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IL QUORUM DELL’INFORMAZIONE Giulia Di Martino | Giovanni Modica Scala
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REFERENDUM 17 APRILE: ISTRUZIONI PER L’USO Giulia Silvestri
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ALLA RICERCA DEI QUESITI PERDUTI
Ilaria Bianco 9
IL REGIME DELLE ROYALTIES Pietro Dommarco
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UNA POSSIBILE SVOLTA PER IL MODELLO ENERGETICO ITALIANO Intervista a Nicola Armaroli a cura di Milena Rettondini
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AMBIENTE E BIODIVERSITÀ: QUALI RISCHI CORRIAMO? Rossella Baldacconi
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C’È CHI DICE NO. Intervista a Giannantonio Mingozzi a cura di Stefano Fornito
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NOT IN MY BACKYARD. Voci dai territori Basilicata Pietro Dommarco Abruzzo Alessio di Florio Puglia Francesco Caroli Sicilia Olga Nassis
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IO VOTO FUORI SEDE
editoriale
illustrazione tratta dalla campagna 17/04 - Vota SI
IL QUORUM DELL’INFORMAZIONE
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di Giulia Di Martino e Giovanni Modica Scala
on l’eventuale vittoria del sì al referendum del 17 aprile, non si porrà immediatamente fine a qualsiasi tipo di trivellazione. È fondamentale partire da questa consapevolezza. La campagna condotta fino a questo momento è stata avvolta da un alone di confusione diffusa, che ha visto il formarsi di due schieramenti categorici opposti, portavoci di due posizioni estremamente ridotte all’osso: trivelle sì, trivelle no. Complice sicuramente lo slogan che, in quanto tale, deve essere di impatto ed escludere tutto il resto al momento del primo approccio. Ben vengano gli slogan, e soprattutto ben venga che le persone parteggino e prendano una posizione, ma a patto che si superi la cortina superficiale delle parole di pancia e degli improvvisati pseudo-tecnicismi. Nonostante l’estrema complessità della materia, è assolutamente necessario stimolare l’attenzione della popolazione italiana su questo tema, se non altro per distoglierla dal gossip politico, dall’epocale scontro sulle unioni civili che tanto emoziona, per farla convergere invece su un argomento dal sapore vagamente noioso, altrimenti destinato a rimanere confinato nel dibattito di pochi ecologisti infervorati. Una certa resistenza ad abbordare l’argomento, da parte del cittadino medio, risede nella difficoltà di percepire i risvolti che una scelta legata all’ambiente e all’energia comporta: le connessioni fra il benessere socio-economico di un paese e un corretto e rispettoso approvvigionamento delle risorse ambientali non sono di immediata visibilità. E in Italia - si sa - ciò che non può attirare facilmente un giudizio di valore, e non crea fazioni e blocchi da stadio, non è degno di occupare lo spazio che merita nel dibattito civile. Ma davvero non merita il nostro interesse? Da dove viene l’energia che consumiamo? E poi, che tipo di energia? Elettricità? Prodotta come? Da combustibili fossili? Quanta importazione dall’estero? Quanta convenienza nel produrla a livello nazionale? Gli interrogativi si moltiplicano, e sono quasi tutti al di fuori dell’unico interrogativo sottoposto alla gente in questo referendum. E allora, che si fa? Si boicottano le urne, offesi da questa truffa colossale? Bisogna forse ripensare i termini di questa vittoria. Che finalmente le persone si informino, si pongano il sanissimo dubbio che forse le strategie di politica energetica non debbano essere accettate passivamente, ma essere messe invece in discussione da cittadini informati, che si esprimano su come utilizzare risorse che, in fondo, sono di tutti. Partendo da un approfondimento individuale scevro da qualsiasi sentimentalismo. Noi, nel nostro piccolo, proviamo a fornire con gli articoli che seguono una chiave di lettura che metta a fuoco i principali corollari dell’oggetto referendario. Con l’auspicio di risultare un attendibile ausilio informativo per chiunque voglia approfondire, senza nascondere la nostra incorruttibile natura partigiana. �
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Referendum 17 Aprile
ISTRUZIONI PER L’USO di Giulia Silvestri
Per cosa andiamo a votare il 17 aprile? A cosa fa riferimento il quesito su cui i cittadini potranno esprimersi? E quali sarebbero le implicazioni della vittoria del sì o del no? Una panoramica generale, per fare ordine in una materia molto complessa.
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l 17 aprile i cittadini italiani saranno chiamati a votare un referendum popolare abrogativo in materia di trivellazioni. Di cosa stiamo parlando? Per spiegarsi meglio è bene partire dal quesito, così come sarà scritto il giorno in cui andremo a votare: «“Volete voi che sia abrogato l’art. 6 comma 17, terzo periodo
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del decreto legislativo 3 aprile n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)” limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard
di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?» Tradotto: Volete che sia abrogata quella parte della norma che permette a quelle società oggi in possesso di permessi e concessioni per estrarre idrocarburi entro le dodici miglia marine, di sfruttare i giacimenti fino al loro esaurimento, anziché fino alla scadenza dei permessi e delle concessio-
ni? Questo, per capirci, implica che: - si parla di dodici miglia poiché è il limite massimo stabilito per le acque territoriali;
- non sono ricomprese nella materia oggetto di referendum le concessioni e i permessi da concedere ex novo per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi entro le dodici miglia poiché sono già vietate dal nuovo art. 6 comma 17 dlgs 152/2006;
- non sono vi ricomprese le concessioni e i permessi riguardanti la ricerca e l’estrazione di idrocarburi oltre le dodici miglia, che continueranno anche qualora il referendum porti una vittoria dei sì; - sono ricomprese nella materia oggetto di referendum le concessioni e i permessi riguardanti la ricerca e l’estrazione di idrocarburi già in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 128/2010 entro le dodici miglia per le quali la nuova legge di stabilità del 2016 ha previsto una sorta di proroga “per la durata di vita utile del giacimento”, una vita utile che può non coincidere con la durata residua della concessione o del permesso. Questo perché le concessioDIVIETO NUOVE CONCESSIONI Attualmente, la legge non consente che entro le 12 miglia marine siano rilasciate nuove concessioni, ma non impedisce, invece, che a partire dalle concessioni già rilasciate siano installate nuove piattaforme e perforati nuovi pozzi. Tra i titoli abilitativi che oggi possono godere di una durata a tempo indeterminato ci sono infatti anche diversi permessi di ricerca, alcuni dei quali già in fase esplorativa e in attesa di trasformarsi in vere e proprie concessioni di coltivazione del giacimento. Un esempio concreto è dato dal caso di VegaB, la nuova piattaforma prevista nel canale di Sicilia, nell’ambito di una concessione già esistente (dove già opera la piattaforma VegaA) e posta meno di 12 miglia da un’area protetta.
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ni durano al massimo cinquant’anni (art 29 l. 613/1967 e art 9 l.9/1991). Per fare un esempio se queste concessioni sono state accordate negli anni ‘90, la società che ha ottenuto la concessione potrà estrarre fino al 2040, ma è possibile che il giacimento sia sfruttabile per un periodo di tempo più lungo. Le implicazioni di una vittoria del sì porterebbero alla graduale riduzione (fino alla totale estinzione) delle trivellazioni in mare entro le dodici miglia allo scadere naturale delle concessioni (realisticamente si parla di decadi), mentre le implicazioni di una vittoria del no oppure del non raggiungimento del quorum comporterebbero lo sfruttamento del giacimento, da parte delle società che hanno le concessioni, per un periodo di tempo anche eventualmente superiore alla scadenza delle stesse. � fonte: Internazionale
ALLA RICERCA DEI QUESITI PERDUTI Originariamente il referendum sulle trivelle doveva essere composto da 6 quesiti. Ben 5 di questi sono venuti meno, dopo che il governo ha approvato la legge di stabilità del 2016 intervenuta in materia. Un focus sul travagliato iter referendario.
