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ANTIRICICLAGGIO & COMPLIANCE RIVISTA ITALIANA DELL’ANTIRICICLAGGIO Direttore Ranieri Razzante

IN EVIDENZA

COMMENTI

GIURISPRUDENZA

NORMATIVA

Bochra El Hachimi, L’evoluzione della disciplina normativa della costituzione delle società a responsabilità limitata start-up innovativa tra la “compliance” e le disposizioni antiriciclaggio Giampaolo Estrafallaces, Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica Eliana Colazzo, La portata applicativa del regime sull’utilizzo del contante previsto dalla normativa antiriciclaggio

N. 3 2021 Luglio/Settembre Rivista trimestrale


COMITATO SCIENTIFICO Dott. Roberto Alfonso – Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano; Gen. D. Pasquale Angelosanto – Comandante Ros Carabinieri; Cons. Antonio Balsamo – Consigliere Giuridico della Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite; Professor Paolo Bargiacchi – Professore ordinario di Diritto Internazionale, Università degli studi di Enna Kore; Prof. Avv. Stefano A. Cerrato – Ordinario di Diritto Commerciale – Università di Torino; Cons. Maria Vittoria De Simone – Procuratore Nazionale Aggiunto DNA; Dott. Annalisa De Vivo – Consulente Antiriciclaggio Ufficio di Presidenza CNDCEC; Dott. Davide Diamare – Funzionario Area Giochi- Agenzia Dogane e Monopoli; Dott. Roberto Fanelli – Dirigente Generale Area Giochi- Agenzia Dogane e Monopoli; Prof. Massimiliano Ferrara – Professore Ordinario di Teoria dei Giochi e Matematica per l’Economia presso Università Mediterranea di Reggio Calabria; Prefetto Bruno Frattasi – Direttore Agenzia Beni Confiscati e Sequestrati; Notaio Cesare Felice Giuliani – Presidente CNN; Cons. Alfredo Guardiano – Magistrato V Sez. Penale della Corte di Cassazione; Gen. B. Massimo Ignesti – Esperto di Security Internazionale; Cons. Antonio Laudati – Sostituto Procutatore DNA; Prof. Notaio Giancarlo Laurini – Presidente Corte Nazionale Arbitrale; Dott. Giuseppe Leotta – Sostituto Procuratore Militare presso Procura di Roma; Dott. Marco Levis – Direttore responsabile Rivista231; Dott. Giuseppe Lombardo – Procuratore Aggiunto DDA Reggio Calabria; Prof.ssa Antonella Marandola – Ordinario Procedura Penale Università del Sannio- Benevento; Gen. B. Vincenzo Molinese – Comandante Istituto Superiore Tecniche Investigative- Arma dei Carabinieri; On. Dott. Alberto Pagani – Commissione Difesa Camera dei Deputati; Avv. Alessandro Parrotta – Penalista in Torino, esperto in Reati Finanziari; On. Franco Roberti – Parlamentare Europeo, già Procuratore Nazionale Antimafia; Prof. Avv. Alessandra Rossi – Ordinario di Diritto Penale – Università di Torino; Cons. Giovanni Russo – Procuratore Nazionale Aggiunto DNA; Dott. Ciro Santoriello – Sostituto Procuratore- Procura di Torino; Gen. B. Gaetano Scazzeri – Comandante Nucleo AntiCorruzione Gdf; Prof. Avv. Giorgio Spangher – Professore Emerito Università La Sapienza di Roma; Prof. Notaio Giuseppe Trimarchi – Associato Diritto commerciale Università Pegaso; Prof. Notaio Camillo Verde – Ordinario di Diritto Privato – Università di Cassino

COMITATO DI REDAZIONE Avv. Antonio Arrotino – Giurista d’Impresa e MLRO; Dott.ssa Federica Colazzo – Esperta in Legislazione antimafia; Dott. Benedetto Palombo – Esperto in Antiterrorismo; Avv. Marta Patacchiola – Consulente Antiriciclaggio (Coordinatore); Dott.sa Francesca Romana Tubili – Esperta di social media relations

