare una visione critica del modello e


la prospettiva spaziale e lo sguardo sud-nord

dei fallimenti del capitalismo e dell’urbanizzazione del globo” (Fortuna, 2015, p. 7). Una ragione fondamentale per utilizzare gli schemi di lettura della città brasiliana per comprendere il contesto portoghese in trasformazione è la necessità di incontrare e definire nuovi e differenti risorse teoriche per permettere ai pianificatori di interpretare meglio la condizione urbana attualmente dominante e per fornire un quadro di riferimento dove inserire azioni di pianificazione efficaci. (Watson, 2009, p. 2260)

Il contesto portoghese verrà qui analizzato considerando solo le dinamiche che interessano le due maggiori metropoli del paese: le aree metropolitane di Lisbona e Porto. La giustizia spaziale Il concetto di giustizia spaziale, traduzione non del tutto efficace dell’inglese spatial justice, si affianca allo sguardo Sud-Nord ed insieme costituiscono i riferimenti metodologici della ricerca presentata in questo volume. La spatial justice nasce con l’intento di tenere insieme due ambiti epistemologici: quello della giustizia sociale e quello dello spazio come prodotto sociale. L’influenza diretta del concetto di spatial justice sulla disciplina urbanistica è relativamente recente anche se le riflessioni sull’importanza dello spazio nelle costruzioni teoriche ed analitiche riguardanti i sistemi economici e l’organizzazione sociale sono collocabili agli inizi degli anni ’70. Lo spazio viene descritto nel 1974 da Lefebvre come prodotto sociale che influenza le pratiche spaziali e le percezioni. A distanza di pochi anni, nel 1977, Milton Santos, il padre della geografia critica brasiliana, scriveva “Società e spazio: la forma sociale come teoria e come metodo” che cominciava con questa frase “Il ruolo dello spazio in relazione alla società è stato frequentemente minimizzato dalla geografia” (Santos, 1977, p. 81). Santos insisteva sulla necessità di introdurre la componente spaziale all’interno delle valutazioni dei sistemi economici e sociali: Lo spazio costruito e la distribuzione della popolazione per esempio, non hanno un ruolo neutro nella vita e nell’evoluzione delle formazioni economiche e sociali. […] Ma lo spazio influenza anche l’evoluzione delle altre strutture e per questo rappresenta una componente fondamentale della totalità sociale e dei suoi movimenti. (Santos, 1977, p. 91)

Il primo a legare lo spazio al concetto di giustizia sociale è David Harvey, che in “Social Justice and the City” pubblicato nel 1973, esplora alcune delle ramificazioni delle ricerche sulla giustizia sociale nel modo in cui si manifesta (o è assente) nello spazio e dichiara la necessità di analizzare i processi sociali non scindendoli dalle forme spaziali. Il primo tentativo di definire un concetto efficace che leghi la giustizia sociale alle dinamiche spaziali si deve a G.H. Pirie che nel 1983 pubblica un articolo “on spatial justice”, dove riflette sull’opportunità di estendere la nozione di territorial social justice di Harvey nel più

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esauriente concetto di spatial justice. Per fare ciò identifica come sostanziale il passaggio dalle considerazioni sull’efficienza e sull’eguaglianza a quelle sulla giustizia, e dal considerare lo spazio come mero supporto dove si organizzano le società, allo spazio come prodotto sociale: in questo modo la giustizia o l’ingiustizia spaziale sono un prodotto sistemico. Soja successivamente riprende il concetto e contribuisce alla sua fortuna e disseminazione all’interno degli studi urbani: il dibattito ha coinvolto vari pensatori (Harvey, 2008; Fainstein, 2010; Soja, 2010; Marcuse, 2009; Marcuse et al., 2009) nella ridefinizione, seppure partendo da punti di vista diversi, delle fondamenta teoriche dell’idea di just city. Secondo lui la spatial justice non è alternativa alla giustizia sociale e economica, al contrario, dato che esiste sempre una dimensione spaziale rilevante nella giustizia e allo stesso tempo ogni geografia offre espressioni di giustizia e ingiustizia dentro di essa, la giustizia spaziale è allo stesso tempo risultato e processo. Pone quindi un’enfasi sugli aspetti spaziali della giustizia, a lungo tempo ignorati, e soprattutto dichiarata l’importanza di adottare una specifica prospettiva spaziale nella costruzione della giustizia sociale. La prospettiva spaziale, infatti, nell’analisi dei processi urbani, è altrettanto efficace e necessaria come quella offerta dalla prospettiva storica, ma al contrario di questa, poco esplorata (Fainstein, 2010): siamo esseri tanto spaziali come temporali (Soja, 2010). Soja (2009) sottolinea poi come l’aspetto prettamente spaziale della giustizia e della democrazia nelle società contemporanee venga spesso ignorato o inglobato in altri concetti più ampi (just city, environmental justice, ecc.). Secondo lui, le principali cause dell’ingiustizia spaziale, legate al funzionamento del sistema urbano nell’economia capitalista, operano anche senza rigide forme di segregazione spaziale e questo è particolarmente importante nella comprensione dei contesti europei storicamente poco segregati. Fainstein (2010) invece pone l’accento su come sia stato a lungo sottovalutato o taciuto il ruolo del planning nella costruzione della giustizia spaziale. L’argomento su cui tradizionalmente si basano gli strumenti della pianificazione spaziale è che essi incorporano l’interesse pubblico nella gestione del territorio e della città, attraverso il bilanciamento dei differenti interessi privati. La necessità di garantire l’interesse pubblico è stata difesa potenziando i processi democratici attraverso la partecipazione pubblica. Fainstein (2009) adotta una prospettiva che pone invece in evidenza il grado di giustizia dei risultati piuttosto che il grado democratico dei processi decisionali ed analizza come la giustizia sociale sia direttamente prodotta (o meno) dalle pratiche contemporanee dello spatial planning. Seleziona quindi alcuni criteri di giustizia con cui formulare e giudicare le iniziative di pianificazione a livello urbano, questi sono: eguaglianza, diversità e partecipazione. La sua proposta è che le politiche e gli interventi urbani vengano analizzati e


la prospettiva spaziale e lo sguardo sud-nord

valutati rispetto anche alla prospettiva spaziale, ovvero al loro contributo nella mitigazione o esacerbazione dell’ingiustizia socio-spaziale. Qual è il loro impatto in termini di giustizia? Un contributo importante all’applicazione della prospettiva della giustizia spaziale nell’analisi urbana e degli strumenti del planning arriva anche dal Brasile. Nel libro a cura di Marcuse et al. (2009) “Searching for the just city. Debates in urban theory and practice” troviamo infatti un capitolo sul Brasile scritto da Maricato (2009), dove contestualizza il dibattito sulla just city nel capitalismo periferico attraverso il racconto dell’eredità patrimonialista brasiliana da un lato e delle vittorie dei movimenti urbani per il diritto alla città dall’altro. Nell’ambito degli studi urbani brasiliani però, Villaça (2001, 2012) è quello che adotta una prospettiva più critica rispetto ai processi di segregazione. Le sue considerazioni hanno fortemente influenzato le analisi contenute in questo volume. Quello che sostiene Villaça è del tutto in linea con i difensori della spatial justice e della prospettiva spaziale (Soja, 2009, 2010; Fainstein, 2010; Bradwely, 2009; Harvey, 2008) Il pensiero e l’analisi teorica dei fenomeni spaziali di Villaça si basa su questa affermazione: “nessun aspetto della società brasiliana potrà essere spiegato/compreso se non viene considerata l’enorme disuguaglianza economica e di potere politico che occorre nella nostra società” (2012, p. 44). Villaça infatti attribuisce al fenomeno la caratteristica di “processo necessario alla dominazione sociale, economica e politica attraverso lo spazio” (2001, p. 150). Rispetto quindi alle vaste analisi che lo precedono (Harvey, 1973; Lefebvre, 1974; Gottdiener, 1985; Castells, 1994; etc.) basate sul lefebvriano principio della produzione sociale dello spazio urbano, egli insiste sulla necessità di non limitarsi a descrivere o denunciare il processo ma di mostrare la relazione tra la dominazione e la segregazione e di mostrare quindi “il ruolo dello spazio urbano nel processo di dominazione” (ivi, p. 45). L’aspetto più interessante è infatti la sua analisi della segregazione2 delle metropoli brasiliane, tanto della parte della popolazione più ricca (l’autosegregazione dei condominios fechados) come di quella più povera. Il quadro interpretativo da cui parte è costituito da alcuni principi fondamentali: prima di tutto negare lo schema classico che oppone un centro alla periferia3, poiché non aiuta a spiegare il fenomeno della segregazione né ad articolarla con il resto della struttura urbana e della totalità sociale; in secondo luogo l’importanza di storicizzare la segregazione, ovvero di svelare l’articolazione tra essa, l’ideologia e il potere politico, superando il giudizio etico o morale sui fenomeni di disuguaglianza. Mostrare la relazione tra la segregazione e la totalità

2 A partire dalla definizione di segregazione come un “processo secondo il quale differenti classi o gruppi sociali tendono a concentrarsi sempre più in differenti regioni o gruppi di quartieri della Metropoli” (Villaça, 2001, p. 142), consideriamo in questo caso solo la segregazione per classe sociale, tralasciando quella etnica o legata alla nazionalità. 3 Questa si rifà alla teoria dei centri concentrici della scuola di Chicago dell’inizio del secolo XX.

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della struttura sociale e urbana: la segregazione infatti è un processo dialettico che deriva da un conflitto tra gruppi sociali o classi differenti per la localizzazione all’interno del tessuto urbano. Rendere palese inoltre la relazione tra dominazione sociale e segregazione: questa diventa un meccanismo che contribuisce a mantenere la disuguaglianza. Per questo suggerisce di analizzare la segregazione non attraverso l’unità di quartiere ma per regioni urbane più estese: questo esercizio svela infatti come la città si strutturi nel tempo secondo vere e proprie regioni caratterizzate da differenti qualità delle infrastrutture e degli interventi e da una certa omogeneità della popolazione dal punto di vista socio-economico (Villaça, 2011, pp. 45-49). Per analizzare sotto che forma si manifesti l’esclusione urbana nel contesto Portoghese e per poter proporre politiche, progetti e programmi che vadano nella direzione di costruire città eque, i capitoli che seguono presentano riflessioni critiche, politiche e buone pratiche nell’ambito di una delle più complesse sfide del mondo urbano contemporaneo.


la prospettiva spaziale e lo sguardo sud-nord

Esclusione Urbana: verso una comprensione ampia delle principali cause

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esclusione urbana: verso una comprensione ampia delle principali cause •

Bairro 6 de Maio, Amadora Foto dell’autrice

Esclusione sociale ed Esclusione urbana: una piccola ma sostanziale differenza Nelle metropoli, l’emergere delle disuguaglianze sociali si manifesta in forme di esclusione che sono la traduzione spaziale del differente accesso degli individui a beni, servizi e infrastrutture ma anche alle opportunità di sviluppo economico e culturale. Como sottolineato da molti autori (Bauman, 2004; Levitas, 2005; Wacquant, 2008a), dove è maggiore l’esclusione sociale, minori sono la qualità della vita urbana e il benessere della popolazione, con gravi danni per tutta la comunità sociale, non solamente per i più vulnerabili. Di fatto, il tema dell’esclusione sociale nella città è strettamente legato a quello della violenza e della sicurezza. Come afferma Harvey i risultati della crescente polarizzazione della distribuzione della ricchezza e del potere sono indelebilmente impressi nelle forme spaziali delle nostre città che sono sempre più costituite da frazioni fortificate, da comunità chiuse e da spazi pubblici privatizzati e costantemente sotto vigilanza. (Harvey, 2008, trad. italiana 2013, p. 25)

La crisi che sta affliggendo il Portogallo e la conseguente crescita della popolazione in situazione di vulnerabilità economica dovuta all’aumento della disoccupazione, di fatto esacerba la problematica legata all’accesso all’abitazione e al lefebriano ‘diritto alla città’. Questa attinge non solo la fascia della popolazione vittima dell’esclusione sociale (famiglie con basso reddito, immigrati, anziani) ma sempre di più anche la classe media. L’assenza di una politica abitativa a livello nazionale, l’insolvenza di molte famiglie che non riescono più a sostenere i costi dei crediti per la casa, le conseguenze sull’assetto sociale dei progetti di riqualificazione e la pressione del capitale immobiliare sono solo alcune delle dinamiche che stanno trasformando profondamente lo spazio urbano e il tessuto sociale nei paesi europei periferici come il Portogallo, che più hanno sofferto della crisi economica e finanziaria (Rodrigues et al., 2015). L’esclusione urbana è un fenomeno in crescita nel contesto portoghese della crisi e delle misure legate ai piani dell’austerity. Inoltre le logiche che sottendono l’esclusione sono ancora poco dibattute e sistematizzate; l’esclusione urbana viene infatti ridotta alla somma delle


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forme di esclusione sociale ed economica che si verificano nel contesto urbano. L’idea che ispira le riflessioni contenute in questo capitolo è la necessità di considerare il ruolo delle dimensioni spaziali nella produzione e riproduzione dell’esclusione, ovvero le caratteristiche specifiche della città e il ruolo delle politiche che agiscono direttamente nell’ambiente costruito. Infatti, non considerando le dinamiche propriamente spaziali dell’esclusione si rischia di mistificare la comprensione reale del fenomeno e di non tener conto degli impatti di alcune politiche sulla disuguaglianza socio-economica. Per stimolare questo dibattito ho identificato quattro logiche principali e ho cercato di comprendere le relazioni di interdipendenza tra esse. Questa formulazione concettuale, come descritto nel primo capitolo, nasce dal confronto con la realtà brasiliana, nella quale il fenomeno dell’esclusione è strutturale alla formazione della città e si manifesta con chiarezza: questo permette di comprenderne con più facilità le cause. Ben cosciente del fatto che ogni schematizzazione porti necessariamente con sé una semplificazione, credo comunque che lo sforzo di concettualizzazione che sviluppo nella prima parte di questo libro possa contribuire ad una riflessione attuale sulle trasformazioni che osserviamo nelle metropoli contemporanee. Il concetto di esclusione non ha fondamento senza la dicotomia inclusione/esclusione e come conseguenza senza l’esistenza di un limite tra le due condizioni. Secondo Foucault questo limite è definito da una determinata cultura attraverso il processo storico e costituisce quindi un fenomeno sociale e culturale soggetto a continui cambiamenti e ridefinizioni nel corso del tempo (Foucault, 1978). Partendo dall’idea che esista una molteplicità di forme di vivere una città, legata all’intrinseca disuguaglianza di accesso della popolazione alle risorse economiche e alle opportunità culturali, nascono alcune domande: dove si colloca il limite al di la del quale si trova l’escluso? E soprattutto, quali sono le forze che contribuiscono a definire e modificare questo limite? Le riflessioni che seguono tentano di dare una lettura della complessità del fenomeno evidenziando i vincoli specifici che articolano la spazio urbano con l’economia, la politica, la retorica e l’ideologia. Il fenomeno dell’esclusione sociale è stato ampiamente dibattuto attraverso una vasta gamma di prospettive analitiche e politiche (Geddes, 2000; Silver, 2007); storicamente legato alla povertà e alla marginalità (Simmel, 1903; Park, 1915), l’evoluzione del concetto è passato da un focus sulla deprivazione materiale all’incapacità di usufruire pienamente dello sviluppo sociale economico e dei diritti politici (Levitas, 2005). In una visione più radicale l’esclusione è stata descritta come un processo attivo, guidato da forze di potere e da meccanismi delle tre sfere di mercato, società civile e Stato (Castells, 1995; Sen, 1992; Levitas et al., 2007). Secondo Power, l’esclusione sociale si riferisce


esclusione urbana

all’incapacità di una data società di includere i gruppi e gli individui in ciò che ci aspettiamo da una società e si è trasformato in un problema che attualmente ha i contorni dell’urbano così come l’agenda dell’esclusione sociale è ormai una agenda urbana (Power et al., 2000). Nonostante l’esclusione sociale sia fondamentale nella produzione degli spazi di segregazione e marginalizzazione è di fatto insufficiente per spiegare le logiche di formazione di questi spazi e la relazione tra questi e la città. Per questo l’esclusione urbana non può essere considerata esclusivamente la somma dei differenti gradi di esclusione sociale che si verificano in un determinato luogo della città; la specificità dello spazio e delle dinamiche della sua costruzione rappresentano una componente imprescindibile per determinare l’esclusione che si verifica in una città. Si tratta quindi di riconoscere la peculiarità dell’esclusione urbana rispetto all’ampio concetto di esclusione sociale. Il carattere escludente congenito della città brasiliana permette di sottolineare gli aspetti che la producono e di identificare le principali logiche che sottendono la marginalizzazione sociale e spaziale nelle metropoli brasiliane. Queste sono città divise, composte per frammenti, per isole caratterizzate dallo status sociale ed economico dei propri abitanti, in alcuni casi dal colore della pelle (eredità del passato coloniale), dalla qualità delle infrastrutture e delle costruzioni. Le città secondo Villaça crescono per regioni omogenee di concentrazione della ricchezza o della povertà risultante da processi di segregazione scelta o indotta: nel primo caso aree residenziali destinate alla classe più agiata prodotte da interventi privati, nel secondo interventi statali di housing sociale e la città informale autocostruita (Villaça, 2001). In che maniera queste stesse logiche agiscono nel contesto europeo? Che tipo di situazioni escludenti determinano? Nel caso portoghese, in cui si assiste ad un rapido aumento della dualità tanto sociale come spaziale (Abreu et al., 2013, p. 116), quali forze possono essere messe in campo per contrastare i processi di polarizzazione ed esclusione urbana? Le logiche dell’esclusione urbana Dalle analisi del contesto brasiliano ho evidenziato quattro logiche principali che considero alla base del fenomeno dell’esclusione urbana e che cercherò di descrivere nei paragrafi successivi. Ogni logica si compone di differenti tipologie di dinamiche la cui origine può essere rintracciata o nella società, o nell’istituzione dello Stato o dalla componente che mi sembra opportuno introdurre in questa analisi ovvero dalle dinamiche di organizzazione della città e dal planning. Le logiche saranno poi utilizzate come strumento concettuale per analizzare il contesto portoghese con l’obiettivo di mettere in luce la precisa responsabilità delle scelte del planning e delle dinamiche di trasformazione dello spazio urbano nella costruzione dell’esclusione urbana.

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Favela a Salvador de Bahia Foto dell’autrice

pagina a fronte Un condominio chiuso di lusso a Salvador de Bahia Foto dell’autrice

La logica della disuguaglianza (o dell’ingiustizia) Il paesaggio della metropoli brasiliana con i suoi grattacieli e le sue favelas, rimanda ad una chiara sproporzione tra le differenti qualità degli spazi urbani costruiti da e per distinte fasce socio-economiche della popolazione. La prima logica sta nel grado di disuguaglianza della società che produce lo spazio. Disuguaglianza prima di tutto di tipo economico che permette alla popolazione di avere accesso ad abitazioni e spazi urbani con caratteristiche qualitative differenti. Parallelamente alla disuguaglianza economica, le disuguaglianze in termini sociali e di accesso al potere politico influenzano profondamente non solo l’accesso alla casa ma anche al più ampio ‘diritto alla città’ (Lefèvbre, 1968). Come evidenziato da molti studiosi della società brasiliana (Freire, 1970; Santos, 1987; Arantes et al. 2000; Villaça, 2001), il problema più profondo del Brasile non è la povertà, bensì la disuguaglianza: la distanza tra cittadini ha una specifica responsabilità nella riproduzione della povertà. La povertà risulta essere una conseguenza e non una causa. La logica della diseguaglianza (o della ingiustizia) è alimentata in Brasile da quattro fenomeni: 1. dall’eredità sociale ed economica del passato coloniale; 2. nella quale è importante sottolineare la specifica eredità sociale ed economica della schiavitù; 3. la conseguente restrizione all’accesso alla cittadinanza;


4. infine, l’interiorizzazione di questa eredità nel contesto dello Stato che si manifesta in quello che chiamiamo razzismo istituzionale. Lo Stato democratico, basato sui concetti di uguaglianza e solidarietà, fu installato in un paese dove l’eredità coloniale era ancora molto profonda, un paese molto marcato dalle differenze razziali ed economiche. Seguendo Lopez (2012), quando trattiamo dei concetti di uguaglianza, equità e cittadinanza nella società brasiliana non possiamo prescindere dalla prospettiva razziale. Il mondo accademico ha affrontato la problematica razziale attraverso la costruzione di un’identità nazionale che ha privilegiato i concetti di meticciato e democrazia razziale, che hanno costituito storicamente la singolarità del Brasile, contrastando con gli esempi di segregazione razziale degli Stati Uniti o del Sud Africa. Il processo di costruzione ideologica del Brasile come una nazione meticcia, a partire del secolo XIX, si è basata sull’accettare come dato acquisito la fusione armoniosa delle razze e delle culture, chiamata


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a posteriori ‘democrazia razziale’. Questa idealizzazione nasconde, secondo Haufbauer (2000), un progetto di sbiancamento della nazione che ha permesso la permanenza delle gerarchie razziali esistenti. Di fatto, il passaggio dalla schiavitù al lavoro libero è avvenuto in totale assenza di politiche direzionate all’inclusione economica, sociale e politica della popolazione afro-discendente. I diritti di cittadinanza sono espressi o negati nello spazio fisico, contestati o rivendicati a partire da luoghi concreti: abitare, studiare, lavorare, vivere in maniera sana, spostarsi, decidere, partecipare. La disuguaglianza si traduce in situazioni specifiche e concrete di ingiustizia permettendo solo ad una parte di popolazione privilegiata di fruire effettivamente dei diritti riconosciuti. Migliaia di cittadini in Brasile vivono nel quotidiano una cittadinanza di seconda classe. Questa si concretizza nella qualità dei servizi delle istituzioni dirette a strati diversi della popolazione: il razzismo istituzionale. Nella definizione della Commission for Racial Equality (UK) il razzismo istituzionale viene definito come

pagina a fronte Abitanti del Bairro 6 de Maio, Amadora Foto dell’autrice

l’incapacità di una organizzazione di prestare un servizio adeguato alle persone a causa del loro colore della cultura o dell’origine etnica. Questo può riscontrarsi in processi, atteggiamenti e comportamenti che risultano in discriminazione per preconcetti involontari, ignoranza, negligenza e stereotipazione razzista che causa svantaggi a persone appartenenti a minoranze etniche. (Sampaio, 2003, p. 79)

Nel caso brasiliano, il razzismo istituzionale non si manifesta esclusivamente su base etnica ma ha a che vedere con la componente spaziale: i servizi pubblici (educazione, salute, trasporti) nelle aree delle città abitate dalla popolazione di basso reddito sono di qualità molto inferiore a quelle delle zone della città dove si trova maggiore concentrazione di popolazione con alto potere d’acquisto. Le istituzioni pubbliche forniscono due gradi diversi di servizi ai cittadini di prima o seconda classe. Se osserviamo il contesto portoghese sotto questa stessa prospettiva possiamo osservare manifestazioni meno eclatanti ma comunque evidenti. Il Portogallo per esempio presenta il coefficiente di GINI più alto tra i paesi dell’Unione e i redditi del 20% dei più ricchi del paese sono 5,7 volte maggiori del 20% più vulnerabile (Eurostat, 2012). Secondo lo studio di Carmo e Cantante (2015) sulla disuguaglianza in Portogallo i servizi pubblici (sanità, educazione e abitazione) forniti dallo Stato hanno contribuito più che in altri paesi europei ad una significativa riduzione del coefficiente di GINI. Le politiche legate all’austerity, costringendo il governo a forti tagli ai settori pubblici redistribuitivi e al welfare, hanno come effetto l’inasprirsi della disuguaglianza. Secondo Costa le disuguaglianze sociali contemporanee trovano supporto culturale in


un insieme di convinzioni che “emergono dalle ceneri delle precedenti forme di ingiustizia sociale che in gran parte sono state superate nei paesi con livelli di sviluppo considerati alti” (Costa, 2012, p. 22). Tra queste assume il ruolo di fattore decisivo la convinzione dell’inevitabilità di tali situazioni. Per esempio, “il razzismo e il sessismo istituzionalizzato hanno dato luogo a nuove forme di preconcetto, esplicitamente o implicitamente basate sulle convinzioni relative alla superiorità degli uni e dell’inferiorità degli altri” frequentemente fondate su base genetica (Costa, 2012, p. 23). Il passato di potenza coloniale si manifesta oggi in Portogallo nella numerosa popolazione proveniente dalle antiche ex-colonie che si è trasferita a partire dalla fine del regime dittatoriale nel 1974. L’integrazione tanto nel sistema economico come nel tessuto della città dei nuovi cittadini non è stato sufficientemente accompagnato o stimolato dalle politiche pubbliche. Le condizioni socio economiche di vulnerabilità sono state limitate ulteriormente dalle restrizioni all’accesso alla cittadinanza portoghese, con la conseguente impossibilità di accedere ai diritti riconosciuti. In termini di accesso alla cittadinanza la realtà portoghese è simile a quella di altri paesi europei: la costruzione dell’identità europea ha implicato infatti l’identificazione di barriere simboliche e fisiche con ‘l’altro’, ‘lo straniero’. L’abolizione delle barriere interne di circolazione delle persone ha coinciso con il rafforzamento delle frontiere comunitarie. Questo processo di costruzione identitaria basato sull’esclusione si è mescolato ad una visione monoculturale e razzista che ha assimilato al binomio ‘noi/gli altri’ il giudizio


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morale ‘normalità/patologia’. Per questo, come sottolinea Almeida, “l’immigrato è rappresentato, nelle società di accoglienza, come qualcuno che intrinsecamente non gli appartiene” (2002, p. 65). Secondo l’autore, nazionalismo e colonialismo si sono alimentati mutualmente perché lo Stato-Nazione permetteva di concepire una idea di comunità che eliminava le differenze e le disuguaglianze interne (di genere, di classe, di regione, ecc.), la colonia, d’altro canto, assicurava l’ordine ‘naturale’ di una disuguaglianza gerarchica, implicita nell’idea che alcuni popoli o nazioni siano superiori e avrebbero l’obbligo di tutelare gli altri, inferiori. (Almeida, 2002, p. 63)

Il razzismo ha contribuito al mantenimento di una classe subalterna, fonte di mano d’opera di basso costo, senza rappresentazione politica e senza rivendicazioni. Questo perché, differentemente dalla diseguaglianza su base economica, che ha generato le lotte di classe, il razzismo agisce in forma sottile, portando le proprie vittime ad assimilare e riprodurre le supposte condizioni di inferiorità. Rappresenta infine un dispositivo di controllo istituzionale, di bio-potere (Foucault, 1978). Il fatto che molti paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, applichino ancora lo Ius Sanguinis1 (il Portogallo lo ha fatto fino al 2006) e non garantiscano gli stessi diritti di cittadinanza a bambini e adulti che sono nati e hanno sempre vissuto nel paese, contribuisce a riprodurre forme di esclusione che si riflettono anche nell’accesso alla città: questi abitanti, ospiti, non possono, per esempio, avere accesso al credito per comprare una casa o all’abitazione sociale. In Portogallo, secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International la discriminazione delle comunità di origine africana e le comunità ciganas è ancora molto significativa. In termini di accesso alla casa, questa discriminazione è confermata dallo studio di Malheiros e Fonseca (2011), che dimostra come sia più difficile per queste popolazioni avere accesso al mercato dell’affitto privato a causa dei pregiudizi culturali. Questa discriminazione è sostanzialmente razzial-culturale, indipendentemente dalla nazionalità (Malheiros, Fonseca, 2011, p. 28). Questo stesso razzismo si manifesta nelle istituzioni, che sono con buona approssimazione il riflesso della società: sono esemplari i casi di violenza da parte della polizia contro i cittadini di origine africana che abitano nella periferia di Lisbona. Dallo studio coordinato da Carneiro (2005) su criminalità e immigrazione emergono conclusioni interessanti: attraverso l’analisi dei dati statistici infatti viene dimostrato che il grado di criminalità delle persone con nazionalità portoghese e quelle 1 Il principio dello jus sanguinis, ovvero è considerato cittadino portoghese un individuo figlio di padre portoghese o madre portoghese, ha regolato l’accesso alla nazionalità fino al 2006. A partire da questa data è stato infatti introdotto lo ius soli che costituisce il riconoscimento dello statuto di cittadinanza anche ai figli, nati nel paese, di genitori stranieri che siano residenti in Portogallo da almeno 5 anni (Legge Organica n. 2 del 17 di aprile del 2006 e Decreto-legge n. 237-A del 14 di Dicembre del 2006).


