Lettera di Pasqua 2014

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LET TERA PASTORALE PASQUA 2014

Alzati e mangia! Accogliere l’Eucaristia, dono della Pasqua

Mons. Giuseppe Giudice



Nell’immagine di copertina, realizzata dall’architetto Angelo Santitoro, il Risorto, rivestito di Luce, esce dal buio del sepolcro e si presenta con le cicatrici, non più grondanti sangue ma oro, sangue prezioso di Cristo. Un’ala di un Angelo annuncia l’alleluia a tre lacrime, tre donne che piangono, mentre le orme di Pietro e Giovanni, la Chiesa, corrono verso il giardino pasquale. Ed è nel colore rosa, ora che le lacrime sono diventate diamanti, già l’alba del terzo giorno.

Editing Antonietta Abete Progetto grafico Salvatore Alfano Disegno in copertina Angelo Santitoro Supplemento al n° 4 del Mensile Insieme - Aprile 2014


“Vi riunite… spezzando un solo pane. Che è farmaco d’immor talità, antidoto per non morire ma vivere in Gesù Cristo per sempre”. (Sant’Ignazio di Antiochia, Epistula ad Ephesios, 20, 2: SC 10bis, 76 - Funk 1, 230)


PASQUA 2014

Alzati e mangia! Accogliere l’Eucaristia, dono della Pasqua

Lettera pastorale alla Chiesa di Nocera Inferiore - Sarno

Mons. Giuseppe Giudice



Sorelle e Fratelli, par tiamo per essere solidali con ognuno dalla terra del dolore, del disagio, della depressione, da questo piovoso e umido inverno, per incamminarci, accogliendoci l’un l’altro, verso la città della Pasqua, Terra che in Gesù ci è stata promessa. Siamo confor tati dalla saggezza dei nostri anziani, che ci ripetono: “Sotto la neve pane!”, facendoci pregustare già nel freddo dell’inverno la fragranza del pane appena sfornato. Ci facciamo accompagnare nel nostro itinerario verso la luce, che vuole essere un percorso pasquale ad astra per aspera, dalla bella, for te e sempre attuale

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av ventura del profeta Elia, così come ci è raccontata nel Primo libro dei Re (cf 1Re 19). E come dono di Pasqua chiediamo un rinnovato incontro con Lui, il Signore della gioia, ritrovato non nel vento impetuoso e gagliardo, non nel terremoto, non nel fuoco, ma nel mormorio di un vento leggero, nella fragilità e fragranza del pane eucaristico, accogliendo l’invito dell’angelo: Su, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino (1Re 19,7). Nel cammino del profeta, perseguitato e in lotta per la purezza della fede, possiamo evidenziare quattro tappe: 1. Ora basta, Signore! Prendi la mia vita… (1Re 19,4): la prova 2. A lzati e mangia (1Re 19,5): l’aiuto per riprendere il cammino 3. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb (1Re 19,18): il cammino verso Dio 4. Ecco il pane degli angeli… (Sequenza Corpus Domini): le risorse nella Bottega della gioia Ci disponiamo così ad accogliere l’Eucaristia, dono sempre nuovo della Pasqua del Signore, dono della notte in cui fu tradito, dono attuale alla Chiesa, con gioia e stupore.

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Se accogliere è il tema che vuole caratterizzare e qualificare la nostra Chiesa in questo anno, l’accoglienza sempre nuova del pane eucaristico, in tutte le sue sfaccettature, vuole essere il primato che vogliamo dare alla nostra pastorale, ben sapendo che la presenza reale è “reale non per esclusione, come se le altre non fossero tali, ma per antonomasia” (Paolo VI, Mysterium fidei, 57).

