Fausto De Michele

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dalla prefazione di Michael Rössner

isbn

9788890573897

18 €

Non si sa come - Man weiß nicht wie. Zweig traduce Pirandello Fausto De Michele

Per la ricezione di Pirandello nei paesi di lingua tedesca è paradossalmente l’odiata Austria che giocherà un ruolo di centrale importanza, soprattutto quando il teatro pirandelliano non sarà più di moda in Germania, dopo il fiasco di Questa sera si recita a soggetto e il divieto imposto dai nazisti di rappresentare i drammi pirandelliani perché tradotti per lo più da ebrei. Max Reinhardt mette in scena Pirandello e l’intellettuale fin de siècle Stefan Zweig si mette a disposizione per tradurre nel 1935 Non si sa come, uno degli ultimi drammi del premio Nobel siciliano

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Non si sa come Man weiß nicht wie Stefan Zweig traduce Luigi Pirandello

a cura di Fausto De Michele

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Quaderni di Traduzione

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NON SI SA COME MAN WEISS NICHT WIE Stefan Zweig traduce Luigi Pirandello

a cura di Fausto De Michele


Per la concessione dei diritti di Man weiß nicht wie di S. Zweig si ringrazia il Fischer Verlag, Proprietà Letteraria Riservata. Per il carteggio si ringrazia Sonja Dobbins e il Lindi Preuss Verlag, Proprietà Letteraria Riservata.

Pubblicato con il contributo di

© 2012 Bibliotheca Aretina, Roma isbn 9788890573897 www.bibliothecaaretina.it info@bibliothecaaretina.it Realizzazione editoriale: Luisa Giannandrea In copertina, Liebesakt di Egon Schiele (1915), Leopold Museum, Wien


INDICE

Prefazione di Michael Rรถssner

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Introduzione

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Stefan Zweig traduce Luigi Pirandello di Fausto De Michele

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Testi Non si sa come

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Man weiร nicht wie

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Note ai testi

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Appendice Carteggio Luigi Pirandello Stefan Zweig

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Prefazione

Luigi Pirandello, il grande siciliano europeo, appartiene a una famiglia garibaldina e per questo, già dalla sua infanzia, ha un’immagine estremamente negativa dell’Austria, la nazione che per tanto tempo ha ostacolato l’unità d’Italia. Si capisce quindi perché da Bonn, dove risiede per motivi di studio, nell’ottobre del 1890 scriva alla sua famiglia una lettera di questo tenore: «Se avessi centomila anime non potrei odiarla più di quanto l’odio e l’odio mio è radicato nella storia»1. Tuttavia, per la ricezione di Pirandello nei paesi di lingua tedesca, è paradossalmente la tanto odiata Austria la nazione che giocherà un ruolo di centrale importanza, soprattutto quando il teatro pirandelliano non sarà più di moda in Germania, dopo il fiasco di Questa sera si recita a soggetto (Berlino 1930) e il divieto imposto dai nazisti di rappresentare i drammi pirandelliani perché tradotti per lo più da ebrei. Max Reinhardt mette in scena Pirandello sul suo palcoscenico del Theater in der Josefstadt e l’intellettuale fin de siècle Stefan Zweig si mette a disposizione per tradurre nel 1935 Non si sa come (Man weiß nicht wie), uno degli ultimi drammi del premio Nobel siciliano. L’incontro tra l’ebreo europeo Zweig, cresciuto come intellettuale a Vienna – la stessa metropoli mitteleuropea in cui sono state sviluppate le teorie di Freud – e il poco freudiano dramma di Pirandello, che pur si confronta con l’inconscio (in un testo pensato nella sua prima per l’interpretazione di un altro grande austriaco, l’attore Alexander Moissi), è sicuramente uno degli esempi più affascinanti di traduzione. Il testo di Zweig, più che una mera trasposizione da una lingua a un’altra, diventa un caso esemplare di negoziazione culturale alla luce delle più recenti teorie della traduzione. Pirandello in quel momento si era già trasformato da italiano nazionalista a cittadino del mondo e europeo, proprio come Zweig. Una qualità squisitamente siciliana resta però presente nella sua opera. In una delle sue novelle egli L. Pirandello, Lettere da Bonn 1889-1891, a cura di E. Providenti, Bulzoni, Roma 1984, p. 152.

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prefazione

la definisce una costrizione involontaria, una caratteristica che contraddistingue i suoi corregionali che «affondano nel loro spasimo, a scavarlo fino in fondo, la saettella di trapano del loro raziocinio […]. Non per una fredda esercitazione mentale, ma anzi al contrario, per acquistare, più profonda e intera, la coscienza del loro dolore»2. È grazie a Fausto De Michele, il curatore di questa pubblicazione, se questo incontro e questa «negoziazione conflittiva» di due modi diversi di pensare sono stati resi evidenti e comprensibili con la pubblicazione e l’analisi della traduzione di Zweig, quasi come se questa fosse una sorta di parabola esemplare per la cultura europea all’inizio di questo XXI secolo. Qui si vede bene, infatti, come ciò che conta non sia la cultura dell’uniformazione, quanto piuttosto la negoziazione di contraddizioni di modi di pensare paralleli, eppure divergenti, proprio nel modo in cui, quasi ottanta anni fa, Stefan Zweig e Luigi Pirandello hanno mostrato con grande anticipo. Michael Rössner Ludwig-Maximilians-Universität München

2 L. Pirandello, Il professor Terremoto, in L. P., Novelle per un anno, a cura di M. Costanzo, Mondadori, Milano 1985, p. 687.

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Introduzione

Ho cominciato a pensare di pubblicare la traduzione di Non si sa come fatta da Stefan Zweig assieme all’originale nel 2001, quando per la prima volta sono stato invitato da Enzo Lauretta al convegno internazionale di studi pirandelliani che si tiene ogni anno ad Agrigento. In quell’occasione mi ero occupato della ricezione delle opere di Luigi Pirandello in Austria e avevo studiato con particolare attenzione i rapporti con Zweig arrivando a una serie di interessanti risultati che in parte si possono leggere nel commento che introduce i due testi. Penso che si possa dire che la traduzione di Zweig sia una delle migliori che Pirandello abbia avuto da un traduttore suo contemporaneo. Questo dato di fatto, sommato alle tante e originali vicissitudini che caratterizzarono la traduzione e la stesura del dramma, dona, a mio avviso, un’aura tutta particolare a questo libro che propone per la prima volta l’originale di Non si sa come con la traduzione a fronte. Come molto giustamente scrive Michael Rössner nella prefazione, con la quale ha voluto impreziosire questo volume, la traduzione che Stefan Zweig fa del dramma di Pirandello mostra un atteggiamento moderno, aperto ed europeista ante literam non solo nella traduzione ma anche nel rapporto tra intellettuali che rappresenta, più che un semplice aneddoto, un vero e proprio fatto storico di esemplare attualità. Nonostante quella di Zweig sia un caso raro di traduzione bella e fedele, è evidente come il passaggio dall’italiano parlato e fortemente mimetico di Pirandello al tedesco più chiaramente teatrale del drammaturgo viennese finisca per avvicinare il dramma, nella sua traduzione in tedesco, a un dramma nello «stile di parole», mentre lo allontana dallo «stile di cose», per dirla parafrasando il drammaturgo siciliano. Va però anche detto che questo spostamento di registri e di colorature nei toni, in alcune espressioni e parole è


introduzione

intrinseco alla lingua di Zweig e non è certamente il frutto di un’intenzione. Questo fatto è per altro facilmente dimostrabile, considerando le tante traduzioni che l’intellettuale austriaco ha fatto da altre lingue, dove invece spesso si prende libertà decisamente più grandi. Ecco perché questa pubblicazione del dramma del premio Nobel siciliano con la traduzione a fronte diventa un’operazione culturale originale e interessante sia per gli specialisti che per i semplici lettori bilingui. Il commento che precede i due testi ha la funzione di introdurre il lettore non esperto nella storia della ricezione delle opere pirandelliane nei paesi di lingua tedesca e negli aspetti più importanti delle biografie dei due grandi artisti europei. La breve analisi della traduzione non ha alcuna pretesa di esaustività scientifica e vuole semplicemente aiutare il lettore a orientare l’attenzione sulle differenze più interessanti e le caratteristiche più originali. Infine voglio qui ringraziare le tante persone che hanno contribuito con i loro consigli, il loro lavoro e la loro stima alla realizzazione di questo libro: per avermi concesso i diritti Sonja Dobbins; per l’attenta rilettura del commento Paola Casella e Giulia Interlandi; per aver lavorato con estremo scrupolo e professionalità all’editing del libro Luisa Giannandrea; per avermi permesso di lavorare indisturbato per settimane la direzione e i simpatici impiegati della Biblioteca Museo Luigi Pirandello di Agrigento; per l’originale prefazione Michael Rössner; per aver sostenuto la pubblicazione gli enti finanziatori della Malvine Stiftung e dell’Università di Graz e per ultima, ma decisamente più importante, Roberta Ascarelli che ha fatto sì che quella che era soltanto una bella idea raccontata ad una vecchia amica, trovasse in questo libro una realizzazione concreta.

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Non si sa come – Man weiSS nicht wie. Stefan Zweig traduce Luigi Pirandello di Fausto De Michele

a Elisa Pirandello in Germania, un amore giovanile Il rapporto tra Luigi Pirandello e i paesi di lingua tedesca comincia nell’ottobre 1889 quando, l’allora poco più che ventenne studente universitario si trasferisce da Roma a Bonn per frequentarvi gli ultimi tre semestri prima della laurea1. A quel tempo Pirandello probabilmente vedeva nella cittadina della Renania settentrionale, costruita sul castrum romano di Bonna, solo la città natale di Beethoven, ma è qui che il giovane siciliano entrò in contatto con la cultura mitteleuropea che tanto peso avrà poi sulla sua formazione d’intellettuale e d’artista. Tra i primi passi fatti nel mondo della letteratura tedesca, probabilmente con lo scopo di imparare e approfondire le conoscenze linguistiche, vanno segnalate la traduzione delle Römische Elegien di Goethe, la stesura di una tesina sullo scrittore e poeta romantico Ludwig Tieck e la discussione al rigorosum, con il grado di doctor candidatus, di una ‘memoria dottorale’ sull’illuminista Gotthold Ephraim Lessing dal titolo Lessing, la favola e le favole 2. Altrettanto importante per la sua formazione sarà la conoscenza di Komik und Humor, un trattato del 1896 del filosofo Theodor Lipps che insegnò proprio a Bonn dal 1877 al 18903. Il suo rapporto con la cultura 1 Pirandello, a causa di un contrasto con l’ordinario di filologia classica, Onorato Occioni, fu costretto a lasciare la sede universitaria romana e scelse Bonn su consiglio del professor Ernesto Monaci. Per questi ed altri interessanti dettagli sulla scelta della sede universitaria e il trasferimento in Germania si veda W. Hirdt, Perché Ernesto Monaci mandò Pirandello a Bonn, in G. Pennica (a cura di), Pirandello e la Germania, Palumbo, Palermo 1984, pp. 33-44. 2 E. Lauretta, Luigi Pirandello. Storia di un personaggio ‘fuori di chiave’, Mursia, Milano 1980, p. 83. 3 Di Lipps Pirandello parla nella sua corrispondenza. Si veda in proposito concretamente la lettera a Ugo Ojetti del 25 dicembre del 1908, in L. Pirandello, Carteggi inediti, a cura di S. Zappulla Muscarà, Bulzoni, Roma 1980, p. 131. Paola Casella, sulla base della do-


