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Canarini di Colore Canarini di Forma e Posizione Arricciati
Estrildidi Fringillidi Ibridi
Ondulati ed altri Psittaciformi
Editoriale
L’utilità dell’allevamento
di G IOVANNI CANALI, FOTO F.O.I.
Un motto della FOI è “allevare è proteggere”. Ebbene ritengo utile ricordare l’importanza anche storica dell’allevamento. Quando l’uomo da raccoglitore e cacciatore si trasformò in agricoltore e pastore, la nostra specie fece un salto di qualità. Non occorrevano più territori molto ampi per una tribù, ma bastavano territori minori e la popolazione poteva utilizzare più facilmente prodotti necessari per la sopravvivenza.
L’agricoltura forniva vegetali utili concentrati in porzioni di territorio relativamente modeste. Probabilmente si cominciò quando l’uomo comprese la funzione dei semi e cominciò a praticare le prime tecniche di coltivazione. Certo la fatica ed i problemi non erano finiti, tuttavia qualcosa cambiava e di molto. L’allevamento rendeva disponibili animali senza bisogno di aleatorie cacce. Non solo ma alcuni animali diventavano utili anche per funzioni diverse dal cibo. Importante il Cane, derivato dal Lupo, che diventa collaboratore importante come: traino di slitte, guardia, custodia delle greggi, caccia. Pecore e Capre sono certo utilissime in vari ambienti, non solo per carne e latte ma anche, le pecore, per la lana. Fra gli Uccelli da segnalare il Gallo e l’Anatra per carne e uova, successivamente anche i Piccioni, non solo utili da carne ma per portare messaggi. I Bovini poi sono stati definiti un tesoro a 4 gambe: servono non solo per il latte ed i suoi derivati ma anche per il traino, la carne e da non dimenticare il cuoio. Saremmo in difficoltà a sostituire i Bovini con altre specie. Fino a poco tempo fa esistevano le razze a triplice attitudine: tiro, carne, latte, ben nota la Rossa reggiana detta spesso brevemente “rossa” dalle mie parti. Oggi il tiro è di minore o nessuna importanza, ma rimangono gli altri aspetti. Ci sono poi razze a selezione molto spinta, per una sola attitudine. Tipicamente da latte la Frisona, ad un certo punto perfino troppo, visto che il latte prodotto era talmente abbondante da indebolire la vacca, inoltre cominciava a perdere sostanze (proteine, grassi). Oggi si seleziona anche per le qualità organolettiche. Questi eccessi selettivi non devono essere dimenticati e bisogna tenerne conto a tutto campo. La natura ha i suoi limiti e spesso la quantità è nemica della qualità. Da non dimenticare il Cavallo che avrà importanza sia per carne, lavoro e trasporto, ma anche successivamente per usi militari. Inoltre per i popoli nordici la
Renna, per quelli delle zone desertiche Dromedario e Cammello, nonché il Lama per le popolazioni andine. Comunque l’allevamento ha un’importanza evidente al lato pratico. Tuttavia ha anche importanza sotto altri aspetti, non strettamente utilitaristici. Oggi vanno per la maggiore i cosiddetti pet, vale a dire animali utilizzati anche a scopo terapeutico. Si è visto che molte persone con patologie varie traggono vantaggio dalla compagnia di animali. Talora il desiderio di accudirli o di portarli alla passeggiata risulta stimolante per la persona. Senza pensare alle patologie, molte persone traggono piacere e compagnia nell’avere animali domestici. Certo è bene evitare eccessi; infatti gli animali non devono essere troppo umanizzati. Non giova agli animali, che devono vivere una vita adatta alle loro esigenze, ma non giova neppure alle persone che è bene non dimentichino o non trascurino i rapporti con altre persone.
Editoriale
Di questi temi ho parlato in diverse occasioni, tenendo ben conto i diritti degli animali. Non a caso mi preoccupo di esprimermi nell’interesse degli uccellini e degli allevatori nell’ordine. Questo non significa che ritenga di maggiore pregio un uccellino di una persona ma significa che tengo conto del fatto che il possedere un uccellino è una scelta della persona, non dell’uccellino. I volatili hanno, come tutti gli altri animali, il diritto di essere trattati al meglio, anche quelli destinati a diventare cibo, poiché prima e durante l’abbattimento devono essere trattati con rispetto. Nell’allevamento amatoriale vi sono lati di pregio estetico, poiché si perseguono qualità appunto estetiche vicine all’arte, se non decisamente artistiche. Nel canarino: il canto ha qualcosa a che fare con la musica, la forma e posizione con la scultura, ed il colore con la pittura. Inoltre l’allevamento consente di fare studi impossibili in natura, basta pensare alla genetica ed alla medicina veterinaria. Perfino i nidi artificiali per soggetti selvatici consentono osservazioni altrimenti ardue o impossibili. Un aspetto importante è dato dalla preservazione delle specie a rischio. In questo campo ho spesso ricordato l’oca Nene (Branta sanvinensis) delle isole Hawaii, ma anche il Condor della California (Gymnogyps californianus) ha avuto nell’allevamento la salvezza, senza contare il fatto che inaspettatamente si è rilevata la partenogenesi anche in questa specie. Possiamo quindi dire che l’allevamento protegge ed inoltre consente studi altrimenti impossibili.
Poiché amo dire tutta la verità segnalo anche il fatto che talora in allevamento amatoriale, e forse non solo, si commettono errori che sarebbe meglio evitare. Uno di questi come accennavo prima sono certi eccessi selettivi. Un altro difetto secondo me è dato da un’eccessiva propensione alle ibridazioni. L’ibridazione può essere affascinante ed interessante per valutare l’affinità di varie specie, ma sarebbe bene non inquinare le diverse specie con ibridi fecondi che esistono, in diversi casi e percentuali, nel sesso omogametico (maschi negli Uccelli e femmine nei Mammiferi) e raramente in tutta la prole. In quest’ultimo caso, secondo il mio sommesso parere, bisognerebbe farsi delle domande se si tratti davvero di specie diverse o piuttosto di sottospecie o razze… Qui i pareri sono diversi anche fra scienziati. La specie allevata allo stato domestico può essere rimessa in libertà dopo un periodo di addestramento, che è diverso a seconda della specie e dei suoi costumi. Ricordo di aver sentito di prede lanciate in aria per addestrare alla cattura in volo. Le specie meno problematiche, specialmente vegetariane, possono adattarsi meglio. I soggetti dovrebbero essere puri come specie. Inoltre, non ci dovrebbero essere residui di selezioni che abbiano allontanato dalla morfologia originale e funzionale, e pure assenti patologie o tare ereditarie comparse allo stato domestico; ad esempio: epilessia, cecità, lumps, depigmentazioni nel canarino. Un discorso a parte per la mutazione “intenso” che, secondo la mia interpretazione, dovrebbe essere para-mutagenica e aver alterato la forma selvatica “brinato”, rendendo necessario l’accoppiamento misto e quindi escludendo la possibilità di re-immissione in natura. Tuttavia è nota una popolazione di canarini incredibilmente inselvatichita alle Midway, di cui ho fatto cenno a suo tempo, che sembra discretamente sopravvivere e certo da studiare (Proposta di argomento. Il canarino delle Midway I. O. n° 1° gennaio 2022).
Sulla purezza di specie non dovrebbero esserci dubbi, tuttavia vi sono specie molto affini con prole illimitatamente feconda, direi di recente separazione, che forse, ripeto il forse, potrebbero tollerare reciproche contaminazioni purché non più rilevabili le conseguenze delle stesse. Questo per un ritorno alla purezza in seguito ad accoppiamenti sostitutivi, vale a dire per l’eliminazione di ogni traccia almeno visibile dell’altra specie.
Un fatto certissimo di utilità è che una specie allevata rende inutili bracconaggi o comunque catture della specie stessa in natura, anche in considerazione che soggetti allevati in domesticità sono già più adatti alla stessa e spesso già selezionati per vari scopi. Quindi, la parte della specie che è allo stato domestico protegge l’altra parte allo stato selvatico. In questo caso si può ben dire che allevare è proteggere, senza tema di smentita.
Fenotipo bianco: recessivo vs dominante
testo
e
figure MIMMO ALFONZETTI, FOTO E.DEL POZZOE F.O.I.
Astratto
L’aspetto bianco delle piume non pigmentate è generalmente riconosciuto come un ‘colore’ strutturale (Fox, 1976). Il bianco è il risultato della dispersione ottica incoerente riveniente dalla cheratina della piuma non pigmentata, sia dalle superfici delle strutture della piuma sia dai vacuoli d’aria all’interno della cheratina. Il bianco non è un colore; dal punto di vista scientifico, fisico e ottico non lo è. Di contro, l’utilizzo materico che ne ha fatto l’uomo nell’arte comprova il bianco come combinazione e sintesi additiva di tutti i colori, quindi è un colore. Anzi è più di un colore, in esso vi sono tutti i colori concentrati, alla loro massima espressione cromatica. Un colore così intenso, potente e luminoso da non poter, a volte, essere percepito dall’occhio umano.
Tralasciamo la disputa che oppone la scienza all’arte e interessiamoci di ciò che è più vicino a noi appassionati di canarini: il fenotipo bianco è peculiarità dei canarini Bianco dominante (soffuso, tedesco) e Bianco (recessivo, inglese). La recensione che segue si propone (ha l’ardire) di esplorare quanto di più recente è pubblicato sull’assetto genetico che riconduce agli effetti fenotipici dei canarini bianchi. Questi ultimi presentano una mutazione che impedisce, totalmente o parzialmente, la deposizione di pigmenti carotenoidi nelle piume alla na-
scita e durante la muta. Tuttavia, nonostante decenni di osservazione e di allevamento attento da parte degli allevatori, questa mutazione non è ancora stata ricondotta a un gene specifico (in particolare nei canarini bianchi dominanti) sebbene le sue conseguenze fenotipiche siano ben note.
Aberrazione cromatica del piumaggio
La bibliografia classica, per certi versi
ormai vetusta, motiva la natura del bianco come aberrazione cromatica del piumaggio. Il leucismo (dal greco leukós, “bianco”), è una condizione anormale del piumaggio causata da una mutazione genetica che impedisce ai pigmenti, in particolare alla melanina, di essere correttamente depositati sulle piume di un uccello. Nel caso in cui i pigmenti scuri (I. Ferrari, Quaderni di birdwatching) vengano prodotti in quantità davvero minime
Bianco dominante, foto: E.delPozzo
Prima parte
rispetto a quelle tipiche, gli esemplari mutanti mostrano spesso una colorazione ocra (“isabellina”) o color crema pallido (“leucistica”) dovuta alla presenza dei carotenoidi in quantità più o meno normali. Gli individui leucistici sono caratterizzati da una colorazione pallida e slavata priva di toni scuri che può interessare l’intero piumaggio (leucismo totale) o solo alcune chiazze isolate frammiste a penne e piume normalmente colorate. I canarini con leucismo totale possono apparire totalmente bianchi.
Il leucismo è dovuto massimamente alla mancata differenziazione delle cellule responsabilidella pigmentazione. Ciò determina un’assenza parziale (a macchie) o totale della pigmentazione. Per cui l’enzima responsabile della produzione della melanina può essere presente, ma il difetto è nelle
cellule che codificano la pigmentazione. Se tutte le cellule sulla superficie corporea non riescono a differenziarsi allora si avrà leucismo totale; se invece alcune riescono a differenziarsi e altre no si osserveranno chiazzedi colore normale su livrea bianca, o chiazze bianche su manto normale. Nell’ornitologia da diletto (la nostra) viene spesso usato il termine acianismo al posto di leucismo. Parola impropria (sta letteralmente ad indicare assenza di ciano, azzurro) e stranamente usato per distinguere i canarini dove i pigmenti neri sono sopiti; leucismo è invece ampiamente usato in zoologia e sarebbe più corretto per i canarini bianchi con occhi neri. A differenza dell’albinismo, inoltre, coloro che sono affetti da leucismo presentano gli occhi di colore normale. Infatti, le cellule pigmentarie
si sviluppano da una particolare zona embrionale del derma (la cresta neurale), tranne nel caso degli occhi, dove l’origine è differente.Lecellule pigmentarie oculari si differenziano normalmente e quindi producono melanina.
Bianco strutturale
Le piume bianche appaiono in un’ampia varietà di famiglie di uccelli e si sono chiaramente evolute molte volte in modo indipendente. È evidente che il bianco, colore strutturale, possa funzionare anche come piumaggio criptico in determinati ambienti e che questo colore probabilmente si sia evoluto per selezione naturale come adattamento contro il rilevamento da parte dei predatori visivi. Tutte le parti della piuma possono apparire bianche, sebbene le barbule in particolare, se molto sottili, possano apparire trasparenti.
L’osservazione di una piuma bianca con l’ausilio un microscopio ottico mostra delle interessanti caratteristiche strutturali. La struttura della superficie di una piuma bianca appare cristallina, simile a vetro tagliato o neve, chiaramente in grado di riflettere tutta la luce visibile. Le piume bianche hanno barbe che, sezionate, contengono molte cavità d’aria che aumentano la riflessione totale dell’intero spettro della luce visibile.
Perché il bianco del piumaggio dei canarini è da considerare un colore fisico o strutturale? Quando le bollicine d’aria imprigionate dalla cheratina sono piuttosto grandi e opportunamente conformate, riescono a respingere tutte le onde della radiazione luminosa e la penna risulta bianca. Il bianco dei capelli, come quello della neve o dei gigli, è causato da spazi d’aria contenuti in una sostanza solida traslucida. Il bianco delle piume dei canarini è quindi dovuto alle numerose bollicine d’aria (vacuoli più o meno assemblati) presenti nelle barbe e nelle barbule prive di pigmenti, così numerose da causare un’imponente e diffusa riflessione randomizzata della luce, come accade per la neve, il cotone o la carta. La scienza parla di scattering incoerente (a).
Bianco recessivo, foto: E.delPozzo
La natura strutturale del bianco del canarino, intesa come mancanza di granuli di melanina nella medulla e carotenoidi nella corteccia e come presenza di numerose cavità d’aria, è stata facilmente dimostrata con un semplice esperimento: una piuma bianca brillante diventa trasparente quando è immersa in un balsamo per capelli o in qualunque liquido purché l’indice di rifrazione (i) sia praticamente uguale a quello della cheratina (siliconi); il silicone riempie i vacuoli d’aria e il bianco svanisce; la piuma assume l’aspetto di un foglio di carta unto. Il numero e la dimensione dei microvacuoli contenuti nello strato midollare della piuma giocano un ruolo importantissimo nella diffusione del bianco (Van Dyck, 1979). Se la concentrazione dei microvacuoli pieni di aria è maggiore, la radiazione bianca ha una intensità superiore, per cui si potrebbe apprezzare un bianco più bianco causa una riflettanza (b) maggiore. Il maggior candore di alcuni canarini bianchi recessivi, tralasciando le particolari abluzioni sbiancanti, potrebbe avere una giustificazione di natura strutturale legata alla presenza e alla dimensione dei microvacuoli e quindi, probabilmente, ereditaria. Non trascurabile la tesi che la minore espressione del candore potrebbe essere associata a difetti della compattezza del piumaggio dove eventuali zone di micro-ombra (simile a quelle generate della goffratura di tessuti o carta) sarebbero di ostacolo ad una riflessione completa.
Fenotipo carotenoide
I canarini Gialli e i canarini Bianchi dominanti e recessivi costituiscono tre varianti (G, BD, BR) genetiche del canarino di Colore che differiscono solo per il fenotipo carotenoide, ornamento del piumaggio con carattere colorato e carattere non colorato:
· G: canarini di colore “Giallo” con evidente presenza di ornamento e quindi presenza di carotenoidi;
· BD: canarini “Bianco Dominante” senza ornamenti (o presenza molto limitata) e presenza di carotenoidi
· BR: canarini “Bianco Recessivo” senza ornamenti e assenza di carotenoidi.
Le
piume bianche appaiono in un’ampia varietà di famiglie di uccelli e si sono chiaramente evolute molte volte in modo indipendente
Negli uccelli, la colorazione del piumaggio ha uno sviluppo abbastanza complesso perché coinvolge diversi processi fisiologici, tra cui
·l’assorbimento dei carotenoidi nel sistema digestivo
·il trasporto nel sistema circolatorio (sangue e linfa)
·il metabolismo nel tessuto epiteliale e nel fegato
·la deposizione nel tessuto pigmentato sulla superficie corporea (pelle, piume, becco…)
La disponibilità dei carotenoidi, oltre a sostenere la funzione ornamentale, deve garantire il corretto utilizzo da parte del sistema immunitario. Non trascurabile è, infatti, l’ipotesi di compromesso delle risorse per cui l’uso di carotenoidi per ornamenti possa ridurre la loro disponibilità per l’uso da parte del sistema immunitario o per la protezione dal danno ossidativo. L’ipotesi di compromesso è rappresentata nella figura 1
I canarini bianchi portatori di mutazioni che disabilitano l’assorbimento o la deposizione di carotenoidi non mostrano alcun aumento del danno ossidativo (Koch ed altri, 2019), contrariamente alle previsioni sul compromesso delle risorse.
Gli allevatori anziani ricorderanno delle abbondanti somministrazioni di complessi vitaminici, in particolare la vitamina A e D che sono state propinate ai primi canarini bianchi recessivi, quasi certamente senza utilità. Forse una eventuale azione pleiotropica della mutazione era la causa della debolezza costituzionale successivamente eliminata dalla corretta selezione e da una minore consanguineità. La pleiotropia è un fenomeno genetico per il quale un unico gene determina effetti fenotipici multipli, a prima vista, anche non correlati fra di loro.
Biochimica del colore bianco
Dal punto di vista specificatamente chimico-biologico, la bibliografia classica motiva la cromia bianca nella inibizione di una delle varie reazioni enzimatiche che in successione trasformano i lipocromi della dieta in xantofille. Nei bianchi dominanti non è inibita la produzione di xantofille ma non è assicurato il trasferimento di queste nelle piume. Per alcuni follicoli, in particolare quelli relativi al bordo esterno delle penne delle prime remiganti delle due ali, la differenziazione ha luogo, per cui è assi-
FIG 1- Questo team di canarini presenta quindi tre livelli di utilizzo dei carotenoidi: i canarini G colorati assorbono e potenzialmente destinano i carotenoidi sia alle piume che alle esigenze fisiologiche; i canarini BD assorbono e fanno circolare i carotenoidi ma non li destinano alla colorazione ornamentale delle piume, lasciando potenzialmente più carotenoidi per le esigenze fisiologiche; infine, i canarini BR non assorbono essenzialmente carotenoidi e quindi non hanno carotenoidi da destinare né alle esigenze fisiologiche né all’ornamento (Mimmo Alfonzetti)
curato il trasferimento dei pigmenti che si manifestano come soffusioni (da cui l’aggettivo “soffuso”). Nei soggetti non correttamente selezionati le soffusioni possono interessare le “spalline”, le guance ecc. Di contro, nei bianchi recessivi sembra che sia inibita proprio l’assimilazione delle xantofille al livello intestinale; la differenza è apprezzabile per la totale mancanza delle soffusioni gialle e la colorazione violacea della pelle (il grasso del derma, essendo completamente apigmentato, ha un aspetto atipico, particolare, violaceo per trasparenza).
La colorazione carotenoide nelle parti nude è tassonomicamente più diffusa della colorazione carotenoide nelle piume (Olson e Owens, 2005), cioè, per la maggior parte delle famiglie degli uccelli, solo un modesto numero di specie ha una pigmentazione del piumaggio, ma una percentuale molto più grande ha una pigmentazione nelle parti nude. Questa cosa rafforza la tesi della mancata assimilazione delle xantofille da parte dei bianchi recessivi, la cui cute ne è totalmente sguarnita, in contrasto con le indicazioni della tassonomia. A margine, possiamo annotare che la prevalenza della colorazione carotenoide nelle parti nude (becco, pelle, zampe…) dei canarini trova la massima espressione nella mutazione Urucum.
Almeno 39 diversi carotenoidi sono stati identificati nel piumaggio degli uccelli (Aves), la maggior parte dei quali sono prodotti da un insieme relativamente piccolo di carotenoidi alimentari (La Fountain et al., 2015) come, ad esempio, luteina, zeaxantina, beta-carotene, betacriptoxantina.
Identificare la base genetica della colorazione dei carotenoidi è stato ed è
impegnativo. I carotenoidi devono essere assorbiti, trasportati, metabolizzati e depositati; la complessità dell’elaborazione dei carotenoidi richiesta per produrne la gamma di lipocromi identificati nel piumaggio degli uccelli suggerisce che questi passaggi probabilmente richiedono un gran numero di geni. Il sequenziamento ad alto rendimento e altri progressi tecnologici hanno portato a sostanziali progressi recenti nella scoperta delle basi genetiche della colorazione dei carotenoidi negli uccelli (esaminate in Toews et al., 2017; Funk e Taylor, 2019). In particolare, per il
fenotipo bianco sono state identificate mutazioni del gene SCARB1 (per i canarini bianchi recessivi BR) e mutazioni di EDC -Epidermal Differentiation Complex- (per i canarini bianchi dominanti BD).
È opportuno precisare che i geni che sorreggono la mutazione dominante (BD) e quella recessiva (BR) non sono allelici e quindi risiedono su loci e/o cromosomi diversi.
