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L’olfatto
di DINOTESSARIOL, foto AMICIAQUATTROZAMPE.ITeTERRANIEW.IT
Prendendo spunto dal recente articolo sull’udito degli uccelli di Giovanni Canali, pubblicato sul numero 10/2020 di I.O., volevo scrivere qualche riga su un argomento ancora molto discusso tra gli zoologi e il cui mistero sembra ancora lontano dall’essere conosciuto in maniera compiuta. La conoscenza della biologia e dell’anatomia degli uccelli maturata fino a qualche anno fa era unanimemente orientata nel ritenere che gli uccelli non dispongano del senso dell’odorato. Una prima crepa su tali conoscenze, anche se con frequenti disparità di vedute, si registrò una decina di anni fa quando degli studi approfonditi rivelarono che i colombi viaggiatori usavano l’odorato per orientarsi nel ritorno verso la loro colombaia e, più recentemente, altri studi hanno confermato che anche i grandi uccelli pelagici come gli albatros e le berte dispongono di un odorato alquanto sviluppato che utilizzano per i loro lunghi spostamenti in ambiente marino. Sugli avvoltoi costantemente alla ricerca di carcasse in decomposizione, ed in particolare per le specie del Nuovo Mondo come ad esempio l’urubù dalla testa nera (Coragyps atratus - Bechstein 1793), è provato l’utilizzo del loro spiccato senso olfattivo su grandi spazi per individuare la posizione delle prede; riescono a percepire il lezzo di una carogna fino a 25 Km di distanza, contrariamente a quelli che vivono nel Vecchio Mondo e che individuano le carcasse sfruttando quasi esclusivamente il senso della vista. Studi più recenti che usano le nuove tecnologie biomolecolari con la relativa possibilità di indagare a livelli di singoli geni, hanno dimostrato come anche negli uccelli sia certamente presente il senso dell’odorato. Un gruppo di ricerca italo-tedesco ha per la prima volta svelato l’importanza dei segnali olfattivi per il riconoscimento dei parenti da parte degli uccelli. Lo studio, al quale hanno partecipato Anna Gagliardo, del dipartimento di biologia dell’università di Pisa, e i tedeschi Barbara A. Caspers dell’università di Bielefeld e Tobias Krause del Friedrich-Loeffler-Institut, è stato pubblicato in un recente numero di “Behavioral Ecology and Sociobiology”. All’ateneo pisano spiegano che «la ricerca ha preso in esame il comportamento riproduttivo dei diamanti mandarini, uccelli passeriformi della famiglia degli Estrildidi. Nel corso dell’esperimento le femmine sono state divise in due gruppi, ad alcune è stato inibito l’olfatto, mentre altre potevano sentire gli odori. Ciascuna femmina è stata poi posta in una gabbia con due maschi, uno dei quali estraneo alla femmina, mentre l’altro era un fratello sconosciuto in quanto nato in un’altra ni-
Fori nasali di un pappagallo, fonte: amiciaquattrozampe.it
diata». La Gagliardo sottolinea che «i risultati sono stati sorprendenti. Le femmine che potevano sentire gli odori con l’olfatto non si sono accoppiate e hanno sviluppato comportamenti aggressivi nei confronti dei maschi. Quelle deprivate dell’olfatto si sono invece accoppiate con uno dei due maschi, senza distinzione fra il fratello o estraneo, come ha rivelato l’analisi del DNA dei piccoli nati». Secondo i ricercatori «sarebbe stato sufficiente l’odore del maschio consanguineo, anche se sconosciuto, per indurre un comportamento aggressivo da parte delle femmine e un conseguente fallimento della riproduzione. La capacità delle femmine di riconoscere un fratello dall’odore e la repulsione per l’odore di un familiare in fase riproduttiva eviterebbe l’inbreeding, ovvero l’accoppiamento tra consanguinei che, come è noto, diminuisce la probabilità di sopravvivenza della progenie». Sempre la Gagliardo conclude: «Che l’olfatto sia fondamentale per riconoscere i parenti è noto da tempo per diverse specie di mammiferi; con questo studio abbiamo dimostrato per la prima volta che segnali chimici emessi da un potenziale partner possono svolgere un ruolo importante nella selezione del compagno anche negli