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con nazionalità straniere è assolutamente paritario, “nonostante nella rappresentazione sociale comune l’immigrato sia più propenso alla criminalità” (2005, p. 9). Dalle analisi risulta inoltre che la popolazione straniera sia sottoposta ad un trattamento sfavorevole in tutte le fasi del processo penale, dalla definizione dell’imputazione fino alla condanna della pena di effettiva detenzione (Carneiro, 2005, p. 9). La difficoltà delle stesse istituzioni di riconoscere la propria attitudine razzista impedisce che si mettano in pratica forme di cambiamento. I fenomeni che alimentano la disuguaglianza in Portogallo possono essere sintetizzati così: 1. l’immigrazione, come eredità di un paese che per secoli è stato colonizzatore, 2. l’accesso ristretto alla cittadinanza, 3. il Razzismo Istituzionale. La logica della localizzazione Come logica della localizzazione intendo un insieme di dinamiche urbane che producono l’esclusione e la segregazione nelle metropoli. Delle quattro questa è la logica che pone l’accento nelle specifiche componenti che determinano l’esclusione urbana come fenomeno in sé e non come sommatoria dei differenti gradi di esclusione sociale nel contesto urbano. La scelta del termine si riferisce alla teoria elaborata dal geografo Milton Santos (1996) che è stato il primo a dare una descrizione chiara di come la città brasiliana si organizzi attraverso la concentrazione di differenti classi sociali in determinate aree della città a partire dal processo di urbanizzazione degli anni ’50-’60. Si deve però a Flavio Villaça (2001) la definizione del concetto in relazione alle infrastrutture, ai trasporti e all’accessibilità e del legame di questi fattori con la segregazione urbana. Questa logica nel contesto brasiliano è orientata da tre fenomeni differenti: 1. dalla stretta relazione tra mercato immobiliare speculativo e la tendenza alla segregazione (Villaça, 2001); 2. in secondo luogo dal ruolo dei trasporti e delle infrastrutture viarie nell’orientamento delle trasformazioni urbane; 3. e infine dal ruolo dello Stato (attraverso le scelte della pianificazione o della sua mancanza) nell’accentuare la segregazione (Maricato, 2001). Villaça (2001) inoltre suggerisce che per comprendere il fenomeno della segregazione nelle metropoli brasiliane sia necessario andare oltre l’analisi circoscritta alla scala di quartiere ma al contrario concepire il fenomeno come la tendenza di differenti classi o gruppi sociali a concentrarsi in determinate regioni. Vale la pena inoltre ricordare il concetto di ‘località’ come proposto da Antony Leeds (1968)

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Autostrade urbane a Salvador de Bahia Foto dell’autrice

che suggerisce la stessa prospettiva: l’antropologo criticava gli studi urbani nell’ambito delle scienze sociali di utilizzare nella maggior parte dei casi il concetto di comunità come unità di analisi. In questo modo si perde di fatto la relazione di un’area specifica con la struttura complessa della città e inoltre con l’ambito extra locale come per esempio le politiche nazionali o le influenze internazionali sulle politiche urbane. Per questo suggerisce l’impiego del concetto di località che permette di considerare come parte dell’analisi le influenze dirette che la città, considerata come un’entità, ha su di essa. Villaça riconosce lo stesso limite metodologico nell’analisi della segregazione attraverso l’unità di quartiere e arriva alla stessa conclusione di Leeds, ovvero che non sia corretto che i fenomeni della città siano considerati come accidenti e non come manifestazioni dirette dei processi intrinseci e strutturali della forma come la città funziona. Questo cambiamento di prospettiva permette di vedere facilmente la relazione tra la segregazione e la totalità della struttura urbana. Attraverso l’analisi di cinque metropoli brasiliane Villaça dimostra


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come i tessuti urbani si siano strutturati creando zone sostanzialmente distinte che presentano una forte differenza in termini di infrastrutture e servizi, tipologia e qualità del trasporto urbano e classe sociale ed economica della popolazione: di fatto la localizzazione diventa un attributo capace di promuovere le trasformazioni interne (Villaça, 2012). Gli interessi immobiliari privati e la speculazione sono agenti fortissimi, capaci di determinare vere e proprie trasformazioni sociali di intere zone della città attraverso l’espulsione degli strati più vulnerabili della popolazione. Visto che gli investimenti immobiliari si localizzano negli assi delle infrastrutture migliori è facile capire come esse decidano le direzioni di questa duplice segregazione. È necessario quindi che la mobilità spaziale intra-metropolitana sia inclusa nell’analisi come un processo inerente alla strutturazione dello spazio urbano e non come oggetto di studio in sé, il che rende possibile lavorare con la prospettiva del cambiamento permanente della realtà sociale. (Correa do Lago, 2000, p. 16)

Per quello che concerne la localizzazione della classe sociale con maggior potere economico, esiste anche una componente simbolica nella scelta del luogo come mettono in luce, tra gli altri, Henrique (2011) per il caso brasiliano e Lopes Teixeiras (2013) per quello portoghese; le offerte abitative di lusso sono infatti legate principalmente ai concetti di esclusività e di privilegio rispetto a determinati paesaggi naturali, aree con vista fiume o mare sono quelle più soggette a questo tipo di pressione immobiliare. D’altro canto le politiche pubbliche per l’abitazione in Brasile hanno avuto un ruolo fondamentale in questa divisione in zone più o meno omogenee: durante gli anni ’70-’80 le costruzioni dei quartieri di housing sociale soprattutto attraverso le COHAB2 di ambito statale, hanno decretato vere e proprie direzioni di sviluppo della città della classe economicamente più vulnerabile. Costruiti su terreni di poco valore, molte volte classificati come agricoli, alle estreme periferie dei territori municipali, hanno costituito dei veri e propri inviti all’occupazione di spazi ancora liberi tra i nuovi insediamenti e il nucleo urbano consolidato. Nel contesto portoghese è sempre più evidente l’importanza della speculazione finanziaria e delle politiche di liberalizzazione del mercato degli affitti, per esempio, nell’inasprirsi dei processi di sostituzione sociale dei centri storici (Mendes, 2014; Queirós, 2013). Alves (2013), attraverso l’analisi di dati statistici della regione metropolitana di Porto mette in evidenza come esista una divisione per settori in termini socio-economici e abitativi. Secondo l’autrice “il processo di produzione e appropriazione dello spazio ha generato una Le Companhias de Habitação sono nate nel 1965 in seguito all’istituzione del BNH — Banco Nacional de Habitação per implementare la politica abitativa federale in ambito locale (statale e municipale) attraverso la costruzione di quartieri di edilizia pubblica convenzionata.

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Edifici di edilizia pubblica a Salvador de Bahia e a Porto. Foto dell’autrice

distanza sempre maggiore tra strati sociali provocando una segregazione socio spaziale che ha origine nella disuguaglianza socioeconomica e nelle decisioni delle politiche urbane” (Alves, 2013, p. 371): tra queste ultime, le politiche di riqualificazione del centro storico e di rialloggiamento dei suoi residenti in quartieri di abitazione sociale in periferia. Insieme all’azione del mercato immobiliare, queste decisioni nell’ambito delle politiche abitative e della pianificazione urbana hanno rafforzato le tendenze della bipolarizzazione delle struttura socioeconomica di Porto. (Alves, 2013, p. 366)

Attraverso il confronto con il fenomeno brasiliano è possibile sottolineare che, all’interno della logica della localizzazione, nel contesto portoghese agiscano le tre dinamiche seguenti: 1. i processi di riqualificazione e la conseguente espulsione della popolazione dai centri storici e dalle aree che diventano interessanti per il mercato immobiliare, accompagnati dalla presenza di una grande quantità di edifici abbandonati; 2. il ruolo dei trasporti, in termini di mobilità e accessibilità, nella valorizzazione differenziale delle regioni metropolitane e conseguente tendenza alla segregazione; 3. il ruolo del potere pubblico come esecutore di queste politiche speculative attraverso la pratica delle espulsioni e della sua storica responsabilità nel processo di periferizzazione delle classi sociali vulnerabili.


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Nelle due maggiori aree metropolitane del paese, lo Stato, attraverso le sue politiche di abitazione sociale ha contribuito di fatto al processo sistematico di concentrazione della popolazione con meno potere economico in aree con minori servizi e qualità, e di quello che Augusto definisce come “spazializzazione della povertà” (Augusto, 2000, p. 3). Un esempio recente è il Programa Especial de Realojamento (PER) che a partire dagli anni novanta ha rialloggiato le persone che abitavano nei ‘bairros de barracas’, dei veri e propri quartieri informali, in nuovi edifici di edilizia residenziale pubblica che nulla sembravano avessero appreso dalle esperienze europee degli anni ’60 e ’70 in termini di concentrazione massiccia della popolazione socialmente vulnerabile come sottolineato da Cachado (2013, p. 149). Un’altra critica mossa al PER viene dallo studio di Arbaci e Malheiros che ne mette in evidenza l’impatto disgregativo in termini etnici: secondo gli autori la rottura dei lacci familiari ed economici costruitisi nei quartieri informali dalle comunità etniche che avevano sviluppato “strategie di sopravvivenza, imprenditoria etnica e meccanismi di radicazione” (Arbaci, Malheiros, 2010, p. 61), ha contribuito alla loro marginalizzazione. Gli autori segnalano che il problema delle comunità etniche non consisteva nella loro concentrazione ma nella localizzazione periferica e nel conseguente isolamento, processo che il programma pubblico contribuì ad esacerbare. D’altra parte, i processi di riqualificazione urbana dei centri storici, focalizzati all’incremento del turismo, determinano una nuova fase di sostituzione della popolazione in termini sociali ed economici. Ancora una volta, il ruolo dello potere pubblico in questo processo di gentrificazione è centrale: prima attraverso i piani di riqualificazione della prima decade del nuovo secolo e a partire dal 2014 attraverso l’approvazione della “legge sulle rendite fondiarie”3 che permette di espellere con facilità i vecchi residenti (Mendes, 2014), solo molto recentemente sostituita da una legislazione più inclusiva (cfr. cap. “La città informale e la nuova politica abitativa”). Il centro storico di Porto, che aveva sofferto un forte processo di degrado negli anni ’80, è stato oggetto, a partire dal 2000 del “Masterplan per la rigenerazione urbana e sociale della Baixa di Porto”4. Secondo Queirós (2013), il programma ha implicato l’espulsione della popolazione anziana che ancora abitava nel quartiere in favore di aree meno centrali, con l’obiettivo di costruire una nuova immagine del centro della città capace di attrarre investimenti principalmente da parte del settore turistico. Lisbona mostra uno scenario diverso, prima di tutto a causa delle dimensioni e per la diversità delle aree che caratterizzano il centro storico della città e secondariamente perché il processo di gentrificazione si sta Conosciuta in Portogallo come “Lei das rendas”. Il programma è stato coordinato dalla PORTO VIVO, società pubblica creata nel 2004 per la ristrutturazione di immobili e per la riqualificazione del tessuto urbano. 3 4

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manifestando parallelamente a quello di finanziarizzazione e turistificazione della città: in questo senso il potere pubblico ha contribuito attraverso l’alienazione di parte del proprio patrimonio a imprese di stampo finanziario. Un altro aspetto importante che definisce la logica della localizzazione è la presenza dei trasporti pubblici rapidi (linea della metropolitana, treno suburbano) e delle infrastrutture viarie: la miglior accessibilità determina una valorizzazione economica dell’area che chiama nuovi investimenti in questo settore. Il risultato è lo sviluppo diseguale delle regioni della metropoli che tendono a concentrare settori differenti di popolazione in termini economici e sociali. Uno dei pochi studi che analizzano la stretta relazione, tra lo sviluppo urbano e l’esclusione sociale in Portogallo è quello di Ribeiro (2014) che attraverso l’unione tra la geografia dei trasporti (mobilità e accessibilità) e l’esclusione sociale, sottolinea la necessità di “riflettere in che misura i territori stanno potenziando la crescita dell’esclusione sociale” (Ribeiro, 2014, p. 18).

pagina a fronte Bairro São Nicolau dopo lo sgombero, Porto Foto dell’autrice

La logica della dualità In Brasile la città spontanea è sempre stata descritta in contrapposizione alla città legale: la favela è il luogo del disordine mentre la città formale rappresenta l’ordine. La dicotomia tra la favela e l’asfalto (così viene chiamata la città formale) è l’incarnazione della dualità brasiliana che ha ispirato contemporaneamente immaginari stigmatizzanti e poetici5, che ha dato origine a conflitti estremi ma anche a forte identità. A ben vedere il principio di dualità ingloba molti aspetti della società brasiliana dei quali la città è un riflesso concreto. Durante il secolo passato la favela ha rappresentato uno dei fantasmi prediletti dell’immaginario urbano: “fuoco di malattie, generatore di epidemie, ritrovo per eccellenza di delinquenti e nullafacenti, negri, nemici del lavoro duro ed onesto: luogo promiscuo della popolazione senza morale” (Alvito, Zaluar, 2004, p. 14). La favela ha rappresentato sempre il luogo della carenza, della marginalità, del vuoto, del pericolo, dell’altro differente dal cittadino civilizzato della metropoli. L’élite ha sempre guardato alla favela con paura: la necessità di controllare questa paura ha preso forma inizialmente nella retorica igienista e in seguito in quella della sicurezza. Il ‘disordine’ della classe popolare e delle sue pratiche deve essere controllato, ripulito, organizzato, corretto. Questo controllo si manifesta nelle pratiche del potere che rientrano nel concetto di ‘stato di eccezione’ (Agamben, 2003): l’utilizzo dell’esercito nelle favela per combattere il narco5 Secondo la ricostruzione di Alvito e Zaluar (2004), a partire dal 1908 il concetto di dualità si trova in vari autori: Bilac chiama ala favela “una città a parte”, il giornalista Benjamin Contallan la descrive come “una città dentro la città”, il sambista Oreste Barbosa parla di due città dentro Rio de Janeiro.


traffico, o le demolizioni di centinaia di case per favorire gli interessi privati, sono solo alcuni esempi. “Le pratiche statali ai margini (in stato di eccezione) non possono essere comprese in termini di legge e trasgressione, ma come pratiche che si incontrano simultaneamente dentro e fuori dalla legge” (Magalhães, 2012, p. 124). La pianificazione urbana è influenzata dallo stesso atteggiamento: solo una parte dei piani viene effettivamente messa in pratica, la sua applicazione segue la logica della cittadinanza ristretta (Arantes, Maricato, Vainer, 2000, p. 165) e incide su e rappresenta solo una parte della città, creando una specie di sineddoche ideologica: ovvero una parte della città rappresenta il tutto. All’interno della logica della dualità possiamo considerare rilevanti per la produzione dell’esclusione urbana: 1. il discorso dicotomico tra città legale ed illegale; 2. la differenza tra le condizioni di diritto di una parte della popolazione e quelle legate al principio di sopravvivenza dall’altro; 3. nuovamente il ruolo del potere pubblico attraverso la pianificazione o la sua assenza; 4. infine quello che possiamo chiamare la pratica dello ‘stato di eccezione’ (Agamben, 2003). Nel contesto portoghese la dualità dello spazio urbano non è così evidente come nelle metropoli brasiliane; tuttavia dal confronto con questo paradigma è possibile riscontrare che


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pagina a fronte Centro Storico di Porto Foto dell’autrice

sono esistite ed esistono ancora oggi spinte polarizzanti. In Portogallo, infatti, il binomio formale/informale fu costruito storicamente, a partire dagli anni ’50 e ’60, in riferimento a due fenomeni principali: le Ilhas di Porto, abitazioni per operai che si moltiplicano contestualmente allo sviluppo industriale della città (cfr. cap. “Costruire spatial justice: riqualificazione inclusiva del tessuto storico”), e i quartieri autocostruiti più recentemente, chiamati di ‘baracche’6 (cfr. cap. “La città informale e la nuova politica abitativa”). Nelle analisi dei programmi pubblici che a suo tempo si sono occupati degli spazi costruiti e delle forme di abitare delle classi vulnerabili è facile riconoscere alla base un discorso comune. A cominciare dal “Piano di miglioramento della città di Porto” (19561966), il “Piano di sanificazione delle Ilhas di Porto” (1956), passando per il “Programma Speciale di Rialloggiamento” — PER (1993), fino alle più recenti demolizioni del Bairro do Aleixo o del Bairro São Nicolau sempre a Porto, agli abitanti di questi quartieri si associano “problemi di criminalità, prostituzione e tossicodipendenza, tra gli altri, ai quali l’esclusione sociale motivata dalla mancanza di condizioni abitative degne le ha votate” (Decreto-Lei n. 163/93, p. 2381). Il problema delle condizioni abitative è stato sempre accompagnato dalla criminalizzazione della popolazione residente: questi due fattori coniugati giustificano le demolizioni e i trasferimenti delle persone dai luoghi senza valore economico e dove le condizioni delle abitazioni e dell’habitat non sempre sono migliori. Mi riferisco ai quartieri di edilizia popolare costruiti in seguito al PER con caratteristiche qualitative sia delle costruzioni che degli spazi pubblici e dei servizi molto scarse. Le élite borghesi hanno sempre avuto l’obiettivo dichiarato per lo meno di ‘ripulire’ socialmente determinate zone che diventavano interessanti per interventi di valorizzazione economica e di mercato (Queirós, 2013) e allo stesso tempo di contribuire ad un cambiamento di stile di vita delle popolazione (Cachado, 2013, p. 141). È per questo che il concetto di Foucault (1982) dei luoghi dell’eterotopia, ovvero i luoghi dove la società è rappresentata e negata allo stesso tempo, è utile per descrivere il modo in cui la società portoghese (e la brasiliana anche) ha rappresentato la città degli svantaggiati e con essa si è relazionato. In estrema sintesi il contesto portoghese riproduce la logica duale attraverso: 1. una forte retorica igienista da parte della società o dello stato in relazione agli spazi prodotti per e dalla popolazione vulnerabile; 6 “Nell’Area Metropolitana di Lisbona all’inizio degli anni ’80, 16.585 famiglie vivevano in baracche, concentrate, oltre che nel Comune di Lisbona, nei municipi limitrofi di Amadora, Loures e Oeiras. La maggioranza erano immigrati senza capacità economiche che, in una situazione di mancanza di lottizzazioni formali, comprarono case o terreni a basso costo ai primi occupanti, ristrutturarono o costruirono da zero a seconda della possibilità di comprare nuovi materiali” (Cachado, 2013, p. 139).


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2. una forma di controllo sul ‘differente’ attraverso le immagini urbane eterotopiche (Foucault, 1982); 3. anche se quantitativamente non così rilevante come in Brasile, una parte della popolazione (in questo momento storico di crescita) che sopravvive nella città; 4. le pratiche politiche che anche in Portogallo riproducono lo ‘stato di eccezione’. La logica dello stigma Questa ultima logica, nonostante possa sembrare sovrapposta alla precedente, porta invece con sé un contributo importante nella misura in cui introduce il fattore dell’autoriproduzione del soggetto. Lo stigma territoriale, come definito da Wacquant (2008a) è altrettanto limitante come lo stigma di genere o quello razziale. L’abitante della favela soffre i preconcetti derivanti dal semplice fatto che viva in quel determinato luogo, nei vari ambiti della propria vita pubblica e privata, come per esempio nella difficoltà di accesso al lavoro o a dei crediti. Questo stigma è condiviso dagli abitanti che vivono nei quartieri delle periferie o nei quartieri di baracche in Portogallo. Lo stigma limita la creazione di un sentimento di appartenenza al luogo dato che stimola un giudizio negativo che il proprio abitante riproduce. Così nel corso del tempo i quartieri sociali costruiti dallo Stato diventano ghetti, o più correttamente

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logiche

brasile

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Logica della disuguaglianza

1. Schiavitù 2. Accesso ristretto alla cittadinana 3. Razzismo istituzionale

1. Immigrazione 2. Accesso ristretto alla cittadinanza UE 3. Razzismo istituzionale

Logica della localizzazione

1. Speculazione / Segregazione 2. Mobilità e accessibilità 3. Ruolo del planning

1. Gentrificazione / Displacement 2. Mobilità e accessibilità 3. Ruolo del planning

Logica della dualità

1. legale / Illegale 2. Diritto / Sopravvivenza 3. Pianificazione / Assenza del Pubblico 4. ‘Stato d’eccezione’

1. Retorica Igenista 2. Diritto / Sopravvivenza 3. Eterotopia / Controllo 4. ‘Stato d’eccezione’

Logica dello stigma

1. Stigma territoriale 2. Colore della pelle (schiavitù) 3. Autoriproduzione

1. Stigma territoriale 2. Colore della pelle (colonialismo) 3. Autoriproduzione

Schema riassuntivo delle componenti delle logiche nei due contesti Elaborazione dell’autrice

anti-ghetti secondo la ricostruzione concettuale di Wacquant: “eterogeneità etnica, frontiere porose, diminuzione della densità istituzionale e incapacità di creare un’identità culturale condivisa trasformano queste aree nell’esatto opposto di un ghetto” (Wacquant, 2008b, p. 115). Come sottolineato in precedenza, lo stigma territoriale ha anch’esso un carattere cumulativo, dinamico e persistente […], che costituisce allo stesso tempo causa e conseguenza delle multiple rotture nella coesione sociale, implicando manifestazioni di dualismo e frammentazione sociale. (Rodrigues et al., 1999, p. 65)

Nel contesto portoghese, nella maggior parte delle volte, lo stigma territoriale si sovrappone allo stigma razziale, legato al colore della pelle, che attua allo stesso modo attraverso una autoriproduzione del soggetto che diventa così il primo ad alimentare gli effetti negativi del fenomeno. Oltre a questo in Portogallo, l’attuale fenomeno delle insolvenze e delle incapacità di molte famiglie di avere accesso ad una casa degna stimola una nuova forma di autoriproduzione dello stigma: l’insuccesso individuale non viene percepito come un problema strutturale del paese o dell’economia (Frade, Conceição, 2014) e in rari casi ha prodotto movimenti di resistenza o dibattiti sul tema del diritto alla casa (se non da quelli che se ne occupano da decenni). Vale la pena aggiungere che “la descrizione degli individui come poveri o esclusi non è innocente, visto che ha importanti effetti a livello di identità sociale e di riproduzione delle disuguaglianze” (Diogo, 2006, p. 262). La costruzione dell’identità sociale subisce l’influenza dello stigma territoriale che vie-


