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EDITORIALE Redazione
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LE GUERRE GLOBALI OGGI Lorenza Erlicher
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GUERRE E CLIMA TRA LE CAUSE PRINCIPALI DELL’ESODO DI DECINE DI MILIONI DI PERSONE Marinella Correggia
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OLTRE IL RICATTO DELL’OCCUPAZIONE. UNA CRITICA ECO-FEMMINISTA Stefania Barca
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FERMARE IL TTIP PER DIRE NO AD UNA EUROPA SENZA DEMOCRAZIA. Intervista ad Alberto Zoratti a cura di Enzo Vitalesta
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UN TORNEO DI PALLAVOLO DI STRADA: PERCHÈ LO SPORT RITORNI AD ESSERE GIOCO Camilla Forti
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editoriale
Un numero dedicato interamente a un festival che si svolgerà a oltre 200km di distanza da Bologna. Vi starete chiedendo: “perché?”. La scelta affonda le radici nella singolarità di questa rassegna, giunta ora alla terza edizione. Si tratta di un evento nato dal basso, autofinanziato e reso possibile dalla disponibilità di persone che gratuitamente mettono a disposizione il proprio tempo per cercare di fare luce su temi normalmente affrontati con un taglio asetticamente istituzionale, se non del tutto trascurati. Quest’anno il filo conduttore è costituito dalle guerre globali del nostro secolo, declinate nei vari corollari: le migrazioni e i confini della “fortezza Europa”; le devastazioni ambientali e il feroce accaparramento delle risorse; i trattati di libero commercio e la sospensione della democrazia. A parlarne saranno attiviste e attivisti che, a vario titolo, si battono da anni per proporre modelli alternativi. Si parlerà dell’ecomostro che gli USA stanno installando nel cuore della Sicilia per perseguire i propri fini bellici con esponenti del movimento NoMUOS; dei nessi tra genere, lavoro e natura con alcune protagoniste della rivendicazione “eco-femminista”; di consumo critico e sovranità alimentare con i GAS di Trento; delle posizioni politiche contro l’ideologia dell’esclusione e del saccheggio dei beni comuni. Il tutto sarà condito da tavole rotonde, eventi ludici finalizzati all’integrazione per recuperare il valore sociale dello sport, banchetti di artigianato di riuso e tanto altro ancora. Coerente con i valori della rassegna anche la location: ad ospitare i vari eventi non saranno, infatti, le anguste stanze di anonimi edifici ma l’accogliente parco S. Chiara. Nonostante stia uscendo a ridosso del festival, questo breve numero vuole essere, più che una mera riproposizione del programma, una piccola finestra sui preziosissimi spunti di riflessione proposti da OltrEconomia, e attraverso di esso riteniamo utile dare voce a questa realtà che si sposa con i nostri valori, con l’ambizione di poterla diffondere anche al di fuori dei confini regionali dell’evento. D’altronde, la caratura dei temi affrontati oltrepassa qualsiasi confine, come si evince dallo stesso titolo della kermesse, e dimostra che siamo immersi in un intreccio olistico di fatti e fenomeni interdipendenti. �
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LA GUERRA GLOBALE OGGI
di Lorenza Erlicher
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ecidere di affrontare, quando qualche mese fa prendeva avvio l’idea di questo festival, la questione guerra voleva dire assumersi il rischio di arrivare fuori tempo massimo rispetto al procedere rapido degli eventi. Nei colpi di coda del sanguinoso conflitto siriano, più di una volta si è rischiato di passare il confine fragile oltre cui una guerra per procura deflagra in uno scontro diretto fra potenze. Il caos libico, l’ultimo provocato dalla lungimiranza interventista occidentale, per mesi è stato oggetto di attenzione (ma mentre si discuteva erano già in azione i droni) per una possibile nuova operazione di terra, dagli esiti imprevedibi-