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ungo, articolato ed irto di ostacoli è stato il percorso che ci porta dritti al prossimo 17 aprile. Facciamo un salto indietro. Nel 2014, con il decreto “Sblocca Italia”, il premier Matteo Renzi rende “strategiche, urgenti ed indifferibili” tutte le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi ed opere connesse, accentrando il potere decisorio in capo allo Stato. È il settembre 2015 quando Pippo Civati promuove con il neonato partito “Possibile” otto referendum, due dei quali hanno a che fare con la ricerca e l’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare e sulla
terraferma (eliminazione delle trivellazioni in mare e del loro carattere strategico). Ma il numero di firme necessario per la promozione di un referendum abrogativo - l’art 75 della Cost. richiede la firma di 500000 elettori o di almeno 5 Consigli Regionali - non viene raggiunto. Accade allora che dieci consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise ed Abruzzo, poi ritiratosi), per lanciare un chiaro segnale di opposizione all’accentramento decisorio del Governo, promuovono sei quesiti referendari. Tutto sembrava procedere nella direzione auspicata quando il Governo Renzi decide di intervenire sulla materia apportando una serie di modifiche
[...] per lanciare un chiaro segnale di opposizione all’accentramento decisorio del Governo. attraverso la Legge di stabilità 2016, assorbendo di fatto ben cinque dei sei quesiti proposti dai Consigli Regionali. Preso atto di queste novità, la Cassazione dichiara legittimo solo uno dei sei quesiti referendari antecedentemente proposti. Tre quesiti, relativi all’esproprio delle aree di proprietà privata, alla strategicità e indifferibilità delle attività petrolifere e al conflitto Stato/ Regioni vengono dichiarati superati poiché assorbiti in toto dalla Legge di stabilità. In questo senso i promotori del referendum hanno già segnato un punto a loro favore. Due ulteriori quesiti subiscono
invece un iter differente: non vengono accolti dalla Cassazione. Si tratta di quelli relativi al titolo concessorio unico e alla definizione del piano delle aree. Il Parlamento, eliminandone le relative norme, ha fatto cadere anche i quesiti referendari con un giochino paragonabile a quello del domino. Sei regioni (Basilicata, Sardegna, Veneto, Puglia, Campania e Liguria) decidono di sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, proprio in riferimento all’attività di aggiramento dell’oggetto dei quesiti da parte del Parlamento.
sta del referendum: l’obiettivo non è stato raggiunto e viene dunque richiesto il ripristino della norma dello Sblocca Italia per poterne abrogare realmente una parte.
TITOLO CONCESSORIO UNICO Il secondo quesito oggetto di ricorso riguarda il “titolo concessorio unico” (art.38 co.5, d.Sblocca Italia), il quale prevedeva che alla società petrolifera fosse concesso di fare ricerca ed estrazione con un’unica richiesta, per procedere più velocemente. Le vecchie concessioni separavano invece il permesso di ricerca dal permesso di estraPIANO DELLE AREE Il decreto “Sblocca Italia”, zione, che poteva avere una all’art.38 co.1-bis, obbligava durata di trent’anni con posil Governo con il coinvolgi- sibilità di proroga di altri venmento delle Regioni a definire ti, arrivando a cinquant’anni quali fossero le aree in cui av- in totale. viare progetti di trivellazione Il quesito referendario prosu terraferma, tenendo conto mosso dalle Regioni chiedeva della specificità dei territori e che venisse stabilita una dudelle aree a rischio sismico. Il rata limitata del titolo conquesito referendario sul Piano cessorio unico, fissandola a delle Aree mirava a rafforzare trent’anni al massimo e senza il ruolo delle Regioni, ad esten- possibilità di proroghe. La legge di dere la previsione “La Cassazione ha fatstabilità ha del Piano anche al mare, entro ed oltre to decadere il quesito modificato in tal senso il limite delle 12 miinvece di sollevare una la norma glia, e a ribadire il concetto che in as- questione di costitu- i n t e r v e nendo sul senza di Piano non zionalità” limite tempuò essere richiesto e rilasciato alcun titolo. “La porale del titolo concessorio Cassazione” - sostengono i unico (massimo 30 anni senza NoTriv - “ha fatto decadere il possibilità di proroghe) ma ha quesito invece di sollevare una contemporaneamente reintroquestione di costituzionalità dotto la vecchia forma di cone il Parlamento ha violato l’at- cessioni che prevede delle protribuzione che la Costituzione roghe. attualmenall’articolo 75 assegna al comi- Riassumendo, te una società petrolifera può tato promotore”. La modifica della legge di stabilità doveva fare una scelta tra due possibiessere conforme alla richie- lità: il titolo concessorio unico,
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che le concede trent’anni di tempo, o le vecchie concessioni che le concedono – con le proroghe – cinquant’anni. I promotori dei referendum hanno anche in questo caso sollevato un conflitto di attribuzione sostenendo che il governo ha eluso la questione per far tornare in vigore la vecchia norma. Il conflitto consisterebbe nel fatto che spetta ai promotori sottoporre agli elettori la loro richiesta e non al parlamento modificarla in modo da aggirare il quesito stesso. E qui arriviamo al 9 marzo scorso, data in cui la Corte Costituzionale, di fronte al ricorso delle Regioni, si è trovata a
CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE Si verifica allorché un organo appartenente ad uno dei tre poteri statali ricorre contro un altro lamentando l’invasione della propria sfera di competenza, delle proprie prerogative costituzionali. Può avvenire tra poteri dello Stato, o tra Stato e Regioni.
attendere un’altra udienza, certo; se poi il tutto fosse andato a vantaggio delle Regioni promotrici, i due quesiti sarebbero tornati ad essere ammissibili e, forse, accorpati col primo turno delle elezioni amministrative di giugno. Ma una pronuncia il 9 marzo vi è stata, inutile ricorrere a forme ipotetiche ed astrazioni concettuali. Quello che doveva essere un mero passaggio tecnico-procedurale ha avuto un esito negativo. Molti si stanno ancora ar-
illustrazione di Guglielmo Manenti
dover valutarne la legittimità. Passaggio meramente tecnico, preliminare alla più perniciosa decisione “nel merito” della questione: nel primo caso si parla di forma (da un punto di vista prettamente giurisdizionale), nel secondo, invece, di contenuto. Cosa sarebbe accaduto se la Corte avesse accolto i conflitti? Si sarebbe dovuta 8
rovellando sul significato della pronuncia della Corte: “Non è stata espressa la volontà di sollevare detti conflitti da almeno 5 dei Consigli Regionali che avevano richiesto referendum prima delle modifiche legislative sopravvenute”. In pratica sembrerebbe un cavillo, poiché cinque dei sei delegati regionali promotori non avevano
alle spalle una nuova deliberazione del Consiglio. Ergo, non risulterebbero legittimati a rappresentare la Regione. Secondo il costituzionalista Enzo di Salvatore, co-fondatore del Comitato Nazionale No Triv ed estensore dei quesiti referendari, “la decisione solleva perplessità. Come mai a gennaio la costituzione in giudizio del delegato abruzzese effettuata a nome del Consiglio regionale è stata ammessa senza che alle spalle vi fosse una previa delibera? Se il referendum fosse stato promosso tramite la raccolta delle 500.000 mila firme il Comitato promotore avrebbe potuto avanzare questi stessi ricorsi senza una delibera firmata da mezzo milione di persone. Perché se il percorso referendario è avviato dalle Regioni il Comitato necessita di un passaggio in più per agire in quella sede?” Nel frattempo Puglia e Veneto hanno depositato, due giorni dopo tale pronuncia, nuovi ricorsi. La Corte Costituzionale, giudice super partes, sembra avere qui giocato un brutto scherzo, di parte quasi. Politica nazionale, locale e movimenti in difesa dell’ambiente sempre più in contrasto. Stavolta tutto ciò sembra frutto anche di una decisione che sembrerebbe quasi preconfezionata e pretestuosa. �
IL REGIME DELLE ROYALTIES foto di Michele Puccia
I contributi, da parte delle società che estraggono idrocarburi in Italia, in cambio delle autorizzazioni statali. Piccole entrate fiscali a discapito delle economie locali e della salvaguardia del paesaggio.
