Emilia. Assestamenti urbani | Zanirato

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claudio zanirato

Emilia Assestamenti urbani


La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo. The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA). The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


ricerche | architettura design territorio

Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-LaVillette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo RodriguezNavarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy


claudio zanirato

Emilia Assestamenti urbani


Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.

Testi e fotografie di Claudio Zanirato Contributi di Palma Pastore

in copertina L’impronta degli eventi sismici sul patrimonio costruito.

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Stefania Aimar

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2018 ISBN 978-88-3338-052-0

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


indice

Assestamenti urbani

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Terremoti e ricostruzioni

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Mirandola: ri-configurare Immagina Mirandola La Chiesa nella Chiesa Mirandola: un nuovo tassello urbano

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San Felice sul Panaro: il Borgo e la Chiesa Post vision Restitutio ad integrum

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La chiesa del Mulino: una riconversione

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Mirabello: lo spazio del sacro e la città Il centro

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S. Agostino: nuovo municipio e centralità Urban settlements

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Camposanto: un palazzo di città Nuove relazioni spaziali

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Novi di Modena: la città oltre Scomposizioni

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Rovereto sul Secchia: un nuovo centro Nuova opportunitĂ S. Biagio in Padule: il borgo rurbanizzato Nuova specie naturale Soliera: dilatare centralitĂ Concordia sulla Secchia: aperture Bibliografia

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claudio zanirato

Emilia Assestamenti urbani



assestamenti urbani Claudio Zanirato

Università degli Studi di Firenze claudio.zanirato@unifi.it

Medolla Puntellamento emergenziale di un edificio.

Le città crescono solo quando riescono a cambiare dal loro interno, a ripensarsi in una funzione ed una dimensione nuova, aggiornata ai tempi. È questa una crescita qualitativa, la sola in grado di conferire alla città uno status superiore. I Piani di Ricostruzione post terremoto per le città duramente colpite dal sisma emiliano del 2012, sono una grande occasione per riflettere su tale dinamica. Se è difficile pensare una trasformazione fisica della città è però possibile intervenire sulla sua forma funzionale, relativamente immateriale, ma per questo non meno incisiva. Il sisma del 2012 ha agito sul tessuto urbano delle città alterando il rapporto tra i pieni ed i vuoti: le demolizioni hanno lasciato intravvedere relazioni tra parti inaspettate, mentre aree inedificate hanno acquisito un valore strategico per la delocalizzazione di parti di città. Innescando un’inversione di valore tra pieni e vuoti, il dentro ed il fuori città, è possibile ripensare l’organismo urbano in maniera veramente nuova, nella direzione della “smart city”. È questa la risorsa che una calamità come il terremoto può rappresentare per una rinascita, non solo fisica ed economica, ma anche culturale, di una comunità. Le antiche origini di questi insediamenti, nella pianura modenese, hanno visto nella contrapposizione con l’ambiente palustre la loro ragione esistenziale. Una volta prosciugati gli acquitrini, la campagna coltivata che si è sostituita ha cambiato irrimediabilmente questo rapporto e favorito la sua dissoluzione, la sua totale cancellazione verso un costruito indefinito. Alla distesa delle acque prima, dei campi poi, di recente lo “sfondo” di queste città sembra essere diventato la disseminazione di case e stabilimenti produttivi, ma senza più una precisa linea o fascia di demarcazione. I “vuoti” preesistenti e quelli generati dal terremoto, fisici e funzionali, possono consentire, assieme al recupero urbano, anche il ripristino di frammenti di un paesaggio creduto perso. Il terremoto che ha colpito queste terre e città non ha generato per fortuna diffuse distruzioni, come i precedenti sisma dell’Aquila, dell’Irpinia, del Friuli o dell’Umbria, bensì ha “operato” in maniera selettiva. La diffusione “sussultoria” dell’evento tellurico ha danneg-


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giato particolarmente e duramente soprattutto i grandi contenitori storici e specialistici ed assai meno le residenze: quindi chiese e campanili in primis, ma anche castelli e torri, teatri, municipi, scuole, fienili… Sono così venuti meno sia i presidi storici del paesaggio agrario superstite che i capisaldi dello scenario urbano di molte città di piccole o piccolissime dimensioni. Negli insediamenti urbani sono stati distrutti quasi tutti i luoghi e gli edifici di aggregazione, dove si svolgeva la vita civica, si manifestavano la “cittadinanza” e l’identificazione in essa, ma dove anche erano percepite le maggiori frizioni nel funzionamento urbano. Le tante demolizioni, così episodiche e selettive, possono consentire interventi “chirurgici” riparatori altrimenti impossibili. Le scelte urbanistiche che hanno stimolato i primi interventi di emergenza, e i successivi Piani di Ricostruzione, si sono mosse seguendo quasi sempre una logica di sostituzione, spostamenti di attività, rilocalizzazioni, insomma: nuovi poli scolastici periferici e vecchie scuole che diventeranno municipi, vecchi municipi che ospiteranno biblioteche e musei…. alcuni edifici ritenuti incongrui non più ricostruiti e aree verdi e sportive disponibili per nuove edificazioni. Le città assumeranno così nuovi assetti e funzionamenti, forse diventeranno anche in questo più sostenibili. Alcuni dei vuoti urbani che si sono generati o che andranno ad essere edificati possono però anche essere visti come involontari “scavi archeologici” nella stratificazione urbanistica della città ed in quanto tali consentire una reintegrazione di valori e segni creduti perduti e riscoperti per nuovi usi. Il processo di ricostruzione dovrebbe risolvere, tra le emergenze di cui deve farsi carico, anche le deficienze insediative già sedimentate da tempo, soprattutto negli ultimi decenni sulla fortissima spinta accrescitiva di tanti borghi e cittadine diventati consistenti insediamenti. Con i Piani di Ricostruzione è possibile non solo reintegrare le parti consolidate di aggregati urbani, se ancora congrui alla funzionalità complessiva, ma pure rilocalizzare parti in maniera correttiva, affrontando problemi pregressi e nuovi assetti indotti dall’emergenza post-sismica, che comunque apporta alterazioni irreversibili degli assetti insediativi. Ci sarà una fase, forse non lunga si spera ma comunque significativa per la vita delle comunità, in cui si dovranno confrontare inediti assetti urbani policentrici, con centri storici prima abbandonati e poi piano piano riabilitati, con le attività pubbliche che si reinsedieranno o saranno sostituite da altre, e centri civici/residenziali provvisori prima attrattivi e poi riconvertiti o rimossi del tutto. Non sarà facile gestire questi “ritorni” come automatismi attesi, quando altri usi si sa-


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ranno “forzatamente” imposti, soprattutto se il tempo che passerà sarà tanto. La nuova offerta dovrà allora essere ancora più competitiva e di qualità per imporsi come risorsa. I danni riscontrati nelle città emiliane sono stati per fortuna solo localizzati e puntuali, seppur riguardanti edifici simbolici, pertanto il tema se ricostruire in loco le comunità o meno non si pone di certo, ma sul come fare invece sì. Non si tratta quindi di affrontare tematiche di sostituzioni di interi insediamenti, bensì di loro parti, di componenti a volte già non più funzionali, per una migliore ripartenza e completa rivitalizzazione urbana. In queste opportunità, le distruzioni selettive del terremoto possono portare ad una completa riabilitazione di organismi “deformati” e “svuotati” già prima delle scosse. Il commercio ed i servizi alla persona, che costituiscono la linfa vitale dell’urbanità, si erano già di molto rarefatti in questi centri storici, spesso semplicemente spostati nei centri commerciali periferici, “centralizzati” insomma. Anche le attività pubbliche operavano di sovente in strutture fatiscenti e sottodimensionate, inadeguate per accessibilità ed efficienza, inadatte ai tempi ed alle dimensioni urbane raggiunte. I crolli e le demolizioni non sistematici hanno interessato prevalentemente aree centrali e strategiche, proponendo nuove visuali, possibilità di inediti collegamenti, relazioni nuove tra le parti. Gli spazi aperti che si sono creati all’improvviso potrebbero essere una risorsa urbana più importante degli edifici perduti, da valorizzare come tale. Viceversa, la riflessione potrebbe ricadere su come ricostruire, se le stesse quantità, oppure incrementate o diminuite, se ristabilire una continuità nel tessuto o evidenziare la discontinuità “traumatica”, se integrarsi nuovamente oppure distinguersi, con morfologie e linguaggi architettonici dissonanti, in forme antitetiche. La possibilità di ricreare “nuovi valori dell’ambiente urbano, ove quelli originari non risultino più recuperabili… con interventi di modifica della morfologia urbana esistente, attraverso interventi di demolizione e ricostruzione con modificazione delle sagome e dei sedimi”, sancito dall’art.12 della L.R.16/2012, che guida la Ricostruzione nella Regione, attribuisce ai progetti una importante riflessione operativa. Ciò vale soprattutto nei confronti della ricostruzione delle aree centrali di insediamenti minori e scarsamente caratterizzati come per quelle parti più consolidate di città, non più integrate al suo dinamismo. In contesti tanto variegati quali quelli delle aree urbane colpite dal sisma in Emilia, ogni intervento programmato sembra essere invece solo puntuale, limitato quasi esclusivamente al singolo edificio, e questo tende a fare trascurare la scena urbana nel suo complesso, anche se apparentemente più integra, per non parlare poi della visione allargata a scala territoriale. Invece, bisognerebbe poter ben soppesare ogni singola scelta in un ambito ben

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più esteso e di interesse comune, privilegiando la sfera pubblica su quella privata, come occasione di miglioramento, dal particolare al generale, poiché la città ha di fatto un’unica scala dimensionale e funzionale e la si può cambiare pure agendo su singole componenti. La progettualità cui si è di fronte dev’essere comunque capace di “radicare” nuove figure urbane all’esistente, quest’ultimo seppur debole morfologicamente, proponendo nuove connotazioni da condividere. È questa anche la possibilità di “rimisurare” la città, tentare di ristabilire dei rapporti più equilibrati nella compagine urbana, quasi sempre dominata da piccoli nuclei storici “soffocati” da comparti edificatori avulsi e smisurati, indefiniti. Non si tratta più di tanto di questioni di linguaggio nella riedificazione dei danni sismici, di forma o apparenza insomma, ma più che altro di sostanza, cioè di capacità relazionali che i nuovi interventi, nelle aree edificate consolidate, devono essere capaci di instaurare con l’intorno, per assecondare i nuovi modi di vita urbani, al riuso degli spazi, edificati e non. Le novità che si possono così inserire nei tessuti storicizzati hanno una grande potenzialità: riscattare e rivalorizzare quanto di antico è rimasto, non solo come spazio della memoria, ma come nuovo contributo attivo per la comunità. In fondo, la maggior parte di edifici che avvertiamo come “antichi” sono stati a loro volta delle novità nei centri urbani, degli innesti in qualcosa di ancora più datato: le città non hanno un’unica datazione ovviamente, ma una continuità di vita che ha ammesso una stratificazione di interventi, involontari o non. Di questo non bisogna spaventarsi, anzi cogliere l’opportunità e non subirla passivamente: solo se funzionano veramente i nuovi interventi saranno a loro volta metabolizzati nelle città, altrimenti diventeranno prima o poi oggetto di altri ripensamenti. Anche il riuso, le nuove destinazioni che si stanno attribuendo agli edifici colpiti dal sisma, che è sempre appartenuto alla vitalità degli organismi urbani, rappresentano dei cambiamenti profondi: vecchie scuole che diventano municipi o poliambulatori, chiese non più aperte al culto che diventano spazi culturali… Spesso è solo con gli apporti del nuovo (edifici, funzioni) nel tessuto storico che questo riesce veramente a sopravvivere a se stesso: i nuclei storici di queste terre colpite erano già in parte oggetto di abbandono da parte degli stessi abitanti, per le difficoltà di “adattamento” riscontrate per le residenze, attività lavorative e commerciali, sopravvivevano soprattutto come patrimonio affettivo e non sempre neppure identitario (fenomeno diffuso per tutti quei piccoli centri abitati storici di cui l’Italia è piena). Le città sopravvivono a loro stesse solo se sono in grado di essere degli organismi “adat-


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tativi”: per questo il “dov’era com’era” non è di sicuro una ricetta che garantisce la sopravvivenza, anzi. Nel corso del tempo le città si sono “adattate”, spesso anche forzatamente e traumaticamente, per difendersi, per infrastrutturarsi, per trasformazioni economiche, e quando non vi è stata la volontà degli uomini si è messa quella della natura “distruttiva” ad imporre cambiamenti (l’analisi storico-urbanistica condotta per tutti i luoghi oggetto d’intervento qui presentati ha bene evidenziato tale fisiologia evolutiva). I centri storici, sia i piccoli che i grandi, sono dotati di inaspettate capacità rigenerative, possiedono la dote della persistenza che li fa resistere contro ogni avversità, sanno riproporsi soprattutto di fronte alle crisi, che inevitabilmente li hanno colpiti e più di una volta nella loro esistenza. Il patrimonio di memoria che è depositata nella città storica è anche in parte virtuale, ha bisogno cioè di continui aggiornamenti, di accrescimenti, per conservare integro tutto il suo valore: l’immobilismo tende a sbiadire il tutto. Un’azione inevitabile del post-terremoto è stata la forzata delocalizzazione di moltissimi servizi pubblici, un decentramento funzionale indotto, senz’altro transitorio, ma che lascerà tracce importanti nel tempo. Questo ha dilatato la visione tradizionale della città, dei piccoli centri, ha fatto riscoprire nuovi rapporti con le aree di frangia, con la campagna, a volte ha invertito il rapporto tra pieni e vuoti, allorquando si sono aperti varchi nel tessuto urbano e si sono urbanizzate aree verdi e sportive. Così facendo, svuotando in parte i centri storici dalla loro densità di funzioni e servizi, si è aperta una riflessione profonda sul loro ruolo, sulla necessaria attualizzazione di queste importanti presenze, ma guardando oltre, ai bordi dell’edificazione, le riflessioni si sono così estese, coinvolgendo l’intero organismo insediativo, ri-visto in modo più equilibrato ed organico, finalmente. Il policentrismo, la densificazione e lo sfoltimento insediativo, diventano così argomenti di riflessione obbligata sul futuro di questi piccoli centri, al pari delle grandi città che di già hanno aperto tale dibattito, con le nuove programmazioni di sviluppo e soprattutto con le trasformazioni dei suoi stessi centri storici. La dimensione dei danni arrecati dal sisma, diversamente da quanto accaduto in Abruzzo, scongiurano l’ipotesi (comunque neppure mai presa in considerazione dalle Autorità) di new town, provvisorie o permanenti che siano, pertanto l’attenzione progettuale e ricostruttiva rimane obbligatoriamente concentrata sull’insieme edificato e non già scomposto per parti (vecchio e nuovo). Ripensarsi complessivamente sarebbe necessario per molti di questi centri urbani minori, privi di fatto di un nucleo storico sufficientemente solido e formato (poco identitario, forse troppo idillizzato), accelerando un processo di riflessione interna già avviato altrove ed in modo più spontaneo da molte altre comunità, cresciute a dismisura nell’arco di po-

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chi decenni, senza avere avuto il tempo ed il modo di pensarsi in maniera compiuta. Si pensi anche che l’antropizzazione e gli insediamenti di questa parte di Pianura Padana, la “bassa”, sono relativamente più recenti della parte “alta” e pedecollinare, dal momento che è stata per lungo periodo in balia delle inondazioni periodiche dei tanti corsi d’acqua non regimentati, e solo le tante bonifiche (dopo l’abbandono medievale di quelle romane) intraprese dal XVI secolo le hanno rese facilmente e stabilmente abitabili. Questo motiva la presenza di una miriade di piccoli centri urbani, a poca distanza tra loro e poco “storicizzati” e di sviluppo decisamente più “moderno”, in conseguenza della diffusa industrializzazione di queste aree. Può essere questa l’occasione per implementare quella mixité che con tanta efficacia ha vitalizzato i centri storici, con una sua maggiore diffusione, ripensando la città come una rete di servizi, di opportunità, in maniera dilatata, non solo centralizzata, ma neppure sparpagliata, governata da sistemi morfologici adeguati ai luoghi (micropolarità, assialità, comparti…). In questa visione olistica della città, le parti periurbane (residenziali e produttive) si dovrebbero maggiormente dotare di servizi, mentre i centri dovrebbero diventare più ospitali, per insediarvi più abitanti e più attività lavorative, precedentemente sfavorite. Non solo i nuovi insediamenti e servizi pubblici, provvisori o no, le delocalizzazioni dei Piani di Ricostruzione, vanno ad intaccare spesso porzioni di campagna coltivata periurbana, ma anche e soprattutto gli stessi insediamenti rurali che punteggiano la “storica” campagna emiliana, anche loro colpiti duramente dal sisma e già abbandonati o sottoutilizzati, imponendo di considerare nella sua integrità il ruolo che tale risorsa può rivestire oggi. La campagna è da tempo già diventata lo sfondo delle città e non già la ragione economica della lor ragion d’essere, diventando degli interstizi tra centri urbani, dei vuoti a volte anche di significato, quando non aggrediti dalle “rurbanizzazioni”. Una visione “sostenibile” della città deve necessariamente riportare ad integrarla con il suo “sfondo”, per questo è necessario una progettualità a lungo termine. pagina a fronte Medolla Interventi emergenziali sulla chiesa parrocchiale.

Gli edifici irrimediabilmente danneggiati dal sisma non si possono ricondurre allo stato originario: se si tenta questa impresa si può al massimo ottenere un mirabile risultato di mimesi, riproponendo le sembianze di quello che si è perduto, una specie di “esorcizzazione”, di negazione della perdita. I vuoti creati dal terremoto, invece, propongono un pensiero complessivo sulla città di oggi, sulla sua necessaria ed utile adattabilità che abbisogna di trasformazioni, così co-



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me è già avvenuto nella storia, e queste perdite forzate possono essere un enzima rigeneratore, se si riesce a guardare oltre lo stato delle cose così come ci sono pervenute, sempre nel rispetto del valore storico se presente. In questo il vuoto è di per sé una risorsa per la città e non solo una mancanza, ma si può valorizzare solo tramite il “progetto”. Il vuoto urbano spesso rivela tracce “sotterranee” di altre presenze, di precedenti edificazioni dimenticate, di storie passate, a conferma della “mobilità” implicita negli insediamenti, che non riusciamo a vedere facilmente per evidente dislocazione temporale. Il progetto è un fatto implicito nella storia della città, che si è spesso infatti ripensata, ha corretto ripetutamente i suoi errori, le sue insufficienze ed incongruenze, si è adattata insomma, solo così è progredita rimuovendo le incongruenze del tempo. Pertanto, ciò che la storia ci ha tramandato non è immune da carenze, l’essere vetusto non è un valore in assoluto solo positivo: il progetto entra nel merito di tutto ciò, con sapienza. E la città odierna ha quanto mai bisogno di progettualità, essendo cresciuta impetuosamente negli ultimi decenni, spesso priva di un pensiero “compositivo”. Il concetto di “tutela” dei nuclei storici urbani è solo relativamente recente, e solo nell’ultimo dopoguerra, in seguito alla ricostruzione postbellica ed alla pressione della rinascita in molti centri abitati (compresi pure questi emiliani colpiti dal sisma) sono stati operati interventi di sostituzione/densificazione insediativa di dubbio valore, che a volte hanno alterato in maniera negativa gli assetti consolidati oppure li hanno semplicemente deturpati con incongruenze. Alcuni di quest’ultimi interventi sono stati pure danneggiati dal terremoto ed ora sarebbe possibile porre rimedio, riducendo le ricostruzioni, delocalizzando in tutto o in parte le volumetrie, riformando per il bene comune. Di fronte poi ai monumenti semidistrutti, ai capisaldi dell’identità locale, le teorie e le pratiche della ricostruzione risultano le più varie ed il dibattito che si è subito innescato in queste terre ne è la conferma, pertanto c’è bisogno di un tempo di riflessione più lungo, che vada oltre l’emergenza, che sappia sedimentare le emozioni del momento, costruire un percorso condiviso, “educare” le scelte tramite il confronto. Il sisma ha indebolito, purtroppo, la “riserva di storia” nella quale si erano “culturamente” relegati i centri storici, aprendo la strada ad un loro reinserimento nell’attualità, i cui modi sono tutti da esplorare con fiducia. A dispetto della consolidata tradizione conservativa locale riguardo il patrimonio edilizio urbano e rurale, molti dei danni causati dal terremoto sono dovuti alla vetustà ed incuria di molto di questo patrimonio, in parte già abbandonato prima del sisma, soprattutto gli insediamenti agricoli. Di fatto, avanza il sospetto che l’inagibilità di molte


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costruzioni era in essere già prima del terremoto e questo fatto traumatico ha portato improvvisamente a galla il problema di fondo sullo stato di conservazione effettivo di quanto era semplicemente tutelato (sotto il profilo urbanistico e patrimoniale) ma non conservato e spesso neppure utilizzato appieno. Costruire ex-novo si è imposta come metodica vincente rispetto al recupero del patrimonio edilizio e così i centri urbani sono cresciuti di recente ai margini di pari passo con lo “svuotamento” interno, l’abbandono dei nuclei storici a fronte della “colonizzazione” della campagna ma anche qui a dispetto degli edifici storici. Tanta è stata l’attenzione rivolta negli anni precedenti alle “forme” insediative, ai caratteri tipologici che si è trascurato il loro “funzionamento” urbano, la qualità degli spazi pubblici che lega tali presenze. Osservando bene gli scenari della distruzione del terremoto, ben pochi sono gli spazi pubblici dei centri storici con interventi di riqualificazione attuati negli ultimi decenni, e ciò dice molto della trascuratezza complessiva. Di riflesso, ancora una volta, le prime attenzioni ricostruttive post-terremoto sono state rivolte nuovamente (coerentemente) solo agli edifici, con i Piani di Ricostruzione, e solo dopo ci si è accorti della sperequità in essere e con i Piani Organici seguenti si è cercato di fare fronte ai bisogni dello spazio pubblico. Le proposte progettuali di trasformazione urbana qui avanzate, così come le tante altre prodotte in altre sedi e che verranno, al di là del giudizio che è possibile dare sulla loro efficacia, da sole non potranno mai risolvere il problema di rigenerazione dei centri storici emiliani colpiti se non accompagnati pure da politiche di rilancio economico e sociale: la scena, si spera rinnovata, dovrà anche essere abitata. Per questo, nel 2014 la Regione ha istituito i Piani Organici ed i Programmi Speciali d’Area, per delineare strategie di interventi coordinati per promuovere la rigenerazione delle aree pubbliche delle città terremotate, per richiamare risorse dei privati, attività ed imprese, abitanti nelle parti più significative di città in fase di ricostruzione. Ancora una volta la “scena” ha avuto il sopravvento sull’azione, sulla vitalità urbana e sull’esigenza di ridefinire una nuova socialità che, messa in subordine, si troverà ad operare in spazi ristrettissimi, già compromessi dai primi e tanti interventi sull’edificato. Sulla spinta di cercare di attivare e sostenere subito gli interventi di riedificazione, ha prevalso molto spesso la mera riproposizione di quello che c’era, in sostanza dov’era: se tutti sono consci che non si realizzerà per niente com’era una volta (la paura e le normative spingono verso scenari inediti, di edifici più bassi, all’uso diffuso del legno) allora anche il dov’era poteva essere di pari passo riconsiderato. Però questo automatismo non è scattato, correndo il rischio di perpetuare antichi o recenti errori urbanistici oltre a quelli delle già attuate ricostruzioni post terremoto.

