Lettera di Pasqua 2015

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Nella stanza al piano superiore (At 1,13)

Mons. Giuseppe Giudice



è densa di simboli e richiami biblici l’immagine di copertina realizzata dall’architetto Angelo Santitoro. Tre finestre e un lucernaio fanno da sfondo alla sala al piano superiore nella quale Gesù chiede di celebrare la Pasqua. Il numero tre simboleggia il mistero pasquale, ma anche le tre virtù teologali: l'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene. Il vento dello Spirito soffia e con la sua potenza solleva le tende, permettendo di scorgere ad un occhio attento la Madre di Gesù, la stella ad otto punte che brilla nel cielo terso di blu. Nella sala, dodici cuori siedono a tavola. Al centro troneggia quello grande e generoso di Gesù dal quale sgorga una goccia di sangue, preludio del mistero eucaristico, dono grande per la Chiesa e per ciascuno. Alla sua destra, siede il discepolo che egli amava. A sinistra, invece, scorgiamo Pietro a cui Gesù affida la Chiesa. Le anfore in ordine segnano la differenza con il piano inferiore, dove regna il buio e l’imperfezione. In questo disordine, morale e materiale, c’è il cuore nero di Giuda insieme ai trenta denari, i pochi spiccioli in cambio dei quali vende la vita del Maestro. Otto sono gli scalini per accedere alla sala alta, come i giorni della settimana. L’ottavo giorno, memoriale della Resurrezione di Cristo, Pasqua settimanale, appuntamento stupendo per ricentrare la nostra vita e i nostri affetti su Gesù, morto e risorto per tutti.


STAMPATO CON IL CONTRIBUTO DELL’ISTITUTO DIOCESANO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO Via Vescovado, 4 84014 Nocera Inferiore Tel. 081 517 92 30 idsnocerasarno@gmail.com vescovo@diocesinocerasarno.it www.diocesinocerasarno.it

Editing Antonietta Abete Progetto grafico Salvatore Alfano Disegno in copertina Angelo Santitoro



“Il corpo stava al centro…, ma non sembrava carne che bruciasse, bensì pane cotto oppure oro e argento reso incandescente. E noi sentimmo tanta soavità di profumo, come di incenso o di qualche aroma prezioso” (dalla ‘Lettera della Chiesa di Smirne sul martirio di Policarpo’ cc. 132-15,3; Funk 1,297-299)


Nella stanza al piano superiore (At 1,13)

LETTERA PASTORALE per la Santa Pasqua 2015

Mons. Giuseppe Giudice Vescovo di Nocera Inferiore - Sarno


I

l primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?”. Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. (Mc 14,12-16)


Lettera Pastorale per la Santa Pasqua

Sorelle e Fratelli, Chiesa pellegrina in Nocera-Sarno, la celebrazione della Pasqua inizia con una domanda che, il primo giorno degli Azzimi, i discepoli rivolgono a Gesù: Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua? (Mc 14,12). La Pasqua, che è il cuore della nostra fede, nasce innanzitutto da una domanda rivolta al Maestro, Cristo, nostra Pasqua (1Cor 5,7), e richiede persone che si impegnino a prepararla innanzitutto nella stanza della loro vita. Senza domanda non può esserci offerta e proposta, non ci può essere accoglienza della festa cristiana; per questo motivo, più che affannarci per dare risposte Aprile 2015 - 9


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nella pastorale, noi dobbiamo attivarci per suscitare e far nascere domande, per far rifiorire sulle labbra della nostra gente, a cominciare dal più piccolo, l’antica domanda, che prelude al racconto-memoriale della Pasqua: Che significato ha per voi questo rito? Che significa ciò? (Cf Es 12,26; Dt 6,20-25; Es 13,14-16). È lo stupore dinanzi alla manna, al pane leggero, che scende dal cielo, che nella domanda Man hu: che cos’è? (Es 16,15), deve riaffiorare nella nostra vita per farci apprezzare nuovamente il dono di Dio, altrimenti scontato o banalizzato. Con i discepoli, e come i discepoli, mentre da calendario la festa si avvicina e ce ne accorgiamo anche dalla brezza di primavera, noi come Chiesa oggi domandiamo al Maestro: Dove vuoi che prepariamo per la Pasqua? Questa è la domanda che, sinceramente posta, può introdurci nella sala della festa, e sarà solo quando riusciremo a far salire dal cuore alle labbra le domande che, nuovamente e con rinnovata coscienza, potremo ricominciare ed iniziare al grande racconto della Pasqua. La domanda è segno di un desiderio che si accende, di un interesse e può aiutarci a far rinascere l’attenzione per il dono evitando di dare le cose sante ai cani e di 10 - Aprile 2015


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gettare le perle davanti ai porci (cf Mt 6,6), in una indifferenza che, nel nostro mondo, tutto umilia e mortifica.

