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Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
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Diritto della banca e del mercato finanziario
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Diritto della banca e del mercato finanziario
• Mercati finanziari e tecnologie digitali • Usura • Aiuti di Stato • Procedura di allerta e banche
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2018, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Niccolò Abriani, Concetto Costa, Giacomo D’Attorre, Giuseppe Ferri jr., Danilo Galletti, Marco Maugeri, Massimo Miola, Umberto Morera, Stefania Pacchi, Daniele Umberto Santuosso, Maurizio Sciuto, Marco Ventoruzzo.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 2/2019
PARTE PRIMA Saggi Consulenza finanziaria e robo-advisor: profili cognitivi, di Umberto Morera FinTech tra algoritmi, trasparenza e algo-governance, di Maria-Teresa Paracampo L’ammortamento alla francese. Matematica e diritto: quando la scienza vien piegata a negar se stessa, di Roberto Marcelli, Anton Giulio Pastore, Amedeo Valente Note sull’attualità della querelle tra banca-impresa e banca-funzione, di Pierluigi De Biasi
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Commenti Usura e principio di simmetria – Cass., S.U., 20 giugno 2018, n. 16303 Sezioni Unite, usura, CMS e principio di omogeneità. Risolta anche la querelle su usura e interessi moratori?, di Giuseppe Scassellati Sforzolini, Bernanrdo Massella Ducci Teri Aiuti di Stato e interventi di sostegno del FITD – Trib. U.E., 19 marzo 2019 La Commissione europea e la concezione strumentale di “mandato pubblico” (a proposito del “caso FITD/Tercas” – Sentenza del Tribunale UE 19 marzo 2019), di Sandro Amorosino
Miti e realtà
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PARTE SECONDA Legislazione Procedura di allerta e banche – D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155 Obblighi e responsabilità della banca e dell’intermediario finanziario nelle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, di Giovanni Falcone
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Norme redazionali
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Codice etico
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PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
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Consulenza finanziaria e robo-advisor: profili cognitivi *
1. Vi do subito due notizie: una cattiva e una buona. Quella cattiva è che devo ammettere di non avere ancora maturato idee chiarissime in merito ai reali meccanismi dell’intelligenza artificiale e, di conseguenza, sull’effettiva portata e sui limiti della consulenza finanziaria fornita da un robot. La buona notizia è che, proprio per questo motivo, il mio intervento sarà piuttosto breve, se non altro per evitare di dire troppe sciocchezze su tale argomento. Tenterò qualche riflessione “a monte” dei problemi; evitando oggi di scendere nel dettaglio della tematica. Inizierò col raccontarvi che ho scritto questo mio breve intervento nella splendida biblioteca della Fondazione Querini Stampalia a Venezia (dove ogni tanto mi rifugio a pensare, libero dalla dittatura delle orride mail). Lì sono sempre andato con molto piacere, anche perché il rapporto umano con le addette al ricevimento è sempre stato particolarmente confortante, rassicurante, diciamo quasi complice. L’ultima volta però, al desk, non c’era praticamente più nessuno: una tessera magnetica ti riconosceva, ti consentiva l’accesso aprendoti un tornello; e se poi uscivi dalla sala lettura per un caffè o per sgranchirti le gambe un simpatico robot luminoso, naturalmente con schermo interattivo touch, ti chiedeva se intendevi conservare il tuo posto per trenta minuti, ovvero se stavi uscendo definitivamente … Provare per credere. Tutto bene, per carità. Tutto più ordinato, più silenzioso, più efficiente, soprattutto molto più economico (per la Fondazione, beninteso).
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Intervento svolto il 16 aprile 2018 in Roma, presso l’Università Mercatorum, nell’àmbito di un incontro di studio dedicato al Fin-Tech.
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Ma uno dei motivi che mi aveva sempre spinto (di certo inconsciamente) in quella bellissima biblioteca, purtroppo non c’era più. Erano venute meno … le persone che mi erano simpatiche! E non è affatto poco. Almeno per me, che sono un umano e non un robot. Forse l’esempio non è tra i più pertinenti rispetto al nostro tema, ma credo che quanto vi ho appena raccontato comunque faccia ben emergere come noi umani abbiamo, per così dire, “racchiusa in noi” una propensione antropologica verso le altre persone; in logiche poi di marcata empatia e correlazione (positiva o negativa che sia) rispetto all’essere e all’agire degli altri nostri simili. Del resto, la recente scoperta dell’esistenza dei c.d. neuroni specchio lo conferma pienamente, anche a livello squisitamente scientifico (e non soltanto antropologico). Insomma, noi siamo da sempre, e prima di tutto, umani in mezzo ad altri umani, ovvero umani in mezzo ad altri animali. Talvolta siamo umani in mezzo a vegetali e a cose non animate. Ma non siamo ancora, antropologicamente intendo, umani in mezzo a cose, per così dire, “animate”. Forse lo saremo tra un po’ di tempo. Ma di certo non lo siamo oggi. 2. E allora, alla luce di ciò, nell’attuale contesto in cui l’uomo è ormai chiamato anche a confrontarsi con cose “animate”, una domanda si impone davvero prima di ogni altra: mutano (e, in caso affermativo, “come” mutano) gli atteggiamenti (psicologici e cognitivi) dell’uomo di fronte a una cosa “animata”, di fronte a una macchina intelligente, di fronte a un robot ? Dobbiamo necessariamente chiederci: se, e come, cambiano le nostre sicurezze, i nostri dubbi, le nostre paure, le nostre percezioni, le nostre convinzioni, le nostre reazioni, di fronte a una macchina fornita di intelligenza artificiale, in rapporto al nostro comportamento di fronte a un altro umano. Siamo proprio sicuri che le domande che poniamo a un umano sono esattamente le stesse che porgemmo a una macchina intelligente? Siamo soprattutto sicuri che le risposte che ci provengono da una macchina intelligente verranno da noi “percepite” nello stesso modo che se ci pervenissero da un umano? Siamo poi sicuri che il livello di fiducia che potremmo riporre in un nostro consimile in carne e ossa sarebbe equivalente al livello di fiducia che potremmo riporre in un robot intelligente? 3. Tutte queste questioni sono indubbiamente delicate e di vertice; e la ricerca delle risposte più appropriate non può non implicare una
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diffusa sperimentazione empirica, accurati test psicologici e neurologici su campioni significativi di persone, nonché un ampio confronto sui risultati raggiunti nell’àmbito della comunità scientifica. Per rispondere alle domande che ho appena posto occorre all’evidenza, e prima di tutto, sperimentare come in concreto si pone l’homo sapiens oeconomicus di fronte a una “cosa” che non resta passiva, che non è inanimata, ma che al contrario agisce, si esprime, decide autonomamente dall’essere umano che ha di fronte. In effetti, questa problematica di vertice, soprattutto se messa in relazione ai comportamenti economici delle persone, non può essere risolta senza preventive e accurate sperimentazioni sul campo, poi seguite da riflessioni speculative a valle delle stesse. 4. Sperimentazioni e riflessioni che tuttavia – ad oggi – mi sembrano ancora mancare …. Se infatti è vero che la lunga e faticosa messa a fuoco dei comportamenti dell’homo oeconomicus ha da qualche anno avuto una convincente evoluzione grazie ai risultati cui sono pervenuti gli studiosi di finanza comportamentale (i quali hanno ben messo in luce le molte irrazionalità, i molti condizionamenti e le molte distorsioni cognitive presenti nell’agire economico degli individui), è però altrettanto vero che i pur recenti studi di finanza comportamentale considerano e analizzano il comportamento umano nel campo dell’economia senza opportunamente valutare la variabile costituita dall’interazione dell’intelligenza umana con l’intelligenza artificiale. Insomma: abbiamo a disposizione dei significativi risultati sui comportamenti economici dell’uomo (quelli appunto cui è pervenuta la finanza comportamentale) che, pur essendo abbastanza recenti, non sembrano considerare (o forse, più semplicemente, non hanno fatto in tempo a considerare …) quella che possiamo considerare l’ultima, importante, variabile cognitiva affacciatasi sulla scena: il peculiare rapporto dell’homo oeconomicus con una macchina intelligente, con un robot. In effetti, chi ha confidenza con la letteratura in argomento può agevolmente constatare come praticamente in nessuno degli scritti (e aggiungo: degli esperimenti cognitivi che ne sono alla base) che trattano di finanza comportamentale viene compiutamente analizzata la tematica dell’intelligenza artificiale; così come, parimenti, negli scritti che analizzano la robotica e l’intelligenza artificiale si tende a non considerare più di tanto i complessi profili cognitivi degli utilizzatori della robotica stessa.
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Un esempio per tutti, credo piuttosto significativo. Ho esaminato con molta attenzione gli Indici degli ultimi quindici anni di una bellissima rivista de Il Mulino, dal titolo molto, molto promettente “Sistemi Intelligenti. Rivista quadrimestrale di scienze cognitive e di intelligenza artificiale” (rivista risalente addirittura alla metà degli anni ’80 del secolo scorso e la cui lettura consiglio a tutti), ma non ho trovato nessuno studio dedicato all’analisi dei peculiari deficit, dei particolari bias e delle particolari euristiche che si presentano nell’uomo quando questo è chiamato a confrontarsi con una macchina pensante e interagente: in altri termini, con un robot dotato di intelligenza artificiale. Certo, ben sappiamo che si è sviluppato (da circa vent’anni) uno specifico ramo della ricerca (il c.d. affective computing) che studia la possibilità di un computer di riconoscere lo stato emotivo dell’utente e la possibilità di manipolare di conseguenza le sue reazioni (anche in senso positivo, beninteso). Ma trattasi di prospettiva assai diversa da quella che ho appena tracciato; che invece ha ad oggetto l’analisi delle reazioni umane di fronte a una macchina dotata di intelligenza artificiale “non emotivamente interattiva”. Insomma, credo si debba pazientare e attendere ancora un po’ di tempo per riuscire a mettere a fuoco i peculiari deficit cognitivi dell’uomo di fronte alle macchine intelligenti. 5. Nel caso dei robo-advisor in campo finanziario questo problema, se vogliamo, è poi aggravato dal fatto che, mentre un robot c.d. “industriale” (o “di servizio”) è uno strumento tecnico-professionale che viene normalmente utilizzato in un ambiente lavorativo (da persone specificamente addestrate), il robot c.d. “sociale” potrebbe venir utilizzato da persone assolutamente non specializzate, le quali pertanto interagiscono con la macchina intelligente senza alcuna specifica preparazione preliminare. Ed è a questa seconda categoria dei robot “sociali” che appartengono i robo-advisor finanziari c.d. “puri”, cioè quelli che si interfacciano esclusivamente per via digitale, quelli che non necessitano di un intervento di un advisor umano specializzato che si ponga (professionalmente) tra il robot digitale e il suo fruitore finale. 6. Ciò detto, credo però che, nella nostra specifica prospettiva, di molti dei risultati cui è pervenuta sin qui la finanza comportamentale si riesca comunque a far tesoro.
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Innanzitutto, credo che quasi tutti i ridetti risultati ben potrebbero essere “recuperati” e utilmente applicati perlomeno in tutte quelle situazioni in cui il risparmiatore-investitore si interfacci con un professionista umano, preparato e capace di sfruttare al meglio il robot finanziario; in tutte quelle situazioni, quindi, in cui l’homo oeconomicus non ha praticamente “contatti” diretti con il robo-advisor (limitandosi ad averli con il consulente umano). In questi casi non credo infatti che la presenza di un’intelligenza artificiale possa influenzare più di tanto (cognitivamente) il fruitore del servizio, interfacciandosi quest’ultimo fondamentalmente con una persona umana e non già con un robot. Ma dove anche, anzi sopratutto, i risultati cui è pervenuta la finanza comportamentale sui deficit cognitivi dell’homo oeconomicus, potrebbero essere sfruttati al meglio in tutte le loro potenzialità, è nella fase che si pone a monte dell’utilizzo del robo-advisor, cioè in quella della sua programmazione. Sono ben noti i molti vantaggi che derivano dall’utilizzo dei roboadvisor in materia finanziaria (non li posso analizzare qui, limitandomi a ricordare la maggior economicità e democraticità del servizio di consulenza; nonché la maggior capacità individuativa dei prodotti finanziari presenti sul mercato), ma anche i diversi punti deboli. E tra questi ultimi spicca nettamente il rischio dell’inefficiente funzionamento dello strumento a causa di errori, manipolazioni e limitazioni degli algoritmi utilizzati per il suo funzionamento. Ora, io credo che sia proprio nell’àmbito di quella che viene ormai definita la governance degli algoritmi (ancora forse tutta da delineare, ma che peraltro è già molto sollecitata dall’EBA e dall’ESMA; e che mi pare inevitabile andrà a imporsi sempre più diffusamente), che potranno trarsi i maggiori benefici dall’utilizzo dei risultati raggiunti dalle scienze cognitive nell’analizzare i comportamenti dei risparmiatori e degli investitori. Mi riferisco, in particolare, a quelle analisi che hanno consentito di individuare, e per così dire censire e mappare, i molteplici bias e le diverse euristiche ravvisabili nel comportamento dell’homo oeconomicus. Mi pare che in effetti sia proprio nel momento dell’impostazione dell’algoritmo (anzi, ancor prima: nel momento della regolazione dell’impostazione degli algoritmi) che potrebbe essere particolarmente utile attingere ai risultati cui è pervenuta la finanza comportamentale. Un efficiente robo-advice governance non può in effetti limitarsi a imporre la massima trasparenza nelle informazioni da fornire al cliente che utilizzi un servizio automatizzato di consulenza finanziaria; deve
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spingersi decisamente oltre, controllando sia la produzione che la gestione degli algoritmi utilizzati. Ed è proprio in questa prospettiva che dovrebbe essere richiesto di considerare – nella “costruzione” dei vari passaggi formanti l’algoritmo che condurrà alla soluzione di investimento o di risparmio – anche ogni pertinente profilo connesso ai possibili bias mentali, deficit cognitivi e fattori emotivi che (come ormai appare assodato) influenzano, anche in maniera significativa e gravemente distorsiva, le decisioni economiche dell’investitore. E così, per limitarci (tra i tanti possibili) a pochi, classici, esempi: le opzioni di investimento offerte dovrebbero essere posizionate e strutturate in maniera tale da evitare che l’utilizzatore: (i) cada nella classica trappola dell’over confidence; (ii) resti legato a schemi mentali che lo conducano a sottovalutare gli imprevisti; (iii) o, ancora, si ancori eccessivamente a parametri conosciuti, ma non espressivi dell’effettiva realtà. Gli esempi potrebbero continuare, ma non vi è purtroppo il tempo per elencarli adesso. Mi pare qui sufficiente aver sottolineato la fondamentale importanza del considerare (rectius: del dover considerare), nel programmare le funzioni decisorie del robo-advisor, le numerose distorsioni cognitive presenti nell’utilizzatore dello stesso. 7. Consentitemi di concludere con una riflessione di portata assolutamente generale. In un suo recente e straordinario libro (intitolato Superintelligenza. Tendenze, pericoli, strategie, edito in Italia da Bollati Boringhieri), il filosofo, fisico e neuroscienziato svedese Nick Bostrom ci avverte, con dovizia di argomentazioni, che se certamente è vero che l’intelligenza artificiale può essere (e in gran parte lo è già ….) un grande strumento di evoluzione e benessere per l’umanità, essa contiene però un insidiosissimo seme di immensa pericolosità. Siamo proprio certi che riusciremo a ben governare le macchine superintelligenti che avremo costruito? Sapremo impedire a quelle macchine di superare e surclassare le nostre capacità intellettive? Bostrom ci spiega perché, una volta raggiunto un livello di intelligenza uguale al nostro, alle macchine potrebbe bastare un piccolissimo passo per decollare esponenzialmente, originando superintelligenze per noi incontrollabili ….
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Potrebbero aprirsi scenari apocalittici che, se non li si inizia a considerare già adesso, potrebbero prodursi molto più presto di quanto non lo si possa immaginare. Noi oggi abbiamo parlato di robo-advisor, di deficit cognitivi, di strumenti di regolazione e di tutela dell’investitore che si avvale di consulenti finanziari automatizzati, di modelli (auspicabilmente virtuosi) di intelligenza artificiale in campo economico. Tutto bellissimo, ma – come ha ben sottolineato Elon Musk – dobbiamo, prima di ogni altra considerazione, essere sempre coscienti che l’intelligenza artificiale, nelle sue varie possibili declinazioni e utilizzi, è potenzialmente molto più insidiosa e pericolosa dell’energia nucleare.
Riferimenti bibliografici Baker - Dellaert, Regulating robo advice across the financial services industry, in Iowa L. Rew, 2018, p. 713; Fein, Robo-advisors: a closer look, Columbia, 2015, p. 1; Ferrari, L’era del fintech, Milano, 2016, p. 75; Fisch - Turner, Robo advisers vs. humans: which make the better financial advisers?, in University of Pennsylvania Law School, 2017, p. 1; France-Massey, The impact of robo advisors on institutional investment banking, in Thinking ahead magazine, 2016, (84), p. 26; Giorgini, Consulenza finanziaria e sua adeguatezza, Napoli, 2017; Lam, Robo-advisors: a portfolio management perspective, Yale, New Haven, Connecticut, 2016, p. 1; Malverti, Bulgarelli e Villa, Fintech. La finanza digitale. Strategia di investimento con i robo-advisor, Milano, 2018; Paracampo, La consulenza finanziaria automatizzata, in Aa.Vv., Fintech. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, a cura di Paracampo, Torino, 2017, p. 127; Id., Robo advisor, consulenza e profili regolamentari: quale soluzione per un mercato in fieri?, in Riv. trim. dir. econ., 2016, 4, p. 256; Id., L’adeguatezza della consulenza finanziaria automatizzata nelle linee guida dell’ESMA tra algo-governance e nuovi poteri di supervisione, in Riv. dir. banc., 2018, 8, p. 1; Phoon - Koh, Robo advisors and wealth management, in The journal of alternative investments, 2018, p. 79; Pia, La consulenza finanziaria automatizzata, Milano, 2017; Singh - Kaur, Wealth management through robo advisory, in International journal of research, Granthaalayah, 2017, p. 33; Vincent - Laknidhi, Klein, Gera, Robo-advisor. Capitalizing on a growing opportunity, Deloitte, 2015, p. 1
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FinTech tra algoritmi, trasparenza e algo-governance* Sommario: 1. Il ruolo degli algoritmi nell’ecosistema FinTech – 2. Gli algoritmi sul “banco degli imputati” – 3. Algoritmi vs. algoritmi: “imputazione”, diritto di difesa e riconoscimento di alcune “aggravanti” nelle tecnologie emergenti – 4. Il doppio volto degli algoritmi tra rischi ed opportunità – 5. Regolamentare gli algoritmi? Gli orientamenti ondivaghi delle Istituzioni europee a fronte delle sfide della trasparenza e della fiducia nelle nuove tecnologie – 6. Algoritmi e trasparenza o algoritmi vs. trasparenza? Connubio necessario o semplice ossimoro? – 7. Gli algoritmi tra misure palliative e possibili azioni di algo-governance – 8. Focus sugli algoritmi e sulle misure di governance: dalla trasparenza verso il cliente alla trasparenza verso i supervisori – 9. Una “sentenza di condanna” per gli algoritmi? La “causa necessita di un supplemento istruttorio” in attesa di uno “statuto degli algoritmi”.
1. Il ruolo degli algoritmi nell’ecosistema FinTech. Il titolo della relazione involge un tema di ampia portata e dai confini indefiniti, che solleva più interrogativi di quanti effettivamente ne risolva, in una prospettiva in chiaroscuro ove le domande potrebbero però individuare aree di approfondimento e di riflessione in un panorama volatile, estremamente fluido e magmatico, connotato ancora da poche luci e da molte ombre. In particolare, sono relativamente recenti i dibattiti incentrati sul tema degli algoritmi che, in ragione del carattere trasversale ai diversi aspetti della vita umana, è suscettibile di esame sotto molteplici punti di vista, tanto da farli assurgere al ruolo di oggetti privilegiati di osservazione. Tuttavia il dibattito assume connotazioni peculiari nel momento in cui viene contestualizzato nel mondo di FinTech. E tanto per una duplice
* Il testo rielabora la relazione tenuta al convegno su «FinTech: minaccia o opportunità per i mercati finanziari?», tenutosi a Roma il 16 aprile 2018 e organizzato dalle Università Pegaso e Mercatorum. Il testo è destinato alla pubblicazione negli atti del convegno.
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motivazione: in primo luogo, perché l’ecosistema FinTech è nato e si è sviluppato parallelamente e grazie all’evoluzione delle nuove tecnologie applicate al settore finanziario (da cui la denominazione di FinTech1); in secondo luogo, perché tutte le tecnologie sono abilitate dall’uso di algoritmi sempre più sofisticati e complessi. Così, con riguardo al primo versante indicato, FinTech non si esaurisce e non consta esclusivamente delle tecnologie emergenti (i.e. Big Data Analytics, Artificial Intelligence, Machine Learning, Cloud Computing, etc.), bensì trova espressione nel diverso utilizzo che ne vien fatto, agevolando la prestazione dei servizi finanziari. Pur rappresentando quindi parte integrante, alcune delle principali articolazioni dell’ecosistema FinTech ne diventano il fulcro che ne agevola l’operatività. Fungono da mezzo per la prestazione di servizi finanziari in modalità avanzata e più efficiente rispetto a quella tradizionale. Le tecnologie poi non involgono solo le modalità (innovative) utilizzate per la prestazione di servizi, bensì anche lo sviluppo di prodotti finanziari innovativi grazie al valore aggiunto recato dalle tecnologie medesime2.
1 Tanto si evince dalla definizione convenzionale, non codificata, di FinTech, “coniata” dal Financial Stability Board (cfr. Financial Stability Implications from Fintech. Supervisory and Regulatory Issues that Merit Authorities’ Attention, 27 giugno 2017, su http://www.fsb.org/wp-content/uploads/R270617.pdf), espressa nei seguenti termini: «technology-enabled innovation in financial services that could result in new business models, applications, processes or products with an associated material effect on the provision of financial services». Quella riportata rappresenta la definizione prevalentemente – non esclusivamente – utilizzata nella maggior parte dei documenti pubblicati in materia, sebbene sia stata accompagnata da altre definizioni abbozzate da Autorità, Istituzioni europee e Organismi internazionali, per le quali si rinvia a Paracampo, a cura di, FinTech e il mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, in FINTECH. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Torino, 2017, pp. 3 ss. Sulle problematiche derivanti dalla mancanza di un preciso assetto definitorio e perimetrale si sofferma anche Falcone, Tre idee intorno al c.d. «FinTech», in Riv. dir. banc., n. 5/2018, in particolare p. 2, reperibile su www.dirittobancario.it. 2 FinTech difatti può essere considerato come un ampio ed eterogeneo ecosistema che racchiude diverse articolazioni o fattispecie, più o meno diffuse sul mercato, accomunati dal fatto di essere considerati «as financial activities which provide an added value by means of digital technologies». Conseguentemente, i criteri minimi per definire un servizio FinTech sono stati individuati dal Parlamento europeo (Competition issues in the Area of Financial Technology (FinTech), July 2018, p. 47, http://www.europarl.europa. eu/RegData/etudes/STUD/2018/619027/IPOL_STU(2018)619027_EN.pdf) nei seguenti: - «It is a technology-driven financial service,
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In tutti questi casi gli algoritmi assurgono al ruolo di veri artefici, di motore propulsivo ed evolutivo dell’ecosistema FinTech e di tutte le relative articolazioni. Sono difatti gli algoritmi che muovono e tessono le fila di FinTech, abilitandone l’automatizzazione nelle varie fasi della catena di valore produttiva e distributiva, nonché divenendone elemento essenziale ed imprescindibile delle diverse fattispecie, con significativa incidenza sul processo di (dis)intermediazione. Nutriti dagli immensi “giacimenti” (rectius: mole dei dati disponibili sul mercato) e dai dati tratti diffusamente dalla profilazione dei consumatori via web o comunque dalle numerose tracce digitali lasciate (in)consapevolmente dagli stessi sui social network, gli algoritmi da un lato contribuiscono a tracciare, “attraverso l’analisi e tecniche avanzate di trattamento, un quadro senza precedenti del comportamento umano, della vita privata e delle nostre società”3, nonché a definire – a ragione o a torto - il profilo di un consumatore ai fini della relativa affidabilità (finanziaria, economica, professionale, sociale, etc.) a diversi livelli nell’economia della e-reputation4. Dall’altro lato, proprio detta capacità di influenzare – in positivo e in negativo - le sorti umane, spingerebbe a ripensare, in “versione digitale”, al noto brocardo di Appio Claudio Cieco - «faber est suae quisque fortunae» – ove la paternità delle decisioni sarebbe sostituita dagli algoritmi.
- which provides a new solution, a new business model or an alternative to what already exists in the financial sector, - and offers a significant added value to any of the stakeholders involved in the value chain (mainly the consumer)». 3 Cfr. risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2017 sulle «implicazioni dei Big Data per i diritti fondamentali: privacy, protezione dei dati, non discriminazione, sicurezza e attività di contrasto», sub lett. C), http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc. do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0076+0+DOC+XML+V0//IT, ove si precisa che a detto risultato hanno contribuito «i progressi delle tecnologie di comunicazione e l’uso massiccio di dispositivi elettronici e di monitoraggio, dei social media, delle interazioni e delle reti web, compresi i dispositivi che comunicano informazioni senza intervento umano (e che) hanno portato allo sviluppo di enormi insiemi di dati in costante crescita». 4 Per una descrizione delle sfumature e delle conseguenze della reputazione digitale, si rinvia a Fertik - Thompson, Reputation Economy. Come ottimizzare il capitale delle nostre impronte digitali, Milano, 2015. Il tema relativo all’affidabilità dei risultati dei sistemi di valutazione della reputazione digitale ha attirato l’interesse dottrinario, nell’ambito del quale si segnalano: Ricci, Il valore economico della reputazione nel mondo digitale. Prime considerazioni, in Contr. e impr., 2010, p. 1297; Carota, Diffusioni di informazioni in rete e affidamento sulla reputazione digitale dell’impresa, in Giur. comm, 2017, I, p. 624.
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Questi ultimi sono così diventati presto il nuovo centro gravitazionale, il motore di una rivoluzione copernicana di matrice tecnologica nel settore finanziario. È pur vero però che non è nuovo l’uso di algoritmi e modelli statistici nei mercati finanziari, ma nel caso di specie (FinTech), ha assunto nuova linfa e rilevanza esponenziale, alimentato dalla concomitante e crescente attenzione verso il correlato profilo dei Big Data5 che, come già detto, incrementano il flusso delle informazioni e dei dati con i quali sono nutriti gli algoritmi. Dette informazioni (ivi comprese quelle personali) sono raccolte da più fonti diverse tra loro, successivamente raffinate, elaborate ed oggetto di trattamento automatizzato mediante «tecniche avanzate di trattamento dei dati, che usano sia informazioni memorizzate sia in streaming, al fine di individuare determinate correlazioni, tendenze e modelli»6. Appare evidente l’elemento di rottura con il sistema tradizionale nel quale la fonte informativa di diretto reperimento era rappresentata, in un rapporto esclusivamente face to face, dallo stesso consumatore di servizi finanziari. Il che segna altresì il passaggio da un contesto basato sull’intervento umano nell’uso degli algoritmi ad altro scenario ove l’utilizzo esclusivo degli stessi può talora avvenire anche al di fuori dal diretto controllo umano, come nell’ipotesi di sistemi completamente automatizzati7 e connotati da forme di apprendimento automatico ove gli algoritmi generano altri algoritmi (es. machine learning). Così se in un tempo passato – non del tutto esaurito – le tecnologie e l’algoritmo sottostante erano piegati in funzione del servizio prestato dall’uomo, al fine di agevolarne l’attività, in un prossimo futuro tenderanno in misura crescente a sostituire8 o ad assumere una posizione
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Proprio quello dei Big Data è stato il primo banco di prova o di “tenuta” su possibili interventi, a tutela del consumatore, in tema di algoritmi (su cu v. infra). 6 Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2017, cit. 7 In tal senso si veda anche Rossi, FinTech e regole (Inaugurazione del Corso di Alta formazione organizzato dall’ABI su “FinTech e Diritto”, Roma 10 maggio 2018, reperibile su https://www.bancaditalia.it/media/notizia/intervento-di-salvatore-rossi-su-fintech-eregole), il quale opportunamente ha evidenziato: «Un ulteriore salto tecnologico vedrebbe poi l’algoritmo in questione, nel corso della sua vita, non più disegnato da un programmatore umano: si riprogrammerebbe autonomamente, in cicli rapidissimi e in maniera ancora più opaca». 8 Cfr. Rossi, FinTech e regole, cit.: «in tutti i campi si intravede la possibilità che fondamentali decisioni siano affidate a un’intelligenza artificiale: questa, imparando
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alternativa rispetto a varie fasi dell’attività umana, tanto da aver spinto in taluni casi a lanciare un allarme sulla possibile “tirannia dei dati”9 e sul connesso rischio di divenire prigionieri della tecnologia10. Conseguentemente, la centralità degli algoritmi ha spinto a coniare espressioni ormai ricorrenti nel linguaggio comune digitale, quali società degli algoritmi, economia degli algoritmi, algocrazia e via dicendo: tutte accendono un riflettore sul potere degli algoritmi e su eventuali distorsioni legate al relativo uso e/o alla relativa capacità di “decretare” le scelte umane in tanti aspetti della vita quotidiana, condizionandone forme inclusive o di esclusione, quando di vera e propria discriminazione11.
2. Gli algoritmi sul “banco degli imputati”. Divenuti i protagonisti indiscussi di FinTech, gli algoritmi sono stati posti prima del tempo sul “banco degli imputati”, in virtù di talune generiche ipotesi “incriminatorie” con potenziale pregiudizio dei consumatori o della stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. Ipotesi prospettate solo sulla scorta di paventati rischi e non supportate da
da sola, diverrebbe sempre più efficace; ma anche, non nascondiamocelo, sempre più inquietante». 9 Cfr. Lepri, Staiano, Sangokoya, Letouze and Oliver, The Tyranny of Data? The Bright and Dark Sides of Data-Driven Decision-Making for Social Good, working paper, December 2016, https://arxiv.org/abs/1612.00323. 10 Il tema è affrontato da Randell (Chair, Financial Conduct Authority and Payment Systems Regulator), How can we ensure that Big Data does not make us prisoners of technology?, Speech delivered at Reuters Newsmaker event, London, 11 July 2018, https:// www.fca.org.uk/news/speeches/how-can-we-ensure-big-data-does-not-make-us-prisoners-technology. 11 Paradossalmente in una prospettiva globale a due o più velocità si è assistito alla contemporanea entrata in vigore in Europa e in Cina rispettivamente del GDPR, a tutela dei dati personali a fronte di processi decisionali automatizzati da un lato e del sistema di credito sociale volto ad introdurre un trust score o indicatore di fiducia basato sui punteggi conseguiti online dai consumatori per ottenere sconti e premialità o, al contrario, penalizzazioni dall’altro lato. Sulle conseguenze collegate ad un simile sistema si segnala l’interessante ricostruzione effettuata da Botsman, Di chi possiamo fidarci? Come la tecnologia ci ha uniti e perché potrebbe dividerci, Milano, 2017.
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precedenti di concreta materializzazione di danni12. Sufficienti però da trasformarli in «sorvegliati speciali in attesa di giudizio regolamentare»13. Difatti, per quanto FinTech sia associato ad un processo di “democratizzazione” della finanza, nella maggior parte dei casi accolto positivamente in quanto in grado di favorire l’inclusione finanziaria di una più estesa base di clientela, considerata unbunked nel sistema tradizionale, non ha mancato di palesare l’altra faccia della medaglia ove gli algoritmi sottostanti, che muovono le fila delle diverse articolazioni, possono essere all’origine di diversi “capi di imputazione”: dall’esclusione finanziaria alla vera e propria discriminazione algoritmica14, sino al rischio di flash crash nella negoziazione algoritmica o di raccomandazioni inadeguate per il consumatore nella consulenza finanziaria automatizzata15, di inaffi-
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L’unico precedente, peraltro non afferente al sistema finanziario, è rappresentato dalla pronuncia del TAR, Lazio-Roma, Sez. III-bis, 22 marzo 2017, n. 3769, che ha riconosciuto, con una motivazione lunga ed articolata, il diritto di accesso, delle parti lese, all’algoritmo che aveva indicato le varie sedi di trasferimento dei docenti. 13 La citazione, coniata per la prima volta con riguardo ai robo advice (cfr. Paracampo, Robo Advisor, consulenza e profili regolamentari. Quale soluzione per un fenomeno in fieri?, in Riv. trim. dir. econ., n. 4/2016, supplemento, p. 256), è suscettibile di estensione a tutte le articolazioni FinTech maggiormente attenzionate in funzione di una decisione solutoria di tipo regolamentare. 14 L’effetto discriminatorio costituisce il rischio maggiormente temuto, specie quando diviene il risultato di processi decisionali interamente automatizzati. Sul tema, sulle problematiche e su talune prime soluzioni proposte si rinvia, tra gli altri, all’esame di: FRA (European Union Agency for Fundamental Rights), Big Data: Discrimination in data-supported decision making, 2018, http://fra.europa.eu/en/publication/2018/big-data-discrimination; U.S. Federal Trade Commission, Big Data: A Tool for Inclusion or Exclusion. Understanding the issues, FTC Report, January 2016, https://www. ftc.gov/system/files/documents/reports/big-data-tool-inclusion-or-exclusion-understanding-issues/160106big-data-rpt.pdf; Indrė Žliobaitė, Measuring discrimination in algorithmic decision making, in Data Mining and Knowledge Discovery, 2017, 31(4), p. 1060. Una disamina dei diversi settori di impatto degli algoritmi viene poi fornita da Cathy O’Neil, Weapons of Math Destruction: How Big Data Increases Inequality and Threatens Democracy, London: Allen Lane, 2016; Executive Office of the President, Big Data: A Report on Algorithmic Systems, Opportunity, and Civil Rights, Washington D.C., May 2016, https://obamawhitehouse.archives.gov/sites/default/files/microsites/ostp/2016_0504_data_discrimination.pdf. 15 Sull’inquadramento della fattispecie e sui precedenti interventi in materia, mi sia consentito rinviare a Paracampo, a cura di, La consulenza finanziaria automatizzata, in FINTECH. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Torino, 2017, p. 127; Id., Robo Advisor, cit.
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dabili credit scoring16 o fallaci sistemi di valutazione della e-reputation17, di pricing differenziati per il medesimo servizio18, per citarne solo alcuni19. Tacciati a priori di mancanza di neutralità20 e di opacità – vera o presunta – in virtù di una stereotipata ed adusa considerazione degli algoritmi in termini di black boxes21, inaccessibili nel contenuto ed inspiegabili nel risultato prodotto (output), sono stati però «considerati fonti di soluzioni sempre più accettate», sebbene – come è stato rilevato22 – «non esista ancora una metodologia che consenta di effettuare una valuta-
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Un prezioso ed innovativo contributo sui temi dell’affidabilità creditizia e del credit scoring effettuato con tecniche innovative si deve alla ricerca ed alla ricostruzione di Mattassoglio, Innovazione tecnologica e valutazione del merito creditizio dei consumatori. Verso un Social Credit System?, Milano, 2018. 17 Al riguardo si segnala il provvedimento del 24 novembre 2016 (doc. n. 5796783), relativo ad una «piattaforma per l’elaborazione di profili reputazionali», con il quale il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso parere contrario alla creazione di banche dati per la misurazione del “rating reputazionale”. «In quel caso una questione complessa come l’affidabilità di ciascuno, sotto il profilo professionale ed economico, sarebbe stata ridotta a mero calcolo svolto da un software, in base a dati reperiti in Rete o caricati dagli stessi interessati dietro la pressione delle conseguenze negative altrimenti preconizzate» (sic Soro, Persone in Rete. I dati tra poteri e diritti, Roma, p. 137). 18 Esempi discriminatori basati sul pricing dei servizi finanziari sono offerti da una research note del Financial Conduct Autorithy, Price discrimination in financial services. How should we deal with questions of fairness?, July 2018, https://www.fca.org.uk/publication/research/price_discrimination_in_financial_services.pdf. 19 Con riferimento specifico al settore finanziario, i diversi versanti di impatto dei Big Data e, conseguentemente, degli algoritmi, sono stati individuati dalle ESAs nel Joint Committee Final Report On Big Data ( JC/2018/04 – 15 March 2018), https://www.esma. europa.eu/sites/default/files/library/jc-2018-04_joint_committee_final_report_on_big_ data.pdf. Sulle conclusioni raggiunte dalle ESAs v. più diffusamente infra. Diversi case studies sull’uso degli algoritmi sono stati altresì prospettati dal Financial Stability Board in due report: Financial Stability Implications from FinTech Supervisory and Regulatory Issues that Merit Authorities’ Attention, 22 June 2017, http://www.fsb. org/wp-content/uploads/R270617.pdf; Artificial intelligence and machine learning in financial services. Market developments and financial stability implications, 1 November 2017, http://www.fsb.org/wp-content/uploads/P011117.pdf. 20 L’accusa in questo caso arriva da FSUG [(Financial Services User Group), Assessment of current and future impact of Big Data on Financial Services, June 2016, p. 10, https://ec.europa.eu/info/files/assessment-current-and-future-impact-big-data-financialservices_en. 21 Cfr. Pasquale, The Black Box Society: The Secret Algorithms That Control Money and Information, 2015. 22 Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2017, sub lett. G), cit.
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zione basata su riscontri oggettivi dell’impatto complessivo dei Big Data, ma esistono elementi indicanti che l’analisi dei Big Data può avere un impatto orizzontale significativo sia sul settore pubblico che su quello privato». In particolare è l’opacità ad essere “denunciata” a gran voce laddove «il grado di diffusione dei sensori, l’ampia produzione sistematica di dati e le odierne attività di trattamento dei dati non presentano sempre l’adeguata trasparenza e mettono alla prova la capacità dei singoli e delle autorità di valutare i processi e le finalità della raccolta, della compilazione, dell’analisi e dell’utilizzo dei dati personali; dall’impiego dell’analisi dei Big Data si osserva una confusione tra i dati personali e quelli non personali, il che può portare alla creazione di nuovi dati personali»23. Altri “capi di imputazione”, strettamente connessi ai precedenti, riguardano il carattere potenzialmente fuorviante degli algoritmi e la discutibile qualità dei dati utilizzati, quali oggetto di trattamento automatizzato. Con riguardo al primo profilo è stato opportunamente osservato che «il segreto di come funzionano (gli algoritmi) viene mantenuto bene. Più gli individui sono trasparenti, più coloro che li osservano sono opachi»24, mentre in relazione al secondo versante indicato è stato rilevato che «dati e/o procedure di scarsa qualità alla base dei processi decisionali e degli strumenti analitici potrebbero portare ad algoritmi non imparziali, correlazioni spurie, errori, sottostima delle implicazioni giuridiche, sociali ed etiche, rischio che i dati siano impiegati per finalità discriminatorie e fraudolente nonché marginalizzazione del ruolo degli esseri umani in tali processi, il che avrebbe come conseguenza procedure decisionali viziate che possono avere un impatto deleterio sulla vita e sulle opportunità
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Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2017, sub lett. J), cit. Il rilievo è mosso da Cardon, Che cosa sognano gli adlgoritmi. Le nostre vite al tempo dei big data, Milano, 2016, pp. 66 ss. L’Autore precisa che «gli algoritmi vengono innanzitutto accusati di deformare, tradire o censurare la rappresentazione «vera» o «neutra» della realtà. Tuttavia si può parlare di tendenza a «fuorviare» solo se si può contrapporre alle classificazioni algoritmiche una rappresentazione buona o giusta, come fa la statistica della rappresentatività che campiona la sua popolazione e dà un peso identico alle azioni di ognuno. Questa critica, dunque, ha un senso solo quando l’operazione statistica prodotta dal calcolatore è un semplice censimento, come nelle misurazioni prodotte accanto al web (audience) o dentro al web». 24
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dei cittadini, in particolare dei gruppi emarginati, nonché influenzare negativamente le società e le imprese»25. Parimenti, identico timore viene sollevato anche nella prima risoluzione del Parlamento europeo in tema di tecnologia finanziaria26, che, seppure con riferimento specifico alla consulenza finanziaria automatizzata, «riconosce il crescente abbinamento tra dati personali e algoritmi per fornire servizi quali la consulenza automatizzata; sottolinea le potenzialità in termini di efficienza della consulenza automatizzata e i suoi possibili effetti positivi sull’inclusione finanziaria; sottolinea che, a livello potenziale, gli errori o le distorsioni negli algoritmi o nei dati sottostanti possono provocare rischi sistemici e danneggiare i consumatori, ad esempio attraverso una maggiore esclusione; chiede alla Commissione e alle autorità europee di vigilanza di monitorare tali rischi per garantire che l’automazione nella consulenza finanziaria possa produrre consigli realmente più efficaci, trasparenti, accessibili ed efficienti sul piano dei costi, e di affrontare la crescente difficoltà di attribuire la responsabilità per i danni causati da tali rischi nell’attuale quadro giuridico sulla responsabilità per l’utilizzo di dati». Gli algoritmi così, oltre ad ingenerare diffusi sospetti (es. difetti, errori, distorsioni, malfunzionamento, manipolazioni, etc.) sul relativo funzionamento in tutto il ciclo di vita nella realtà finanziaria, hanno attirato grande attenzione sulle relative caratteristiche, sulle modalità di “confezionamento” o design, di programmazione, di uso, sui profili proprietari e di responsabilità. Gli fa eco la Commissione europea27 che, sul versante dei possibili pregiudizi, pone l’accento sul rischio che un algoritmo difettoso possa innescare fenomeni di mis-selling di vasta portata qualora i clienti, in sede di profilatura del rischio nella consulenza finanziaria automatizzata (i.e. robo advice), dovessero rilasciare (in)consapevolemente informazioni che sovrastimano la propria esperienza con i prodotti finanziari. Pericolo quest’ultimo che l’ESMA ha tentato però di arginare nell’ambito
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Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2017, sub lett. M), cit. Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo del 17 maggio 2017 sulla tecnologia finanziaria: l’influenza della tecnologia sul futuro del settore finanziario, in particolare sub n. 29, reperibile su http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP// TEXT+TA+P8-TA-2017-0211+0+DOC+XML+V0//IT. 27 Cfr. Distribution systems of retail investment products across the European Union. Final Report, April 2018, https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/180425-retail-investment-products-distribution-systems_en.pdf. 26
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delle guidelines in tema di suitability28, ove ha suggerito l’adozione di precisi requisiti informativi sulla profilatura online, al fine di fronteggiare fenomeni di overconfidence29 da parte dei clienti di un robo advice. È sempre il Parlamento europeo che però ha continuato a ribadire lo stesso concetto, unitamente ai rischi già identificati, sebbene in diversi modi e su diversi versanti di intervento, con altre risoluzioni che, in un quadro più generale, tengono conto del rispetto dei principi sanciti dall’art. 2 del Trattato dell’Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (quali la dignità umana, l’uguaglianza, la giustizia e l’equità, la non discriminazione, il consenso informato, la vita privata e familiare e la protezione dei dati)30, puntando il dito ora sui
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Cfr. ESMA, Final Report. Guidelines on certain aspects of the MIFID II suitability requirements (ESMA35-43-869/28 May 2018), reperibili sul sito dell’Autorità. Le linee guida, approvate in occasione del relativo aggiornamento alle novità di Mifid 2, hanno esteso il relativo perimetro applicativo sia agli esiti degli studi di finanza comportamentale, sia alle innovazioni tecnologiche legate alla consulenza finanziaria automatizzata (i.e. robo advice). Per un primo commento sulle linee guida si rinvia a Paracampo, L’adeguatezza della consulenza finanziaria automatizzata nelle linee guida dell’ESMA tra algo-governance e nuovi poteri di supervisione, in Riv. dir. banc., n. 8/2018, reperibile su www.dirittobancario.it., ove l’Autore evidenzia come l’Autorità ribadisca l’importanza tanto della struttura del questionario online quanto della formulazione delle domande ivi inserite. «Le imprese, specie quando fanno leva su un sistema totalmente automatizzato, che potrebbe favorire la proliferazione di bias comportamentali dei clienti, dovrebbero implementare meccanismi per affrontare e neutralizzare simili rischi. Difatti, a fronte di bias che spingono i clienti a sovrastimare la loro conoscenza ed esperienza, le imprese potrebbero includere domande utili a valutare la complessiva comprensione dei clienti circa le caratteristiche ed i rischi sottesi ai differenti tipi di strumenti finanziari. La rilevanza dell’adozione di dette misure potrebbe divenire particolarmente importante proprio nel caso dei robo advice, perché il rischio di overconfidence da parte di clienti potrebbe risultare più alto quando forniscono informazioni attraverso un sistema automatizzato o semi-automatizzato, soprattutto in situazioni ove l’interazione umana è molto limitata o inesistente tra clienti e dipendenti dell’impresa». 29 Rilevanti risultati in materia di devono a: Linciano, How Cognitive Biases and Instability of Preferences in the Portfolio Choices of Retail Investors – Policy Implications of Behavioural Finance, 2010; Id. and Soccorso, Assessing investors’ risk tolerance through a questionnaire, 2012; Id., Gentile, Soccorso, Financial advice seeking, financial knowledge and overconfidence. Evidence from the Italian market, 2016, tutti reperibili sul sito www.consob.it. 30 Cfr. risoluzioni del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 recante «raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica» (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-20170051+0+DOC+XML+V0//IT#BKMD-12) e del 14 marzo 2017 sulle «implicazioni dei Big
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processi decisionali automatizzati e algoritmici, ora sull’apprendimento automatico, ora sull’evoluzione continua delle nuove tecnologie31. Identici risultati potenzialmente pregiudizievoli potrebbero altresì conseguirsi qualora, in ipotesi opposte, l’algoritmo fosse programmato ed inficiato dagli stessi bias che condizionano l’operato umano, tanto da fornire – a parità di informazioni rilasciate dal cliente e di diversi algoritmi utilizzati da differenti imprese – risultati di diverso tenore. Va però rilevato come nel lungo elenco dei “capi di imputazione” figurano anche ipotesi “ambivalenti”, legate agli usi degli algoritmi che potrebbero da un lato ridurre le situazioni conflittuali, fornendo altresì una maggiore trasparenza, dall’altro lato rischiare di incentivarle nel caso in cui l’algoritmo fosse strutturato per direzionare i clienti di una piattaforma verso quegli strumenti finanziari e/o imprese che corrispondono maggiori commissioni. Parimenti potrebbe dirsi con riguardo al versante concorrenziale ove – come evidenziato dal Parlamento europeo32 – «the effects of the use of algorithms in the provision of FinTech wealth management services is mixed. On the one hand, there are pro-competitive effects, such as increased transparency on both price and quality variables as well as a more efficient development of products and services. On the other hand, there are also risks for competition, such as the potential role of algorithms to be facilitating factors for co-ordination and collusion (algorithmic collusion)»33.
Data per i diritti fondamentali: privacy, protezione dei dati, non discriminazione, sicurezza e attività di contrasto», cit. 31 Si rammenta che gli ulteriori sviluppi tecnologici sono sotto la lente della Commissione europea che, con una comunicazione programmatica (L’intelligenza artificiale per l’Europa, COM(2018) 237 final del 25 aprile 2018, reperibile su https://ec.europa. eu/transparency/regdoc/rep/1/2018/IT/COM-2018-237-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF.8oi), ha definito obiettivi ed investimenti in materia di intelligenza artificiale, tesa a favorire la leadership europea nel settore. 32 Cfr. European Parliament, Competition issues in the Area of Financial Technology (FinTech), Study Requested by the ECON Committee, July 2018, http://www.europarl. europa.eu/RegData/etudes/STUD/2018/619027/IPOL_STU(2018)619027_EN.pdf. 33 Il tema della collusione algoritmica e dei conseguenti effetti sul versante concorrenziale è puntualmente affrontato dall’OECD, Algorithms and Collusion: Competition Policy in the Digital Age, 2017, reperibile su www.oecd.org/competition/algorithms-collusion-competition-policy-in-the-digital-age.htm, la cui impostazione è stata ripresa dal Parlamento europeo, nella classificazione degli algoritmi potenzialmente pregiudizievoli, nei seguenti termini: «Notwithstanding their benefits, algorithms also pose several risks to the competition
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3. Algoritmi vs. algoritmi: “imputazione”, diritto di difesa e riconoscimento di alcune “aggravanti” nelle tecnologie emergenti. I dibattiti sugli algoritmi vertono diffusamente su un’impostazione generica ed estensiva, prescindendo da qualunque distinzione di sorta. Diversamente, non tutti gli algoritmi sono portatori intrinseci dello stesso grado di “pericolosità”, dovendo differenziare tra algoritmi di gestione quantitativa e algoritmi di profilazione, i quali ultimi, nella classificazione degli stessi, sono quelli che destano maggiore preoccupazione ai fini di eventuali discriminazioni, soprattutto in funzione dei processi decisionali automatizzati e della tutela dei dati personali. Tanto anche sulla base della motivazione che i paventati rischi discenderebbero non
process. According to the Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD), ‘a particular concern highlighted in the literature is the risk that algorithms may work as a facilitating factor for collusion and may enable new forms of co-ordination that were not observed or even possible before. This is referred to as «algorithmic collusion». The OECD defines four roles algorithms can play in: • Self-learning algorithms digital markets as facilitators of collusion. • Monitoring algorithms: they collect and process information from competitors’ behaviours and can be used to enforce previous collusive agreements. • Parallel algorithms: they react to any change in market conditions replicating a concrete pattern. They can be shared by firms and be programmed not to compete among them, but to set a coordinated pricing strategy. • Signalling algorithms: they offer signals (for instance a temporary price increase) and process the signals emitted by competitors to set the prices after all of them agree on those prices by sending the same signal: these algorithms, based on machine learning and deep learning technologies, can produce collusive outcomes by themselves, without human intervention, as they can learn and conclude that the best way to maximise profits is to develop collusive practices. Regarding wealth and asset management services, all these algorithms could be implemented. While competition issues derived from the first three might be adequately addressed through traditional competition enforcement tools, it remains unclear if these tools are enough to cope with competition problems issued by self-learning algorithms, as human intervention seems to somehow fade because the initial programme is modified by self-learning». Il tema comunque rimane oggetto di attento esame anche delle Autorità Antitrust le quali hanno lanciato un’indagine conoscitiva sulle relazioni interdipendenti tra algoritmi e Big Data. Oltre quella nazionale, si segnala in particolare il progetto, lanciato congiuntamente dalle Autorità francese e tedesca il 19 giugno 2018 ( Joint press release disponibile su https://www.bundeskartellamt.de/SharedDocs/Publikation/EN/Pressemitteilungen/2018/19_06_2018_Algorithmen.pdf?__blob=publicationFile&v=2) sugli algoritmi e sulle relative implicazioni sul versante della concorrenza e finalizzato alla pubblicazione di un working paper comune.
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dall’algoritmo utilizzato, bensì dai dati sottostanti con i quali l’algoritmo è stato confezionato e programmato, nonché dalla scarsa qualità sia delle procedure adottate nei trattamenti automatizzati, sia degli strumenti analitici utilizzati. L’esigenza di operare una distinzione tra le tipologie algoritmiche, nonché tra quantità e qualità dei dati, onde agevolare l’uso efficace dei Big Data, è peraltro emersa chiaramente nell’ambito di diverse osservazioni presentate dagli stakeholders in occasione della consultazione sul documento della Commissione europea ai fini della pubblicazione del FinTech Action Plan34. In questo ambito un focus particolare è stato posto sulle applicazioni di intelligenza artificiale e sull’analisi dei Big Data, ove questi ultimi sono stati considerati la materia grezza, l’intelligenza artificiale la raffineria. In ragione di detto rapporto35 le criticità maggiori sono state prospettate proprio in relazione alle soluzioni da adottare nel caso di specie e, in particolare, all’aumento o meno del controllo sull’uso dell’intelligenza artificiale e della sottostante infrastruttura algoritmica. Sul tema si sono confrontati orientamenti di diverso tenore: sul versante delle posizioni favorevoli alla vigilanza sull’intelligenza artificiale abilitata da algoritmi, si è portata avanti l’idea dell’introduzione di un regime di sorveglianza regressiva (“regressive oversight regime”), basato su una progressiva diminuzione dei requisiti applicabili alle entità controllate proporzionalmente allo stadio di sviluppo delle tecnologie ed all’aumentata esperienza dei regolatori36.
34 Cfr. European Commission, Detailed summary of individual responses to the «Public Consultation on FinTech: a more competitive and innovative European financial sector, September 2017, reperibile su https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2017-fintech-summary-of-responses_en.pdf. 35 Numerosi sono ormai gli studi ed i report pubblicati sull’intelligenza artificiale, ma significativo del rapporto indicato nel testo si presenta quello di BaFin, dal titolo Big Data meets Artificial Intelligence. Challenges and implications for supervision and regulation of financial services, July 2018, https://www.bafin.de/SharedDocs/Veroeffentlichungen/EN/Meldung/2018/meldung_180716_kon_bericht_zur_bdai_studie_en.html. 36 Purtuttavia non è mancata la voce dei supervisori, nell’ambito dei quali (cfr. Rossi, FinTech e regole, cit.), vi è chi da un lato ha riconosciuto che in materia di FinTech «le discussioni sono accese, le direzioni di marcia non sono sempre chiare», dall’altro lato ha manifestato qualche perplessità laddove precisa: «la necessità di sottoporre i nuovi fenomeni a qualche forma di regolamentazione rimane invece un’esigenza imprescindibile, anche se in modi che difficilmente somiglieranno a quelli a cui siamo stai abituati sinora. La futura evoluzione tecnologica, in particolare quella dell’intelligenza artificiale, renderà il concetto di «vigilanza» sfuggente. Vigilanza su chi, su che cosa? Bisogna
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Sul versante opposto si sono posti coloro che hanno manifestato un certo scetticismo sulla sorveglianza da esercitare su una nascente e fiorente tecnologia che rischierebbe in tal modo di rimanere soffocata dal controllo regolamentare. Sempre sul fronte contrario, altra motivazione addotta avverso specifiche forme di algo-regulation discende dal fatto che l’intelligenza artificiale dovrebbe essere regolata dalle normative esistenti (es. GDPR37, Mifid II), avallando così la diversa strada dell’approvazione di best practices, dell’adesione a codici di condotta e di altre iniziative autoregolamentari (self regulation), o comunque di interventi di soft law piuttosto che di hard oversight regime. Purtuttavia, gli algoritmi abilitati dall’intelligenza artificiale, anch’essi considerati delle black boxes, rendono difficile per le autorità dei mercati finanziari comprendere la relativa composizione soprattutto nel caso di quelli più sofisticati. La scarsa intellegibilità degli algoritmi andrebbe compensata (rectius: fronteggiata) con lo sviluppo di una solida comprensione dell’intelligenza artificiale, nonostante a parere di taluni stakeholders non sussista un meccanismo di controllo disponibile per prendere in considerazione la natura dinamica degli algoritmi di autoapprendimento (self learning algorithms), cosa che ostererebbe alla verificabilità di questi ultimi. Parimenti, sul versante della qualità dei dati usati nelle analisi di Big Data, la precisione dei dati medesimi è ritenuta della massima importanza, come si evince dalle numerose preoccupazioni espresse, in sede di consultazione sul discussion paper delle ESAs38, in ordine all’uso di pratiche che non offrono al riguardo garanzie sui dati raccolti (come, ad esempio, nel caso di quelli tratti dai social media), che potrebbero condurre a decisioni errate basate su dati imprecisi o su correlazioni spurie. Presupposto imprescindibile ai fini delle performance degli strumenti di Big Data risulta difatti l’affidabilità dei dati usati, laddove eventuali errori e/o pregiudizi inficiano gli algoritmi che a loro volta si impattano negativamente sui consumatori. Le preoccupazioni rappresentate sono state però in parte dissipate con l’applicazione della nuova legislazione europea in materia di pro-
rifletterci». 37 Sui diversi profili si segnala l’utile ricostruzione di Pizzetti , a cura di, Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e regolazione, Torino, 2018. 38 Cfr. Joint Committee Final Report On Big Data, cit.
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tezione dei dati (GDPR), che, a parere di diversi stakeholders, fornisce un framework sufficiente per gestire i Big Data. I requisiti ivi previsti sono improntati ad un principio di neutralità settoriale e possono quindi mitigare molti dei rischi identificati, sebbene – come è stato rilevato – «la molteplicità delle fasi e dei soggetti rispettivamente coinvolti nella raccolta, nella conservazione, nel trattamento e nella condivisione dei dati, unitamente alla combinazione di grandi insiemi di dati contenenti dati personali e non personali provenienti da una serie di fonti diverse divengono talora fonte di grande incertezza giuridica in relazione ai requisiti specifici necessari ai fini della conformità alla vigente legislazione dell’UE in materia di protezione dei dati»39. Conseguentemente è stata sia sollecitata una maggiore guida nell’implementazione della GDPR, al fine di prendere in considerazione le necessità dell’industria finanziaria e dei consumatori (oltre che per aumentare la certezza legislativa e la sicurezza e la fiducia dei partecipanti al mercato nei prodotti e nei servizi basati sui Big Data), sia auspicata una maggiore cooperazione, sull’uso dei dati nei servizi finanziari, tra i supervisori bancari, le autorità a tutela dei dati personali e le unit di intelligenza finanziaria. Cooperazione che, a fronte della maggiore complessità degli strumenti utilizzati e della minor trasparenza del processo decisionale sottostante alle tecnologie di machine learning e di intelligenza artificiale, consentirebbe di sviluppare le capacità necessarie per testare le metodologie dei processi di Big Data al fine di prevenire pregiudizi e difetti. È evidente che in tema di algoritmi molteplici sono i pareri, le soluzioni prospettate e le proposte avanzate, il cui diverso contenuto rende tuttora difficile una comprensione univoca del tema in questione, ma soprattutto una risposta mirata ed efficace, sollevando nel contempo anche rischi di arbitraggi regolamentari.
4. Il doppio volto degli algoritmi tra rischi ed opportunità. Nonostante il giudizio sommario per i motivi addotti (i.e. opacità e mancanza di neutralità), gli algoritmi però non hanno mancato di manifestare una connotazione “multitasking”, di impatto positivo e funzionale ai fini di un’efficace operatività dei supervisori.
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del 14 marzo 2017, cit.
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Così da destinatari soggetti a stretta vigilanza in tutto il ciclo di vita, hanno disvelato nel contempo l’altra faccia della medaglia, divenendo strumenti utili per lo svolgimento di una più efficiente attività di supervisione, altrimenti nota come SupTech40, nonché aprendo la strada a nuove sfide tecnologiche per regolatori e supervisori. E tanto su un duplice versante e con una duplice valenza. Difatti, in prima istanza le competenze dei supervisori necessitano di un significativo aggiornamento, se non di totale revisione onde ricalibrarle conformemente al nuovo contesto digitale, ponendo così in primo piano la necessità di individuare anche nuove forme di vigilanza che siano adeguate e proporzionate ad un quadro fortemente innovato e tecnologizzato (rectius: algoritmizzato), nel quale il focus della vigilanza si sposta dal soggetto vigilato sino al mezzo utilizzato per la prestazione del servizio. Mezzo che può essere irrilevante ai fini della normativa applicabile sulla scorta del principio di neutralità tecnologica, ma che diviene decisivo nel momento in cui favorisce l’automatizzazione del servizio prestato, imponendo l’applicazione di requisiti ulteriori a tutela del consumatore. Il vero destinatario della vigilanza diviene così l’algoritmo e – nei termini in cui si preciserà41 - la robustezza della struttura di supporto. Le violazioni non involgeranno più solo l’inosservanza di regole di comportamento da parte dell’impresa nel rapporto con il cliente, bensì la stessa progettazione dell’automated tool che non risulti espressione
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SupTech (supervisory technology) è definita come «the use of technologically enabled innovation by supervisory authorities» (cfr. Basel Committee on Banking Supervision, Sound Practices Implications of fintech developments for banks and bank supervisors, February 2018, https://www.bis.org/bcbs/publ/d431.pdf). E’ proprio il Comitato di Basilea che individua le opportunità offerte da SupTech nell’implicazione e successiva considerazione sub n. 8) nei seguenti termini: «Implication 8: The same technologies that offer efficiencies and opportunities for fintech firms and banks, such as AI/ML/advanced data analytics, DLT, cloud computing and APIs, may also have the potential to improve supervisory efficiency and effectiveness. Consideration 8: Safety and soundness and financial stability could be enhanced by supervisors investigating and exploring the potential of new technologies to improve their methods and processes, and they may wish to share with each other their practices and experiences». Da ultimo si veda altresì il recente report del Financial Stability Institute, Innovative technology in financial supervision (suptech) – the experience of early users, by Dirk Broeders and Jermy Prenio, July 2018, reperibile su https://www.bis.org/fsi/publ/insights9. pdf. 41 Su cui v. infra.
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dell’adempimento di quelle regole. E tanto sia nel caso in cui dette regole siano poste a carico dell’impresa, sia nell’ipotesi in cui talune funzioni siano esternalizzate 42. Tuttavia, su un versante speculare, come già anticipato, la sfida lanciata dalle nuove tecnologie va ben oltre, estendendosi sino a divenire veri e propri strumenti di vigilanza proattiva, al fine di rendere più efficace l’azione di supervisione (i.e. SupTech), sulla scorta delle potenzialità insite nelle tecnologie abilitate proprio dagli algoritmi. In tal senso si registrano già le prime esperienze43, sebbene il tema sia ancora ad uno stadio iniziale e le prospettive di sviluppo44 siano incoraggianti con riferimento alle diverse aree di applicazione, come evidenziato dal Financial Stability Institute nel suo ultimo Report sulla tecnologia innovativa nella supervisione finanziaria45. In definitiva, in una visione prospettica e di più ampia portata, l’attenzione verso le nuove tecnologie comporterà necessariamente nuove competenze dei supervisori sia per cavalcarle e trarne valore nell’azione di vigilanza, sia per controllarle ai fini del corretto adempimento delle regole di comportamento da parte dei soggetti vigilati, lasciando così presagire gli albori di forme di algo-intervention o comunque di nuovi poteri di intervento sugli algoritmi da parte dei supervisori. Poteri da esercitarsi proprio in situazioni che involgono rischi sistemici per il mercato e per la tutela degli investitori46, quali, a titolo esemplificativo,
42
In questi termini Paracampo, L’adeguatezza, cit. A titolo esemplificativo si segnala l’iniziativa di Banca d’Italia (Listening to the buzz social media sentiment and retail depositors’ trust, di Accornero e Moscatelli, Working Papers, n. 1165, February 2018, https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/temi-discussione/2018/2018-1165/index.html?com.dotmarketing.htmlpage.language=1) che ha costituito un team ad hoc sui Big Data per valutare, sulla scorta di dati non strutturati tratti dai social media (in particolare Twitter), le informazioni ivi acquisite tanto sulle aspettative e sul livello di fiducia dei risparmiatori, quanto in funzione macroeconomica per preservare la stabilità e l’efficienza del settore finanziario nel suo complesso. 44 Cfr. Big Data in Central Banks, Central Banking Focus Report, 2018, https://www. centralbanking.com/media/download/29356; Zeng, Glaister, Keith, mValue Creation from Big Data: Looking Inside the Black Box, Strategic Organization, 2018, 16 (2). p. 105, https://kar.kent.ac.uk/60408; Caruana, Financial inclusion and the fintech revolution: implications for supervision and oversight, BIS (Bank for International Settlement), Basel 26 October 2016, https://www.bis.org/speeches/sp161026.htm. 45 Cfr. Innovative technology in financial supervision (suptech) – the experience of early users, by Broeders and Prenio, July 2018, reperibile su https://www.bis.org/fsi/publ/ insights9.pdf. 46 Cfr. Paracampo, L’adeguatezza, cit. 43
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quelli su larga scala derivanti da malfunzionamenti degli algoritmi o da eventuali manipolazioni di mercato. Pregiudizi tutti che esporrebbero le imprese a sanzioni e danni reputazionali da un lato, ad una molteplicità di richieste risarcitorie avanzate da parte dei clienti dall’altro lato.