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sulle periferie già investite dai disastri della crisi finanziaria. Ma, proprio a fronte di una situazione in divenire, alla sensazione tangibile, anche nel sentire comune che la guerra non è più solo alle porte di casa, ma realtà concreta anche nell’Europa che vanta 70 anni di pace (a sproposito, poiché la li. In Europa, di nuova colpita guerra è stata semplicemente in casa a Bruxelles dagli atten- delocalizzata altrove, traentati, cominciava a sgretolarsi done anche consistente lucro), sotto il peso della pressione ritenevamo urgente affrontare migratoria ogni parvenza di questo tema in una prospettiva comunità, che non fosse quella contemporanea. della mera impalcatura econo- Perché la dimensione in cui mica neoliberista garante di questa guerra globale dai molti volti cresce è l’alienazione, un’austerità fine a se stessa. I migranti, effetto a breve e dall’informazione, dal dibatlungo termine di 25 anni di tito politico e pubblico. Gli inguerre nel nome dell’ingerenza terventi armati, a cominciare umanitaria e dell’esportazio- da quello in Iraq di 25 anni fa, ne della democrazia, dal mo- che hanno inaugurato questa era mento in cui [...] la dimensione in devastante della guerra infisi sono presentati alle cui questa guerra glo- nita erano sostenostre porte bale dai molti volti nuti anche da un intercome umanicresce è l’alienazione. massiccio ventismo mediatà concreta in cerca di pace e futuro, sono tico. Come osserva il giornadiventati problemi da scari- lista John Pilger, la guerra del care sui vicini, possibilmente 2003 in Iraq non sarebbe stata
2 Giugno - h 20.45 whorkshop AGIRE SUI CONFINI
Si affronteranno le diverse attività di monitoraggio e supporto nelle zone di confine, provando al tempo stesso ad articolare proposte operative di supporto ai migranti.
AGIRE SUI CONFINI
possibile se non ci fosse stato un esercito mediatico pronto a farsi megafono, fino a renderle verità, delle palesi invenzioni sulle armi di distruzione di massa, create per legittimare presso l’opinione pubblica i bombardamenti. Ma quei mesi di propaganda sfacciata e menzognera, in cui erano arruolati fior di opinionisti, consentiva di tenere alto un dibattito e una mobilitazione di cui ora non c’è più traccia, e che è necessario invece ricostruire a partire dalla consapevolezza, dalla ridefinizione del fenomeno guerra nelle varie forme in cui oggi si presenta. Tutto ciò sarà oggetto del tavolo del 2 giugno all’OltrEconomia Festival, in cui saranno portati alla luce gli aspetti che più sono sottratti alla conoscenza e alla discussione pubblica. A cominciare dai conflitti che interessano lo Yemen, su cui cadono anche le bombe giunte dall’Italia alla stessa Arabia Saudita, che per anni ha passato armi e miliziani all’ISIS, il nemico dichiarato comune. O quello sul doppio fronte che colpisce il Rojava, la regione kurda al confine tra Siria e Turchia, a cui è
negata la possibilità di avere voce nei negoziati sul futuro. Vogliamo indagare il movimento di mezzi e strumenti
militari che investono direttamente il nostro territorio imponendo pesanti servitù militari alle popolazioni che le subiscono, nell’ambito di una Nato ancora narrata come alleanza di pace e sicurezza, mentre rende i cittadini europei inconsapevoli prima linea dello scontro per l’accaparramento ed il controllo delle risorse. Cercheremo di approfondire le connessioni, ancora non sufficientemente indagate ma evidenti, tra la guerra, i cambiamenti climatici e i movimenti migratori.