Alcuni ricercatori (Rebecca Koche Molly Staley)hanno determinato le concentrazioni nel sangue e nel tegumento (pelle e piume) nei canarini BD, BR e G attraverso opportune analisi di laboratorio, comela cromatografia liquida ad alte prestazioni HPLC (protocollo Toomey, Koch ed altri). Come era prevedibile, si è riscontrato che i canarini BR mancano di carotenoidi significativi nel plasma, nella pelle e nelle piume (nessun carotenoide rilevato). Canarini BD, allo stesso modo, scarseggiano di carotenoidi nella pelle e nelle piume, ma hanno plasma ricco Fig.2-Concentrazioni
Intenso giallo, foto: FOI
di carotenoidi. I canarini G possiedono relativamente piume, pelle e plasma ricche di carotenoidi. Significativa la concentrazione dei carotenoidi nel plasma dei BD maggiore di quella dei G perché questi ultimi ne destinano una parte all’ornamento del piumaggio; inoltre, la presenza di modeste concentrazioni di xantofille nelle piume dei BD è indice di un bianco non puro e forse sono anche visibili con un potente microscopio. È opportuno precisare che i dati della tabella rappresentano dei valori medi (distribuzione normale di Gauss) e quindi influenzati da tolleranze molto significative (in particolare per i BD).
Bianchi recessivi
Si ritiene che i canarini bianchi recessivi siano apparsi per la prima volta nell’anno 1908 in Nuova Zelanda,
nell’allevamento di Miss Lee di Martinborough. Nello stesso periodo esemplari simili a quelli di Miss Lee furono ottenuti da un allevatore londinese, Mr. Kiesel, e presero il nome di “bianchi inglesi” per distinguerli dei bianchi dominanti tedeschi. Siamo in presenza di un uccello bianco
Si ritiene che i canarini bianchi recessivi siano apparsi per la prima volta nell’anno 1908 in Nuova Zelanda, nell’allevamento di Miss Lee di Martinborough
con una completa assenza di pigmentazione (gialla o rossa), con colorazione violacea della pelle (il grasso del derma, essendo completamente apigmentato, ha un aspetto non precisamente definibile, di solito indicato come violaceo) e con una modesta carenza di vitamina A. Questa forma mutata, essendo autosomica recessiva rispetto alla forma “normale”, richiede che entrambi gli alleli (doppio fattore) siano presenti prima che l’effetto della mutazione si esprima attraverso la privazione dell’uccello di vitamina A e xantofille. Queste caratteristiche si verificano anche in alcuni polli domestici e sono state oggetto di studio nel campo della veterinaria. Sono emerse prove che dimostrano che una mutazione genetica di un gene fino a poco tempo fa sconosciuto nei canarini (SCARB1) porta all’incapacità di assorbire i caroteni di origine alimentare attraverso la parete intestinale. I caroteni sono noti per essere precursori sia della vitamina A sia dei pigmenti lipocromici, le xantofille. Le conseguenze di portare questo gene nella sua forma mutata a doppio fattore, a parte l’eventuale carenza vitaminica, sono che non ci saranno xantofille a disposizione del gene del giallo; la corretta elaborazione del fenotipo giallo non potrà compiersi, c’è l’impossibilità di operare per un effetto epistatico che viene immediatamente abilitato. Quando l’espressione di un particolare gene disturba o nega l’espressione di un secondo gene non correlato, non allelico, la caratteristica è descritta come un effetto epistatico. La mutazione recessiva del gene BR elimina tutto il colore dalle piume e dalla pelle. I bianchi recessivi possono essere alimentati con sostanze colorate ma rimarranno bianchi puri. A proposito di accoppiamenti, l’incrocio tra bianco dominante/bianco recessivo, che non assicura progenie bianca totalmente pura, si spiega proprio con la mancata operatività del gene epistatico perché presente in singola dose nella discendenza;invece, in doppia dose il bianco recessivo copre anche il bianco dominante, non essendoci rapporto allelico.
Continua sul prossimo numero
Brinato giallo, foto: E.delPozzo
Il Jabot del Benacus
Origine, caratteristiche e valutazione nelle Mostre ornitologiche
testo
e
foto GIUSEPPE CORSAE LUIGI MOLLO
Introduzione
Il Benacus è un canarino arricciato che si distingue per la sua eleganza e per le caratteristiche peculiari del suo piumaggio, in particolare del jabot. Questo elemento gioca un ruolo cruciale nella valutazione estetica del canarino, specialmente nei contesti espositivi. La corretta conformazione del jabot, che deve coprire completamente il giugolo e lo sterno, è essenziale non solo per conferire armonia e pienezza all’esemplare, ma anche come indicatore della purezza genetica della razza.
In questo approfondimento, esploreremo in dettaglio l’origine del Benacus, mettendo in luce il suo sviluppo attraverso il meticciamento di specifiche razze. Infatti, il Benacus è frutto di un meticciamento fra Gibboso Spagnolo, Fiorino T.C. e Bossù Belga a cui è seguita una lunga e attenta selezione; in nessun modo è stato coinvolto nello sviluppo della razza il Gibber Italicus e l’Arricciato del Sud. La posizione al quale il Benacus deve tendere è quella del Bossù sia per il portamento e sia per l’angolatura al calcagno. In questo articolo analizzeremo le caratteristiche distintive del jabot e le confronteremo con quelle di altre razze arricciate similari per evidenziare le differenze e le influenze genetiche che hanno contribuito alla creazione del Benacus. Infine, discuteremo l’importanza della copertura completa del giugolo e dello sterno e le penalizzazioni che possono derivare dalla loro visibilità nelle competizioni ornitologiche.
Il Jabot e la selezione del Benacus Il Benacus rappresenta un esempio perfetto di come il meticciamento tra razze e una conseguente attenta e finalizzata selezione possano dare origine a una nuova varietà con caratteristiche uniche. L’idea alla base della creazione del Benacus era quella di combinare le migliori qualità di diverse razze arricciate per ottenere un canarino che non solo fosse esteticamente apprezzabile, ma che rispettasse anche rigorosi standard di selezione.
Il Gibboso Spagnolo ha significativamente contribuito alla struttura e alla postura del
Benacus. Infatti il Gibboso, noto per la sua postura ad “uno” e la struttura corporea snella, ha avuto un’influenza significativa nella creazione del Benacus. Questo canarino, caratterizzato da un jabot poco sviluppato ma da una postura particolarmente accentuata, ha conferito al Benacus la sua distintiva silhouette. L’introduzione del Gibboso ha permesso di ottenere esemplari con una postura eretta ma elegante, che si armonizza perfettamente con le altre caratteristiche fisiche derivate dalle altre razze.
Nonostante il Gibboso presenti un jabot meno sviluppato rispetto al Fiorino, la sua struttura corporea è stata fondamentale per migliorare l’aspetto generale del Benacus. La selezione degli allevatori si è poi concentrata anche sull’ampliare e migliorare il jabot, senza rinunciare alla postura eretta e ben definita ereditata dal Gibboso.
Il Fiorino ha consentito l’inserimento del ciuffo e ha dato un importante apporto di volume e densità del piumaggio, contribuendo, con la sua arricciatura ricca e voluminosa, a conferire al Benacus un jabot e delle spalline dense e visibili. Questo canarino, con la sua struttura compatta e le arricciature ben definite, ha contribuito, inoltre, a rafforzare il piumaggio del Benacus, rendendolo serico e brillante e conferendogli una struttura brinata pur mantenendo la colorazione intensa propria del Gibboso; un piumaggio che, nonostante sia “scarso” se paragonato a quello
dell’Arricciato del Sud o dello stesso Fiorino, potremmo definire, molto impropriamente, di tipo “intermedio” o “semintenso”.
Le caratteristiche del Fiorino hanno contribuito a dare al Benacus eleganza e pienezza, e hanno consentito di dare origine a un jabot che, quantunque sia meno pieno e voluminoso rispetto a quello dell’Arricciato del Sud, copre completamente giugolo e sterno, conferendo al canarino un aspetto armonioso e ben proporzionato. Sebbene non sia l’argomento principale dell’articolo, è importante sottolineare che il Fiorino ha influenzato anche la selezione delle spalline del Benacus. Infatti, le spalline del Benacus devono essere ben definite, con netta demarcazione centrale, simmetriche, e incuneate fra i carpi. Proprio come nel Fiorino, esse devono essere folte e limitate all’alto dorso, senza estendersi al collo o alla groppa. Chi ha esperienza nell’alleva-
mento di canarini arricciati riconosce facilmente che le spalline del Benacus sono diverse da quelle del Gibber, del Gibboso e del Giraldillo.
Il Bossù Belga, noto per la sua robustezza e il piumaggio ben curato, ha contribuito a migliorare la qualità complessiva del Benacus ma, soprattutto, gli ha trasmesso la caratteristica flessione del calcagno che lo distingue dalle altre razze arricciate consimili. Questa razza, a piumaggio liscio, è stata fondamentale per l’evoluzione del Benacus.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il Gibber Italicus non ha avuto alcun ruolo nella creazione del Benacus. Questa razza, caratterizzata da una struttura esile e da un jabot ridotto, non rispondeva agli standard richiesti per il Benacus, che invece necessitava di una maggiore stazza, un jabot più voluminoso e di una postura a sette, ma caratterizzata da arti inferiori lun-
ghi, deplumati al ginocchio e leggermente flessi al calcagno (nel Gibber, sono privi dell’angolature al calcagno). Gli allevatori hanno quindi evitato di utilizzare il Gibber Italicus nei programmi di selezione, concentrandosi invece su razze che potessero offrire le caratteristiche desiderate, come il Gibboso Spagnolo, il Fiorino e il Bossù Belga.
Caratteristiche del Jabot nel Benacus
Il jabot è una delle arricciature principali del Benacus, elemento distintivo che contribuisce in modo significativo alla bellezza del canarino. Nel Benacus, il jabot è “composto da due arricciature che dai lati del collo convergono verso il centro per coprire completamente il giugolo” (Criteri di Giudizio, FOI, 2020), ad esso possono essere attribuiti al massimo 10 punti. Ovviamente, oltre al giugolo anche lo sterno deve essere completamente coperto per garantire l’armonia dell’esemplare.
Il jabot del Benacus si distingue per il suo volume considerevole e la densità elevata delle piume, che si dispongono in modo da creare una copertura uniforme e compatta. Questa conformazione conferisce al canarino un aspetto pieno e armonioso, evitando qualsiasi impressione di magrezza. Il piumaggio deve essere serico e brillante, riflettendo lo stato di salute e la cura meticolosa dell’allevatore. Un jabot ben curato è anche segno di una buona selezione genetica, poiché evidenzia l’assenza di caratteristiche indesiderate dovute a incroci recenti con altre razze. Come in ogni altra razza arricciata, la simmetria del jabot è cruciale. Le piume devono essere distribuite in modo uniforme su entrambi i lati del petto, senza che una parte risulti più sviluppata dell’altra. Una simmetria perfetta contribuisce a un aspetto equilibrato e proporzionato, mentre l’assenza di simmetria è considerata un difetto che può influire negativamente sulla valutazione. La simmetria non è solo una questione estetica, ma riflette anche una buona salute e un corretto percorso selettivo.
Per comprendere appieno l’unicità del jabot del Benacus, è utile confrontarlo
con quello di altre razze arricciate, come il Gibber Italicus, il Giraldillo Sevillano e il Gibboso Spagnolo. Queste razze, pur appartenendo alla stessa tipologia, presentano differenze significative nella conformazione del jabot, che influiscono sulla loro valutazione nelle competizioni.
Il Gibber Italicus è noto per la sua struttura esile e slanciata, con un jabot decisamente scarso e poco sviluppato le cui caratteristiche principali includono:
·Piumaggio minimale: le piume del jabot sono poche e sottili, la zona giugulare appare nuda a differenza dello sterno la cui nudità deve solo “intravedersi”.
·Linee essenziali: l’estetica del Gibber Italicus è improntata alla semplicità, con un jabot che non aggiunge volume al corpo.
Nel Benacus, una conformazione del jabot simile a quella del Gibber Italicus sarebbe considerata un grave difetto. La visibilità del giugolo potrebbe suggerire meticciamenti recenti con il Gibber Italicus, compromettendo sia l’estetica che la purezza della razza. È una pratica da evitare assolutamente, dato che potrebbe compromettere anche la purezza del Gibber Italicus, orgoglio e vanto dell’ornitologia italiana.
Il Giraldillo Sevillano, a differenza del Gibber, presenta un jabot moderatamente sviluppato, ma comunque inferiore in volume e copertura rispetto al Benacus. Le sue caratteristiche includono:
·Piumaggio medio: il jabot ha una presenza visibile ma non particolarmente folta, coprendo solo parzialmente il petto.
·Parziale esposizione del giugolo: in molti esemplari, giugolo e sterno sono parzialmente visibili, conferendo un aspetto più affusolato.
·Eleganza sobria: il Giraldillo punta su una combinazione di eleganza e semplicità, senza l’opulenza del Benacus.
Se un Benacus presentasse un jabot simile a quello del Giraldillo Sevillano, ciò indicherebbe un potenziale meticciamento con questa razza, compromettendo l’estetica e la purezza
genetica del Benacus. Il Gibboso Spagnolo è caratterizzato da un jabot molto ridotto. Le sue peculiarità comprendono:
·Piumaggio ridotto: il jabot è quasi inesistente, con pochissime piume nella zona del petto.
·Espressione scheletrica: lo sterno e il giugolo sono ampiamente esposti, conferendo al canarino un aspetto estremamente snello.
·Postura accentuata: il Gibboso enfatizza una postura ad uno e il jabot ha un ruolo secondario nell’estetica complessiva.
Se un Benacus presentasse un jabot simile a quello del Gibboso Spagnolo, questo suggerirebbe un incrocio recente, con il rischio di una contaminazione genetica che comprometterebbe la purezza del Benacus.
Valutazione del Jabot nelle competizioni Ornitologiche
La valutazione del jabot è uno degli elementi chiave nelle competizioni ornitologiche, soprattutto per il Benacus. La conformazione, il volume, la densità e la copertura del giugolo e dello sterno sono tutti aspetti fondamentali che determinano il punteggio finale dell’esemplare. Difetti in queste aree non solo compromettono l’estetica, ma possono anche indicare meticciamenti recenti che minacciano la purezza genetica. La visibilità dello sterno nudo nel Benacus è, infatti, indice di possibili meticciamenti recenti o di scarso impegno selettivo. Gli incroci con razze che presentano jabot meno sviluppati, come il Gibber Italicus o il Gibboso Spagnolo, possono introdurre molte caratteristiche genetiche indesiderate. Que-
sto non solo altera l’aspetto del Benacus, ma minaccia la purezza genetica della razza, richiedendo una rigorosa valutazione negativa e una forte penalizzazione nelle competizioni. Preservare la purezza genetica del Benacus è cruciale non solo per tutelare questa razza, di recente creazione e, quindi, con un patrimonio genetico fragile, ma anche per proteggere le altre razze coinvolte in eventuali meticciamenti. Infatti, gli incroci indesiderati possono introdurre nel Benacus caratteristiche che potrebbero diffondersi in altre linee genetiche, compromettendo la purezza di razze come il Gibber Italicus, il Gibboso Spagnolo o il Giraldillo Sevillano. Pertanto, è fondamentale che allevatori e giudici siano molto rigorosi nelle valutazioni.
In conformità con le linee guida fornite a Chianciano dalla C.T.N.- C.F.P.A., i giudici nelle competizioni e gli allevatori nella selezione dei soggetti da riproduzione devono considerare che un jabot che copre il giugolo ma lascia intravedere lo sterno deve ricevere una valutazione appena sufficiente, con un punteggio massimo di 7 punti su 10. Questo difetto estetico indica, infatti, un’azione selettiva poco accurata.
Se sia il giugolo che lo sterno risultano visibili, il jabot deve essere considerato insufficiente, con un punteggio che non supera i 5 o, al massimo, i 6 punti. Questo punteggio evidenzia un difetto grave, indicativo di potenziali incroci recenti, che sono fortemente sconsigliati per preservare l’integrità del Benacus.
Conclusione
In conclusione, la selezione accurata e la valutazione rigorosa del jabot nel Benacus sono essenziali per mantenere gli elevati standard estetici e la purezza genetica della razza. Il successo nelle competizioni ornitologiche dipende in gran parte dalla capacità degli allevatori di evitare incroci indesiderati e di promuovere caratteristiche che esaltano l’unicità e la bellezza di questo canarino arricciato. Preservare la purezza del Benacus significa anche rispettare e valorizzare il lavoro di selezione che ha portato alla creazione di questa affascinante razza.
La Tortora dal collare domestica
Un orientamento comune tra compromessi e selezione
testo di FRANCESCO FAGGIANO, VINCENZO RALLOECOLLABORATORI, foto V. RALLO, F. VERONESE, F. FAGGIANO e M. MELOTTI
Seconda parte
Premessa
Nel precedente articolo abbiamo riportato la prima parte di questo studio propositivo sulla tortora dal collare domestico, che attraverso la riflessione di un bel gruppo di esperiti allevatori e giudici riunisce in un unico pensiero condiviso una buona parte degli ornicoltori italiani di maggior rilievo e di giudici specializzati. Attraverso la raccolta dei dati che ognuno ha addotto, il confronto degli stessi e l’identificazione (presumibilmente) corretta della mutazione sia dal punto di vista genetico che fenotipico, si è arrivati a proporre tutta una serie di denominazioni potenzialmente corrette per i fenotipi mutanti, lungo un fil rouge di concreto sapere. Alla proposta della giusta denominazione si accosta, ovviamente, l’orientamento selettivo conseguente, rispettoso dei presupposti selettivi riconosciuti universalmente nell’ornicoltura, a loro volta rispettosi dell’identità della specie considerata, seguendo gli insegnamenti dei nostri maestri: quale mutazione e quale selezione… oggi forse imprudentemente messi in discussione. È stato attraverso la memoria personale, ad esempio, che abbiamo riconosciuto l’identità dell’albino differenziandola dall’ino visto che, se pur simili, sono profondamente diverse in tutto, o ancora attraverso l’analisi dell’ereditarietà del feno-
tipo e dell’interazione con altre mutazioni proponiamo, con probabilità, la giusta identità della mutazione che oggi identifichiamo come pastello. Sperando di aver suscitato un po’ di curiosità ed interesse e soprattutto di aver prodotto del materiale tecnico utile agli allevatori ed ai giu-
dici, nell’intento di uniformare le selezioni e i giudizi di questa specie, ci auguriamo che questo nostro lavoro diventi una piattaforma trasversale di supporto al giudizio e alle scelte di standardizzazione (se e quando ci saranno) delle mutazioni di questa specie in Italia e all’estero.
Diluito dominante autosomico, all.: M. Melotti
Albino o Acianico
Con la denominazione di “albino” indichiamo nella tortora domestica una ben nota mutazione autosomica recessiva che produce un acianismo totale, già apprezzato in molti animali. Determina la completa incapacità del soggetto di sintetizzare qualsiasi tipo di melanina anche negli organi interni come nel sistema nervoso centrale, da cui spesso derivano disturbi dell’equilibrio e della coordinazione. Determina un candore assoluto del soggetto su cui si possono però depositare i lipocromi, che nella tortora ritroviamo solo a livello di iride e zampe, che vanno a combinarsi con la pigmentazione rossa data dalla circolazione sanguigna, come descritto. È questo un fenotipo molto delicato, ma anche molto apprezzato, che richiede all’ornicoltore ed al giudice l’attenzione selettiva su
parametri morfologici quali taglia, qualità del piumaggio, salute.
Descrizione
Becco: carnicino.
Occhi: palpebra biancastra, iride pigmentata da lipocromo arancio e pupilla rosso scuro dato dall’irrorazione sanguigna e l’ombra dell’iride. Rimane comunque sempre evidente il colore rosso rubino della pupilla.
Collare: rimane percettibile per la luminosità del bianco dato dalle piume dell’area, che hanno una struttura diversa e riflettono diversamente la luce bianca, dando l’impressione che sia un bianco più candido.
Resto del vessillo: bianco, gessoso, non brillante né opaco, ma compatto, che cela ogni porzione di cute.
Zampe: di color rosso corallo e unghie carnicine.
Pregi: si ricercano soggetti di taglia adeguata, con piumaggio serico completo e assolutamente immacolato, su cui stacca il riflesso di luce dell’area del collarino.
Difetti: è considerato difetto qualsiasi inquinamento del candore nel piumaggio dato da residuo di melanina. È difetto anche un piumaggio duro, secco, corto e/o sciupato. Sono difetti di colore anche una colorazione pallida delle zampe e l’iride giallo o arancio pallido, oppure iride e pupille indistinguibili. Va posta attenzione alla taglia e alla struttura, rispetto alla quale sono da premiare soggetti di buona struttura, pur rimanendo clementi verso taglie appena più gentili rispetto a colorazioni più rustiche.
Nota
In questa varietà va tenuta in particolare considerazione la condizione generale dell’animale che deve presentare piumaggio completo, di giusta fattura, ma sopra ogni cosa integro e immacolato.
Ino sessolegato
Classica mutazione sessolegata, allelica all’agata, rispetto alla quale è recessiva; è probabilmente tra i fenotipi più antichi presenti nella tortora dal collare domestica, con testimonianze orali di ornicoltura della varietà che fanno risalire la sua comparsa probabilmente a cinque secoli fa. Oggi è una colorazione poco diffusa negli aviari italiani, presenta un delicato colore di fondo bianco crema, dato dal diffuso ma tenue residuo di eumelanina beige che si esprime maggiormente nelle zone del dorso e scudo alare, mentre le parti inferiori sono visibilmente più limpide. Riteniamo che la giusta selezione di questo fenotipo si concretizzi nella ricerca di un equilibrio tra le tonalità beige chiaro richieste per un’espressione armoniosa del fenotipo e la tendenza dei soggetti ad essere troppo sbiaditi e confondibili con l’acianico.