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I meccanismi della finanza statale/locale, per necessaria immediatezza, sono incentrati sul supporto alla ricostruzione di edifici con le stesse destinazioni d’uso precedenti l’evento calamitoso (residenze, attività), con le stesse quantità e negli stessi luoghi (in pratica si poteva accedere immediatamente al finanziamento pubblico solo riproponendo quanto perduto, senza “spostamenti” di sorta se non per motivi gravi), che facilmente si traduce nelle stesse forme, con linguaggi un poco aggiornati, con tecnologie senz’altro più evolute, con un risultato complessivo tendente all’invarianza localizzativa. La scelta regionale di privilegiare la rapidità d’intervento diretto tramite ordinanze commissariali, per la stragrande maggioranza degli interventi, ha relegato i Piani di Ricostruzione ad un ruolo marginale di cornice, spesso di rettifica di scelte già attivate, definendo solo casi eccezionali o particolarmente complessi, per i quali e solo forse si potrà attivare una sede progettuale di disegno urbano vero e proprio. Ma se gli interventi privati precedono sostanzialmente quelli pubblici ne consegue che questi ultimi sono costretti ad “adattarsi” ai primi, in altre parole l’interesse collettivo è “compresso” da quello individuale, ed è tutta la città a rimanerne penalizzata. Così si finisce solo per “riparare” un organismo invece che di potenziarlo. Fare collimare la rigenerazione urbana con la ricostruzione post-terremoto in un tale contesto dovrebbe essere cosa immediata ed intuitiva, invece ha fatto fatica ad essere accettato da tutti fin dall’inizio, tanto da avere minato non poco le condizioni di attuazione in diversi centri colpiti proprio sul nascere. Demolire gli edifici lesionati, rimuovere le macerie e ricostruire quanto prima l’assetto residenziale, commerciale e produttivo è stata la scelta imperante operata ed ha marginalizzato il pensiero “progettuale” che, partendo appunto dalla critica dello stato di fatto ante sisma, poteva mettere in campo soluzioni di ottimizzazione. Per tutelare veramente il patrimonio storico di questi luoghi è indispensabile innovare, affermare l’idea che si deve cambiare se si vuole valorizzare e riappropriarsi di questi piccoli insediamenti storici con rinnovati valori. Si tratta di rendere con la ricostruzione queste importanti ma fragili parti di città più sicure, energeticamente più efficienti, più funzionali ai nuovi bisogni insomma. Non solo i problemi generati dal sisma devono essere prontamente risolti, ma assieme anche quelli che già persistevano da prima. Allora ricostruire anche un singolo edificio in modo diverso e/o in posizione differente può consentire non solo di arricchire la scena urbana ma anche di apportare un cambiamento vitale. È questo in fondo il ruolo del progetto urbano, ossia di prefigurare luoghi di vita sociali, di migliorarli, cosa che la ricostruzione solo “fedele”, il semplice ripristino, non sem-


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pre riesce ad assicurare, rappresentando spesso solo una sterile resistenza al cambiamento. Una tale lungimiranza di pensiero, di propositività progettuale in senso lato, presume però un tempismo di programmazione (politica ed amministrativa) che difficilmente coincide con la volontà e l’urgenza del fare “subito”, delle individualità che compongono le comunità colpite, e questo scollamento nelle azioni, le differenze di velocità nelle iniziative, sono alla fine le più deleterie e compromissorie. Le esperienze progettuali qui presentate hanno preso corpo da queste considerazioni di carattere generale sulle condizioni dei luoghi terremotati emiliani e si sono calate nelle singole realtà, con autonomia di pensiero e con riferimento costante alla città da “assestare”.

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terremoti e ricostruzioni Palma Pastore

Università degli Studi di Firenze p.pastore@unifi.it

Gibellina Vecchia “Grande cretto” opera di Alberto Burri @ http:// www.pcn. minambie nte.it/mattm/

Le esperienze di ricostruzione post sisma in Italia sono state molteplici, avvicendandosi nel corso dei secoli, con risultati più diversi: basta mettere in rassegna il XX secolo, o poco più in là nel tempo, che si rintracciano “esercizi” di gestione, ricostruzione, riconfigurazione e dislocazione di città o parti di esse con risultati differenti. Oggi il dibattito su questo tema è più che mai attuale a causa del verificarsi di eventi sismici distruttivi molto ravvicinati tra loro (Abruzzo 2009, Emilia Romagna 2012, Centro Italia 2016 solo gli ultimi). Vengono fatti bilanci, messi a confronto i diversi “modelli” ricostruttivi attuati o meno nella storia: il tentativo è quello di delineare una “memoria” delle modalità messe in campo, dei successi e degli insuccessi, così da definire quali gli schemi preordinati più efficaci da attuare, per non farsi trovare impreparati nelle strategie necessarie, nelle governance e nei processi ricostruttivi possibili, perseguendo il risultato più rapido, meno dispendioso e più certo. Non sempre questi processi di ricostruzione sono stati colti come opportunità per ripensare e migliorare i nostri centri urbani, a differenza di quanto forse si è fatto nel passato più remoto. Ogni volta si è richiamato l’amletico interrogativo su come ricostruire: “Dov’era com’era” o “Dov’era non com’era”, o ancora “Non dov’era e non com’era”. Si sono tentati e sperimentati i diversi approcci, spesso in funzione non di una vera strategia, ma sulla scia del “sentimento” programmatico e politico o del fermento culturale del momento. Sono stati azzardati tentativi che si sono dimostrati fallimentari, basti pensare alla delocalizzazione di Gibellina dopo il terremoto del Belice, nella Sicilia del 1968: da quella “vecchia”, diventata occasione di un intervento di Land Art ad opera di Alberto Burri, quale suggestivo “congelamento” della trama degli isolati irregolari del borgo antico, il famoso “Grande Cretto”, a quella “nuova”, dove le ambizioni di un sindaco hanno fatto sì che fossero convogliati i maggiori esponenti dell’architettura degli anni ’70-’80 in Italia (Purini-Thermes, Dolci, Quaroni, Francesco Venezia, etc.) in una sorta di sperimentazione dell’architettura moderna per la rifondazione di un insediamento ex novo. Siamo nel pieno degli anni in cui gli studi sociologici applicati all’architettura e all’urbanistica la facevano da padrona. I risultati di


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pagina a fronte Avola Città di nuova fondazione @ http://www. pcn.minambie nte.it/mattm/

quelle formulazioni si misurano a distanza di tempo: l’abitato, tutte le strutture con funzione pubblica e gli spazi di relazione sono quasi totalmente inutilizzati. I motivi sono da rintracciare nelle lungaggini del processo di ricostruzione, nel conseguente processo di esodo sociale, nella povertà di infrastrutture-lavoro-sostentamento di quei territori già poveri prima del terremoto. Prima di questa esperienza, la Sicilia orientale, territorio sismico insieme alla Calabria, è stata oggetto di una grande manovra ricostruttiva per la città di Messina. Siamo nel 1908, ma ci sono voluti più di 40 anni, e ancora oggi la gente vive nelle baracche “temporanee”. Questo è stato il terremoto in cui sono state indirizzate energie anche economiche dallo Stato Monarchico, emanati numerosi Regi Decreti per la gestione dei finanziamenti e del sostentamento. Dove il Fascismo è riuscito nel suo contributo di riconfigurazione e miglioramento della città: l’attenzione pubblico-privata ha portato alla creazione di Enti preposti alla stessa ricostruzione, consorzi di imprese, banche per muovere soldi pubblici. Anche i concorsi di architettura a livello nazionale furono uno strumento per dare un contributo “pensato” al processo e quindi al dibattito ricostruttivo. I maggiori esponenti del razionalismo italiano (Mazzoni, Piacentini, Samonà, Ridolfi, Libera, ecc.) si espressero sulle forme e sugli stilemi per la Stazione Centrale, per il Palazzo di Giustizia, ma soprattutto per la famosa “Palazzata” di Messina lungo il porto. Ma la Sicilia ha una fortissima cultura della ricostruzione, dovuta proprio ai diversi terremoti distruttivi che l’hanno colpita anche nei secoli precedenti. Come quella avvenuta nella Val di Noto, dopo il terremoto del 1693, che pose le basi teoriche e culturali per un approccio alla materia per la pianificazione e la ricostruzione dopo un terremoto, su ispirazione delle città ideali e sui modelli di quelle europee. Questo territorio fu oggetto di un fenomeno di ricostruzione senza precedenti. Vennero fondati nuovi centri urbani, spesso delocalizzando quelli ormai distrutti: Grammichele, Santo Stefano di Camastra e Avola, Fenicia Moncada e Stella Aragona (ex Malpasso), tutte ricostruite grazie al mecenatismo dei ricchi possidenti della zona, in funzione di progetti politici di esaltazione di tipo feudale, guardando però alle esperienze delle città ideali di Palmanova ed altre ipotizzate dal Filarete per la sua Sforzinda, offrendo così ai posteri un originale contributo sulle trasformazioni e sulle regole fondative delle città siciliane nella prima età moderna. Questa vicenda ricostruttiva è tra le più interessanti della storia pre-novecentesca, per l’acceso dibattito sui criteri fondativi di nuovi centri urbani, per le scelte di dislocare o meno i nuclei abitati rasi al suolo, per la modernizzazione delle tecniche costruttive rese


terremoti e ricostruzioni • palma pastore

necessariamente antisismiche. Questa una delle prime occasioni documentate dove la ricostruzione è stata vissuta come una occasione per la riconfigurazione dello spazio urbano, come rottura con l’immagine della città ereditata dal passato, come necessità di ammodernamento dell’architettura, per cui hanno partecipato dando il loro contributo architetti, maestranze, committenze, cittadini delle diverse classi sociali oltre alla chiesa. L’eredità sei-settecentesca si evince, oltreché nella gestione della ricostruzione a Palermo a seguito del terremoto del 1726, nella ricostruzione dell’intera città di Lisbona dopo il terremoto del 1755, dove l’evento catastrofico è stato considerato un’opportunità per ridefinire con più facilità il nuovo impianto urbano sullo stesso sito in cui sorgeva la Baixa (la città bassa), secondo le rinnovate concezioni di sicurezza e salubrità delle nuove città rispetto a quelle di fondazione medievale. Il luminare artefice della ricostruzione, secondo scelte e ba-

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si fondanti della nuova concezione urbanistica illuminista, è l’ingegnere di fortificazioni Manuel da Maia, voluto dall’allora marchese Pombal. Lisbona rappresenta quindi il modello “Dov’era non com’era”, diversamente da quanto accaduto in Sicilia prima dove si perseguì un “Non dov’era e non com’era” per quei centri minori ma non per la città di Palermo. Per quanto riguarda invece i sistemi costruttivi antisismici, la prima vera casa antisismica, chiamata “gaiola”, risulta essere stata concepita a Lisbona dopo il terremoto, vera gabbia lignea, tecnologia nella realtà molto diffusa anche nella Calabria tra ‘700 e ‘800, qui “case baraccate”. Questa cultura della ricostruzione, delle tecniche antisismiche, delle nuove logiche igieniche, dei nuovi impianti delle città (larghezze delle strade e altezze dei fabbricati adeguate) iniziarono a circolare in Europa grazie alla cultura Illuminista, ma soprattutto grazie al forte contributo dei Trattati di Architettura e dei testi tecnici che veicolarono la diffusione del sapere sia delle nuove regole del “buon costruire”, sia delle nuove conquiste tecnologiche. A discapito di quanto sperimentato, ad oggi il “modello ricostruttivo” post terremoto più efficiente e di successo viene considerato quello del Friuli, per il modo in cui venne gestito il dramma post-terremoto del 1976, per le procedure e i tempi stessi della ricostruzione. Attuato il “Dov’era com’era” sia nella configurazione dell’impianto dei piccoli centri colpiti, sia nella loro “raffigurazione” architettonica, il tessuto urbano ed edilizio, tranne che nell’“ossatura” in cemento armato, ci ha riportato una immagine fedele a quella prima della distruzione del terremoto. Oggi questo “modello”, apprezzato per la sua efficace governance, è oggetto di dibattito e confronto sulla opportunità di creare o meno “un falso” storico, questo anche alla luce della consolidata cultura della conservazione e del restauro dopo le teorie di Brandi. Ecco che il tema più recente della possibile integrazione degli interventi contemporanei nel tessuto storico sembra più opportuno oltre che possibile, proprio per quei criteri di distinguibilità propri del restauro. Questa è stata l’esperienza che ci porta oggi a riflessioni più costruttive: guardando e apprezzando quello che fu fatto con determinazione e con la volontà “dal basso”, essendo stata demandata la gestione di tutto il processo ricostruttivo ai singoli Enti Locali, ma analizzando in maniera critica cosa di quella esperienza non può e non deve essere ripetuto. Infatti, è e deve essere opportuno, così come hanno fatto i nostri predecessori più lontani, rinnovare, sia tecnicamente che nel linguaggio, il nostro patrimonio edilizio, le nostre città, i nostri borghi, laddove questi vengano irrimediabilmente distrutti da un evento ca-


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tastrofico, oltre a mettere in sicurezza tutto il patrimonio esistente non ancora compromesso. In antitesi a questa esperienza c’è purtroppo quello dell’Irpinia, a seguito del terremoto del 1980 di soli tre anni dopo quello del Friuli, a cui sono seguiti decenni di tentativi di dirottamento di fondi, speculazioni e quant’altro, portando ad un inevitabile flop, anzi quasi ad un inesistente processo ricostruttivo: ad oggi sono moltissimi ancora i borghi tra quelli distrutti da quel terremoto ad essere rimasti abbandonati, disabitati; mentre in quei pochi su cui si è intervenuti sono “apprezzabili” le tracce di forme di rivisitazione di stilemi arcaici in chiave moderna, seguendo le tracce del post-moderno, totalmente decontestualizzato rispetto al linguaggio vernacolare. A distanza da quegli anni e dalle esperienze ricostruttive più o meno riuscite, il terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009 ci ha riportato a confrontarci con questo tema. A otto anni di distanza, con altri terremoti intervenuti, si può forse affermare che l’eredità del passato ci ha insegnato come e dove intervenire, in quali tempi e con quali procedure, o cosa assolutamente da evitare? No, e risulta sempre più evidente come le diverse gestioni, frutto di scelte dall’alto, facciano protendere verso risultati diversi: il come e il chi fanno sempre la differenza nelle scelte e nelle ricadute sul piano sociale ed economico, oltre che tecnico. Al terremoto in Abruzzo sono seguiti quello in Emilia nel 2012 e quello in Centro Italia più recente, e con essi forse tre processi e tre approcci diversi: minimo comune denominatore dovrebbe essere sempre la rinnovata e ritrovata identità per coloro che si sono visti strappare la propria casa e la propria città. In questo processo gli obiettivi, dunque, dovrebbero essere la ricostruzione veloce delle residenze e di tutti quegli edifici che costituiscono il tessuto urbano andato distrutto. L’operazione deve seguire logiche di coerenza e massima celerità. Ma i processi di ripensamento, riconfigurazione, ricucitura non sono mai veloci. Siamo ancora qui a pensare a quale “modello” attuare: “Dov’era com’era”, “Dov’era come non era”, “Dove non era e come non era”. I contesti socio-economici, geografici e architettonici, i tessuti e i livelli di danno sono diversi tra loro per questi ultimi tre casi di ricostruzione post terremoto in atto, ed è comprensibile come non sia applicabile un modello ricostruttivo univoco. Di fondamentale importanza è la conoscenza del territorio, del tessuto in cui si deve agire. In questo lo strumento urbanistico del Piano di Ricostruzione, deve assolutamente essere ‘utilizzato’ quale occasione per definire un quadro conoscitivo posto alla base delle scelte di priorità, strategie, modalità di intervento, riqualificazione e ricostruzione dei centri urbani distrutti. Non definire “un disegno” oltretutto condiviso a monte, è l’errore da non fare se alla ricostruzione si vuole dare anche un senso di opportunità per ripensare ai luoghi dove viviamo, nel rispetto dell’appartenenza ma in una chiave più contemporanea, secondo le esigenze diverse del nostro vivere contemporaneo.

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Auditorium a L'Aquila di Renzo Piano edificio temporaneo @ Palma Pastore.

pagina a fronte Schemi di alcuni modelli di ricostruzione.

In tutti i tre casi i Piani di Ricostruzione sono e saranno gli strumenti di previsione, verso la guida degli interventi. Ma quanti sono e saranno occasioni di vera riconfigurazione urbana? L’Aquila ad esempio, città fortemente consolidata prima del terremoto, vede ora interventi di ricostruzione fedeli, con forse alcune occasioni di implementazione del tessuto storico con parti di città contemporanea, forse relegati la maggior parte ad edilizia considerata “temporanea”: l’Auditorium di Renzo Piano nell’area del Castello Sforzesco, la Chiesa temporanea di San Bernardino di Antonio Citterio e Patricia Viel and Partners. Forse occasioni come la riconversione in Struttura polivalente dell’ex mattatoio a L’Aquila oppure il Parco urbano di piazza d’Armi nell’area inedificata ai margini della città storica, entrambi oggetto di concorsi di progettazione quali occasioni per la formulazione di


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a. delocalizzazione/ nuova rifondazione

b. land art

c. “dov'era come non era”

d. “dov'era com'era”

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e. edifici temporanei

ipotesi e proposte progettuali, potranno essere la vera opportunità, seppur circoscritta, per ridare vigore e contemporaneità alle esigenze diverse di una città. Piuttosto, qui a L’Aquila, come anche in Emilia Romagna, bisognerà ripensare, una volta terminato il processo ricostruttivo, se e in che modo riconvertire i nuovi insediamenti o gli edifici temporanei. Cosa ne sarà, nell’hinterland aquilano, dei 19 insediamenti satelliti del Progetto C.A.S.E., distribuiti secondo il modello “NewTown” quando la gente riavrà, fra 10 o 20 anni, le loro case ricostruite? La popolazione verrà sradicata nuovamente, chissà con quali ricadute sociali, bisognerà ripensare ad una destinazione diversa di questi luoghi urbani: nati per dare immediata risposta alla esigenza abitativa della fase emergenziale ma assolutamente “non” pensati nella loro integrazione con il tessuto sociale, paesaggistico, urbano e infrastrutturale, e dove ad oggi solo forme di autogestione quale ad esempio gli “orti urbani” sono timidi tentativi “dal basso” per ottimizzare e migliorare le condizioni di vita in quelle “architetture”, avranno ormai un loro consolidato inserimento nel contesto territoriale. In Emilia Romagna, già in fase di realizzazione di tutti quegli edifici temporanei con funzione sacra o scolastica, sono stati concepiti i loro diversi usi dopo la conclusione della ricostruzione. L’obiettivo della ricostruzione deve essere in ogni caso quello della ritrovata identità dove la gente, che popolava quei luoghi prima che fossero distrutti, possa re-indentificarsi, ri-appartenere ai propri luoghi, non solo riappropriandosi dei suoi centri storici, ma avendo la certezza di poterli abitare in sicurezza ma anche con una qualità architettonica che risponda più efficacemente ai bisogni e alle esigenze attuali. La ricerca progettuale contemporanea deve interagire con la struttura urbana variegata dei nostri centri e rinnovarli, soprattutto nel ridefinire ruoli e forme degli spazi pubblici. La ricostruzione dopo il passaggio di un terremoto, deve essere una occasione di ripensamento della città in funzione delle logiche più attuali, rispettando il genius loci, così come è sempre stato fatto nella storia, ma facendo “tesoro” delle esperienze ricostruttive pregresse.


solo un organismo arc tale ha la possibili formare e realizzare simili e diversi org natura, quell’insiem che chiamiamo nucleo quartiere o paese, set metropoli o sistema dell’insieme è nece della singola strut e viceversa. 28

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chitettonico che sia ità di contribuire a e, insieme ad altri, ganismi della stessa me strutturale valido o urbano o villaggio, ttore urbano o città, di città. l’armonia essaria all’armonia ttura architettonica terremoti e ricostruzioni • palma pastore

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L. Quaroni, Il Progetto per la Città, Edizioni Kappa, Roma, 1996



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Mirandola Chiesa di San Francesco.

Separando ed unendo l’uomo determina l’esistenza della forma, e la forma può tramutarsi in figura solo se riesce a distinguersi da uno sfondo col tramite di un contorno, il suo limite. Per questo ogni città, come ogni architettura, prendono forma da un intorno a cui si contrappongono. Le antiche origini dell’insediamento di Mirandola hanno visto nella contrapposizione con l’ambiente palustre la sua ragione esistenziale. La rinuncia al suo “mirabile” spazio di definizione della città di Mirandola, prima abbassando e poi con l’abbattimento integrale delle mura difensive, lo spianamento dei fossati, ci ha tramandato solo l’”impronta” della sua forma, diventando una figura latente, privandosi del suo spessore di transizione, sostituito dalla confusa corporeità della città moderna. La parte settentrionale immediatamente fuori il poligono storico cittadino, poiché investita da presenze insediative specialistiche, come la ferrovia con la stazione e poi autostazione, lo stadio ed altri impianti sportivi, la casa della GIL, ha conservato una rarefazione costruttiva che l’avvicina, più che altrove, allo stato dei luoghi precedente l’espansione moderna. In questa fascia perimetrale semianulare è possibile ancora riconoscere in latenza l’esistenza di quello spazio di transizione di cui per molti secoli si è dotata la città: non solo il tracciato delle mura quindi, ma anche i bastioni difensivi, i fossati ed i terrapieni. Parte delle fortificazioni del Castello ma soprattutto per intero il Bastione dei Gesuiti possono ancora essere iscritti come tracciati per strutturare la riprogettazione di questi luoghi restituiti ad un uso più integrato con la città. La trasformazione di questo quadrante della città passa quindi attraverso il ridisegno degli spazi nel tentativo di riallacciare un dialogo con il passato storico della città, costruendo uno spazio di transizione, attraverso i progetti di ricostruzione post-terremoto.


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Diagrammi sull’evoluzione storica della forma urbana, a partire dal castello quadrangolare medioevale, passando dalla città fortificata stellata rinascimentale ed approdando all’agglomerato amorfo di oggi.