Stiamo vivendo il tempo della guerra, non solo perché la ridefinizione degli assetti del potere globale si traduce in un arco di scontri aperti dal Medioriente all’Ucraina, ma anche
perché la guerra, lo strumento militare, la repressione, sembrano rappresentare l’unica risposta alle molte crisi – finanziaria, ambientale, sociale e politica- poste da questo sistema economico. A pretendere risposte diverse, a cominciare dalla redistribuzione delle risorse fagocitate dall’apparato militare, possiamo essere solo noi cittadini. �
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Guerre e clima
tra le cause principali dell’esodo di decine di milioni di migranti
Eppure, i conflitti che l’Occidente conduce con i propri bombardieri o fomenta – senza subire mai conseguenze in Nel 2015 140 milioni di persone costrette a termini penali, economici e fuggire a causa di siccità e alluvioni politici – continuano a provocare esodi biblici: non solo di cittadini dei paesi bombardati avoratori migranti in te da guerre od oppressioni): è o attaccati, ma anche di miliofuga dalle nostre guerre, bollato come clandestino e re- ni di migranti che in quei paesi sfollati dalla nostra guer- spinto al suo paese, o schiaviz- lavoravano. Un nigerino o un ra al clima, vittime dello sfrut- zato in campagna dai caporali, burkinabè che, perso il lavoro tamento post-coloniale: tre con infinite complicità. Eppu- in Libia a causa della guerra categorie a cui è negato tutto. re, dei danni da caos climatico della Nato nel 2011, cercano Eppure, accoglierli non è gene- sono responsabili i paesi ab- di approdare in Europa, non rosità, è un obbligo da parte di bienti, già colpevoli di sfrut- hanno diritto di essere riconochi è colpevole delle loro sven- tamento coloniale e post-colo- sciuti come rifugiati. E invece, dovrebbero avere ture: anche l’Europa. Stima niale ai danni [...] fra il 2008 e il 2013 addirittura avere, lo State of the World 2015 del di Africa, Asia le persone che hanno dai paesi Nato, World Watch Institute che fra e America lail 2008 e il 2013 le persone che tina. Anche la dovuto spostarsi in al- un risarcimento danni. abbiano dovuto spostarsi in quasi totalità rte aree o paesi, a cauEcco alcuni nualtre aree o paesi, a causa dei delle decine sa dei disastri ambienmeri sulle fughe disastri ambientali e climatici, di milioni di siano state circa 140 milioni. sfollati e rifu- tali e climatici, siano dai conflitti prodotti o direttaSolo una piccolissima mino- giati di guerstate circa 140 milioni. mente fomentati ranza bussa alle porte dell’Oc- ra nel mondo cidente. Dove un migrante am- rimane all’interno dei rispetti- dall’Occidente, negli ultimi 25 bientale o economico non ha vi paesi o nei paesi confinanti; anni. L’Italia non si è mai sotdiritto allo status di rifugiato solo 600mila sono stati accolti tratta... (perché non fugge direttamen- in Europa.
di Marinella Correggia
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1991: «Tempesta nel Golfo», guerra all’Iraq. La guerra provoca l’esodo di circa tre milioni di persone dall’area. Fra questi, 300mila lavoratori palestinesi vengono espulsi per vendetta dal Kuwait «liberato» e da altre petromonarchie, o lasciano l’Iraq distrutto dalle bombe e impoverito e dal successivo embargo. Abbandonano l’Iraq in tutto circa un milione di lavoratori stranieri (bengalesi, egiziani, yemeniti, filippini, indiani, pakistani...). L’Arabia saudita espelle circa 800mila yemeniti perché il loro paese non ha votato a favore della guerra all’Iraq. 1999: «Operation Allied Force», bombe Nato su Serbia e Kosovo . L’azione militare, non approvata dall’Onu, provoca – invece
di prevenire o arrestare – l’esodo di massa di centinaia di migliaia di kosovari. Dopo la vittoria della Nato, sono i serbi a fuggire a decine di migliaia dal Kosovo «liberato». 2003: Operazione «Iraqi Freedom», bombardamenti e invasione/occupazione dell’Iraq. Varia fra i 3,5 e i 5 milioni il numero di iracheni sfollati interni e rifugiati all’estero a causa dell’occupazione anglo-statunitense (con alleati) del 2003 e della successiva guerra setta-
ria. A partire dal 2014, un milione e 800mila iracheni hanno lasciato le loro case di fronte all’avanzata del cosiddetto Stato islamico in Iraq. 2011: Libia, «Unified Protector», sette mesi di bombardamenti Nato. Fino al 2011 in Libia lavoravano oltre due milioni di stranieri,