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ne prodotto dalla società attraverso i media. L’impiego di termini come poveri, marginali, esclusi ogni volta che si parla di aree specifiche della città e il tipo di notizia costantemente associata a determinati quartieri, sempre su qualche crimine o su atti di violenza, sono esempi di questa tendenza. Quali riflessioni? A partire dal fatto che le grandi trasformazioni del mondo urbano necessitano di nuove prospettive analitiche e paradigmi capaci di interpretarle, comprenderle e di conseguenza affrontare la sfida che le metropoli rappresentano nel mondo globale di oggi, le riflessioni che seguono sono nate dalla necessita di riconoscere la specificità dell’esclusione urbana nell’ambito dell’esclusione sociale e di identificare le forze soggiacenti all’esclusione urbana attraverso la maggior facilità di lettura del contesto brasiliano, tentando, attraverso questa associazione di fenomeni di mettere in luce le logiche meno evidenti nel contesto portoghese. Nello schema riassuntivo rappresentato sopra troviamo le componenti delle logiche proposte risultato della lettura parallela dei due contesti. Si può facilmente osservare come molte delle componenti identificate sono analoghe nonostante le differenze geografiche e storiche che caratterizzano i due paesi. Questa osservazione ci permette di affermare, in primo luogo, che esiste una responsabilità specifica del potere pubblico nella produzione delle logiche che determinano l’esclusione urbana. In secondo luogo ci permette di sostenere l’ipotesi che esista una corrispondenza nei fenomeni che queste componenti determinano, per esempio la concentrazione della popolazione economicamente vulnerabile, le caratteristiche delle aree informali e l’autosegregazione della popolazione con più potere economico. Una volta identificate le forze che sottendono le logiche dell’esclusione urbana nel contesto portoghese e le sue manifestazioni più salienti, è importante porre in evidenza la componente preponderante di ogni concetto identificato, ovvero il suo legame ad uno dei seguenti aspetti: le caratteristiche della società, le forme di governo dello Stato o il carattere urbano che viene espresso dalle scelte del planning. Per ottenere un successivo piano di analisi si possono rendere esplicite le relazioni di causalità tra le componenti delle logiche identificate e le situazioni concrete che riflettono il fenomeno dell’esclusione urbana. Queste possono essere riassunte in questo modo: 1. La storica tendenza alla polarizzazione della classe maggiormente vulnerabile attraverso i piani di stampo igienista e delle politiche di housing sociale alla quale possiamo sommare la tendenza alla segregazione per regioni; 2. I processi di turistificazione dei centri delle città e la conseguente espulsione della popolazione anziana e di origine straniera che vi risiede;

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Schema riassuntivo Elaborazione dell’autrice

3. Infine, i fenomeni detti invisibili come il sovraffollamento delle case dovuto all’insolvenza dei crediti per la casa; ancora prima di ciò, il difficile accesso di persone originarie di alcuni paesi del Sud del mondo all’acquisto o all’affitto di una casa e il numero crescente di persone senza casa dovuto alla disoccupazione, alla fragilità delle politiche si sostegno sociale e alla mancanza una politica nazionale che affronti le questioni abitative. Nello schema rappresentato nella pagina seguente sono sintetizzate graficamente le relazioni di causalità tra le componenti delle logiche e le manifestazioni più rilevanti dell’esclusione urbana nel contesto portoghese. Lo schema propone due livelli distinti di lettura: il primo identifica il ‘carattere’ di ogni componente delle quattro logiche, attribuendolo alla responsabilità della società, del potere pubblico all’ambito delle dina-


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miche urbane e degli interventi del planning. Il secondo descrive quali delle componenti di ogni logica contribuiscono a definire i processi attuali di esclusione urbana, ovvero la polarizzazione e la segregazione per regioni, la turistificazione e la conseguente espulsione della popolazione che abitava il centro storico e infine l’invisibilità delle situazioni più vulnerabili. Lo schema permette una lettura semplificata delle responsabilità del potere pubblico attraverso le normative, le politiche e le pratiche, nella produzione delle situazioni di esclusione e anche nel ruolo specifico delle dinamiche urbane in questo processo. Questa formulazione, nonostante sia necessariamente una semplificazione, rappresenta uno strumento concettuale che ha l’obiettivo di contribuire alla comprensione del fenomeno complesso e multidimensionale dell’esclusione urbana. Mostra chiaramente il ruolo del potere pubblico nella produzione dell’esclusione urbana e pone in evidenza come la componente legata alle dinamiche urbane contribuisca alla produzione di esclusione in forme così rilevanti come gli altri tipi di problematiche che sottendono l’esclusione sociale nonostante questa specifica responsabilità sia poche volte riconosciuta. Da questa analisi mi sembra importante estrapolare alcune riflessioni che possano contribuire al dibattito sui processi di transizione delle metropoli portoghesi. Prima di tutto mi sembra urgente riconoscere e discutere il ruolo delle politiche pubbliche nella riproduzione dell’esclusione, tanto nella formulazione della legislazione come nell’elaborazione di programmi e politiche abitative. Inoltre, avendo evidenziato le logiche che producono l’esclusione urbana, è possibile orientare gli interventi e le politiche in modo che abbiano impatti di mitigazione e che tengano conto del carattere multidimensionale del fenomeno. Vedremo più avanti (cfr. cap. “La città informale e la nuova politica abitativa”) attraverso l’analisi della Nuova Stagione di Politiche Abitative del governo, recentemente inaugurata, le prospettive in questo senso. Mappare l’esclusione urbana: un esercizio su Porto Con l’obiettivo di rendere palesi gli effetti della logica della localizzazione a livello intra-urbano e la tendenza alla polarizzazione socioeconomica all’interno del tessuto della città, procedo in questo paragrafo ad un esercizio di mappatura che vede Porto come caso studio. Utilizzando il modello analitico sviluppato da Villaça (2001) per leggere la profonda relazione tra le diverse componenti della struttura urbana, il primo esercizio adatta le categorie da lui identificate come strutturanti gli spazi delle metropoli brasiliane, al contesto portoghese. I risultati vengono poi sovrapposti ad un altro tipo di mappatura, stimolato dalle riflessioni sulle quattro logiche dell’esclusione urbana, questa volta su indicatori di tipo socioeconomico e relativi alle condizioni abitative.

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Perimetri delle aree del Centro Storico di Porto in relazione agli interventi Elaborazione dell’autrice

pagina a fronte Centro Storico di Porto Foto dell’autrice

Un esercizio di mappatura per categorie Villaça (2001), attraverso il confronto tra le strutture urbane di cinque città del Brasile7, identifica alcune categorie spaziali e descrive l’intima relazione di interdipendenza tra esse. Ogni categoria diventa chiave interpretativa per leggere nel contesto portoghese il ruolo dello spazio nella riproduzione delle disuguaglianze sociali. Il tentativo è quello di comprendere se una determinata classe sociale tenda a concentrarsi in una zona specifica della maglia urbana e quali siano le implicazioni di questa scelta rispetto al resto della struttura. Nella metropoli brasiliana è possibile riconoscere una forte interdipendenza tra le localizzazioni di categorie spaziali differenti, risultato del processo dialettico tra categorie sociali distinte per l’accesso a determinati luoghi della città. Che cosa scopriamo se cerchiamo questa interdipendenza in una città portoghese, in questo caso a Porto? Villaça analizza come funzioni la ‘struttura urbana’ intesa non come sinonimo di città ma dando rilevanza agli aspetti di relazione tra le diverse componenti del sistema. Il suo 7

Le metropoli prese in esame sono São Paulo, Belo Horizonte, Porto Alegre, Salvador e Recife.


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obiettivo è mostrare come la trasformazione di un elemento della struttura provochi la trasformazione degli altri elementi. Le categorie spaziali che compongono il sistema urbano identificate da Villaça sono: 1. Il centro storico; 2. Il nuovo centro; 3. Quartieri di classe alta; 4. Quartieri popolari; 5. Zone industriali (sviluppate recentemente). Per adattare questa lettura al caso di Porto ho ritenuto opportuno sostituire la categoria delle zone industriali con quella dell’infrastruttura viaria a causa della perdita di importanza del settore industriale nella strutturazione della città e per introdurre un fattore decisivo nella trasformazione dello spazio urbano. Villaça utilizza i termini borghesia o classe alta come sinonimi facendo una consapevole semplificazione e generalizzazione. Sicuramente in Brasile le differenze tra classe alta e bassa sono molto più marcanti che nel contesto portoghese e questo tipo di sintesi è più comprensibile. Nel contesto europeo è comune una certa

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Riqualificazione del Centro storico di Porto Foto dell’autrice

pagina a fronte Avenida da Boavista Fonte: Bring Map

difficoltà nell’utilizzo di una terminologia considerata sorpassata, ma in questo caso la consideriamo funzionale a produrre sguardi diversi e rinnovati e per non reiterare l’atteggiamento dell’incommensurabilità di casi studio criticata da Robinson (2011). Quello che cerchiamo qui di capire è se la prospettiva di Villaça abbia un senso in una città come Porto. E quindi se l’attribuzione delle differenti localizzazioni non sia il risultato delle dinamiche del mercato ma sia in realtà una precisa volontà della classe più agiata. Ciò rappresenta un importante cambio di prospettiva poiché rende palese il processo di dominazione attraverso lo spazio urbano. Di seguito descrivo la struttura urbana di Porto attraverso le principali fasi che hanno interessato ognuna delle categorie spaziali che la compongono e attraverso l’esercizio di mappatura provo a riconoscere la relazione tra di esse.


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Il centro storico: espulsione e turistificazione Il centro storico di Porto si estende lungo il Fiume Douro ed è racchiuso nel perimetro delle antiche mura medievali. Il patrimonio storico e culturale che quest’area racchiude ha fatto sì che l’Unesco lo riconoscesse come patrimonio mondiale dell’umanità nel 1996. La Baixa invece coincide con la città dei primi anni del XIX secolo, con l’espansione che seguì la rivoluzione industriale e il consolidamento del XX secolo. A partire dalla riconfigurazione in termini metropolitani della struttura urbana (anni ’80), il centro storico ha subito un forte processo di degrado. Basti notare che tra il 1991 e il 2001 la popolazione di Porto è diminuita da 40 mila abitanti mentre negli altri comuni del AMP è aumentata di 133 mila. L’invecchiamento della popolazione residente nel nucleo storico e l’abbandono di molte delle abitazioni per zone più accessibili alla mobilità privata hanno contribuito anche alla scomparsa di molte delle attività commerciali e alla trasformazione dell’area storica in uno dei maggiori centri di traffico e consumo di droga della città. Nel 2000, l’intera area è stata classificata come ACCRU — Área Crítica de Recuperação e Reconversão Urbanística — ed è stato inaugurato un complesso programma di riqualificazione, definito dal Masterplan per la rivitalizzazione urbana e sociale della Baixa di Porto e guidato dalla PORTO VIVO, società pubblica istituita nel 2004 per il recupero delle strutture antiche e per la riqualificazione del tessuto urbano, attraverso la concessione di benefici finanziari e fiscali. Il processo di gentrificazione che ne sta risultando prevede l’espulsione di alcune delle fasce deboli

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residenti nelle strutture decadenti per zone della città meno centrali e la costruzione di una nuova immagine urbana che vorrebbe attrarre nuovamente investimenti soprattutto legati al settore turistico (Queiros, 2013). I processi di gentrificazione e displacement, prima sporadici e ristretti ad alcune specifiche aree delle maggiori città europee, stanno diventato un trend generalizzato: la loro incidenza è globale ed è connessa ai circuiti del capitale finanziario e della circolazione culturale (Sassen, 2014).

pagina a fronte Mappa delle localizzaizoni dei Condominios fechados Elaborazione dell’autrice su base Bring Map

Il nuovo centro Con l’abbandono del centro storico come luogo simbolico della città, si è andata consolidando una nuova centralità in corrispondenza dell’Avenida Boavista, che a partire dagli anni ’90 ha visto nascere gallerie, centri commerciali, banche, hotel e ristoranti caratterizzati da ampi volumi. L’Avenida nasce da un progetto della metà del XIX secolo sull’influenza del boulevard di stampo francese e unisce il nucleo centrale della città con la costa. Lo sviluppo del nuovo centro è andato di pari passo con lo sviluppo di aree residenziali per la popolazione con forte potere d’acquisto e ha visto importanti interventi pubblici di valorizzazione delle aree limitrofe: il Parque da Cidade, il più grande parco urbano del paese, realizzato nel 1991, la Casa da Musica costruita nel 2001 in occasione della candidatura di Porto a Capitale della Cultura Europea, attraverso un bando di concorso al quale parteciparono i più famosi architetti internazionali, vinto poi da Rem Koolhaas. È stato da poco approvato un progetto di recupero dell’Avenida Boavista che investe 4,2 milioni di euro al fine di migliorare la mobilità, la pavimentazione, l’allargamento dei marciapiedi. In relazione al nuovo centro Villaça (2001) ritiene che la classe dominante attribuisca valore simbolico di centro alla parte di città che sviluppa in base ai propri bisogni: questa non rappresenta tutta la cittadinanza, come faceva invece il centro storico grazie ai valori culturali ad esso legati, ma gli viene attribuito da chi ha potere di creare a dare significato allo spazio. La classe agiata: investimenti immobiliari e autosegregazione Come accennato e come risulta da più di uno studio sulla distribuzione della popolazione su base socioeconomica a Porto, c’è una tendenza della popolazione con alto potere d’acquisto di concentrarsi nella parte orientale, vicino alla foce del fiume e al mare. Paradigma di questo fenomeno è l’aumento dei condomini privati che a Porto rappresentano un’offerta immobiliare piuttosto recente ma che inizia ad essere comunque significativa (Raposo, 2012). Le offerte immobiliari con le caratteristiche del condominio fechado, contraddistinte da spazi controllati ed esclusivi, si basano su una forte retorica della si-


curezza (Lopes Teixeira, 2013) nonostante il Portogallo presenti tassi di criminalità tra i più bassi d’Europa e nonostante siano le classi più povere a soffrire maggiormente della violenza. A Porto li troviamo concentrati in aree della città definite privilegiate (l’Avenida Boavista e la zona di Foz do Douro) tanto per l’accesso alla natura8 che alla mobilità urbana e basano il proprio marketing sulle idee di lusso, esclusività e differenziazione. Lopes Teixeira (2013) nel suo studio inoltre, mette in evidenza come i condomini di lusso siano localizzati in regioni amministrative con un forte orientamento politico conservatore, il che fa pensare alla necessità di concentrazione dell’elite economica a cui fa riferimento Villaça (2001). Nell’esercizio di mappatura si è tentato di localizzare le principali offerte di appartamenti in vendita in condomini chiusi di lusso (sopra 500 mila €) effettuato attraverso i principali motori di ricerca immobiliare (www.luximus.pt; www.imovistual.com). La classe popolare: l’edilizia pubblica e la costruzione informale In Portogallo, come nel resto d’Europa, l’edilizia pubblica ha dato un significativo contributo per la soluzione del problema abitativo che si era creato a cominciare dalla massiccia migrazione dalle campagne indotta dal processo di industrializzazione alla fine del XIX sec.

8 L’ offerta pubblicitaria di questo tipo di appartamenti di lusso si basa principalmente sulla valorizzazione della natura in termini di vista sul fiume Douro e accesso ad aree verdi come il Parque da Cidade.


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Edifici di edilizia pubblica a Porto Foto dell’autrice

pagina a fronte Mappa dei quartieri di Edilizia pubblica a Porto Elaborazione dell’autrice

La storia dell’abitazione popolare a Porto comincia con il XX secolo spinta da preoccupazioni umanitarie, di salubrità e salute pubblica nel tentativo di offrire agli operai soluzioni differenti dalle Ilhas9 e quindi di limitarne la proliferazione. La costruzione di abitazioni per la classe vulnerabile cominciò a partire dal 1918 in forma pioniera nel paese. Ma gran parte di quello che oggi rappresenta il parco abitativo pubblico della città si deve direttamente o indirettamente al Piano di Miglioramento della città di Porto (19561966), che implicò una profonda trasformazione nelle logiche di crescita delle città ed ebbe un forte impatto negli aspetti urbanistici, economici e sociali. Furono costruite infatti circa 6.000 unità abitative in aree allora periferiche10 dove venne dislocata il 20% della popolazione che occupava le aree centrali, soprattutto i più poveri che abitavano nelle Ilhas (CMP, 2001b, p. 17). Queste iniziative utilizzavano la formula del canone resoluvel che permetteva all’inquilino l’accesso alla proprietà dell’alloggio abitato generalmente entro 25 anni. A Porto nel periodo dello sviluppo industriale cominciarono a proliferare le Ilhas. Nascevano per iniziativa privata, soprattutto da parte della classe media-bassa che costruiva e affittava agli operai una serie di piccole case, normalmente di un solo piano, orientate secondo la lunghezza del lotto (5,5 m di fronte e 100 m di profondità) e perpendicolari alla strada (CMP 2001a). In poco tempo divennero l’abitazione operaia per eccellenza, caratterizzate da spazi ridottissimi e da servizi igienici esterni e collettivi per ogni nucleo di case. Si tratterà nello specifico il tema delle Ilhas più avanti. 10 Dei 13 quartieri costruiti solo due furono in aree centrali. Nascono in quest’epoca i quartieri di Cerco do Porto, S. Roque da Lameira, Regalo, Outeiro, Fonte de Moura e Pasteleira, S. Joao de Deus e Lagarteiro. 9


Successivamente, il forte processo di immigrazione dai paesi ex-colonie a partire dal ’74 produsse nuovamente fenomeni di abitazione precaria. Nel 1990 a Porto esistevano circa 3.000 abitazioni considerate inadeguate tra baracche e Ilhas. Una nuova fase di costruzione di quartieri di edilizia pubblica cominciò a partire dal 1993 con il Programma Especial de Realojamento11 che aveva l’obiettivo di smantellare i bairros de barracas e riprodusse l’abitazione sociale europea del post-guerra costruendo edifici nei suburbi delle aree metropolitane dove fu concentrata la popolazione vulnerabile. Attualmente esistono 39 quartieri municipali che ospitano circa 40.000 persone (il 15% della popolazione della città) le cui caratteristiche non sono omogenee né in termini urbani né socio-economici. D’altro canto la figura spaziale delle Ilhas, originatasi parallelamente allo sviluppo industriale della città a partire dagli inizi del 1800, può essere assimilata ad un tipo di abitare informale, non tanto per quel che riguarda l’aderire o meno alla legislazione vigente quanto per la qualità delle abitazioni, per la composizione sociale ma soprattutto per la retorica che ha accompagnato i programmi pubblici nel tempo. Come vedremo nel prossimo capitolo, le Ilhas nascono come investimenti privati di famiglie della classe media e da una specifica divisione del suolo urbano in lotti stretti e lunghi: sulla strada sorge la casa del proprietario

Il programma, istituito attraverso il Decreto-Lei n. 163/93, de 7 de Maio, aveva l’obiettivo di rialloggiare in quartieri di edilizia pubblica la popolazione che viveva in quartieri autocostruiti nelle aree metropolitane di Lisbona e Porto.

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Piano Alameda Garrett, 1947-1956 Fonte: CMP

pagina a fronte Mappa delle principali infrastrutture viarie Elaborazione dell’autrice su base Bring map

mentre la lunghezza del lotto viene tagliata perpendicolarmente alla strada da un corridoio sul quale affacciano le numerose porte delle unità abitative. I servizi igienici, una volta in comune e disposti in fondo al lotto, sono nel corso degli anni stati costruiti dagli inquilini all’interno di ogni abitazione. Le Ilhas si caratterizzano per la loro posizione prevalentemente centrale all’interno della città, per le piccole dimensioni degli alloggi, per gli elevati prezzi degli affitti nel mercato privato ma anche per il tipo di popolazione che vi risiede. Le Ilhas affollano alcuni dei quartieri che circondano il centro antico e per questo ancora oggi il prezzo dell’affitto per queste mini-case è molto più alto che per un appartamento di qualità in periferia. Esistono inoltre a Porto una serie di piccoli insediamenti informali costruiti per lo più su terreni incolti come per esempio la scarpata das Fontainhas. Queste abitazioni autocostruite e dalle fragili condizioni garantiscono alle famiglie che vi risiedono (alcune di origini africane) l’accesso al centro della città. Alcune di queste famiglie (che abitavano nel bairro São Nicolau), sono state nel 2013 obbligate a lasciare le loro case e trasferite in un quartiere di edilizia pubblica periferico e stigmatizzato. Nello stesso anno sono state demolite due delle cinque torri dello stigma-


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tizzato bairro do Aleixo, quartiere costruito negli anni ’70 e diventato il simbolo dello spaccio e consumo di droga. Questo atteggiamento autoritario ha pervaso quasi costantemente i programmi pubblici nei confronti della città dei ‘poveri’. Se consideriamo il “Programa de Salubrização das Ilhas do Porto”, il già accennato PER e la più recente pratica di demolizione e espulsione degli abitanti dalle aree considerate ‘degradate’, possiamo evidenziare tre punti che li accomunano e che hanno molto a che vedere con il contesto brasiliano: prima di tutto la criminalizzazione degli spazi occupati dalla classe vulnerabile e l’associazione a caratteristiche di ‘devianza’; l’utilizzo di questa retorica al fine di liberare zone appetibili per il mercato attraverso interventi di ‘pulizia sociale’ (Queiros, 2013); infine la tendenza di concentrare, attraverso questi programmi, la popolazione economicamente svantaggiata in aree specifiche della città. L’infrastruttura viaria: mobilità e accessibilità. A Porto l’infrastruttura viaria ha avuto il ruolo di accompagnare le direzioni del mercato immobiliare soprattutto in corrispondenza della già citata Avenida da Boavista e della ‘via rapida’ che collegava fin dal 1960 il centro della città con il comune limitrofo di Matosinho: qui si concentrava infatti in quel periodo lo sviluppo di un polo turistico di seconde case. La ‘via rapida’ è stata trasformata in seguito in una strada ad alto scorrimento (A28) che dopo Matosinho prosegue verso il litorale nord. La VCI — Via de Cintura Interna che circonda ad anello le zone centrali dei nuclei urbani di Porto e Vila Nova de Gaia, è stata pensata per

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la prima volta da Almeida Garrett nel Plano Geral de Urbanização da Cidade do Porto del 1947 ma la sua realizzazione è cominciata nel 1963 (per concludersi nel 2007). L’aumento dell’utilizzo del trasporto privato e le infrastrutture ad alto scorrimento hanno contribuito alla perdita della compattezza dell’Area Metropolitana: all’interno della cintura risiede solo il 30% della popolazione totale. Dalla sovrapposizione delle diverse mappature si manifesta una tendenza alla bipolarità della struttura urbana di Porto che vede una concentrazione della classe socioeconomica più debole nelle zone orientali e della classe più abbiente in quella occidentale, lasciando la zona del centro storico ad un progressivo spopolamento ad uso e consumo del turismo e del capitale finanziario. Attraverso l’esercizio di mappatura che segue vedremo come gli indicatori statistici tendenzialmente confermino queste considerazioni. pagina a fronte a sinistra Tassa di variazione della popolazione residente 2001-2011 Fonte: Alves 2013 a destra Distribuzione degli edifici e delle unità abitative nel 2011 Fonte: Alves 2013

Esercizio di mappatura su indicatori Il Municipio di Porto ha una popolazione di 237.591 persone mentre la sua Area metropolitana ne ospita 1.759.524 (INE, 2011). Nonostante costituisca il secondo municipio più piccolo dell’Area Metropolitana, Porto esercita il ruolo di centro urbano polarizzatore concentrando 1/4 della popolazione con una densità media molto più alta della media generale. La ristrutturazione del sistema produttivo del centro della metropoli, che ha visto un forte declino dell’attività industriale e la transizione verso una società di servizi, ha indotto processi di ricomposizione demografica del tessuto sociale del centro e delle periferie. Per un’analisi di questa dinamica mi appoggerò ad uno studio prodotto da Alves (2013) sull’area metropolitana mentre concentrerò l’esercizio di mappatura degli indicatori a livello intra-urbano per poterlo confrontare con l’esercizio precedente. Come accennato, alcuni autori hanno studiato gli aspetti socioeconomici di Porto spazializzandoli attraverso la realizzazione di mappe che mettono in relazione il territorio e gli indicatori statistici: nello specifico Alves (2013) ha utilizzato i dati del censimento nazionale prodotto dall’INE relativi alla struttura sociale, all’impiego e all’offerta del mercato abitativo per leggere la segregazione socio spaziale a livello Metropolitano. Monteiro e Madureira (2009) invece hanno rappresentano il ‘grado di felicità’ di Porto, calcolato sulla base dell’accesso all’educazione, all’impiego e all’abitazione a scala intra-urbana. I risultati di entrambi gli studi sono interessanti ai fini del nostro esercizio e delle riflessioni fino ad ora condotte. Alves (2013) mettendo in relazione i dati degli ultimi censimenti disponibili (2001 e 2011) mostra come il municipio di Porto abbia perso abitanti rispetto alla sua area metropolitana che ne ha guadagnati.


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Legenda Municipios Alojamentos 113-972 973-2090 2091-3286 3287-5050 5051-9171 Edificios 113-972 973-2090 2091-3286 3287-5050 5051-9171

Legenda Municipios 2001|2011 22% | 15% 7% | 15% -3% | 7% -18% | -4% -35% | -26% 0 2.5 5

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Il processo di riorganizzazione dello spazio residenziale all’interno dell’area metropolitana di Porto è stato marcato da un processo di decompressione e di estensione degli usi residenziali in un vasto territorio suburbano (fig.2). L’acquisto dell’automobile e il miglioramento dell’accessibilità viaria hanno contribuito alla creazione un una struttura urbana policentrica [a livello metropolitano].