La collaborazione a Antiriciclaggio&Compliance – Rivista italiana dell’antiriciclaggio è a titolo gratuito. Segreteria di redazione Gloria Giacomelli ggiacomelli@pacinieditore.it Phone +39 050 31 30 243 - Fax +39 050 31 30 300 Amministrazione Pacini Editore Srl, via Gherardesca 1, 56121 Pisa Tel. 050 313011 • Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • abbonamenti_giuridica@pacinieditore.it I contributi pubblicati su questa rivista potranno essere riprodotti dall’Editore su altre, proprie pubblicazioni, in qualunque forma. In corso di registrazione presso il Tribunale di Pisa Direttore responsabile Patrizia Alma Pacini


INDICE

Osservatorio normativo Luca Grande, La trasparenza del titolare effettivo

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Bochra El Hachimi, L’evoluzione della disciplina normativa della costituzione delle società a responsabilità limitata start-up innovativa tra la “compliance” e le disposizioni antiriciclaggio »

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Federica Colazzo, Ecoreati e associazione a delinquere. L’aggravante c.d. eco-mafiosa e l’aggravante c.d. ambientale, tra incongruenze sistematiche e dubbi interpretativi »

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Approfondimenti Giampaolo Estrafallaces, Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica »

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Jessica Noviello, Nesso crimine-terrorismo in Italia: il matrimonio di convenienza tra il crimine organizzato italiano e il terrorismo islamico »

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Alessandra Biondini, Hacker etico cacciatore di vulnerabilità »

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Pierluigi Zarra, Antiriciclaggio e misure di contrasto al finanziamento del terrorismo: l’insufficienza degli ordinamenti comunitari secondo il più recente rapporto Moneyval »

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Giurisprudenza Gloria Lazzaro, Il mandato di arresto europeo e la portata applicativa del principio di ne bis in idem: un vuoto normativo colmato dalla giurisprudenza di legittimità »

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Eliana Colazzo, La portata applicativa del regime sull’utilizzo del contante previsto dalla normativa antiriciclaggio »

345

Salvatore Francaviglia, Il sistema informale hawala: origini, caratteri fondamentali e recenti pronunce giurisprudenziali »

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INDICE

Documentazione

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Elisa Vernagallo, Criptovalute: nuove direttive per le banche dal Comitato di Basilea »

365

Francesca Romana Tubili, EU efforts to fight money laundering in the banking sector are fragmented and implementation is insufficient »

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Alessandro Cristallini, Blitz dei carabinieri e della DIA contro il Mandamento Mafioso di Partinico »

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OSSERVATORIO NORMATIVO

La trasparenza del titolare effettivo in Europa: l’implementazione del sistema di interconnesione dei registri

Luca Grande

Se da una parte, il legislatore italiano ha scelto di non rendere più obbligatoria la redazione e l’ aggiornamento dell’Archivio unico informatico (AUI) così come del Registro della Clientela, d’altra parte è sempre stata considerata rilevante l’esigenza di controllare e consultare le informazioni della Clientela in modo da poter garantire ai responsabili di conformità in ambito AML/CFT (e, più in generale, alle FIU ed alle Autorità competenti) un rapido scambio di informazioni a livello europeo sull’identità dei cc.dd. “Titolari Effettivi” attraverso un sistema di registri centrali redatti ed aggiornati da ciascuno Stato membro dell’Unione Europea (c.d. BORIS ossia Beneficial Ownership Registers Interconnection system). Tale novità, che è (quasi) divenuta realtà anche in Italia, potrà essere utile per rafforzare l’adeguata verifica della clientela* ossia per ottenere un’ulteriore riscontro sull’identità dei titolari effettivi. Poiché non è sempre possibile individuare i titolari effettivi esclusivamente nell’ambito di una rigorosa classificazione normativa ovvero sulla scorta delle informazioni rilasciate dal cliente, il sistema di interconnesione dei registri si propone di essere un ausilio valido nel constrasto preventivo al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo, nel pieno rispetto del diritto alla vita privata dei titolari effettivi ed alla protezione dei loro dati personali.

