Numero 25 novembre 2014

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“L’origine mitica della cultura latina della grande Roma, che ha il suo massimo cantore in Virgilio, è generata dall’arrivo sui lidi italici di un rifugiato politico, Enea. Perché cos’altro fu Enea se non un rifugiato in fuga da una guerra perduta per salvare la sua gente? E la sua lunga peregrinazione che lo portò di luogo in luogo fin da noi, che cosa fu se non una migrazione con i “barconi” a remi e a vela di allora? La leggenda fondativa della nostra civilizzazione nasce dal meticciato di un rifugiato politico migrante, con un’autoctona italico-latina. E se cerchiamo altre radici costitutive, incontriamo il poema omerico di Odisseo, viaggiatore incessante, eroe vittorioso che diventa rifugiato-migrante e non smette di viaggiare con Dante secoli dopo e con Joyce, dopo altri secoli a seguire. Se fossero stati varati provvedimenti restrittivi ai suoi spostamenti, non avremmo avuto l’Odissea.”

Moni Ovadia

Sconfinare l’immigrazione di Diego Ottaviano

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Mare nostrum e triton La campagna “SOS Europa” - Amnesty International

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L’accoglienza dei richiedenti asilo in emilia-romagna di Lorenzo Pedretti

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Perché i cie di bologna e modena sono stati chiusi di Giulia Silvestri

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Agevolazioni fiscali per gli imprenditori stranieri? Solo favole di Gianluca di Maita

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Pozzallo: l’altra Lampedusa

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Borderline Sicilia

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Sabir, il festival delle culture mediterranee

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in alto: La partenza di Ulisse - Claude Lorrain (1646)


Sconfinare l’immigrazione. di Diego Ottaviano Migrare. Fuggire con cervello e qualche valigia. Lasciare casa, Terra Nostra. Metabolizzare le speranze. Crescere idee, svilupparle. Individuare il gusto dei venti pieni, diversi. Soffrire nostalgia. Collezionare informazioni. Leggere percentuali di gente che va, che viene. Voler esser in un dove lontano. Capire e interpretare. Scoprire che gli italiani che han fatto fagotto sono tanti, tantissimi. Una metropoli. Nel loro parlare metodico i numeri dicono “aumento”. Nella loro retorica, opportunità. E così, mentre già molti italiani vivono tra le terre del ketchup sulla pasta e dell’espresso sempre troppo lungo, un altro pezzo d’Italia se ne va, immigra. Sempre di più sono, infatti, gli italiani che sostituiscono il ‘buon giorno’ con tentazioni e sinonimi dal suono inglese, tedesco, francese e chissà alle volte asiatico. In Italia e nel solo 2013, si parla d’incrementi d’immigrazione pari al 19%. Diversamente, è come se l’intero comune di Lecce si fosse trasferito all’estero, seppure gli organi competenti ipotizzino la registrazione all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) solo per un italiano su due. In pratica la totalità del comune di Parma. E così mentre nuovi portatori

di pizza e mandolino onorano le tasse in una lingua diversa e straniera, capita che da est come da sud, immigrati diversamente portatori di diavolo e terrorismo, ripongano nella parola “immigrazione” l’opportunità di una speranza. L’immigrazione non ha confini. Sono, infatti, i flussi migratori nel mondo a segnare aumenti che preoccupano le politiche internazionali e che creano situazioni di probabile disagio economico e sociale. Ciò in evidenza, il problema non è delimitato dai soli flussi migratori, ma piuttosto dalla volontà dei governi di sviluppare e investire in un processo d’integrazione stabile, valido ed efficace. A conferma, un recente studio, pubblicato dal British Journal of Social Work e prodotto dalla Boston College, riferisce proprio nella mancanza di politiche d’integrazione uno dei fattori causa di tensioni e malumori tra cittadini e di diffusione di stereotipi e pregiudizi dal valore negativo, antipatico e di scarsa conoscenza culturale. E’ in questo passaggio che l’immigrazione, legale o illegale che sia, diviene argomento politico per la conquista di una scheda elettorale e per la vendita di un manifesto populista che vende sicurezza producendo incertezza, pregiudizio e ideali razzisti. Un esempio evidente sono i Paesi