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tedesca fu anche veicolato e agevolato dai sentimenti, soprattutto se si considera il secondo e più duraturo amore, avuto nel periodo di studi in Germania, con la figlia di un ufficiale, Jenny Schultz Lander4. A Bonn comincia, quindi, un rapporto intenso5 con il mondo di lingua tedesca che lo porterà poi più tardi, già maturo scrittore e drammaturgo, a Berlino per un lungo periodo che va dall’estate del 1928 alla fine del 1930. Graziella Corsinovi ha chiaramente evidenziato alcuni risultati importanti di questo rapporto con la Germania: L’esperienza di ‘metteur en scène’ e la frequentazione del teatro tedesco negli anni venti e trenta (ma anche l’attenta esplorazione degli scritti teorici dei registi tedeschi, come dimostrerà l’identità (casuale?) di concetti tra il noto prologo di Hinkfuss e l’articolo di Jessner Der Regisseur comparso il 16 aprile 1929 in «Der neue Weg»), hanno liberato la visione teatrale di Pirandello da quelle riserve di tipo letterario che gli facevano ritenere la trasposizione scenica una copia degradata del dramma scritto. La rappresentazione teatrale, recuperata integralmente nell’Erlebnis del fatto creativo, riattiva, in cumentazione fino ad oggi a disposizione, esclude che l’agrigentino abbia frequentato il corso di Ästhetik des Komischen und des Tragischen di Lipps (cfr. P. Casella, L’Umorismo di Pirandello. Ragioni intra- e intertestuali, Edizioni Cadmo, Fiesole 2002, pp. 184-186). 4 Enzo Lauretta segnala le «prime prove d’amore» del giovane Pirandello con una non meglio identificata Else (cfr. E. Lauretta, Luigi Pirandello. Storia di un personaggio ‘fuori di chiave’, cit., p. 78). 5 Sui rapporti tra Pirandello e la Germania è già stato pubblicato molto, anche se i risultati delle ricerche sono lungi dall’essere esaustivi, si tratta piuttosto di una serie di ricerche che definirei ‘a macchia di leopardo’. Segnalo qui alcuni dei testi più importanti in ordine cronologico. In genere gli ultimi studi (Rössner, Cometa, Sahlfeld) tendono a riesaminare e rivedere in modo più critico un’eccessiva ‘mitizzazione’ di un ‘Pirandello tedesco’ presente nei primi studi. Si vedano i seguenti studi: F. V. Nardelli, L’uomo segreto, Vita e croci di Luigi Pirandello, Mondadori, Milano 1932; G. Giudice, Luigi Pirandello, UTET, Torino 1963; F. Rauhut, Der junge Pirandello. Das Werden eines existentiellen Geistes, C. Beck, München 1964; O. Büdel, Pirandellos Wirkung in Deutschland, in F. Mennemeier, Der Dramatiker Pirandello, a cura di, Kiepenheuer & Witsch, Köln 1965, pp. 209-239; W. Hirdt, Pirandello a Bonn, ovvero “due attori in cerca di un personaggio”, in AA.VV., Pirandello poeta, Valecchi, Firenze 1981, pp. 69-94; G. Corsinovi, Un meridiano siculo-tedesco: L’Espressionismo, in E. Lauretta, a cura di, Pirandello e il teatro, Palumbo, Palermo 1985; M. Cometa, Il Teatro di Pirandello in Germania, Novecento, Palermo 1986; M. Rössner, Aspekte deutscher Pirandello-Rezeption, in M. Rössner - F. Rutger Hausmann, a cura di, Theatralisierung der Wirklichkeit und Wirklichkeit des Theaters, Romanischer Verlag, Bonn 1988; I. Fried, Sei personaggi in cerca d’autore e il pensiero mitteleuropeo, in Pirandello e il teatro, cit., pp. 343-350; G. Corsinovi, La persistenza e la metamorfosi. Pirandello e Goethe, Sciascia, Caltanissetta 1997; M. Rössner, Pirandello e il mondo di lingua tedesca, in AA.VV., Pirandello e l’Europa, Manni, Lecce 2001; W. Sahlfeld, L’immagine riflessa. Pirandello e la cultura tedesca, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004.

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una mutuata prospettiva teorica e pragmatica, quel suo antico e primario concetto dell’arte come vita, insistentemente ribadito nell’arco della sua attività critica6.

Né va dimenticato che un capolavoro come Questa sera si recita a soggetto fu scritto proprio a Berlino e messo in scena per la prima volta in Germania a Königsberg, l’odierna Kaliningrad7. Questi rapporti, prima con la Germania e più tardi con l’Austria, non vanno però semplicisticamente visti solo ed esclusivamente come un’occasione per l’artista siciliano di essere influenzato, sedotto o formato dalla cultura tedesca, perché spesso Pirandello fu anche molto critico nei confronti della grande cultura d’oltralpe. A questo proposito giustamente Michele Cometa, nel suo studio del teatro di Pirandello in Germania, fa notare come proprio Questa sera si recita a soggetto si possa vedere anche come una reazione critica8 al tipo di teatro che l’ormai affermato maestro aveva avuto modo di vedere nella Berlino degli anni Trenta. Una città che allora era una sorta di ombelico della cultura teatrale mitteleuropea: La nuova opera di Pirandello, Questa sera si recita a soggetto, scritta a Berlino a stretto contatto con il mondo teatrale, fu bene accolta dal pubblico provinciale e non molto esigente di Königsberg, ma a Berlino fu un vero pugno nello stomaco per quelli che, probabilmente a ragione, vi lessero un attacco feroce alle istituzioni teatrali e soprattutto a quello che sembrava esclusivo privilegio del teatro tedesco: l’arte della regia9.

Pirandello in Austria, una serie di coincidenze pirandelliane Pirandello è un autore cardine della produzione teatrale europea del XX secolo e lo è, in particolare, di quel periodo tra le due guerre mondiali10 in cui il teatro mette in discussione se stesso e si propone G. Corsinovi, Un meridiano siculo-tedesco: L’Espressionismo, cit., p. 89. Königsberg, prima della seconda guerra mondiale, era una città della Prussia orientale. Oggi, ribattezzata Kaliningrad, è un’exclave russa collocata tra Polonia e Lituania. 8 François Orsini è ancora più preciso e vede nell’Hinkfuss di Questa sera si recita a soggetto più che la caricatura di Reinahrdt quella di Piscator (cfr. F. Orsini, Pirandello e l’Europa, L. Pellegrini editore, Cosenza 2001, pp. 93-94). 9 M. Cometa, Il teatro di Pirandello in Germania, cit., p. 18. 10 È Pirandello stesso ad ammettere che il suo teatro «è stato un teatro di guerra» in un’intervista pubblicata su «Quadrivio» nel 1943, che si trova citata in G. Giudice, Luigi 6 7

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al pubblico in una nuova prospettiva metateatrale. Tra i drammi più rappresentativi di questa operazione culturale e artistica, per altro non esclusivamente pirandelliana11, c’è certamente Sei personaggi in cerca d’autore (1921) che, assieme a Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1929), dà vita ad una trilogia tematica. Sono due però le opere in particolare, che segnano l’inizio e la fine della ricezione del teatro pirandelliano nei paesi di lingua tedesca, prima della seconda guerra mondiale, si tratta appunto di Sei personaggi in cerca d’autore e di Non si sa come. Il testo dei Sei personaggi fu scritto nel 1921 e fu tradotto in tedesco nel 1924. Non si sa come fu scritto nel 1934 e fu tradotto nello stesso anno da Stefan Zweig. Non si sa come è stata a lungo considerata un’opera minore, ma oltre a non esserlo affatto per le tematiche e per lo sviluppo dei personaggi, non lo è soprattutto per la storia della sua genesi e per quella della sua traduzione che ne fanno un dramma particolarmente originale se non addirittura ‘chiave’ per capire in toto la produzione drammatica pirandelliana in una prospettiva europea. Ciò che rende unica questa pièce è il fatto che fu tradotta in tedesco da Stefan Zweig (1881-1942) mentre veniva scritta da Pirandello, praticamente in parallelo atto dopo atto. Zweig, oltre ad essere un esponente prestigioso della letteratura e della cultura tedesca, ed in particolare di quella austriaca, vanta un’interessantissima biografia che, per molti aspetti, è incredibilmente pirandelliana. L’intervallo di tempo trascorso tra la traduzione dei Sei personaggi e di Non si sa come, è di soli dieci anni. Dieci anni possono essere un banale lasso di tempo, ma gli anni che vanno dal ’24 al ’34 non lo furono, né per Pirandello né tanto meno per l’Italia e l’Austria. In questa prospettiva, è sicuramente utile, prima di arrivare all’analisi della traduzione di Non si sa come, partire dalla ricezione dei Sei personaggi in cerca d’autore che inizia la storia della fortuna del drammaturgo siciliano in Europa centrale. E questa storia mostra come l’Austria sia stata la ‘porta’ dalla quale il teatro pirandelliano entrò nei paesi di lingua tedesca. Sei personaggi fu scritto tre anni dopo la fine della prima guerra mondiale e Non si sa come quattro anni prima dell’Anschluss che dePirandello, cit., p. 341. 11 Si pensi al Manifesto del teatro futurista del 1915, firmato da Settimelli e Marinetti e alle provocazioni dadaiste del primo Breton e di Soupault, ma anche al teatro rivoluzionario di Majakovskij.

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gradava quello che restava del reale e imperiale Öster-reich a Ost-mark della Germania nazista, e quindi, cinque anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale che avrebbe cambiato radicalmente il panorama culturale e politico mitteleuropeo. In quei dieci anni l’Italia e l’Austria ebbero dei rapporti politici a dir poco schizofrenici. Le due nazioni12 passarono dalla grande inimicizia lasciata dalla prima guerra mondiale, vissuta dall’Italia come l’ultima guerra d’indipendenza e definitiva affermazione dell’unità e identità nazionale, alle speranze di protezione, poi tradite, che l’ormai piccola repubblica alpina nutriva nei confronti della nuova dittatura imperialista fondata da Benito Mussolini. La stessa famiglia Pirandello aveva vissuto in prima persona questa congerie di eventi, il figlio Stefano, infatti, aveva partecipato da ufficiale alla grande guerra ed era finito per cadere prigioniero, il 3 novembre del 1915, a Laibach, l’odierna Lubiana, per essere poi internato per un lungo periodo prima a Mathausen in Austria e poi a Plan in Boemia13. Tanta storia compressa in così poco tempo non poteva che segnare profondamente la ricezione del premio Nobel siciliano che in Austria comincia già nel 1905 con la traduzione di Ludimilla Freydmann del Fu mattia Pascal pubblicato sulla rivista «Fremden-Blatt». La ricezione delle opere teatrali, che fu quella accompagnata da un più grande successo, comincia però molto più tardi, il 4 aprile del 1924, con la prima in tedesco dei Sei personaggi in cerca d’autore al Raimund-Theater di Vienna. Il testo usato per la messa in scena del dramma, non riporta il nome di chi lo ha tradotto. La traduzione, che è molto simile a quella che sarà poi usata il 30 dicembre dello stesso anno dal regista Max Reinhardt a Berlino, è una traduzione non autorizzata fatta da un’autrice sconosciuta ad esclusivo uso della rappresentazione in teatro dell’opera14. Per questo motivo non fu né stampata né messa 12 Austria e Italia erano state alleate nella ‘Triplice Alleanza’ (1882) prima che si arrivasse alla prima guerra mondiale. L’Italia, dopo una fase di neutralità, optò per una Realpolitik opportunistica per potere portare a termine l’unità nazionale. 13 S. Pirandello, Tutto il teatro, a cura di S. Zappulla Muscarà - E. Zappulla, Bompiani, Milano 2004, vol. I, p. 65. 14 Cfr. G. Salvini, Vecchia e nuova regia, in «Comoedia», nr. 6 (1934), pp. 11-13. La traduttrice che Salvini definisce, non a torto, traditrice è probabilmente da cercare tra i seguenti nomi: Margit Veczi, Emma Hecht, Ludmilla Friedman e Vivian Rodewald-Grebin; a questo proposito si veda O. Büdel, Pirandellos Wirkung in Deutschland, in F. N. Mennemeier, a cura di, Der Dramatiker Pirandello, Kiepenheuer & Witsch, Köln 1965, p. 224. Per uno studio delle traduzioni fatte delle opere di Pirandello si veda anche M. Lo Vecchio Musti,

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mai in vendita dalla casa editrice Felix Bloch Erben di Berlino. Il brogliaccio, approntato a uso della regia, è una traduzione molto lontana dall’originale e presenta molti errori, spesso anche banali. Non mancano nemmeno tagli e aggiunte arbitrarie che snaturano notevolmente il testo15. Quanto fosse complesso allora recepire un dramma italiano in Austria lo dimostrano, anche più delle traduzioni, alcune recensioni dell‘epoca molto fuorvianti e imprecise16. Un esempio eclatante è la recensione del 12 aprile 1924 pubblicata a Vienna da un quotidiano politico, la «Arbeiter Zeitung» in cui il giornalista, che non nasconde velleità di critico teatrale, ha la presunzione di dare delle informazioni di prima mano sul nuovo drammaturgo italiano: Un lavoratore intellettuale, che si mantiene per mezzo di lezioni private – altri sostengono che abbia esercitato occasionalmente la professione di medico – a causa della guerra perde la sua professione. Dopo la guerra è senza mezzi. Come guadagnarsi di che vivere? Qualcuno gli dice che c’è chi ha fatto i soldi scrivendo testi per il teatro. E allora proviamoci! Il cinquantenne si mette a sedere, scrive una commedia e poi ancora una e, in poco tempo, è l’autore più rappresentato della sua nazione e porta tutte le sue opere in tutto il mondo, a Nuova York costruiscono un teatro tutto per lui. Egli ha soldi e fama. Si chiama Luigi Pirandelli [sic!] ed è l’autore della commedia Sei personaggi in cerca d’autore («Arbeiter Zeitung», 12. April 1924)17. Bibliografia di Pirandello, Mondadori, Milano 1952. 15 Si veda, per un’analisi comparata dei due testi, l’interessante tesi di laurea presentata all’istituto di comparatistica di Vienna nel luglio del 1990 da Carolin Klein dal titolo: Pirandellos Sei personaggi in cerca d’autore auf deutschsprachigen Bühnen zwischen den Kriegen. L’originale della traduzione usato per la messa in scena è conservato nel Theater Museum di Vienna con il numero di catalogo 799832-C Theater.-S. 16 Michael Rössner è stato tra i primi a segnalare l’originale storia della ricezione del dramma dei Sei personaggi prima in Austria e poi in Germania. Cfr. M. Rössner, Auf der Suche nach Pirandello- Zur deutschen Pirandello-Rezeption der ersten Stunde anhand unveröffentlichter Regiebücher von Karlheinz Martin/ Rudolf Beer und Max Reinhardt, in «Italienisch», nr. 16 (November), pp. 22-38. 17 «Ein geistiger Arbeiter, der sich durch Stundengeben – andere behaupten, er hätte gelegentlich ärztliche Praxis ausgeübt – fortbringt, wird durch den Krieg aus seinem Beruf geworfen. Nach dem Kriege steht er ohne Hilfsmittel da: wie den Unterhalt verdienen? Da sagt ihm einer, mit Stücke schreiben hätte schon mancher Geld erworben. Also versuchen wir’s! Der Fünfzigjährige setzt sich hin, schreibt eine Komödie, und noch eine – und ist in kurzer Zeit der am meisten aufgeführte Autor seines Landes, bringt mit seinen Stücken in die ganze Welt, in Neuyork wird ein eigenes Theater für ihn errichtet, er hat Geld und Ruhm. Er heißt Luigi Pirandelli und ist der Verfasser der Komödie Sechs Personen suchen einen Autor». Questa e le altre traduzioni degli estratti delle