regolari o irregolari, fra nordafricani (in primis egiziani), africani sub-sahariani e asiatici (70-80mila dal Bangladesh). Con le bombe della Nato e la concomitante «caccia al nero» da parte dei «ribelli» libici alleati della Nato sul campo, lasciano la Libia 800.000 lavoratori migranti. Con l’arrivo dei «ribelli» a Tripoli, fine agosto 2011, lasciano il paese anche quasi due milioni di libici, distribuiti soprattutto fra Tunisia e Libia senza un vero status di rifugiati. 2011-oggi: Siria, guerra fomentata da paesi Nato e petromonarchi Dal 2011, sei milioni e mezzo di siriani sono diventati sfollati interni; tre milioni hanno lasciato il paese. Poche centinaia di migliaia hanno ottenuto asilo in Europa. 2015: Yemen, bombardamenti dell’Arabia saudita e alleati. A partire dal 26 marzo 2015, con i bombardamenti sullo Yemen da parte di una coalizione di paesi arabi guidati dall’Arabia Saudita e cn l’appoggio tecnologico degli Usa, oltre un milione di yemeniti si sono spostati in altre zone. Sono altri potenziali richiedenti asilo in Europa. L’Arabia saudita è il primo acquirente di sistemi d’arma dall’Italia. �
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OLTRE IL RICATTO DELL’OCCUPAZIONE Una critica ecofemminista
di Stefania Barca
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ra i costrutti ideologici piú potenti del nostro tempo vi è quello dell’incompatibilitá tra lavoro (occupazione) e ambiente (salute), diabolicamente concepito per oscurare la presenza di un terzo incomodo – l’accumulazione – ossia la vera causa della crisi ambientale e sociale. Senza accumulazione, ci assicura il pensiero unico neo-liberista, non ci sará piú crescita economica, dunque neanche piú occupazione (e tanto meno welfare). Per quanto mi riguarda, intendo contribuire a smantellare l’apparato ideologico che sostiene il ricatto occupazionale, e per farlo ricorreró al mezzo che trovo piú appropriato, quello della critica eco-femminista del capitalismo. La teoria e la critica eco-femminista hanno decostruito la visione androcentrica dell’economia mostrandone il nesso con la crisi ecologica contem-
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lavoro/natura va considerato poranea, una crisi che deriva come chiave di volta della criproprio dalla subordinazione si ecologica contemporanea. della riproduzione – attivitá Questa autrice descrive la distoricamente femminilizzata visione sessuale del lavoro – alla produzione, attraverso che, attraverso un lungo perprocessi di valorazione econo- corso storico, ha assegnato mica/monetaria centrati sulla alle donne compiti per lo piú trasformazione della natura riproduttivi, di cura del vivenin merce, per mezzo di lavoro te e dell’ambiente fisico, e di salariato, e sulla esternalizza- trasmissione della cultura, in zione dei costi socio-ecologici. quanto agli uomini sono staCome possiate riservate mo sbarazzar- [...] una crisi che deriva le mansioni ci una volta proprio dalla subordina- produttive, per sempre di zione della riproduzio- sia in termiquella nefasta ni fisici che visione e dei ne -attività sroicamente intellettuadualismi con- femminilizzata- alla pro- li. Tale dicettuali che visione del duzione. reggono la dilavoro pogvisione sessuale del lavoro? gia su una concatenazione dei Se lo osserviamo da vicino, ci dualismi concettuali che – seaccorgiamo che il ricatto occu- condo quanto dimostrato da pazionale si fonda su un fat- tutta la letteratura economica tore che sfugge all’attenzione femminista – caratterizzano il proprio per la sua evidenza discorso economico, a livello lampante: la divisione sessuale sia scientifico-accademico che del lavoro, e l’indiscusso pri- politico: Societá/natura, Agenmato concettuale della ‘produzio- zia/passivitá, Produzione/rine’ sulla ‘riproduzione’. Secondo produzione, Maschile/femmil’economista politica australia- nile. na Ariel Salleh, il nesso genere/ Il risultato è stato un model-
lo economico androcentrico, che ha a lungo invisibilizzato e devalorizzato tanto la natura quanto le donne, trasformate in risorse passive prive di agenzia storica, definendo il loro lavoro come ‘riproduzione’ per renderlo subalterno alla produzione, attivitá suppostamente superiore in termini economici. Tale modello è stato naturalizzato dentro un ordine simbolico acriticamente assunto anche dal marxismo ortodosso e persino da una parte del femminismo liberale – che punta ad una maggiore valorizzazione economica delle donne nel sistema capitalista, senza peró mettere in discussione le logiche di competizione e produttivitá su cui questo si basa. L’approccio androcentrico si iscriveva dentro il piú ampio percorso intellettuale della economia politica femminista, che, a partire dagli anni 70, aveva elaborato una analisi critica della svalorizzazione congiunta di natura e lavoro delle donne