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n Italia, quello delle royalties – ovvero le aliquote di prodotto che le compagnie petrolifere versano a Stato, Regioni e Comuni interessati da attività petrolifere – è un dibattito sempre aperto. C’è chi le equipara ad una tassazione stringente ed iniqua. Chi, invece, le considera una forma di compensazione per lo sfruttamento del territorio e per il disequilibrio causato all’ambiente. E di fatto lo sono. Le principali società che estraggono gas e greggio nel nostro Paese usano le royalties come pedina di scambio, legittimo, per arrivare ad un consenso autorizzativo. Al di là, o meno,
della bontà dei loro progetti. Per molte comunità e, soprattutto enti locali, rappresentano un vero e proprio ‘specchietto per le allodole’. Premesso questo, ogni valutazione sul regime nazionale delle royalties è un campo minato. Ma partiamo da un assunto. L’ordinamento normativo italiano trova fondamento nel Decreto legislativo n.625 del 25 novembre 1996, e in altre disposizioni aggiuntive introdotte nel 2009, nel 2012 e nel 2014. Le royalties variano, seppur di poco, se si estrae gas o greggio, in mare o in terraferma. Il loro valore è calcolato sui prezzi medi del mercato
di Pietro Dommarco*
degli idrocarburi. Per il petrolio vengono considerate le quantità prodotte ed il prezzo del barile. Per il gas le quantità commercializzate. Le compagnie petrolifere versano il 10% del valore di mercato per l’estrazione di greggio e gas in terraferma, il 10% per l’estrazione di gas a mare e il 7% per l’estrazione di greggio a mare. Le aliquote per la terraferma sono comprensive di un 3% destinato ad un fondo di coesione sociale, il vecchio bonus idrocarburi. Quelle per il mare, invece, comprendono un 3% per l’ambiente e la sicu*direttore del mensile Terre di Frontiera
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illustrazione di Guglielmo Manenti
rezza. L’attuale ripartizione prevede che per le produzioni di idrocarburi in terraferma il 55% vada alle Regioni, il 30% allo Stato e il 15% ai Comuni, che pur essendo di fatto i più colpiti dall’impatto ambientale incassano di meno. Per le estrazioni in mare la ripartizione prevede un 45% allo Stato e un 55% alle Regioni. Da quest’ultima ripartizione i Comuni restano fuori. Così come restano fuori dal versamento delle royalties molte società. Infatti, su 53 compagnie titolari di permessi di ricerca e concessioni di coltivazione, solo 8 pagano le aliquote di prodotto. Le restanti 45 non estraggono idrocarburi, oppure beneficiano del regime della franchigia. Un particolare vantaggio normativo che esenta dal pagamento di royalties sulle prime 20 mila tonnellate di greggio estratto in terraferma, sulle prime 50 mila tonnellate di greggio estratto in mare, sui primi 25 milioni di metri cubi di gas estratto in terraferma e sui primi 80 milioni di metri cubi di gas estratto in mare. Per ogni concessione di coltivazione il risparmio annuo stimato può variare dai 7 ai 20 milioni di euro, sottratti a quello Stato che, oggi, invece antepone l’aumento delle entrate fiscali alla salvaguardia delle economie locali, del turismo e della valorizzazione pa10
esaggistica. Ma non finisce qui, perché le compagnie che estraggono gas - ad esempio godono di un contributo da parte dello Stato come incentivo ad incrementare le riserve nazionali, che non servono alla nostra indipendenza energetica. L’incentivo ammonta ad un 40% prelevato dal 5% delle entrate incassate dallo Stato dal versamento delle royalties, come sancisce l’articolo 4 del Decreto legislativo n.164 del 23 maggio 2000. In poche parole le compagnie pagano le royalties allo Stato, che sul 5% del ricevuto gira un 40% alle so-
cietà impegnate nelle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di nuovi giacimenti (anche quelli marginali, che ottengono sgravi fiscali in sede di ammortamento dell’investimento iniziale, in misura tale da rendere economico l’investimento stesso). Il valore relativamente basso delle royalties italiane - da considerarsi una tassazione speciale - spinge molte imprese straniere, tante con capitali sociali irrisori, ad investire in Italia piuttosto che altrove. Perché in Norvegia la tassazione speciale sulle produzioni di idrocarburi raggiunge un massimo del 78%, in Russia l’80%, in Alaska il 60%, in Canada il 45%, negli Stati Uniti il 30%, in Australia il 40% sulle estrazioni, in Danimarca fino a un massimo del 70%. Solo per citarne alcuni. �
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Intervista a Nicola Armaroli
Una possibile svolta per il MODELLO ENERGETICO ITALIANO
di Milena Rettondini*
Nel nostro paese le fonti rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico, eolico, geotermico, biomasse) coprono il 42% della domanda elettrica. Negli ultimi anni però una serie di provvedimenti legislativi ha creato crescenti complicazioni burocratiche al loro sviluppo, ostacolando l’ulteriore espansione di queste fonti. Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del CNR di Bologna, è uno dei più forti sostenitori della transizione energetica alle rinnovabili. Per questo motivo, abbiamo voluto capire con lui perché sia urgente spingere in una direzione diversa da quella dell’estrazione di idrocarburi che, a conti fatti, sembra non portare i vantaggi promessi. Prof. Armaroli, qual è il motivo principale per cui dovremmo votare Sì e quali sono i danni ambientali principali derivanti dalle attività di estrazione di idrocarburi? Innanzitutto bisogna fare chiarezza sul quesito referendario, che riguarda solo le concessioni di estrazione entro le 12 miglia marine che inizieranno a scadere dal prossimo anno. Si tratta di installazioni che hanno prodotto l’anno scorso circa lo 0,8% del consumo nazionale di petrolio e il 2% di quello di gas. Quantità oggettivamente * Associazione In medias res
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poco rilevanti. Ma il voto ha un significato molto più ampio: dobbiamo votare sì per spingere il governo a intraprendere con decisione la strada della transizione energetica e cominciare a limitare in modo più convinto la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Abbiamo già fatto passi importanti, specie nel settore elettrico, che dobbiamo consolidare. Che tipo di atteggiamento sta tenendo il nostro governo verso quest’ultima problematica? Quello del nostro governo è un atteggiamento schizofrenico.
