Emigrazione

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CAPITOLO I L’Emigrazione ciancianese nel XX secolo Il primo riferimento scritto sull’emigrazione ciancianese si trova nel dramma “Gabrieli, lu carusu” di Alessio Di Giovanni, che, pubblicato nel 1908, narra avvenimenti succedutisi a decorrere dal 1893 e legati alla parentesi fasciante, che a Cianciana fu una vera e propria meteora, anche se i disagi di contadini e zolfatari erano identici a quelli degli altri centri dell’Isola. Il rimando all’esodo è esplicito nel secondo e nel terzo atto dell’opera digiovannea (Cummari Filicia: “…so’ frati cci avìa mannatu deci liri di l’America”; fra’ Sarafinu: “Cu‘ avi figghi nni l’America … cu sta figgiulanza è sarvu…”), ma ciò che risulta singolare, meditando sulla notazione, è il fatto che già attorno agli anni ’80 del XIX secolo ci fossero ciancianesi emigrati, perché, proprio in quegli anni, in paese, si poteva parlare di “piena occupazione” al punto che, nella seconda metà del secolo la popolazione, grazie all’apertura delle miniere, passò dai 3815 abitanti del 1852 ai 7306 del 1901. Il fenomeno non è inspiegabile se si considera la crisi dell’agricoltura di quegli anni, il bracciantato diffuso e perciò ricattabile, le speranze legate Fasci (1893-94) e agli scioperi (1904) frustrate, la crisi (che da lì a poco diventerà irreversibile) del settore estrattivo che imponeva sacrifici indicibili. Fu proprio la consapevolezza del malessere, dell’eccessivo sfruttamento e la convinzione che altrove si potevano riscontrare condizioni di lavoro che consentissero un più decoroso tenore di vita e una maggiore dignità ad indurre molti ciancianesi, cittadini valplatanesi di recente acquisizione e con spirito di frontiera innato, a lasciare la propria terra e a masticare pane amaro, mentre in paese arrivava una nuova “orda”, ignara delle reali condizioni di vita e lavoro in miniera e attratta dal miraggio d’un lavoro sicuro e durevole in zolfara. Fu così che i Ciancianesi, nuovi e vecchi, si sparpagliarono per i quattro punti cardinali della terra, dirigendosi negli USA, in Argentina, in Brasile e, in seguito, anche in Venezuela (’Mericazuela), nei paesi dell’attuale UE, in Australia, Canada, SudAfrica, nella Padania, costituendo numerose piccole colonie, attraverso una specie di catena di Sant’Antonio (che non per nulla è il Patrono della Città) per cui il nuovo emigrante si recava là dove sapeva di poter contare, per i primi bisogni in terra straniera, su un parente, un amico, un conoscente, un compaesano già in loco. Rosario, Rive de Gier, Hoddesdon, Cernobbio, Parma e Vicenza sono città dove sono cresciute le Cianciana non siciliane e non stupisca che il 13 giugno i Ciancianesi di Hoddesdon celebrino l’antico Patrono; ma Ciancianesi si trovano anche in Panama, in Guadalupa e in altri impensabili posti. “Ovunque c’è amore c’è un …” recitava un vecchio spot televisivo; parafrasando, potremmo dire “ovunque ci sono uomini c’è un ciancianese”. A descrivere le condizioni psicologiche della partenza, dei debiti contratti per il biglietto e del primo impatto in terra straniera con le sue difficoltà valgano i versi del Poeta (“Tu lascerai ogne cosa diletta / più caramente; … / Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e com’è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”) e il distico d’una canzone napoletana (“Mo tengo qualche dollaro e me pare / che non so‘ stato mai tanto pezzente”), mentre sulle modalità di spostamento, estenuante e avventuroso, rimandiamo, oltre che alla notevole bibliografia esistente, al meritevole lavoro degli alunni della locale Scuola media e alla tesi di laurea del dott. Marcello Martorana, giacente presso la Biblioteca comunale. 1


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