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1. Ora basta, Signore! Prendi la mia vita… (1Re 19,4): la prova Elia, impaurito… si inoltrò nel deser to. Desideroso di morire, disse: Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri (1Re 19,3-4). Nel lamento di Elia c’è come la sintesi del grido dell’uomo in alcune stagioni par ticolari della vita. Metto l’accento su quello stato di depressione che incrocia spesso, ed oggi più di ieri per aver perso le reti di protezione, i sentieri degli uomini e delle donne. La mia voce verso Dio: io grido aiuto! La mia voce verso Dio, perché mi ascolti. Nel giorno della mia angoscia io cerco il Signore, nella notte le mie mani sono tese e non si stancano; l’anima mia rifiuta di calmarsi. Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito. Tu trattieni dal sonno i miei occhi, sono turbato e incapace di parlare. (Sal 77, 2-5) «Ora basta, Signore!»: è un lamento, un grido, uno

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sfogo, a cui potremmo dare un volto, un nome, che ha come unico interlocutore il Signore riconosciuto come un Tu, un par tner nella vita: Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto, fammi morire, se ho trovato grazia ai tuoi occhi; che io non veda più la mia sventura! (Nm 11,15). È un grido che penetra il cielo e che, consapevole o non, sale dall’umanità verso l’alto. Urlo lacerante o silenzioso, che appar tiene ad ogni età e condizione. E che squarcia le nubi quando fuoriesce dalle ferite degli innocenti (cf L’urlo di Edward Munch), spaccando l’anima. Solo un altro grido, emesso da un Uomo in croce (cf Mt 27, 45-50), salverà l’uomo dal male di vivere (E. Montale) e darà al pianto dell’uomo il ritrovato ritmo della gioia. Molto spesso il disagio, la depressione, il non gusto per la vita, il male oscuro prendono la strada di casa e abitano i nostri rioni, i nostri cor tili, le comunità. Ad un cer to punto, per chi non conosce i percorsi interiori, sembra che esso esploda all’improv viso, a causa di una malattia, di un lutto, una tragedia, un dissesto economico; per cui, d’un tratto, la vita non ha più sapore, il giorno perde luce e smalto, si smarrisce il gusto di vivere, si è incapaci di concentrarsi, di progettare, di pensare positivamente. I figli, o vanno

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via, o non ci sono mai stati; le persone care sono di là, oltre, i capelli hanno il colore dell’argento, le rughe devastano più il cuore che il corpo e il letto si fa croce (Renzo Barsacchi). Si è come abitati dalla paura; un macigno pesa sul cuore; nebbia fitta av volge ogni cosa (cf Is 60, 1). L’uomo si percepisce nella condizione di dover por tare un peso sproporzionato rispetto alle proprie forze e il cuore, il paese più straziato (Ungaretti), si smarrisce. Sono i giorni in cui ci fa compagnia una tristezza indicibile per una sor ta di fallimento esistenziale che, talvolta, viene addebitato ad altri. Le occupazioni di ogni giorno, che davano serenità e pace, sono messe in discussione, non attraggono, non dicono più niente e le stesse relazioni umane diventano fastidiose e insoppor tabili, per cui si ripete: “non mi soppor to e non soppor to più nessuno”. Come la regina Ester, presa da angoscia mor tale, la persona depressa con i capelli sconvolti, si muove dove prima era abituata agli ornamenti festivi (cf Ester 4, 16-17k). Si sperimenta l’impotenza avendo smarrito la chiave di casa o del posto di lavoro, la passione per il futuro e il progetto. Il sogno svanisce, e non solo all’alba, e tutto diventa evanescente. Ci si affaccia al pozzo dell’angoscia o di solitudini fino ad allora impensate.

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I motivi possono essere molteplici, o apparentemente non esiste un motivo scatenante; si fa strada una disistima, non ci si sente compresi, accettati; a qualcuno viene anche il dubbio che stiamo fingendo, che non vogliamo uscirne fuori; ed è questo non essere capiti nel tempo difficile la sofferenza maggiore per le persone che vivono la depressione, la non accoglienza. Su di essi volano pensieri cupi, di mor te, che imprigionano o uccidono giorno per giorno la voglia di vivere. Nell’Evangelii gaudium, Papa Francesco ha stigmatizzato questa realtà anche a livello pastorale, quando nei numeri 81- 86 dice: “Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Da qui deriva che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole e, a volte, facciano ammalare. Non si tratta di una fatica serena, ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata. Questa accidia pastorale può avere diverse origini. Alcuni vi cadono perché por tano avanti progetti irrealizzabili e non vivono volentieri quello che con tranquillità potrebbero fare. Altri, perché non accettano la difficile evoluzione dei processi e vogliono