Da un lato sottoscrive accordi internazionali e si impegna a perseguire le politiche Europee sulla transizione energetica. Sul fronte interno è, però, fortemente influenzato dalle lobby delle grandi aziende energetiche che decidono da sempre la strategia energetica del nostro paese. Questa sudditanza poteva avere delle ragioni nei primi del dopoguerra, quando c’era un Paese da ricostruire. Ma l’Italia di oggi è un Paese profondamente diverso da quello degli anni 5060.
Cosa risponde a chi sostiene ni alla Basilicata). Il guadagno che continuare le estrazioni della collettività è irrisorio. ci aiuti a perseguire l’indipen- L’Emilia Romagna, per esemdenza energetica? pio, ha ricavato dalle royalties Questa affermazione fa sor- 7 milioni di euro (su una meridere. I dati del Ministero dia di bilancio di 12 miliardi di dello Sviluppo Economico, euro). Briciole, rispetto ai danquindi del Governo, parlano ni che subisce da questo tipo chiaro. Sommando risorse cer- di attività. Inoltre, allargando te e risorse probabili, abbiamo lo sguardo a livello mondiale, nel sottosuolo italiano l’equi- va rilevato che il sistema dei valente di 23 mesi di consumo combustibili fossili ha un codi gas e di 38 mesi di consumo sto enorme per la collettività: di petrolio. I giacimenti italia- 5.300 miliardi di dollari l’anni sono piccoli in no di contriAbbiamo nel sottoquantità e sono buti diretti anche, per quan- suolo l’equivalente di (es. esenzioni to riguarda il pe- 23 mesi di consumo fiscali) e introlio, di scarsa diretti (esterdi gas e di 38 mesi di qualità. L’interesnalità, danni consumo di petrolio se su queste resanitari), una sidue risorse da cifra pari al parte di aziende private sta nel 6,5 % del PIL mondiale, come fatto che in Italia si estraggo- ha stimato di recente il Fondo no idrocarburi a prezzi strac- Monetario Internazionale. ciati. I canoni per i permessi e le concessioni sono irrisori, Si è mai confrontato con Emimentre le royalties sono prati- lio Miceli, segretario dei chicamente le più basse al mondo. mici della CGIL, che definisce Lo scorso anno, per esempio, “errore fatale e strategico” l’Italia ha incassato dalle royal- fermare l’estrazione di idroties 352 milioni di euro, di cui carburi nel nostro paese? solo 55 sono andati allo Stato, In Italia vi sono circa 40 mila mentre gran parte sono andati addetti nelle aziende di questo alle singole regioni (142 milio- settore, ma la maggior parte
di essi lavora all’estero. Considerando che il referendum riguarda solo le estrazioni entro 12 miglia dalla costa, l’eventuale effetto sull’occupazione in Italia sarebbe minimo. A questo proposito, le grandi organizzazioni sindacali si sono ugualmente preoccupate per le decine di migliaia di posti di lavoro che sono andati persi in questi 3-4 anni per le politiche miopi e vessatorie che stanno tagliando le gambe all’ascesa delle rinnovabili? Purtroppo si tratta per lo più di aziende piccole e piccolissime che spesso non hanno voce. Se vogliamo creare nuovi posti di lavoro è necessario intraprendere una politica energetica nuova. Il numero di posti di lavoro che crea la filiera rinnovabile, che è il futuro, è almeno il doppio di quello dell’industria degli idrocarburi, che è il passato. La transizione energetica, porterà inevitabilmente una grande ristrutturazione industriale. Amo pensare che, oggi, un visionario come Enrico Mattei sarebbe il primo a trainare il paese verso le rinnovabili. E non da oggi. C’è poi chi sostiene come Gianfranco Borghini, del comitato “Ottimisti e Razionali”, che continuare ad estrarre petrolio permetta di limitare l’inquinamento dei mari, perché in questo modo si limita il transito di petroliere… Invito chi si dichiara “razionale” a fare due conti: lo 0,8% citato sopra equivale al carico di tre petroliere di medie dimensioni in un anno. Inoltre, l’ultimo grande incidente petrolifero (Golfo del Messico 2010) è avvenuto a una piattaforma e non a una petroliera.
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A proposito di inquinamento, giova ricordare che le grandi multinazionali europee che vogliono trivellare i nostri mari vantando grandi performance ambientali, non brillano su
poca di Enrico Mattei, vige il concetto che l’interesse della principale azienda energetica italiana coincide con quello dell’intera Italia. Però Mattei è morto 53 anni fa: quell’epoca
illustrazione di Andrea Giovagnoli
questo aspetto nei paesi più poveri del mondo. Invito a leggere i reportage dal Delta del Niger. Mentre il rapporto dei tecnici con le istituzioni… Questo è un problema molto italiano. I nostri politici non ascoltano mai chi tecnicamente conosce i problemi nella loro complessità. Il governo ascolta principalmente le lobby degli idrocarburi perché, dall’e14
e quell’Italia appartengono ai libri di storia, oggi dobbiamo voltare pagina. Io faccio parte di quel piccolissimo gruppo di scienziati che 10 anni fa si è battuto contro la follia di riempire l’Italia di centrali elettriche turbogas di grande potenza, sostenendo che era un affare per poche aziende, esattamente come oggi con le trivellazioni. Nessuno ci ascoltò, ma oggi molte di queste centrali sono una
zavorra per il sistema elettrico italiano e devono essere dismesse. Altra vicenda: 2011, referendum sul nucleare. Per fortuna in quel caso la saggezza degli elettori italiani ha prevalso. Oggi produciamo con il fotovoltaico la quota di elettricità che era stata promessa nel 2025 con le fantomatiche centrali nucleari che non sarebbero mai entrate in funzione, come sta avvenendo persino in Finlandia. Quando all’epoca dicevamo queste cose, gli stessi che oggi si battono per non porre freni alle trivellazioni ci additavano come retrogradi. Ci abbiamo visto lungo due volte. Chissà, magari stavolta potrebbe valer la pena ascoltarci. Quindi che significato ha questo referendum? Il significato di questo referendum va al di là del suo quesito specifico, che riguarda una questione minimale. E’ sempre stato così, sin dal referendum sul nucleare del 1987. Questo referendum ha un importantissimo significato politico: gli italiani sono chiamati a dire se vogliono continuare una politica energetica basata sugli idrocarburi e legata al passato o se vogliono che l’Italia si incammini senza incertezze lungo la strada della transizione energetica alle rinnovabili. Infine, certificato che queste sono le ultime risorse di petrolio e di gas che abbiamo in Italia, io mi pongo anche questa domanda: “Dove sta scritto che dobbiamo consumare tutto noi?” Perché non lasciare qualche risorsa del sottosuolo anche ai nostri figli. �
http://dorsogna.blogspot.it/2012/04/due-anni-dopo-il-golfo-del-messico-20.html
Ambiente e biodiversità
Quali rischi corriamo? Fanghi di perforazione, aumento dell’attività sismica, blowout e fuoriuscita durante il trasporto, fase di prospezione con air-gun; l’impatto dell’attività di trivellazione ed estrazione su ecosistemi ed organismi.