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Oltre al refuso nell’ortografia del nome18, sono da segnalare le curiose informazioni su un Pirandello di professione medico che si è dato all’arte del teatro per necessità. Più in là il giornalista sostiene anche che il traduttore sia stato il regista Karlheinz Martin, cosa però che non trova alcun riscontro nei documenti che possediamo19. Il Raimund-Theater ha il merito di aver messo in scena la prima in tedesco della commedia di Pirandelli. Inoltre ha anche il merito di una bella rappresentazione, che fa onore, non solo al regista Karlheinz Martin – che ne è stato anche il traduttore – ma anche, in modo particolare, all’ensemble del Raimund-Theater. È una rappresentazione eccellente20 (ivi).

Sicuro è invece che Karlheinz Martin ha adeguato il testo a quelli che lui riteneva fossero le attese del suo pubblico. Un’operazione che si potrebbe definire di maquillage. Cosa assolutamente normale che caratterizzerà praticamente tutta la ricezione del teatro pirandelliano non solo in Austria, ma anche in Germania. A questa traduzione ne seguì un’altra di Hans Feist già nel 1925, per i tipi della casa editrice Alf Häger anch’essa di Berlino21, voluta fortemente anche da Pirandello che era venuto a sapere quanto fosse stato snaturato il suo dramma. La descrizione fatta di Pirandello nella «Arbeiter Zeitung» del 12 aprile 1924 da un maldestro giornalista, coincide paradossalmente con l’identità del suo migliore traduttore tedesco. Hans Feist è effettivamente un medico ebreo di Francoforte che si è dato alla letteratura e, soprattutto alla traduzione, con un certo successo22. La recensioni tratte dai giornali viennesi sono mie. 18 Si tratta di un errore che denota scarsissima attenzione da parte del critico, visto che sulla locandina e sulla pubblicità di molti giornali il nome è riportato correttamente. Vedi fig. 3 in Appendice. 19 Vedi bibliografia in O. Büdel, Pirandellos Wirkung in Deutschland, cit. 20 «[...] Das Raimund-Theater hat sich das Verdienst erworben, die erste deutsche Aufführung der Komödie Pirandellis gebracht zu haben. Darüber hinaus das Verdienst einer schönen Aufführung, die nicht nur den Regisseur Karlheinz Martin -- er war auch als Übersetzer tätig --, sondern ganz besonders auch das Ensemble des Raimund-Theaters lobt. Es ist eine vortreffliche Aufführung» («Arbeiter Zeitung», 12. April 1924). 21 Alf Häger è un editore di grande importanza per lo studio delle traduzioni in tedesco delle opere di Pirandello, già nel 1925 aveva pubblicato 12 delle opere del drammaturgo agrigentino. 22 Si pensi che Hans Feist aveva lavorato anche alla pubblicazione dell’opera omnia di Benedetto Croce.

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sua fu anche la prima traduzione dei Sei personaggi che il pubblico tedesco poté apprezzare anche stando comodamente a casa propria. Fatto questo che non è di secondaria importanza considerata la difficoltà intrinseca del testo. Fino a quel momento, infatti, il pubblico (ma anche i critici) di lingua tedesca aveva potuto farsi un’idea del dramma di Pirandello solo vedendo l’opera sul palcoscenico, dopo che questa era stata ‘interpretata’ dal regista e ‘adattata’ ai gusti del pubblico e alle necessità dei teatri di far cassetta. I risultati delle cattive traduzioni e delle disinvolte elaborazioni della regia si possono ricostruire in genere dalle numerose critiche apparse sui giornali di Vienna. Pochi, tra i giornalisti e i critici, sembrano conoscere bene e di prima mano il drammaturgo siciliano, uno lo spaccia addirittura per altoatesino!23. Meno ancora sono quelli in grado di parlare del dramma conoscendo il testo originale. Le critiche sono molto diverse tra loro. In linea di massima si può identificare un minimo comune denominatore nelle critiche positive, dato da una maggiore preparazione del critico o giornalista (ma anche dall’importanza del giornale) che sembra conoscere già Pirandello e le sue tematiche, come è il caso della recensione di Leopold Jakobson che scrive per il «Neues Wiener Journal»: Pirandello è un autore italiano. Si dice che sia una speranza del Teatro italiano, per così dire l’unica. Si rappresenta in tutto il mondo e poiché i teatri tedeschi seguono un po’ lentamente, Vienna ha ottenuto con la prima messa in scena un piccolo vantaggio [...]. Il signor Pirandello lavora con una creatività il cui punto di partenza non è tanto originale come può sembrare, cosa che lo legittima sin dall’inizio come autore. Poi ne ricava una filosofia che non è di grande importanza, ma che nel suo mascheramento nasconde un poeta. Si può esprimere in questo modo. La messa in scena diventa verità comunicabile, la verità diventa messa in scena non comunicabile. Non è tanto chiaro, ma suona bene. È meglio dire che in questa commedia divertente, scritta in maniera burlesca e ironica, c’è una profondità che dimostra come questo Pirandello sia di grande intelletto e dotato artisticamente. E, visto che non succede tutti i giorni di potere fare di queste affermazioni, con piacere ci si inchina difronte all’Italiano che palesa il senso del teatro attraverso le visioni24 («Neues Wiener Journal», 6. April 1924). Si veda l’«Illustriertes Wiener Extrablatt», 6. April 1924. «Pirandello ist ein italienischer Autor. Man sagt, eine Hoffnung des italienischen Theaters, sozusagen die einzige. Man spielt ihn schon in aller Welt, und weil die deutschen Theater noch ein bißchen langsam folgen, hat Wien mit der ersten Aufführung einen 23 24

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Leopold Jakobson è molto colpito dall’aspetto burlesco e ironico creato dall’effetto sorpresa di trovare sul palcoscenico gli attori che recitano se stessi e solo più in là, commentando lo sviluppo del dramma, si avvicina alla sua essenza: Dapprima tutto sembra uno scherzo teatrale, come uno sguardo dietro le quinte del teatro e nel lavoro dell’artista. Ma ad un certo punto comincia ad aleggiare quel tono serio che conduce dal mondo della messa in scena a quello della sofferenza umana e artistica25 (ivi).

Questo ci fa presumere che attori e regista abbiano accentuato la parte iniziale per guadagnarsi il consenso del pubblico indugiando sulle immaginabili innumerevoli possibilità di autoironia date dalla situazione del primo atto. Le recensioni migliori non si fermano all’analisi della rappresentazione, ma vanno oltre: questo italiano della cui esistenza, fino a poco tempo fa, non si sapeva niente, che si è acceso nel cielo come una meteora, è di una genialità di fronte alla quale ci si inchina con piacere. Geniale è la trovata originale che osa fare in un mondo tradizionalista e il coraggio con il quale si confrontata con la sua arte. Il pessimismo che è stato compresso in questa opera grottesca, è impressionante. Non si può smascherare e tratteggiare in modo più fanatico di come succede in quest’opera grottesca, la fatale discrepanza tra vita e arte, tra la volontà di realizzare qualcosa e la reale possibilità di farlo, per arrivare all’intrinseca inadeguatezza e impotenza di ogni arte. Il fatto che l’arte delle compagnie teatrali, l’arte applicata, il teatro quindi, non voglia riconoscere come superiore l’ostinata e inconsapevole vita nella sua magnifica potenza, è un problema che un uomo senza pregiudizi dovrebbe porsi almeno una volta. Smascherando il teatro, si arricchisce della consapekleinen Vorsprung erreicht. [...] Herr Pirandello arbeitet mit einem Einfall, dessen Ausgangspunkt nicht so originell ist wie er scheint, was ihn also von vornherein als Autor legitimiert. Dann leitet er aber eine Philosophie ab, die zwar nicht bedeutsam ist, doch in ihrer Verschleierung einen Dichter vortäuscht. Man kann es so ausdrücken: Spiel wird mittelbare Wahrheit, Wahrheit wird unmittelbares Spiel. Das ist nicht ganz klar, doch es klingt. Am besten ist es zu sagen: in dieser unterhaltsamen Komödie, ulkig und ironisch entworfen, ist ein Tiefsinntrick, der dieser Pirandello als einen Mann von allerhand Geist und artistischer Begabung erweist. Da man zu solcher Feststellung nicht alle Tage Gelegenheit hat, macht man gern seine Verbeugung vor dem Italiener, der den Sinn des Theaters in der Vision aufgehen läßt». 25 Zunächst erscheint das Ganze nur als ein Metierscherz, als ein Blick hinter die Theater- und Dichterkulissen. Aber mittendurch schwingt jener ernste Ton, der aus der gespielten Welt zu menschlicher und dichterischer Qual hinüberleitet (ibid.).

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volezza di sé. Pirandello ha questa sensibilità e ha svolto il suo lavoro con acume profondo26 (ivi).

Queste ultime attentissime considerazioni di Erwin H. Rainalter sono suffragate dalla conoscenza del successo di Pirandello in Italia e nel resto d’Europa e probabilmente anche dalla lettura del testo in lingua originale: Questa è la pièce che, senza dubbio, è tra gli avvenimenti teatrali più degni di nota degli ultimi tempi. Essa è nuova per Vienna, ma non lo è per il resto del mondo. Il suo autore ne festeggia i trionfi in America e, di recente, a Parigi27 («Neues Wiener Tagblatt», 6. April 1924).

E quindi si può permettere di valutare, mostrandone i limiti, la messa in scena viennese rispetto alle precedenti interpretazioni: La novità a Vienna è stata, che nell’improvvisazione si è andati più in là che in altri posti. Il luogo della rappresentazione, che sarebbe dovuto essere il Teatro, qui è stato il Raimundtheater. Comunque il Raimundtheater si è guadagnato un grosso merito, poiché ha reso noto Pirandello anche a Vienna28 (ivi).

26 «[...] dieser Italiener von dessen Existenz man vor kurzem noch keine Ahnung hatte, der wie ein Meteor am Himmel aufflammte, ist von einer Genialität, der man sich willig beugt. Genial ist der kecke Griff, den er hier in einer traditionellen Welt wagt, der Mut, mit dem er sich mit seiner Kunst auseinandersetzt. Der Pessimismus, der in diese Groteske gepreßt wurde, ist ungeheuer. Man kann die unheilvolle Diskrepanz zwischen Leben und Kunst, zwischen Wollen und Vollbringen ja, man kann die innere Unzulänglichkeit und Ohnmacht aller Kunst nicht fanatischer bekennen und gestalten, als es in dieser Groteske geschieht. Daß die Kunst des Betriebes, die angewandte Kunst, das Theater also, das eigenwillige und absichtslose, das herrliche und starke Leben nicht als übergeordnet anerkennen will -- das ist ein Problem das ein vorurteilsloser Mann einmal behandeln mußte. Indem man das Theater entlarvt, bereichert man es um die Erkenntnis seiner selbst. Pirandello hat das Gefühl, und er hat viel Tiefsinn an seine Aufgabe gewandt». 27 «Dies ist das Stück, das ohne Zweifel zu den bemerkenswertesten theatralischen Ereignissen der letzten Zeit gehört. Es ist neu für Wien, aber es ist nicht neu für die Welt. Sein Autor feiert Triumphe damit in Amerika, neuestens in Paris» (ibid.). 28 «Das Neue in Wien war, daß man in der Improvisation weiter ging als anderswo. Der Schauplatz, der das Theater sein sollte war hier das Raimundtheater. Auf jeden Fall aber erwarb sich das Raimundtheater ein großer Verdienst, weil es nun Pirandello auch in Wien heimlich macht» (ibid.).