uccelli». Secondo un altro studio condotto da ornitologi tedeschi, gli uccelli migratori avrebbero una miglior memoria olfattiva a lungo termine rispetto alle specie che rimangono tutto l’anno nel loro ambiente naturale. Questa caratteristica potrebbe essere d’aiuto agli uccelli per non perdere la strada durante il viaggio. Gli uccelli che volano per lunghe distanze usano diversi metodi per mantenere la rotta, uno dei quali è il senso dell’odorato che sa distinguere l’odore dei venti e della loro rispettiva direzione, permettendo all’uccello di crearsi e memorizzare fin dai primi mesi di vita una chiara mappa olfattiva delle masse d’aria in movimento, della loro direzione e quindi una sicura posizione dei punti cardinali. Nel volo migratorio la mappa “degli odori dei venti” e la percezione dei campi magnetici terrestri vengono usate a grandi distanze dalla meta, mentre, avvicinandosi, gli uccelli tendono a sostituirli con la conoscenza diretta e visiva del territorio. Cosa nuova è che in questi studi comunque è stata dimostrata la presenza dell’odorato non solo nei grandi uccelli ma anche nei piccoli migratori, quali il beccafico (Sylvia borin) e la capinera (Sylvia atricapilla). Sempre in tema di studi e ricerche recenti sull’odorato negli uccelli, Silke Steiger dell’Istituto Max Planck per l’Ornitologia, e colleghi, hanno usato un approccio genetico per determinare l’importanza nel senso dell’olfatto di nove specie di uccello (Cinciarella, Germano reale, Gallo, Cacatua rosa, Coucal nero, Kiwi, Canarino selvatico, Kakapo e Petrello delle nevi). Gli scienziati hanno analizzato i geni dei recettori olfattivi (OR), il cui numero totale potrebbe riflettere il numero di odori che un animale è in grado di distinguere. I ricercatori, con una tecnica statistica, hanno contato il numero di geni OR presenti in ciascuna specie, trovando differenze considerevoli fra l’una e l’altra. Per esempio, il Kiwi bruno della Nuova Zelanda ha sei volte il numero di geni del canarino domestico. «Quando abbiamo esaminato la dimensione del bulbo olfattivo nel cervello degli animali, abbiamo trovato differenze comparabili a quelle rilevate per quel che riguarda il numero di geni OR,» ha raccontato Steiger. «È molto probabile che questo numero sia correlato a quello degli odori che possono essere percepiti. Dato che il bulbo olfattivo è responsabile dell’analisi degli stimoli olfattivi, non ci siamo sorpresi a constatare che il numero di geni è collegato alla dimensione del bulbo.» Questi dati potrebbero dimostrare che differenti nicchie ecologiche potrebbero aver modellato il corredo di geni OR nelle specie. Oltre a stimare il numero di geni OR, i ricercatori hanno anche stabilito la proporzione in cui questi sono funzionali in ciascuna specie. Questo perché è noto che nei mammiferi una ridotta dipendenza dall’olfatto è associata con un crescente numero di mutazioni accumulate, come per esempio nell’uomo, il cui odorato poco sviluppato corrisponde a solo 40% di geni
Fori nasali di un'aquila, fonte: terraniew.it
OR attivi. Negli uccelli, però, la maggior parte dei geni OR è risultata funzionante, un altro indizio dell’importanza di questo senso per i volatili. Altri studi hanno dimostrato che quan do gli uccelli fanno preening, lisciandosi le penne con il becco, diffondono composti chimici dalle loro ghiandole pineali su tutto il piumaggio. Queste sostanze chimiche producono odori che sembrano essere unici per ogni individuo, fornendo un’impronta digitale olfattiva. Per testare se tutto questo governasse anche la scelta sessuale dei singoli uccelli, i ricercatori hanno raccolto sia campioni di DNA che campioni di odore di ghiandola pineale da Gabbiani tridattili nidificanti in Alaska. Il progetto ha quindi comportato due tipi di attività di laboratorio: mentre Sarah Leclaire presso l´Università di Tolosa ha condotto le analisi delle sostanze chimiche della ghiandola pineale per caratterizzare la firma odorosa di ogni individuo, van Dongen ha analizzato l´MHC dei gabbiani nel laboratorio