Descrizione
Becco: carnicino
Occhi: palpebra biancastra, iride pigmentata da lipocromo arancio e pupilla rosso scuro dato dall’irrorazione sanguigna e l’ombra dell’iride, pupille rosso scuro. È difficilmente visibile il colore
Eumelanico (testachiara), all.: Rallo
rosso della pupilla perché probabilmente in profondità è melanizzata.
Testa: è bianco crema ed è ricercata l’evidenza del residuo di eumelanina beige chiaro
Collare: espressivo di adeguate dimensioni e colore beige, rispetto al quale è possibile intravvedere un collarino bianco.
Gola/Petto: bianco ghiaccio, apprezzando un tono freddo e leggerissimo, comunque più leggero delle parti superiori.
Ventre e Regione Anale: biancastre. Mantello/Dorso/Groppone: anche se tendenzialmente sono bianco crema, è ricercato e premiabile un leggerissimo residuo di eumelanina beige, soprattutto sul dorso.
Scudo alare: bianco crema, o meglio, beige chiaro.
Remiganti: generalmente sono biancastre, ma ci si augura che una corretta selezione possa migliorare l’espressione di questo carattere.
Coda: le timoniere nella loro fascia superiore sono di color bianco crema, molto chiaro in tutta la lunghezza della coda; invece la parte inferiore della coda è di color crema più saturo. Sul sottocoda è presente una barratura melanica, segno indistinguibile della mutazione ino.
Zampe: di color rosso con unghie carnicino.
Pregi: considerando l’origine genetica della mutazione riteniamo corretto un orientamento selettivo che, mantenendo il presupposto di un fenotipo dalle tinte delicate e leggere, mantenga un residuo melanico espressivo e presente, questo ricordando l’assenza totale della feomelanina ma la correttezza di un leggero deposito eumelanico bruno. È obiettivo della selezione distinguere nettamente questo fenotipo dall’albino, che è totalmente apigmentato.
Difetti: si possono riscontrare molti difetti in questa mutazione, primo tra tutti una struttura esile e un piumaggio troppo corto. Anche un collarino sottile non uniforme troppo chiaro o di contro troppo marcato. Anche la presenza di riflessi rosacei è da considerarsi difetto del colore. Zampe e iride di colore pallido.
Con la denominazione di “albino” indichiamo nella tortora domestica una ben nota mutazione autosomica recessiva
Agata
Premessa
In questo lungo lavoro più volte abbiamo corretto il tiro quando sono emerse evidenze o informazioni empiriche inconfutabili, così è successo nel caso della mutazione in questione, che a causa di una erronea interpretazione e una conseguente selezione impropria si è considerata un pastello. Oggi, grazie anche alle prove fornite dal Signor Melotti, che ne ha dimostrato l’allelicità con la ino sessolegato, possiamo affer-
mare di quale gene e variante si tratti. Ovviamente, nella proposta selettiva sottoscritta abbiamo da considerare che l’effetto di ogni mutazione deve essere applicato al fenotipo di base, perché sarebbe assurdo proporre per la tortora agata la selezione del canarino di colore o del diamante mandarino!
Probabilmente la mutazione Agata, recessiva sessolegata, allelica alla ino sex linked, è una delle prime varianti fenotipiche comparsa in questa specie, il cui effetto sul tipo classico, elegante ma semplice, non colpisce i meno esperti. Determina di fatti una leggera riduzione dell’eumelanina, mentre incide significativamente sulla feomelanina. Quindi, nei soggetti tipici e non presentanti caratteri della decaocto (quali tonalità troppo fredde e troppo scure dell’eumelanina), la mutazione realizza un effetto di uniformità del colore, riducendo i contrasti tra le varie aree somatiche perché, ridotta la feo, le aree sono interessate prevalentemente e uniforme-
Soggetto classico in primo piano a confronto con agata in secondo piano, foto e all.: F.Faggiano
mente da eu beige. L’effetto di questa mutazione, di contro, va ad amplificare l’incidenza di altre mutazioni creando fenotipi combinati molto caratteristici ed apprezzati. L’indicatore più attendibile nell’identificazione di un’Agata e nella valutazione della sua correttezza fenotipica è il colore delle remiganti, che assumono un colore più chiaro del tipo classico uniforme. È importante l’uniformità del colore e dei toni delle parti superiori così come delle parti inferiori.
Becco: di colore grigio
Occhi: iride di color rosso intenso e pupille nere, con palpebra rosa.
Testa: color cipria, uniforme di tonalità opaca. La femmina presenta generalmente una saturazione maggiore e quindi un colore più intenso rispetto ai maschi, che appare spesso più pallido. Collare: di colore nero. È pregio il sovracollare bianco candido, non più alto di un paio di millimetri.
Gola e Petto: fondo di color beige
chiaro, infiltrato di rosa uniforme e luminoso, fianchi grigiastri.
Mantello: dorso di color beige chiaro saturo e di tonalità opaca, caratterizzato dall’effetto cipria dato dalla presenza di feo e scarsità di eu.
Groppone: grigio cenere.
Remiganti: remiganti primarie di color grigiastro, possibile con una leggera orlatura periferica beige chiaro.
Scudo alare: beige chiaro e uniforme e saturo, con lo stesso caratteristico tono opaco e l’effetto cipria del dorso. Quest’area tende ad avere un tono appena più caldo del dorso
Coda: la parte superiore e prossimale delle timoniere è grigio cenere, mentre il terzo distale delle remiganti è leggermente più chiaro, con estremità biancastra.
Zampe: di colore rosso con unghie di color grigio.
Basso petto e ventre: rosa che tende a sfumare in un crema chiaro nella parte ventrale quasi bianca.
Pregi: Vanno premiati i soggetti che presentano una colorazione uniforme e satura della melanina, sempre ed assolutamente nei toni del beige e rosa chiaro, come descritto per ogni area. Sono da premiare remiganti e timoniere grigio uniforme che stacchino dal resto del colore di base beige, così come è fondamentale l’integrità del collare nero, questo perché remiganti e collare sono aree dove è presente eu nera che deve essere preservata (si ricorda che il grigio è una riduzione del nero, mentre il beige è una riduzione dei toni bruni, ma sempre eumelanici). È apprezzata una pigmentazione uniforme tra rachide centrale e vessillo sia sulle penne forti che sulle piume.
Rimane particolarmente apprezzata un’evidente differenza di tonalità tra la parte superiore dell’animale, più beige ed eumelanica, opaca e caratterizzata dall’effetto cipria, rispetto alla parte inferiore, che deve essere chiara, delicata e luminosa, con toni rosacei e biancastri. Apprezzato se evidente e regolare il “ciliare inferiore”, disegno sotto-oculare di colore cipria molto chiaro la cui espressività indica la buona ossidazione dei pigmenti melanici di testa. Un esemplare agata è particolarmente apprezzabile quando il colore è uniformemente interessato da una riduzione quantitativa dell’eumelanina, approssimativamente del 30%, e di oltre 80% della feo.
Difetti: è difetto grave del colore un’espressione di eumelanina sbiadita o troppo rossiccia per eccesso di feo o, di contro, troppo scura e tendente al grigio, per troppa eu nera. Anche schiarite spesso localizzate sulla fronte, gola e petto sono difetti del colore. È difetto l’assenza dell’effetto cipria sull’intero piumaggio. Remiganti grigio chiaro (troppo sbiadite). Anche becco e unghie nere sono difetto perché espressione della decaocto.
Diluito dominante (Opale dominante?) Premessa
Con il gruppo abbiamo discusso a lungo sulla questione e siamo arrivati in primis a definire la natura quantitativa della mutazione in esame, che evidenzia sicuramente un effetto di diluizione sul quantitativo totale delle melanine che Ino sessolegato, all.: M. Melotti
produce così uno schiarimento generale, ma moderato, a cui però si associa soprattutto un viraggio della tipologia melanica, portando il deposito melanico a tonalità grigie e non più beige e brune. In particolare, la feomelanina appare impercepibile a occhio nudo, realizzando nel complesso un fenotipo grigio perlaceo, quasi opalescente, molto freddo, tanto da far attribuire al fenotipo la denominazione di frosty in alcuni Paesi europei. Potremmo anche azzardare con queste evidenze una presumibile allelicità al fenotipo precedentemente definito onice, col quale sembra generare figliolanza solo parzialmente vitale, ma mutata, e supponendo che il diluito sia un “opale” a carattere ereditario dominante. Un ulteriore indizio sarebbe la realizzazione di un’osservazione istologica al microscopio per evidenziare un deposito profondo dei granuli eumelanici ingrossati, che si evidenziano in altre specie affette dalla mutazione opale. Ma in questa sede ci limitiamo a descrivere il fenotipo e suggerire una pista da seguire eventualmente in un processo di riconoscimento e standardizzazione ufficiale, senza alcuna pretesa, per orientare la giusta selezione. Va però evidenziato che mentre l’onice non è una mutazione che riduce il deposito ma produce una sostituzione con eu nera (effetto qualitativo), il diluito produce uno schiarimento perché la feo viene inibita (effetto quantitativo) e un viraggio del colore di fondo perché l’eumelanina residua è portata verso il grigio (effetto qualitativo).
Becco: di colore grigio
Occhi: iride bruno scuro con pupille nere e palpebra grigia.
Testa: color grigio perla chiaro, uniforme di tonalità opaca. La femmina presenta generalmente una saturazione maggiore e quindi un colore più intenso rispetto ai maschi, che appare spesso più pallido.
Collare: di colore nero. È pregio il sovracollare bianco candido, non più alto di un paio di millimetri.
Gola e Petto: fondo di color grigio perla molto chiaro uniforme e luminoso, fianchi grigio perla chiaro.
Mantello: dorso di color grigio ceruleo chiaro saturo e di tonalità opaca, caratterizzato dall’effetto cipria.
Groppone: grigio cenere.
Remiganti: remiganti primarie di color grigio perla, ornato da una leggera orlatura periferica biancastra.
Scudo alare: grigio chiaro, uniforme e saturo, con lo stesso caratteristico tono opaco e l’effetto cipria del dorso. Quest’area tende ad avere un tono appena più saturo del dorso
Coda: la parte superiore e prossimale delle timoniere è grigio cenere, mentre il terzo distale delle timoniere è leggermente più chiaro con estremità biancastra.
Zampe: di colore rosso scuro, con unghie di color grigio.
In questa sede ci limitiamo a descrivere il fenotipo e suggerire una pista da seguire eventualmente in un processo di riconoscimento e standardizzazione ufficiale, senza alcuna pretesa
Basso petto e ventre: biancastro che tende a sfumare in grigio perla chiaro nella parte ventrale quasi bianca. Pregi: vanno premiati i soggetti che presentano una colorazione uniforme e satura della melanina sempre ed assolutamente nei toni del grigio, come descritto per ogni area. Sono da premiare remiganti e timoniere giustamente diluite e che non stacchino duramente dal resto del colore di base. È apprezzata una pigmentazione uniforme tra rachide centrale e vessillo sia sulle penne forti che sulle piume. Rimane particolarmente apprezzata un’evidente differenza di tonalità tra la parte superiore dell’animale più grigia, opaca e caratterizzata dall’effetto cipria, rispetto alla parte inferiore che deve essere chiara, delicata e luminosa con toni biancastri. Apprezzato un colore uniforme di tutte le parti del capo così da non rendere evidenti stacchi tra le aree né il “ciliare inferiore”. Un esemplare “diluito” è particolarmente apprezzabile quando il colore è uniformemente interessato da una riduzione quantitativa dell’eumelanina approssimativamente del 40%, presenta un viraggio totale dei pigmenti in melanina di tonalità grigia e presenta soprattutto sulle remiganti e copritrici un effetto di “opalescenza”.
Tortora dal collare albino autosomico recessivo a piumaggio serico, foto e all.: Veronesi
Difetti: è difetto grave del colore un’espressione di eumelanina troppo scura e tendente al grigio ferro o nerastra. È difetto l’assenza dell’effetto cipria sull’intero piumaggio. Remiganti grigio scure o bruno (troppo sature) o, viceversa, troppo diluite e non realizzanti uno stacco cromatico evidente con il corpo: è da considerarsi difetto. Anche becco e unghie carnicine sono difetto, così come se si presentano nere, perché espressione della decaocto.
Testabianca - Eumelanico
Fenotipo dato da mutazione recessiva autosomica, molto apprezzato tra gli allevatori di tortora dal collare; si realizza per l’assenza totale di feomelanina che come sappiamo nel tipo classico è concentrata soprattutto sulla testa, collo e petto, aree che in presenza della mutazione in questione assumono un color bianco gesso, da cui il nome del fenotipo. Tecnicamente si tratta di un eumelanismo. Anche dorso, scudo alare, remiganti e timoniere sono interessate dall’assenza di feo, esprimendo tonalità beige e grigio date dalla sola eumela-
nina, che però non deve apparire ridotta, anche se soprattutto nelle femmine si evidenziano spesso cariche melaniche troppo diluite. Nel complesso, si realizza un fenotipo dall’aspetto pallido, ma piacevole soprattutto per lo stacco cromatico tra aree anteriori bianche e medio posteriori beige grigiastro. Occhio, becco e zampe rimangono come nel classico. Anche il collarino rimane inalterato ma si perde il sovracollare bianco, area che va a fondersi col candore dell’intero collo, condizione da considerare in sede di giudizio. Si consiglia una selezione mirata al giusto equilibrio tra schiarimenti delle porzioni feomelaniche e adeguata espressività dell’eumelanina, che non deve apparire grigia, eventualità considerabile difetto del colore, ma mantenere tonalità beige calde e sature soprattutto sullo scudo alare.
Va considerata difetto una tonalità troppo sbiadita o, peggio, una tonalità rosata del capo, del collo e del petto. Anche in questo fenotipo qualsiasi espressione fenotipica riconducibile alla decaocto è da considerarsi difetto,
come possono essere zone grigie dello scudo alare o remiganti grigio scuro.
Nota: in combinazione con la mutazione topazio e il Feo (ricordiamo, a dominanza intermedia) si producono fenotipi combinati che palesano un residuo apprezzabile di feomelanina dato dall’effetto amplificatorio delle due varietà che supera l’inibizione della mutazione eumelanica, che non determina un’incapacità totale di produzione della feo come nell’ino.
DL Picchiettato dominante o brinato È una mutazione molto caratteristica, probabilmente assimilabile veramente a una qualche forma di particolare “brinatura”, che crea un disegno inedito nella specie. Riteniamo sia assimilabile almeno nell’espressione fenotipica e quindi nella denominazione e selezione al “picchiettato” del pollo domestico, anche se nella tortora il picchiettato è dominante. Crediamo corretto proporre come selezione la richiesta che su ogni piuma o penna si evidenzi una perla apicale bianca, frutto di una totale assenza di pigmentazione della punta della stessa. La perla uniforme e regolare deve essere lentiforme, con margini mediali regolari e concavi. Il fondo melanico rimane inalterato e deve essere della giusta espressione del tipo considerato, come se la perlatura fosse poggiata sul piumaggio. Sulla testa, dove il piumaggio è più corto, si crea una sorta di uniforme pezzatura, che se pur tollerata sarebbe apprezzabile ricondurre a una picchiettatura. Occhio, zampe e becco devono essere relazionati al tipo base su cui poggia la picchiettatura. È corretta una selezione che porti ad ottenere soggetti con perle delle giuste dimensioni, tondeggianti, ben diffuse ed ordinate sul vessillo. È da considerarsi difetto una perlatura disomogenea, ridotta o troppo ampia.
Anomalie ereditarie del piumaggio: serico e ciuffato
Anche in questa specie esistono mutazioni geniche ereditarie che interessano la struttura della piuma o il suo orientamento. Nello specifico, è oggi apprezzato e selezionato il fenotipo a piumag-
Tortora dal collare classico picchiettato dominante, alias brinato, foto: Qrzel_kw
gio “serico”, mutazione dominante autosomica, apprezzabile solo allo stato eterozigote, che produce un’anomalia degli amuli, così da realizzare piume destrutturate, di caratteristico effetto morbido e vaporoso. Allo stato omozigote il piumaggio risulta molto compromesso e fragile, soggetto a spezzarsi con impropri effetti, quindi da evitare per il benessere dell’animale. È possibile sovrapporre questo fenotipo a tutte le mutazioni di colore. Quando parliamo di orientamento della disposizione del piumaggio, nella tortora domestica ci riferiamo ancora esclusivamente al ciuffo o, meglio, ai diversi tipi di ciuffo. In Europa è diffuso il ciuffo occipitale, riportato come recessivo autosomico, realizzato dall’orientamento verso l’alto di un piccolo gruppo di piume nell’area dell’occipite. La selezione deve tendere a un’espressione sufficientemente ampia del gruppo di piume interessate, che ordinatamente lungo l’asse sagittale del
Quando parliamo di orientamento della disposizione del piumaggio, nella tortora domestica ci riferiamo ancora esclusivamente al ciuffo o, meglio, ai diversi tipi di ciuffo
soggetto sono rivolte verso l’alto senza creare un vuoto centrale. Di contro, il ciuffo frontale (probabilmente dominante) dato sempre dall’inversione dell’orientamento delle piume di quell’area, deve realizzare un vuoto centrale per conferire un aspetto circolare allo stesso. La genetica di questi caratteri
non è certa. Rimane fondamentale un’espressione ordinata e di giusta ampiezza.
Conclusioni
Con questo secondo excursus concludiamo un approfondimento tecnico che credo abbia soprattutto stimolato molti ornicoltori appassionati di tortore a impegnarsi ancor di più nell’ottenere soggetti con fenotipi caratterizzati e allineati a un fil rouge selettivo che si è costruito non dall’idea individuale o dai personalismi, ma dal confronto e dall’esperienza diretta negli aviari. Crediamo sia questo il modo migliore per fare ornicoltura, attraverso la discussione costruttiva all’interno di gruppi, anche numerosi e ben identificati. Ringrazio personalmente tutte le ragazze e i ragazzi che in questi mesi hanno collaborato con me e col grande Vincenzo Rallo, vero promotore di questo progetto.
L’importanza dei posatoi per i pappagalli
testo di RAFAEL ZAMORA PADRÓN (*), foto LPF
Ipappagalli sotto la cura umana hanno bisogno di uno spazio adeguato in cui siano soddisfatte tutte le loro esigenze vitali. E se c’è un elemento importante nella vita di un pappagallo, è il luogo in cui si poggia. Non importa se gli viene dato molto spazio, poiché la maggior parte del tempo lo trascorre nelle aree in cui trova i suoi posatoi. Il concetto di trespoli, rami, barre della gabbia, altalene, ha una connotazione che va oltre l’elemento in sé. Li consi-
(*)Direttore Scientifico Fondazione Loro Parque
I posatoi verticali offrono la possibilità di utilizzare più spazio nelle voliere, foto: LPF
Diversi tipi di trespoli offrono ai pappagalli più opzioni, foto: LPF
deriamo essenziali, infatti la prima cosa che gli allevatori imparano è dove devono essere posizionati i trespoli, in modo che non si sporchino e che gli uccelli abbiano comode opportunità di riposare. Tuttavia, i trespoli sono molto più di questo e non sono ugualmente importanti per tutte le specie e tutti gli uccelli.
Dobbiamo tenere a mente che molti dei comportamenti di un pappagallo si svolgono sul trespolo. Sul trespolo, si esercitano, si puliscono il becco e le unghie, si dedicano al corteggiamento e all’accoppiamento, riposano, mangiano e
Per i giovani pappagalli, più scelte di rami diversi hanno, meglio si svilupperanno
persino dormono. La nostra prospettiva, come custodi, deve contemplare tutti questi comportamenti per rendersi conto che, in realtà, i pappagalli non fanno sempre tutto questo su un trespolo lungo, liscio e orizzontale, né lo
usano allo stesso modo in diverse fasi della loro vita.
I posatoi in una voliera dovrebbero variare per forma, diametro, lunghezza, ramificazione e posizione. Se riusciamo a offrire ai nostri pappagalli questa variazione, otterremo un benessere visibile dei nostri pappagalli.
Il rinnovamento è importante poiché cambiare forma, ruvidità della corteccia e posizione del trespolo è uno stimolo soprattutto per gli uccelli giovani. Tuttavia, i cambiamenti dei trespoli principali, per le coppie riproduttive, dovrebbero essere fatti prima e dopo la stagione riproduttiva, poiché dimostrano che non vogliono alterazioni nel loro ambiente durante la fase riproduttiva.
Per i giovani pappagalli, più scelte di rami diversi hanno, meglio si svilupperanno. In questi casi è necessario cercare di variarli perché sono in una fase di cambiamento e fanno molto uso di posatoi verticali, altalene e trespoli instabili di ogni tipo. Se abituiamo un giovane pappagallo a frequenti cambi di trespoli, la sua gestione in futuro sarà più facile. Questo evita il disagio che molte specie sperimentano con qualsiasi cambio di ambiente.