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Le critiche negative sono invece contrassegnate da analisi superficiali del dramma che focalizzano la loro attenzione su aspetti secondari della trama o che si preoccupano di esprimere giudizi moraleggianti, come quello che scrive il critico che si firma Walter su «Der Abend» del 5 aprile: Sei personaggi cercano un autore; non ne troveranno mai uno. Essi raccontano una storia familiare molto oscura e molto confusa. Mio dio, si sa, l’umanità è fuori di sé, per poco il padre non seduce la figlia, una cosa tristissima, che però non è necessario rappresentare proprio a teatro. Ecco che arrivano loro, sei tipi che creano una gran confusione e poi si capisce che non hanno niente da dire. E se si fossero rivolti a Bernard Schaw?29 («Der Abend», 5. April 1924).

In molti altri casi l’interesse di chi scrive la recensione è attratto più dagli attori che dai personaggi del dramma. Attori come il direttore del teatro Rudolf Beer, Karl Ehmann o Erika Deutelmoser erano molto famosi e, recitando se stessi, rappresentavano una novità che divertì molto il pubblico viennese. Si tratta, in questo caso, di quelli che Rainalter del «Neues Wiener Tagblatt» vede come i limiti della prima di Vienna e che furono invece segnalati come gli unici aspetti positivi da molti altri critici in altre recensioni: Teatro nel teatro! Il pubblico è affascinato perché può essere presente!30 (ivi).

e: Il direttore Beer, a quanto pare, recita se stesso [...] lo sguardo dietro le quinte, il permesso di assistere alle prove è da sempre un desiderio del laico. Qui il popolino degli attori, apparentemente sempre vivace, viene abbondantemente spiato nel bel mezzo dell’ esercizio quotidiano della sua professione. All’inizio la commedia nella com-

29 «Sechs Personen suchen einen Autor; sie werden nie einen finden. Sie erzählen eine sehr dunkle, sehr verworrene Familiengeschichte, mein Gott, man weiß, die Menschheit ist außer Rand und Band, fast hätte der Vater die Tochter verführt, das ist sehr traurig, aber es muß nicht gerade auf dem Theater gespielt werden. Da kommen sie, sechs Stück hoch, verursachen einen Riesenrummel und dann stellt sich heraus, daß sie nichts zu sagen haben. Wenn sie sich an Bernard Schaw gewendet hätten?». 30 «Theater im Theater! Das Publikum ist entzückt, weil es dabei sein darf!» [Si intende alle prove, N.d.T.].

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media intrattiene, poi stanca31 («Illustriertes Wiener Extrablatt», 6. April 1924; sottolineatura mia).

e ancora: Il Pubblico si diverte moltissimo. Lo sguardo dietro le quinte, che gli viene concesso è qualcosa di nuovo. Oltre a ciò, lo diverte molto il fatto che il Dr. Beer, il signor Ehmann, la signora Deutelmoser e tutti gli altri, questa volta debbano essere se stessi e che non si prestino ad alcuna illusione e non portino alcun trucco32 («Neues Wiener Tagblatt», 6. April 1924; sottolineatura mia). Una commedia oltremodo spiritosa. Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello ha avuto nella rappresentazione della prima in tedesco al Raimundtheater un grande esito. Sulla divertente opera e sull’eccellente rappresentazione, alla quale hanno partecipato il direttore Beer come attore e Karl Heinz Martin come regista, ci sarà ancora molto da dire33 («Arbeiter Zeitung», 8. April 1924, sottolineatura mia). Il Dr. Beer, che figura sulla locandina anche come direttore del Raimundtheater, passeggia tra le file degli spettatori, dà istruzioni e recita questa sera un ruolo importante. La cosa crea un’atmosfera burlesca, scherzosa e eccita la curiosità, poiché cose simili non si vedono tutti i giorni. Si ha l’illusione di assistere a delle prove34 («Neue Freie Presse», 6. April 1924; sottolineatura mia).

L’atteggiamento di molti recensori – e dobbiamo supporre anche di gran parte del pubblico – la dice lunga su quanto si sia effettivamente potuto capire del dramma. Molto del successo di Pirandello 31 «Direktor Beer spielt angeblich sich. [...] Der Blick hinter die Kulissen, der Zulaß zu den Proben ist dem Laien noch immer erwünscht. Hier wird das angeblich so unablässig muntere Künstlervölkchen inmitten seiner Tagesberufarbeit ausgiebig belauscht. Am Anfang unterhält, späterhin ermüdet das Spiel mit dem Spiel». 32 «Das Publikum amüsiert sich königlich. Der Blick hinter die Kulissen, der ihm erstattet wird, ist ihm ganz neu. Zudem bereitet es ihm Spaß, daß Dr. Beer, Herr Ehmann, Frau Deutelmoser und alle übrigen diesmal sie selbst sein sollen, daß sie keiner Illusion dienen und keine Schminke tragen». 33 «Eine überhaus geistreiche Komödie. Sechs Personen suchen einen Autor von Pirandello hatte in der deutschen Uraufführung im Raimund-Theater großen Erfolg. Über das amüsante Werk und seine vortreffliche Wiedergabe, an der Direktor Beer als Darsteller und Karl Heinz Martin als Regisseur Anteil hatten, wird noch einiges zu sagen sein». 34 «Dr. Beer, der auch als Direktor des Raimund-Theater auf dem Zettel figuriert, spaziert durch die Zuhörerreihen, gibt Anweisungen und spielt an diesem Abend eine grosse Rolle. Das ergibt Ulk, Metierwitze, erregt die Neugierde, denn dergleichen wird nicht alle Tage gesehen. Man hat die Illusion, einer Arrangierprobe beizuwohnen».

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in Austria, specialmente in questa prima fase, è legato più alla fama dei registi e degli attori dei drammi messi in scena, che ai contenuti delle pièces stesse. Queste, infatti, venivano spesso modificate, con il conseguente stravolgimento del messaggio previsto dall’autore. Dal 1924 fino al 1934 in Germania e in Austria le opere di Pirandello saranno molto apprezzate sia dal pubblico che da molti registi tanto da arrivare a circa 200 rappresentazioni di diverse opere35. Lo stesso autore andò più di una volta in tournée per i teatri mitteleuropei con la sua Compagnia del Teatro d’Arte di Roma; la maggior parte delle volte, riportando un discreto successo ma, a volte, anche deludendo il pubblico che aveva imparato a conoscere un altro tipo di teatro pirandelliano e che quindi non trovava quello che si aspettava36. Dieci anni più tardi Pirandello è certamente più conosciuto e apprezzato, ma i suoi rapporti con il teatro mitteleuropeo non sono molto cambiati. È vero che si preoccupò di avere traduttori migliori, ma è anche vero che i registi e gli attori continuarono a interferire, apportando spesso modifiche sui suoi testi. Un caso certamente particolare è il dramma Non si sa come, tradotto da Stefan Zweig, che l’autore agrigentino scrisse su misura per l’attore istriano Alexander Moissi il quale volle fortemente – sostenuto dall’allora direttore del Volkstheater – la scena triviale e spesso criticata del colpo di pistola che chiude l’ultima scena37. La storia della traduzione di quest’opera, e la storia del suo traduttore, chiudono idealmente l’ampio arco di tempo all’interno del quale si sviluppa la ricezione del teatro di Pirandello in Austria. La relazione tra i due letterati comincia grazie a Moissi che aveva già 35 Sei personaggi in cerca d’autore nell’allestimento di Max Reinhardt fu messo in scena ben 131 volte. 36 Nel 1925, tra il 12 ottobre e il 7 novembre Pirandello portò in tournée il suo Teatro D’Arte in ben quattordici città tedesche non riuscendo però a convincere sempre pubblico e critici. Per un approfondimento di questo aspetto si veda K. Ringger, Il teatro di Pirandello e la regia tedesca del periodo espressionista, in Pirandello e il teatro, cit., p. 421. «[…] la stampa tedesca si occupò moltissimo della tournée del ‘Teatro d’Arte’. Però da un esame anche rapido degli articoli che i quotidiani dell’epoca dedicarono agli spettacoli della troupe italiana emerge una notevole e quasi unanime perplessità dei critici. Infatti, a loro parere, il mondo poetico pirandelliano risulterebbe scenicamente tradotto in modo assai più autentico dalle messinscena altrui (per esempio, appunto di Reinhardt) che non da quelle dello stesso autore». 37 Si veda G. Rovagnati, Umwege auf dem Wege zu mir selbst. Zu Leben und Werk Stefan Zweigs, Bouvier, Bonn 1998, p. 235.

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recitato con successo l’Enrico IV nel 1926. L’attore, in un incontro con il drammaturgo a Viareggio nell’estate del 1934, ebbe l’occasione di leggere il primo atto di Non si sa come e se ne entusiasmò tanto che chiese a Pirandello di scrivere il dramma per lui. Il dramma era stato pensato originariamente per Marta Abba nella parte di Ginevra, una delle due parti femminili dal grande carattere poi, invece, fu rivisto per mettere in luce le doti del Moissi, focalizzando l’azione sul personaggio maschile di Romeo Daddi38. Oltre a ciò, sappiamo dalla corrispondenza con il figlio Stefano che gli ultimi due atti e gran parte dell’impostazione ed elaborazione li dobbiamo proprio a Stefano Pirandello: 16 settembre (da Castiglioncello, a Lietta): «Tutta l’estate ho dovuto aggiustare a papà la mira sulla sua nuova commedia Non si sa come, alla quale, contrariamente al solito, egli s’era messo senza averla né maturata e nemmeno capita bene, tanto che avemmo fin dal principio delle vere liti perché egli sosteneva che il lavoro non poteva essere che a protagonista donna. Vedrai tu, quando la leggerai, la strada che ha dovuto percorrere per arrivare, da quel punto di partenza così errato, alla mèta – che io, purtroppo, come t’ho detto ho dovuto fare l’esperienza di scriver tutto un secondo atto sbagliato, costringendomi alla fatica di persuaderlo a buttarlo giù, che m’esaurì i nervi per una settimana. Vedergli sciupare uno dei suoi più bei lavori per il pregiudizio di fare una gran parte di donna mi dava un’ira che non ti puoi immaginare. Mi pareva addirittura turbata l’armonia dell’universo!”39.

In un appunto senza data scritto da Stefano in preda all’amarezza, probabilmente dopo aver appreso dal testamento del padre che lasciava una parte dei suoi beni e diritti a Marta Abba a scapito della figlia Lia, si trovano informazioni ancora più precise: Il Non si sa come ha di mio tutto il secondo atto che Papà aveva sbagliato in pieno per la preoccupazione di far la parte importante alla Marta, e quando lo lesse, così sbagliato, a Moissi, fu una tale mortificazione che voleva buttar via il lavoro non finito, e non parlarne più: e dovetti trovargli io, in un mese di discussioni violentissime, che mi esaurirono per molti mesi poi ogni facoltà di lavorare per 38 Su questa e altre vicende che riguardano il finale di Non si sa come si veda anche A. D’Amico, Pirandello, l’attore, gli attori, in AA.VV., Alle origini della drammaturgia moderna: Ibsen Strindberg, Pirandello, Costa & Nolan, Genova 1987, pp. 216-225. 39 S. Pirandello, Tutto il teatro, cit., vol. I, p. 218.

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me, dovetti trovargli io tutte le scene e situazioni e, battuta per battuta, i punti risolutivi del secondo atto, ridando il posto principale al protagonista, che è l’uomo. Come nel terzo atto è mio e soltanto mio (per dire solo questo) il vertice di spiritualità a cui s’alza il protagonista quando vuole per sé ‘la libertà come condanna’: sentimento ed espressioni pienamente miei, e lontanissimi tanto dalle concezioni di Papà che egli dapprima non li capì, e per lungo tempo credette che io scherzassi, e dovetti farglielo accettare in seguito a una vera lotta dialettica. Qualunque critico intelligente, ora che l’opera mia, ritardata tanti anni dall’annosa servitù che io m’era data verso Lui, comincia a farsi strada, qualunque critico intelligente può vedere che il Non si sa come esprime, con la forza d’arte di Lui, un mondo spirituale che non era, non poteva essere, il Suo – né tanto meno ‘ispirato’ da Marta, spiritualmente inefficiente. E che ora questo ‘vero sangue mio’, donato liberamente per amore da me a mio Padre, vada a finire, per interesse, nelle mani di Marta… è una delle beffe più enormi che la vita mi abbia combinato da che mondo è mondo! Prima l’amarezza della mia vita d’artista sacrificata alla Sua, era compensata dall’amore e dall’orgoglio di partecipare, annullandomi in essa, alla creazione del Genio; ora l’amore ha avuto qualche ceffone, e l’orgoglio questa beffa…40.