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che tutto cada dal cielo. Altri, perché si attaccano ad alcuni progetti o a sogni di successo coltivati dalla loro vanità. Altri, per aver perso il contatto reale con la gente, in una spersonalizzazione della pastorale che por ta a prestare maggiore attenzione all’organizzazione che alle persone, così che li entusiasma più la “tabella di marcia” che la marcia stessa. Altri cadono nell’accidia perché non sanno aspettare, vogliono dominare il ritmo della vita. L’ansia odierna di arrivare a risultati immediati fa sì che gli operatori pastorali non tollerino facilmente il senso di qualche contraddizione, un apparente fallimento, una critica, una croce” (EG 82). Ma questa stagione, che può apparire difficile, crocifiggente, può diventare il tempo del cammino nella valle oscura (Sal 22, 4), della notte della fede nella quale si sperimenta anche il silenzio di Dio. È un tempo difficile, provato, ma cer tamente non inutile. È il momento della prova, della tentazione, dell’oro saggiato nel crogiuolo, che può diventare, se accolto con attenzione, un tempo di grazia. Ci riscopriamo creature, bisognose di tutto; ci scontriamo con il limite, la sofferenza, la mor te; perdiamo i sogni di onnipotenza o i pensieri di autodistruzione e solo così la nostra pover tà creaturale ci appare, ed è il primo gradino per la risalita, più una condizione che una colpa. Il peccato, già all’origine

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di ogni squilibrio umano, si affaccia solo dopo nello spazio della nostra liber tà. Essere creature, cioè avere un inizio, una fine, stancarsi, inquietarsi, ammalarsi, innamorarsi, bloccarsi non è una colpa, ma è la condizione dell’homo viator, creato ad immagine e somiglianza di Dio, ma che non è Dio. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce (GS 36). L’uomo, sempre in attesa di una parola che vinca l’assurdità della mor te, è carne crocifissa, pronto ad accogliere il Crocifisso, lacrima di Dio (Alda Merini). Allora dobbiamo accettare, serenamente, che come il fisico ha bisogno di cure, così anche l’anima, la psiche, lo spirito abbisognano di buoni medici e ottime medicine. Qui scienza e fede si incontrano per ser vire l’uomo: i medici e il Medico celeste sono indispensabili per riprendere la strada della gioia. Può essere di grande aiuto, cer to sapendo discernere i contesti, la testimonianza dell’Apostolo: Per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle

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mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. (2Cor 12, 7-9) La depressione, con il suo alto costo umano e sociale, è un lungo venerdì santo. È nostalgia della comunione e della cena del giovedì santo. È silenzio ed attesa del sabato santo. Un lunga passione, bisognosa di comprensione; tre giorni, però, che sfociano nell’alleluia pasquale, sintesi di un recuperato equilibrio umano-spirituale, perché quando sono debole, è allora che sono for te (2Cor 12, 10).

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2. A lzati e mangia (1Re 19,5): l’aiuto per riprendere il cammino A lzati e mangia! Ed è in questo momento che un angelo (una persona cara, un amico, un sacerdote, un medico, un libro, un film, uno psicologo...) ci tocca e dice: alzati e mangia! (1Re 19,5). Dio viene a noi con la carezza di un angelo, che a volte è niente nel vocabolario umano. Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi (1Re 19,6). È sempre il Signore che ci manda qualcuno: i corvi gli portavano pane al mattino (1Re 17, 6). Alzati: è l’imperativo della vita, il verbo della risurrezione, il vocabolario di Dio. Alzarsi a mangiare vuol dire riprendere la vita con il suo gusto e i suoi sogni. Talità kum, che significa: Fanciulla, io ti dico, alzati! (Mc 6, 41) Il profeta ubbidisce. Si fida. Si affida. Mangia la focaccia e beve l’acqua, ma poi torna a coricarsi. Se il sonno, da un lato è fuga dalle responsabilità, dall’altro è tempo necessario di riposo per poi poter meglio servire e riaccogliere la vita. Ci vuole del tempo per uscire dalla terra della depressione e dell’accidia. Ci occorre un buon padre spirituale, una forte figura