Uno degli stimoli più interessanti è quello di fornire trespoli appesi verticalmente o diagonalmente in diversi punti della voliera. Il loro utilizzo è quasi immediato e ci consente di dare più spazio utile agli altri uccelli ospitati in un aviario.
Nel caso di uccelli più anziani o isolati, perché non sono in grado di volare o camminare normalmente, è tutto il contrario: i cambi di trespolo possono essere controproducenti e molto scomodi per l’animale. Infatti, i pappagalli più anziani hanno i loro trespoli preferiti anche se sono praticamente distrutti. Nonostante vengano aggiunte nuove opzioni, continueranno a usare i pezzi di trespolo, che possono anche essere incastrati nel pavimento della voliera. In natura, si osservano rami “marcati”. I pappagalli più anziani si appollaiano di notte sui rami degli alberi che rosicchiano in punta in modo da essere visti da lontano. I pappagalli più anziani e meno agili fungono da osservatori, marcando questi trespoli e allertando l’in-
Molte Amazzoni adulte preferiscono stare sul pavimento delle voliere, foto: LPF
Per i pappagalli più anziani, i trespoli sul pavimento possono essere una buona soluzione, foto: LPF
tero gruppo di possibili minacce da queste posizioni.
I cacatua, gli ara e le amazzoni più anziani potrebbero non usare mai i nuovi trespoli forniti, preferendo camminare sul pavimento della voliera o lungo i lati della rete. Potrebbero persino dormire aggrappati alla rete con i loro becchi e le loro zampe, senza che ciò rappresenti un problema per la loro condizione fisica. In questi casi, si consigliano voliere sospese, per evitare il contatto con il substrato e con predatori, insetti o roditori. Molti di questi pappagalli più anziani possono persino riprodursi con successo, anche se non utilizzano una vasta gamma di rami.
I pappagalli apprezzano gli arredi che hanno nel loro spazio. Infatti, un pezzo di tronco di palma, pino o eucalipto può diventare un trespolo preferito anche se non è posizionato in una posizione elevata.
Prima dell’inizio della prossima stagione
Alcuni pappagalli preferiscono stare ai lati delle voliere piuttosto che usare trespoli stabili. L’allevatore può provare a posizionare i trespoli nelle aree di maggiore utilizzo, anche se non vi è alcuna garanzia che si poggino lì. In ogni caso, se il clima è mite, non rappresenterà alcun problema per gli uccelli, foto: LPF
riproduttiva, è necessario pianificare quali rami posizionare per le coppie riproduttive. È importante considerare l’effetto che i nuovi elementi avranno su alcuni pappagalli. Saranno sospettosi per un po’ e per questo motivo meglio non apportare modifiche durante il periodo riproduttivo, soprattutto in quelle coppie più nervose o in quelle di specie più timide. In questi casi dovrebbero avere almeno un posatoio stabile e fermo, per garantire copulazioni di successo. Comprendere in ogni caso le preferenze e le esigenze di ogni uccello è importante, una missione specifica per ogni allevatore. L’osservazione consente di adattare gli spazi a ogni singolo soggetto, trovando i luoghi più adatti affinché i pappagalli si sentano a loro agio. È importante infine ricordare che il momento migliore per apportare modifiche importanti ai trespoli della voliera è tra la fine di ogni anno e l’inizio del successivo.
F ocus C.T.N.
Aggiornamento tecnico - Canarini di Forma e Posizione Arricciati
In
occasione dell’83ª Esposizione Internazionale SOR, tenutasi a Modena, la sezione giudici specializzati in canarini di forma e posizione arricciati ha partecipato a un rilevante incontro tecnico di aggiornamento. L’evento, svoltosi nella mattinata del 24 novembre 2024, ha offerto un’opportunità di confronto e crescita professionale per tutti i presenti, consolidando l’impegno comune verso standard di giudizio sempre più elevati e una selezione consapevole.
La giornata è iniziata alle 9:30 con un caloroso benvenuto da parte del presidente della CTN CFPA Sig. Emilio Sabatino, che ha voluto sottolineare l’importanza di questo appuntamento nel panorama ornitologico nazionale e internazionale. In apertura, sono stati rivolti i dovuti ringraziamenti alla Società Ornitologica Reggiana per l’ospitalità e per l’impegno organizzativo che ha garantito il successo di questa prestigiosa esposizione internazionale, confermando Modena come un punto di riferimento per l’ornitologia mondiale.
Alla presenza di un nutrito gruppo di giudici, il presidente ha poi elogiato il lavoro svolto dai presenti durante l’anno, sottolineando come il costante aggiornamento tecnico e il confronto debbano essere fondamentali per mantenere un elevato e dovuto necessario standard.
La prima parte dell’incontro è stata dedicata a una valutazione complessiva dei giudizi effettuati nel corso del 2024 nelle diverse esposizioni ornitologiche. I partecipanti hanno analizzato in detta-
glio i punti di forza e le criticità emerse, discutendo con grande spirito costruttivo su come affrontare e risolvere eventuali discrepanze interpretative o differenze nei punteggi assegnati. Sono stati evidenziati alcuni aspetti tecnici che richiedono maggiore attenzione, come l’uniformità di valutazione rispetto agli standard di razza e la necessità di adottare un approccio sempre più rigoroso e condiviso. Questo segmento è stato particolarmente apprezzato dai partecipanti, che hanno potuto confrontarsi apertamente su situazioni concrete incontrate durante le esposizioni. La discussione ha generato proposte operative per migliorare l’omogeneità nei giudizi e per accrescere ulteriormente le competenze tecniche dei giudici, contribuendo così a rafforzare la credibilità e la professionalità del settore.
Uno dei momenti centrali della giornata è stata la presentazione dedicata al Torzuino, una nuova razza di canarino che sta attirando l’attenzione nel panorama ornitologico. I creatori della razza Giuseppe Latella e Sergio Zanfagnin hanno raccontato con passione il lungo e impegnativo percorso di selezione intrapreso insieme a Walter Piattini, purtroppo assente in questa occasione, che ha portato allo sviluppo di questo affascinante esemplare. Durante la relazione sono stati illustrati i principali tratti somatici che caratterizzano il Torzuino, tra cui la struttura del piumaggio, la postura e il bilanciamento delle proporzioni.
F ocus C.T.N.
L’iniziativa è stata arricchita dalla distribuzione di un opuscolo tascabile, realizzato dalla CTN CFPA, che riassume in modo chiaro e sintetico le caratteristiche fondamentali di questa nuova razza. Questo strumento, ideato per essere di facile consultazione, rappresenta un valido supporto per giudici e allevatori, promuovendo una conoscenza più approfondita e univoca del Torzuino. La presentazione ha suscitato grande interesse e curiosità tra i presenti, che hanno avuto modo di porre domande ai creatori della razza, approfondendo gli aspetti tecnici e il potenziale evolutivo del progetto. Durante l’incontro si è discusso anche del canarino AGI e del suo standard di giudizio. I partecipanti hanno sottolineato l’importanza di mantenere criteri uniformi e condivisi nelle valutazioni di questa razza. La discussione ha evidenziato l’impegno comune nel migliorare la coerenza dei giudizi e supportare gli allevatori nella selezione.
FORMACANARINIDIARRICCIATIEPOSIZIONE
La riunione è proseguita con l’intervento del presidente di commissione, Sig. Sabatino, che ha illustrato ai partecipanti alcune proposte elaborate dalla CTN e destinate a essere inoltrate alla FOI e alla COM. Queste proposte mirano a nuove categorie, a perfezionare gli standard di alcune razze di canarini, tenendo conto delle esigenze degli allevatori e delle indicazioni emerse nel corso delle esposizioni. Le comunicazioni del presidente hanno stimolato un dibattito costruttivo, durante il quale i giudici hanno avuto l’opportunità di esprimere le proprie opinioni contribuendo con suggerimenti per migliorare ulteriormente le proposte.
A conclusione dei lavori, tutti i partecipanti si sono riuniti per un momento conviviale, arricchito da un rinfresco organizzato dalla CTN CFPA. Questo momento informale ha rappresentato un’occasione preziosa per rafforzare i legami tra i giudici e proseguire le discussioni in un’atmosfera rilassata e amichevole. In chiusura, il presidente della CTN ha ringraziato tutti i presenti per la partecipazione e per il contributo attivo durante la giornata, rinnovando l’invito a proseguire nel percorso di crescita e collaborazione. L’incontro tecnico di Modena ha confermato ancora una volta quanto siano fondamentali il dialogo, il confronto e la formazione continua per garantire il progresso dell’ornitologia nazionale e mondiale. La CTN CFPA si è dimostrata ancora una volta un punto di riferimento essenziale per la crescita del settore, ponendo solide basi per i prossimi appuntamenti e per il futuro della selezione e del giudizio delle razze di canarini di forma e posizione arricciati.
A cura di Gian Luca Gatti e della CTN CFPA
Il Presidente C.T.N. C.F.P.A. Emilio Sabatino, Michele Larenza e Giulio Pisani
I Giudici presenti all’aggiornamento tecnico
•Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it
•All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.
(*)Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione
Questo mese, il protagonista di Photo Show è:
ALESSANDRO BUZZI R.N.A. 37ZP con la fotografia che ritrae il soggetto:
“Crociere delle Pinete maschio” (Loxia pytyopsittacus)
Complimenti dalla Redazione!
S pazio Club
Italian Gloster Society
Doppio appuntamento divulgativo del Club
Nelle due giornate del 28 settembre e 9 novembre il Club I.G.S. ha organizzato due interessanti convegni. Il primo tenutosi a Somma Vesuviana (NA) nella splendida tenuta “Donna Lucrezia” e il secondo è stato organizzato nel “Rifugio la Piccola Fattoria” a Quarrata (PT). Nel primo appuntamento il Presidente del Club I.G.S. Tommaso Angrisani ha dato il benvenuto a tutti i partecipanti ed ha presentato il progetto di questi due appuntamenti programmati nel corso dell’autunno 2024, atti a divulgare e approfondire il concetto dello standard del Gloster Fancy presentato nel 2018 e ufficializzato dal 2020 dalla Commissione Tecnica Nazionale FOI (CTN-FPL). Il secondo appuntamento è stato denominato “Giudice per un giorno”, prendendo spunto da precedenti esperienze analoghe e da una mia personale idea di organizzare una giornata con tutti gli allevatori e con alcuni giudici del Gloster per confrontarsi insieme sulle complesse pratiche del giudizio.
28 settembre - primo appuntamentoConvegno tecnico
Dopo la presentazione del Presidente Angrisani, hanno rispettivamente preso la parola l’esperto IGBA Francesco Petti e il Dott. Domenico Borrelli giudice FOI-COM. F. Petti ha voluto spiegare l’importanza di queste occasioni di incontro per permettere a tutti i soci del club di meglio comprendere lo standard e contestualmente consentire a tutti,
mediante questi incontri, di potersi confrontare e consigliare sulle singole tecniche di allevamento rapportando i metodi applicati da ogni singolo allevatore nel proprio allevamento. A seguire D. Borrelli ha mostrato una presentazione che ha fornito un excursus sulla storia del Gloster partendo dai primi anni del XX secolo, quando nel 1918 la Signora inglese Clara Rogerson della contea di Gloucester, coltivatrice di bonsai e amante di tutto ciò che era in miniatura, pensò di ridurre le dimensioni dei Crest che allevava. Partì dal procurarsi un soggetto Harzer Roller ciuffato che accoppiò a dei Border molto piccoli. L’anno successivo, il 1919, la prole venne fatta accoppiare con dei Crest più piccoli che la stessa Rogerson aveva in allevamento. Successivamente, nel 1925, visti gli enormi progressi compiuti in così breve tempo, il più famoso allevatore inglese A.W. Smith invitò la Signora Rogerson ad esporre due suoi soggetti al National che a quell’epoca si teneva al Crystal Palace di Londra. I due canarini, un maschio variegato giallo e una femmina ¾ verde, furono iscritti in gara in una classe speciale e ottennero il primo e secondo premio. Questa fu la prima mostra dove vennero esposti i soggetti di questa razza che l’esperto allevatore Smith battezzò in Gloster, dal nome della contea di Gloucester, luogo di provenienza della Signora Rogerson.
Foto primo convegno
Foto secondo convegno
S pazio Club
Raffigurazione dell’attuale Standard del Gloster Fancy, nella versione ufficiale (a destra) usata per l’approvazione dello stesso ed elaborata a colori (a sinistra) dalle sapienti mani dell’artista Vincenzo Valese
Il 19 marzo del 1931, in una riunione tra alcuni appassionati venne fondato il Gloster Fancy Canary Club, ancora oggi esistente, dove elessero Mr A. W. Smith a Presidente onorario, Miss Clara Rogerson Presidente, Mr Madagan Vice Presidente e Mr J. M. Jenkins segretario del Primo Club del Gloster. Dopo aver parlato della storia del nostro Gloster, il Dott. Borrelli coadiuvato dall’allevatore/esperto IGBA Pino Trovato hanno presentato il lavoro svolto dal Club I.G.S. che, in occasione del Mondiale 2018, si onorò di presentare la proposta dello standard del canarino Gloster (moderno) in data 20/01/2018 (vedi volantino sopra riportato).
Successivamente, il 29 settembre 2018, in occasione del congresso COM/OMJ sezione “E” Postura,
venne accolta la proposta della CTN-FPL che riguardava la modifica del disegno del Gloster Fancy e successivamente venne fatta entrare in vigore dal mese di settembre 2019.
Al termine di questo interessante meeting, i partecipanti, circa 40 tra soci del Club ed amici appassionati del nostro canarino Gloster, sono stati ospitati ad un pranzo offerto dal Club IGS nella sala della tenuta.
9 novembre - secondo appuntamentoGiudice per un giorno
In una calda e assolata giornata ci siamo incontrati a Quarrata (Pistoia) presso il “Rifugio della Piccola Fattoria”. Ospitati da una bellissima organizzazione a cura di Jonathan Godi (IGBA), sua moglie Simona e uno dei due figli. I partecipanti sono stati coccolati dalla loro accoglienza.
Per questo appuntamento si era convenuto di portare dei canarini di alcuni allevatori per effettuare un giudizio degli stessi. Tra i partecipanti, gli allevatori ed esperti IGBA Pino Trovato, Pietro Tellaroli, Luca Piarulli e Jonathan Godi e il giudice FOICOM Lauro Bonacini. Dopo un breve riepilogo sullo standard del Gloster, sono stati distribuiti a tutti i partecipanti dei foglietti per il giudizio a confronto. Ogni singolo partecipante doveva indicare in ordine di preferenza i primi 5 canarini, rispettivamente tra i soggetti “Consort”, i “Corona” e gli “Intensi”. Nelle tre categorie a disposizione (senza distinzione di colore) i partecipanti hanno espresso le loro scelte e al termine si sono riepilogati tutti i punteggi spostando su una cavalla di esposizione i primi tre classificati in base alle preferenze otte-
Alberto De Vita e Jonathan Godi
Alcuni soggetti giudicati dai partecipanti
S pazio Club
nute. A questo punto, gli allevatori più esperti e i giudici hanno aperto un dibattito con i partecipanti e hanno risposto alle domande evidenziando gli errori o le omissioni sfuggite in fase di giudizio. Tra l’euforia dei presenti per aver indovinato il giusto posizionamento dei più bei canarini a giudizio, è nata anche una bellissima occasione di confronto e di comprensione della complessità delle fasi del giudizio stesso. Piccoli particolari che possono compromettere il buon piazzamento di un soggetto sono stati evidenziati e spesso hanno avuto la consapevolezza dell’allevatore nel riconoscere che quel difetto era sfuggito al suo occhio attento e critico ma a volte meno esperto di quello di un giudice. Tutti i partecipanti hanno ritenuto questa una bellissima esperienza che ci ha visto comunicare con i propri e vari dialetti, con le varie idee ma con una grande passione in comune che ci fa sentire tutti vicini e apparentati al soggetto protagonista: il Gloster. A seguire, le cure della Famiglia Godi e del Club I.G.S. hanno proposto a tutti i partecipanti una bella tavolata di prodotti locali condividendo un ricco pranzo con tanti tagli di carne alla brace e con una caratteristica “pappa al pomodoro” che hanno permesso di apprezzare i sapori di questa terra. Si è concluso così questo doppio appuntamento che ha lasciato a tutti noi l’apprezzamento dell’organizzazione e tanto interesse con la consapevolezza che sia da ripetere nel futuro. Un consiglio a tutti coloro che leggono questo articolo di non perdere queste occasioni utili per accrescere le nostre conoscenze ornitologiche ma al tempo stesso importanti per conoscerci tra appassionati e per condivi-
dere una passione comune, stando uno accanto all’altro. L’idea dell’iniziativa “Un giorno da Giudice” avevo pensato di proporla a Roma nel gennaio del 2024 ma non ci fu il giusto supporto e le criticità del momento mi fecero desistere. Ma questa doppia esperienza, la cordiale fratellanza di questo club e il lavoro svolto verso la divulgazione di un hobby come il nostro mi ha ridato la forza per pensare ad un nuovo appuntamento. Pertanto, con l’esperienza fatta, le idee raccolte e gli amici conosciuti, sarà mio intento riproporre questa iniziativa in un prossimo futuro.
Un personale messaggio a tutti gli appassionati: partecipare alle mostre è importante per il nostro lato sportivo, ma partecipare a queste occasioni di incontro arricchisce molto di più le nostre conoscenze permettendoci di capire meglio il funzionamento di certi passaggi, oltre a farci incontrare e iniziare nuove amicizie. A coloro che si avvicinano da poco alla razza, ricordiamo che la tanto ambita “vittoria” non si ottiene senza sacrificio e per raggiungerla prima di tutto si deve studiare la storia e comprendere lo standard dei nostri canarini. Lo standard nel tempo è cambiato e dal 2019, come abbiamo visto, è stato fissato. Nel contempo, la qualità dei soggetti in Italia e negli altri Paesi è cresciuta molto e vincere diventa sempre più difficile tra tanti bellissimi Gloster. L’allevatore dovrebbe comprendere una legge basilare: quando valutiamo i nostri soggetti considerandoli eccellenti, non dovremmo omettere la circostanza del momento del giudizio, quando i canarini vengono valutati durante pochi istanti; in quei pochi minuti di osservazione da parte del giudice, se il nostro canarino non è ben disposto o è stressato o in fase di riposo, il giudizio potrebbe penalizzare e far perdere uno o due punti al soggetto rispetto al nostro apprezzamento basato su giorni e giorni di visione in allevamento.
E questa circostanza non dovrebbe mai essere motivo di condanna per il giudice attribuendo a lui l’errore umano, ma dovremmo pensare che in quel momento qualcosa potrebbe esser andato storto. Vediamo sempre il lato sportivo della nostra passione e ricordiamoci che la vittoria è bella, ma anche curare la nostra passione resta il fulcro del nostro hobby; sarebbe bello che con il tempo si riesca anche a dare più spazio a questo aspetto divulgativo dell’ornitologia
testo e foto di Alberto De Vita
Un momento del convegno sullo Standard del Gloster - Somma Vesuviana (NA)
Considerazioni sulla varietà
testo GIOVANNI CANALI, FOTO J. EMILIO, P. ROCHER, E. DEL POZZO eF.O.I.
Si parla spesso di tipi, anche in considerazione delle diverse mutazioni, talora recenti o in arrivo. Non bisogna però dimenticare la varietà, piuttosto negletta nelle scale valori ove è sottovalutata, specialmente e gravemente nei melanici, ma che ha una grande importanza per l’estetica finale.
Dato che si deve partire dall’inizio, partiamo dal Canarino selvatico (Serinus canaria). Come tutti dovremmo sapere il Canarino selvatico è un nero brinato giallo o, come sarebbe più corretto dire, un nero-bruno giallo brinato. Vale a dire che oltre al colore di fondo giallo di natura carotenoide, ci sono le melanine. L’insieme percepito è verde. Non a caso, anni or sono i neri gialli venivano chiamati “verdi”. Una situazione diversa da quella che facilmente immagina l’uomo della strada che ha sentito parlare di giallo canarino e pensa che in origine il Canarino sia giallo, mentre in realtà il giallo è solo una componente. Inoltre, come vedremo non esiste neppure un vero giallo canarino, poiché questa specie presenta diverse tonalità di giallo specialmente allo stato domestico.
Il Canarino selvatico è un nero brinato giallo o, come sarebbe più corretto dire, un nero-bruno giallo brinato
Il colore nel Canarino è dato dalle melanine e dai carotenoidi, quindi le voci determinanti, per il colore, sono il tipo attinente alle melanine e la varietà attinente ai carotenoidi. Da precisare che i carotenoidi, essendo solubili nei grassi, sono chiamati anche lipocromi. Si badi però, solubili nei grassi, ma non grassi, come talora si è detto con grave errore. Possono essere chiamate lipocromi anche le psittacine o psittacofulvine che dir si voglia degli Psittaciformi, poiché pure solubili nei grassi, anche se chimicamente sono ben diverse dai carote-
noidi. Inoltre i carotenoidi sono esogeni, vale a dire assunti con l’alimentazione, mentre le psittacine o psittacofulvine sono endogene, vale a dire generate dal soggetto stesso. Non a caso i carotenoidi sintetici (come la cantaxantina) agiscono sul piumaggio del Canarino come sui Fringillidi in genere, ma non su quello degli Psittaciformi. Comunque i colori delle psittacine o psittacofulvine sono simili a quelli dei carotenoidi dei fringillidi, vale a dire: rosso, giallo e forme intermedie come l’arancio, in varie tonalità.