5. Regolamentare gli algoritmi? Gli orientamenti ondivaghi delle Istituzioni europee a fronte delle sfide della trasparenza e della fiducia nelle nuove tecnologie. È anche vero che le difficoltà di approccio ai temi in questione sono amplificate da un lato dal manifestato “disagio”, da parte di regolatori, autorità di supervisione, istituzioni nazionali ed europee, organismi internazionali, nel processo di comprensione e regolazione di un fenomeno innovativo, qual è appunto FinTech, e di tutte le nuove tecnologie, dall’altro lato dalla necessaria considerazione e “combinazione” delle problematiche emerse con la legislazione settoriale in materia finanziaria (i.e. Mifid 2, IDD, MCD, PRIIPs) e con quella trasversale (GDPR, NIS, AML), che infittiscono oltremodo il quadro di riferimento, rendendolo più volatile. In uno scenario del genere, di certo c’è ancora molta confusione sulla direzione da intraprendere: in primo luogo “se regolamentare”; in secondo luogo “cosa regolamentare”; in terzo luogo in che termini regolamentare; infine quale strumento regolamentare utilizzare. Il che ripropone gli stessi dilemmi – già oggetto di numerosi dibattiti – che affliggono tutto il mondo FinTech, ma che divengono del tutto peculiari quando involgono gli algoritmi, i nuovi “derivati” dell’era digitale, i sottostanti che abilitano ed automatizzano l’intero ecosistema. La prima domanda concerne a monte l’an, la stessa necessità di regolamentare gli algoritmi, come più volte sollecitato ed invocato, sulla scia di una nutrita letteratura straniera oppure se – come sostenuto in ambito europeo – non debba ritenersi preferibile il ricorso a misure di soft law. Nello step successivo il punto focale dei cennati dilemmi si sposta su altro versante, quello che coincide con il target regolamentare, l’oggetto della regolamentazione. Cosa che solleva non pochi interrogativi: regolamentare gli algoritmi in tutto il ciclo di vita o regolamentarne l’uso? Ancora, regolamentare i soggetti che immettono i dati negli algoritmi e forniscono gli input per il suo funzionamento? Regolamentare l’intera catena di valore o individuare le singole responsabilità dei soggetti che partecipano alle diverse fasi del ciclo produttivo?
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Qualunque sia la risposta esatta, ciascuna presenta punti di forza ed elementi di debolezza. Le prime due implicherebbero l’apertura della c.d. “scatola nera” per comprenderne ed esaminarne il relativo contenuto, la comprensione della metodologia utilizzata, del processo di funzionamento per verificare la tenuta e la robustezza degli algoritmi e dei sistemi di valutazione, nonché, più a monte, l’individuazione della fonte all’origine di eventuali danni a terzi. Il sistema diventerebbe così intellegibile e trasparente soprattutto alle autorità di supervisione, mentre la terza opzione su rappresentata potrebbe accentuare invece i profili di responsabilità in capo ai soggetti deputati al design, al “confezionamento” dell’algoritmo ed alla sua programmazione. Soluzione quest’ultima che potrebbe rimanere valida sino a quando l’umano conservi il controllo sull’algoritmo e ne assuma piena responsabilità, ma potrebbe manifestare i propri limiti in caso di machine learning, ove gli algoritmi producono altri algoritmi con l’apprendimento automatico. Una soluzione omnicompresiva ed esaustiva non è stata ancora individuata, a fronte di orientamenti ondivaghi desumibili da vari documenti pubblicati e che invitano la Commissione, gli Stati membri e, in taluni casi, anche le autorità di protezione dei dati, da un lato «a mitigare [non prevenire!] le distorsioni negli algoritmi»47, dall’altro «ad individuare e adottare tutte le misure opportune per ridurre al minimo [non prevenire!] la discriminazione e la mancanza di imparzialità algoritmiche, nonché a sviluppare un solido quadro etico comune per la trasparenza nel trattamento dei dati personali e nel processo decisionale automatizzato, che possa orientare l’utilizzo dei dati e guidare la costante applicazione del diritto dell’Unione»48. Ancora, altra posizione emerge con riferimento al funzionamento algoritmico laddove viene «evidenziata l’importanza cruciale di chiarire i metodi con cui vengono prese le decisioni basate sugli algoritmi e di promuovere la trasparenza nell’uso di tali algoritmi”. Conseguentemente, (si) chiede alla Commissione e agli Stati membri di “esaminare il potenziale di condizionamenti ed errori nell’utilizzo degli algoritmi, al fine di
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Cfr. Parlamento europeo, Risoluzione sulla tecnologia finanziaria, cit. Cfr. Parlamento europeo, Risoluzione sulle implicazioni dei Big Data per i diritti fondamentali: privacy, protezione dei dati, non discriminazione, sicurezza e attività di contrasto (nn. 20 e 21). 48
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evitare qualsiasi tipo di discriminazione, pratica sleale e violazione della vita privata»49. Si spazia quindi dalla trasparenza sul contenuto e sugli input immessi ai fini della progettazione degli algoritmi sino alla trasparenza del relativo uso e sui metodi di assunzione delle decisioni basate sugli algoritmi medesimi. Il ventaglio delle prospettive è variegato e muta probabilmente in funzione dell’oggetto e della ratio del documento preso di volta in volta in considerazione, sebbene valga la pena fare una precisazione. Non si parla di “prevenire” o “evitare” distorsioni, bensì in forma attenuata di “mitigare” le stesse, quasi a volerne acclarare come fisiologico detto connotato peculiare, insito nell’utilizzo degli algoritmi. Motivo per il quale si ritiene che la protezione dei consumatori, ma anche la stabilità finanziaria passino da un’adeguata politica di attenzione e di intervento sugli algoritmi, rei di potenziali pregiudizi micro e macroeconomici in virtù di possibili distorsioni degli input ivi immessi. Il quadro non appare ancora sufficientemente chiaro ai fini di uno specifico intervento regolamentare, sebbene al momento si stia facendo strada l’idea dell’adesione a codici di condotta e di un approccio etico agli algoritmi, come suggerito nella risoluzione del Parlamento europeo sulla robotica, sulla falsariga dei precedenti già maturati in ambienti anglosassoni e non. A fronte di una strada ancora in salita e non lineare, permangono le sfide principali che discendono dall’era digitale e da un contesto algoritmizzato, legate alla necessità di garantire la non discriminazione, il giusto processo, la trasparenza50 e la comprensibilità dei processi decisionali51, unitamente alla fiducia nelle nuove tecnologie52. Anzi quest’ultima,
49 Cfr. Parlamento europeo, Risoluzione del 15 giugno 2017 sulle piattaforme online e il mercato unico digitale (nn. 11 e 12), http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc. do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0272+0+DOC+XML+V0//IT. 50 Sulle problematiche connesse alla necessità di una maggiore trasparenza, v. più diffusamente infra. 51 Cfr. Parlamento europeo, Risoluzione sulle norme di diritto civile sulla robotica, cit. 52 Esemplificativo quanto evidenziato in proposito dal Parlamento europeo, il quale «osserva che la fiducia del pubblico nelle tecnologie interessate è fondamentale per la futura crescita del settore FinTech, inoltre segnala la necessità di una migliore istruzione e sensibilizzazione circa l’impatto positivo della tecnologia finanziaria sulla vita di tutti i giorni, ma anche circa i rischi per la sicurezza delle reti e delle informazioni per i cittadini e le imprese, in particolare per le PMI» (cfr. Risoluzione sulla tecnologia finanziaria, cit., sub point 35).
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unitamente all’educazione digitale, rappresentano fattori imprescindibili affinché le nuove tecnologie possano esprimere tutto il loro potenziale ai fini di una maggiore inclusione finanziaria dei consumatori53. Elementi che contribuiscono a generare fiducia nelle tecnologie sono individuati nel rispetto dei diritti fondamentali, nella conformità alla legislazione vigente europea in tema di trattamento dei dati personali e nella certezza giuridica per tutti i soggetti coinvolti, oltre che in solide norme scientifiche ed etiche, fondamentali per creare fiducia nelle soluzioni dei Big Data e considerarle affidabili54. In tal senso si pronuncia il Parlamento europeo che si sofferma sulla trasparenza e sull’adeguata offerta di informazioni al pubblico interessato, quali “elementi essenziali della costruzione della fiducia pubblica e della protezione dei diritti individuali”. Un primo passo su questa strada, nella prospettiva appunto di incrementare la fiducia nelle nuove tecnologie e negli algoritmi sottostanti, è rappresentata dalla risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018 sulle “tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione”55, ove si «sottolinea che la fiducia nella DLT è garantita da algoritmi crittografici che sostituiscono l’intermediario terzo attraverso un meccanismo che esegue la convalida, la salvaguardia e la conservazione delle transazioni; sottolinea che la fiducia nelle blockchain56 pubbliche (permissionless) si fonda su algoritmi critto-
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Sul rapporto tra fiducia ed educazione finanziaria (rectius: digitale) dei consumatori mi sia consentito rinviare a Paracampo, a cura di, FinTech e il mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, in FinTech. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Torino, 2017, pp. 20 ss. 54 Cfr. Parlamento europeo, Risoluzione sulle implicazioni dei Big Data per i diritti fondamentali: privacy, protezione dei dati, non discriminazione, sicurezza e attività di contrasto, cit,, che evidenzia: «le informazioni emerse grazie all’analisi dei Big Data non offrono quadri imparziali di alcun tema e sono affidabili solo nella misura consentita dai dati di riferimento; pone l’accento sul fatto che l’analisi predittiva basata sui Big Data è in grado di offrire solo una probabilità statistica e, pertanto, non può mai anticipare con precisione il comportamento individuale; sottolinea pertanto che solide norme scientifiche ed etiche sono essenziali per gestire la raccolta dei dati e valutare i risultati di tale analisi». 55 Risoluzione reperibile su http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc. do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2018-0373+0+DOC+XML+V0//IT 56 Il tema della blockchain è di estrema rilevanza e di taglio trasversale, tanto da aver traslato i risultati raggiunti in ambito finanziario a tutti i settori economici e sociali. Si potrebbe dire che il settore finanziario abbia agito da incubatore per lo sviluppo delle potenzialità legate alla blockchain sino ad esportarne le connotazioni funzionali in altri
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grafici, sui partecipanti, sulla configurazione della rete e sulla struttura e che gli intermediari terzi possono essere sostituiti attraverso un meccanismo che effettua la convalida, la salvaguardia e la conservazione delle transazioni e accelera la compensazione e il regolamento di alcune operazioni in titoli; rileva che l’efficacia delle salvaguardie dipende dalla corretta applicazione della tecnologia e pertanto richiede sviluppi tecnologici che garantiscano la sicurezza reale, rafforzando così la fiducia»57.
6. Algoritmi e trasparenza o algoritmi vs. trasparenza? Connubio necessario o semplice ossimoro? Il richiamo, in tutti i documenti pubblicati, è pressoché il medesimo, rivolto in direzione dell’osservazione e della necessaria considerazione degli algoritmi, con riferimento ai quali si invoca costantemente la classica ricetta della trasparenza, quasi identificasse la panacea per la risolu-
settori della vita quotidiana. È stata definita dal Parlamento europeo (cfr. Cryptocurrencies and Blockchain. Legal context and implications for financial crime, money laundering and tax evasion, STUDY Requested by the TAX3 committee, July 2018, http://www.europarl.europa.eu/ cmsdata/150761/TAX3%20Study%20on%20cryptocurrencies%20and%20blockchain. pdf) nei seguenti termini: «Blockchain is a particular type or subset of so-called distributed ledger technology («DLT»). DLT is a way of recording and sharing data across multiple data stores (also known as ledgers), which each have the exact same data records and are collectively maintained and controlled by a distributed network of computer servers, which are called nodes. Blockchain is a mechanism that employs an encryption method known as Cryptography and uses (a set of ) specific mathematical algorithms to create and verify a continuously growing data structure – to which data can only be added and from which existing data cannot be removed – that takes the form of a chain of «transaction blocks», which functions as a distributed ledger». In ambito finanziario il tema, pur rimanendo oggetto di studio da parte di un Osservatorio creato presso la Commissione europea, rimane un topic in pole position tra quelli monitorati a diversi livelli da Istituzioni e Autorità nazionali ed europee. Al riguardo si ricordano inter alia: la regulatory sandbox creata da IVASS per studiare e valutare le potenzialità della blockchain applicata al settore assicurativo, sebbene il tema sia al vaglio dell’EIOPA; la formazione presso il MISE di un gruppo di esperti sul tema che segue all’adesione tardiva del nostro Paese alla partnership europea in materia; le azioni da intraprendere nel prossimo futuro in ambito europeo nel quadro nel Piano d’azione per FinTech (cfr. FinTech Action Plan: For a more competitive and innovative European financial sector [COM(2018) 109/2, pubblicato l’8 marzo 2018]. 57 Cfr. sub nn. 34 e 35.
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zione di tutte le problematiche relative ad asimmetrie informative e non, a tutela del consumatore, in ambito finanziario. E il richiamo assume quasi un’impostazione generica e standardizzata quando viene invocato il rispetto dei diritti umani e, in particolare, quello di non discriminazione58, tranne poi assumere, solo in un secondo momento, contenuti più specifici allorquando il tema venga contestualizzato in ciascun versante (in)direttamente coinvolto. La soluzione indicata solleva però diverse perplessità, atteso che la carta della trasparenza è sicuramente quella più “facile” da giocare, ma nel caso di specie, rapportato ad un contesto algoritmico, risulta in definitiva anche quella più adeguata ed efficace in funzione di una maggiore tutela del consumatore? Rappresenta una soluzione esaustiva, tale da dissipare ogni opacità racchiusa nella black box oppure la trasparenza è solo parte di una proposta solutoria di più ampia portata? Eppure, nei diversi documenti nei quali si lamenta la mancanza di trasparenza, non si allude mai – o quasi mai – a forme di prevenzione dalle distorsioni di cui possono essere inficiati gli algoritmi, quanto piuttosto a modalità di gestione (i.e. “mitigare”, “ridurre al minimo”59), quasi a voler indicare la connotazione ontologica di un rischio immanente agli stessi algoritmi, di cui i consumatori devono essere resi consapevoli attraverso l’informativa preliminare. Di conseguenza, quale efficacia è possibile riconoscere alla trasparenza degli algoritmi? Quella di ristabilire asimmetrie informative su rischi ulteriori (connessi all’uso di algoritmi) rispetto a quelli già insiti nell’operazione finanziaria in concreto realizzata? L’esigenza di una maggiore disclosure, già connotato intrinseco dei rapporti finanziari, diviene un’esigenza sempre più impellente nei rapporti (semi)automatizzati che si avvalgono di nuove tecnologie e sono basati e/o abilitati da algoritmi. Il tema, oltre ad essere particolarmente delicato e complesso al tempo stesso, impone per un verso un mutamento di prospettiva rispetto al
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Sul punto si vedano le indicazioni del World Economic Forum, How to prevent discriminatory outcomes in machine learning, 12 March 2018, https://www.weforum. org/whitepapers/how-to-prevent-discriminatory-outcomes-in-machine-learning, ma anche quelle di Data & Society, Mark Latonero, Governing Artificial Intelligence: Upholding Human Rights & Dignity, 10 October 2018, https://datasociety.net/wp-content/uploads/2018/10/DataSociety_Governing_Artificial_Intelligence_Upholding_Human_Rights. pdf. 59 Sul punto v. supra.
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rapporto tradizionale, dal momento che gli algoritmi possono risultare oscuri e difficili da illustrare anche alla stessa controparte contrattuale, quella che nei rapporti face to face è tenuta a riequilibrare le asimmetrie informative adempiendo ad una serie di doveri informativi. Non solo. Quale rapporto può intercorrere tra algoritmi e trasparenza, ovvero tra due termini “potenzialmente” contrapposti? Quello di un connubio necessario ai fini della tutela del consumatore o di un ossimoro60 che prende atto di una situazione solo gestibile? Adusi a considerare i due termini separatamente e con valenza autonoma, quale conseguenza discende dalla loro unione? Di certo, il connubio “algoritmi e trasparenza” è divenuto un leitmotiv - talora in qualche maniera abusato – trasversale non solo alla regolamentazione finanziaria e alle diverse articolazioni di FinTech, ma addirittura a tutta la disciplina che involge la tutela consumeristica nelle sue diverse espressioni economiche e sociali, ove ricorra l’uso preponderante o esclusivo degli algoritmi. Ancora. Se il fenomeno FinTech è associato all’ulteriore dilemma sul relativo carattere dirompente o incrementale e quindi se costituisca rispettivamente una minaccia o un’opportunità61, identica domanda appare riproponibile con riguardo all’uso degli algoritmi e alla necessità di una maggiore trasparenza in ciascuna delle articolazioni in cui trova espressione l’intero ecosistema. E in questo dilemma gli algoritmi, come già indicato, sono “ambivalenti” e possono giocare su entrambi i fronti, quello delle opportunità (con una maggiore personalizzazione) e quello dei rischi (con possibile discriminazione), palesati appunto dalla rinnovata richiesta di trasparenza che però non opera a tutto tondo, bensì deve essere graduata – in considerazione anche delle esigenze sottese alla tutela proprietaria degli algoritmi – con riferimento solo ad alcuni profili di vita che involgono gli algoritmi.
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Di ossimoro parla anche, in alternativa alla tautologia, Mezza, Algoritmi di libertà. La potenza del calcolo tra dominio e conflitto, Roma, 2018, pp. 9 ss. 61 I termini «algoritmi» e «trasparenza», se presi singolarmente pongono già una serie di questioni con riguardo al mercato finanziario e ciascuno, individualmente considerato, ripropone i termini opposti evidenziati nel titolo del convegno («FinTech: minaccia o opportunità per i mercati finanziari?»), potendo raffigurare e divenire espressione, in una visione ambivalente, tanto di un profilo di opportunità quanto nel contempo di una minaccia.
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Algoritmi e trasparenza divengono così i principali poli di riferimento dell’era digitale e di FinTech in particolare, espressione di due esigenze (in)conciliabili? Opacità (insita nell’algoritmo) vs trasparenza? Esigenza sottesa all’innovazione vs esigenza sottesa alla tutela dei consumatori (trasparenza)? L’algoritmo racchiude due anime, una positiva e l’altra “tendenzialmente” negativa. L’abbinamento dei due termini comporta sicuramente il bilanciamento degli interessi in gioco e l’individuazione di un punto di equilibrio tra contrapposte esigenze sottese a ciascun polo di riferimento. Salvaguardare e sostenere l’innovazione da un lato e/o gestire o prevenire i potenziali rischi dall’altro rappresentano un compito delicato sul quale tuttora dibattono regolatori e autorità, in particolare in merito alla scelta se privilegiare, nel caso concreto, ora l’uno ora l’altro o comunque in ordine a quale soluzione intermedia possa soddisfare entrambe le rappresentate esigenze, di cui ciascun polo è espressione. Le problematiche però non finiscono qui. A fronte di un algoritmo, diventato “convenzionalmente” sinonimo di opacità, i desiderata più diffusi puntano verso algoritmi trasparenti, intellegibili ed accessibili per tutti coloro le cui sorti sociali, economiche e finanziarie sono il risultato di trattamenti automatizzati. È tutto così semplice o l’impostazione offerta tradisce un percorso ben più tortuoso e complesso? Difatti si fa presto a richiamare la ricetta della trasparenza, ma le criticità si palesano velocemente nel momento in cui si procede a dare concretezza al concetto di trasparenza, sollevando non pochi interrogativi che evidenziano il carattere tuttora aleatorio di una soluzione (i.e. trasparenza) che presenta diversi limiti e taluni elementi di debolezza in termini di risposta efficiente ed esaustiva alle criticità evidenziate. In primo luogo, in quale direzione dovrebbe essere puntata la lente della trasparenza? Trasparenza di cosa o su cosa? Trasparenza dei dati utilizzati (ivi inclusa la correttezza, la verificabilità e l’affidabilità dei dati immessi, oltre alla correttezza del processo di immissione dei dati) o trasparenza del modus operandi dei soggetti deputati alla programmazione dell’algoritmo? Ancora. Trasparenza dell’algoritmo in sé o trasparenza delle sue modalità di funzionamento o di apprendimento automatico? Le domande potrebbero moltiplicarsi, soprattutto partendo da un dubbio preliminare: è l’algoritmo a dover essere trasparente oppure la trasparenza sul suo utilizzo e sulle modalità di funzionamento deve essere garantita da chi lo crea e/o da chi lo utilizza? In quest’ultimo caso
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risponde al concetto di trasparenza una spiegazione chiara di qualcosa (i.e. algoritmo) che invece conserva la sua intrinseca complessità? Si invoca peraltro a disclosure per un’effettiva mancanza di trasparenza o, piuttosto, la problematica serve a simulare una oggettiva difficoltà – specie dei regolatori e supervisori – a comprendere modelli statistici e meccanismi non ancora esplorati o talora del tutto sconosciuti? L’elenco delle domande si allunga poi nel momento in cui si richiedono a gran voce algoritmi trasparenti, ma trasparenti a chi? Al consumatore o al supervisore, dal momento che il beneficiario della trasparenza è mutato nel tempo, virando dal primo al secondo “porto” (i.e. supervisore). Decisiva, per detto mutamento di prospettiva, è stata la considerazione di un ulteriore dubbio, ovvero se la disclosure debba operare a tutto spiano oppure possa incontrare dei limiti, a tutela della riservatezza sul contenuto degli algoritmi, derivante dalla qualificazione degli stessi in termini di «valuable intellectual property assets»62. La prevalenza di quest’ultima tesi è emersa peraltro in sede di consultazione del FinTech Action Plan, ove sono stati paventati rischi conseguenti ad un eccesso di trasparenza che potrebbe condurre verso la disclosure di segreti e assets sensibili delle imprese63. Identica preoccupazione è stata chiaramente palesata nel contesto della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online64, ove è stato sottolineato: «Quanto alla trasparenza sui posizionamenti e sull’utilizzo dei dati, i fornitori accettano
62 Cfr. Walden - Christou, Legal and Regulation Implications of Disruptive Technologies in Emerging Market Economies, A Report for the World Bank, June 2018, p. 8, reperibile su https://www.law.ox.ac.uk/business-law-blog/blog/2018/11/legal-and-regulatoryimplications-disruptive-technologies-emerging, ove proseguono «Algorithms…, as such may be kept hidden from public view, which may clash with demands for transparency and accountability. Legal regimes and regulatory mechanisms need to be implemented that offer a means of reconciling these potentially conflicting interests». 63 In tal senso anche Cardon, Che cosa sognano gli algoritmi, cit. pp. 66 ss. la quale nota che «i grandi attori del web proteggono gelosamente la proprietà commerciale della ricetta dei loro algoritmi, col pretesto che renderla pubblica faciliterebbe la vita di quelli che cercano di truccarli. E’ vero che, per certi grandi calcolatori del web, in particolare quello di Google, la conoscenza precisa dei parametri di funzionamento darebbe modo alla schiera di siti in cerca di visibilità, di prendere d’assalto il sistema di misura, degradando la qualità dei risultati a discapito di tutti». 64 Cfr. COM(2018) 238 final del 26 aprile 2018, https://ec.europa.eu/transparency/ regdoc/rep/1/2018/IT/COM-2018-238-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF.
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tendenzialmente l’obbligo di una divulgazione relativamente elevata ma ravvisano il pericolo di truffe e manipolazione a danno degli algoritmi in presenza di un eccesso di trasparenza. In generale, i fornitori sostengono l’idea di monitorare l’economia delle piattaforme online, a condizione che tale monitoraggio avvenga nel pieno rispetto dei loro segreti commerciali».
7. Gli algoritmi tra misure palliative e possibili azioni di algo-governance. La trasparenza, quale principale key driver nell’approccio agli algoritmi, viene confermata anche nel primo intervento assunto in materia di Big Data. Questi ultimi difatti, come già indicato, considerati rei di eventuali distorsioni negli algoritmi e già oggetto di valutazione da parte del Joint Committee delle ESAs65, hanno ricevuto una risposta di compromesso, con la quale le Autorità hanno preferito continuare a monitorare eventuali sviluppi del fenomeno piuttosto che intervenire in maniera decisa sugli eventuali rischi variamente prospettati. Nel soppesare rischi e benefici, il Joint Committee è giunto alla conclusione che i benefici superino i potenziali rischi e che per questi ultimi la legislazione attualmente vigente (sia quella settoriale che quella orizzontale) offra già adeguati strumenti e presidi per la relativa gestione. Motivazione quest’ultima in base alla quale un intervento legislativo in materia è stato considerato prematuro, lasciando però il posto alla declinazione di good practices sull’uso di Big Data a cura delle imprese che ne fanno uso. Good practices che in qualche modo vanno a sopperire alla difficoltà dei legislatori e supervisori di far fronte alla continua evoluzione che connota il fenomeno, come parimenti tutti quelli che sono basati su qualunque tecnologia. Si è quindi preferito uno strumento di autoregolamentazione che, nel disegno delle ESAs, dovrebbe accompagnare la necessaria compliance al sistema di regole vigenti in tema di protezione dei dati, di tutela dei consumatori e nella legislazione finanziaria.
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Cfr. Joint Committee Final Report on Big Data, cit.
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La scelta e l’individuazione concreta di dette good practices sono state poi rimesse alla discrezionalità delle imprese che, anche in relazione al principio di proporzionalità e alle peculiarità dell’attività esercitata, nonché dei possibili rischi che potrebbero materializzarsi in ciascun settore finanziario, potranno meglio e più opportunamente declinarle. Dal canto suo, il Final Report ha fornito solo una traccia a mezzo di una lista di elementi indicati a titolo esemplificativo, fermo restando però il rispetto prioritario ed imprescindibile dei principi generali quali quello della promozione di un trattamento dei consumatori equo, trasparente e non discriminatorio. La tripartizione suggerita annovera l’adozione di robusti processi di Big Data e di algoritmi, la protezione dei consumatori, la trasparenza sull’uso dei Big Data, sebbene le indicazioni fornite sugli ultimi due versanti siano preponderanti rispetto al primo, quasi a voler accentuare il ruolo della trasparenza in direzione e a tutela del consumatore piuttosto che verso il supervisore. Il primo profilo è stato oggetto di un laconico suggerimento in ordine al monitoraggio periodico del funzionamento delle procedure e delle metodologie come, parimenti, degli strumenti di Big Data per adattarli agli sviluppi tecnologici ed ai rischi talora emersi, mentre sugli altri due aspetti le Autorità si soffermano maggiormente. La tutela del consumatore passa dapprima da un’opportuna valutazione periodica, a mo’ di manutenzione ordinaria, circa il persistente allineamento dei prodotti e dei servizi basati sui Big Data con gli interessi dei consumatori, onde – se necessario – intervenire sugli strumenti di Big Data utilizzati, rivedendoli o aggiustandoli66. A latere si pongono l’implementazione di procedure ad hoc in funzione di appropriate azioni di rimedio in ipotesi di materializzazione di problemi che possono arrecare detrimento al consumatore oppure che possono essere anticipati (in particolare, in relazione alla segmentazione dei consumatori; impatto sui prezzi o accesso dei consumatori ai servizi a causa di un’accresciuta segmentazione del target market) da un lato, l’integrazione della policy di trasparenza delle istituzioni finanziarie in
66 La prospettiva indicata nel testo è peraltro in linea con altra proposta avanzata nell’ambito della consultazione sul FinTech Action Plan, ove è stato suggerito di sottoporre a controllo gli output piuttosto che gli algoritmi e inferire dai risultati se l’algoritmo ha agito per la finalità per la quale è stato creato, atteso che differenti algoritmi potrebbero anche essere nutriti con le stesse informazioni ed i risultati potrebbero allora essere comparati.
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sede di definizione del framework della gestione dei reclami con i potenziali rischi associati all’uso dei Big Data dall’altro lato. Il quadro viene completato con una rigorosa compliance con i codici di condotta specifici dell’industria adottati ai sensi della GDPR ed una speciale attenzione alla redazione della policy in termini di elaborazione dei dati raccolti dalle piattaforme di social media, in considerazione del diverso livello di comprensione dei consumatori delle impostazioni sulla privacy sugli account dei social media ed i rischi di inesattezze in tali dati. Infine viene suggerito di mantenere un equilibrio tra strumenti decisionali automatizzati e forme di intervento umano. Appare evidente come le good practices si soffermino sulla fase del funzionamento degli algoritmi, prescindendo da quelle preliminari della raccolta dati, della relativa elaborazione e trattamento, nonché successiva progettazione degli algoritmi, alle quali potrebbero farsi risalire molti dei possibili pregiudizi sinora indicati. Non solo. Nella prospettiva offerta dalle good practices la disclosure dovrebbe operare su un duplice piano: uno più specifico, relativo ai consumatori che rilasciano dati, l’altro di portata più generale e di stampo educativo, finalizzato ad accrescere la consapevolezza dei consumatori. Sul primo versante le imprese dovranno assicurare un alto livello di trasparenza nei confronti dei consumatori con riferimento all’uso di tecnologie di Big Data per processare i loro dati, ovvero sulla preliminare informativa relativa all’uso delle informazioni, trascurando altri aspetti altrettanto rilevanti quali le modalità di trattamento delle informazioni, di funzionamento delle tecnologie e delle finalità sottese all’uso dei dati. Il secondo profilo indicato invece sollecita le imprese a promuovere la consapevolezza pubblica, l’educazione dei consumatori sul fenomeno dei Big Data e sui diritti dei consumatori connessi all’uso di Big Data da parte delle istituzioni finanziarie. Profilo quest’ultimo di grande rilevanza ai fini dell’educazione finanziaria e digitale dei consumatori con riferimento ai quali l’impegno dovrebbe essere condiviso con le autorità e tutti gli attori sul mercato, onde favorire la sensibilizzazione dei consumatori sui diritti digitali, sulla protezione dei dati e su un uso responsabile degli stessi67.
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Il tema è all’attenzione delle Istituzioni, come si evince dalla risoluzione del Parlamento europeo sulle implicazioni dei Big Data, cit., laddove viene sottolineato: «la scar-
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8. Focus sugli algoritmi e sulle misure di governance: dalla trasparenza verso il cliente alla trasparenza verso i supervisori. A fronte di una risposta basilare e sommaria delle ESAs con riguardo ai Big Data, valida su un piano generale, ma necessariamente contestualizzabile nello scenario di volta in volta in considerazione, fa da contraltare la crescente attenzione verso il mondo degli algoritmi, nella convinzione di dover parcellizzare l’interesse solo su taluni step della catena di valore. La lente di osservazione muta direzione, cominciando a soffermarsi su aspetti non ancora adeguatamente considerati, quali caratteristiche e diversa qualificazione degli algoritmi, processo di confezionamento o design, modalità di funzionamento, attendibilità, verificabilità, auditing, accountability e ancor più a monte data provenience. Profili tutti che involgono l’intero processo di governance degli algoritmi (i.e. algo-governance) nel relativo ciclo di vita, sul quale sono state avanzate proposte nella letteratura soprattutto straniera68 e negli studi
sa conoscenza e comprensione da parte dei singoli della natura dei Big Data consente l’utilizzo di informazioni personali in modi non intenzionali; rileva che la formazione e la sensibilizzazione sui diritti fondamentali sono estremamente urgenti nell’Unione; esorta le istituzioni dell’UE e gli Stati membri a investire nell’alfabetizzazione digitale e nella sensibilizzazione in merito ai diritti digitali, alla privacy e alla protezione dei dati tra i cittadini, compresi i minori; sottolinea che questo tipo di formazione dovrebbe contemplare la conoscenza dei principi o delle logiche di funzionamento degli algoritmi e dei processi decisionali automatizzati nonché del modo per interpretarli in maniera significativa; evidenzia inoltre la necessità di formare promuovendo la conoscenza dei luoghi e delle modalità di raccolta dei flussi di dati (ossia web scraping, combinazione dei dati di streaming con i dati delle reti sociali e dei dispositivi collegati e aggregazione degli stessi in un nuovo flusso di dati)». 68 La letteratura straniera è particolamente nutrita sul tema. Si menzionano, inter alia: Saurwein, Just and Latzer, Governance of algorithms: options and limitations, Vol. 17, n. 6/2015, 35, https://www.emeraldinsight.com/doi/abs/10.1108/info-05-2015-0025; King’s College London, Algorithmic Regulation, Discussion Paper, n. 85, September 2017, https://www.kcl.ac.uk/law/research/centres/telos/assets/DP85-Algorithmic-Regulation-Sep-2017.pdf; Keats Citron & Pasquale, The Scored Society: due process for automated predictions, in Washington Law Review, Vol. 89, 2014; Data&Society, Algorithmic Accountability: A Primer, April 2018, https://datasociety.net/wp-content/uploads/2018/04/ Data_Society_Algorithmic_Accountability_Primer_FINAL-4.pdf; Leese, The new profiling: Algorithms, black boxes, and the failure of anti-discriminatory safeguards in the European Union, in Securiy Dialogue, 2014, Vol. 45(5) 494; Sandvig - Hamilton - Karahalios & Langbort, Auditing Algorithms: Research Methods for Detecting Discrimination on Internet Platforms, 2014, http://www-personal.umich.edu/~csandvig/research/Auditing%20
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portati avanti dalle Istituzioni europee, rimanendo in quest’ultimo caso ancora prive di riscontro regolamentare, a fronte però di una maggiore attenzione da parte di codici di condotta69, la cui adesione, in definitiva, costituisce ad oggi l’unica garanzia di tutela avverso algoritmi “inadeguati” o “incriminati”, tra standard di validazione degli algoritmi e profili di responsabilità dei soggetti coinvolti nel processo di algo-governance. Anche in questi ultimi un focus particolare viene sistematicamente posto su controlli e su test da effettuare sugli algoritmi nella fase di manutenzione, ma ancor prima in quella dello sviluppo70. Espressione di un maggior rigore verso la governance degli algoritmi sono le linee guida in tema di suitability stilate dall’ESMA71, che, al fine di garantire un approccio uniforme ai robo advice da parte dei supervisori a livello europeo, dettano una serie di best practices, segnando un mutamento di prospettiva, dalla trasparenza all’algo-governance. Il passaggio è quindi dalla trasparenza verso il cliente alla trasparenza verso i supervisori, con conseguente ridimensionamento degli obblighi di
Algorithms%20--%20Sandvig%20--%20ICA%202014%20Data%20and%20Discrimination%20Preconference.pdf; Government Office for Science, Artificial intelligence: opportunities and implications for the future of decision making, 2015,https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/566075/ gs-16-19-artificial-intelligence-ai-report.pdf; Olhede - Rodrigues, Fairness and transparency in the age of the algorithm, 2017, http://discovery.ucl.ac.uk/1552749/1/Olhede_Fairness%20and%20Transparency%20in%20the%20Age%20of%20Algorithms%20-final. pdf; Kroll, Accountable algorithms, 2017, https://scholarship.law.upenn.edu/penn_law_ review/vol165/iss3/3; Council of Europe Study DG(2017) 12, Algorithms and Human Rights. Study on the human rights dimensions of automated data processing techniques and possible regulatory implications, https://rm.coe.int/algorithms-and-human-rightsstudy-on-the-human-rights-dimension-of-aut/1680796d10. 69 Alcuni impegni sono stati assunti sotto forma di manifesti o codici di condotta, altri sono stati prospettati per sollecitare un dibattito. A titolo esemplificativo: The Toronto Declaration: Protecting the rights to equality and non-discrimination in machine learning systems; Internet Society, Artificial Intelligence and Machine Learning: Policy Paper, April 2017; The use of algorithms in decision making: RSS evidence to the House of Commons Science and Technology Select Committee inquiry; USACM (ACM US Public Policy Council), Statement on Algorithmic Trasparency and Accountability, 12 January 2017. 70 Detti profili sono ribaditi da: European Commission, Distribution systems of retail investment products across the European Union, cit., ma anche da European Parliament, Competition issues in the Area of Financial Technology (FinTech), cit. 71 Cfr. ESMA, Final Report. Guidelines on certain aspects of the MIFID II suitability requirements, cit.
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disclosure e concomitante accentuazione di quelli relativi alla robustezza degli algoritmi e dei sistemi di valutazione. Le linee guida dell’ESMA accendono un riflettore sul mondo oscuro ed inesplorato degli algoritmi, sebbene – va precisato – tentino di sollevare il velo di opacità che li avvolge solo per finalità di vigilanza e quindi ad appannaggio dei supervisori, escludendo da questo processo i consumatori che non acquisiscono invece – contrariamente ad una prima impostazione - alcuna consapevolezza in ordine all’uso degli algoritmi e alle modalità di utilizzo delle proprie informazioni da parte degli algoritmi medesimi72. È pur vero che dagli interventi menzionati si evince chiaramente come l’angolo visuale si stia spostando dal contenuto del servizio finanziario prestato con gli automated tools verso la qualità e la progettazione degli algoritmi utilizzati – appunto verso una sorta di algo-governance – puntando nel contempo un faro anche su un tema di crescente interesse, quello della responsabilità da algoritmi, ovvero di quelli che potrebbero considerarsi i nuovi “derivati” dell’era digitale.
9. Una “sentenza di condanna” per gli algoritmi? La “causa necessita di un supplemento istruttorio” in attesa di uno “statuto degli algoritmi”. Il cantiere dei lavori sugli algoritmi è stato aperto e le discussioni sul tema sono ancora ad uno stadio iniziale, specie sul versante delle responsabilità che non può prescindere da un preliminare processo di corretto inquadramento giuridico delle diverse fattispecie algoritmiche e delle numerose problematiche indicate. Gli approfondimenti sul tema dovranno bandire approcci statici e a compartimenti stagni che rischiano di creare aree grigie nel quadro di tutela del consumatore, che invece necessita di un’impostazione dinamica dei diversi profili giuridici e non (in)direttamente coinvolti, che tengano altresì conto dell’evoluzione tecnologica. A tale riguardo uno dei versanti tuttora privo di un’adeguata riflessione concerne quello relativo alla definizione di un chiaro regime di responsabilità in caso di controversie per danni economici derivanti da
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Per alcune considerazioni al riguardo mi sia consentito rinviare a Paracampo, L’adeguatezza, cit.
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un’attività finanziaria totalmente automatizzata e quindi interamente basata sul funzionamento algoritmico, che potrebbe talora coinvolgere più soggetti impegnati ora nella prestazione del servizio, ora nella programmazione dell’algoritmo sottostante. La mancanza di chiarezza sulla ripartizione delle funzioni e sulla conseguente allocazione delle responsabilità nelle relazioni multilaterali potrebbe quindi generare confusione nel consumatore sul soggetto cui presentare un reclamo. Difatti, l’algoritmo è il risultato finale del completamento di un processo di confezionamento lungo e complesso, articolandosi in una serie di step nei quali intervengono più figure professionali, dal momento che i servizi FinTech sono spesso il frutto dell’interazione di più imprese, ciascuna delle quali esegue autonomamente solo una parte dell’intero processo, ove ogni fase è performata da differenti automated tools. In mancanza di chiarezza anche tra le stesse imprese coinvolte nel processo produttivo e distributivo, i consumatori potrebbero non comprendere quale impresa sia responsabile per il servizio fornito in ciascuna fattispecie concreta (ad es. per malfunzionamento dello strumento utilizzato, per servizio inappropriato o per violazione della sicurezza dei dati), rendendo il sistema di tutela privo del profilo risarcitorio. Tuttavia, per quanto manchino evidenze empiriche e precedenti, in ambito finanziario, relativi a specifici danni da algoritmo, in mancanza di concretizzazione dei diversi rischi paventati73, cominciano però a pro-
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Al riguardo non va sottovalutato che, per stessa ammissione delle ESAs, la ragione principale che ha spinto le Autorità europee a continuare a monitorare il fenomeno dei robo advice, evitando di intervenire nell’immediato, é stata proprio costituita dalla mancanza di evidenze empiriche sulla concreta materializzazione dei rischi, in precedenza paventati, con riguardo anche e soprattutto all’utilizzo di algoritmi nella consulenza finanziaria automatizzata. Il report delle ESAs [Joint Committee Report on the results of the monitoring exercise on ‘automation in financial advice’ ( JC 2018-29, 5 September 2018)], recante i risultati dell’attività di monitoraggio delle ESAs in relazione alla consulenza finanziaria automatizzata, ha peraltro evidenziato che «considering that results of the analysis show limited growth of the phenomenon of ‘automation in financial advice’, no significant change in the previously - identified risks, and any substantial changes to the phenomenon since the publication of the 2016 Report, no immediate further ESA action appears to be necessary. However, considering the overall importance of the topic, and the emergence of some ongoing changes to business models, a new monitoring exercise will be done if and when the development of the market and market risks warrant this work». Motivazioni alla base della predetta crescita lenta sono state individuate, dal lato del consumatore, in barriere culturali e psicologiche (quali mancanza o basso livello di
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spettarsi ipotesi di responsabilità per i diversi casi in cui le tecnologie sono abilitate da algoritmi74, specie nell’ipotesi di maggiore complessità recata dall’intelligenza artificiale e dal machine learning. Una cosa comunque è certa: gli algoritmi giocheranno un ruolo rilevante e soprattutto crescente nel prossimo futuro, proiettato verso l’implementazione, in ogni settore della vita quotidiana e finanziaria, di nuove tecnologie sempre più evolute. Intelligenza artificiale, machine learning, deep mining, IoT, cloud, etc. sono tutte tecnologie abilitate da algoritmi più sofisticati che porranno sfide senza precedenti75 tanto ai regolatori ed ai supervisori, quanto ai giuristi ed agli studiosi che cominciano ad approcciarsi ad un tema innovativo e trasversale, sebbene di non facile definizione nei suoi contenuti e ancor prima nei suoi esatti margini perimetrali. L’esame del tema è solo agli albori, ma sta attirando un crescente interesse da parte di tutti gli stakeholders sul mercato, non sufficiente però per emettere una “sentenza di condanna” per algorithmic accountability. Difatti la “causa contro gli algoritmi necessita di un supplemento istruttorio”, i cui tempi si allungano proporzionalmente al processo evolutivo che involge le tecnologie abilitate dagli algoritmi, aggiungendo così nuovi stimoli e spunti di riflessione, ma anche nuove domande sfidanti. In particolare, impone una riflessione più approfondita sull’uso degli algoritmi, sui requisiti operativi, sulla relativa tutela, nonché sui conse-
educazione finanziaria e digitale, unitamente alla mancanza di fiducia nei digital tools, dal lato delle imprese, nelle barriere regolamentari rappresentate dalla complessità della normativa vigente, dalla mancanza di un’identità digitale e di una definizione legale coerente di consulenza cross sector. 74 Un inquadramento delle diverse implicazioni giuridiche si deve a Prosperetti, Algoritmi dei Big Data. Temi regolamentari, responsabilità, concorrenza, in Informazione e Big Data tra innovazione e concorrenza, a cura di Falce, Ghidini, Olivieri, Milano, 2018, p. 303. Si segnala altresì Ruffolo, a cura di, Intelligenza artificiale e responsabilità, Milano, 2017. 75 A tale riguardo è stato già anticipato (cfr. Panetta, FinTech and banking: today and tomorrow, Speech at Annual Reunion of the Harvard Law School Association of Europe, Rome 12 May 2018, https://www.bancaditalia.it/media/notizia/intervento-difabio-panetta-su-fintech-and-banking-today-and-tomorrow/), che «the effects of digital transformation have not fully emerged yet. It is still hard, at this stage, to foresee all the consequences of the application of artificial intelligence (AI), machine learning and Big Data».
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guenti profili di responsabilità e sulla relativa ripartizione nell’ipotesi di intervento di terze parti, non sempre soggette a regolamentazione e controllo76. Dal canto suo l’EBA, se per un verso ha già tracciato la mappa delle tecnologie da implementare nel prossimo futuro77, per altro verso ha preannunciato le aree di approfondimento per il 201978. Aree tra cui vanno sicuramente segnalate quelle relative alla validazione degli algoritmi; al rischio di esclusione finanziaria basata sui Big Data abilitati dagli algoritmi onde valutare se adottare o meno azioni immediate, in particolare con riguardo a potenziali valutazioni del credito non trasparente (credit scoring), processi decisionali e rischi collegati all’etica degli algoritmi; alla valutazione relativa ad una possibile estensione dei regimi di ADR alle imprese FinTech. Profili tutti ancora da esplorare, che aiuteranno a far luce su un mondo ancora oscuro, ma che fanno però presagire le nuove frontiere del diritto degli algoritmi tra profili etici, di responsabilità, di trasparenza, di algo-governance, nonché della responsabilità civile nell’era digitale. Uno statuto normativo speciale nel quale saranno comunque determinanti gli sviluppi e le mosse delle Autorità e delle Istituzioni europee che hanno già preannunciato approfondimenti sul tema.
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76 Il riferimento è ai fornitori esterni all’impresa, dotati di peculiari specializzazioni dal punto vista tecnologico e, in ragione di detta competenza, incaricati di sviluppare soluzioni di specifiche sulla base di accordi di partnership con gli incumbents. 77 Cfr. EBA Report on the prudential risks and opportunities arising for institutions from FinTech, cit. 78 Cfr. The EBA’s fintech roadmap. Conclusions from the consultation on the eba’s approach to financial technology (fintech), 15 marzo 2018.
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L’ammortamento alla francese. Matematica e diritto: quando la scienza vien piegata a negar se stessa Sommario – 1. Premessa. – 2. Il regime dell’interesse composto: aspetti di legittimità. – 3. Il regime dell’interesse composto: aspetti di trasparenza, buonafede e correttezza.
1. Premessa. L’ammortamento alla francese (o a rata costante), come anche quello all’italiana (o quota capitale costante), nel frazionamento in più periodi del rimborso del capitale e il pagamento degli interessi, nelle modalità ricorrentemente impiegate dagli intermediari creditizi, utilizza un processo di interesse composto, accelerato rispetto ad una crescita proporzionale, che realizza, nella successione di scadenze, una spirale ascendente del monte interessi. Autorevoli cattedratici ed esperti finanziari, con circostanziate e tecnicamente ineludibili argomentazioni, hanno ribadito l’impiego della capitalizzazione composta nei piani di ammortamento adottati dagli intermediari finanziari nei prestiti a rimborso graduale. Da tale evidenza si è fatto discendere con automatico giudizio un implicito anatocismo, ‘frettolosomante’ assimilato al regime composto dell’interesse, la cui natura, tuttavia, appare prima facie propriamente più finanziaria che giuridica1.
1 Non si ritiene che l’anatocismo possa identificarsi tout court con il regime composto. Anatocismo è un termine dal rilievo squisitamente giuridico: è alieno alla matematica finanziaria alla quale è familiare il termine ‘interesse composto’, analogo all’uso inglese di ‘compound interest’ impiegato nel Common law per l’anatocismo. Il regime dell’interesse composto non si pone in un rapporto di sinonimia con l’anatocismo, bensì costituisce il genus nel cui ambito si colloca l’anatocismo come species: quest’ultimo, inteso
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Nel mutuo, qualunque sia la tipologia di piano di ammortamento e/o il regime finanziario adottato, una problematicità anatocistica, nel senso strettamente letterale di produzione di interessi su interessi scaduti, nel senso di maturati ed esigibili, ex art. 1283 c.c., si pone esclusivamente in caso di insolvenza alla scadenza della rata e attiene precipuamente agli interessi di mora, non certo agli interessi corrispettivi che risultino regolarmente pagati alla scadenza della rata2. Nei finanziamenti a rimborso graduale, ancorché la rata dell’ammortamento sia convenuta e determinata nel regime finanziario composto, gli interessi, maturati sul capitale residuo, risultando sistematicamente pagati ad ogni scadenza, rimangono esclusivamente ‘primari’ (interessi su capitale), non ricorrendo produzione alcuna di interessi ‘secondari’ (interessi su interessi).
come produzione di interessi su interessi, non esaurisce l’intero ambito di applicazione del regime composto. Per interessi che vengono a scadere e risultano pagati, prima ancora della scadenza del capitale, si verte in capitalizzazione composta, ma può risultare assente la spirale ascendente di lievitazione degli interessi che, contravvenendo al principio di proporzionalità dell’art. 821 c.c., caratterizza e qualifica l’anatocismo. Nei piani di rimborso graduale, al contrario, con l’impiego del regime composto, viene meno la proporzionalità al tempo: la maggiorazione della rata, che ne consegue, riflette un monte interessi esponenziale; si vanifica completamente l’economia di interessi che in tale regime riviene al mutuatario dal pagamento anticipato degli interessi prima della scadenza del capitale: il monte interessi è del tutto identico a quello risultante dal pagamento degli interessi composti sul capitale in scadenza. È opportuno considerare questo pregnante e dirimente aspetto per enucleare e distinguere le fattispecie che configurano propriamente anatocismo giuridico da quelle che, più semplicemente ricomprese nell’ambito del regime composto, rimangono estranee alla produzione di interessi su interessi. L'ANTINOMIA CHE SEPARA LA MATEMATICA DAL DIRITTO REGIME INTERESSE COMPOSTO Finanz.ti Bullet
(compound interest)
Amm.to all'Italiana
Ammortamento alla francese
Pag.to interessi maturati
ANATOCISMO GIURIDICO (artt. 1283 c.c. e 120 TUB)
Divieto convenzione interessi su interessi
Cap.ne interessi maturati Divieto produzione interessi su interessi
Finanz.ti Zero Coupon
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La periodicità di calcolo degli interessi non corrisponde necessariamente con il pagamento degli stessi, entrambi rimessi all’autonomia delle parti.
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Con questa intuitiva, significativa e consistente argomentazione, buona parte della giurisprudenza di merito ha reiteratamente negato ogni forma di anatocismo riscontrabile nell’ammortamento alla francese dei mutui, arrivando finanche a ravvisare la temerarietà della domanda3. Tuttavia, in rapporto sia all’art. 1283 c.c., sia all’art. 120 t.u.b., co. 2, una sostanziale criticità ermeneutica può insorgere nella pattuizione, ancor prima della scadenza, del regime composto dell’interesse. Per l’ammortamento alla francese (altrimenti detto a rata costante), che rappresenta, in somma prevalenza, il piano usualmente adottato dagli intermediari nei finanziamenti a rimborso graduale, le numerose sentenze che si sono succedute negli ultimi anni hanno per lo più appuntato l’attenzione sulla tematica dell’anatocismo ma, pur riconoscendo, in taluni sporadici casi, l’impiego del regime dell’interesse composto, non sembra abbiano compiutamente scandagliato e sciolto le criticità che tale regime dal piano tecnico riversa sul piano giuridico, sia per gli aspetti propri alla legittimità, sia per quelli relativi alla trasparenza, diligenza e buona fede. Volendo evitare pronunciamenti ispirati al semplicismo o informati al pregiudizio, quando non deviati da valutazioni tecniche espresse da ‘sedicenti consulenti accademici’, l’attenzione e riflessione del discrimine giuridico vengono sollecitate da criticità che coinvolgono due distinti fronti: – quello attinente alla coerenza e compatibilità dell’impiego del regime composto degli interessi con il presidio all’anatocismo, nei contorni giuridici dettati dall’art. 1283 c.c. e integrati dal nuovo art. 120 TUB, comma 2, lettera b), oltre che con il principio di proporzionalità dei frutti civili prescritto dall’art. 821 c.c.; – quello attinente ai principi di buona fede, correttezza e trasparenza che, soprattutto nei rapporti creditizi regolati da contratti predisposti unilateralmente dall’intermediario, assumono risvolti di pregnanza
3
«Non è concettualmente configurabile il fenomeno anatocistico con riferimento al mutuo con ammortamento c.d. alla francese, difettando – in sede genetica del negozio – il presupposto stesso dell’anatocismo, vale a dire la presenza di un interesse giuridicamente definibile come “scaduto” sul quale operare il calcolo dell’interesse composto ex art. 1283 c.c. (…) Domandare l’accertamento dell’anatocismo in un mutuo sul presupposto che il piano di ammortamento c.d. alla francese comporti un automatico effetto anatocistico comporta la temerarietà della domanda ex art. 96 c.p.c.» (Trib. Verona, 24 marzo 2015; cfr. anche Trib. Salerno, Brancaccio, 30 gennaio 2015, n. 587; Trib. Brescia, Fandrieschi, 27 settembre 2017).
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sostanziale, per i rigorosi presidi che l’ordinamento pone a protezione e garanzia dell’equilibrio, dell’informazione e, in particolare, della consapevolezza degli impegni assunti dal prenditore di fondi.
2. Il regime dell’interesse composto: aspetti di legittimità. L’anatocismo richiamato dall’art. 1283 c.c. attiene esclusivamente agli interessi, in qualunque forma prodotti, ma giuridicamente configurabili come scaduti: di tali interessi, in quanto esigibili, il creditore può pretendere l’immediato pagamento ancorché non possa pretendere l’automatica fruttuosità’ nell’insolvenza. Nei piani di rimborso graduale, la criticità dell’anatocismo con l’art. 1283 c.c. e, dopo la recente rivisitazione legislativa, anche con l’art. 120 t.u.b., appare insorgere nella convenzione pattizia che regola la determinazione del monte interessi attribuita al piano di ammortamento4.
4 Da un lato si è sostenuto che «vuoi un’interpretazione attenta al collegamento dell’art. 1283 con l’art. 1282 e al ruolo effettivamente assegnato all’art. 1283 c.c. nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie, vuoi l’elemento testuale, rappresentato dal riferimento agli interessi “scaduti”, univocamente rendono assai problematico riferire a questo articolo le ipotesi in cui il fenomeno di capitalizzazione abbia luogo su interessi non ancora esigibili alla stregua dell’art. 1282 c.c., vale a dire con riguardo ad interessi dei quali non sia ancora dovuto il pagamento e che, anzi, il debitore sia legittimato dalla legge o dal titolo a trattenere: in questo caso, la produzione di interessi su interessi, non essendo diretta a ristorare il danno da inadempimento del debito di interessi semplici, si colloca al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 1283 c.c.; costituisce una fattispecie diversa da quella disciplinata da tale disposizione, che – si ripete -, almeno a stare al suo tenore letterale, ha ad oggetto esclusivamente le conseguenze di un ritardato adempimento del debito di interessi» (La Rocca, L’anatocismo, Napoli, 2002, p. 78). Seguendo questa impostazione la norma dell’art. 1283 c.c. concerne esclusivamente gli interessi, maturati, scaduti, esigibili e rimasti insoluti; di riflesso risulterebbero legittime le convenzioni dei finanziamenti a rimborso graduale che prevedono la produzione degli interessi su interessi, senza che per questo vi sia inadempimento; ma, a parte l’agevole via all’elusione, le circostanze che caratterizzano i finanziamenti a rimborso graduale non appaiono discostarsi da quelle riscontrabile nei conti correnti, per i quali la Cassazione ha ravvisato la violazione dell’anatocismo. Questa lettura rimarrebbe comunque contraria al nuovo art. 120 t.u.b., che vieta la produzione di interessi su interessi maturati, ancorché non scaduti e resi esigibili: mantenendo nel finanziamento distinta e separata l’obbligazione principale dall’obbligazione di interessi, la proporzionalità del tasso andrebbe riferita esclusivamente al capitale finanziato, non al montante, comprensivo degli interessi maturati. Altra parte della dottrina, ritiene che il divieto di pattuizione implicito dell’art. 1283 c.c. sia esteso ad ogni tipologia di interessi pecuniari e che il requisito di interessi sca-
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L’impiego del TAN in regime composto nella determinazione dell’im-
duti costituisca una condizione sine qua non di producibilità degli interessi su interessi. In questo senso appaiono attestarsi le posizioni assunte dalla Cassazione (Cfr. Colombo, L’anatocismo, Milano, 2007, p. 79, dove si richiama sul punto Cass., 24 maggio 1986, n. 3500, Cass., 25 febbraio 2004, n. 3805; Cass., 13 dicembre 2002, n. 17813; Cass., 11 giugno 2004, n. 11097; e in dottrina, Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari: una storia infinita?, in Dir. banc., 2001, p. 270 Sinesio, Il recente dibattito sull’anatocismo nel conto corrente bancario: profili problematici, in Enc. giur. dir., 2000, p. 249). Ogni pattuizione precedente sarebbe contraria ad una norma imperativa: quella che vieta, appunto, la pattuizione ancor prima che gli interessi siano scaduti. In riferimento al principio di fruttuosità del denaro, l’art. 1283 c.c. è volto ad evitare un’automatica produzione di frutti su frutti. «La libertà delle parti nella determinazione del corrispettivo dovuto a titolo di prestazione integrativa (art. 1499 c.c.) o della misura degli interessi corrispettivi (art. 1282 c.c.), l’assimilabilità della convenzione che determini l’ammontare degli interessi moratori alla clausola penale ( artt. 1224 e 1382 c.c.) non può comportare la derogabilità di quanto disposto dall’art. 1283 c.c. L’anatocismo, appunto, perché presuppone il conglobamento nel capitale degli interessi scaduti e la produzione di ulteriori interessi della complessiva somma così determinatasi, non è assimilabile, quanto alla sua disciplina, agli interessi semplici, siano essi corrispettivi, compensativi o moratori, e, pertanto, appare condivisibile la tesi di chi individua negli interessi composti una ‘classe a sé stante’ di interessi. Conseguentemente si deve individuare nel disposto di cui all’art. 1283 c.c. un vero e proprio limite all’autonomia privata in ordine alla pattuizione degli interessi su interessi» (Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ., n. 4/91, p. 778). Il perseguimento di tali variegate finalità risulterebbe compromesso se si escludesse dal fenomeno dell’anatocismo le convenzioni di interessi su interessi che non attengono agli interessi scaduti. Si è osservato che la norma dell’art. 1283 c.c. attribuisce all’interesse anatocistico una natura particolare, nel quadro delle obbligazioni pecuniarie, derogando dalla generale disciplina dei danni nelle obbligazioni pecuniarie, stabilita dall’art. 1224 c.c. «La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di dover precisare che il divieto di anatocismo integra una deroga al principio di naturale fruttuosità del denaro e, in quanto tale, si riferisce all’obbligazione di interessi in generale, a nulla rilevando la distinzione tra corrispettivi, compensativi o moratori’. ‘L’art. 1283 c.c., collegandosi strettamente alla norma di cui all’art. 1284 c.c. – la quale disciplina la forma scritta per gli interessi ultralegali – stabilisce che gli interessi sugli interessi sono dovuti soltanto a seguito di domanda giudiziale, o a seguito di apposito contratto, concluso dopo la scadenza degli interessi principali, sempre che gli interessi semplici siano dovuti da almeno sei mesi. (...) Le restrizioni poste dall’art. 1283 c.c. alla piena ed incondizionata produzione degli interessi sugli interessi si ispirano essenzialmente ad una triplice finalità. In primo luogo, essa tende a rendere il più possibile trasparente – in linea con la norma di cui all’art. 1284, 3° comma, c.c. – l’onere economico rappresentato dagli interessi, in modo da assicurare la piena consapevolezza del debitore in ordine all’effettivo impatto economico degli interessi sull’ammontare complessivo del debito. In secondo luogo, essa mira ad evitare che una eccessiva brevità del periodo di maturazione degli interessi incida sulla quantificazione del tasso di interesse effettivamente praticato – agendo da moltiplicatore per la capitalizzazione degli interessi stessi –
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porto della rata riportata in contratto configura l’espressione di una convenzione anatocistica, in quanto matematicamente stabilisce l’equivalenza fra 100 oggi e 100*(1+i)k fra k periodi, contraria al divieto di pattuizione anatocistica espresso dall’art. 1283 c.c. e implicito nell’art. 120 t.u.b. In altro dire, con la determinazione della rata in regime composto [R=C/∑1/(1+i)k] si conviene un rimborso, distinto nella duplice obbligazione, quella relativa al debito principale espresso dal finanziamento iniziale e quella relativa al debito accessorio relativa al monte interessi, che già ricomprende l’anatocismo, corrispondente alla maggiorazione apportata rispetto al monte interessi del regime semplice [R=C/∑1/(1+k*i)]. Come reiteratamente precisato dalla Cassazione (Cass. n. 11400/14 e nn. 3479/71, 1724/77, 2593/03, 28663/13, 603/13, 2072/13), nel contratto di finanziamento a rimborso graduale si configurano distintamente «due obbligazioni poste a carico del mutuatario – aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento – che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse». Pertanto, separando nelle rate la quota capitale dalla quota interessi, emerge chiaramente che l’obbligazione accessoria, espressa dal monte interessi, è ottenuta attraverso il calcolo ‘composto’ degli stessi. La convenzione anatocistica rimane inclusa nel valore stesso della rata pattuita, determinata con la formula dell’interesse composto, nella quale si esprime la volontà, questa sì giuridica oltre che matematica, di equiparare al capitale finanziato C, il corrispondente valore futuro, espresso da M = C*(1+i)k, comprensivo di interessi anatocistici, anziché il valore futuro, espresso da M = C*(1+k*i), che lascerebbe improduttivi gli interessi maturati. Rimane assodato sul piano matematico-finanziario che, ancor prima del calcolo specifico in ogni rata degli interessi, il monte complessivo degli stessi include la maggiorazione anatocistica. Su questo aspetto si appunta la criticità giuridica, anche se poi, con la scelta di pagare a ciascuna scadenza tutti gli interessi maturati sul capitale in essere, si con-
con l’effetto di dare luogo ad una produzione di interessi abnorme, anche in presenza di un saggio di interesse non usurario. In terzo luogo, essa è diretta a evitare che il debitore possa trovarsi costretto ad accettare, quale condizione per la conclusione del contratto di credito, pattuizioni di interessi anatocistici anteriori alla scadenza». (Pandolfini, Gli interessi pecuniari, Milano, 2016, p. 156). La dottrina sembra propendere per una lettura restrittiva della norma, estesa alla convenzione precedente la scadenza degli interessi.