Bassi. Negli ultimi quattro anni la politica olandese ha registrato un aumento di sentimenti nazionalisti e anti-immigrazione specie nei confronti delle due più larghe comunità straniere, quella marocchina e quella turca. Tale valutazione è riconducibile a molteplici fattori, tra i quali la politica nazional-populista di Geer Wilders e del suo Partij voor de Vrijheid (PVV, partito delle libertà), già famoso per lo slogan ‘Henk e Ingrid stanno pagando per Alì e Fatima’, e per le alleanze euroscettiche con il Front National di Marie Le Pen, con la Lega Nord di Matteo Salvini e con i fiamminghi del Vlaams Belang, partito della destra sociale belga. Note stonate a parte, i Paesi Bassi sono tra le nazioni ai primi posti su scala mondiale, per l’attuazione di un processo d’integrazione solido ed efficiente. In tale direzione, le politiche migratorie adottate dal Binnenhof, sede del parlamento olandese, hanno preferito strategie politiche che trovano nell’intersezione tra immigrazione e integrazione di tipo economico, sociale e politico, la chiave di volta per una società multiculturale e polifunzionale. I Paesi Bassi focalizzano le politiche d’integrazione sul dialogo, sull’educazione e sull’occupazione. Tra queste si registrano soprattutto l’insegnamento della lingua considerata elemento essenziale 3


per facilitare l’inserimento nella società olandese, l’uguaglianza di trattamento per facilitare il mantenimento e contenimento di sentimenti negativi e di disagio, lo sviluppo di un’educazione multi-culturale con lo scopo di aumentare la capacità di conoscenza, dialogo e integrazione già tra giovanissimi studenti, e molto importante, il coinvolgimento attivo degli immigrati alla vita politica democratica e nazionale attraverso il diritto di voto, concesso per le elezioni comunali dopo un solo anno di residenza nei Paesi Bassi. Chiara dall’Italia, Mohamed dal Marocco, François dalla Francia e Jelica dalla Serbia, oggi vivono nei Paesi Bassi e come loro ci vivo anch’io. Insieme rientriamo in quel gruppo di persone costrette, per un motivo o per l’altro, in un paese che non riflette la nostra bandiera culturale. E’ questa massa oceanica che muove i confini del mondo. Gli abbatte, gli altera, a prescindere dalla provenienza, dalla cultura e dal crocefisso di devozione. Da fuori lo Stivale, ho imparato a conoscere e apprezzare il valore della multiculturalità, delle cose che funzionano prima della politica. Fuori dal Bel Paese ho anche conosciuto un’Italia diversa, spesso ignorante, spesso testarda e purtroppo ancora razzista. Da immigrato ho scoperto il potere di proporre idee alla gente comune, prima che alle istituzioni. Ad Amsterdam, ho scoperto la bellezza critica e costruttiva di un’opinione ascoltata, che può produrre. Da cittadino italiano mi sono sentito culturalmente inferiore. In Olanda, lavoro a un progetto, una fondazione culturale. Lo faccio con l’appoggio delle istituzioni e grazie all’interesse e aiuto di giovani olandesi, che del fatto che sia immigrato o no se ne fregano al quanto. Per loro è semplicemente la possibilità di un piatto di pasta senza ketchup, cucinato da chi ‘pizza, mafia e mandolino’ alla fine fa sentire a casa. 4

Mare Nostrum e Triton: una scelta politica contro gli aiuti umanitari di Valeria Grimaldi Tutto ebbe inizio il 3 ottobre 2013. A poche miglia dall’isola di Lampedusa, da sempre uno dei primi approdi per lo sbarco di migranti che fuggono da zone devastate da guerre e miseria, un’imbarcazione naufraga. Il bilancio sarà spaventono: 366 vittime accertate e 20 dispersi presunti; 155 i superstiti. L’immagine di quei teloni verdi, lì sulla banchina, e il giorno dei funerali tutte quelle bare in fila, risulta difficile da dimenticare. Dopo quella che verrà ribattezzata come “Tragedia di Lampedusa”, la più grave catastrofe marittima avvenuta nel Mediterraneo dall’inizio del XXI sec., il governo italiano, allora presieduto da Enrico Letta, decide di attivarsi: è qui che comincia l’operazione Mare Nostrum. Come descritto dalla rivista geopolitica Eurasia “Mare Nostrum, una missione militare ed umanitaria la cui finalità ufficiale è di prestare soccorso ai clandestini prima che possano ripetersi altri

tragici incidenti. L’obiettivo sarà quello di intervenire in loro aiuto, avvicinandosi il più vicino possibile ai porti dei Paesi nordafricani dai quali salpano i barconi fatiscenti che li traghettano in Europa.”. Il dispiegamento di forze (soprattutto aeree e navali) sarà notevole e effettuato su più punti: inquadramento a livello europeo è l’agenzia Frontex, per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea. Un’attività, quella della Frontex, non solo di tipo militare, ma anche politica, per riuscire ad arrivare ad un nuovo disegno complessivo sul fronte dell’assistenza e degli aiuti in operazioni di rimpatrio (per maggiori info consigliamo la lettura integrale della rivista Eurasia ---> http://www.eurasiarivista.org/loperazione-marenostrum/20335/ ). Al termine della sua valenza, Mare Nostrum sarà riuscito a portare in salvo almeno 127 mila persone (dati del rapporto sull’esperienza della stessa operazione). A partire da novembre 2014, su spinta

LA CAMPAGNA “SOS EUROPA” Con questa campagna, Amnesty International chiede la fine delle violazioni dei diritti umani di migranti, rifugiati e richiedenti asilo ai confini dell’Europa. Sollecitiamo gli stati membri a impegnarsi in azioni congiunte per salvare le persone in difficoltà in mare, non detenere i migranti e considerare i diritti umani una priorità nelle proprie politiche e prassi.