*Comune di Mirandola (MO) Concorso di Idee, 2013 Capogruppo: Architetto Claudio Zanirato Collaboratori: Ing. Michela Contini, Arch. Annunziata Robetti, Arch. Saveria Boulanger, Daniela Dell’Unto.

Immagina Mirandola* Se si confronta la mappa storica della città di solo un secolo fa con l’espansione raggiunta di recente, si avverte chiaramente che ad una precisa forma, la “forma urbis”, non ne corrisponde un’altra, bensì una dissoluzione, ad una precisa conformazione ha fatto seguito solo un processo accrescitivo. Non potendo più pensare in termini di forma urbana possiamo però operare sul piano dei sistemi, conformando i sistemi urbani per l’appunto, per governare le trasformazioni, la crescita. La capillare rete di piste ciclabili (esistenti e di progetto) trova nell’anello dei viali storici cittadini il suo approdo finale e di coagulo, senza penetrare nel tessuto consolidato e senza neppure strutturandosi in diverso modo al di fuori di questo, innervando semplicemente la parte di città moderna, nella sua disomogeneità. Tale tipologia di mobilità rappresenta una indubbia risorsa, che merita di essere accompagnata nella crescita ed assistita opportunamente nel suo radicamento urbano e territoriale. La conformazione di tali percorsi deve passare attraverso un’implementazione “mirata” a sistematizzare il tutto, con alcune cuciture per ottenere un conseguente “disegno”, ancora mancante. La creazione di un secondo anello di circonvallazione dovrebbe riuscire a relazionare le parti periferiche della città di prima espansione, dove si trovano molte delle funzioni pubbliche più intense ed importanti, abbreviando di fatto i percorsi di interconnessione e sgravando il circuito più interno, tangente la parte monumentale. I tratti proposti sono soprattutto a nord ed ovest del nucleo storico (ricalcando il tracciato


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ferroviario divelto), facendosi strada negli ampi spazi vuoti e sistemati a verde pubblico (seguendo per quanto possibile il tracciato del perimetro esterno dei terrapieni dell’antico fossato); nel quadrante sud servono invece pochi tratti di saldatura, oltre le percorrenze esistenti. Su questi due circuiti anulari chiusi si dovrebbe rafforzare un sistema radiale, in grado di penetrare in punti strategici la compattezza della città storica e di proiettarsi in maniera dilatata nella profondità della città diffusa, fino a “disperdersi” nella campagna circostante. In particolare, la radiale ciclabile nord-est si attesta come capolinea nella centrale piazza Garibaldi e S. Francesco, con un’ampia tettoia di ricovero bici, fuoriesce dal perimetro storico seguendo il tracciato, in parte riproposto, di una canalina d’acqua che conduce a Quarantoli, memore anche degli antichi fossati e dei loro precedenti paesaggi palustri. Il traffico meccanizzato che interessa da vicino la città di Mirandola è già stato efficacemente “arginato” per non congestionare con la sua “invadenza” il nucleo monumentale, con una limitazione in corrispondenza dei viali cittadini e l’istituzione di un senso unico di marcia antiorario. Nel confermare tale metodica, si propone di eliminare, per quanto possibile, le possibilità di parcheggio e sosta lungo gli stessi viali, per fluidificarne il traffico e soprattutto consentire di avere una sezione stradale disponibile per riconfigurare e valorizzare il transito ciclabile e pedonale, come un vero boulevard. Il sistema dei parcheggi, pubblici e pertinenziali, si struttura pertanto in tre distinte tipologie: interrati, in superficie, coperti e/o intensivi. Per assolvere ai bisogni connessi alle nuove edificazioni, soprattutto commercio e residenza,

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La storia dei luoghi Già agli inizi del XII secolo si trova la testimonianza della presenza di una Rocca, che diventerà poi Castello, dimora dei Pico e intorno a cui si formerà Mirandola. La caratteristica forma di fortezza quadrangolare munita di bastioni verrà raggiunta solo tra il 1512 e 1544: prima di questo periodo, l’insediamento era costituito da borgate circondate da mura.

Accresciuto il prestigio culturale, politico e l’importanza strategica di Mirandola rende necessario un miglioramento del sistema difensivo verso la fine del ‘500: la città ideale “stellata” che si forma coincise con il massimo splendore urbano, che terminerà all’inizio del XVII secolo. Il declino della città coincise con la rovina del castello a seguito dello scoppio accidentale del mastio e in concomitanza con la fine della dinastia dei Pico. Le guerre del ‘700 provocarono radicali mutamenti urbanistici interni alla città, con la demolizione di importanti edifici, culminando con la distruzione integrale delle mura e dei fossati, alla fine dell’800. Dalla fine del secolo scorso, la città ha iniziato a crescere e a rinnovarsi, con la dotazione di numerose opere di pubblica utilità, espandendosi diffusamente nella campagna, sulla spinta dell’industrializzazione, formando un importante distretto biomedicale.

Francesco De Marchi, primo disegno in pianta di Mirandola (1544-51). G. Battista Peloia, Pianta di Mirandola al XV sec.


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Pierre Mortier, incisione della pianta di Mirandola 1705. Ing. Micolotti, pianta di Mirandola al 1705.

Estratto di mappa IGM del 1893. Ortofoto di Mirandola, IBC 1944.

Veduta aerea del Centro Storico di Mirandola del 1970. Ortofoto di Mirandola del 2008.

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pagina a fronte Mirandola Centro storico, via Smerieri.

nella parte sottostante di questi si prevede la presenza di ampi parcheggi interrati per la lunga sosta, per la maggior parte ad uso esclusivo privato ed una quota ad uso pubblico: le adduzioni avvengono distribuite dai viali e dalle vie laterali (per complessivi 450 posti auto, di cui 150 possono essere di uso pubblico). Per la sosta a medio termine (giornaliera) si propone la realizzazione di due strutture coperte: di fronte ed in contiguità della gradonata rialzata dello stadio (con ingresso/uscita dai viali), rialzando di fatto la quota del campo a copertura di un piano; all’interno dell’edificio del deposito locomotive, ad ovest della stazione, può essere inserito un sistema automatico con piattaforme ed elevatori, con accesso da via Curiel. Per la sosta breve e di servizio si prevede di incrementare la dotazione di fasce di sosta in superficie lungo le strade esterne, rispetto l’offerta esistente confermata. Con una tale riconfigurazione dell’offerta (molto oltre gli standard scaturiti dai nuovi interventi), differenziata per tipologia, della sosta veicolare si può ottenere la totale eliminazione di veicoli parcheggiati lungo i viali cittadini, garantendo la possibilità per i visitatori/turisti di fermare l’auto immediatamente prima del poligono monumentale, ai terminali delle vie principali di adduzione e provenienza, approdando in centro percorrendo la rete ciclopedonale riconfigurata (sistema di scambiatori). Strategia questa che deve interessare tutto l’ambito urbano per omogeneità ed efficacia di risultato. All’interno dell’offerta di spazi pubblici un ruolo particolare è ricoperto dalle aree pedonali, ossia l’attenzione riservata a certe porzioni di superfici qualificate che assumono per la loro posizione il ruolo di soglie. La strategia localizzativa è quella di segnare la linea di passaggio dei viali cittadini in alcuni punti di transito, tra un interno denso ed un altro più aperto. È la particolarità di alcuni edifici a segnare questi luoghi, l’eccezionalità di alcune architetture disseminate lungo il perimetro della circonvallazione (Castello, GIL, Stazione, Stadio…). Si interrompe così la continuità del boulevard cittadino con la marcatura di alcuni tratti, disponendo ideali “tappeti” o “ponti” tra una parte e l’altra, in cui attraversare e rallentare la velocità, aumentare l’attenzione e la visibilità. In questi tratti la strada si alza alla quota dei percorsi pedonali, assume la diversa matericità. Allo stesso modo, altre superfici “emergenti” s’impongono attorno alla chiesa del Gesù, davanti ai nuovi insediamenti del Bastione del Gesù (due piazze allungate di fronte ai negozi), tra la Stazione e la Centrale Enel (piazza-mercato in parte coperta da tettoie), davanti al liceo Pico (piazza Garibaldi riconfigurata con sosta auto e bici, ampio marciapiede con sedute ed edicola) e la chiesa di San Francesco (piazza pedonale di raccordo). Ma gli spazi privilegiati per la sosta pedonale non si trovano solo al piano della città, si distribuiscono anche in quote sopraelevate, con il camminamento Bastione-Stazio-


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ne-Centrale e con il suolo rialzato del campo da calcio, trasformato in una arena per giochi e spettacoli all’aperto, diversamente configurabile. Questo sistema di piazze trova nella trama delle piste ciclopedonali la maniera privilegiata per relazionarsi. Il quadrante immediatamente a nord della città storica si è conservato, a differenza degli altri, assai libero da edificazioni estese, soprattutto grazie al tracciato ed agli impianti ferroviari che hanno fatto da iniziale barriera “protettiva”, favorendo l’insediamento degli impianti sportivi; anche la presenza monumentale del Castello, da salvaguardare, ha in parte disincentivato nuova edificazione, accostando solo la costruzione della GIL. Si eredita pertanto una concentrazione di spazi poco edificati e di verde attrezzato proprio a ridosso dei viali di circonvallazione a nord, una potenziale fascia verde semiavvolgente che si salda, ad ovest, con l’insenatura agricola a nord del viale Agnini, e ad est sfumando direttamente nella campagna oltre viale Europa. Si tratta di un importante passante verde da preservare e valorizzare, perché mette in collegamento, non solo ideale, il nucleo storico con la campagna, frapponendosi all’espansione moderna, evocando l’originario rapporto nella formalizzazione urbana. È per questo che tale continuità di spazi verdi non si è voluto interrompere, disponendo le nuove costruzioni orientate secondo il flusso di attraversamento passante, integrando la vegetazione il più possibile con le architetture, tanto da “verticalizzarsi” lungo alcuni basamenti per approdare a diffusi giardini pensili sopraelevati, penetrando nei patii e nelle terrazze di quasi ogni alloggio. Appendici di questo insieme vegetazionale “periferico” penetrano nella città monumentale, con il coinvolgimento del giardino del Gesù (aperto sia sui viali che sul centro storico), fino ai cortili (aperti su via Verdi) ed al chiostro del Liceo Pico (accessibile dalla piazza Garibaldi). La presenza dell’acqua qualifica l’articolazione del verde pubblico attrezzato con uno specchio tangente il viale Circonvallazione e la riproposizione di un corso d’acqua, memore del sistema dei fossati di un tempo e delle origini Terramare di questi luoghi. I principali percorsi ciclopedonali proposti si trovano assolutamente immersi in questo sistema esteso, mutuandone la linearità, ed assieme costituiscono il fondamento progettuale del nuovo brano di città. Nel distribuire le attività e le nuove funzioni nell’ambito di progetto si deve perseguire l’obiettivo di miscelare le presenze urbane, operando con stratificazioni ed ibridazioni, fisiche e temporali, e per quanto possibile in continuità tra loro. I nuovi contenitori architettonici si dispongono seguendo una ideale linearità che rimar-


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ca i tracciati dei bastioni e dei fossati difensivi che hanno per lungo tempo caratterizzato l’immagine urbana di Mirandola, assorbendo in questo disegno le preesistenze, rifunzionalizzate. L’evidenza maggiore consiste nelle due edificazioni che ricalcano il Bastione del Gesù e definiscono il varco-soglia della direttrice radiale per Quarantoli: una linea edificata di un piano evoca la “murazione” urbana ed il suo terrapieno storico, svuotato della terra di riempimento ed in parte “gettata oltre”, al di fuori, per costituire un basamento rialzato commerciale e per servizi, a sostegno dei blocchi residenziali di sormonto, su due livelli. Alle estremità di questi due tratti si giustappongono, da una parte, le tribune dello stadio Lolli, con il piano del campo rialzato alla quota dei “terrapieni”, diventando uno spazio per giochi e spettacoli, integrato alla tribuna coperta, al di sotto della quale possono essere ospitate attività culturali, ricreative ed associative, accostate dal nuovo parcheggio coperto. Dall’altra parte, l’edificio della Stazione, adattato per ospitare altre attività ricreative-associative e di ristorazione, sui due piani ristrutturati, con una passerella-pontile che si aggancia al “terrapieno”, passa sulla pensilina esistente e si dirige verso l’edificio della Centrale Enel, approdando su una delle due terrazze. Quest’ultimo contenitore tecnologico può ospitare due sale polivalenti per spettacoli ed eventi di varia natura, andando a costituire un polo culturale, con sottostanti parcheggi pubblici ed una piazza attrezzata ed in parte coperta per estendere le attività programmate all’aperto. Di poco disgiunti da queste due polarità, quindi agli estremi ovest e sud-est, si trovano altrettante costruzioni residenziali intensive, con area verde pertinenziale rialzata e sottostante parcheggio esclusivo, che vanno a definire atri due varchi-soglia all’interno della riconfigurazione urbana. Completa questa successione articolata di architetture la trasformazione del deposito locomotive, nei cui capanni s’inserisce un parcheggio pubblico automatico intensivo e l’edificio annesso può essere destinato per attività giovanili, con una espansione per ricavare una locale di ritrovo. Ovviamente, anche in questo caso tutte le edificazioni descritte sono lambite dai due tracciati ciclo-pedonali d’impianto. La possibilità di aggirare il fianco della Chiesa del Gesù consente di accedere al giardino dell’ex convento aperto alla pubblica fruizione: un’ampia pedana di legno s’insinua a ridosso dell’abside (risalendo perfino parte delle pareti con attrezzature fisse) e si estende lungo il viale di Circonvallazione fino al vialetto centrale. Una nuova costruzione si propone come presidio del giardino per ospitare un locale per l’incontro e la ristorazione ed un altro per altre attività ricreative-associative. Le aggregazioni architettoniche delle due linee edificate del Bastione del Gesù, riproposto

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Forma urbis | Conformazione dei sistemi urbani

MobilitĂ lenta | Fare rete

MobilitĂ veicolare | Scambiatori

Piazze urbane | Le soglie


Verde urbano | Un attraversamento

Residenze Attività — commercio — servizio

Mixitè urbana | Inspessimenti

Sale polivalenti Parcheggio intensivo automatico Centro giovanile Chiese Archivio storico comunale Biblioteca comunale Museo — esposizioni Attività pubbliche


Riqualificazione della tribuna dello stadio

Giardino della Chiesa del GesĂš

Conformazione dei sistemi urbani — la forma della residenza


Via Montanari Via Verdi

Piazza Garibaldi, Liceo Pico, San Francesco

Ricostruzione della chiesa di San Francesco


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Planivolumetrico di progetto delle aree di trasformazione.

pagina a fronte Pianta piano terra degli interventi di riqualificazione urbanistica.

con una “inversione” di ruolo, propongono un ribaltamento della scena urbana: il terrapieno murato non è più una piattaforma di veduta/difensiva verso lo spazio esterno della città, bensì un modo per osservare il centro monumentale. La parete murata di pietra è perciò rivolta verso i viali interni, è un ideale risvolto delle pavimentazioni delle piazze antistanti, che si verticalizzano e si trasformano in due quinte scenografiche urbane, socchiuse verso il verde della campagna di Mirandola. Dalla parte opposta, il manto erboso del giardino pubblico si inerpica fino a coprire i nuovi “terrapieni”, gli spazi commerciali/di servizio racchiusi tra i muri ed il prato, forati in alcuni punti da chiostrine-giardino interne. Questi due contenitori “paesaggistici” sono “intagliati” da tre varchi che conducono al piano interrato dei parcheggi pertinenziali/pubblici e al primo e secondo piano residenziali. Le residenze, in questo caso, si raggruppano in sei blocchi di otto unità indipendenti, perseguendo il modello di “villa urbana”: al primo livello, un androne interno e coperto smista i primi quattro alloggi, ad un solo piano, che dispongono di un giardino pensile su uno o due lati, dato dal “terrapieno”; salendo ulteriormente si approda in un cortile aperto, un patio, con una parte comune centrale e quattro giardini pensili che danno accesso


mirandola: ri-configurare

ad altrettanti alloggi, su un piano con mansarda, in una configurazione simile ad un isolato a corte “miniaturizzato”. In questo modo, il rapporto diretto tra l’esercizio di un’attività, l’abitare ed il verde è diffuso a tutto ed a tutti e nel modo più diretto. Alle due estremità dell’ambito d’intervento si attestano altrettanti blocchi residenziali di carattere più intensivo, nell’aggregazione planimetrica, e di altezza complessiva contenuta, solamente su due livelli ed un basamento verde rialzato, per staccare i giardini pertinenziali dall’introspezione urbana, isolandoli senza separazioni. L’organizzazione tipologica dei venti alloggi ibrida la distribuzione a schiera con quella a blocco e a patio, nel tentativo di garantire la maggiore autonomia e possibilità di spazi verdi esclusivi. Una grande copertura con falde variamente inclinate ed un compluvio centrale riunifica l’articolazione sottostante dei volumi abitativi. Introduce la penetrazione nel centro storico la ricostruzione di parte dell’isolato di via Montanari, danneggiato dal sisma con la demolizione della parte centrale a destinazione laboratoriale, che si pone come testata sui viali ed accompagna il percorso ciclo-pedonale: su un

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Vista dall’alto dei progetti di riconfigurazione urbana e veduta dall’esterno del nuovo intervento insediativo del “Bastione del Gesù”.


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Vedute della riconfigurazione del viale cittadino in corrispondenza della Chiesa e del “Bastione del GesĂšâ€?.

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Veduta del giardino sui viali del Bastione del Gesù. Veduta delle piazze attrezzate dell’area exStazione.

pagina a fronte Vedute dell’intervento di sostituzione urbana di edifici demoliti dal sisma e/o incongrui, nell’isolato urbano di via Montanari, di fronte alla chiesa del Gesù.


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pagina a fronte Vedute dell’intervento di riqualificazione urbana di Piazza Garibaldi e di ricostruzione della Chiesa di San Francesco.

basamento di attività commerciali si sovrappongono alcune residenze duplex, il tutto incastrandosi e avvolgendosi attorno alle preesistenze. Il cortiletto interno, accessibile da via Verdi, può essere sistemato per favorire la fruizione delle attività di servizio al piano terra, interrando i parcheggi ed i depositi, con apposita rampa esterna. L’inserimento di una nuova edificazione su via Montanari, in stretto contatto con altre da conservare, costringe ad assumere un atteggiamento architettonico distintivo, non solo con scelte linguistiche attualizzate ma anche per la concezione conseguente della scena urbana. La destinazione a commercio ed attività di servizio dei piani terra dell’intera porzione dell’isolato, quindi pensando ad una fruizione semi-pubblica, induce ad immaginare una continuità spaziale con lo spazio aperto contiguo, totalmente pubblico: così, il manto di pietra di marciapiedi e cortili s’innalzano ad avvolgere e proteggere l’infilata di ambienti lungo la strada in perfetta continuità, come se il suolo si fosse rialzato, reso cavernoso ed abitabile, appartenendo allo stesso scenario “pubblico” della città (con le due testate sul viale di Circonvallazione e via Verdi che invitano esplicitamente ad entrare). Su questo suolo rialzato poggiano le residenze duplex, raccolte ed avvolte in gusci metallici, accoppiate e distanziate ritmicamente, come avveniva anticamente lungo le vie cittadine. Quindi, ad un’assoluta continuità del basamento lapideo corrisponde una decisa frantumazione della parte aerea, con la leggerezza del metallo e del legno, che sporge e slitta in piena autonomia. L’Archivio Storico e la Biblioteca-Mediateca comunale, ricavati negli spazi del Liceo Pico, conferiscono un nuovo ruolo a piazza Garibaldi, estremo approdo del percorso ciclopedonale radiale, con un’ampia tettoia di ricovero biciclette, posta a separazione del tratto di parcheggio pubblico conservato. Alcune sedute ed un’edicola introducono infine alla piazza rinnovata della Chiesa di San Francesco, estesa a tutto l’invaso, rendendo pedonale anche parte della via Volturno. Il disegno di quest’ultimo importantissimo spazio pubblico non può prescindere dalle sorti della chiesa, fortemente danneggiata dal sisma del 2012, pertanto si è commisurato l’intervento ad un’ipotesi di parziale ricostruzione e trasformazione del sito monumentale. Il ripensamento della ricostruzione dell’importante chiesa, demolita a seguito dei danneggiamenti dovuti al terremoto per più della metà delle sue strutture, opera con il pensiero della stratificazione. Non di rado le chiese si sono ricostruite, ampliate e riconfigurate durante la loro storia secolare, per rinascere da eventi traumatici, per crescere in capacità, per magnificenza, per adattarsi a nuovi criteri liturgici… consentendoci o meno di leggere ancora i passaggi delle tante vicissitudini. Rielaborare la materia dello spazio architettonico è implicito alla disciplina ed è il fatto costitutivo essenziale della città.


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Mirandola Chiesa di San Francesco.

*Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI Corso di Laurea in Architettura, 2014 Relatore: Prof. Claudio Zanirato Laureanda: Daniela Dell’Unto.

Un volume cubico si “cala” nello squarcio dell’antica chiesa, con indipendenza materica e spaziale, occupando solo parte delle navate centrale e laterale destra, realizzando il nuovo ingresso del luogo liturgico sull’angolo sventrato. Uno spazio espositivo-museale si potrebbe ricavare con il restauro della navata sinistra e delle parti della navata centrale superstiti, in contiguità con il chiostro trasformato e reso accessibile come luogo urbano prezioso. Riplasmare il vuoto arrecato dal sisma significa non cancellarne del tutto i traumi e farne occasione per una nuova visione dello spazio monumentale: così la nuova chiesa ha forme e materiali della contemporaneità e si accosta alle vestigia del passato; le attività del culto si ricavano luoghi rigenerati per la nuova liturgia, lasciando parte della chiesa sopravvissuta alla contemplazione museale; anche il nuovo ingresso segnala questo passag-


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gio epocale; l’impiego di rivestimenti esterni con lamine di rame crudo e acciaio corten affranca il nuovo volume dai materiali della tradizione; gli intagli di vetro simboleggiano la coesistenza delle due chiese in una simbiotica convivenza. La Chiesa nella Chiesa* La chiesa di San Francesco ha subito gravissimi danni, con il crollo della navata centrale, parte della navata sud e il crollo del campanile. Sono rimasti in piedi la facciata, la navata nord, probabilmente perché addossata al Liceo Pico, sede delle Arche di questa famiglia, opere di grande valore storico e artistico; la parte absidale con il coro e l’altare. Illesa è stata la Cappella della Beata Vergine di Reggio, collocata nella parte finale della navata sud, con le due campate che la precedono e la sagrestia. Una riflessione fondamentale ed essenziale ha pertanto riguardato le strategie di riqualificazione di un edificio così devastato. Le possibili scelte da attuare consistevano in un restauro scientifico, in una riqualificazione dell’edificio con un’attribuzione di nuove e diverse funzionalità rispetto all’originale, oppure in un’attuazione di inedite scelte stilistiche. Da uno studio dei danni causati dal terremoto è stata inizialmente scartata l’ipotesi di un restauro scientifico, poiché danni e perdite così determinanti alla struttura ed in particolare al luogo in cui la principale funzione culturale dell’edifico si svolgeva, ne compromettevano inevitabilmente la ragione di esistenza. Inoltre, anche il Comune di Mirandola e la Sovrintendenza ai Beni Artistici e Architettonici hanno fin da subito manifestato l’intenzione di cercare nuove proposte che potessero andare al di là del restauro scientifico. D’altra parte nemmeno l’ipotesi di una riqualificazione della chiesa a luogo con nuove funzionalità, seppur di interesse comunitario, è stata ritenuta come soluzione percorribile. Infatti, nel momento di analisi e di riflessione sul futuro dell’edificio ha avuto un ruolo determinante il peso e l’importanza che la chiesa ha rivestito nel corso della sua secolare storia sia per Mirandola sia per i suoi cittadini e fedeli. San Francesco è la chiesa più antica della città, e forte è l’attaccamento dei mirandolesi nei suoi confronti. Pertanto, la via seguita ha consistito nel mantenere la funzionalità cultuale dell’edificio, costruendo nel sedime esistente una nuova aula liturgica, e nell’utilizzare le parti non danneggiate come locali accessori allo sviluppo distributivo della chiesa stessa. L’intero progetto può essere quindi esemplificato con la parola: “dualità”, il vecchio e il nuovo edificio, i vecchi e i nuovi materiali, le vecchie e le nuove funzionalità, la memoria e il futuro, il danno e il recupero.