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l 17 aprile si potrà lanciare un forte e chiaro messaggio contro la politica energetica italiana radicata ancora sullo sfruttamento sfrenato dei combustibili fossili che, oltre a produrre impatti gravissimi sull’ambiente e sulla salute, contribuisce in modo rilevante al surriscaldamento globale e alle disastrose modificazioni climatiche. Varie compagnie petrolifere hanno richiesto il permesso di procedere alla prima e distruttiva fase di prospezione mediante air-gun per individuare i giacimenti di idrocarburi nel sottofondo marino a largo delle coste pugliesi, lucane e calabresi. Gli air-gun produ-
cono esplosioni violentissime ripetute ogni 10 secondi, 24 ore su 24, per l’intera durata di una campagna di prospezione che in genere si protrae per vari mesi e interessa aree marine vaste centinaia di chilometri quadrati. Queste esplosioni che raggiungono livelli sonori impressionanti pari a 260 decibel (un rumore simile è difficile da immaginare, ed è migliaia di volte superiore di quello prodotto dal motore di un jet), inducono danni gravissimi ai mammiferi marini danneggiando spesso in modo irreversibile il loro delicatissimo apparato uditivo necessario ad orientarsi sott’acqua. Senza la possibilità di orientarsi
di Rossella Baldacconi*
i cetacei, già rari e a rischio estinzione in tutti i mari del pianeta, tendono a spiaggiarsi e a morire dopo una terribile agonia. Anche le tartarughe marine e i pesci subiscono gravi danni dalle esplosioni degli air-gun. Le larve dei pesci che si trovano nelle vicinanze degli air-gun non sopravvivono alle esplosioni. Questa evidenza mostra quanto sia disastroso l’impatto delle ricerche petrolifere sugli stock ittici, anche quelli di interesse commerciale che sostengono le attività di pesca locale. Dopo aver sondato i fondali marini, se dovessero esserci giacimenti petroliferi, si pro*dott.ssa ricercatrice di Scienze Ambientali
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cederebbe alla perforazione dei pozzi e alla successiva costruzione degli impianti estrattivi. La perforazione prevede l’utilizzo di fanghi di perforazione, composti in genere da bentonite (un tipo di argilla) o da polimeri speciali la cui composizione è ignota perché protetta da segreto industriale. Durante la prima fase di perforazione (detta riserless) sia i fanghi che i detriti non vengono recuperati. Migliaia di metri cubi di fanghi e detriti vengono rilasciati nell’ambiente marino. Questa enorme mole di materiale induce la distruzione della comunità marina presente sul fondo, oltre all’aumento significativo della torbidità e della concentrazione di alcuni inquinanti pericolosi come i metalli pesanti (tra cui anche il mercurio) che diventano biodisponibili e vengono bioaccumulati dagli animali marini. Alla attività di trivellazione è legato anche l’aumento del rischio sismico. Evidenze scientifiche hanno dimostrato la relazione esistente tra le trivellazioni e l’aumento dei sismi di magnitudo medio-bassa. E questo è tanto più grave se si considerano le caratteristiche geologiche del Mar Ionio che si trova sulla linea di contatto tra le due placche del Mediterraneo, la placca euroasiatica e quella africana. Inoltre, sul versante calabrese sono presenti numerose faglie attive e un gigantesco corpo franoso che si estende per oltre 1000 km² davanti la costa di Crotone. Anche durante il normale esercizio di estrazione di una piattaforma petrolifera avvengono continuamente fuoriuscite 16
di petrolio in mare, e vengono scaricate le acque di lavaggio e i rifiuti prodotti sull’impianto. Inoltre, per aumentare la produttività della roccia serbatoio
del Messico. Lo sversamento di petrolio dalla piattaforma della British Petroleum (Deepwater Horizon) durò 106 giorni consecutivi ed è stato quantificato
si interviene spesso acidificandola e iniettando soluzioni acide ad alta pressione. A questo si aggiunge che le piattaforme petrolifere sono soggette a incidenti disastrosi che prendono il nome di blowout e che consistono nella fuoriuscita incontrollata e prolungata di enormi quantitativi di petro-
in oltre 1.000.000 di tonnellate distribuite su un’area marina di 8000 miglia quadrate (l’area del Golfo di Taranto è pari a circa 4000 miglia quadrate!). Molteplici sono anche gli impatti generati dal trasporto del petrolio in mare che avviene negli oleodotti o con le petroliere: dalla rottura di condotte
lio. L’incidente più grave che si sia mai registrato è stato quello avvenuto nel 2010 nel Golfo
sottomarine agli incidenti rilevanti a carico di petroliere, dagli sversamenti accidentali
durante le operazioni di carico/scarico ai terminali a quelli volontari durante le operazioni di lavaggio delle cisterne, quest’ultimi vietati dalla Convenzione Marpol 73/78 ma purtroppo ancora effettuati in modo illecito. Una volta in mare il petrolio
produce impatti gravissimi su ecosistemi e organismi. La porzione più pesante tende a precipitare sul fondale marino ricoprendo vegetali e animali. Le specie più sensibili tendono a scomparire e gli habitat più vulnerabili perdono le loro caratteristiche e risulta-
no impoveriti. La porzione del petrolio che raggiunge le aree costiere mostra un differente comportamento in relazione al tipo di costa: sulle coste rocciose il petrolio si solidifica e crea uno strato catramoso mentre su quelle sabbiose impregna il sedimento sciolto. Per alcuni ricercatori anche dopo 20 anni, gli ambienti invasi da una marea nera non tornano più ad essere come prima. Gli effetti a breve termine di una marea nera sugli animali marini sono disastrosi. Il totale ricoprimento fisico impedisce la respirazione, l’alimentazione e la termoregolazione. Ogni animale, dagli invertebrati ai pesci, dai rettili ai mammiferi marini e agli uccelli, muore in breve tempo. Gli animali che sopravvivono tendono ad assorbire e accumulare gli idrocarburi nei loro tessuti e nei loro organi. Ciò induce effetti subletali che vanno dalle deformazioni larvali alle disfunzioni a livello endocrino, dalla depressione del sistema immunitario all’insorgenza di tumori. Gli effetti negativi sulla salute riguardano anche gli esseri umani che si alimentano di animali contaminati (molluschi, crostacei, echinodermi e pesci). Gli idrocarburi più pericolosi sono gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) che tendono ad accumularsi nei tessuti adiposi. Gli animali e gli uomini esposti a IPA presentano una predisposizione all’insorgenza di forme tumorali. Questo quadro avvilente dimostra come ogni attività antropica legata al petrolio generi danni incalcolabili all’ambiente, agli animali e agli esseri umani. �
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Intervista a Giannantonio Mingozzi
C’è chi dice NO
a cura di Stefano Fornito
Il punto di vista del vicesindaco di Ravenna Giannantonio Mingozzi: “Non vado a votare, speriamo non si raggiunga il quorum”. Tra autosufficienza energetica, investimenti, posti di lavoro e fonti rinnovabili.