Mare Nostrum impiegava 900 persone. Triton ne impiegherà 65.”. Insomma, si tratta di un’operazione a costi ridotti, personale ridotto, e che sicuramente andrà a pattugliare un’area del governo italiano affinché molto più ristretta che quindi, l’Europa si mobilitasse in materia logicamente, andrà a diminuire le di immigrazione e sbarchi, il possibilità di salvataggi a favore commissario europeo per gli delle imbarcazioni come quelle affari interni Cecilia Malmstrom messe in atto dalla precedente annuncia l’operazione “Triton operazione. Dichiara sempre di Frontex”, stavolta coordinata Amnesty “Le nostre organizzazioni dall’agenzia Frontex, e non solo un sono seriamente preoccupate semplice inquadramento. per l’impatto umanitario di Cosa cambia rispetto a Mare questa decisione, perché Triton Nostrum? non avrà il mandato di svolgere Secondo quanto riporta il attività di ricerca e soccorso nel sito di Amnesty International Mediterraneo, ma di pattugliare (contraria al passaggio a questa i confini marittimi e costituirà nuova operazione e che ha una risposta soltanto parziale infatti scritto una lettera aperta al problema.”. Triton, dunque, all’attuale Presidente del Consiglio è un’operazione di semplice Matteo Renzi) “Mare Nostrum si monitoraggio, e non di salvataggio. estendeva per 400 miglia nautiche In realtà la decisione di chiudere a sud di Lampedusa. Triton definitivamente l’operazione coprirà solo 30 miglia nautiche. Mare Nostrum, e della sua Mare Nostrum costava 9 milioni di completa sostituzione da parte euro al mese. Triton ne costerà 2,9. dell’operazione Triton, è stata una decisione tutta italiana: infatti è stato il ministro di Amnesty International dell’Interno Angelino Alfano Con il semestre di turno di presidenza europea, l’Italia ha a dichiarare l’opportunità di chiedere agli stati membri dell’Ue che le questa presa di persone vengano prima delle frontiere. posizione da parte del governo. Una CHIEDI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI decisione in netta MATTEO RENZI DI FAR SÌ CHE: collisione con Gil • le operazioni di ricerca e di soccorso nel Mediterraneo Arias Fernandez, e nel mare Egeo siano rafforzate; direttore esecutivo • percorsi più sicuri e legali per raggiungere l’Europa di Frontex, che ha siano forniti a chi fugge da conflitti e persecuzioni; specificato che il • l’accesso alla protezione internazionale sia garantito a compito primario chi raggiunge le frontiere dell’Unione europea; dell’agenzia è • la cooperazione sui flussi migratori con i paesi che quello di proporre violano i diritti umani sia fermata. programmi di

LE RICHIESTE

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http://appelli.amnesty.it/sos-europa/

cooperazione tra gli Stati, ma non di imporre una specifica operatività sul controllo delle frontiere da parte di ciascuno Stato. Allora viene da chiedersi perché si è voluto sostituire un’operazione che ha salvato centinaia di migliaia di vite con una che riduce, se non addirittura cancella, la possibilità di monitorare e rafforzare il salvataggio di persone che fuggono da paesi invivibili e che tentano con enormi sforzi e sacrifici si sbarcare su un Paese definito civile. E che costituiscono una risorsa immensa per il nostro Paese, riequilibrandolo sotto tantissimi punti di vista. Noi, per tutta risposta, rinchiudiamo in celle nemmeno fossero dei criminali (perché si, i CIE non sono dei centri di accoglienza ma delle vere e proprie carceri dove le persone vengono portate senza mai sapere quando potranno uscire). Si ritorna sempre al solito punto: è stata una decisione politica. Si è volutamente scelto tra il rafforzamento delle frontiere al posto della cooperazione e dell’aiuto, a favore del primo. Si è implicitamente scelto di portare avanti e ancora la paura del diverso, dello straniero che viene solo a delinquere nel nostro paese, a rubarci il lavoro, a stuprare le nostre moglie e le nostre figlie. Dimenticando come una volta fummo noi italiani ad essere lo straniero. Ad essere discriminati, marchiati a fuoco con l’idea della “mafia, pizza e mandolino”. Si dovrà aspettare un’ ennesima tragedia come quella di un anno fa per renderci conto di quanto chi ha in mano il potere non lo usa mai a favore di tutti, ma per innalzare barricate di odio. E cioè noi. Piangeremo lacrime di coccodrillo ancora una volta, e poi si tornerà alla vita di tutti i giorni. Mentr il Mar Mediterrano si tinge di rosso, e urla di dolore. E quelle 366 vittime saranno solo una bolla in fondo al mare. 5