Andate in città Alla domanda fa seguito la risposta del Maestro che, mandando due discepoli, dice loro: Andate in città. La Pasqua si celebra nella città, nel groviglio della vita e degli affetti; nel traffico del bene e della sofferenza, nei bassifondi della povertà, dentro il caos quotidiano, che sempre vuole ridiventare kosmos, luogo non caotico ma profumato. E non può essere una città qualunque, perché Gerusalemme è la città della Pasqua; Gerusalemme è il luogo dove Dio è, dove ognuno è nato (cf Sal 87,5-6), e perciò non potrai immolare la Pasqua in una qualsiasi città che il Signore, tuo Dio, sta per darti (cf Dt 16,5). Per questo motivo, Gesù dice: Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà (Mc 10,33-34). Gerusalemme, là è Dio, città della Pasqua, è il luogo dove si compie il mistero della volontà del Signore; è il luogo della suprema fedeltà al progetto divino e della consegna della vita che si fa, liberamente, olocausto d’amore. Aprile 2015 - 11


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Andare in città, rischiando di imbattersi non in una architettura ordinata ma nelle coordinate della complessità umana, vuol dire scegliere come credenti non l’intimismo, la chiusura, la nicchia, ma il mischiarsi nella vita e nella morte di ogni uomo, anelante alla Pasqua, sapendo che il Crocifisso abita i crocicchi della storia e staziona dove il sangue scorre e si raggruma. Ancora oggi, nonostante i nostri silenzi, Dio abita le nostre città, non solo i templi, e in esse costruisce gli altari dove si offrono i sacrifici delle solitudini, delle disperazioni e delle prove e prepara un luogo per la celebrazione della Pasqua, che è il sacrificio e la consumazione dell’Agnello, il cui sangue bagna gli stipiti delle porte e le difende.

Vi verrà incontro un uomo La città è abitata da Adamo e ogni uomo è Adamo; la città è il domicilio dell’uomo, di ogni uomo, che a Pasqua è redento da Cristo e rivestito di Lui. Sì, ogni uomo è Adamo e ogni uomo è Cristo. Un uomo viene incontro a coloro che, mandati dal Signore, devono preparare la Pasqua. In ogni nostra ricerca delle cose di Dio, non dimentichiamo che sempre Egli ci precede venendoci incontro. 12 - Aprile 2015


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Nei vicoli del nostro spasmodico cercare, Egli ci viene incontro, via nuova e vivente (Eb 10,20), nei panni di un povero uomo, di uno straccione, per ricordarci che ogni nostro cercarlo è preceduto dal suo cercarci, dal suo amarci per primo, dal primato della grazia che sempre precede e previene. Tutto lo sforzo dell’uomo per raggiungerlo è vanificato e sostenuto da questo venirci incontro di Dio che si fa uomo (cf Gv 1,14), per cui il nostro tentativo di salire a Lui, è anticipato dal suo discendere fino a noi, anzi fino agli inferi. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico (cf Lc 10,30): un uomo è il mio prossimo; un uomo è la veste che Dio sceglie per venirmi incontro; un uomo, ogni uomo, è la periferia che, in Cristo, Dio raggiunge per fare Pasqua con noi lasciando Gerusalemme, perché è venuta l’ora in cui Dio si adora, né su questo monte né in Gerusalemme, ma nello Spirito e nella Verità, Corpo di Cristo, nuovo Tempio, e carne di ogni uomo (cf Gv 4,19-24). Un uomo senza tessera, senza colore e di tanti colori, senza appartenenza politica o religiosa, senza divise; semplicemente un uomo, ogni uomo, affinché tutto l’uomo, non dimezzato e mortificato, entri nello spazio libero e liberante della Città santa attraverso la carne del solo Uomo. Solo in Gesù Cristo, infatti, nel quale “trova vera Aprile 2015 - 13