e dei dualismi concettuali ad essa associati, proponendo visioni alternative centrate sulla sussistenza, e sulla sovranitá alimentare come basi della rivoluzione anti-capitalista. L’approccio politico economico femminista veniva per lo piú costruito a partire dalla prospettiva delle donne del Sud del mondo, e specialmente della componente rurale e indigena, intese come il gruppo numericamente piú rappresentativo in termini demografici, e al tempo stesso piú fortemente sfruttato e oppresso, tanto materialmente quanto culturalmente, della classe lavoratrice mondiale. L’oggetto polemico di queste autrici era principalmente il lungo processo stori-
co conosciuto come ‘rivoluzione verde’, causa principale – con il
supporto della Banca Mondiale – di una ‘accumulazione originaria’ permanente nel Sud globale, che separava le donne dai mezzi di sussistenza attraverso i quali esse assicuravano la produzione di cibo per la comunitá di appartenenza, al tempo stesso compromettendo irrimediabilmente la sostenibilitá ecologica dell’agricoltura mondiale con l’immissione massiccia di erbicidi, pesticidi e fertilizzanti chimici. Una ‘rivoluzione’, questa, portata avanti in nome del principio della produttivitá, ossia del maggiore rendimento economico dell’agricoltura industrializzata – ma in realtá guidata principalmente dalla logica dell’accumulazione. L’agricoltura industrializzata infatti presenta un bilancio energetico, ecologico ed economico altamente negativo rispetto a quella di sussistenza: il vantaggio principale che essa offre è quello di garantire alti profitti al capitalismo agrario, alle multinazionali della chimica, agli istituti di credito agricolo ed agli speculatori sul mercato alimentare mondiale. È importante notare che, sebbene con diverse sfumature culturali e sociali dipendenti dal contesto, la divisione sessuale del lavoro è statisti-
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camente rilevante anche nel Nord, con le donne fermamente relegate in posizioni subordinate nell’economia e nella societá, ma soprattutto viene mantenuta intatta sul piano concettuale Sebbene si sostenga con convinzione che la soluzione con-
siste nel sostituire la cultura patriarcale con la matriarcale, acriticamente assunta come risolutrice di tutte le contraddizioni, sono convinta che il punto sia invece l’elaborazione di un pensiero critico non-dualista, capace di permettere il superamento della dicotomia tra produzione e riproduzione e dunque di orientare nuove strategie, piú efficaci e politicalente radicali, di uscita dalla crisi. Il concetto, proposto da Ariel Salleh nei suoi contributi piú recenti, di ‘lavoro meta-industriale’, costituisce un passo in avanti. Esso indica l’insieme di quei lavori ‘altri’ rispetto a ció che l’economia androcentrica considera produttivo: tra questi, l’agricoltura di sussistenza e la riproduzione biologica e sociale, largamente – anche se non esclusivamente – svolti da donne. Il lavoro meta-indutriale (salariato e non) rappresenta - secondo l’autrice - l’assoluta maggioranza della classe lavoratrice globale, e al tempo stesso svolge un ruolo 10
fondamentale nel garantire la sostenibilitá ecologica. Il movimento sindacale dovrebbe dunque liberarsi di concezioni androcentriche del lavoro, dell’economia, e dell’ecologia, fondate sul primato economico del lavoratore maschio del
settore industriale ad alta intensitá di capitale, e difendere al contrario la prioritá del lavoro meta-industriale in quanto via di uscita dall’impasse ecologico attuale. Il concetto di lavoro meta-industriale riproduce, tuttavia, la divisione sessuale del lavoro e la dicotomia tra produzione e riproduzione, ribaltando la scala delle prioritá in una direzione piú sostenibile. Manca, in Salleh, una chiara strategia di superamento della divisione sessuale del lavoro in quanto chiave di volta per la rivoluzione ecologica. La divisione sessuale del lavoro e la critica eco-femminista dell’economia non si esprimono soltanto sul piano della teoria economica, ma anche su quello dell’attivismo. Ad esse sono legati in vari modi una lunga serie di movimenti contro i rifiuti tossici, il nucleare, l’attivitá estrattiva, la deforestazione e i pesticidi, le grandi dighe e altri progetti ad alto impatto ambientale in diversi contesti geografici. Le lotte