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Planivolumetrico del nuovo assetto urbanistico del complesso monumentale di Piazza Garibaldiliceo Pico-Chiesa di San Francesco.

pagina a fronte Pianta del piano terra della Chiesa di San Francesco, con l’inserimento della parte ricostruita e la trasformazione museale della parte restaurata.

Si è pensato di dividere in due parti, caratterizzate da funzionalità ed estetica diverse ma dialoganti tra loro, la chiesa di San Francesco. Nella navata nord, rimasta illesa dal terremoto e sede delle arche dei Pico, è stato progettato un percorso espositivo a cui si accede dalla porta insistente in questa stessa navata, e che termina nel transetto, non più coperto dalle cupole ma in cui si è mantenuta la copertura a capriate. Un luogo, cioè, funzionale alla vita culturale di Mirandola, per due motivi: in primis perché diventa simbolo della storia dell’edificio e della famiglia dei Pico, risaldando il forte legame con le radici storiche della città, mantenendo la memoria delle gravi ferite che sono state subite; secondariamente perché potrà ospitare iniziative culturali di vario genere.


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Aula di culto Altare Battistero Sagrestia secondaria Penitenzeria Cappella feriale Cappella Beata Vergine di Reggio Coro e Chiesa vecchia Sagrestia principale

Nella navata centrale invece verrà ad insediarsi il nuovo corpo di fabbrica costituente la sala liturgica, rendendo così alla popolazione di Mirandola la chiesa che è venuta a mancare. L’ampliamento che si prevede di realizzare verrà inserito all’interno del vuoto lasciato dal crollo della navata centrale a seguito del terremoto. Il cubo è la forma geometrica scelta e rappresenta l’espressione e il simbolo della staticità. L’altezza del nuovo volume non supera quella della facciata della chiesa originaria, per mantenere le proporzioni della chiesa esistente. Non si immagina un intervento che sovrasti la chiesa esistente e che ne “rubi la scena”, ma un progetto che dialoghi con l’esistente e che con questo sia solidale, in questo sen-

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Prospetto laterale e sezione longitudinale della ricomposizione della chiesa con la parte restaurata ed il nuovo inserimento.

pagina a fronte Sezione trasversale dell’intervento.

so il nuovo è calibrato, nelle proporzioni, alle dimensioni della chiesa originaria. Il cubo può esser considerato come tagliato orizzontalmente in due parti: la parte inferiore, tagliata all’altezza degli archi che incorniciano le porte della chiesa vecchia, è modellato tramite tagli che identificano due nuovi piani: nel primo, che segue l’andamento della via Fulvia, si colloca l’entrata alla nuova aula liturgica, nel secondo invece il visitatore viene accompagnato verso il retro della chiesa. Questa porzione dell’edificio prima non era visibile poiché l’accesso alla zona retrostante era impedito dalla presenza di un cancello. La demolizione dell’edificio ad angolo tra via Fulvia e Piazza Garibaldi persegue questo intento, permettendo di aumentare il respiro della chiesa. Si prevede di realizzare un nuovo sagrato con una leggera pendenza per creare una continuità con il piano stradale circostante. Il sagrato della chiesa si apre a ventaglio, come a partecipare la popolazione del rinnovamento della chiesa. All’interno della chiesa la nuova aula liturgica è separata dal resto del percorso espositivo tramite delle vetrate poste nelle arcate delle campate, che hanno una funzione di diaframma, per cui questa divisione fisica non risulta divisione visiva, non impedendo la visione dell’esistente. Quello che si vuole suggerire è che, nonostante ci si trovi all’interno di un corpo di fabbrica completamente differente dall’esistente, non si può far a meno di notare che si è circondati dal vecchio edificio, che vive ancora. Le vetrate, per un'altezza di circa 2 metri sono opaline e continuano fino al sottarco, con vetro trasparente, per permettere di osservare le due parti dell’edificio ma di non essere disturbati dall’eventuale passaggio di visitatori del percorso espositivo.


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Vedute dell’interno della chiesa dove convivono i due momenti costruttivi dell’edificio, la parte restaurata sullo sfondo in trasparenza ed il nuovo intervento in primo piano.

pagina a fronte Vedute dell’interno della parte di chiesa ricostruita.


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pagina a fronte Mirandola Edificio della Milizia su via Cavour.

*Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, A.A. 2014-2015 Laboratorio di Architettura 3 Responsabile: Prof. Claudio Zanirato Tutors: Palma Pastore, Saverio Napoletano Studenti: Elisa Matteucci, Sara Bertolini, Marco Casini, Saverio Salvadori, Gabriele D’Agosta, Leone Carpini, Anastasia Cottini, Lisa Culicchi, Francesco Laiali, Francesco Sacchetti, Claudio Cassinelli.

La cappella della Beata Vergine di Reggio è rimasta illesa e, in questo progetto, ospita una cappella feriale alla quale si accede tramite una nuova apertura sulla facciata esterna della navata di sud. Nelle due campate della navata sud si trovano la nuova sagrestia, costruita e intesa come locale di servizio, e la penitenzieria, defilata rispetto al percorso per arrivare alla cappella feriale, con la finalità di preservare la riservatezza necessaria per il silenzio di preghiera. Il percorso che congiunge la Cappella della Beata Vergine di Reggio e la sagrestia passa per il coro e l’altare della chiesa antica. Questi ultimi non hanno più la loro funzionalità originaria ma diventano uno spazio di filtro visivo, di passaggio per il sacerdote, diviso dalla parte espositiva, da una vetrata che permette di non determinarne solo una funzione di passaggio trasformandoli in parte del percorso espositivo. Mirandola: un nuovo tassello urbano* L’importante centro storico della città di Mirandola ha subito molti danni ai monumenti ed agli edifici del suo tessuto consolidato. L’isolato della “Ex-Milizia” si affaccia su una delle vie principali, la via G. Pico, e sulla piazza del Duomo: i danni subiti sono consistenti e riguardano anche interventi recenti ed incongrui rispetto al suo valore urbano. Il Piano di Ricostruzione prevede la conservazione di poche parti significative, un angolo con presenze storiche di pregio e le sole facciate dell’intervento neoclassico degli anni ’30, estese su tre lati. Si potrà pertanto ripensare l’intero isolato nel suo complesso, demolendo la maggior parte degli edifici e ripensando un nuovo scenario edificato, dotato di una significativa introversione, con uno spazio pubblico aperto al suo centro di grande attrattività. Il complesso dell’ex Milizia fascista contribuisce, insieme al Duomo di Mirandola gravemente danneggiato dal terremoto, a definire uno degli spazi pubblici principali del centro storico, la piazza della Conciliazione. L’ex Milizia è un immobile tutelato dalla Soprintendenza, parte del quale era occupato da uffici pubblici. Dopo il sisma, si trovano in buone condizioni solo gli edifici di proprietà comunale posti in angolo fra via Don Minzoni e Via Roma e che ospitano abitazioni ed uffici comunali. La maggior parte del complesso è stata fortemente danneggiata, per cui è prevista la demolizione delle superfetazioni e delle maniche interne – perpendicolari a via Pico – e la loro riconfigurazione volumetrica, a chiudere la corte lungo le vie Roma e Cavour. I nuovi usi ipotizzati dal Piano di Ricostruzione prevedono spazi residenziali e una


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galleria commerciale al piede dell’edificio. Particolare attenzione è data alla riqualificazione della corte interna, dove è possibile prevedere la realizzazione di un nuovo parcheggio, anche interrato, e di uno spazio aperto in superficie complementare alle nuove attività insediate.

Elaborati tratti da: Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI | Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, 2015 Relatore: Prof.Claudio Zanirato | Laureando: Saverio Salvadori.



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Vista assonometrica dell'intervento. Veduta della corte interna sistemata a giardino pubblico.


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Pianta del primo livello dell’isolato, con le parti residenziali innestate nella galleria commerciale/servizi. Pianta dell’ultimo livello delle torri residenziali. Veduta notturna corte interna sistemata a giardino pubblico.

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Saverio Salvadori.

pagina a fronte Francesco Sacchetti.


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san felice sul panaro: il borgo e la chiesa*

San Felice sul Panaro Centro storico.

Il borgo medievale della città di San Felice sul Panaro, fortemente colpito dalle scosse del terremoto del 2012, ha visto crollare quasi per intero la storica chiesa Arcipretale, con seri danni alle altre costruzioni, al centro parrocchiale ed agli altri edifici secolari del nucleo storico, prima su tutti la Rocca e le tre torri della cinta muraria medievale. Il crollo totale della torre campanaria e l’implosione della copertura della chiesa hanno risparmiato ben poche parti murarie del monumento (parte della facciata e dell’abside, alcune cappelle laterali e le pareti perimetrali), più volte rimaneggiato nel tempo, nella sua vita millenaria, con parti sostituite e giustapposte, prive di forti legami strutturali e con l’impiego di malte leganti poverissime e mattoni friabili. La Canonica Vecchia, che fronteggiava la chiesa, è stata semidistrutta e successivamente demolita per ragioni di sicurezza pubblica. Appare pertanto difficile praticare una seria ipotesi di ricostruzione da questi presupposti, con risultati dubbi dal punto di vista storico ed artistico e comunque con parziali livelli di sicurezza e prestazionali finali. L’ipotesi di ricostruzione delle opere religiose, con assetti completamente rinnovati, dovrebbe essere in grado di ri-significare questi luoghi, inevitabilmente modificati dalla storia, e quindi offerti ad una loro reinterpretazione attualizzata. Le distruzioni del terremoto possono consentire un cambio di scena, anche nel nucleo più storico della città, per adeguare la forma urbana ai valori espressi dai bisogni della contemporaneità. Si configurano pertanto le condizioni di poter pensare dove ricostruire la nuova chiesa, che rapporti istituire con la città, ma contemporaneamente che cosa fare di quello che rimane del monumento, della sua memoria, del suo nuovo ruolo urbano: in pratica è la scena urbana nel suo complesso ad essere oggetto di riflessione sui suoi ruoli.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI | Corso di Laurea in Scienze dell'Architettura, A.A. 2013-2014 Laboratorio di Architettura 3 | Responsabile: Prof. Claudio Zanirato Tutors: Saverio Napoletano | Studenti: Tatyana Abigail Pesin, Matteo La Sorte, Lorenzo Perini, Noemi Valdambrini, Filippo Picchi, Lorenzo Iacomelli, Benedetta Ricci, Simona Trambusti, Gianluca Papini.


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La storia dei luoghi La nascita del primo insediamento risale alla cultura delle terramare, ma solo in epoca romana iniziarono i lavori di bonifica e di trasformazione del territorio prevalentemente paludoso e boscoso, proseguiti poi nell’VIII secolo dai monaci dell’abbazia di Nonantola. A seguito delle invasioni barbariche fu eretto un fortilizio, poi trasformato in castello circondato da mura e fossato. Le prime testimonianze dell’esistenza del borgo fortificato risalgono ad un documento del 927 d.c. in cui viene citato il “Castellum Sancti Felicis”. Questo primo insediamento probabilmente non presentava delle strutture murarie, ma semplici terrapieni perimetrali circondati da un fossato, secondo il modello castrense. Il castello divenne feudo di Matilde Canossa intorno al 1100; in seguito le sorti del luogo saranno legate al dominio degli Estensi.

XIV sec.

Il borgo, con la rocca e le mura, risale al XIV secolo e deve la sua nascita a Obizzo III d’Este. L’attuale aspetto della rocca è il risultato dell’intervento di Bartolino da Novara, che nel 1406 si recò a San Felice per “porre il castello in stato migliore di difesa”. Le carte di archivio, testimoniano la presenza, insieme alla rocca, di una chiesa (che era già situata in quel preciso luogo da prima dell’anno 1000) in stato di decadenza negli ultimi anni del 1300. Questa fu ricostruita nel 1400 insieme alla canonica. Durante il XVI secolo una nuova parte dell’abitato si era formata per naturale espansione oltre il limite della vecchia cinta medievale e risultava difesa da un ampio fossato, che prima circondava solo le mura. Al margine orientale del borgo rinascimentale si trovava la torre dell’orologio che serviva per controllare l’accesso alla nuova zona: per chi veniva dal finalese era, infatti, l’unico punto di ingresso a San Felice. Durante questo secolo i cambiamenti furono numerosi: la canonica fu restaurata nel 1520, venne costruito sopra la porta del castello un fabbricato ad uso di carceri con una sala per i pubblici consigli e si ampliò la rete delle infrastrutture per collegare sia le nuove abitazioni che i territori limitrofi. Nel XVII secolo l’espansione urbanistica si sviluppò verso est, oltre il fossato costruito nel secolo precedente. Risalgono sempre a questo secolo l’allungamento dell’attuale via Mazzini, l’ampliamento in lunghezza della chiesa Arcipretale e la sopraelevazione del campanile. L’evidente inclinazione che lo caratterizzava è avvenuta durante la sua costruzione, come attesta il tentativo di riportare il peso dell’edificio in posizione centrale spostando l’asse di costruzione.

La Rocca secondo il progetto di Bartolino da Novara.


san felice sul panaro: il borgo e la chiesa

XV sec.

XVI sec.

XVII sec.

Pianta del borgo in età rinascimentale: 1-3. Torri di via Terrapiena; 4. Torre (scomparsa) sud-ovest; 5. Rocca; 6. Edificio (scomparso) di ingresso al castello.

La più antica topografia di San Felice (copia dello schizzo tracciato dall'ingegnere ducale Terzo de' Terzi), 1552.

“Occhiata di Pianta Della Terra di S. Felice e suo Territorio 1669…”, particolare (ASMo, Mappario Estense, Serie “Territori”). L’abitato di San Felice sul Panaro intorno al sec. XVII ASMo, Mappario Estense, Serie “Acque e Strade”.

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Nel XVIII secolo vennero abbattute le mura cittadine ed eliminato il fossato. Alle torri, innalzate di un piano al fine di trasformarle in abitazioni, vennero tolte le merlature. Sempre nel XVIII secolo venne allungata via Mazzini per connettere la parte più antica della città con i nuovi edifici: Palazzi Comunale e del Monte. Questi palazzi donarono maggiore importanza al paese. Il borgo cominciò perciò ad espandersi verso est, dove vennero edificati la nuova Chiesa e l’Oratorio di Santa Croce, per volere della Confraternita del SS. Sacramento.

XVIII sec.

Con l’Unità d’Italia il paese registrò una notevole crescita, come centro commerciale e agricolo della “Bassa Modenese”. Una delle più grandi novità della seconda metà dell’800 fu la realizzazione della nuova ferrovia “Modena-CavezzoFinale Emilia” che donò maggiore importanza, grazie anche alla realizzazione di numerose vie di comunicazione con il territorio limitrofo che stimolarono una notevole crescita urbanistica. Nel 1893 nacque la Banca Popolare di San Felice sul Panaro, in Piazza Matteotti. Nella prima metà del '900 venne realizzata la nuova linea ferroviaria, la rete “Bologna-Brennero”, che non solo aumentò l’importanza del paese sempre più posto al centro di due fondamentali vie di comunicazione, ma dette il via a una nuova crescita urbanistica. Per la prima volta San Felice si espande verso ovest, nella zona oltre la nuova linea ferroviaria. Dalla seconda metà del '900 fino ai giorni nostri San Felice ha continuato ad espandersi a macchia d’olio. La maggior parte della crescita urbanistica del paese è avvenuta negli ultimi decenni. L’economia si basa sull’allevamento, sulla filiera agro-industriale, sull’indotto del settore biomedico e sui servizi.

Mappa dell'abitato nel 1725. Mappa del 1796 (Memorie storiche di San Felice sul Panaro del Costa Giani).


san felice sul panaro: il borgo e la chiesa

1893

1935

IGM, 1935. Fotografia anni '30.

Mappa del 1826. IGM, 1893.

2013

IGM, 1990. Ortofoto, 2013.

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L'analisi dei luoghi Il centro storico di San Felice nell’assetto attuale risulta compresso dalla linea ferroviaria Bologna-Verona che lo lambisce ad ovest (rasentando proprio il nucleo storico di fondazione), costituendo inoltre un ostacolo interno all’abitato nelle comunicazioni con le zone di più recente sviluppo ad occidente. Il tracciato ferroviario ha costituito un evidente impedimento alla crescita urbana del paese verso ovest, imponendosi con forza sul limite storico del centro, quasi a ricalcare un tratto dell’antico confine delle mura del castello. La zona più identitaria dell’insediamento coincide con il nucleo storico più antico e la sua prima espansione rinascimentale ad est. Nel primo quadrilatero della rocca, in particolare, si concentrano i principali monumenti (il memoriale dei Caduti della I.G.M., il municipio e palazzo delle poste, il teatro, oltre al castello, alla chiesa e le opere parrocchiali) che vanno a delimitare i lati della piazza civica, recentemente riqualificata. A nord di quest’area rimane un ampio piazzale, un “vuoto storico” di fatto, sopravvissuto e tutelato dalla comunità, come area mercatale e grande parcheggio pubblico. Questo vuoto è senz’altro da preservare per non intaccare l’identità storica del centro, poiché solo da qui è ancora possibile immaginare l’isolamento dell’antico insediamento fortificato, anche tramite il profilo dello skyline, i tratti delle mura superstiti ed i torrini connessi. Il sisma ha fortemente alterato la fruizione dell’area centrale: il crollo della chiesa, i danni alla rocca estense, la distruzione della canonica vecchia ed i dissesti del municipio, del teatro e di tanti altri edifici storici, hanno creato un vuoto urbano senza precedenti nella storia della comunità. Un possibile ritorno ad una condizione originale di centralità e vivibilità dell’antica area castellana dovrà passare attraverso alcune scelte fondamentali: la restituzione alla cittadinanza di un luogo di culto, la chiesa, nello stesso luogo di quella irrimediabilmente rovinata oppure in un luogo immediatamente contiguo o reperendo un’area limitrofa centrale, possibilmente continuando ad affacciarsi nel quadrilatero della piazza principale, assumendo una valenza monumentale. Conseguentemente a tale scelta di fondo, dovranno derivare le altre: cosa fare dell’eventuale sedime della chiesa storica, dove ricostruire la canonica e sistemare le opere parrocchiali, riconfigurando di conseguenza l’intero spazio pubblico, una volta recuperati e restaurati gli altri edifici della compagine.


san felice sul panaro: il borgo e la chiesa

Parcheggio Cimitero Stazione ferroviaria Strada provinciale Viale Fermata bus Marciapiede e pista ciclabile Pista ciclabile Zona pedonale Centro storico e piazze principali Mantenimento dello skyline storico Sottopassaggio

Ferrovia Bologna-Verona Strade principali Strade urbane alta percorrenza Percorsi ciclo-pedonali Zone di aggregazione Parchi e verde attrezzato Piazze Parcheggi New town CriticitĂ Sottopassaggi pedonali

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Plastici di studio delle proposte progettuali.

pagina a fronte San Felice sul Panaro: canonica vecchia.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, 2015 Relatore: Prof. Claudio Zanirato Correlatore: Saverio Napoletano Laureanda: Tatyana Abigail Pesin.

Post vision* Il “ribaltamento” localizzativo tra chiesa e canonica consente di porre l’edificio di culto come fondale della strada-piazza di penetrazione del borgo, con la facciata rivolta verso la parte urbana più consistente e storicizzata, utilizzando il sedime della vecchia chiesa, unito con il precedente sagrato, per figurare uno spazio aggregativo aperto di grande va-



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Sezioni ambientali della rinnovata composizione urbana.

pagina a fronte Planivolumetria e pianta dei piani terra dell’intervento di ricomposizione dell’area religiosa con la nuova chiesa, le opere parrocchiali ed il coinvolgimento dei ruderi della storica chiesa. Veduta dell’interno della chiesa diruta, trasformato a spazio pubblico semicoperto.

lore. Le nuove opere parrocchiali, poste sul bordo nord della piazza e del borgo, completano il nuovo assetto. La “monumentalizzazione” dei ruderi della Chiesa Arcipretale, con la pavimentazione interna che diviene una piazza ed una copertura semitrasparente, di acciaio e vetro, che racchiudono una navata laterale e l’abside con vetrate (per funzioni espositive e di conservazione della memoria), consente di spostare le funzioni religiose in altri spazi contigui. La nuova chiesa occupa il posto della vecchia canonica, con un ingresso porticato si propone come degno fondale del percorso matrice del centro storico che da qui parte per dirigersi nell’espansione rinascimentale. Le sue forme plastiche, in calcestruzzo architettonico a vista, sono “traforate” per catturare la luce e farne l’elemento principale di decorazione, sia interna che esterna. La sua disposizione ed organizzazione interna assecondano le prescrizioni liturgiche attualizzate. Le opere parrocchiali si dispongono lateralmente ai ruderi della chiesa storica (navata sinistra, lasciata priva di copertura) ed utilizzano questi come una quinta scenica d’ingresso: all’interno, disposti su due livelli, si organizzano gli spazi aggregativi della comunità religiosa. La nuova torre campanaria e i tre “torrini” della cinta muraria difensiva, ricostruiti in maniera scultorea e semitrasparente, ripropongono il profilo urbano perduto, così ricomposto e visibile dal piazzale del mercato riconfigurato con quest’occasione per essere anche una piazza attrezzata per il mercato e feste, relegando la parte di parcheggio.