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ual è la sua posizione rispetto al referendum del 17 Aprile? Dal mio punto di vista le attività estrattive, che a Ravenna e nell’Adriatico riguardano soprattutto il gas, devono essere mantenute e quindi noi ci impegneremo affinché al referendum non si raggiunga il quorum. A motivazione di difesa delle aziende - 50 nel settore del’ oil&gas che solo a Ravenna operano: queste non solo danno lavoro a circa seimila dipendenti, di cui un po’ di questi sono già in cassa integrazione, ma coprono anche un fabbisogno energetico che per quanto possa essere limitato ci consente in ogni caso di avere una maggiore autonomia nel rifornimento delle nostre riserve. Le attività produttive che si impegnano nella ricerca nel nostro comparto a Ravenna producono un fatturato di oltre 2 miliardi. Io difendo questo settore soprattutto perché quello che i promotori del referendum chiamano “periodo di transizione verso fonti rinnovabili” sarà molto lungo e
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in questo periodo è un errore chiudere l’attività di concessione. Per la verità non verrebbero chiuse ma se passasse questo referendum non ci sarebbero più imprese disponibili ad investire in concessioni che sarebbero a termine. Un sì al referendum a che risultato porterebbe? Se si raggiungesse il quorum - e non c’è dubbio che se passasse il quorum vincerebbe il sì - si rischia di rinunciare a investimenti per la mancanza di nuove concessioni legate agli appalti di manutenzione, servizi di rifornimento. Entro le 12 miglia ci sono 22 concessioni in essere di cui 15 scadono fra 2019 e 2027, 7 sono quelle più vicine a noi. Le piattaforme sono 49 e questo comparto rischia ricadute drammatiche su posti di lavoro e ricerca. Non parliamo poi della Croazia, perché non è vero che intendono rinunciare all’emungimento dei gas, ma vogliono approfittare del fatto che l’Italia prende tempo. Le gare che stanno preparando rischiano di sottrarre risorse energeti-
che che sono proprie di questo paese, non c’è nessun paese al mondo che rinuncia a utilizzare fonti di approvvigionamento così importanti come le nostre. I seimila dipendenti ai quali si riferisce non sono impiegati tutti nelle 49 piattaforme? No, perché l’attività dell’oil&gas è anche quella di manutentare gli impianti, di servire, nell’innovazione tecnologica dell’attività di estrazione del gas. Le stesse imprese dell’oil&gas oggi finanziano la ricerca di fonti alternative e l’implementazione di queste fonti alternative con l’utilizzo dei gas che è oggi fondamentale, quindi verrebbe a formarsi un circolo negativo che alla fine darebbe come risultato interrompere gli investimenti, mettere in cassa integrazione se non licenziare nel breve periodo almeno la metà di questi seimila addetti, ma soprattutto si vedrebbe mancare tutto quel sistema di concorrenza col mondo in cui le nostre imprese rappresentano le tecnologie migliori sul fronte europeo. Il rischio è che uno dei comparti più innovativi delle nostre imprese e della nostra tecnologia subisca una battuta d’arresto che sarebbe dura riprendere. I dati mostrano che le rinnovabili creano più posti di lavoro a parità di investimenti e energia prodotta. Questo è un parere scientifico di alcuni docenti universitari che a mio parere lascia il tempo che trova. Le rinnovabili sono tutti tentativi e tutte attività che non sono dietro l’angolo. Abbiamo ancora bisogno di gas per chissà quanti altri decenni e il fatto che dovessimo ridurre la produzione
vorrebbe dire che l’Adriatico rischierebbe di essere percorso da navi gasiere o petroliere che oggi non ci sono perché oggi fortunatamente un pochettino più di autosufficienza ce l’abbiamo. Ce l’abbiamo grazie alla riduzione dei consumi sostituiti dall’energia prodotta dalle rinnovabili Ma no. Ma no. Il fatto che tu oggi estrai gas nell’Adriatico ti consente di avere una bilancia di fabbisogno energetico che è un 20-30 % del consumo italiano, comunque ti consente di non avere acquisti all’estero e quindi di non ricadere nel ricatto che ti fanno i produttori di petrolio. Poi il discorso va fatto tenendo conto dei limiti di questo. Noi oggi non siamo in grado di essere autosufficienti, quindi la ricerca di fonti alternative è giustificabilissima, ma non capisco perché un referendum debba correre il rischio di chiudere quello che fino ad oggi e anche per doma-
fonte: Ravennanews
ni rappresenterà un ottimo alleato dal punto di vista delle nostre risorse. Però gli investimenti alle rinnovabili ultimamente sono stati frenati dalle pressioni delle lobby del fossile. Secondo me gli investimenti nelle rinnovabili hanno biso-
gno di essere sostenuti dagli stessi dell’oil&gas. C’è stato un convegno a Ravenna la settimana scorsa che ha dimostrato come l’interesse di creare condizioni sempre più agevoli nelle rinnovabili sia proprio delle imprese che oggi operano nell’oil&gas. Nessuno è contro le alternative e una maggiore produzione di rinnovabili. Semplicemente bisogna fare i conti con i tempi. In tutto questo quello che proprio non ci sta è che un referendum sulle concessioni esistenti faccia sì che venga dato un giudizio ingiustificato su tutto il mondo dell’oil&gas: non sono produttori che lucrano o petrolieri che hanno quello che vogliono, semplicemente stanno alle leggi di un
paese che utilizza le proprie risorse. Il fabbisogno della nostra economia può oggi basarsi sulle rinnovabili? La critica che viene fatta a Ravenna è che non si parla mai di rinnovabili, eccome se noi parliamo di rinnovabili, ma intanto dove li mettiamo 3000 lavoratori che rimangono a casa? Con la riconversione. Le rinnovabili occupano già più di 60 000 dipendenti in Italia. Mi permetto di dissentire di questi dati. Non è che noi oggi col sole e col vento siamo in grado di sostituire. Non sostituiamo niente. Quindi sarebbe bene che avessimo un maggiore equilibrio nel giudicare il ruolo che ha oggi l’estrazione di gas nell’Adriatico. Cosa farà il 17 aprile? Non andrò a votare, secondo me è uno strumento sbagliato, con un sì e con un no non puoi decidere della vita di 3000 mila dipendenti e di tutti quelli impegnati in questo settore, a Ravenna in particolare. �
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foto di Pietro Dommarco
NOT IN MY Voci dai territori Abruzzo, Basilicata, Puglia e Sicilia: la situazione delle quattro regioni in vista del referendum. Lo sfruttamento dei territori, le proteste e le manifestazioni per la loro difesa da parte delle popolazioni locali; da catastrofi come quella causata dall’Ilva alle estrazioni dell’Eni in Val d’Agri, al contrasto contro gli accordi stretti dal governatore Crocetta: il racconto di una popolazione che reagisce.