La ricorrente e diffusa operazione di costituzione di imprese, società, trust, fondazioni ed enti analoghi può essere ritenuta un’operazione sospetta1 e, quindi, un

Con l’entrata in vigore (il 4 luglio 2017) delle nuove norme antiriciclaggio a opera del d.lgs. 90/2017, sono stati aboliti gli obblighi di registrazione presenti nel decreto antiriciclaggio, previsti dagli originari artt. da 36 a 40 del d.lgs. 231/2007, e al loro posto sono stati introdotti i nuovi, e solo in parte diversi, obblighi di conservazione di cui ai novellati articoli da 31 a 34 stesso decreto. Di conseguenza, a far data dal 4 luglio 2017, *

si è verificata l’abolizione di una serie di illeciti amministrativi non più previsti come tali dalla nuova normativa, che ha avuto come effetto la conseguente archiviazione dei procedimenti pendenti, con particolare riferimento alle seguenti ipotesi: illeciti per violazione degli artt. 37, 38 e 39 del previgente d.lgs. 231/2007 (omessa o irregolare istituzione o tenuta dell’Archivio Unico Informatico e del Registro della clientela, sanzionati dagli artt. 57, commi 2 e 3), non essendo più previsto l’obbligo di istituzione dei suddetti registri; illeciti per violazione degli obblighi di registrazione di cui all’art. 36 del previgente d.lgs. 231/2007, non essendo più previsto l’obbligo di istituzione dei suddetti registri.


OSSERVATORIO NORMATIVO

“indicatore di anomalia” in quanto può ingenerare nel professionista (a cui è rimesso l’autonomo apprezzamento) il sospetto che, per finalità di riciclaggio e/o terrorismo, possa essere a) dissimulata od ostacolata l’identificazione e la verifica dell’identità di uno o più titolari effettivi o c.d. beneficiari effettivi delle transazioni finanziarie / prestazioni professionali nonché b) occultata l’origine o la destinazione delle risorse finanziarie. L’individuazione di uno o più titolari effettivi del rapporto professionale o dell’operazione2 si pone

La classificazione di un’operazione come sospetta e il conseguente obbligo segnaletico hanno come presupposto la corretta, completa e tempestiva raccolta di informazioni aggiornate mediante un processo conoscitivo del cliente, del suo titolare effettivo e della relativa operatività noto come adeguata verifica o customer due diligence. Attraverso tale processo l’operatore deve “presidiare” tre aspetti fondamentali della relazione con il cliente, rappresentati da: – origine della provvista; – destinazione della provvista; – soggetti effettivamente interessati all’operazione. Va valutato, per quanto possibile, l’intero “perimetro soggettivo” della vicenda in maniera del tutto scevra da criteri formali, al fine di individuare, ad esempio, la presenza di prestanome. A. Esposito, Il rischio di riciclaggio: presupposti, procedure e sanzioni, G.R.A.L.E. spin-off universitario, 52. 2 «Titolare effettivo»: la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano il cliente-persona giuridica e/o le persone fisiche per conto delle quali è realizzata un’operazione o un’attività. Individuare chi sia il titolare effettivo per le persone giuridiche, i trust, le società, le fondazioni ed istituti giuridici analoghi implica adottare misure ragionevoli per comprendere l’assetto proprietario e di controllo del cliente-persona giuridica. 1

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come presupposto fondamentale per ricostruire l’assetto proprietario e di controllo del cliente-persona giuridica e, quindi, per risalire ai veri titolari dei diritti reali sui beni nonché alla genesi dei flussi finanziari, alla loro destinazione e, con riferimento al finanziamento al terrorismo, alla ricostruzione dei movimenti dei soggetti e della mappa degli aderenti ai movimenti terroristici. Soltanto con il raggiungimento di tale obiettivo è possibile una reazione dell’ordinamento efficace ed incisiva attraverso le misure ablative (sequestro e confisca) che privano il titolare ovvero i titolari dei loro beni cui si somma, almeno in alcuni casi, il contem-