contro la deforestazione in India, originate con il movimento Chipko negli anni ‘70; quelle per la giustizia ambientale negli
USA, nate verso il finire degli anni ’80; ed il femminismo indigeno/comunitario sviluppatosi in America Latina nell’ultimo decennio in reazione all’impatto territoriale del neo-estrattivismo, sono solo alcuni esempi di questo fenomeno. La divisione sessuale del lavoro rischia di trasformarsi in una divisione sessuale dell’attivismo, che entra dentro le comunitá, dividendole in schieramenti interni – tra lavoratori/ ici della produzione e della riproduzione sociale – e ne indebolisce le lotte, rendendole incapaci di liberarsi della logica del ricatto occupazionale. Se il nostro obiettivo, dunque, non è la sostenibilitá del modello accumulazione/occupazione ma la rivoluzione ecologica, il punto di partenza è la messa in crisi, qui e ora, dei dualismi concettuali che reggono la divisione sessuale del lavoro a livello materiale, intellettuale, e politico, e dunque l’elaborazione di teorie e di pratiche che rendano possibile il suo superamento.�
Intervista ad Alberto Zoratti
FERMARE IL TTIP
per dire NO ad una Europa senza democrazia a cura di Enzo Vitalesta
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l trattato internazionale TTIP in discussione tra Europa e Usa è l’ennesimo passo per svuotare l’Europa di qualsiasi valore e principio democratico” . Così Alberto Zoratti dell’associazione Fairwatch sintetizza i motivi della campagna STOP TTIP, che lo scorso 7 maggio ha visto sfilare per le strade di Roma circa 30 mila persone. “Una piazza plurale, allegra e determinata, che riassumeva in sé un’ampia composizione sociale che, in oltre due anni di lavoro nei territori, si è aggregata intorno a questa battaglia”.
C’erano i produttori agricoli e le piccole imprese, i sindaci di diversi Comuni, le reti dell’altra economia, del commercio solidale e del consumo critico, le associazioni ambientaliste e di movimento, i sindacati e le forze politiche. Una delegazione proveniente anche da Trento e Bolzano. E, soprattutto, tantissime donne e uomini da tutta Italia che hanno deciso di scendere in campo per fermare un trattato che mette a repentaglio diritti e democrazia. Alberto Zoratti concluderà il 4 giugno l’OltrEconomia Festival di Trento tirando le fila di
un’elaborazione complessiva che, partendo dalle guerre e dai conflitti, vuole concludersi con il rilancio di una battaglia della società civile che può concludersi vittoriosamente: fermare il TTIP. “Perché insieme è possibile e necessario, perché il trattato si prefigge l’abbattimento di tutte le barriere non tariffarie, che – a detta delle multinazionali e delle lobby finanziarie – ostacolano la piena libertà d’investimento tra le due sponde dell’Atlantico. Peccato che le barriere non tariffarie siano esattamente tutte le leggi, normative e regolamen-
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ti attualmente esistenti che sesto dei prodotti Igt (indicatutelano i diritti del lavoro, la zione geografica tipica, ndr) salute, l’ambiente, la sicurezza italiani saranno riconosciuti alimentare, i servizi pubblici, dagli USA e in cambio di cosa? la sanità Il mercato italiano e l’istru- [...] il trattato si prefigge sarà invaso da proz i o n e . l’abbattimento di tutte dotti a basso costo Molti statunitensi spazle barriere non tariffapiccoli zando via larga parrie, che [...] ostacolano la produtte delle produzioni tori agri- piena libertà d’investi- locali e artigianali coli speche caratterizzarano di mento tra le due sponde no il nostro Paese”. dell’Atlantico sfondaPerché di questo si re nel tratta. Il Partenariamercato statunitense. Ma è to Transatlantico sul Commersolo demagogia mediata dalle cio e gli Investimenti (TTIP) è lobby internazionali. Solo un un negoziato tra Unione Eu-
TAVOLO 4 GIUGNO
Da questa parte del mare: conflitti, diritti e partecipazione, per una giustizia senza confini
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Attraverso le testimonianze di Christian Elia, condirettore del settimanale online Q –code e attivista di Emergency, sarà data una lettura di quei fenomeni contemporanei che hanno portato a scindere sempre di più, nell’informazione mainstream, il legame stretto tra disuguaglianze economiche e guerre, tra controllo delle risorse e diritti umani, denunciando il mercato delle armi e il business sulla pelle dei migranti.