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Basilicata
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di Pietro Dommarco
l caso Basilicata - dove è presente il più grande giacimento di greggio in terraferma d’Europa - non è paragonabile a nessun altro caso di sfruttamento del territorio italiano. Per impatti ambientali e sociali. Una regione che copre quasi l’80% della produzione italiana e contribuisce all’8% del fabbisogno nazionale di idrocarburi. Una quantità destinata al raddoppio - con autorizzazioni già incassate dalle compagnie petrolifere – quando entrerà a pieno regime la concessione di coltivazione “Gorgoglione” della Total, nella valle del Sauro. Attualmente, il picco produttivo è di 85 mila barili di greggio estratti al giorno nella sola concessione di coltivazione “Val d’Agri” dell’Eni, nell’omonima valle. 20 le concessioni di
coltivazione di idrocarburi finora assegnati che “impegnano” una superficie di 1993,99 chilometri quadrati, 18 le istanze di permesso di ricerca per una superficie complessiva pari a 3.856,63 chilometri quadrati, che interesserebbero il territorio di 95 Comuni su 131. Un’occupazione territoriale che dal 1996 - anno dell’entrata in funzione del Centro olio di Viggiano – si è sviluppata di pari passo con la storia di piccole e diffuse economie locali, molte a conduzione familiare, come ad esempio l’agricoltura e l’allevamento, che hanno ceduto il passo all’attività industriale, spezzando quella distribuzione della ricchezza che ha rappresentato fino a 10 anni fa la vita per intere famiglie. Nell’ultimo decennio quasi 24 mila aziende agricole lucane
hanno chiuso (ovvero il 32% del totale). 26 mila, invece, gli ettari di superficie in meno coltivata che hanno lasciato spazio alle operazioni di raddoppio delle estrazioni petrolifere. Secondo l’Istat, le dinamiche demografiche nei Comuni interessati dall’indotto del petrolio sono state peggiori che nel resto della regione: un calo della popolazione del 6,5% contro il 3,4% dei restanti comuni lucani tracciano un quadro desolante di un territorio in cui il 25% delle famiglie rasenta la povertà. Questo nonostante le royalties incassate da Regione e Comuni tra il 2001 e il 2012 siano state pari a circa un miliardo di euro, destinate però per spese correnti e “non per sviluppo e lavoro”, come certificato dalla Corte dei Conti nell’aprile 2014. Royalties che continuano ad essere al centro della contrattazione tra Stato e Regione, trascurando quelli che potrebbero essere i costi ambientali e della salute. �
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Abruzzo di Alessio Di Florio
L
’attuale mobilitazione abruzzese contro la “deriva petrolifera” mosse i primi passi nel 2007 contro il progetto di “Centro Oli” ad Ortona. Alla mobilitazione si unì anche la prof.ssa Maria Rita D’Orsogna, di origine abruzzese e docente universitaria a Los Angeles. Secondo uno studio del Mario Negri Sud il “Centro Oli” avrebbe portato “una tonnellata e mezza di sostanze inquinanti emesse ogni giorno, fra cui provati cancerogeni, che andrebbero a spargersi su un territorio dove vivono circa centomila persone”. Oltre al “Centro Oli” si scoprirono altre centinaia di richieste di permesso di estrazione a terra e in mare. Il 15 marzo 2008 migliaia di persone parteciparono ad un’immensa manifestazione a Pescara, nacque la Rete EmergenzAmbienteAbruzzo. Il “Centro Oli” fino ad oggi è stato sventato, ma in questi anni è stato un rincorrere continuo, tra documenti tecnici, comunicati, manifestazioni (solo nel 2010 due altre grandissime manifestazioni portarono migliaia di persone a Lanciano e San Vito Chietino) e iniziative di ogni genere. Uno dei progetti simbolo degli ultimi anni è stato Ombrina Mare 2 al largo delle coste abruzzesi, fermato una prima volta nel 2010 da un decreto del Ministro Prestigiacomo dopo il disastro del golfo del Messico. Divieto abolito dal ministro Passera due anni
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dopo, facendo ripartire l’iter dell’autorizzazione. Il WWF Abruzzo ha reso noto che “secondo le stime della stessa società proponente,
ogni giorno saranno immessi in atmosfera circa 200 tonnellate di fumi da combustione dai motori, dal termodistrut-
A Pescara 40.000 persone sono scese in piazza contro Ombrina Mare 2 tore e dalla torcia atmosferica; nei pochi mesi di perforazione e prove di produzione saranno
prodotti 14mila tonnellate di rifiuti tra fanghi perforanti ed altro”. A Pescara 40.000 persone sono scese in piazza contro Ombrina il 13 aprile 2013, il 23 maggio 2015 a Lanciano almeno 20.000 in più. Negli ultimi mesi del 2015 la battaglia sembrava però persa, fino alla notizia dell’emendamento alla Legge di stabilità che ritornava sul limite delle 12 miglia e ha fermato Ombrina. Il popolo
abruzzese ha vinto ma non abbasserà la guardia, ben sapendo che la vittoria andrà difesa e ampliata il più possibile. Già a partire dal referendum del 17 aprile e dall’impegno per il referendum a trivelle zero nell’ambito della campagna per i referendum sociali (tra cui Jobs Act e “Buona Scuola”), sui quali si raccoglieranno le firme quest’anno per andare al voto la primavera prossima. �
Puglia di Francesco Caroli
T
ra i nove consigli regionali che hanno promosso il referendum del 17 aprile troviamo la Puglia. Su di essa ricade il 71% delle richie-
La situazione di perpetuo ricatto ai danni della città di Taranto, ad esempio, con una popolazione divisa tra salute e lavoro. Sono 11.000 i morti dal 2007 ad oggi, e 12.000 le famiglie mantenute dalla morente acciaieria Ilva, sulla quale pendono dieci decreti ad hoc che le permettono indisturbata di continuare a produrre e avvelenare il territorio nonostante svariate sentenze e sequestri ordinati dal PM. Ma non solo l’Ilva, anche il recente caso della Xylella nel Salento, o del carbone di Brindisi. Adesso ci si aspetta una coalizione forte, che possa avviare un percorso ben strutturato che coinvolga tutti in maniera trasversale. In direzione 17 aprile sono già partite diverse iniziative e sono sorte le prime associazioni.
Città molto attiva è stata Bari, che ancor prima dell’indizione del referendum si era già mobilitata attraverso i primi comitati No Triv, primo fra tutti NoTriv-Terra di Bari, ad informare e protestare soprattutto contro gli interessamenti di Shell e Petroceltic verso il territorio pugliese, quest’ultima largamente interessata ad avviare ricerche in mare nella zona delle Isole Tremiti. Un interesse venuto a mancare verso febbraio e dovuto, a detta degli analisti e della società, ad un cambio di strategia del colosso petrolifero irlandese, in virtù del basso prezzo del petrolio in questo momento. Ma non solo Bari è protagonista nel panorama dell’attivismo pugliese. Anche a Taranto infatti sono partite le prime iniziative: il 10 marzo si è svolta la prima assemblea operativa del Coordinamento No Triv-Terra di Taranto nel corso della quale è stato fissato un calendario di eventi in tutta la provincia finalizzati ad informare la cittadinanza. �
Sicilia ste di indagini geofisiche atte a trovare giacimenti petroliferi da sfruttare. Una situazione abbastanza tesa, l’ennesima, quella in cui si trova il tacco dello stivale, ormai avvezzo ai vari scandali ambientali e alle lotte portate avanti dalla politica, ma anche e soprattutto da svariati movimenti e associazioni che combattono da anni contro alcuni dei casi mediatici più importanti degli ultimi tempi.
di Olga Nassis
“L
e trivelle devono essere autorizzate, fanno parte del protocollo Eni firmato nel 2014 per salvare i posti di lavoro della raffineria (di Gela)”, dicono all’assessorato Ambiente della Regione siciliana. Il 6 novembre 2014 la Regione aveva sottoscritto presso il MISE l’ennesimo protocollo d’intesa con le principali orga-
nizzazioni sindacali dei lavoratori, con l’Eni ecc. Si riapriva cosi la corsa al petrolio nel sottosuolo siciliano: del tutto fuori tempo e in piena crisi del fossile. Il 4 giugno dello stesso anno il governatore Crocetta annuncia che la Regione firma il protocollo d’intesa con Assomineraria, EniMed Spa, Edison Idrocarburi e Irminio Srl
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che autorizza le perforazioni off shore e a terra per estrarre petrolio.