Un dramma scritto a quattro mani, quindi, e in più tradotto quasi in contemporanea, non senza l’influenza dei ‘viennesi’. Moissi, infatti, era un grande amico di Stefan Zweig e lo pregò di fare la traduzione dell’opera che, l’ormai famosissimo drammaturgo italiano, stava scrivendo per lui, per poterla recitare al Volkstheater di Vienna. Illustre Amico,

Castiglioncello (Livorno), 2. IX. 1934.

Le rinnovo l’espressione della mia gioia per l’insigne favore che Lei mi fa di tradurre in lingua tedesca, come Lei soltanto può fare, la mia opera. Le mando, come d’intesa col comune amico Moissi, il primo atto. Prestissimo riceverà anche il secondo e il terzo, che sto ricopiando io stesso a macchina per l’impossibilità di trovare qui una dattilografa. Moissi m’avverte che Ella tra pochi giorni si recherà a Londra. Le sarei grato se volesse indicarmi fin da ora il Suo indirizzo, per risparmio di tempo. E La prego d’accogliere i miei più devoti e cordiali saluti. Luigi Pirandello 40

Ivi, pp. 218-219.

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Zweig aveva detto di sì solo dopo molte insistenze perché era perseguitato da una iella degna di una patente pirandelliana. Nel 1907 l’artista viennese aveva scritto una tragedia, il Tersites nella quale avrebbe dovuto recitare nel ruolo di Achille il suo carissimo amico e famoso attore Adalbert Matkowsky che però si ammalò durante le prove e morì. E quando un altro grande attore del tempo, Josef Kainz, prese il suo posto, morì anche lui. E come se non bastasse, da lì a poco per colmo di sventura, morì pure il regista Alfred Berger. Convinto di essere perseguitato dalla sfortuna, Zweig prese l’unica decisione possibile e smise di occuparsi attivamente di teatro, nonostante questo fosse il genere che più gli piacesse. E già nel 1931 aveva detto di no, per paura, al suo carissimo amico Alexander Moissi che voleva recitare il ruolo di protagonista nel Das Lamm des Armen. Acconsentì invece nel 1934 a fare la traduzione di Non si sa come per Pirandello e per l’amico pensando probabilmente che, non avendo scritto lui la pièce, la sfortuna questa volta lo avrebbe risparmiato. Il drammaturgo siciliano a quel tempo aveva ormai raggiunto un’indiscussa fama mondiale, tanto che qualche mese più tardi, il 10 dicembre dello stesso anno a Stoccolma, sarebbe stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Si capisce bene, quindi, perché Stefan Zweig ne parli – lasciando trasparire un certo orgoglio – nel suo famoso libro Die Welt von Gestern (Il mondo di ieri), raccontando come Moissi avesse ricevuto la parte da Luigi Pirandello in persona il quale aveva chiesto di fare la prima mondiale del dramma proprio a Vienna: Pirandello gli aveva fatto [ a Moissi] un grande onore affidandogli la prima rappresentazione della sua nuova opera “Non si sa mai” [sic!], prima rappresentazione non italiana, ma mondiale che doveva aver luogo a Vienna in lingua tedesca. Era la prima volta che un simile maestro italiano dava all’estero la precedenza: neppure a Parigi aveva mai potuto risolversi. Pirandello temeva che nella traduzione la musicalità della sua prosa vibrante potesse andare perduta e aveva perciò uno speciale desiderio. Desiderava che il lavoro non fosse volto in tedesco da un qualsiasi traduttore, ma da me di cui apprezzava da molto tempo l’arte linguistica. Naturalmente Pirandello aveva esitato a rivolgersi a me; come poteva pretendere di sciupare il mio tempo con traduzioni? Perciò Moissi stesso si era incaricato di riferirmi la preghiera di Pirandello. Ora effettivamente, da molti anni non mi occupavo più di traduzioni. Ma io veneravo troppo Pirandello, col quale avevo avuto buoni rapporti, per deluderlo nel suo desiderio e soprattutto era una gio-

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ia per me poter dare una prova di cameratismo ad un intimo amico come Moissi. Tralasciai per una settimana o due il vero lavoro; poche settimane dopo, l’opera di Pirandello, nella mia traduzione, era assegnata a Vienna per la prima rappresentazione internazionale che, inoltre, per motivi politici, doveva effettuarsi in modo particolarmente solenne41.

Zweig era un esperto traduttore, soprattutto dal francese, e conosceva bene l’italiano, anche se non aveva, fino a quel momento, tradotto niente da quest’ultima lingua a scopo di pubblicazione. Probabilmente insicuro, fece tradurre parallelamente il testo del dramma ad un’altra persona per poi poter confrontare quella traduzione con la sua, ottenendo ottimi risultati. Roma, 23 settembre 1934 Via Antonio Bosio, 15 REALE ACCADEMIA D’ITALIA Caro e illustre Amico, non ho il minimo dubbio che la Sua traduzione del Non si sa come riuscirà un’opera d’arte, degna di quel perfetto stilista che Ella è. La Sua idea di far fare, indipendentemente dalla Sua, un’altra traduzione che serva a Lei di confronto per quanto riguarda l’esatta interpretazione del testo, mi pare senz’altro ottima. Sarà molto interessante per Lei il vedere la fondamentale differenza tra una traduzione semplicemente esatta, come quella che faranno per Lei, e la traduzione artistica che Lei farà per sé e per me: quella che passa tra un corpo morto e uno vivo. So che l’amico Moissi attende con ansia questa traduzione, che dovrebbe giungergli in tempo perché egli possa preparare la rappresentazione fissata per il 18 ottobre al Volkstheater di Vienna. Io gli ho promesso che sarò presente: e vorrei che ci fosse anche Lei. Ma spero di vederLa prima a Roma, in occasione del Convegno Volta per il Teatro. Le auguro intanto buon lavoro, e Le mando il mio cordiale saluto. Luigi Pirandello

Come già ribadito, è molto singolare il fatto che il testo e la sua traduzione siano cresciuti praticamente contemporaneamente. E S. Zweig, Die Welt von Gestern (1942), trad. it. di G. Dolei, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, Edizioni del Prisma, Catania 1995, pp.175-176.

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interessantissimo, a questo proposito, è il carteggio tra l’autore agrigentino e il suo traduttore viennese42. Zweig continuò, però, a essere perseguitato dalla sua sfortuna perché Moissi si ammalò durante le prove e morì senza potere recitare il suo ruolo nel dramma di Pirandello. Così ne parla lo stesso Pirandello al figlio Stefano in una lettera da Londra datata 29 aprile 1935: Sono ancora sotto l’incubo della morte del povero Moissi. Non ho potuto e non posso ancora pensare al danno che me n’è derivato, per non detrar nulla al cordoglio che sento per la perdita dell’uomo43.

Di lì a poco una ‘scalogna’44 più grande doveva colpire Stefan Zweig e anche Pirandello perché con l’introduzione delle leggi razziali, agli ebrei veniva proibita qualsiasi attività culturale. E se Zweig fu costretto a emigrare per poi finire suicida in Brasile, le opere di Pirandello finirono per non essere più rappresentate, perché i suoi migliori traduttori erano ebrei e dovettero essere tutte ritradotte. Nemmeno l’assegnazione del Premio Nobel cambiò la situazione. Luigi Pirandello fu quindi una vittima illustre di quegli anni che si apprestavano e diventare orribili. La prima45 di Non si sa come, a causa della morte di Moissi, non ebbe più luogo a Vienna, ma a Praga il 19 dicembre 1934 presso il Teatro nazionale, in ceco con il titolo Člověk ani neví jak sulla base di una traduzione di Venceslao Jiřina. Il 13 gennaio 1934, a Braunschweig, alla presenza di Hitler, si tenne anche la prima del dramma musicale Favola del figlio cambiato con la musica di G. F. Malipiero che fu accolto con entusiasmo dal pubblico. A questa rappresentazione ne seguì ancora una, il 3 marzo dello stesso anno, e poi l’opera fu vietata dal ministro della cultura dell’Assia perché non gradita al regime. Questa fu l’ultima rappresentazione di un testo pirandelliano in Germania e l’Austria, 42 Vedi carteggio in Appendice, qui ripreso da G. Rovagnati, Umwege auf dem Wege zu mir selbst, cit., pp. 236-251. 43 L. - S. Pirandello, Nel tempo della lontananza (1919-1936), a cura di S. Zapulla Muscarà, La Cantinella, Catania 2005, p. 202. 44 Mi si consenta qui un piccolo gioco di parole: «La Scalogna» è, infatti, il nome della villa che ha fama di essere infestata dagli spiriti ed è abitata da strani personaggi fuggiti dalla civiltà ne I giganti della montagna (1933) l’ultimo dramma rimasto incompiuto di Luigi Pirandello. 45 La prima italiana fu messa in scena solo un anno dopo dalla compagnia di Ruggero Ruggeri a Roma il 13 dicembre del 1935, presso il teatro Argentina.

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dopo l’annessione del ’38, finirà per seguire l’esempio della Germania nazista. Il triste epilogo della ricezione di Pirandello in Austria, con la proclamazione delle leggi razziali e la conseguente fuga di molti intellettuali e artisti ebrei come Zweig, che decretò la fine di tutta una vivacissima intellighenzia scientifica e artistica europea, e il fatto che la Favola del figlio cambiato chiuda la ricezione di Pirandello in Germania, porta inevitabilmente a pensare alla fine dell’incompiuto I giganti della montagna. Un’opera del 1933 che giustamente è stata definita un dramma premonitorio. E non è una coincidenza banale, tra storia della ricezione e la finzione drammaturgica, il fatto che, anche nel dramma, la Compagnia della Contessa voglia mettere in scena la Favola del figlio cambiato. La Contessa non ci riuscirà e sarà vittima dei giganti della montagna, ricchi e barbari abitatori delle montagne che non conoscono né capiscono l’arte. I giganti ubriachi e feroci finiranno per distruggere Ilse, la Contessa, e i suoi attori. Come si è visto, molti fatti legati alla storia della ricezione di Pirandello in Austria, ma anche in Germania, contribuiscono a vedere autore e opere con una migliore profondità prospettica, presentando, a volte, delle originali coincidenze dal sapore pirandellianamente surrealistico46. Per un’altra coincidenza e per un‘ironia della storia, lo stesso anno in cui Pirandello aveva esordito a Vienna, Hitler era stato rilasciato a Monaco dopo essere stato arrestato per il tentativo fallito di Putsch. Da lì a poco Hitler avrebbe cominciato la sua inarrestabile ascesa al potere in Europa, portando la Storia, per vie tormentate e contorte, al grande disastro che fu la seconda guerra mondiale, dove vittima dei ‘giganti’ non furono solo l’arte e gli artisti ma tutti 46 Umberto Artioli propone un’ipotesi, a mio avviso, per niente azzardata: «Chi sono i Giganti? Sicuramente gli uomini della Zivilisation, i polifemi che ricostruiscono artificialmente il mondo, illusi di detenere i segreti della creazione. Ma forse sono anche altro. Alla fine del terzo momento, pubblicato nel novembre del 1934 quando Mussolini aveva già manifestato le sue mire nei confronti dell’Etiopia, Cotrone, a proposito della ‘colossale’ festa di nozze fra due famiglie di Giganti, fa i nomi degli sposi: Uma di Dórnio e Lopardo d’Arcifa. La critica ha ravvisato in queste curiose denominazioni una parodia dell’onomastica dannunziana. Può essere, ma val la pena osservare che Arcifa è un trasparente anagramma di Africa, e che Uma di Dórnio, anagrammato, dà ‘un dio di Roma’. Tutt’altra parodia, ben altrimenti graffiante, potrebbe agitarsi nelle faglie del testo. Che si tratti di coincidenze, c’è da dubitare» (U. Artioli, La madre e i figli cambiati: il Gigante e l’Angelo, in Testo e messa in scena in Pirandello, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1986, pp. 166-167).