Con Caterina Amicucci, di recente tornata dall’esperienza umanitaria dalI’isola di Lesbo, verranno analizzate le varie fasi dell’attuale ciclo economico, caratterizzato da grandissime ricchezze, enormi quantità di merci circolanti e molti settori di consumo ormai saturi; un sistema dell’abbondanza che per continuare ad estrarre profitto accumula, privatizza e finanziarizza i beni comuni, progetta infrastrutture inutili, consuma suolo ed ecosistemi, specula sulle guerre. In questo modo produce scarsità, provocando lo spostamento forzato di milioni di persone.
ropea e Usa, avviato nel luglio 2013 nella più totale segretezza e opacità, che solo l’azione dei movimenti e della società civile ha potuto in qualche modo rompere, rivelando a tutti la vera posta in gioco. Sono quindi oggetto di negoziazione tanto l’esistenza del contratto collettivo di lavoro quanto il principio di precauzione ambientale, nonché tutte le norme di sicurezza alimentare che vietano gli Ogm, l’uso massiccio di pesticidi, la clorinatura dei polli, la carne agli ormoni. E sono sotto attacco il sistema pubblico scolastico e sanitario,
Con Augusto de Sanctis , referente regionale abruzzese del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e tra i portavoce della Campagna contro la Devastazione e il Saccheggio dei Territori e per i diritti sociali ed ambientali, si parlerà delle grande vittoria dei movimenti che ha impedito la costruzione sull’adriatico della piattaforma petrolifera Ombrina. Alla luce della nuova stagione dei Referendum Sociali, contro la Buona scuola, gli inceneritori, le trivelle petrolifere e contro le privatizzazioni del decreto Madia, faremo il quadro dello stato di salute del nostro Paese, a livello democratico e socio-ambientale.
Alberto Zoratti, di Fairwatch, tra i portavoce della campagna STOP TTIP, chiuderà la conferenza spiegando le ragioni della mobilitazione, contro un trattato che affossa la democrazia, getta ombre sulla sicurezza alimentare, e rafforza i processi di privatizzazione nel nostro Paese. Ma la campagna contro il trattato si articola anche a livello internazionale e nuove manifestazioni sono previste in Europa nei prossimi mesi, per dire NO, alle imposizione del neoliberismo, e costruire, nei nostri Paesi, dei luoghi in cui restare e accogliere.
nonché tutti i servizi pubblici ta anche per le incertezze che attualmente serpeggiano tra locali. Culmine di tutto questo pro- i governi e incalzati dalle mocesso, è la possibilità per ogni bilitazioni della società civile impresa transnazionale di ci- di Germania, Francia, Inghiltare in giudizio uno Stato o terra e stati Uniti. Per molto qualsiasi autorità pubblica, tempo le istituzioni europee e presso corti private di arbitra- il governo italiano hanno acto commerciale internazionale cusato la campagna Stop TTIP (ISDS), ogni volta che queste di allarmismo e di dietrologia, cercando ritengano Sono quindi oggetti di di rassicurache una legge o una negoziazione tanto l’esi- re l’opinione pubblica in normativa stenza del contratto colmerito al fatapprovata nuocia alle lettivo di lavoro, quanto to che mai i a s p e t t a t i v e il principio di precauzio- diritti e le tutele acquisite di profitne ambientale, nonchè nella storia tabilità del proprio in- tutte le norme ri sicurez- d e l l ’ E u r o p a sarebbero stavestimento. za alimentare. “Si tratta, a te messe in tutti gli effetti, di un attacco discussione. Sono stati ancora alla democrazia e del tentativo una volta smentiti, grazie alla di passare dallo stato di dirit- recentissima pubblicazione da to allo stato di mercato: se fino parte di Greenpeace di gran ad oggi è infatti la democrazia parte del testo consolidato a definire i vincoli del merca- su cui è attualmente attestato, con il TTIP sarà il mercato to il negoziato, che conferma e definire i vincoli della demo- quanto la campagna Stop TTIP crazia” e questa battaglia se- dice dall’inizio. condo Zoratti può essere vin- “Ma i giochi non sono anda-