L’ACCOGLIENZA DEI RICHIEDENTI ASILO IN EMILIA-ROMAGNA di Lorenzo Pedretti L’Hub regionale, situato all’interno dell’ex CIE di via Mattei a Bolona, è un centro di prima accoglienza per tutti i migranti trasferiti in Emilia-Romagna in base a quanto stabilito dal Ministero degli Interni. Il 21 ottobre scorso risultavano presenti in Emilia-Romagna 2839 cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, dei quali 588 nella provincia di Bologna. Nell’Hub si svolge la prima fase dell’accoglienza: l’Ausl effettua lo screening sanitario, che valuta le condizioni di salute e le eventuali patologie di ogni persona; la Questura effettua l’identificazione e la fotosegnalazione (quest’ultima è necessaria per poter rimanere sul territorio), e tutti i migranti ricevono vitto e alloggio. La loro permanenza nell’Hub, che al massimo può accogliere 270 persone, dura tre settimane in media. Dopo, la maggior parte di queste persone lascia la struttura volontariamente o viene trasferita in altre strutture situate nelle province emilianoromagnole, aperte dalle Prefetture in collaborazione con gli enti locali. Tra di esse ci sono Villa Aldini a Bologna e Villa Angeli a Pontecchio Marconi. Qui si svolge la seconda fase dell’accoglienza alla quale partecipano alcune cooperative sociali della 6

provincia di Bologna, tra cui quelle del Consorzio L’Arcolaio, impegnate nei progetti della rete SPRAR (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), alla quale i comuni partecipano volontariamente. L’accoglienza è rivolta esclusivamente ai richiedenti asilo: persone che non possono o non vogliono tornare nel paese di residenza per il timore di essere perseguitate per motivi etnici, religiosi, di nazionalità, di appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche. Possono richiedere asilo in Italia presentando una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato; pertanto, i rifugiati sono coloro la cui domanda è stata accolta. Le cooperative svolgono un lavoro di mediazione linguistica e culturale con i richiedenti asilo, tenendo corsi d’italiano, fornendo loro informazioni legali, orientandoli ai servizi presenti sul territorio, e accompagnandoli nel percorso di richiesta di asilo, che va presentata alla Questura (è il cosiddetto modulo C3). In base al regolamento di Dublino, uno degli atti del diritto dell’Ue, la richiesta va fatta nel primo paese di transito. A stabilire chi ha diritto a questa protezione internazionale è una commissione territoriale composta da membri della Prefettura, della Questura

e dai Comuni. Commissioni di questo tipo sono presenti in tutta Italia e sono coordinate dalla commissione centrale, che ha sede a Roma e dipende dal Ministero degli Interni. In base alle loro valutazioni, non sempre viene accolta la domanda di protezione internazionale. Pertanto, ad alcune persone può essere rilasciato, sempre su decisione della commissione, un permesso umanitario della durata di un anno. I richiedenti asilo più numerosi sono nigeriani, senegalesi, ivoriani, maliani, eritrei, somali, siriani, palestinesi, pakistani, bengalesi. Per ogni persona ospitata vengono spesi 30 euro al giorno, dei quali 2,50 euro come pocket money e 15 di schede telefoniche. Il resto deve coprire vitto, alloggio, prodotti per l’igiene personale, indumenti, e la remunerazione degli operatori del settore dell’accoglienza, che però può fare affidamento anche al volontariato. Al termine dell’accoglienza, che dura dai quattro ai sette mesi circa, questi soldi non vengono più stanziati, perché ci si aspetta che chi ha ottenuto la protezione internazionale e intende rimanere nel territorio regionale abbia acquisito un certo grado di autonomia e d’indipendenza dalle politiche sociali regionali.


PERCHÉ I CIE DI BOLOGNA E MODENA SONO STATI CHIUSI di Giulia Silvestri I Centri di identificazione e di espulsione rinchiudono al loro interno quegli immigrati irregolari che si trovano sul nostro territorio. Gli stranieri sono trattenuti qualora non siano in possesso di documenti validi, con la finalità, come dice la parola stessa, di identificarli grazie alla collaborazione con i Paesi di origine e poi, di espellerli nello stesso o in uno dei Paesi di transito. Data la difficoltà di questa procedura, soprattutto per lo scarso apporto da parte dei Paesi di provenienza, il trattenimento all’interno dei Centri può essere prolungato per un determinato periodo che, con il decreto Maroni del 2011, può arrivare fino a 18 mesi (grazie al sistema delle proroghe). È il giudice di pace che decide sia in merito al trattenimento che sulle proroghe, il che è assurdo se si considera la complessità della materia e il fatto che il giudice di pace, per quanto competente possa essere, non è un magistrato togato. All’interno di questi centri vi si possono trovare: persone entrate in Italia con i documenti in regola ma che sono rimaste nel territorio nazionale oltre il loro periodo

