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Ivano Mortaruolo

Breve storia di una mancata “riscoperta”

Le immagini del Cacatua bianco sul trattato De arte venandi cum avibus di Federico II di Svevia (1194-1250)

testo di IVANOMORTARUOLO, foto AUTORI VARI

Per oltre trent’anni ho segnalato su questa rivista le novità librarie, proponendo, tra l’altro, il volume “L’universo degli uccelli” (a pag. 25 del n.2/1990), pubblicato nel 1988 dall’Editoriale Giorgio Mondadori. L’opera costituisce un’articolata disamina del trattato di Federico II di Svevia De arte venandi cum avibus, il quale si compone di una parte introduttiva, attinente ai vari aspetti generali dell’ornitologia, e di una parte più specifica, relativa ai rapaci e alla falconeria. Nel volume recensito si prende in esame sol tanto il testo introduttivo, il cui originale è custodito presso la Biblio teca Apostolica Vaticana di Roma, con la sigla Ms. Pal. Lat.

Una delle quattro miniature di cacatua presenti nell’opera De arte venandi cun avibus, custodita presso la Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma. Fonte: Dalton et al. 2018

Immagine parziale della recensione pubblicata su I. O.

1071, noto anche come “Codice di Man fredi” (Manfredi era uno dei figli di Federico II, che ebbe il merito di riordinare e arricchire l’opera paterna). Alla realizzazione del libro hanno contribuito diversi esperti di eterogenee discipline, fra i quali spiccano l’eto logo Danilo Mainardi, l’orni tologo Sergio Maria Frugis, il latinista Sergio Tarquinio. Dopo alcune note in cui viene analizzata la complessa figura del sovrano e anche gli avvenimenti che hanno caratterizzato il suo tempo, viene proposta l’immagine di ogni singola pagina del trattato, sia il verso sia il recto, a fianco della quale (a sinistra) vi è la traduzione del testo (ovviamente dal latino) e un commento del prof. Frugis. La quasi totalità delle pagine è a margine decorata da numerose e ben realizzate miniature che, per buona parte, ritraggono gli uccelli segnalati nell’opera.

L’opera costituisce un’articolata disamina del trattato di Federico II

Nell’esaminare tale parte iconografica, s’imposero alla mia attenzione quattro raffigurazioni di cacatua bianco, tutte realizzate con il profilo rivolto verso sinistra, il disegno pressoché uguale con le zampe dotate di un sol dito posteriore, ma con qualche variabile cromatica nella livrea. Naturalmente, data l’essenzialità dei tratti e l’incertezza delle tonalità, risultava estremamente ardua l’attribuzione della specie di apparte nen za. Poteva difatti trattarsi di un esemplare di Cacatua ciuffogiallo Cacatua galerita o anche di un Cacatua sulfureo Cacatua sulphurea, ipotesi suggerite anche dalla lunghezza e dal giallino delle penne apicali (in posizione di riposo) di tutte le ornitografie. Sta di fatto che tali pappagalli vivono in areali compresi fra l’Australia, la Nuova Guinea e l’Indonesia, luoghi per quei tempi pressoché sconosciuti agli occidentali: si pensi che il De arte venandi cum avibusfu realizzato circa a metà del secolo XIII e che l’Australia fu “scoperta” agli inizi della seconda metà del secolo XVIII. Va, inoltre, evidenziato che queste due specie non possono considerarsi migratrici. Un altro elemento che attirò la mia attenzione fu costituito dalla breve segnalazione del pennuto nel testo, che così venne tradotto: “Altri uccelli hanno una cresta di piume come l’Upupa, la Cappellaccia o come certi pappagalli importati dall’India. Uno di questi ci fu mandato dal sultano di Babilonia. L’esemplare aveva un piumaggio bianco che nella parte inferiore dei fianchi diventava giallino”. Ma quello che mi sorprese ulteriormente fu il commento ornitologico al brano riportato: il prof. Frugis non fece alcun cenno a questa singolare presenza alla corte di Federico II. Decisi, allora, d’intraprendere una ricerca fra il materiale bibliografico in mio possesso e fra quello eventualmente disponibile in qualche istituto universitario vicino. Ma, nonostante l’entusiasmo che mi suscitava tale nuova avventura storico-ornitologica, dovetti accanto - nare per il momento i miei propositi, perché in quel periodo ero già impegnato nella realizzazione di varie note di taglio veterinario. In quell’anno (1990), infatti, pubblicai su questa rivista l’articolo “Le manifestazioni patologiche ad eziologia psichica negli uccelli” (sui nn. 1-2-3-4); segnalai per la terza volta in Italia la presenza del parassita Collyriclum faba(un trematode responsabile di numerose formazioni cistiche cutanee), rinvenuto in una Passera d’ItaliaPasser italie (n.6/7); proposi alcune considerazioni sull’utilizzo dello iodio (n. 10), sul torcicollo quale sintomo di diverse malattie degli uccelli (n.5) e sulla somministrazione dell’Ivermectina (n. 8). Inoltre, scrissi una nota attinente a curiosità storiche e scientifiche sulle cosiddette tarme della farina Tenebrio molitor (n. 4) e recensii sei libri.