Nel passaggio da una società industriale a quella di servizi il settore centrale e orientale ha continuato a prevalere l’affitto mentre nella corona esterna recentemente urbanizzata la classe media ha comprato la casa. Nella parte occidentale con meno densità e valore paesaggistico si concentra la classe alta. Le politiche di salubrizzazione del centro storico, il mercato immobiliare e le scelte di pianificazione urbana hanno rafforzato il carattere della struttura socio-economica. (Alves, p. 3) Anche divisione in termini di età (vecchi centro storico e giovani periferia) e qualificazioni (corso superiore concentrato a occidente). Ma mentre


La città luminosa e la città oscura Fonte: Monteiro, Madureira, 2009

dalle riflessioni di Alves trapela l’idea che la zona occidentale attragga la popolazione con più potere acquisitivo e che gli effetti di questa maggiore richiesta facciano alzare i prezzi di mercato e quindi diano vita ad una ricomposizione sociale di questa area (Alves, p. 4). Lei attribuisce al mercato immobiliare la responsabilità di questa polarizzazione: un modello di distribuzione che conferma il ruolo che il mercato immobiliare ha avuto nell’attribuzione delle differenti localizzazioni, tipi e qualità di case a gruppi sociali diversi in funzione del proprio potere d’acquisto. (Alves, p . 4)

pagina a fronte Mappa del tasso di disoccupazione Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011

Monteiro e Madureira (2009) elaborano invece un indicatore complesso, calcolato sulla base dell’accesso all’educazione, all’impiego e all’abitazione, che sia in grado di mappare a livello intra-urbano il ‘grado di felicità’ della città. Per l’elaborazione delle mappe della città luminosa e della città cupa hanno considerato i seguenti indicatori: persone con scolarità superiore >31%, tasso di disoccupazione <2,5% e edificato posteriore al 1996 >21% da un lato e tasso di analfabetismo >16%, tasso di disoccupazione >21% e dipendenza degli anziani >76% dall’altro (Monteiro, Madureira, 2009, p. 19).


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Sulla falsa riga di queste analisi, procediamo ora a mappare alcuni indicatori nel tentativo di confermare o smentire la tesi sostenuta: purtroppo in relazione alle logiche identificate come causa dei processi di esclusione urbana dei paragrafi precedenti, dobbiamo riconoscere che non sono tutte traducibili facilmente in indicatori quantitativi misurabili. Nonostante ciò è possibile elaborare alcune mappe che ci permettono di verificare come si concentri l’esclusione urbana in determinate zone della città. Per questo esercizio ho utilizzato una base vettoriale delle aree urbane di Porto e ho associato all’unità di analisi intra-urbana (Freguesia) utilizzata dall’istituto di statistica portoghese (INE) alcuni indicatori, elaborando le mappe attraverso un softwear GIS (il softwear opensource Qgis). Gli indicatori scelti ritraggono gli aspetti salienti di due ambiti principali, le caratteristiche socioeconomiche e le condizioni abitative e sono relativi all’ultimo censimento disponibile del 2011. L’esercizio permette di confrontare a posteriori, una volta disponibili i dati del prossimo censimento, l’inasprirsi o meno dei fenomeni di polarizzazione che siamo oggi a valutare. Per quanto riguarda gli aspetti socio economici ho considerato: 1. il tasso di disoccupazione, 2. la proporzione della popolazione residente di nazionalità straniera; 3. la proporzione di professionisti più valorizzati; 4. l’onere medio mensile per l’acquisto della casa (€); Per quanto concerne invece gli aspetti relativi alle condizioni di abitazione e alla qualità del costruito ho considerato:

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pagina a fronte in alto Mappa della percentuale di stranieri residenti Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011 al centro Mappa della proporzione di professionisti più valorizzati Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011 in basso Mappa dell’onere medio mensile per l’acquisto della casa Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011

1. la proporzione di unità abitative che presentano la carenza di almeno una infrastruttura di base; 2. la proporzione di soluzioni abitative considerate “non classiche”; 3. la proporzione di case che presentano una situazione di sovraffollamento; 4. la proporzione di edifici che necessitano opere di recupero; 5. la superficie media utile delle unità abitative; 6. I valori di reddito medio per m2 per contratti di affitto di tipo residenziale (€). Da uno sguardo veloce sulle mappe relative alla caratterizzazione socioeconomica delle differenti freguesias della città, risulta subito evidente un comportamento che contraddistingue zone dello spazio intra-urbano diverse in maniera simile rispetto ai quattro indicatori considerati. La freguesia di Campanha ad esempio presenta un alto tasso di disoccupazione, una bassa presenza di professionisti più valorizzati, e la quota più bassa di mutuo per l’acquisto della casa, che significa che la qualità degli immobili è peggiore del resto della città così come il reddito medio della popolazione più basso rispetto agli altri. All’opposto la freguesia di Novagilde presenta il più basso tasso di disoccupazione, la percentuale più alta di professionisti e la spesa maggiore per l’acquisto degli immobili. Si distaccano, nella dinamica tra questi due poli opposti, le freguesias del centro storico i cui dati riflettono il tendenziale abbandono dei residenti: i tassi di disoccupazione sono sostanzialmente alti, la presenza di professionisti molto bassa e i prezzi dell’acquisto delle case di poco più alti della zona orientale. Per quanto riguarda invece il dato sulla presenza di persone straniere, il dato sembra essere poco significativo: questo è dovuto principalmente alla caratterizzazione della presenza straniera nella città. Il flusso migratorio dai paesi ex-colonie portoghesi o dai paesi dell’est Europa si è infatti predominantemente concentrato a Lisbona. L’alta percentuale di persone di altre nazionalità nella freguesia di Novagilde induce a pensare che si tratti di cittadini di altri paesi europei e comunque non considerabili all’interno della fascia socio-economicamente vulnerabile. Proseguendo con le mappe relative alle condizioni abitative e del costruito, costatiamo che i primi quattro indicatori delineano paesaggi simili: le percentuali di abitazioni non classiche, di abitazioni senza infrastrutture di base, in sovraffollamento e la proporzione degli edifici che necessitano di recupero, presentano proporzioni simili nelle stesse freguesias. Ad esempio la freguesia di Aldoar conta 1,27% di abitazioni con carenza di infrastrutture, 0,09% di abitazioni “non classiche”, 11,34% di abitazioni in condizione di sovraffollamento e 17,81% di edifici che necessitano di recupero, contro rispettivamente il 3,76%, 0,43%, 18,53% e 49,21% della freguesia di Campanha. Emergono nuovamente i due caratteri opposti del polo orientale, caratterizzato da pessime condizioni e il polo


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Mappa della percentuale di abitazioni con carenza di infrastrutture di base Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011

pagina a fronte in alto Mappa della proporzione di abitazioni ‘non classiche’ Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011 al centro Mappa della proporzione di abitazioni sovraffolate Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011 in basso Mappa della proporzione di edifici che necessitano di recupero Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011

occidentale invece da buona qualità. Il centro presenta ancora una situazione legata al forte degrado delle strutture e alla qualità dell’abitare, raggiungendo le percentuali più alte in relazione alla carenza di infrastrutture (Sao Nicolau 6,11%; Miragaia 8,05%; Sè 10,24%) e anche alle abitazioni sovraffollate (Sao Nicolau 25,45%; Miragaia 23,63%; Sè 27,11%). Da leggere in senso contrario (invertendo i colori) le due mappe sulla superficie media disponibile e il prezzo dei contratti di affitto: i valori maggiori caratterizzano la zona occidentale e quelli minori la zona orientale. Da notare che la superficie media utile nella freguesia di Campanha (81 m2) è la metà di quello di Nevogilde (160 m2) e che nel centro storico abbiamo dimensioni ancora più ridotte (65 m2), mentre i prezzi più alti per m2 sono nelle freguesias di Lordelo de Ouro e Massarelos che si trovano più vicini al centro storico ma con caratteristiche qualitative tendenzialmente alte. Questo esercizio da un lato conferma sia la lettura per categorie spaziali di analisi precedentemente elaborata, sia la tesi che vi sia una tendenza alla concentrazione socio-economica in poli distinti; dall’altra però rivela ancora la permanenza delle caratteristiche di complessità di alcuni tessuti urbani che non presentano situazioni del tutto omogenee come ad esempio Lordelo de Ouro e Massarelos dove la presenza di edifici che necessita di recupero è molto più alta delle freguesias ‘nobili’ a cui altri dati sembrano ammiccare. Ciò avvalla la tesi difesa da Villaça di guardare ai processi di dominazione attraverso lo spazio tramite unità d’analisi ampie, ovvero per regioni.


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in alto Mappa della superfice media utile Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011 in basso Mappa valori di reddito per m2 Elaborazione dell’autrice su dati INE 2011


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Costruire spatial justice: riqualificazione inclusiva del tessuto urbano storico

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costruire spatial justice: riqualificazione inclusiva del tessuto urbano storico •

Ilha de Rua San Vitor, Porto Foto dell’autrice

Giustizia spaziale e ‘diritto al luogo’ Questo capitolo, attraverso l’analisi di un progetto di riqualificazione che possiamo definire inclusiva, che ho avuto modo di accompagnare da vicino sviluppato nella città di Porto, vuole affrontare la problematica delle espulsioni dei residenti spesso legata a progetti di rigenerazione urbana delle aree storiche della città e proporre alternative concrete: l’esperienza presenta infatti aspetti interessanti che possono essere di ispirazione per una politica più ampia. Si tratta di un processo sperimentale condotto dal LAHB Social — Laboratorio de Habitação Basica e Social, a partire dal 2013, che ha portato a un intervento di riqualificazione della Ilha de Bela Vista. Le Ilhas sono abitazioni popolari proliferate in seno allo sviluppo industriale di Porto e caratterizzate da una precisa morfologia che contraddistingue non solo il tessuto urbanistico, ma anche quello sociale di una parte del centro storico della città: la chiusura rispetto all’esterno e la presenza di uno spazio comune all’interno, ha dato origine a piccole comunità. Le condizioni di salubrità di queste abitazioni dalle dimensioni ridottissime sono molto precarie e la riqualificazione del tessuto urbano delle Ilhas è una necessità urgente. Nasce in questo panorama l’esperienza della Ilha de Bela Vista che propone una politica che sappia riqualificare il tessuto abitativo e urbano della città storica mantenendo la struttura sociale. D’altro canto se osserviamo da quali principi siano state orientate le politiche di riqualificazione fino a oggi nel contesto portoghese, notiamo purtroppo come i due fenomeni di polarizzazione e gentrificazione siano stati inevitabilmente legati e prodotti da progetti top-down, approfonditamente analizzati da vari autori (Fortuna, 1995; Queiròs, Rodrigues, 2005; Lopes Teixeira, 2013; Galhardo, 2014; Mendes, 2014; Alves, 2017). Le riflessioni sviluppate in questo capitolo partono quindi dall’analisi delle politiche di riqualificazione che nel corso dello scorso secolo e agli inizi di questo hanno interessato le Ilhas e più in generale le aree degradate della città, mettendo in evidenza i processi di delocalizzazione della popolazione vulnerabile che li hanno accompagnati. La particolare lente con cui vengono interpretati i risultati di queste politiche è la prospettiva della spatial justice (Soja, 2009) che


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pagina a fronte Ilha d Travessa das Antas, Porto, 1960 Foto storica

nel caso specifico delle Ilhas di Porto assume i contorni della difesa del ‘diritto al luogo’ (Inbroscio, 2004; Newman, Wyly, 2006). In ambito europeo, notiamo come nelle principali aree metropolitane, l’inasprimento delle situazioni di vulnerabilità economica e sociale sia stato accompagnato da un progressivo aumento della polarizzazione sociale e spaziale (Marcuse, Van Kempen, 2000; Musterd et al., 2016). Un ruolo fondamentale in questa direzione viene spesso giocato dai fenomeni di gentrificazione che interessano aree oggetto di rinnovo urbano, tra cui soprattutto i centri storici (Cameron 1992; Bailey, Robertson, 1997; Atkinson 2004; Porter, Shaw 2009; Leary, McCarthy, 2013). Infatti la maggior parte dei progetti di rigenerazione urbana che interessa le aree centrali della città sembra non tener conto degli aspetti negativi dei fenomeni di gentrificazione (Marcuse, 1985; Slater, 2006, 2009) che le investono, ovvero la conseguente sostituzione del tessuto sociale (Hamnett, 2003). In risposta a queste tendenze, a partire dagli anni ’90 si è inaugurata una nuova stagione di riflessione ispirata al Lefebvriano ‘diritto alla città’ (1968) che ha dato vita ad esperienze che nascono dal basso e seguono principi intrinsecamente democratici come la partecipazione degli abitanti, il diritto delle fasce deboli a vivere nel centro della città, la qualità dell’abitare sociale (vedasi i numeri tematici: Samara et al., 2013; Aalbers, Gibb, 2014). Sono molti i programmi di riqualificazione e rigenerazione urbana che si sono ispirati alla sostenibilità sociale riconoscendo negli approcci bottom-up o nelle azioni grass-roots una strategia efficace (Butler, 2007; Rabbiosi, 2016). Il programma di riqualificazione della Ilha de Bela Vista si inserisce all’interno di questo tipo di progetti con la particolarità di intrecciare il tema della riqualificazione del tessuto storico con quello delle politiche abitative. Infatti, Bela Vista è proprietà della Domus Social che si occupa di gestire il patrimonio di edilizia pubblica di Porto e l’intervento è stato costruito con la partecipazione degli abitanti con il principale obiettivo di permetterne la permanenza: gli aspetti considerati più rilevanti possono essere di ispirazione per progetti, programmi e politiche che puntino a riqualificare gli ambienti urbani (non solo di proprietà pubblica) preservandone il tessuto sociale e la conseguente identità. Ilhas operarias a Porto In seguito allo sviluppo industriale, tra il 1864 e il 1900, Porto vide duplicata la sua popolazione (Vazquez, Conceição, 2015). Per dare alloggio alla massa di contadini che si riversava in città per lavorare nelle industrie, cominciarono a proliferare le Ilhas, raggruppamenti di piccole case, normalmente di un solo piano, nate da una specifica morfologia della lottizzazione urbana (5,5 m di fronte e 100 m di profondità), definita dal piano di



Pianta di Porto, XIX secolo Fonte: CMP

João de Almada e Melo per l’espansione della città alla fine del XVIII secolo1. Sul fronte strada sorgeva la casa del proprietario mentre la lunghezza del lotto era tagliata perpendicolarmente alla strada da un corridoio sul quale affacciavano le numerose porte delle unità abitative. Queste, definite Ilhas (letteralmente ‘isole’ in portoghese) per il loro carattere di chiusura verso l’esterno, nascevano per lo più per iniziativa privata, soprattutto da parte della classe media-bassa che le costruiva e le affittava ai lavoratori delle fabbriche

Il piano regolarizzò parte della maglia medievale attraverso l’allargamento e l’allineamento di alcune strade e strutturò lo sviluppo urbano degli anni seguenti. Organizzò i quartieri attraverso lotti lunghi ma con la stessa larghezza (tra 5,5 e 6,5 m) definendo così una logica di fronte strada e un modello tipologico di occupazione del territorio.

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che si trovavano ai bordi dell’antico centro (CMP, 2001a). In poco tempo divennero l’abitazione operaia per eccellenza, caratterizzate da spazi ridottissimi, con problemi d’illuminazione e ventilazione e con servizi igienici esterni e collettivi per ogni nucleo di case. Nonostante, come ricorda Pereira (2011), quello delle Ilhas sia un fenomeno ben precedente al processo di industrializzazione, sicuramente si diffuse a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo: secondo uno studio del 1885, in quell’anno esistevano a Porto 530 Ilhas che ospitavano circa 20.000 abitanti, mentre all’inizio del XX secolo il 30% della popolazione di Porto (circa 50.000 persone) viveva nelle Ilhas (CMP, 2001b). Durante il primo periodo del processo di urbanizzazione le Ilhas hanno rappresentato per la popolazione che veniva delle campagne il luogo di acceso alla città, uno spazio di transizione caratterizzato dalla tensione tra la dipendenza dalla famiglia, dalla terra, dalla comunità e l’autonomia. Seixas (2008), nel suo studio antropologico sulle Ilhas, evidenzia il carattere spaziale di patio che rimanda agli aggregati pre-urbani, e le definisce come luoghi soglia tra la società rurale e quella urbana, luoghi in bilico tra il diritto alla città e lo stigma. Le condizioni minime di abitabilità, infatti, divennero presto oggetto delle preoccupazioni igieniste dello Stato che definiva la Ilha una tipologia insalubre. Questi spazi e i loro abitanti furono descritti fin dalla fine del XIX secolo come luoghi di povertà, insalubrità, immoralità e criminalità, legittimando quelle che Seixas (2008) definisce ‘politiche della differenza’, di esclusione dell’‘altro’. Furono varati vari programmi con l’obiettivo di ‘normalizzare’ e standardizzare i modi di abitare della classe popolare che ebbero come risultato quello di concentrarla in aree fuori dal tessuto urbano continuo, come si vedrà più avanti. Tuttavia le Ilhas sono ancora presenti nel tessuto spaziale e sociale della città compatta rappresentando un patrimonio storico e identitario per la città di Porto. Secondo l’ultimo rilievo relativo alla dimensione e alle condizioni abitative delle Ilhas di Porto, realizzato durante il 2014, esistono infatti ancora circa 4900 abitazioni occupate da quasi 10.500 abitanti (Vazquez, Conceição, 2015). In un altro rilievo sulla composizione sociale di alcune Ilhas (Loueiro de Matos, Vieira Rodrigues, 2009) si evince che una buona parte delle abitazioni sia occupata da persone anziane che vi risiedono fin dalla nascita. La convivenza di molti anni genera relazioni forti di vicinato e solidarietà che attenuano le situazioni di solitudine e isolamento spesso associate alla vecchiaia. Infatti, la conformazione a ‘conchiglia’, che vede un accesso controllato rispetto all’esterno (normalmente attraverso una porta o un cancello sulla strada) e all’interno uno spazio condiviso e dei servizi comuni (lavandino, pozzo, servizi igienici, ecc.), “facilita la formazione di uno spirito di comunità fondato su relazioni intense di vicinato, rinforzate spesso dalle relazioni parentali tra gli abitanti” (Pereira, 2011, p. 480). D’altro canto, un numero significativo di persone risiede nelle

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Plano de Melhoramento do Porto 50-60 Fonte: CMP

pagina a fronte Viste della Ilha de Bela Vista prima dell’intervento Elaborazione dell’autrice. Fonte: Google Earth

Ilhas da meno di 10 anni (Loueiro de Matos, Vieira Rodrigues, 2009), dato che indica una certa ricomposizione sociale, soprattutto in termini generazionali2. Inoltre, nell’89% dei casi questi nuovi inquilini pagano un affitto molto alto (dai 200 ai 400 € mensili) se rapportato alla qualità dell’abitazione e al reddito medio portoghese. Dai vari studi sulla situazione attuale delle Ilhas (Seixas, 2008; Loueiro de Matos, Vieira Rodrigues, 2009; Vazquez, Conceição, 2015) e dal lavoro di campo svolto attraverso interviste e sopralluoghi, è possibile sottolineare quattro aspetti principali del fenomeno: 1. la situazione abitativa mostra nel complesso aspetti problematici soprattutto legati alla salubrità delle costruzioni; 2. le Ilhas presentano situazioni molto diversificate dal punto di vista morfologico, rispetto alla localizzazione, così come nelle situazioni di occupazione; 3. il contesto sociale si presenta generalmente molto vulnerabile; 4. infine, il fenomeno pur presentando le sue specificità, rimanda a una problematica più ampia: la relazione tra i nuclei familiari vulnerabili e l’accesso all’abitazione. Tutto ciò indica la necessità di pensare a interventi integrati che tengano conto della diversità e della complessità di questo fenomeno. 2

Dallo studio emerge che il 55% della popolazione ha meno di 45 anni.


Una panoramica sulle politiche per le Ilhas Per comprendere come nel contesto portoghese le politiche di riqualificazione urbana siano state profondamente legate alle politiche abitative e di edilizia pubblica, verranno analizzati di seguito i principali programmi che hanno interessato le Ilhas e le forme di abitazione popolare in generale durante il secolo scorso. Alcuni di questi sono stati già accennati e saranno ripresi più avanti, ma vengono letti qui in relazione allo specifico caso delle Ilhas e della città di Porto. Si noterà ancora come le politiche abbiano progressivamente allontanato la popolazione economicamente e socialmente vulnerabile dal tessuto storico contribuendo al processo di polarizzazione sociale. Il piano di Risanamento del decennio 1956-66 Alla fine del secolo XIX con il proliferare delle Ilhas crebbe la preoccupazione rispetto alle condizioni igieniche delle abitazioni popolari, descritte come possibili “fuochi di infezione fisica e morale” (Pereira, 2011, p. 481). Furono varati quindi dei programmi per sradicare il fenomeno delle Ilhas e offrire agli operai delle soluzioni abitative più salubri. La costruzione di abitazioni statali per la classe vulnerabile cominciò a Porto a partire dal 1918 in forma pionieristica nel paese. Ma gran parte di quello che oggi rappresenta il parco abitativo pubblico della città si deve direttamente o indirettamente al Piano di Miglioramento della città di Porto (1956-1966), che implicò una profonda trasformazione nelle logiche di crescita delle città ed ebbe un forte impatto negli aspetti urbanistici, economici e sociali. Furono costruite infatti circa 6.000 unità abitative in aree periferiche dove venne dislocata il 20% della popolazione che occupava le aree centrali, soprattutto i più poveri che abitavano nelle Ilhas (CMP, 2001b, p. 17). Queste però, come si è visto, non furono sradicate.


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Manifesti SAAL Fonte: Centro de Documentaçao 25 de Abri

Il Programma Especial de Realojamento degli anni ’90 In seguito, a partire dal 1974, il forte processo di immigrazione dai paesi ex-colonie produsse nuovamente fenomeni di abitazione precaria. Nel 1990 a Porto esistevano circa 3.000 abitazioni considerate inadeguate tra quelle definite ‘baracche’ e le Ilhas. La politica abitativa pubblica era stata infatti basata sostanzialmente sull’acquisto della casa propria attraverso il facile accesso al credito, tagliando quindi fuori le classi economicamente più vulnerabili tra cui la popolazione immigrata. Come accennato, a partire dal 1993 fu inaugurato il Programma Especial de Realojamento che aveva l’obiettivo di smantellare i bairros de barracas. Dall’analisi di Cachado (2013) sui presupposti e i risultati del programma, emerge la sostanziale incapacità di fare tesoro degli errori commessi negli anni ’60-’70 in ambito europeo rispetto alla concentrazione massiccia di popolazione economicamente e socialmente vulnerabile: al contrario il programma “riprodusse l’edilizia pubblica europea post-bellica costruendo piccoli ghetti nei suburbi delle aree metropolitane” (Cachado, 2013, p. 148).


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Il Masterplan per il centro storico di Porto Il centro storico di Porto ha subito, dagli anni ’80, un processo di forte degrado dovuto all’invecchiamento della popolazione residente e all’abbandono di molte delle abitazioni per zone più accessibili alla mobilità privata: ciò ha contribuito alla scomparsa di molte delle attività commerciali e alla trasformazione dell’area storica in uno dei maggiori centri di traffico e consumo di droga della città (Pinto, Pereira 2007). A partire dal 2000 è stato lanciato un complesso programma di riqualificazione, definito dal Masterplan per la rigenerazionee urbana e sociale della Baixa di Porto e guidato dalla Porto Vivo, società pubblica istituita nel 2004 per il recupero delle strutture antiche e per la riqualificazione del tessuto urbano (Porto Vivo 2005). Il processo di rigenerazione si è tradotto nell’espulsione di alcune delle fasce deboli residenti nelle strutture decadenti per zone della città meno centrali e la costruzione di una nuova immagine urbana volta ad attrarre investimenti soprattutto legati al settore turistico (Queiros, 2013). In linea con molti progetti europei ed extra-europei di rigenerazione urbana (Porter, Shaw, 2009; Leary, McCarthy, 2013), quello per il centro storico di Porto contribuisce alla storica concentrazione di fasce socio-economiche omogenee in determinate regioni dell’area urbana (cfr. cap. “Esclusione Urbana: verso una comprensione ampia delle principali cause”). L’approvazione del decreto legge conosciuto come Lei das rendas, varata dal governo nel 2014 per sbloccare gli antichi contratti d’affitto con l’obiettivo di riabilitare il costruito delle aree storiche, sottoposto a forte processo di degrado, ha rafforzato la pressione della speculazione immobiliare sulle aree centrali delle principali città portoghesi. Una delle conseguenze di questa legge molto contestata è l’espulsione dei residenti a favore di strutture ricettive per il turismo o semplice speculazione immobiliare da parte di società finanziarie. L’assenza di una politica abitativa pubblica ha reso ancora più profonde le problematiche di accesso ad abitazioni dignitose per la fascia della popolazione più vulnerabile. Dal punto di vista della giustizia spaziale possiamo affermare che si sia verificato un processo sistematico di delocalizzazione in zone periferiche della popolazione vulnerabile, condotto dalle istituzioni. Le principali problematiche che emergono in questo senso sono state ampiamente trattate nel precedente capitolo e dipendono sia dalla forte stigmatizzazione delle forme di abitare popolare (inizialmente la preoccupazione igienista, declinata successivamente come contrasto al degrado) che dalla scarsa qualità degli interventi di edilizia pubblica (tanto dal punto di vista costruttivo come dell’ambiente urbano). Al contrario, l’esperienza di seguito presentata si ispira al rispetto dei diversi modi di abitare e delle complesse identità presenti nel tessuto urbano, al diritto delle fasce economicamente deboli della popolazione a continuare a vivere nei quartieri centrali, ai principi della partecipazione e della democrazia e alla necessaria qualità del progetto urbano e architettonico.