di validità, persone che hanno perso il permesso di soggiorno non trovando un nuovo lavoro, persone nate in Italia figlie di stranieri, donne vittime di tratta (anche se per loro le possibilità di rimanere nel territorio in maniera regolare sono più concrete). I Cie sono veri e propri centri di detenzione, da essi non puoi uscire volontariamente. Centri di detenzione in mano a cooperative sociali, con una regolamentazione, in quanto ai diritti degli stranieri e ai doveri dell’ente gestore, alquanto scarna. In Emilia-Romagna i Centri di Identificazione ed Espulsione erano due: uno a Modena e uno a Bologna. Sono stati chiusi, entrambi. Per capirne il motivo occorre fare un passo indietro: la gestione dei centri viene data con un appalto che il futuro ente gestore si aggiudica tramite una gara al ribasso. Questo significa che l’ente che vince la gara ha effettuato una proposta per gestire il Cie di pochissimi euro a persona al giorno. Sia a Bologna che a Modena ha vinto la gara la cooperativa L’Oasi: si è passati da una cifra tra i 50 e 69 euro ad una di soli 28 euro a testa al giorno; soldi che devono servire per garantire

vitto, alloggio, assistenza medica (privata), attività culturali, assistenza psicologica e altri benefits di vario tipo. Inutile sottolineare che è questo metodo della gara al ribasso che ha portato al degrado dei Centri e della vita delle persone costrette al loro interno. Nonostante nei Cie non si superino mai i posti disponibili, dopo questa aggiudicazione essi erano diventati ancor più degradanti; inoltre, il Cie di Bologna nell’ultimo periodo è diventato parzialmente inagibile perché cadeva letteralmente a pezzi. La Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale dell’Emilia-Romagna, l’avvocatessa Desi Bruno, ha più volte visitato entrambi i Centri sollecitando il Prefetto (i Cie sono regolamentati autonomamente da ogni prefettura) ad autorizzare una visita dell’Usl, non obbligatoria trattandosi di una struttura non gestita direttamente dallo Stato. Dopo la visita dell’Usl sia il Cie di Modena che quello di Bologna sono stati chiusi, si parla del 2013: il primo in maniera definitiva, il secondo solo temporaneamente. 7


Agevolazioni fiscali per gli imprenditori stranieri? Solo favole

SONO PIU’ UMILI E SCONFIGGONO LA CRISI NELLA LEGALITA’ di Gianluca Di Maita BOLOGNA - Le imprese straniere non hanno alcuna agevolazione fiscale. A confermarlo Fosco Corradini, Responsabile delle politiche per l’Immigrazione della Cna, che contribuisce a sfatare uno dei tanti miti che aleggiano intorno alle imprese guidate da extracomunitari. Leggende che nascono dall’incapacità di buona parte degli italiani di comprendere il perché mentre le imprese nostrane vengono abbattute dalla crisi quelle a guida immigrata crescono e proliferano. Prima di andare a cercare di dare una risposta a questo quesito, è bene partire dai dati. Secondo il Rapporto “Immigrazione e Imprenditoria 2014” dell’Idos, tra la fine del 2011 e la fine del 2013, le imprese extracomunitarie registrate negli elenchi camerali sono aumentati del 9,5%, quelle a guida italiana sono diminuite dell’1,6%. Questi dati sono visibili anche nella vita di tutti i giorni, anche passeggiando per le strade di Bologna e accorgendosi dei numerosi alimentari bangladesi o pakistani ad ogni angolo di via. Dati in merito particolarmente rilevanti ci vengono forniti dal dossier “Le imprese a Bologna nel 2013”, elaborato dal Comune felsineo: in dieci anni, dal 2003 al 2013, il numero degli imprenditori stranieri titolari di imprese individuali è passato da 3.008 a 6.984, con un aumento pari a oltre il 130%. Insomma, a Bologna un quinto degli imprenditori individuali è straniero. Di questi, quattro su dieci sono di provenienza asiatica, che si assesta così come la comunità più consistente nel capoluogo emiliano, protagonisti inoltre di una crescita continua che tra il 2012 e il 2013 si è consolidata su un +9,6%. Per quanto riguarda i settori in cui i titolari extracomunitari sono più presenti, vi è in primis quello del commercio (37,9% del totale), cui seguono quello delle costruzioni (18,8%) e delle attività di alloggio e ristorazione (14%). Da segnalare una crescita importante del 8