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gli europei. Con queste parole Stefan Zweig ricorda gli inizi di quella folle avventura che si apprestava a vivere l’Europa: Poiché io cerco qui di essere sincero per quanto è possibile, devo riconoscere che noi tutti, in Austria e in Germania, nel 1933 e ancora nel 1934, non considerammo una sola volta possibile la centesima e la millesima parte di quanto doveva avvenire poche settimane più tardi. Veramente, che noi scrittori liberi e indipendenti dovessimo attendere difficoltà, fastidi e inimicizie, era chiaro fin da allora. Subito dopo l’incendio del Reichstag dissi al mio editore che ciò significava ben presto la fine per i miei libri in Germania. Non dimenticherò mai il suo sbalordimento: “Chi dovrebbe proibire i suoi libri? – mi disse allora, nel 1933, del tutto stupito – Lei non ha mai scritto una parola contro la Germania, e non si è mai occupato di politica”. È dunque chiaro: tutte le mostruosità che dovevano verificarsi pochi mesi più tardi, come i roghi dei libri e le berline, erano inconcepibili perfino a persone lungimiranti, anche diversi mesi dopo l’avvento di Hitler al potere. Il nazionalsocialismo, infatti, nella sua spregiudicata tecnica ingannatrice, si guardava bene dallo svelare completamente il radicalismo dei suoi scopi prima che il mondo vi avesse fatto l’abitudine. Il metodo da essi usato era prudente: una dose per volta, dopo la dose una piccola pausa. Una sola pillola e, dopo, un istante di attesa per vedere se non fosse stata troppo forte e se l’opinione pubblica mondiale tollerava la dose. […] Hitler non ha compiuto nulla di più geniale di questa tattica di tentativi sempre più audaci contro l’Europa che diveniva sempre più debole moralmente e anche militarmente47.

Non si sa come, un dramma borghese Abbiamo visto come Non si sa come sia stato sostanzialmente scritto, per usare un’espressione da pianista, a quattro mani con il figlio Stefano, ma il dramma in tre atti è comunque frutto dell’elaborazione di trame, situazioni e personaggi presenti in ben tre novelle precedenti di Pirandello: Nel gorgo (1913), La realtà del sogno (1914) e Cinci (1932). Pirandello nella pianificazione del dramma segue uno schema di lavoro per lui tipico. Egli rimpasta la materia di novelle precedenti per ricavarne un’opera di teatro. Una pratica quella pirandelliana, che presenta non pochi aspetti affascinanti per il critico, poiché nel cambiare forma alle sue novelle, salvandone il contenu47

S. Zweig, Il mondo di ieri, cit., pp. 319-320.

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to, l’autore in pratica mostra il suo modo di lavorare e lascia quasi aperta la porta del suo laboratorio artistico, dove più facile diventa sbirciare per capire le intenzioni e, per certi versi, anche le tecniche. Vediamo ora innanzitutto la trama e poi quali parti delle novelle sono state ri-usate per montare la struttura del dramma, con quali differenze e con quali sviluppi nella forma nuova a cui arriva Pirandello (e il figlio Stefano) nel dramma. La trama Il conte Romeo Daddi, il protagonista del dramma, è una persona seria di specchiata onestà, ama ed è amato da sua moglie Bice. Un giorno però tradisce contemporaneamente la fiducia del suo migliore amico, Giorgio Vanzi, un ufficiale di marina spesso assente per servizio, e quella della moglie, facendo l’amore con Ginevra, la moglie del Vanzi. Il tutto succede, come recita il titolo, ‘non si sa come’ in un momento di debolezza, forse di pazzia, un cedimento della ragione agli istinti incontrollabili che ognuno, del resto, possiede. Romeo Daddi non sopporta l’idea di aver ceduto ai suoi istinti. Vuole confessare il suo tradimento, ma questa intenzione lo tormenta, perché gli riporta alla memoria un altro momento ancora più drammatico in cui gli è capitato di cedere all’istinto. Quando era ancora un ragazzo, una volta, per uno stupido diverbio con un coetaneo incontrato per caso in una solitaria strada di campagna, era arrivato a commettere addirittura un omicidio. Tutto era successo così rapidamente che per lui era quasi come se non lo avesse fatto, quasi come fosse stato tutto solo un sogno. La cosa che più lo aveva colpito, dopo aver compiuto il delitto, era stata la mancanza di ogni senso di colpa, proprio come adesso con il tradimento. La domanda che il Daddi si pone, e idealmente pone al pubblico, è se c’è colpevolezza in quello che accade, quasi per caso per uno scatto d’ira, per un repentino cedimento della ragione agli istinti. L’uomo ha responsabilità anche per l’animale istintivo che gli alberga dentro?48 Romeo Daddi è assillato dai suoi delitti, cerca una risposta, non la trova, e alla fine non vuole sfuggire a una punizione per quello che è successo, anche se è successo senza alcuna premeditazione o Si tratta qui, come ha già fatto notare François Orsini, di tematiche legate al tema dell’inconscio molto presenti nelle correnti dell’Espressionismo per il mondo di lingua tedesca e ritrovabili parallelamente in Italia nel Futurismo di Marinetti, Corra, Settimelli e altri (cfr. F. Orsini, Pirandello e l’Europa, cit., p. 82).

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consapevolezza. Cerca, quindi, la punizione e la trova provocando Giorgio, l’amico tradito, fino a farsi uccidere. Dalla novella Nel Gorgo Pirandello prende la parte dell’alienazione di Daddi che scopre di aver ceduto ai suoi istinti, finendo per tradire non solo la moglie, ma anche il suo miglior amico. Da Nella realtà nel sogno Pirandello riusa soprattutto il motivo del turbamento legato alla sessualità non vissuta. La contraddizione tra quello che sentiamo e quello che cerchiamo di essere di fronte agli altri. Si tratta qui di tematiche squisitamente pirandelliane, certamente, ma in questo caso non si può fare a meno di pensare a certi aspetti che ricordano un altro grande austriaco: l’Arthur Schnitzler di Doppio sogno (Traumnovelle, 1926), specialmente per quanto riguarda il tormento interiore del protagonista diviso tra attrazione istintiva e ragione49. A questo proposito Wolfgang Sahlfeld ha segnalato come già negli anni Trenta la stessa critica tedesca tendesse a vedere in Schnitzler una sorte di ‘precursore’ del premio Nobel agrigentino, anche se senza grosso entusiasmo. Alfred Kerr, infatti, in occasione del necrologio dello scrittore viennese, accosta Pirandello a Schnitzler in questi termini, Egli era il secondo, dopo Hauptmann. Pirandello ha incassato, nel campo dei drammi a effetto e specchio, quel che Arthur aveva creato. Quell’altro conquistò le nazioni, mentre il primo [Schnitzler] rimaneva a casa50.

Oltre a queste considerazioni di Kerr, mi preme qui però segnalare un’intervista rilasciata da Pirandello alla «Neue Freie Presse» il 18 dicembre 1926, sempre a Vienna, in cui il drammaturgo agrigentino dichiara apertamente la sua grande ammirazione per Schnitzler51. Interessante è quanto in proposito sostiene sempre François Orsini: «Ma Pirandello ha in comune con gli espressionisti tedeschi anche altri temi: quelli, ad esempio, della maschera e della marionetta. Il tema della ‘maschera e il volto’ – che crediamo vada innanzitutto ascritto a merito di Arthur Schnitzler, in particolare allo Schnitzler di Anatol (1893) – occupa un posto privilegiato nella produzione teatrale pirandelliana, in quanto traduzione di un drammatico contrasto tra realtà e illusione, tra essere e parere, tra volto individuale e immagine sociale di esso» (ivi, p. 123). 50 «Er war der Zweite, nach Hauptmann. Pirandello strich an Vexierstücken, Spiegelstücken ein, was Arthur schuf. Der andere gewann die Länder, der eine blieb zu Hause». Cito il necrologio di Alfred Kerr dal libro di Sahlfeld (cfr. W. Sahlfeld, L’immagine riflessa. Pirandello e la cultura tedesca, cit., p. 18). 51 La Compagnia d’Arte aveva nel suo repertorio, oltre al teatro di Pirandello, anche opere di altri autori, di Charles Ferdinand Ramuz con le musiche di Igor Strawinsky, 49

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Degli artisti tedeschi, ho messo in scena con particolare predilezione soprattutto Schnitzler (La compagna)52.

Alla «Neue Züricher Zeitung», poco tempo prima, il 22 novembre, aveva dichiarato più esplicitamente: Ammiro sinceramente e incondizionatamente il sistema teatrale tedesco e i teatri tedeschi. Con grande interesse seguo gli esperimenti della nuova letteratura drammatica tedesca da Wedekind fino a Kaiser e Sternheim53.

Della novella Cinci Pirandello riprende, infine, la storia dell’omicidio involontario commesso da adolescente e, proprio per questo, subito rimosso come se non fosse mai successo. Un fatto che aumenta nella pièce la drammaticità del tradimento amoroso, che è certamente delitto di minore gravità dal punto di vista morale, ma essendo perpetrato con le stesse modalità del precedente omicidio, finisce per rendere Daddi – in prima istanza ai suoi stessi occhi, e poi probabilmente anche agli occhi del pubblico – moralmente recidivo. La traduzione di Zweig Una premessa Affronterò i problemi legati all’analisi della traduzione di Zweig da due punti di vista. Il primo punto di vista definibile con James Holmes54 ‘esterno’ caratterizza alcuni aspetti importanti della personalità e le qualità del tutto particolari del traduttore e artista Stefan Zweig. Il secondo punto di vista mette a fuoco, in una prospettiva ‘interna’ al testo, l’atto di trasposizione con l’aiuto di alcuni esempi che mi serviranno per spiegarne le sue caratteristiche. L’artista l’Histoire du Soldat, di Arthur Schnitzler, Die Gefährtin, di Rosso di San Secondo, Marionette che passione e di Nicolai Evreinov, La gaia morte e Ciò che più importa. 52 «Von deutschen Dichtern habe ich mit besonderer Vorliebe Schnitzler (Die Gefährtin) inszeniert». «Neue Freie Presse», Nr. 22354, 18. Dezember 1926, p. 5 (vedi fig. 1, p. 47). 53 «Ich bewundere aufrichtig und schrankenlos den deutschen Theaterorganismus und die deutschen Theater. Mit großem Interesse verfolge ich die Versuche der neuen dramatischen Literatur Deutschland von Wedekind bis zu Kaiser und Sternheim». Cfr. K. Ringger, Il teatro di Pirandello e la regia tedesca del periodo espressionista, cit., p. 431. 54 J. S. Holmes, The Name and Nature of Translation Studies, in J. S. Holmes, Translated! Papers on Literary Translation and Translation Studies, Rodopi, Amsterdam 1972/1988, pp. 67-80.

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viennese sembra avere due precise modalità traduttive ricorrenti degne di nota. La prima modalità è quella di seguire i canoni estetici propri, cioè quelli di un traduttore dalla personalità molto forte che riaffiora con una certa regolarità nonostante sia sempre chiaro il grande rispetto che l’intellettuale viennese ha per l’originale del drammaturgo agrigentino. La seconda modalità è invece di tipo più pragmatico ed è data dalla necessità che ha qualsiasi traduttore (e specialmente nel passaggio da una lingua romanza ad una germanica) di spiegare traducendo il testo originale, che in una traduzione letterale ne uscirebbe impoverito se non addirittura incomprensibile. Per ovvi motivi di sistematicità analitica ho diviso questa parte dell’analisi su due livelli: quello lessicale, che si concentra su un uso delle parole da analizzare nella loro valenza semantica, e uno sintagmatico che mette a fuoco lo sviluppo lineare del testo con un più forte riferimento al contesto dell’azione drammatica. La figura di Stefan Zweig, come traduttore merita di essere brevemente introdotta in alcune sue caratteristiche peculiari. L’intellettuale viennese parlava francese, inglese e italiano. È importante sottolineare che l’italiano era la lingua della madre, Ida Brettauer, nata e cresciuta ad Ancona. Tuttavia la sua attività di traduttore si rivolse soprattutto a opere della letteratura francese e inglese. Le prime esperienze e ottimi risultati, Zweig li ebbe soprattutto con la lirica e con poeti francesi del calibro di Charles Baudelaire, Paul Verlaine e lo scrittore Romain Rolland, premio Nobel per la letteratura e quindi con il belga Emile Verhaeren. Come traduttore di testi poetici si preoccupò soprattutto di rendere l’atmosfera lirica di un testo senza esagerare nella traduzione letterale. Come accennato prima, sappiamo dalla corrispondenza con Pirandello che Zweig, probabilmente insicuro delle sue competenze linguistiche nella lingua del Belpaese, incrociò la sua traduzione con quella di qualcun altro al quale aveva commissionato una prima versione. Questo fatto, che non è certamente di secondaria importanza, probabilmente spiega il perché questa traduzione si discosti dalle altre fatte dal francese o dall’inglese, dove lo scrittore viennese si concedeva una più grande libertà artistica. A questo proposito può essere utile per avere un’idea più precisa della competenza linguistica di Zweig considerare qui un paio di brevi lettere autografe di Zweig alla sua amica Sibilla Aleramo, scritte evidentemente senza averle fatte rileggere a nessuno, perché in rapporto di mag34