Dicevo del giallo canarino, ebbene il fondo giallo del Canarino selvatico si potrebbe definire pagliato, come si
usava tanti anni or sono presso gli allevatori di forma e posizione lisci ed arricciati. Tuttavia appare spessissimo come parzialmente limone; limone significa verdognolo per un effetto strutturale. L’espressione limone è poligenica quindi quantitativa e varia da un soggetto all’altro. Si può fare un raffronto con il cugino Verzellino (Serinus serinus). Ricordo (molto tempo fa) un solo soggetto di cattura decisamente fortemente limone; di solito anche i verzellini sono con situazioni più o meno intermedie. L’assenza di strutture idonee per la tonalità limone produce nel giallo brinato una tonalità giallo pagliato, mentre subentrando la mutazione intenso, il giallo privo di toni verdognoli appare giallo oro o dorato che dir si voglia.
La natura del giallo come pigmento è parimenti poligenica. Del resto vi sono diverse espressioni quantitative e soprattutto ci sono state 4 mutazioni non alleliche che interessano i carotenoidi: bianco dominante, bianco recessivo, avorio ed urucum. Si nota che sono coinvolti diversi cromosomi, poiché l’avorio è legato al sesso oltre che recessivo,
mentre le altre mutazioni sono autosomiche. La quantità dei carotenoidi subisce l’influsso del dicromatismo sessuale; infatti i maschi hanno un’espressione maggiore, anche se non di molto.
La categoria influisce poiché la brinatura è maggiore nelle femmine e le zone di elezione sono maggiori nel maschio.
Tornando alla tonalità limone poligenica, si direbbe che alcuni geni siano posti sullo stesso cromosoma in posizione ravvicinata, visto che sono poco ricombinati. Direi una situazione simile ai fattori rossi, come a suo tempo avevo ipotizzato e come recentemente è stato dimostrato da alcuni genetisti.
L’ibridazione con il Cardinalino del Venezuela (Spinus cucullatus) ha trasmesso fattori per il rosso, creando la linea dei fattori rossi, alquanto popolare. Va detto che in passato si sono dette cose gravemente errate sui fattori rossi, non a caso si dice ancora “fattore rosso” al singolare, quando è palese la natura poligenica della varietà rosso, che in realtà sarebbe arancio. In effetti il rosso si consegue, o almeno ci si avvicina, solo rafforzando la varietà con alimentazione colorante. In passato si parlava di come arrivare al canarino pienamente rosso, come il Cardinalino. Con questa espressione si commetteva un grave errore, poiché neppure il Cardinalino è pienamente rosso. Non a caso i giovani Cardinalini hanno sull’ala la soffusione arancio. Non solo, ma anche il Cardinalino adulto, se non colorato rimane arancio. Si nota la natura poligenica del rosso o meglio arancio del Cardinalino, rilevando anche nell’esotico stesso diverse espressioni, anche se poco evidenti nei puri. Tuttavia evidenti negli impuri, per immissione di giallo, da parte di altre specie di Spinus, ibridazioni che hanno effetti disastrosi sul Cardinalino, specialmente per la varietà.
Faccio grazia delle tesi antiche che pretendevano di indicare la via per il canarino pienamente rosso. In effetti partivano non solo dall’errore di considerare il Cardinalino come totalmente rosso, già indicato, ma talora consideravano il rosso perfino monogenico!
La selezione dei canarini a fattori gialli presuppone l’assenza di ogni traccia di
Cardinalino del Venezuela,foto: P.Rocher
Lizard dorato calotta netta, foto: FOI
arancio, la massima espressione del giallo e poiché si preferisce la tonalità limone, cioè verdognola strutturale, anche la massima espressione della stessa. Se si volesse selezionare il giallo oro, bisognerebbe eliminare selettivamente ogni traccia di verdognolo, cioè limone. Nel canarino Lizard il colore di fondo carotenoide è particolarmente ricco, poiché in questa razza, davvero straordinaria, fra le diverse peculiari caratteristiche del tipo (scaglie, calotta), abbiamo anche una particolarità nei carotenoidi poiché non sono elaborati, quindi molto carichi. Nel Lizard a volte si dice di selezionare il dorato: questo concetto va quasi bene, visto che toni limone sono gravissimo difetto, ma non basta; infatti il colore di fondo del Lizard supera in carica cromatica quello dei dorati di altre razze, appunto per mancata elaborazione. La circostanza suddetta spiega la mia contrarietà all’allevamento del cosiddetto Lizard blu, che oltre a non essere puro, è privo di una caratteristica peculiare, quale il colore di fondo tipico. Sono pure del tutto contrario all’uso di coloranti artificiali rossi. Trovo sbagliatissimo sporcare di rosso per farlo diventare banalmente arancio il fondo giallo, che è particolare, tipico della razza e piacevolissimo. Penso che i tanto decantati allevatori inglesi non abbiano recepito la particolarità del fondo del Lizard, spero che qualcuno li renda edotti.
Nel canarino, come anche negli altri fringillidi, i carotenoidi della dieta sono elaborati prima di arrivare alla penna. I carotenoidi dell’alimentazione sono appunto elaborati in vari modi, come in xantofille chiamate del canarino, poiché scoperte in questa specie, ma non esclusive della medesima. Sono un gruppo di cui le principali sono la xantofilla a e la xantofilla b. La luteina viene principalmente elaborata in xantofilla a del canarino e la zeaxantina principalmente in xantofilla b del canarino.
Negli Zigoli il fenomeno di elaborazione non c’è ed i carotenoidi raggiungono direttamente la penna, di conseguenza il colore carotenoide è più carico. Nel Lizard, come dicevo, abbiamo situazione analoga. Non si sa da cosa indotta, personalmente propendo molto per una o più mutazioni.
Nei canarini a fattori rossi si seleziona per la massima presenza di fattori per il rosso. Senza alimentazione colorante si va da un giallo appena inquinato di arancio, fino ad un arancio carico non troppo lontano da quello del Cardinalino. Intervenendo l’alimentazione colorante si arriva fino ad un rosso molto spinto nei migliori. Nel Cardinalino del Venezuela il rosso è frutto di elaborazione; infatti la luteina è trasformata principalmente in alfa - doradexantina e la zeaxantina principalmente in astaxantina, il beta carotene in cantaxantina, ma quest’ultimo è apporto secondario, che diventa principale con l’alimentazione colorante che contiene cantaxantina sintetica. Gli stessi fenomeni accadono anche nei canarini a fattori rossi, magari in misura minore. Il processo ossidativo che presiede alle trasformazioni nei suddetti pigmenti rossi e quello in xantofille, ha complessità e lunghezza diverse. I pigmenti gialli sono prodotti molto più velocemente di quelli rossi, aspetto importante da non dimenticare.
Il Vaccari suggeriva di non avere effetti limone (di natura strutturale) nei fattori
rossi, che come struttura di penna è bene che abbiano la stessa situazione dei dorati. In effetti tracce limone, spe-
Intenso rosso,foto: E.delPozzo
Intenso rosso ali bianche,foto: E.delPozzo
cie se accentuate favoriscono un colore più opaco. Condivido pienamente la tesi del Vaccari. In effetti il colore giallo come il rosso sono considerati colori caldi, mentre il verde colore freddo. Ora è eccessivo parlare di giallo limone come colore freddo, tuttavia certo meno caldo del giallo oro. Essendo il rosso colore caldo per eccellenza, è ovvio che si mescoli con migliore effetto con il giallo oro che non con il giallo limone.
Sempre il Vaccari suggeriva delle definizioni che io apprezzo, quali: giallo arancio per minime o scarse tracce rosse, arancio per situazione più o meno intermedia, arancio rosso per prevalenza di rosso, rosso arancio per netta prevalenza di rosso. Sottolineo per le ultime due, necessaria la presenza di coloranti. Poi il Vaccari faceva anche altre osservazioni non condivisibili, tuttavia l’impostazione generale era ben indicativa. Nel giudizio si è a lungo usato il termine rosso arancio, poi solo rosso, utopistico, ma indicativo della linea selettiva ed estetica da seguire e che evita certe uscite, di alcuni allevatori, che non avrebbero voluto aver penalizzate zone giallastre. Bisogna fare attenzione, per evitare confusioni, fra il giallo arancio ed il giallo dorato, poiché finiscono col somigliare, ed un occhio non esperto può essere ingannato. Appare evidente che la selezione dei canarini a fattori rossi debba ricercare la massima espressione del rosso come dicevo sopra. Sarebbe bene però non dimenticarlo anche nel Cardinalino, poiché oggi causa le ibridazioni, di cui facevo cenno, con altri Spinus a fattori gialli, al fine di traslare mutazioni, hanno creato una situazione pessima a livello di rosso, visto che moltissimi soggetti risultano pesantemente inquinati di giallo. Secondo me i Cardinalini non al massimo o quasi come rosso, possono essere considerati solo scarti di allevamento. So che esistono ancora ceppi puri e spero che possano essere preservati. Ora nella selezione sia dei rossi che perfino dei gialli, si parla di ali bianche. A mio parere non esiste alcun fattore per le ali bianche. Non sto a parlare della tesi, totalmente infondata, sul
geneticamente agata in quanto l’ho già stroncata a suo tempo. Nei rossi il fenomeno dipende, secondo la mia valutazione, dal fatto che i carotenoidi gialli essendo più rapidi nella loro elaborazione, nei soggetti scarsi di rosso e quindi più dotati di giallo,
pigmentano di giallo le penne forti non mutate e che si formano prima. Mentre nei soggetti più dotati di rosso e quindi meno gialli, tali penne rimangono biancastre, non essendo i pigmenti rossi abbastanza veloci per pigmentarle. Nei gialli il fenomeno non sussiste, anche se spesso se ne parla come se ci fosse. A questo proposito è bene ricordare che non si può selezionare per il giallo o anche per altre varietà in modo diverso per le varie parti del corpo. Quindi, ali deboli di giallo corrispondono ad un giallo debole in generale. Anni or sono ho visitato un allevamento che sembrava avere ali bianche in alcuni soggetti, ma ho notato chiazze poco gialle o biancastre anche in altre parti del corpo. Non è proprio il caso di selezionare anomalie o tare per avere ali meno pigmentate. È ovvio che la selezione del giallo debba perseguire la massima espressione del giallo stesso. Nei giallo limone pure la massima espressione del verdognolo strutturale. Non dimentico che un giallo debole favorisce l’espressione limone. Non a caso ho esemplificato dicendo che 4 fratelli analoghi come giallo possono avere diverse espressioni di limone. Un maschio intenso, un maschio brinato, una femmina intensa ed una femmina brinata; hanno appunto espressioni diverse: nel maschio intenso la minima espressione, nella femmina brinata la massima. Tuttavia anche il maschio intenso, se ottimo, può arrivare ad un buon effetto limone. La ragione è data dal fatto che i maschi hanno maggiore espressione di pigmento carotenoide, inoltre gli intensi lo concentrano. Carotenoidi ridotti favoriscono la tonalità limone, lo vediamo benissimo nei gialli avorio. Non è però il caso di selezionare gialli deboli per farli somigliare a scadenti avorio. Ora dovrei parlare della localizzazione dei carotenoidi e delle diverse varietà mutate, ma mi dovrei dilungare troppo e l’ho già fatto in altre sedi. Dico solo che pare che l’urucum che pigmenta anche becco e zampe di carotenoidi, induca problemi fisiologici, si parla dell’interessamento anche di organi interni. Non ho dati certi ma
Intenso giallo,foto: FOI
Intenso giallo ali bianche,foto: E.delPozzo
se fosse vero mi sembrerebbe ovvio che sarebbe bene rinunciare ad allevare tale canarino. Direi quindi che occorrano dati certi. Sono stato uno dei primi ad osservare tali canarini, ed in effetti ho notato posture della testa e del collo anomale. All’inizio si attribuivano alla consanguineità, oggi invece spesso alla mutazione, poiché si dice che i portatori non abbiano tale problema. Quindi tutto da verificare. Si presti attenzione al fatto che si sono visti canarini con becco leggermente giallo che non pare fossero urucum. Li ho visti anch’io ed erano melanici, mi pare agata gialli, dubito della natura di quella caratteristica peraltro poco evidente. Sono molto contrario all’alimentazione colorante da nido, poiché peggiora l’effetto finale rendendo il colore più monotono. Inoltre è più difficile valutare la qualità vera dei rossi, mancando penne non colorate. Nei gialli vi è un peggioramento poiché caricando il co-
Pare che l’urucum che pigmenta anche becco e zampe di carotenoidi, induca problemi fisiologici
lore si ostacola l’espressione limone. L’effetto nei gialli è minore, pare che la luteina sintetica sia meno efficace della cantaxantina. Molti temono che l’alimentazione colorante da nido possa avere effetti dannosi per la salute, purtroppo mancano riscontri scientifici. Spero che prima o poi qualcuno, ovviamente veterinario o biologo, possa fare le verifiche necessarie. Ritengo doveroso esprimere rammarico per il fatto che oggi la varietà venga indicata dopo la categoria. Certo la cate-
goria è molto importante ed interferisce moltissimo sull’espressione del colore, ma ciò che produce il colore sono melanine e carotenoidi ed una interferenza non può prevalere su ciò su cui interferisce. Auspico che nel canarino di colore la varietà abbia maggiore considerazione a livello di considerando, necessaria specialmente nei melanici. Per chi volesse fare approfondimenti sul rosso consiglio l’articolo “La base genetica del colore rosso negli uccelli “di Marco Baldanzi I. O. n°2 del 2017, molto valido di per sé e ricco di citazioni scientifiche e tecniche. Per giallo e rosso la letteratura, compresa quella fondamentale, è ricca.
Ben lieto di confronti, chiarimenti o ulteriori valutazioni, concludo. Aggiungo solo che, recentissimamente ho sentito mettere in dubbio con validissimi argomenti la natura strutturale del limone, cui mi sono per ora attenuto. Spero di poter approfondire assieme ad altri.
“Aria vecchia” a Psittacus&Co
testo di LUCIANO SAVINI, foto ROBERTO BILANCIONE
AForlì, il 12 e 13 ottobre 2024, si è svolta la terza edizione della manifestazione ornitologica nazionale Psittacus&Co
“Aria vecchia” dice il titolo. Ebbene, sembra una provocazione ma a Forlì nella settimana di svolgimento della mostra, si è percepito e verificato esattamente quello che accadeva nelle mostre organizzate quando la passione era alla base dei partecipanti, degli espositori e delle associazioni.
Infatti, abbiamo avuto la netta sensazione che tutti se la siano goduta e che tutti l’abbiano sentita come propria: gli organizzatori, cosa forse ovvia, gli espositori, che si sono sentiti a casa, i giudici, che hanno trovato il giusto clima per giudicare piacevolmente, la CTN del Canarino di Colore che, oltre ad aver trovato una buona risposta numerica (30 giudici presenti
A Forlì nella settimana di svolgimento della mostra, si è percepito e verificato esattamente quello che accadeva nelle mostre organizzate quando la passione era alla base dei partecipanti, degli espositori e delle associazioni
più numerosi appassionati) nel convegno del Sabato sul canarino Nero e relative mutazioni, è stata a disposizione degli allevatori per ogni chiarimento riguardante tutta la galassia del canarino di colore.
A Forlì, pur non essendo considerata il paradiso delle esposizioni ornitologiche, si è di certo vissuta quell’atmosfera che dovrebbe essere la normalità della mostra: una normalità che è però sinonimo di positività e buona riuscita dell’evento. La conferma di ciò me l’ha data il socio Romano Milandri, la domenica sera tra le cavalle. Si iniziavano a tirare le somme quando mi disse: “non le vedi le facce che sono qui?”, alludendo a quanti stavano collaborando per lo smontaggio della mostra. Romano è stato un grande amico di Psittacus&Co fin dall’inizio e sarà per noi sempre fonte d’ispirazione e stimolo.
Locandina di Psittacus&Co2024
Il presidente CTN Colore G. Zambetta relaziona ai giudici di specializzazione
Sì, “aria vecchia” perché a volte situazioni che sembrano essere normali diventano straordinarie
Sì, “aria vecchia” perché a volte situazioni che sembrano essere normali diventano straordinarie, così come il risultato ottenuto dalla terza edizione della manifestazione svoltasi presso gli ampi locali di Forlì Fiera.
Tutto ciò è stato possibile dall’unione di vari fattori: le associazioni di Forlì e Ravenna con tutti i loro soci, il Raggruppamento Emilia Romagna, gli amici (il pilastro più importante), gli espositori, i visitatori e la FOI.
Nonostante il clima complicato che stiamo ornitologicamente vivendo, sottolineiamo la presenza e la partecipazione del Presidente dell’Ordine dei Giudici Andrea Benagiano con tutto il corpo giudicante, del Presidente di Collegio (Colore) Michele Laricchia, della CTN della specializzazione Colore, presieduta da Gaetano Zambetta, che hanno dato lustro alla manifestazione ed hanno reso un servizio a tutti i presenti, del Segretario FOI Giovanni Nunziata e del consigliere FOI Gennaro Iannuccilli che ci hanno onorato della loro presenza.
L’augurio è quello di ritrovarsi numerosi
Slide proiettate dalla CTN Colore
Visione dei soggetti esaminati dalla CTN Colore
Giudici della specializzazione Colore presenti al convegno sul canarino Nero
Auspichiamo che un po’ di questa “aria vecchia” ritorni o rimanga in tutte le manifestazioni ornitologiche organizzate in Italia
a Psittacus&Co il 12 ottobre prossimo, con una mostra sempre di maggiore prestigio e, nuovamente, con un convegno sui canarini di colore: stavolta verranno trattate le mutazioni Bruno ed Isabella. Con una punta di presunzione per quanto finora siamo riusciti a realizzare, auspichiamo che un po’ di questa “aria vecchia” ritorni o rimanga in tutte le manifestazioni ornitologiche organizzate in Italia.
Da sinistra Sauro Valbonesi, Paolo Pezzi, Diego Di Maio, Andrea Benagiano, Ignazio Sciacca, Luciano Savini
Un allevamento a 360 gradi
testo e foto di PIERCARLO ROSSI e FRANCO SCATTOLINI
Nel corso della mia vita ornitologica ho conosciuto alcune persone alla continua ricerca dell’ultima mutazione apparsa o delle specie di fringillidi più “invoga”, tutto per fare business, ma per fortuna molti degli amici attuali, “malati” di penne e di piume, sono dei veri appassionati, amanti di questa nobile arte. La maggior parte si dedica anima e corpo allo studio e all’allevamento delle specie prescelte, altri sono alla continua ricerca di una nuova sfida e come Re Mida trasformano in oro tutto ciò che toccano con risultati a dir poco stupefacenti; ad onor del vero non sono moltissimi, ma tra di loro ne spicca uno in particolare, a cui ho deciso di dedicare questo mio scritto: il suo nome è Franco Scattolini. Il grande Franco alleva da diversi anni in un posto che definire fantastico è a dir poco riduttivo; infatti, la sua dimora ed il suo allevamento sono posti su di un colle, vicino alla frazione di Sappanico in provincia di Ancona, con una visuale a 360 gradi (ecco svelato il titolo di questo mio articolo): un panorama unico, che ti permette di osservare le colline circostanti ed addirittura la costa adriatica. Avevo letto le sue “gesta” come allevatore su vari articoli ornitologici presenti sul web; tra gli altri, mi aveva colpito quello di Massimiliano Esposto che era riuscito a far riprodurre una specie assai rara in ambiente domestico, quale il Cardinalis sinuatus o Cardinale Rosa. Il buon Massy era riuscito a convincere la femmina, con vari stratagemmi, a deporre e prendersi cura dei pulli per alcuni giorni, ma per non rischiare decise di affidare i piccoli alle abili mani di un “mae-
stro” nell’arte dell’allevamento allo stecco, come Franco, che riuscì a portare all’indipendenza i piccoli sinuatus. Ho conosciuto Scattolini grazie all’amico Renzo Esuperanzi e nelle varie visite alle
sue splendide voliere immerse nel verde ho ammirato sempre ottimi soggetti, con colori saturi ed in perfetta forma. Inoltre, ho potuto apprezzare il canto di diversi insettivori, tra gli altri quello del Merlo Shama, a mio modesto parere secondo solo a quello dell’Usignolo. Franco, con lo spirito di un liceale, ci racconta della sua grande passione per il mondo alato, sotto un verde albero, assaporando qualcosa di fresco, mentre un piacevole venticello ci allevia dalla grande calura estiva.
Negli anni molti sono stati i rappresentanti dell’avifauna che hanno occupato le sue verdeggianti voliere; tra gli altri, vorrei menzionare i Passeri solitari, i Codirossoni, i Sialia sialis, i Merli Shama, i Cardinali rossi e vermiglio, i Cardinali dal ciuffo rosso… sono stati, per così dire, i suoi cavalli di battaglia, oltre a qualche fringillide, tra cui il Cardellino, il Verdone ed il Fringuello.
Franco e le sue splendide voliere
Cardinale della Virginia mutazione “giallo”
Le specie insettivore hanno un fascino particolare, vanno studiate e capite dall’allevatore e quelle che giungono alla riproduzione devono essere monitorate attentamente. Franco è un maestro anche in questa arte e, dopo un breve periodo sotto i genitori, i pulli, ogni anno, vengono allevati allo stecco con cure affinate nel tempo che gli permettono di ottenere soggetti splendidi in perfetta salute e, a discapito di quanto si possa pensare, che vivono e si riproducono per molti anni.