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di riferimento, un padrino o una madrina, capaci di prendere per mano ed accompagnare nel cammino della vita. Queste figure, oggi più di ieri, sono necessarie, specialmente in questo tempo nel quale tante famiglie hanno delegato la formazione dei figli a diverse agenzie, anche e soprattutto virtuali. La mancanza di padri, e anche di padri spirituali, ha determinato uno spaesamento che uccide la speranza e toglie il respiro, bloccando la maturazione umana e spirituale. Il fai da te a livello educativo è deleterio e dannoso per il cammino. Bisogna investire nuovamente e con urgenza nella sfida educativa e nella formazione. Per uscire dalla terra della noia e del non senso, è necessaria la morte del Figlio dell’uomo. Voi piangerete e vi rattristerete… voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia (Gv 16,20). Nel tempo dell’attesa, nel buio del sepolcro, mentre il seme marcisce, l’accento deve essere posto sulla gioia che verrà. Nel tunnel bisogna avere una certezza: Non temo alcun male perché tu sei con me (Sal 23, 4). È consolante affidarsi e credere alle parole del grande Medico: Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (Gv 14, 1). È l’ora in cui, aiutati dalla comunità familiare e parrocchiale, si deve ripetere con insistenza: Aumenta la nostra fede! (Lc 17, 6), anche se la preghiera si fa gocce

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di sangue. Perché Dio non è là, in fondo, alla fine. Dio è qui, presente, in mezzo, dentro. Dio esiste, io l’ho incontrato, è caparra, anticipo di resurrezione ed è garanzia di riuscita. «Alzati e mangia!»: è parola della mamma, dello sposo, dell’amico, parola della consolazione e della tenerezza di Dio. Mettendo la nostra mano in quella di Maria, Mater mea – Fiducia mea, possiamo riprendere il cammino perché Egli mette pace nei tuoi confini e ti sazia con fior di frumento (Sal 147, 14). Sì, vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre. Ecco, si perderà chi da te si allontana; tu distruggi chiunque ti è infedele. Per me, il mio bene è stare vicino a Dio; nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere. (Sal 73, 26-28) Ed è certa la parola di Gesù: Ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo (Gv 16, 33). Aggrappati a Lui, stretti in Lui, con Lui, sempre si vince, si esce dalla terra della morte, perché questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede! (cf 1Gv 5, 4)

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3. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb (1Re 19,18): il cammino verso Dio Viene di nuovo l’angelo del Signore: Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino (1Re 19, 7). Dio è paziente, Dio è fedele, ama insistentemente e non si stanca della stanchezza dell’uomo. Dio non molla. È tenace. Mi vuole bene e vuole il mio bene, perciò insiste, mi aspetta, viene a cercarmi nella notte per ripor tarmi alla luce. È troppo lungo il cammino della vita per tornare, felici, tra le braccia del Padre e non più dispersi nelle molte strade tra grattacieli di inutili cose (Tagore). È la scoper ta di avere dentro la forza di camminare: … nel profondo dell’inverno finalmente ho scoper to dentro di me una invincibile estate (A. Camus). La strada è là, la croce è ancora là, ma ora si ha il coraggio di andare, perché so in chi ho riposto la mia fiducia (2Tm 1, 12) e a chi ho affidato la mia vita. Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, por tando sempre e dovunque nel nostro 20 - APRILE 2014


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corpo la mor te di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. (2Cor 4, 7-10). La vita e la mor te di Gesù, dono pasquale, sono in quel pane di Elia, che allude all’Eucaristia perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili; ma su quelle invisibili (2Cor 4, 18). Dono eucaristico: Corpo, Sangue, Anima e Divinità: è Gesù presente nell’Ostia e nel Calice, veramente, realmente, sostanzialmente. È pane disceso dal cielo, pane nutriente ed energetico perché fragile e semplice. Chi ne mangia non muore. Chi ne mangia ha la vita. Chi ne mangia risorge. Chi ne mangia dimora in Dio ed è abitato da Dio. Chi ne mangia scopre il senso della vita: vivere in Lui e per Lui. Allora tutto ha senso. Chi ne mangia è felice, esce dalla solitudine ed è immerso nella gioia. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb (1Re 19. 8). L’accoglienza di questo pane, disceso dal cielo per sfamare la terra, e un sorso di vino sono il nutrimento, il sostegno e il medicamento, farmaco di immor talità, per il nostro cammino verso il Regno.