ti come i padroni del vapore avrebbero voluto – prosegue Zoratti - le ultime mobilitazioni hanno coinvolto 850 città di Europa e Stati Uniti. Per luglio è prevista una mobilitazione a Bruxelles mentre a ottobre i movimenti internazionale dei due continenti proveranno la spallata finale per fermare i negoziati” . Trattati come questi possono essere siglati a due soli condizioni: la segretezza e la velocità. Fallita la prima, la seconda non ha potuto essere messa in campo, e il trattato, la cui conclusione era prevista a fine 2014, è a tutt’oggi incagliato, tra l’incudine di una mobilitazione sociale che è cresciuta in tutta Europa e al di là dell’Atlantico, e i conflitti interni emersi tra interessi nazionalistici e poteri industriali: il recente disimpegno del governo francese, le titubanze della stessa Germania sono solo i primi scricchiolii di una costruzione edificata in fretta e senza attenzione alla solidità delle fondamenta. �
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UN TORNEO DI PALLAVOLO DI STRADA
di Camilla Forti
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ll’interno della scorsa edizione dell’OltrEconomia festival, la giornata dell’1 giugno è stata dedicata allo sport popolare, grazie alla partecipazione nell’organizzazione dell’OEF stesso dell’Associazione sportiva dilettantistica “Polisportiva Clandestina”. Questa realtà, nata a Trento nell’aprile del 2015, pone alla base delle sue attività l’inclusione sociale attraverso la pratica sportiva, cercando di abbattere qualsiasi tipologia di barriera, sia essa fisica, sociale o di genere. Parlare di sport popolare signi14
perchè lo sport ritorni ad essere gioco fica infatti parlare di uno uno spazio di socialità casport che sia accessibile pace di di includere chiune fruibile da chiunque, que avesse voglia di parteriempiendolo concreta- cipare. mente di quei valori che Non è stato un torneo claslo rendano strumento dal sico, con preiscrizioni e basso di partecipazione ed squadre già formate, ma si è voluto creare un “torneo aggregazione sociale. di strada”, che P r o Lo sport come forma di riproponesse p r i o riappropriazione degli la spontaneità sulla base di spazi, per ridare vita alle derivante dalle dinamiche del questa città. gioco di strada. visione, si è deciso di organiz- Un po’ come succedeva una zare un torneo di pallavolo volta, quando, soprattutto che, in linea con il discorso nei paesi - questo il ricorportato avanti dal festival, do raccontatomi da nonni si opponesse in manie- e genitori -, ci si trovava in ra propositiva alle discri- strada con un pallone e il minazioni presenti nello gioco diveniva fonte di lesport “ufficiale”, creando game tra le persone, che
4 Giugno - h 11.00
entravano in contatto senza possedere i mezzi tecnologici di oggi. Lo sport quindi anche come forma di riappropriazione degli spazi, per ridare vita alle città, ai parchi, alle strade, ai luoghi ora lasciati silenziosi e inanimati (in più molte volte accusati di non essere abbastanza sicuri). Proprio per queste motivazioni, si è quindi
di una squadra già definita, ma bastava presentarsi al parco S.Chiara, e lì si sarebbe trovato una rete da pallavolo, una palla e un gruppo di persone con cui giocare. Nulla di più semplice. Si è inoltre cercato di pubblicizzare l’evento a tutte quelle realtà trentine (migranti, senza tetto, persone con disabilità) a cui
deciso che per poter partecipare non era necessario né iscriversi né esser parte
solitamente è impedita la partecipazione ai tornei per questioni di caratte-
re economico, ma anche perchè ritenute inadeguate in determinati contesti secondo certe bizzarre consuetudini sociali. Lo sport è quindi diventato concretamente strumento di integrazione e punto di incontro tra realtà differenti, molte delle quali il più delle volte sono appunto escluse e relegate ai margini della società. Il torneo, durato tutto il giorno, ha avuto un riscontro molto positivo e ha visto la partecipazione di una quarantina di persone. Le squadre si sono evolute e modificate nel corso della giornata per permettere l’entrata e l’inclusione di nuovi o nuove arrivate, senza con questo rovinare l’andamento del torneo. Anche quest’anno verrà riproposta la stessa iniziativa domenica 5 giugno, sperando di ricevere la stessa risposta positiva della prima edizione. � n.31 | MAGGIO 2016
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PROGRAMMA DEL FESTIVAL https://oltreconomia.info/programma-2016/
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COPERTINA
Flavio Romualdo Garofano
SITO WEB
Carlo Tamburelli
IMPAGINAZIONE Giulia Di Martino
n.31 | MAGGIO 2016
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