Dopo diversi lustri ed un numero veramente importante di specie allevate, attualmente, oltre a qualche fringillide, quattro sono le specie a cui l’allevatore dedica il suo tempo, che ora andremo ad analizzare singolarmente.
La prima è il Cardinale della Virginia (Cardinalis cardinalis), uno degli uccelli canori americani maggiormente conosciuto ed anche discretamente allevato per il suo canto e per la sua livrea color vermiglio. Franco da tempo si dedica alla selezione della “versione gialla”, la stessa mutazione presente negli estrildidi, che nulla ha a che vedere con la mutazione avorio.
Questa variante di colore non risulta essere molto allevata, è una mutazione genetica che causa un’eccessiva produzione di pigmento giallo ed è a trasmissione autosomica recessiva.
Questa mutazione è anche presente in natura; infatti, se voi digitate su un motore di ricerca “xantocromismo”, o ancor meglio il numero con cui questa mutazione è stata codificata, ossia CYP2J19, vi appariranno diverse immagini di soggetti affetti da tale mutazione fotografati in ambiente naturale; la percentuale risulta comunque essere molto bassa ed è di circa 1 su un milione.
Questo gene, indicato come CYP2J19, codifica un enzima che modifica i carotenoidi, una chetolasi C4 coinvolta sia nella segnalazione del colore che nella discriminazione del colore nella regione spettrale del rosso (lunghezza d’onda lunga).
Si sapeva che alcuni uccelli hanno la capacità di sintetizzare chetocarotenoidi rossi dai carotenoidi gialli che ottengono dalla loro dieta, ma il gene o l’enzima coinvolti e la loro posizione anatomica, per il momento, sono oscuri.
Analizzando nel dettaglio questa specie scopriremo che il Cardinale della Virginia è sicuramente uno degli uccelli più belli ed ammirati del Nord America, tanto da essere il simbolo di ben sette stati degli U.S.A.
È un animale affascinante che presenta un piumaggio brillante color vermiglio, un bel canto ed una discreta longevità, dato che in ambiente domestico può superare tranquillamente i 15 anni.
È diffuso in tutto il Nord America orientale e centrale e a sud estende il suo territorio fino al Belize. Predilige habitat suburbani e similari a parchi, dove vive a stretto contatto con l’uomo frequentando spesso le mangiatoie pubbliche. A differenza di molti altri uccelli, le femmine di Cardinale cantano a gran voce dal nido con un canto più complesso di quello del maschio, anche se non così melodioso.
Si ritiene che questa sia una forma di comunicazione con il maschio, ma non si sa ancora perché si sia evoluta in tal senso.
Il brillante piumaggio rosso del maschio, la cui intensità rivaleggia con quella di qualsiasi uccello tropicale, ha inizialmente attratto gli allevatori verso questa specie. Durante la stagione riproduttiva, persino i bordi grigi delle piume scompaiono, esaltando la luminosità complessiva della sua livrea.
Le femmine presentano una colorazione che può variare notevolmente da un soggetto all’altro; queste ultime presentano penne spruzzate di rosso, che contrastano con il verde del resto del piumaggio, il che si traduce in una bellezza sottile che rivaleggia, a modo suo, con quella del maschio.
Questa specie si adatta maggiormente alle voliere all’aperto, dove tra le altre cose può reperire un numero importante di insetti che la possono aiutare durante la delicata fase riproduttiva e favorire i carotenoidi, che conferiscono a questa specie il suo splendido colore.
Dovendo allestire una voliera mista occorre tener conto del fatto che i maschi risultano essere estremamente territoriali, soprattutto nel periodo riproduttivo.
Studi sui Cardinali della Virginia in natura indicano che la loro dieta varia durante l’anno ed include diverse quantità di semi, germogli, frutti, insetti, ragni e altri invertebrati.
Il Cardinale della Virginia è uno degli uccelli canori americani maggiormente conosciuto
In ambiente controllato dovrà essere la più varia possibile con un’abbondante aggiunta di cibo vivo durante il periodo riproduttivo.
Preferiscono nidificare in cespugli o in folti arbusti, ma usano anche cassette nido con la parte anteriore aperta. Entrambi i sessi costruiscono il nido: un processo che richiede alcuni giorni, con erba,
Uova di Cardinale
Franco all'imbecco di un giovane Cardinale
muschio, rametti e fibre di radici. Le uova, in numero di 4-5, variano di colore dal bianco alle tonalità di grigio, giallo e blu e sono macchiate di rosso, grigio, arancione o viola. Vengono solitamente allevate due covate ogni stagione.
Franco racconta: “Io ho due coppie di questa mutazione; nel maschio domina il giallo, mentre la femmina presenta solo il sottocoda e la parte inferiore delle ali di questo colore. ll resto del piumaggio è simile all’ancestrale.
ll loro comportamento è quasi identico e risulta essere aggressivo nel periodo invernale con le femmine, ma molto affettivo nel periodo della riproduzione. Purtroppo non sono mai riuscito ad allevare più di due o tre soggetti ogni stagione riproduttiva, malgrado le femmine fossero perfette; le uova deposte (1215 ogni coppia) risultavano spesso infeconde e questo per me rimane un mistero, forse da attribuire alla genetica legata a questa mutazione.
Il primo Cardinale mutato è nato per caso facendo unire la madre con il figlio. L’alimentazione è abbastanza semplice in quanto questa specie mangia di tutto: semi, frutta, bacche, tarme grilli, caimano (Zophobasmorio), piselli, cetriolo ecc... Li ho alloggiati in una voliera esterna piantumata che sembrano gradire molto”.
La seconda specie, o meglio le seconde due specie, appartengono entrambe al genere Copsychus e più precisamente sono il Merlo Shama (Copsychusmalabaricus) e la sottospecie C. bartouri o Merlo Shama dalla testa bianca.
Le pregevoli e non comuni qualità canore, insieme ai suoi colori sgargianti, fanno di questi uccelli degli alati ornamentali apprezzatissimi in quasi tutti i paesi del mondo.
La specie, suddivisa in parecchie sottospecie aventi tra di loro solo minime differenze, ha una vastissima area di diffusione che comprende la penisola indiana — da dove provengono quasi tutti i soggetti presenti in avicoltura — Ceylon, Birmania, Siam, penisola di Malacca, alcune Isole della Sonda, Borneo, Filippine e Cina sudorientale.
Gli Shama frequentano le lussureggianti e dense giungle, intrattenendosi di preferenza là dove i corsi d’acqua offrono la possibilità di bere e bagnarsi a piacere;
si nutrono di bacche e di frutti ma soprattutto di insetti, che ricercano avidamente sia sul terreno sia tra la folta vegetazione.
Presentano uno spiccato dimorfismo sessuale; infatti, nel piumaggio del maschio le tinte principali sono il nero brillante di testa, dorso ed ali, con groppone e zone caudali bianche, mentre il resto del piumaggio è di color rosso mattone; hanno inoltre una lunga coda di circa 1215 cm che conferisce al soggetto una lunghezza totale di circa 25/28 cm.
La femmina presenta una taglia leggermente inferiore, soprattutto per quanto riguarda la coda; la colorazione risulta essere meno vivace, con del grigio-bruno al posto del nero, la tinta castano-fulva di tonalità più tenue e il bianco del grop-
pone e del sopraccoda non altrettanto puro.
I giovani hanno tinte pressoché simili a quelle della femmina ma con chiazze sparse sul dorso e con striature sul petto; la coda, inoltre, è assai corta. L’individuazione sessuale è già possibile, in quanto i maschi presentano una colorazione palesemente più scura. La livrea definitiva viene assunta con la prima muta completa.
Le sue innate doti canore lo hanno reso uno dei cantori maggiormente apprezzati; per alcuni autori il suo canto può essere paragonato a quello dell’Usignolo, anche se non raggiunge le performance canore della Luscinia megarhynchos. Potremmo definire i suoi gorgheggi un mix tra il Merlo e l’Usignolo, appunto, e con quest’ultimo condivide il canto notturno.
È conosciuto anche come abile imitatore di suoni o rumori che lo circondano. Tutte queste doti lo fanno apprezzare da molti allevatori nel mondo, tra cui Franco, a cui passo la penna per il suo racconto sullo shama.
“Allevo il Merlo Shama da circa 40 anni. Gli inizi sono stati un po’ complicati: ero spesso fuori casa per lavoro (ferroviere), poi con il pensionamento mi sono dedicato alla riproduzione, con buoni risultati.
A parer mio, la cosa più importante è trovare la coppia giusta; serve solo fortuna, in quanto il maschio risulta essere
Merlo Shama dalla testa bianca
Novelli di Merlo Shama all'imbecco giornaliero
abbastanza aggressivo.
Mi è successo di vedere che una coppia all’apparenza perfetta, solo per il fatto di averle cambiato alloggio, abbia iniziato a litigare al punto che sono stato costretto a dividerli.
Curo molto l’alimentazione; credo sia alla base di tutto, pertanto fornisco loro un cucchiaio di pastone e un cucchiaio di insetti a soggetto, visto che sono degli insettivori, poi aggiungo cetriolo a dadini, mirtilli spezzettati, piselli, pinoli e mais tenero, alternandoli durante la settimana.
La riproduzione ha inizio ad aprile. All’interno della voliera colloco nidi per Cocorite oppure nidi semiaperti; metto a loro disposizione foglie secche, muschio e fibre di cocco. Preparare il nido è compito esclusivo della femmina, la quale depone 4-5 uova; la schiusa avviene dopo 11-12 giorni.
Come alimento base fornisco tarme della farina bollite sminuzzate finemente, buffalo, pinkies e nella stessa
mangiatoia aggiungo una pappa imbecco al 21% di proteine, molto diluita, in modo che ogni insetto assorba anche il nutrimento del pastoncino; in una cassetta con i bordi alti metto prede vive quali grilli, tarme bianche ecc. Questo per 5-6 giorni, dopodiché li allevo allo stecco.
Il Merlo Shama può convivere con altri uccelli, l’importante è che non siano insettivori; nei mesi più freddi dell’anno sarebbe opportuno avere un ricovero al coperto, dove le temperature non scendano al di sotto dei 10-15 gradi, altrimenti si possono congelare le estremità delle zampe causandone la caduta (purtroppo mi è successo).
Ora, una considerazione: qualcuno è in grado di spiegarmi come mai per secoli il Merlo Shama sia stato considerato un Turdide ed oggi sia classificato tra i Pigliamosche, avendo lo stesso comportamento e alimentazione di tutti i Turdidi?”.
La terza specie presente nell’aviario di
Questa specie si riproduce in gran parte del subcontinente indiano, tra cui Bangladesh, India e Sri Lanka e attraverso il sud-est asiatico fino a Giava e alla Cina meridionale. Il suo habitat è costituito da boschi sempreverdi umidi di latifoglie, con un sottobosco di media densità composto da cespugli e felci, ma frequenta anche foreste di bambù, mentre è possibile osservare la sottospecie Z. c. cyanota anche in grandi giardini e frutteti. Questa specie si trova spesso in zone umide, vicino a corsi d’acqua o in pendii ombrosi. È presente tra 250 e 1830 metri nell’Himalaya e fino a circa 1500 metri in Malesia, Thailandia e Giava. Z. c. aurata è presente tra 1000 e 1630 metri sul monte Kinabalu e sul monte Trus Madi, nel Borneo settentrionale. Le razze tropicali sono generalmente stanziali, ma quelle che si riproducono in regioni più fredde (ad esempio l’Himalaya e alcune parti della Cina) sono
Scattolini è il Tordo citrino (Zoothera citrina).
Novelli di Merlo Shama a nido Novelli di Shama in fase di svezzamento
Femmina di Tordo citrino
Novelli di Shama ormai svezzati
migratrici e svernano più a sud; il loro habitat di svernamento è simile alle foreste di riproduzione, ma a quote più basse. È comune nelle aree molto boscose del subcontinente indiano e del sud-est asiatico. La specie mostra una preferenza per le aree umide e ombrose e, come molti tordi Geokichla e Zoothera, la sua indole può essere piuttosto riservata.
Il Tordo testa-arancio è onnivoro, mangia un’ampia gamma di insetti, lombrichi e frutta. Nidifica sugli alberi ma non forma stormi. Ha una lunghezza di 205-235 millimetri e pesa tra i 47 ed i 60 grammi. Il maschio adulto della specie nominale di questo piccolo Tordo ha la testa e le parti inferiori completamente arancioni, le parti superiori e le ali uniformemente grigie e le copritrici mediane e sottocaudali bianche. Ha un becco color ardesia e le zampe hanno la parte anteriore marrone e la parte posteriore rosa o giallastra.
Il Tordo testa-arancio è onnivoro, mangia un’ampia gamma di insetti, lombrichi e frutta
La femmina assomiglia al maschio ma ha parti superiori più marroni o più olivastre e ali marrone caldo, ma alcune femmine anziane sono quasi identiche al maschio. I giovani sono marrone opaco con striature color camoscio sul dorso e una tonalità rossiccia sulla testa, con ali grigie. Il becco è color corno brunastro e le zampe sono marroni.
Le differenze tra le sottospecie possono essere piuttosto evidenti, come nel caso del forte motivo della testa su G. c. cyanota, ma possono essere rappresentate da variazioni meno evidenti nel tono del piumaggio o dal bianco sull’ala piegata.
Come con molti altri Turdidi, tutte le forme di questa specie mostrano un caratteristico motivo sotto le ali, con una forte fascia bianca.
Questa specie nidifica tra maggio e luglio, a volte fino ad agosto. Il nido è posto sui rami bassi degli alberi o tra i cespugli. È a forma di coppa, formato da erbe, radichette e fibre vegetali impastate con il fango, rifinito con crini e peli e muschio. Depone da 3 a 4 uova di colore verde chiaro chiazzate di bruno rossastro che la femmina, aiutata dal maschio, cova per 13/14 giorni. I piccoli lasciano il nido dopo circa 12/13 giorni dalla schiusa delle uova e in genere si hanno due covate annue.
Nonostante un’alimentazione particolarmente ricca a base di pastone per insettivori, bacche di tutti i tipi e larve vive, la coppia presente nell’aviario di Franco ha costruito il nido ma non ha deposto, per cui si rimanda il tentativo alla prossima primavera.
Un evento di tutto rispetto
testo FABIO ESBARDO, fotoGIUSEPPE RICCIO
Una gran bella serata, contornata da un folto pubblico che questa volta non era composto soltanto da allevatori ma da letterati, studiosi e anche da tanti curiosi che sono rimasti piacevolmente colpiti dalla bravura e dalla capacità comunicativa di Giuseppe Albergo. Veramente una serata che ha offerto una manifestazione che è andata oltre una comune conferenza e che è stata più che una semplice presentazione di un libro.
A Pianopoli, in provincia di Catanzaro, nella sede del Caffè Letterario dell’associazione Terra di Calabria, Pasquale Leone, Ettore Greco e Giuseppe Albergo hanno dato vita ad uno splendido evento che ha unito tre aree sociali generalmente distanti tra loro: l’ornicoltura, la letteratura e la scienza. Organizzato in origine come la presentazione del libro Il canarino metafisico, il collegamento con l’articolo scientifico scritto da Leone con evidenti riferimenti all’operato di Albergo e la presenza di un luminare ed un notabile della piana lametina come il dott. Greco, fondatore del reparto di oncologia dell’ospedale di Lamezia Terme, hanno fatto sì che l’evento sia diventato anche una bellissima conferenza sulla pet therapy. Leone è stato il trait d’union della serata, essendo contemporaneamente presidente dell’associazione ornitologica Brutia di Lamezia Terme, membro del direttivo del Caffè Letterario e autore del testo scientifico preso in esame per correlare l’operato di Albergo alla Pet Therapy.
Il libro Il canarino metafisico
Pasquale Leone presenta la serata ai media locali
Da buon anfitrione, Leone ha usato, con un pizzico di malizia, la propria immagine per attirare i media e promuovere l’evento e poi, al momento opportuno,
ha offerto la platea al dott. Greco e al suo amico Giuseppe Albergo.
Dopo il saluto di Sandro Gallo, presidente dell’associazione Terra di Calabria, Leone ha preso la parola e con un intervento molto breve ha esordito dicendo: “Questa sera abbiamo deciso di focalizzare il nostro interesse sulle emozioni e non sulle tendenze; per questo abbiamo scelto di presentare il libro «Il canarino metafisico»”
Stessa linea ripresa da Greco che, oltre a spiegare gli effetti benefici che i canarini possono apportare a livello emotivo, ha anche evidenziato il fatto che le nuove generazioni sono eccessivamente dipendenti dalla tecnologia. L’eccessivo attaccamento al telefono cellulare sta diventando una cosa che porta alla graduale perdita delle emozioni e spesso anche dello stesso senso di responsabilità.
È stata poi la volta del piatto forte della serata, ossia l’intervento di Giuseppe Albergo, che ha introdotto i contenuti del suo libro.
Un testo che è nato dal suo amore verso i canarini; il suo racconto è ricco di emozioni intense e autentiche.
In effetti, a detta di chi lo ha letto, si
Un’opera intrisa di ricordi e testimonianze della solidarietà che Albergo ha portato con i suoi canarini
tratta di un libro coinvolgente che appassiona il lettore. Un’opera intrisa di ricordi e testimonianze della solidarietà che Albergo ha portato con i suoi canarini nei confronti di persone fragili, RSA, scuole e altre strutture, descrivendo le attività sociali che, a tutt’oggi, l’autore sta continuando a portare avanti. Alla presentazione sono seguite delle dimostrazioni con i canarini, alle quali Giuseppe Albergo ormai da tempo ci ha abituato. Ma se è vero che noi allevatori ormai siamo usi a questo genere di perfomance, non si può dire lo stesso per il pubblico presente, che è rimasto entusiasta di vedere i canarini al di fuori delle gabbie volare nella sala e stare a stretto contatto con le persone.
Durante i vari interventi, ci sono stati dei piacevolissimi stacchi musicali con la chitarra in fingerstyle, a cura dell’Arch. Amedeo Palmieri.
Un autentico successo, che ha reso la serata un vero e proprio evento.
Giuseppe Albergo mostra ad un pubblico entusiasta quanto siano domestici i canarini
La sala del Caffè Letterario, allestita all’inizio per 50 persone, ha dovuto raddoppiare i posti a sedere
Il dott. Ettore Greco, persona di notevole valenza scientifica
L’articolo di Pasquale Leone ispirato all’opera di Giuseppe Albergo, che sta facendo discutere una parte della comunità scientifica
L’Arch. Amedeo Palmieri, che ha fornito dei gradevolissimi contributi musicali alla serata
La Ghiandaia marina
Coracias garrulus (Linnaeus, 1758)
di DINO TESSARIOL,foto PHOTO-BUSTERSINTOTHE WILD, GOL-MILANO.IT, WIKIMEDIA.ORG, WILDEYES
La Ghiandaia marina è uno degli uccelli più appariscenti che vivono e si riproducono in Europa: turchese sul petto e sul ventre, così come sul capo, il piumaggio sfuma invece nelle tonalità del castano sul dorso, quindi del verde smeraldo nelle estremità. Il nome scientifico deriva dall’aggettivo latino “coracinus”, che deriva a sua volta dal greco “kórax” che significa “corvo”, nome che si ispira alla loro conformazione fisica, caratterizzata da corpi molto compatti, simili a quelli dei corvi, teste e becchi grandi.
È lunga da 29 a 32 cm, ha un’apertura alare che va da 63 a 67 cm ed un peso medio di 130 - 150 grammi; il petto e il ventre sono di colore azzurro turchese come pure il capo, mentre il dorso appare tinto di castano chiaro, eccetto il codione e la parte superiore della coda che sono di colore blu verdastro, con le piume rette centrali brune. Le due piume esterne della coda sono un po’ più lunghe delle restanti e la punta caudale presenta una macchia nera che costituisce il tratto distintivo della specie. In volo le ali sono molto appariscenti, di colore blu, con bordi neri. Sia le zampe
Con l’arrivo della primavera, le Ghiandaie marine europee abbandonano il loro territorio invernale in Africa e si dirigono verso l’Europa
che il becco presentano tonalità scure e dalla base del becco parte una striscia nera che attraversa gli occhi, assumendo le sembianze di una mascherina. La testa è grande, con un becco robusto; anche l’ala è grande, lunga ed ampia, di solito un po’ angolata sull’articolazione carpale; le dita all’estremità delle primarie sono raramente visibili, la coda è stretta e abbastanza lunga. Il volo è leggero, con battiti d’ala spesso irregolari e lenti, con le ali mai piegate sul corpo; a volte, dopo ogni battito d’ala, effettua una planata lunga con le ali tenute orizzontalmente e gli apici fortemente piegati verso l’alto. Quando vola tra gli alberi può avere un andamento “a slalom”, con scarti da un lato all’altro.
Con l’arrivo della primavera, le Ghiandaie marine europee abbandonano il loro territorio invernale in Africa e si dirigono verso l’Europa, dove stabiliscono anno dopo anno la loro zona di riproduzione e nidificazione. Il loro arrivo coincide con l’inizio della primavera, proprio quando i campi coltivati sono al massimo rigoglio e le popolazioni di invertebrati, che costituiscono la loro dieta base, sono più abbondanti. Attorno alla metà dell’estate cominciano il loro viaggio di ritorno ai territori africani in cui svernano. Questo viaggio migratorio è uno dei pochi momenti in cui si possono osservare stormi di varie decine di individui, tra cui si trovano anche i giovani nati in quell’anno.