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4. Ecco il pane degli angeli… (Sequenza Corpus Domini): le risorse nella Bottega della gioia Pellegrini sulle strade polverose della storia, sostenuti dal suo Corpo fino a quel giorno quando lo guarderemo negli occhi, faccia a faccia, e non gli chiederemo più nulla (cf Gv 16, 23), noi abbiamo bisogno del pane degli angeli per il nostro cammino e per la nostra salute.

Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non dev’essere gettato. Ecce Panis Angelorum, factus cibus viatorum: vere panis filiorum, non mitténdus anibus. Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a mor te, nell’agnello della Pasqua, nella manna data ai padri.

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In figuris præsignatur, cum Isaac immolatur, Agnus Paschæ deputatur, datur manna patribus. Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, por taci ai beni eterni nella terra dei viventi. Bone pastor, panis vere, Jesu, nostri miserere: Tu nos pasce, nos tuere, tu nos bona fac videre in terra viventium. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi. Amen. Tu qui cuncta scis et vales, qui nos pascis hic mor tales: Tuos ibi commensales,

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coherédes et sodáles fac sanctorum civium. Amen. Questo pane, Gesù, viene offer to ogni domenica in parrocchia, la Bottega della gioia. Prendete e mangiate, prendete e bevete, perché la Chiesa dispone della gioia, di tutta la par te di gioia riser vata a questo triste mondo (G. Bernanos). Forse è arrivato il tempo, condotti dalla misericordia di Dio, di riscoprire for temente nelle nostre comunità la comunione spirituale, che è ricchezza della tradizione ecclesiale e può essere ampliata nel suo significato profondo, che mai deve mancare e venir meno per tutte quelle persone, ed oggi sono tante, che vivono situazioni irregolari, ma por tano dentro un grande desiderio di par tecipare alla comunione della mensa eucaristica. La tavola è sempre imbandita per tutti, anche se ognuno, come av viene ai pranzi, par teciperà e mangerà tenendo presente la propria condizione, la salute spirituale, e la dieta alla quale è chiamato. Par tecipiamo perché siamo stati invitati, ma non ci dobbiamo mai sentire allontanati dalla tavola, ed ognuno, esaminando se stesso, in coscienza e illuminato dalla grazia, saprà se e come accostarsi alla

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tavola eucaristica. Ci av ver te l’Apostolo: Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono mor ti. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo. Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. (1Cor 11, 28-34) Per uscire dal carcere della depressione antropologica, culturale, pastorale, abbiamo bisogno di far prov vista di gioia, gratuitamente donata. Ogni domenica la Chiesa, Madre della gioia, ci ripete: Su, alzati e mangia! e apparecchia per noi la tavola eucaristica. Beati gli invitati alla cena del Signore! E ci accorgiamo che ogni percorso pastorale che non conduce all’altare è destinato a fallire, a produrre massa, ma non comunità, perché viene a mancare il principio della comunione, l’Eucaristia che fa la Chiesa. Ma c’è una lista da tener presente ogni domenica

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per sfamarsi di gioia. Ci occorre l’acqua del battesimo e le lacrime della penitenza; il sale della sapienza e la luce della Parola; il pane degli angeli e il vino che allieta il cuore dell’uomo; l’olio che fa brillare il volto con la vir tù della for tezza e un pizzico di passione per ogni frammento di carne e di sangue. Sono elementi essenziali per imbandire la mensa della speranza, solo così la farina della giara non verrà meno e l’orcio dell’olio non diminuirà (1Re 17. 6). Ed ecco che una voce, voce della Pasqua, si rivolge anche a noi e dice: Che fai qui, Elia? Su, ritorna sui tuoi passi. (1Re 19, 14-15) Cer tamente non è un tornare indietro, non è prendere la scorciatoia, ma è un dirigersi verso Gerusalemme, incamminandosi ormai per un’altra strada (Mt 2, 12). E ci accorgiamo che, accogliendo il germe della risurrezione come un lievito e come una carezza, anche in tutte le nostre comunità si innalzerà il canto nuovo della risurrezione. E se, sfamati da Dio, ci alzeremo dalla tavola eucaristica e avremo l’animo disposto a stare dietro al Risor to, lo vedremo ovunque perché Egli sempre ci precede e insieme approderemo alla Città della gioia e, con la meraviglia negli occhi, contempleremo la bellezza pasquale: Le tue piazze, Gerusalemme, saranno lastricate di