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seguono i medesi effetti economici, senza palesare alcuna produzione di interessi su interessi5. L’anatocismo sta nel valore della rata pattuita, ancor prima della produzione degli interessi; grazie alla determinazione della rata maggiorata – con un’alchimia matematica (principio di scindibilità) che può stupire i non iniziati – calcolando gli interessi sul debito residuo anziché sul capitale in scadenza, è possibile sostituire alla produzione di interessi su interessi la produzione di interessi sul capitale. Quale che sia la modalità di calcolo prescelta, il monte interessi del piano di ammortamento rimane quello maggiorato dell’anatocismo, fissato con la rata determinata con il regime composto. Ogni matematico di buon senso non può negare questa evidenza che si riscontra nel modello di ammortamento alla francese, come in altri modelli, usualmente adottati dagli intermediari finanziari. L’anatocismo sta nel valore della rata pattuita, ancor prima della produzione degli interessi; grazie alla determinazione della rata maggiorata – con un’alchimia matematica (principio di scindibilità) che può stupire i non iniziati – calcolando gli interessi sul debito residuo anziché sul capitale in scadenza, è possibile sostituire alla produzione di interessi su interessi la produzione di interessi sul capitale6. Ogni matematico di buon senso non può negare questa evidenza che si riscontra nel modello di ammortamento alla francese, come in altri modelli, usualmente adottati dagli intermediari finanziari. D’altra parte non è affatto scontato che gli interessi debbano essere pagati sull’intero capitale residuo. Anche nel rispetto del principio che
5 Con riferimento all’anatocismo nei rapporti di conto corrente, autorevole dottrina ha avuto modo di osservare che «il divieto di anatocismo (...) non colpisce solo gli accordi preventivi che direttamente stabiliscano la produzione di interessi su interessi, ma anche gli accordi preventivi che abbiano comunque l’effetto di determinare la produzione di interessi su interessi» (Nigro, L’anatocismo, cit., p. 270); altra dottrina ha rilevato nella circostanza ‘violazione indiretta’ dell’art. 1283 c.c. con specifico riferimento al contratto in frode alla legge ex art. 1344 c.c., in quanto si consegue per altra via il risultato vietato dal disposto dell’art. 1283 c.c. I medesimi rilievi – sia con riferimento all’art. 1283 c.c., sia con riferimento all’art. 120 t.u.b. - sembrano attagliarsi ai finanziamenti a rimborso graduale. 6 Si perviene al medesimo risultato posponendo i termini della convenzione, cioè stabilendo formalmente il calcolo del TAN sul capitale residuo e la determinazione della quota capitale nel rispetto della condizione elementare: al di là della forma, la sostanza finanziaria rimane immutata. Diversamente è possibile conciliare il regime semplice di determinazione della rata del piano di ammortamento con gli interessi calcolati sul debito residuo: nella circostanza, i vincoli di chiusura del piano condurrebbero ad un tasso effettivo inferiore, equivalente al TAN impiegato in regime semplice.
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«il pagamento fatto in conto capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi» (art. 1194, co. 2, c.c.) possono darsi modalità diverse, tutte finanziariamente equivalenti e legittime, di comporre la rata in quota capitale e quota interessi, evitando che il pagamento del capitale preceda il pagamento degli interessi7. In assenza di una legittima pattuizione appare conseguente il pagamento degli interessi riferiti al capitale in scadenza che risulta liquido ed esigibile. Naturalmente l’impiego del regime semplice, in luogo di quello composto, conduce ad un valore della rata inferiore e ad un sistema di calcolo degli interessi effettuato esclusivamente sulla quota capitale in scadenza, in luogo del debito residuo: è questa una connotazione che definisce il regime semplice. Diversamente dal regime finanziario semplice, in quello composto si rileva che, fissati tasso, importo del finanziamento, nonché durata e scadenze, il piano a rata costante risulta univocamente determinato esclusivamente nella rata (piano di rimborso), mentre la composizione della rata stessa costituisce una scelta ulteriore (piano di ammortamento), anch’essa rimessa alla discrezionalità dell’intermediario che predispone il contratto.
Nell’ammortamento a rata costante, in regime di capitalizzazione composta, la semplice indicazione della rata costante non individua, da sola, in maniera univoca la composizione della rata del piano di ammortamento: a parità di rata costante, si può pagare l’interesse calcolato in regime composto sulla quota parte del capitale che viene a scadenza (Tav. 3a), o, alternativamente, si può pagare con la rata, ad ogni scadenza, tutti gli interessi maturati nel periodo, sia sul capitale in scadenza sia
7 L’operatività del criterio di imputazione legale dell’art. 1194 c.c. viene dalla giurisprudenza circoscritta alla contemporanea sussistenza dei requisiti di liquidità e di esigibilità, sia del capitale che degli interessi.
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sul capitale che residua (Tav. 3b). O ancora, sempre a parità di rata, scegliere vie intermedie fra le due estreme, con quote capitale decrescenti o crescenti e interessi via via crescenti o decrescenti (Cfr. Allegato 1). Si ottengono nelle diverse circostanze, situazioni finanziarie equivalenti – tutte assimilate sotto la definizione rigorosa di ammortamento a rata costante - di pari rata e pari esborso complessivo di capitale ed interessi: il debito residuo ad ogni scadenza risulterà identico, seppur diverso nella composizione di capitale ed interesse in funzione del criterio di composizione della rata adottato. Considerando un’esemplificazione elementare (capitale € 1.000, tasso nominale 10%, rata annuale posticipata, durata 4 anni), nella Tavola seguente è riportato il piano di ammortamento alla francese, in capitalizzazione composta, nelle due distinte modalità di calcolo sopra indicate.
Secondo le due alternative modalità di calcolo degli interessi sopra descritte, si ha: i) nel riquadro di sinistra (Tav. 3.a), a ciascuna scadenza, gli interesse sono riferiti esclusivamente alla quota capitale in scadenza, calcolati in regime composto [Ik=Ck*(1+i)k], per il periodo da to a tk; ii) nel riquadro di destra (Tav. 3.b), a ciascuna scadenza, gli interessi sono riferiti all’intero debito residuo, ovviamente nella forma semplice: D*i8.
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Nel calcolo di tutti gli interessi sul debito residuo, la formula impiegata coincide con quella impiegata nel regime semplice [per k=1, (1+k*i)=(1+i)k].
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Entrambi i piani sono sviluppati in capitalizzazione composta, presentano la medesima rata, il medesimo monte interessi, il medesimo debito residuo ad ogni scadenza, con la differenza che nel piano di sinistra tale debito è composto di capitale ed interessi, mentre nel piano di destra è composto di solo capitale. Come detto, dalla Tavola sopra riportata si evince una peculiare coincidenza:
Il piano di ammortamento in regime composto, riportato nella Tav. 3.b con il calcolo degli interessi sul debito residuo, risulta simmetricamente invertito nell’ordine delle rate di ammortamento rispetto a quello di Tav. 3.a con il calcolo degli interessi sul capitale in scadenza. Sul piano finanziario, i due piani di ammortamento a rata costante (alla francese) considerati sono del tutto intercambiabili in quanto equivalenti: stessa rata, stesso ammontare complessivo del capitale e degli interessi, stesso debito residuo, stessa composizione delle rate, invertite tuttavia nell’ordine temporale: la 1° eguale alla 4°, la 2° alla 3°, ecc..; con il debito residuo ad ogni scadenza, in un caso ricomprende anche gli interessi maturati che verranno saldati in uno con la scadenza delle future quote capitale, nell’altro non presenta interessi maturati e ‘sterilizzati’ in quanto questi vengono a ciascuna scadenza interamente pagati. Può sembrare il gioco delle tre carte: cambiando l’ordine delle rate costanti, si ottiene un risultato che giuridicamente appare diverso. Determinando la rata in regime di capitalizzazione composta risulta già formalizzato nell’obbligazione accessoria l’anatocismo, espresso nel monte interessi maggiorato. Calcolando per ogni rata la quota capitale attraverso la formula di attualizzazione, si ottiene il piano riportato nel riquadro di sinistra (Tav. 3.a), che palesa, nell’esplicito computo dell’interesse composto, la produzione di interessi su interessi; capovolgendo, invece, l’ordine di successione delle rate, si ottiene, non più l’interesse calcolato
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in regime composto sulla quota capitale come riportato nel riquadro di sinistra, bensì l’interesse calcolato su tutto il capitale residuo, come riportato nel riquadro di destra (Tav. 3.b), che a questo punto coincide con l’interesse semplice9. Risulterebbe singolare e alquanto paradossale far derivare da due piani che sviluppano i medesimi costi, sin anche la medesima composizione delle rate, riflessi giuridici diversi solo perché è stato convenuto (l’intermediario ha predisposto) un ordine temporale della composizione della rata stessa simmetricamente invertito. Se, per giunta, si potesse operare un tale distinguo in assenza di un’esplicita convenzione del regime finanziario composto e del sistema di calcolo degli interessi, risulterebbe spianata la via ad una facile disapplicazione del precetto di legge, nella completa inconsapevolezza del mutuatario che, a meno di un expertise professionale, rimarrebbe ignaro dell’arbitrio subito. Nulla impedisce all’intermediario di convenire il pagamento degli interessi maturati sul capitale in essere ad ogni scadenza, evitando la convenzione anatocistica implicita nell’impiego del regime composto per la determinazione della rata. Determinando la rata attraverso il regime semplice e ricavando, dai vincoli di chiusura del piano, il calcolo degli interessi sul capitale residuo, si eviterebbe, al tempo stesso, la formale convenzione anatocistica e la produzione di interessi su interessi10. Di fatto, il TAN viene impiegato in capitalizzazione composta per determinare la rata riportata in contratto, senza alcuna esplicita menzione al regime finanziario applicato. Per evitare la convenzione anatocisti-
9 Questa peculiarità, che il principio di scindibilità, a cui si informa il regime composto, consente di realizzare nel rispetto dell’equivalenza finanziaria, era già stata rilevata ai primordi dell’ottocento da Casano che osservava al riguardo: «Questo problema dell’‘annuità’ è presso noi conosciuto col nome di calcolo a scaletta, che si enuncia col linguaggio d’interesse semplice, mascherando l’interesse composto sotto la condizione dell’obbligo di pagare in fine di ogni unità di tempo gli interessi semplici del capitale già maturati», Casano, Elementi di Algebra, New York, 1845, p. 277. 10 Impiegando il TAN indicato in contratto per determinare la rata attraverso la formula inversa della capitalizzazione semplice, la convenzione risulta corretta, come anche corretta e consentita risulterebbe l’eventuale, ulteriore pattuizione che preveda il pagamento degli interessi sul capitale residuo, anziché sul capitale via via scadente nei singoli periodi. Così operando, tuttavia, lo stesso vincolo di chiusura del piano imporrebbe, nello spostamento del calcolo degli interessi dal capitale in scadenza al capitale residuo, l’impiego di un tasso effettivo inferiore, equivalente al TAN impiegato in capitalizzazione semplice, e quindi depurato dell’effetto anatocistico che riverrebbe altrimenti dalla determinazione della rata in capitalizzazione composta.
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ca, l’intermediario dovrebbe determinare la rata attraverso la formula inversa ottenuta dal regime semplice, C*(1+k*i), rimanendo pur libero di convenire – chiaramente espresso in contratto – il sistema di calcolo degli interessi riferito al debito residuo, anziché alla quota capitale in scadenza, nel tasso equivalente che riviene matematicamente dalla formula di chiusura del piano. In tal modo verrebbe rispettata la libera determinazione delle parti nella periodicità e nel calcolo degli interessi, senza per questo impiegare alcuna convenzione anatocistica11.
11 Se, nell’esempio considerato, in ossequio al principio riveniente dall’art. 821 c.c., in rispetto dell’art. 1283 c.c. e dell’art. 120 t.u.b., che dispone il divieto di anatocismo sugli interessi maturati, a fronte di una convenzione che esplicita un tasso nominale annuo (TAN) del 10%, la determinazione della rata viene ricavata in regime di capitalizzazione semplice, anziché composta, nel rispetto della condizione di chiusura, C = C1 + C2 + ...Cn, la rata risulta pari a € 309,99 (contro la rata di € 315,47 del regime composto). Con tale rata, il parallelo piano, con conteggio degli interessi sul debito residuo anziché sul debito in scadenza, per le condizioni di chiusura, comporta l’impiego del tasso effettivo pari al 9,19%, che costituisce l’equivalente composto del tasso semplice del 10%. A questa soluzione sembrano accennare anche Fersini ed Olivieri, nel contemperare l’esigenza di redazione di un piano di rimborso graduale con l’esigenza di evitare il fenomeno del calcolo degli interessi su interessi. (Cfr. Fersini, Olivieri, Sull’anatocismo nell’ammortamento alla francese, Banche e banc., 2015, p. 150). Si riporta qui di seguito, il piano alla francese, con rata costante determinata in regime semplice, sia nella forma ortodossa di calcolo degli interessi sul capitale in scadenza, sia nella variante di calcolo degli interessi sul debito residuo, dedotta dalle condizioni di chiusura.
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3. Il regime dell’interesse composto: aspetti di trasparenza, buonafede e correttezza. Nei contratti di finanziamento a rimborso graduale, l’impiego diffuso della capitalizzazione composta, attraverso forme negoziali che sollevano apprezzabili perplessità sul piano della legittimità, non sembra accompagnarsi ad un adeguato bilanciamento con una idonea e compiuta trasparenza delle scelte adottate dagli intermediari nella costruzione dei piani di ammortamento sottoposti all’adesione dell’operatore retail: frequentemente condizioni di rilievo vengono omesse o, come le dizioni ‘alla francese’ e ‘all’italiana’, rimangono fraintesi alla comprensione, configurando aspetti sostanziali di indeterminatezza e vizio del consenso12. Pur fornendo, talvolta ma non sempre13, i valori del capitale ed interessi che compongono la rata, si omette sia il regime finanziario che presiede la costruzione del piano di ammortamento, sia l’esplicitazione del criterio di calcolo degli interessi, adottato nell’ambito del regime composto. In tal modo si lascia l’operatore retail nell’assoluta impossibilità, in via ordinaria, di acquisire consapevolezza delle scelte imposte dall’intermediario. Anche la Direttiva sul credito al consumo 2008/48/CE menziona, nelle informazioni da inserire nei contratti, «il tasso debitore, le condizioni che ne disciplinano l’applicazione, ...». Tra queste ultime non sembra si possa ‘tacere’ il regime di capitalizzazione composta, né tanto meno il criterio di calcolo degli interessi. In matematica finanziaria le tipologie di ammortamento (francese, italiana, ecc.) si combinano con i regimi finanziari di regolamentazione del piano di rimborso (regime finanziario semplice o composto). Per la
12 Nella stessa genericità dei richiami tecnici (ammortamento alla francese), riportati nei finanziamenti a rimborso graduale, viene ad evidenza la norma dell’art. 117, co. 6, che vieta la clausola di “rinvio agli usi”. Osserva al riguardo Dolmetta come tale clausola vada interpretata, «leggendo gli usi non solo per quello che sono, ma pure per quello che figurativamente oggi esprimono’: un conto è ammettere il rinvio a indici esterni e oggettivi (che, in quanto tale, non è punto in discussione); un altro è ammettere rinvii a indici opachi perché non facilmente raggiungibili (o leggibili) dal cliente» (Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari, Regole, Bologna, 2013, p. 101). 13 Le disposizioni di trasparenza prevedono l’allegazione del piano di ammortamento solo per le operazioni a tasso fisso. Nei finanziamenti a tasso variabile e nelle operazioni di leasing finanziario, spesso l’allegato viene omesso o riporta una prospettazione parziale e carente degli importi da riconoscere alle singole scadenze. Si osserva che fissato tasso, durata, rata e scadenze, rimane comunque indeterminato il contratto, se non viene indicato il criterio di calcolo degli interessi.
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tipologia di ammortamento alla francese (o rata costante), ad esempio, accanto all’usuale regolamentazione in capitalizzazione composta, se ne riscontra una seconda, ancorché teorica e desueta, che sviluppa il piano di ammortamento in capitalizzazione semplice14. La prima forma di ammortamento ha incontrato nel tempo una generale ed uniforme diffusione fra gli intermediari, favorita dalla rimarchevole asimmetria contrattuale ed informativa che presiede i rapporti di credito, accompagnata, come detto, da una significativa opacità delle condizioni contrattuali, in una sostanziale inconsapevolezza della clientela15. I manuali di matematica finanziaria, adeguandosi agli usi uniformemente impiegati sul mercato finanziario, prestano attenzione prevalentemente all’ammortamento a rata costante (alla francese) in capitalizzazione composta e con gli interessi della rata calcolati sul debito residuo. Ma questa non è l’unica alternativa che la scienza finanziaria offre per i piani a rata costante, è solo un uso e consuetudine negoziale, convenuto nel mercato finanziario, trasposto ed ‘imposto’ nel mercato del credito16.
14 Cfr. Varoli, Matematica finanziaria, Bologna 2011; Fersini, Olivieri, Sull’anatocismo, cit.; Cacciafesta, A proposito dell’articolo “Sull’anatocismo nell’ammortamento francese”, in Banche e Banc., n. 5, 2015; Mari, Aretusi, Sull’esistenza e unicità dell’ammortamento dei prestiti in regime lineare, in Il Risparmio, n. 1, 2018. 15 L’alternativa fra le due forme (capitalizzazione semplice e composta) è implicitamente considerata anche nelle disposizioni di Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari della Banca d’Italia. Nelle disposizioni in vigore sino al 30 settembre 2015, nell’Allegato 4B relativo al foglio informativo del mutuo offerto a consumatori, alla nota (5) si riporta: «Se nel piano di ammortamento si applica il regime di capitalizzazione composta degli interessi, la conversione del tasso di interesse annuali i1 nel corrispondente tasso di interesse infrannuale i2 (e viceversa) segue la seguente formula di equivalenza intertemporale i2=(1+i1)t1/t2-1». Nelle successive disposizioni, nel prospetto informativo europeo standardizzato (PIES) si riporta «Se il contratto di credito prevede il rimborso differito degli interessi (ossia quando gli interessi non sono rimborsati interamente con le rate ma si cumulano all’importo totale del credito residuo) sono illustrate le conseguenze per il consumatore con riguardo al debito residuo’. E, per la Sezione 7. Tabella di ammortamento semplificativa, si riporta: ‘Questa sezione è compilata quando: i) il tasso di interesse è fisso per tutta la durata del contratto di credito o ii) il contratto prevede il rimborso differito degli interessi (gli interessi non sono integralmente rimborsati con le rate e sono, invece, aggiunti all’importo totale del credito residuo)». 16 «Va evidenziato che dopo l’entrata in vigore del codice del 1942 gli usi bancari hanno teso sempre più a modellarsi, sino a coincidere perfettamente, con le regole uniformi elaborate dall’Associazione Bancaria Italiana, le cosiddette N.B.U., assurte al ruolo di vera legge regolatrice dei contratti bancari. E’ così accaduto che, in luogo di usi osservati spontaneamente nella prassi degli affari, si siano venute affermando regole
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Né un uso, pur radicato nel tempo – che investe, oltre all’ammortamento alla francese o ‘a rata costante’, buona parte dei finanziamenti a rimborso graduale – può assumere una qualche pregnanza normativa e/o di legittimità negoziale17. Non sembra ricorrano clausole d’uso ex art. 1340 c.c., né si ravvisa un’adesione ad un precetto di diritto che, al contrario, si fonda, invece, sulla proporzionalità lineare degli interessi al tempo, oltre che al capitale. Si configurano nella circostanza, come descritto dalla Cassazione S.U. n. 21095/04, «clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, (…) sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare». Una sorta di pudore nel palesare la contraddizione implicita nell’impiego del regime composto ha suggerito l’utilizzo dell’equivoca dizione ‘ammortamento alla francese’. Infatti, ancorché anche nei manuali si riscontri un uso promiscuo del termine, in una lettura prettamente ortodossa della scienza finanziaria, la dizione ‘alla francese’ e ‘all’italiana’ viene, dai padri storici (Bonferroni, De Finetti, Santoboni), attribuita ai piani – con rata, o rispettivamente quota capitale, costante – sviluppati in capitalizzazione composta, con ammortamento progressivo, implicante gli interessi calcolati sul debito residuo. Tuttavia, nell’accezione corrente,
predeterminate da operatori economici e da gruppi di imprese che, elaborate inizialmente come modelli tipo di contratto ed osservate generalmente ed uniformemente dagli operatori del settore, sono state sovente selezionate ed immesse nelle raccolte delle camere di commercio, finendo con l’integrarsi, modificandola, nella disciplina pressoché di ogni tipo di contratto bancario. Alla luce della sua genesi, appare, quindi, privo di significato il rilievo, ripetutamente formulato rispetto a tale normativa uniforme, circa la sua inidoneità a contemperare equamente i contrapposti interessi dei contraenti» (Porcelli, La disciplina degli interessi bancari tra autonomia ed eteronomia, Napoli, 2003, p. 10). 17 Ginevra, in un risalente documento del 1999, nel richiamare le note sentenze della Cassazione sull’anatocismo, osservava: «In realtà la questione dell’applicabilità a una data operazione bancaria, in base agli usi, della regola di capitalizzazione non richiamata dalle parti nel contratto (o non contenuta nelle condizioni generali rilevanti in concreto) pare posta non direttamente dalla norma succitata, quanto dal fatto che l’uso normativo così individuato, riducendo la portata del divieto generale di cui all’art. 1283, potrebbe in astratto consentire l’inserimento automatico ex art. 1340 c.c. della clausola d’uso anatocistica. Si tratta però di un’eventualità che, nei termini riferiti, può dirsi con una certa tranquillità ormai impedita dalla normativa di trasparenza (segnatamente, il riferimento è all’art. 117, commi 4° e 7° t.u. banc.)» (Ginevra, Sul divieto di anatocismo nei rapporti tra banche e clienti, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, p. 401).
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anche fra gli addetti al credito, le dizioni ‘alla francese’ e ‘all’italiana’ vengono intese semplicemente come sinonimi di ‘a rata costante’ e ‘a quota capitale costante’; non è infrequente, infatti, riscontrare nei contratti, l’impiego alternativo di questa seconda dizione, o il termine parimente dirimente ‘alla francese o a rata costante’. Ancor più generica risulta la dizione riportata nelle Disposizioni di Trasparenza della Banca d’Italia18. Anche l’ABF ha avuto modo di rilevare l’uso promiscuo del termine ‘alla francese’, valutando: «Tale piano non risulta espressamente definito ‘alla francese’, né ciò invero potrebbe assumere decisa rilevanza, atteso che non pare esistere nella prassi un unico tipo di ammortamento ‘alla francese’ (come parrebbe ritenere la parte ricorrente)»19. Il riferimento in contratto all’ammortamento alla francese, così come espresso, indica solamente la costanza della rata: come illustrato, non implica necessariamente un calcolo degli interessi in regime composto, visto e considerato che il piano può anche essere sviluppato nel regime semplice, né implica il riferimento al debito residuo per il calcolo degli interessi, potendo la composizione della rata essere suddivisa in variegati modi, tutti rispettosi dei vincoli del piano; i distinti valori del piano, quando viene allegato al contratto, non colmano propriamente tali lacune, fornendo solo le risultanze numeriche di principi finanziari non convenuti nel corpo del contratto e che rimarrebbero accessibili,
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Disposizioni in materia di Trasparenza. Allegato 3 (Legenda): «Piano di ammortamento. Piano di rimborso del mutuo con l’indicazione della composizione delle singole rate (quota capitale e quota interessi), calcolato al tasso definito nel contratto. Piano di ammortamento “francese”. Il piano di ammortamento più diffuso in Italia. La rata prevede una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente. All’inizio si pagano soprattutto interessi; a mano a mano che il capitale viene restituito, l’ammontare degli interessi diminuisce e la quota di capitale aumenta. Piano di ammortamento “italiano”. Ogni rata è composta da una quota di capitale sempre uguale per tutto il periodo di ammortamento e da una quota interessi che diminuisce nel tempo. Piano di ammortamento “tedesco”. Prevede una rata costante e il pagamento degli interessi in anticipo, cioè all’inizio del periodo in cui maturano. La prima rata è costituita solo da interessi ed è pagata al momento del rilascio del prestito; l’ultima è costituita solo dal capitale. Rimborso in un’unica soluzione. L’intero capitale viene restituito tutto insieme alla scadenza del contratto. Durante il rapporto le rate sono costituite dai soli interessi». 19 ABF Milano, n. 3569/15.
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solo per via implicita, previo calcoli non elementari, a coloro che di tali principi hanno specifica conoscenza e competenza20. Nel contratto di finanziamento a rimborso graduale, frequentemente, al di là del nomen che individua esclusivamente la tipologia di rata, non risulta alcuna univoca indicazione sui due menzionati aspetti che maggiormente qualificano l’ammortamento impiegato. Il glossario o legenda che, a norma delle Disposizioni di Trasparenza, deve essere riportato in contratto, si limita al più a replicare la dizione suggerita dalla Banca d’Italia: «La rata prevede una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente. All’inizio si pagano soprattutto interessi; a mano a mano che il capitale viene restituito, l’ammontare degli interessi diminuisce e la quota di capitale aumenta»21. Il piano di ammortamento è predisposto dall’intermediario e il mutuatario rimane completamente ignaro delle peculiarità che contraddistinguono il criterio di rimborso prescelto: dai valori numerici che gli vengono prospettati in allegato al contratto, non può trarsi alcuna adesione ai criteri impiegati per pervenire a tali valori.
20 «Il sistema vigente considera autonomamente la posizione del predisponente, a questi riconoscendo [cfr. , prima di ogni altra, la norma fondante dell’art. 1341, comma 1, c.c., nonché quella dell’art. 1469-ter, comma 4, c.c., per la sua valenza fortemente evocativa (oltre che confermativa dell’irrilevanza dell’adesione di volontà alle singole clausole)] come pure regolando e contenendo – il potere decisionale di determinare i contenuti delle ‘condizioni’ specificatamente conformatrici dell’operazione economica, poi serialmente tradotta nei contratti con gli aderenti. Resta per definizione esclusa, pertanto, la possibilità di un concorso degli aderenti medesimi nella formazione della regola, che poi si pretenderebbe usuraria. Non diversamente, rimane del tutto esclusa la possibilità di una accettazione spontanea delle singole, specifiche ‘condizioni’ dell’operazione economica da parte dell’aderente: rispetto ad esse la coazione essendo costituita, appunto, dal fatto che l’accettazione dell’operazione implica automaticamente l’inserimento nella medesima, di tutte le condizioni predisposte. Come testimonia, del resto, lo stesso fatto che, a riguardo delle singole condizioni, di principio l’ordinamento sposta il tiro della sua attenzione dal profilo della volontà dell’aderente a quello della conoscenza, più o meno qualificata (e v., ancora, i commi 1 e 2 dell’art. 1341 c.c.). Ora proprio il descritto dislivello decisionale (sul piano delle specifiche clausole residuando quello solo del predisponente) risulta inconciliabile con la sussistenza di un uso, che appunto esprime l’esito effettuale (la regola come formata e come ancora sussistente) di una combinazione di posizioni giuridiche paritetiche (formalmente, se non altro) del mercato. A differenza della legge, l’uso non rappresenta un’imposizione ex uno latere» (Dolmetta, Il divieto di anatocismo per le banche dalla gestione del pregresso ai rapporti attuali. Per un uso laico della “certezza del diritto”, in IusExplorer, 22 gennaio 2018). 21 Risulta matematicamente scontato che, fissati durata, tasso, scadenze e rata, si possono costruire più piani di ammortamento rispondenti alla definizione fornita nel glossario.
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Se la banca, nel predisporre il contratto, si limita a prevedere ‘ammortamento alla francese o a rata costante’, risulta scontato che voglia identificare nella costanza della rata, in termini esaustivi, la caratterizzazione del piano di ammortamento. L’operatore retail non è tenuto né potrebbe arguire dal testo del contratto che, oltre alla rata costante, tra le varianti possibili si utilizza il regime composto, nonché il calcolo degli interessi su tutto il capitale in essere a ciascuna scadenza: per giunta, con l’unica indicazione in contratto del valore della rata costante è indotto a ritenere che non vi siano alternative e sia univocamente determinato il piano di ammortamento. Come osserva Dolmetta, la presenza di una disciplina della trasparenza per definizione suppone il riconoscimento della disparità strutturale delle relative posizioni e della diversità funzionale tra chi il prodotto crea, o assembla, e chi il prodotto, invece, consuma. Risulta oltremodo negletta la disciplina di correttezza e trasparenza che, in più aspetti, sia l’ordinamento generale che quello specifico bancario dispongono a tutela della parte debole. Non si può desumere alcuna volontà, condivisione e consapevolezza da parte del mutuatario, se la sua partecipazione al negozio è esclusivamente ridotta ad un elenco ‘invertito’ della partizione degli ammontari riconosciuti con il pagamento della rata (a titolo di capitale e interesse, Cfr. Tavola 3 a, b), per di più relegati in allegato. L’allegato è sì parte del contratto, nel senso che specifica e qualifica gli accordi già esaustivamente definiti compiutamente nel contratto stesso22.
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Il piano di ammortamento riportato in allegato è parte integrante del contratto e viene a costituire, a tutti gli effetti, una clausola negoziale determinante per l’equilibrio economico del contratto, «con la conseguenza che in caso di estinzione del contratto anteriormente alla sua naturale scadenza, rappresenta l’elemento contrattuale al quale occorre far riferimento in via esclusiva ai fini del calcolo delle somme riscosse dal mutuante imputabili alla restituzione del capitale ovvero al pagamento degli interessi (Cass., 19 aprile 2002 n. 5703). Ne consegue che non può disconoscersi al documento che lo contiene la qualità di prova scritta delle somme dovute alle singole scadenze, ai fini del rispetto dell’art. 634 c.p.c.» (Cass, 25 novembre 2010, n. 23972). Tuttavia una parte integrante il contratto che renda inaccessibile, con l’ordinaria diligenza e conoscenza, i termini qualificanti il rapporto di credito, contravviene ad elementari regole di trasparenza, correttezza e buona fede. Al riguardo osserva Camardi: «posto che il contratto di mutuo deve contenere e di solito contiene tutti gli elementi idonei a determinare con chiarezza e trasparenza l’operazione finanziaria programmata, con particolare riguardo al tasso di interesse, alla maturazione degli interessi e alla relativa capitalizzazione, nei modi e nelle forme in cui è consentita, e alla durata, oltre che alle garanzie, etc.; si può dire che il piano di ammortamento ne costituisce l’accordo esecutivo, nel quale le parti attuano e sviluppano matematicamente gli accordi già presi sui tassi e sulla durata
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L’indeterminatezza contrattuale investe il regime finanziario impiegato e, distintamente, il sistema di calcolo degli interessi. Il primo, nella scelta fra le due varianti: regime semplice e regime composto; il secondo nelle variegate alternative nelle quali il regime composto può essere realizzato: interessi calcolati sulla quota capitale in scadenza o interessi calcolati su tutto il capitale in essere o ancora criteri intermedi di calcolo. La circostanza che, discostandosi dal principio generale sancito dall’art. 821 c.c., non venga mai richiamato il regime finanziario composto degli interessi, alternativo al regime finanziario semplice, né venga specificato il riferimento di calcolo degli interessi, induce un’indeterminatezza del prezzo stesso dell’operazione, con una pregnante opacità nella comprensione e consapevolezza dell’impegno assunto dal cliente, che non può certo essere colmata dall’ermetico riferimento terminologico all’ammortamento alla francese e dallo sviluppo numerico i cui criteri rimangono ignoti, ‘oscurati’ sia nel testo contrattuale che nell’allegato. Il dovere di informazione discende direttamente dall’art. 1337 c.c. che sancisce la responsabilità del creditore reticente, tanto più che, trattandosi di contratti predisposti, si deve applicare la regola di semplice conosci-
del mutuo attraverso un prospetto di rate, delle quali si indica la scadenza esatta, nonché la composizione interna, con riguardo alla quota capitale e alla quota interessi. Il valore precettivo del piano di ammortamento, dunque, è innegabile, perché la scadenza delle singole rate, ad esempio, è decisiva per la definizione della diligenza del mutuatario e della puntualità del pagamento, nonché per l’eventuale messa in mora dello stesso, con tutte le conseguenze del caso; mentre la distribuzione delle stesse negli anni definisce la posizione del mutuatario con riguardo all’esercizio di altri eventuali diritti stabiliti nel contratto, ad esempio il diritto all’estinzione anticipata; e quella del mutuante con riguardo, ad esempio, al diritto alla risoluzione per inadempimento nel pagamento esatto e puntuale delle rate. E tuttavia tale valore precettivo andrebbe di regola individuato in ogni suo aspetto in relazione alle previsioni contenute nel contratto di mutuo, ed è perciò – se ci si consente il bisticcio – “mutuato” da quest’ultimo, del quale è accordo esecutivo, suscettibile perciò di oggettivo sviluppo sulla base delle regole tecniche matematiche normalmente adottate nella prassi degli operatori. In caso di dubbio o incompletezza del piano, pertanto, il giudice dovrebbe poterlo sviluppare applicando le ordinarie regole di interpretazione del contratto. In caso di errore nel computo delle rate o della loro composizione interna, invece, si dovrebbe poter rimediare attraverso la rettifica. E ciò pure nel caso in cui si rinvengano calcoli del tutto incoerenti con le clausole del contratto di mutuo, cioè rate e computi non connessi logicamente e matematicamente con le clausole del contratto relative agli interessi o alla durata del mutuo; nel qual caso però sarebbe pure da valutare la buona o mala fede, ovvero il dolo della banca, agli effetti dell’annullamento del contratto o dell’applicazione dell’art. 1440 c.c.» (Camardi, Mutuo bancario con piano di ammortamento “alla francese”, Nullità delle clausole sugli interessi e integrazione giudiziale, in Banca, Borsa, tit. cred., I, 2015, p. 51).
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bilità dell’art. 1341, co. 1, c.c. Né si possono trascurare gli obblighi di trasparenza che – nell’enforcement impresso da dottrina e giurisprudenza – si sostanziano, travalicando il dovere di far conoscere, nel dovere di far comprendere. D’altra parte l’art. 6 della Delibera CICR 9 febbraio ’00, prima dei mutamenti introdotti dal legislatore nell’art. 120 t.u.b., prevedeva che le clausole relative alla capitalizzazione infrannuale degli interessi non avessero effetto se non fossero specificatamente approvate23. Ma prima ancora di essere specificatamente approvate, devono essere specificatamente riportate nel testo del contratto. Risulta assai palese che l’accettazione delle descritte modalità di predisposizione del piano di ammortamento rimane viziata da rilevanti omissioni del consenso, non riflettendo alcuna negoziazione delle condizioni di contratto, men che meno una chiara e trasparente informazione del regime e modalità che presiedono gli impegni imposti al cliente: ogni residua volontà di consapevolezza che possa essere raggiunta decifrando, in via induttiva, i criteri di computo dei valori riportati in allegato al contratto, scema nell’ignavia del cliente, indotta dalla scontata posizione di debolezza nel dover subire le regole dettate dalla banca per poter fruire del servizio di credito, che gli sarebbe precluso se non accettasse passivamente le clausole predisposte dalla banca, espresse o solo implicite24.
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A questa norma, per un mutuo contratto il 4 giugno 2010, sembra riferirsi il Tribunale di Lucca in una recente sentenza, nella quale il giudice viene a condividere le risultanze della CTU: «Sulla base della ricostruzione, il CTU ha rilevato che la banca opposta, a fronte di un TAN pari al 9%, ha effettivamente applicato il TAE pari al 9,381% (corrispondente a rate mensili). Il CTU prosegue affermando: “Appare quindi chiaro che esiste l’impatto della capitalizzazione composta degli interessi quanto meno su base annua” ed ancora “Infatti per avere un tasso effettivo del 9% su base composta annua l’Istituto avrebbe dovuto applicare un tasso mensile del 0,7207% e non dello 0,75%”. Sulla base di tali premesse metodologiche, il CTU, in risposta al quesito n. 4, ha ricalcolato il piano di ammortamento “applicando l’interesse legale ed espungendo la capitalizzazione composta su base annua”». (Trib. Lucca, 10 maggio 2018, Mancini). 24 «Le ragioni della contestazione verso la clausola anatocistica risiedono nell’insoddisfazione per l’attribuzione di un onere anche rilevante, piuttosto che attraverso una chiara ed univoca determinazione dell’entità del costo per il cliente, attraverso una via indiretta, e, cioè, mediante una modalità di conteggio contabile totalmente interno alla banca. Si tratta di un conteggio di difficile, se non impossibile, lettura da parte del cliente. Riguarda in realtà una manifestazione del potere della banca di imporre, assieme alle sue regole, anche la sua unilaterale determinazione dei costi e del prezzo del servizio offerto» (Inzitari, Interessi, Bologna, 2017, 156).
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Non si può trascurare che nei contratti di adesione, ogni autonomia rimessa alle parti si traduce in una piena discrezionalità dell’intermediario che predispone il contratto. Risulterebbe alquanto più significativa l’indicazione in contratto del regime finanziario e del criterio di calcolo degli interessi, rispetto ad una mera elencazione in allegato di importi che, noto l’importo della rata, da soli, poco o nulla aggiungono all’acquisizione della consapevolezza sulla natura dell’impegno assunto. Il prezzo del finanziamento è dato dagli interessi, misurati dal tasso nel rapporto al capitale finanziato ma il TAN, da solo, non esaurisce, né determina il costo del finanziamento: il tasso espresso dal TAN, se impiegato in capitalizzazione composta, fornisce una misura distorta, sottostimata, del prezzo. Mentre il tasso semplice esprime il corretto rapporto proporzionale al capitale per unità di tempo, il medesimo tasso, impiegato in regime composto, induce un effetto esponenziale sugli interessi che rimane celato, non trovando espressione alcuna nel tasso stesso25. La forma composta di produzione di interessi su interessi non è compresa nel tasso espresso dal TAN ma
25 Come mostra la Tavola seguente, la componente anatocistica, espressa dalla differenza fra il tasso applicato in forma composto e l’equivalente nel regime semplice, per gli ordinari ammortamenti che si protraggono oltre il quinquennio, anche per tassi moderati, assume un rilievo apprezzabile.
La Tavola riporta, per l’usuale ammortamento alla francese (a rata costante), nell’ipotesi di scadenza annuale, per le diverse durate e TAN impiegati in capitalizzazione composta, il tasso corrispondente in capitalizzazione semplice. La Tavola – costruita su un piano di ammortamento a rata annuale costante, con un TAN coincidente con il TAE (e TAEG) – restituisce un ammontare degli interessi annuali in rapporto al capitale che, nel regime semplice, esprimerebbe un TAN apprezzabilmente più elevato. Il TAN e il TAE indicati in contratto, non includono, nella loro espressione percentuale, l’anatocismo in quanto questo è distintamente implicito nel regime finanziario nel quale il TAN viene impiegato.
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nel regime impiegato e per questo rimane facilmente sottratta all’attenzione dell’operatore retail. Affinché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell’art. 1284 c.c., co. 3, c.c. (norma imperativa), la stessa deve avere nel contenuto la specifica ed univoca indicazione del tasso di interesse: per le modalità ordinaria di calcolo, l’articolo fa riferimento all’interesse semplice26. Frequentemente si riscontra lo stupore e la ‘sorpresa’ della clientela retail che, dopo aver pagato per più anni le rate del mutuo, realizza di aver pagato prevalentemente interessi e costata un debito residuo ancora elevato: questa ‘sorpresa’ palesa una modesta emancipazione finanziaria ma, al tempo stesso, denuncia un sostanziale vizio del consenso, riconducibile all’originaria carenza di informazione sull’effetto anatocistico implicito nel regime finanziario composto convenuto in contratto. Senza una puntuale e circostanziata illustrazione in contratto del regime finanziario e del calcolo degli interessi, la rilevante deroga alla proporzionalità degli interessi al capitale e al tempo, che induce un ricarico degli interessi non più su una funzione proporzionale ma esponenziale, può ben configurare una significativa e sostanziale ‘sorpresa’ del debitore, come vizio negoziale ex art. 1195 c.c.27. Con una labile adesione e irraggiungibile consapevolezza si vorrebbero impiegare criteri di imputazione dell’art. 1194 c.c. informati ad una convenzione formalmente inespressa, orientando, alle distinte scadenze,
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Poiché, nell’impiego della capitalizzazione composta, sia il TAN che il TAEG danno una espressione ‘falsata’ del prezzo, appare indispensabile che quest’ultimo trovi in contratto un’esplicita indicazione nell’ammontare complessivo degli interessi richiesti. A tal fine la Direttiva 2008/48/CE all’art. 10, tra le condizioni contrattuali, oltre a stabilire l’espressa indicazione del tasso debitore e delle ‘condizioni che ne disciplinano l’applicazione’, prevede altresì che venga riportato l’importo totale da pagare (capitale e interessi). 27 «Di solito si ritiene che la conformazione delle rate secondo il metodo di ammortamento alla francese – per quota capitale e quota interesse – non dia luogo, in quanto tale, a fatti anatocistici (così Trib. Modena, 11 novembre 2014, in Il caso.it; ABF Napoli, 8 luglio 2014, n. 4429). Simile struttura sembra legarsi, piuttosto, a un peculiare meccanismo di imputazione delle somme che il debitore viene via via a versare. Va peraltro registrata anche l’opinione secondo cui comunque l’”imputazione dei pagamenti fatta prima agli interessi produce un effetto anatocistico perché in generale contraria alla legge dell’interesse semplice”. In ogni caso – nella non difficile ipotesi in cui il cliente rimanga “sorpreso” dei risultati pratici in cui il meccanismo in concreto risulta condurre – potrà trovare applicazione la struttura rimediale disposta dall’art. 1195 c.». (Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole “da inadempimento), in Riv. dir. banc., 2005, p. 1).
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i pagamenti delle rate prioritariamente al pagamento di tutti gli interessi maturati, a prescindere dall’esigibilità o meno del capitale di riferimento. L’operatore retail, sia consumatore che imprenditore, rimane per lo più ignaro di tale peculiare convenzione: nella celata espressione di condizioni di dubbia liceità rimane viziato il consenso e pregiudicata la stessa possibilità di contestazione. Senza un’esplicita espressione della volontà del mutuatario sul rilevante quanto sfavorevole criterio di imputazione della rata, il principio di applicabilità dell’art. 1194 c.c. rimane circoscritto al capitale liquido ed esigibile (quota capitale)28. I pregnanti dubbi e perplessità, in tema di elusione ‘sostanziale’ del divieto posto dall’art. 1283 c.c. e dall’art. 120 t.u.b., che emergono dalle evidenze accertate in sede tecnico-finanziaria, congiunti con le carenze ed omissioni riscontrabili negli accordi pattizi, accostate forse dalla giurisprudenza con un improprio pregiudizio, sono state sinora frettolosamente liquidate senza un compiuto approfondimento, pervenendo talvolta ad apprezzamenti che, come sostiene Colangelo, sembrano voler «piegare la scienza a negare se stessa»29. Le contestazioni e i ricorsi in materia di finanziamenti a rimborso graduale non risultano affatto sopiti e la stessa giurisprudenza non sembra aver trovato al riguardo un approdo unanime e definitivo. Nel corso dell’anno la tematica è riemersa: nella sentenza del Tribunale di Napoli 13 febbraio 2018, n. 1558, con riferimento al piano di ammortamento, si
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Cass., 26 maggio 2016, n. 10941 ha avuto modo di chiarire: «Come infatti ritenuto nelle pronunce 6022/2003, 20904/2005, 9510/2007 e 16448/2009, la disposizione dell’art. 1194 c.c. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili». Nella circostanza – seppur specificatamente riferita ad un rapporto di credito in conto corrente, «dove è la banca che provvede all’imputazione» – la Cassazione ha ravvisato «la simultanea ricorrenza dell’esigibilità e liquidità di capitale ed interessi per il credito che superi il fido e per i relativi interessi, rimanendo differita tale simultaneità per il credito entro il fido al saldo di chiusura del rapporto e dell’apertura di credito». 29 Nelle circostanze sopra illustrate, la rata e il piano di ammortamento non potranno che essere ricalcolati secondo il regime semplice, analogamente a quanto riportato nell’esempio del riquadro di sinistra di Tav.4 della nota n. 7; nel caso in cui in contratto sia espressamente convenuto il calcolo degli interessi sul debito residuo, si potrà utilizzare il piano composto equivalente, riportato nel riquadro di destra di Tav. 4; per il tasso si potrà far riferimento al tasso legale ex 117 t.u.b. o al tasso ex art. 1284 c.c. Salvo casi particolari non si pongono problemi di violazione delle soglie d’usura, in quanto, per queste ultime, la norma prevede l’utilizzo del TAEG per la verifica del rispetto.
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è ritenuto che la «capitalizzazione composta non dichiarata in contratto, ma risultante solo dal piano di ammortamento, integra un anatocismo vietato dall’art. 1283 c.c. e non legittimato neanche dalla Delibera CICR 9/02/00»30. Si trae l’impressione che l’evoluzione normativa di maggiore rigore nell’equilibrio e diligenza informativa dei contratti di adesione non abbia indotto mutamenti di rilievo nella stesura dei contratti relativi ai finanziamenti a rimborso graduale: reiterando modelli pattizi ormai obsoleti, è mancata una revisione critica e, altresì, un’attenta riflessione sui nessi fra la scienza finanziaria e i principi di diritto che vengono gradualmente riformandosi, per cogliere una sintesi che meglio riconcili sponde diverse ma non opposte. Permangono apprezzabili dubbi e perplessità che, oltre ad investire la legittimità e coerenza dell’utilizzo della capitalizzazione composta con gli artt. 820, 821 e 1283 c.c. e l’art. 120, co. 2, lett. b), t.u.b., coinvolgono la buona fede, correttezza e trasparenza, direttamente e indirettamente implicanti gli artt. 1195, 1284, 1337, 1341, 1370, nonché il Titolo VI del t.u.b.
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30 Cfr. anche Trib. Lucca, 10 maggio 2018, Mancini; in precedenza Trib. Bari, sez. Rutigliano, 29 ottobre 2008; Trib. Larino, sez. Termoli n. 119/12; Trib. Ferrara, 5 dicembre 2013; Trib. Isernia, 28 luglio 2014.
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Note sull’attualità della querelle tra banca-impresa e bancafunzione Sommario: 1. La banca è sempre stata impresa. – 2. CRD IV, BRRD e i loro effetti. – 3. I poteri di intervento attribuiti all’autorità di vigilanza. – 4. I conflitti tra potere e responsabilità. – 5. Poteri statali di intervento: golden power – 6. Ipotesi e prospettive di assestamento del sistema.
1. La banca è sempre stata impresa. L’ordinamento italiano nasce senza mostrare dubbio alcuno sul fatto che l’attività di banchiere sia attività d’impresa1, tanto è vero che il codice di commercio del 1882, all’art. 3, n. 11, indica tra gli atti ex lege reputati atti di commercio «le operazioni di banca» e l’art. 177 impone alle «società che hanno per principale oggetto l’esercizio del credito» una serie di adempimenti2. La legge del 1926 (R. d.l. 7 settembre 1926, n. 1511), che non si propone di governare il mercato del credito, ma svolge funzione «di polizia del credito»3, non discute il tema, si applica a «società
1 Anche negli Stati preunitari il carattere di impresa non è materia di dubbio. Il codice di commercio per gli stati di S. M. il re di Sardegna del 1842 indica tra gli atti di commercio elencati all’art. 672 «n. 5.° Ogni operazione di cambio, di banca e di senseria», al n. «6.° Ogni operazione di Banche Pubbliche» e al n. 7.° le operazioni su lettere di cambio e i biglietti all’ordine. Considerando che il primo codice di commercio del Regno d’Italia, promulgato con r.d. 25 giugno 1865, n. 2364, consisteva nella rielaborazione del codice sardo del 1842, la prima vera normativa del Regno d’Italia è il codice di commercio del 1882. 2 Sul punto v. Porzio, Le imprese bancarie, in Tratt. dir. comm. diretto da Buonocore, III, 1, Torino, 2007, p. 12; Belli, Corso di legislazione bancaria. Legislazione bancaria italiana (1861-2010), Pisa, 2012, p. 128; Galanti - D’Ambrosio - Guccione, Storia della legislazione bancaria, finanziaria e assicurativa: dall’unità d’Italia al 2011, Venezia, 2012, p. 40. 3 Costi, L’ordinamento bancario5, Bologna, 2012, p. 45; sul punto Belli, Le leggi
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ed altri enti esercenti il credito e le ditte bancarie in genere (…) le quali raccolgano depositi» e prevede l’embrione di istituti destinati a divenire caratteristiche che ancor oggi definiscono la banca4. La legge bancaria del 1936 dispone che la raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l’esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico (art. 1). Che l’attività della banca abbia carattere d’impresa è dato per pacifico dal codice civile del 1942, che infatti all’art. 2194, n. 4, la includeva tra le imprese soggette a registrazione5 e viene messo in dubbio, salvo un caso6, solo a partire dagli anni Sessanta7, pur
bancarie del 1926 e del 1936-38, in Banca e industria fra le due guerre. Le riforme istituzionali e il pensiero giuridico, v. II, Bologna, 1081, p. 203. 4 In rapida rassegna: l’istituzione di un albo tenuto dal ministero delle finanze (art. 1, c. 2), la necessità di autorizzazione ministeriale per iniziare le operazioni o aprire sedi o filiali «nel regno, nelle colonie o all’estero» (art. 2, c. 1), l’obbligo di destinare annualmente un decimo degli utili da destinare a riserva ordinaria, fino a che la riserva raggiunga il quaranta per cento del capitale (art. 3), la comunicazione di bilanci e situazioni periodiche all’istituto di emissione (art. 4), la delega all’istituto di emissione a vigilare sull’osservanza al decreto (art. 5) e, infine, la facoltà concessa al governo di emanare un regolamento attuativo e di determinare, con lo stesso regolamento, a) l’ammontare del capitale minimo, b) la proporzione tra il patrimonio netto e l’ammontare dei depositi, c) norme concernenti la misura dei rischi, d) le norme transitorie per consentire a chi già operava di adeguarsi alla nuove prescrizioni e d) le penalità per i trasgressori (art. 6). La previsione dell’autorizzazione ministeriale originariamente era prevista per la costituzione delle società anonime (c.comm. 1807, art. 37), fu conservata dal codice del 1865, per poi cadere, accogliendo istanze liberiste presenti già nel progetto del deputato Tommaso Corsi del 1863, con il cod. comm. 1882 e l’abolizione è indicata tra le «principali innovazioni arrecate al sistema legislativo» dalla Relazione redatta da Mancini: Acerbi, La società per azioni: introduzione storica, in La società per azioni, diretto da Abbadessa – Portale, Milano, 2016, pp. 16 ss. Indica Vivante, Trattato di diritto commerciale, II, Le società commerciali, Milano, 19063, p. 243, n. (60) che l’autorizzazione governativa vige ancora «come cautela per l’esercizio di alcuni rami del commercio nel pubblico interesse» e cita per gli istituti di credito fondiario la legge 18 luglio 1890 (art. 26) e per le casse di risparmio la legge 15 luglio 1888 (art. 19). 5 Desiderio, L’attività bancaria. Fattispecie ed evoluzione, Milano, 2004, p. 33, n. (57). 6 Giannini, Osservazioni sulla disciplina della funzione creditizia, in Scritti in onore di Santi Romano, Padova, 1940, II, p. 707, ora Scritti – II 1939-1948, Milano, 2002, p. 1 afferma la natura di servizio pubblico propria della funzione creditizia, ma in Istituti di credito e servizi di interesse pubblico, in Moneta e credito, 1949, p. 14 ora in Scritti - III 1949-1954, Milano, 2003, p. 109 considera l’attività come servizio di interesse pubblico, nel più vasto ambito della teoria degli ordinamenti sezionali e nel più tardo Problema della banca come impresa, in Banca borsa, 1981, I, p. 385 chiarisce come non si debba dubitare che la banca abbia natura di impresa. 7 Ruta, Il sistema della legislazione bancaria, Roma, 19752, p. 136; Vignocchi, Il ser-
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non essendo la teoria dominante8, tanto da indurre autorevole dottrina ad affermare che «la letteratura giuridica italiana non ha mai messo in dubbio che l’esercizio dell’attività bancaria debba qualificarsi come impresa»9. La corrente di pensiero, largamente giurisprudenziale10, secondo la quale l’attività bancaria avrebbe dovuto essere funzionalizzata a scopi di interesse pubblico, rafforzata dalla circostanza che gran parte delle banche era riconducibile al settore pubblico, sia sul piano della proprietà che della forma giuridica dell’ente, nelle parole di un autorevole esponente, era contrastata dalle autorità creditizie11. La previsione legislativa secondo la quale l’attività bancaria costituisce attività che «ha carattere d’impresa, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli enti che la esercitano» (art. 1, d.p.r. 27 giugno 1985, n. 350) giunge con l’attuazione della direttiva del Consiglio delle Comunità europee n. 77/780, e secondo alcuni12 la previsione nasce per
vizio del credito nell’ordinamento pubblicistico italiano, Milano, 1978, p. 52; V. Spagnuolo Vigorita, Principi costituzionali sulla disciplina del credito, in Rass. dir. pubbl., 1962, I, p. 365; Predieri, Pianificazione e costituzione, Milano, 1963, p. 358. 8 Si vedano Gentili, Note critiche sulla natura giuridica degli istituti di credito «di diritto pubblico» e la qualità di pubblici ufficiali dei loro dipendenti, in Banca, borsa, tit. cred., 1977, I, p. 70; Capriglione, Qualificazione dell’attività bancaria e imprenditorialità degli enti creditizi, in Foro it., 1981, II, c. 554; Molle, La banca impresa pubblica, ivi, 1981, II, c. 385; Cassese, Miti e realtà delle banche pubbliche, ivi, 1982, I, p. 100; Ferri, Imprenditorialità degli enti creditizi: un discorso interrotto, ivi, 1982, I, 157, per la dottrina più risalente: Palombi, La tutela penale del credito negli orientamenti della Cassazione, in Banca, borsa, tit. cred., 1981, I, p. 86, n. (2). 9 Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 19861, p. 131. 10 La piena affermazione dell’interpretazione secondo la quale l’attività bancaria viene riconosciuta come pubblico servizio in senso oggettivo è data dalla sentenza che – ai fini penali – parifica i dipendenti delle banche pubbliche a quelli delle banche private attribuendo anche a questi ultimi la qualifica di incaricati di pubblico servizio: Cass., S.U. 10 ottobre 1981, Carfì, in Cass. Pen., 1982, 32, con nota di Calderone, Il servizio del credito alla luce della Costituzione, p. 44, sentenza molto criticata dalla dottrina citata a n. (8). 11 Desario, Il Testo Unico delle leggi bancarie e creditizie e il nuovo ruolo della vigilanza, in La nuova legge bancaria, a cura di P. Ferro Luzzi e Castaldi, Milano, 1996, 1, p. 58. In effetti, per esempio, il Governatore della Banca d’Italia all’Assemblea dei partecipanti il 31 maggio del 1977 parlava delle norme e dei principi «che devono presiedere ad una amministrazione economica dell’impresa bancaria» 12 Secondo Ferri, La legge bancaria di fronte all’evoluzione del sistema, in Riv. dir. comm., 1988, I, p. 19, il riferimento alla banca come impresa comparve inizialmente nei disegni di legge volti a escludere la qualifica di incaricati di pubblico servizio per gli esponenti bancari e Palombi, La tutela penale del credito negli orientamenti della Cassa-
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evitare di applicare lo statuto penale della Pubblica Amministrazione alle banche, ma la lettura non era unanime e parte della dottrina indicava che la concezione comunitaria dell’impresa bancaria era sensibilmente diversa da quella vigente in Italia, dove « la banca è stata associata alla nozione di servizio pubblico»13. L’abbandono della teoria degli ordinamenti sezionali14 portò a una regressione dell’autonomia legislativa a potestà amministrativa generale, consentendo di nascere alla tesi che la disciplina amministrativa di un settore trasformasse il settore organicamente disciplinato in un servizio pubblico oggettivo15. L’effetto più vistoso fu che il giudice penale veniva indotto a considerare esercente un pubblico servizio ex art. 358 c.p. l’amministratore di un’impresa pubblicamente disciplinata16. Il punto di svolta giunse con la Cass. pen. S.U. 23 maggio 198717, alla quale fece seguito la C. Cost. 10-17 marzo 1988, n. 30918, entrambe concludendo che l’attività creditizia ordinaria è attività concorrenziale di impresa, che esclude l’applicabilità delle norme penali relative alla PA, poiché non costituisce esercizio di una pubblica funzione ammnistrativa; tuttavia per un periodo l’interpretazione, per quando autorevole faticò ad affermarsi19.
zione, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, p. 91 descrive un progetto di iniziativa governativa approvato il 19 giugno 1980 nel quale viene sancito espressamente il principio secondo cui l’attività bancaria è attività commerciale; la definisce una norma manifesto. Brescia Morra, Società per azioni bancaria: proprietà e gestione, Milano, 2000, p. 2, e già prima così Costi, L’ordinamento, cit., p. 131, il quale peraltro dubita che la previsione legislativa sia sufficiente a escludere «la possibilità di qualificare l’attività bancaria come un pubblico servizio in senso oggettivo», posto che un pubblico servizio può essere svolto con criteri di economicità nella gestione. 13 Guarino, L’armonizzazione della legislazione bancaria: la revisione dell’ordinamento bancario del 1936, in La nuova disciplina bancaria, a cura di Morera e Nuzzo, Milano, 1996, I, p. 10. 14 In tema di credito la pietra angolare era costituita da Giannini, Istituti di credito, cit.. 15 Sul punto Pototschnig, I pubblici servizi, Padova, 1964; Scotti, Il pubblico servizio, Padova, 2008; Villata, Pubblico servizio, Milano, 2006, p. 75. 16 Merusi, Il sogno di Diocleziano. Il diritto nelle crisi economiche, Torino, 2013, p. 106. 17 Per tutti, Flick, Il pubblico servizio e l’impresa banca: miti e realtà del diritto penale giurisprudenziale, in Riv. soc., 1987, p. 1340. 18 In Cass. pen., 1988, 966 con nota di G. Amato, Sullo statuto penale dei dipendenti bancari. 19 Flick, Il pubblico servizio e l’impresa banca: corsi e ricorsi del diritto penale giurisprudenziale, in Banca, borsa, tit. cred.,1988, II, p. 407.
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La previsione sarà poi ribadita dal t.u.b. (art. 10)20 e, con qualche dibattito, giudicata utile per «valorizzare i collegamenti sistematici con la nozione generale di imprenditore»21 che imporrà il modello societario, tipico contenitore dell’impresa22. In particolare la forma cooperativa, nella duplice declinazione di banca popolare e banca di credito cooperativo, sarà sempre la più numerosa, mentre il tipo della società per azioni si imporrà nelle banche di maggiori dimensioni. L’uso dello strumento societario conferma la natura di impresa dell’attività bancaria e, in particolare la S.p.A., in forza di alcune sue caratteristiche, si impone come una normativa di organizzazione dell’attività d’impresa. Il modello della S.p.A. bancaria si è poi intrecciato con quello degli altri enti regolati operanti nel mercato finanziario: le società di gestione fondi erano S.p.A. sin dall’origine (l. 23 marzo 1983, n. 77), ma il loro modello si è precisato modellandosi sull’esperienza bancaria quando sono divenute SGR con il t.u.f così come le SIM nascono S.p.A. già prima del TUB (l. 2 gennaio 1991, n. 1), ma si strutturano dopo le direttive CAD (93/6/EEC) e ISD (93/22/EEC), direttive di evidente ascendenza bancaria quantomeno sul piano concettuale23, mentre agli intermediari finanziari non bancari di cui all’art. 106 t.u.b. è richiesto solo di essere costituiti nella forma di società di capitali, indipendentemente dal tipo. Per fare un passo indietro, ricordiamo che nei decenni precedenti la redazione del TUB si svolse un dibattito24 nel quale si contrapponeva la
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L’importanza dell’affermazione nel nuovo quadro di riferimento costituito dal t.u.b., portò la dottrina a sottolinearne l’importanza, per esempio parlando di una «riscoperta della funzione imprenditoriale bancaria ora svincolata dalla eterogeneità dei fini» (Capriglione, L’ordinamento finanziario verso la neutralità, Padova, 1994, p. 1). Sulle posizioni della dottrina in relazione alla «riscoperta» v. Minto, La governance bancaria tra autonomia privata ed eteronomia, Padova, 2012, pp. 1-2 nn. (2) e (3), ma altri riteneva che l’autorità di vigilanza avesse sempre considerato la banca come impresa e che il punto fosse «stato affrontato e risolto nel 1985»: Desario, Il Testo Unico, cit., p. 58. 21 Motti, sub art. 10, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio, Santoro, Bologna, 2003, I, p. 177 22 Il punto è pacifico e da ultimo: Angelici, Le società per azioni. I, Principi e problemi, in Tratt. dir. civ. comm. già diretto da Cicu - Messineo - Mengoni continuato da Schlesinger, Milano, 2012, p. 1. 23 Nello stesso senso Dale, The Regulation of Investment Firms in the European Union, in Ferrarini, ed., Prudential Regulation of Banks and Securities Firms. European and International Aspects, London, 1995, p. 34 e Cranston, Banking and Investment Services: Implication of the New Financial Landscape, in Ferrarini, ed., European Securities Markets. The Investment Services Directive and Beyond, London, 1998, p. 49. 24 Minervini, Contro la «funzionalizzazione» dell’impresa privata, in Riv. dir. civ.,
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visione delle banche come impresa-diritto, ossia se la costituzione e gestione dell’impresa bancaria dovesse essere considerata l’espressione di un diritto, ovvero se costituisse l’esercizio di una funzione, visione questa definita della impresa-funzione. Il dibattito antico e quasi dimenticato è qui rievocato per ricordare che la visione dell’impresa-diritto è caratterizzata dall’indifferenza degli interessi perseguiti dall’imprenditore e, per conseguenza, le scelte di gestione sono liberamente determinate, mentre l’impresa-funzione, poiché persegue anche interessi di carattere generale che eccedono quelli tipici dell’imprenditore, gode di ridotti gradi di libertà, perché le scelte divengono sindacabili nel merito, per poterle conformare all’interesse generale. La visione dell’impresa-funzione fu superata negli anni Ottanta, riconoscendo che la dottrina qualificava l’impresa bancaria come un’impresa-funzione rifletteva «correttamente lo statuto dell’impresa bancaria descritta dalla legge bancaria», ma non poteva più essere accolta, posta l’assenza di una norma positiva tale da trasformare l’attività bancaria nell’esercizio di una funzione e posto che l’ordinamento costituzionale, in linea di principio, ravvisa nell’esercizio dell’attività d’impresa l’espressione di un diritto25 e l’evoluzione normativa non poté che confermare la lettura. Parallelamente, per gli stessi motivi, si era esaurito lo slancio della teoria dell’ordinamento sezionale applicata al comparto bancario nel quale l’elemento unificante di un complesso di norme organizzative, e la stessa esistenza di un ordinamento sezionale, è dato dalla presenza di un interesse pubblico perseguito dall’ordinamento attraverso l’attività dei soggetti che ha ammesso e operano sotto il controllo-vigilanza di un decisore centrale, un organo pubblico che determina ex ante la conformità all’interesse generale delle scelte operate dall’impresa e verifica ex post sulla concreta attuazione.