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giore confidenza con la scrittrice Italiana. Queste lettere – meglio di quelle che l’intellettuale viennese scrive a Pirandello, che sono sintatticamente e ortograficamente impeccabili – danno un’idea di quella che doveva essere la reale competenza dell’italiano scritto dell’intellettuale austriaco, una competenza linguistica non perfetta e intrisa di chiare interferenze, non solo dal tedesco, ma anche dal francese. Ciò dimostra una conoscenza non tanto scolastica e una frequentazione probabilmente più familiare e soprattutto un uso spontaneo dell’italiano: Cara Sibilla Aleramo, (29, 11, 1927) ho già fatto tutto il possibile e spero que in un certo tempo riuscirò di far apparire quel bel libro. Penso spessamente ai quel bel giorni di Roma con Lei e la superba Ellen Key et non passerò par Roma senza venir di vederla. In sincere ammirazione sempre il suo devotissimo Stefan Zweig

e ancora:

Salzburg, 6 Junio

Cara Sibilla Aleramo,

anch’io ho voluto rivederLa dopo tanti anni! Grazie molte per il libro e la dedicazione, che mi ha fatto tante piacere. Di leggerlo prendero la prossima settimana e sono sicuro di amarlo. Ho avuto tante gioia del mio recente viaggio in Italia e di tante amabilità. Spero, cara amica che Lei sta bene! Con molti cordiali saluti e ringraziamenti il respectuoso Stefan Zweig55

Ritengo che si possa ragionevolmente attribuire a questa insicurezza il fatto che l’unica traduzione dall’italiano di Zweig abbia delle caratteristiche diverse da quelle che aveva fatto da altre lingue. La prima cosa che colpisce della traduzione di Non si sa come è la sua estrema esattezza e la grande correttezza delle scelte traduttive. Essa, non solo rispetta nella maniera più assoluta l’originale, ma 55

G. Rovagnati, op. cit., pp. 192-194.

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ricrea alla perfezione l’atmosfera di crescente esasperazione nella quale è collocata la figura del protagonista Romeo Daddi. Qui e lì Stefan Zweig affronta piccoli problemi dati dalla valenza idiomatica di alcune espressioni con la scelta sempre felice di vocaboli e frasi equivalenti che, pur distaccandosi dall’originale, lo rispettano. Il risultato non è soltanto esteticamente molto buono, ma la traduzione rende sicuramente onore anche qualitativamente all’originale e ne rispetta le caratteristiche peculiari con poche deviazioni o libertà del traduttore. Ciononostante queste deviazioni, per quanto poche, ci dicono molto sulle modalità scelte da Zweig per la traduzione. È ricorrente, nel traduttore Stefan Zweig, la tendenza generale a ornare con uno stile retorico più ricercato il testo di partenza pirandelliano. L’intellettuale austriaco, anche se non in maniera generalizzata e debordante, arricchisce, infatti, qui e lì lo stile volutamente stringato e concretamente mimetico di Pirandello con delle espressioni e parole tipiche dello stile alto e declamatorio del teatro viennese. Ci son dei casi in cui sceglie un lessema diverso discostandosi dall’originale perché crea un’enfasi più marcata e quindi aumenta l’intensità drammatica del testo: Noi siamo uomini, niente! Tutta la nostra sapienza, niente! Tutto ciò che ci avviene: la nostra nascita, i nostri casi, il nostro destino: come è? Non sappiamo mai come! Oltre la vita umana, costruita da noi, c’è il mondo, il mistero eterno del mondo; e le nostre leggi morali – se uno può saperle – ciò ch’è bene, ciò ch’è male – ce ne facciamo responsabili noi – ma se uno può saperle, è Dio solo. Io sto soffrendo così, e non posso, non posso, so che in questo momento non posso spiegarmelo in alcun modo; faccio come la mia sofferenza mi comanda. Perché volete costringermi a pensare umanamente? Io so che tutto questo non è umano, che ciò che c’è d’umano in noi è il meno; c’è Dio, che è per conto di noi tutti, e non possiamo saper come! Sento che Egli vuole ora così la mia condanna: sì, forse perché non ho saputo sorvegliarmi. Ma due volte, due volte io non ho voluto le mie colpe e le ho commesse; sono stato sorpreso; l’ha voluto Dio per punirmi; io non l’ho voluto; ma mi punirò come Lui vuole (nei Testi, pp. 160, 162; d’ora in poi solo numero pagine). *** Wir sind Menschen – das heißt: nichts! All unsre Weisheit – nichts! Alles, was uns widerfährt: unsere Geburt, unsere Glücksfälle, unser Schicksal: wie kommt das zustande, wir erfahren es nie! Unser Sittengesetz – was gut ist und was böse – wir machen uns selbst. verantwortlich dafür – aber das Wahre, das Wirkliche weiß nur Gott al-

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lein. Ich leide jetzt unermeßlich und kann mir doch nicht das Leiden erklären, ich kann nicht; ich tue nur, was meine Qual mir befiehlt. Warum wollt ihr mich zwingen, menschlich zu denken? Ich weiß, all das ist nicht menschlich; aber das Menschliche in uns ist doch der geringste Teil unseres Seins! Gott jedoch ist und ist für uns alle, und wir können nur nicht begreifen, wie! Ich fühle, daß er jetzt meine Strafe will; vielleicht, weil ich wirklich mich nicht zu überwachen gewußt habe. Aber zweimal, zweimal habe ich meine Schuld nicht gewollt und habe sie doch begangen; ich bin überrascht worden; Gott hat es so gewollt, um mich zu strafen; ich habe es nicht gewollt! Aber ich werde mich strafen, wie er es verlangt56 (pp. 161, 163).

In altri casi Zweig preferisce un sinonimo che in tedesco rende in modo evidente e quindi migliore il pathos del dialogo, un’espressione equivalente oppure cambia una domanda retorica come: «non è colpa tua?» con una decisa affermazione: «ist deine Schuld!»: Romeo – (staccandosi, con un maligno riso, indicando Respi). Mi sfida! Si mette a mia disposizione! Io ho tutto il diritto di darti del mascalzone, perché tu hai voluto, voluto, con ostinazione, con persecuzione insidiarmi la moglie, indurmi per conseguenza al sospetto, no? A pensare che – non ora, non ora in villa, perché lo so, lei t’ha respinto – ma prima, prima – dura da un anno la tua corte – in un momento d’assenza, di incoscienza che so! Lei abbia potuto – no, no! Non è stato! Va bene! – ma è pur possibile, oh Dio, lo sappiamo tutti! è pur possibile! – e che un simile pensiero mi sia entrato in mente, non è colpa tua? – D’un tratto smarrito, interrompendo l’invettiva, ricredendosi impensatamente, con stupore di tutti: Ma no! no! non è vero! scusami! non è vero! Non è colpa tua (Voltandosi a Ginevra) – (pp. 134, 136) *** Romeo – sich losmachend, mit einem boshaften Lächeln, auf Respi weisend: Er fordert mich! Er stellt sich mir zur Verfügung! Ich habe alles Recht, dich einen Schurken zu heißen, weil du wissentlich meiner Frau nachgestellt hast, weil du mich also ganz bewußt, mit vollstem Willen in den Verdacht hineingetrieben hast! Ja, in den Verdacht, in die Vorstellung, daß sie – nicht diesmal, nicht unlängst auf dem Gut, denn da hat sie dich abgewiesen, ich weiß – aber vorher, früher schon – es ist schon ein Jahr, daß du um sie herumscherwenzelst – in den Verdacht, sage ich, daß sie da in einem Augenblick der Verlorenheit, der Unbewußtheit, was weiß ich, imstande ge56

Qui e di seguito sottolineature mie.

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wesen sein könnte – nein, nein, es nicht geschehen, gut! – Aber es wäre doch möglich gewesen, o Gott, wie wissen es alle, es wäre möglich gewesen! – Und daß ein solcher Gedanke mir hat in den Sinn kommen können, das, das du Schurke, ist deine Schuld! Plötzlich niederbrechend, die Anklage jäh fallen lassend, umschlagend, zum allgemeinen Erstaunen. Aber nein! Nein! Es ist nicht wahr! Es ist nicht deine Schuld! Zu Ginevra gewandt (pp. 135, 137).

Sempre all’interno di questa tendenza estetizzante a livello lessicale si trovano anche dei cambi di registro linguistico che vanno da un italiano parlato dell’originale pirandelliano, a un tedesco decisamente più letterario con un registro più alto: Romeo – Eh, quando tutto t’è come non vero attorno, quello che fai può anche sembrarti non vero (p. 84). *** Romeo – Nun, wenn all dies um dich dir nicht wahr erscheint, könnte dann nicht auch, was du tust, dir unwirklich dünken? (p. 85).

A proposito dei cambi di registro a livello lessicale, e considerando anche che per la trama del dramma è molto importante il tema della pazzia vera o presunta del protagonista Romeo Daddi, può essere illuminante andare a vedere con quale abilità Stefan Zweig usa i sinonimi della parola ‘pazzo’ che nel dramma di Pirandello ricorre ben ventinove volte. Per tutto il testo Zweig si attiene il più possibile allo stile mimetico di Pirandello adoperando per tradurre la parola «pazzo», molto usata per descrivere lo stato di Romeo Daddi, altrettante traduzioni letterali con la stessa valenza di registro parlato come «Verrückter», «Wahnsinniger». L’artista austriaco usa solo tre volte il sinonimo più ricercato e letterario: «Narr»57. E lo 57 La parola Narr in tedesco ha nella sua valenza letteraria, oltre che il significato di ‘pazzo’ quello di ‘buffone’ o anche ‘giullare’, una cosa questa che porta chi conosce Pirandello ad una associazione mentale quasi obbligatoria con la figura del ‘buffone umoristico’, si pensi alla commedia Il berretto a sonagli. Stefan Zweig, nella scelta di questo termine, proietta questo personaggio verso un’enciclopedia intertestuale che comincia con le opere dello stesso Pirandello – Enrico IV, Uno, nessuno e centomila e via continuando – e passa per Shakespeare, Cervantes, Ariosto e molti altri artisti i quali hanno proposto un uomo/personaggio che, secondo parametri usuali, può forse sembrare matto, se non addirittura furioso, ma che ricava proprio da questa pazzia una lucidità superiore che è poi l’ingrediente principale di molte dinamiche dell’umorismo letterario.

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fa con particolare insistenza soprattutto alla fine, nella scena madre della sparatoria per gelosia. Per questa scena la scelta del sinonimo «Narr» ha chiaramente una valenza enfatica e un uso certamente più teatrale degli altri sinonimi usati prima. Romeo – No! No, se credi che sia lei! No! È per ciò che è avvenuto a noi due! Ginevra – Tu sei pazzo! (p. 112). *** Romeo – Nein! Wenn du glaubst, sie wäre es, dann nein! Es ist etwas, was uns beiden widerfahren ist! Ginevra – Du bist wahnsinnig! (p. 113). Giorgio – Tu seguiti a parlare a vanvera, è vero? Romeo – Ma sì, da pazzo! (p. 138). *** Giorgio – Mir scheint, du gerätst schon wieder ins Schwätzen! Romeo – Aber natürlich, als Verrückter! (p. 139). Ginevra – No! È pazzo! È pazzo! Romeo – Non sono pazzo. Siamo innocenti (p. 176). *** Ginevra – Er ist ein Narr! Ein Narr! Romeo – Nein, kein Narr, aber wir haben keine Schuld (p. 177).

La parola «Narr», riferita al protagonista, ricorre diversamente solo tre altre volte, e sempre in contesti estremamente drammatici. Una volta come traduzione di «sciocco». Anche in questo caso con il risultato di enfatizzare ulteriormente il testo tedesco che si distanzia così da quello originale in italiano. Bice, che ha ascoltato piangendo in silenzio il racconto, ha uno scoppio convulso e fugge via, sostenuta da Giorgio, nell’interno della casa. [Romeo –] Dimmi tu. Ginevra, fu delitto? Ginevra – (turbata, commossa, piangente) – No, no, sciocco, fai piangere anche me; se non l’hai voluto! Romeo – Ma l’ho commesso! È stato il primo! (p. 96). *** Bice, die still weinend der Erzählung gefolgt ist, schluchzt laut auf und flieht, von Giorgio gestützt, ins Innere des Hauses.

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Romeo – Nun sag, Ginevra, war das ein Verbrechen? Ginevra (verwirrt, ergriffen, unter Tränen) – Nein, nein, du Narr, der auch mich zum Weinen bringt; du hast es doch nicht gewollt! Romeo – Aber begangen! Es war das erste! (p. 97).