Brano tradotto del trattato di Federico II di Svevia

Insomma, il 1990 fu per me un anno molto impegnativo ma, nel con - tempo, pieno di soddisfazioni. Sta di fatto che il mio iniziale proposito di approfondire la questione del caca - tua di Federico II cadde involontariamente in un lungo oblio, dal quale mi sono ridestato solo di recente, venendo a conoscenza della pubblicazione di una ricerca sull’argo men to (Frederick II of Hohenstaufen’s Australasian Cockatoo: Symbol of Detente bee - tween East and West and Evidence of the Ayyubids’ Global Reach in Parengon 35/1 -giugno 2018- pagg. 35-60), realizzata da Heather Dalton, Jukka Salo, Pekka Niemelä e Simo Örmä. Sin dalla lettura delle pagine introduttive risulta evidente che gli autori, coadiuvati da altri tre ricercatori universitari, hanno realizzato uno studio impegnativo, concentrandosi su aspetti storici, artistici, ornitologici e commerciali, dal quale sono sca - turite numerose osservazioni, informazioni e anche spunti di riflessione di una certa originalità. Ne propongo alcuni, in rapida sintesi. Nel trattato in questione è indicato che il cacatua fu donato dal sultano di Babilonia; in realtà, si trattava di alMalik Muhammad al-Kamil, della dinastia araba degli Ayyubidi, che invece governò prevalentemente l’E gitto. Tra Federico II, il quale peraltro aveva una buona conoscenza della lingua araba, e il sultano nacque un’amicizia che durò oltre venti anni (dal 1217 fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1238), caratterizzata da scambi di lettere, libri, vari oggetti di pregio e animali non comuni. E il cacatua, data la sua rarità e la sua bellezza, costituì un dono degno di un imperatore. Gli autori riferiscono inoltre che non è possibile stabilire il luogo di origine e la specie (o sottospecie) di appartenenza del volatile, né il periodo in cui fu donato al sovrano. Tuttavia, dopo aver rilevato nelle ornitografie originali tracce di pigmenti rossastri nelle iridi, affermano che verosimilmente trattasi di un soggetto di sesso femminile. Le femmine del Cacatua ciuffogiallo e del Cacatua sulfureo, infatti, si differenziano dai maschi per la presenza del colore rosso-bruno in tale area oculare. Difficoltosa è altresì la ricostruzione del lunghissimo viaggio, sicuramen te durato molti mesi e forse vari anni, intrapreso dal cacatua alla volta della Sicilia, che costituiva un regno ereditato da Federico II e ufficialmente acquisito con l’incoronazione a soli quattordici anni, avendo raggiunto la “maggiore età”. La dottoressa Dalton e la sua équipe evidenziano che nelle isole indonesiane, in quel periodo sconosciute al mondo occidentale, vi fosse una fitta rete di scambi commerciali, praticati con imbarcazioni di piccole dimensioni, che interessavano principalmente tessuti, animali vivi e pelli. Il fulcro di tali attività era l’isola di Giava dove