Oggi sappiamo che l’attività estrattiva, per via dell’automazione, da noi ha portato pochissimo lavoro.
applica le aliquote di royalties piu basse d’Europa, lo stesso governo Crocetta nel giro di un anno le ha ulteriormente ha abbassate dal 20 al 13 per cento. C’è una risorsa di cui la Sicilia è ricca, certamente, ed è la propaganda diffusa con tutti i mezzi dai media vicini al governo. Peccato che sia smentita dai dati economici e sociali: la Sicilia ha un tasso di disoc-
“Un investimento complessivo di due miliardi e quattrocento milioni di Euro in quattro anni, con ricadute occupazionali stimate attorno alle settemila unità”: si cerca di rendere accettabile l’operazione, in tempi di vacche magre. I poli petrolchimici, alla fine degli anni ’50 erano nati con grandi promesse di lavoro: lo scambio territorio-lavoro era dichiarato in pubblico e si basava sulla promessa della piena occupazione. Oggi sappiamo che l’attivita estrattiva, per via dell’automazione, da noi in realtà ha portato pochissimo cupazione analogo a quello atlavoro, mentre venivano stroz- tuale della Grecia. zate attività tradizionali come Crescono dunque i movimenla pesca. Il settore turistico, ti per la difesa del territorio. che provava faticosamente a Alcuni hanno un carattere di decollare, non ha fatto una massa come quello di Milazzo e della Valle del Mela contro fine migliore. Adesso, altri venti chilometri l’inceneritore: il 13 marzo piu di spiagge, tra le piu belle del di tremila persone sono scese Mediterraneo, verrebbero de- in piazza per chiedere – vicino a una delle finitivamente devastate [...] da un lato si scon- maggiori raffinerie d’Europa da piattafortano difficoltà in ter- un nuovo mome che occuperebbero mini di mobilitazione, dello di svilupal massimo dall’altro si parla con po che rispetti vocazione del qualche deconsapevolezza della la territorio. cina di lavosocietà della fine del Il movimento ratori, e che No Triv, nato darebbero lavoro. per contrastare combustibile per non oltre sei mesi. E forse gli accordi stretti da Crocetta qualche spicciolo agli Enti ter- con i petrolieri ha mosso i priritoriali, pochi perché la Sicilia mi passi mantenendosi su di 24
una dimensione teorica. Il piano simbolico e atopico riflette un’operazione che non ha ancora un radicamento nel territorio; da un lato si scontano difficoltà in termini di mobilitazione, dall’altro si parla con consapevolezza della società della fine del lavoro. Il movimento denuncia comunque capillarmente la mistificazione in Sicilia che pretende ancora di legare lo
sviluppo all’attivita estrattiva. Inizialmente, il movimento siciliano contro le trivellazioni aveva i tratti di una lotta legata ad una sensibilita ambientalista post-materialista, nel silenzio colpevole dei media. Oggi - coi suoi comitati per il si’ al referendum - rappresenta la lotta per antonomasia di quest’epoca, raccoglie adesioni sui social, denuncia l’atto brutale della trivellazione come una devastazione non piu solo simbolica ma reale del nostro piu prezioso patrimonio: la terra, il mare. Il 17 aprile anche i siciliani potranno esprimersi con un SI contro le trivellazioni, e dovranno superare un quorum. Ma noi sappiamo che questo è solo l’inizio. �
Esclusivamente per la consultazione referendaria esiste la possibilità per una percentuale di fuori sede di poter votare in un seggio diverso da quello di pertinenza tramite un escamotage, ecco come.
L
’art.19 della Legge 25 maggio 1970 n.352 prevede che alle operazioni di voto e di scrutinio presso i seggi possano assistere ove lo richiedano, un rappresentante effettivo ed un rappresentante supplente di ognuno dei partiti o dei gruppi politici rappresentati in Parlamento, e dei promotori dei referendum. Alle designazioni dei rappresentanti provvede persona munita di mandato, autenticato da notaio, da parte del presidente o del segretario provinciale del partito o gruppo politico oppure da parte dei promotori del referendum. Le designazioni vanno presentate al Comune il venerdì precedente l’inizio delle operazioni di voto, altrimenti è possibile presentare le designazioni direttamente ai presidenti delle sezioni purché prima dell’inizio delle operazioni di votazione. Il rappresentante dei referendum presso i seggi ha diritto ad astenersi dal lavoro durante le giornate di voto, al riposo compensativo e sopratutto diritto al voto presso il seggio cui viene designato come rappresentante del referendum. Tradotto in parole povere significa che coloro che si trovano lontani dal proprio seggio
IO VOTO
FUORISEDE
A
ncora una volta siamo arrivati all’appuntamento elettorale senza che per gli elettori in mobilità ci sia una legge che ne garantisca il diritto di voto a meno di non dover mettere mano al portafoglio con cospicui esborsi di denaro. Ma per il Referendum una possibilità di votare senza per forza dover tornare esiste, come abbiamo spiegato in occasione dei Referendum del 2011 quando votarono in questa maniera ben 80.000 persone. Quanto scritto allora vale anche in questa occasione. Per poter essere delega-
ti potete riempire uno di questi due moduli: riempitene soltanto uno per non essere delegati due volte e sottrarre posti ad altri. Uno è gestito dal Collettivo Studenti per l’ambiente e l’altro dall’UDU , in collaborazione col Comitato nazionale NOTriv. Nonostante quanto scritto sui moduli, il modulo può essere riempito da ogni cittadino, non è necessario essere studente ( riempite dove vi chiedono quale università frequentate con la qualifica lavoratore o altro). tratto da: http://www.iovotofuorisede.it/
COLLETTIVO STUDENTI PER L’AMBIENTE
MODULI
https://docs.google.com/forms/d/1ibOKMQ6dcJ1T_hkIuSbTMcGmF8E3h0t2WO3I9LumLnY/viewform
UDU https://docs.google.com/forms/d/1mERwM_x2D2x3ifkc2GHyhId3PiEnkN093v35C4e5z7g/viewform?c=0&w=1
di pertinenza possono farsi delegare come rappresentanti di lista e, recandosi alla costituzione del seggio sabato 11 giugno muniti della delega, del certificato elettorale e della carta d’identità, dichiarare al Presidente di voler esercitare l’opportunità del diritto di
voto nello stesso seggio. Non c’è nessun obbligo di restare per tutto il tempo delle votazioni ma si può votare ed andare via come un normale elettore! tratto da: http://iovotofuorisede.altervista.org/blog/?p=601
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Italian offshore è la video inchiesta che metterà in luce gli interessi nascosti e l’impatto sull’ambiente della nuova corsa al petrolio nel Mediterraneo.
Chiunque voglia interagire con la nostra redazione, inviare materiale proprio o dare qualsiasi tipo di segnalazioni e reclami (anche in forma anonima), può utilizzare i contatti seguenti:
UN PROGETTO DI: Marcello Brecciaroli - documentarista Manuele Bonaccorsi - giornalista Salvatore Altiero - esperto di politiche ambientali Campagna di crowfunding per la realizzazione del documentario https://www.indiegogo.com/projects/italian-offshore#/
Per seguire tutti gli aggiornamenti del progetto: https://www.facebook.com/Italian-offshore-1615686405360780/?fref=ts
YOUTUBE TWITTER FLICKR
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SOSTIENI L’ASSOCIAZIONE:
http://www.isiciliani.it/sosteniamo-i-siciliani-giovani
Crediti fotografici: - MIchele Puccia | p. 9 - Pietro Dommarco | pp. 20-21 Illustrazioni: - Guglielmo Manenti | p. 8, 10 -Andrea Giovagnoli | p.14
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COPERTINA
Flavio Romualdo Garofano
SITO WEB
Carlo Tamburelli
IMPAGINAZIONE Giulia Di Martino