settore dei servizi (+7,5%), tipicamente in mano a titolari nostrani. Per quanto concerne la comunità bangladese, che è quella maggiormente percebile a Bologna (sebbene non la più numerosa), i dati di UnionCamere dimostrano una significativa propensione all’imprenditoria supportata inoltre da dati su scala nazionale contenuti nel dossier “La collettività bangladese in Italia” elaborato per conto del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali, nei quali si evince come il numero delle imprese individuali abbia superato ormai le 18.000 unità. Resta da capire qual’è l’antidoto contro la crisi usato dagli extracomunitari. Sempre secondo Fosco Corradini - interpellato per l’occasione da DiecieVenticinque – “il dato di fatto è che le imprese straniere crescono e resistono di più. Che possibilità hanno gli extracomunitari di tornare indietro? Nessuna, li aspetterebbero la guerra e la povertà. Per questo motivo si adattano a condizioni lavorative che ormai la maggior parte degli italiani disprezza”. Il tutto nel profilo della legalità? “Sì, sebbene il più delle volte rasentano il limite. Molte Partite Iva in realtà sono dei lavoratori dipendenti camuffati, guadagnano di meno ma questo consente di rinnovare il permesso di soggiorno. L’alternativa quale sarebbe? Il lavoro nero o lo spaccio di cocaina”. Uno dei tanti risvolti positivi nei riguardi dell’economia è la mole di rimesse che ogni anno questi lavoratori e imprenditori mandano nei propri Paesi. L’Italia guadagna qualcosa? “Per quanto riguarda questo profile no. Il nostro Paese guadagna nel momento in cui questi soggetti versano all’Inps contributi per circa 9 miliardi di euro. Una cifra gigantesca senza la quale i nostri pensionati resterebbero senza un soldo”.


POZZALLO: L’ALTRA LAMPEDUSA TRA ATTIVISMO, AVVERSIONE E INDIFFERENZA di Giovanni Modica Scala Si trova nell’estremo lembo sudorientale ed è stata ribattezzata, dopo l’avvio dell’operazione Mare Nostrum, “l’altra Lampedusa”. Sebbene da tempo teatro di approdo, da un’anno a questa parte a Pozzallo - in provincia di Ragusa - giunge il maggior flusso di migranti. E’ qui che, come non mai, la cittadinanza ha dovuto misurarsi con la quotidianità degli sbarchi massivi, mediaticamente spacciati come “emergenza”. Le percezioni sono, al riguardo, altamente eterogenee. Personalmente preferirei menzionare solo le sane realtà di associazionismo a tutela dei migranti, ma ritengo opportuno parlare - ahimé - anche della Pozzallo che vive tra intolleranza ed indifferenza. Per un quadro sufficientemente esaustivo, si può partire dallo scorso anno quando, in seguito al consistente flusso migratorio registratosi nell’estate 2013, Forza Nuova organizzò in novembre una fallimentare manifestazione xenofoba alla quale fece seguito, il giorno dopo, una colorata e partecipata contromanifestazione che segnò anche l’inizio di un cammino di impegno civico attivo, con la contestuale costituzione del comitato antirazzista “Restiamo

Umani”. Centro propulsivo del comitato è stato il Caffé Letterario “Rino Giuffrida”, già da anni impegnato in encomiabili iniziative di promozione sociale. Lì sono state avviate lezioni frontali di italiano con i migranti, che hanno trovato nei volontari del comitato un valido e credibile punto di riferimento. Uno degli “allievi”, il gambiano Alagie Jinkang, ha fatto passi da gigante in pochi mesi. Giornalista e professore nel suo totalitario Paese d’origine, questa estate Alagie ha ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari che gli ha dato la possibilità, con il quotidiano supporto di molti attivisti, di proseguire gli studi ad alti livelli. Adesso si trova a Torino e sogna di pubblicare presto un libro sulla dittatura gambiana. Questo, insieme a tanti altri casi, rappresenta un esempio tangibile del proficuo lavoro portato avanti dagli attivisti locali, sebbene a livello mediatico l’attenzione sembri catalizzarsi sulla parte meno accogliente della città. In proposito, la stessa trasmissione Servizio Pubblico, in occasione dei primi dibattiti sulle presunte importazioni di virus, diffuse in maggio un servizio i cui protagonisti erano giovani impauriti dalle - a loro giudizio attendibili notizie circolanti sui

social network. Non è un caso che nello stesso periodo Repubblica riportò un episodio accaduto a Modica (città che dista appena 17km da Pozzallo) dove un gruppo di mamme, palesemente influenzate dall’eccessivo allarmismo, impedì ai propri figli di salire sullo stesso pullman dei migranti. Questa estate, tuttavia, diverse sono state le emittenti televisive e radiofoniche - specialmente straniere - che hanno intervistato gli attivisti e reso conto delle encomiabili iniziative di tutela e sostegno. Il comitato, dopo un breve periodo di inattività, si è parzialmente ricostituito in estate dando vita a una fitta rete di associazioni locali, tra cui Libera e Caritas, che ha preso il nome di “A Misura di Sguardo”. Il periodo estivo ha permesso di portare avanti ulteriori attività, grazie anche al supporto di attivisti del nord: una dolce professoressa di Biella, Alessia Cusumano, ha svolto gratuitamente lezioni collettive di lingua italiana all’interno della struttura che ospita i migranti minori non accompagnati; una tenace ed operosa attivista di Saronno, Lucia Borghi, ha collaborato con l’associazione Borderline prorogando addirittura il soggiorno in Sicilia fino a Natale. 9