2. CRD IV, BRRD e i loro effetti. La crisi del 2007 aveva reso chiaro che alcune assunzioni di base non si erano dimostrate vere. Senza che l’ordine espositivo sottintenda una graduatoria di importanza, si deve citare l’evidenza empirica che i rischi non sono completamente valutabili, quantomeno non nel caso di loro manifestazioni estreme: i modelli di valutazione del rischio non sono in grado di
1958, I, p. 626; Santini, Le teorie dell’impresa, in Riv. dir. civ., 1970, I, p. 405. 25 Costi, L’ordinamento, cit., p. 140.
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catturare ogni evenienza. La seconda che la realtà del mondo finanziario è molto più complessa della sua rappresentazione sotto forma di modelli, nel senso che le connessioni tra gli attori del mercato si ramificano ben oltre quanto si immaginasse e l’interconnessione è l’anticamera del contagio, ossia il più tremendo degli scenari. La terza era che le grandi banche sono troppo complesse per le attuali capacità di gestione ed esercitano attività che pongono l’intermediario in costante conflitto. La quarta era che la quantità di capitale detenuta a fronte dei rischi (ponderati) era troppo esigua. L’ultima di questa serie era che la numerosità delle banche vicine all’insolvenza e la dimensione di alcune (ma si dovrebbe forse parlare di magnitudine, usando dimensioni astronomiche) rendevano impossibile risolvere la crisi senza l’impiego dei denari pubblici, con la derivata prima che, stante la percepita immoralità di aver salvato gente che aveva operato cinicamente e con avidità, quel tipo di salvataggi con denaro pubblico non doveva mai più accadere in futuro. La risposta, secondo alcuni, avrebbe potuto essere articolata lungo linee semplici, seguendo l’idea diffusa di tornare a uno schema del tipo Glass Steagall Act26, ovvero si è cercata una suddivisione, detto in modo gergale, tra utility banking e casino banking 27 e, in alternativa, erano
26 La tesi del ritorno verso l’età dell’oro, quando vigeva il Glass Steagall Act, fu presa in considerazione anche da persone autorevoli. Mervyn King, allora Governor della Bank of England, era disposto a considerare una regola di questo tipo, volta a impedire che i depositi dei risparmiatori comuni siano impiegati in attività di investment banking. «Esistono buoni argomenti a favore di una separazione tra le funzioni utility della banca ordinaria che riceve i depositi delle famiglie e gestisce il sistema dei pagamenti dal casino trading di un’investment bank, e buoni argomenti contro: la difficoltà di mantenere una credibile divisione tra le istituzioni che possono ricevere supporto governativo e quelle che non possono» (Finance – a return from risk, Speech to the Worshipful Company of International Bankers, London, 17 March 2009, p. 4, https://www.bis.org/review/r090319a. pdf), tesi che svilupperà poi nel suo libro, The End of Alchemy: Money, Banking, and the Future of the Global Economy, London, 2016, p. 162. 27 Sono noti i due documenti, uno tradotto in un insieme di regole e uno che giace nei cassetti, pensati per scindere e recintare (ringfencing) le attività della banca. Il progetto iniziale britannico è contenuto nella relazione della cd. Vickers Commission: Independent Commission on Banking, Final Report - Recommendations, London, September 2011 che prevede, sotto l’aspetto strutturale, la distinzione la banca ordinaria e l’attività di investment banking. La piena separazione in soggetti separati, con limitazioni al possesso incrociato potrebbe costituire la miglior protezione al contagio per effetto di shock esterni, ma farebbe perdere i benefici derivanti dall’operatività della banca universale. Pertanto la Commissione considerando forme di separazione che vedono la banca ordinaria per i consumatori come una società separata all’interno del gruppo, «a valle» nella catena proprietaria, di modo che l’eventuale fallimento dell’investment banking (che resterebbe «a monte») non
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state avanzate quali bastioni del nuovo ordine due idee semplici, proposte da persone autorevoli e credibili, che sono la versione «originale» della Volcker Rule28 e l’idea di valutare la rischiosità di una banca sulla base del leverage ratio invece che impiegare complessi (ma anche costosi e di dubbia affidabilità) metodi di valutazione del rischio29. Ovviamente l’impianto normativo che contorna la gestione del credito non è mai un tema puramente tecnico e quindi le soluzioni sono state negoziate con l’intervento dei legislatori nazionali e comunitari, dei governi, delle autorità di vigilanza nazionali e sovranazionali e della BIS, senza dimenticare il confronto costante con gli attori in senso proprio, ossia le banche. L’esito non sorprendente dei dibattiti volti, contemporaneamente, a dare un assetto alla finanza dopo uno sconvolgimento del quale l’antecedente era noto solo dai libri e a strutturare un nuovo ordine30, tendenzialmente mondiale, per evitare il ripetersi della crisi fu
danneggerebbe il bilancio della banca ordinaria, ed è oggi legge nel Regno Unito come Financial Services (Banking Reform) Act 2013 del 18 dicembre 2013, sul quale: Shabir Korotana, The Financial Services (Banking Reform) Act 2013: Smart Regulatory Regime?, in Statute Law Rev., 2016. Lo sforzo della Commissione Europea è il rapporto Liikanen: High-level Expert Group, On Reforming the Structure of the EU Banking Sector, Bruxelles, October 2012, che prevede una serie di misure, la prima delle quali, rilevante ai fini di questa discussione, può essere così distillata: il proprietary trading e le altre attività di trading sono trasferite a soggetti separati, ove eccedano i 100 milioni di Euro, o rappresentino il 15-25% degli attivi totali, così segregandole dalla banca che accetta i depositi, escludendole da salvataggi, mantenendo tuttavia il modello della banca universale (come gruppo). Il ringfencing non è destinato alle banche che accettano depositi, come nella proposta della Vickers Commission, ma al contrario sarebbero segregate le attività di trading e market making sui derivati, fermo il divieto di usare i depositi per finanziare l’attività. Il successivo sviluppo della normativa comunitaria ha privilegiato altre priorità del sistema bancario, ma le proposte non sono accantonate: v. Giornetti, La proposta di regolamento sulle misure strutturali volte ad accrescere la resilienza degli enti creditizi della UE (COM 2014/43). Lo stato dei lavori presso il Consiglio UE, in Rispoli Farina – Porzio, a cura di, Il tramonto della banca universale?, Napoli, 2017, p. 57. In particolare sul rapporto Liikanen e sulle modifiche legislative apportate ad alcuni ordinamenti nazionali nell’Unione Europea A. Nigro, Dalla banca alla banca, in Dir. banc., 2015, I, p. 13. 28 Sulla Volcker Rule, oltre alla notevole produzione in lingua inglese, in italiano si vedano almeno Presti, Gli investimenti delle banche, in Dir. banc., 2010, I, pp. 522-538 e Bani, Regolazione strutturale contro regolazione prudenziale: gli insegnamenti delle crisi, Torino, 2012, pp. 149-160. 29 Haldane - Madouros, The Dog and the Frisbee, in Proceedings - Economic Policy Symposium, Jackson Hole, 2012, pp. 109-159, http://www.kansascityfed.org/publicat/ sympos/2012/Haldane_final.pdf. 30 Per un confronto a caldo tra le due crisi Capriglione, Crisi a confronto (1929 e 2009). Il caso italiano, Padova, 2009.
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la redazione di corpi normativi ipertrofici, pervasivi e, paradossalmente, vaghi: l’esito non deve essere considerato sorprendente perché lo schema della sequenza bolla – crisi – legislazione che vuol coprire ogni caso è già stato sperimentato in passato e, per citare solo il caso più celebre, lo scoppio della South Sea Bubble produsse il cd. Bubble Act del 1720, vago e prolisso. Nelle famose parole di Maitland «A panic-stricken Parliament issued a law, which, even when we now read it seems to scream at us from the statute book» 31. La risultante delle varie posizioni, per quanto riguarda l’Italia e, più in generale, l’UE è data da una serie di corpi normativi, le cui pietre angolari sono le cd. CRD IV e BRRD32 e di varie strutture nuove (es. Single Supervisory Mechanism) o già esistenti ai quali sono stati affidati compiti nuovi (v. European Banking Agency e Banca Centrale Europea)33. Gli assi portanti del sistema oggi sono la accresciuta dotazione patrimoniale, espressa come patrimonio della banca in percentuale rispetto agli attivi ponderati presenti a bilancio, la vigilanza su base comunitaria, con delega di funzioni a favore delle autorità nazionali, l’ampio rivolgimento del potere regolamentare attribuito alle autorità di vigilanza, un trattamento interamente nuovo della crisi, che prevede numerosi differenziate procedure e, per la prima volta, la possibilità di un intervento precoce, con il baluardo del divieto di intervento pubblico in soccorso della banca in
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Maitland, Collected Papers, Cambridge, Cambridge University Press, 1911, p, 390; citazione di seconda mano da Loss, Fundamentals of Securities Regulation, Boston and Toronto, 19831, p. 2, ma anche Mignoli, Una legge singolare, in Riv. soc., 1978, p. 1185, ora in La società per azioni. Problemi – letture – testimonianze, Milano, 2001, p. 457 32 Capital Requirement Directive IV in realtà è un sistema normativo composto dalla Direttiva 2013/36/EU, che richiede il recepimento da parte delle legislazioni nazionali, e il Regolamento 575/2013, di diretta applicazione, sui quali v. De Poli, Foundamental of European Banking Law, Milano, 2018, p. 134; la Bank Recovery and Resolution Directive è la Direttiva 2014/59/EU, sulla quale v. Drombet - Kenadijan, Edd., The Bank Recovery and Resolution Directive, Berlin-Boston, 2013. 33 Limitando le indicazioni ad alcune opere generali, una visione del nuovo assetto in Aa. Vv., Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, Atti del convegno tenutosi a Roma il 16 settembre 2013, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale, n. 75, Roma, 2014; Lamandini - Ramos Muñoz, EU Financial Law. An Introduction, Milano, 2016; Chiti - Santoro, a cura di, L’unione bancaria europea, Pisa, 2016; Capriglione, L’Unione Bancaria Europea, Torino, 2013; sia concesso un rinvio riassuntivo a Lener - Morera - Vella, a cura di, Banche in crisi. Chi salverà i depositanti?, n. 2/2016 di Analisi Giuridica dell’Economia.
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difficoltà, almeno in linea di principio34 e una risistemazione del sistema di garanzia depositanti35. I poteri dell’autorità di vigilanza sono estesi a livelli nuovi e ignoti alla cultura giuridica italiana e il lettore del t.u.b. non può evitare di notare che il livello di intervento concesso dalla legge all’autorità di vigilanza è molto superiore di quanto la legge del 1936 prevedesse. Il cambiamento rispetto alla logica della vigilanza come emergeva dal t.u.b. nella sua stesura fino al momento degli interventi di CRD IV e BRRD si pone sia con riguardo al ruolo della vigilanza (e alla struttura della società bancaria) nella vita ordinaria della banca che nel caso di crisi della banca. In questa sede ci limitiamo a considerare solamente alcuni aspetti relativi alla prima faccia di questa moneta, ben consci che le scelte normative sulle modalità di gestione delle crisi rilevano anche per il ragionamento in corso e, anzi, parte delle difficoltà ipotizzate nel seguito spiccano proprio sullo sfondo dei presupposti ideologici sui quali è fondato nuovo modo di gestire la crisi. Gli interventi hanno posto in luce profili di dubbia costituzionalità in relazione alla lesione del diritto di proprietà. È da ricordare che la CEDU sembra accettare il principio secondo il quale, in presenza di ragioni di interesse generale, che siano eccezionali e motivate, si può ammettere interventi di natura espropriativa corrispondendo un indennizzo inferiore al fair value del bene, normalmente espresso
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Tra le affermazioni di principio si può includere il considerando (31) della BRRD: «I piani di risanamento e di risoluzione non dovrebbero presupporre l’accesso a un sostegno finanziario pubblico straordinario né esporre i contribuenti al rischio di perdite», così come l’ art. 31, comma 2, lett. c) quando pone tra gli obiettivi quello di «salvaguardare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario», indicando alle autorità di risoluzione che «i diversi obiettivi della risoluzione rivestono pari importanza» e invitandole a «ponderarli opportunamente a seconda della natura e delle circostanze di ciascun caso» (comma 3). Sulle modalità che consentono di reperire i mezzi per finanziare i salvataggi v. Ciraolo, Il finanziamento «esterno» delle risoluzioni bancarie. Tra tecniche normative e diritto vivente, Padova, 2018. 35 Direttiva 2014/49/UE ai sistemi di garanzia dei depositi modifica la direttiva 94/19/ CE, in parte già oggetto di modifica attraverso la direttiva 2009/14/CE, sulla quale Chessa - de Gioia - Carabellese, Il cosiddetto sistema paneuropeo di protezione dei depositanti: un ulteriore euro autogol? Un’analisi critica della Direttiva 2014/49, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, I, p. 332 e De Polis, La tutela dei depositi bancari nel quadro dell’Unione Bancaria Europea, Roma, 27 aprile 2016, p. 9 reperibile su https://www.bancaditalia.it/ pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2016/depolis-270416.pdf. attuata con d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30 sul quale Greco, Commento al d.lgs. 15 febbraio 2016: il nuovo sistema di protezione dei depositanti, in Dir. banc., 2018, II, p. 6.
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dal prezzo di mercato normalizzato, arrivando addirittura a non riconoscere alcun corrispettivo36.
3. I poteri di intervento attribuiti all’autorità di vigilanza. Il diritto comune (come forse è inevitabile e come, in diversa misura, è sempre stato vero) è piegato a rispettare le esigenze della specificità bancaria. Alcune restrizioni ignote alle società di diritto comune sono ovviamente ineliminabili quando gli attori partecipano a un mercato regolato: stante la necessità che sia assicurata la sana e prudente gestione degli intermediari (e, per estensione e come effetto, del mercato) operazioni come le fusioni devono essere autorizzate dall’autorità di vigilanza37 e che le banche siano società speciali, come tali soggette a regole particolari è pacifico in dottrina38. Peraltro si è spesso ritenuto che la disciplina delle società bancarie, caratterizzata per norme più analitiche rispetto a quelle dettate per le società di diritto comune, giustificate dalla rilevanza degli interessi coinvolti, offra soluzioni spesso recepite dal diritto comune, svolgendo quindi un ruolo “anticipatorio”39. La vastità dei corpi normativi di rango primario e secondario che riguardano le banche è tale che esaminare ogni aspetto di interferenza
36 Il principio è riaffermato nella sentenza del 10 luglio 2012, caso 34940/10, Grainger e altri c. Regno Unito (ossia il caso di Northern Rock, sul quale torneremo nel § 4) che si può leggere in RDS, 2013, II, p. 715, con nota di Ariani - Giani, La tutela degli azionisti nelle crisi bancarie, ivi, p. 721; sul tema anche Marini, Il caso Northern Rock: il consolidarsi del nuovo paradigma proprietario nel diritto privato europeo, in Riv. dir. comm., 2014, II, pp. 493 ss. Sulla costituzionalità di norme che limitino il diritto di proprietà, ma in altro contesto, Lamandini, La riforma delle banche popolari al vaglio della Corte costituzionale, in Le società, 2017, p. 161. 37 E lo sono state a partire dalla legge bancaria del 1936 (artt. 47-52). 38 Per tutti: Maimeri, Riforma del diritto societario e governance dell’impresa bancaria, in Il rapporto banca-impresa nel nuovo diritto societario, a cura di Bonfatti - Falcone, Atti del Convegno tenutosi a Lanciano, 9-10 maggio 2003, Milano, 2004, p. 5; Angelici, Introduzione al seminario Società bancarie e società di diritto comune. Elasticità e permeabilità ai modelli, in Dir. banc., 2016, I, p. 770. 39 Sul tema, ex multis, Vella, Il nuovo diritto societario e la «governance» bancaria, in Banca, impr., soc., 2003, p. 309; Montalenti, La corporate governance degli intermediari finanziari: profili di diritto speciale e rifessi sul diritto societario generale, in Società, banche e crisi d’impresa, Liber Amicorum P. Abbadessa, III, Torino 2014, p. 2168. Sottolinea l’opportunità di differenziare la disciplina delle società per azioni bancarie da quelle non bancarie, Nigro, Dalla banca, cit., p. 43.
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eccede la plausibile dimensione di un articolo e poiché questo scritto si propone non già di repertoriare i numerosi casi di (potenziale) conflitto per poi procedere alla loro analisi puntuale, ma solo di discutere la tendenza, considerare se configuri un problema più generale e, in caso, se possano essere tracciate vie di sbocco, scorreremo alcuni casi centrali, che potremo considerare emblematici. L’art. 53 t.u.b., «fulcro e fondamento della … attività di vigilanza»40, arricchitosi nel tempo di un bis e di un ter, il cui antecedente storico sono gli artt. 32, 33 e 35 l.b.41, dopo le modifiche e integrazioni apportate dalla l. 15 dicembre 2011, n. 217 e, soprattutto, dal d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72 prevede, oltre ai tradizionali poteri, quali la potestà di emanare disposizioni di carattere generale aventi a oggetto l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio e le partecipazioni detenibili (co. 1)42 una serie di poteri ordinatori nuovi, tra i quali spicca, sempre al comma 1, la potestà regolamentare in materia di governo societario e dei sistemi di remunerazione e di incentivazione43. Il tema della sostituzione autoritativa alla libera contrattazione delle parti è rafforzato dalla successiva previsione (co. 4-sexies) che commina la nullità a «qualunque patto o clausola non conforme alle disposizioni» in materia emanate dalla Banca d’Italia o contenute in atti dell’UE direttamente applicabili, come se si trattasse di nullità per violazione dell’ordine pubblico economico44, disponendo che la nullità della clausola non comporta la nullità del contratto e che le previsioni delle clausole nulle sono sostituite di diritto, ove possibile, con i parametri indicati nelle disposizioni suddette nei valori
40 Cesarini – Parente, Sub Art. 53, in Testo unico bancario. Commentario, a cura di Pozio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010, p. 471. 41 Clemente, Sub Art. 53, in Comm. al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia2, diretto da Capriglione, Padova, 2001, I, p. 53. 42 Mentre la lettera rimane uguale, cambiano i contenuti. Se all’epoca in cui fu varato il t.u.b. la Banca d’Italia disponeva di notevole latitudine nel determinare sul piano regolamentare il contenuto concreto delle disposizioni, oggi le autorità nazionali di vigilanza sono vincolate nel regolare e nell’agire dall’essere parte di un sistema e, quindi, dalla loro funzione di cinghia di trasmissione di quanto disposto in sede “centralmente” in via generale. 43 Sulle varie tematiche e sui problemi di deroga rispetto al diritto comune delle prescrizioni imposte dalla Banca d’Italia, quale per esempio l’intervento assembleare nel determinare le politiche di remunerazione e incentivazione non solo degli esponenti aziendali, ma anche del personale v. Chiloiro, La remunerazione degli amministratori delle banche: profili di diritto societario, in Banca, impresa, soc., 2017, p. 81. 44 Nella specie dell’ordine pubblico economico di protezione, ove la parte protetta è la banca.
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più prossimi alla pattuizione originaria, in deroga anche all’art. 1419 c.c. L’art. 53-bis, co. 1, lett. d) consente poi la fissazione di limiti all’importo totale della parte variabile delle remunerazioni nella banca, quando sia necessario per il mantenimento di una solida base patrimoniale45. Poco dopo il comma 4 stabilisce una deroga all’art. 2391 c.c., richiedendo che i soci e gli amministratori, fermi restando gli obblighi previsti dall’articolo 2391, co. 1, c.c., si astengano dalle deliberazioni in cui abbiano un interesse in conflitto, per conto proprio o di terzi. Da un lato la norma riporta le lancette indietro al testo precedente la riforma del diritto societario nel richiedere l’astensione degli amministratori46, dall’altro amplia l’obbligo ponendolo anche a carico dei soci, che ovviamente non sono (e non erano) menzionati nella previsione del codice, essendo forse possibile un miglior ancoraggio riferendosi al conflitto di cui all’art. 2373 c.c.47. Da parte sua il co. 4-quinquies deroga nel senso che prevede la possibilità (a) di sottoporre ad autorizzazione della Banca d’Italia determinate operazioni, non identificate, (b) che determinate decisioni in materia di remunerazione e di incentivazione siano rimesse alla competenza dell’assemblea dei soci, anche nel modello dualistico di amministrazione e controllo, ed è una deroga considerevole al modello, ma soprattutto (c) stabilendo quorum costitutivi e deliberativi anche in deroga a norme di legge, con l’effetto che una legge speciale, per quanto rilevante,
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La stessa disposizione prevede che possano inoltre essere fissati limiti alla remunerazione complessiva degli esponenti aziendali per le banche che beneficiano di eccezionali interventi di sostegno pubblico. Questa restrizione è intuitivamente spiegabile (e condivisibile) su più piani, e ne menzioniamo due: se lo Stato aiuta la banca in difficoltà, questa deve accettare condizioni; se la banca è in difficoltà (e magari ha dovuto procedere a licenziamenti) non è accettabile socialmente che gli esponenti aziendali ricevano trattamenti economici elevatissimi. Esiste un precedente in termini, costituito dalla nazionalizzazione delle grandi banche confluite nell’IRI, narrato da Acerbi, Un capitolo della corporate governance di Alberto Benduce: la riduzione dei compensi ad amministratori e dirigenti delle banche, in Riv. soc., 2009, p. 773. 46 Sulla ritenuta inopportunità della disposizione portata dalla riforma, per tutti, v. Cottino, Dal «vecchio» al «nuovo» diritto azionario: con qualche avviso ai naviganti, in Cottino - Sarale, Società per azioni. Costituzione e finanziamento, Torino, 2013, p. 19. Il punto è vicino al, ma distinto dal, divieto di cui all’art. 136 t.u.b., che ha subito numerose modifiche nel corso della sua esistenza, sul quale, Nigro, Note minime sulla nuova disciplina delle obbligazioni degli esponenti bancari, in Dir. banc., 2014, I, p. 11. 47 Sul quale Nuzzo, L’abuso della minoranza. Potere, responsabilità e danno nell’esercizio del voto, Torino, 2003, pp. 93 ss.
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delega al regolamento non solo l’attuazione, ma anche la deroga alle norme di legge. Ancor più incisivo è l’art. 53-bis, che a una serie di poteri tradizionali quale è quello, ad esempio, di convocare gli amministratori, i sindaci e il personale delle banche, aggiunge al comma 1, lett. d) una lista di poteri di intervento notevolissimi, che entrano nella definizione del modello organizzativo (restrizione delle attività o della struttura territoriale) nella gestione (divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria), nella sfera dei poteri tradizionalmente spettanti ai soci (distribuire utili o altri elementi del patrimonio), negli adempimenti contrattuali (con riferimento a strumenti finanziari computabili nel patrimonio a fini di vigilanza, il divieto di pagare interessi). Non è qui in gioco la discussione dei singoli punti, ma mostrare l’ampiezza dello spettro di possibile intervento e la correlativa perdita di autonomia dei soggetti vigilati. Infine alla lett. e) si assegna alla Banca d’Italia il potere di disporre la rimozione di esponenti aziendali, qualora la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione della banca, in deroga alla normativa del codice sulla revoca degli amministratori48. Passando a indicare un solo aspetto tratto dalla BRRD, l’art. 38, rubricato Strumento per la vendita dell’attività d’impresa, richiede agli Stati membri di provvedere a che le autorità di risoluzione dispongano del potere di cedere a un acquirente diverso da un ente-ponte le azioni o altri titoli di proprietà emessi da un ente soggetto a risoluzione, chiarendo che in linea generale la cessione è effettuata senza ottenere il consenso degli azionisti dell’ente soggetto a risoluzione o di terzi diversi dall’acquirente e senza ottemperare a obblighi procedurali del diritto societario o della legislazione sui valori mobiliari (diversi da quelli di cui all’art. 39). L’applicazione è avvenuta, con il caso spagnolo del Banco Popular, dopo una articolata procedura49. Lo strumento distrugge, sul piano te-
48 Antonucci, I poteri di removal degli esponenti aziendali nell’ambito del Single Supervisory Mechanism, in Banca, impresa, soc., 2016, p. 21; Ciraolo, La Banca d’Italia ed il potere di rimozione degli esponenti aziendali tra vigilanza prudenziale e disciplina della crisi, ivi, p. 51; De Biasi, La rimozione in via amministrativa degli esponenti aziendali: una anomalia del settore bancario o una crepa nel sistema?, in Riv. reg. mercati, 2016, p. 50. Sul primo caso concreto verificatosi Ciraolo, Il removal alla prova dei fatti. Note minime intorno al caso Credito di Romagna s.p.a., in Riv. dir. banc., 4, 2017. 49 La procedura azzerò il capitale, convertì le voci di Additional Tier 1 in nuove azioni (New Shares I), che furono immediatamente azzerate; quindi tutti le principali voci di Tier 2 (identificate attraverso il loro ISIN) furono convertite in capitale (New Shares II)
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orico (a) il diritto di proprietà, (b) il diritto societario e (c) il diritto del mercato finanziario, azzerando una serie di istituti che tradizionalmente erano considerati intangibili. È ben vero che la vendita di tutte le azioni a 1 euro se da un lato è una espropriazione50 dall’altro ottiene un esito economico per gli azionisti non diverso da quello che tradizionalmente era loro riservato dalla sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa e dalla successiva vendita delle attività e di parte delle passività51.
4. I conflitti tra potere e responsabilità. Il sistema attuale esce da una crisi tanto grave quanto complessa, caratterizzata da una interconnessione tra intermediari e tra sistemi economici mai sperimentata. Per la prima volta dopo 150 anni una banca inglese sperimentò la corsa agli sportelli e per la prima volta fu dichiarata insolvente una banca globale, con le note conseguenze. Nel giro di poco tempo, un paio di anni, due rischi all’epoca forse non ancora completamente valutati e compresi misero in pericolo la stabilità del sistema. Il primo a presentarsi fu l’inaridimento improvviso della liquidità, alla base dell’insolvenza di Northern Rock e poi divenuto fenomeno mondiale con il fallimento Lehman52 e il secondo fu l’intreccio perverso
e vendute per la somma globale di 1 euro a Banco Santander. La procedura è illustrata all’art. 6 della Decision of The Single Resolution Board (SRB) concerning the adoption of a resolution scheme in respect of Banco Popular Español S.A. (SSB/EES/2017/08), del 7 giugno 2017, autorizzata dalla Commission Decision (EU) 2017/1246 of 7 June 2017 endorsing the resolution scheme for Banco Popular Español S.A. (notified under document C(2017) 4038). 50 Esiste un caso simile, precedente l’entrata in vigore della BRRD, accaduto nei Paesi Bassi l’1 febbraio 2013, che ha riguardato la banca SNS Real, le cui azioni sono state oggetto di expropriation a favore of the State of the Netherlands con un decreto del Ministro delle Finanze (https://www.government.nl/documents/decrees/2013/02/01/ decree-by-the-minister-of-finance-regarding-the-expropriation-of-securities-and-capitalcomponents-of-sns-reaal-nv-and-sns-bank). È peraltro intuitivamente diverso sul piano del diritto comune il ricorso all’espropriazione (in certi casi e con molte cautele prevista dall’art. 43 della nostra Costituzione) dal sostituire il proprietario nell’atto della vendita al di fuori di una esecuzione forzata. 51 Per la cd. cessione aggregata v. Vattermoli, Le cessioni «aggregate» nella liquidazione coatta ammnistrativa delle banche, Milano, 2001. 52 Naturalmente qualche avveduta e isolata voce aveva indicato l’esistenza del rischio. Ricorda l’Economist del 18 ottobre 2007, Lessons of the fall, che cinque anni prima Tommaso Padoa-Schioppa, allora membro del Consiglio della Banca Centrale Europea,
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tra il rischio sovrano e la stabilità delle banche. È fin troppo ovvio che navigando in mari dei quali non esistono carte nautiche si utilizzano schemi concettuali già noti e nessun legislatore o regolatore può essere disposto a sperimentare assetti nuovi. Detto questo, non pare inopportuno riconoscere che l’assetto attuale del sistema bancario nell’Unione Europea, al netto dalle sue declinazioni in ciascun Paese membro, pone almeno tre ordini di problemi, tutti, forse con qualche forzatura, riconducibili a uno scollamento tra potere e responsabilità. Il primo e più evidente aspetto è che all’azionista viene imposta una grave riduzione di ruolo, come sopra ricordato, ma il rischio resta suo e potrebbe, sia pure in casi particolari, vedere impedita non già dalla decisione dell’assemblea, ma da una decisione dell’autorità di vigilanza la possibilità di remunerare il rischio che ha sottoscritto (art. 53-bis, co. 1 lett. d) t.u.b.). Un posizione ancor più inconsueta hanno i portatori di obbligazioni subordinate, che a fronte del rischio di vedersi trasformati in azionisti nel momento in cui le perdite incidono sul capitale, con limitata possibilità di incidere sulla dirigenza per tentare di cambiare rotta, godono della ricca cedola che (almeno nella formula) equalizza rischio e rendimento, ma sempre in forza dell’art. 53-bis, comma 1 lett. d) t.u.b. possono scoprire che, essendo portatori di strumenti finanziari computabili nel patrimonio a fini di vigilanza, la Banca d’Italia potrebbe imporre il divieto di pagare interessi. Vero è, peraltro, che esaurito un periodo transitorio nel quale le emissioni hanno preceduto la regola, il sottoscrittore è a conoscenza del tipo di rischio e dovrà essere sua cura inserire questo peculiare tipo di rischio regolamentare nel suo calcolo sulla convenienza dell’affare53. Parallelamente, sul piano della gestione la normativa concede ampia latitudine all’autorità di vigilanza per entrare nell’attività operativa “ove la situazione lo richieda”, ponendo vincoli alla determinazione della retribuzione, avendo il diritto di vietare l’effettuazione di determinate operazioni, di adottare provvedimenti specifici riguardanti anche la restrizione delle attività o della struttura territoriale della banca, di rimuovere
osservato che la maggior profondità dei mercati aveva accresciuto la capacità delle banche di accedere a fondi in tempi normali, ammoniva che la liquidità «may be more prone to dry up when it is most needed» e nell’aprile 2007 la Bank of England nel suo Financial Stability Report metteva in luce i pericoli derivanti dal rischio di liquidità. 53 La legge bancaria all’art. 63 consentiva ai commissari, in circostanze eccezionali, di sospendere il pagamento di qualsiasi passività da parte dell’azienda di credito, ma ciò poteva accadere solo in caso di dichiarata crisi.
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amministratori, anche singolarmente, senza previo ricorso all’autorità giudiziaria, con un semplice atto amministrativo, ma a fronte della diminuita autonomia le responsabilità penali e civili restano in capo agli amministratori e resta da scoprire se le Corti riterranno che non aver potuto intervenire completamente costituisca un’esimente o un’attenuante in sede penale ovvero una rottura del nesso di causalità in sede civile. Non solo non si applica la business judgement rule54, altra evidente deroga al diritto comune, ma addirittura si ha, pur sempre in casi particolari, ove la situazione lo richieda (ma senza una riserva di legge) una gestione vicaria o suppletiva a quella normalmente condotta dagli organi naturalmente a ciò preposti. Da ultimo, l’impianto attuale prevede che i sistemi di vigilanza, nazionali o sovranazionali, possano dettare la rotta, gestendo ovvero obbligando a la banca e i suoi amministratori a compiere atti di gestione che non hanno deciso, ma in un quadro nel quale, e ciò pare un’anomalia, in caso di dissesto i denari pubblici tendenzialmente non possono essere usati. Per esemplificare, quindi agendo a scapito del rigore logico, è pur vero che il CICR, in virtù dell’art 34 l.b., avrebbe potuto ordinare la chiusura di sedi e filiali non solo, come è ovvio, «in seguito a manchevolezze di esercizio», ma anche «ai fini di una migliore distribuzione territoriale delle aziende di credito». Ciò era possibile e aveva una manifesta motivazione sotto molteplici aspetti, partendo dal più volte ricordato aspetto che gran parte delle banche era riconducibile al settore pubblico, vuoi sul piano della proprietà (o del controllo, parlando delle tre banche di interesse nazionale, tutte quotate), vuoi della forma giuridica dell’ente, passando dalla circostanza che l’attività bancaria era una funzione di interesse pubblico, per finire con la considerazione che sino a che la concorrenza, la quale certo non era una delle stelle guida di Beneduce55
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Regola che i nostri giudici tendono a riconoscere, almeno da Cass., 28 aprile 1997, n. 3652 (in Giust. civ., 1997, I, 2780; Foro it., 1998, I, 3247), con il limite rappresentato dalla valutazione sulla ragionevolezza delle scelte gestionali compiute dall’organo amministrativo, altrimenti insindacabili nel merito; in questo senso, da ultimo, Cass., 22 giugno 2017, n. 15470, in Giust. civ., Mass., 2017. Un esame della giurisprudenza in Cesiano, L’applicazione della «business judgement rule» nella giurisprudenza italiana, in Giur. comm., 2013, II, p. 941. In argomento, nella copiosa bibliografia, v. Alvaro - Cappariello - Gentile - Iannaccone - Mollo - Nocella - Ventoruzzo, Business judgement rule e mercati finanziari. Efficienza economica e tutela degli investitori, in Quad. giuridici Consob, n. 11, novembre 2016, p. 35. 55 Sul quale Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo: atti della giornata di studio per la celebrazione del 50° anniversario dell’istituzione dell’IRI,
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e non lo fu neppure per i Padri costituenti, non ebbe ricevuto specifico riconoscimento normativo divenendo un valore giuridicamente tutelato in Italia solo nel 1990 (del tutto casualmente l’anno del passaggio dalla banca ente pubblico alla banca società per azioni56) l’autorità di vigilanza ebbe ampio margine di scelta in merito alla desiderabilità e al grado di concorrenza all’interno dell’ordinamento creditizio e scelse per lungo tempo di ridurre e limitare la concorrenza interna e di proteggere le banche italiane dai concorrenti esteri57.
5. Poteri statali di intervento: golden power. Si potrebbe osservare che l’anomalia non è tale e che l’ordinamento conosce casi di intervento autoritativo tali da incidere direttamente sulle scelte dell’impresa: due vengono alla mente per la loro rilevanza. L’art.
Caserta, 11 novembre 1983, Roma, 1985 e De Cecco, Splendore e crisi del sistema Beneduce: note sulla struttura finanziaria e industriale dagli anni venti agli anni sessanta, in Storia del capitalismo italiano, a cura di Barca, Roma, 1997, p 392. 56 La modifica giunge, su uno schema già discusso dieci anni prima e riprovato da Cassese, Miti e realtà, cit., p. 103, con la cd. Riforma Amato, composta da una legge delega, l. 30 luglio 1990, n. 218 e dal d.lgs. 20 novembre 1990, n. 356 che, formalmente, contiene incentivi all’ente che scorpori l’azienda bancaria in un nuovo soggetto, costituito in forma di S.p.A., idea criticata già mentre era in discussione il disegno di legge governativo (Merusi, Dalle banca pubblica alla società per azioni. (Fantasia medioevale semiseria ad uso di un viaggiatore persiano), in Banca, borsa, tit. cred., 1990, I, p. 1 ss.), ponendosi poi in dubbio la legittimità costituzionale per alcuni aspetti del decreto delegato (Porzio, Appunti sulla «legge Amato», in Riv. soc., 1991, p. 806). Per qualche riferimento sul dibattito si indicano Amorosino, a cura di, La ristrutturazione delle banche pubbliche, Milano, 1991; Banca d’Italia, La ristrutturazione della banca pubblica e la disciplina del gruppo creditizio, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza Legale, n. 26, 1992; Rispoli Farina, a cura di, Dall’ente pubblico creditizio alla società per azioni, Napoli, 1993 e, con il solito humor (come nota Porzio, Le imprese bancarie, in Tratt. dir. comm. diretto da Buonocore, Torino, p. 41 n. (3) è ripercorsa da Merusi, Dalla banca pubblica alla fondazione privata, Torino, 2002. Da ultimo, Mazzini, Fondazioni bancarie, in Delle persone – Leggi collegate, a cura di Barba – Pagliantini, in Comm. cod. civ. diretto da Gabrielli, Torino, 2014, p.447. Il passaggio definitivo avviene con l’emanazione del t.u.b. 57 Costi, L’ordinamento, cit., p. 488; Torchia, Il controllo pubblico della finanza privata, Padova, 1992, p. 247. G. Ferri, Imprenditorialità, cit., p. 166 non solo ricorda che «[i]l regime vigente nel sistema bancario … è volutamente un oligopolio», ma aggiunge la notazione che non a caso in tutti i progetti di legge antitrust «sono espressamente escluse dalla disciplina le imprese bancarie».
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25 della l. 10 ottobre 1990, n. 287 prevede che il Consiglio dei Ministri possa determinare in linea generale e preventiva i criteri sulla base dei quali l’Autorità garante della concorrenza e del mercato può eccezionalmente autorizzare, per rilevanti interessi generali dell’economia nazionale nell’ambito dell’integrazione europea, operazioni di concentrazione di per sé vietate, con ciò ledendo gli interessi degli altri partecipanti al mercato e, in via di mera ipotesi, di fornitori e clienti (co. 1) e, nel caso di concentrazioni ex art. 16, alle quali partecipano enti o imprese di Stati che, semplificando, non trattano le imprese italiane su un piede di reciprocità, il Presidente del Consiglio dei Ministri può vietare l’operazione per ragioni essenziali di economia nazionale. L’altro caso, notissimo, è quello regolato dal d.l. 15 marzo 2012, n. 58 21 , il cd. golden power che concede una ampia serie di poteri, anche
58 Convertito con modificazioni dalla l. 11 maggio 2012, n. 56, il cui regime è completato dai decreti di attuazione, che sono 19 febbraio 2014, n. 35, 25 marzo 2014, n. 82 e n. 86 e 6 giugno 2014 n. 108 (sulla quale Scarchillo, Dalla Golden Share al Golden Power: la storia infinita di uno strumento societario. Profili di diritto europeo e comparato, in Contr. e impr. Europa, 2015, p. 619; San Mauro, I poteri speciali del governo nei confronti delle società che operano nei settori strategici: dalla Golden Share ai Golden Power, in Foro amm., 2015 p. 2951). La vicenda (Gasparri, Libertà di circolazione dei capitali, privatizzazioni e controlli pubblici. La nuova golden share tra diritto interno, comunitario e comparato, Torino, 2015; Sacco Ginevri, I «golden powers» dello Stato nei settori strategici dell’economia, in federalismi.it, 2016, fasc. 22, p. 14) nasce, nell’ambito delle privatizzazioni dei prima anni Novanta, con la golden share prevista dall’art. 2 del d.l. 31 maggio 1994, n. 332 (convertito, con modificazioni, dalla l. 30 luglio 1994, n. 474), modificato a opera della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (cd. legge finanziaria 2004) e dal d.p.c.m. 10 giugno 2004 (v. Demuro, Un altro tentativo («chirurgico» e «distratto») di adeguamento all’ordinamento comunitario in materia di esercizio della golden share: il DPCM 20 maggio 2010, in Il nuovo dir. delle società, 2010, fasc. 14, pp. 25), che ne definì i criteri applicativi. Una prima sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 23 maggio 2000 (causa C-58/99) (De Pasquale, Golden share all’italiana, in Dir. pubbl. comp. eur., 2000, p. 1233; Merusi, La Corte di giustizia condanna la golden share all’italiana e il ritardo del legislatore, in Dir. pubbl. comp. eur., 2000, p. 1236) dichiarò la normativa italiana di cui alla l. 474/1994 in contrasto con le disposizioni del Trattato relative al diritto di stabilimento (ora art. 49 TFUE), alla libera prestazione di servizi (ora art. 56 TFUE) e alla libera circolazione dei capitali (ora art. 63 TFUE). In un secondo procedimento la Corte di Giustizia accolse le conclusioni della Commissione, che nel 2006 aveva deferito l’Italia alla Corte per la ritenuta violazione degli obblighi in materia di libera circolazione dei capitali e diritto di stabilimento (ora artt. 56 e 43 del TFUE) e con sentenza 26 marzo 2009, C-326/07 (tra i tanti: Salerno, Sulle golden shares l’Italia è costretta ad un nuovo passo indietro: troppa discrezionalità nell’esercizio dei poteri speciali, in Dir. pubbl. comp. eur., 2009, p. 1358; Spattini, La «golden share» «all’italiana» finalmente «presa sul serio» dalla Corte di Giustizia? La nuova (e forse perplessa)
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prescrittivi, al Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Il provvedimento non è un caso isolato: per esempio in Francia Il Décret n. 2014-479 del 14 maggio 2014 relativo agli investimenti stranieri soggetti ad autorizzazione preventiva (meglio noto come Décret Alstom o anche come Décret Montebourg dal nome del Ministro che ne ha promosso l’adozione) ha assunto una certa notorietà59. Previo esperimento di una particolare procedura, con decreto del Presidente del Consiglio possono essere esercitati poteri speciali in caso di minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale (art.1)60 e al fine di valutare la minaccia effettiva il Governo considera la delibera alla luce di una serie
condanna della «Grundnorm» delle privatizzazioni «sostanziali», in Riv. it. di dir. pubbl. com., 2009, pp. 1599) ha giudicato incompatibili con la normativa comunitaria i poteri speciali spettanti a Governo in quanto, nella normativa in discussione, non sarebbero stati specificati in modo sufficiente i criteri di esercizio, non permettendo agli investitori di conoscere i casi nei quali i poteri sarebbero stati oggetto di esercizio. Il d.p.c.m. 10 giugno 2004 veniva quindi modificato dal d.p.c.m. 20 maggio 2010 e quindi, a fronte della nuova procedura d’infrazione n. 2009/2255 – allo stadio di decisione del ricorso ex art. 258 TFUE – in quanto lesiva della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali garantite dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) l’Italia decise di modificare ulteriormente la normativa. 59 Pericu, Il Decreto Alstom: illustrazione della disciplina e prime valutazioni di compatibilità con il diritto comunitario, in Riv. reg mercati, 2014, 2, p. 290, http://www. rivistadellaregolazionedeimercati.it. 60 Il co. 1 prevede: a) imposizione di specifiche condizioni relative alla sicurezza degli approvvigionamenti, alla sicurezza delle informazioni, ai trasferimenti tecnologici, al controllo delle esportazioni nel caso di acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in imprese che svolgono attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale; b) veto all’adozione di delibere dell’assemblea o degli organi di amministrazione aventi a oggetto la fusione o la scissione, il trasferimento dell’azienda o di suoi rami o di controllate, il trasferimento all’estero della sede sociale, il mutamento dell’oggetto sociale, lo scioglimento della società, le cessioni di diritti reali o di utilizzo relative a beni materiali o immateriali o l’assunzione di vincoli che ne condizionino l’impiego; c) opposizione all’acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in un’impresa dei settori protetti da parte di un soggetto diverso dallo Stato italiano, enti pubblici italiani o soggetti da questi controllati, qualora l’acquirente venga a detenere, direttamente o indirettamente o attraverso patti parasociali, un livello della partecipazione al capitale con diritto di voto in grado di compromettere nel caso specifico gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale.
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di parametri riferiti alla specifica operazione61, e al soggetto interessato62 il tutto «nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza … alla luce della potenziale influenza dell’acquirente sulla società, anche in ragione della entità della partecipazione acquisita». Gli effetti conseguenti all’attivazione del potere governativo sono dirompenti: il potere è esercitato nella forma di imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni, le delibere o gli atti adottati in violazione del presente comma sono nulli, il Governo può ingiungere alla società e all’eventuale controparte di ripristinare a proprie spese la situazione anteriore e l’osservanza delle disposizioni è sanzionata in via amministrativa (co. 4), l’acquirente di una partecipazione qualificata è obbligato a notificare l’acquisizione entro dieci giorni alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e, pendente la procedura, i diritti di voto e quelli non patrimoniali sono sospesi. L’osservanza delle disposizioni è sanzionata in via amministrativa. In caso di esercizio del potere di opposizione il cessionario non può esercitare i diritti di voto e quelli non patrimoniali, e deve cedere le azioni entro un anno, con l’ulteriore previsione che deliberazioni assembleari eventualmente adottate con il voto determinante di tali azioni sono nulle (co. 5). Analoghe previsioni sono dettate (art. 2) con riferimento agli attivi strategici nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, prevedendo (c. 1) l’individuazione delle reti e degli impianti, dei beni e rapporti di rilevanza strategica, per il caso che (c. 2.) una delibera, atto o operazione, adottata da una società che detiene uno o più degli attivi individuati abbia per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi medesimi o il cambiamento della loro destinazione, comprese le delibere dell’assemblea o degli organi di am-
61 Il co. 2 disegna il perimetro di azione con riguardo a: la rilevanza strategica dei beni o delle imprese oggetto di trasferimento, l’idoneità dell’assetto risultante dalla delibera o dall’operazione a garantire l’integrità del sistema di difesa e sicurezza nazionale, la sicurezza delle informazioni relative alla difesa militare, gli interessi internazionali dello Stato, la protezione del territorio nazionale, delle infrastrutture critiche e strategiche e delle frontiere. 62 Il co. 3 si incentra su due punti: a) l’adeguatezza, in termini di finanziamento dell’acquisizione, della capacità economica, finanziaria, tecnica e organizzativa dell’acquirente e del progetto industriale rispetto alla continuazione dell’attività mantenendo i livelli di servizio e rispettando gli obblighi assunti; b) l’esistenza, basata su motivi oggettivi, di possibili legami fra l’acquirente e le cd. rogue nations. Non è da dire che la frase è logicamente debole, riferendosi a motivi oggettivi e legami possibili, quindi il legame sarebbe oggettivamente possibile.
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ministrazione aventi ad oggetto la fusione o la scissione della società, il trasferimento all’estero della sede sociale, il trasferimento dell’azienda o di rami di essa in cui siano compresi detti attivi o l’assegnazione degli stessi a titolo di garanzia, sono entro dieci giorni, e comunque prima che ne sia data attuazione, notificati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dalla società stessa. Sono notificati nei medesimi termini le delibere dell’assemblea o degli organi di amministrazione concernenti il trasferimento di società controllate che detengono i predetti attivi. Il parametro aggiuntivo, rispetto al paradigma dell’art.1, è il porre come bene tutelato quello di evitare la «situazione eccezionale di minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti». Per chiudere, è previsto, per quanto possa sembrare una clausola di stile, che i poteri speciali sono esercitati esclusivamente sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori e, infine, è importante sottolineare la esplicita sottoposizione dei poteri, ove esercitati, a sindacato giurisdizionale63. Come è evidente al lettore le numerose affinità e somiglianze sono declinate con significative differenze rispetto all’ordinamento bancario. Le regole appena ricordate si applicano solamente in casi eccezionali, e infatti consta un solo caso in cui sia stato avviato un procedimento, e si richiedono provvedimenti di normazione secondaria per definire casi di intervento che, invece, in ambito bancario e degli intermediari finanziari costituiscono sempre oggetto di autorizzazione, quali sono gli acquisti di quote rilevanti del capitale, le fusioni e le scissioni. L’altro aspetto che è gli invasivi poteri concessi al governo sono funzionalizzati alla sicurezza nazionale o alla conservazione dei livelli di servizio (così come i poteri previsti in capo alla Banca d’Italia sono strumento di conservazione della stabilità del sistema) all’interno di un preciso quadro delineato dalla
63 Allena, Un nuovo ambito di giurisdizione del giudice amministrativo nel diritto dell’economia: la competenza esclusiva in materia di esercizio dei golden powers, in Dir. econ., 2012, p. 639. Osserva Lamandini, Golden share e libera circolazione dei capitali in Europa e in Italia, in Giur. comm., 2016, I, p. 687 (n. 52) che ciò non è previsto per la decisione del Presidente degli Stati Uniti su proposta del comitato CFIUS: v. Amended Memorandum Opinion, 26/02/2013, in Ralls Corporation v. Committee on Foreign Investment in the US, citato da Comino, Golden power per dimenticare la golden share: Le nuove forme di intervento pubblico sugli assetti societari nei settori della difesa, della sicurezza nazionale, dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2014, p. 1019.
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legge, mentre nel caso delle banche i limiti «operativi», ove esplicitati, sono tracciati dalla stessa autorità di vigilanza. Se la scelta consente di reagire anche a fenomeni, situazioni e fattispecie prima ignoti, è ovvia la incertezza che ne deriva e la potenziale poca prevedibilità, per l’azionista, della direzione che potrebbe prendere la gestione. Un aspetto non marginale è esemplificato dalle regole sulla governance bancaria, ossia il Titolo IV «Governo societario, controlli interni, gestione dei rischi» inserito il 6 maggio 2014 nella Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 Disposizioni di vigilanza per le banche, che, al di là dell’ipertrofia ormai congenita nella moderna produzione regolamentare, non solo di casa nostra, sono generalmente considerate buone regole64. Il provvedimento della Banca d’Italia esplicitamente individua vari livelli di complessità della struttura di governo, correlandoli, per rispettare il principio di proporzionalità65, alla complessità e alla dimensione della banca (o del gruppo). In concreto, tuttavia, la pressione è per indurre le banche ad adottare i modelli più complessi, con ciò tendendo a rendere omogeneo il panorama. Se è spiegabile con la miglior estrinsecazione del controllo e della vigilanza, essendo tutti i vigilati comparabili e più o meno conformi a un «modello», ciò rende inutili centinaia di pagine e lede l’autonomia privata. Ove analogo atteggiamento fosse applicato agli asset detenibili si potrebbe aprire la porta a scelte di politica economica affidate alle autorità centrali. La BCE ha posto l’accento sui non performing loans ed è di tutta evidenza che essa ha puntato l’attenzione su un problema reale, grave e potenziale fonte di instabilità; nel contempo ha richiesto alle banche di porre rimedio operando uno sforzo per che in ipotesi, in assenza della pressione operata dal regolatore sovranazionale, sarebbe stato meno intenso. Pare possibile aggiungere che la scelta operata di
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Montalenti, La corporate governance bancaria oggi: profili generali, intervento a La banca nel nuovo ordinamento europeo: luci e ombre, Convegno Courmayeur, 22-23 settembre 2017, p. 25 del manoscritto; Capriglione - Masera, La corporate governance delle banche: per un paradigma diverso, in Riv. trim. dir. econ., 2016, I, p. 296; De Pra, Il nuovo governo societario delle banche, in Nuove leggi civ., 2015, p. 525. Per una visione non strettamente nazionale v. EBA, Final Report. Guidelines on internal governance under Directive 2013/36/EU, 26 September 2017, sulla quale Brancoli Busdraghi, The Single supervisory mechanism: from theory to practice, in MCR, 2016, p. 464. 65 Sul principio di proporzionalità si veda EBA, Opinion of the European Banking Authority on the application of the principle of proportionality to the remuneration provisions in Directive 2013/36/EU, 21 December 2015.
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premere su questo particolare problema da parte di chi ha potestà di intervento diretto ha effetto maggiore su alcuni Stati membri che su altri e, quindi, appare come una misura di politica economica oltre che una misura di vigilanza.
6. Ipotesi e prospettive di assestamento del sistema. Il distacco tra le responsabilità, che nel caso di società bancaria non sono diverse da quelle che sono previste nel caso delle società di diritto comune, e un potere ridotto, rispetto a quanto avviene normalmente, potrebbe non essere privo di conseguenze, almeno in prospettiva. L’azionista che sia un normale investitore, grande o piccino non importa, ha di fronte a sé la scelta se investire in un’impresa rischiosa, che produce un margine modesto, ma tendenzialmente costante nel tempo66, che oggi è gestita da una società della quale i soci non controllano momenti e snodi di fondamentali, o collocare altrove i suoi capitali. Tipicamente si afferma che un investitore ha obiettivi di rendimento (che normalmente sono specifici del settore) e cerca di migliorare il risultato influendo sulla gestione. Se queste sono le premesse logiche, in assenza di motivazioni molto mirate, il gestore di capitale, sia esso un fondo di investimento o un singolo investitore, ipotizzando un agire razionale dovrebbe scegliere di allocare altrove i propri investimenti o, quando servisse una ricapitalizzazione, dovrebbe decidere di non partecipare, seguendo la regola empirica (di origine anglosassone almeno nella sua espressione più nota) «don’t throw good money after bad money». Il punto rileva certamente molto più in caso di ricapitalizzazione che in sede di investimento «iniziale», poiché, in aggiunta agli aspetti che presentano i profili di criticità indicati, si deve considerare che l’atto di investire in una società dopo un evento traumatico richiede la fiducia che la medesima struttura, la cui attività ha portato a subire perdite possa domani ottenere profitti, per il solo fatto di essere (a volte, ma non sempre) guidata da un diverso consiglio di amministrazione e da un nuovo capo-azienda. La riduzione degli incentivi agli investimenti accoppiata al tendenziale divieto di impiegare un back stop pubblico potrebbe creare un
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Taleb, The Black Swan. The Impact of the Highly Improbable, New York, 2007,
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pernicioso calo delle vocazioni e, come immediata conseguenza si incontrerebbero difficoltà nel collocare l’impresa dissestata. Per una evidenza delle difficoltà già manifestatasi possiamo ricordare i casi delle cd. banche venete67 cedute a Banca Intesa nel 2017, unico soggetto che si è manifestato interessato a rilevare parte delle loro attività, o quello delle quattro banche risolute nel 201568, che hanno faticosamente trovato una nuova casa dopo oltre un anno dalla risoluzione o la difficile genesi del provvedimento che ha consentito di ricapitalizzare il Monte dei Paschi di Siena69. Altra ipotetica conseguenza potrebbe essere il comportamento dell’azionista in caso di dissesto. Esistono evidenze di azionisti litigiosi nel caso di interventi a seguito di dissesti bancari70 che per ora hanno riguardato
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D.l. 25 giugno 2017, n. 99 (convertito con modificazioni nella l. 31 luglio 2017, n. 121), sul quale Brozzetti, Una soluzione ad hoc per il dissesto di due banche venete, in Dir. banc., 2017, II, p. 119 n. 67. Su questo e sugli altri casi citati nelle n. seguenti Rossano, La nuova regolazione delle crisi bancarie, Milano, 2017, pp. 145-181. 68 D.l. 22 novembre 2015, n. 183 e l. 28 dicembre 2015, n. 208 (co. 842-816), su cui Fiordiponti, Un decreto legge per la prima attuazione della direttiva n. 59 del 2014, in Dir. banc., 2016, II, p. 59. 69 D.l. 23 dicembre 2016, n. 237 (convertito con modificazioni nella l. 17 febbraio 2017, n. 15), sul quale Cardi, Liquidità bancaria e ricapitalizzazioni: gli interventi «precauzionali», in Dir. banc., 2017, II, p. 89. 70 I casi noti sono quelli di (i) Northern Rock, sentenza CEDU del 10 luglio 2012, caso 34940/10, Grainger e altri c. Regno Unito, sul quale già alla n. 35, (ii) di Hypo Alpe Hadria, Verfassungsgerichtshof G 239/2015 ua del 3 luglio 2015, su cui Guizzi, Il bail-in nel nuovo sistema di risoluzione delle crisi bancarie. Quale lezione da Vienna?, in Corr. giur., 2015, p. 1485; (iii) delle banche slovene, Corte di giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, 19 luglio 2016, C-516/14, Tadej Kotnik e altri c. Državni zbor Republike Slovenije, su cui, almeno: Clarich, Sostegno pubblico alle banche e aiuti di Stato, in Giur. comm., 2017, p. 702; (iv) delle banche cipriote Corte di giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione del 20 settembre 2016, nelle cause riunite da C-8/15 a C-10/15, Ledra Advertising Ltd e altri c. Commissione europea e Banca centrale europea, su cui C.A. Giusti, La governance economica della UE tra crisi costituzionale e finanziaria: il caso Cipro, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 2017, n.8; (v) di Irish Life and Permanent plc, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, del 8 novembre 2016, in causa C-41/15, Gerard Dowling e altri c. Minister for Finance, su cui Raganelli, La tutela della stabilità finanziaria nel settore bancario. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 8 novembre 2016, causa C-41/15, in Giorn. dir. amm., 2017, p. 339; (vi) Novo Banco in Portogallo, caso sul quale si è pronunciata la High Court britannica: Guardians of New Zealand v Novo Banco, [2016] EWCA Civ 1092, su cui Rumi, A Whirlpool of Dilemmas in European Resolutions, in Dir. comm. int. 2017, p. 171) e (vii) Banco Popular in Spagna (vicenda ancora in discussione, una azione è stata intentata da alcuni investitori avanti la Corte di Giustizia nell’agosto 2017 e una ulteriore causa è stata proposta nel marzo 2018
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solo la decisione di intervenire, ossia un’attività intrinsecamente traumatica per gli azionisti71 (potendosi ormai tralasciare il caso costituito dalla fusione a fine di salvataggio72) e oggi l’evento diviene traumatico anche per i sottoscrittori di obbligazioni subordinate, ovvero il contenzioso ha riguardato le scelte tecniche operate per realizzare l’operazione. Nulla vieta che, stante lo scenario normativo attuale e ipotizzando come corretta la lettura data, in caso di dissesto l’azionista il cui investimento è stato azzerato agisca contro le autorità di vigilanza. Una tesi non palesemente irragionevole sarebbe quella di sostenere che, salvi i casi di comportamenti fraudolenti o, più genericamente, criminosi (eventi che in via di esperienza sono spesso associati al fallimento di una banca di rilevanti dimensioni), la approvazione o, caso più grave e quindi più rilevante, la modifica di un business plan operata dell’autorità di vigilanza si colloca a monte del dissesto e si può indagare sull’esistenza di un nesso di causalità tra la definizione o modifica del business plan e il dissesto. Usiamo come esempio il caso di Northern Rock, nel Regno Unito nel 200773. Il suo modello di business, diversamente da quello
avanti la US Federal District Court for the Southern District of New York ), In generale su queste pronunce e sui temi Rulli, Contributo allo studio della disciplina della risoluzione bancaria, Torino, 2017, p. 164 e indicazioni bibliografiche alla n. (5)e Lamandini, La riforma delle banche popolari, cit., p. 158. 71 Il caso celebre italiano, nel quale vengono prepotentemente alla ribalta il ruolo e il destino degli azionisti è quello di una società per azioni bancaria, medio grande (per l’epoca, in Italia), caratterizzata da un azionariato ampiamente diffuso e non quotata in borsa (fino a poco prima che si manifestasse il dissesto) è la bancarotta del Banco Ambrosiano, sul quale v. Belli e Maccarone, a cura di, Le crisi bancarie: il caso Ambrosiano, Milano, 1985 e A. Patroni Griffi, Le crisi bancarie: il caso Ambrosiano, in Banche in crisi. 1960-1985, a cura di Belli, Minervini, Patroni Griffi, Porzio, Bari, 1987. 72 Una modalità di intervento oggi considerata inaccettabile era quella di delibera una fusione per incorporazione, per far sì che l’instabile banca incorporata potesse continuare l’attività all’interno di una banca incorporante più efficiente e maggiore in dimensione, così da «diluire» i problemi. Santagata, La nuova disciplina della fusione tra banche in funzione anticrisi, in La nuova disciplina bancaria, cit., III, p. 131, ma anche Maugeri, Fusioni e scissioni di società per azioni bancarie, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, I, p. 29. Sugli effetti economici per gli azionisti De Biasi, Strumenti neutrali e impieghi direzionali, ovvero come la fusione tra banche si contrapponga alla cessione di azienda bancaria, in Banca, impresa, soc., 2003, p. 249. 73 Northern Rock era una building society, una tipica istituzione inglese nata nei pub come i Lloyd’s, alla fine del 1700. Si tratta di organizzazioni mutualistiche, basate sullo schema del voto capitario, che raccolgono depositi da parte dei soci, sui quali pagano interessi, e impiegano i capitali per concedere ai soci credito ipotecario finalizzato all’acquisto di immobili, regolate dal Building Societies Act del 1874, modificato fino agli anni
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adottato tradizionalmente dalla maggioranza delle banche, prevedeva il reperimento della provvista in misura preponderante attraverso il ricorso al credito interbancario74 e il quesito da considerare è: se la scelta del modello viene stata avallata da chi aveva il potere di scegliere, indicare
Sessanta del Novecento (v. Ashworth, The Building Society Story, London, 1980). Il Building Societies Act del 1986 consentì alle building society di trasformarci nella forma di plc (public limited company), rimosse le restrizioni ai servizi che potevano offrire e consentì la loro trasformazione in banche. Il 1986, ricordiamo, è l’anno nel quale avvenne il Big Bang nella Borsa di Londra e fu promulgato l’innovativo Financial Services Act 1986. L’1 ottobre 1997 Northern Rock divenne una banca nella forma di public limited company, di dimensioni tali da essere inserita nell’indice FTSE 100 e ai suoi partecipanti originari che avessero acceso conti di risparmio e mutui ipotecari distribuì azioni (Robinson, Northern Rock Foundation. History and Achievements, Newcastle u. Tyne, 2015, p. 7). Curiosamente l’idea di cedere le azioni ai correntisti (proposta in Italia dal ddl Debenedetti S2080, XII legislatura, per risolvere il nodo delle fondazioni cd. bancarie) deriva da una conferenza tenuta da un accademico americano in Gran Bretagna: Friedman, Curing the British Disease: the Steps from Here to There, in Friedman on Galbraith, Vancouver, 1977, p. 52. Poiché la raccolta della banca poggiava primariamente su finanziamenti interbancari e non su depositi, la perdita di fiducia delle banche nelle banche, esattamente un anno prima del caso Lehman, portò all’inaridimento del canale interbancario e quindi Northern Rock precipitò in una crisi di liquidità e restano terribilmente famose le immagini delle code di depositanti fuori dalle filiali per ritirare i risparmi, dopo le quali guarderemo con occhi diversi Mary Poppins. Il parallelo, ovviamente, non è nuovo: Bortolotti Song Shin, Da Mary Poppins a Northern Rock. Spunti sulle corse agli sportelli moderne, in MCR, 2009, p. 79. La corsa agli sportelli nacque mentre si spargeva la voce che la banca aveva chiesto un supporto di liquidità alla Bank of England, tanto che successivamente il Governatore definì l’aiuto di liquidità come un bacio della morte (King, The End of Alchemy, cit., p. 206). Il supporto fu concesso, ma non trovando altra soluzione il governo nel 2008 dovette nazionalizzarla. Sulla vicenda v. Balling - Bruni - Llewellyn, edd., The Failure of Northern Rock - A Multidimensional Case Study, Vienna, 2009; C.A. Russo, La crisi della Northern Rock: un recente esempio di «regulatory failure», in Banca impresa soc., 2009, p. 241 e Mottura, Lo strano caso di Northern Rock, ivi, 2010, p. 19. Nel 2012 la rete degli sportelli e i servizi alla clientela retail furono venduti a Virgin Money. 74 L’idea fino al 2007-2008 sembrava dotata di razionalità. Il costo della provvista interbancaria era più alto rispetto a quanto la banca avrebbe pagato ai depositanti per il medesimo ammontare di fondi disponibili, ma è anche vero che questo sistema riduceva i costi commerciali e, soprattutto, la durata dei finanziamenti consentiva di pianificare i movimenti di tesoreria meglio di quanto potesse avvenire con i depositi a vista. Il modello organizzativo ha dimostrato con Northern Rock e subito dopo, in modo largamente meno drammatico, nel caso di una banca italiana all’epoca quotata, che pure raccoglieva molto sul mercato interbancario, la sua intrinseca insostenibilità. Può trattarsi di una semplice coincidenza, ma appare notevole che una banca d’affari italiana, priva di sportelli, abbia varato nel 2008 una propria struttura, in una società separata dotata di numerose filiali sul territorio.