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luce il mistero dell’uomo” (GS 22), il nuovo umanesimo può ritrovare la cifra per recuperare l’alfabeto dell’umano e scrivere ancora il racconto della Pasqua. E questo uomo, che mi viene incontro sapendo che provengo dai deserti della vita, ha con sé una brocca d’acqua per dissetarmi, per invitarmi alla purificazione perché egli sa che, senz’acqua, non c’è vita e l’acqua deve essere sempre il segno di Colui che sulla Croce ha detto: Ho sete (Gv 19,28) e ad un donna ha chiesto: Dammi da bere (Gv 4,7). Quest’uomo con una brocca d’acqua è immagine stupenda del sacramento pasquale della riconciliazione, dell’acqua novella che, nella notte della Veglia, sgorga dal fonte nuovo per rinfrescare e ringiovanire la vita di tutta la Chiesa e di ogni battezzato nella Pasqua di Cristo. Per fare Pasqua è necessario essere attenti all’indicazione del Maestro: seguitelo. Per trovare la stanza al piano superiore, posta nel cuore della città, bisogna seguire quest’uomo che ci viene incontro con una semplice brocca d’acqua, per ricordarci che Dio è disceso dal cielo e si è fatto uomo, proprio per noi uomini e per la nostra salvezza. Ed è proprio questo farsi uomo di Dio l’originalità del cristianesimo, da non perdere e da non disperdere.

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Dov’è la mia stanza? Il percorso verso la Pasqua che ci ha fatto entrare in città, ora ci rende questuanti alla ricerca della stanza; per cui al padrone di casa, è posta l’altra domanda che, su indicazione del Maestro, orienta verso la festa: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Anche se c’è un padrone, meglio dire un custode, la stanza, cioè la Chiesa e in essa l’eucaristia, è sempre e solo del Signore; Egli dichiara: la mia stanza e i miei discepoli. Siamo suoi, solo suoi, sua proprietà, anche quando abitiamo i pianerottoli della nostra storia pensando di esserne i padroni. Qui, nell’offerta e nel distacco, noi celebriamo la nostra libertà; liberi da ogni possesso, radicati solo nel dono e nella gratuità. I martiri, di ieri e di oggi, hanno trovato sempre nell’eucaristia la chiave della libertà, frutto della verità, e il senso della vita. Non basta, allora, entrare in città; si può entrare anche per distruggere o rimanere estranei, di passaggio, non attenti alla vita degli uomini che vi abitano, come ospiti distratti o consumatori non attratti dal bello. Nel cuore della città bisogna cercare la casa e, nella casa la stanza, cioè il luogo intimo, lontano dal fragore e dall’indifferenza, dove è possibile consumare la cena con i discepoli, gli amici. Aprile 2015 - 15


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La celebrazione pasquale esige questo percorso verso una stanza, in una casa, nel tumulto della città, per ricordare ad ognuno, ad ogni uomo, che c’è un luogo intimo, familiare, amicale, dove Adamo non deve nascondersi e dove Gesù sempre ci raduna per fare Pasqua con noi, salvandoci dalla dispersione e dalla disperazione. Questo luogo è innanzitutto la famiglia, famiglia nuova che nasce intorno a Gesù, spazio di intimità, dove i sacerdoti, che sono i genitori, devono riprendere il grande racconto della Pasqua per trasmettere ai figli la speranza che ogni esodo è cammino verso una terra promessa. La famiglia, ogni famiglia, di sangue o di fede, è il luogo dove possiamo sentirci a casa, al sicuro, protetti, mentre fuori infuria la tempesta e passa l’angelo sterminatore. Distruggere la famiglia, quale luogo di incontro tra le generazioni, vuol dire rubare ad ogni uomo la speranza della Pasqua e lasciarlo ramingo nel cuore della notte. Questo luogo sicuro deve essere anche la comunità cristiana, famiglia di famiglie, spazio per chi non ha famiglia, dove ancora oggi Gesù ci raduna per mangiare la Pasqua con i suoi e introdurci all’esegesi della vita e del mistero pasquale.