Oltre alle attività svolte in loco a stretto contatto con i migranti (cineforum, iniziative di arte sociale), sono state organizzate iniziative pubbliche di sensibilizzazione ed informazione. Le news più recenti danno conto di una temibile involuzione, sebbene fortunatamente con qualche positiva eccezione. A metà settembre - come riportato da Borderline Sicilia - i fondi per ogni migrante destinati alle cooperative sono stati ridimensionati da 80€ a 35€, riduzione che implicherà verosimilmente un drastico abbassamento della soglia dei servizi offerti, già non particolarmente dignitosi precedentemente.

In ottobre, poi, Pozzallo è tornata alla ribalta per un altro episodio di intolleranza: alla scuola media “Antonio Amore” i genitori si sono ribellati contro la preside Mara Aldrighetti per la realizzazione di un progetto con i migranti, allarmati anche in questo caso per l’allarme Ebola. Di origini venete, la preside è stata recentemente nominata Assessore alla Cultura e responsabile dei migranti minorenni ed ha già avviato, all’interno della scuola, progetti di sensibilizzazione con “A misura di sguardo”. Il 25 novembre la Carovana Italiana per i diritti dei migranti farà tappa a Pozzallo, a riprova dell’importanza sempre crescente del piccolo comune ragusano.

Non sappiamo quali novità riserverà il futuro ai migranti, specie con l’avvio dell’operazione Triton che - pare - soppianterà Mare Nostrum. Ciò che comunque mi preme sottolineare è l’importanza primaria del sano associazionismo in un periodo storico-politico dominato da una globalizzazione che promuove libertà di movimento delle merci e del capitale ma erge continuamente frontiere nei confronti di esseri umani. Impegniamoci, dunque, soprattutto come società civile, per liberare queste “non-persone” dalla perenne condizione di limbo che le relega ai margini della società.

BORDERLINE SICILIA: una finestra sulle condizioni dei migranti

Ha appena 5 anni di vita ma è già un’associazione i cui meriti sono stati riconosciuti a livello nazionale e internazionale: parliamo di Borderline Sicilia, organizzazione senza scopo di lucro che opera nel settore dei migranti. Fondata da un gruppo di italiani e tedeschi impegnati da anni nella questione migranti, l’associazione si avvale della collaborazione di avvocati, accademici, attivisti (spesso provenienti anche da altre regioni d’Italia o Stati europei) tra cui spiccano i nomi del giornalista e scrittore Gabriele del Grande, del prof. Fulvio Vassallo Paleologo, e del giornalista ed attivista Antonio Mazzeo. Scopi principali di Borderline sono la tutela dei diritti e delle pari opportunità attraverso pratiche di partecipazione diretta e monitoraggio delle prassi istituzionali relative al soggiorno, all’accoglienza, alla detenzione dei migranti; la garanzia di assistenza legale; la promozione di attività di ricerca e l’attivazione di reti virtuose tra le realtà dell’associazionismo siciliano che operano nel settore dell’immigrazione e dell’antirazzismo (tra cui il Forum Antirazzista di Palermo; la sezione siciliana dell’ASGI; la ragusana “A Misura di Sguardo”; la Rete antirazzista Nissena ecc.). 10

La onlus - che svolge la sua attività su tutto il territorio siciliano grazie al preziosissimo lavoro di diversi volontari - diffonde il proprio operato attraverso il blog siciliamigranti (http:// siciliamigranti.blogspot.it), costantemente aggiornato e tradotto in inglese e tedesco. Gli aggiornamenti riguardano principalmente il monitoraggio degli sbarchi (che non si esaurisce mai in un arido report di numeri e statistiche) e le condizioni dei vari centri di detenzione ed accoglienza (governativi e non) disseminati sul territorio regionale e nazionale. La raccolta di informazioni avviene anche sull’altra riva del Mediterraneo, specialmente in Tunisia, con particolare riguardo allo studio delle conseguenze delle politiche dei respingimenti e dei rimpatri forzati. Lo scorso 5 luglio 2014, capitalizzando al meglio la propria attività di promozione sociale, è stata insignita del 18° premio internazionale Alexander Langer come facilitatore nel dialogo tra gli attori istituzionali e privati e creatore di reti locali e nazionali contro il razzismo.