La definizione di titolare effettivo, secondo i criteri riportati nel decreto, avrebbe dovuto prevedere il richiamo alla nozione di “controllo” del Codice Civile (art. 2359 che individua le fattispecie di imprese controllate e collegate) e del Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria, ma poi il legislatore ha compreso i limiti indotti da tale richiamo: i concetti di “partecipazione rilevante” e “influenza dominante”, infatti, potevano essere utilizzati solo per le società e non per le altre entità giuridiche. C. Licini, Antiriciclaggio e antiterrorismo: gli obblighi di adeguata verifica della clientela a carico dei professionisti nel D.Lgs. 231 del 2007, in La nuova normativa antiriciclaggio e le professioni, a cura di R. Danovi, Giuffrè, 2008, 62. Il concetto di titolare effettivo è dettato, in realtà, al fine di individuare il destinatario ultimo degli effetti delle operazioni finanziarie non in via generalizzata, ma esclusivamente nelle ipotesi in cui si sia in presenza di operazioni effettuate da enti, persone giuridiche, trust o assimilati. Gigliotti A. (a cura di), Materiale didattico antiriciclaggio, IPSOA Scuola di formazione, p. 79.


La trasparenza del titolare effettivo in Europa: l’implementazione del sistema di interconnesione dei registri

poraneo utilizzo della leva fiscale, di carattere amministrativo e penale3. Per garantire la protezione di tutte le persone che interagiscono con le società, gli Stati membri dovrebbero poter prevenire comportamenti fraudolenti o altri abusi rifiutando la nomina ad amministratore di una società, tenendo conto non solo della precedente condotta di tale persona nel proprio territorio, ma anche, laddove sia previsto ai sensi del diritto nazionale, delle informazioni fornite da altri Stati membri. Gli Stati membri dovrebbero pertanto poter chiedere informazioni ad altri Stati membri. La risposta può consistere sia in informazioni riguardanti l’interdizione in essere, sia altre informazioni pertinenti in materia di interdizione in uno Stato membro destinatario della richiesta. Richieste di informazioni in tal senso, dovrebbero essere possibili tramite il sistema di interconnessione dei registri4. Pertanto, il legislatore europeo ha richiesto agli Stati membri di istituire meccanismi centralizzati automatici, quali registri centrali o sistemi elettronici centrali di reperimento dei dati, che consenta S. Capolupo, La nuova disciplina dell’adeguata verifica della clientela – approfondimento antiriciclaggio –, Il fisco 26/2017, Wolters Kluwer, 2550. 4 DIRETTIVA (UE) 2019/1151 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, recante modifica della direttiva (UE) 2017/1132 per quanto concerne l’uso di strumenti e processi digitali nel diritto societario (Testo rilevante ai fini del SEE), Considerando (23). 3

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no l’identificazione tempestiva di qualsiasi persona fisica o giuridica che detenga o controlli conti di pagamento, conti bancari identificati dall’IBAN, come definito dal regolamento (UE) n. 260/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e cassette di sicurezza detenuti da un ente creditizio nel loro territorio. Gli Stati membri notificano alla Commissione le caratteristiche di detti meccanismi nazionali5. Di recente istituzione è il sistema di interconnessione dei registri centrali ( per il quale solo recentemente il legislatore europeo ha definito le regole tecniche6): si tratta di strumento aggiuntivo (e non sostitutivo) all’adeguata verifica del cliente che è sempre tenuto ad offrire ogni utile informazione anche sul titolare effettivo (sui titolari effettivi); ed eventualmente, in considerazione di una misura rafforzata di adeguata verifica della clientela, il soggetto obbligato potrà ottenere informazioni supplementari dal cliente anche

DIRETTIVA (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE (Testo rilevante ai fini del SEE), art. 32-bis. 6 REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) 2021/369 DELLA COMMISSIONE del 1o marzo 2021 che stabilisce le specifiche tecniche e le procedure necessarie per il sistema di interconnessione dei registri centrali di cui alla direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio (Testo rilevante ai fini del SEE). 5