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o cassare e ne segue dissesto perché il modello di business è pericoloso (il caso di Northern Rock è esemplare perché il sicuro nesso di causalità esistente tra la provvista reperita in modo imprudente e il successivo dissesto dovuto all’inaridirsi improvviso delle fonti apparenta l’accaduto a un caso di scuola), ciò potrebbe essere considerato dal giudice una fonte di responsabilità75? Le vie d’uscita da una situazione foriera di pericoli non sono molte e non passano, giustamente, solo per scelte basate su argomentazioni tecniche, ma sono l’esito di un dibattito politico che, in ogni caso, per cambiare l’assetto dovrà di nuovo rivoluzionare il sistema. La prima risposta, in tempi di radicalismo espressivo, è estremante semplice sia sul piano ideologico che su quello della fattibilità tecnica: se l’autorità può sostituirsi al gestore e anche al socio, allora l’autorità deve riaccoppiare potere e rischio, comprandosi le banche. Che poi la Banca d’Italia debba comprare le banche italiane e le altre banche centrali debbano acquistare le banche dei rispettivi paesi, ovvero che la BCE diventi azionista e gestore dell’intera area può essere visto, in certo qual modo, come un problema di livello ulteriore, fermo rimanendo che ciascun azionista della singola banca dovrebbe ricevere il prezzo della compravendita e fingendo che questo, nella determinazione del quantum e nel reperire la provvista non apra una voragine di quesiti e problemi (oltre che una voragine nei conti dell’eurozona). Una seconda via, legalitaria, è quella di ridurre il potere di intromissione conferito alla vigilanza, riducendo l’area nella quale l’atto ammni-
75 Un aspetto interessante del caso Northern Rock è che esso accadde un anno prima del fallimento Lehman, quindi non deve essere confuso con tutti i numerosi casi di banche che, a partire dal quarto trimestre 2008, soffrirono crisi di liquidità per mancanza di credito interbancario. Una recente analisi econometrica in tema di credito interbancario in tempo di crisi in Rainone, Pairwise trading in the money market during the European sovereign debt crisis, in Temi di discussione (Working papers), n. 1160, Roma, December 2017. Non per caso all’inizio del 2009 la Banca d’Italia, in collaborazione con la società e-MID e con l’ABI, ha realizzato il Mercato Interbancario Collateralizzato (MIC), una iniziativa temporanea tesa a favorire la ripresa delle contrattazioni sui circuiti interbancari, ideato come un segmento anonimo dedicato della piattaforma elettronica gestita da e-MID SIM, per offrire agli operatori l’opportunità di scambiarsi fondi interbancari minimizzando i rischi di controparte e di liquidità, attraverso specifici presidi e il ruolo che avrebbe assunto la Banca d’Italia in caso di inadempienza, sul quale Rainone, Pairwise trading, cit., p. 14 e Angelini - Nobili - Picillo, The interbank market after august 2007: what has changed, and why?, in J. Money, Credit and Banking, 43(5), 2011, p. 923. Dall’ottobre 2010 il MIC è gestito da privati, con la denominazione di NewMIC, ed è basato sul sistema di garanzia gestito dalla Cassa di Compensazione e Garanzia.
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strativo sostituisce il lavoro del giudice e, magari, prevedendo parametri che definiscano in quali casi alcuni di quei poteri possono essere impiegati. Un modo piĂš visionario di cambiare le regole del gioco, che tuttavia avrebbe conseguenze probabilmente incalcolabili, sarebbe di irrobustire gli intermediari, disaccoppiando la funzione monetaria da quella di finanziamento.
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COMMENTI
Usura e principio di simmetria Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 20 giugno 2018, n. 16303; Pres. Mammone, Rel. De Chiara, P.M. Matera (concl. conf.); G. s.p.a. (avv. Gargani) e IS s.p.a. (avv. Gargani) c. Fall. F.V. s.r.l. Contratti bancari – Usura – Commissione di massimo scoperto – Rilevanza – Tasso soglia – Comparabilità – Principio simmetria – Sussistenza (Cod. civ., art. 1815; Cod. pen., art. 644; l. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2; d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1; d.l. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2-bis)
Con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 2 bis d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata – intesa quale commissione calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento – rispettivamente con il tasso soglia e con la ‘CMS soglia’, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta legge n. 108, compensandosi, poi, l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati. (1)
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Commenti
(Omissis) 5. Con il terzo motivo, denunciando violazione della l. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, del d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, conv. in l. 28 febbraio 2001, n. 24, del d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis, comma 2, cit., e dell’art. 644 c.p., viene posta la questione della computabilità delle commissioni di massimo scoperto agli effetti del superamento del tasso soglia dell’usura, di cui all’art. 644 c.p., comma 3, primo periodo. Ad avviso delle ricorrenti il computo delle commissioni di massimo scoperto a tali effetti è stato introdotto soltanto con il d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis, mentre per il periodo anteriore all’entrata in vigore di tale disposizione - periodo nel quale rientra interamente il rapporto dedotto in giudizio, chiusosi nel marzo del 2008 - esso non era previsto, come aveva chiarito anche la Banca d’Italia con le «Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura» emanate il 30 settembre 1996 e confermate fino al secondo trimestre 2009. Tali Istruzioni espressamente escludevano le commissioni di massimo scoperto dalla rilevazione del tasso effettivo globale medio (TEGM) da indicare nei decreti ministeriali previsti dalla l. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, cit., disponendo che la loro entità fosse rilevata separatamente. Sarebbe pertanto contraddittorio sanzionare l’applicazione in concreto di commissioni di massimo scoperto, non essendo queste prese in considerazione ai fini della determinazione del TEGM nei decreti ministeriali; e comunque, se le commissioni fossero state prese in considerazione, nei decreti predetti, ai fini della determinazione del TEGM, e quindi
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del tasso soglia dell’usura (determinato, com’è noto, aumentando il primo nella misura indicata dalla l. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4), quest’ultimo, risultando conseguentemente più elevato, in concreto non sarebbe stato superato nel caso in esame. 6. Con riferimento alla questione sollevata con tale motivo, la Prima Sezione ha ritenuto di investire le Sezioni Unite, come si è anticipato sopra in narrativa, a composizione di un contrasto di giurisprudenza o comunque in considerazione della particolare importanza della questione di massima. Va premesso, per la precisione e la migliore comprensione di quanto si osserverà, che la nozione di commissione di massimo scoperto che viene qui in considerazione è quella indicata dalla Banca d’Italia nelle già citate Istruzioni per la rilevazione del TEGM ai fini della legge sull’usura, essendo queste richiamate sia nei ricorsi che nel decreto impugnato. In esse si legge che tale commissione «nella tecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso – che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni – viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento». Questa definizione, per l’esattezza, compare testualmente per la prima volta nell’aggiornamento delle Istruzioni del luglio 2001, ma alla medesima nozione si rifanno anche le Istruzioni precedenti, che espressamente prendono in considerazione
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la CMS calcolata sull’ammontare del massimo scoperto. 6.2. Il contrasto rilevato dall’ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite è insorto, come accennato, tra la Seconda Sezione penale e la Prima Sezione civile. 6.2.1. Con la sentenza 19/02/2010, n. 12028 la Seconda Sezione penale ha affermato che «il chiaro tenore letterale del quarto comma dell’art. 644 c.p. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente. Ciò comporta che, nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto, ove praticata». A conferma di tale interpretazione, la sentenza richiama poi il d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis, cit., il quale al primo comma disciplina la commissione di massimo scoperto, ridimensionandone l’operatività, e aggiunge, al secondo comma, che «gli interessi, le
commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p., e della l. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3». Tale norma, infatti, ad avviso di quel Collegio, «può essere considerata norma di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., comma 4, in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme». La seconda Sezione penale ha poi confermato tale orientamento con le sentenze 14/05/2010, n. 28743; 23/11/2011, n. 46669; 03/07/2014, n. 28928. 6.2.2. Due successive decisioni della Prima sezione civile - le sentenze 22/06/2016, n. 12965 e 03/11/2016, n. 22270 - hanno invece smentito, in consapevole contrasto con la Seconda Sezione penale, l’assunto del carattere interpretativo, e dunque retroattivo, del d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis, cit. Per tale ragione esse hanno quindi escluso che, per il periodo precedente l’entrata in vigore di tale norma, possa tenersi conto delle commissioni di massimo scoperto ai fini della verifica del superamento in concreto del tasso soglia dell’usura presunta, anche in considerazione di un’esigenza di simmetria e omogeneità tra i criteri di determinazione, da un lato, del tasso effettivo globale (TEG) applicato in concreto nel rapporto controverso, ai sensi dell’art. 644 c.p., comma 4, e, dall’altro, del tasso effettivo globale medio
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(TEGM), rilevante, come si è visto, ai fini della definizione in astratto del tasso soglia, cui confrontare il tasso applicato in concreto; e ciò in quanto tutti i decreti ministeriali di rilevazione del TEGM, ai sensi della l. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, emanati nel medesimo periodo, recependo le istruzioni della Banca d’Italia, di cui si è detto, determinano tale tasso senza comprendere nel calcolo l’ammontare delle commissioni di massimo scoperto. 6.3. Ritengono queste Sezioni Unite che il d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis, cit., non possa essere qualificato norma di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., comma 4. 6.3.1. Non è inutile premettere che Cass. pen. 12028/2010, cit., ha verosimilmente richiamato tale norma perché essa conteneva, al comma 1, un espresso riferimento alle commissioni di massimo scoperto (delle quali implicitamente ammetteva la validità, sia pure nel più ristretto ambito di operatività cui è cenno nella sentenza in esame, disponendo che «sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido...»), onde il comma 2, avente ad oggetto la disciplina della rilevanza, tra l’altro, delle «commissioni» ai fini della determinazione sia del TEG in concreto, sia del TEGM - e dunque del tasso soglia - in astratto, non poteva non essere letto come comprensivo anche di tale tipo di commissioni. L’art. 2 bis, comma 1, peraltro, è stato poi abrogato dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 27, comma 4, conv., con modif., nella l. 24 marzo 2012, n. 27, mentre la disciplina delle commis-
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sioni di massimo scoperto, ivi contenuta, era stata poco prima sostituita dal d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 117 bis, (t.u.b.), inserito dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 6 bis, conv., con modif., nella l. 22 dicembre 2011, n. 214, che a pena di nullità consente la previsione nei contratti di apertura di credito, «quali unici oneri a carico del cliente», di «una commissione onnicomprensiva calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate...», imponendo inoltre per detta commissione il limite massimo dello «0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente». Con il che la commissione di massimo scoperto come definita nelle Istruzioni della Banca d’Italia più volte menzionate, oggetto del presente giudizio, è stata definitivamente superata. Tuttavia ciò non assorbe, evidentemente, la questione del carattere interpretativo e retroattivo del d.l. n. 185, cit., art. 2 bis. 6.3.2. La ragione per cui va escluso il carattere interpretativo di tale disposizione consiste nel rilievo (già formulato dai richiamati precedenti della Prima Sezione civile) che il suo testo non contiene alcuna espressione che evochi tale natura, ma contiene, anzi, chiarissimi indizi in senso contrario. Depongono, infatti, nel senso della natura innovativa della disposizione sia l’espressa previsione, al comma 2, di una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa, in attesa della quale il modo di determinazione del tasso soglia «resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino
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a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni», sia la previsione, al comma 3 (poi abrogato dal d.l. n. 1 del 2012, cit.), che «i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data. Né il carattere imperativo della norma potrebbe plausibilmente essere riferito non già alla disciplina della determinazione in astratto del TEGM, bensì alla sola disciplina della rilevazione del superamento in concreto del tasso soglia, vale a dire non al comma terzo, primo periodo, bensì all’art. 644 c.p., comma 4, da interpretarsi dunque nel senso che le commissioni di massimo scoperto siano computate nel calcolo del TEG applicato in concreto, pur non essendone previsto il computo ai fini della determinazione del TEGM (e dunque del tasso soglia). Nessuna espressa indicazione in tal senso, infatti, si ripete, risulta dal testo legislativo. Inoltre una tale asimmetria contrasterebbe palesemente con il sistema dell’usura presunta come delineato dalla l. n. 108 del 1996, la quale definisce alla stessa maniera (usando le medesime parole: «commissioni», «remunerazioni a qualsiasi titolo», «spese, escluse quelle per imposte e tasse») sia – all’art. 644 c.p., comma 4, – gli elementi da considerare per la determinazione del tasso in concreto applicato, sia - alla l. n. 108, art. 2, comma 1, cui rinvia l’art. 644 c.p., comma 3, primo periodo, - gli elementi da prendere in considerazione nella rilevazione trimestrale, con appositi decreti ministeriali, del TEGM e, conseguentemente, per la determinazione del tasso soglia con cui va con-
frontato il tasso applicato in concreto; con ciò indicando con chiarezza che gli elementi rilevanti sia agli uni che agli altri effetti sono gli stessi. 6.4. L’esclusione del carattere interpretativo, e quindi retroattivo, del d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis, non è decisiva, però, per la soluzione della questione, che qui interessa, della rilevanza o meno delle commissioni di massimo scoperto ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta secondo la disciplina vigente nel periodo anteriore alla data dell’entrata in vigore di tale disposizione, e dunque in particolare quanto ai rapporti esauritisi in tale periodo, come il rapporto dedotto nel presente giudizio (del resto, nella stessa giurisprudenza penale di legittimità, sopra illustrata, il richiamo dell’art. 2 bis, cit., e la sua ritenuta natura interpretativa costituivano un argomento di mero rincalzo, di conferma, cioè, di un risultato ermeneutico già raggiunto per altra via). 6.4.1. Infatti la commissione di massimo scoperto, quale «corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto... calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento», secondo la definizione richiamata all’inizio, non può non rientrare tra le «commissioni» o «remunerazioni» del credito menzionate sia dall’art. 644 c.p., comma 4, (determinazione del tasso praticato in concreto) che dalla l. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, (determinazione del TEGM), attesa la sua dichiarata natura corrispettiva rispetto alla prestazione creditizia della banca.
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Nei precedenti della Prima Sezione civile sopra richiamati e in parte della dottrina, tuttavia, si sottolinea la circostanza che i decreti ministeriali di cui all’art. 2, comma 1, appena richiamato, non includono le commissioni di massimo scoperto nel computo del TEGM, e quindi del tasso soglia, sicché sarebbe illegittimo prenderle in considerazione ai fini della determinazione del tasso praticato in concreto, e ciò in considerazione di quella esigenza di simmetria di cui si è detto più sopra, per la quale tra l’uno e l’altro tasso, da porre a confronto, deve esservi omogeneità. Tale obiezione non è persuasiva. L’indicata esigenza di omogeneità, o simmetria, è indubbiamente avvertita dalla legge, la quale, come si è già osservato, disciplina la determinazione del tasso in concreto e del TEGM prendendo in considerazione i medesimi elementi, tra i quali va inclusa, per quanto pure sopra osservato, anche la commissione di massimo scoperto, quale corrispettivo della prestazione creditizia. La circostanza che i decreti ministeriali di rilevazione del TEGM non includano nel calcolo di esso anche tale commissione, rileva invece ai fini della verifica di conformità dei decreti stessi, quali provvedimenti amministrativi, alla legge di cui costituiscono applicazione, in quanto la rilevazione sarebbe stata effettuata senza tener conto di tutti i fattori che le legge impone di considerare. La mancata inclusione delle commissioni di massimo scoperto nei decreti ministeriali, in altri termini, non sarebbe idonea ad escludere che la legge imponga di tenere conto delle stesse nel calcolo così del tasso praticato in concreto come del TEGM e, quindi, del tasso soglia con il quale confrontare il primo; essa impor-
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rebbe, semmai, al giudice ordinario di prendere atto della illegittimità dei decreti e di disapplicarli (con conseguenti problemi quanto alla stessa configurabilità dell’usura presunta, basata sulla determinazione del tasso soglia sulla scorta delle rilevazioni dei tassi medi mediante un atto amministrativo di carattere generale). 6.4.2. L’ipotesi di illegittimità dei decreti sotto tale profilo, tuttavia, non avrebbe fondamento, perché non è esatto che le commissioni di massimo scoperto non siano incluse nei decreti ministeriali emanati nel periodo, che qui interessa, anteriore all’entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis, cit. Dell’ammontare medio delle CMS, espresso in termini percentuali, quei decreti danno in realtà atto, sia pure a parte (in calce alla tabella dei TEGM), seguendo le indicazioni fornite dalla Banca d’Italia nelle più volte richiamate Istruzioni come formulate sin dalla prima volta il 30 settembre 1996 e come successivamente aggiornate sino al febbraio 2006, le quali chiariscono che «la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG. Essa viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali» e che «il calcolo della percentuale della commissione di massimo scoperto va effettuato, per ogni singola posizione, rapportando l’importo della commissione effettivamente percepita all’ammontare del massimo scoperto sul quale è stata applicata» (l’aggiornamento successivo, effettuato nell’agosto 2009, uniformandosi al disposto del d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis, cit., nel frattempo entrato in vigore, inserisce invece la CMS nel calcolo del TEGM). La presenza di tale dato nei decreti ministeriali è sufficiente per escludere
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la difformità degli stessi rispetto alle previsioni di legge, perché consente la piena comparazione – tenendo conto di tutti gli elementi che la legge prevede, comprese le commissioni di massimo scoperto – tra i corrispettivi della prestazione creditizia praticati nelle fattispecie concrete e il tasso soglia: nel che si sostanzia, appunto, la funzione propria dei decreti in questione, la quale è dunque adempiuta. La l. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, stabilisce, infatti, che «il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari (...) nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione (...) sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale». La funzione dei decreti in questione è dunque essenzialmente di rilevazione dei dati necessari ai fini della determinazione del tasso soglia, in vista della comparazione, con questo, delle condizioni praticate in concreto dagli operatori. Ebbene, anche la rilevazione dell’entità delle CMS è contenuta nei decreti emanati nel periodo precedente all’entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis. La circostanza che tale entità sia riportata a parte, e non sia inclusa nel TEGM strettamente inteso, è un dato formale non incidente sulla sostanza e sulla completezza della rilevazione prevista dalla legge, atteso che (come si è già anticipato e come ci si accinge a spiegare più puntualmente nel paragrafo che se-
gue) viene comunque resa possibile la comparazione di precise quantità ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, secondo la ratio ispiratrice dell’istituto. Tale dato formale – è appena il caso di aggiungere – è destinato a cedere rispetto a consolidati principi di conservazione degli atti giuridici. 6.4.3. La comparazione di cui trattasi si rivela soltanto più complessa (peraltro non eccessivamente), perché le commissioni di massimo scoperto, essendo rilevate separatamente secondo grandezze non omogenee rispetto al tasso degli interessi (a differenza degl’interessi, si calcolano sull’ammontare della sola somma corrispondente al massimo scoperto raggiunto nel periodo di riferimento e senza proporzione con la durata del suo utilizzo), devono conseguentemente essere oggetto di comparazione separata – ancorché coordinata – rispetto a quella riguardante i restanti elementi rilevanti ai fini del tasso effettivo globale di interesse, espressi nella misura del TEGM. La stessa Banca d’Italia, del resto, preso atto degli orientamenti che andavano profilandosi nella giurisprudenza di merito sulla rilevanza delle commissioni di massimo scoperto agli effetti dell’usura presunta, nel Bollettino di Vigilanza n. 12 del dicembre 2005 ha indicato modalità di comparazione che tengono conto appunto dell’esigenza di non trascurare, nel confronto, l’incidenza delle commissioni di massimo scoperto. Secondo tali indicazioni, la verifica del rispetto delle soglie di legge richiede, accanto al calcolo del tasso in concreto praticato e al raffronto di esso con il tasso soglia, «il confronto tra l’ammontare percentuale della CMS praticata e l’entità massima della CMS
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applicabile (cd. CMS soglia), desunta aumentando del 50 % l’entità della CMS media pubblicata nelle tabelle» (la l. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, prima della modifica introdotta con il d.l. 13 maggio 2011, n. 70, conv., con modif. nella l. 12 luglio 2011, n. 106, prevedeva appunto che il tasso soglia era costituito dal TEGM aumentato della metà). «Peraltro - prosegue la Banca d’Italia l’applicazione di commissioni che superano l’entità della «CMS soglia» non determina, di per sé, l’usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ciascun trimestre, l’importo della CMS percepita in eccesso va confrontato con l’ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti («margine»). Qualora l’eccedenza della commissione rispetto alla «CMS soglia» sia inferiore a tale «margine» è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge». Tali modalità (cui fa sostanzialmente cenno la stessa Cass. Sez. Prima civile n. 12965 del 2016, cit.) appaiono rispettose del dettato normativo, rispondendo all’esigenza di realizzare una comparazione piena, sotto tutti gli aspetti rilevanti secondo la legge, delle condizioni praticate in concreto con quelle previste quale soglia dell’usura, e di rilevare il superamento di tale soglia tutte le volte in cui la banca abbia effettivamente preteso dal cliente corrispettivi eccedenti la stessa. Può pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: «Con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore delle disposizio-
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ni di cui al d.l. n. 185 del 2008, art. 2 bis, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta come determinato in base alle disposizioni della l. n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata - intesa quale commissione calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento - rispettivamente con il tasso soglia e con la «CMS soglia», calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi della predetta L. n. 108, art. 2, comma 1, compensandosi, poi, l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il «margine» degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati». Il terzo motivo di ricorso va dunque accolto nella parte in cui si lamenta che il Tribunale non abbia tenuto conto dell’entità delle CMS, come rilevate nei decreti ministeriali di cui si è detto, ai fini della determinazione della soglia di legge oltre la quale si verifica l’usura presunta. In conclusione, respinti i primi due motivi dei ricorsi e accolto il terzo, il decreto impugnato va cassato, in relazione alla censura accolta, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. (Omissis)
Giuseppe Scassellati Sforzolini - Bernardo Massella Ducci Teri
(1) Sezioni Unite, usura, CMS e principio di omogeneità. Risolta anche la querelle su usura e interessi moratori? Sommario: 1. La sentenza delle Sezioni Unite. – 2. Usura e interessi moratori: le questioni e le tesi in campo. – 2.a. (segue) la rilevanza degli interessi moratori ai fini della normativa in materia di usura. – 2.b. (segue) la soggezione degli interessi di mora all’usura c.d. presunta. – 2.c. (segue) il tasso soglia applicabile agli interessi di mora. – 3. Spunti forniti dalle Sezioni Unite. – 4. Conclusioni.
1. La sentenza delle Sezioni Unite. Con la sentenza annotata1, le Sezioni Unite hanno risolto in via (auspicabilmente) definitiva l’annosa questione della rilevanza della commissione di massimo scoperto (d’ora in avanti, CMS) ai fini della normativa in materia di usura (e, in particolare, della c.d. usura presunta o oggettiva2), con riferimento al periodo anteriore alla novella introdotta
1 Pubblicata anche in Giustiziacivile.com, con nota di Gargani, Superamento del tasso soglia nel periodo precedente l’entrata in vigore dell’art. 2-bis d.l. 185/2008: rilevanza delle commissioni di massimo scoperto; in Corr. giur., 2018, 1339, con nota di Colombo, Commissione di massimo scoperto e disciplina antiusura: le Sezioni Unite avallano il principio di simmetria ed impongono la comparazione separata; e in Contr., 2018, 521, con nota di Stilo, Il c.d. principio di simmetria oltre le Sezioni Unite: nuovi scenari interpretativi e possibili ‘effetti collaterali’. 2 Cioè, come noto, la fattispecie prevista al primo periodo dell’art. 644, co. 3, c.p. (modificato dalla l. 7 marzo 1996, n. 108; d’ora in avanti, Legge Usura) che si basa sul superamento del c.d. tasso soglia individuato dalla normativa secondaria (a prescindere dall’eventuale stato di bisogno del debitore), così distinguendosi dalla c.d. usura in concreto di cui al secondo periodo dell’art. 644, co. 3, c.p. Come illustrato più dettagliatamente in seguito (cfr. par. 2.b.), l’art. 644, co. 3, primo periodo, c.p. costituisce una norma penale in bianco, considerato che l’individuazione della condotta rilevante dipende dalla fonte normativa subordinata. In particolare, infatti, ai sensi dell’art. 2, co. 4, della Legge Usura il tasso soglia (cioè «il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari») è rappresentato dal tasso effettivo globale medio (c.d. TEGM) – pubblicato trimestralmente con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (d’ora in avanti, MEF) e individuato secondo il procedimento previsto dalla legge sulla base della rilevazione delle condizioni economiche (cioè il tasso effettivo globale; c.d. TEG) applicate dalle banche e dagli intermediari finanziari nel trimestre precedente condotta dalla Banca d’Italia (la quale ha a tal fine dettato apposite Istruzioni) – aumentato del 25%, cui si aggiungono ulteriori quattro punti percentuali (purché la differenza tra il tasso soglia e il TEGM non sia superiore all’8%).
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con l’art. 2-bis d. l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in l. 28 gennaio 2009, n. 23, sulla quale era insorto un contrasto tra le sezioni civili e penali della Cassazione4. La possibilità di un contrasto tra sezioni civili e penali non pare dover sorprendere più di tanto considerato che – a seguito della riforma del 1996 – è ormai pacifico che la nozione di “usura” sia unitaria nell’ordinamento, essendo il concetto di “interesse usurario” rilevante in ambito civile ai sensi dell’art. 1815, co. 2, c.c. lo stesso che rileva in ambito penale ai fini della norma incriminatrice di cui all’art. 644 c.p.5. Nello specifico, le Sezioni Unite erano state chiamate a pronunciarsi, tra l’altro, su due profili distinti, per quanto connessi: (i) da un lato, se la disposizione di cui al richiamato art. 2-bis, co. 2, d. l. n. 185/2008 sia una norma di interpretazione autentica (ovvero abbia introdotto una
3 Che ne ha espressamente sancito la rilevanza (cfr. il co. 2, secondo cui gli «interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108 […]»). 4 Il contrasto era insorto tra Cass. pen., 19 febbraio 2010, n. 12028, in Foro it, 2010, II, 382, con nota di Di Landro, La Cassazione penale include la commissione di massimo scoperto nel tasso d’interesse usurario: la l. 2/09, le questioni intertemporali e un’inedita ricostruzione dell’elemento soggettivo; Cass. pen., 14 maggio 2010, n. 28743, in Ced Cass., rv. 247861 (m); e Cass. pen., 19 dicembre 2011, n. 46669, in IlCaso.it, con nota di Marcelli, Le azioni legali e il rischio di usura dopo la sentenza Cass. pen. 46669/11. Prime riflessioni (favorevoli alla computazione della CMS nel TEG); e Cass., 22 giugno 2016, n. 12965, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1593, con nota di Salanitro, Usura e commissione di massimo scoperto: la Cassazione civile riconosce il valore vincolante del principio di simmetria; e Cass., 3 novembre 2016, in Mass. giust. civ., 2016, 777 (nel senso, opposto, che la CMS sia irrilevante ai fini della verifica del superamento del tasso soglia). 5 Al riguardo, cfr., per tutti, Cass. S.U., 19 ottobre 2017, n. 24675, in Corr. giur., 2017, 1484, con nota di Pagliantini, L’usurarietà sopravvenuta ed il canone delle ss.uu.: ultimo atto? e di Guizzi, Le sezioni unite e il de profundis per l’usura sopravvenuta e Collegio di Coordinamento ABF, decisione 30 aprile 2014, n. 2666, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 482, con nota adesiva di Volpe, Usura e interessi moratori nel linguaggio dell’Arbitro Bancario Finanziario. In dottrina, si vedano, ex multis, già tra i primi commentatori della riforma del 1996, Meruzzi, Usura, in Contr. e impr., 1996, p. 759; Belli e Mazzini, Leggi antiusura, tasso-soglia e problemi relativi ai contratti in corso, in Dir. banc., 1998, p. 621; Oppo, Lo «squilibrio» contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, p. 533; Dolmetta, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108/1996, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, p. 627; e Maniaci, Nuova normativa in materia di usura, in Contr., 2001, p. 393.
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modifica normativa) e (ii) dall’altro, quale sia il «rapporto che corre, nel sistema vigente, tra i parametri di costruzione del tasso effettivo medio (TEGM), di cui alle rilevazioni trimestrali del ministero dell’economia, e i parametri di riscontro e verifica dell’eventuale usurarietà dei negozi posti in essere dall’autonomia privata» (vale a dire se «nel sistema antiusura che risulta attualmente vigente» sussista «una regola di omogeneità» o simmetria dei dati da comparare) e quali siano le conseguenze nel caso in cui «i dati stabiliti per le rilevazioni trimestrali non si manifestino corretta espressione del dettato legislativo»6. Le Sezioni Unite hanno, innanzitutto, negato il «carattere interpretativo e retroattivo» dell’art. 2-bis d. l. n. 185/2008 considerato che «il suo testo non contiene alcuna espressione che evochi tale natura», ma contiene anzi «chiarissimi indizi in senso contrario», quali «l’espressa previsione […] di una disciplina transitoria» nonché di un termine di «centocinquanta giorni» dall’entrata in vigore della legge di conversione per adeguare i contratti in corso «alle disposizioni del presente articolo» (co. 3, successivamente abrogato dal d. l. n. 1/2012). Nel fare ciò, le Sezioni Unite hanno altresì escluso che detto carattere interpretativo possa «essere riferito non già alla disciplina della determinazione in astratto del TEGM, bensì alla sola disciplina della rilevazione del superamento in concreto del tasso soglia», negando che alcune voci «siano computate nel calcolo del TEG applicato in concreto, pur non essendone previsto il computo ai fini della determinazione del TEGM (e dunque del tasso soglia)»: questo perché – oltre a non rinvenirsi alcuna «espressa indicazione in tal senso» nella disposizione in questione – «una tale asimmetria contrasterebbe palesemente con il sistema dell’usura presunta come delineato dalla legge n. 108 del 1996, la quale definisce alla stessa maniera» sia «gli elementi da considerare per la determinazione del tasso in concreto applicato» sia «gli elementi da prendere in considerazione nella rilevazione trimestrale, con appositi decreti ministeriali, del TEGM, e conseguentemente, per la determinazione del tasso soglia con cui va raffrontato il tasso applicato in concreto; con ciò indicando con chiarezza che gli elementi rilevanti sia agli uni che agli altri effetti sono gli stessi». Quanto, più specificamente, alla sussistenza di un principio di omogeneità nella normativa antiusura in vigore e alle conseguenze di un’eventuale illegittimità delle rilevazioni trimestrali, la Corte ha: (i) per un verso, ribadito che una «esigenza di omogeneità, o simme-
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Cass., 20 giugno 2017, n. 15188, in IlCaso.it.
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tria, è indubbiamente avvertita dalla legge» che «disciplina la determinazione del tasso in concreto e del TEGM prendendo in considerazione i medesimi elementi, tra i quali va inclusa» anche la CMS, in quanto – attesa «la sua dichiarata natura corrispettiva rispetto alla prestazione creditizia della banca» – essa «non può non rientrare tra le ‘commissioni’ o ‘remunerazioni’ del credito menzionate» sia dall’art. 644 c.p. (relativo alla «determinazione del tasso praticato in concreto») che dall’art. 2 della Legge Usura (relativo alla «determinazione del TEGM»); (ii) per altro verso, chiarito che il fatto che «i decreti ministeriali di rilevazione del TEGM non includano nel calcolo» anche la CMS rileva «ai fini della verifica di conformità dei decreti stessi, quali provvedimenti amministrativi, alla legge di cui costituiscono applicazione, in quanto la rilevazione sarebbe stata effettuata senza tenere conto di tutti i fattori che la legge impone di considerare». In altre parole, la «mancata inclusione» delle CMS «nei decreti ministeriali» non «sarebbe idonea ad escludere che la legge imponga di tenere conto delle stesse nel calcolo così del tasso praticato in concreto come del TEGM e, quindi, del tasso soglia con il quale confrontare il primo», ma imporrebbe «al giudice ordinario di prendere atto della illegittimità dei decreti e di disapplicarli (con conseguenti problemi quanto alla stessa configurabilità dell’usura presunta, basata sulla determinazione del tasso soglia sulla scorta delle rilevazioni dei tassi medi mediante un atto amministrativo di carattere generale)». Nel caso di specie, tuttavia, le Sezioni Unite hanno ritenuto che i decreti ministeriali (emanati prima della novella del 2008) non fossero illegittimi perché essi «danno in realtà atto, sia pure a parte» dell’«ammontare medio delle CMS, espresso in termini percentuali»: sin dall’entrata in vigore della Legge Usura, infatti, la CMS è sempre stata oggetto di rilevazione e il suo importo medio pubblicato nei decreti ministeriali adottati trimestralmente. Secondo la Corte, la «presenza di tale dato nei decreti ministeriali è sufficiente per escludere la difformità degli stessi rispetto alle previsioni di legge, perché consente la piena comparazione» – considerando «tutti gli elementi che la legge prevede» – tra «i corrispettivi della prestazione creditizia praticati nelle fattispecie concrete e il tasso soglia: nel che si sostanzia, appunto, la funzione propria dei decreti in questione». In altri termini, il fatto che la CMS media «sia riportata a parte, e non sia inclusa nel TEGM strettamente inteso, è un dato formale non incidente sulla sostanza e sulla completezza della rilevazione prevista dalla legge», comportando soltanto che la «comparazione di precise quantità ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta» (che rappresenta «la ratio ispiratrice dell’istituto») si riveli soltanto un
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po’ «più complessa» perché le CMS dovranno essere «oggetto di comparazione separata – ancorché coordinata – rispetto a quella riguardante i restanti elementi rilevanti ai fini del tasso effettivo globale di interesse, espressi nella misura del TEGM», secondo le indicazioni fornite dalla Banca d’Italia in una nota del dicembre 20057. La pronuncia merita particolare attenzione, non tanto per la soluzione che la Suprema Corte ha ritenuto di dare al problema specifico oggetto del suo intervento8 – problema che, pur avendo rivestito un ruolo significativo nel contenzioso tra banche e clienti, appare oggi tuttavia marginale e in via, per così dire, di naturale esaurimento alla luce dell’evoluzione normativa9 – quanto per i passaggi relativi alla sussistenza di un principio di omogeneità o simmetria e alle conseguenze della mancata inclusione di determinati oneri nelle rilevazioni trimestrali ai fini della configurabilità dell’usura presunta. Trattandosi, infatti, di profili «per sé general[i] della vigente normativa antiusura, non esclusiv[i] della commissione di massimo scoperto»10, le affermazioni contenute in motivazione al riguardo possono (e, anzi, dovrebbero), a nostro avviso, orientare l’interprete anche nella soluzione di altre questioni interpretative relative alla disciplina in materia di usura, in primis quella – assai controversa e oggetto di queste riflessioni – della rilevanza degli interessi di mora ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta11.
7 Cfr. la Nota «Commissioni di massimo scoperto» della Banca d’Italia, in Boll., dicembre 2005, pp. 4-5. 8 Per una critica alla soluzione adottata dalle Sezioni Unite, cfr. Marcelli, Le Sezioni Unite (n. 16303/2018) legittimano la rilevazione usuraria della CMS, secondo le modalità della circolare Banca d’Italia del 2 dicembre 2005, 2.7.2018, in IlCaso.it. 9 Invero, la questione riguardava soltanto il periodo precedente la novella di cui all’art. 2-bis d. l. n. 185/2008: per il periodo successivo è, infatti, pacifico che la CMS rilevi ai fini della verifica del superamento del tasso soglia (e, dunque, dell’usura presunta). Peraltro, la CMS è stata oggetto di ripetuti interventi del legislatore, prima di approdare all’assetto odierno previsto dall’art. 117-bis t.u.b. (inserito dal d. l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni in l. 22 dicembre 2011, n. 214 e successivamente modificato dal d. l. 24 marzo 2012, n. 29 convertito con modificazioni in l. 18 maggio 2012, n. 62). Sull’evoluzione normativa in tema di CMS, cfr., per tutti, M. Cian, Il costo del credito bancario alla luce dell’art. 2-bis l. 2/2009 e della l. 102/2009: commissione di massimo scoperto, commissione di affidamento, usura, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, p. 2, 182; Id., Costo del credito bancario e usura. Ancora sulle commissioni bancarie, sullo ius variandi e sull’azzeramento del tasso oltre soglia, in Obbl. e contr., 2012, p. 655; e Stilo, Ancora interventi normativi in tema di commissioni bancarie, in Contr., 2012, p. 722. 10 Cfr. la stessa ordinanza di rimessione, Cass., 20 giugno 2017, n. 15188, cit. 11 Per uno spunto, cfr. Marcelli, Le Sezioni Unite, cit., pp. 9 e ss. Nel senso che l’affer-
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2. Usura e interessi moratori: le questioni e le tesi in campo. Sin dall’entrata in vigore della Legge Usura – ma la questione era discussa anche prima12 – il rapporto tra interessi di mora e normativa antiusura ha formato oggetto di acceso dibattito. In particolare e in estrema sintesi, la dottrina e la giurisprudenza si sono a lungo interrogate (senza che si sia ancora giunti – dopo più di vent’anni – a una posizione pacificamente condivisa al riguardo) su (a) la rilevanza tout court degli interessi di mora ai fini della normativa in materia di usura; (b) in caso positivo, l’applicabilità dell’usura presunta agli interessi moratori (e, dunque, la possibilità di un loro raffronto con il tasso soglia); e (c) sempre in caso di risposta positiva, quale sia il tasso soglia con cui confrontare gli interessi di mora applicati a uno specifico rapporto. Sembra dunque utile preliminarmente ripercorrere brevemente le varie posizioni riscontrabili in relazione a ciascuna di tali questioni13, per verificare poi se e come le affermazioni contenute nella sentenza delle Sezioni Unite intervengano – come si ritiene – a modificare (se non a risolvere) il dibattito in corso.
mazione della «rilevanza del principio di simmetria» in relazione alla CMS già da parte di Cass., 22 giugno 2016, n. 12965 non avrebbe mancato «di influenzare il dibattito dottrinale e giurisprudenziale su temi di maggiore attualità», tra cui in particolare la rilevanza degli interessi moratori «in sede di verifica del TEG», cfr. Salanitro, Usura e commissione di massimo scoperto, cit., p. 1602. 12 Per la tesi contraria all’applicazione dell’art. 1815, co. 2, c.c. agli interessi moratori, cfr. per tutti, Scozzafava, Gli interessi monetari, Napoli, 1984, pp. 211 e ss.; e G. Marini, La clausola penale, Napoli, 1984, pp. 159 e ss. Per la tesi favorevole, cfr. invece Libertini, Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 97, spec. pp. 126 e 130; ed E. Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, 9, Torino, 1984, p. 523, spec. p. 563 (il quale sembrerebbe aver peraltro mutato opinione a seguito dell’entrata in vigore della Legge Usura; cfr. Id., Usura e legislazione civile, in Corr. giur., 1999, p. 890; e Id., Usura (dir. civ.), in Enc. giur., XXXII, Roma, 1999, 4). 13 Esulano dallo scopo di queste considerazioni sia la questione – a lungo controversa e, ci si augura, definitivamente risolta dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., 19 ottobre 2017, n. 24675, cit.) – della rilevanza della c.d. usura sopravvenuta e degli interessi di mora a tal fine (su cui, cfr. per tutti, anche per i riferimenti bibliografici, Guizzi, Tentazioni pericolose: il miraggio dell’usura sopravvenuta, in Corr. giur., 2017, p. 601 e Pagliantini, La saga (a sfaccettature multiple) dell’usurarietà sopravvenuta tra regole e principi, ivi, p. 608) che il tema delle conseguenze dell’eventuale usurarietà degli interessi di mora (su cui si rinvia, anche per i riferimenti, a Pascucci, Interessi moratori e usura: quid sub sole novi?, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 230, spec. pp. 239 e ss.).
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2.a. (segue) la rilevanza degli interessi moratori ai fini della normativa in materia di usura. Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità civile risalente al 2000 – di recente ribadito in più occasioni14 (seppure, come si è rilevato da più parti, «senza approfondimento adeguato»15) e seguito da parte della giurisprudenza di merito16 e della dottrina17 – gli interessi di mora sarebbero senz’altro rilevanti ai fini della normativa antiusura.
14 Cfr. Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in (tra le altre) Corr. giur., 2000, 878, con nota di Gioia, La disciplina degli interessi divenuti usurari: una soluzione che fa discutere; cui sono seguite, tra le altre, Cass., 17 novembre 2000, n. 14899, in (tra le altre) Foro it., 2000, I, 918, con nota di Palmieri, Tassi usurari e introduzione della soglia variabile: ancora una risposta interlocutoria; Cass., 4 aprile 2003, n. 5324, in Mass. giust. civ., 2003, 4; Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, in (tra le altre) Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 675, con nota di Tarantino, Usura e interessi di mora; Cass., 11 gennaio 2013, nn. 602 e 603, in (tra le altre) Foro it., 2014, I, 128, con nota di Palmieri, Usura e sanzioni civili: assetti ancora instabili; Cass., 3 marzo 2017, n. 5598, in Mass. giust. civ., 2017, 204; e Cass., 4 ottobre 2017, n. 23192, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 245, con nota di Pascucci, Interessi moratori e usura: quid sub sole novi? A quanto consta, la questione della rilevanza degli interessi di mora ai fini della normativa antiusura (e, poi, dell’usura presunta) non è ancora mai stata affrontata dalle sezioni penali della Cassazione (le quali si sono, invece, espresse – escludendone la rilevanza; cfr. poco oltre – in relazione alla clausola penale). 15 Cfr., per tutti, Candiani, Contratti di credito: l’ossimoro dell’usura e della mora, in Corr. giur., 2018, p. 809, spec. p. 810. 16 Cfr., tra le altre, App. Roma, 7 luglio 2016, in Contr., 2017, 131, con nota di Labella, Interessi di mora e applicabilità della normativa antiusura; Trib. Bari, 14 dicembre 2015, ivi, 2016, p. 455, con nota di Sangiovanni, Interessi di mora e clausole di salvaguardia contro il rischio usura; App. Venezia, 18 febbraio 2013, in IlCaso.it; e App. Milano, 6 marzo 2002, in Giur. it., 2003, 93, con nota di Pandolfini, L’usura sopravvenuta sopravvive ancora? 17 Cfr., tra gli altri e senza alcuna pretesa di esaustività, D’Amico, Interessi usurari e contratti bancari, in D’Amico, a cura di, Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, Torino, 2017, p. 38 e in Contr., 2016, p. 279 (da cui i riferimenti); Pagliantini, Spigolature su un idolum fori: la c.d. usura legale del nuovo art. 1284 c.c., ivi, p. 67; Tarantino, Usura e interessi di mora, cit.; Dagna, Profili civilistici dell’usura, in Inzitari, a cura di, Il diritto degli affari, Padova, 2008, p. 127; Marcelli, Criteri e modalità di determinazione del tasso d’usura: ambiguità e contraddizioni, 2008, in IlCaso.it; Id., L’usura della legge e l’usura della Banca d’Italia: nella mora riemerge il simulacro dell’omogeneità. La rilevazione statistica e la verifica dell’art. 644 c.p.: finalità accostate ma non identiche, in Riv. dir. banc., 3, 2015; Teti, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, in Riv. dir. priv., 1997, p. 482; Meruzzi, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, in Contr. e impr., 1999, p. 410; Mazzarese, La clausola penale (art. 1382-1384), in Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, Milano, 1999, p. 395; Gioia, La disciplina degli interessi divenuti usurari, cit. ed Ead., Difesa dell’usura, in Corr. giur., 1998, p. 504.
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Tale posizione si fonda principalmente, per un verso, sull’art. 1224, co. 1, c.c. il quale – nel prevedere che «se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura» – sancirebbe un principio di omogeneità di trattamento, pur nella diversità di funzione, tra interessi moratori e corrispettivi18. Per altro verso, essa si fonda sull’art. 1, co. 1, del d. l. 29 dicembre 2000, n. 394 (conv. con modificazioni in l. 28 febbraio 2001, n. 24; d’ora in avanti, la Legge d’interpretazione autentica), il quale – stabilendo che «si intendono usurari» gli interessi «promessi o convenuti, a qualunque titolo» – si riferirebbe a qualsiasi tipologia di interessi e, dunque, anche agli interessi moratori19. Tale conclusione avrebbe peraltro ottenuto l’autorevole avallo della Corte Costituzionale, la quale ha affermato (invero obiter) che il riferimento «agli interessi ‘a qualunque titolo convenuti’ rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori»20. Del resto, si è fatto notare che, a ritenere diversamente, ci si esporrebbe al rischio di facili aggiramenti della normativa antiusura. Infatti, ove si ritenesse che detta normativa si applichi esclusivamente agli interessi corrispettivi, con esclusione dei moratori, sarebbe agevole stabilire termini di adempimento estremamente ravvicinati in maniera da provocare l’inadempimento del debitore, accompagnati dalla previsione di interessi di mora elevati (e superiori al tasso soglia) da applicare al posto degli interessi corrispettivi (fissati invece sotto la soglia) a seguito del ritardo21.
Così, per tutti, Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, cit. Per vero, l’argomento sembra fondarsi soprattutto sulla più esplicita relazione governativa di accompagnamento al decreto legge (consultabile sul sito www.senato. it), nella quale si legge al punto 4 che «[l]’articolato fornisce al comma 1 l’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, comma secondo, c.c. Viene chiarito che quando in un contratto di prestito sia convenuto il tasso di interesse (sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio) il momento al quale riferirsi per verificare l’eventuale usurarietà sotto il profilo sia penale che civile è quello della conclusione del contratto a nulla rilevando il pagamento degli interessi» (enfasi aggiunta). 20 C. Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, in Foro it., 2002, I, 933. 21 Cfr. Meruzzi, Il contratto usurario, cit., p. 493; Gioia, La disciplina, cit., nt. 39; Mazzarese, La clausola penale, cit., p. 395; e dubitativamente Masucci, Disposizioni in materia di usura. La modificazione al codice civile in tema di mutuo ad interesse, in Nuove leggi civ. comm., 1997, p. 1328, spec. p. 1331 e nt. 19. In giurisprudenza, cfr. Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, cit. e, soprattutto, Trib. Roma, 10 luglio 1998, in Foro it., 1999, I, 343, se18 19
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A sostegno dell’opposta tesi (cui si ritiene di aderire) dell’irrilevanza degli interessi di mora, ampia parte della dottrina22 – seguita dall’Arbitro Bancario Finanziario (d’ora in avanti, ABF)23 e da corposa giurisprudenza di merito, sia civile24 che penale25 – negata la sussistenza di un princi-
condo cui il legislatore «ha inteso evitare ogni possibilità di facile aggiramento della norma, aggiramento che invece, ove gli interessi moratori venissero esclusi dal conteggio di quelli rilevanti ai fini usurari, verrebbe facilmente realizzato mediante la previsione [...] di termini di pagamento di improbabile rispetto, idonei a rendere ‘normale’ e legittima la corresponsione di interessi sostanzialmente usurari sotto forma di interessi moratori». 22 Cfr., senza alcuna pretesa di esaustività, Morera, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso ‘soglia’ e ... usurario sopravvenuto, in Banca, borsa., tit. cred., 1998, II, p. 517; Tavormina, Banche e tassi usurari: il diritto rovesciato, in Contr., 2014, p. 85; Mucciarone, Usura sopravvenuta e interessi moratori usurari tra Cassazione, ABF e Banca d’Italia, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, I, p. 438; Robustella, Usura bancaria e determinazione del tasso soglia, Bari, 2017, pp. 163 e ss.; Ead., Sull’applicabilità del limite dei tassi ‘soglia’ agli interessi moratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, p. 1003; Semeraro, Usura originaria, usura sopravvenuta e interessi moratori, in Riv. dir. banc., 2015, pp. 17 e ss.; Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali: nuove disposizioni in tema di usura e tutela civilistica della vittima del reato, in Riv. dir. comm., 1997, I, p. 771; Oppo, Lo «squilibrio», cit., p. 535; Dolmetta, Le prime sentenze, cit., p. 630; Quadri, Usura e legislazione civile, cit.; e Id, Usura (dir. civ.), cit. 23 Cfr., per tutte, Collegio di Coordinamento ABF, decisione 28.3.2014, n. 1875 e Collegio di Coordinamento ABF, decisione 30.4.2014, n. 2666, entrambe in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 482, con nota adesiva di F. Volpe, Usura e interessi moratori nel linguaggio dell’Arbitro Bancario Finanziario. 24 Cfr., ex multis, Trib. Roma, 23 marzo 2017, in IlCaso.it; Trib. Roma, 16 novembre 2016, in IlCaso.it; Trib. Treviso, 7 gennaio 2016, in IlCaso.it; Trib. Cremona, 9 gennaio 2015, in www.expartecreditoris.it; Trib. Vibo Valentia, 22 luglio 2015, in IlCaso.it; Trib. Rimini, 6 febbraio 2015, in IlCaso.it; Trib. Roma, 7 maggio 2015, in www.dirittobancario. it; Trib. Verona, 12 settembre 2015, in IlCaso.it; Trib. Brescia, 24 novembre 2014, in www. expartecreditoris.it; Trib. Roma 16 settembre 2014, in IlCaso.it; Trib. Verona, 28 aprile 2014, in IlCaso.it; Trib. Roma 1 febbraio 2001, in Corr. giur., 2001, 8, 1082, con nota critica sul punto di Lamorgese, Interessi moratori ed usura;; Trib. Salerno, 27 luglio 1998, in Contr., 1999, 589, con nota di Zorzoli, Interessi usurari e mutui stipulati anteriormente alla l. 108/1996; Trib. Macerata, 1 giugno 1999, in Foro it., 2000, I, 1709, con nota di Palmieri, Retribuzione del credito e usurarietà «sopravvenuta»: dagli equivoci della legge alla ricerca di regole operative affidabili; e Trib. Napoli, 5 maggio 2000, in Giur. it., 2000, I, 1665. 25 Cfr. GIP Sassari (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 12 aprile 2018 (inedita); GIP Pescara (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 23 marzo 2017 (inedita); GIP Roma (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 27 febbraio 2017 (inedita); GIP Lecce (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 23 settembre 2015 (inedita); GIP Lecce (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 24 aprile 2015 (inedita); GIP Lecce (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 3 marzo 2016 (inedita); e GIP Como (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 23 luglio 2015 (inedita).
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pio di omogeneità di trattamento degli interessi26, fa al contrario leva (a nostro avviso, convincentemente, specie ove si consideri la natura delle disposizioni rilevanti) sul tenore letterale: (i) da un lato, dell’art. 644 c.p., il quale (a) nel definire il reato di usura al primo comma, fa riferimento al «corrispettivo di una prestazione di denaro», mentre (b) nello stabilire quali commissioni e oneri debbano tenersi in considerazione al fine di determinare il tasso praticato in concreto al comma 4, si riferisce alle «remunerazioni a qualsiasi titolo […] collegate alla erogazione del credito»; (ii) dall’altro, dell’art. 2, co. 1, Legge Usura e dell’art. 2-bis, co. 2, d. l. 29 novembre 2008 n. 185, i quali fanno anch’essi riferimento a una «remunerazione» della banca a fronte dell’erogazione del credito. Considerato che – a differenza degli interessi corrispettivi – gli interessi di mora non costituiscono un corrispettivo collegato all’erogazione del credito ma hanno la funzione di risarcire il creditore del ritardo nell’adempimento da parte del debitore, essi esulano dall’ambito di applicazione della normativa antiusura, come del resto affermato dalle sezioni penali della Cassazione con riferimento alla clausola penale27 (cui, per dottrina e giurisprudenza consolidata, sono assimilabili gli interessi di mora)28.
Cfr., per tutti, Robustella, Sull’applicabilità del limite, cit., pp. 1013 e s., secondo cui detto principio sarebbe smentito «proprio dall’incipit della stessa disposizione che fa decorrere, in difetto di diversa pattuizione, gli interessi di mora anche nel caso in cui gli interessi corrispettivi non fossero dovuti o fossero dovuti in misura inferiore a quella legale», ciò che farebbe «emergere con chiarezza la funzione marcatamente sanzionatoria degli interessi di mora che vale a differenziarli radicalmente dagli interessi corrispettivi». Sul punto, cfr. anche Tavormina, Banche e tassi usurari, cit., pp. 92 e ss. Per una replica al riguardo, cfr., da ultimo, Rizzo, Gli interessi moratori usurari nella teoria delle obbligazioni pecuniarie, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, I, p. 359, spec. pp. 92 e s. 27 Cass. pen., 25 ottobre 2012, n. 5683, in Foro it., 2013, II, 484, secondo cui la clausola penale «non può essere considerata come parte di quel «corrispettivo» che previsto dall’art. 644 c.p. può assumere carattere di illiceità, poiché sul piano giuridico l’obbligazione nascente dalla clausola penale non si pone come corrispettivo dell’obbligazione principale, ma come effetto derivante da una diversa causa che è un inadempimento». Cfr. anche Cass. pen., 22 giugno 2018, n. 29010, in Diritto e Giustizia. 28 Cfr. in dottrina, ex multis, Sacco e De Nova, Le clausole penali e la caparra confirmatoria, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 10, II, Torino, 2002, p. 441, p. 446; Quadri, Usura (dir. civ.), cit., p. 3; Libertini, Interessi, cit., p. 129; Mazzarese, La clausola penale, cit., 235; e Inzitari, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 2011, p. 668. In giurisprudenza, cfr., per tutti, Cass., 21 giugno 2001, n. 8481, in Foro.it. 26
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Né – data la natura sanzionatoria ed eccezionale dell’art. 1815, co. 2, c.c. e, a fortiori, la natura di norma penale incriminatrice dell’art. 644 c.p. – parrebbe consentita una lettura espansiva di tali disposizioni volta a ricomprendervi anche gli interessi moratori29. A tale conclusione non consentirebbe di pervenire nemmeno la Legge d’interpretazione autentica ove si consideri che – fermo restando che nessun peso decisivo potrebbe darsi a quanto affermato nella citata relazione governativa di accompagnamento – detta Legge (i) è stata adottata per chiarire il diverso tema della c.d. usura sopravvenuta e (ii) nel riferirsi ad interessi convenuti «a qualunque titolo», «non ha ampliato l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 644 c.p. a una categoria di interessi (quelli moratori, appunto) che in precedenza non vi rientrava»30. Né si può ritenere decisiva la richiamata pronuncia della Corte Costituzionale, la quale si è invero «limitata, con delibazione sommaria ed incidenter tantum, a ritenere ‘plausibile’ l’interpretazione» secondo cui la disciplina in materia
Cfr., tra gli altri, Realmonte, Stato di bisogno, cit., p. 780; e Dolmetta, Le prime sentenze, cit., p. 631. Sulla necessità di un’interpretazione rigorosa delle norme rilevanti, cfr. anche, ex multis, Collegio di Coordinamento ABF, decisione 30.4.2014, n. 2666, cit.; Collegio di Coordinamento ABF, decisione 28.3.2014, n. 1875, cit.; Trib. Roma 16 settembre 2014, cit.; Trib. Verona, 12 settembre 2015 cit.; e Trib. Verona, 28 aprile 2014, cit. 30 Collegio di Coordinamento ABF, 30.4.2014, n. 2666, cit. Cfr. anche GIP Lecce (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 3 marzo 2016, cit., (secondo cui «è a dubitarsi anche che il legislatore abbia inteso riferirsi, con l’espressione ‘a qualunque titolo’, anche agli interessi moratori, atteso che l’art. 644 cp rimane comunque testuale nel far riferimento agli interessi usurari come quelli pattuito ‘in corrispettivo’ di una somma di danaro: sicché della suddetta ‘norma di interpretazione autentica’ deve comunque darsi una lettura compatibile col testo complessivo della norma: sicché ad es. è verosimile che il Legislatore intendesse riferirsi a ipotesi di interessi pattuiti a titolo di novazione o figure analoghe di modifica od integrazioni di precedenti pattuizioni, come è svelato dalla posizione sintattica dell’inciso ‘a qualunque titolo’, prima della preposizione relativa al momento temporale della pattuizione»); nonché nella giurisprudenza civile Trib. Roma, 23 marzo 2017, cit. (secondo cui «non appare decisivo» al fine di affermare la rilevanza degli interessi di mora ai fini della normativa antiusura «il dettato dell’art. 1 comma 1, d.l. n. 394/00», in quanto detta norma è stata «emanata al dichiarato fine di evitare effetti pregiudizievoli in ordine alla stabilità del sistema creditizio nazionale che sarebbero potuti derivare dall’orientamento giurisprudenziale … propenso a riconoscere la sopravvenuta usurarietà dei tassi di interesse» e non potendosi, quindi, «riconoscere a tale norma, in considerazione della sua natura di interpretazione autentica, carattere innovativo rispetto alla disciplina dettata dall’art. 644 c.p. e, come tale, idonea ad ampliare la fattispecie delittuosa del reato di usura, includendo anche oneri non ricollegabili alla erogazione del credito»). Nello stesso senso, cfr. anche Trib. Roma, 16 novembre 2016, cit.; Trib. Verona, 12 settembre 2015, cit.; Trib. Brescia, 24 novembre 2014, cit.; Trib. Roma, 7 maggio 2015, cit.; e Trib. Rimini, 6 febbraio 2015, cit. 29
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di usura possa riguardare anche gli interessi di mora, «ritenendo espressamente irrilevante approfondire la questione»31. Al contrario, l’esclusione degli interessi di mora dall’ambito di applicazione della normativa antiusura si porrebbe in linea con la ratio della disciplina, la quale non intende «incidere sull’inadempimento o sul ritardo delle obbligazioni pecuniarie e cioè su un aspetto funzionale del vincolo obbligatorio, ma solo sulla innaturale fecondità del denaro e cioè sul piano strettamente genetico della nascita o del rinnovo del vincolo obbligatorio»32. Tale conclusione trova, da ultimo, conferma nella novella legislativa del 2014, con cui il legislatore ha introdotto un nuovo quarto comma all’art. 1284 c.c.33. In tale occasione, infatti, il legislatore – con disposizione applicabile a qualsiasi obbligazione pecuniaria – ha previsto che se «le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali». È stato, dunque, introdotto un tasso di mora legale, il quale peraltro per molte categorie di operazioni risulta superiore al tasso soglia applicabile. Da tale circostanza si è tratta, quindi, la conferma che gli interessi di mora sarebbero irrilevanti ai fini della normativa sull’usura perché, a ritenere diversamente, si dovrebbe giungere alla «conclusione paradossale e per evidenti ragioni non condivisibile, per cui il tasso di interesse moratorio previsto dallo stesso legislatore risul-
Cfr. Trib. Lecce (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 3 marzo 2016, cit. Cfr. Carbone, Usura civile: individuato il «tasso soglia», in Corr. giur., 1997, p. 505, spec. p. 508 e Volpe, Usura e interessi moratori, cit., p. 500. In senso analogo, cfr. anche a Morera, Interessi pattuiti, cit., p. 519 e Robustella, Sull’applicabilità del limite, cit., p. 1015, secondo cui «l’intenzione del legislatore della riforma del ’96 [è] stata quella di creare un collegamento tra la valutazione di usurarietà e gli interessi che si qualificano come corrispettivi, in quanto espressione della prestazione sinallagmatica della dazione di una somma di denaro da parte del mutuane e del suo passaggio in proprietà al mutuatario». Cfr. anche GIP Lecce (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 23 settembre 2015, cit., secondo cui «giammai gli interessi moratori possono essere ricompresi nel computo, poiché la ratio della disciplina in tema di usura è quella di sanzionare i soli interessi che costituiscono il corrispettivo di una prestazione di denaro … laddove invece gli interessi moratori trovano il loro titolo nel ritardato pagamento … si tratta, dunque, di entità giuridicamente ed economicamente diverse e disomogenee, costituendo gli interessi corrispettivi la misura di remunerazione del capitale concesso in credito, e gli interessi moratori la misura del risarcimento del danno che l’istituto di credito patisce in caso di inadempimento». 33 Con l’art. 17 del d. l. 12 settembre 2014, n. 132, conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162. 31 32
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terebbe usurario per una molteplicità di contratti, con l’effetto di qualificare come illegittimo un tasso di interesse imposto dal legislatore»34. Quanto infine alla preoccupazione di facili aggiramenti della norma, si osserva che – in aggiunta ai generali rimedi contro eventuali penali di importo eccessivo (riduzione ex art. 1384 c.c. e, nel caso di contratti con consumatori, nullità ex artt. 33, co. 2, lett. f), e 36 cod. cons.) – qualora la clausola con la quale sono pattuiti gli interessi di mora fosse introdotta nel contratto a soli fini elusivi della normativa sull’usura, sarebbe sempre disponibile sul piano civilistico il rimedio previsto dall’art. 1344 c.c., con conseguente nullità sia della clausola che prevede il tasso di interesse sia di quella che stabilisce un termine ravvicinato di adempimento35. Del resto, sarebbe al contrario la tesi della rilevanza degli interessi moratori a condurre a conseguenze paradossali perché, per un verso, si finirebbe per considerare «usuraria» una condotta in funzione del comportamento tenuto dal debitore nel corso dell’esecuzione del contratto e, dunque, in funzione di un fatto fuori del controllo del soggetto (il creditore adempiente) cui si vorrebbe ascrivere la condotta asseritamente usuraria; per altro verso, considerate le gravi conseguenze che discenderebbero dall’applicazione dell’art. 1815, co. 2, c.c. agli interessi moratori, si avrebbe un effetto, per certi versi, incentivante e premiante per il debitore inadempiente: si rischierebbe così di legittimare comportamenti irresponsabili, configurando una sorta di clausola di esonero da responsabilità ex lege36. 2.b. (segue) la soggezione degli interessi di mora all’usura c.d. presunta. Ad ogni modo, anche tra coloro che ritengono gli interessi di mora rilevanti ai fini della normativa antiusura non vi è accordo sulla possibilità di applicare a tali interessi la c.d. usura presunta, cioè la fattispecie fondata sul superamento del tasso soglia individuato ex lege.