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oro puro, risuoneranno in te inni di gioia, e in tutte le tue case canteranno: alleluia. (cf Tb 13, 17-18) Pasqua di Risurrezione, 20 aprile 2014

Vi benedico †Giuseppe, Vescovo

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Mons. Giuseppe Giudice è vescovo della Diocesi di Nocera - Sarno (SA) dal 2011. Nato a Sala Consilina (SA), il 10 settembre 1956, è stato ordinato sacerdote il 27 settembre 1986. Il 24 marzo del 2011 è stato chiamato dallo Spirito ad una nuova avventura: il 13 maggio riceve la consacrazione episcopale attraverso l’imposizione delle mani del cardinale Agostino Vallini, il 4 giugno fa il suo ingresso nella Diocesi di Nocera Inferiore - Sarno. Ha scritto diversi testi di poesie pubblicati nel volume Dilexit Ecclesiam (2007). Nel 2011 ha pubblicato Frammenti di luce, poesie per raccontare la vita, Edizioni Gutenberg. Per la LEV nel 2013 ha pubblicato una Via Crucis, Come se vedesse l’invisibile (Eb, 11,27). Nel 2014 ha pubblicato Come un prodigio. Dialogo tra Anna e Gioacchino per Generare futuro con l’Editrice Punto Famiglia. Nello stesso anno ha pubbicato il libro di poesie In attesa di un angelo, con l’Editrice Insieme. Ha firmato numerose Lettere pastorali. Per il Natale del 2011 ha scritto ai bambini dell’Agro­­­-Nocerino Sarnese la Lettera Prisco e il filo della gioia. L’anno successivo ha continuato a tessere il suo racconto con Una gioia grandissima - Scrivo a te giovane Prisco. Per il Natale 2013 ha pubblicato Prisco in famiglia. L’asino e il bue - Dialogo nella notte santa. Le Lettere pastorali del vescovo Giudice saranno oggetto di una tesi di specializzazione in Teologia Pastorale profetica per analizzare il racconto come strumento di catechesi ed evangelizzazione.



EDITRICE INSIEME via Vescovado, 4 84014 Nocera Inferiore (Sa) Telefono 081 517 04 66 redazioneinsieme@alice.it vescovo@diocesinocerasarno.it www.diocesinocerasarno.it


Dono dell’Eucaristia e disagio interiore: sono questi i due tasselli intorno ai quali si sviluppa la Lettera pastorale per la Pasqua del vescovo Giuseppe Il disagio, la depressione, il non gusto per la vita spesso prendono la strada di casa e abitano i nostri rioni e le comunità. D’un tratto la vita non ha più sapore e ci fa compagnia una tristezza indicibile per una sorta di fallimento esistenziale. Scrive il Vescovo: «Dobbiamo accettare, serenamente, che come il fisico ha bisogno di cure, così anche l’anima, la psiche, lo spirito abbisognano di buoni medici e di ottime medicine». Scienza e fede sono chiamate ad incontrarsi per servire l’uomo: i medici e il Medico celeste sono indispensabili per riprendere la strada della gioia. «Occorrono figure di riferimento - padre spirituale, padrini e madrine - capaci di prendere per mano e accompagnare nel cammino della vita», aggiunge. Senza dimenticare che in questo percorso non siamo soli, a sorreggerci c’è l’Eucaristia, il pane disceso dal cielo, offerto ogni domenica in parrocchia, la Bottega della gioia. Chi ne mangia non muore.


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