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sul titolare effettivo (sui titolari effettivi). A tal proposito è doveroso evidenziare quanto prescritto dal comma 7° dell’art. 21 del decreto secondo cui “la consultazione dei registri di cui al presente articolo non esonera i soggetti obbligati dal valutare il rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo cui sono esposti nell’esercizio della loro attività e dall’adottare misure adeguate al rischio medesimo”. Come si potrà leggere nel seguito della presente disamina, appare essenziale il contributo della recente normativa europea che ha delineato un quadro normativo utile all’istituzione di un tanto sospirato comune sistema di registri pubblici online di accesso alle informazioni sui titolari effettivi7 pur se di non facile attuazione in quanto presuppone il coordinamento di sistemi nazionali che presentano caratteristiche tecniche diverse, in considerazione di uno smisurato aumento delle operazioni societarie transfrontaliere nel territorio europeo. 1. Se da una parte l’art. 2250 c.c., nell’individuare le informazioni da fornire negli atti e nella corrispondenza delle società soggette

Gli Stati membri dovrebbero consentire l’accesso alle informazioni sulle società e le altre persone giuridiche in modo sufficientemente coerente e coordinato, attraverso i registri centrali che contengono le informazioni sui titolari effettivi, stabilendo un principio chiaro di accesso pubblico che consenta ai terzi di accertare, in tutto il territorio dell’Unione, chi sono i titolari effettivi delle società e degli altri soggetti giuridici. 7

all’obbligo dell’iscrizione nel Registro delle imprese, non fa alcun cenno alle informazioni sul “titolare effettivo”, d’altra parte l’art. 21 d.lgs. 231/2007 come modificato dal d.lgs. 90/2017 prescrive che le imprese dotate di personalità giuridica tenute all’iscrizione nel Registro delle imprese8 ex art. 2188 c.c comunicano le informazioni relative ai titolari effettivi al Registro delle imprese che, quindi, dovrà conservare in un’apposita sezione9 ad accesso riservato le informazioni inerenti ai titolari effettivi . I titolari effettivi sono le persone fisiche a cui è attribuibile la proprietà diretta od indiretta dell’ente e che, quindi, controllano una o Istituito nel dicembre 1993 (legge 29 dicembre 1993, n. 580) e operativo dall’anno 1996 (D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581), il Registro delle imprese riunifica il Registro delle Società – in precedenza tenuto dalle Cancellerie Commerciali dei Tribunali – e il Registro Ditte, tenuto originariamente dalle Camere di Commercio. La previsione di tale strumento (art. 2188 e ss. C.C., art. 8, L. n. 580/1993, D.P.R. n. 581/1995, D.P.R. n. 558/1999, L. n. 340/2000 e successive modifiche ed integrazioni normative), gestito attraverso la rete informatica e telematica, mira ad assicurare la completezza ed organicità della pubblicità legale per tutte le imprese soggette ad iscrizione rendendo tempestiva l’informazione giuridico-economica in ordine alle stesse su tutto il territorio nazionale. https://www.tuttocamere.it/modules.php? name=Content&pa=showpage&pid=519. 9 È stato introdotto l’obbligo di custodire specifiche informazioni sul titolare effettivo in un registro centrale la cui accessibilità sia definita da prescrizioni che garantiscono la normativa in materia di protezione dei dati personali. Lo strumento adatto al fine perseguito è stato individuato in una sezione speciale del registro delle imprese. 8


La trasparenza del titolare effettivo in Europa: l’implementazione del sistema di interconnesione dei registri