34 Trib. Vibo Valentia, 22 luglio 2015, cit. Nello stesso senso, cfr. anche Trib. Pescara (ord. di archiviazione ex art. 409 c.p.p.), 23 marzo 2017, cit.; Trib. Varese, 29 novembre 2016, cit.; e Trib. Cremona, 9 gennaio 2015, cit. In dottrina, cfr., per tutti, Robustella, Sull’applicabilità del limite, cit., pp. 1026 e s. Per una critica a tale argomento, cfr. tuttavia Pagliantini, Spigolature, cit., pp. 65 e s.; G. D’Amico, Interessi usurari, cit., pp. 295 e s.; e Rizzo, Gli interessi moratori usurari, cit., pp. 385 e s. 35 Cfr., per tutti, Realmonte, Stato di bisogno, cit., pp. 778 e ss. e Tavormina, Banche e tassi usurari, cit., pp. 90 e s. 36 Cfr., per tutti, Dolmetta, Le prime sentenze, cit., p. 632.
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I termini della questione sono noti. È pacifico che l’art. 644, co. 3, primo periodo, c.p. – secondo cui «[l] a legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari» – rappresenti una norma penale in bianco37, considerato che la concreta individuazione della condotta penalmente rilevante dipende dalla fonte normativa subordinata38. Il procedimento di individuazione del tasso soglia – esclusivo dell’usura presunta, come noto – è stabilito dall’art. 2, co. 1, della Legge Usura secondo cui, «[i]l ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari […] nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella gazzetta ufficiale». A sua volta, il comma 4 della medesima disposizione prevede che «[i] l limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella gazzetta ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali»39. Ai decreti ministeriali è, dunque, affidato il compito di integrare la norma penale, individuando il tasso oltre il quale gli interessi sono considerati sempre usurari; tasso che viene determinato al termine del
37 Cfr., tra gli altri, De Angelis, Usura, in Enc. giur., XXXII, Roma, 1997, p. 2; Manzione, Usura e mediazione creditizia. Aspetti sostanziali e processuali, Milano, 1998, pp. 45 e ss.; e Boido, Usura e diritto penale. La ‘meritevolezza’ della pena nell’attuale momento storico, Padova, 2010, pp. 241 e ss.. 38 Rispetto all’eccezione di incostituzionalità del combinato disposto dell’art. 644, co. 3, c.p. e dell’art. 2 Legge Usura per contrasto con l’art. 25 Cost. (che stabilisce il principio della riserva di legge in materia penale), si è pronunciata la Corte di Cassazione, che ha dichiarato manifestamente infondata l’eccezione in quanto la Legge Usura indica analiticamente il procedimento per la determinazione dei tassi soglia, affidando al MEF il limitato ruolo di «fotografare» l’andamento dei tassi finanziari secondo rigorosi criteri tecnici (Cass. pen., 18 marzo 2003, n. 20148, in Giust. pen., 2004, II, 549). 39 Come modificato dall’art. 8, co. 5, lett. d), del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
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procedimento di rilevazione stabilito dalla legge, nel corso del quale è previsto il coinvolgimento della Banca d’Italia (la quale a tal fine ha dettato apposite Istruzioni per le banche e gli altri operatori finanziari): è, dunque, il tasso soglia – rilevato secondo il procedimento previsto dalla legge e pubblicato dai decreti ministeriali per ciascun trimestre di riferimento – a segnare la linea di demarcazione tra le stipulazioni lecite e quelle usurarie40. Ebbene, il fatto è che sin dall’entrata in vigore della Legge Usura gli interessi di mora non sono mai stati oggetto di rilevazione trimestrale e, anzi, sono sempre stati espressamente esclusi dalle Istruzioni della Banca d’Italia41. Di conseguenza, i decreti ministeriali specificano che «i tassi effettivi globali medi di cui all’art. 1, comma 1, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento»42. A fronte di questi elementi, la dottrina e la giurisprudenza si dividono tra chi ritiene il richiamato dato normativo ostativo all’applicazione dell’usura presunta agli interessi di mora per mancanza di un termine di raffronto e chi, al contrario, lo ritiene irrilevante.
40 Cfr., per tutti, Boido, Usura e diritto penale, cit., pp. 241 e ss. e Tavormina, Banche e tassi usurari, cit., p. 94. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha del resto avuto più volte occasione di affermare che, nel caso in cui la procedura di rilevazione e pubblicazione trimestrale dei tassi globali medi praticati nel mercato non venisse portata a termine «il reato non sarebbe punibile per la mancanza di un elemento essenziale, integrativo della condotta» (Cass. pen., 19 febbraio 2010, n. 12028, cit.). Cfr. anche Cass., 22 giugno 2016, n. 12965, cit., secondo cui la c.d. usura presunta è «radicalmente inapplicabile» in caso di «difetto dei tassi soglia rilevati dall’amministrazione». 41 Cfr., il paragrafo C.4 delle Istruzioni della Banca d’Italia (nella versione del luglio 2016, in vigore dal quarto trimestre 2016, ma analoga previsione era contenuta anche nelle versioni precedenti), secondo cui sono «esclusi» dalla rilevazione «gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo». Una rilevazione degli interessi di mora non è stata ancora mai effettuata. Nel 2009, la Banca d’Italia affermava che «[è] allo studio una rilevazione degli interessi di mora, separata dal TEG, che potrà fornire utili informazioni per le valutazioni sulla usurarietà dei tassi, anche nei casi di morosità del debitore» (cfr. Resoconto della consultazione sulla disciplina in materia di usura – 2009, p. 15, disponibile su www.bancaditalia.it). Ancora nel luglio 2016, la Banca d’Italia tuttavia informava che «[è] stata di recente condotta un’indagine pilota sugli interessi di mora i cui risultati sono al momento oggetto di analisi; l’esito dell’indagine verrà successivamente reso noto» (Resoconto della consultazione sulla disciplina in materia di usura – 29.7.2016, p. 4, in risposta alla richiesta «[è] stato chiesto di prevedere una rilevazione autonoma e separata del tasso di mora», disponibile su www.bancaditalia.it). 42 Cfr. art. 3, co.4 di tutti i decreti trimestrali succedutisi dal 2003 a oggi.
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In estrema sintesi, i sostenitori dell’irrilevanza affermano che: (i) l’art. 644, co. 4, c.p. – nell’individuare gli elementi da considerare al fine di calcolare il tasso applicato in concreto da comparare con il tasso soglia – adotta un criterio onnicomprensivo, volto a includere tutte le voci collegate alla erogazione del credito (tra cui, dunque, gli interessi di mora). Le Istruzioni della Banca d’Italia rappresentano un mero atto amministrativo, come tale non vincolante per l’interprete (e, in particolare, il giudice), il quale deve fare riferimento e applicare soltanto la legge (cioè il richiamato art. 644 c.p.)43; (ii) nel sistema dell’usura non esiste un principio di simmetria od omogeneità dei dati da comparare: è ben possibile comparare il tasso applicato in concreto con il tasso soglia, anche se nel calcolare il primo si siano incluse voci non considerate nel determinare il secondo, perché detti calcoli hanno funzioni diverse (la prevenzione di fenomeni usurari il primo e la mera individuazione di un parametro di confronto il secondo)44. Anzi, l’esclusione degli interessi di mora è agevolmente spiegabile ove si consideri che l’inclusione di tali oneri comporterebbe un innalzamento del tasso soglia, con la conseguenza che sarebbe più difficile per il cliente invocare l’usurarietà degli interessi applicati45; (iii) né la legge consente di differenziare il tasso soglia a seconda della «fase» del rapporto, ma soltanto per categorie di operazioni. L’operatore deve dunque fare affidamento esclusivo sul tasso soglia pubblicato trimestralmente, a prescindere dal modo in cui esso sia stato calcolato. Tale conclusione, del resto, non inciderebbe sulla remunerazione delle banche e degli intermediari bancari perché il tasso soglia è fissato in misura notevolmente superiore al tasso medio rilevato nel mercato: tale spread servirebbe infatti a tener conto delle peculiarità del singolo rapporto, tra cui la possibilità di un inadempimento e della conseguente applicazione degli interessi di mora46.
Cfr. per tutte, Cass. pen., 19 febbraio 2010, n. 12028, cit. Il tasso medio (volto a «fotografare», come detto, l’andamento del mercato) dovrebbe dunque tenere conto soltanto delle voci relative all’andamento fisiologico della generalità dei rapporti mentre il calcolo del tasso applicato in concreto dovrebbe tenere altresì conto degli oneri collegati a fasi eventuali del singolo rapporto. Cfr., per tutte, Trib. Torino, 31 ottobre 2014, in IlCaso.it. 45 Così D’Amico, Interessi usurari, cit., p. 292, che richiama la spiegazione fornita dalla Banca d’Italia nella nota Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura del 3 luglio 2013, disponibile su www.bancaditalia.it. 46 Cfr. Marcelli, L’usura della legge, cit. e Id., Usura bancaria ad un ventennio dalla 43 44
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Contro tale ricostruzione si afferma al contrario – con argomenti, a nostro avviso, del tutto condivisibili – che il sistema della normativa antiusura non può che fondarsi su un principio di omogeneità o simmetria: deve, cioè, esserci corrispondenza tra i criteri adoperati per calcolare il TEGM (e, dunque, il tasso soglia) e quelli usati per calcolare il tasso in concreto applicato. A prescindere dal valore che si intenda assegnare alle Istruzioni della Banca d’Italia e ai decreti ministeriali47, detto principio discende non soltanto dalla legge – che all’art. 644, co. 4, c.p. e all’art. 2, co. 1, della Legge Usura disciplina la determinazione tanto del tasso applicato in concreto quanto del tasso soglia prendendo in considerazione gli stessi elementi48 – ma anche dalla stessa logica della normativa antiusura. Se (come in effetti è) l’usura presunta si fonda sul confronto tra due dati – il tasso soglia e il tasso applicato in concreto – questi non possono che essere calcolati utilizzando i medesimi criteri perché un confronto tra dati disomogenei (ancor prima di essere giuridicamente illegittimo, considerati il richiamato tenore e la natura penale e sanzionatoria delle disposizioni rilevanti) avrebbe logicamente poco senso49. Ciò senza
Legge: un impietoso bilancio, in Banca, borsa, tit. cred., Suppl. n. 4/2017. 47 Cfr. l’art. art. 3, co. 2, dei decreti ministeriali che impone alle banche e agli intermediari finanziari di attenersi «ai criteri di calcolo delle «istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura» emanate dalla Banca d’Italia» al «fine di verificare il rispetto» del tasso soglia. Le Istruzioni della Banca d’Italia sono richiamate anche dai sostenitori dell’esclusione tout court degli interessi di mora dall’ambito di applicazione della normativa antiusura. Cfr. il precedente paragrafo 2.a. per i riferimenti bibliografici. 48 Cfr. le analoghe formulazioni delle richiamate disposizioni. Ulteriore conferma al riguardo (cioè nel senso che esista un principio di simmetria per cui una voce non possa e non debba essere presa in considerazione al fine della verifica del rispetto del tasso soglia fintantoché non sia stata oggetto di rilevazione) si ricava dal più volte richiamato art. 2-bis d.l. n. 185/2008 e, in particolare, dalla circostanza che – nell’intervenire per stabilire la rilevanza della CMS ai fini della normativa in materia di usura – il legislatore abbia previsto una disciplina transitoria secondo cui la verifica del rispetto del tasso soglia resta regolata «dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto [cioè senza tenere conto di tale commissione] fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni». Sul punto, cfr. per tutti Salanitro, Usura e interessi moratori: ratio legis e disapplicazione del tasso soglia, in D’Amico, a cura di, Gli interessi usurari, cit., p. 79 e in Banca, borsa, tit. cred., 2016, I, p. 740 (da cui i riferimenti), spec. pp. 754 e s. 49 Particolarmente chiaro sul punto è Colombo, Riflessioni sulla c.d. usura bancaria, tra Shakespeare e le Istruzioni della Banca d’Italia, in Corr. giur., 2014, 1461, il cui ragionamento è fatto proprio – quasi verbatim – da Cass., 22 giugno 2016, n. 12965, cit. e
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contare, poi, che – in assenza di criteri di calcolo omogenei e univoci – verrebbe meno qualsiasi certezza per gli operatori. Invero, posto che – come è intuitivo – l’utilizzo di formule diverse (così come l’inclusione di voci di costo differenti) non può che dar luogo a risultati anch’essi diversi, ove nel calcolare il tasso in concreto applicato fosse consentito a ciascun CTU di utilizzare la formula e includere le voci di costo che egli ritenga maggiormente aderenti allo «spirito» dell’art. 644 c.p., gli operatori sarebbero esposti al rischio di risultati sempre diversi a seconda dell’impostazione volta per volta adottata dal CTU: con buona pace dei principi di certezza del diritto e – considerata la natura (prima di tutto) penale delle disposizioni in questione – tassatività50. Né si ritiene dirimente l’argomento che vorrebbe gli eventuali interessi di mora ricompresi nello spread tra TEGM e tasso soglia. Infatti, come acutamente rilevato in dottrina, una simile impostazione rischierebbe di marginalizzare ed escludere dal canale del finanziamento bancario (così rischiando di spingerli verso la vera e propria usura criminale) i soggetti a maggiore rischio di insolvenza, cioè proprio i soggetti finanziariamente più deboli e maggiormente bisognosi di tutela. Lungi dal dover assorbire i costi eventuali, la funzione dello spread è invece quella di «mantenere nell’ambito della liceità anche quei tassi di interesse più elevati che corrispondono, secondo le logiche di mercato, al più alto rischio assunto dagli operatori creditizi»51: ove ciò non sia consentito (o – il che è lo stesso –
Cass. 3.11.2016, n. 22270, cit., secondo cui «[p]oiché, infatti, ai fini della configurabilità della fattispecie dell’usura c.d. oggettiva, occorre verificare il superamento del tasso soglia, determinato mediante l’applicazione della maggiorazione prevista dall’art. 2, comma quarto, della legge n. 108 del 1996 al tasso effettivo globale medio trimestralmente fissato con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze in base alle rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia conformemente alle citate istruzioni, è necessario che il tasso effettivo globale applicabile al rapporto controverso, da porre a confronto con il tasso soglia, sia calcolato mediante la medesima metodologia». Nello stesso senso, cfr., ex multis, App. Milano, 9 marzo 2017, in www.expartecreditoris.it. 50 Sul punto, segnalando, infatti, la «Babele applicativa» cui darebbe (e, in effetti, ha dato e continua a dare) luogo la «‘ribellione’ dell’interprete ai criteri tecnici (direttamente o indirettamente) integrativi del precetto», cfr. Rampioni, La fattispecie di usura ‘presunta’ nel crogiuolo della prassi applicativa. Il ‘nodo’ della commissione di massimo scoperto mette a nudo il non sense della delega politica ad organi tecnici, in Cass. pen., 2012, p. 361, spec. p. 385. 51 Così Salanitro, Usura e interessi moratori, cit., pp. 754 e s., secondo cui l’opposta tesi omette di considerare che «il TEGM deriva dalla media di una pluralità di tassi diversi corrispondenti ai gradi di rischio del finanziamento concesso, per cui è pienamente conforme con la logica del mercato […] che il tasso di interesse per la fase fisiologica del
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non sia consentito sanzionare l’inadempimento con un tasso di mora più elevato del tasso degli interessi corrispettivi), è evidente che gli operatori preferiranno astenersi dal prestare credito ai soggetti a maggiore rischio di insolvenza. Non vi è chi non veda come una tale conclusione sia – a prima vista – del tutto contraria alla finalità di repressione e contrasto dei (rischiando anzi di incentivare e favorire i) fenomeni (davvero) usurari. Pertanto – assumendo a fini argomentativi che essi rilevino ai fini della normativa antiusura (cfr. il precedente paragrafo 2.a.) e a prescindere dal valore che si intenda attribuire alle Istruzioni della Banca d’Italia52 – agli interessi di mora non potrà comunque applicarsi l’usura presunta (ma, al più, soltanto la c.d. usura in concreto di cui all’art. 644, co. 3, secondo periodo, c.p.)53, almeno fintantoché essi non saranno oggetto di rilevazione54.
rapporto possa essere significativamente più alto rispetto al tasso medio, attestandosi, per le operazioni più rischiose, anche al limite del tasso soglia». Pare invero superfluo ricordare che uno dei fattori (rectius, il principale fattore) che concorrono alla determinazione del tasso di interesse (corrispettivo) applicato a ciascun debitore è costituito dallo specifico rischio di credito che quest’ultimo presenta e che, dunque, tanto maggiore è tale rischio, tanto più elevato sarà il tasso degli interessi corrispettivi applicato dal creditore per compensarlo. Sul punto, cfr., per tutti, Simonetto, Interessi (diritto civile), in Enc. giur., XVII, Roma, 1989, 3. 52 La conclusione è infatti raggiunta tanto da coloro che ritengono le Istruzioni della Banca d’Italia legittime e vincolanti per l’interprete (cfr., ad esempio, Trib. Milano, 30 gennaio 2013 (inedito), secondo cui «si condivide pienamente l’operato del c.t.u., che si è attenuto alle Istruzioni dettate dalla Banca d’Italia, vigenti all’epoca. Sotto il profilo normativo, infatti, sono gli stessi decreti ministeriali di rilevazione dei tassi trimestrali che impongono agli intermediari di attenersi alle istruzioni dettate dalla Banca d’Italia per verificare il superamento o meno del tasso soglia, di modo che dette istruzioni vengono ad assumere la natura di regolamento autorizzato») quanto da coloro che ritengono le Istruzioni della Banca d’Italia illegittime per avere escluso gli interessi di mora dalla rilevazione, con conseguente loro disapplicazione (cfr. Rizzo, Gli interessi moratori usurari, cit., p. 369). Per l’autorevole constatazione che «disapplicate le fonti normative secondarie, la norma penale che sanziona l’usura-presunta non può che restare inoperante per la mancata integrazione del fondamentale requisito costitutivo tipico essenziale: la soglia di usurarietà», cfr. Rampioni, La fattispecie di usura ‘presunta’, cit., p. 385. 53 Cfr., ex multis, E. Quadri, Usura (dir. civ.), cit., 3; Finessi, sub art. 5, in De Cristofaro, a cura di, La disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (d. leg. 9 ottobre 2002 n. 231), in Nuove leggi civ. comm., 2004, p. 549, spec. p. 557; Pandolfini, L’usura sopravvenuta, cit.; Salanitro, Usura e interessi moratori, cit., p. 758; e Magri, I delitti contro il patrimonio mediante frode. Usura, appropriazione indebita, ricettazione, riciclaggio, in Trattato di diritto penale, diretto da Marinucci e Dolcini, Padova, 2007, p. 30 54 Cfr. Trib. Milano, 29 gennaio 2015, in www.expartecreditoris.it, secondo cui «sino
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2.c. (segue) il tasso soglia applicabile agli interessi di mora. Infine, tra coloro che ritengono applicabile l’usura presunta agli interessi di mora non vi è accordo neppure con riferimento al tasso soglia cui detti interessi andrebbero raffrontati. Anche in questo caso, i termini della questione sono noti, trattandosi in sostanza di valutare se si possa (o, addirittura, debba) valorizzare il riferimento – contenuto in tutti i decreti ministeriali succedutisi dal 2003 in poi – a un’indagine statistica condotta dalla Banca d’Italia (all’epoca, insieme all’Ufficio Italiano Cambi) nel lontano 2002 con riferimento alle condizioni applicate in situazioni di mora55. Come noto, da tale indagine statistica risultò che «la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali»56. Ebbene, parte della giurisprudenza – anche sulla base delle indicazioni contenute nella nota di Chiarimenti della Banca d’Italia del luglio
a quando non verrà commissionata dal Ministero delle Finanze una rilevazione di un TEGM specifico per gli interessi di mora, per questi ultimi non risulti possibile procedere a una quantificazione in termini ‘oggettivi’ dell’interesse usurario». In senso analogo, Trib. Brescia, 24 novembre 2014, cit. e in dottrina, per tutti, Tavormina, Banche e tassi usurari, cit., p. 94. 55 Cfr. art. 3, co. 4, dei decreti ministeriali (la «indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali»). La Nota metodologica allegata ai decreti specifica che «[l]a Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi hanno proceduto a una rilevazione statistica riguardante la misura media degli interessi di mora stabiliti contrattualmente. Alla rilevazione è stato interessato un campione di banche e di società finanziarie individuato sulla base della distribuzione territoriale e della ripartizione tra le categorie istituzionali. In relazione ai contratti accesi nel terzo trimestre del 2001 sono state verificate le condizioni previste contrattualmente; per le aperture di credito in conto corrente sono state rilevate le condizioni previste nei casi di revoca del fido per tutte le operazioni in essere. In relazione al complesso delle operazioni, il valore della maggiorazione percentuale media è stato posto a confronto con il tasso medio rilevato». 56 Per completezza si segnala che, a partire dal d.m. 21 dicembre 2017, i decreti ministeriali contengono i risultati di una nuova rilevazione statistica (art. 3, co. 5: «[s] econdo l’ultima rilevazione statistica condotta dalla Banca d’Italia d’intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, i tassi di mora pattuiti presentano, rispetto ai tassi percentuali corrispettivi, una maggiorazione media pari a 1,9 punti percentuali per i mutui ipotecari di durata ultraquinquennale, a 4,1 punti percentuali per le operazioni di leasing e a 3,1 punti percentuali per il complesso degli altri prestiti»).
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2013 – ha ritenuto di (i) poter applicare l’usura presunta anche agli interessi di mora, tuttavia (ii) dover a tal fine raffrontare il tasso in concreto applicato con un tasso soglia, per così dire, maggiorato tenendo conto del menzionato 2,1%: gli interessi di mora, cioè, andrebbero confrontati con il tasso soglia ottenuto partendo dal TEGM per la relativa categoria di operazioni, aumentato di 2,1% (ciò che consentirebbe di comparare dati omogenei)57. Contro tale impostazione si è obiettato – tanto da chi ritiene l’usura presunta applicabile agli interessi di mora quanto dai sostenitori dell’opposta tesi – non soltanto (e non tanto) che la legge autorizza il MEF a distinguere il tasso soglia per operazioni creditizie e non per singole voci di costo, ma anche e soprattutto che il citato 2,1% non proviene da una rilevazione effettuata secondo quanto previsto dalla Legge Usura. Tale dato, infatti, è il risultato di una mera «indagine statistica» risalente a più di 15 anni fa e non aggiornata trimestralmente, effettuata a «fini conoscitivi» e a campione (in base a non meglio precisati criteri e non secondo il tassativo procedimento previsto ex lege), senza neanche distinguere tra «le varie categorie di operazioni di credito», come invece richiesto dalla legge58.
3. Spunti forniti dalle Sezioni Unite. A parere di chi scrive, i principi espressi nella pronuncia delle Sezioni Unite hanno un sicuro impatto sul dibattito in corso, offrendo una soluzione alla querelle relativa al secondo dei temi appena illustrati (applicabilità dell’usura presunta agli interessi moratori) e, per un certo verso, al terzo (tasso soglia eventualmente applicabile)59.
Cfr. la nota Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura della Banca d’Italia, cit. e, in giurisprudenza, tra gli altri, Trib. Monza, 15 dicembre 2015, in dejure.it; Trib. Milano, 3 dicembre 2014, in IlCaso.it; e Trib. Padova, 23 settembre 2014, in www.dirittobancario.it. 58 Cfr., ex multis, G. D’Amico, Interessi usurari, cit., pp. 293 e ss.; Rizzo, Gli interessi moratori usurari, cit., p. 372; Robustella, Sull’applicabilità del limite, cit., pp. 1018 e ss., spec. nt. 31; Tavormina, Banche e tassi usurari, cit., p. 94; Mucciarone, Usura sopravvenuta, cit., p. 443; e, sembrerebbe, Salanitro, Usura e interessi moratori, cit. p. 756. In giurisprudenza, cfr., per tutte, Trib. Torino, 27 aprile 2016, in IlCaso.it; e Trib. Udine, 26 settembre 2014, in Danno e resp., 2015, 522. 59 La sentenza pare invece neutra con riferimento alla questione relativa alla rilevanza tout court degli interessi di mora ai fini della normativa antiusura. Invero, nell’affermare la 57
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Le Sezioni Unite hanno, infatti, confermato che: (i) il sistema dell’usura presunta si fonda sul principio di omogeneità nel calcolo del tasso concreto da comparare (TEG applicato al singolo contratto) e del parametro astratto (appunto, il tasso soglia)60; (ii) a prescindere dal valore da attribuire alla normativa secondaria (e, poi, in particolare alle Istruzioni della Banca d’Italia), nel caso in cui i decreti ministeriali abbiano escluso (in ipotesi, erroneamente) un onere dalla rilevazione del tasso soglia, il giudice non potrà raffrontare il tasso in concreto applicato (calcolato tenendo conto dell’onere escluso) con il tasso soglia (calcolato, invece, escludendo tale onere), ma dovrà disapplicare i decreti ministeriali eventualmente illegittimi, con la conseguente impossibilità di configurare l’usura presunta61.
rilevanza della CMS ai fini della normativa sull’usura, le Sezioni Unite sembrano fare leva sulla «sua dichiarata natura corrispettiva rispetto alla prestazione della banca» (del resto, che la CMS – pur nella varietà di forme e modi in cui era applicata – abbia una funzione remunerativa di una prestazione della banca è osservazione assai diffusa sia in dottrina sia in giurisprudenza, seppure poi ne sia discusso il fondamento causale; per tutti, cfr., in dottrina, Agnino, Usura e commissione di massimo scoperto, in Corr. merito, 2008, p. 351; M. Cian, Il costo del credito, cit.; e Farina, La determinazione giudiziale del credito «bancario» in conto corrente, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, p. 340; in giurisprudenza, cfr. App. Lecce, 27 giugno 2000, in Contr., 2001, 374 con nota di Dolmetta e Mucciarone, Sulla «commissione di massimo scoperto»). Tuttavia, per quanto il riferimento possa richiamare alla memoria la tesi – che si è detto preferirsi – dell’irrilevanza degli interessi di mora ai fini della normativa antiusura perché non costituenti il «corrispettivo» di una prestazione, l’indicazione appare troppo debole per poter leggere in essa un’adesione delle Sezioni Unite alla tesi secondo cui soltanto le voci di costo con funzione di «corrispettivo» rilevano ai fini della normativa antiusura. 60 Affermando non soltanto che questa «esigenza di omogeneità, o simmetria, è indubbiamente avvertita dalla legge» che «disciplina la determinazione del tasso in concreto e del TEGM prendendo in considerazione i medesimi elementi», ma anche che un’eventuale comparazione tra dati disomogenei (nel caso di specie, il tasso applicato in concreto calcolato tenendo conto della CMS con il tasso soglia che tale CMS non includesse) sarebbe una «asimmetria» che «contrasterebbe palesemente con il sistema dell’usura presunta come delineato dalla legge n. 108 del 1996, la quale definisce alla stessa maniera» sia «gli elementi da considerare per la determinazione del tasso in concreto applicato» sia «gli elementi da prendere in considerazione nella rilevazione trimestrale, con appositi decreti ministeriali, del TEGM, e conseguentemente, per la determinazione del tasso soglia con cui va raffrontato il tasso applicato in concreto; con ciò indicando con chiarezza che gli elementi rilevanti sia agli uni che agli altri effetti sono gli stessi». 61 Infatti, «la mancata inclusione delle commissioni di massimo scoperto nei decreti ministeriali, in altri termini, non sarebbe idonea ad escludere che la legge imponga di tenere conto delle stesse nel calcolo del tasso praticato in concreto come del TEGM e, quindi, del tasso soglia con il quale confrontare il primo; essa imporrebbe, semmai, al giudice ordinario di prendere atto della illegittimità dei decreti e disapplicarli (con
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Ciò che, appunto, è il caso degli interessi di mora. Come detto, infatti, tali interessi non sono mai stati oggetto di rilevazione secondo il procedimento previsto dalla legge; al contrario, tanto le Istruzioni della Banca d’Italia quanto i decreti trimestrali del MEF escludono – da sempre – «gli interessi di mora» e «gli oneri assimilabili» dal calcolo del TEGM62. Ne discende che – quand’anche si ritenesse che gli interessi di mora rilevino ai fini dell’usura e che, quindi, i decreti ministeriali e le Istruzioni della Banca d’Italia abbiano sbagliato a escluderli dal calcolo del TEG – gli interessi di mora non potrebbero comunque essere comparati con il tasso soglia pubblicato trimestralmente, che è relativo ai soli interessi corrispettivi: il giudice dovrebbe, invece, disapplicare i decreti ministeriali in ipotesi illegittimi, con conseguente impossibilità di applicare l’usura presunta agli interessi di mora63. Peraltro, in senso contrario, non pare neppure possibile invocare l’operazione di «ortopedia» del tasso soglia con cui le Sezioni Unite hanno, per così dire, salvato la legittimità dei decreti ministeriali con riferimento alle CMS64. Invero, mentre la CMS65 – seppure esclusa dai tassi effettivi globali medi pubblicati trimestralmente – era comunque sempre stata oggetto di autonoma rilevazione e pubblicazione nei decreti trimestrali secondo il procedimento previsto dalla legge66 (per cui le Sezioni Unite hanno
conseguenti problemi quanto alla stessa configurabilità dell’usura presunta, basata sulla determinazione del tasso soglia sulla scorta delle rilevazioni dei tassi medi mediante un atto amministrativo di carattere generale)». 62 Cfr. da ultimo il d.m. del 27 settembre 2018. 63 Cfr. anche la citata Cass., 22 giugno 2016, n. 12965 secondo cui «quand’anche le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia dovessero considerarsi inficiate da un profilo di illegittimità (per contrarietà alle norme primarie regolanti la materia, secondo le argomentazioni della giurisprudenza penalistica citata), questo non potrebbe in alcun modo tradursi nella possibilità, per l’interprete, di prescindervi, ove sia in gioco – in una unitaria dimensione afflittiva della libertà contrattuale ed economica – l’applicazione delle sanzioni penali e civili, derivanti dalla fattispecie della cd. usura presunta, dovendosi allora ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura per difetto dei tassi soglia rilevati dall’amministrazione». 64 Per uno spunto nel senso del testo, cfr. Marcelli, Le Sezioni Unite, cit., p. 11. 65 Oltre a costituire a differenza degli interessi moratori un «corrispettivo» della prestazione della banca. 66 Sin dal primo decreto (d.m. 22 marzo 1997) e fino alla novella dell’art. 2-bis d. l. n. 185/2008, l’art. 1, co. 1, di ogni decreto ministeriale trimestrale con cui sono pubblicati i TEGM rilevati affermava che «[i] tassi non sono comprensivi della commissione di
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potuto affermare che i decreti ministeriali non fossero illegittimi perché essi «danno in realtà atto, sia pure a parte» dell’«ammontare medio delle CMS, espresso in termini percentuali»), altrettanto non può dirsi degli interessi di mora. Come detto, infatti, la maggiorazione del 2,1%, menzionata nei decreti ministeriali fin dal 2002 con riguardo agli oneri applicati in casi di inadempimento, è il risultato di una semplice «indagine statistica» non aggiornata trimestralmente, effettuata illo tempore a meri «fini conoscitivi» e, in ogni caso, non secondo il tassativo procedimento previsto ex lege, senza neppure distinguere tra le varie categorie di operazioni di credito67. Si tratta, dunque, di un dato che non può considerarsi (né, in effetti, intende in alcun modo porsi come68) attuazione della norma penale in bianco contenuta nell’art. 644, co. 3, primo periodo, c.p. Con riferimento a tale indicazione, non pare quindi potersi affermare – come le Sezioni Unite hanno fatto con riferimento alla CMS – che essa assolva la «funzione» dei decreti di «rilevazione dei dati necessari ai fini della determinazione del tasso soglia, in vista della comparazione, con questo, delle condizioni praticate in concreto dagli operatori», rendendo «possibile la comparazione di precise quantità ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, secondo la ratio ispiratrice dell’istituto».
massimo scoperto eventualmente applicata. La percentuale media della commissione di massimo scoperto rilevata nel trimestre di riferimento è riportata separatamente in nota alla tabella»; mentre nella tabella stessa (in particolare, nella Nota metodologica), oltre all’indicazione di tale percentuale media, si specifica che la «commissione di massimo scoperto è stata oggetto di autonoma rilevazione e pubblicazione». Del resto, le stesse Istruzioni della Banca d’Italia prevedevano – anche prima della novella del 2008 – disposizioni puntuali per il calcolo e rilevazione separata della CMS (cfr. il par. C5 delle Istruzioni nella versione del febbraio 2006 disponibile su www.bancaditalia.it). 67 Tali considerazioni, formulate con riferimento all’indicazione contenuta nei decreti pubblicati a partire dal 2003, valgono – a parere di chi scrive – anche per le percentuali indicate a partire dal citato d.m. 21 dicembre 2017. Infatti, anche queste percentuali continuano a rappresentare il risultato di una mera indagine statistica, compiuta a fini conoscitivi, a campione, secondo non meglio precisati criteri e non aggiornata nei trimestri successivi. Inoltre, per quanto si distinguano tre diverse categorie, l’indagine continua a non distinguere tra tutte le varie categorie di operazioni creditizie individuate secondo quanto previsto dalla Legge Usura. 68 Infatti, tutti i decreti ministeriali chiariscono che (i) il dato è fornito a meri «fini conoscitivi» e (ii) i tassi rilevati secondo il procedimento previsto ex lege sono quelli (ma soltanto quelli) indicati nella tabella allegata (che, appunto, non comprende gli interessi di mora).
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4. Conclusioni. In conclusione, oltre a mettere un punto finale alla questione della rilevanza della CMS ai fini del superamento del tasso soglia, l’intervento delle Sezioni Unite pare a nostro avviso in grado di risolvere anche l’annoso tema dell’applicazione dell’usura presunta agli interessi moratori. Alla luce dei principi affermati dalla Suprema Corte, infatti, l’interprete ci pare in sostanza trovarsi dinanzi a un’alternativa secca. Invero, delle due l’una: - o gli interessi di mora sono irrilevanti tout court ai fini della normativa antiusura in quanto non costituiscono il «corrispettivo di una prestazione di denaro» e, dunque, i decreti ministeriali (e, prima ancora, la Banca d’Italia nelle Istruzioni) li hanno correttamente esclusi dalla rilevazione del TEGM e dal tasso soglia; - oppure la norma penale in bianco di cui all’art. 644, co. 3, c.p. non è stata correttamente attuata con riguardo agli oneri di mora, nel qual caso – ferma restando l’impossibilità per il giudice di fare ricorso al tasso soglia previsto per gli interessi corrispettivi, pena la violazione del principio di omogeneità e simmetria – le Istruzioni della Banca d’Italia e i decreti trimestrali del MEF andranno disapplicati, con la conseguenza che (almeno per il passato e fintantoché gli interessi moratori non saranno oggetto di rilevazione69) l’usura presunta non potrà applicarsi agli interessi di mora per la mancata attuazione della norma penale in bianco. Ciò che pare certo, in ogni caso, è che – contrariamente al tralatizio orientamento delle sezioni civili della Cassazione – agli interessi di mora non possa allo stato applicarsi l’usura presunta70.
69 In dottrina, è stato sostenuto che alla disapplicazione del decreto ministeriale dovrebbe seguire «la rilevazione da parte del consulente tecnico del giudice, di un TEGM che tenga conto del saggio degli interessi di mora, quale nuova base di calcolo del tasso soglia da applicare al singolo rapporto oggetto della cognizione giudiziale» (Rizzo, Gli interessi moratori usurari, cit., p. 372 e s., spec. nt. 28; cfr. anche Dolmetta, A commento della Comunicazione Banca d’Italia 3.7.2013: usura e interessi moratori, in IlCaso.it, 8 luglio 2013, p. 6). Tuttavia, una simile operazione di ortopedia normativa – a parte le evidenti difficoltà pratiche – non appare comunque percorribile considerato che, ai sensi dell’art. 2, comma 4, della Legge Usura, il tasso soglia è (e non può che essere) quello «risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1’ della stessa disposizione prima dell’inizio del periodo di riferimento» (cfr. Tavormina, Banche e tassi usurari, cit., p. 94, enfasi aggiunta). 70 Nelle more della pubblicazione di questo lavoro, è stata pubblicata Cass., 30 ottobre 2018, n. 27442, in IlCaso.it, con nota di Marcelli, La mora e l’usura. La Cassazione
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L’auspicio, dunque, è che – in attesa di un intervento definitivamente chiarificatore da parte del legislatore – si inizi a consolidare un orientamento univoco in giurisprudenza su questa importante questione affinché gli operatori possano improntare i propri comportamenti in base a regole chiare e certe.
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reinterpreta le Sezioni Unite. La sentenza n. 27442 del 30 ottobre 2018, in cui la terza sezione civile della Cassazione ha ribadito l’applicabilità dell’usura presunta agli interessi di mora. Per quanto quest’ultima presa di posizione si lasci apprezzare rispetto ai precedenti della Cassazione per il lungo e articolato ragionamento, la terza sezione si concentra principalmente sugli argomenti relativi alla questione della rilevanza tout court degli interessi di mora ai fini della normativa antiusura (esposti al paragrafo 2.a.). La terza sezione ha invece dedicato poco più di una pagina agli altrettanto fondamentali argomenti relativi all’applicabilità dell’usura presunta agli interessi di mora (illustrati al paragrafo 2.b.), non considerando le Sezioni Unite e di fatto negando la sussistenza di un principio di omogeneità e simmetria. Tuttavia, l’apparente aperto contrasto con la recente e autorevole presa di posizione delle Sezioni Unite sul punto può forse spiegarsi con la circostanza che la camera di consiglio nel corso della quale è stata decisa la controversia oggetto di Cass., 30 ottobre 2018, n. 27442 si è tenuta in data 17 maggio 2018, cioè prima della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite in commento (avvenuta in data 20 giugno 2018). Non pare dunque che questa recente presa di posizione incida sulle conclusioni cui si è giunti in questo lavoro. Anzi, essa conferma vieppiù la convinzione che sia necessaria maggiore chiarezza sulla questione e, in particolare, l’auspicio che si consolidi un orientamento univoco in ossequio alla funzione nomofilattica delle Sezioni Unite. Per una critica convincente alla citata sentenza della terza sezione civile, cfr. Guizzi, La cassazione e l’usura… per fatto del debitore (“Aberrazioni” giurisprudenziali in tema di interessi di mora e usura), in Corr. giur., 2019, p. 153.
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Aiuti di Stato e interventi di sostegno del FITD Tribunale dell’Unione Europea, Terza Sezione ampliata, sentenza 19 marzo 2019; Pres. Nielsen, Rel. Pòltorak; Repubblica Italiana (Avv. Fiorentino, Gentili), Banca Popolare di Bari (Avv. Santa Maria, Crisostomo, Gambaro, Mazzocchi), Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Avv. Siragusa, Scassellati, Sforzolini, Faella) e Banca d’Italia (Avv. Perassi, Capolino, Marcucci, Todino) c. Commissione Europea Banche – Amministrazione straordinaria – Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi – Interventi facoltativi di sostegno – Aiuti di Stato incompatibili – Configurabilità – Esclusione (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, art. 107, § 3)
Gli interventi facoltativi di sostegno previsti dall’art. 29 dello Statuto del FITD a favore delle banche consorziate sottoposte ad amministrazione straordinaria non integrano aiuti di Stato incompatibili ai sensi dell’art. 107, § 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. (1) (Omissis) Procedimento amministrativo e decisione impugnata 27. L’8 agosto e il 10 ottobre 2014 la Commissione ha chiesto alle autorità italiane informazioni sull’intervento del FITD a favore di Tercas. Esse hanno risposto a tali richieste di informazioni il 16 settembre e il 14 novembre 2014. 28. Con lettera del 27 febbraio 2015 la Commissione ha informato la Repubblica italiana della propria decisione di avviare il procedimento di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE riguardo a tale misura.
29. Il 24 aprile 2015 la Commissione ha pubblicato la decisione di avvio nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e ha invitato le parti interessate a presentare le proprie osservazioni in merito all’intervento del FITD a favore di Tercas. Osservazioni in proposito sono state presentate alla Commissione dalla Repubblica italiana, dalla Banca d’Italia, dal FITD, da BPB e da Tercas (v. punti da 44 a 109 della decisione impugnata). 30. Il 13 agosto e il 17 settembre 2015 si sono svolte due riunioni con le autorità italiane e le parti interessate. 31. Il 23 dicembre 2015 la Commis-
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sione ha adottato la decisione impugnata. 32. Con tale decisione la Commissione ha constatato che le misure controverse autorizzate il 7 luglio 2014 (v. punto 21 supra) in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE costituivano aiuti incompatibili e illegittimi concessi dalla Repubblica italiana a Tercas e ha disposto che detti aiuti fossero recuperati. A tal riguardo, la Commissione ha considerato che la prima misura, destinata a coprire il deficit patrimoniale di Tercas, era un contributo a fondo perduto di EUR 265 milioni, che la seconda misura, una garanzia di EUR 35 milioni a copertura del rischio di credito associato a determinate esposizioni, doveva essere valutato pari a EUR 140 000 per tener conto, segnatamente, del fatto che tali esposizioni erano state integralmente rimborsate dai debitori alla scadenza e che pertanto la garanzia non era stata escussa, e che la terza misura, una garanzia di EUR 30 milioni a copertura dei costi derivanti dal trattamento fiscale della prima misura, era un contributo a fondo perduto pari all’importo della garanzia. Procedimento e conclusioni delle parti 33. Il 4 marzo 2016, con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale, la Repubblica italiana ha presentato ricorso nella causa T-98/16. 34. Il 29 aprile 2016, con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale, BPB ha presentato ricorso nella causa T-196/16. 35. Il 1° maggio 2016, con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale, il FITD ha presen-
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tato ricorso nella causa T-198/16. 36. Il 1° agosto 2016, con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale, il Fondo di Garanzia dei Depositanti del credito cooperativo e la Banca d’Italia hanno chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni del FITD nel procedimento relativo alla causa T-198/16. 37. Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata, a norma dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Terza Sezione, alla quale, di conseguenza, sono state attribuite le presenti cause. 38. Con ordinanza del 15 febbraio 2017, il presidente della Terza Sezione del Tribunale ha respinto l’intervento del Fondo di Garanzia dei Depositanti del credito cooperativo e ha autorizzato l’intervento della Banca d’Italia. Quest’ultima ha depositato la sua memoria e le parti principali hanno depositato le loro osservazioni su di essa entro i termini stabiliti. 39. Su proposta della Terza Sezione, il Tribunale ha deciso, ai sensi dell’articolo 28 del regolamento di procedura, di rinviare le cause in questione dinanzi a un collegio giudicante ampliato. 40. Con decisione del presidente della Terza Sezione ampliata del Tribunale del 14 dicembre 2017, le cause T-98/16, T-196/16 e T-198/16 sono state riunite ai fini della fase orale del procedimento e della decisione che definisce il giudizio, ai sensi dell’articolo 68 del regolamento di procedura. 41. Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle
Tribunale dell’Unione Europea
misure di organizzazione del procedimento, ha invitato le parti a rispondere per iscritto a una serie di quesiti. 42. Le parti hanno risposto a tali quesiti il 15 e il 16 febbraio 2018. 43. Le parti hanno esposto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza del 22 marzo 2018. 44. Nella causa T-98/16, la Repubblica italiana chiede che il Tribunale voglia: - annullare la decisione impugnata; - condannare la Commissione alle spese. 45. Nella causa T-196/16, BPB chiede che il Tribunale voglia: - annullare la decisione impugnata; - in via subordinata, annullare gli articoli - da 2 a 4 della decisione impugnata; - condannare la Commissione alle spese. 46. Nella causa T-198/16, il FITD, sostenuto dalla Banca d’Italia, chiede che il Tribunale voglia: - annullare la decisione impugnata; - in via subordinata, annullare la decisione --impugnata nella parte riguardante l’accertamento e la stima dell’elemento di aiuto insito nella misura n. 3; - condannare la Commissione al pagamento delle spese. 47. La Commissione chiede che il Tribunale voglia: - respingere i ricorsi; - condannare i ricorrenti alle spese. (Omissis) Nel merito 57. Nella causa T-98/16, la Repubblica italiana deduce quattro motivi, vertenti sulle seguenti questioni:
- il finanziamento dell’aiuto mediante «risorse statali»; - l’imputabilità dell’aiuto allo Stato; - il vantaggio selettivo concesso dall’aiuto; - l’incompatibilità dell’aiuto con il mercato interno. 58. Nella causa T-196/16, BPB deduce, dal canto suo, sette motivi vertenti su: - la motivazione relativa alla dimostrazione dell’esistenza di un aiuto «concesso dallo Stato ovvero mediante risorse statali»; - il finanziamento dell’aiuto mediante «risorse statali»; - l’imputabilità dell’aiuto allo Stato; - il vantaggio selettivo concesso dall’aiuto; l’incompatibilità dell’aiuto con il mercato interno; - l’errata qualificazione della garanzia fiscale pari a EUR 30 milioni; - il recupero dell’aiuto. 59. Infine, nella causa T-198/16, il FITD deduce cinque motivi vertenti su: - il finanziamento dell’aiuto mediante «risorse statali»; - l’imputabilità dell’aiuto allo Stato; - il vantaggio selettivo concesso dall’aiuto; - l’incompatibilità dell’aiuto con il mercato interno; - l’errata qualificazione della garanzia fiscale pari a EUR 30 milioni. 60. Tali motivi vertono, in sostanza, sulle principali fasi del ragionamento seguito nella decisione impugnata per consentire alla Commissione di concludere che esiste un aiuto, che esso è incompatibile con il mercato interno e che è necessario disporne il recupero. 61. Nella fattispecie, il Tribunale ritiene opportuno esaminare in primo
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luogo gli argomenti delle parti riguardanti il criterio di aiuti «concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. A tal fine, si devono raggruppare ed esaminare congiuntamente il secondo motivo dedotto dalla Repubblica italiana nella causa T-98/16, il terzo motivo dedotto da BPB nella causa T-196/16 e il secondo motivo dedotto dal FITD nella causa T-198/16, nella parte in cui vertono sulla nozione di imputabilità dell’aiuto allo Stato. Parimenti, occorre raggruppare ed esaminare congiuntamente il primo motivo dedotto dalla Repubblica italiana nella causa T-98/16, il secondo motivo dedotto da BPB nella causa T-196/16 e il primo motivo dedotto dal FITD nella causa T-198/16, nella parte in cui vertono sulla nozione di risorse statali. Osservazioni preliminari sulla nozione di «aiuto concesso da uno Stato» 62. Secondo costante giurisprudenza, la qualifica di «aiuto di Stato» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE presuppone che ricorrano quattro condizioni, ovvero che sussista un intervento dello Stato o mediante risorse statali, che tale intervento possa incidere sugli scambi tra gli Stati membri, che esso conceda un vantaggio selettivo al suo beneficiario e che falsi o minacci di falsare la concorrenza (v. sentenza del 13 settembre 2017, ENEA, C-329/15, EU:C:2017:671, punto 17 e giurisprudenza ivi citata). 63. Per quanto riguarda la prima condizione relativa all’esistenza di un intervento dello Stato o mediante risorse statali, occorre rammentare che, per poter essere qualificati come «aiuti» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, determinati vantaggi devono,
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da un lato, essere concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali e, dall’altro, essere imputabili allo Stato (v. sentenza del 13 settembre 2017, ENEA, C-329/15, EU:C:2017:671, punto 20 e giurisprudenza ivi citata). 64. A tale riguardo, in generale, non occorre a priori distinguere i casi in cui l’aiuto è concesso direttamente dallo Stato da quelli in cui è concesso tramite un ente pubblico o privato, designato o istituito da detto Stato (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2017, ENEA, C-329/15, EU:C:2017:671, punto 23 e giurisprudenza ivi citata, e conclusioni dell’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nella causa ENEA, C-329/15, EU:C:2017:233, paragrafo 67). 65. Infatti, l’inclusione di vantaggi concessi tramite enti diversi dallo Stato nell’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE mira a preservare l’efficacia pratica delle norme relative agli «aiuti concessi dagli Stati» di cui agli articoli da 107 a 109 TFUE. La Corte ha quindi precisato che il diritto dell’Unione non può tollerare che il semplice fatto di creare enti autonomi incaricati della distribuzione di aiuti permetta di aggirare le norme in materia di aiuti di Stato (sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, C-482/99; in prosieguo: la «sentenza Stardust», EU:C:2002:294, punto 23). In altri termini, tale giurisprudenza è intesa a contrastare un rischio di sotto-inclusione. Tuttavia, la decisione di includere i vantaggi concessi tramite enti diversi dallo Stato fa altresì emergere un rischio particolare di sovrainclusione, qualora si comprendano vantaggi che non siano imputabili allo Stato o che non comportino l’utilizzo
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di risorse statali (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nella causa ENEA, C-329/15, EU:C:2017:233, paragrafi 68 e 69 e giurisprudenza ivi citata). 66. È alla luce della necessità di evitare sia il rischio di sotto-inclusione, sia quello di sovra-inclusione dei vantaggi concessi da enti diversi dallo Stato che si devono esaminare gli elementi presi in considerazione dalla Commissione per determinare l’origine statale delle misure controverse. 67. A tal riguardo, è giocoforza constatare che la nozione di aiuto di Stato ha carattere giuridico e deve essere interpretata sulla base di elementi obiettivi (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione, C-487/06 P, EU:C:2008:757, punto 111, e del 30 novembre 2016, Commissione/Francia e Orange, C-486/15 P, EU:C:2016:912, punto 87), tra cui la natura pubblica o privata dell’ente che ha concesso l’aiuto di cui trattasi. Qualora tale ente sia dotato di uno status privato o di un’autonomia, incluso quanto alla gestione dei suoi fondi, rispetto agli interventi dei pubblici poteri e delle finanze pubbliche, in senso stretto, la Commissione è soggetta, sotto il completo controllo del giudice dell’Unione, a un obbligo ancora più significativo di precisare e motivare le ragioni che le consentono di concludere nel senso di un controllo pubblico sulle risorse utilizzate e dell’imputabilità delle misure allo Stato e, di conseguenza, dell’esistenza di un aiuto ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. 68. Così, in una situazione in cui la Commissione aveva dedotto l’imputabilità allo Stato di contributi finanziari
concessi da controllate di un’impresa pubblica per il solo fatto che tali società erano indirettamente controllate dallo Stato, si è giudicato che, anche se lo Stato era in grado di controllare un’impresa pubblica e di esercitare un’influenza dominante sulle sue operazioni, l’esercizio effettivo di tale controllo nel caso concreto non può essere automaticamente presunto (sentenza del 16 maggio 2002, Stardust, C-482/99, EU:C:2002:294, punti da 50 a 52). In un caso del genere, la Commissione deve disporre di un insieme di indizi risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto in cui tali contributi finanziari sono stati realizzati, al fine di determinare il livello d’implicazione delle autorità pubbliche nella loro concessione mediante un’impresa pubblica (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Stardust, C-482/99, EU:C:2002:294, punti 52 e 55). 69. Tale obbligo della Commissione è tanto più necessario in una situazione in cui, come nel caso di specie, la misura in questione è concessa da un ente privato. Infatti, in una situazione del genere, non è possibile presumere che lo Stato sia in grado di controllare tale impresa e di esercitare un’influenza dominante sulle sue operazioni, a motivo del vincolo di capitale e delle prerogative ad esso correlate. Spetta dunque alla Commissione provare, in modo giuridicamente adeguato, un sufficiente grado di coinvolgimento dello Stato nella concessione della misura in oggetto, dimostrando non solo che lo Stato ha la possibilità di esercitare un’influenza dominante sull’ente erogatore ma, altresì, che esso era in grado di esercitare tale controllo nel caso concreto.