E poi, sempre in un contesto semantico dalla forte coloritura idiomatica, all’interno di espressioni proverbiali, dove non si avverte l’enfasi degli altri due casi: Ginevra – Delitti innocenti? Bice – Sì, sì. Ginevra – E chi non ne ha commessi? Bice (restando) – La stessa domanda! Ginevra (con dispetto) – Ma è naturale, cara, se mi porti a parlare come lui di cose di cui nessuno parla, tranne che non sia un pazzo, o, scusami, qualcosa di peggio; sì, sì, qualcosa di peggio! Se per lui sono ‘innocenti’ perché ne parla e ti vessa? Io ne sono indignata! indignata! Entra con Giorgio, Romeo Daddi in tempo d’udire quest’ultima esclamazione (p. 74). *** Ginevra – Schuldlose Verbrechen? Bice – Ja, ja. Ginevra – Wer hätte die nicht begangen? Bice – Genau das fragt er! Dieselbe Frage! Ginevra ärgerlich – Aber das ist doch nur natürlich, meine Liebe, wenn du mich dazu bringst, wie er von Dingen zu reden, von denen niemand spricht, der kein Narr ist wie er oder – verzeih – noch etwas Schlimmeres; ja, ja, etwas Schlimmeres! Denn wenn sie in seinen Augen ‚schuldlose‘ Verbrechen sind, warum spricht er dann von ihnen und quält dich? Ich bin empört darüber! Empört! Romeo Daddi, mit Giorgio eintretend, hat ihren Ausbruch gehört (p. 75).

Per finire va segnalata la tipologia forse più interessante delle deviazioni dall’originale, e cioè quella legata alla necessità che probabilmente sentiva Zweig di rendere più comprensibile il testo esplicitandolo. In questo caso la deviazione dall’originale pirandelliano avviene a livello lessicale: Romeo – […] Noi siamo uomini, niente! Tutta la nostra sapienza, niente! Tutto ciò che ci avviene: la nostra nascita, i nostri casi, il nostro destino: come è? Non sappiamo mai come! (p. 160). ***

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Romeo – […] wir sind Menschen – das heißt: nichts! All unsre Weisheit – nichts! Alles, was uns widerfährt: unsere Geburt, unsere Glücksfälle, unser Schicksal: wie kommt das zustande, wir erfahren es nie! (p. 161).

Categorie simili, tuttavia, si trovano anche a livello sintagmatico. A questo proposito va detto che le libertà del traduttore si coniugano con la sua competenza linguistica e dimostrano con quale e quanta sensibilità Stefan Zweig sia stato in grado di capire il testo originale pirandelliano. In questo caso vanno segnalati casi abbastanza semplici caratterizzati dall’intenzione/necessità di esplicitare meglio un’espressione o una frase là dove Zweig marca la stanchezza come una sorta di mancanza di voglia di fare, come in questo esempio: Romeo – […] Ma a un certo punto non ebbi più voglia d’andare avanti. Mi sentii stanco e seccato (p. 90). *** Romeo – […] Ich war müde, ich war wohlig faul, ich hatte keine Lust mehr (p. 91).

Ci sono anche altri casi semplici in cui Zweig non traduce letteralmente preferendo omettere poche parole, per rendere il dialogo più fluido e naturale in tedesco: Bice – No, sono io, sono io, Romeo; te lo dico io, io, di servirti di me! (p. 162). *** Bice – Nein, ich selbst, Romeo, habe vorgeschlagen, du sollst mich vorschieben! (p. 163).

Gli esempi più degni di nota, tuttavia, riguardano una serie di punti nei quali il messaggio nel testo italiano è implicito oppure veicolato da tratti sovrasegmentali dati dalla gestualità italiana. Proprio all’inizio del primo atto, quando Giorgio, l’ufficiale di marina è appena arrivato dal suo lungo viaggio e incontra l’amico Respi, troviamo una prima piccolissima variazione rispetto all’originale. Qui Zweig adatta il ricco linguaggio dei gesti dell’italiano con un’interpretazione un po’ libera e cambia una battuta e un gesto sconsolato di Respi nell’originale con un’affermazione decisamente più forte e inequivocabile. 41


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Respi – Cosicché non l’hai più rivisto? Giorgio – Daddi? No. Perché L’aspetto. Deve venire. Respi – Non sai dunque nulla? Giorgio (preoccupato dall’aria di Respi) – No. Gli è accaduto qualche cosa? Respi (dopo una breve pausa, alzando le spalle, aprendo le braccia) – Dev’essersi impazzito. Giorgio (stordito quasi incredulo) – Chi? Romeo? Scherzi? (p. 56). *** Respi – Du hast ihn seitdem nicht wieder gesehen? Giorgio – Daddi? Nein. Warum fragst du? Ich erwarte ihn. Er muß jeden Augenblick hier sein! Respi – So weißt du noch nichts? Giorgio über Respis Ausdruck betroffen – Nein, Was? Ist ihm etwas zugestoßen? Respi – Es scheint, er ist – Geste- da oben nicht in Ordnung. Giorgio bestürzt, ungläubig – Wer Romeo? Du Spaßt (p. 57).

Il gesto di alzare le spalle e aprire le braccia in Italia indica impotenza e impossibilità di dare una spiegazione migliore all’affermazione che esprime l’unica possibile ipotesi: «Dev’essersi impazzito» è chiaro che Respi ha visto e sperimentato in prima persona l’atteggiamento di Daddi. Ma in tedesco l’affermazione: «da oben nicht in Ordnung», accompagnata dal gesto non lascia adito ad alcun dubbio e risulta più aggressiva che sconsolata, inoltre grazie al «Es scheint», suona come se il Respi riferisse una voce che circola, mentre il pubblico sa che lo ha sperimentato di persona. Nel loro insieme queste deviazioni, che a volte richiamano uno stile di Stefan Zweig caratterizzabile come estetizzante, comportano un, se pur lieve, cambiamento al livello dei personaggi. Nei casi in cui ci sono state variazioni rilevanti nella scelta del lessico o in espressioni più enfatiche, i personaggi nella traduzione in tedesco possono diventare, all’occhio del lettore, più teatrali e meno vicini a personaggi reali di quanto non siano nel dramma di Pirandello. Zweig tende a renderli, insomma, quasi dei ritratti dichiaratamente teatrali di certi atteggiamenti borghesi. Un effetto collaterale di questa deviazione è che la loro drammaticità risulta amplificata, soprattutto nelle scene madri e, in particolare, nella scena finale dell’uccisione del protagonista in cui l’artista viennese sembra avere l’intenzione di intensificare l’effetto tragico. Un esempio di questo tipo d’intenzione si può vedere già nel primo atto in cui si trova un’aggiunta, che a prima vista può sembra42


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re di poca importanza ma che, in realtà, rivista alla luce dell’analisi dell’intera traduzione, si capisce essere fatta da Zweig con il chiaro obiettivo di caricare di tensione il dialogo tra Giorgio e Ginevra: Ginevra (confusa). Ah ma… perché, forse, il sospetto, sai com’è… tante volte può nascere ripensando d’improvviso a cose di cui prima non s’era fatto alcun caso e che poi, sotto un’altra luce… Giorgio – Ripensando! ma la ragione di ripensarci. Trovala. Tu la sai? Ginevra – Io? (p. 66). *** Ginevra verwirrt – Ach ja... vielleicht... man weiß doch, wie so ein Verdacht entsteht... oft legt man gar kein Gewicht auf eine Sache und dann, wenn man plötzlich wieder daran denkt, sieht man sie in anderem Licht und wird stutzig... Giorgio – Wenn man wieder daran denkt? Aber warum denkt man wieder daran? Das ist es: warum? Was ist die Ursache? Weißt du sie? Ginevra – Ich? (p. 67).

È ovvio che in questa scena Ginevra dimostri di avere la proverbiale coda di paglia. Il traduttore probabilmente approfitta di questo passaggio per porre l’accento sul meccanismo dell’epifanica riflessione che porta molti personaggi pirandelliani sull’orlo della pazzia o ad atteggiamenti considerati non più ‘normali’ nella società abituata a portare la maschera. Lo scrittore viennese traduce con una serie di domande apparentemente retoriche e fortemente enfatizzate che hanno, però, il compito di mostrare il processo di riesame mentale di situazioni vissute in un primo momento in modo inconsapevole. Il testo pirandelliano si presenta, in questo caso, come particolarmente sintetico, si potrebbe dire quasi criptico: «Ripensando! Ma la ragione di ripensarci. Trovala. Tu la sai?»; l’andamento sintattico di questa battuta che si caratterizza per le frasi staccate con riferimenti anaforici impliciti e sottintesi, in tedesco diventa invece: «Wenn man wieder daran denkt? Aber warum denkt man wieder daran? Das ist es: warum? Was ist die Ursache? Weißt du sie?». Poco più in là si arriva a un nodo cruciale del primo atto. Il momento in cui Ginevra accenna al meccanismo, di quella che è la vera e propria epifania umoristica, che ha portato alla pazzia di Romeo Daddi, così come succede anche ad altri personaggi pirandelliani. È il celeberrimo squarcio nel cielo di carta del Fu Mattia Pascal. Anche in questo punto la traduzione, fin qui molto aderente all’originale 43


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presenta un’aggiunta esplicativa, anche se piccola, non presente nel testo pirandelliano «Auf einmal geht einem ein Licht auf...»: Respi – Tu vuoi sapere la ragione per cui uno impazzisce? Ginevra – Possono venire in mente tante cose d’un tratto… (p. 68). *** Respi – Weiß man den Grund, wenn einer verrückt wird? Ginevra – Es können einem plötzlich so viele Dinge in den Sinn kommen... Auf einmal geht einem ein Licht auf... (p. 69).

La traduzione, molto distante dall’originale del pezzo che segue, si spiega invece con delle comprensibili esigenze di esplicitazione di un passo che altrimenti sarebbe stato poco chiaro se fosse stato tradotto letteralmente: Romeo – E il mare può anche essere un catino, se non ne scorgi più i limiti. Pare impossibile che ci siano sciagurati che han bisogno di vino o di droghe per annegare in paradisi artificiali, quando si vive così poco nella così detta coscienza (p. 82). *** Romeo – Und das Meer kann eine Schale sein, wenn man seine Grenzen nicht mehr sieht. Manchmal kann man es sich nicht ausdenken, daß es Unglückliche gibt, die Wein und Drogen brauchen, um in künstlichen Paradiesen zu versinken, wo wir doch so wenig in dem leben, was man Bewußtsein nennt (p. 83).

Segue un caso molto interessante perché è probabilmente l’unica svista del traduttore. In questo pezzo abbiamo, nella prima parte di una battuta, ancora una variante con un’eplicitazione a livello sintagmatico: «non ho saputo prevenire il terremoto», che diventa: «ich habe die Kunst nicht verstanden, einem Erdbeben zuvorkommen». Qui la traduzione ha come evidente risultato che il testo in tedesco diventa notevolmente più poetico e più enfatizzato, ma poche righe più in giù, alla fine della battuta, Zweig perde l’occasione di fare riecheggiare nell’affermazione esistenzialista e filosofica di Romeo il «non sappiamo come!», che è poi anche il titolo del dramma, e che ovviamente in tedesco non si può più riconoscere, in un «wir erfahren es nie!». Bice – Forse non hai saputo sorvegliarti! Romeo – Già! Non ho saputo prevenire il terremoto! non è umano, cara, prevenirlo; ed è divino farlo avvenire, come accecare gli uomi-

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zweig traduce pirandello

ni, ogni volta, perché la vita nasca; e che tutte le costruzioni crollino perché la vita si muova! Noi siamo uomini, niente! Tutta la nostra sapienza, niente! Tutto ciò che ci avviene: la nostra nascita, i nostri casi, il nostro destino: come è? Non sappiamo mai come! (p. 160). *** Bice – Aber du tatest es vielleicht eben deshalb, weil du dich nicht überwachen wußtest. Romeo – Freilich, ich habe die Kunst nicht verstanden, einem Erdbeben zuvorzukommen. Es liegt nicht im Wesen der menschlichen Natur, Liebste, ihm zuvorzukommen; aber es ist göttlich, es geschehen zu lassen, wie es göttlich ist, uns Menschen blind zu machen, jedesmal von neuem, damit Leben entstehe; göttlich, daß alles Erbaute einstürzte, damit das Leben nicht stillstehe; göttlich, daß alle Institutionen zusammenbrechen, damit sie sich erneuern! wir sind Menschen – das heißt: nichts! All unsre Weisheit – nichts! Alles, was uns widerfährt: unsere Geburt, unsere Glücksfälle, unser Schicksal: wie kommt das zustande, wir erfahren es nie! (p. 161).

Concludendo, si può affermare che la traduzione che Stefan Zweig fa del dramma Non si sa come di Luigi Pirandello è sicuramente eseguita in modo esemplare sia per la correttezza, che per il rispetto dell’originale. L’intellettuale viennese, pur tendendo ad arricchire qui e lì estetizzando il testo del drammaturgo agrigentino, sostanzialmente non forza quasi mai il testo di partenza e si prende pochissime libertà traduttive. Egli, per esempio non modifica – come forse ci si potrebbe aspettare, visti i suoi precedenti artistici nel campo delle traduzioni – la caratterizzazione dei personaggi pirandelliani, né immette nel testo una sua personale Weltanschauung, ottenendo così un ottimo risultato che fa di questa traduzione in tedesco del dramma pirandelliano probabilmente la più bella e fedele dell’epoca.

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