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Plastico del progetto della Ilha de Bela Vista Foto: Susana Varela

pagina a fronte Opere di riqualificazione della Ilha de Bela Vista Foto: Susana Varela

Un progetto per la Ilha de Bela Vista La Ilha de Bela Vista risale al 1870. La sua morfologia è più articolata rispetto alla comune tipologia di Ilha a corridoio unico: è costituita infatti da due corridoi su due livelli distinti collegati da una scalinata, mentre le abitazioni, originariamente 43, sono di due piani. Dopo aver cambiato alcuni proprietari, la Ilha de Bela Vista è attualmente di proprietà comunale ed è amministrata dalla Domus Social che si occupa di gestire il parco abitativo pubblico. I residenti pagano un affitto calcolato in base al loro reddito, per la maggior parte pensioni molto basse. All’inizio del progetto di riqualificazione il 90% delle cellule si trovava in avanzato stato di degrado dovuto sia a difetti di costruzione che a mancanza di manutenzione e proprio per questo molte delle unità abitative erano state abbandonate. La media dell’età degli abitanti residenti è di 60 anni (Matos Rodrigues, 2014). La Ilha de Bela Vista possiede una forte identità: il 3 di aprile del 1975 divenne infatti oggetto di una Operação SAAL (Serviço Ambulatorio de Apoio Local). In seguito alla rivoluzione del 25 di aprile del 1974, il tema abitativo aveva acquistato una nuova dimensione. Il Segretario di Stato per l’architettura e l’urbanistica del primissimo nuovo governo, l’architetto Nuno Portas, nel definire le linee orientatrici del nuovo programma della segreteria, diede forte rilevanza ai contributi dei movimenti popolari e alle tendenze sociali e politiche che si erano liberate a partire dal 25 aprile (Bandeirinha, 2007).



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a sinistra Una abitante della Ilha nella sua casa ristrutturata Foto dell’autrice a destra Vista dell’interno di una abitazione ristrutturata Foto dell’autrice

pagina a fronte Vista dell’interno di una abitazione ristrutturata Foto: Susana Varela

Partendo da una definizione più ampia del diritto all’abitare, che non si limita al diritto alla casa, Portas affermò la necessità dello Stato “di regolare e appoggiare tecnicamente ed economicamente le dinamiche delle popolazioni e il loro sforzo per risolvere il problema dell’abitazione” (Bandeirinha, 2007, p. 112). Sotto lo slogan “Casa Sim, Barracas Não!”, migliaia di abitanti delle Ilhas e dei quartieri popolari di Porto, costituiti in associazioni, diedero vita ad un movimento per la difesa del diritto alla casa. Tra il 1974 e il 1976 si sviluppò l’Operação SAAL con l’obiettivo di supportare la popolazione che si trovava in condizione abitativa precaria attraverso ‘brigate’ che offrivano assistenza progettuale e tecnica ai quartieri degradati (Nunes, Serra, 2004). Il programma era improntato sui principi della democrazia diretta, della partecipazione degli abitanti in tutte le fasi dalla progettazione alla costruzione, della difesa del diritto alla città e al luogo contro la speculazione immobiliare, sulla salvaguardia del patrimonio edificato e il suo valore storico e culturale (Matos Rodrigues, Carlos Silva, 2015). Durante l’Operação SAAL nella Ilha de Bela Vista fu istituita l’associazione degli abitanti e furono elaborati alcuni progetti. L’intervento però fu bloccato da problematiche burocratiche e non ebbe alcun seguito concreto. Dal punto di vista identitario al contrario, l’esperienza SAAL ha lasciato un’impronta profonda nella consapevolezza dei suoi abitanti del proprio diritto a continuare ad abitare nella ‘loro’ Ilha. Più di una volta infatti sono stati proposti dalla Domus


Social progetti che prevedevano lo spostamento dei residenti in altri quartieri, da questi sistematicamente rifiutati. La sperimentazione che si è attivata all’interno della Ilha de Bela Vista rappresenta un esempio di come intervenire nel tessuto storico, riqualificando l’edificato senza stravolgere l’identità sia spaziale che sociale del luogo e con interventi sostenibili anche dal punto di vista economico. L’associazione degli abitanti della Ilha nel 2013 ha cercato una collaborazione con il professor Fernando Matos Rodrigues che da anni studia e percorre con gli studenti di architettura le Ilhas di Porto. La collaborazione si è trasformata in un processo di riqualificazione a tutti gli effetti, il “Programa de Renovação da Ilha de Bela Vista”. I principali attori di questo processo sono stati, oltre all’Associazione degli abitanti, il LAHB Social — Laboratorio de Habitação Basica e Social, la CICS.Nova dell’Università do Minho, il Municipio di Porto e la Domus Social. Il processo ha visto poi la sostanziale collaborazione dello studio di architettura Gabinete IMAGO degli architetti Antonio e Andrè Cerejeira, che hanno definito il progetto di ricostruzione delle abitazioni, e il finanziamento dell’IRHU — Istituto di Riqualificazione Urbana — del governo portoghese. Il progetto si inserisce all’interno del più ampio programma di Habitação Basica, condotto dal LAHB Social che si basa sui principi dell’accesso all’abitazione per tutti, del basso costo e del diritto al luogo attraverso percorsi partecipativi. Questa cornice teorica e le diverse fasi del processo nella Ilha de Bela Vista sono state


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pagina a fronte Dettaglio degli interni dopo l’intervento Foto: Susana Varela

oggetto di alcune pubblicazioni (Matos Rodrigues, 2014; Matos Rodrigues, Carlos Silva, 2015; Matos Rodrigues, et al., 2016) e di vari seminari e conferenze pubbliche. Rimandando a questo materiale un racconto più approfondito dell’esperienza, in questa sede preme sottolineare gli aspetti più interessanti del processo. Una caratteristica distintiva dell’intervento nella Ilha è l’alta qualità del progetto architettonico. La bassa qualità degli interventi ha infatti caratterizzato in forma determinante la lunga stagione dell’edilizia pubblica portoghese, producendo soluzioni abitative soggette a un veloce degrado e ad una facile stigmatizzazione legata al basso valore non solo dei materiali e delle soluzioni formali, ma anche dei riferimenti architettonici. Il progetto per la Ilha de Bela Vista costituisce in questo senso un esperimento positivo: sceglie di mantenere intatte le caratteristiche formali della Ilha, ma attraverso piccoli accorgimenti rende la nuova costruzione riconoscibile come intervento contemporaneo. Per contenere i costi della riqualificazione e per sanificare le abitazioni, parte dell’antica struttura è stata ricostruita adottando diverse soluzioni di bioedilizia, tra cui un piccolo vano libero a tutta altezza, che permettono all’aria di circolare e alla luce naturale di penetrare. Dal punto di vista della distribuzione degli spazi, sono state progettate due tipologie per permettere la versatilità dell’utilizzo: la tipologia A) costituita da due piani, per un nucleo familiare fino a 3 persone (16 unità abitative); la tipologia B) costituita da 3 piani per ospitare fino a 5 persone (19 unità abitative). Non meno importanti sono gli aspetti di sostenibilità economica e sociale dell’intervento. L’intero progetto ha avuto un costo contenutissimo (500 mila Euro) con prezzi competitivi per singola unità abitativa (32.000 Euro). L’esperimento dimostra come sia possibile produrre edilizia pubblica a bassissimi costi pur con una qualità eccellente. Certamente si tratta di metrature contenute e di materiali semplici ma, a differenza della maggior parte degli interventi di edilizia pubblica, questa soluzione abitativa non perpetua lo stigma formale e di bassa qualità ad essi legato. Non è inoltre da trascurare l’aspetto ecologico: da notare come le soluzioni di bioedilizia adottate rendano le strutture efficienti dal punto di vista energetico. Altro carattere fondante del progetto è quello sociale: tutto il processo ha contato sulla collaborazione degli abitanti e ogni scelta è stata presa mediando tra le loro esigenze e quelle delle istituzioni: 1. il prezzo dell’affitto delle unità abitative è rimasto invariato dopo l’intervento, un aumento avrebbe impedito agli abitanti di rimanere; 2. durante i lavori di riqualificazione non uno degli antichi residenti della Ilha è stato dislocato in un altro luogo.



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Le opere sono state condotte in modo da garantire la permanenza degli stessi nella Ilha durante tutti i lavori: non avrebbero accettato, come in passato, condizioni alternative per il timore di essere definitivamente allontanati dal quartiere. Una strategia contro il displacement: laboratori partecipati e diritto alla città Un carattere senza dubbio innovativo dell’esperienza è il ruolo del LAHB Social, un laboratorio di ricerca e formazione per gli studenti nato in ambito universitario che si è trasformato in una struttura collaborativa, formata da un’equipe multidisciplinare, con un forte carattere sperimentale che ha permesso di immaginare soluzioni alternative e innovative. Il Laboratorio ambulante si ispira alle esperienze post rivoluzionarie del SAAL, che offrivano appoggio progettuale e tecnico alla popolazione che viveva in situazione precaria. La sede del laboratorio durante il processo partecipativo, è stata spostata all’interno della Ilha, divenendo prima di tutto luogo di relazione; è infatti “la presenza continua e disponibile da parte dei tecnici che da l’opportunità agli abitanti di fare delle proposte” (Matos Rodrigues et al., 2016, p. 56). La stretta collaborazione tra gli abitanti, i professionisti e le istituzioni rappresenta una garanzia di efficacia del progetto e un contributo verso la democratizzazione delle pratiche del planning: percorsi legati alle tematiche abitative come quello della Ilha de Bela Vista possono diventare veri e propri processi di inclusione sociale (Tarsi 2013; 2016). L’esperimento sviluppato nella Ilha da Bela Vista è stato capace di integrare la riqualificazione del tessuto storico con la difesa del diritto all’abitare dei residenti: questo tipo di interventi contrastano i processi di svuotamento dei centri storici e la delocalizzazione delle fasce socialmente ed economicamente deboli della popolazione in aree periferiche e spesso prive di identità e servizi. Una strategia che nei centri storici portoghesi, che presentano migliaia di metri cubi di costruito abbandonato, è quasi ovvia. Al contrario le politiche abitative e di riqualificazione urbana a Porto sono andate in senso contrario, contribuendo all’ulteriore svuotamento del centro storico e consegnando alla speculazione immobiliare e finanziaria la città. La strategia sperimentata nella Ilha da Bela Vista costituisce la base per una politica efficace di riqualificazione delle Ilhas di proprietà pubblica che si sposa con la politica abitativa: invece di concentrare la popolazione vulnerabile fuori dal centro in quartieri lontani, poco serviti e stigmatizzati, difende il diritto a vivere il centro delle città e salvaguarda il patrimonio materiale, ma anche immateriale. Inoltre può essere la base per la definizione di un programma che stimoli interventi


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di riqualificazione nelle Ilhas di proprietà privata che possano combinare la permanenza dei residenti di lunga data con le esigenze dei nuovi abitanti e city-users (studenti, turisti, ecc.) e limitare così i processi di gentrificazione, difendere la mixitè sociale che ha sempre caratterizzato la città del sud Europa e allo stesso tempo garantire abitazioni di qualità a basso costo. La salvaguardia dell’identità storica e relazionale del luogo è l’aspetto che rende il processo nella Ilha de Bela Vista un esempio per la costruzione di una nuova politica abitativa. Nonostante le insalubri condizioni, le Ilhas sono infatti luoghi che gli abitanti non vogliono abbandonare, appartengono alla città, al contrario dei quartieri di edilizia pubblica costruiti per rialloggiare la popolazione che vi abitava (Bairro São João de Deus, Fonte da Moura, Bairro do Cerco) fuori della maglia consolidata, stigmatizzati come luoghi senza identità. “Le Ilhas sono oggi parte integrante della città, patrimonio, identità e punto di riferimento di un modo di abitare” (Matos Rodrigues, 2014, p. 15). Costituiscono una memoria sociale e culturale che rimanda alla prima forma di abitare collettivo della città, un simbolo importante della Porto industriale e operaia del secolo XIX e XX, una tipologia versatile, basica, al servizio di una popolazione appena arrivata in città, che cercava nell’industria una possibilità di impiego che gli aprisse la porta per una desiderata mobilità sociale che il luogo di origine (la campagna) gli negava per natura e condizione. (Matos Rodrigues, 2014, p. 16)

Il programma per la Ilha de Bela Vista, contribuisce a riscrivere la storia urbana, a ridefinire l’immaginario delle Ilhas non come luoghi insalubri da sradicare, ma come parti di città da valorizzare e con esse i suoi abitanti e il loro vissuto. Significa restituire dignità a una forma specifica di abitare che è stata combattuta per decenni, riconoscere il valore sociale e storico di un’esperienza urbana che ha resistito nel tempo attraverso la costruzione di una forte identità (Pereira, 2011), significa attribuirle un valore patrimoniale. Salvaguardare le Ilhas sia nei caratteri costruttivi che in quelli relazionali significa costruire una città che rispetta le differenze e valorizza il proprio patrimonio identitario.

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La cittĂ informale e la nuova politica abitativa

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la città informale e la nuova politica abitativa

Santa Filomena, Amadora Foto dell’autrice

La costruzione informale a Lisbona Gli insediamenti informali sono un fenomeno ampio che caratterizza i paesaggi metropolitani contemporanei non solo del Sud Globale (UN-HABITAT, 2016). Secondo lo studio UNECE del 2009 sugli insediamenti autocostruiti nei paesi europei, oltre 50 milioni di persone vivevano nel 2007 in condizioni lontane dalla città formale e pianificata. Il termine ‘informale’ viene utilizzato per riferirsi a una molteplicità di manifestazioni che vanno dalle costruzioni illegali, non autorizzate o non regolari, agli insediamenti spontanei, non pianificati, non autorizzati o occupati illegalmente. Le Nazioni Unite hanno usato il termine insediamenti informali per riferirsi a: 1) aree residenziali in cui un gruppo di unità abitative è stato costruito su un terreno sul quale gli occupanti non hanno alcun diritto o che occupano illegalmente; 2) insediamenti non pianificati in cui l’alloggio non è conforme alle attuali norme di pianificazione e costruzione (abitazioni non autorizzate). (UNECE, 2015, p. 18)

Per le nostre analisi consideriamo un quartiere informale un insediamento che presenti irregolarità dal punto di vista della proprietà fondiaria e della costruzione, che non corrisponda alle normative urbanistiche rispetto all’uso del suolo o alle caratteristiche dell’edificato e dove sia residente una popolazione che presenti vulnerabilità socioeconomiche. I fattori critici che influenzano la formazione di questo tipo di insediamenti informali sono legati a diverse dinamiche interconnesse: sicuramente la rapida urbanizzazione dovuta all’afflusso di persone in determinate aree urbane (che può dipendere da dinamiche di diversa natura); una sostanziale insufficienza o inadeguatezza degli strumenti della pianificazione di seguire la velocità di questi processi; la presenza di una popolazione vulnerabile dal punto di vista economico e la mancanza di accesso ad alloggi a basso costo (UNECE, 2015). Nonostante gli insediamenti informali siano una realtà non solo delle metropoli del Sud del mondo ma anche di quelle europee, per lungo tempo non hanno riscontrato l’interesse della disciplina urbanistica, né in termini di produzione accademica né in termini di


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pagina a fronte Lottizzazioni Cladestine intorno a Lisbona 1971-72 Fonte: Guerra, 1994

politiche e programmi dedicati. Solo negli ultimi anni il fenomeno ha guadagnato un nuovo spazio di analisi e di dibattito critico (Roy, 2005, 2009; Porter 2011), inserito nel più ampio tema del diritto alla città e della giustizia spaziale (Harvey, 2008; Marcuse, Van Kempen, 2000; Soja, 2010). Come sottolineato infatti da Lombard e Huxley (2011), le zone della città self-made non sfuggono alle caratterizzazioni dicotomiche che considerano la formalità normale e l’informalità un problema. Da alcuni anni però il dibattito internazionale sulle politiche e sui programmi relativi agli insediamenti informali (Roy, Alsayyad, 2003; UN-HABITAT, 2010; Porter, 2011), evidenzia la necessità di superare una visione dualistica e stigmatizzata sull’informalità e di considerarla al contrario come un’espressione del diritto delle classi più vulnerabili alla casa e alla città. L’informalità urbana è una manifestazione complessa e molto eterogenea che dipende dai processi storici e delle peculiarità culturali locali, anche se è possibile notare che nella maggior parte dei casi è profondamente legata al grado di disuguaglianza socioeconomica della società. Inoltre, gli insediamenti informali in Europa stanno crescendo nell’ultimo decennio a causa dell’aumento dei flussi migratori, rafforzando il carattere di esclusione del fenomeno: tale emergenza rappresenta una delle sfide contemporanee più impegnative per il planning, sebbene ancora poco approfondita. In Portogallo gli insediamenti informali non sono un fenomeno recente. Nei primi decenni del secolo scorso molte persone vivevano in questi quartieri spontanei e precari nelle prime zone di margine delle due principali città, Lisbona e Porto. A quel tempo anche il nucleo storico della città verteva in condizioni di forte degrado. Esaminare il processo di urbanizzazione in Portogallo ci aiuterà a leggere gli insediamenti informali come risultato dell’aumento sostanziale della popolazione urbana e della mancanza di offerta di abitazioni ‘formali’ accessibili. L’aumento della popolazione è legato a due principali flussi migratori: 1. il processo di inurbamento della popolazione che dalle campagne si spostava in città agli inizi del XX secolo e in maniera massiccia dopo la seconda guerra mondiale (anni ’50-’60); 2. il forte flusso di immigrazione dalle ex colonie africane, che ha caratterizzato i decenni ’70-’80 del secolo scorso, a partire dalla fine della dittatura (1974). Queste due fasi hanno dato origine a distinte manifestazioni del fenomeno informale caratterizzate da forme di occupazione del suolo, di morfologia e di precarietà diverse. In estrema sintesi è possibile riconoscere due principali forme, i quartieri clandestini e i bairros de barracas (quartieri di baracche) che hanno dato origine a due program-


la città informale e la nuova politica abitativa

mi in sostanza contemporanei temporalmente ma profondamente diversi in termini di approccio. I quartieri clandestini sono il risultato di lottizzazioni illegali. Se queste hanno avuto un carattere principalmente speculativo (i terreni agricoli acquistati a basso costo, venivano rivenduti una volta lottizzati, con un guadagno del 900%), è vero però che rispondevano ad un bisogno di abitazioni che in quel momento non veniva atteso da canali legali e ha dato vita ad una forte diversità di manifestazioni sia sul piano urbanistico che costruttivo. Da uno dei primi studi sul fenomeno, risalente agli anni ’70, si evince che la localizzazione di questi nuovi quartieri irregolari era influenzata principalmente dal prezzo del terreno e dalla vicinanza ai luoghi di lavoro ancora concentrati nell’area urbana consolidata di Lisbona. I quartieri clandestini hanno formato una cintura che racchiudeva l’area più urbanizzata andando a costituire la sua periferia (Barata Salgueiro, 1977, p. 30). Ciò che principalmente distingue la lottizzazione illegale dal quartiere informale è la proprietà fondiaria: molto spesso nel primo caso il lotto suddiviso senza regolamentazione viene acquistato e a quel punto il nuovo proprietario vi costruisce la propria casa. Un altro aspetto

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pagina a fronte Olivais Norte Fonte: Google Heart

importante è relativo alle caratteristiche socioeconomiche della popolazione che ha avuto capacità di accedere alle due forme di occupazione della terra: nel caso della lottizzazione illegale si è trattato di una popolazione di classe medio-bassa, nel caso dell’insediamento informale invece dei più vulnerabili, di cui un’alta percentuale proveniente dai paesi africani ex colonie portoghesi (da qui in poi PALOP — Países Africanos de Língua Oficial Portuguesa: Guinea Bissau, Mozambico, Angola, Capo Verde e São Tomé e Prince). Le caratteristiche dei quartieri clandestini sono approfondite nel libro organizzato da Bógus, Raposo, Pasternack (2010), a cui si rimanda per una migliore comprensione del fenomeno (processi di formazione, motivazioni, tipologie): la scelta è infatti di concentrarsi sugli insediamenti informali che, come specificato all’inizio del capitolo, oltre a presentare condizioni di irregolarità urbanistica ospitano un tipo di popolazione economicamente vulnerabile. D’altro canto infatti, i cosiddetti bairros de barracas sorgono prevalentemente in terreni di proprietà pubblica e danno risposta alle necessità abitative della popolazione più vulnerabile. Sono caratterizzati dalla mancanza di suddivisione della terra in lotti, dalla conseguente irregolarità, dall’alta densità, dalla scarsa qualità della costruzione e dalla mancanza di infrastrutture di base e servizi. La maggior parte di questi quartieri auto-costruiti, nati ai margini urbani delle città di Lisbona e Porto, ospitava una popolazione proveniente dalle ex colonie portoghesi in seguito alla riconfigurazione geopolitica dei paesi africani dopo la Rivoluzione dei Garofani nel 1974 e l’ingresso del Portogallo nell’UE nel 1986. Questa specifica manifestazione della costruzione informale della città è stata definita da Ascenção (2010) “post-colonial slum” proprio perché, anche in termini di immagine e stigmatizzazione, presentava molte somiglianze con le baraccopoli dei paesi del Sud del mondo. L’Area Metropolitana di Lisbona ancora oggi concentra oltre l’80% degli immigrati provenienti dai paesi africani di lingua portoghese (Malheiros, Fonseca, 2011, p. 52). Come abbiamo accennato uno dei fattori che sottende la costruzione degli insediamenti informali è la mancanza di abitazioni accessibili ad uno strato della popolazione economicamente fragile: in Portogallo tra il 1953 e il 1973 l’edilizia sociale rappresentava solo il 10,8% del totale dell’edilizia abitativa (Gros, 1994, p. 83). Dopo l’inizio del periodo democratico nel 1974, quando era necessaria una risposta urgente, le politiche abitative hanno fornito risposte blande: ciò ha contribuito all’ampliamento del fenomeno informale che ha raggiunto nel decennio successivo dimensioni importanti.