più persone giuridiche; esaminando i criteri per la individuazione dei titolari effettivi (art. 20 d.lgs. 231/2007 come modificato dal d.lgs. 90/2017), si dirà che il professionista deve, in gergo, risalire la catena societaria della controparte per capire chi ha la proprietà diretta della società maggiore del 25 per cento, oppure scoprire chi, tramite altre società, ha la proprietà indiretta della società cliente10 (sempre con una percentuale superiore al 25)11. L’art. 20 D.lgs. 231/2007, nell’indicare i criteri per l’individuazione del titolare effettivo, testualmente prevede che: “nel caso in cui il cliente sia una società di capitali: – costituisce indicazione di proprietà diretta la titolarità di una partecipazione superiore al 25% del capitale del cliente, detenuta da una persona fisica; – costituisce indicazione di proprietà indiretta la titolarità di una percentuale di partecipazioni superiore al 25% del capitale del cliente, posseduto per il tramite di società controllate, società fiduciarie o per interposta persona. La proprietà indiretta tramite interposta persona è un fenomeno che si verifica quando un soggetto possiede, in nome di un altro, le partecipazioni in una società. Concretamente una simile fattispecie piò verificarsi in diverse ipotesi (patto di retrovendita, riporto azionario, girata fiduciaria, negozio fiduciario). S. Galmarini, Antiriciclaggio, IPSOA, 2019, 257-258. 11 Sebbene il riscontro di una precisa percentuale di partecipazione azionaria o altra partecipazione non comporti automaticamente l’individuazione del titolare effettivo, ciò dovrebbe costituire un elemento probatorio da tenere in considerazione, assieme ad altri (cfr. considerando 12 della DIRETTIVA (UE) 2015/849 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 maggio 2015 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che 10

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Se non fosse individuabile alcuna persona fisica titolare della predetta percentuale, allora potrà trovare applicazione il criterio previsto dal codice civile (art. 2359) ossia l’influenza dominante e il controllo di fatto. Ma sono innumerevoli i casi in cui non sia possibile individuare il titolare effettivo se non tramite il criterio residuale. Così, spesso vengono proposti come titolari effettivi: l’amministratore unico, il presidente del CDA, l’amministratore delegato, il procuratore speciale, etc., molte volte coincidenti con i legali rappresentanti della stessa società. 2. All’atto dell’identificazione – di regola coincidente con l’accettazione del conferimento dell’incarico – il cliente deve essere invitato a dichiarare se il rapporto è instaurato per conto di un altro soggetto (c.d. titolare effettivo) e, in tal caso, a fornire le indicazioni necessarie alla sua identificazione: la dichiarazione del cliente è necessaria anche quando l’identificazione del titolare effettivo sia possibile mediante il ricorso a un pubblico registro. Il libero professionista è tenuto a identificare l’eventuale titolare effettivo (titolari effettivi) e a verificarne l’identità, ma non a registrare le relative informazioni nell’archivio informatico/registro modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione).

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cartaceo, potendo limitarsi a conservarle nel fascicolo del cliente (in tal senso le risposte ufficiali fornite dal Mef e pubblicate su Italia Oggi del 21 maggio 2010, p. 20. Si veda anche, A. De Vivo, Antiriciclaggio: le recenti risposte del Mef ai quesiti dei professionisti, in Il fisco, n. 23/2010, fascicolo 2, p. 3691 e ss.)12. Le informazioni necessarie al libero professionista per adempiere all’obbligo di identificazione del titolare effettivo (dei titolari effettivi) sono identiche a quelle previste per l’identificazione del cliente-persona fisica, ovvero: nome, cognome, luogo e data di nascita, indirizzo di residenza, codice fiscale, estremi del documento d’ identità; quest’ultimo deve essere non scaduto o altro documento di riconoscimento equipollente ai sensi della normativa vigente utile ad accertarne l’identità13. Ai soggetti obbligati che, in violazione delle disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela omettono di acquisire e verificare i dati identificativi e le informazioni sul cliente, sul titolare effettivo, sull’esecutore, sullo scopo e sulla natura del rapporto

B. Iannello, L’identità del cliente alla verifica dei fatti, Professioni24: Guida al diritto del 5 giugno 2015. 13 I documenti validi per l’identificazione sono: 1. carta d’identità; 2. passaporto; 3. patente di guida; 4. patente nautica; 5. libretto di pensione; 6. patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici; 7. tessere di riconoscimento munite di foto e timbro rilasciate da un’Amministrazione statale; 8. permesso di soggiorno (in via residuale).