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• Vedute dei rapporti tra gli inserimenti dei nuovi edifici di culto e le preesistenze ricomposte nella scena urbana. pagina a fronte Vedute interne della nuova chiesa.


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Vedute interne della nuova chiesa.

pagina a fronte Plastico di studio.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, 2015 Relatore: Prof. Claudio Zanirato Correlatore: Saverio Napoletano Laureanda: Noemi Valdambrini.


san felice sul panaro: il borgo e la chiesa

Restitutio ad integrum* La ricostruzione del borgo storico è vista in questa ipotesi progettuale quale occasione per ridefinire il fronte continuo sulla piazza-mercato, con le punteggiature dei tre torrini nuovamente immaginati assieme a nuove costruzioni per “serrare” ulteriormente la scena. Il progetto della canonica è volto a chiudere scenograficamente la via Mazzini nel suo naturale fondale, al posto della ferrovia. La Chiesa Arcipretale semidistrutta diventa un luogo aperto d’incontro, caratterizzato dalla presenza di alcune cappelle e da inserti di verde decorativo. La nuova chiesa, un prisma poligonale, si dispone accanto alla rocca a completare l’area monumentale affacciata sulla piazza del Municipio. L’antico Oratorio si apre a fare da ponte-passage tra le due chiese, diventando una specie di cannocchiale prospettico tra due momenti di storia urbana. Il sedime della chiesa storica diventa un nuovo spazio di aggregazione, di sosta ma pure di attraversamento pedonale, un luogo della memoria tramite la conservazione di alcuni capisaldi storici, una volta messi in sicurezza e recuperati nelle parti possibili: la facciata, un paio di cappelle laterali contrapposte e parte dell’abside, specchi d’acqua ricavati nei resti delle pavimentazioni, contribuiscono a dilatare la percezione dello spazio.

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San Felice sul Panaro Via Mazzini e piazza del municipio.

pagina a fronte Concept progettuali e schemi funzionali.


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Ricostruzione e restauro Demolizione

Cappellina Pedana Sale Parrocchiali Sagrestia Confessionali Presbiterio Area Fedeli Bagni Fonte battesimale Altare Trittico

Zona giorno Zona notte Bagni Ballatoio

La probabile parziale ricostruzione delle torri della rocca nelle forme originali da sola non basta a ridare ai cittadini l’immagine familiare della città così come l’aveva consegnata la storia: il progetto propone di ricostruire (seppur decentrato rispetto la nuova chiesa) un nuovo campanile in luogo di quello franato, in forme attualizzate, ed allo stesso modo di ricostruire i tre torrini medievali di cinta rovinati. Si dovrebbe così facendo rievocare l’aspetto identitario originale, un nuovo skyline capace di evocare quello perduto. Le forme della nuova chiesa si legano al luogo dov’è ospitata ed alle preesistenze: fiancheggia la rocca, dialoga con l’oratorio trasformato a cappellina feriale, tramite una tettoia ed un “ingresso” laterale, e con il parco adiacente, tramite la trasfigurazione arborea dei pilastri. L’ingresso alla chiesa risulta laterale rispetto l’orientamento interno della sala, e questo per volontà di raccordarsi con la pedana/podio esterno, in coincidenza della tettoia, in una sorta di sagrato rialzato, rivolto verso la piazza civica del castello e del municipio. Un ingresso secondario retrostante collega la sala di culto con la nuova sacrestia, tramite un cortiletto di pertinenza.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Planivolumetrie dell’area della Rocca con i resti della chiesa distrutta, l’inserimento della nuova chiesa e l’ipotesi di ricomposizione del fronte murato nord-ovest.

pagina a fronte Vista assonometrica. Pianta dei piani terra del nuovo sistema religioso.

Il reimpiego dell’Oratorio per le funzioni settimanali comporta un suo ribaltamento organizzativo, trovando il nuovo accesso sotto la piazza coperta. Tutte le aperture di luce della chiesa si concentrano in sommità al perimetro poligonale murario, disegnate da un intreccio strutturale che diventa tutt’uno con la trama di sostegno della grande copertura monolitica a falde inclinate. Questo insieme spaziale consente di dare una direzionalità all’organizzazione interna, deformando la pianta centrale di partenza, verso il presbiterio e la fonte battesimale, l’altare e la sede officiante. Contrapposto al fulcro dell’attenzione liturgica si trova un ballatoio su tre lati, che ospita le attività di supporto (coro) e ne occulta altre (penitenziario, servizi igienici…).


san felice sul panaro: il borgo e la chiesa

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assestamenti urbani • claudio zanirato

• Vedute della nuova chiesa posizionata nella scena urbana di piazza del Municipio ed i giardini del Castello.


san felice sul panaro: il borgo e la chiesa

• Vedute interne della nuova chiesa.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

•

Lorenzo Perini.

pagina a fronte Matteo La Sorte.


san felice sul panaro: il borgo e la chiesa

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la chiesa del mulino: una riconversione*

San Felice sul Panaro Chiesa di San Giuseppe.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, A.A. 2013-2014 Laboratorio di Architettura 3 Responsabile: Prof. Claudio Zanirato Tutor: Michela Contini Studenti: Alessio Stefani, Giovanni Ruggeri, Eckehard Van de Scheop, Alessia Fusi, Francesco Del Maestro.

L’occasione progettuale è quindi quella di valorizzare una parte storica del paese rimasta però marginale sia alle aree centrali che ai nuovi assetti urbanistici, creando uno spazio che possa essere utilizzato per funzioni pubbliche e diverse da quelle di culto religioso, già ridotte anche prima del sisma. La chiesa di San Giuseppe a San Felice sul Panaro, insediata ai margini del paese e comunemente detta “Madonna del Mulino”, per la contiguità con un’antica macina mossa dall’acqua del “canalino” che scorre subito dietro l’abside (da tempo tombinato), è quasi del tutto crollata sotto i colpi del sisma e sembra improbabile un suo pieno recupero architettonico e funzionale. La sua marginalità, localizzativa e d’uso, si propone come occasione di un recupero e riuso per altri fini pubblici, attuando una sua riconversione come momento emblematico della crescita di una città, con la “manipolazione” della memoria del suo passato. Già prima del terremoto le aperture al culto e le cerimonie erano assai sparute, per cui il cambio di destinazione darebbe un pieno significato sociale all’intervento, per una vera riappropriazione. La parziale distruzione della chiesa induce quindi a pensare che la ricostruzione dell’edificio possa avvenire, sempre nel rispetto di ciò che è stato risparmiato dal sisma, con forme e per attività diverse dalle originarie, legate alla produzione e fruizione culturale (biblioteca dell’arte, esposizioni, eventi musicali, conferenze, proiezioni…). I danni causati dal sisma alle strutture della chiesa sono dovuti principalmente al collassamento del campanile e della copertura della navata centrale (che si è trascinata a terra la parte sommitale della facciata): dalla ricostruzione di queste parti irrimediabilmente perdute può prendere spunto il progetto di riconversione dell’intero edificio. Il Centro Culturale ed Espositivo ipotizzato può utilizzare un piano soppalcato, tra le navate laterali, ed una copertura piana ribassata e praticabile (raggiungibili con scala ed ascensore), sulla navata centrale, implementando così gli spazi organizzativi. Il nuovo ingresso si dispone lateralmente, dov’era il campanile, e sul lato opposto si trovano i


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assestamenti urbani • claudio zanirato

La storia dei luoghi Il Borgo del Mulino, con la chiesa di San Giuseppe, appare ben formato nelle cartografie dell’800, a nord dell’abitato storico e connesso a questo da una specifica strada. La presenza del Canalino ha senz’altro promosso l’insediamento, che appare già nelle raffigurazioni del ‘600. Nella prima metà del secolo scorso, il Borgo si salda all’abitato con la prima espansione urbanistica “moderna”, trasformando la strada in viale alberato costeggiato da costruzioni indipendenti e villini. Alla fine del secolo scorso, l’espansione a nord dell’abitato ha raggiunto il suo completamento trovando arginatura dal tracciato ferroviario ad ovest e la via Canalino a settentrione che, per sostenere i nuovi ed intensi volumi di traffico si allarga con il tombinamento del corso d’acqua. In epoca recente, l’espansione urbana ha proceduto ad est, valicando anche il tracciato del Canalino, completando l’accerchiamento del borgo, oramai irriconoscibile come tale e percepito come una preesistenza storica inglobata nel tessuto periferico della città.


la chiesa del mulino: una riconversione

fine '800

1950

1995

•

Mappa Cartografia, 1955.

•

a sinistra Mappa del 1669. Mappa catastale di fine '800. a destra Mappa di fine '800.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

L'analisi dei luoghi 1. Nello schema sopra evidenziamo una tra le varie criticità analizzate, ovvero la mancanza di uno spazio pertinenziale antistante la facciata dove vi è l'ingresso alla chiesa. Stesso problema lo ritroviamo lateralmente per l'accesso al campanile e alla canonica. Lo schema evidenzia un'altra criticità relativamente ai flussi carrabili, i quali scorrono in prossimità dell'ingresso alla chiesa generando intersezione tra i veicoli che giungono da Via del Molino e Via del Canalino. La viabilità pedonale non è garantita da marciapiedi o percorsi appositi. Lo schema evidenzia in arancione le porzioni dell'edificio crollate mentre con il colore rosa si evidenziano le demolizioni effettuate per la redazione della proposta progettuale. Inoltre, in rosso sono riportati gli allineamenti del campanile e della facciata che saranno ripresi nel progetto.

Crolli Demolizioni porzioni pericolanti Ricostruzioni Nuove opere Nuovi percorsi pedonali Allineamneti

2. Verde privato

Punto critico di intersezione viabilità carrabile

Edifici

Viabilità carrabile principale

Parcheggio

Percorso esclusivamente pedonale

Direzione viabilità

Vecchio mulino

Edifici danneggiati da risistemare (inagibili)

Pista ciclabile

Edifici crollati parzialmente demoliti

Canale interrato

Edificio di culto (oggetto di intervento)

Area soggetta a trasformazione da carrabile a pedonale

Viabilità carrabile interna — secondaria


la chiesa del mulino: una riconversione

1.

2.

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• Planivolumetrico dell’intervento di recupero, sezione longitudinale e prospetto laterale. pagina a fronte Vedute esterne del centro culturale.


locali e dotazioni di servizio. Un restauro e consolidamento delle strutture murarie superstiti restituisce l’immagine storica della chiesa (la facciata è solo priva del timpano) e la sua memoria, mentre una parete scultorea laterale segnala la sua trasformazione nella scena urbana, l’allestimento interno ne concretizza la rinascita con nuove finalità sociali. La riqualificazione degli spazi esterni, con una piazza-giardino e la ricomparsa dell’acqua in vasche, restituisce definitivamente l’edificio ad un ruolo urbano di polarità, riconducendolo “idealmente” allo stato originario quando è stato per lungo tempo isolato nella campagna, e come tale torna ad essere isolato dal traffico cittadino come un’oasi, che anticipa di poco il paesaggio rurale alle sue spalle. Il Centro Culturale occupa gli stessi spazi della chiesa ma con l’inserimento di un piano ammezzato e di nuovi volumi ad integrazione di quelli perduti, si ottiene una funzionalità potenziata. Le parti ricostruite si connotano perché sono solidi “scatolari”, che sormontano o accostano le parti murarie superstiti o si collocano all’interno delle navate, con un’evidente tecnologia e matericità. L’intervento si configura anche come adeguamento sismico per l’intero edificio, poiché le nuove strutture sono di consolidamento per quelle murarie recuperate. In particolar modo, il piano ammezzato a soppalco su telaiatura di acciaio, contribuisce a legare tutto il perimetro della chiesa, le tre na-


Pianta del piano terra e sezioni trasversali. Schema funzionale del nuovo Centro Culturale.

Area espositiva Area ristoro — internet point Area conferenze Area lettura Servizi — WC Area deposito materiali / centrale termica Info point / ufficio Percorso accesso al tetto giardino Percorso di accesso zona espositiva al piano 1°

pagina a fronte Vedute interne e della copertura praticabile della nuova struttura pubblica.

Percorso accesso area conferenze Percorso uscita emergenza Accesso Percorso accesso servizi igienici


vate ed i colonnati, mentre la porzione di copertura piana sulla navata centrale annulla le spinte del tetto. Nasce così l’idea di creare un centro culturale con la ricostruzione dell’ex-chiesa, uno spazio che riporti alla memoria ciò che vi era prima, al ricordo del sisma quale momento drammatico e di cambiamento obbligato, ma che al tempo stesso possa proiettare chi lo vive verso la ripresa e la rinascita. La scelta funzionale è suggerita dalle diverse esigenze degli abitanti del paese: alcune orientate da un legame affettivo verso la vecchia chiesa, che possono ritrovare più precisamente nelle forme e parti superstiti; altre verso la ricerca di spazi di vita, carenti nel territorio, quali spazi aggregativi e di incontro sociale. I danni del terremoto hanno semidistrutto la chiesa, con il collassamento della torre campanaria, la caduta del timpano della facciata, l’implosione della copertura e la fessurazione dell’abside. La proposta progettuale intende correggere le criticità riscontrate (come la mancanza di un adeguato spazio pertinenziale antistante la chiesa), realizzando nuovi percorsi pe-


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assestamenti urbani • claudio zanirato

Elaborati tratti da Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura 2015 Relatore: Prof. Claudio Zanirato Laureanda: Alessio Stefani.

Francesco del Maestro.

pagina a fronte Alessio Stefani.

donali e ciclabili, ampliando il numero dei parcheggi su via Canalino e del Mulino. Dalla ricostruzioni delle parti crollate ed irrimediabilmente perdute prende spunto il progetto di riconversione dell’edificio. Il centro culturale ed espositivo utilizza un piano soppalcato aggiuntivo (tra le navate laterali) d una copertura verde praticabile (sulla navata centrale), implementando così gli spazi organizzativi. Il nuovo ingresso si dispone lateralmente (al posto del campanile e congiunto alla ricostruzione libera della piccola canonica), e sul lato opposto si trovano i locali di servizio ed un ascensore. Un restauro ed un consolidamento statico delle strutture murarie superstiti possono restituire un’immagine storica della chiesa. Una parete scultorea laterale segnala la trasformazione avvenuta, l’allestimento interno ne sancisce la rinascita. La riqualificazione degli spazi esterni, in maniera estesa, con la realizzazione di una piazza-giardino e la “ricomparsa” dell’acqua (in vasche a riprendere il vecchio canale interrato che alimentava il mulino), restituiscono definitivamente l’edificio ad un ruolo urbano di polarità.


la chiesa del mulino: una riconversione

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assestamenti urbani • claudio zanirato


mirabello: lo spazio del sacro e la città*

Mirabello Chiesa parrocchiale di San Paolo.

La chiesa rappresenta in ogni città un luogo dove l’urbanità prende una particolare consistenza, quasi sempre una centralità con la sua piazza, un punto d’incontro eletto per eccellenza valido ancora oggi. La semidistruzione della chiesa di San Paolo della cittadina ferrarese con il sisma del 2012 ha quindi privato questa piccola comunità della sua identità. I danni sembrano però essere stati selettivi, con la totale perdita della metà absidale della chiesa e solo pesanti danneggiamenti per la parte anteriore e frontale, nonché della torre campanaria. L’ipotesi di riedificare con forme nuove la parte perduta dev’essere anche l’occasione per ripensare per intero lo spazio pubblico centrale del paese, con un rapporto diverso con la strada provinciale di attraversamento, Corso Italia, e la sua linearità. Sulla piazza Battaglini si affacciano anche il Municipio e un condominio sul lato opposto, quest’ultimo gravemente lesionato dal sisma e per il quale si dovrà prevedere la sua completa ricostruzione, in sintonia con l’intero intervento ed in maniera assai più integrata che in precedenza. La piazza del paese è in buona parte utilizzata a parcheggio e senza una sua particolare qualificazione, inoltre risulta essere un sistema assolutamente chiuso, attraversabile solo praticando la strada sul lato settentrionale. Gli interventi emergenziali dopo il sisma, con la collocazione della chiesa provvisoria nell’area absidale, hanno di fatto aperto la possibilità di stabilire una permeabilità longitudinale alla piazza, collegandosi alla strada del vecchio argine. L’area centrale acquista così una profondità forse perduta, ritrovando legami con l’ambiente prima negati, molteplicità d’uso, acquisendo capacità attrattiva amplificata da una visione dilatata.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI | Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, A.A. 2014-2015 LABORATORIO DI ARCHITETTURA 3 | Responsabile: Prof. Claudio Zanirato Tutor: Palma Pastore, Michela Contini Studenti: Veronica Sessa, Martina Susini, Sofia Pistolesi, Anais Fouilloux, Lucie Duc Dodon, Chiara Pace, Francesco Caridà, Larissa Faloni Ferreir, Vincent Guichard, Marco Piero Olivieri, Elisa Lalumera, Martina Perini.


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assestamenti urbani • claudio zanirato

La storia dei luoghi Il paese sorge lungo l’antico corso del fiume Reno. Solo dopo il 1530 queste terre alluvionali sono state bonificate, canalizzando il Reno, e rese abitabili stabilmente inizialmente solo da contadini e poi anche dai conti Prosperi.

Il centro abitato è relativamente recente, risale a non prima della metà del ‘700 e corrisponde agli insediamenti dei Prosperi, quando si costruì il canale scolmatore per stabilizzare la bonifica. La via centrale di attraversamento lungo la quale si sviluppa l’abitato collega Ferrara con Cento ed è appaiata da altre due strade, leggermente rialzate, che coincidono con gli argini del Reno prima della sua regimentazione e che hanno continuato ad indirizzare/contenere lo sviluppo urbano.

Mappe del XVII sec.


mirabello: lo spazio del sacro e la città

1893

1911

STATO ATTUALE

Mappe IGM di fine '800.

Periodizzazione storica degli insediamenti edilizi nell’area urbana. Sezione ambientale dell’area centrale. Analisi delle principali criticità del centro urbano.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

L'analisi dei luoghi La strada statale 66 che collega Modena a Ferrara, attraversando la “bassa” emiliana, ha da sempre organizzato lo sviluppo urbano di Mirabello ma ne ha anche condizionato, soprattutto in epoca recente, la qualità della vita, essendo percorsa da una consistente quantità di traffico veicolare, anche pesante. Le attività civiche e commerciali principali del paese si affacciano quindi quasi esclusivamente lungo tale arteria viabilistica, attrattore urbano che ha plasmato di fatto la forma insediativa. La piazza Cardinal Battaglini, la piazza del paese, è lambita dalla strada di attraversamento ed ha come fondale la grande chiesa, ricostruita sontuosamente nella prima metà del secolo scorso e dotata di un imponente campanile. Anche il municipio si affaccia sulla piazza, andando a rimarcare la centralità di questo luogo. È mancato da sempre un disegno compiuto ed intenzionale per tale piazza e neppure la realizzazione, nel secondo dopoguerra, di edifici commerciali e residenziali, ai due lati dell’invaso, sono riusciti a formalizzare sensatamente tale spazio pubblico. Si evidenzia pure una mancanza di “profondità” di questo luogo centrale, confinato ad ovest dalla strada statale e da una continua cortina edificata “storica” ma che dal lato opposto, a sud-est, potrebbe avere un proseguimento, una trasversalità che conduce al vecchio argine, dov’è stata eretta la chiesa provvisoria subito dopo il sisma e che potrebbe diventare un centro civico, una volta recuperata la vecchia chiesa. Sono queste le condizioni ambientali con le quali la riprogettazione deve fare i conti, sfruttando l’occasione per rendere compatibili le varie convivenze della piazza, proponendo spazi ed usi capaci di rivitalizzare tale luogo centrale come fattore di rilancio urbano.

1-2. Sistemi della viabilità urbana e del verde fruibile. 3. Ideogramma progettuale del nuovo assetto urbano. 4. Analisi spaziale dell'invaso della piazza. 5. Analisi delle condizioni di accessibilità dell'area urbana della piazza. 6. Analisi funzionale delle attività insediate nell'area della piazza.

1.

2.

3.

1. Organizzazione delle strade Strada principale Strade secondarie Strade terziarie 2. Interfacce del sito Spazi verdi Spazi costruiti


mirabello: lo spazio del sacro e la città

4.

5.

6.

Vetrine verso la strada Dialogo tra Chiesa-strada Linea di autobus Sviluppo della città

Spazi costruiti

Funzioni

Privato

Commercio

Pubblico

Luoghi di culto

Spazi aperti

Amministrazione

Accessibilità pedonale

Privato

Servizi

Punti di accumulazione

Pubblico

Parcheggi

Strade

Strade

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assestamenti urbani • claudio zanirato

•

Mirabello Chiesa parrocchiale di San Paolo.

pagina a fronte Diagramma organizzativo dell’area. Pianta del piano primo del nuovo condominio e diagramma ricostruttivo della chiesa.


mirabello: lo spazio del sacro e la città

Residenze Commerciale Nuova abside Area verde Area pavimentata Parcheggio Pendenze Attraversamento pedonale

Il Centro La completa rivisitazione di piazza Battaglini consente di valorizzare la centralità di tale spazio pubblico, per creare un luogo più aperto ed attivo: un luogo di incontro vitale ed ospitale per tutti. La ricostruzione della parte di chiesa crollata, l’abside, ed il condominio sul lato nord, danneggiato e non recuperabile, nonché la collocazione “tergale” della chiesa provvisoria, consentono di utilizzare tutta l’area disponibile, quella pubblica della piazza, quella parrocchiale e le parti private coinvolte, in una nuova configurazione architettonica ed urbanistica, fortemente integrate. La riconfigurazione del nuovo condominio, soprattutto, confermando le attività commerciali al piano terra, proponendo una corte interna aperta, indirizza chiaramente verso la parte absidale della chiesa, con la nuova protesi costruttiva di terminazione, il nuovo ingresso retrostante e la “contro-piazza” conseguente. Nuove geometrie legano assieme le varie situazioni della scena urbana, le preesistenze e le nuove costruzioni, proponendo vari percorsi di attraversamento, nuove e differenti prospettive d’uso e di fruizione dello spazio pubblico. Questi “intrecci” danno forma ed evidenza alla chiara intenzione progettuale di legare il tutto, gli spazi pubblici aperti, le sagome degli edifici ed i loro interni, in modo univoco, sovver-

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Sezione longitudinale. Pianta dei piani terra dell’intervento.

pagina a fronte Planivolumetrico dell’intervento. Veduta d’insieme della nuova piazza. Viste prospettiche del nuovo ingresso e dell'interno della parte ricostruita.


mirabello: lo spazio del sacro e la cittĂ

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•

Veronica Sessa.

pagina a fronte Elisa Lalumera.


mirabello: lo spazio del sacro e la cittĂ

tendo gli schieramenti precedenti e proponendo un nuovo modo di vivere la città , non piÚ fatta di pezzi accostati ma di elementi interrelazionati tra loro con un senso compiuto. In questo, il sisma ha aperto nuovi scenari di vita, lasciando intravedere scenari d’uso prima interclusi, rompendo recinti e creando collegamenti, con nuove proposte e punti di vista contrapposti.