Atteggiamento aggressivo, fonte: canale youtube Photo-busters into the Wild
Amante dei climi caldi, dove le estati sono lunghe e assolate, la sottospecie nominaleabita il Nord Africa, l’Europa, l’Asia Minore, fino ad Iran e Siberia sudoccidentale; altre sottospecie abitano il Medio Oriente, fino al Pakistan e alla Cina occidentale, mentre a nord il limite dell’areale distributivo è segnato dallo sconfinato Kazakistan. La Ghiandaia marina è presente soprattutto nella porzione mediterranea e orientale europea e, in generale, questa specie era molto più diffusa alle nostre latitudini tra fine Ottocento e inizio Novecento, prima dell’inizio di un lungo e inesorabile declino, dovuto molto probabilmente alla minore disponibilità di siti idonei alla costruzione del nido. In Italia è presente la sottospecie nominale; durante il periodo migratorio e estivo risulta maggiormente ma non uniformemente diffusa nelle zone costiere, in Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Lazio, Basilicata, con alcune aree riproduttive storiche presenti in Puglia, Basilicata e Calabria, nelle due isole maggiori insulari ed in numerose aree tirreniche, più scarsamente nelle altre regioni centro-meridionali e nelle isole; un numero crescente di presenze è stato riscontrato
Bellissima
è la
maestosa “danza nuziale” dei maschi: prima della riproduzione compiono spettacolari volteggi in aria cercando di attirare le femmine
in questi ultimi anni in alcune regioni settentrionali, con particolare riferimento ad alcune località dell’Emilia Romagna e del Veneto. La popolazione italiana nidificante è stimata in 300-500 coppie e risulta interamente migratrice. Lo svernamento avviene nell’Africa tropicale, specialmente nella porzione orientale del continente. Bellissima in questa specie è la maestosa “danza nuziale” dei maschi: prima della riproduzione compiono spettacolari volteggi in aria cercando di attirare le femmine mediante acrobazie aeree davvero uniche, in cui avanzano facendo ondulare il corpo con un’oscillazione dei fianchi; in questo modo, la luce solare
produce scintillii dovuti al riflettersi dei raggi sulle loro magnifiche piume, attirando così l’attenzione delle femmine. Frequenta praterie steppose, zone incolte, aree coltivate con alberi sparsi, boschi di querce e pinete con radure sia di pianura che di bassa collina, quasi sempre a ridosso di coste marine. Durante il periodo riproduttivo vive in coppia, mentre nella restante parte dell’anno tende a formare gruppi familiari o plurifamiliari.
Si ciba principalmente di grossi insetti; occasionalmente cattura ragni, scorpioni, miriapodi, piccole lucertole, piccoli anfibi, insetti, scorpioni, lucertole, chiocciole, piccoli uccelli e roditori, posandosi preferibilmente molto in alto o sui fili delle linee elettriche per poter avvistare meglio gli insetti di cui si nutre, scivolando poi elegantemente sul terreno appena scorge una preda. Cattura le prede anche in volo con grande rapidità e quando si posa sul terreno procede a balzi.
Non appena terminata la migrazione di ritorno, tra maggio e luglio, le Ghiandaie entrano nel periodo fertile; dopo la copulazione viene scelto il luogo adatto alla costruzione del nido, che viene im-
Bellissimo disegno di Ghiandaia marina in volo, fonte: gol-milano.it(Gruppo Ornitologico Lombardo) Distribuzione della Ghiandaia marina, fonte: commons.wikimedia.org
plementato nelle cavità più disparate come alberi, rocce, muri, ruderi, ponti, viadotti, pagliai o vecchi nidi di altre specie; la cavità può essere attivamente creata nelle scarpate terrose e, a volte, il sito viene rioccupato negli anni successivi. La femmina depone da 4 a 5 uova in un’unica covata annua. L’incubazione ha inizio ancor prima che la deposizione di tutte le uova sia stata completata e sia la femmina che il compagno si impegnano a turno nella cova per i circa 19 giorni di attesa prima della schiusa. Appena nati, i pulcini sono privi di piumino e restano all’interno del nido per circa un mese; al termine di questo periodo hanno il piumaggio già completamente sviluppato, anche se il cromatismo non è spettacolare come quello dei genitori. La difesa del territorio del nido è praticata in maniera costante e puntuale e tale che, spesso, la coppia riesce ad allontanare anche uccelli rapaci più grandi di loro.
La Ghiandaia marina è una specie sottoposta a un regime particolare di tutela, la cui protezione è finalizzata al ripristino delle popolazioni e alla loro salvaguardia. Come detto, la Ghiandaia marina è un migratore, che raggiunge l’Italia partendo dal territorio invernale africano. Un progetto di conservazione, in atto fin dal 1984 nel Parco della Maremma, ha favorito l’incremento della specie attraverso la posa di nidi artificiali che sono stati felicemente occupati. Le aree predilette dalla Ghiandaia marina sono le pinete litoranee, ricche di grasse cicale, che costituiscono il loro cibo preferito. Per un certo periodo di tempo la Ghiandaia marina ha persino sfruttato le cavità di certi pali della luce, al punto che la Società Terna Rete Italia, grazie all’accordo di collaborazione scientifica con l’associazione ornitologica Ornis italica, ha offerto la disponibilità per ospitare dei nidi artificiali sui propri tralicci. Sono state installate infatti oltre 500 cassette adatte alla nidificazione che nel tempo si sono popolate anche di gheppi.
Per quanto riguarda il viaggio migratorio, le rotte vengono ora studiate con l’apposizione di piccoli trasmettitori GPS che hanno permesso di raccontare questo studio. Una Ghiandaia marina ha banchettato tra gli elefanti e le ze-
Ghiandaia in volo di atterraggio in una falesia, fonte: WildeyesTakingnature'ssidelynkoswildeyes.wordpress.com
bre nella savana, ha sorvolato le maestose foreste pluviali dell’Africa centrale e ha attraversato in volo il deserto del Sahara e il Mar Mediterraneo per fare poi ritorno in Italia, nel luogo in cui è nata. È incredibile il viaggio compiuto da questa Ghiandaia marina, seguita grazie a un dispositivo GPS installato sul suo dorso dai ricercatori ornitologi: circa 8000 km in volo tra due continenti percorsi… non una, ma ben quattro volte tra andata e ritorno. L’uccello migratore dal peso inferiore a quello dello smartphone che abbiamo in tasca è tra i più colorati e appariscenti presenti in Italia ed è uno dei protagonisti del progetto di monitoraggio attraverso dei GPS logger cominciato nel 2018 dalla ONG ornitologica. Biologi e naturalisti studiano ormai da anni questa specie in centro e nord Italia, dove sono state inoltre installate decine di cassette nido per dare una mano alle Ghiandaie a mettere su famiglia e far crescere così la popolazione. La protagonista è tornata dal sud dell’Africa, dove ha trascorso l’inverno tra il Botswana e lo Zimbabwe, per nidificare esattamente nello stesso nido dell’anno precedente, dove si è riunita con la stessa compagna dell’anno precedente e che non vedeva
da ben otto mesi. Il suo viaggio di ritorno dall’Africa è durato ben due mesi e mezzo e ha ricalcato in maniera quasi perfetta il percorso di andata e ritorno compiuto nell’anno precedente. Una precisione impressionante svelata appunto grazie al moderno e leggerissimo dispositivo GPS che si è portata dietro, che serve non solo a ricostruire il tracciato migratorio ma anche a studiarne il comportamento e le abitudini alimentari, informazioni preziose che aiuteranno ad adottare misure di conservazione sempre più efficaci. Ora, in marzo, questa Ghiandaia marina avrà già lasciato il Parco nazionale del Chobe in Botswana e sarà in viaggio di ritorno per affrontare una nuova stagione riproduttiva tra le praterie afose e assolate del centro Italia. La sua sosta nei territori riproduttivi sarà però breve. Già a metà estate, infatti, partirà nuovamente alla volta del continente africano, rifacendo il viaggio a lei ormai ben noto, sorvolando il Mar Mediterraneo in una sola notte, il deserto del Sahara a più di 3.000 metri di altitudine per fare ritorno esattamente dove è stata nelle due stagioni invernali precedenti, tra Botswana e Zimbabwe. Un’impresa annuale davvero straordinaria!
Purtroppo la Ghiandaia marina è in forte decremento numerico, più accentuato negli ultimi decenni, con sparizioni locali nelle regioni più occidentali del suo areale; ha iniziato a diminuire verso la fine del Novecento, a causa dei sempre più intensivi disboscamenti, che tolgono alla Ghiandaia un posto perfetto per nidificare e a causa degli insetticidi usati nei campi coltivati, che vanno a danneggiare gli insetti di cui si nutre. Inoltre, le Ghiandaie marine vengono spesso cacciate durante la loro migrazione sul Mediterraneo e uccise per essere mangiate in molti Paesi interessati dai tragitti migratori. Le principali minacce provengono dall’eccessiva intensificazione delle pratiche agricole, dall’abbandono dei sistemi di pastorizia tradizionali, dalla rimozione di siepi, boscaglie ed alberi morti e dal bracconaggio, trappolaggio e avvelenamento da pesticidi. Questa situazione sfavorevole allertò la CEE, che a suo tempo ha attivato forme di tutela della specie ed è stata
inclusa nell’All.I della Direttiva Uccelli del Ministero dell’Ambiente. È SPEC 2, cioè specie la cui popolazione globale è concentrata in Europa e che in questo continente versa in uno stato sfavorevole di conservazione; è considerata “in pericolo” nella Lista Rossa nazionale. Per questo grado di tutela è reato molto grave uccidere, detenere in cattività o distruggere nidi di questa specie. Per una seria protezione e per la sua conservazione e gestione sono comunque richiesti degli accordi internazionali normati dalla Convenzione di Bonn, all. II. La specie è rigorosamente protetta dalla Convenzione di Berna ed in Italia è protetta dalla Legge nazionale 11 febbraio 1992, n. 157.
La Ghiandaia marina, probabilmente per il suo alto grado di protezione, è poco allevata in ambiente controllato e solo molti anni fa se ne vedeva qualcuna alle fiere ed alle mostre, ma potenzialmente credo che il suo allevamento sia più fa-
cile di altri uccelli, sempre disponendo di grandi voliere dove la specie possa dispiegare il suo volo; altrettanto fatti-
bile potrebbe essere la sua riproduzione, ma non mi risultano tentativi in tal senso.
Ghiandaia marina all'uscita dal nido su un albero, fonte: commons.wikimedia.org, autore: AndyMorffew
O rniFlash
Il 60% dei picchi neri nidifica sugli alberi colpiti dal
bostrico
Nelle
foreste alpine dominate dalle conifere, il picchio nero (Dryocopus martius) è una specie prioritaria, che costruisce grandi cavità utilizzate poi come rifugio da tante altre specie di uccelli (come il picchio muratore, le cince e la sempre più rara civetta capogrosso), micromammiferi (ad esempio pipistrelli, ghiri e scoiattoli) e insetti sociali come le api. Il suo ruolo di ingegnere ecosistemico è particolarmente apprezzato nell’area nord–est dell’arco alpino italiano, la stessa che è stata colpita dalla tempesta Vaia nell’ottobre del 2018 e distrutta poi dalla drammatica epidemia dell’insetto parassita bostrico tipografo (Ips typographus), che ha portato alla morte migliaia di alberi. La particolarità dell’area e delle comunità ornitiche presenti ha dato avvio a uno studio condotto nell’ambito del progetto pluriennale nato dalla collaborazione tra Museo delle Scienze di Trento (Muse), Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino e Università degli Studi di Milano.
I risultati, sorprendenti, sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Animal Conservation: nell’area esaminata, in provincia di Trento, il 50% degli alberi con cavità fatte da picchio nero era stato distrutto dalla furia di Vaia. Eppure, la popolazione di picchio ha resistito sia all’impatto della tempesta che dell’epidemia di bostrico, di cui si nutre. Lo dimostra lo studio, rivelando che a maggio 2024 il 60% della popolazione di picchio nero residente aveva addirittura “approfittato” dell’epidemia di bostrico per costruire nuovi nidi sulle piante parassitate. Il bostrico è un piccolo insetto coleottero del gruppo degli Scolitidi, di colore bruno, lungo circa 4-5 mm. È endemico dei boschi del Trentino e attacca prevalentemente l’abete rosso, in cui scava gallerie sotto la corteccia che interrompono il flusso della linfa conducendo rapidamente le piante alla morte. … Questi gruppi di piante saranno preservati dal taglio e si spera potranno garantire la disponibilità di siti di nidificazione per il picchio nero, le altre specie di Picidi presenti e le specie nidificanti secondarie per gli anni a venire.
Un’ondata di caldo ha causato la morte di circa 4 milioni di uccelli marini
Tra il 2014 e il 2016, una massiccia ondata di caldo marino, soprannominata “The Blob”, ha devastato l’Oceano Pacifico nord-orientale, causando la morte di circa 4 milioni di uccelli marini. Questo evento, considerato il peggior disastro ambientale mai registrato per queste specie, ha messo in evidenza l’impatto devastante dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini.
L’ondata di caldo, durata circa due anni, ha visto le temperature superficiali dell’oceano salire fino a 3 gradi Celsius sopra la media, un’anomalia straordinaria che ha compromesso l’intera catena alimentare. Gli uccelli marini, come le urie, si sono ritrovati improvvisamente senza cibo a sufficienza, portando a una moria di massa. Le spiagge dall’Alaska alla California sono state ricoperte di carcasse, segno tangibile della portata della catastrofe.
Un’analisi condotta dall’Università di Washington ha monitorato l’impatto di questo evento su 13 colonie di uccelli marini tra il 2008 e il 2022. I risultati sono sconcertanti: nel Golfo dell’Alaska, la popolazione di uccelli si è ridotta della metà, mentre lungo il Mare di Bering orientale il calo ha raggiunto il 75%. Questo declino è stato molto più grave di quanto inizialmente stimato, con una mortalità fino a otto volte superiore. …
Prima del disastro, si stimava che circa 8 milioni di urie popolassero la regione; oggi, le colonie sono scarse e il recupero sembra improbabile.
Il Mignattaio, primo caso di svernamento in Calabria
IlMignattaio è una specie di uccello acquatico della famiglia dei Threskiornithidae, facilmente riconoscibile per il suo lungo becco incurvato verso il basso e il suo piumaggio dai riflessi metallici. Originario dell’Europa sud-orientale, il Mignattaio un tempo era più diffuso, ma nel corso del Novecento l’areale si è progressivamente ridotto. Oggi, in Italia, la specie è localizzata principalmente nelle zone umide del Delta del Po e delle Valli di Comacchio, ma è anche presente in alcune altre regioni, seppur con popolazioni sparse e in forte contrazione. La sua recente presenza nella zona di Capo Colonna è un segnale positivo per la biodiversità locale. L’avvistamento è stato documentato dai soci del Circolo Ibis per l’Ambiente, un’organizzazione impegnata nel monitoraggio e nella protezione degli animali e degli uccelli migratori. … “L’avvistamento e lo svernamento del Mignattaio a Capo Colonna sono senza dubbio un segno positivo - commenta il presidente del Circolo il Capt. Girolamo Parretta - ma non mancano le sfide. Il Mignattaio è una specie particolarmente vulnerabile a numerose minacce, tra cui la perdita e il degrado degli habitat naturali, il disturbo umano, l’inquinamento e il cambiamento climatico. Le aree umide, fondamentali per la sua sopravvivenza, sono infatti sempre più minacciate da attività antropiche e dalla cementificazione costiera.” … Il primo possibile caso di svernamento del Mignattaio a Capo Colonna è un evento che deve essere celebrato come un’opportunità per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della protezione degli habitat naturali e delle specie vulnerabili. Le prospettive per il Mignattaio in Calabria sono positive, ma richiedono un impegno continuo nella gestione delle aree protette, nella sensibilizzazione della comunità locale e nel rafforzamento delle politiche di conservazione. …
Perché gli uccelli emettono così tanti suoni differenti?
Uno studio recentemente condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison ha provato a far luce su questo fenomeno. Gli autori hanno infatti realizzato la prima vera analisi su scala globale di tutti i fattori che influenzano le vocalizzazioni degli uccelli, analizzando oltre 100.000 registrazioni provenienti da tutto il mondo e pubblicando i risultati sulla rivista
Proceedings of the Royal SocietyB. Lo studio ha confermato e ampliato ipotesi già formulate in passato su scala locale riguardo al ruolo di habitat, geografia, dimensioni corporee e forma del becco. Tuttavia, non era ancora chiaro quali e quanti di questi fattori fossero validi anche su più ampia scala. I ricercatori hanno quindi analizzato le registrazioni dei suoni degli uccelli caricate sulla piattaforma di birdwatching xeno-canto, liberamente accessibile a tutti, riuscendo così a coprire ben il 77% delle specie conosciute. Ecco quali sono stati i risultati chiave: L’habitat modella le frequenze - Gli ecosistemi in cui vivono gli uccelli influenzano il tipo di vocalizzazioni che producono. …
Latitudine e somiglianze sonore
Gli uccelli che vivono nelle stesse latitudini tendono a produrre suoni simili. …
Dimensioni corporee e forma del becco
Non sorprende che uccelli più piccoli producano suoni a frequenze più alte rispetto a quelli più grandi, che invece prediligono frequenze basse. …
Una strategia di sopravvivenza per gli uccelli più piccoli
Gli uccelli di dimensioni ridotte tendono inoltre ad avere una gamma di frequenze più ampia, una caratteristica che li aiuta a sopravvivere. …
testo di PIERLUIGI MENGACCI, foto WWW.EAGFF.CH, P. MENGACCI, WWW.LAVALLEDELMETAURO.IT, WWW.FUNGHIITALIANI.IT, WWW.ACTAPLANTARUM.ORG, HTTPSANTROPOCENE.IT, WIKIPEDIA.ORG
Introduzione
La carota selvatica, il cui nome scientifico è Daucus carota L. subsp. carota, è universalmente riconosciuta come la madre di tutte le sottospecie coltivate (Daucus carota subsp. sativus). È una pianta erbacea che cresce spontanea ed è considerata invasiva, molto diffusa in Italia ma anche nelle zone temperate dell’Europa in genere, del Nord America e dell’Asia. Il suo fiore si vede quasi dovunque nel periodo estivo (fiorisce da aprile ad ottobre), ma la si nota soprattutto durante la tarda primavera quando, solitaria o a piccoli gruppi, appare con le sue infiorescenze di fiorellini bianchi nelle zone che ha colonizzato. Ma attenzione: il proverbio dice non è tutt’oro quel che riluce; infatti, la Daucus carota ha una pianta sosia: la Conium maculatum (dal greco konion = uccidere)
Dal libretto dei miei appunti orto-ornitofili e non solo
o Cicuta, che è una pianta molto velenosa. Basti ricordare che il filosofo Socrate fu ucciso poiché costretto a bere un infuso di cicuta.
Ad un primo sguardo, le differenze fra le due piante sono minime: foglie, infiorescenze, fusti, sono simili, ma con una attenta osservazione notiamo che nella infiorescenza l’ombrellino della cicuta non presenta al centro il fiore di colore rosso scuro e se contiamo i raggi al massimo sono 16, mentre nella carota selvatica i raggi vanno dai 20 ai 40. La
cicuta è generalmente più alta delle piante che la circondano; le foglie pennate sono più scure sulla faccia superiore e ricordano il prezzemolo. È molto importante controllare il fusto della pianta: quello della cicuta è cavo, privo di peli, punteggiato di macchie violacee e, se spezzato, emana un odore sgradevole simile all’urina dei gatti, come le sue foglie, se sfregate, mentre la carota selvatica sprigiona un gradevole aroma in ogni sua parte (le foto allegate evidenziano alcune diversità fenotipiche). Un consiglio quando si fa foraging: è sempre opportuno avere a disposizione un paio di guanti e indossare pantaloni lunghi per evitare di toccare la cicuta con le parti nude del corpo o strofinarla a mani nude, poiché provocherebbe come minimo dermatiti e ustioni molto dolorose e dannose.
Carota selvatica, fonte: www.eagff.ch
Pianta di carota selvatica nel mio giardino, foto: P.Mengacci
Un consiglio anche per i meno esperti: evitare di raccogliere le rosette basali di carota selvatica in primavera; aspettare invece che la pianta sia fiorita per poterla riconoscere senza dubbio e quindi raccoglierla e cucinarla senza timore; così si evitano intossicazioni o avvelenamenti e possiamo godere il sapore delle sue tenere e saporite foglioline, o l’agrodolce della radice.
Descrizione della carota selvatica Pianta erbacea biennale con tendenza a diventare perennante; appartiene alla famiglia delle Apiaceae. È una pianta rustica largamente diffusa nei terreni incolti, nei prati e lungo i margini di strade e sentieri fino ad un’altezza di circa 1500 metri; può resistere a temperature estreme e a periodi di siccità.
Etimologia: il termine daucus (“pianta selvatica”) era impiegato dai Romani per indicare varie specie appartenenti alla famiglia delle Apiaceae. Secondo alcuni autori deriva probabilmente dal greco daio o daycos (“riscaldare”, in quanto era considerata una pianta riscaldante); il nome specifico “carota” è fatto derivare invece da karoton nel senso di “carnosa”, riferito alla radice.