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Vi mostrerà al piano superiore una grande sala La sala dove si consuma la Pasqua è al piano superiore; è la sala alta che non può confondersi con il piano terra della nostra mediocrità, ed è una sala grande, ampia, capace di accogliere ogni frammento di umanità e le speranze di tutti gli uomini. La fede, la Chiesa, l’eucaristia ci invitano a salire al piano superiore, a staccarci, per così dire, dalle cose di ogni giorno per accedere, con cuore rinnovato, alle stanze di Dio. L’eucaristia, cioè la celebrazione della Pasqua del Signore, deve sempre collocarsi nella stanza al piano superiore, dove siamo invitati a salire per cenare con Lui, posare il capo sul suo petto, per poi ridiscendere e incontrare il Getsemani, la notte dell’abbandono e del tradimento, la lotta all’ombra degli ulivi tra la nostra e la sua volontà. Sempre, nonostante la nostra indegnità, l’eucaristia ci porta nella sala al piano superiore, che sarà riempita di vento, odorosa di pane e spumeggiante di vino; segnata dai gesti e dalle parole del Maestro, dove a tavola noi risentiamo le parole nuove, le parole eterne, le parole dettate dallo Spirito che, ogni volta dopo quella prima Cena, fanno di un po’ di pane il suo Corpo e di un sorso di vino il suo Sangue prezioso, raccogliendo i tanti chicchi e i tanti acini nell’unica Chiesa: grana multa, una hostia. Aprile 2015 - 17


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Sì, nel Cenacolo, stanza sopraelevata, sala della Cena collocata ai piani alti, noi comprendiamo con stupore rinnovato il grido che ci risveglia nel cuore della Messa: Sursum corda: In alto i nostri cuori! Nel tempo, in attesa della risurrezione finale dei corpi, il cuore può e deve risorgere, dopo ogni passione e ogni notte della croce, dopo ogni morte che ci portiamo nel cuore. Ed è proprio il cuore, in primis, la grande sala, arredata e già pronta, il nostro cuore, il centro di ogni realtà e di ogni decisione, lo stanzino interiore, il luogo dove il Signore vuole salire per celebrare la sua Pasqua, mentre ci ripete: Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione. (Lc 22,15) Il cuore in festa, cioè in grazia di Dio e senza peccato, vestito a festa anche quando per tanti motivi si è incapaci di fare festa, è il luogo della Pasqua, del passaggio e della passione del Signore; ed è dal cuore, purtroppo non in festa, che escono i propositi del male (cf Mc 7,20-23); ma è con il cuore che si crede per ottenere la giustizia (cf Rm 10,10). Pasqua settimanale, la Domenica, sala alta, non più per un obbligo ma per il desiderio e la necessità di un incontro, ridiventa il luogo e il tempo non per vivere l’intimismo religioso, oggi di moda, ma per fondarci, andando a messa vestiti a festa, nella radicalità evangelica, ricentrando la nostra vita e i nostri affetti e tutte le attività su Gesù, morto e risorto. 18 - Aprile 2015


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i siamo lasciati rubare il settimo giorno, lo abbiamo barattato con la cultura del weekend (dove i poveri sono ancora più poveri, gli animali ancora più soggiogati, gli stranieri ancora più stranieri). E la notte del settimo giorno sta inesorabilmente abbuiando gli altri sei. La terra non respira più, e a noi manca la sua aria. Abbiamo il dovere di ridonarle e ridonarci respiro, di ridonarlo ai nostri figli che hanno diritto a vivere in un mondo con un giorno diverso in più, a rifare l’esperienza del dono del tempo e della terra. Ma possiamo ancora sperare. La profezia del settimo giorno non è morta, la Bibbia l’ha custodita per noi. Con essa ha custodito il suo giudizio sui nostri sei giorni diventati sette tutti identici, e ha conservato, sempre per noi, la sua promessa. La parola è viva, genera e ci rigenera sempre. Ci ridona tempo e terra, ci allarga gli orizzonti, ci fa sentire e vedere cieli più limpidi: «Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d’Israele. Essi videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di lapislazzuli, limpido come il cielo» (Es 24,9-11). (cf Luigino Bruni, Le levatrici d’Egitto/15 in Avvenire del 16/11/2014)