Programmi abitativi e politiche per gli insediamenti informali in Portogallo Possiamo concordare con Ascenção sul fatto che a partire dal 1914, nelle politiche che si sono occupate della costruzione non pianificata della città, siano stati presenti due atteggiamenti sostanzialmente distinti: di pulizia e rialloggiamento, da un lato, e riqualificazione o riabilitazione sotto la supervisione tecnico-scientifica, dall’altro (Ascenção, 2010). Di certo la retorica igienista ha permeato a lungo le politiche e gli interventi pubblici: questi erano inspirati da un lato dalla preoccupazione per le condizioni della classe lavoratrice e dall’altro dall’esigenza di adeguare gli stili di vita della popolazione che si inurbava a quelli della modernità anelata. I primi programmi pubblici sono nati infatti sotto la preoccupazione dell’igiene. Un primo esempio è il Piano per le Ilhas do Porto tra il 1956 e il 1966: come abbiamo visto in precedenza, le piccole abitazioni in forte stato di degrado sono state distrutte e la popolazione rialloggiata in nuovi edifici dal carattere ‘moderno’. Un secondo esempio è il Programa Habitações de Renda Económica (Decreto-Legge n. 42 454 del 18 di agosto del 1959) che tra il 1959 e 1969 ha dato vita ai grandi ensembles (Olivais Norte, Olivais Sud, Chelas, Alvalade), chiaramente paragonabili ai congiunti residenziali europei degli anni ’50-’60 (Baptista, 1999). Il programma mirava a risolvere i problemi


Plano Director da Região de Lisboa, 1964 MOP

“morali e sociali, nefaste conseguenze dell’urbanizzazione”, attraverso la costruzione di congiunti residenziali equipaggiati con chiesa, scuola e mercato (Nunes, 2013). La strategia del programma, ispirata all’idea di ‘costruzione sociale della popolazione’, si basava sul prevedere in questi edifici la presenza di unità abitative per ogni strato sociale della popolazione in modo tale da contrastare la segregazione socioeconomica. La scelta di localizzare i nuovi quartieri in aree prossime ai limiti amministrativi di Lisbona manifestava la consapevolezza di un imminente sviluppo di tipo metropolitano. L’iniziativa pubblica che tentasse di regolare il processo di inurbamento fuori dei confini municipali a Lisbona in quegli anni non si limitava infatti alle sole politiche abitative: è del 1959 anche il Plano Director da Região de Lisboa (1959-1964) che è il primo strumento di pianificazione della regione metropolitana.


la città informale e la nuova politica abitativa

Appoggiato ad una rete di autostrade e dall’incremento di collegamenti ferroviari, il piano suggeriva lo sviluppo di cinque poli indipendenti organizzati attorno a Lisbona, in cui si prevedeva una popolazione di 1.370.000 abitanti. Si delineava inoltre l’ampliamento degli agglomerati esistenti lungo le tre principali vie di comunicazione, convergenti nella città di Lisbona e sulla riva Sud dell’estuario del Tejo. (Ferreira, 2014, p. 5)

Dopo la Rivoluzione, un cambiamento di paradigma legato al fenomeno informale ha portato al riconoscimento della suddivisione illegale come realtà e alla produzione di soluzioni giuridiche per la loro legalizzazione e riconversione (Bógus et alt, 2010, p. 9). Un esempio è il Decreto Legge 804/76 nel quale per la prima volta in Portogallo, si esprime un nuovo modo di guardare agli insediamenti spontanei che muove dalla repressione, fino ad allora unica opzione, alla loro riconversione. La grande costruzione spontanea della città è riconosciuta, in ritardo rispetto agli altri paesi europei, come un importante fenomeno sociale che investe un gran numero di famiglie (Craveiro, 2010, p. 45). Nel 1986 il Portogallo entra nell’Unione Europea e durante gli anni ’90 due mega eventi espongono le principali città all’attenzione internazionale (Lisbona Capitale della Cultura 1994, EXPO 1998); una preoccupazione crescente relativa agli insediamenti informali, considerati “una ferita ancora aperta nel nostro tessuto sociale” (DL 163/93) stimola la produzione di politiche. Quasi contemporaneamente vengono lanciati due programmi: il PER — Programma Speciale di Rialloggiamento, per sgomberare le aree occupate dai cosiddetti quartieri di baracche, e la legge 91/95 le AUGI — Aree Urbane di Genesi Illegale per convertire le lottizzazioni clandestine. Quest’ultimo strumento giuridico speciale mirava alla ‘conversione’ delle lottizzazioni illegali, la dove vi fosse una qualità accettabile del costruito e soprattutto dove fosse facilmente ricostruibile e legalizzabile la situazione relativa alla proprietà fondiaria. Come sottolinea Raposo (2010), i quartieri clandestini presentavano una varietà di problematiche che la nuova legge non è riuscita a soddisfare. Essa infatti ha fornito una risposta legale e tecnica a situazioni senza grossi vincoli, i cui proprietari erano organizzati e avevano le risorse necessarie per legalizzare il proprio lotto e adempiere al ‘dovere di riconversione’, senza risolvere situazioni più complesse, con maggiori problemi socio-territoriali che avrebbero richiesto un approccio più completo, maggiore solidarietà e interazione tra attori, maggiore impegno e finanziamento pubblico. (Raposo, Valente, 2010, pp. 224-225)

I due programmi fecero riferimento ad approcci profondamente diversi: da un lato lo Stato diede vita ad un importante programma di edilizia popolare e dall’altro adottò un atteggiamento che lo sollevava dalla propria responsabilità e attribuiva l’obbligo di riconversione ai proprietari. Sostanzialmente fu riservato un trattamento diverso a due categorie sociali

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distinte: la popolazione vulnerabile è stata concentrata in edifici dal forte stigma sociale mentre ai piccoli proprietari irregolari è stata garantita la permanenza nel luogo e la legalizzazione. Non è eccessivo considerare la scelta di procedere con i due programmi un’occasione persa di sviluppare interventi integrati che avrebbero potuto basarsi sull’alternanza tra la delocalizzazione e la riconversione, creando una società più coesa (Craveiro, 2010): in sostanza entrambi hanno contribuito a rafforzare il processo storico di polarizzazione ed esclusione urbana. pagina a fronte Bensaude, costruito nell’ambito del PER Fonte: Bring map

Il Programa Especial de Realojamento — PER Il Programa Especial de Realojamento — PER (Decreto Legge 163/93), inaugurato nel 1993, mirava a sradicare i quartieri spontanei nelle aree metropolitane di Lisbona e Porto, che al tempo ospitavano più di 155 mila abitanti, attraverso la costruzione di nuovi edifici di edilizia pubblica o l’acquisto di edifici dal mercato privato. Questo massiccio programma di housing sociale era organizzato attraverso la collaborazione tra i diversi livelli dell’amministrazione: il governo centrale gestiva gli aspetti finanziari e il coordinamento, mentre le amministrazioni locali (i Comuni) guidavano l’implementazione del programma, sostanzialmente scegliendo le localizzazioni dei nuovi quartieri, costruendo gli edifici e organizzando il processo di rialloggiamento. Questa impostazione ha fatto sì che i Comuni fossero liberi di utilizzare i fondi per riorganizzare gli equilibri interni del proprio territorio, liberando aree su cui poter intervenire diversamente o ricostruendo i nuovi edifici sugli stessi terreni dove sorgevano i quartieri informali. Dal punto di vista della problematizzazione del fenomeno, il PER descriveva gli insediamenti informali come una ‘piaga sociale’: povertà, marginalità, attività illegali come traffico di droga, crimine o prostituzione sono state associate indelebilmente (Cachado, 2011) a tali quartieri, criminalizzando i loro abitanti. Questa visione derivava da un lato dalla mancanza di studi concreti sulle condizioni di vita della popolazione che vi abitava e dalla stigmatizzazione che veniva fatta della povertà, come già all’epoca venne evidenziato da Guerra (1994), e dall’altro da un’urgenza che guardava poco alle realtà sociali degli abitanti e più all’aspetto politico della trasformazione dei territori degradati (Carmo et al., 2015, p. 9). Il programma definiva infatti tutti gli insediamenti ‘bairros di baracche’ senza distinzione tra le molteplici condizioni sociali e abitative presenti. Una buona percentuale della popolazione che è stata inclusa nel programma proveniva dai paesi africani ex colonie portoghesi: il PER infatti non imponeva come requisito per il rialloggiamento la cittadinanza. Questo conferma la tesi che l’interesse del programma fosse in definitiva quello di ‘ripulire e liberare’ determinate aree. Dai dati pubblicati da Malheiros e Vala (2004)


è possibile notare come nel 1991 il 24% della popolazione PALOP dell’Area Metropolitana di Lisbona vivesse in situazione di forte degrado abitativo e più dell’80% in situazioni di sovraffollamento. Nel 2001, ad otto anni dall’inizio del programma, la prima percentuale era scesa al 9% mentre quella del sovraffollamento rimaneva pressoché invariata, questo perché nel frattempo gli africani provenienti dai paesi ex colonie erano passati da un totale di circa 25.000 ad 80.000 e la maggior parte non aveva avuto accesso al mercato del lavoro. L’85,5% di questi nel 2001 popolava l’area suburbana di Lisbona (Malheiros, Vala, 2004, p. 1083).


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100%

Dati relativi agli abitanti PALOP Fonte: Malheiros, Vala, 2004 67,9 64,2

Residenti in baracche Abitazioni sovraffollate

50%

Abitazioni condivise 24,0

8,6

9,3

8,9

0 1991

pagina a fronte Bairro Marques de Abrantes Quinta dos Barros, costruiti nell’ambito del PER Fonte: Bring map

2001

A distanza di 20 anni il PER nel solo municipio di Lisbona contava 65 quartieri costruiti (25 dal Comune stesso e 40 acquistati da privati), per un totale di 8.817 unità abitative e una popolazione di circa 8600 abitanti rialloggiati: l’investimento totale era stato poco meno di 450 milioni di euro (CML, 2013, pp. 12-13). Il PER è stato ampiamente criticato, come abbiamo visto, fin dal suo concepimento (Guerra, 1994): esperti, tecnici e accademici allertarono contro la costruzione di massa e contro i quartieri isolati. Poco dopo l’inizio del programma, si cominciò a produrre lavori sulla soddisfazione residenziale, e ci si rese conto che mancavano studi localizzati che avrebbero dovuto essere stati fatti prima del rehousing (Cachado, 2012). Ne seguirono molti altri e, alla conclusione del Programma, i processi di reinsediamento nell’ambito del PER, vissuti da tecnici e residenti, furono oggetto di studi e riflessioni (Guerra, 1999; Cachado, 2013; tra gli altri). Le critiche principali mosse al programma sono state di non aver imparato dalle esperienze senza successo della costruzione di condomini degli anni ’60-’70 (Guerra, 1994, Cachado, 2013) tanto in Portogallo come negli altri paesi europei. Il PER ripropose nuovamente il modello dei grande ensemble quando il dibattito in Europa ne evidenziava i limiti in relazione agli effetti di segregazione socio-spaziale e in Francia erano già stati demoliti. Il tipo di forma urbana che ha generato, con edifici isolati e privi di servizi (la cui realizzazione veniva spesso rimandata o sospesa) e di identità (Augusto, 2000), ha contribuito a creare luoghi di isolamento e ghettizzazione sociale. L’aver concentrato la


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popolazione vulnerabile, raggruppando comunità diseredate in enormi blocchi residenziali, ignorando le singolarità e le pratiche culturali dei diversi gruppi provenienti da altri paesi (Lages, Braga, 2016), ha distrutto i legami sociali, familiari ed economici delle comunità di origine etnica esasperando la spirale di vulnerabilità e di esclusione (Arbaci, Malheiros, 2010). Anche se le condizioni abitative di molti abitanti degli insediamenti informali sono nettamente migliorate grazie al PER, molti dei problemi sociali presenti furono trasferiti ai nuovi quartieri di edilizia pubblica e con essi la loro stigmatizzazione. Infine viene criticato al PER di avere avuto un approccio tecnocratico, top-down, senza coinvolgimento e partecipazione della popolazione ai processi decisionali o in fase di rialloggiamento (Raposo, Jorge, 2013). Aver concepito il programma considerando esclusivamente le problematiche di tipo finanziario e urbanistico è stato il principale equivoco: “il problema del rialloggiamento è prima di tutto un problema sociale e non un problema di edifici; questo perché le persone non sono cose che si mettono in cassetti”1 (Guerra, 1994, p. 11). Programmi partecipativi Tra i più recenti programmi ispirati al riconoscimento degli aspetti negativi del PER, troviamo URBAN I (1994-99), URBAN II (2000-2006), PROQUAL e l’Iniziativa Operativa per la Riqualificazione e il Reinserimento dei Quartieri Critici (da qui in poi Bairros Criticos). Li possiamo accomunare perché introducono la partecipazione della popolazione come base

1 “As pessoas nao sao coisas que se ponha em gavetas” è il titolo di un numero tematico della rivista Sociedade e Territorio pubblicato del 1994 e interamente dedicato ad una critica al’impostazione del PER.

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pagina a fronte Localizzazione di Amadora, Area Metropolitana di Lisbona Elaborazione da Ortofoto

per rafforzare i legami sociali e territoriali oltre ad adottare una visione integrata. Il programma Bairros Criticos adotta alcune innovazioni degne di riguardo rispetto agli altri; l’obiettivo principale è la riqualificazione dell’ambiente urbano attraverso piani integrati di sviluppo costruiti in forma partecipativa con la convinzione che gli interventi sul patrimonio edificato conducano ad una revitalizzazione economica e sociale. Il programma pretendeva inoltre attraverso tre progetti in tre aree pilota dell’Area Metropolitana di Lisbona, testare buone pratiche da replicare in altre aree con simili condizioni. Secondo le valutazioni di Sousa (2012) rispetto all’esperienza, lo sforzo istituzionale e le attività di coinvolgimento delle comunità sono stati un laboratorio importante non solo per testare metodologie ma anche per sviluppare competenze in questo tipo di interventi e che potrebbero essere utili alla costruzione di una politica più ampia relativa agli insediamenti informali. Un punto debole invece riguarda il tema della regolarizzazione fondiaria: infatti il programma non potendosi avvalere di un quadro giuridico chiaro, ha lasciato alle istituzioni locali il difficile compito di risolvere le problematiche relative alla proprietà2. Parallelamente a queste iniziative più integrate e partecipative, la mancanza di una chiara politica abitativa nazionale ha lasciato ai Comuni il compito di trovare soluzioni autonome che spesso non si sono dimostrate adeguate. Paradigmatico è l’esempio del Comune di Amadora che ha scelto di tornare ad applicare il PER a distanza di più di 20 anni dal suo concepimento, distruggendo i quartieri informali senza la reale possibilità di offrire alternative abitative ai residenti (Tarsi, 2017). Se il PER nella sua applicazione può essere criticato per molti aspetti, non si può certo negare che avesse come principale obiettivo dichiarato quello di migliorare la qualità della vita delle persone che vivevano in condizioni non adeguate: al contrario, nel caso di Amadora alla maggior parte delle persone residenti nei quartieri informali non viene garantito il diritto alla casa contribuendo ad approfondire il processo storico di esclusione, come vedremo nel paragrafo seguente. Un caso paradigmatico: Amadora Amadora, uno dei comuni dell’area metropolitana di Lisbona, conta una popolazione di 176.298 abitanti ed è situato lungo la linea ferroviaria che collega la capitale alla città di Sintra, sull’asse Nord-Ovest del distretto di Lisbona. Durante le prime decadi del XX secolo il forte processo di industrializzazione3 che 2 Nel Caso di Cova da Moura nel municipio di Amadora, per esempio, il Comune ha tentato di negoziare con la famiglia proprietaria del terreno dove sorge il quartiere l’espropriazione dello stesso senza mai giungere alla conclusione del processo. 3 Nel Caso di Cova da Moura nel municipio di Amadora, per esempio, il Comune ha tentato di negoziare con la famiglia proprietaria del terreno dove sorge il quartiere l’espropriazione dello stesso senza mai giungere alla conclusione del processo.


ha interessato Amadora, fino a quel momento parte del comune di Oeiras e dalle caratteristiche prevalentemente rurali, è stato strettamente connesso con quello di urbanizzazione (Baptista, Nunes, 2004, p. 94): un flusso cospicuo di contadini si è infatti spostato dal sud del paese, in particolare dalla Regione dell’Alentejo andando a costruire in maniera spesso ‘informale’ nuovi insediamenti. Dal 1960 la situazione demografica del centro dell’Area Metroplitana decresce, mentre il peso delle aree limitrofe aumenta parallelamente al fenomeno della suburbanizzazione. Il territorio di Amadora nei decenni ’60-’80 viene occupato da ampi quartieri di tipo residenziale e da aree di occupazione informale, fenomeno che coincide con l’aumento della popolazione da 47.000 a 160.000 in soli venti anni. Nel 1979 Amadora viene riconosciuta unità amministrativa a sé stante come parte del processo di consolidamento del carattere metropolitano di Lisbona e della necessità di decentrare la gestione locale. Amadora attinge nel 2001 una densità superiore a 7000 ab/ km2 superando Lisbona (6606 ab/km2): il corridoio di espansione Lisbona-Amadora-Sintra si estende come ‘continuità naturale’ della propria città di Lisbona parallelamente agli altri due assi Lisbona-Oeiras-Cascais e Almada-Seixal-Barrero-Moita (Baptista, Nunes, 2004, p. 91).


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Dati del comune di Amadora relativi al PER, 1993 Fonte: CMA

n. Baracche

4.855

268

n. Famiglie

6.138

369

n. Residenti

21.362

1.179

Amadora | 1993

Bairro 6 de Maio | 1993

Nel 1993, anno in cui viene inaugurato il Programa Especial de Realojamento, il comune di Amadora contava 21.362 persone che vertevano in situazioni abitative degradate e la presenza di 4.855 ‘baracche’ sul territorio comunale raggruppate in 33 insediamenti che variavano dalla piccola dimensione di 6-8 case fino a veri e propri quartieri di più di 400 abitazioni (come ad esempio Quinta da Lage o Santa Filomena) come si può notare nello schema sopra. Se in altri comuni, il PER ha demolito la maggior parte degli insediamenti spontanei e trasferito la popolazione residente in edifici pubblici, ad Amadora, a causa della robusta presenza di insediamenti informali, questo processo non ebbe inizio fino al 1995 e non fu mai completato, lasciando molti quartieri informali ancora ‘in piedi’. I processi di de-industrializzazione che a partire dai primi anni del nuovo secolo hanno interessato varie zone della metropoli di Lisbona (Barata Salgueiro, 2001) coincidono con i recenti processi di riclassificazione urbana nel tentativo di costruire una centralità locale, ricorrendo alla riconversione del tessuto abitativo e attivando una dinamica di trasformazione della popolazione residente (Baptista, Nunes, 2004, p. 99). Amadora sta attualmente attraversando una profonda trasformazione anche a causa dell’estensione della linea blu della Metropolitana di Lisbona che ha stimolato negli ultimi anni una forte pressione immobiliare. Nell’ambito di queste dinamiche di trasformazione, a partire dal 2012, la Municipalità di Amadora ha riattivato il PER e ha messo in atto una lenta ma sistematica macchina di demolizione di alcuni dei quartieri informali (Santa Filomena, Estrela d’Africa, 6 de Maio, ecc.) secondo i meccanismi



Alcune immagini del Bairro 6 de Maio Foto dell’autrice

pagina a fronte Il Barrio 6 de Maio prima e dopo le demolizioni (2012-2018) Fonte: Bring map

e il censimento del PER. Secondo i dati aggiornati del comune, 6.745 case sono state demolite dal programma dalla data della sua implementazione (CMA, 2017). Tra i quartieri informali oggetto di questa operazione, Santa Filomena è quello che presentava una dimensione maggiore. Secondo i dati raccolti da Habita a luglio 2012 le persone residenti a Santa Filomena che erano escluse dal programma di rialloggiamento erano in totale 285 (84 famiglie) di cui 73 bambini e 14 con invalidità permanente. Più di 55 famiglie erano composte da almeno una persona disoccupata e più di 20 erano nuclei monoparentali (la maggior parte di questi madri con figli); i redditi medi oscillavano tra 250-300 € al mese. Il terreno dove sorge Santa Filomena è stato acquistato nel febbraio 2007 da un fondo di investimento immobiliare (Fundo Fechado Especial de Investimento Imobiliário VillaFundo) creato a dicembre 2006 e gestito da Interfundos do Millennium BCP. Questa è una delle maggiori società finanziarie portoghesi che nel 2014 gestiva il 12,7% del volume del mercato. Secondo i documenti ufficiali del Fondo del 2012 il terreno in cui si trovano le case delle famiglie di Santa Filomena, era stato valutato in 25.210.590 € e rappresenta, per il Fondo, un potenziale plusvalore di 1.389.409 €. Forse non è del tutto errato riconoscere una stretta correlazione tra le dinamiche del mercato attivate dalle recenti trasformazioni in atto e la ‘riesumazione’ di un programma obsoleto nei contenuti, nelle modalità e nei registri della popolazione come il PER. Dall’ultima indagine del 2018 risulta che ad Amadora le famiglie che necessitano di essere rialloggiate sono più di 2800 (IHRU, 2018).


Bairro 6 de Maio Il Bairro 6 de Maio è uno dei quartieri informali di Amadora costruito dagli immigrati delle ex colonie portoghesi, in questo caso Capo Verde, negli anni ’70 e ’80; non è stato oggetto degli interventi del Comune nell’ambito del PER fino al 2012, data in cui cominciano le prime demolizioni. Prima dell’inizio di questo processo vivevano nel Bairro 6 de Maio, un quartiere abbastanza sviluppato strutturalmente nonostante l’alta densità e la bassa qualità dei suoi edifici, più di 400 famiglie. È un caso studio che ho avuto modo di approfondire4 grazie alla collaborazione con Habita, un movimento da anni attivo per la costruzione del diritto alla casa e alla città. Dati i limiti del PER, a partire dal 2000, il Comune ha attivato alcuni programmi per diversificare la risposta alle esigenze abitative, cambiando radicalmente il paradigma dalla costruzione di alloggi pubblici per finanziare direttamente le famiglie in modo che potessero soddisfare le loro esigenze attraverso il mercato privato. Questi quattro programmi mirati agli abitanti inclusi nel censimento del 1993 sono: 1. “PAAR, Programa di Aiuto al Rialloggiamento”, che fornisce il 20% del valore di un edificio pubblico di nuova costruzione, che può essere speso dai destinatari in qualunque forma; 2. “PAAR Plus”, che fornisce il 40% del valore di una casa pubblica di nuova costruzione per l’acquisto di una casa sul mercato privato; 4 I dati sono stati raccolti durante otto mesi di lavoro sul campo a Lisbona (tra novembre 2014 e giugno 2015) e due visite nel 2016 e 2017: consistono in documenti di politiche, partecipazione ad assemble e azioni di mobilizzazione e protesta con gli abitanti, osservazioni dirette e interviste con abitanti e attivisti.


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3. “PAAR 6 de Maio”, specificamente progettato per il Bairro 6 de Maio, che fornisce il 60% del valore di un edificio pubblico di nuova costruzione per l’acquisto di una casa sul mercato privato (CMA, 2017); 4. “Ritorno”, che finanzia gli abitanti di origine straniera a ‘tornare’ al loro paese di provenienza. Dato che il numero effettivo di abitanti e le loro situazioni socio-economiche non erano mai stati aggiornati dopo l’inizio del programma 23 anni prima, tutte le persone che non facevano parte del censimento sono state automaticamente escluse dal rialloggiamento. Come mostrato in tab. 1, il programma escludeva il 40% dei residenti poiché non inseriti nelle liste del PER (censimento del 1993) e di conseguenza riconosciuti come ‘non aventi diritto al rialloggiamento’ (in ogni caso ai fini delle valutazioni nella tabella vengono indicati come ‘casi risolti’). Le uniche opzioni offerte a queste famiglie, il cui reddito medio si aggira intorno ai 200-400 € sono un soggiorno di quindici giorni in un centro di prima accoglienza o il corrispettivo in denaro di due mesi di affitto per un contratto di una casa nel mercato libero. Il risultato è che molte di queste persone si sono trasferite temporaneamente in casa di parenti o in situazioni di fortuna, andando ad aumentare il numero di chi verte in condizioni abitative ancora più precarie. Questo caso studio mostra la mancanza di politiche abitative efficienti e l’urgente necessità di nuove soluzioni per difendere il diritto fondamentale delle persone alla casa (difeso dalla Costituione Portoghese). Il comportamento del Comune di Amadora evidenzia sia l’inadeguatezza dell’approccio legalista ai bisogni abitativi sia il profondo razzismo che si trova nelle istituzioni governative. Le preoccupazioni che animavano originariamente il PER, ovvero le condizioni abitative precarie degli abitanti degli insediamenti informali, sembrano essere scomparse nelle modalità scelte dal Comune di Amadora per portare a termine il programma. In un’intervista con il quotidiano Público, il sindaco di Amadora ha affermato che non avrebbe senso fare un nuovo censimento dei quartieri perché “tutti vorrebbero venire qui per risolvere i loro problemi abitativi” (Henriques, 2016) e evidenziando il fatto che il governo non è in grado di risolvere tutte le questioni relative all’alloggio. Non è un mistero che a seguito della crisi economica, la discussione sui diritti sociali sia stata sistematicamente attaccata (Abreu et al., 2013) e che il ridotto potere del governo ha avuto la sua manifestazione più violenta proprio nei tagli alle politiche sociali, ma ciò non giustifica un discorso che sostanzialmente criminalizza le condizioni di povertà e vulnerabilità sociale e abitativa.