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assestamenti urbani • claudio zanirato


s. agostino: nuovo municipio e centralità*

Sant'Agostino Chiesa parrocchiale e piazza Marconi.

Il municipio di questo comune è stato uno dei simboli del terremoto emiliano: gravemente lesionato è stato fatto implodere a distanza di tempo perché irrecuperabile. La sua riedificazione ha un valore fondamentale per tutta la comunità e dovrebbe anche essere occasione per ripensare gli assetti ed i ruoli di tutto l’invaso di Piazza S. Pertini e G. Marconi, quindi con ipotesi localizzative al suo interno, anche alternative alla precedente. Si tratta quindi della progettazione di uno spazio pubblico aperto ed esteso, dominato dalla costruzione della nuova sede municipale, di forte valore simbolico ed urbano. Il ruolo dello spazio pubblico per eccellenza, come la piazza, ed il suo rapporto con l’architettura dell’edificio rappresentativo di tutta la comunità diventa occasione per ripensare nel suo complesso il disegno urbano della città. Il dibattito cittadino è stato focalizzato sulla nuova collocazione del sedime della sede municipale, se altrove o se di nuovo nella piazza e semmai dove al suo interno rispetto a prima, tanto da lasciare ampio spazio ad ipotesi localizzative inedite. Ma è soprattutto il tema del “vuoto” della piazza a suscitare maggiormente le discussioni, dal momento che con o senza il municipio si deve trovare un significato fondante. Altro elemento che s’inserisce come premessa progettuale è la capacità di mitigare la presenza della strada provinciale, che delimita di fatto un lato della piazza come principale fonte di accesso alla stessa ma che comprime significatamente la presenza della chiesa parrocchiale, se non la esclude del tutto, avendo sottratto lo spazio del sacrato. Infine, ripensare la scena della piazza dovrebbe anche recuperare un ruolo adeguato all’edificio storico molto antico sul lato sud-ovest, sede della prima chiesa e che appare sottovalutato. Senza un pensiero profondo sul sistema dei vuoti è impensabile governare i pieni.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI | Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, A.A. 2014-2015 Laboratorio di Architettura 3 | Responsabile: Prof. Claudio Zanirato Tutors: Michela Contini, Saverio Napoletano, Alberto Stazio Studenti: Giacomo Santi, Giulia Loddi, Gabriele Cori, Giulia Mondini, Feng Miao, Xianglun Zhao, Avihen Levi, Nicola Milani, Cosimo Galli Federico Rocchi, Xinyu Chen, Xiaoshuang Pang, Margherita Gistri, Silvia Gabbarrini, Niccolò Antonielli, Nathan Petrone, Edoardo Stuggiu, Marco Morelli, Di Qiang.


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assestamenti urbani • claudio zanirato

La storia dei luoghi Il paese è sorto lungo il vecchio argine del fiume Reno, prima che trovasse definitiva sistemazione all’inizio del XVIII secolo, ponendo fine alle ripetute esondazioni che avevano caratterizzato per secoli queste terre come paludose. Lo sviluppo insediativo dell’abitato è relativamente recente ed ancora alla fine del’800 risulta distribuito linearmente lungo la sponda orientale del canale scolmatore (Cavo Napoleonico) e sui due lati della strada statale. Nel secolo scorso l’urbanizzazione ha preso vigore e si è compressa nella triangolazione definita dai due canali, lo Scolmatore e l’Emiliano-Romagnolo, e dalla campagna meridionale, spingendosi in profondità oltre la via principale, verso il Reno.

1912

Gli interventi edilizi più recenti, degli ultimi decenni, hanno saturato gli interstizi dell’abitato e l’hanno spinto nella campagna a meridione, come unica possibilità di espansione. Con gli ultimi interventi si è anche conclusa la scena della piazza, separandola quasi del tutto dal suo naturale sfondo dell’argine del Reno e del Bosco della Panfilia (riserva naturale), con la creazione della “contropiazza” S. Pertini: in entrambe, l’uso veicolare è prevalente. Nello specifico, il terremoto ha colpito il paese in maniera puntuale, danneggiando la chiesa ed il municipio, poi abbattuto, privando di un senso compiuto l’intero sistema di piazze, risultato smisurato rispetto il reale contest di riferimento.

Mappa agrimensoria del 1583. Mappa IGM di fine '800.


s. agostino: nuovo municipio e centralitĂ

1988

1912 1912/1988 1988/1998 1998/2007

S. Agostino, 1929.

Periodizzazione storica degli insediamenti edilizi nell’area urbana. Visualizzazione dei danni principali arrecati dal sisma.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

L'analisi dei luoghi Confinato da tre corsi d’acqua, l’insediamento di Sant’Agostino si confronta a sud, intervallato da un residuo di campagna, con il Bosco della Panfilia, raro esempio sopravvissuto di foresta planiziale. Questa riserva naturale ha rappresentato da sempre anche una risorsa economica per il paese, con la piazza, la chiesa ed il municipio idealmente rivolti in quella direzione, fino alla costruzione recente del caseggiato che ha troncato il legame storico.

1.

ELEMENTI FORTI DEL TERRITORIO

1. Diagramma dei rapporti territoriali principali tra il centro abitato, la strada provinciale, il sistema delle acque ed il parco fluviale. Il parco della Panfilia, bosco igrofilo golenale e biotipo di rilevanza regionale, elemento naturalistico identitario della comunità ed assai prossimo al paese, dove si raccolgono i tartufi che promuovono la sagra più importante del posto. 2. Analisi del sistema dell’accessibilità dell’area centrale urbana con evidenza delle criticità principali. L’area d’intervento nel contesto urbano in rapporto con lo spazio inedificato.

Area edificata (Sant'Agostino) Bosco della Panfilia Area di progetto Fiume Reno Scolmatore del Reno Canale emiliano romagnolo Via Statale (SP66)


s. agostino: nuovo municipio e centralitĂ

2.

TESSUTO URBANO

Area di progetto

Via Statale (SP66)

Canali

Strade secondarie

Limite del tessuto urbano

Area progettuale Doppio senso di marcia Senso unico di marcia CriticitĂ

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Piazze Marconi e Pertini con le macerie residue del municipio demolito.

pagina a fronte Veduta planivolumetrica dell’intervento inserito nel contesto urbano.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, 2015 Relatore: Prof. Claudio Zanirato Correlatore: Alberto Stazio Laureando: Cosimo Galli.


s. agostino: nuovo municipio e centralità

Urban settlements* La demolizione del municipio lesionato irrimediabilmente dal sisma ha aperto uno scenario del tutto inatteso: la storica piazza G. Marconi e la più recente S. Pertini, frontale e tergale alla sede comunale, in seguito all’intervento edilizio a sud (risalente ad una decina di anni prima), si sono “forzatamente” fuse assieme, dando evidenza ad una profonda ed estesa spazialità pubblica, non più dominata e proporzionata dalla mole del palazzo cittadino. La possibilità di re-insediare il nuovo municipio in tale invaso si propone come occasione per ripensareex-novoiltemadituttal’areacentraledellapiazzacivica,inmodounitarioeconsapevole. Il progetto urbano nasce dalla combinazione di tre elementi principali desunti dalla lettura contestuale: gli elementi fisico-strutturali del territorio (principalmente il verde e l’acqua), gli elementi tipologici-architettonici dell’insediamento (fatto di modeste costruzioni), gli assetti funzionali dei luoghi, che si sono conservati dopo l’evento calamitoso. L’assetto compositivo, apparentemente disarticolato, nasce invece dall’osservazione e coinvolgimento di linee stradali e di visuali incrociate, che portano un dinamismo percettivo e funzionale all’interno del quadrilatero di partenza. Questo può essere visto come la metafora

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Diagramma concettuale dell’assetto compositivo generatore della piazza con il municipio. Analisi del soleggiamento e principali sistemi della piazza. Qualificazione dello spazio pubblico.

del paesaggio della pianura ferrarese, fatto da ordinati reticoli ma pure di grovigli di linee, fatto di strutture edilizie semplici ma dinamiche e polivalenti. Il nuovo edificio nasce dunque volendo interpretare il ruolo di “cerniera” tra l’abitato e la campagna, inglobando al proprio interno elementi tipici del luogo, che si traducono in un’area alberata, sulla quale si affacciano tutti gli ambienti accessori del municipio, un traguardo visivo sul bosco della Panfilia dagli ultimi piani, e spicchi d’acqua, memori dei corsi fluviali che cingono il paese. Lo spazio della piazza si articola in diverso modo, a seconda delle funzioni cui è rivolto, una volta ridefinita e ridotta la viabilità veicolare interna, marginalizzata sul lato orientale. A sud, in piena luce solare, si colloca la zona per il mercato settimanale, con alcune strutture fisse ed una parte ombreggiabile d’estate. Le aeree verdi si concentrano sul lato di levante ed indirizzano verso la campagna ed il


s. agostino: nuovo municipio e centralità

bosco sullo sfondo, oltre il porticato del caseggiato continuo che fa da barriera, come una evidente insinuazione della natura e sua anticipazione verso il parco fluviale. Il programma funzionale delle sette aree tematiche, nelle quali si scompone l’attività amministrativa del nuovo municipio, si “ricompongono” a loro volta in sei distinti volumi (per materiali, colori, posizione, altezza e numero di piani), pressoché cubici, che si intersecano e lambiscono reciprocamente, entrando in contatto all’interno. Questa logica “scompositiva” consente di frantumare la massa edificata in maniera minuziosa, proponendo molteplici referenze prospettiche e tracciando differenti direttrici di orientamento. La giustapposizione delle parti edificate genera una permeabilità nell’aggregazione di aria e di luce, fin nelle parti più remote ed interne, con patii e terrazze. Le aperture dei singoli blocchi edificati si concentrano in punti significativi delle singole facciate, enfatizzando così il rapporto tra pieni e vuoti della composizione, andando ad intercettare punti notevoli dello spazio aperto contermine.

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•

Pianta del piano terra del municipio e schema di ripartizione delle macrofunzioni interne. Pianta del piano primo della nuova sede comunale con le cinque aree comunicanti.

Blocco 1: URP Blocco 2: servizi sociali Blocco 3: uffici urbanistica e LLP

pagina 123 Spaccato volumetrico.

Blocco 4: uffici comunali

Sezione longitudinale del municipio e della piazza.

Blocco 6: spazi pubblici e quarto settore

pagina a fronte Prefigurazione di tre scenari di ambientazione di vita dello spazio pubblico della piazza attrezzata. Veduta notturna del municipio inserito nel sistema di piazze attrezzate.

Blocco 5: spazi pubblici e quarto settore



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assestamenti urbani • claudio zanirato

• Margherita Gistri.

pagina a fronte Nathan Petrone.


s. agostino: nuovo municipio e centralitĂ

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assestamenti urbani • claudio zanirato

•

Edoardo Stuggiu.

pagina a fronte Nathan Petrone.


s. agostino: nuovo municipio e centralitĂ

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assestamenti urbani • claudio zanirato


camposanto: un palazzo di città*

Camposanto Piazza Gramsci.

L’oggetto della proposta progettuale per il centro di Camposanto è la riedificazione di una importante architettura rappresentativa, posta a cerniera tra la piazza civica del Municipio e quella storica della Chiesa. Si tratta di sostituire un edificio “ambizioso” del secondo dopoguerra del secolo scorso che a sua volta ha sostituito due edifici popolari di pochi decenni prima, a conferma dell’assoluta centralità occupata da tale area nello scenario urbano di sempre. La costruzione sarà a prevalente destinazione privata, con attività terziarie e residenze, e dovrà mettere in relazione visiva e funzionale i due principali spazi aperti pubblici urbani del municipio e della chiesa, anche tramite la riqualificazione di strade, giardini e piazze che formano nel complesso il luogo pubblico, per conferire una nuova scenografia a tutto il centro urbano. Il sisma ha colpito la comunità nei suoi edifici più antichi e rappresentativi, coincidenti con i punti d’incontro e di servizio collettivi: la chiesa e le scuole in primo luogo. La momentanea costruzione del plesso scolastico provvisorio, nell’area centrale del campo sportivo, ha comunque contribuito a decentrare a nord il baricentro del paese, pertanto la riconfigurazione del sistema delle piazze centrali dovrebbe contribuire a ristabilire un assetto urbano riequlibrato e ad allacciare relazioni importanti tra le parti di vecchia e nuova costituzione. Le qualità funzionali e percettive di una nuova architettura che si pone al centro di tutto un sistema urbano impongono non poche riflessioni sulle modalità con le quali il singolo edificio diventa un fatto urbano, cambia di scala e diventa un modo per fare città. In questo caso, il fatto puntuale ed esclusivo si deve tramutare in fatto collettivo e pubblico, semplicemente come fatto posizionale.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI | Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, A.A. 2013-2014 LABORATORIO DI ARCHITETTURA 3 | Responsabile: Prof. Claudio Zanirato Tutor: Michela Contini Studenti: Giusi Genovese, Andrea Cividati, Gianluca Biscontri, Gabriele Bragagna, Csilla Mai, Valentina Pelizziari, Iacopo Iacoponi.


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assestamenti urbani • claudio zanirato

La storia dei luoghi L’abitato di Camposanto trae origine dalla navigabilità del fiume Panaro, allor quando fu finalmente regimentato nel XVI secolo e costretto nel Canale Navile. Sulle sponde vi erano gli attracchi e tutti gli edifici principali prospettavano questo percorso sinuoso (tra cui alcune dimore di villeggiatura di famiglie modenesi): solo la Chiesa si trovava in posizione più defilata. Agli inizi del secolo scorso, il paese inizia a svilupparsi in profondità, con una lottizzazione pubblica dell’area cortiliva (il Serraglio) dello storico palazzo dei Ferraresi, insediando anche il nuovo municipio.

1893

I pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, nel tentativo di abbattere il ponte ferroviario sul Panaro, comportano la demolizione della parte orientale dell’abitato (il più popolato Rione Bastiglia) e di molti altri edifici. Con la Ricostruzione, l’urbanizzazione del paese si sviluppa ancora di più in profondità, stretta dal fiume a sud e dai tracciati stradali della via provinciale ad ovest e della ferrovia del Brennero ad est. A chiudere l’espansione urbana a nord si è andata a formare, negli ultimi decenni del secolo scorso, un’area artigianale produttiva. Di recente, l’ammodernamento della linea ferroviaria ha comportato l’innalzamento del ponte sul fiume e, di conseguenza, tutto l’attraversamento tangente all’abitato in rilevato ha acquisito una imponenza notevole, con la nuova stazione ferroviaria rialzata, ben al di sopra degli edifici del paese. Infine, il potenziamento del tracciato stradale provinciale, con una tangenziale ad ovest del centro urbano, ha consentito una sua ultima espansione su questo fronte, di nuovo lungo il tracciato del fiume.

Raffigurazione della famosa battaglia del 1743. Mappa IGM fine ‘800.


camposanto: un palazzo di città

1935

Mappa IGM primi ‘900.

1982

Foto aerea degli anni ‘80 del secolo scorso.

2013

Landmarks territoriali.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

L'analisi dei luoghi Il centro abitato possiede una relativa compattezza e bassa densità e risulta dominato da diversi landmarks, quali gli argini sinuosi e rialzati del fiume Panaro, il viadotto ferroviario, la Torre dei Ferraresi ed il campanile. La strada provinciale SP2 taglia da est ad ovest la parte più antica del paese da quella più recente e produttiva a nord. Il nucleo centrale e più storicizzato si basa sulla linearità della via Roma, parallela al fiume e sulla quale prospettano molte attività commerciali e di servizio, e sulla bipolarità della piazza di San Nicola, dominata dalla chiesa ed altre attività terziarie (e da cui si risale sulla sponda del fiume) e della piazza del municipio, lambita dalla provinciale e dove si addensano le funzioni pubbliche.

1.

Analisi delle relazioni urbane precedenti e conseguenti il terremoto.

Edifici pubblici

Pronto soccorso

Edifici residenziali

Stazione

Modellazione dell’ambito urbano evidenziando gli edifici demoliti o lesionati dal sisma. Mappa funzionale dell’area centrale del paese.

Edifici commerciali

Parcheggio

Intrattenimento

Demolizioni

Industria

Argine

Educazione

Verde pubblico

Biblioteca

Monumenti


camposanto: un palazzo di città

2.

Viabilità principale

Residenziale

Viabilità secondaria

Edifici storici

Viabilità panoramica

Attività collettive

Ostacolo ambientale

Edifici pubblici

Fronti commerciali

Istruzione

Luoghi aggregativi

Commerciale Verde pubblico

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Il palazzone su via Roma.

pagina a fronte Diagrammi relazionali.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, 2015 Relatore: Prof. Claudio Zanirato Laureando: Gabriele Bragagna.

Nuove relazioni spaziali* La proposta di riqualificazione prevede la realizzazione di due edifici “permeabili” che consentano la fruibilità spaziale delle due piazze, unite da un porticato, grazie al quale i frequentatori delle attività del centro potranno spostarsi da un polo all’altro, seguendo un percorso diretto, senza dover aggirare il fabbricato come in precedenza. L’idea originale di un blocco unico si evolve a seguito di riflessioni circa l’accessibilità dei due poli di Camposanto, la piazza antistante la chiesa e i giardini del municipio confinanti. Al fine di conseguire un accesso diretto tra questi due spazi aperti, l’iniziale idea di un unico corpo edificato si è evoluta in due volumi separati. La scelta è ricaduta su di un primo elemento verticale e un secondo elemento dallo sviluppo orizzontale. L’edificio a “torre” richiama nella sua morfologia la già presente Torre


camposanto: un palazzo di città

dei Ferraresi. Nel blocco orizzontale è riproposto il tema del porticato, rivisitato, necessario per la fruibilità dei negozi al piano terra. I due volumi di distinta matrice sono tra loro comunicanti per mezzo di un porticato, che invita alla permeabilità dei flussi. L’intervento si preoccupa di facilitare il dialogo spaziale tra i fulcri della vita cittadina, sfruttando gli accessi stradali e i nuovi percorsi, pur volendo mantenere l’intimità dello spazio-piazza, filtrando il luogo di incontro con i volumi dei nuovi edifici oggetto di studio. Il complesso residenziale si presenta in due volumi distinti ma tra loro dialoganti, tramite un porticato al piano terra che delimita gli spazi chiusi dei due volumi commerciali, legando i percorsi di accesso alle attività e camminamento lungo le vetrine. I volumi costruiti si affacciano su di un parco pubblico, una volta sede di pista da ballo. All’interno dell’area si sono studiati dei percorsi pedonali che raccordano gli accessi alla piazza individuando i punti di maggior interesse architettonico e sociale del paese, (municipio, centro civico). Seguendo l’assetto dell’edificio demolito, al piano terra trovano spazio attività commerciali ed uno sportello bancario, solo residenze ai piani alti.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Planimetrie d’inserimento urbano dell’intervento. e sezione ambientale d’insieme.

pagina a fronte Vedute di riconfigurazione urbana elaborata.

Gli studi morfologici del tessuto urbano e dei conseguenti flussi di attraversamento hanno guidato il disegno e posizionamento delle volumetrie redisegnate, separate in due blocchi per consentire una doverosa permeabilità dell’edificato e connettere, sia dal punto di vista visivo che pratico, la piazza della chiesa con quella del Municipio, in un sistema integrato di spazi pubblici, messi in perfetta continuità tra loro. I temi del portico e della torre sono stati direttamente mutuati dai connotati urbani preesistenti. L’assoluta emergenza della nuova torre contribuisce a rimarcare la nuova centralità urbana che con questa occasione è possibile ristabilire, con un gesto che assume una chiave paesaggistica.


camposanto: un palazzo di cittĂ

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assestamenti urbani • claudio zanirato

•

Gabriele Bragagna.

pagina a fronte Gianluca Biscontri.


camposanto: un palazzo di cittĂ

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novi di modena: la città oltre*

Novi di Modena Piazza Primo Maggio con la sede comunale.

La città di Novi è stata duramente colpita dagli eventi sismici nei luoghi e negli edifici più rappresentativi della comunità: il municipio, la torre civica, il teatro e molti altre costruzioni storiche, oltre che recenti. Tutte queste presenze gravitano soprattutto attorno e nei pressi di piazza I Maggio, dove sono stati demoliti anche diversi edifici privati: questo luogo ha segnato il momento di passaggio dalla dimensione di borgo medioevale a quella di città, insediandovi edifici pubblici, divenendo luogo degli eventi più rappresentativi, creando una piazza allungata, trasversale all’asse storico di Corso Marconi, che si è fatto proseguire a sud, con il viale della Libertà, nell’espansione moderna. La proposta di recupero, come ipotesi di Piano di Ricostruzione, dovrà ridefinire quindi questo importante luogo urbano, di cerniera tra il borgo storico e la città moderna, con l’inserimento soprattutto della nuova sede comunale ed il completamento urbanistico a seguito degli abbattimenti dei molti edifici. Il disegno urbano del nuovo fulcro urbano dovrebbe ridare una misura adeguata all’invaso della piazza, capace di farsi interprete delle trasformazioni urbanistiche che hanno formato nel tempo la città. Le nuove architetture dovranno essere in grado di essere adeguate scenografie per lo spazio pubblico, intrecciandosi con questo e coinvolgendo gli altri spazi contermini alla scena urbana. Il potenziale proposto dai forti danni arrecati dal terremoto al patrimonio edilizio consente di stabilire nuovi rapporti tra pieni e vuoti, nuove alternanze tra questi, aprendo in sostanza scenari nuovi ed inediti nella dislocazione dei protagonisti del palcoscenico urbano. In pratica, ci sarebbero le condizioni per immaginare un’alternativa forma di aggregazione di spazi e persone.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI | Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, A.A. 2013-2014 LABORATORIO DI ARCHITETTURA 3 | Responsabile: Prof. Claudio Zanirato Tutor: Palma Pastore Studenti: Giusi Scrivo, Simone Corsinovi, Ettore Catani, Mirco Annendola, Martina Nannucci, Lucrezia Pucci, Matteo Narni Mancinelli, Costanza Farolfi.


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assestamenti urbani • claudio zanirato

La storia dei luoghi La secolare contesa di questo territorio di confine tra più casate regnanti non ha consentito uno sviluppo florido del primo insediamento urbano, che ha pertanto conservato, fino all’Unità d’Italia, l’originario impianto medievale del “Castrum Nove”. Un’unica strada centrale (che deviava la via che collegava Modena a Mantova), una sorta di “cardo”, raccoglieva ai suoi lati tutti gli edifici e due torri d’avvistamento agli estremi. La chiesa era sorta anticamente molto fuori dal perimetro abitato, per cui ha impedito la formazione di una centralità capace di contrastare la linearità di fondo.