Quest’ultima è a fittone verticale, fusiforme, ingrossata, di colore bianco-giallastro con radicazione fino a 80 cm di profondità. Nel primo anno emette solo le foglie basali, nel secondo produce il fusto e l’infiorescenza.
Pianta erbacea biennale con tendenza a diventare perennante; appartiene alla famiglia delle Apiaceae
I fusti sono eretti, con peluria ispida e ramificati verso l’alto. Possono essere striati e assumere anche forma cespugliosa; generalmente l’altezza non supera il metro, sono molto consistenti e flessibili e in passato venivano usati per legare i covoni di grano e le foglie erano usate come foraggio pregiato.
Le foglie basali sono lanceolate, pennatosette lunghe fino a 12 cm; quelle cauline sono più piccole, alterne, ovalo-lineari e frangiate.
L’ infiorescenza a ombrello ha dimensioni variabili nel numero e nella dimensione sia dei raggi (20-40) che delle brattee (7-10), con larghezza massima di 6 o 7cm; tutte le brattee al momento della fioritura sono distese, mentre durante la fruttificazione si piegano verso l’interno formando una specie di nido, cosa che succede anche quando piove. Vista da lontano sembra quasi insignificante ma, osservandola da vicino, notiamo la
Rosetta basale di carota selvatica, foto: P.Mengacci
Fiore di carota selvatica, foto: P.Mengacci
Carota selvatica rosetta con radice, foto: P.Mengacci
Vaso con pianta di carota selvatica timo e farinello nel giardino dell’autore, foto: P.Mengacci
Rametto di carota selvatica, foto: P.Mengacci
sua trama complessa che ci porta ad immaginare il ricamo di un pizzo.
I fiori sono minuscoli, hanno 5 petali arrotondati di colore bianco o rosa chiarissimo. Alcune ombrelle spesso hanno al centro un fiore sterile di colore bordeaux molto scuro, segno inconfondibile della specie. Nei fiori sono presenti delle piccole ghiandole profumate che durante i mesi estivi attirano api, farfalle e altri insetti impollinatori.
I frutti sono acheni di forma appiattita di colore bruno rossastro circondati di aculei; si attaccano facilmente al pelo degli animali e ai nostri vestiti.
Curiosità storiche e non solo Sono molto poche le notizie tramandate sulla carota selvatica ma è noto che la Daucus carota fosse conosciuta e coltivata fin dall’antichità e ne troviamo la presenza anche negli scritti di Ippocrate. All’ epoca dei Romani, infatti, con il nome daucus si indicavano radici di diverse varietà. Plinio ne descrive quattro tipi. Il medico Galeno riesce a fare una distinzione tra la carota e la pastinaca (tubero più grande della carota, di consistenza interna più coriacea e di sapore più dolce).
Gli antichi Greci ed anche i Romani ne utilizzavano le proprietà medicinali per curare lo scorbuto, le scottature e per la diuresi.
La Daucus carota era presente anche nella cucina romana e Apicio, nel De Re Coquinaria, le propone saltate in padella e condite con vino e garum.
Come tutte le piante, anche la carota selvatica si porta dietro un retaggio di credenze. Una di queste racconta che
Nella florigrafia (linguaggio dei fiori e delle piante), i fiori della carota selvatica rappresentano la felicità e sono considerati simbolo di festa
la carota selvatica raccolta durante le notti di luna piena sarebbe carica di energie positive così da favorire il concepimento e combattere l’epilessia. Nella florigrafia (linguaggio dei fiori e delle piante), i fiori della carota selvatica rappresentano la felicità e sono considerati simbolo di festa; questa simbologia deriva dal fatto che la carota selvatica veniva utilizzata nelle composizioni floreali durante le festività religiose e profane. Oltre alla simbologia suddetta, le infiorescenze che vengono incastonate in alcuni gioielli vengono intese come simbolo della bellezza selvaggia, di libertà e semplicità.
Ape su carota selvatica, fonte: www.eagff.ch
Ombrella a forma di nido con frutti in maturazione fonte: www.funghiitaliani.it
Daucuscarotafrutti, fonte: www.actaplantarum.org
In Inghilterra la carota selvatica viene chiamata Queen Anne’s Lace (ossia “pizzo della Regina Anna”), soprannome che deriva da una leggenda sulla regina Anna d’Inghilterra. La leggenda narra che la Regina, intenta a ricamare in un prato, si punse con l’ago e una goccia di sangue cadde nel centro della pianta, tingendo la parte centrale del fiore. Al-
, fonte: wikipedia.org , autore: Franz Eugen Köhler
Il fiore centrale della carota selvatica veniva utilizzato per ricavare un inchiostro nero
tra consuetudine inglese nel XVI secolo era adornare i capelli delle dame con ghirlande fatte di fiori della Daucus carota
Molti testi riportano che la Daucus carota sia stata domesticata 5000 anni fa in Afghanistan con colori viola o gialli. Oggi di Daucus carota ssp. sativa, presenti in commercio, ne esistono molte e diverse cultivar sono coltivate in tutte le aree temperate del mondo.
La cultivar di colore arancione, che oggi è presente anche sulle nostre tavole, è stata selezionata nel XVI secolo grazie al lavoro di coltivatori olandesi, mentre la cultivar a fittone radicale di colore bianco viene coltivata ad uso foraggero. Nelle coltivazioni biologiche stanno ritornando di moda le carote di più colori ed ogni “colore” di carota presenta proprietà nutritive diverse.
Un’ultima curiosità: fino all’inizio del secolo scorso il fiore centrale della carota selvatica veniva utilizzato per ricavare un inchiostro nero.
Composizione e valore energetico
In percentuale per 100 g di Daucus carota
Fonte: Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione
Parte edibile
Acqua
Proteine
Lipidi
Glucidi disponibili
Fibra alimentare
Energia
Energia (kJ):
Sodio
Potassio
Ferro
Calcio
Fosforo
Magnesio:
Zinco:
.95%
.91,6 g
.1,1 g
.0,2 g
.7,6 g
.3,1 g
.35 kcal
.147
.95 mg
.220 mg
.0,7 mg
.44 mg
.37 mg
.11 mg
.2,92 mg Rame:
.0,7 mg
Vitamina A retinolo eq.:
.1148 μg (i livelli variano da 880- 2300)
Vitamina C: .
Proprietà ed utilizzi
.4 mg
La letteratura ci presenta una pianta ricca di olio essenziale, pectina, flavonoidi, sostanze minerali, carotene e vitamine B1, B2, C, oltre a contenere molte altre sostanze quali acetone, asarone, colina, etanolo, acido formico, saccarosio, glucosio, glutatione, asparagina…
In fitoterapia la carota selvatica è consigliata come vitaminica, rimineralizzante, stimolatrice delle difese immunitarie, oftalmica, diuretica e cicatrizzante.
Per le difficoltà urinarie viene consigliato l’infuso, mentre per le applicazioni dermatologiche quali dermatiti, eczemi, psoriasi è ritenuto molto utile un olio essenziale ricavato dai semi. Inoltre l’olio, per il suo delicato profumo, miscelato e combinato con altri oli vegetali viene usato in profumeria e in cosmetica nelle creme antirughe, solari e prodotti abbronzanti per il suo contenuto di betacarotene che aiuta a proteggere dall’azione dei raggi UV e rende elastica la pelle.
I semi della carota selvatica, raccolti immaturi, secondo alcuni autori possono avere una grande varietà di effetti sul funzionamento degli organi e degli apparati del corpo umano. Sono ritenuti diuretici, stimolanti, aromatici e carminativi e risulterebbero utili anche in caso di gotta, artrite e calcoli renali. Inoltre, potrebbero agire anche sul sistema riproduttivo, regolarizzando le mestruazioni e aumentando sia la fertilità sia la libido dove queste siano carenti.
Le radici della carota selvatica vengono consigliate per attenuare le infiammazioni dello stomaco e dell’intestino, per stimolare la diuresi, depurare l’organismo e come protettive della cute nei casi di pelli arrossate dalle scottature. Dalle radici viene altresì estratto il carotene, che trova impiego nell’industria colorante e alimentare. Le radici fresche
Daucus carota, fonte: httpsantropocene.it
Cicutamaculatum
o il loro succo, per l’alto contenuto in oli essenziali, possono essere impiegate come vermifugo.
Dalla parte aerea fiorita, tagliando i capolini in piccole parti, ponendoli a bollire per un’ora e poi filtrandoli, si estraggono le essenze tintorie della carota selvatica, sia flavonoidi che carotenoidi. In cucinala carota selvatica è interamente commestibile: radice, foglie, fiori e semi possono trovare diversi utilizzi alimentari.
La radice, fibrosa e aspra (lontana parente della carota che conosciamo), raccolta prima della fioritura, pelata, tagliata a pezzi e lessata possiamo aggiungerla alle minestre di verdure o condirla con olio, sale e limone; meglio ancora, tostata e macinata diventa molto interessante da inserire nelle tisane.
La rosetta di foglie basali che si raccoglie in primavera, quando le foglie sono più tenere (vedi l’introduzione), è la parte della pianta più utilizzata per misticanze di insalata o viene lessata assieme ad altre erbe selvatiche; tritata e aggiunta al soffritto sin dall’inizio, viene utilizzata per aromatizzare stufati di carne o il pesce in umido.
I fiori, delicatamente aromatici, possono essere mangiati crudi, aggiunti allo yogurt oppure avvolti in una leggera pastella e fritti.
I semi raccolti a piena maturazione, quando i fiori iniziano a seccare, pos-
sono essere usati in piccole quantità come spezia, per la preparazione di bevande digestive, per fare degli ottimi liquori o per estrarre gli oli essenziali suddetti.
In veterinaria, la carota selvatica viene consigliata per curare la costipazione e la bolsaggine del cavallo.
In ornitologia troviamo la presenza della carota selvatica nei classici “semi della salute”, dove vengono consigliate miscele di più semi naturali (riporto la descrizione di una di queste): “miscela a base di semi interi allo stato naturale, selezionati e disinfestati, formulata per rispondere al fabbisogno quotidiano, oltre a garantire una ottima forma e un piumaggio dai colori naturali e brillanti. La possibilità di accedere ad un miscuglio variegato ed opportunamente formulato avvicina l’animale alle condizioni naturali, consentendogli di soddisfare autonomamente i propri fabbisogni nutrizionali”.
In ornitologia
troviamo la presenza della carota selvatica nei classici “semi della salute”, dove vengono consigliate miscele di più semi naturali
Un consiglio che è sempre bene ricordare: per gli usi farmaceutici e cosmetici delle piante selvatiche è utile essere consigliati dal proprio medico o dal fitoterapista; per quelli alimentari, anche da persone esperte o erboristi o veterinari in campo animale.
Riflessioni ecologiche
Mentre mi apprestavo a fotografare le infiorescenze di alcune piante di carota selvatica presenti nel mio giardino, ho dovuto allontanarmi data la presenza di molte api e vespe che ronzavano sui fiorellini. Il mio intento era di documentare la complessa struttura di quelle ombrelline, esempio unico di perfezione e bellezza naturale, ma la vista di quel via vai operoso che non ho osato disturbare mi ha portato a riflettere sulla valenza ecologica di quei fiorellini bianchi. Appoggiato al tronco del vicino ciliegio in attesa del tempo migliore per fare le foto, quell’andirivieni di api e vespe mi ha fatto pensare alla capacità di quelle infiorescenze di attirare insetti impollinatori e alla altrettanto grande capacità del lobo antennale delle api per la ricezione degli odori.
Ho pensato altresì a quanto possano contribuire al benessere generale delle zone in cui queste piante crescono; alle strette e lunghe radici che favoriscono la salute del suolo; a quanto le api concorrano alla biodiversità e prosperità di
Cicuta gruppo Catria, fonte: www.lavalledelmetauro.it
Coniummaculatumgruppo del Catria, fonte: www.lavalledelmetauro.it, autore: di LucianoPoggiani
altre specie vegetali; all’immenso valore delle piante mellifere, che con i loro fiori assicurano un futuro alle api stesse, agli altri impollinatori e a moltissime specie animali e al genere umano. Mi è tornato in mente che le api contribuiscono alla sopravvivenza di oltre l’80% delle specie vegetali presenti sulla Terra e di circa il 35% della produzione globale del cibo necessario per l’alimentazione della popolazione umana e animale di tutto il mondo. Un’ape vive meno di 40 giorni, visita almeno 1.000 fiori e produce meno di un cucchiaino di miele nella sua vita. Ho ricordato pure la previsione attribuita ad Albert Einstein: Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita. Questo time-out, oltre alle riflessioni sull’importanza ecologica che svolgono anche i modesti fiori della carota selvatica, mi ha fatto altresì riflettere sul fatto che ogni tanto bisognerebbe rallentare, fermarci ad osservare, ammi-
I semi possono essere usati in piccole quantità come spezia
rare, apprezzare e decantare la bellezza della natura che ci circonda che spesso non vediamo o che trascuriamo o, peggio ancora, che maltrattiamo!
“Gigi, mi raccogli un rametto di finocchio selvatico?”.
La voce di Angela mi distoglie da questi “arrovellamenti mentali”… Mentre eseguo la sua richiesta tagliando un rametto di finocchio, un dolce profumo invade le mie narici e, parafrasando il Leopardi, esclamo con piacere: Così tra questa immensitàs’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce… tra queste piante! Ad maiora, semper.
Alcune fonti: -Le erbe selvatiche di Ennio Lazzarini, ed. Hoepli - https://storiaincucina.food.blog/2020/01/12/carote-carotine-e-carotone/ -https://it.wikipedia.org/wiki/Daucus_carota -Il prato è in tavola-Dafne Chanaz -https://antropocene.it/2017/11/04/daucus-carota/
Che il mondo ornitologico sia in crisi è sotto gli occhi di tutti, vuoi per le disposizioni di legge sempre più stringenti, vuoi per spazi abitativi a disposizione sempre più stretti che non permettono l’approntamento di un allevamento (benché di piccole dimensioni), vuoi perché i giovani oggi hanno rivolto i propri interessi in altri settori. Resta il fatto che manca il fisiologico ricambio generazionale che sempre ha garantito la sopravvivenza del nostro settore. Prima, spesso, era il nonno che coinvolgeva il giovane e trasmetteva ad esso la passione dell’allevamento; oggi invece è il giovane che porta il nonno a giocare con il cellulare.
L’Associazione Ornitologica Maceratese nel suo piccolo, contribuendo ad invertire tale rotta, ha anche nel 2024 posto in essere due belle mostre divul-
Prima,
spesso, era il nonno che coinvolgeva il giovane e trasmetteva ad esso la passione
dell’allevamento; oggi invece è il giovane che porta il nonno a giocare con il cellulare
gative finalizzate alla conoscenza del nostro settore, visto che, pare strano, ma la maggior parte della gente (e non parliamo solo di giovani) non sa nemmeno della sua esistenza.
Molte persone, nel vedere i soggetti esposti appartenenti alle varie catego-
rie, hanno manifestato molto interesse e nello stesso tempo stupore verso uccelli di siffatta bellezza.
Inutile nascondere che il maggior successo l’hanno riscosso gli esotici che, con i loro colori, hanno polarizzato l’attenzione di tutti coloro che si sono meravigliati di come la natura possa aver pennellato un’opera d’arte così perfetta. Per non parlare poi dei pappagalli di piccola e grossa taglia che, grazie al loro piumaggio sgargiante e alla loro simpatia, hanno incuriosito tutti, grandi e piccoli, soprattutto perché è stato possibile accarezzarli e tenerli anche in mano in quanto a tale scopo addestrati. La soddisfazione più grande l’hanno data come sempre i bambini che con il loro entusiasmo e con le loro sapienti domande hanno impegnato non poco gli organizzatori a soddisfare le loro curiosità.
Anche il nostro “baby” allevatore Pietro (8 anni, oramai “veterano”) oltre ad esporre il frutto del suo allevamento, ha anche diretto con le sue “sapienti” conoscenze ornitologiche gruppetti di suoi coetanei fra le gabbie dei soggetti in esposizione, riscuotendo l’interesse dei suoi amichetti e la meraviglia dei rispettivi genitori per le forbite spiegazioni. Anche la stampa locale ha dato ampio risalto alla manifestazione, descrivendola come “un’occasione per ampliare la propria cultura ornitologica e ambientale. Utile soprattutto ai bambini e ai giovani che oggi non sanno cosa siano, cardellini, fringuelli, verdoni…” Se si vuole che l’ornitologia sopravviva, le strade giuste da percorrere secondo noi sono queste; non ne esistono altre. Si, è vero che le mostre vere e proprie sono utili e quanto mai indispensabili
poiché è il succo del nostro hobby, ma le stesse coinvolgono principalmente gli addetti ai lavori e non l’uomo della “strada” ignaro del nostro mondo. Resta comunque il fatto che queste nostre iniziative hanno portato all’iscrizione di nuovi soci e per di più molto giovani (17-21 anni).
Occorre coinvolgere il più possibile i giovani iniziando dalla tenera età, anche se spesso si incontra con la refrattarietà dei genitori che per i motivi oggettivi sopraesposti non possono soddisfare l’entusiasmo e le richieste degli stessi. L’importante però è aver seminato e con il tempo il seme può fruttificare; questo è l’obiettivo che noi tutti ci siamo prefissati.
In tale occasione si è riunito anche il Consiglio Direttivo del Raggruppamento Ornitologico Centro Italia
“R.O.I.C.I.” per svolgere il proprio lavoro istituzionale.
Tutto quanto sopra è stato possibile a seguito dell’incondizionato utilizzo della struttura del verde attrezzato la “CINCIALLEGRA”, i cui proprietari e gestore hanno creduto per la seconda volta nelle nostre iniziative mettendo a disposizione gratuitamente tutta la struttura. A loro la nostra Associazione e il Raggruppamento R.O.I.C.I. formulano i più sinceri ringraziamenti. Certamente i ringraziamenti più sentiti vanno a tutti i collaboratori (soci e non soci) che hanno reso possibile la realizzazione di una manifestazione di così vasta portata, che ha richiesto l’impegno di molte risorse umane e di materiale tecnico messo a disposizione gratuitamente anche da persone non associate al sodalizio.
I NOSTRI LUTTI
In memoria di Giovanni Brunelli
Amaggio di questo 2024 è scomparso il Consigliere SOF, allevatore di canarini di colore Rosso e Rosso Mosaico ma soprattutto l’Amico Giovanni Brunelli. Era una persona generosissima, buona e sempre disponibile, era da oltre quarant’anni sempre presente e pronto a dare una mano ad ogni nostra esposizione e ad ogni nostra iniziativa ornitologica.
Come diceva chi ti ha conosciuto molto bene, non è retorico dire che: “una parte della Società Ornitologica Ferrarese scompare per sempre con la dipartita dell’amico Giovanni”. Per questo non ti scorderemo e ci mancherai tantissimo. Ciao Giovanni.
Il Consiglio Direttivo ed i Soci tutti della Società Ornitologica Ferrarese - APS
In ricordo del dott. Mario Cerfogli
Nel
mese di agosto, ci ha lasciati il dott. Mario Cerfogli, una figura di grande rilievo e dedizione nell’ambito ornitologico ed agricolo. Per molti anni, Mario, è stato socio e successivamente presidente dell’Associazione Ornitologica Scaligera (A.O.S.), dove ha offerto la sua guida per ben 10 anni, continuando poi ad essere presidente onorario, un ruolo che ha ricoperto con l’umiltà ed il rispetto che lo contraddistinguevano. Laureato in agraria, prima di unirsi all’ A.O.S., aveva già costruito una carriera brillante, rivestendo alte cariche all’interno del sindacato della Federazione Nazionale Coltivatori Diretti e prestando servizio presso il Ministero dell’Agricoltura. Il suo impegno verso il settore agricolo ed ornitologico non si fermava mai alla superficie: era un esperto allevatore di canarini Sassoni di colore, appassionato degli incroci con i Silvani e il suo lavoro ha portato a risultati di grande pregio e riconoscimento. Caro Mario, la tua presenza ha lasciato un’impronta indelebile nel cuore di chi ti ha conosciuto. Ti ricordiamo con stima ed affetto: il Presidente Gianfranco Braga, il Consiglio e tutti i soci dell’A.O.S. Ti portano nel cuore. Riposa in pace.
Addio a Gianrino Rebecchi
Dapochi mesi lo avevamo festeggiato con una targa ricordo come decano dell’Associazione Provinciale Ornitologi Novaresi con il suo RNA 9472. Sempre in attività, malgrado gli 83 anni e la malattia con cui da tempo serenamente lottava, stava già preparando i suoi canarini per le mostre quando, il primo ottobre, ci ha lasciato dopo un rapido peggioramento. Rino è stato un grande Maestro, punto di riferimento per gli allevatori della zona con i quali era sempre prodigo di consigli, aiuti e incoraggiamenti; sempre contento quando vedeva crescere nuovi allevatori a cui cedeva senza gelosie e senza fini di lucro soggetti della sua produzione di canarini di colore, con cui vinceva regolarmente ai Campionati Mondiali. Bravissimo Giudice FOI, ha sempre avuto la stima degli espositori e dei colleghi che lo sapevano competente e onesto, ha sempre cercato il confronto e il consiglio degli altri e ha cercato di trasmettere ai più giovani le sue competenze. Diceva sempre che la Mostra non è una competizione ma è la Festa dell’Associazione e bisogna viverla con gioia e partecipazione. Lo ricorderemo sempre come una persona speciale. I tuoi amici della APON
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