Sabir, il festival delle culture mediterranee di Rossella Vigneri (Arci Bologna) “Oggi è un giorno di speranza”, annuncia un uomo seduto al bar. “O un giorno di disperazione”, risponde ridendo un compaesano che attraversa via Roma, la strada dello struscio di Lampedusa. Il 3 ottobre per i lampedusani è un giorno di contraddizioni, di rabbia e di dolore. C’è chi chiude i negozi in segno di lutto e chi presidia un banchetto addobbato con bandiere leghiste e tanti slogan: “mai più clandestini” - si legge - “stop agli sbarchi”, che negli ultimi anni avrebbero causato un “calo del 40% del turismo sull’isola”. C’è chi accompagna sotto la pioggia battente, insieme ai bambini, i parenti delle vittime del naufragio che un anno fa ha causato 368 morti, e chi guarda dalla finestra, in un silenzio che dissente. Sono le contraddizioni di un’isola che è l’ultimo confine a Sud dell’Europa e il primo approdo per chi fugge dal Sud del Mondo; terra brulla e sferzata da venti africani lambita da un mare che racchiude tutte le sfumature del blu; cuore del Mediterraneo, margine di un’Italia che resta a guardare, da lontano. A Lampedusa non ci sono un ospedale né una sala parto; i 6.000 abitanti che vivono sull’isola non hanno un parco giochi, un cinema, un teatro. Lampedusa si sente dimenticata per poi tornare sotto la luce dei riflettori quando i migranti sbarcano, il mare inghiotte i morti e ricominciano

le “passerelle delle Autorità”. Se il 3 ottobre a Lampedusa c’è chi antepone il proprio diritto sacrosanto a vivere una vita dignitosa al diritto dei migranti a essere accolti con uguale dignità – come se esistesse una scala di priorità dei diritti umani – la colpa è innanzitutto nostra, di chi in tanti anni non ha dato risposta ai bisogni di questa come di tante altre città di confine. Sabir, il festival delle culture mediterranee organizzato da Arci insieme a Comitato Tre ottobre e Comune di Lampedusa, ha avuto innanzitutto il merito di rimettere i margini al centro, di riconnettere le culture, le lingue, le rivendicazioni sociali dei paesi che si affacciano nel Mediterraneo, superando finalmente la logica dell’emergenza e dell’assistenzialismo che caratterizza il discorso politico e mediatico sull’immigrazione. Migliaia di persone, organizzazioni e associazioni, artisti e musicisti si sono dati appuntamento dall’1 al 5 ottobre a Lampedusa per ricordare le stragi del Mediterraneo (3.000 morti dall’inizio del 2014) e per capire insieme cosa si può fare per mettere fine a questa immane tragedia umanitaria. Con Sabir - la lingua franca (un misto tra italiano, francese, spagnolo e arabo) parlata in tutti i porti del Mediterraneo – si è aperto il dialogo tra l’Europa, principale responsabile delle attuali politiche sull’immigrazione fondate sulla sterile strategia del respingimento, e le realtà che in tutti i paesi mediterranei tentano di tutelare i diritti dei migranti e chiedono un impegno comune, l’apertura delle frontiere e la libera circolazione,

nuove forme di collaborazione e di sostegno. “Nel tempo della globalizzazione abbiamo chiuso la finestra sulla storia” - ha detto Gianmarco Tosatti, artista che ha donato una sua installazione, “The Kingdoms of Hunger”, agli abitanti di Lampedusa. Ci siamo aggrovigliati su noi stessi, per proteggerci dall’altro, abbiamo eretto frontiere e gridato all’invasione, abbiamo voltato le spalle a chi ci chiedeva aiuto e ci siamo accontentati di una rappresentazione mediatica patetica e superficiale (nei giorni di Sabir le troupes televisive in diretta dal cimitero delle barche, pronte a catturare un lacrima dei superstiti o un abbraccio). Abbiamo chiuso la finestra all’altro e alla storia che si portava dietro. “Sugnu nuddu miscatu a nenti. Sono nessuno”, urla a Polifemo il naufrago Ulisse nell’Odissea del cantastorie palermitano Mimmo Cuticchio, in scena durante Sabir. Per quanto tempo ancora i migranti che approdano sulle nostre coste saranno “nessuno”, numeri identificativi, impronte digitali, letti in più nei centri di detenzione? La speranza è nel dialogo, nel confronto ma soprattutto nelle nuove generazioni, in quei ragazzini lampedusani che con un lenzuolo in testa sono entrati in mare per ricordare i morti del Mediterraneo nel flashmob organizzato il 3 ottobre insieme alla compagnia teatraleCantieri Meticci. La speranza è nella cultura, nel teatro, nell’arte che può creare ponti nel Mediterraneo e riaprire una finestra sul futuro. 11


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