1534

Alla fine dell’800, la scolarizzazione della popolazione induce alla prima espansione urbana, con la costruzione delle scuole, appena fuori dallo storico recinto del paese, a sud. L’ampia strada d’ingresso al paese divento subito la piazza di Novi, per i giorni di festa e di mercato.

Sempre sul fronte meridionale del borgo, avviene la prima e vera espansione urbanistica, agli albori del secolo scorso: una lottizzazione, con quattro isolati, duplica di fatto il centro storico in una sua parte “moderna”, abbattendo il “palazzone” posto tra le due scuole, proseguendo l’asse stradale principale ed intersecandolo con nuove vie ortogonali, a formare un tessuto regolare. Nei primi decenni del ‘900 la crescita demografica intensa impone la redazione di un Piano di Espansione (1927) che tendeva a proseguire le edificazioni, non solo verso sud ma anche trasversalmente, ad est (saldandosi con la chiesa) ed ovest, confidando anche sulla costruzione di una stazione ferroviaria poco distante, ad occidente, della linea RoloMirandola.

Ricostruzione figurativa del borgo nel periodo tardo-medievale.


novi di modena: la cittĂ oltre

1888

Mappa IGM, 1888.

1913

Mappa IGM, 1913.

2013

Mappa IGM, 1992.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

L'analisi dei luoghi Lo sviluppo urbanistico della seconda metà del secolo scorso ha sostanzialmente operato con le stesse logiche dell’importante riforma operata prima della Guerra, spingendo l’espansione, in maniera compatta, nelle tre direzioni già individuate e sviluppando all’estremo sud il comparto produttivo artigianale e scolastico, privilegiando ancora una volta questo andamento insediativo “stradale”. A questo ha contribuito anche l’abbandono del programma ferroviario, che non ha mai visto nascere la stazione ad ovest, depotenziando così il tentativo di strutturare un asse “antagonista” trasversale, un “decumano”. L’invaso della Piazza I Maggio è rimasto tale, dominato dalla sede del municipio e della Sala Civica sul fronte settentrionale, assieme alla Torre, quale immagine rappresentativa del paese. L’abbattimento dei due corpi scolastici operata negli anni ‘70 e la loro sostituzione con altrettanti edifici commerciali-residenziali ha impoverito non poco la scena sul lato meridionale, senza aprire lo spazio in profondità, senza configurarlo adeguatamente. La piazza è così diventata prevalentemente un parcheggio: troppo grande per la vita quotidiana, senza edifici rappresentativi al contorno e senza un vero “decollo” del precorso urbano trasversale, quindi non una polarità adeguata alla sua dimensione. Il sisma del 2012 ha concentrato una buona parte dei gravi danni arrecati proprio in coincidenza dell’invaso della piazza I Maggio, colpendo irrimediabilmente sia i presidi più antichi che le presenze più recenti. Inoltre, le misure adottate per fare fronte urbanisticamente alle emergenze cittadine dei primi momenti hanno riabilitato il ruolo strutturante dell’asse trasversale, concentrandovi la sede provvisoria del municipio, la biblioteca e la casa della musica, e prevedendo altri interventi lungo il suo sviluppo, per ospitare servizi pubblici importanti.

Analisi dei flussi. Strada Provinciale SS413 Corso Guglielmo Marcono strada pedonale Via Giacomo Matteotti strada carrabile Piazza I Maggio Punti di interesse villa privata Punti di interesse storico-culturale municipio, scuola primaria, teatro, biblioteca Punti di interesse commerciale negozi, banche, bar, ristoranti Punti di aggregazione circolo, bocciodromo, bar Percorso autobus Verde pubblico parco della Resistenza Verde privato Filari di alberi


novi di modena: la città oltre

Analisi delle criticità. Strada di penetrazione Viabilità incongrua Attraversamento incongruo Percorso autobus Fermate autobus Edifici incongrui “Eco-mostri”

Sviluppo urbano.

Stato post sisma.

Edifici esistenti nel 1534

Edifici demoliti

Edifici esistenti nel 1888

Edifici da recuperare

Edifici esistenti nel 1913

Edifici da demolire

Edifici esistenti nel 1933

Edifici integri

Edifici costruiti dopo il 1913 situazione ante sisma

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Novi di Modena Demolizioni su via Bigi.

pagina a fronte Diagrammi interpretativi dell’ipotesi progettuale.

*Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, 2015 Relatore: Prof. Claudio Zanirato Correlatore: Palma Pastore Laureanda: Lucrezia Pucci.

Scomposizioni* La città di Novi è stata duramente colpita dagli eventi sismici nei luoghi e negli edifici più rappresentativi della comunità: il municipio, la torre civica, il teatro e molti altre costruzioni storiche, oltre che recenti. Tutte queste presenze gravitano soprattutto attorno e nei pressi di piazza I Maggio, dove sono stati demoliti anche diversi edifici privati: questo luogo ha segnato il momento di passaggio dalla dimensione di borgo medioevale a quella di città, insediandovi edifici pubblici, divenendo luogo degli eventi più rappresentativi, creando una piazza allunga-


novi di modena: la città oltre

Attività Commerciali Nuove Residenze Museo Nuovo verde

VOLUMI DEMOLITI

VERDE PRIVATO — VILLA

ASSI DEI VUOTI URBANI

VERDE PUBBLICO — PARCO

NUOVI VOLUMI E NUOVI PERCORSI

VERDE PUBBLICO — PIAZZA

Intersezione del sistema “chiostro” con il sistema del verde e il sistema dei vuoti traslazione dei volumi secondo le direzioni principali

Individuazione del nuovo perimetro e del nuovo sistema verde/piazza allungamento dei volumi e determinazione dei percorsi pedonali

ta, trasversale all’asse storico di Corso Marconi, che si è fatto proseguire a sud, con il viale della Libertà, nell’espansione moderna. La proposta di recupero, come ipotesi di Piano di Ricostruzione, dovrà ridefinire quindi questo importante luogo urbano, di cerniera tra il borgo storico e la città moderna, con l’inserimento soprattutto della nuova sede comunale ed il completamento urbanistico a seguito degli abbattimenti dei molti edifici. Il disegno urbano del nuovo fulcro urbano dovrebbe ridare una misura adeguata all’invaso della piazza, capace di farsi interprete delle trasformazioni urbanistiche che hanno formato nel tempo la città. Le nuove architetture dovranno essere in grado di essere adeguate scenografie per lo spazio pubblico, intrecciandosi con questo e coinvolgendo gli altri spazi contermini alla scena urbana. Il potenziale proposto dai forti danni arrecati dal terremoto al patrimonio edilizio consente

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• Masterplan progettuale per la ricomposizione di piazza I Maggio e pianta del piano terra dell’ipotesi di ricostruzione del contesto della piazza.


• Veduta del plastico di studio con l'inserimento delle nuove costruzioni. di stabilire nuovi rapporti tra pieni e vuoti, nuove alternanze tra questi, aprendo in sostanza scenari nuovi ed inediti nella dislocazione dei protagonisti del palcoscenico urbano. In pratica, ci sarebbero le condizioni per immaginare un’alternativa forma di aggregazione di spazi e persone. Definire una nuova spazialità urbana utilizzando il potenziale organizzativo che la ricostruzione architettonica può consentire, è quanto dimostra di poter fare questa soluzione progettuale. Piazza I Maggio è pertanto ridefinita tramite la sapiente disposizione delle nuove architetture che utilizzano liberamente gli spazi creati dal sisma: si forma un rinnovato invaso, attorniato da architetture che sanno trattenere lo sguardo ed orientare le vedute, verso le emergenze monumentali rinate della Torre Civica e del Municipio. Strade e piazza passano sotto le nuove costruzioni, evocando il momento di sviluppo urbano più importante tramite una convivenza, che diventa anche di funzioni miscelate tra quelle private e residenziali (ai piani alti) e quelle pubbliche e di servizio (a terra). La piazza torna così ad essere il naturale fondale di Corso Marconi, dove si distilla tutta la vita pubblica più intensa. I pieni degli edifici ed i vuoti di piazze, di strade e giardini, trovano così una nuova dimensione, una nuova conformazione.


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assestamenti urbani • claudio zanirato

• Sezione.

pagina a fronte Simulazioni dei nuovi accessi alla piazza.

Il tema della piazza centrale, configurata come luogo urbano per eccellenza, in questa rivisitazione si dissolve e dilaga in tutte le direzioni, diventa una trama intrecciata di segni e percorsi, che intagliano pavimentazioni e giardini, mescolandoli, sovvertendo la geometria regolare della centuriazione, su cui il disegno della città si è adagiato. Nuovi simboli (torri) e nuove monumentalità (municipio, museo) s’impongono in questa visione che è, di fatto, una “rifondazione” della città di Novi, che si sovrappone a quanto il terremoto ha risparmiato, occupando tutti gli spazi liberi e liberati, marcando uno scarto deciso dal passato e guardando con fiducia al futuro. Le distruzioni selettive operate dal terremoto hanno prospettato modalità per muoversi nel tessuto urbano inaspettate e tali da suggerire assetti alternativi, riproponendo le stesse quantità perdute ma disponendole in modo diverso, con uno scambio pubblico-privato.


novi di modena: la cittĂ oltre

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assestamenti urbani • claudio zanirato

• Mirko Annendola.

pagina a fronte Ettore Catabi.


novi di modena: la cittĂ oltre

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assestamenti urbani • claudio zanirato


rovereto sul secchia: un nuovo centro*

Rovereto sul Secchia Via Chiesa sud.

La frazione di Rovereto sul Secchia del comune di Novi di Modena ha subito ingenti danni dal terremoto e la sua area centrale annovera molti edifici danneggiati e demoliti, soprattutto attorno alla chiesa ed alla piazza Papa Giovanni XXIII e lungo la strada provinciale che attraversa il paese. Un masterplan dovrà riconfigurare il disegno urbano, attribuendo un nuovo ruolo alla strada di centrale, alla piazza con le nuove edificazioni che si dovranno reinserire in uno scenario solo in parte consolidato. Particolare importanza sarà dedicata alla ricostruzione dell’edificio ibrido con sala polivalente (ex Cinema Lux), attorno al quale rilanciare la vita di comunità, recuperando un legame perduto con le sponde del fiume Secchia, non solo visivo, da considerare come risorsa ambientale e turistica. I vuoti urbani, creati dal sisma e dai conseguenti crolli e demolizioni, hanno aperto di fatto ampi varchi nella trama ortogonale delle maglie edilizie del tessuto costruttivo del centro di Rovereto: un’ipotesi progettuale di rivisitazione insediativa proposta dispone diversamente le stesse volumetrie da ripristinare, per dare un senso “altro” agli interventi post-terremoto, orientando ogni luogo “interstiziale” con un’unica e precisa direttrice che punta ortogonalmente verso le sponde rialzate del fiume Secchia, alternando e/o invertendo i sistemi dei pieni e dei vuoti. In questo modo, edifici, percorsi, spazi di relazione, tutti associati al nascente Piano di Ricostruzione, presentano evidenti tracce di discontinuità con il passato, alla ricerca di un senso nuovo, non solo un “verso” cui guardare. Può essere visto anche come un ribaltamento della scena, poiché la crescita urbana ha sempre “voltato” le spalle al fiume, mentre ora potrebbe diventare il referente principale: la naturalità portata dal corso del Secchia si dirama dalle sue sponde ed entra direttamente in paese, a risaldare un rapporto comunque prezioso ed in parte perduto.

* Scuola di Architettura di Firenze – UNIFI | Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, A.A. 2013-2014 Laboratorio di Architettura 3 | Responsabile: Prof. Claudio Zanirato Tutor: Michela Contini Studenti: Giulia Cortigiano, Benedetta Francini, Vanni Francini, Gianmarco Pagliarani, Gabriele Pellegrini, Gianluca Ricciolini, Francesco Caneschi, Edoardo Fumia, Carlo Balsamo.


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assestamenti urbani • claudio zanirato

La storia dei luoghi Il fiume Secchia passa nei pressi di Rovereto solo dal XII-XII secolo, quando si assestò nell’attuale alveo, i cui argini si consolideranno nel tempo. I primi insediamenti risalgono quindi solo alla fine del 1400, in una zona di poco sopraelevata sulla pianura. Oltre un grande palazzo aperto sul fiume, si trovavano anche molti mulini, tanto che già il primo Oratorio fu intitolato alla patrona dei mugnai, S. Caterina d’Alessandria.

1893

Il borgo rimase fino alla fine dell’800 raccolto attorno all’incrocio ortogonale delle due strade di collegamento con Carpi, Concordia e Modena, oltre che di guado del Secchia, navigabile e ancora privo di ponti. Rovereto era pertanto, in virtù della sua collocazione, anche un luogo di scambio e di commercio, soprattutto lungo l’asse viario nord-sud, oggi via Chiesa. Nel frattempo l’oratorio è stato gradualmente trasformato ed ampliato a chiesa parrocchiale e dopo l’Unità d’Italia è presente anche una scuola. La prima espansione urbana dell’inizio del secolo scorso avviene per fasce parallele solo nella direzione occidentale di Carpi, con una viabilità locale che si va ad articolare, in funzione della creazione di alcuni ponti sul fiume e dei traffici mercantili che abbandonano la via fluviale per quella terrestre. Rovereto diventa pertanto un centro abitato sempre più attraversato. Nel secondo dopoguerra si assiste ad una vera e propria esplosione insediativa di Rovereto ed in tutte e quattro le direzioni, arrivando a attestarsi lungo l’argine del Secchia, creando un reticolo regolare e compatto di viabilità interna che segue la centuriazione della campagna. Nel quadrante meridionale si attesta la zona artigianale produttiva, decisamente staccata dal paese.

Raffigurazione del palazzo di Rovereto del XVII secolo. IGM, 1893.


rovereto sul secchia: un nuovo centro

1910

1933

IGM, 1933.

1979

IGM, 1979.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

L'analisi dei luoghi Il sisma del 2012 ha colpito duramente l’intero abitato, con lesioni di media a grande intensità che interessano la maggior parte del costruito, tanto da essere considerata la cittadina più colpita dal terremoto. I maggiori danni hanno interessato una fascia edificata ai lati della Strada Provinciale 11, coinvolgendo quindi, tra i tanti edifici recenti (come il cinema Lux, le scuole, il supermercato), anche quei pochi superstiti della storia del paese, tra i quali la chiesa. Le principali criticità emerse dall’analisi del funzionamento urbano precedente al sisma ha evidenziato il ruolo “separatore” rappresentato dalla strada provinciale di attraversamento, anche di mezzi pesanti. Infatti, già si era pensato ad un percorso di scavalcamento tangenziale, così da recuperare un ruolo più urbano e relazionale della via Chiesa, sulla quale si affacciano la maggior parte dei servizi pubblici e luoghi d’incontro. Anche il ruolo del fiume Secchia, per meglio dire del suo argine rialzato, come risorsa ambientale appare ignorata del tutto dall’assetto urbano che più che altro volge le spalle a tale importantissima presenza, non più ritenuta utile ed una risorsa come un tempo, anzi.

Planimetria riassuntiva delle criticità riscontrate nell’area centrale dell’abitato su cui intervenire.

Edifici lesionati Edifici illesi Edifici demoliti


rovereto sul secchia: un nuovo centro

Asse di smistamento traffico primario Accessi principali a Rovereto Apertura visiva argine Doppio senso di marcia (traffico pesante) Strade senza proseguimento Sbarramento collegamento all'argine Sistema dei parcheggi

Area centrale Punti di ritrovo Cinema Lux Edifici religiosi Edifici scolastici

Verde pubblico Luoghi di culto Aree sportive Scuole Fiume Asse urbano AttivitĂ commerciali Pista ciclabile Parcheggi Punto di vista privilegiato presente lungo tutto l'argine Punto di aggregazione Luogo di aggregazione Sensi di marcia AccessibilitĂ Barriera visiva Mancanza di adeguato spazio Mancanza di relazione cittĂ fiume

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Piazza Papa Giovanni XXIII.

pagina a fronte Diagrammi interpretative dell’ipotesi progettuale. Schemi funzionali della nuova piazza di Rovereto.

Nuova opportunità La sagoma “archetipa” dell’edificio con il tetto a capanna, che appartiene diffusamente allo scenario costruttivo di Rovereto come di molti altri luoghi familiari, riconoscibile nella chiesa come nella maggior parte degli edifici residenziali del paese, diventa la matrice compositiva per le nuove costruzioni che caratterizzano ex-novo la ricostruzione in questa ipotesi di masterplan. La sagoma diventa così un modello che si può modificare senza perdere aderenza dal ri-


rovereto sul secchia: un nuovo centro

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Accesso alla piazza Accesso all'edificio Assi visivi

Aree percorribili Spazi verdi e alberati Area cinema all'aperto

Chiesa di Santa Caterina Canonica Coworking e incubatore d'impresa

ferimento iniziale; si può deformare, per assecondare bisogni spaziali diversi; si può iterare all’infinito, perché appartiene alla sua essenza iconica. In questa proliferazione formale, la sagoma dell’edificio “tipico” diventa anche l’ossatura costruttiva dei nuovi edifici, uno scheletro evidente, lasciato appositamente in vista. Si ripropone l’allineamento costruttivo sulla via Provinciale, per chiudere e riparare la piazza civica e distinguerla da quella della chiesa: un portale introduce alla nuova piazza, come una delle tante appendici che si possono creare lavorando sui vuoti che si sono creati lungo la via


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assestamenti urbani • claudio zanirato

Masterplan progettuale per la ricostruzione dell’area centrale di Rovereto. Planivolumetrico della soluzione per il nuovo centro culturale.

pagina a fronte Proposta volumetrica del nuovo assetto urbano. Sezione costruttiva dell’edificio proposto.


rovereto sul secchia: un nuovo centro

principale, che può con queste modalità diventare un corso pedonale punteggiato da tanti luoghi ed edifici notevoli ai suoi lati, un “centro commerciale naturale”. In una traduzione architettonica proposta, si ottiene anche una trasparenza visiva degli edifici che sembra dissolvere la loro corposità. Sembrano così degli edifici solo tratteggiati. La sala polivalente e la biblioteca (in sostituzione del cinema Lux) sono un corpo unico che si avvolge su sé stesso, proponendo due testate d’ingresso e creando uno spazio pubblico raccolto, a sua volta frantumato con le stesse logiche geometriche ad evocare la presenza del fiume.

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Pianta del piano terra. Esploso spaziale del centro culturale racchiuso nell’involucro avvolgente generato dalla copertura senza soluzione di continuità. Diagramma compositivo per l’ossatura del nuovo edificio.

pagina a fronte Vedute d’insieme del centro culturale e della nuova piazza cui si avvolge in maniera scenografica. Veduta notturna della nuova proposta urbana con la dissolvenza apparente dell’edificio civico.



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assestamenti urbani • claudio zanirato

•

Gianmarco Pagliarini, Gabriele Pellegrini, Gianluca Ricciolini.

pagina a fronte Vanni Francini.


rovereto sul secchia: un nuovo centro

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assestamenti urbani • claudio zanirato


s. biagio in padule: il borgo rurbanizzato*

San Felice sul Panaro Chiesa di S.Biagio in Padule.

Il borgo storico di campagna del comune di San Felice sul Panaro ha subito gravi danni dal sisma, ad iniziare dalla chiesa che è quasi del tutto crollata. I caratteri rurali che l’insediamento è riuscito a conservare nel tempo lo avevano assunto come luogo eletto per la conservazione delle tradizioni agricole, come museo all’aperto e sede di sagre a tema. L’ipotesi del suo recupero e riedificazione dovrebbe essere in grado di proporre un modello insediativo neo-rurale, capace di coniugare in modo rinnovato lo stile di vita contemporaneo con i ritmi della natura e dei campi coltivati, attraverso la fondazione di una comunità solidale, eco-sostenibile e resiliente. Ciò che la Natura stessa ha distrutto, la Natura stessa può rigenerare nel suo ciclo vitale: il cambiamento che San Biagio in Padule sta attraversando, da luogo di produzione a luogo della conservazione della memoria, può necessariamente rimanere legato alla Natura per la sua ridefinizione e rilancio in chiave contemporanea e futura. Il rinnovamento può partire dal passato trovando nuovi sensi e nuovi ruoli agli edifici ed agli spazi aperti. Così lo spazio agreste diventato “estensivo” e non più radicato nei luoghi con una dimensione insediativa puntuale, ha portato nel paesaggio agricolo un “fuori scala” che ha stravolto pure le città con le quali non si relazionano più. Non avrebbe perciò sensatezza ricostruire il borgo rurale senza trovare prima un ruolo “attualizzato” a questi spazi, vedendo la possibilità d’individuare un modello re-insediativo applicabile anche altrove. Come il verde invade lo spazio pubblico nella città in forme di “rurbanizzazioni”, così la tecnologica società contemporanea si sta riscoprendo neo-comunità rurale ed in questo luogo si possono incontrare le due realtà.

* Scuola di Architettura di Firenze — UNIFI | Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura, A.A. 2013-2014 Laboratorio di Architettura 3 | Responsabile: Prof. Claudio Zanirato Tutor: Saverio Napoletano Studenti: Giulia Covacci, Valentina Franchini, Francesco Russo, David Bereczki, Carlo Andrea Magini, Elena Sebastiani, Matteo Stoppaccioli.


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assestamenti urbani • claudio zanirato

La storia dei luoghi San Biagio in Padule nasce come borgo agricolo e tale rimane dal lontano medioevo, quando gli acquitrini dominavano ancora queste terre, lungo la strada che congiunge San Felice sul Panaro e Mirandola. La chiesa è stata ricostruita nel XVI secolo per ospitare anche una effige ceramica della Beata Vergine delle Grazie, cui è dedicata da circa vent’anni una importante Sagra agricola che vede ancora oggi rievocare nel borgo la tradizione contadina di un tempo.

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Nella prima metà del secolo scorso gli assetti agrari rimangono inalterati e si assiste solo all’intensificazione degli insediamenti sparsi lungo il percorso sinuoso della strada territoriale.

La forte urbanizzazione del secondo dopoguerra ha raggiunto con le sue propaggini anche il borgo rurale con la pressione indiretta dell’industrializzazione. Gli originari insediamenti sparsi si intensificano e aggregano fra loro a formare una linearità quasi continua lungo la strada maestra e le sue adduttrici. Alla fine del XX secolo, la pressione edilizia si arresta, portando a stretto contatto con il borgo, rimasto intonso, una consistente lottizzazione residenziale che attribuisce una nuova identità a San Biagio, non più solo rurale, dotandosi di servizi pubblici e commerciali di base.

Estratto di mappa IGM 1893.


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Estratto di mappa IGM 1912.

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Ortofoto 1915.

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Ortofoto 1989.