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La sala alta dove sempre dobbiamo restare ancorati con il cuore per vedere il cielo, ci ricorda la preziosità del sacerdozio di Cristo; la bellezza della vocazione; la specificità del gesto della lavanda dei piedi e il sapore sempre nuovo della condivisione eucaristica, senza la quale non siamo Chiesa. Sala alta è la stanza del Cenacolo, il luogo della cena, il tabernacolo della presenza, lo spazio del grazie e della gratitudine, l’altare del sacrificio, l’ambiente del servizio sincero, il luogo dove siamo educati alla comunione ed abilitati alla missione con uno stile originale ed evangelico. Sala alta, l’eucaristia, è il monte della Trasfigurazione, dove è bello rimanere con il Signore, ma da dove ci è stato detto che dobbiamo scendere a valle trasfigurati. Sala alta è il tenore della nostra vita che, rimanendo ancorata al Cenacolo e alla Croce, non può smarrirsi o confondersi, quasi omologandosi, nei sobborghi di una civiltà senza Dio, ma le è chiesto di non conformarsi a questo mondo, ma lasciarsi trasformare rinnovando il modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (cfr. Rm 12,2). Nella stanza al piano superiore, che è la Chiesa e nella Chiesa l’eucaristia, dobbiamo riprendere la grande tradizione eucaristica e ricomprendere il valore inestimabile del tesoro, il suo Corpo e il suo Sangue, posto nelle nostre povere mani. Aprile 2015 - 21


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La sala addobbata richiama anche alla bellezza della liturgia, alla qualità delle nostre celebrazioni che, semplici, sobrie, solenni, mai sciatte, devono farci incontrare con la bellezza di Dio, Bellezza antica e sempre nuova. Rimanendo nella sala alta, dove si respira la presenza di Gesù, il grande assente dai nostri incontri, chiediamoci come trattiamo le nostre eucaristie, come le prepariamo, e se abbiamo il coraggio di salire, al di sopra delle nostre abitudini e mediocrità, verso i sogni di Dio, nascosti nel pane e nel vino e affidati alla libertà delle nostre mani. Nella sala al piano superiore, l’eucaristia, Gesù continua a radunarci, a parlarci, ad incoraggiarci, a lavarci i piedi; prende il pane, lo benedice e lo spezza per noi; prende il calice, rende grazie, e lo dona a noi mentre ci ripete: fate questo in memoria di me (Lc 22,19). E noi? Sappiamo accogliere grati il suo dono, o come Giuda usciamo nella notte dopo aver preso il boccone, per andare a tradirlo? Dalla sala alta, dopo aver mangiato e bevuto, si può scendere dopo aver cantato l’inno (Mc 14,26) verso la passione e la morte, che aprono al mattino di Pasqua, o correre disperati verso la morte che muore nella notte: egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. (Gv 13,30)

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La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. (Gv 20,19) Dove andarono i discepoli dopo lo sfacelo della Croce, la sera di quel venerdì intriso di lacrime, sangue e paura? Ritornano nel Cenacolo, nella stessa sala dell’amore consumato, chiusi a chiave per paura dei giudei o per risentire la forza delle sue parole, la tenerezza della sua voce, il tintinnio dell’acqua nel catino, la fragranza del pane e l’odore del vino? E il Risorto, passando attraverso le porte chiuse della vita, li raggiunge nell’unico luogo dove nasce l’amore che si fa sacrificio: il Cenacolo eucaristico che, mentre è fatto dalla Chiesa, fa la Chiesa. È sempre al Cenacolo che dobbiamo tornare, dopo ogni notte crocifissa, per avere la certezza di essere raggiunti dal suo Amore, dal suo Spirito, dal suo Perdono e dalla sua Pace. L’eucaristia ha questo potere ed è questo luogo teologico di perenne rigenerazione dove sempre si nasce e, continuamente, si rinasce. Proprio per non perderci nel traffico del mondo e della complessità pastorale, dobbiamo rimanere ancorati continuamente con il cuore alla sala alta, la sala eucaristica: In essa infatti abbiamo come un’àncora sicura Aprile 2015 - 23


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e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come precursore per noi, divenuto sommo sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchìsedek (Eb 6,19-20). Lo dobbiamo fare soprattutto quando, mandati a lavorare al piano terra, non sempre ci troviamo a nostro agio o condividiamo i metodi e le prospettive di chi deve lavorare con noi, o di coloro ai quali siamo mandati. Ed è proprio allora che la spiritualità della sala alta, lo stile eucaristico, viene in nostro soccorso e ci distingue come credenti, dal fare di una folla o di un mondo, che non agiscono con i criteri evangelici, quasi snobbando e mettendo in ridicolo il nostro comportamento cristiano.