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70. Inoltre, nonostante la necessità di distinguere l’imputabilità di un aiuto ad uno Stato dalla questione se l’aiuto sia stato concesso mediante risorse statali, che costituiscono condizioni distinte e cumulative (v. sentenza del 5 aprile 2006, Deutsche Bahn/Commissione, T-351/02, EU:T:2006:104, punto 103 e giurisprudenza ivi citata), la Commissione non ha cercato, nella fattispecie, di distinguere chiaramente tali condizioni (v. punto 144 della decisione impugnata). Il Tribunale ritiene quindi opportuno, in primo luogo, esaminare i diversi elementi presi in considerazione dalla Commissione per dimostrare l’imputabilità dell’intervento allo Stato e, in secondo luogo, valutare gli elementi relativi al controllo esercitato dalle autorità pubbliche sulle risorse utilizzate per l’intervento del FITD a favore di Tercas. Elementi presi in considerazione nella decisione impugnata per stabilire l’origine statale delle misure 71. Dopo aver rilevato, al punto 112 della decisione impugnata, che il fattore determinante per determinare l’esistenza di un «aiuto concesso da uno Stato o mediante risorse statali», ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE non è l’origine diretta di tali risorse, ma il grado di intervento dell’autorità pubblica nella definizione delle misure e delle loro modalità di finanziamento, la Commissione ha spiegato, ai punti da 117 a 145, i diversi elementi, qualificati come «sufficienti indizi», che essa prendeva in considerazione. 72. In primo luogo, la Commissione ha ritenuto che lo Stato italiano avesse affidato al FITD un «mandato pubblico» relativo alla tutela dei de-
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positanti, che esso esercita in forme diverse. A tale riguardo, al punto 120 della decisione impugnata, la Commissione ha sottolineato che la tutela del risparmio e dei depositanti aveva una posizione specifica nell’ordinamento giuridico italiano, che tutela il risparmio e che conferisce alla Banca d’Italia il compito di salvaguardare la stabilità del sistema bancario italiano a tutela dei depositanti. 73. In tale contesto, al punto 121 della decisione impugnata, la Commissione ha considerato che l’articolo 96bis del Testo unico bancario doveva essere interpretato come una «definizione specifica del mandato pubblico di tutela dei depositanti, applicabile ai sistemi di garanzia dei depositi riconosciuti in Italia». La Commissione ha infatti precisato che «[c]on l’inclusione dell’ultima frase nell’articolo 96-bis, comma 1, [del Testo unico bancario,] secondo cui i sistemi di garanzia dei depositi “possono prevedere ulteriori casi e forme di intervento” oltre al rimborso dei depositanti, le autorità italiane [avevano] scelto di consentire ai propri sistemi di garanzia dei depositi riconosciuti l’uso delle risorse raccolte da banche consorziate per casi di intervento diversi». La Commissione ha altresì rilevato che l’articolo 96-bis del Testo unico bancario costituiva pertanto, da un lato, la base per il riconoscimento del FITD quale sistema di garanzia dei depositi obbligatorio in Italia e, dall’altro, la disposizione che accorda al FITD la competenza per attuare «interventi di sostegno», incluso quindi un intervento di sostegno effettuato dal FITD a norma dell’articolo 29 del suo statuto. 74. Pertanto, al punto 122 della decisione impugnata, la Commissione ha
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rilevato che «[i]l fatto che il FITD sia organizzato come un consorzio di natura privatistica [era] irrilevante (...), in quanto la mera costituzione in forma di ente di diritto comune non può essere considerata sufficiente per escludere che un provvedimento di aiuto adottato da un ente di questo tipo sia imputabile allo Stato». Essa ha altresì sottolineato che «[g]li obiettivi del FITD, ossia il perseguimento degli interessi comuni dei suoi membri tramite il consolidamento della sicurezza dei depositi e la tutela della reputazione del sistema bancario, coincid[evano] chiaramente con gli interessi pubblici». Tuttavia, la Commissione ha osservato, da un lato, che «tale coincidenza non implica[va] necessariamente che l’impresa [nella fattispecie, il FITD] potesse adottare la propria decisione senza tenere conto delle disposizioni delle autorità pubbliche», e, dall’altro, che «[i]noltre, non [era] necessario che l’influenza dello Stato deriv[asse] da un atto giuridicamente vincolante di un’autorità pubblica. L’autonomia che generalmente l’impresa possiede non esclude[va] il coinvolgimento concreto dello Stato». 75. In ogni caso, la Commissione ha precisato, al punto 123 della decisione impugnata, che «la legislazione italiana e quella dell’Unione conferi[vano] alla Banca d’Italia l’autorità e i mezzi per garantire che tutti gli interventi del FITD, in qualità di sistema di garanzia dei depositi riconosciuto ai sensi del Testo [u]nico [b] ancario, adempi[ssero] [al] mandato pubblico e contribuis[sero] alla tutela dei depositanti». 76. In secondo luogo, la Commissione ha ritenuto che le autorità pubbliche italiane avessero la possibilità
di influenzare tutte le fasi di attuazione di un intervento di sostegno, come quello di cui trattasi nel caso di specie. 77. Innanzitutto, la Commissione ha rilevato che il Testo unico bancario conferiva alla Banca d’Italia il potere di autorizzare gli interventi dei sistemi di garanzia dei depositi, inclusi gli interventi di sostegno, e di vigilare sul rispetto degli obiettivi di stabilità del sistema bancario e di tutela dei depositi (punti 127, 141 e 142 della decisione impugnata). A tal riguardo, al punto 129 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che l’autorizzazione della Banca d’Italia dovesse intervenire in una fase in cui il FITD poteva ancora rivedere e modificare la misura proposta se la Banca d’Italia vi si fosse opposta. Essa ha quindi considerato che le autorità italiane influissero sugli interventi di sostegno prima che se ne decidesse effettivamente l’adozione (punto 130 della decisione impugnata). 78. La Commissione ha poi considerato che le autorità pubbliche italiane avessero la facoltà di avviare la procedura che conduce a un intervento di sostegno. A tal riguardo, al punto 128 della decisione impugnata, essa ha rilevato che solamente le banche sottoposte ad amministrazione straordinaria potevano beneficiare di interventi di sostegno. Orbene, da un lato, le banche sarebbero sottoposte ad amministrazione straordinaria dal Ministero dell’Economia su proposta della Banca d’Italia. Dall’altro, la domanda d’intervento sarebbe inviata al FITD dal commissario straordinario, nominato e controllato dalla Banca d’Italia. 79. La Commissione ha infine con-
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siderato che l’influenza delle autorità pubbliche italiane era ulteriormente accentuata dalla presenza di rappresentanti in tutte le riunioni decisionali, in occasione delle quali le stesse autorità avevano modo di esternare, in una fase iniziale, i propri dubbi (punti 129 e 130 della decisione impugnata). 80. Di conseguenza, al punto 138 della decisione impugnata, la Commissione ha concluso che, «nel caso di specie, sia in linea di principio sia in pratica, le autorità italiane esercita[vano] un controllo costante sulla rispondenza dell’uso delle risorse del FITD agli obiettivi di interesse pubblico e influi[vano] sull’uso di tali risorse». 81. In terzo luogo, ai punti da 133 a 136 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che, per le banche italiane, era obbligatorio aderire al FITD e contribuire agli interventi che erano decisi dai suoi organi direttivi. Indipendentemente dai loro interessi individuali, i membri del consorzio non potrebbero quindi né esercitare un diritto di veto su tale decisione, né dissociarsi dall’intervento. Pertanto, secondo la Commissione, l’intervento è imputabile al FITD e non alle banche consorziate. Di conseguenza, poiché l’adesione al FITD e i contributi agli interventi da esso decisi sono obbligatori, la Commissione ha rilevato che per i membri del FITD «[era] obbligatorio, ai sensi della normativa italiana, contribuire ai costi degli interventi di sostegno del FITD» e che «le risorse impiegate per finanziare tali interventi di sostegno [erano] chiaramente prescritte, gestite e ripartite in conformità con la legge o altre norme pubbliche e [avevano] quindi
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carattere pubblico» (v. punto 137 della decisione impugnata). 82. Tenuto conto di quanto precede, al punto 144 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che vi fossero, nella fattispecie, sufficienti indizi per dimostrare che le misure controverse erano imputabili allo Stato ed erano finanziate mediante risorse pubbliche. In particolare, per quanto riguarda l’imputabilità delle misure controverse allo Stato, al punto 145 della decisione impugnata, essa ha precisato che, anche nell’ipotesi in cui, considerati singolarmente, alcuni aspetti da essa addotti non fossero di per sé sufficienti per concludere che le misure controverse erano imputabili allo Stato, la serie di indizi da essa valutati dimostrava, nel complesso, l’imputabilità allo Stato degli interventi del FITD. Sull’imputabilità allo Stato italiano delle misure controverse 83. In primo luogo, al fine di valutare l’imputabilità di una misura allo Stato, occorre esaminare se le autorità pubbliche siano state coinvolte nell’adozione di tale misura (v. sentenza del 13 settembre 2017, ENEA, C-329/15, EU:C:2017:671, punto 21 e giurisprudenza ivi citata). 84. A tal riguardo, in una situazione concernente l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica, si è giudicato che essa poteva essere dedotta da un insieme d’indizi risultanti dalle circostanze della fattispecie e dal contesto nel quale tale misura era stata adottata, tra cui il fatto che l’organismo in questione non poteva adottare la decisione contestata senza tener conto delle esigenze dei pubblici poteri
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o che, oltre a elementi di natura organica che legavano le imprese pubbliche allo Stato, esse, grazie alla cui intermediazione gli aiuti erano stati concessi, dovevano tener conto delle direttive impartite da un comitato interministeriale per la programmazione economica (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Stardust, C-482/99, EU:C:2002:294, punto 55 e giurisprudenza ivi citata). 85. Secondo tale medesima giurisprudenza, altri indizi possono, eventualmente, essere rilevanti per giungere ad affermare l’imputabilità allo Stato di un provvedimento di aiuto adottato da un’impresa pubblica, quali l’integrazione di tale impresa nelle strutture dell’amministrazione pubblica, la natura delle sue attività e l’esercizio di queste sul mercato in normali condizioni di concorrenza con gli operatori privati, lo status giuridico dell’impresa, ossia il fatto che questa sia soggetta al diritto pubblico ovvero al diritto comune delle società, l’intensità della tutela esercitata dalle autorità pubbliche sulla gestione dell’impresa, ovvero qualsiasi altro indizio che indichi, nel caso concreto, un coinvolgimento delle autorità pubbliche ovvero l’improbabilità di una mancanza di coinvolgimento nell’adozione di un provvedimento, tenuto conto anche dell’ampiezza di tale provvedimento, del suo contenuto ovvero delle condizioni che esso comporta (v., in tal senso, sentenze del 16 maggio 2002, Stardust, C-482/99, EU:C:2002:294, punto 56, e del 23 novembre 2017, SACE e Sace BT/Commissione, C-472/15 P, non pubblicata, EU:C:2017:885, punto 36). 86. Inoltre, dato il rischio di sottoinclusione (v. punti 64 e 65 supra), si
è giudicato che il solo fatto che un’impresa pubblica sia stata costituita in forma di società di capitali di diritto comune non può essere considerato sufficiente, tenuto conto dell’autonomia che tale forma giuridica è suscettibile di conferire all’impresa in questione, per escludere che un provvedimento di aiuto adottato da una società di questo tipo sia imputabile allo Stato. Infatti, l’esistenza di una situazione di controllo e le reali possibilità di esercitare un’influenza dominante, che detta situazione comporta in pratica, non consentono di escludere automaticamente qualsiasi imputabilità allo Stato di un provvedimento adottato da una società di questo tipo e, come conseguenza, il rischio di un aggiramento delle norme in materia di aiuti di Stato, malgrado la rilevanza, in quanto tale, della forma giuridica dell’impresa pubblica quale indizio, insieme ad altri, che permetta di dimostrare, nel caso concreto, il coinvolgimento o meno dello Stato (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2002, Stardust, C-482/99, EU:C:2002:294, punto 57). 87. Invece, per quanto riguarda l’imputabilità di un provvedimento di aiuto adottato da un ente privato, se è vero che la forma giuridica di un siffatto ente non consente di per sé di escludere che una tale misura sia imputabile allo Stato, resta il fatto che spetta alla Commissione dimostrare, in modo giuridicamente adeguato, il coinvolgimento dello Stato nella concessione di detta misura, tenendo conto delle specificità della situazione di tale ente privato (v. punti da 67 a 69 supra). 88. Orbene, a differenza di un’impresa pubblica, ai sensi dell’articolo 2,
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lettera b), della direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese (GU 2006, L 318, pag. 17), il quale prevede che la nozione di impresa pubblica comprende «ogni impresa nei confronti della quale i poteri pubblici possano esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina», un ente privato dispone di un’autonomia di principio sul piano decisionale. Inoltre, tale autonomia è necessariamente maggiore nei confronti dello Stato che se quest’ultimo fosse il suo principale o il suo unico azionista, di modo che gli elementi dedotti dalla Commissione, eventualmente sotto forma d’indizi, per quanto riguarda l’esistenza di un controllo o di un’influenza dominante sulle operazioni di un siffatto ente privato possono ancor meno fondare presunzioni e devono apparire ancor più sufficientemente probanti (v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T-305/13, EU:T:2015:435, punti 40 e 41; v., altresì, punti 68 e 69 supra). 89. Pertanto, a differenza di una situazione in cui una misura adottata da un’impresa pubblica è imputata allo Stato, nel caso di una misura adottata da un ente privato la Commissione non può limitarsi a dimostrare, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, che la mancanza d’influenza e di controllo effettivo delle autorità pubbliche su tale ente privato sia improbabile (v., in tal sen-
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so, sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T-305/13, EU:C:2015:435, punto 48). 90. Nella fattispecie, tenuto conto del fatto che la misura di cui trattasi è stata fornita da un ente privato, la Commissione era tanto più tenuta a esporre e suffragare gli elementi che le consentivano di affermare che sussistevano indizi sufficienti che consentivano di dimostrare che detta misura era stata adottata sotto l’influenza o il controllo effettivo delle autorità pubbliche (v. punto 69 supra) e che, di conseguenza, tale misura era, in realtà, imputabile allo Stato (v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione, T-305/13, EU:C:2015:435, punto 48). 91. In generale, così come per il criterio relativo all’esistenza di risorse pubbliche, il fattore determinante per valutare il criterio relativo all’imputabilità della misura di cui trattasi allo Stato è il grado di intervento delle autorità pubbliche nella definizione delle misure di cui trattasi e delle loro modalità di finanziamento (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, Francia/Commissione, T-139/09, EU:C:2012:496, punto 63). Infatti, solo un grado sufficientemente elevato di intervento consente di concludere nel senso dell’imputabilità delle misure di cui trattasi allo Stato italiano. Correttamente, dunque, al punto 112 della decisione impugnata, la Commissione si è basata su tale fattore per definire la portata della sua analisi per quanto riguarda la dimostrazione dell’origine statale di dette misure. 92. A tal riguardo, per quanto attiene all’imputabilità allo Stato di tali misure, i ricorrenti, sostenuti dalla Banca d’Italia, affermano, innanzitutto, che
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l’intervento a favore di Tercas è stato deciso dagli organi direttivi del FITD con il consenso unanime di tutti i rappresentanti dei suoi membri, dietro mera richiesta del commissario straordinario. Nessuna autorità pubblica avrebbe potuto obbligare il FITD a effettuare l’intervento se esso non fosse stato ritenuto conforme all’interesse dei membri del consorzio. Inoltre, il commissario straordinario avrebbe agito in qualità di gestore e di rappresentante legale di BPB, limitandosi a inviare al FITD una mera richiesta d’intervento che non vincolava il consorzio. I delegati della Banca d’Italia avrebbero partecipato alle riunioni del FITD in qualità di osservatori, senza diritto di voto, neppure consultivo. Inoltre, i contatti preliminari con la Banca d’Italia e l’invito non vincolante di quest’ultima rivolto al FITD a raggiungere un’intesa equilibrata con BPB sarebbero espressione di un dialogo naturale tra gli interessati. Infine, l’autorizzazione dell’intervento del FITD da parte della Banca d’Italia s’inserirebbe nel contesto dei suoi compiti di vigilanza e supervisione al fine di garantire la sana e prudente gestione delle banche, ad essa affidati dalla legge. Tale autorizzazione sarebbe intervenuta 38 giorni dopo la decisione del FITD sull’intervento e il FITD sarebbe stato libero di non effettuare l’intervento. 93. La Commissione sostiene di aver identificato una pluralità di indizi che, presi congiuntamente, consentono di dimostrare l’imputabilità delle misure controverse allo Stato. In primo luogo, sebbene il FITD sia un consorzio privato, esso perseguirebbe in sostanza un obiettivo pubblico, ossia la tutela dei risparmiatori, obiettivo su cui vigila la Banca d’Italia. In secon-
do luogo, il commissario straordinario sarebbe un funzionario pubblico, nominato dalla Banca d’Italia e sottoposto al suo controllo. In terzo luogo, la partecipazione di un funzionario della Banca d’Italia alle riunioni del consiglio e del comitato di gestione, in qualità di osservatore, consentirebbe alla Banca d’Italia di rendere noto, in una prima fase, tutte le proprie riserve sull’intervento previsto. La presenza, anche solo in veste di osservatore, di un delegato della Banca d’Italia consentirebbe a quest’ultima di esercitare il suo controllo sulle azioni del FITD. In quarto luogo, la Commissione sottolinea che tutti gli interventi che il FITD intende attuare, dal rimborso dei risparmiatori agli altri interventi, richiedono l’autorizzazione preventiva della Banca d’Italia. Sulla portata del mandato pubblico affidato al FITD 94. I ricorrenti affermano, in sostanza, che il FITD non ha un mandato pubblico per effettuare interventi a favore di banche in difficoltà poiché, dato che l’articolo 96-bis del Testo unico bancario prevede solo la possibilità di altri interventi, senza ulteriori precisazioni, il FITD sarebbe autonomo per quanto riguarda gli interventi diversi dal rimborso dei depositi. Per quanto attiene a questi ultimi, il legislatore italiano avrebbe quindi lasciato ai sistemi di garanzia dei depositi, quali il FITD, il compito di definire in modo completamente autonomo lo scopo, la portata e le modalità concrete di tali interventi. Pertanto, gli interventi di cui all’articolo 29 dello statuto del FITD risponderebbero principalmente a interessi privati delle banche consorziate. Inoltre, la decisione di prevedere
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nello statuto del FITD la possibilità di attuare interventi diversi dal rimborso dei depositi sarebbe stata adottata dalle banche consorziate, senza che una norma o un atto amministrativo le obbligassero in tal senso. Il fatto che la Banca d’Italia approvi lo statuto del FITD non influenzerebbe i suoi processi decisionali, poiché la Banca d’Italia dovrebbe limitarsi a constatare che le disposizioni statutarie riguardanti i compiti di natura pubblica attribuiti al FITD rispettino la finalità di legge di tutela dei depositanti. 95. La Commissione replica che, benché sia un consorzio di diritto privato, dotato di organi propri e formalmente indipendenti, il FITD sarebbe legalmente incaricato di svolgere una funzione di interesse pubblico, vale a dire la tutela dei risparmiatori, che si traduce in varie forme di intervento. Tale conclusione sarebbe peraltro confermata dal fatto che il FITD dichiara sul suo sito Internet che la sua finalità istituzionale consiste nel fornire una garanzia ai depositanti delle banche consorziate e che tale funzione può assumere varie forme. Inoltre, secondo la Commissione, la protezione del risparmio in Italia è un obiettivo di natura pubblica avente valore costituzionale. Il fatto che la Banca d’Italia, autorizzando tutti gli interventi decisi dal FITD, agisca, conformemente all’articolo 96-ter del Testo unico bancario, «avendo riguardo alla tutela dei risparmiatori e alla stabilità del sistema bancario» confermerebbe che tutti gli interventi del FITD tendono a tutelare i risparmiatori, che il FITD agisce in esecuzione di un mandato pubblico e che è sottoposto all’intervento pubblico esercitato dalla Banca d’Italia.
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96. In primo luogo, al pari dei ricorrenti, occorre constatare che gli interventi di sostegno del FITD mirano principalmente a perseguire gli interessi privati delle banche che sono membri del FITD. 97. Pertanto, per i membri del FITD, gli interventi di sostegno mirano innanzitutto a evitare le conseguenze economiche più onerose di un rimborso dei depositi in caso di liquidazione coatta amministrativa. Infatti, dal tenore letterale dell’articolo 29, comma 1, dello statuto del FITD risulta che gli interventi di sostegno sono subordinati a due condizioni cumulative. Da un lato, devono esistere prospettive di risanamento della banca in difficoltà che beneficia dell’intervento, per evitare che il FITD sia chiamato nuovamente ad intervenire in futuro, mediante un nuovo intervento di sostegno oppure in forza dell’obbligo legale di rimborsare i depositi. D’altro canto, gli interventi di sostegno devono costituire un onere finanziario meno oneroso per le banche consorziate del FITD rispetto all’attuazione dell’obbligo legale di rimborso dei depositi. Imponendo tale ultima condizione, occorre constatare che lo statuto del FITD privilegia gli interessi privati delle banche consorziate del FITD rispetto ad ogni altra considerazione legata alla tutela del risparmio. Infatti, lo statuto del FITD osta a qualsiasi intervento di sostegno che comporti un eccessivo onere finanziario per i membri del FITD, anche nel caso in cui un siffatto intervento di sostegno consentisse una migliore tutela del risparmio tutelando altresì i depositi al di là del tetto massimo legale di EUR 100 000 in caso di liquidazione coatta amministrativa.
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98. Per i membri del FITD, gli interventi di sostegno mirano altresì a evitare le conseguenze negative nei loro confronti e per l’intero settore bancario, soprattutto in termini di reputazione e di rischio di panico tra i depositanti, che comporterebbe la liquidazione coatta amministrativa di una banca in difficoltà. Orbene, il fatto che un settore istituisca un sistema privato di mutua assistenza non costituisce di per sé un indizio del coinvolgimento dello Stato. Infatti, nel caso di specie, come riconosce la Commissione al punto 122 della decisione impugnata, le banche consorziate del FITD hanno un interesse reciproco al potenziamento della sicurezza dei depositi e alla tutela della reputazione del sistema bancario. Nella fattispecie, è altresì giocoforza constatare che la creazione di un fondo di garanzia dei depositi e la possibilità di effettuare interventi di sostegno risultavano in origine da un’iniziativa prettamente privata delle banche consorziate del FITD, in un momento in cui la legislazione non obbligava le banche ad aderire a un qualsivoglia sistema di garanzia dei depositi (v. punto 5 supra). 99. È vero che gli interessi privati delle banche consorziate possono coincidere con l’interesse pubblico. Tuttavia, dalla giurisprudenza emerge che il fatto che, in certi casi, gli obiettivi di interesse generale concordino con l’interesse degli enti privati – quali un consorzio di diritto privato, come nella fattispecie – non fornisce, di per sé solo, alcuna indicazione circa l’eventuale coinvolgimento o assenza di coinvolgimento dei poteri pubblici, in un modo oppure in un altro, nell’adozione della misura di cui trattasi
(v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2017, SACE e Sace BT/Commissione, C-472/15 P, non pubblicata, EU:C:2017:885, punto 26). 100. In secondo luogo, a differenza di quanto sostiene la Commissione, occorre constatare che gli interventi di sostegno non attuano un qualche mandato pubblico conferito dalla normativa italiana. 101. Da un lato, dall’articolo 96bis, comma 1, del Testo unico bancario, il quale dispone che «[i] sistemi di garanzia effettuano i rimborsi nei casi di liquidazione coatta amministrativa delle banche autorizzate in Italia», si evince che il mandato pubblico conferito al FITD dalla legge italiana consiste unicamente nel rimborsare i depositanti, in quanto sistema di garanzia, quando una banca membro di tale consorzio è oggetto di una liquidazione coatta amministrativa. Il mandato pubblico conferito dalla normativa italiana ai sistemi di garanzia dei depositi è peraltro non solo limitato al rimborso dei depositi in caso di liquidazione coatta amministrativa, ma anche soggetto a un tetto massimo, dato che l’articolo 96-bis, comma 5, del Testo unico bancario stabilisce che «il limite di rimborso per ciascun depositante è pari a 100 000 euro». Al di fuori di tale ambito, il FITD non agisce quindi in esecuzione di una finalità pubblica imposta dalla normativa italiana (v. punto 97 supra). 102. Dall’altro lato, si deve osservare che la normativa italiana non obbliga affatto il FITD, né nessun altro sistema di garanzia dei depositi, a prevedere la possibilità di effettuare interventi di sostegno. Essa non disciplina neppure le modalità di siffatti interventi. La disposizione giuridica
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invocata dalla Commissione non obbliga il FITD, in assenza di una liquidazione coatta amministrativa di uno dei suoi membri, ad intervenire in virtù di un mandato pubblico di tutela dei depositanti. Infatti, al di fuori del rimborso dei depositi tale disposizione non prevede alcuna forma d’intervento obbligatorio. 103. Se è certamente vero che l’articolo 96-bis, comma 1, del Testo unico bancario stabilisce che «[i] sistemi di garanzia possono prevedere ulteriori casi e forme di intervento», emerge espressamente da tale disposizione che si tratta di una mera possibilità lasciata alla libera valutazione dei sistemi di garanzia dei depositi. La normativa italiana non impone a tali sistemi di prevedere situazioni e forme d’intervento diversi dall’obbligo legale di rimborso dei depositi in caso di liquidazione coatta amministrativa. Inoltre, nel caso in cui un sistema italiano di garanzia dei depositi preveda la possibilità di siffatti interventi, il legislatore italiano gli consente di definirne lo scopo e le modalità. 104. Nella fattispecie, la possibilità per il FITD di effettuare interventi di sostegno non risulta quindi da un qualche obbligo legale, ma solamente da una decisione autonoma delle banche consorziate di introdurre una siffatta possibilità nello statuto del FITD. Sono inoltre le banche consorziate ad aver definito in modo autonomo le condizioni alle quali siffatti interventi di sostegno potevano intervenire. L’articolo 29 dello statuto del FITD prevede così che il FITD «può disporre interventi di sostegno della consorziata in amministrazione straordinaria quando sussistano prospettive di risanamento e ove sia prevedibile
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un minor onere rispetto a quello riveniente dall’intervento in caso di liquidazione». 105. Orbene, in assenza di un obbligo legale di prevedere siffatti interventi, il fatto che, ai sensi dell’articolo 96-ter, primo comma, lettera a), del Testo unico bancario, lo statuto del FITD sia approvato dalla Banca d’Italia non costituisce un elemento idoneo a mettere in discussione l’autonomia decisionale del FITD per quanto riguarda gli interventi di sostegno. Ciò vale a maggior ragione in quanto, conformemente alle disposizioni del Testo unico bancario, la Banca d’Italia approva gli statuti di tutti gli istituti bancari italiani nell’ambito dei suoi compiti di vigilanza prudenziale. 106. Da quanto precede risulta che, contrariamente a quanto afferma la Commissione al punto 121 della decisione impugnata, gli interventi di sostegno, come quello di cui trattasi nella fattispecie, hanno una finalità diversa da quella dei rimborsi dei depositi in caso di liquidazione coatta amministrativa e non costituiscono l’esecuzione di un mandato pubblico. Sull’autonomia del FITD al momento dell’adozione dell’intervento 107. In primo luogo, i ricorrenti sostengono che l’intervento del FITD a favore di Tercas è stato deciso in modo autonomo. Tale decisione sarebbe stata adottata volontariamente dagli organi direttivi del FITD e avrebbe raccolto il consenso unanime di tutti i rappresentanti delle banche consorziate. Nessuna autorità pubblica avrebbe dato istruzioni o direttive vincolanti e nessuna autorità pubblica avrebbe potuto obbligare il FITD a realizzare l’intervento se i suoi organi
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non lo avessero ritenuto in linea con l’interesse dei membri. 108. In secondo luogo, conformemente all’articolo 72, comma 1, del Testo unico bancario, il commissario straordinario eserciterebbe «le funzioni e i poteri di amministrazione della banca» e subentrerebbe quindi nei poteri di natura privatistica degli organi amministrativi disciolti. Nella fattispecie, nella sua veste di gestore e rappresentante legale di Tercas, una banca all’epoca sottoposta ad amministrazione straordinaria, il commissario straordinario si sarebbe limitato a inviare al FITD una mera richiesta di intervento, che non lo vincolava in alcun modo. Inoltre, i ricorrenti osservano che il commissario straordinario non è tenuto ad acquisire il consenso o il parere della Banca d’Italia per presentare una richiesta di intervento di sostegno al FITD. 109. In terzo luogo, il delegato della Banca d’Italia avrebbe partecipato alle riunioni del consiglio e del comitato di gestione del FITD in qualità di mero osservatore, quindi con un ruolo passivo e senza poter esprimere alcun voto, neppure consultivo. 110. In quarto luogo, i «contatti» con la Banca d’Italia e l’«invito» di quest’ultima a raggiungere un’«intesa equilibrata con l’acquirente BPB per la copertura del deficit patrimoniale» sarebbero l’espressione di un dialogo naturale e fisiologico con le competenti autorità di vigilanza, in una situazione complessa quale la gestione della crisi di un ente creditizio. Inoltre, l’«invito» della Banca d’Italia esprimerebbe un mero auspicio di contenuto generico («ricercare un’intesa equilibrata») e in quanto tale sarebbe totalmente condivisibile, in quanto avreb-
be rimesso alle parti ogni valutazione circa l’eventuale intesa. Comunque, un «invito» non poteva avere alcun valore vincolante per il FITD. 111. In quinto luogo, al pari di tutte le autorizzazioni della Banca d’Italia, l’autorizzazione relativa agli interventi di sostegno prevista dall’articolo 96-ter, primo comma, lettera d), del Testo unico bancario rientrerebbe nell’ambito della missione di vigilanza e supervisione affidata alla Banca d’Italia preordinata alla sana e prudente gestione delle banche, senza compromettere le scelte effettuate in modo autonomo dagli organismi su cui la Banca d’Italia esercita la propria vigilanza. Una siffatta autorizzazione interverrebbe altresì a valle di una decisione già adottata in autonomia dagli organi del FITD, vale a dire, nella fattispecie, 38 giorni dopo la decisione d’intervento. In ogni caso, anche dopo essere stata concessa, l’autorizzazione della Banca d’Italia non avrebbe potuto avere alcun valore vincolante per il FITD, che restava libero di non procedere all’intervento. 112. La Commissione replica che la Banca d’Italia esercita un controllo effettivo, permanente ed ex ante sulle attività del FITD attraverso l’approvazione dello statuto, la partecipazione di un suo rappresentante alle riunioni del consiglio e del comitato di gestione del FITD e attraverso l’approvazione preventiva di ciascun intervento che il FITD intenda attuare. La Banca d’Italia avrebbe altresì nominato il commissario straordinario, un funzionario pubblico soggetto alla sua vigilanza, che ha assicurato la gestione di Tercas e che dispone di ampi poteri. 113. A tal riguardo, occorre innanzitutto rilevare che il FITD è un con-
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sorzio di diritto privato che agisce, ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del suo statuto, «per conto e nell’interesse delle consorziate». Inoltre, i suoi organi direttivi, ossia il comitato di gestione e il consiglio, sono eletti dall’assemblea generale del FITD e sono, come l’assemblea generale, composti esclusivamente da rappresentanti delle banche consorziate. È pertanto giocoforza constatare che non sussiste nessun elemento di natura organica che leghi il FITD alle autorità pubbliche italiane. 114. È in tale contesto che occorre esaminare gli elementi presi in considerazione dalla Commissione nella decisione impugnata per ritenere che le autorità pubbliche italiane avessero tuttavia l’autorità e i mezzi per influenzare tutte le fasi di attuazione di un intervento di sostegno, e che esse abbiano esercitato tali poteri per quanto riguarda l’adozione delle misure controverse. In particolare, occorre verificare se gli indizi su cui si basa la Commissione dimostrino, in modo giuridicamente sufficiente, che l’intervento del FITD a favore di Tercas possa essere imputato allo Stato italiano alla luce della giurisprudenza e dei principi rammentati ai precedenti punti da 63 a 69 e da 83 a 91. 115. In primo luogo, per quanto attiene all’autorizzazione, da parte della Banca d’Italia, dell’intervento del FITD a favore di Tercas, occorre constatare che essa non costituisce un indizio che consenta d’imputare la misura di cui trattasi allo Stato. 116. Innanzitutto, dalla normativa italiana emerge che l’autorizzazione da parte della Banca d’Italia degli interventi di sostegno avviene solo al termine di un controllo di conformità
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della misura con il quadro normativo, effettuato nell’ambito della missione prudenziale di quest’ultima. A tal riguardo, l’articolo 96-ter, comma 1, lettera d), del Testo unico bancario stabilisce che la Banca d’Italia, «avendo riguardo alla tutela dei risparmiatori e alla stabilità del sistema bancario (…) autorizza gli interventi dei sistemi di garanzia». Tale disposizione deve essere interpretata alla luce delle funzioni di vigilanza prudenziale conferite alla Banca d’Italia dalla normativa italiana, che essa esercita «avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia» (articolo 5, comma 1, del Testo unico bancario). Infatti, oltre agli interventi dei sistemi di garanzia, la normativa italiana assoggetta un determinato numero di decisioni importanti delle banche, quali le acquisizioni, e altri attori del settore finanziario all’autorizzazione della Banca d’Italia (v., in particolare, articolo 19 del Testo unico bancario). Orbene, assoggettando gli interventi dei sistemi di garanzia e altre decisioni adottate dagli attori privati del settore finanziario a un’autorizzazione della Banca d’Italia, la normativa italiana non mira in alcun modo a sostituire la valutazione della Banca d’Italia a quella degli attori interessati quanto all’opportunità di adottare le decisioni in questione o alla definizione delle loro modalità. Al contrario, occorre constatare che la Banca d’Italia esercita solo un controllo di conformità della misura con il quadro normativo, a fini di vigilanza prudenziale. 117. Occorre poi constatare che la
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Banca d’Italia non può in alcun modo obbligare il FITD a intervenire a sostegno di una banca in difficoltà. 118. I poteri della Banca d’Italia si limitano a realizzare un controllo di conformità con il quadro normativo degli interventi di sostegno, quali decisi dagli organi direttivi del FITD, al fine di autorizzarli. Contrariamente a quanto sembra sostenere la Commissione al punto 129 della decisione impugnata, il fatto che il FITD conservi la possibilità, qualora lo desideri, di presentare alla Banca d’Italia una nuova richiesta di autorizzazione per un intervento di sostegno a condizioni diverse in caso di rifiuto di autorizzazione non conferisce alla Banca d’Italia il potere d’intervenire al momento dell’adozione, da parte del FITD, degli interventi di sostegno. Infatti, come emerge dai punti 18 e 19 della decisione impugnata, si tratta solo di autorizzare l’attuazione degli interventi di sostegno adottati autonomamente dagli organi direttivi del FITD. Questi ultimi sono i soli competenti a decidere di intervenire a sostegno di una banca in difficoltà e a stabilire le modalità pratiche di un siffatto intervento. 119. Inoltre, come riconosciuto dalla Commissione al punto 132 della decisione impugnata, il FITD non è tenuto a effettuare un intervento di sostegno che sia stato autorizzato dalla Banca d’Italia. A tal riguardo, è sufficiente rilevare che il 4 novembre 2013 la Banca d’Italia aveva autorizzato un primo intervento di sostegno a favore di Tercas, deciso dagli organi direttivi del FITD il 28 e il 29 ottobre 2013, che il FITD non ha mai attuato. 120. In ogni caso, nella fattispecie, occorre constatare, da un lato, che l’intervento del FITD a favore di Ter-
cas è stato adottato all’unanimità dal comitato di gestione e dal consiglio del FITD, il 30 maggio 2014, e, dall’altro, che esso è stato autorizzato tale e quale dalla Banca d’Italia il 7 luglio 2014. In tali circostanze, l’autorizzazione della Banca d’Italia della misura di cui trattasi non può costituire un indizio che dimostri che le autorità pubbliche italiane siano state coinvolte nell’adozione di detta misura in modo tale che l’intervento del FITD a favore di Tercas possa essere loro imputato. 121. In secondo luogo, per quanto riguarda la presenza di rappresentanti della Banca d’Italia alle riunioni degli organi direttivi del FITD, occorre constatare che neppure essa costituisce un indizio di imputabilità allo Stato della misura di cui trattasi. 122. Da un lato, emerge espressamente dall’articolo 13, comma 6, e dall’articolo 16, comma 3, dello statuto del FITD che i delegati della Banca d’Italia che presenziano alle riunioni del comitato di gestione e del consiglio del FITD esercitano solo un ruolo di mero osservatore senza alcun diritto di voto neppure consultivo. 123. Dall’altro lato, dal fascicolo emerge che la Commissione non fornisce alcun elemento a sostegno delle sue affermazioni, ai punti 129 e 130 della decisione impugnata, secondo le quali «[sarebbe] da presumere» che la presenza dei delegati, in qualità di osservatori, alle riunioni degli organi direttivi del FITD «consent[irebbe] alla [Banca d’Italia] di esternare in una fase iniziale tutti i propri dubbi sugli interventi pianificati» e di «accentua[re]» l’influenza che essa eserciterebbe su questi ultimi. A tale riguardo, occorre constatare che dalla decisione impugnata emerge che tali affermazioni co-
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stituiscono mere supposizioni e non sono in alcun modo suffragate dagli elementi del fascicolo. Al contrario, i verbali delle riunioni degli organi direttivi del FITD attestano il ruolo puramente passivo dei delegati della Banca d’Italia. Infatti, nel corso della riunione del comitato di gestione del 30 maggio 2014, un delegato della Banca d’Italia si è limitato a esprimere, alla fine dell’incontro, la propria soddisfazione per il modo in cui la crisi di Tercas era stata trattata mentre, alla riunione del consiglio del 30 maggio 2014, i delegati della Banca d’Italia non hanno nemmeno preso la parola. 124. Alla luce di tali constatazioni di fatto, la Commissione non ha dimostrato che la presenza, anche solo in veste di osservatore, di delegati della Banca d’Italia alle riunioni degli organi direttivi del FITD consentirebbe a quest’ultima d’influenzare le decisioni del FITD. 125. In terzo luogo, per quanto riguarda il contesto in cui è stato adottato l’intervento del FITD a favore di Tercas, occorre constatare che la Commissione non ha fornito alcuna prova che la Banca d’Italia abbia influenzato in maniera determinante la negoziazione tra, da un lato, il FITD e, dall’altro, BPB e il commissario straordinario. 126. Così, per quanto riguarda il fatto che i negoziati tra le parti private interessate sarebbero stati condotti «in coordinamento con la Banca d’Italia» (punto 131 della decisione impugnata), occorre rilevare, al pari dei ricorrenti, che, in un’operazione così complessa come quella della gestione della crisi di un ente creditizio, non sorprende il fatto che la Banca d’Italia sia informata dell’andamento dei
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negoziati tra gli interessati. Di conseguenza, il fatto che incontri informali possano essersi tenuti tra, da un lato, gli interessati (ossia il FITD, BPB e, per conto di Tercas, il commissario straordinario) e, dall’altro, la Banca d’Italia, al fine d’informare la Banca d’Italia degli sviluppi dei negoziati, è solo espressione di un dialogo legittimo e regolare con le autorità di vigilanza competenti. È giocoforza constatare che la Commissione non fornisce alcuna prova che dimostri che la Banca d’Italia avrebbe utilizzato tali contatti al fine di influenzare in maniera determinante il contenuto delle misure controverse in questione. Al contrario, nessun elemento del fascicolo può mettere in discussione l’argomento dei ricorrenti, secondo cui siffatti contatti hanno solamente consentito alla Banca d’Italia di essere informata dell’evoluzione del fascicolo per poter adottare più rapidamente la propria decisione in merito all’autorizzazione della misura di cui trattasi, dopo che quest’ultima è stata adottata dagli organi direttivi del FITD e notificata alla Banca d’Italia. 127. Lo stesso vale per quanto attiene al fatto che la Banca d’Italia avrebbe «invitato» il FITD a giungere a un’«intesa equilibrata» con BPB per quanto concerne la copertura del deficit patrimoniale di Tercas, tenendo conto della possibile incidenza negativa della liquidazione di Tercas e della sua controllata Banca Caripe. Infatti, occorre rilevare, al pari dei ricorrenti, che si tratta dell’espressione di un mero auspicio di contenuto generale e privo di qualsiasi valore vincolante per il FITD. Un tale auspicio da parte delle autorità pubbliche non sorprende in circostanze come quelle della
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fattispecie. Un tale auspicio non era tuttavia inteso in alcun modo a impartire prescrizioni agli interessati e non è peraltro stato interpretato in tal senso da questi ultimi. In ogni caso, dal fascicolo non emerge che detto invito abbia avuto il benché minimo impatto sulla decisione del FITD d’intervenire a favore di Tercas, poiché quest’ultima è motivata essenzialmente da considerazioni di carattere economico proprie del FITD e dei suoi membri, attestate dalla relazione della società di revisione e consulenza incaricata a tale scopo (v. punto 19 supra). 128. Infine, in quarto luogo, per quanto riguarda il ruolo svolto dal commissario straordinario, neppure il fatto che egli abbia la facoltà di avviare il procedimento che può sfociare in un intervento di sostegno del FITD, inviandogli una richiesta non vincolante in tal senso, può rimettere in discussione l’autonomia del FITD nel decidere un siffatto intervento. 129. Ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del suo statuto, il FITD può effettuare interventi di sostegno solo a favore della banche consorziate sottoposte al regime di amministrazione straordinaria. A tal riguardo, dagli articoli da 70 a 72 del Testo unico bancario risulta che la decisione di porre una banca in amministrazione straordinaria è adottata dal Ministro dell’Economia, su proposta della Banca d’Italia, e il commissario straordinario è nominato dalla Banca d’Italia, che ha anche il potere di revocarlo. Una volta nominato, il commissario straordinario agisce, a norma dell’articolo 72, comma 1, del Testo unico bancario, in qualità di amministratore della banca e subentra nei poteri di natura privatistica degli organi amministrativi della banca posta in
amministrazione straordinaria nell’interesse dei depositanti. 130. Tuttavia, occorre constatare che la presentazione, da parte del commissario straordinario, di una richiesta di intervento al FITD non obbliga in alcun modo quest’ultimo ad accoglierla né influenza l’autonomia del FITD quanto al contenuto dell’intervento di sostegno nel caso in cui quest’ultimo decida di agire. Inoltre, contrariamente a quanto afferma la Commissione al punto 128 della decisione impugnata, nessun elemento dello statuto del FITD o della normativa italiana indica che il commissario straordinario sarebbe l’unico a poter formulare una siffatta richiesta e non contraddice l’affermazione del FITD, secondo cui esso stesso potrebbe prendere l’iniziativa di avviare il procedimento di esecuzione di un intervento di sostegno anche in assenza di richiesta formulata in tal senso da parte del commissario straordinario. 131. Inoltre, nella fattispecie, la Commissione non adduce alcun elemento di prova indicante che larichiesta presentata dal commissario straordinario sarebbe il risultato d’istruzioni della Banca d’Italia. Al contrario, dalle circostanze rammentate al precedente punto 16 emerge che l’iniziativa di rivolgersi al FITD risulta dalle richieste formulate da BPB, che aveva subordinato la propria sottoscrizione di un aumento di capitale di Tercas alla copertura del deficit patrimoniale di tale banca da parte del FITD. 132. In conclusione, da tutto quanto precede risulta che la Commissione è incorsa in errore ritenendo, al punto 133 della decisione impugnata, di aver dimostrato che le autorità italiane avessero esercitato un controllo
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pubblico sostanziale nella definizione dell’intervento del FITD a favore di Tercas. Al contrario, è giocoforza constatare che la Commissione non ha dimostrato, in modo giuridicamente sufficiente, il coinvolgimento delle autorità pubbliche italiane nell’adozione della misura in questione né, di conseguenza, l’imputabilità di tale misura allo Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE. Sul finanziamento dell’intervento mediante risorse statali 133. La nozione d’intervento «mediante risorse statali», ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, mira ad includere, oltre ai vantaggi concessi direttamente da uno Stato, quelli concessi mediante enti pubblici o privati, designati o istituiti da tale Stato al fine di gestire l’aiuto. Infatti, il diritto dell’Unione non può tollerare che il semplice fatto di creare enti autonomi incaricati della distribuzione di aiuti permetta di aggirare le norme in materia di aiuti di Stato (v. sentenza del 9 novembre 2017, Commissione/TV2/ Danmark, C-656/15 P, EU:C:2017:836, punti 44 e 45 e giurisprudenza ivi citata). 134. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE comprende tutti gli strumenti pecuniari che le autorità pubbliche possono realmente usare per sostenere imprese, a prescindere dal fatto che questi strumenti appartengano o meno permanentemente al patrimonio dello Stato. Pertanto, anche se le somme corrispondenti alla misura in questione non sono permanentemente in possesso dell’erario, il fatto che restino costantemente sotto il controllo pubblico, e dunque
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a disposizione delle autorità nazionali competenti, è sufficiente perché esse siano qualificate come «risorse statali» (v. sentenza del 9 novembre 2017, Commissione/TV2/Danmark, C-656/15 P, EU:C:2017:836, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). 135. A tal riguardo, in una situazione concernente imprese pubbliche, si è giudicato che, posto che le loro risorse ricadevano sotto il controllo dello Stato ed erano dunque a disposizione di quest’ultimo, esse rientravano nella nozione di «risorse statali», di cui all’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Infatti, lo Stato, esercitando la sua influenza dominante su tali imprese, è perfettamente in grado di orientare l’utilizzo delle loro risorse per finanziare, se del caso, vantaggi specifici a favore di altre imprese. Il fatto che le risorse in questione siano gestite da enti distinti dall’autorità pubblica o che siano di origine privata è inconferente al riguardo (v. sentenza del 9 novembre 2017, Commissione/TV2/Danmark, C-656/15 P, EU:C:2017:836, punti 47 e 48 e giurisprudenza ivi citata). 136. Così, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 9 novembre 2017, Commissione/TV2/Danmark (C-656/15 P, EU:C:2017:836, punti da 49 a 53), la Corte ha rilevato che le tre imprese interessate erano imprese pubbliche detenute dallo Stato alle quali era stata affidata la gestione del trasferimento, ad una di esse, degli introiti provenienti dalla vendita degli spazi pubblicitari di tale impresa. La Corte ha inoltre constatato che tutto l’iter seguito da tali introiti era disciplinato da una legge, in forza della quale talune imprese pubbliche specificamente incaricate dallo Stato avevano il compito di gestire detti introiti. Gli
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introiti in questione erano, perciò, sotto il controllo pubblico e a disposizione dello Stato, che poteva deciderne la destinazione. Pertanto, la Corte ha concluso che tali introiti costituivano effettivamente «risorse statali», ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. 137. Nelle presenti cause, i ricorrenti, sostenuti dalla Banca d’Italia, affermano che la Commissione ha erroneamente ritenuto, nella decisione impugnata, che le risorse impiegate dal FITD fossero «risorse statali». Pertanto, la Commissione non potrebbe asserire che il FITD agisca in virtù di un mandato pubblico quando esso interviene a favore di uno dei suoi membri in difficoltà e non in virtù della garanzia legale dei depositi dei depositanti. Analogamente, si dovrebbe tener conto del fatto che il FITD è un consorzio di diritto privato, i cui organi rappresentano i suoi membri e non i pubblici poteri. Benché un rappresentante della Banca d’Italia assista a talune riunioni degli organi del FITD, ciò avverrebbe solamente in veste di osservatore e senza diritto di voto o ruolo consultivo. Nessuna autorità pubblica avrebbe potuto imporre al FITD di decidere l’intervento o di prescriverne le modalità. Parimenti, benché il commissario straordinario, che è subentrato ai dirigenti di Tercas, abbia chiesto al FITD di intervenire, lo avrebbe fatto nell’interesse di tale impresa e dei suoi creditori e senza poter vincolare il FITD. Inoltre, l’autorizzazione dell’intervento da parte della Banca d’Italia si inserirebbe nel contesto delle sue ordinarie funzioni di tutela della stabilità e del risparmio. Si tratterebbe di una misura di ratifica limitato a un controllo formale a posteriori di un atto di natura privata. Inoltre, i contributi dei membri
relativi all’intervento non sarebbero né imposti, né controllati, né a disposizione dello Stato. Benché i membri del consorzio siano obbligati a contribuire al rimborso dei depositi, nessuna norma o atto amministrativo imporrebbe loro di contribuire all’intervento. Il carattere obbligatorio di tali contributi discende solamente dallo statuto e dalle decisioni del FITD. 138. La Commissione afferma, in sostanza, che benché sia un consorzio di diritto privato, dotato di organi propri e formalmente indipendenti, il FITD è legalmente incaricato di svolgere una funzione di interesse pubblico, la tutela dei risparmiatori, che potrebbe assumere varie forme. Analogamente, la Banca d’Italia eserciterebbe un controllo effettivo, permanente ed ex ante sulle attività del FITD a motivo dell’approvazione del suo statuto, della partecipazione di uno dei suoi delegati alle riunioni del consiglio e del comitato di gestione del FITD e dell’autorizzazione preventiva di ciascun intervento. Inoltre, sarebbe la Banca d’Italia ad aver nominato il commissario straordinario, un funzionario pubblico soggetto alla sua vigilanza, il quale ha assicurato la gestione di Tercas durante il periodo di amministrazione straordinaria. Peraltro, poiché il FITD è l’unico sistema di garanzia dei depositi riconosciuto dalla Banca d’Italia, le banche che non sono cooperative di credito si troverebbero dunque obbligate ad aderivi e a versare ad esso i contributi richiesti per conseguire l’obiettivo pubblico di tutela del risparmio. 139. Nella fattispecie, per concludere al punto 144 della decisione impugnata che l’intervento del FITD a favore di Tercas era finanziato mediante
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risorse pubbliche, la Commissione ha preso in considerazione i seguenti indizi: il fatto che il FITD era titolare di un mandato pubblico; il controllo delle autorità pubbliche sulle risorse usate dal FITD per finanziare l’intervento e il fatto che i contributi utilizzati dal FITD per finanziare l’intervento avevano carattere obbligatorio. 140. In primo luogo, la Commissione ha considerato che il FITD era titolare di un mandato pubblico e che l’intervento del FITD a favore di Tercas è stato effettuato al fine di tutelare i depositi dei depositanti. Infatti, le autorità italiane avrebbero scelto di consentire ai propri sistemi di garanzia dei depositi l’uso delle risorse raccolte presso i loro membri per realizzare altri tipi di intervento rispetto a quello consistente nel rimborsare i depositi dei depositanti (v. punto 121 della decisione impugnata). 141. A tale riguardo, come emerge dalle considerazioni che precedono per quanto concerne l’imputabilità dell’intervento allo Stato, risulta che il mandato pubblico conferito ai vari sistemi di garanzia dei depositi in Italia impone solo l’attuazione di un sistema che consenta il rimborso dei depositi dei depositanti in caso di dissesto di un ente creditizio. Tale mandato pubblico non prevede, tuttavia, che detti sistemi debbano intervenire anche a monte prima che si verifichi un siffatto dissesto chiedendo ai loro membri le risorse necessarie. Nel caso di specie, è proprio lo statuto del FITD, un consorzio privato, a prevedere, fin dalla sua origine, la possibilità di intervenire a favore di uno dei suoi membri, se quest’ultimo, in difficoltà, abbia prospettive di risanamento e se detto intervento risulti meno
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oneroso rispetto all’attuazione della garanzia divenuta legale dei depositi dei depositanti. 142. Tale analisi vale anche per quanto riguarda l’esame degli elementi presi in considerazione per stabilire il finanziamento dell’intervento mediante risorse statali. 143. In secondo luogo, per stabilire il controllo delle autorità pubbliche sulle risorse usate dal FITD per finanziare l’intervento, la Commissione ha indicato determinate caratteristiche di questo intervento. Essa ha così affermato che solo le banche sottoposte all’amministrazione straordinaria potevano beneficiare degli interventi del FITD a norma dell’articolo 29, comma 1, del suo statuto e che, pertanto, solo il commissario straordinario di Tercas, un funzionario pubblico sotto il controllo della Banca d’Italia, aveva «facoltà di avviare una misura d’intervento del FITD» (v. punto 128 della decisione impugnata). Parimenti, la Banca d’Italia, disporrebbe di ampi poteri per quanto riguarda il FITD, del quale, segnatamente, ha approvato lo statuto e ha autorizzato l’intervento a favore di Tercas prima della sua entrata in vigore (v. punti 124 e da 127 a 129 della decisione impugnata). 144. A tal proposito, per gli stessi motivi esposti riguardo all’imputabilità dell’intervento allo Stato, risulta che gli elementi summenzionati devono essere valutati nel loro contesto, dal quale emerge che essi non sono sufficienti per concludere nel senso che, a motivo del controllo esercitato dalle autorità pubbliche, le risorse utilizzate dal FITD per finanziare l’intervento siano «risorse statali» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. 145. Infatti, la decisione del com-
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missario straordinario di Tercas di richiedere al FITD un intervento, a nome dell’impresa per la quale esso esercitava le funzioni di direzione a motivo del suo collocamento in amministrazione straordinaria, è dovuta al fatto che, tra le diverse opzioni disponibili, quella proposta da BPB gli sembrava la più interessante. Poiché la proposta di BPB era subordinata a un intervento del FITD a favore di Tercas (v. punto 16 supra), non si può quindi ritenere che una siffatta richiesta derivi da un’iniziativa delle autorità pubbliche, che avrebbero così tentato di orientare l’uso delle risorse del FITD. Pertanto, è piuttosto in considerazione di un’iniziativa privata trasmessa al commissario straordinario, il quale ha ritenuto, come avrebbe fatto un amministratore ordinario posto nella stessa situazione, che essa fosse nell’interesse dell’impresa da lui amministrata, che al FITD è stata presentata una richiesta di intervento a norma dell’articolo 29, comma 1, del suo statuto. 146. Inoltre, come sostenuto dalla Banca d’Italia dinanzi al Tribunale, le varie possibilità d’intervento di cui essa dispone per quanto riguarda il FITD mirano solamente ad attuare i suoi poteri di vigilanza in relazione agli obiettivi di tutela dei risparmiatori, di stabilità del sistema bancario e di sana e prudente gestione delle banche. 147. Nelle presenti cause, non emerge dal fascicolo che l’autorizzazione dell’intervento del FITD a favore di Tercas abbia dato luogo a qualcosa di diverso da un controllo formale di regolarità da parte della Banca d’Italia. Nella fattispecie, tale autorizzazione, così come i diversi atti che l’hanno
preceduta, a partire dall’omologazione del FITD come uno dei sistemi di garanzia dei depositi riconosciuti in Italia, non possono essere assimilati, sia singolarmente sia nel loro complesso, a misure che consentano di dimostrare che lo Stato fosse in grado di orientare l’utilizzo delle risorse del FITD per finanziare l’intervento mediante l’esercizio di un’influenza dominante su tale consorzio. 148. Infatti, l’intervento del FITD a favore di Tercas trae origine da una proposta presentata inizialmente da BPB e ripresa successivamente, nel suo interesse, da Tercas. Inoltre, tale intervento, che realizza l’obiettivo del consorzio, corrisponde altresì all’interesse dei suoi membri. 149. In un siffatto contesto, i vari meccanismi previsti dalla normativa italiana per evitare che un intervento di questo tipo perturbi il settore bancario o minacci la realizzazione del mandato pubblico affidato al FITD, in questo caso, non hanno fatto altro, sul piano generale, che avallare la possibilità riconosciuta al FITD dal suo statuto di intervenire a favore di uno dei suoi membri stanziando le proprie risorse e, più specificamente, autorizzare l’intervento del FITD a favore di Tercas conformemente all’interesse di BPB, di Tercas e di tutti gli altri membri del consorzio. In nessun momento la Commissione è stata in grado di dimostrare che la Banca d’Italia, attraverso il suo controllo formale di regolarità, abbia cercato d’indirizzare le risorse private messe a disposizione del FITD. 150. In terzo luogo, la Commissione ha ritenuto che i contributi utilizzati dal FITD per finanziare l’intervento avevano carattere obbligatorio, dal
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momento che, da un lato, le banche che ne sono membri non hanno in pratica altra scelta che aderire al FITD e, dall’altro lato, che tali banche non possono opporre il loro veto sulle decisioni del FITD o dissociarsi dall’intervento da esso deciso (v. punti da 133 a 135 della decisione impugnata). 151. Al fine di esaminare tale argomentazione, occorre innanzitutto rammentare che è pacifico che i fondi utilizzati per l’intervento del FITD a favore di Tercas sono risorse private che sono state fornite dalle banche consorziate. 152. Infatti, in generale, lo statuto del FITD prevede che quest’ultimo sia alimentato da risorse «fornite dalle consorziate» (v. articolo 1, comma 1, dello statuto del FITD). La misura dei contributi delle banche consorziate è fissata sulla base dell’entità dei rispettivi fondi rimborsabili («base contributiva») e correlata alla rischiosità aziendale, misurata attraverso «indicatori dei profili gestionali» (v. articolo 25 e allegato dello statuto). 153. Inoltre, all’epoca dei fatti, l’articolo 21 dello statuto del FITD precisava che, viste le decisioni degli organi statutari competenti, le risorse utilizzate per interventi del tipo di quello concesso a Tercas erano richieste dal FITD e fornite ad hoc dai membri del consorzio. Pertanto, mentre le risorse necessarie per il funzionamento del consorzio concorrevano alla formazione del suo bilancio, i contributi destinati agli interventi erano considerati «anticipazioni» versati dai membri del FITD, che li gestiva per loro conto in qualità di mandatario. 154. L’obbligo dei membri del FITD di contribuire all’intervento deciso da quest’ultimo non ha quindi la
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propria origine in una disposizione normativa, come quando esso è specificamente incaricato dallo Stato della gestione dei contributi versati dai membri a titolo di garanzia legale dei depositi dei depositanti, ma in una disposizione statutaria, di natura privatistica, che salvaguarda l’autonomia decisionale dei membri del FITD. 155. Si deve altresì rilevare che, prima di decidere l’intervento e di mobilitare in conseguenza le risorse private dei suoi membri, il FITD si è assicurato, conformemente a quanto stabilito dall’articolo 29 del suo statuto e come emerge dalla relazione presentata il 26 maggio 2014 da una società di revisione e consulenza, che il costo di tale intervento fosse inferiore al costo che avrebbe rappresentato per i suoi membri la liquidazione di Tercas e pertanto l’attuazione della garanzia legale dei depositi dei depositanti. 156. L’intervento del FITD a favore di Tercas era quindi non solo nell’interesse di BPB e di Tercas, ma anche nell’interesse di tutti i suoi membri, dal momento che questi ultimi rischiavano di dover spendere somme superiori rispetto a quelle necessarie per consentire a BPB di rilevare Tercas. 157. In tale contesto, si deve osservare che, come sostiene il FITD, l’intervento è stato adottato dal comitato di gestione e dal consiglio del FITD all’unanimità dei rappresentanti dei membri che li compongono. Nessuno di tali rappresentanti si è pertanto opposto a una siffatta misura. 158. È inoltre normale che, una volta adottata dai suoi organi direttivi, conformemente alle disposizioni dello statuto, la decisione in questione si applichi a tutti i membri del consorzio. Inoltre, nessun elemento del fa-
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scicolo consente di suffragare l’argomento secondo cui alcuni membri del consorzio sarebbero stati contrari al meccanismo statutario degli interventi o all’intervento del FITD a favore di Tercas. 159. Pertanto, l’obbligatorietà dei contributi dei membri del FITD all’intervento trae la sua origine in una decisione doppiamente accettata dai suoi membri, a titolo non solo delle loro decisioni di aderire al FITD che prevede una siffatta possibilità, ma anche delle loro decisioni di accettare che un siffatto intervento sia adottato dagli organi direttivi del consorzio. L’intervento risulta inoltre conforme agli obiettivi del FITD nonché agli interessi dei suoi membri. 160. Di conseguenza, l’argomento della Commissione secondo cui sarebbe, di fatto, difficile per enti bancari dissociarsi dal FITD, di cui sono storicamente membri e che costituisce ad oggi l’unico fondo di garanzia dei depositi che riunisce le banche non mutualistiche, per creare un altro fondo di garanzia che potrebbe così essere riconosciuto dalla Banca d’Italia e il cui statuto consentirebbe di intervenire solo a titolo della garanzia legale dei depositi dei depositanti o, se del caso, di rifiutare di contribuire a un intervento a favore di un membro, anche se l’intervento sia stato adottato da parte degli organi direttivi, rimane essenzialmente teorico e non incide sull’intervento qui in esame. 161. Da quanto precede emerge che la Commissione non ha sufficientemente dimostrato, nella decisione impugnata, che le risorse di cui trattasi fossero controllate dalle autorità pubbliche italiane e che esse fossero di conseguenza a disposizione di queste
ultime. La Commissione non poteva quindi concludere che, nonostante il fatto che l’intervento del FITD a favore di Tercas sia stato effettuato in conformità allo statuto di tale consorzio e nell’interesse dei suoi membri, utilizzando fondi esclusivamente privati, sarebbero in realtà le autorità pubbliche che, attraverso l’esercizio di un’influenza dominante sul FITD, avrebbero deciso di indirizzare l’uso di tali risorse per finanziare un siffatto intervento. Conclusione 162. Poiché la prima condizione relativa alla qualificazione come aiuto ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE non è soddisfatta nella fattispecie, si devono accogliere i motivi fondati sul fatto che la Commissione ha erroneamente ritenuto che le misure controverse presupponessero l’uso di risorse statali e fossero imputabili allo Stato e, di conseguenza, senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti dedotti dai ricorrenti, si deve annullare la decisione impugnata. (Omissis) Per questi motivi, Il Tribunale (Terza Sezione ampliata), dichiara e statuisce: 1) La decisione (UE) 2016/1208 della Commissione, del 23 dicembre 2015, relativa all’aiuto di Stato SA.39451 (2015/C) (ex 2015/NN) cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di Banca Tercas, è annullata. 2) La Commissione europea è condannata alle spese. (Omissis)
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(1) La Commissione europea e la concezione strumentale di “mandato pubblico” (a proposito del “caso FITD/Tercas” – Sentenza del Tribunale UE 19 marzo 2019) Sommario: 1. L’invenzione di un “mandato pubblico” conferito al FITD al fine di qualificare “aiuto di Stato” il progettato intervento di tale ente a sostegno di Tercas. – 2. La confusione tra funzioni pubbliche, servizi pubblici, soddisfacimento di interessi generali ed inerenza di interessi pubblici ad attività private. – 3. L’esercizio di funzioni pubbliche da parte di soggetti privati. – 4. Gli enti privati che svolgono attività di interesse pubblico. – 5. L’inerenza di interessi pubblici ad attività private a rilevanza economica.
1. L’invenzione di un “mandato pubblico” conferito al FITD al fine di qualificare “aiuto di Stato” il progettato intervento di tale ente a sostegno di Tercas. La sentenza del Tribunale UE, 19 marzo 2019 (nelle cause riunite T-98/16, T-196/16 e T-198/16), di annullamento della decisione (UE) 2016/1208 della Commissione – che aveva considerato aiuto di Stato illegittimo e incompatibile l’intervento del FITD a favore della banca Tercas – si presta a riflessioni da varie angolazioni giuridiche: dalla (erronea) qualificazione dell’intervento come sostegno pubblico illegittimo; alla (fraintesa) natura e funzione del Fondo Interbancario di Garanzia, alla luce dello statuto e della disciplina – nel t.u.b. – dei sistemi di garanzia dei depositanti; alla dialettica tra la Commissione ed il sistema giurisdizionale dell’Unione. In queste note si tratterà brevemente della qualificazione del FITD (e, in generale, dei sistemi di garanzia italiani), da parte della Commissione, come destinatario ed esecutore di un “mandato pubblico” di tutela dei depositanti. Nel corso del giudizio innanzi al Tribunale UE la Commissione ha successivamente sostenuto che il FITD è legalmente incaricato di svolgere una «funzione di interesse pubblico». È da notare lo slittamento terminologico tra la formula usata nella decisione della Commissione e quella “evocata” nella sua difesa in giudizio. Le due “formule”, infatti, com’è (o dovrebbe essere) noto, non sono sinonime, ma si riferiscono a tipologie di rapporti amministrativi ben distinte. Sta di fatto che entrambe sono state utilizzate – rispettivamente nella fase “precettiva” e, poi, in quella “difensiva” – come fondamento della
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pretesa sottoposizione dei sistemi di garanzia privati al potere di direzione1 della Banca d’Italia e, conseguentemente, della configurazione degli interventi di sostegno dei sistemi stessi come misure di imputazione formalmente o “sostanzialmente” pubblicistica (definibili, perciò, come aiuti di Stato2 ove dispiegati a favore di singole imprese bancarie in difficoltà). Il Tribunale di Lussemburgo – con il tradizionale approccio empirico dei giudici europei – ha motivato soprattutto “in fatto” la sua decisione di accoglimento dei ricorsi: - innanzitutto con la mancata dimostrazione – da parte della Commissione – del coinvolgimento dello Stato nella progettata concessione di una misura di sostegno a Tercas da parte del FITD; - in secondo luogo con il rilievo che gli interventi di sostegno del Fondo perseguono gli interessi privati delle banche ad esso aderenti, in quanto evitano il (probabilmente) più oneroso rimborso dei depositanti ed inoltre prevengono i rischi reputazionali e finanziari per il sistema creditizio derivanti dalla crisi di una banca, anche di media grandezza. Sotto questo profilo gli interessi privati possono esser convergenti con gli interessi pubblici alla stabilità del sistema bancario, ma non sono identificabili con questi ultimi.
2. La confusione tra funzioni pubbliche, servizi pubblici, soddisfacimento di interessi generali ed inerenza di interessi pubblici ad attività private. Al di là delle accennate, condivisibili, motivazioni della pronuncia di annullamento, la decisione della Commissione rivelava un’evidente confusione di categorie giuridiche, probabilmente indotta dall’intento di ampliare strumentalmente l’ambito dei soggetti “ad influenza pubblica dominante” e, conseguentemente, dei tipi di interventi riconducibili al genus degli aiuti di Stato. Che la decisione, ora annullata, sia stata adottata in coincidenza con
1 Da M.S. Giannini (Diritto amministrativo, Milano, 1993, Vol. I, p. 314), definito come somma del potere di direttiva e di quello di controllo. 2 V., per tutti, l’eccellente panoramica di Triggiani, voce Aiuti di Stato (diritto dell’Unione Europea) in Enc. Dir., Annali, VI, Milano, 2013, pp. 19 ss.
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l’entrata in vigore del nuovo SRS3 e “nei confronti” del sistema bancario italiano conferma l’opinione della sua sostanziale politicità4, rivelata dall’abnorme, estensiva applicazione della regolazione europea in materia di aiuti di Stato (comprendendo in essa gli acquis di fonte giurisprudenziale)5. La confusione sottende una sorta di sovrapposizione implicita tra nozioni apicali – funzioni pubbliche, servizi pubblici ed interessi pubblici – tutte, negli anni recenti, soggette a mutazioni strutturali e rivisitazioni critiche in dottrina, ma ancora ben distinguibili, pur nelle odierne sistematiche “deboli” del diritto amministrativo6. Ai fini di queste note vengono in rilievo i modi in cui queste nozioni generali si articolano e configurano nei rapporti amministrativi tra pubblici poteri e soggetti privati, i quali – a seconda dei casi: I) sono incaricati di funzioni pubbliche o gestiscono pubblici servizi; II) svolgono iure privatorum, a norma di statuto, attività di interesse collettivo; III) o – infine – svolgono attività, prevalentemente a rilevanza economica, cui ineriscono interessi pubblici e che – perciò – sono soggette a conformazioni e controlli amministrativi. È utile richiamare rapidamente le connotazioni di ciascuna delle tre configurazioni dei rapporti amministrativi per comprendere a quale di esse debba esser ascritta l’attività dei sistemi di garanzia disciplinati dal t.u.b.
3. L’esercizio di funzioni pubbliche da parte di soggetti privati. L’esercizio di funzioni pubbliche, in senso proprio, da parte di sog-
3 In tema v., da ultimo, La risoluzione bancaria (con scritti di A. Nigro, Vattermoli, Santoni, Perrino, Inzitari, Amorosino e Guizzi) in Dir. banc., n. 4/2018, p. 657 ss. 4 Sia consentito il rinvio a Amorosino, L’Unione Bancaria Europea e l’egemonia delle decisioni politiche in Id, Le dinamiche del diritto dell’economia, Pisa, 2018, pp. 107 ss. 5 Cfr. Predieri, Commento all’art. 6 (paragrafi 1-5) in A.VV. Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia3, diretto da Capriglione, Tomo I, Milano, 2018, pp. 68-73. 6 Ci si limita, di proposito, a riferimenti manualistici: D’Alberti, Funzioni pubbliche e servizi pubblici in Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2012, pp. 131 ss.; Clarich, I servizi pubblici, in Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2013, pp. 363 ss.; Albisinni, La liberalizzazione dei servizi pubblici in AA.VV., Lezioni di diritto amministrativo progredito, a cura di Torchia, Bologna, 2010, pp. 97 ss.; Carullo, I servizi pubblici in Lezioni di diritto amministrativo dell’economia, Torino, 2017, pp. 281 ss.
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getti privati è stato ricondotto, soprattutto in passato, alla figura organizzatoria generale del munus publicum7, che si sostanzia nell’incarico/obbligo commesso a tali soggetti di svolgere un compito normativamente attribuito ad un organo o ente amministrativo. Esempio di scuola è il concessionario di costruzione e gestione di un’opera pubblica, o – in passato – il concessionario della gestione di un pubblico servizio, la cui prestazione era ex lege riservata ad un soggetto pubblico il quale poteva, tuttavia, affidarla all’esterno (un esempio, sino al 2005, era quello della concessione di gestione di un’autolinea interregionale, in regime di esclusiva su un determinato percorso). Com’è noto il contesto regolatorio in materia di pubblici servizi è profondamente mutato a causa sia del progresso tecnologico (si pensi alle telecomunicazioni) sia della lunga opera di uniformazione normativa della Comunità, poi dell’Unione europea. La sommatoria di questi fattori ha determinato la liberalizzazione dei mercati di molti pubblici servizi, con l’altrettanto nota, tendenziale generalizzazione del regime autorizzatorio (che – semplificando al massimo – si incentra nella verifica dei requisiti dell’operatore e nell’“abilitazione” ad operare in uno specifico mercato, aperto e concorrenziale). Tutto ciò nel più ampio ambito dell’esternalizzazione di funzioni pubbliche8, che riguarda molti tipi di attività (della revisione degli autoveicoli, alle “autocertificazioni” della conformità di progetti edilizi al piano regolatore comunale). Negli anni più recenti norme primarie e secondarie o – in via derivata – provvedimenti o convenzioni hanno affidato funzioni pubbliche ad enti privati. Ad esempio: l’organismo italiano di accreditamento delle imprese private che certificano la qualità di merci o servizi è stato individuato in una società mista, Accredia s.p.a. E per alcuni anni (ma ora non più) ai Consorzi di tutela dei Vini DOC e DOCG – enti associativi privati – è stata attribuita la funzione pubblica di controllare l’intera filiera di produzione dei vini “denominati” (dalla vigna all’imbottigliamento).