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Sintomatica di un approccio stigmatizzante è anche la creazione del programma “Ritorno” (CMA, 2017) come alternativa al rialloggiamento, in cui il Comune propone che i cittadini “tornino ai loro paesi”: riflette una retorica ormai mainstream e sembra voler ignorare il fatto che la maggior parte degli abitanti dei quartieri informali sia nata in Portogallo o ci viva da 30-40 anni. Un altro argomento retorico, ancora più scorretto, si rende manifesto nella frase “abbiamo offerto soluzioni a tutti, ma molte persone non le hanno accettate” (Henriques, 2016). Questo atteggiamento stigmatizza volutamente le persone in situazioni socio-economiche vulnerabili, in particolare le persone africane, attribuendogli atteggiamenti di poca responsabilità, mancanza di collaborazione e in definitiva di malafede. Dalle interviste con gli abitanti del Bairro 6 de Maio emergevano dinamiche completamente opposte: raccontavano di colloqui in cui i funzionari pubblici facevano pressione sulle famiglie affinché accettassero una delle soluzioni proposte, anche se nessuna rispondeva ai loro effettivi bisogni, minacciando in caso contrario di lasciarli senza alcuna alternativa. Quando è stata richiesta la possibilità che gli abitanti si presentassero a questi colloqui con un avvocato, è stata sistematicamente respinta. Gli abitanti lamentavano anche il fatto che non venivano avvisati rispetto alle tempistiche delle operazioni di demolizione; questo creava un clima di insicurezza difficilmente sostenibile che ha portato in alcuni casi a momenti di tensione con le autorità poliziali che si presentavano per eseguire le demolizioni. Magalhaes (2012) descrive le pratiche di displacement come caratterizzate da un continuo “operare in un confine molto sottile tra legale ed extralegale, tra appellarsi a forme legali e azioni chiaramente extralegali” (Magalhaes, 2012, p. 132). L’informalità, che è la sospensione del controllo governativo, consente che l’argomento della legalità sia utilizzato a piacimento, in linea con la teoria di Agamben sullo ‘stato di eccezione’ (Agamben, 2003). In questo caso specifico, l’applicazione delle regole, in particolare del programma PER, è stata eseguita come pratica violenta contro il rispetto dei diritti fondamentali: anziani, malati e bambini sono stati lasciati per strada senza alcuna alternativa abitativa e senza alcun sostegno sociale. La mobilitazione degli abitanti è stata supportata da molte associazioni e movimenti, tra cui Habita ha avuto un ruolo fondamentale sia nel mettere in rete gli abitanti di bairros distinti, sia nel richiamare l’attenzione nazionale e internazionale sulla situazione ad Amadora: molte voci pubbliche si sono espresse di conseguenza contro le pratiche violente del Comune e a favore degli abitanti. Il difensore civico interpellato in relazione al caso di Santa Filomena, ha espresso il suo parere contrario a proposito delle pratiche di demolizione delle case e ha sollecitato il Comune a sospenderle fino al momento in

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per una città giusta. politiche e progetti di inclusione urbana in portogallo • elena tarsi

cui non avesse definito soluzioni abitative alternative per gli abitanti (Soares, 2015). Il Responsabile dell’ONU per la difesa dei diritti umani, durante la sua visita in Portogallo ha visitato gli insediamenti informali di Amadora e nel suo report ha sottolineato la necessità di una nuova strategia abitativa (Fahra, 2017). Anche singoli membri dell’Assemblea della Repubblica hanno chiesto al Comune di Amadora di sospendere gli sgomberi e le demolizioni, senza ottenere risultati (Lusa, 2017). Nel 2017 è arrivato perfino un contributo poetico da uno degli street artist portoghesi più famosi in ambito internazionale e quotato globalmente. Vhils durante la notte ha tappezzato le pareti semi distrutte del Bairro con ritratti delle persone che vi abitano dichiarando: quando queste pareti dove sono impressi i volti degli abitanti saranno demolite, si approfitti per riflettere che non sono appena cemento e mattoni ad essere demoliti. Si sta demolendo la vita di persone che hanno vissuto e vivono grandi difficoltà e che ora assistono alla sottrazione del più elementare dei diritti: la casa. (Vilhs, 2017)

La Nuova Generazione di Politica Abitative Secondo l’Indagine Nazionale sulle Necessità di Rialloggiamento elaborata dall’Istituto da Habitação e da Reabilitação Urbana — IHRU nel gennaio 2018, in Portogallo più di 25.000 famiglie vivono in situazioni abitative insoddisfacenti, più di 31.000 case non hanno le condizioni minime di abitabilità e 74% di queste carenze si verificano nelle aree metropolitane (IHRU 2018). I dati raccolti mettono in evidenza sia il tipo di costruzione considerata precaria (Grafico 4) sia il tipo di vincolo esistente tra la famiglia e lo spazio in cui abita (Grafico 5). Per quanto riguarda il tipo di costruzione, delle 25.762 famiglie che secondo l’indagine hanno bisogno di essere rialloggiate, la metà circa abitano in “costruzioni non convenzionali di pietra, muratura o mattoni”, quasi 9.000 in costruzioni di tipo “convenzionale” e poco più di 3.000 in “baracche”5. Il tipo di costruzione dove il numero di famiglie è minore è la categoria “elementi naturali” con 11 famiglie censite, seguito dalla categoria “tende” che conta un totale di 62 famiglie. La categoria “baracche e costruzioni precarie” presenta maggior peso nell’Area Metropolitana di Lisbona (45%) mentre nell’Area Metropolitana di Porto la categoria “complesso urbano consolidato degradato” è più evidente (70%). Questa differenza riflette la specificità territoriale delle carenze abitative ed è espressione localizzata di certi tipi di occupazione come ad esempio le Ilhas di Porto e i quartieri informali di Lisbona. È importante sottolineare che in alcuni casi si è verificata una soggettività di classificazione di alcuni comuni, ad esempio, nella separazione tra le categorie “Costruzioni non convenzionali di pietra, muratura o mattoni” e “Barrache”.

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la città informale e la nuova politica abitativa

Un’analisi combinata di dati ha permesso inoltre di mettere in luce che nella maggior parte dei casi la tipologia “baracche e costruzioni precarie” si presenta come agglomerati di media o piccola dimensione (circa 8 famiglie per nucleo) visto che sono censiti 1586 nuclei dove abitano in condizioni precarie 11.999 famiglie. Al contrario la tipologia urbana con maggior numero medio di famiglie per nucleo è il “bairro social” ovvero il quartiere di edilizia pubblica, con 3837 famiglie che necessitano di rialloggiamento in 72 nuclei censiti, seguiti dalla tipologia AUGI (Áreas Urbanas de Génese Ilegal) e Aree di Rischio. Per quanto riguarda invece i vincoli di occupazione, dall’indagine risulta che la maggior parte di queste famiglie, esattamente 9831, pagano affitti a proprietari privati mentre le occupazioni di tipo clandestino seguono con 6795 famiglie. Un risultato interessante che emerge dal questionario presentato ai Comuni per la raccolta dei dati sulla precarietà abitativa condotto dall’IHRU (2018) è quello che riguarda le soluzioni di rialloggiamento. L’Istituto ha infatti chiesto alle amministrazioni locali quali soluzioni avessero preventivato, tra le soluzioni tradizionalmente più utilizzate nel paese, per rispondere alle esigenze abitative del proprio territorio, considerata la centralità dei comuni nell’identificazione più precisa delle sfide e delle risorse che possono essere mobilizzate, e il loro ruolo strumentale nella costruzione e implementazione di risposte più efficaci ed efficienti. (IHRU, 2018, p. 32)

Le risposte ottenute sono significative: la categoria ‘costruzione di nuove abitazioni’ risolverebbe il problema di 6889 famiglie, ‘acquisto di nuove abitazioni’, ‘affitto di abitazioni’ e ‘acquisto e riabilitazione di abitazioni’ rispettivamente 1576, 1075, 1158. La categoria ‘altro’ è stata quella maggiormente selezionata, in riferimento a 13.336 famiglie, quasi il 50% del totale: questo può rappresentare una consapevolezza da parte dei comuni, in particolare quelli più esperti nell’attuazione dei precedenti programmi abitativi e quelli più colpiti dalla carenza di alloggi, della necessità di prevedere soluzioni diverse da quelle precedentemente promosse, vale a dire, sfide di integrazione sociale e territoriale e soluzioni ‘miste’ o ‘alternative’ a quartieri sociali. (IHRU, 2018, p. 3)

Un dato importante che l’Indagine dell’IHRU ha reso evidente è che la totalità del parco abitativo portoghese censito come vuoto (circa 735 mila unità abitative) è largamente superiore al numero di famiglie con gravi carenze abitative. Tutti i 187 municipi che identificavano carenze in questo senso nel 2011 presentavano un numero di unità abitative inutilizzate superiore alle necessità: basti notare che nel municipio in cui questa relazione è minore la copertura è del 244%. Solo il totale di case vuote dell’edilizia pubblica basterebbero per rialloggiare il 27% delle

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Dati sulle necessità di rialloggiamento Fonte: IHRU 2018

Famiglie da rialloggiare

%

Accampamento clandestino

327

12,7

Area di rischio

2098

8,14

Tipologia Urbana

Quartiere clandestino

941

3,65

Quartiere sociale

3837

14,89

Baracche e costruzioni precarie

11999

46,58

Parque de campismo Conjunto urbano consolidado degradato Barracas e construções precárias Bairro social Bairro clandestino (AUGI) Área de risco Acampamento clandestino

Congiunto urbano consolidato degradato Campeggio TOTALE

4

0,02

25762

100,00

Quantità e peso famiglie da rialloggiare per tipologia urbana

Tipologia Urbana

Accampamento clandestino

Famiglie da rialloggiare

%

39

0,75

Accampamento clandestino

Tipologia Urbana

Famiglie da rialloggiare

%

53

0,38 12,41

Area di rischio

4

0,08

Area di rischio

1716

Quartiere clandestino

27

0,52

Quartiere clandestino

727

5,26

Quartiere sociale

31

0,59

Quartiere sociale

3044

22,01

Baracche e costruzioni precarie

1450

27,77

Baracche e costruzioni precarie

6280

45,42

Congiunto urbano consolidato degradato

3670

70,28

Congiunto urbano consolidato degradato

2008

14,52

1

0,02

Campeggio

5222

100,00

13828

100,00

Campeggio TOTALE

Famiglie da rialloggiare per tipologia urbana Area Metropolitana di Porto

TOTALE

Famiglie da rialloggiare per tipologia urbana Area Metropolitana di Lisbona

famiglie in condizioni precarie ma la distribuzione sul territorio degli alloggi disponibili e delle famiglie bisognose è del tutto diseguale: molti municipi hanno disponibilità di alloggi senza famiglie che ne abbiano bisogno e viceversa. Solo 25 Comuni presentano un numero di unità abitative di edilizia pubblica disponibili che possono coprire le esigenze del proprio territorio e il totale delle famiglie che ne usufruirebbe è 200. In base all’analisi dei dati presentati, l’indagine dell’IHRU propone alcune soluzioni per rispondere alle carenze abitative nazionali: • la riabilitazione di unità abitative esistenti sia nell’ambito dell’edilizia pubblica che in proprietà di tipo privato nei casi in cui sia possibile un intervento che conferisca condizioni abitative adeguate; • l’acquisto e la ristrutturazione di edifici abbandonati; • l’affitto di case disponibili nel parco abitativo.


la città informale e la nuova politica abitativa

Famiglie da rialloggiare

%

Baracche

3138

12,18

Convenzionali

8964

34,80

Elementi naturali

11

0,04

Abitazioni mobili/camper

122

0,47

12642

49,07

Prefabbricati

823

3,19

Tende

62

0,24

TOTALE

25762

100,00

Tipo di costruzione

Non convenzionali di pietra, muratura o mattone

Proprietários Concessionários Clandestina Cedências Arrendatários públicos Arrendatários privados

Famiglie da rialloggiare per tipo di costruzione

Famiglie da rialloggiare

%

Baracche

1258

9,10

Convenzionali

3735

27,01

Tipo di costruzione

44

%

Baracche

155

2,97

Convenzionali

3173

60,76

Elementi naturali

1

0,02

0,32

Abitazioni mobili/camper

7

0,13

1848

35,39

38

0,73

25762

100,00

Elementi naturali Abitazioni mobili/camper

Famiglie da rialloggiare

Tipo di costruzione

Non convenzionali di pietra, muratura o mattone

8682

62,79

Non convenzionali di pietra, muratura o mattone

Prefabbricati

105

0,76

Prefabbricati

Tende

4

0,03

Tende

TOTALE

13452

100,00

TOTALE

Famiglie da ricollocare per tipo di costruzione

Famiglie da ricollocare per tipo di costruzione

Questa indagine, che di fatto era molto urgente nel contesto portoghese, è frutto di un processo più ampio che ha avuto inizio a novembre 2016 quando il governo ha creato un gruppo di lavoro parlamentare con il mandato di definire una nuova politica nazionale per risolvere i problemi abitativi. Nel testo approvato nell’ottobre 2017 sul Senso Strategico, Obiettivi e Strumenti di attuazione della Nuova Generazione di Politiche Abitative (República Portuguesa, 2017), definita grazie anche alla collaborazione con gli ambienti accademici e della società civile, emerge chiaramente la volontà di garantire il diritto alla casa e alla città dei più vulnerabili attraverso la riqualificazione urbana. In tal senso, la Nuova Generazione di Politiche Abitative (NGPH), approvata dalla risoluzione del Consiglio dei Ministri n. 50-A/2018, del 2 maggio 2018, è volta a sostenere la popolazione esclusa dall’accesso alla casa per situazioni di grave carenza e vulnerabilità ma anche a causa delle trasformazioni del ruolo dello Stato e delle nuove dinamiche del mercato

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per una città giusta. politiche e progetti di inclusione urbana in portogallo • elena tarsi

Famiglie da rialloggiare

%

Affittuari privati

9831

38,16

Affittuari pubblici

3877

15,05

Tipo di occupazione

Concessioni

1395

5,40

Clandestina

6795

26,38

4

0,02

Proprietari

3860

14,98

TOTALE

25762

100,00

Concessionari

Proprietários Concessionários Clandestina Cedências Arrendatários públicos Arrendatários privados

Famiglie da rialloggiare

%

Appoggio a famiglia da rialloggiare per acquisire un’abitazione

857

3,33

Acquisizione di nuove abitazioni

1576

6,12

Acquisizioni e recupero abitazioni esistenti

1158

4,49

Affitto di abitazioni

1075

4,17

Costruzione di nuove abitazioni

6889

26,74

Indennizzazione senza rialloggiamento

99

0,38

Tipologia Urbana

Altro

13336

51,77

Recupero abitazioni esistenti

367

1,42

Recupero abitazioni sociali esistenti

405

1,57

25762

100,00

TOTALE

Famiglie da rialloggiare per tipo di occupazione

pagina a fronte Schema dell’articolazione tra missione, principi e obiettivi Fonte: RCM, 2017

Famiglie da rialloggiare per soluzioni di ricollocazione

immobiliare legate ai processi di turistificazione e finanziarizzazione che interessano soprattutto le metropoli. La risposta della Nuova Politica, che di fatto incorpora i principi del Plano Estratégico de Habitação 2008/2012 (Guerra et al., 2007), è principalmente basata su una strategia diretta a promuovere la riqualificazione dell’esistente e l’accessibilità degli immobili in affitto. Lo scarso ruolo del mercato locativo portoghese è storicamente il risultato sia della mancanza di domanda che di una ridotta offerta: la prima è sostanzialmente conseguenza delle agevolazioni fornite dal credito per l’acquisto della casa che consentiva alle famiglie di pagare un canone mensile vicino a quello che si sarebbe pagato per una locazione al prezzo di mercato; la seconda dipendeva invece dalla legislazione che regolamentava i contratti di affitto e da un sistema giudiziario che non tutelava il rischio assunto dai proprietari (Guerra et al., 2007). In seguito alla crisi economica invece il peso dei mutui contratti per l’acquisto della casa è diventato per molti cittadini portoghesi insostenibile, producendo un aumento delle difficoltà di accesso al mercato: da qui la necessità di stimolare un mercato degli affitti accessibile. L’approccio dichiarato è di tipo integrato e partecipativo che promuova l’inclusione sociale e territoriale attraverso una forte cooperazione tra politiche e organismi settoriali, tra le amministrazioni centrali, regionali e locali e tra i settori pubblico, privato e cooperativo, così come una maggiore vicinanza alla popolazione. (RCM, 2018)


la città informale e la nuova politica abitativa

MONITORIZAÇÃO

Dar resposta às familias que vivem em situação de grave carência habitacional

INFORMAÇÃO

Acesso universal a una habitação adequada

Garantir o acesso à habitação aos que não têm resposta por via do mercado

GARANTIR O ACESSO DE TODOS À HABITAÇÃO

Pessoas no centro

Prioridade à reabilitação e ao arrendamento

GENERALIZAR A REABILITAÇÃO DE EDIFÍCIOS E URBANA

Promover a inclusão social e territorial e as oportunidade de escolha habitacionais

AVALIAÇÃO

Criar as condições para que a reabilitação ao nível do edificado e do desenvolvimento urbano

GOVERNANÇA MULTINÌVEL ABORDAGEM INTEGRADA E PARTICIPADA

La responsabilità di tradurre questo approccio è lasciata ai Comuni che devono decidere le soluzioni abitative più adatte per il loro territorio, identificare le persone che vivono in condizioni precarie e gestire le loro richieste di sostegno. Si attribuisce alle autorità locali un ruolo indispensabile nella costruzione e attuazione di risposte più efficaci ed efficienti, dato il loro stretto rapporto con i cittadini e con il territorio, che consente loro di avere una comprensione più precisa delle sfide e delle risorse che possono essere mobilitate

si legge nel DL n. 37/2018. Secondo questa strategia l’IHRU distribuisce i fondi disponibili in funzione dei progetti proposti, monitorizza l’applicazione del programma e procede in seguito alle valutazioni. La Nuova Politica Abitativa è strutturata secondo 4 obiettivi principali, per raggiungere i quali sono creati o potenziati nuovi strumenti, qui sotto presentati sinteticamente:

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per una città giusta. politiche e progetti di inclusione urbana in portogallo • elena tarsi

1. Dar risposta alle famiglie in grave carenza abitativa Partendo dall’analisi dei limiti del PER nell’affrontare il problema delle famiglie che vivevano in situazione di forte degrado, il documento propone di garantire l’accesso all’abitazione per i più vulnerabili attraverso strumenti flessibili: “1° Direito: Programa de Apoio ao Direito a Habitação”6 — Questo programma, approvato dal governo a giugno 2018 attraverso lo stanziamento di circa 1700 milioni di euro fino al 2024, dei quali 700 milioni a fondo perduto, è considerato centrale e deve necessariamente interfacciarsi con le altre politiche settoriali dirette ai più vulnerabili come la ENIPSSA 2017-2023 — Estratégia Nacional para a Integração das Pessoas em Situação de Sem-Abrigo. Prevede il finanziamento dei Comuni per la riqualificazione di immobili di cui siano proprietari, acquisto e riabilitazione di immobili o affitto di edifici a scopi abitativi, acquisto di terreni e costruzione di nuove unità in casi particolari in cui ci sia insufficienza di abitazioni in determinati territori. “Porta de Entrada: programa de Apoio ao Alojamento Urgente” — Si tratta di uno strumento dal carattere emergenziale è diretto alle vittime di disastri che sono rimaste senza casa, fornendo un alloggio temporaneo, il rialloggiamento in edifici di edilizia pubblica e solo in alcuni casi la riqualificazione della casa di cui le persone interessate dal programma siano proprietari.

pagina a fronte Matrice degli strumenti esistenti e da creare Fonte: RCM, 2017

2. Garantire l’accesso alla casa a chi non riesce accedere tramite il mercato privato La nuova politica slitta dall’obiettivo ‘casa’ a quello dell’accesso a un’abitazione adeguata: include quindi nel target anche famiglie di classe media per le quali, come abbiamo visto, lo sforzo economico per la casa è sbilanciato rispetto al reddito. La strategia è coinvolgere il mercato privato e stimolare l’offerta di immobili in affitto grazie ad incentivi di varia natura. “Programa de Renda Accesivel” — Il Programma per l’affitto a prezzi accessibili è lo strumento centrale ed ha l’obiettivo di promuovere un’offerta allargata di case in affitto a prezzi ridotti, compatibili con i redditi delle famiglie. Il Programma punta a motivare i proprietari privati a inserire nel mercato case i cui canoni di locazione siano al massimo l’80% del valore di riferimento del mercato degli affitti e per un periodo minimo di 3 anni. Il tasso si sforzo delle famiglie per il pagamento dell’affitto non dovrebbe essere inferiore al 10% né superiore al 35%. Il nuovo programma preve6

Decreto-Lei n. 37/2018 Diário da República, 1.ª série — n. 106 — 4 de junho de 2018


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Instrumento existentes Continuidade

Adaptação

1° Direito — Programa de Apolo ao Direito à Habitação

Nuovos instrumentos

Porta de Entrada — Programa de Apolo ao Alojamento Urgente

em substituição do ProHabita e do PER

Programa de Arrendamento Acessível

Instrumentos de promoção da segurança no arrendamento

Instrumentos de captação de oferta

Índices de preços e acessibilidade habitacional

FNRE – Fundo Nacional de Reabilitação do Edificado

Porta 65 – Jovem

Projecto Reabilitar como Regra

Reabilitar para Arrendar

IFRRU 2020 – Instrumento Financeiro para a Reabilitação e Revitalização Urbanas

Programa Casa Eficiente 2020

Plano Estratégicos de Desenvolvimento Urbano / Planos de Ação Reabilitação Urbana

Plano Estratégicos de Desenvolvimento Urbano / Planos de Ação Integrados para as Comunidades Desfavorecidas

Programa de Reabilitação Urbana de Bairros Sociais na Vertente de Eficiência Energética

Programa “Da Habitação ao Habitat”

Porta ao Lado – Programa de Informação, encaminhamento e acompanhamento de proximidade para acesso à habitação

Programa de mobilidade habitacional

de anche contratti di nove mesi per studenti universitari (“Programa Porta 65 Jovem”). I proprietari che aderiscono al programma beneficiano di una esenzione totale delle tasse su tali redditi (IRS e IRC) e fino al 50% della tassa sulle proprietà (IMI). Il Consiglio dei Ministri ha inoltre approvato un pacchetto assicurativo per garantire i proprietari da eventuali insolvenze e per consentire agli inquilini di continuare a pagare in caso di problemi di reddito. Le modalità di protezione sia dell’affittuario che dell’inquilino vengono introdotte attraverso la creazione degli “Strumenti di promozione delle garanzie nell’affitto”, ovvero forme di protezione del proprietario in caso di danni o di non pagamento attraverso assicurazioni e fondi di garanzia e “Indice di prezzi e accessibilità abitativa”, informazione rigorosa su prezzi e accessibilità del mercato per tutelare gli inquilini. Tra gli “Strumenti per stimolare l’offerta” vengono introdotti l’eliminazione delle tasse di trasferimento di proprietà da altri usi a quello residenziale e soprattutto un regime fiscale

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regolatorio per le società di investimento. Per quanto riguarda invece il parco pubblico di abitazioni in affitto si prevede il “Fundo Nacional de Reabilitação do Edificato” per la riqualificazione del patrimonio pubblico non utilizzato. 3. Creare le condizioni perché la riqualificazione sia la principale forma di intervento, sia a livello di costruito che di sviluppo urbano Questo obiettivo si basa sul cambiamento di paradigma dal costruire nuove abitazioni a riqualificare l’esistente. Per aiutare lo sviluppo del settore privato, prima di tutto si prevede un adeguamento dell’inquadramento legale delle opere di riqualificazione attraverso lo strumento “Projeto reabilitar como regra”. “Reabilitar para arrendar” è invece un programma di finanziamenti diretto ad operazioni di riqualificazione di nuclei abitativi che poi siano inseriti nel mercato degli affitti. Tra gli strumenti già esistenti troviamo l’“Istrumento Financeiro para Rehabilitação e Revitalização urbana (IFRRU 2020)”, un canale di finanziamento per riqualificazione di edifici con più di 30 anni in zone strategiche o sociali; il “Programa Casa Eficente 2020” che mira a finanziare le operazioni che promuovono il miglioramento delle prestazioni ambientali degli edifici e delle frazioni abitative, con particolare attenzione all’efficienza energetica e idrica, nonché alla gestione dei rifiuti urbani. Il “PEDU/PARU”, ovvero il finanziamento delle azioni previste dal Plano Estratégico de Desenvolvimento Urbano — PEDU e Plano de Ação de Rehabilitação Urbana — PARU, due piani elaborati dai Comuni che identificano le aree prioritarie per la riqualificazione urbana. Per le aree identificate all’interno del PEDU come aree sfavorite inoltre si prevede l’elaborazione del “Plano de Ação Integrado para as Comunidades Desfavorecidas — PAICD”, con l’obiettivo finanziare la riqualificazione economica, fisica e sociale dei quartieri di edilizia sociale o di aree degradate come ad esempio i quartieri informali. Si tratta di uno strumento interessante per il forte carattere integrato degli interventi di inclusione ed è stato utilizzato da molti Comuni perché parte integrante del PEDU; da segnalare che il PAICD nella maggior parte dei casi non viene applicato ad aree dal carattere informale bensì a quartieri frutto di edilizia pubblica e senza spazi e servizi comunitari. Ad Amadora ad esempio viene utilizzato solo per il Bairro do Casal da Mira, costruito nell’ambito del PER. Infine il “Programa de reabilitaçao urbana de bairros sociais na vertente da efficienza energetica”, che fa parte del progetto Portugal2020, attraverso fondi europei mira a migliorare energicamente gli edifici di edilizia pubblica.


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4. Promuovere l’inclusione sociale e territoriale Secondo la strategia i nuovi strumenti puntano a prevenire la creazione di nuovi fenomeni di esclusione socio-territoriale tramite la promozione di una diffusione territoriale dell’offerta abitativa di interesse sociale disponibile ed introducendo inoltre la mobilità delle famiglie all’interno del parco abitativo pubblico. Sempre dedicato ai quartieri di edilizia pubblica è il “Programa da Habitação ao Habitat”, che prevede l’elaborazione di piani integrati e partecipativi di sviluppo socio territoriale. Sembra essere il programma più interessante anche perché prevede la creazione di una “equipe di intervento locale” che garantisca la reale partecipazione degli abitanti. Questo programma verrà testato prima con azioni pilota. “Porta ao lado” è un programma di informazione, indicazione e accompagnamento di prossimità per l’accesso alla casa: mira a sostenere le famiglie al fine di adeguare le risposte, i mezzi e le risorse da mobilitare alla grande diversità di caratteristiche, situazioni specifiche e bisogni. Sono previsti a tale fine: una Piattaforma digitale, una Linea di supporto telefonico e il potenziamento dell’approccio integrato e di prossimità. Il “Programa de mobilidade habitacional” introduce per la prima volta la possibilità per le famiglie alloggiate in unità abitative di un edificio del parco pubblico di spostarsi in un altro edificio (di un altro quartiere o unità amministrativa) in modo da favorire la mobilità legata all’accesso al lavoro o ad opportunità di sviluppo sociale. Per quanto riguarda invece la specifica situazione delle persone senza fissa dimora, è stata approvata nel 2017, la Estratégia Nacional para a Integração das Pessoas em Situação de Sem-Abrigo 2017-2023 — ENIPSSA 2017-2023, accennata in precedenza, che si occupa delle necessità di un numero sempre maggiore di persone che si trovano a non avere accesso ad una casa. Secondo gli ultimi dati del censimento (2011) in Portogallo 696 persone sono riconosciute come senza-dimora, per la maggior parte sono uomini, con un’età media di 43 anni, di nazionalità portoghese e sono concentrati in maggior misura nei comuni di Lisbona (241 individui), Porto (218) e Faro (113). Dai report dell’associazione AMI — Assistência Médica Internacional- che si occupa di seguire direttamente le persone senza casa, però risultano dati molto più preoccupanti: il numero di persone seguite è aumentato da 1445 individui nel 2008 a 1683 nel 2012, un aumento superiore al 14% (AMI, 2013). Nel 2017 hanno accompagnato 1395 persone delle quali 443 sono state seguite per la prima volta (26% di queste sono donne). Per quanto riguarda il profilo, i dati coincidono con quelli del censimento mentre si aggiungono dati sulle principali motivazioni che hanno condotto queste persone a vivere per strada: la precarietà economica (60%), la disoccupazione (56%) e la difficoltà di accedere ad un alloggio (33%) (AMI, 2018).