confluivano anche mercanti arabi, persiani e cinesi. Ed è in Cina che si hanno le prime segnalazioni attinenti alla presenza del cacatua bian - co alla corte degli esponenti della dinastia Tang sia nel III e VII secolo. Inoltre, è documentato che nel IX secolo un cacatua bianco, appartenente all’imperatore Xuan - zong (Hsuan-Tsung) Tang, fu ucciso da un astore. La città di Can ton costituiva, infatti, un cen tro di rilevante im por tanza e - co nomica sia per i suoi collegamenti con le maggiori località del Sud-Est asiatico, sia perché vi affluivano notevoli ed eterogenee merci, pappagalli compresi. Gli au - tori ritengono, poi, che il nostro volatile abbia con ti nua to il suo viaggio verso l’Italia partendo, ap punto, dalla Cina per il Medio Oriente, attraversando l’In dia. Peraltro, nel XIII secolo le rotte del Medio Oriente divennero più sicure e organizzate a seguito dell’ascesa dell’Islam in tali aree. Il cacatua, una volta giunto alla corte di al-Malik Muhammad al-Kamil, fu poi imbarcato a Il Cairo per la Sicilia. Da quanto esposto sorge spontaneo un interrogativo: il pennuto com’è riuscito a superare per lungo tempo i disagi e gli stress derivati dal viaggio e arrivare alla corte di Federico II in buona salute e, verosimilmente, con un bell’aspetto? Va preliminarmente rilevato che tali volatili sono robusti, longevi, non molto esigenti a livello alimentare e hanno attitudini gregarie. Escluderei che il nostro pappagallo sia stato catturato già da adulto o in uno stadio di subadulto. Mentre è più agevole pensare che sia stato allevato “a mano” e, conseguentemente, che si siaimprintedsull’uomo, sviluppando così un’e - strema docilità, un forte at tacca - mento alle persone che si prendevano cura di lui e un’innata capacità di imitare la voce umana e di fischiettare qualche motivo (queste ultime peculiarità, a quei tempi, avranno verosimilmente esercitato un’ulteriore vis attractivasu tutte le persone che, in vario modo, sono venute in contatto con il cacatua). Inoltre, si può ipotizzare che, data la preziosità di tale singolare “merce”, le sia stato riservato il miglior trattamento possibile. Pertanto, grazie a queste caratteristiche e condizioni, si può ritenere che il volatile sia riuscito a superare i forti e prolungati stress fisici e psichici, derivati dal lunghissimo tragitto, senza subire gravi danni. Ho inoltre maturato la convinzione che questi uccelli, se non privati di compagnia e di un ristoro affettivo, sappiano reagire adeguatamente alle situazioni avverse. E, in proposito, propongo una significativa e - sperienza occorsami circa trentacinque anni fa. Erano le prime ore del mattino (mi ero addormentato da poco) quando ricevetti una telefonata dal mio amico veterinario Daniel, che mi chiedeva un consiglio sull’orientamento terapeutico da adottare per un Cacatua ciuffogiallo che vomitava in continuazione. Al che gli chiesi che attività svolgesse il proprietario e mi fu risposto che era un agente del commercio, il quale viaggiava per gran parte del giorno. Replicai seccamente (anche perché stravolto dalla stanchezza) consigliandogli di praticare “iniezioni di affetto” e poi riattaccai il telefono senza esitazione. Dopo alcune ore il mio amico mi richiamò per avere spiegazioni, perché non aveva ben capito che cosa intendessi con la mia affermazione. Gli consigliai, così, di non lasciar solo il pappagallo a casa e che il male minore sarebbe stato portarselo in macchina per tutto il giorno. Il mio suggerimento si rivelò utile, poiché il pennuto non manifestò più tale sintomatologia e sembrò adattarsi bene alla sua nuova collocazione: dietro al conducente! Immagine parziale del foglio (verso) indicato con il numero 18. Le numerosissime miniature del trattato (oltre 900) sono state realizzate da artisti di scuola pugliese-campana. Fonte: Dalton et al. 2018 Nel trattato in questione è indicato che il cacatua fu donato dal sultano di Babilonia

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