di Vienna. La scoperta è che i singoli gabbiani che hanno odore simile tra loro, hanno geni simili dell’MHC. Parenti più stretti hanno quindi odori più simili di individui più lontanamente imparentati. Ciò suggerisce che gli uccelli possono essere in grado di confrontare il proprio odore con quelle di potenziali compagni e di scegliere gli individui non imparentati come partner sessuali. A margine, ironizza l’ornitologo Wagner che, «più si fanno ricerche sugli odori, più sembra che tutto ciò che fanno i Mammiferi lo possano fare anche gli uccelli.» D’altro canto e nel nostro piccolo, basta osservare la sommità del becco degli uccelli per distinguere molto bene i fori delle narici e, come l’esperienza ci insegna, in natura nulla è presente se non perfettamente funzionale alla vita di un singolo individuo. Per mia diretta esperienza molti anni fa, il dubbio che gli uccelli potessero percepire gli odori mi era sorto quando mio padre, disperato perché gli uccelli saccheggiavano le sue ciliege, appese dei sacchetti di scarti di pesce marcescenti sugli alberi, il cui cattivo odore allontanò gli uccelli salvando così le sue ciliegie, salvo poi non riuscire ad avvicinarsi neanche per raccoglierle. Per me e per le conoscenze di allora la cosa rimaneva inspiegabile, ma ora anche questo risultato empirico avvalora le ipotesi che gli uccelli siano in grado di percepire gli odori. Concludendo, si può dire che le conoscenze sul senso dell’odorato negli uccelli sono appena all’inizio e molto si potrà ancora conoscere grazie a studi che utilizzano le moderne tecniche biogenetiche; ancora una volta, pertanto, viene confermata l’importanza della ricerca e dello studio per arrivare a conoscere cose nuove, come giustamente diceva Socrate: ”Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l’ignoranza.”
Malinois sul Web
La pandemia ci ha allontanati. I concorsi sono stati sospesi. Noi tutti per sentirci vicini ci siamo riversati a capofitto sul WEB. Facebook, Twitter, You tube… tutto valido per poter confrontare il nostro lavoro con il resto del mondo. Sicuramente ottimi strumenti per rimanere in contatto con amici, allevatori conosciuti e non, che come noi amano questo stupendo cantore. Dietro l’angolo, però, sono venute fuori problematiche molto gravi che sono il motivo del mio scrivere. “10 e lode”, “Bravissimi”, “Complimenti” e chi più ne ha più ne metta… tantissimi commenti positivi ad esaltare la bravura dei soggetti pubblicati. Tutti i cantori sono stati giudicati dei campioni formidabili, il lavoro di ognuno è stato portato alle stelle dai sottoelencati commenti di amici, colleghi, ascoltatori. Tutti bravissimi! Da lodare! Da incoraggiare! Non capisco se il motivo di tanta bontà sia stata più la paura di ricevere commenti negativi sotto i propri soggetti, o il desiderio di ricevere elogi per gli stessi. Paura di sbagliare? Indecisione? Insicurezza? Non lo so, ma di soggetti veramente validi se ne sono sentiti pochi. Gli stessi sono passati inosservati nel mucchio di complimenti regalati a tutti. In pochi hanno provato a mettere in evidenza qualità, difetti, peculiarità o carenze dei soggetti pubblicati. Sicuramente l’ascolto sul WEB non è assolutamente lo stesso che dal vivo, ma la differenza tra un “brocco” e un campione si sente... e come se si sente! Eppure, tutti “10”, palette alzate, inchini, applausi... Tutto questo non ha certo chiarito le idee a chi le aveva confuse; chi invece le aveva chiare non ha trasferito il proprio sapere a nessuno. I tanti allevatori che ogni anno trovano suggerimenti per la selezione del proprio allevamento dai giudizi ai concorsi, come si orienteranno? Spero che la maggioranza di loro sappiano farlo da soli. Se si atterranno ai commenti ricevuti, sarà veramente un grosso problema per il proprio allevamento. Tutta questa bontà porterà risultati positivi? Penso proprio di no. Mi auspico di essere smentito il prossimo anno, quando ci ritroveremo tutti insieme ai concorsi con commenti trascritti da veri Giudici su vere Schede!
FAUSTO BOSI