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A

llora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui. (At 1,12-14)

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Dopo l’Ascensione, con gli occhi puntati ancora verso il cielo, i discepoli ritornano a Gerusalemme e risalgono nella sala al piano superiore. Il Maestro non c’è; ma Maria li attende, li raduna e comincia a fare ciò che il Figlio le ha detto dalla Croce: Donna, ecco tuo figlio! (Gv 19,26); e Lei, Donna di fede, avanti a noi nel pellegrinaggio, raccoglie nella sala ancora profumata di Lui, uomini di poca fede, e per ognuno si realizza, e non solo per Giovanni, la parola del Crocifisso: Ecco tua madre (Gv 19,27). Nella sala al piano superiore, dove erano soliti riunirsi, ora sono perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e Maria, icona permanente della Chiesa orante. La sala alta, luogo della Pasqua, diventa anche la stanza della Pentecoste, la casa riempita di vento e di fuoco, dove la Chiesa si ritrova con Maria, con Pietro e con gli Apostoli, sempre in attesa del suo ritorno.

…trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua Il Maestro non si smentisce mai e i discepoli, di ieri e di oggi, trovano dopo la ricerca il luogo secondo le indicazioni date da Lui. La stanza è pronta, arredata; il dono è offerto ma sempre la Pasqua va preparata, perché dove non c’è 26 - Aprile 2015


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libertà non ci può essere dono e, dove il dono non è accolto liberamente, non si può cenare insieme e fare Chiesa. Possiamo trovarci per caso in uno stesso luogo, abitazione o ristorante, ma questo non basta se non viviamo la condivisione del pasto e non rischiamo l’esodo verso la comunione. Educati dalla tradizione biblica, facendo memoria anche delle antiche pulizie pasquali, ora siamo invitati a togliere tutto il lievitato dalla casa per poter mangiare sinceramente la Pasqua: Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità (1 Cor 5, 7-8). Sperimenteremo così il miracolo eucaristico nella nostra povera vita e ci sentiremo uomini nuovi, infatti se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove (2 Cor 5, 17). Questa novità è il dono della Pasqua, il regalo che riceviamo salendo nella stanza al piano superiore. Ed è la nostra Chiesa, la Chiesa Giovane e del Concilio di Nocera-Sarno, che sta nella sala eucaristica con Maria, Pietro e con tutti coloro che hanno avuto e hanno il coraggio di andare in città, cercare la casa e, nella casa, la stanza eucaristica al piano superiore, grande, arredata e già pronta dove, insieme, ci prepariamo per consumare l’Agnello, che ci salva e ci santifica. Aprile 2015 - 27


Lettera Pastorale per la Santa Pasqua

Da questa sala, posta al piano superiore e rivolta verso il cielo, un giorno partiremo anche noi verso la Pasqua eterna per cantare l’alleluia della gioia, nella forza dataci dal Pane, che oggi consumiamo nella speranza. Nel frattempo la Chiesa, più di Maria, già invita Lei e noi alla festa per la risurrezione del Figlio: Regina caeli, laetare, alleluia: Quia quem meruisti portare, alleluia. Resurrexit, sicut dixit, alleluia. Ora pro nobis Deum, alleluia. Vi benedico, † Giuseppe,Vescovo

Nocera Inferiore, 5 aprile 2015 Domenica di Pasqua “in Resurrectione Domini”

28 - APRILE 2015



Mons. Giuseppe Giudice è nato a Sala Consilina il 10 settembre 1956 ed è stato ordinato Presbitero il 27 settembre 1986. Il 24 marzo del 2011 è stato chiamato dallo Spirito ad una nuova avventura: il 13 maggio ha ricevuto la consacrazione episcopale dal cardinale Agostino Vallini. Dal 4 giugno 2011 è il Pastore della Diocesi di Nocera Inferiore - Sarno.


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Lettera Pastorale per la Santa Pasqua

“La Pasqua nasce da una domanda rivolta al Maestro e richiede persone che si impegnino a prepararla innanzitutto nella stanza della loro vita”, scrive Mons. Giuseppe Giudice nella Lettera pastorale per la Santa Pasqua 2015. La sala dove si consuma la Pasqua è al piano superiore; è la sala alta che non può confondersi con il piano terra della nostra mediocrità, ed è una sala grande, ampia, capace di accogliere ogni frammento di umanità e le speranze di tutti gli uomini. La fede, la Chiesa, l’eucaristia ci invitano a salire al piano superiore, a staccarci dalle cose di ogni giorno per accedere, con cuore rinnovato, alle stanze di Dio. “Ed è proprio il cuore - sottolinea il Vescovo - il luogo dove il Signore vuole salire per celebrare la sua Pasqua”.

32 - Aprile 2015


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