Picozza, Introduzione al diritto amministrativo, Milano, 2018, pp. 123 ss. Moliterni, Soggetti privati in veste pubblica: genesi, trasformazioni e prospettive dei rapporti concessori in L’organizzazione delle pubbliche amministrazioni tra Stato nazionale e integrazione europea, a cura di Cavallo Perin, Police e Saitta, Firenze, 2016, pp. 474 ss. 7 8
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Ancora: le Casse di previdenza dei professionisti sono enti privati soggetti ad una disciplina pubblicistica che prevede la natura obbligatoria delle contribuzioni, l’esazione coattiva delle somme dovute, l’obbligo di equilibrio economico finanziario. La Corte costituzionale ha riconosciuto il carattere pubblico del fine perseguito9. Infine – in campo finanziario – le società di gestione dei mercati finanziari (ad esempio: Borsa Italiana spa) sono autorizzate a gestire i c.d. mercati regolamentati (funzione in passato svolta da organismi pubblici). Negli esempi fatti il minimo comun denominatore è che una decisione del pubblico potere – in forma normativa, provvedimentale o convenzionale – ha attribuito ad organismi privati l’esercizio di funzioni pubbliche e che, in ragione di ciò, essi sono sottoposti a controlli o vigilanza, e talora ad indirizzi, da parte delle amministrazioni “di riferimento”. Peraltro, con riferimento al settore bancario ed ai suoi soggetti è ormai da cinquant’anni (quando le banche italiane erano in gran parte pubbliche ed esso si configurava come ordinamento settoriale) che, grazie a Mario Nigro10, fu definitivamente superata la definizione dell’attività creditizia come servizio pubblico. E sono trascorsi oltre quarant’anni da quando la prima direttiva comunitaria in materia bancaria ha qualificato quella creditizia come attività di mercato11. Ne deriva che i soggetti privati appartenenti all’ordinamento bancario italiano, come configurato dal t.u.b. – ivi compresi i sistemi di garanzia dei depositanti – non sono qualificabili come incaricati di pubbliche funzioni o esercenti di pubblici servizi. Nessun “mandato pubblico” risulta conferito al FITD dalla normazione bancaria, primaria e secondaria, né da provvedimenti singoli. I sistemi di garanzia – si anticipa – debbono essere “riconosciuti” dalla Banca d’Italia. Il “riconoscimento” consiste in un procedimento di controllo della sussistenza dei requisiti per svolgere l’attività statutaria e nella conseguente ammissione all’operatività nel mercato (v. infra). Gli interventi di sostegno di banche da parte del FITD devono essere
G. Rossi, Principi di diritto amministrativo, Torino, 2010, pp. 208 ss. M. Nigro, Profili pubblicistici del credito, Milano, 1969, pp. 105 ss. 11 Brescia Morra, L’attività dell’impresa bancaria, in Brescia Morra e Morera, L’impresa bancaria, volume del Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da Perlingieri, Napoli, 2006, p. 14. 9
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previamente vagliati dalla Banca d’Italia il che – tuttavia – non comporta che sia l’Autorità di vigilanza a deciderne il se, il quando ed il come. La valutazione riguarda la prevedibile idoneità tecnica della misura prefigurata dal Fondo a conseguire l’obiettivo di sostenere efficacemente la banca destinataria (anche alla luce del contesto regolatorio europeo in materia di crisi bancarie).
4. Gli enti privati che svolgono attività di interesse pubblico. Concettualmente diversa è la configurazione dei rapporti tra amministrazioni, in senso lato, e soggetti privati – di varia natura – che hanno come loro finalità istitutiva operare in settori di interesse collettivo o generale: cultura, sanità, assistenza sociale, promozione dello sviluppo economico locale, tutela di prodotti nazionali, ricerca scientifica applicata (ad esempio: in agricoltura), etc. Il perseguimento dei fini statutari da parte di questi enti privati – nell’ambito della rispettiva autonomia e senza alcun mandato pubblico – concorre obiettivamente a soddisfare anche uno o più interessi generali (ad esempio: il FAI concorre alla tutela e valorizzazione di beni culturali), ma avviene con strumenti rigorosamente privatistici (pur se, talvolta, con contributi finanziari pubblici). L’esempio più noto e studiato di questi enti privati (che operano in settori) di interesse pubblico è costituito dalle fondazioni di origine bancaria. Anche i Consorzi di tutela dei Vini, dopo aver “perso” le funzioni di controllo sulla intera filiera (in una prima fase affidate loro dal Ministero delle Politiche Agricole), rientrano tra gli enti privati che svolgono attività di interesse pubblico. Analoga qualificazione è ora attribuita alla variegata categoria degli enti del Terzo Settore12 – soggetti ad una disciplina specifica, il Codice (approvato con d.lgs. n. 117/2017) – in ragione della valenza sociale delle loro attività, ma senza alcuna correlata e generalizzata attribuzione di “mandati pubblici”. Il legislatore subordina la sottoposizione di questi enti privati ad un regime giuridico promozionale a due condizioni: a) che abbiano conformato la loro struttura al modello organizzatorio
V., ora, Amorosino, Il Terzo Settore tra pubblici poteri ed autonomia sociale, in Rass. dir. civ., n. 1/2019. 12
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delineato nel “Codice” e svolgano le rispettive attività secondo le regole in esso dettate; b) che abbiano ottenuto l’iscrizione al “Registro del Terzo Settore”, al termine di un procedimento di certazione, cioè di verifica della sussistenza dei requisiti richiesti. L’iscrizione nel Registro abilita gli enti a ricevere ausili patrimoniali pubblici (ad esempio: la concessione in uso di beni confiscati alla criminalità organizzata) a sostegno di progetti d’intervento nei settori di elezione, oppure ad essere affidatari di servizi sociali, con il ristoro delle sole spese di gestione. Come gli enti del Terzo Settore anche altri tipi di enti privati di interesse pubblico possono essere incaricati, da pubbliche amministrazioni, di svolgere attività o rendere prestazioni integrative o di fatto sostitutive di quelle ordinariamente svolte dalle amministrazioni pubbliche (ad esempio: il recupero dei tossicodipendenti). Il conferimento di questi “mandati pubblici” – per usare l’approssimativo linguaggio della Commissione europea – è tuttavia eventuale e non istituzionalizzato ed è sempre formalizzato in appositi atti singolari, provvedimentali o convenzionali. Nulla di tutto ciò è riscontrabile nell’organizzazione e nell’attività degli enti gestori dei sistemi di garanzia dei depositanti come delineata negli artt. 96 e seguenti del t.u.b.13: sono enti privati, utilizzano esclusivamente risorse private (delle banche aderenti) e possono (non “debbono”) autonomamente decidere di realizzare interventi nei confronti di banche in situazioni critiche. Tornando agli enti privati di interesse pubblico viene in rilievo un tratto comune a quasi tutte le categorie di essi: proprio in ragione della riconosciuta utilità, per la collettività, dell’efficiente e corretto svolgimento dei loro compiti istitutivi molte normative di settore ne prevedono la sottoposizione a forme di controllo o di vigilanza amministrativa, volta a volta di autorità indipendenti, di Ministeri o di Regioni.
5. L’inerenza di interessi pubblici ad attività private a rilevanza economica.
13 V. i commenti – rispettivamente – di Capriglione e Cercone all’art. 96; di Cercone agli artt. 96.2 e 96-bis e di Antonucci all’art. 96-ter, tutti in Commentario al TU delle leggi in materia bancaria, a cura di Capriglione, cit., Tomo II, pp. 1335 ss.
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Veniamo, infine, all’eterogenea “galassia” delle attività private (e pubbliche), il più delle volte a rilevanza economica, il cui svolgimento comporta “interferenze” con la tutela di interessi pubblici. L’inerenza14 di interessi pubblici legittima (ex artt. 41, 42 e 47 Cost.) una pluralità di “condizionamenti” giuridici, normativamente previsti, da parte di pubblici poteri. I meccanismi di incidenza sulle attività private possono assumere le seguenti configurazioni: I) la previsione di procedimenti di “consenso” (F. Benvenuti) pubblico allo svolgimento dell’attività e quindi all’ingresso del soggetto privato nel mercato “di riferimento”; II) l’attribuzione, da parte della regolazione di settore, all’“amministrazione competente” di un potere di conformazione della struttura organizzativa e delle modalità delle attività dei soggetti privati; III) la conseguente attribuzione ad una struttura amministrativa di poteri di controllo o di vigilanza, correttivi e sovente anche sanzionatori. Com’è noto quello bancario è il settore che registra la massima “concentrazione” dei tre tipi di meccanismi ora richiamati, i quali operano nei confronti non solo delle banche, ma anche – per correlazione sistemica – degli altri soggetti dell’ordinamento bancario, tra i quali gli enti gestori dei sistemi di garanzia. I sistemi di garanzia hanno la forma giuridica di consorzi privati e struttura analoga a quella di una società di capitali15. Le risorse finanziarie da destinare alle attività istituzionali sono fornite dalle banche aderenti. Che l’adesione ad uno dei sistemi di garanzia sia obbligatoria non retroagisce minimamente sulla loro natura privatistica; alcune leggi di settore prevedono addirittura l’adesione obbligatoria di imprese private ad enti pubblici (ad esempio: i consorzi di bonifica) senza che ne venga perciò mutata la natura. E, rimanendo al sistema bancario, è obbligatoria l’adesione delle società bancarie anche all’Arbitro Bancario e Finanziario, la cui natura (pubblica o privata) è controversa, ma la cui funzione è sicuramente di interesse pubblico16.
M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1995, pp. 124 ss. Brescia Morra, Il diritto delle banche, Bologna, 2016, p. 301 ss.; il lavoro monografico più completo in tema è di Sabbatelli, Tutela del risparmio e garanzia dei depositi, Padova, 2012. 16 Amorosino, Natura giuridica e funzioni di interesse pubblico dell’ABF in Id., La regolazione pubblica delle banche, Milano, 2016, pp. 191 ss. 14 15
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In realtà tutti i rapporti amministrativi tra l’Autorità “di riferimento”, la Banca d’Italia, ed il FITD rientrano perfettamente nelle tre tipologie di intervento di pubblici poteri sull’organizzazione e lo svolgimento di attività private cui ineriscono interessi pubblici (nella fattispecie: la stabilità e reputazione del sistema bancario, la tutela dei risparmiatori e, ove possibile, la continuità dell’impresa bancaria). È sufficiente leggere l’art. 96 ter del t.u.b.17 (nel testo novellato dal d.lgs. n. 30/2016) per riscontrare: a) che il potere di Banca d’Italia di «riconoscere» il sistema, previa approvazione dello statuto e – per quanto qui interessa – la «verifica della sussistenza di procedure e sistemi appropriati per selezionare gli interventi di sostegno», è un tipico procedimento di controllo preventivo ai fini dell’ammissione al mercato. In termini giuridicamente più precisi (Antonucci): nell’ambito del procedimento “di riconoscimento” la Banca d’Italia esercita un potere di conformazione del contratto associativo e dello statuto nonché dei regolamenti interni al fine di assicurare l’idoneità dell’ente a perseguire correttamente ed efficacemente la propria missione; b) che l’attività del FITD è sottoposta alla vigilanza ed ai poteri di intervento di Banca d’Italia secondo il modello previsto per le banche; c) che gli interventi del FITD nei confronti di banche in dissesto possono essere effettuati previa comunicazione alla Banca d’Italia la quale ne valuta la congruità e la prevedibile idoneità a conseguire l’obiettivo proposto (di “stabilizzazione” della banca e, quindi, di stabilità sistemica). L’obbligo di comunicazione deriva dall’art. 93 ter del t.u.b. giusta il quale «I sistemi di garanzia informano tempestivamente la Banca d’Italia degli atti…di maggior rilievo relativi all’esercizio delle proprie funzioni». L’informativa innesca un’interlocuzione fisiologica tra il Fondo e l’Autorità di vigilanza, che ha per oggetto la praticabilità e le modalità dell’intervento. Non è più previsto dal testo attuale dell’art. 93-ter un atto autorizzatorio della Banca d’Italia (com’era, invece, all’epoca della vicenda Tercas). La soppressione dell’autorizzazione è stata disposta dal d.lgs. n. 30/2016 per togliere ogni appiglio alla Commissione europea, la quale aveva fondato anche su di essa la tesi dell’imputazione ad una decisione pubblica dell’intervento del FITD a sostegno di Tercas. L’eliminazione dell’autorizzazione “formale” non ha mutato sostan-
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Antonucci, Commento all’art. 96-ter, cit.
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zialmente il rapporto tra il Fondo e l’Autorità vigilante, la quale – in caso di esito positivo dell’interlocuzione tecnica con il Fondo – “prende atto” della decisione di intervenire, con una sorta di implicito “si proceda”. In termini amministrativistici vi è un accordo18 procedimentale in forza del quale – ove il Fondo si sia adeguato ai “suggerimenti” di Banca d’Italia – l’Autorità di vigilanza non esercita il suo generale potere di “blocco” delle attività pregiudizievoli19. È una particolarità rispetto alle fattispecie più frequenti di accordi procedimentali nei quali l’amministrazione si impegna ad un agere, cioè ad adottare il provvedimento il cui contenuto è stato concordato con il privato. Viceversa nel caso in esame la Banca d’Italia si impegna tacitamente ad un non agere, cioè a non intervenire (purché l’intervento venga realizzato con le modalità definite ed – ovviamente – non sopravvengano avvenimenti che modificano in negativo la situazione prefigurata dal Fondo interveniente e ritenuta plausibile dall’Autorità di vigilanza). Come si vede – pur operando per linee interne (“ad Commissionem vitandam”) – siamo in presenza di un esercizio doveroso e sostanziale della funzione di vigilanza configurato in modo da escludere in radice qualsiasi funzionalizzazione pubblicistica del sistema di garanzia, peraltro ontologicamente estranea all’attuale sistema regolatorio europeo.
Sandro Amorosino
Cirillo, Sistema istituzionale di diritto comune, Milano, 2018, p. 85. Pilati, Commento all’art. 53 bis, in Commento al T.U. delle leggi in materia bancaria, cit., Tomo I, pp. 630 ss. 18 19
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MITI E REALTÀ
Avvocati Un avvocato incompetente può far rimandare un processo per mesi o anni. Uno bravo può farlo rimandare in eterno. (Evelle Jansen Younger) Bisogna sempre dire chiaramente o francamente le cose al proprio avvocato, ci penserà lui, poi, a imbrogliarle. (Alessandro Manzoni) Chi ride per ultimo ha il miglior avvocato. (Anonimo) Domattina alle sei sarò giustiziato per un crimine che non ho commesso. Dovevo essere giustiziato alle cinque, ma ho un avvocato in gamba. (Woody Allen) Gli avvocati, questi girarrosti delle leggi che, a forza di girarle e rigirarle, finiscono per cavarne un arrosto per loro. (Heinrich Heine) – Scusi, avvocato, a quanto ammonta la sua parcella per una consultazione? – Cinquanta dollari ogni tre domande. – Non le sembra una tariffa molto cara? – Sì. Ora mi faccia pure l’ultima domanda. (Michael Rafferty)
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Miti e realtà
Si sa che gli avvocati hanno strappato a riluttanti giurie trionfanti verdetti di non colpevolezza per i loro clienti anche quando questi clienti, come spesso accade, erano chiaramente e indiscutibilmente innocenti. (Oscar Wilde) L’avvocato è un uomo che salva i vostri beni dai vostri nemici, tenendoseli per sé. (Lord Brougham) Esistono due tipi di giustizia: gli avvocati che conoscono bene la legge e gli avvocati che conoscono bene il giudice. (Coluche) Un buon avvocato conosce la legge. Un bravo avvocato conosce il giudice. Ma il miglior avvocato conosce l’amante del giudice. (Anonimo) 2 2 2 2 2
+2 +2 +2 +2 +2
= 4 lo dice ogni libro = 4 lo spiega l’insegnante = 4 lo sa ognuno di noi = 5 il politico fa che accada =? l’avvocato chiede sempre, che cosa vuoi che diventi? (Anonimo)
Se pensi che parlare non costi nulla, prova ad assumere un avvocato. (Anonimo)
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Banche
Banche Date a un uomo una pistola e lui può rapinare una banca. Date a un uomo una banca e lui può derubare il mondo. (Anonimo) Dio non gioca a dadi. I banchieri si. (Anonimo) Conto corrente. Offerta volontaria al mantenimento della vostra banca. (Ambrose Bierce) Anche il diavolo ha le sue chiese: le banche (Fragmentarius) Uno sguardo che bisogna chiamare lo sguardo del banchiere, e che ha qualcosa di quello degli avvoltoi e degli avvocati: è avido e indifferente, chiaro e scuro, brillante e cupo. (Honoré de Balzac) Credo sinceramente che gli istituti bancari sono più pericolosi degli eserciti permanenti, e che il principio di spendere denaro a carico dei posteri, sotto il nome di debito pubblico, non è che una truffa futura su larga scala (Thomas Jefferson) Bernanke: “Non possono essere le banche nazionali a risolvere i problemi economici”. Sono troppo impegnate a crearli. (Anonimo) Una banca propone un nuovo conto giovani denominato “Conto Jerome Kerviel”. Il conto prevede 4,9 miliardi di euro scoperto senza autorizzazione. (Fragmentarius)
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Miti e realtà
Meno male che la popolazione non capisca il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo capisse, credo che prima di domani scoppierebbe una rivoluzione. (Henry Ford) L’estratto conto è uno dei più formidabili strumenti di controllo planetario. (Beppe Grillo) Permettetemi di emettere e gestire la moneta di una nazione, e me ne infischierò di chi ne fa le leggi. (Mayer Anselm Rothschild) La banca d’affari Lehman Brothers è fallita nel 2009 con un buco di 613 miliardi di dollari e almeno 613 domande a cui nessuno ha dato risposta. (Fragmentarius)
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
LEGISLAZIONE
Procedure di allerta e banche
I Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155 (Omissis) Art. 14 Obbligo di segnalazione degli organi di controllo societario 1. Gli organi di controllo societario, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, hanno l’obbligo di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se sussiste squilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organi amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi. 2. La segnalazione deve essere motivata, fatta per iscritto a mezzo posta elettronica certificata o comunque con mezzi che assicurino la prova dell’avvenuta ricezione, e deve contenere la fissazione di un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese. In caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, i soggetti di cui al comma 1 informano senza indugio l’OCRI, fornendo ogni elemento utile per le relative determinazioni, anche in deroga al disposto dell’art. 2407, primo comma, del codice civile quanto all’obbligo di segretezza. 3. La tempestiva segnalazione all’organo amministrativo ai sensi del comma 1 costituisce causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal predetto organo, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione, a condizione che, nei casi previsti dal secondo periodo del comma 2, sia stata effettuata tempestiva segnalazione all’OCRI. Non costituisce giusta causa di revoca dall’incarico la segnalazione effettuata a norma del presente articolo.
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Legislazione
4. Le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 del testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti. (Omissis) II Relazione illustrativa al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Omissis) Art. 14 Obbligo di segnalazione degli organi di controllo societari L’articolo 14 pone a carico degli organi di controllo societari, del revisore contabile e della società di revisione, ciascuno nell’ambito delle rispettive funzioni, il duplice obbligo di verificare che l’organo amministrativo monitori costantemente l’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa, il suo equilibrio economico-finanziario ed il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’eventuale esistenza di fondati indizi della crisi. Il comma 2 disciplina in dettaglio le modalità della segnalazione cui sono tenuti gli organi di controllo, di modo che essa possa risultare tempestiva ed efficace, aprendo una sorta di dialogo tra i due organi diretto ad individuare le soluzioni possibili e le iniziative concretamente intraprese, in difetto delle quali gli organi di controllo sono tenuti ad attivare la procedura di allerta «esterna» mediante sollecita ed idonea segnalazione all’organismo di composizione della crisi d’impresa, corredata da tutte le informazioni necessarie, anche in deroga all’obbligo di segretezza prescritto dall’art. 2407, comma 1, c.c. In attuazione dei principi di cui all’art. 4, comma 1, lett. f), legge delega n. 155/2017, il comma 3 individua nella tempestiva segnalazione all’organismo di composizione della crisi una causa di esonero dalla responsabilità solidale degli organi di controllo societari per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o delle azioni successivamente poste in essere dall’organo amministrativo in difformità delle prescrizioni ricevute, a meno che esse siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione medesima; il tutto, ferma restando la prosecuzione dell’esercizio delle funzioni proprie degli organi di controllo, in modo da consentire loro di adempiere in assoluta autonomia alle proprie funzioni. Per superare eventuali carenze nei meccanismi di comunicazione interna tra gli organi societari, e comunque per stimolare la massima tempestività nell’attivazione del meccanismo bifasico di allerta (prima) interna e (poi) esterna, il comma 4 impone agli istituti di credito ed agli altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 del testo unico bancario di dare notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti, delle variazioni, revisioni e revoche degli affidamenti comunicate al cliente (Omissis)
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Giovanni Falcone
Obblighi e responsabilità della banca e dell’intermediario finanziario nelle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi
Sommario: 1. Aspetti generali. – 2. Il flusso informativo tra creditori finanziari e organi di controllo societari. – 2.1. Profili di responsabilità dell’intermediario. – 2.2. Il contenuto dell’obbligo di comunicazione verso gli organi di controllo societari. – 3. Le conseguenze della attivazione della procedura di allerta sui contratti bancari in corso. – 3.1. (Segue). L’accesso alla procedura di composizione assistita della crisi.
1. Aspetti generali. Con l’emanazione del d. lgs. n. 14 del 2019 (“Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”) l’ordinamento concorsuale domestico registra, per la prima volta (almeno ove si faccia riferimento alla disciplina “generale” della crisi dell’impresa), l’introduzione di “strumenti di allerta”, consistenti in “obblighi di segnalazione” da parte di soggetti “qualificati”, ed aventi come comune finalità quella della “tempestiva rilevazione degli indizi di crisi d’impresa” e la “sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione”. Tale previsione costituisce senza dubbio una delle più rilevanti ed ambiziose innovazioni introdotte nell’ambito di una riforma che – non senza enfasi terminologica – intende realizzare una disciplina della materia concorsuale che abbia le caratteristiche di un vero e proprio “codice”. Al di là di considerazioni riguardanti il frequente (ma forse improprio) ricorso del legislatore alla nozione da ultimo evocata nella realizzazione di provvedimenti normativi che (pur riordinando materiale normativo pregresso ed introducendo istituti nuovi) sembrano mancare di quei tratti di completezza e di sistematicità che all’idea di “codice” dovrebbero essere intrinseci, resta la circostanza che l’inserimento nel sistema concorsuale della disciplina degli strumenti di allerta1 si pone
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Sul punto Nigro e Vattermoli, Disciplina delle crisi dell’impresa societaria, doveri degli amministratori e strumenti di pianificazione: l’esperienza italiana, in Crisi
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Legislazione
come una scelta di politica del diritto particolarmente rilevante, soprattutto ove si ricordi che il dibattito in ordine alla opportunità di tali istituti ha già conosciuto momenti di (seppur ondivaga) intensità2, segnando il proprio apice quando, nell’ambito dei lavori della c.d. “commissione Trevisanato”, si era pervenuti ad ipotizzare la loro introduzione. Si tratta, quindi, di un tema particolarmente delicato, e probabilmente destinato ad essere oggetto di un supplemento di riflessione all’esito delle prime sue applicazioni pratiche. In questo contributo si intende peraltro esaminare il tema dal particolare angolo prospettico dei finanziatori, e, in particolare, delle banche e degli altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 t.u.b.: soggetti la cui presenza e la cui posizione giuridica risultano evocate discontinuamente all’interno della disciplina contenuta nel Titolo II del Codice (vale a dire, per l’appunto, quello dedicato alle «procedure di allerta e di composizione assistita della crisi»), ma che, comunque, risultano necessariamente coinvolti nelle vicende che riguardano l’impresa nella cui operatività siano riscontrabili «fondati indizi della crisi» (art. 14, co. 1). In particolare, mette conto di evidenziare soprattutto due previsioni: a) quella contenuta nell’art. 12, co. 3, che riguarda la “salvaguardia” dei contratti (e, tra questi, degli “affidamenti” bancari) in caso di attivazione della procedura di allerta o di presentazione della istanza di composizione assistita della crisi; e b) quella risultante dall’ 14, co. 4, che prescrive un obbligo informativo all’intermediario (bancario o finanziario), nei confronti degli “organi di controllo societari”, avente per oggetto alcune individuate vicende degli “affidamenti” concessi. Privilegiando un esame che rispetti l’andamento “cronologico” delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, pare opportuno prendere le mosse proprio dall’ultima disposizione citata, tentandone un inquadramento per quanto possibile organico all’interno della
d’impresa e insolvenza, 1 novembre 2018; A. Rossi, Dalla crisi tipica ex CCI alle persistenti alterazioni delle regole di azione degli organi societari nelle situazioni di crisi atipica, ivi, 11 gennaio 2019; si veda ancora Brodi, Tempestiva emersione e gestione della crisi d’impresa. Riflessioni sul disegno di un efficiente “sistema di allerta e composizione”, in Quaderni di Economia e Finanza della Banca d’Italia, giugno 2018; Spolidoro, Procedure d’allerta, poteri individuali degli amministratori non delegati e altre considerazioni sulla composizione anticipata della crisi, in Riv. soc., 2018, I, pp.171 ss. 2 Sul punto Boccuzzi, I meccanismi di allerta e di prevenzione e le procedure stragiudiziali, in Dir. fall., 2005, I, pp. 626 ss.; A. Jorio, Su allerta e dintorni, in Giur. comm., 2016, I, pp. 261 ss.
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disciplina degli strumenti di allerta, e, successivamente, articolandone un possibile raccordo con la disciplina dettata in materia di “protezione” dei contratti.
2. Il flusso informativo tra creditori finanziari e organi di controllo societari. La previsione contenuta nell’art. 14 co. 4 – secondo la quale «le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti» - merita innanzi tutto di essere considerata sotto il profilo della sua “genesi”. Non risulta, a ben vedere, traccia di un simile adempimento facente capo alle banche o agli intermediari finanziari nelle disposizioni della legge delega, all’interno della quale, al riguardo, viene previsto, tra i principi e i criteri direttivi, “unicamente” quello di «porre a carico degli organi di controllo societari, del revisore contabile e delle società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, l’obbligo di avvisare immediatamente l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati indizi della crisi (…)»3. Il legislatore delegato ha perciò ritenuto di aggiungere una “appendice” a tale disposizione, prevedendo un obbligo al quale non può che riconoscersi natura strumentale, o “ancillare”, rispetto al distinto obbligo di segnalazione, facente capo all’organo di controllo (compiutamente declinato nei commi precedenti dell’art. 14 c.c.i.). Se così è, se ne deve concludere che, negli intendimenti e nel convincimento del legislatore delegato, la conoscenza di notizie relative alle vicende del rapporto di affidamento possa (se non altro) contribuire rendere più agevole l’obbligo, che fa capo all’organo di controllo, di «segnalare immediatamente» la «esistenza di fondati indizi della crisi» all’organo amministrativo: ma, si direbbe – ancor prima e necessaria-
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Sul ruolo degli organi di controllo societari nell’ambito dei meccanismi di allerta in una prospettiva aziendalistica, Bernardi e Talone, a cura di, Sistemi di allerta interna. Il monitoraggio continuativo del presupposto di continuità aziendale e la segnalazione tempestiva dello stato di crisi da parte degli organi di vigilanza e controllo societario, in Quaderni SAF, n. 71, Milano, 2017.
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mente – di facilitare all’organo di controllo la individuazione di tali indizi. Beninteso, l’obbligo di segnalazione all’organo amministrativo fa capo non soltanto agli organi di controllo societari, ma anche al revisore contabile ed alla società di revisione, «ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni» (art. 14, co. 1, c.c.i.), e purtuttavia l’obbligo di “notiziare” posto in capo alle banche e agli intermediari finanziari si indirizza unicamente «agli organi di controllo societari, se esistenti»: la scelta, come si tenterà di argomentare, non può che ricondursi alla constatazione di un diverso accesso, da parte dei diversi soggetti chiamati alla “segnalazione”, alle informazioni relative alla gestione societaria. Benché l’introduzione dell’obbligo di notiziare l’organo di controllo non trovi riscontro – come appena ricordato – nel contenuto della legge delega, nondimeno deve ricordarsi che la evocazione di un ruolo degli intermediari bancari e finanziari non è un tema del tutto nuovo nel dibattito di politica legislativa sulle dinamiche dei meccanismi di allerta. Si può far richiamo, qui, ad esempio, alla proposta di emendamenti approvata dal Consiglio e dal Parlamento europeo sulle modifiche da apportare alla proposta di direttiva relativa ai quadri di ristrutturazione preventiva delle imprese4. Si era ipotizzato, al riguardo, un emendamento all’art. 3, in forza del quale tra gli strumenti di “early warning” avrebbero potuto annoverarsi «regular reporting or information obligations for third parties, such as accountants, tax and social security authorities or certain types of creditors such as banks». Ciò evidentemente è sufficiente a dare misura, se non altro, del fatto che la possibilità di coinvolgere banche ed intermediari finanziari nell’ambito del funzionamento dei meccanismi di allerta ha costituito un motivo di riflessione importante: e questo ancorché il riferimento alle banche sia poi venuto meno nel testo del “final compromise”, raggiunto con la Commissione, del 17 dicembre 20185.
4 Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del consiglio «riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti, e che modifica la direttiva 2012/30/UE, del 22 novembre 2016». Gli emendamenti cui si fa riferimento sono quelli risultanti dal Report del 25 luglio 2018. Sulla proposta, si veda Nigro, La proposta di direttiva comunitaria in materia di disciplina della crisi delle imprese, in Riv. dir. comm., 2017, I, pp. 201 ss. 5 Nella versione del “Final Compromise”, il punto 1.a dell’art. 3 viene infatti così riformulato: «Early warnings toos may include the following: (a) alert mechanisms when the debtor has not made certain types of payments; (b) advisory services by public or
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Una prima riflessione in merito alla nuova previsione di una attivazione dei creditori finanziari nel funzionamento del meccanismo di allerta riguarda la sua effettiva necessità: ci si potrebbe, cioè, domandare se non appartenga (o se non debba appartenere) già all’ambito oggettivo dei compiti dell’organo societario di controllo la presa di conoscenza delle notizie inerenti le vicende delle linee di credito intrattenute dalla società con banche o intermediari finanziari. A tale riguardo, sembra però di dover piuttosto ritenere che l’acquisizione di tali informazioni afferisca più tipicamente all’ambito della attività di revisione legale dei conti, rientrando nel novero delle attività del collegio sindacale soltanto quando a quest’ultimo organo risulti affidata detta attività, in forza di una specifica opzione statutaria ed ai sensi dell’art. 2409-bis, co. 2, c.c.6. È infatti nell’ambito dell’esercizio della revisione legale dei conti7 che può più ragionevolmente essere acquisita la notizia relativa a variazioni, o revisioni o revoche degli affidamenti: in particolare, tra le previsioni contenute nell’art. 14 del d. lgs. n. 39 del 2010, risulta significativa la verifica «nel corso dell’esercizio», della «regolare tenuta della contabilità sociale» e della «corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili» (art. 14, co. 1, lett. a); e altrettanto significativo il diritto, riconosciuto al revisore, di «ottenere dagli amministratori documenti e notizie utili all’attività di revisione legale» e di «procedere ad accertamenti, controlli ed esame di atti e documentazione» (art. 14, co. 6). Una indiretta conferma di tale conclusione può ravvisarsi nella constatazione che il revisore contabile e la società di revisione sono anch’essi destinatari dell’obbligo di immediata segnalazione all’organo amministrativo della «esistenza di fondati indizi della crisi», ma – a differenza di quanto accade per l’organo di controllo societario – non sono visti come destinatari della “notizia” proveniente da banche ed intermediari finanziari ex art. 14 ult. cpv.: segno che il legislatore ha ritenuto che per questi soggetti l’accesso alle informazioni in discorso sia da considerarsi quanto meno più “agevole”.
private organisations; (c) incentives under national law for third parties with relevant information about the debtor, such as accountants, tax and social security authorities to flag to the debtor a negative development». 6 Sul ruolo giocato dall’organo di controllo nella crisi di impresa, Russo, Collegio sindacale e prevenzione della crisi d’impresa, in Giur. comm., 2018, I, pp. 119 ss. 7 In tema Miotto, La funzione di revisione legale: intersezione fra disciplina dell’attività e dei soggetti, in Riv. soc., 2018, pp. 433 ss.
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2.1. I profili di responsabilità dell’intermediario. Alla luce di tale premessa, occorre peraltro domandarsi quali conseguenze possano riconnettersi alla violazione, da parte della banca o dell’intermediario finanziario, dell’obbligo fissato dall’ultimo comma dell’art. 14, vale a dire alla mancata notizia agli organi di controllo societari (se esistenti) della comunicazione al proprio cliente di «variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti». La domanda non è di poco momento, laddove si consideri – come del resto si è ipotizzato – che l’obbligo di comunicazione facente capo alla banca possa configurarsi come strumentale all’adempimento dell’obbligo dell’organo di controllo di effettuare la segnalazione (avendo potuto quest’ultimo eventualmente apprezzare anche dalle informazioni relative alle vicende degli affidamenti la ricorrenza di “fondati indizi della crisi”). Per l’organo di controllo, la mancata tempestiva segnalazione all’organo amministrativo può comportare una responsabilità solidale «per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal predetto organo, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione (…)». È quanto si può desumere “a contrario” dalla lettera del secondo comma dell’art. 14, che attribuisce alla tempestiva segnalazione la qualità di “causa di esonero” da detta responsabilità solidale. Pare possibile individuare un rapporto tra la previsione di responsabilità dell’organo di controllo appena ricordata e la regola di responsabilità solidale fissata dal secondo comma dell’art. 2407 c.c. laddove si interpreti l’obbligo di verifica di cui al primo comma dell’art. 14 come estrinsecazione concreta dell’obbligo di vigilanza sui “fatti o le omissioni” degli amministratori. In questa prospettiva la responsabilità solidale rispetto alla quale si sancisce l’esonero (alla ricorrenza delle condizioni previste dalla norma) ricadrebbe nell’ambito di quella individuata nel secondo comma dell’art. 2407 c.c. Nella disciplina del c.c.i. difetta, però, a ben vedere, la rilevanza del nesso di causalità (individuata espressamente nella norma da ultimo ricordata) tra mancata segnalazione all’organo amministrativo e «conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal predetto organo»: nondimeno, la riconduzione della previsione di responsabilità all’alveo dell’art. 2407, co. 2, c.c., comporta evidentemente la necessità della prova del nesso causale anche nell’ipotesi di responsabilità qui evocata. Ci si potrebbe però ancora domandare se – per l’ipotesi in cui il «fondato indizio della crisi» possa essere ricavato attraverso l’analisi delle dinamiche degli affidamenti bancari o finanziari – la mancata “notizia”
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da parte della banca non possa comportare un effetto “perverso” di coinvolgimento di quest’ultima nella responsabilità dell’organo di controllo, o comunque fondare aliunde un titolo di responsabilità del creditore. Da un lato, cioè, potrebbe ipotizzarsi che nell’inadempimento dell’organo di controllo (riconducibile all’area della responsabilità contrattuale) possa concorrere la banca o l’intermediario, a titolo di illecito aquiliano: ipotesi che, peraltro, implicherebbe la necessità di una consapevolezza, da parte dell’intermediario, del danno arrecato per effetto della propria omissione o per effetto della propria comunicazione non veritiera (in questo caso, quindi, richiedendosi, a livello soggettivo, la sussistenza del dolo). Dall’altro, si potrebbe peraltro anche, per converso, tratteggiare una responsabilità “diretta” per lesione del diritto di credito, nella misura in cui il comportamento omissivo o commissivo dell’intermediario, ritardando l’applicazione degli strumenti di allerta, abbia avuto una efficienza causale nell’aggravamento della crisi (e, dunque, nella riduzione delle possibilità di soddisfacimento da parte degli altri creditori, arrecando un vulnus alle loro pretese). In entrambi i casi, poi, l’interrogativo si dovrebbe evidentemente convertire in quello relativo alla efficienza causale dell’omissione da parte della banca sull’inadempimento da parte dell’organo di controllo. L’esclusione di una rilevanza del comportamento della banca fondata sulla considerazione che – comunque – un obbligo di segnalazione all’organo amministrativo grava anche sul “revisore contabile” o sulla società di revisione appare non appagante: da un lato perché l’obbligo di segnalazione grava tanto sui soggetti da ultimo richiamati che sull’organo di controllo, ma distintamente (principio che l’art. 14, co. 1 c.c.i. richiama con l’espressione «ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni»); dall’altro perché il controllo contabile (per l’ipotesi di adesione al sistema “tradizionale”) potrebbe essere stato attribuito, in forza di opzione statutaria, allo stesso collegio sindacale. Nondimeno, se la premessa è che l’informativa della banca all’organo di controllo è strumentale rispetto all’obbligo di segnalazione di quest’ultimo (in quanto è possibile, o comunque non può escludersi, che dalle notizie relative alle vicende del rapporto di affidamento possano trarsi convincimenti in merito alla ricorrenza di fondati indizi della crisi), parimenti non potrà escludersi che la violazione dell’obbligo di informativa possa configurarsi, sia pur mediatamente, come fonte di danno per l’impresa, anche in applicazione del criterio del c.d. “rischio specifico”8.
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Sul punto Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 2012, pp.145 ss.
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Se la mancata informativa da parte della banca, cioè, è tale da aggravare apprezzabilmente il rischio del verificarsi di un evento (che potrebbe in astratto identificarsi nell’aggravamento della situazione di crisi, derivante dalla mancata tempestiva attivazione della procedura di allerta, o dei successivi strumenti predisposti dalla normativa concorsuale allo scopo di intervenire precocemente sulla crisi prima che questa assuma connotati di maggiore gravità) – nella misura in cui l’organo di controllo venga privato, a causa del comportamento omissivo dell’intermediario, di un parametro di giudizio che potrebbe talora rivelarsi essenziale ai fini della rilevazione di “fondati indizi di crisi” - tale comportamento, laddove per questo motivo implicasse la non attivazione dell’organo di controllo attraverso la segnalazione, cesserebbe di essere una semplice “occasione di danno”, e potrebbe concretamente prospettarsi come “causa” del medesimo. Il comportamento omissivo della banca, laddove causalmente collegato alla condotta omissiva dell’organo di controllo, potrebbe quindi prospettarsi come legato al prodursi di un danno sul patrimonio sociale tale da riverberarsi sui creditori in quanto lesivo della garanzia patrimoniale rappresentata dal primo. Le apparenti “assonanze” di tale ipotizzata forma di responsabilità con quella da concessione abusiva di credito9 devono però cedere il passo al rilievo di oggettive differenze10. Da un lato, rileva il fatto che, nell’ipotesi prospettata, non sembrerebbe dubitabile che il danno riconducibile al comportamento omissivo della banca – ove, beninteso, munito, nel senso sopra indicato, di efficienza causale – riguardi la generalità dei creditori della società in quanto, in ipotesi, lesivo in modo indifferenziato della garanzia patrimoniale generica rappresentata dal patrimonio della società; dall’altro, rileva anche la circostanza che appare più difficile ipotizzare (come invece pur si ipotizza relativamente alla concessione abusiva del credito) la configurabilità di un concorso della banca nell’inadempimento dell’organo
9 In tema Nigro, La responsabilità delle banche nell’orgazione del credito alle imprese in “crisi”, in Giur. comm., 2011, I, pp. 305 ss. 10 Sui confini della responsabilità da concessione abusiva di credito, recentemente Inzitari e Depetris, Abusiva concessione di credito, legittimazione del curatore, danno alla massa ed al soggetto finanziato, in Dir. fall., 2018, I, pp. 1035-1081. In tema anche Vitiello, Il ruolo delle banche nell’aggravamento e nella soluzione della crisi d’impresa, in Questione giustizia, 2017, (3), pp. 193-203. Da ultimo si segnala Cass., 14 maggio 2018, n. 11696, in Dir. fall., 2018, II, 1167 ss., con nota di Fava, Danno da abusiva concessione di credito e presupposto soggettivo del terzo creditore: una problematica ricostruzione delle tutele.
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di controllo consistente nella omissione della segnalazione da parte di quest’ultimo, non foss’altro che per il fatto che l’oggetto della “comunicazione” dell’intermediario è diverso da quello della “segnalazione” dell’organo di controllo. Il primo, infatti, è riferito alle vicende negoziali dell’affidamento; il secondo, invece, alla sussistenza di fondati indizi della crisi. La possibilità, d’altra parte, di un concorso dell’intermediario nella responsabilità dell’organo di controllo sarebbe a sua volta condizionata dalla ricostruibilità di una responsabilità solidale di quest’ultimo «per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni» poste in essere dall’organo amministrativo successivamente al momento in cui l’organo di controllo avrebbe dovuto effettuare la segnalazione, e che non siano «conseguenza diretta di decisioni» che l’organo amministrativo ha assunto prima del momento in cui la segnalazione avrebbe dovuto essere effettuata. In questa prospettiva, ai sensi del nuovo art. 255 c.c.i., sembrerebbe ipotizzabile anche una legittimazione del curatore ai sensi della lettera b) del comma 1 di quell’articolo. 2.2. Il contenuto dell’obbligo di comunicazione verso gli organi di controllo societari. Quanto al contenuto obiettivo della norma che impone alle banche ed agli intermediari finanziari ex art. 106 t.u.b. di dare notizia «anche agli organi di controllo societari, se esistenti», nel momento in cui «comunicano al cliente variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti», la formulazione della norma si presta ad una molteplicità di osservazioni (anche critiche). La prima si fonda, essenzialmente, sull’utilizzo, all’interno dell’art. 14, co. 4 (ma ragionamento identico potrebbe condursi relativamente all’art. 12, co. 3), del termine “affidamento”: termine che, nondimeno, nello stesso ambito giuridico presenta tratti di “ambiguità”11, e che, comunque, si presta ad assumere caratteri e connotazioni anche molto diversi
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Lo rileva Fauceglia, I contratti bancari, Torino, 2005, pp. 323-324, includendo nella medesima considerazione anche l’utilizzo del termine “fido”; l’A. ricorda che «la prassi bancaria utilizza le espressioni “affidamento” o “fido bancario” per descrivere riassuntivamente il complesso dei rapporti contrattuali attraverso i quali si realizza l’attività propria ed esclusiva delle banche nell’impiego del risparmio raccolto, al fine di creare disponibilità finanziarie in favore della clientela, ovvero, più specificamente, l’ammontare del credito che la banca concede in ragione delle valutazioni sulle caratteristiche patrimoniali e reddituali del richiedente».
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a seconda del contesto in cui venga evocato (a partire da quello della tecnica bancaria, per continuare con la scienza aziendalistica, per terminare con il “discorso” giuridico). Sorge, così, innanzi tutto l’interrogativo se, con l’utilizzo del termine “affidamento”, il legislatore abbia inteso fare propri i risultati della riflessione dottrinale che ha cercato di individuare progressivamente i contenuti concreti della sua nozione giuridica (che hanno fatto perno sulla sostanziale equipollenza tra “affidamento” e “fido”)12, o non piuttosto fare riferimento alla nozione di “affidamento” rinvenibile nella prassi bancaria. La distinzione non è di poco momento: nella prima prospettazione, il “fido” o “affidamento” si presta ad essere assimilato al concetto di “assunzione di rischio” nei confronti di uno specifico soggetto13, mentre nel secondo caso l’utilizzo di quei termini conduce ad una assimilazione, molto più “selettiva”, soprattutto al contratto di apertura di credito14, o, comunque, ad un contratto di credito che – pur non riconducibile alla figura codicistica della apertura di credito in conto corrente – sia nondimeno caratterizzato dalla ricorrenza di una clausola di rotatività quanto al suo utilizzo. E che il significato del termine attribuito dal legislatore del c.c.i. al termine “affidamento” sia verosimilmente quest’ultimo appare indirettamente confermato dalla circostanza che vi sono riferite vicende come la “revoca” o la “riduzione”, che non potrebbero avere ad oggetto contratti di credito diversi: segnatamente non avrebbero senso alcuno se riferiti ai contratti di finanziamento caratterizzati da una erogazione di denaro con contestuale traslazione della titolarità della somma, come tipicamente il mutuo. Se così fosse, peraltro, la norma apparirebbe da principio “monca”: ed, infatti, non si comprenderebbe la motivazione per la quale la banca, gravata dell’obbligo di “notiziare” relativamente alle vicende inerenti agli “affidamenti”, non avrebbe invece analogo obbligo per le concessioni di credito non riconducibili, nel significato corrente, alla nozione di affida-
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Si deve al riguardo soprattutto ricordare l’importante lavoro di Morera, Il fido bancario, Milano, 1998. 13 Morera, Il fido, cit., p. 22. 14 Ne danno atto Spinelli – Gentile, Diritto bancario, Padova, 1991, p. 236; e lo stesso Morera, Il fido, cit., p. 9, (n. 7) non manca di registrare questo fenomeno, anche se rileva come l’equiparazione dell’affidamento alla apertura di credito sia effettuata “confusivamente”. Talora, peraltro, anche la dottrina pare partire dal principio che il concetto di “affidamento” corrisponda a quello di “apertura di credito”: ad es. Giorgianni – Tardivo, Diritto bancario, Milano, 2006, p. 570.
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mento: così, ad esempio, se ne dovrebbe concludere che una banca non sarebbe tenuta a comunicare all’organo di controllo della società cliente la intervenuta risoluzione o decadenza dal beneficio del termine di un finanziamento concesso sotto la forma di mutuo. Il fatto è che il legislatore proprio di “affidamenti” ha parlato, e non anche, in generale, di “finanziamenti”: termine che, a partire dal t.u.b., viene concepito – almeno nel linguaggio legislativo – come riferito genericamente a tutti i “contratti di credito” posti in essere da una banca o da un intermediario finanziario. Ancora: la norma appare francamente di difficile intellegibilità nel momento in cui si riferisce all’obbligo di dare notizia all’organo di controllo della comunicazione alla società cliente di una “revisione” dell’affidamento: evento che riguarda unicamente adempimenti puramente interni della banca, volti alla attualizzazione della verifica di merito creditizio, che non involgono alcuna vicenda rilevante nella vita del contratto e che potrebbero anche essere del tutto ignoti alla società cliente (la quale ultima, spesso, viene a conoscenza in modo puramente occasionale della attività di revisione, ad esempio perché richiesta dalla banca di documentazione aggiornata relativa all’impresa, necessaria per poter compiere quella attività). Sicché, non essendo individuabile un obbligo di comunicazione della “revisione” del fido nei confronti della società cliente, non si vede come si possa, conseguentemente, ipotizzare un obbligo di notiziare l’organo di controllo di quest’ultima di una comunicazione che non è stata né sarà effettuata. Circa, poi, le “variazioni”, queste non possono che intendersi nella maniera più lata, potendo riguardare non soltanto aumenti o diminuzioni di importo (per quanto quella della diminuzione dovrebbe, a rigore di logica, essere l’ipotesi più “sensibile” ai fini della norma), ma anche modifica nell’assetto delle garanzie reali o personali, rimodulazioni di durata, etc. Inoltre, se davvero l’intento del legislatore è stato quello di predisporre un meccanismo tale da consentire all’organo di controllo di avere contezza di ogni fenomeno che rivesta una potenziale rilevanza ai fini dell’apprezzamento della ricorrenza di “fondati indizi di crisi”, potrebbe se mai avere avuto rilievo la notizia del diniego, da parte della banca, di richieste di affidamento: infatti, nella misura in cui il diniego sia sorretto da una valutazione negativa del merito creditizio, ben potrebbe quest’ultima riposare sulla rilevazione di fatti eventualmente costituenti essi medesimi “fondati indizi di crisi”. Sennonché le vicende che il legislatore ha preso in considerazione (revisione, variazione, revoca) riguardano unicamente, a ben vedere, la
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modifica della esposizione al rischio soggettivo da parte della banca o del finanziatore in sé considerata: non vengono considerate ipotesi (quali, appunto, quella del diniego alla richiesta di credito) che formalmente non comportano una variazione quantitativa del rischio soggettivo (ma che, invece, potrebbero essere fondate su una modifica qualitativa di quello oggettivo).
3. Le conseguenze della attivazione della procedura di allerta sui contratti bancari in corso. Sempre con riguardo alle ricadute sulla attività bancaria e finanziaria della attivazione di una procedura di allerta, deve prendersi in considerazione, come anticipato, anche la previsione contenuta nell’art. 12, co. 3, c.c.i., secondo la quale «l’attivazione della procedura di allerta da parte dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, nonché la presentazione da parte del debitore dell’istanza di composizione assistita della crisi di cui all’articolo 16, comma 1, non costituiscono causa di risoluzione dei contratti pendenti, anche se stipulati con le pubbliche amministrazioni, né di revoca degli affidamenti bancari concessi. Sono nulli i patti contrari». Si tratta di una formulazione che, nella sua struttura, richiama come “archetipo” quella contenuta nell’ancora temporaneamente vigente art. 186-bis, co. 3, prima parte, l. fall. (il cui contenuto è stato ora ricondotto all’art. 95 c.c.i., seppur con sostanziali modifiche): peraltro riferita al concordato preventivo (in continuità). È da ricordare che, in quel contesto, la analoga previsione non aveva mancato di rivelarsi alquanto problematica relativamente ai propri profili applicativi: al di là, infatti, della indubbia compressione dell’autonomia negoziale derivante da una sorta di “continuazione coattiva” del rapporto di credito, la precisazione della nullità di patti contrari doveva evidentemente interpretarsi come nullità della declinazione, a livello negoziale, dell’ingresso nella procedura come condizione di risoluzione, ovvero come evento legittimante il recesso, ovvero come individuazione convenzionale di un “inadempimento” rilevante ai fini contrattuali. La norma, però, non sembrava capace di impedire che il patto potesse (legittimamente) assumere come evento “rilevante” non già l’ingresso nella procedura in se stesso considerato, ma le situazioni “sostanziali” di crisi che avessero condotto a quell’ingresso: rivelandosi, per tal via, un baluardo molto più formale che sostanziale. A ben vedere la norma che ora compare nell’art. 12, co. 3, c.c.i. pone almeno un duplice problema ermeneutico: da un lato, l’individuazio-
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ne della fattispecie «attivazione della procedura di allerta»; dall’altro, la esatta delimitazione dell’ambito dei «soggetti di cui agli articoli 14 e 15». Quanto al primo punto, gli articoli 14 e 15 non fanno riferimento esplicito ad una «attivazione della procedura di allerta»: se mai, fanno riferimento: a) alla segnalazione all’organo amministrativo dell’esistenza di «fondati indizi della crisi» da parte degli organi di controllo societari, revisore contabile e società di revisione (art. 14, co. 1-3); b) all’informativa data “senza indugio” all’OCRI da parte dei medesimi soggetti in caso di omessa o inadeguata risposta o di mancata adozione delle misure necessarie a superare lo stato di crisi da parte dell’organo amministrativo (art. 14, co. 2); c) al “dare notizia” anche agli organi di controllo delle variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti da parte di banche e di altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 t.u.b. (art. 14, co. 4); d) all’avviso dato al debitore da Agenzia delle entrate, Inps e agente della riscossione del superamento dell’importo rilevante della esposizione debitoria (art. 15, co. 1); e) alla segnalazione all’OCRI da parte dei medesimi (art. 15 co. 4). L’interprete fatica ad individuare quali, tra queste fattispecie, costituiscano compiutamente «attivazione della procedura di allerta». La lettera della legge non viene incontro: innanzi tutto perché, come appena anticipato, non si rinviene nel Codice una definizione di “procedura di allerta” (se mai, unicamente di “strumenti di allerta”); in secondo luogo perché risulta alquanto incerta la individuazione, in concreto, degli stessi “strumenti di allerta”. Infatti, secondo il primo comma dell’art. 12, «costituiscono strumenti di allerta gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione». Il fatto è che tra i soggetti indicati negli articoli 14 e 15 compaiono (proprio nel già più volte citato ultimo comma dell’art. 14) anche le banche e gli intermediari finanziari. È concretamente sostenibile che (anche) la comunicazione da parte degli intermediari all’organo di controllo della società costituisca essa medesima uno “strumento di allerta” (e che costituisca, per di più “attivazione della procedura di allerta”)? Tale conclusione sembra senz’altro da escludere. In primo luogo per una motivazione di carattere letterale: secondo il citato art. 12, co. 1, sono strumenti di allerta gli “obblighi di segnalazione”, quando, invece, agli intermediari fa capo (non già un obbligo di segnalazione ma) un obbligo di mera “comunicazione”; in secondo luogo perché, ovemai dovesse ritenersi che la comunicazione da parte della banca costituisca attivazione di una “procedura di allerta”, si arriverebbe ad un “corto cir-
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cuito interpretativo”. Infatti, applicando congiuntamente l’art. 12 co, 3, e l’art. 14, co. 4, si dovrebbe pervenire alla conclusione aberrante che la “notizia” all’organo di controllo societario della intervenuta comunicazione di revoca di un affidamento non può costituire… “causa di revoca dell’affidamento bancario concesso”. Escluso quindi che la comunicazione da parte dell’intermediario bancario o finanziario possa costituire attivazione di una procedura di allerta, è peraltro da evidenziare che comunque la fattispecie prefigurata dal legislatore ben difficilmente potrebbe avere a realizzarsi concretamente: infatti, da chi la banca potrebbe apprendere la circostanza della intervenuta segnalazione da parte degli organi di controllo societari ovvero da parte dei creditori pubblici qualificati, sì da poterla porre a fondamento della revoca dell’affidamento? Tale situazione, a ben vedere, non potrebbe avere mai a verificarsi, giacché, mentre il procedimento di composizione assistita della crisi (che pur deve svolgersi “in modo riservato e confidenziale”) comporta il possibile contatto con i creditori – dal momento che, nella sua fisiologia, sarebbe destinato a concludersi con un accordo con gli stessi (art. 19, co. 4) – la mera attivazione di procedure di allerta dovrebbe restare confinata al rapporto endosocietario tra organi di controllo e organo amministrativo o a quello esterno con i creditori pubblici qualificati. Tra i problemi interpretativi suscitati dalla previsione contenuta nel citato comma 3 dell’art. 14, deve poi evidenziarsi l’evocazione del concetto di “pendenza”, che peraltro, a differenza di quanto accade nell’art. 97 (per il concordato preventivo) e nell’art. 172 (per la liquidazione giudiziale), non viene definito (restando, quindi, virtualmente aperto il dibattito se debba recepirsi una nozione di contratto pendente analoga a quella fatta propria da quelle norme – che comporti, cioè la necessità che il contratto sia ancora non eseguito o non completamente eseguito da entrambe le parti – oppure no)15: infatti, se si dovesse ritenere che il
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Il c.c.i., ha invece ritenuto di rendere chiarezza definitiva sul tema con riferimento al concordato preventivo: nel nuovo impianto dell’art. 97, infatti, non solo viene confermata la rubrica del “vecchio” articolo 169-bis, intitolato ai “contratti pendenti” (ciò che aveva già consentito di argomentare che la disposizione, per analogia con il concetto di “pendenza” riferito ai “rapporti” dall’art. 72 della legge fallimentare, dovesse fare riferimento ai «contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti» da entrambe le parti): ma – eliminando i residui margini di dubbio – si precisa apertis verbis che i “contratti pendenti” sono quelli «ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di
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concetto di pendenza fatto proprio dalla norma coincida con quello di cui agli artt. 97 e 172, se ne dovrebbe ritenere che in caso di attivazione di procedura di allerta in presenza di un contratto non eseguito o non completamente eseguito da una soltanto delle due parti, la circostanza potrebbe in astratto costituire causa di risoluzione dei contratti, o di revoca dell’affidamento bancario concesso. A tale riguardo occorre anche aggiungere che, in questo ambito, il concetto di revoca dell’affidamento viene a costituire una “appendice” della fattispecie della risoluzione dei contratti: il che deve portare a ritenere che potrebbe essere preso in considerazione, in questo caso, anche il mutuo (che, perciò, non potrebbe essere “risolto” per effetto della attivazione della procedura di allerta): del mutuo, peraltro, potrebbe escludersi unicamente la risoluzione, ma non anche, ad esempio, l’attivazione della decadenza dal beneficio del termine, che è istituto distinto, ancorché comportante effetti pratici analoghi. La precisazione per cui “sono nulli i patti contrari” sembra di dovere intendere come riferita alle clausole dei contratti che individuino nella attivazione di una procedura di allerta il presupposto oggettivo di una clausola risolutiva espressa, ovvero una causa di recesso da un rapporto di affidamento, o che comunque equiparino l’attivazione di una procedura di allerta ad una situazione di inadempimento. Questo peraltro non sembra poter escludere che – esattamente come rilevato per la disposizione contenuta nell’art. 186-bis, co. 3, l. fall. – laddove la situazione sostanziale in cui versa l’impresa (e che è alla base della segnalazione da parte dell’organo di controllo o dei creditori pubblici qualificati) possa essere dalla banca diversamente apprezzata (cioè: apprezzata indipendentemente dalla circostanza che la segnalazione sia effettuata – circostanza che la banca in linea di principio neppure potrebbe/dovrebbe conoscere), quella stessa situazione possa essere individuata negozialmente come fondamento di un evento risolutivo ovvero come causa di recesso della banca dal rapporto di affidamento. Ma se questo, in definitiva, sembra essere il significato da doversi riconoscere alla norma, ci si potrebbe legittimamente domandare – almeno con riferimento all’ipotesi della revoca degli “affidamenti bancari concessi” – quale valore concreto possa avere la previsione, posto che, si ripete: a) la banca in quanto tale è estranea alla attivazione delle procedure di allerta, e conseguentemente non è in grado di avere cono-
accesso al concordato preventivo».
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scenza della loro attivazione; b) la norma non è tale da escludere che la situazione sottostante o fondante l’attivazione della procedura da allerta (vale a dire la sussistenza di “fondati indizi di crisi”) possa essere autonomamente rilevata dalla banca e prevista negozialmente come evento incidente sulla “sopravvivenza” del contratto indipendentemente dalla attivazione della procedura di allerta. È pur vero che, in forza di quanto previsto dall’art. 4, co. 3, c.c.i. «i creditori hanno il dovere, in particolare, di collaborare lealmente con il debitore, con i soggetti preposti alle procedure di allerta e composizione assistita della crisi (…)»: ma parrebbe francamente eccessivo ritenere che, per definizione, qualsiasi comportamento della banca inteso alla salvaguardia della propria creditoria debba per ciò stesso considerarsi “sleale” o configurarsi come manifestazione di esercizio abusivo di un diritto, dovendosi caso per caso scrutinare le obiettive motivazioni del comportamento del finanziatore. 3.1. (Segue). L’accesso alla procedura di composizione assistita della crisi. Pertanto, l’ambito operativo della norma (o, se si vuole, il margine della sua effettiva “utilità”), se riferito ai rapporti bancari, pare essere davvero ridotto: salvo a domandarsi – in caso di prosecuzione dei rapporti – quale sia la sorte dei contratti bancari di affidamento per l’ipotesi di accesso, su istanza del debitore, al “procedimento di composizione assistita della crisi”. In questo caso la banca, in quanto creditore – e a differenza di quanto si è detto riguardo alle procedure di allerta – ben può venire a conoscenza della esistenza della procedura, ancorché questa, come previsto dal co. 2 dell’art. 12, si svolga «in modo riservato e confidenziale dinanzi all’OCRI»16, sicché la “salvaguardia” del contratto operata dal co. 3 pare avere un maggiore fondamento concreto (oltre che logico): i contratti pendenti, dunque, proseguiranno regolarmente, e potranno avere termine nei casi previsti dalla legge e dal contratto stesso, salvo che non si pervenga ad una loro rinegoziazione, nella forma dell’accordo di cui all’art. 19 co. 4, che sortirà come effetti «gli stessi effetti degli accordi che danno esecuzione al piano attestato di risanamento» (esenzione dall’azione revocatoria; esimente penale). Resta soltanto da chiedersi se tra il momento dell’accesso al procedimento di composizione assistita della crisi e quello dell’eventuale
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Sul punto Ranalli, Il successo della riforma dipende dall’OCRI: un accorato suggerimento al legislatore, in Crisi d’impresa e insolvenza, 4 dicembre 2018.
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accordo i contratti bancari di affidamento non possano essere oggetto delle «misure protettive necessarie per condurre a termine le trattative in corso», richieste, a norma dell’art. 20 c.c.i., dal debitore che abbia fatto istanza di soluzione concordata dopo essere stato ascoltato dal collegio dell’OCRI. Tali misure, infatti (che soltanto dal punto di vista procedurale sono assimilate alle misure cautelari e protettive adottate su istanza di parte «nel corso del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale o della procedura di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione» di cui agli artt. 54 e 55 c.c.i.), paiono caratterizzate dalla sostanziale loro “atipicità”: di talché, ad esempio, non potrebbe in astratto escludersi la richiesta (e l’ottenimento) di misure inibitorie delle facoltà negoziali della banca (quali ad esempio, la stessa possibilità di risolvere il contratto per motivazioni diverse dalla attivazione di allerta o dalla presentazione dell’istanza di composizione assistita della crisi). Al di fuori di questa ipotesi – e fermo restando quanto osservato in tema di applicazione dell’art. 12, co. 3, c.c.i. - non sembra che la posizione dell’intermediario bancario o finanziario si trovi ad essere modificata per effetto dell’ingresso nella procedura di composizione assistita: laddove quest’ultima dovesse mettere capo ad un accordo ai sensi dell’art. 19, la eventuale rimodulazione (quale che sia) del rapporto di credito, sarà stata oggetto di una formale rinegoziazione, ed, allora, resterà regolata dai termini di quest’ultima; laddove, invece, la procedura di composizione non dovesse sortire esito, pervenendo a conclusione secondo l’art. 21 c.c.i., non sembra che la “protezione” assicurata dall’art. 12, co 3 possa considerarsi ancora operativa. Sicché, fermo restando che l’intermediario resterà libero di ricorrere ai presidi contrattuali eventualmente previsti per porre termine al rapporto, l’eventuale prosecuzione di quest’ultimo resterà regolata o condizionata dalla tipologia di procedura che dovesse fare seguito (accordo di ristrutturazione, concordato preventivo, liquidazione giudiziale).
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NORME REDAZIONALI
a. I contributi proposti per la pubblicazione (saggi, note a sentenza, ecc.) debbono essere inviati, in formato elettronico (word), al Direttore responsabile prof. avv. Alessandro Nigro al seguente indirizzo email alessandro.nigro@tiscali.it È indispensabile l’indicazione nella prima pagina (in alto a destra) dell’indirizzo email, per l’invio delle bozze. b. I contributi proposti per la pubblicazione sono preventivamente vagliati dalla Direzione. Quelli che superano tale vaglio vengono trasmessi, in forma anonima, ad uno dei componenti della apposita struttura di revisione, coordinata dal prof. Daniele Vattermoli. Il revisore rimette al coordinatore la sua relazione che, in forma anonima, è trasmessa al Direttore il quale, se la relazione è positiva, autorizza la pubblicazione del contributo.
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto
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corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio
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c.c. c.comm.
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Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall. legge cambiaria l.camb. testo unico t.u. testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) t.u.b. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58) t.u.f. 2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc.
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Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm.
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Rivista della cooperazione Rivista delle società Rivista del diritto commerciale Rivista del notariato Rivista di diritto civile Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista di diritto societario Rivista giuridica sarda Rivista italiana del leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile 4. Commentari, trattati
Riv. coop. Riv. soc. Riv. dir. comm. Riv. not. Riv. dir. civ. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. RDS Riv. giur. sarda Riv. it. leasing Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.
Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
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CODICE ETICO
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria
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