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Un contributo critico sulle politiche relative agli insediamenti informali In Portogallo abbiamo visto che l’accesso all’abitazione non è solo difficile per le persone che vivono negli insediamenti informali; la crescente pressione immobiliare, i processi di finanziarizzazione e turistificazione rendono sempre più difficile l’accesso al mercato privato. L’importante lavoro condotto dal governo per la costruzione di una nuova politica abitativa ha dato senza dubbio risultati interessanti: gli si deve il merito di aver realizzato una prima indagine nazionale sulle necessità di rialloggiamento che mancava da tempo e di aver ideato una serie di programmi e strumenti che affrontano le principali problematiche dell’accesso alla casa. Analizzando con più attenzione il programma 1° Direito, che ha l’obiettivo di risolvere le problematiche abitative delle persone in condizione di maggiore vulnerabilità, di conseguenza l’oggetto delle nostre analisi precedenti, gli insediamenti informali, notiamo prima di tutto che le situazioni di vulnerabilità sono descritte all’interno del documento con attenzione, senza mai associarle a caratteristiche o stili di vita stigmatizzanti: gli insediamenti informali come li abbiamo considerati in questo volume vengono chiamati “nuclei precari” (art. 11). Interessante innovazione è che le persone che vi abitano possono accedere alle soluzioni abitative sia individualmente, sia sotto forma di associazione di abitanti o cooperative d’abitazione o di costruzione. Queste possono proporre le soluzioni desiderate, il comune deve dare il suo parere, non vincolante, e se questo fosse negativo, dove possibile deve proporre modifiche alla soluzione proposta in modo da renderla approvabile: nel caso in cui le limitazioni riguardino il quadro giuridico, il Comune deve fare i necessari passaggi per cambiarlo. Nel momento in cui si prevedano opere di riqualificazione del costruito, queste devono essere accompagnate da un processo di legalizzazione, mentre nel caso in cui si opti per la costruzione di nuove abitazioni il Comune può chiedere finanziamenti per acquistare un terreno ma deve garantire la demolizione di quelle precedenti. Nel caso specifico di abitanti che vivano in condizioni degradate in nuclei abitativi definiti con “identità propria” come le Ilhas (art.12), il programma afferma il diritto alla loro permanenza e alla riqualificazione del costruito. Nel caso in cui la proprietà di queste abitazioni sia privata, il Comune ha comunque il dovere di accompagnare la riqualificazione attraverso la creazione di un comitato di gestione; nel caso il proprietario si opponga il comitato gestore può applicare il fermo amministrativo o addirittura l’espropriazione per utilità pubblica secondo il Regime Jurídico da Reabilitação Urbana (RJRU) (Decreto-Lei n. 307/2009). Nel caso in cui invece il canone


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annuo totale versato dal residente sia inferiore all’onere annuale a carico del proprietario per il rimborso del prestito relativo alla riqualificazione, quest’ultimo può richiedere dei finanziamenti per colmare la differenza tra tali importi. Nonostante queste valutazioni positive sull’impostazione della politica e soprattutto del programma 1° Direito, non è possibile sapere come la politica sarà effettivamente applicata dalle amministrazioni locali e di conseguenza quale sarà la sua efficacia per il raggiungimento degli obiettivi. Infatti, se la strategia si basa sul riconoscimento dei limiti del PER, in definitiva però lascia spazio perché si riproducano processi simili, non nella forma ma nella sostanza. Ciò che purtroppo si lamenta nella nuova generazione di politiche abitative è l’assenza di misure dirette ai quartieri informali, che permettano di risolvere le questioni fondiarie e soprattutto difendano il diritto delle comunità di rimanere nei propri luoghi di residenza. Infatti non sembra assurdo pensare che fino a che questi principi non saranno definiti prima di tutto in termini giuridici e poi con strumenti specifici d’intervento, i processi di riqualificazione saranno comunque legati al displacement dei residenti. Vale la pena ricordare ancora una volta che il dislocamento di famiglie e comunità di vicinanza è sempre una perdita in termini di legami sociali ed economici, di memoria e di capacità di resilienza, come già ampiamente evidenziato nel caso del PER. Il confronto con il modello brasiliano torna utile ancora una volta per riflettere sulle eventuali difficoltà nell’applicazione del programma. Infatti il parallelismo che è possibile riconoscere tra la legge quadro conosciuta come Statuto della Città ed approvato nel 2001 e alcune delle linee di intervento previste dal programma 1° Direito, permette di usufruire dell’esperienza brasiliana e delle molte valutazioni fatte a distanza di più di 15 anni dall’istituzione dei nuovi strumenti, per allertare sugli eventuali rischi nel contesto portoghese. Lo Statuto della Città in Brasile, una legge innovativa. La legge quadro conosciuta come Statuto della Città, approvata nel 2001 come risultato di un lungo lavoro di concertazione tra gli attori principali delle politiche urbane, crea strumenti giuridici che permettono un cambio di paradigma rispetto alla gestione non solo degli insediamenti urbani ma in generale dell’accesso alla terra urbana e alla sua funzione sociale. A partire dal processo di democratizzaizone (1985), si aprì infatti nella società brasiliana un ampio dibattito sulle città, sulla loro gestione e sulle forti disuguaglianze che caratterizzavano le aree urbane e metropolitane del paese. Il dibattito, sviluppato all’interno dello spazio istituzionale chiamato Forum per la Riforma Urbana, vide

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la partecipazione dell’accademia, dei professionisti, dei movimenti sociali urbani, dei sindacati, della chiesa di base e delle amministrazioni locali. La legge crea strumenti d’attuazione degli articoli 182-183 della Costituzione Brasiliana del 1988, che definiscono la funzione sociale della proprietà urbana (§ 2) e gli strumenti per garantirla. Sia la nuova Costituzione che la nuova legge quadro sono una conquista anche in termini di democratizzazione della città perché introducono la partecipazione attiva dei cittadini nella pianificazione urbana. È una legge ampia che include una varietà di strumenti affinché i Comuni contrastino la disuguaglianza sociale, promuovano il diritto alla casa e, in generale, il diritto alla città, processi fatti di conflitti e conquiste nel quotidiano (Friendly 2013). Ai fini delle riflessioni sviluppate in questo volume, l’aspetto più innovativo dello Statuto è la nuova prospettiva con la quale gli insediamenti informali sono considerati in termini legislativi. Per la prima volta, viene riconosciuto e sancito da una legge federale il diritto delle persone che risiedono in aree informali alla loro casa e al luogo dove vivono. Da un lato si mette in discussione uno dei pilastri della società capitalista — la proprietà privata — e dall’altro si riconosce la disuguaglianza sociale come una delle cause del fenomeno informale. Inoltre, supera la visione negativa e stigmatizzante degli abitanti delle aree informali che per più di un secolo hanno inspirato le politiche ed i programmi pubblici (Alvito, Zaluar, 2004). Questa nuova visione si riflette in strumenti specifici, tra i quali mi sembra importante sottolineare gli strumenti di regolarizzazione fondiaria: questi consentono nuove forme di legalizzazione per le occupazioni fatte da popolazioni a basso reddito in aree che non gli appartengono legalmente (Istituto Polis, 2002). Di seguito una presentazione sintetica degli strumenti principali: 1. ZEIS, Zone Speciali di Interesse Sociale, sono uno strumento di regolarizzazione non solo fondiaria ma anche urbanistica: sono aree da delimitare all’interno del Piano Regolatore Comunale, dove sono consentiti parametri di uso del suolo diversi dal resto della città. È uno strumento che riconosce le specificità delle aree informali e il diritto di rimanere nel proprio quartiere; definisce la necessità di elaborare piani di intervento per riqualificare lo spazio e fornire infrastrutture e servizi e che afferma la partecipazione della popolazione come base del processo. I programmi di regolarizzazione devono essere necessariamente “articolati con altri programmi per combattere l’esclusione, come l’accesso al credito, l’istruzione, ecc.” (Instituto Polis, 2002, p. 155).


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2. Usucapione urbano individuale e Usucapione urbano collettivo. Questo strumento, definito nell’articolo 183 della Costituzione, amplia le possibilità di regolarizzazione fondiaria riducendo a 5 anni il consueto strumento di usucapione a 20 anni. Nel caso in cui un terreno (inferiore a 250 m2) sia occupato a scopi abitativi da una famiglia a basso reddito per almeno 5 anni, senza opposizione e non possedendo altre proprietà, può ottenere il possesso legale. Nel caso in cui in un insediamento informale non sia possibile identificare la singola proprietà di ogni famiglia può essere fatto ricorso all’usucapione collettivo (Instituto Polis, 2002, p. 166). L’idea di riscatto collettivo della proprietà nasce dalla necessità di difendere la permanenza di una popolazione in un quartiere anche nel caso in cui la divisione in singoli lotti e in singole proprietà sia molto difficie da ricostruire; allo stesso tempo, contribuisce a limitare la speculazione del mercato una volta ottenuta la proprietà. 3. Uso speciale per scopi abitativi, individuali o collettivi. Si tratta di uno strumento per la regolarizzazione fondiaria di terre pubbliche occupate in modo informale dalla popolazione a basso reddito, in quanto è vietata l’acquisizione della piena proprietà delle terre pubbliche attraverso l’usucapione. Questo strumento consente ai Comuni, nel caso in cui un terreno pubblico sia occupato da persone socioeconomicamente vulnerabili, pur mantenendo la proprietà pubblica, di legittimare il diritto delle famiglie di rimanere in quel quartiere. La visione di fondo di questa figura giuridica riconosce la responsabilità della società nel suo insieme in relazione alla disuguaglianza di accesso alla casa da parte di un segmento importante della popolazione. 4. Una parte dello Statuto della Città inoltre ha un approccio che nasce dalla specificità del contesto brasiliano: la costruzione della città è avvenuta in modo strutturalmente esclusivo e la speculazione sulle terre vuote ha contribuito alla frammentazione del sistema urbano. Questo è il motivo per cui molti dei nuovi strumenti creati si riferiscono all’induzione dello sviluppo urbano: ad esempio “Espropriazione, costruzione o utilizzo obbligatorio”, “IPTU (tassa sulla rendita fondiaria) progressivo nel tempo”. Questi strumenti sono interessanti anche per il contesto portoghese che come abbiamo visto presenta un’alta percentuale di edifici vuoti e non utilizzati sia di proprietà pubblica che privata. Il tema della democratizzazione della gestione urbana permea l’intero Statuto, poiché considera la partecipazione dei cittadini come il principio base dei nuovi strumenti. Con la vittoria di Lula, nel 2003 è stato creato il Ministero delle Città che ha svolto un ruolo importante nel sostenere i Comuni nell’attuazione delle linee guida della nuova legge.

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Successi e limiti dell’applicazione dello Statuto Dal momento dell’approvazione dello statuto nel 2001, l’applicazione dei nuovi strumenti da parte dei Comuni è avvenuta in forma generalizzata: secondo la valutazione del ministero delle città, la maggior parte dei piani regolatori comunali ha introdotto la delimitazione delle ZEIS (Alves, Todtmann, 2011). Ciò significa riconoscere il diritto delle classi svantaggiate di rimanere nelle proprie comunità e rappresenta, nonostante le difficoltà di intervento in queste aree, una difesa contro le rimozioni forzate e gli interessi immobiliari e la sicurezza della proprietà (Rolnik, Santoro 2013). Tuttavia, la demarcazione avrebbe dovuto essere seguita da piani specifici per l’urbanizzazione e la regolarizzazione elaborati in modo partecipativo e anche dal conseguente investimento di risorse per l’applicazione dei piani. In questo senso, ci sono state relativamente poche esperienze di successo. Personalmente ho avuto l’opportunità di collaborare all’elaborazione di un Plano de Bairro per il quartiere di Nova Costituente, ZEIS nella municipalità di Salvador, capitale dello stato di Bahia (si veda Tarsi, 2014, 2015): il grande sforzo di tutti gli attori coinvolti, soprattutto della comunità oltre che l’uso dei finanziamenti pubblici è stato di fatto reso inutile dalla mancata implementazione dovuta a ragioni di cambiamento politico. Dall’analisi dei risultati degli interventi nelle ZEIS a Sao Paulo tra gli anni 2002-2014, apprendiamo che gli obiettivi relativi all’urbanizzazione e alla regolarizzazione degli insediamenti sono stati molto limitati (Tanaka, 2017). Un decennio dopo la creazione dello Statuto della Città, emerge dall’analisi dei limiti e dei vincoli nel processo di applicazione (Maricato, 2010) che, sebbene la legge consenta un cambiamento radicale nella gestione delle città a livello comunale, c’è ancora una resistenza alla sua applicazione basata sulla prassi clientelare della gestione del potere. Secondo Rolnik (2013) infatti, l’intero processo di formulazione, approvazione, applicazione e interpretazione dello Statuto della Città è stato un continuo contrasto tra due diversi progetti di riforma urbana nel paese: da un lato un approccio basato sui diritti, difeso dal movimento per la riforma urbana, e dall’altro il paradigma di una città competitiva guidata dal mercato. Rolnik sottolinea anche che il più grande limite dell’applicazione della riforma urbana in Brasile dipende dal fatto che la pianificazione urbana continuo ad essere “dominata da una burocrazia settoriale e da un processo decisionale influenzato dagli interessi degli attori economici e politici” (Rolnik, 2011, p. 251). Un esempio paradigmatico di questa dipendenza è stata la rimozione delle favelas nelle aree interessate dai lavori di preparazione per i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, riportati da Magalhães (2012). Tuttavia, i limiti dell’applicazione dello Statuto nel contesto brasiliano non incidono sul suo potenziale di promuovere la riduzione delle disuguaglianze sociali nell’accesso


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alla terra urbanizzata e alla città e soprattutto di garantire il diritto alla casa della popolazione degli insediamenti informali (Fernandes, 2007). Gli strumenti sopra descritti rimangono tra i più innovativi nell’applicazione della funzione sociale del suolo urbano e della città. La dimensione relativamente ridotta del fenomeno informale in Portogallo permette oggi di pensare a politiche che sappiano partire dalla comprensione della complessità delle problematiche che riguardano la popolazione che vive in questi quartieri, nel rispetto della specificità di ogni caso (esistono già analisi specifiche su molti di questi quartieri: vedi Lages, Braga 2016, Ascenção 2011, 2013, Beja-Horta 2006, tra gli altri) e, in ogni caso, possa pensare ad interventi integrati e in stretta collaborazione con le popolazioni residenti. L’esperienza del programma Bairros Criticos, precedentemente accennata, andava, anche se con qualche difficoltà, in questa direzione, ovvero di creare piani integrati, costruiti con la partecipazione della popolazione interessata che sommassero interventi di riqualificazione dello spazio urbano e del costruito con interventi di sviluppo sociale ed economico. Purtroppo a quella sperimentazione mancava sostanzialmente il potersi appoggiare ad un quadro giuridico che rendesse possibile la regolarizzazione fondiaria. Dotare i Comuni di questi strumenti permetterebbe di risolvere questioni bloccate da anni e di stimolare nuove dinamiche e interventi d’inclusione: non è chiara infatti l’effettiva libertà delle amministrazioni locali di creare strumenti in questo senso. D’altro canto Bairros Criticos mostrava i suoi limiti più evidenti nella stigmatizzazione riprodotta addirittura dal nome del programma; la stessa cosa vale per il PAICD: finchè si continuerà ad associare a parti di città e ai suoi abitanti l’idea di povertà, problematicità e vulnerabilità non si metteranno realmente in grado di uscire dalla ‘logica dello stigma’. La possibilità che vengano definiti interventi realmente integrati, risultato della conoscenza della realtà dei quartieri informali e che possa costruire processi multidimensionali d’inclusione urbanistica e socioeconomica degli abitanti, è in definitiva lasciata alla volontà politica dei Comuni, spesso guidata agli interessi che orientano le trasformazioni dei territori (abbiamo visto il caso di Amadora). In questo senso anche creare strumenti a medio e lungo termine che non dipendano dai cicli elettorali sarebbe stato auspicabile (Allegra et a., 2017). Quello che sembra più rischioso è che gli obiettivi di inclusione definiti dal Governo rimangano sulla carta e nella reale applicazione del programma si riproponga lo spostamento delle persone dei quartieri di edilizia pubblica, accentuando il processo di polarizzazione. Se il limite maggiore dell’applicazione dello Statuto della Città è stato quello di essere una legge quadro e quindi di non interferire di fatto nelle scelte delle amministrazioni locali, non è insensato pensare che questo sia anche il limite del programma 1° Direito e della strategia portoghese per le persone che vivono in condizioni precarie.

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Conclusione

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conclusione

Centro Storico di Porto Foto dell’autrice

Per una città giusta La città ideale, che sia immaginata dagli antichi greci, progettata dagli architetti rinascimentali, o fantasticata dai razionalisti dei primi del ’900 è sempre una città giusta. Ma il concetto di giustizia è frutto del processo storico e della società che lo produce di cui la città e le sue proiezioni utopiche sono espressione. Non si può prescindere dalle gerarchie di potere e dalle cornici culturali per giudicare il livello di giustizia: la città dell’antica Grecia, democratica per eccellenza, escludeva dal ruolo di cittadini le donne e gli schiavi, la città rinascimentale si occupava solo delle signorie cittadine, quella razionalista appiattiva ogni differenza nella fede per lo standard. È lecito chiedersi allora come intendiamo oggi in Europa la giustizia e come vogliamo che le nostre città ‘ideali’ ne siano il riflesso. Marcuse ricorda che “una buona città non dovrebbe essere semplicemente una città con equità distributiva, ma una città che permetta il pieno sviluppo di ogni individuo e di tutti gli individui” (Marcuse, 2009, p. 2) e questo è necessariamente legato ai conflitti di potere. Harvey ha una posizione più critica: sostiene che il problema non sia la definizione filosofica della giustizia, ma piuttosto l’analisi storica specifica della fase neoliberale del capitalismo che oggi è responsabile di ovvie e molteplici ingiustizie. Harvey giudica inutile la ricerca di una città giusta all’interno di una società capitalista perché non compatibile con i limiti del sistema; è quindi, se si persegue l’obiettivo della giustizia, necessario un cambiamento strutturale della società. Fainstein (2010) invece interpreta l’idea di giustizia come la difesa di tre principi: eguaglianza, diversità e democrazia. Nel tentativo di tradurre questi principi all’interno delle pratiche dello spatial planning, Fainstein elenca una serie di criteri specifici da difendere per contribuire a costruire la giustizia spaziale. Tra questi le più interessanti in relazione alle riflessioni contenute in questo libro sono: la necessità di garantire l’accesso alla casa per le famiglie con reddito inferiore alla media e di mantenere le tariffe di transito molto basse. Difendere il diritto al luogo: nessuna famiglia dovrebbe essere trasferita involontariamente allo scopo di ottenere proventi di tipo economico I pianificatori dovrebbero


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assumere un ruolo attivo in contesti deliberativi nel difendere soluzioni egualitarie e bloccare quelle che vanno a beneficio sproporzionato dei già benestanti o che, pur ottenute attraverso percorsi partecipati, non abbiano dato risultati ‘giusti’ (Sennet, 2017). La città dovrebbe avere confini interni porosi, lo spazio pubblico accessibile e vario, gli usi e le classi sociali mescolate. Molteplicità e complessità sono sempre state le caratteristiche principali degli spazi urbani nelle città europee. I programmi di edilizia pubblica del passato hanno negato questa complessità e creato spazi senza identità. È possibile cambiare questo paradigma e investire in programmi di riqualificazione che rispettino le differenze e aiutino a costruire città e società democratiche e multiculturali. In questo volume ho fatto lo sforzo di affrontare il tema complesso e sfaccettato dell’esclusione urbana, delle sue manifestazioni spaziali e delle strategie (politiche, piani, esperienze dal basso) messe in campo per costruire inclusione sociale e spaziale nel contesto Portoghese. Se è vero che il paradigma relativo alle dinamiche abitative “è slittato dalla difesa del ‘diritto all’abitare’ al dibattito centrato sull’equilibrio tra domanda e offerta” e che il modello di produzione economica ha messo fortemente in discussione il ruolo dello Stato nella regolamentazione della società e dell’economia, e in particolare di fronte alle popolazioni più vulnerabili, richiedendo una revisione dei tradizionali meccanismi di intervento delle politiche sociali. (Guerra, 2011, p. 42)

l’esperienza portoghese ha però dimostrato come sia possibile affermare ancora principi di uguaglianza e diritti. Il Portogallo è stato indubbiamente un laboratorio interessante in questi ultimi anni in cui ha reagito alla crisi economica e ai piani imposti dall’austerity con un programma che, anche se con fatica, ha saputo tenere insieme diritti e mercato. Le analisi condotte in relazione agli insediamenti informali rappresentano un contributo per riflettere sul fenomeno a livello europeo sia come base per studi comparativi che come contributo per la definizione di politiche e programmi. In questo quadro, la partecipazione dei cittadini alla gestione delle città può fare la differenza specialmente nelle aree informali. Sicuramente esiste l’urgenza di inserire la questione degli insediamenti informali nell’interesse accademico e nei dibattiti e soprattutto nell’agenda sociale e urbana dei paesi europei. Dobbiamo sperimentare nuovi tipi di strategie che contrastino con lo storico atteggiamento di criminalizzazione della povertà, sviluppando politiche efficaci e adattando la legislazione e gli strumenti urbanistici. La proposta è che ci si orienti verso programmi che non si riducano al rialloggiamento o alla riqualificazione urbana ma diventino veri e propri processi di inclusione sociale oltre che nel tessuto urbano (Tarsi, 2013). Il primo passo per costruire un nuovo paradigma è la consapevolezza


conclusione

che “la segregazione e l’informalità non sono un fenomeno spontaneo, ma i prodotti di un processo storico di costruzione della città che segue, riflette e riproduce le caratteristiche della società iniqua” (Maricato, 2010, p. 8). Sono manifestazioni spaziali della disuguaglianza sociale e riflettono la sua natura multidimensionale (UNECE, 2009). Seguendo questa prospettiva, la realtà degli abitanti che vivono in insediamenti informali diventa una forma di resistenza contro il processo di esclusione sistematico attivato dalla società stessa: il ruolo dello Stato è di difendere questi spazi di vita da interessi diversi e privati, come la speculazione immobiliare. Le differenze potrebbero essere una componente forte dell’identità di un’area informale. Quello che è stato considerato uno stigma, potrebbe essere un valore aggiunto nella costruzione di città multiculturali che valorizzano le differenze invece di negarle (per esempio rispettando le differenze nell’uso dello spazio urbano), con l’obiettivo non solo di risolvere un problema abitativo ma di invertire la storica esclusione dei più vulnerabili e costruire città (e di conseguenza società) giuste.

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Bibliografia

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Finito di stampare da Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. | Napoli per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Dicembre 2018



Il tema dell’esclusione urbana acquisisce nello scenario della crisi contorni nuovi e sempre più aspri. Il volume approfondisce le manifestazioni spaziali delle disuguaglianze sociali, le cause e gli attori che contribuiscono alla costruzione di questi fenomeni all’interno della città. La ricerca si interroga su quali siano le strategie specifiche del planning, per contrastare l’esclusione urbana e costruire città giuste. Le riflessioni avanzate si basano sul contesto urbano portoghese, vero e proprio laboratorio di politiche e progetti su tematiche attuali e rilevanti come l’aumento della polarizzazione, la perdita del tessuto sociale dovuto ai fenomeni di displacement, gli insediamenti informali, fenomeno quest’ultimo ancora poco approfondito nel contesto europeo. L’approccio metodologico a cui si fa riferimento inserisce lo studio nella cornice internazionale degli studi post-coloniali. La prospettiva Sud-Nord si avvale dei quadri interpretativi e delle buone pratiche sviluppate nel Sud Globale per dare nuove letture dei fenomeni dei nostri territori in transizione: questo lavoro utilizza come modello l’esperienza brasiliana. La sfida di come costruire città giuste viene affrontata nel volume identificando quali siano i principali fattori che causano l’esclusione urbana e attribuendo il preciso ruolo del planning nell’inasprire o contrastare il fenomeno. Attraverso la valutazione della Nuova Stagione di Politiche Abitative recentemente approvata dal governo portoghese, si coglie l’occasione per riflettere su come le pratiche del planning possano garantire il diritto alla casa, al luogo e alla città. Elena Tarsi, è architetto, dottoressa in Progettazione Urbanistica e Territoriale e attualmente ricercatrice presso il Centro de Estudos Sociais di Coimbra. Svolge inoltre attività didattica presso il DIDA dell’Università di Firenze, l’Università Cattolica di Tirana (Albania) e presso il Campus della Tongji University (Cina) in Florence. I suoi interessi di ricerca spaziano dalle tematiche relative agli insediamenti informali dei contesti metropolitani del Global South agli attuali fenomeni di frammentazione, polarizzazione e segregazione dei paesi del Sud Europa, a partire dal Portogallo.

ISBN 978-88-3338-055-1

€ 20,00


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