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L'analisi dei luoghi Con il nuovo millennio, con la Sagra nasce nei pressi di San Biagio anche il Giardino Botanico “La Pica”, con lo scopo di conservare la biodiversità, coltivando specie in via di estinzione, con particolare attenzione alla ricerca e conservazione di frutti antichi della pianura Padana e sensibilizzare la popolazione alla cultura ambientale. La vicinanza con questo luogo sensibile rafforza l’idea di consolidare in questo borgo agricolo un’ipotesi di legame possibile con le tradizioni del passato con una loro possibile rivisitazione nel futuro. La “resilienza” rifonda lo spirito di comunità ed il legame con l’ambiente. Il terremoto ha colpito gravemente tutti gli edifici del borgo antico: la chiesa è crollata con il campanile, si è parzialmente salvata solo la cappella laterale della Madonna col Bambino; distrutto anche il capitello simbolico che segnava l’ingresso dalla strada e gli edifici rurali (canonica ed asilo) della corte sono inagibili. Quindi il nucleo storico dell’insediamento agricolo si è sostanzialmente dissolto fisicamente ancor prima come caposaldo territoriale: un recupero edilizio dovrà quindi essere anticipato e sostenuto da un recupero di ruolo, capace di ridare un senso al luogo nel suo tempo.

1.

2.

1. Mappa dei danni 2. Ricostruzione stato di fatto

3. Uso del suolo 4. Criticità


s. biagio in padule: il borgo rurbanizzato

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3.

4.

Viabilità principale

Canale

Edifici religiosi

Asse ferroviario

Edifici pubblici

Viabilità principale

Strutture sportive

Viabilità secondaria

Edifici residenziali

Pista ciclopedonale

Zona residenziale

Fermate bus

Attività terziaria

Parcheggio pubblico

Verde pubblico

Centro civico

Frutteti

Agglomerato residenziale

Vigneti

Nodo centrale

Alberatura di cipressi

Zona d’interazione

Campi seminativi Canale


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Chiesa di S. Biagio con la corte agricola.

pagina a fronte Diagramma esplicativo dell’idea compositiva per l’insediamento artigianale e planivolumetria distributiva d’insieme. Diagrammi ideativi per la ricostruzione della nuova chiesa inglobando la cappella superstite.


s. biagio in padule: il borgo rurbanizzato

Nuova specie naturale Questo piccolo borgo agricolo ha sempre avuto una grande importanza e rilevanza storica per la zona. La proposta per rivalutare e non solo semplicemente ricostruire il borgo prende spunto dal concetto di resilienza, ovvero la capacità di affrontare le avversità della vita, come in questo caso l’evento del terremoto, e di ripartire da queste. L’approccio quindi, è stato di non cancellare il terremoto ma di renderlo parte della storia del borgo, creando degli elementi di ricordo e recuperando quelli danneggiati. Ripartendo dal sisma, si è cercato quindi di fare leva sulle risorse e potenzialità dell’area, ovvero la campagna e il sapere della civiltà contadina, valorizzandole, con una struttura che potesse esporre queste risorse a scopo educativo. L’inserimento di una zona residenziale si è resa necessaria per accogliere persone disposte a creare una comunità resiliente, cioè una comunità che ha alla base la coesione sociale e la co-

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assestamenti urbani • claudio zanirato

• Planimetrie dei piani terra del nuovo complesso proposto per il Museo della civiltà Contadina/Laboratori Artigianali, del recupero della corte agricola per finalità ricettive e della nuova chiesa.


s. biagio in padule: il borgo rurbanizzato

• Vedute dall’alto della rivisitazione del borgo “resiliente” con la trama dei percorsi di amalgama tra edifici storici recuperati/ trasformati ed i nuovi inserimenti di funzioni attrattive, con la dissolvenza nel paesaggio.

munione di intenti e di valori, il cui fine è quello di un “ritorno al passato”, aggiornato e rivalutato, un ritorno a quella che era la fonte di vita e sostentamento secolari, ovvero l’agricoltura. Nello specifico, gli interventi complessivi da realizzare, comprendono: la costruzione di una nuova Chiesa ed un luogo simbolico di ricordo; il recupero degli edifici lesionati (la canonica, l’asilo e la casa del contadino) e il ripristino delle loro funzioni; la creazione di una zona museale correlata con la Festa della Beata Vergine delle Grazie, il cui scopo è quello educare le persone alla campagna e di diffondere i saperi e le tecniche della civiltà contadina; la costruzione di una zona residenziale per persone disposte a creare una comunità resiliente, come invito al ritorno alla campagna e all’agricoltura; il recupero del campo sportivo con la costruzione di una palestra.

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Matteo Stoppaccioli e Carlo Andrea Magini.

pagina a fronte Francesco Russo.


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soliera: dilatare centralità*

Soliera Scuola comunale su via Roma.

* Comune di Soliera (MO), 2015 Concorso di Progettazione Capogruppo: Prof. Claudio Zanirato con: Chiara Ricciradi, Michela Contini Contributi: Marco Gaudenzi, Annunziata Robetti.

Considerare il territorio come un bene finito da tutelare induce a rivedere le città dal limite esterno raggiunto ed a cercare al loro interno nuove risorse vitali. Non si tratta perciò di ricercare una progettualità sulla forma urbana, che ad una certa dimensione sfugge inevitabilmente e che nell’immagine di Soliera appare comunque chiaramente contenuta ed iscritta nella centuriazione romana della campagna, bensì del bisogno di un pensiero ri-formatore che si incammina dal suo interno più autentico. Il sisma ha danneggiato alcuni edifici simbolo della città: il castello è stato prontamente recuperato mentre le vecchie scuole no, sostituite da un plesso provvisorio, per cui l’immobile si è reso disponibile per un suo ripensamento funzionale e con esso del tratto della prima espansione moderna della città murata. Due “concept” definiscono altrettanti scenari evolutivi cui fare tendere tutta la progettazione delle aree centrali di Soliera: la “cintura” verde e la “clonazione” delle piazze, due “figure” urbane nitide. Le immagini della città storica, densa e tutta racchiusa nella cerchia muraria ed incastonata nella campagna parcellizzata, disegnata dai filari di alberi da frutto, e della città giardino modernista, con edifici separati ed attorniati dal verde, in un reticolo di strade alberate, inducono a riflettere su un possibile riordinamento delle visuali. Bisognerebbe pertanto evidenziare l’autonomia delle due figure urbane proprio nel loro punto di contatto. L’intensificazione della vegetazione, in tutte le sue forme possibili, a corona della città storica, per ribadire la sua eccezionalità e rievocare un rapporto con la campagna perduto e non efficacemente sostituibile con la città giardino, consente anche di favorire il benessere delle persone che già abitano o abiteranno così “intra-mura”. Il verde in città acquisirebbe una nuova sensibilità, un orientamento preciso e definito da un intento: tentare di completare l’anello dei fossati ed indirizzare verso le due principali dilatazioni dello spazio pubblico urbano, nelle direzioni di via Roma, a sud, e dell’area ludica, ad ovest. In una visione allargata della città, “dilatata” nei suoi nuovi confini, si percepisce pertanto il suo nucleo storico, in quanto poroso e diffusamente attraversabile, come un vuoto generaliz-


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La storia dei luoghi Soliera deve le sue origini da una microaltura, un paleodosso, che consentiva di isolarsi dalla bassa pianura alluvionale: nel medioevo il borgo diventa fortificato, mura, fossati ed un castello, iscritti nella centuariazione romana nella quale aveva preso forma la bonifica delle terre paludose e rese coltivabili. Solo la strada che conduceva a Modena entrava nel recinto urbano con un ponte.

Solo verso la fine dell’800 l’insediamento inizia ad aprirsi, creando un secondo varco a nord, cui farà seguito una parziale demolizione delle mura, ad ovest, e totale colmamento dei fossati. Negli anni Venti del secolo scorso un Piano di Lottizzazione governa lo sviluppo a sud, lungo la storica via di accesso, la via Roma, inserendovi su un lato villini ed al centro la grande scuola pubblica, creando una sorta di borghese città-giardino, con viali alberati. Nel secondo dopoguerra, sull’altro lato della via sorgeranno case popolari ed altri condomini, aprendo la strada ad una crescita dilagante ed avvolgente il nucleo storico, rimanendo compatta all’interno delle griglie rurali della centuriazione.


soliera: dilatare centralitĂ

Masterplan di progetto. Ortofoto di Soliera attorno al 1920.

•

Estratto del Piano Strutturale vigente. Rappresentazioni tardo-medievali del borgo e della rocca di Soliera. Primo impianto catastale di fine ‘800.

Mappa catastale del 1949.

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Titolo immagine descrizione immagine

Planimetria generale degli interventi proposti per la rigenerazione urbana.

zato e conformato, qual è una piazza per la città insomma. È così che s’impone il concept della “clonazione”, dove il modello della città storica è replicato in maniera finita per ben sei volte. Alla piazza Sassi, storica e porticata, si aggiungono la piazza prospettica (via Nenni), la piazza teatrale (vie Marconi-Matteotti-Garibaldi), la piazza ludica (area delle feste di via dei Mille), e sulla via Roma in successione la piazza commerciale, la piazza grande mercatale e la piazza delle auto. Si configura in questo scenario evolutivo non già un ribaltamento o un’addizione, ma una “tensione”, un cambio di scala, dov’è tutto il centro storico ad essere parte di una piazza allungata e policentrica: un sistema di piazze tra loro concatenate, sette piazze a tema, più raccolte e misurate ai bisogni delle persone, rispetto al potenziale dimensionale di cui si dispone.


soliera: dilatare centralità

È questo un progetto urbano fatto di aggiunte, di sovrapposizioni, d’innesti e di sintonie rispetto al palinsesto esistente. Sono le “relazioni” a dominare tutte le scelte progettuali, confidando che più che la qualità delle singole parti, di un edificio, di un’architettura, siano importanti le relazioni che queste sono in grado di instaurare con la scena in essere e tra loro.

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SISTEMA DIFFUSO DI PIAZZE

SISTEMA DEL VERDE CONTINUO

DIRADAMENTO-INTENSIFICAZIONE DEL VERDE PUBBLICO

CENTRO COMMERCIALE NATURALE

ACCESSIBILITÀ CARRABILE

MOBILITÀ ALTERNATIVA

FORMA E ATTRAVERSAMENTI URBANI

SPAZI APERTI E SERVIZI PUBBLICI

ACCESSIBILITÀ URBANA

Schemi concettuali, diagrammatici, dei flussi e funzionali di progetto.

pagina a fronte Vedute della nuova piazza Sassi e della via Roma in piazza.



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concordia sul secchia: nuove aperture*

Concordia sulla Secchia Via della Pace e via Garibaldi.

* Comune di Concordia sulla Secchia (MO), 2016 Concorso di Idee Capogruppo: Prof. Claudio Zanirato con: Elide Ensini, Michela Contini, Chiara F. Chios Contributi: Annunziata Robetti.

L’immagine urbana di Concordia è indissolubilmente legata al suo più antico insediamento che ha conformato un intero isolato, denso e saturo, che si è adagiato in un’ansa del fiume Secchia, come un suo portato, un suo deposito, un’isola-navicella che è stata colonizzata. L’andamento sinuoso della via della Pace, accentuato dal ritmo serrato dei porticati laterali, ha organizzato la vita urbana della città come artificiali rive del fiume, con tanti approdi ed infiniti affacci. Il lotto gotico caratterizza esplicitamente la tipologia edilizia insediativa del nucleo identificativo urbano più antico e la casa a corte ha rappresentato la sua evoluzione solo più recente ed episodica, prima della frantumazione modernista. Palazzo Mari ha ben rappresentato il punto di svolta urbano nell’evoluzione urbanistica della città: già posto sul lato settentrionale della via antica d’impianto, la sua dimensione, l’unitarietà e la tipologia a corte, testimoniano il livello di complessità raggiunto, andando a sostituirsi ai limitrofi lotti gotici. La breccia creata un secolo fa nella continuità edilizia delle due cortine edificate lungo la via della Pace (per l’approdo di un treno mai arrivato) ha significato per la città la fine della sua chiusura, quasi l’abbattimento delle mura, per aprirsi con entusiasmo all’avvento della modernità. L’espansione in profondità dell’insediamento ha comportato una forma asimmetrica di sviluppo, con un centro storico del tutto “decentrato” ed un centro funzionale per forza “distaccato”, ancora più oggi che la ri-urbanizzazione post-terremoto ha proseguito in quella precisa direzione. Via Garibaldi rimane ancora di più lo “strappo” e la “cucitura” dei diversi momenti di trasformazione della città, e la piazza che deve sorgere al suo inizio può rappresentare l’ideale ricomposizione urbanistica. Per la seconda volta in un secolo, la città si ripensa dal suo interno per ri-crescere, intervenendo nello stesso identico punto: ricostruire solo in parte Palazzo Mari per fare spazio ad una piazza, ribadisce il legame forte che ancora esiste tra il nucleo storico e la sua espansione. Se in precedenza, il primo sventramento di via Garibaldi ha comportato il ridisegno delle facciate del caseggiato di ponente, “inventando” il Palazzo delle Poste, ora spetta al nuovo Palazzo


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assestamenti urbani • claudio zanirato

La storia dei luoghi L’originario nucleo urbano del borgo medievale di Concordia nel XIV secolo vedeva un denso caseggiato concentrato in un isolato lungo il fiume Secchia, con le emergenze architettoniche (chiese e palazzi nobiliari) sul lato opposto dell’unica strada. Dopo la distruzione da parte degli spagnoli nel XVIII secolo, il nucleo urbano si addensa ulteriormente sul modello del lotto gotico, specchiandosi sul lato opposto della strada in maniera espansiva. L’apertura della via Garibaldi del XX secolo espande la città definitivamente verso nord-est, diradando il proprio tessuto costitutivo ed intrecciando la rete viaria primordiale che trasformano il borgo in città articolata.


concordia sul secchia: nuove aperture

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Schema ordinatore del Piano di Ricostruzione e del Piano Organico per Concordia sulla Secchia.

Rappresentazioni di Concordia attorno al 1400.

Rappresentazione di Concordia di fine ‘700

Studio di Fattibilità per l’apertura di via Garibaldi dei primi del ‘900.


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assestamenti urbani • claudio zanirato

• Pianta e veduta dall’alto della nuova piazza occupata dal mercato.

pagina a fronte Schemi concettuali, diagrammatici, dei flussi e funzionali di progetto.

Mari farsi carico del ruolo “scenografico” per definire compiutamente la nuova piazza. È probabile che Palazzo Mari sia il risultato della trasformazione di più modesti edifici organizzati in lotti gotici a fianco della chiesa o comunque la sua strutturazione costituisce una delle poche eccezioni lungo la strada maestra, contraddistinta dal ritmo minuto delle lottizzazioni medievali. L’occasione ri-edificatoria, oltre che propiziare la nascita di una nuova piazza, potrebbe anche “raccontare” la storia del luogo e della città.


concordia sul secchia: nuove aperture

SCHEMA DEI SISTEMI URBANI

COMPOSIZIONE DELLO SPAZIO PUBBLICO APERTO

PIANTA DELLE FESTE E DEGLI EVENTI

SISTEMA DEI FLUSSI E DEI COLLEGAMENTI

Si può allora immaginare cosa poteva esistere secoli prima l’edificazione del palazzo, secondo la logica insediativa del posto: uno o più caseggiati articolati e sviluppati in profondità come i tanti lotti gotici che hanno costruito inizialmente la città di Concordia. Il succedersi degli eventi traumatici (la volontà dell’uomo prima e della natura devastante poi) hanno operato ripetuti “tagli” in questo luogo urbano: l’apertura di una importante strada prima ed adesso di una piazza. L’evidenza del “taglio” dev’essere allora l’immagine evocativa della rinnovata scena urbana. L’edificio deve chiaramente apparire sezionato, con due tipi di facciate differenti, per raccontare quello che era stato prima, il rapporto tra i pieni ed i vuoti della città, la sua lontana storia e la volontà di proiettarsi nel futuro, la presenza di un dentro e di un fuori dell’architettura, della città tutta come organismo. Se si prende a modello per la riedificazione del Palazzo Mari un ipotetico lotto gotico, del

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Veduta complessiva della piazza da via Garibaldi.

pagina a fronte Vedute della piazza Garibaldi dalle logge interne del nuovo edificio.

quale possiede non a caso analoghe proporzioni e dimensioni, si deve pensare ad una conseguente “porosità”, dove alla densità costruttiva dei pieni di “saturazione” corrisponde una indispensabile cavità, data dai cortili di illuminazione delle parti edificate all’interno, sostanzialmente un sistema articolato di vuoti. Tali vuoti sono stati storicamente “coltivati”, quali appezzamenti verdi di sussistenza prima e poi “intimi” giardini pertinenziali, quando non sono diventati cortili/chiostrine interne. Sezionare un simile edificio significa portare “alla luce” la sua “porosità”, trasformando di fatto la vista frontale in un qualcosa di molto simile alla vista dall’alto delle coperture: le cavità che si possono vedere solo dalle coperture di un lotto gotico si palesano nella facciata allungata del nuovo edifico “sezionato”. In tale modo, il verde interno-privato diventa esterno-pubblico, lo spazio di vita “domestica” dell’alloggio, che ha come fulcro vitale la loggia/chiostrina “inverdita”, si proietta nello spazio pubblico della nuova piazza, caratterizzandola. E come in un rimando di specchi, il riverbero di queste cavità verdi in facciata si replicano all’interno della piazza, ad evocare l’impronta di un’altra possibile costruzione, che ha lasciato spazio alla strada. Il sistema delle visuali che si innescano traguardano di continuo spazi dell’introversione e dell’estroversione, l’intreccio tra privato e pubblico che è l’essenza stessa della città. Con questo espediente compositivo (nonché didascalico), si riesce a dare una valida soluzione al problema di convivenza tra un sistema costruito prevalentemente residenzia-


concordia sul secchia: nuove aperture

le e la vita pubblica e di “rappresentanza” della piazza. Una “casa urbana” può anche essere una “casa moderna”, con una sua proiezione di vita esterna, ma senza per questo “invadere” eccessivamente lo spazio collettivo della piazza, che abbisogna di un suo controllo “formale” e scenografico. L’utilizzo commerciale del piano terra della costruzione suggerisce la presenza di porticati, in grado di “accompagnare” la fruizione delle vetrine, mediando lo spazio aperto della piazza: per non “interferire” con la presenza storica dei porticati di via della Pace, tale funzione è assolta da uno “scavo” alla base dell’edificio, associato alla sporgenza di un “cornicione” di uguale misura. Al camminamento protetto, integrato alla base dell’edificio, si legano due sistemi di connessione urbana: il passante di collegamento con il fianco laterale della chiesa e quello di congiunzione con via Muratori. In corrispondenza di queste due “permeabilità” si collocano i sistemi di risalita verticali, ai due piani edificati ed alle coperture, da cui poter beneficiare di una vista panoramica sulla città, il fiume e la campagna. La volontà di dare il massimo della trasparenza al piano terra commerciale conferisce una sorta di “sospensione” alle parti alte dell’edificio, invece molto chiuse in cortine murarie: questa separazione percettiva diventa anche costruttiva. La soluzione progettuale intende operare una strettissima integrazione tra il sistema della piazza e l’edificio in affaccio, proponendo un “ribaltamento” di scena, in cui la quinta archi-

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assestamenti urbani • claudio zanirato

Piante dei piani destinati alla residenza/lavoro.

PIANO PRIMO

pagina a fronte Vedute della nuova piazza da via Garibaldi e da via della Pace.

PIANO SECONDO

LAYOUT PER ATTIVITÀ TERZIARIE

SISTEMA AGGREGATIVO VERTICALE

SISTEMA AGGREGATIVO MISTO

SISTEMA AGGREGATIVO ORIZZONTALE

tettonica della facciata si “rispecchia” nel disegno della piazza e viceversa. La vegetazione organizzata in aiuole, logge e terrazze, ritma la piazza così come l’edificio, con una alternanza tipica dei lotti gotici.


concordia sul secchia: nuove aperture

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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Novembre 2018



Il terremoto del 2012 in Emilia ha colpito il tessuto urbano delle città, alterando il rapporto tra spazi vuoti e pieni: le rovine e le demolizioni conseguenti hanno rivelato il rapporto tra parti inattese, mentre le aree inedificate, interne o esterne, hanno acquisito un valore strategico per la delocalizzazione di parti della città, spesso apparentemente solo provvisorie, innescando un’inversione di valore tra spazi pieni e vuoti, dentro e fuori la città. Anche se è difficile pensare a una trasformazione fisica di una città consolidata seppur piccola, è possibile intervenire invece più facilmente nella sua forma funzionale, relativamente intangibile, ma comunque efficace per un suo ripensamento. L’antico modello di piazza urbana è stato ripreso da molti centri urbani colpiti dal terremoto del 2012 in Emilia come occasione principale per il rilancio di città e comunità, prevedendo scenari inediti di riconfigurazione urbana. Le città possono crescere solo quando qualcosa cambia dall’interno, aggiornandosi continuamente con i tempi e attraverso l’innovazione. Stiamo parlando di una crescita qualitativa, l’unica cosa in grado di dare alla città uno status più alto, pertanto la riprogettazione degli stessi spazi ma dotati di nuove ed altre qualità è una delle strategie vincenti. Il piano di ricostruzione post-terremoto di una città o di un borgo colpiti duramente, come Mirandola, San Felice sul Panaro, Novi di Modena, Concordia sulla Secchia, Camposanto, Sant’Agostino, Mirabello, Soliera, è una grande opportunità per riflettere su tali dinamiche, attraverso i Piani di Ricostruzione e Strategici. Esperienze di Laboratori didattici, Tesi di Laurea e Concorsi di Progettazione, in maniera coordinata hanno sondato tali possibilità di crescita urbana oltre la ricostruzione, con proposte di architetture attualizzate, inserite in scenari urbani aggiornati, da restituire alle comunità per il loro re-insediamento prossimo venturo. Claudio Zanirato, architetto, svolge attività didattica e di ricerca presso il Dipartimento di Architettura di Firenze dal 1990; nel 1998 consegue il titolo di Dottore di Ricerca in Progettazione Architettonica ed Urbana; dal 2003 è Ricercatore in Composizione Architettonica e Professore Aggregato nei Laboratori di Progettazione. Attività di ricerca e professionale insistono sui temi delle relazioni progettuali negli scenari di trasformazione urbani e territoriali , con l’intento di operare una continuità paesaggistica tramite specifiche metodiche d’indagine. Sviluppa interessi per il design d’interni e per gli spazi aperti, per gli edifici e gli spazi pubblici urbani, per il recupero architettonico ed urbano, per le esperienze di contaminazione espressiva. I risultati delle sue ricerche sono stati presentati in diverse mostre, in pubblicazioni e recensioni specifiche, in convegni e seminari, ottenendo riconoscimenti in concorsi d’idee, premi e selezioni. .

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