continuativo o della prestazione professionale si applica la sanzione amministrativa pecuniaria pari a 2.000 euro come è previsto dall’art. 56 dell’anzidetto decreto. In particolare, il legislatore sgrava il libero professionista da tale obbligo di identificazione del titolare o beneficiario effettivo14, poiché lo abilita a ribaltare tale onere sul cliente, il quale, ai sensi dell’art. 21 del decreto 231/2007, dovrà comunicare, a propria personale responsabilità, oltre ai propri dati anagrafici ed ai dati relativi a “scopo” e “natura” della prestazione professionale, tutte le informazioni ed i dati necessari affinché possa assolvere l’obbligo di adeguata verifica e, quindi, analizzare e “comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente-persona giuridica”, fino ad individuare la persona o le persone fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano o possiedono il cliente-persona giuridica15. In tal senso, l’articolo 22 del D.lgs. 231/2007 come aggiornato dal D.lgs. 90/2017 prevede l’“obbligo” per le società e le persone giuridiche private di individuare, oltre che il titolare giuridico, uno o più titolari effettivi (c.d. beneficial

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Semmai sul soggetto obbligato grava l’onere di rafforzare o semplificare gli adempimenti in ragione della tipologia di clientela con la quale si opera. 15 CNDCEC, Antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007): linee guida per l’adeguata verifica della clientela, Roma, luglio 2011, 4042. Per chiarimenti si vedano gli esempi esplicativi riportati a pp. 42-45. 14


La trasparenza del titolare effettivo in Europa: l’implementazione del sistema di interconnesione dei registri

owner)16; le relative informazioni17 devono essere comunicate al soggetto obbligato per consentire a quest’ultimo di adempiere agli obblighi di adeguata verifica. L’elusione di detto obbligo ovvero la mancata comunicazione dei dati18 ovvero una non corretta comunicazione dei dati stessi, comportano la valutazione di segnalazione della condotta tenuta dal clientepersona giuridica. All’esito dell’adeguata verifica avente ad oggetto le informazioni offerte dal cliente-persona giuridica anche sul titolare effettivo (sui titolari effettivi) e compiuta dal soggetto obbligato potrà emergere l’inesistenza di una persona fisica che diriga o controlli l’entità giuridica, così come potrà accadere che l’obbligato non sia in grado, attraverso visure presso pubblici

Il “titolare giuridico” può essere al contempo anche “titolare effettivo”, nel caso in cui a detenere i poteri di amministrazione o direzione fosse il legale rappresentante, l’amministratore delegato, il direttore generale escludendo dal novero dei titolari effettivi, per esempio, i consiglieri di amministrazione indipendenti o di minoranza; ma la figura del titolare effettivo non sempre coincide con la figura del legale rappresentante o del titolare dell’azienda. 17 La richiesta e l’acquisizione di dati identificativi nonché la richiesta e l’esibizione dell’intera situazione economica finanziaria e patrimoniale. 18 In caso di omessa comunicazione delle informazioni sul titolare effettivo, sono previste sanzioni pecuniarie da 103 euro a 1.032 euro ex articolo 2630 c.c. Se la comunicazione avviene nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti, la sanzione amministrativa pecuniaria viene ridotta di 1/3. 16

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registri, di pervenire ad un’identificazione certa del titolare effettivo. In questa ipotesi ci si dovrà attenere alla dichiarazione resa dal cliente-persona giuridica per il tramite del proprio legale rappresentante e, qualora ci siano elementi di sospetto sulla veridicità delle dichiarazioni rese e sulla congruità dei dati emergenti dai pubblici registri, il professionista dovrà astenersi, ai sensi dell’art. 42, e segnalare l’operazione all’autorità competente; la segnalazione costituisce il punto di arrivo di tutta l’attività preventiva effettuata dagli obbligati ma senza un’attenta adeguata verifica, senza la registrazione e conservazione dei dati e delle informazioni raccolte, le finalità di contrasto non possono realizzarsi19. 3. Gli Stati membri devono provvedere a che tali enti, da un lato, conservino e forniscano ai soggetti obbligati informazioni “adeguate, accurate e attuali” sul titolare effettivo e sul controllo di persone giuridiche20; dall’altro, devono essere rese disponibili e accessibili tempestivamente alle autorità competenti. La necessità di ottenere informazioni accurate e aggiornate sul

R. Ranieri, Antiriciclaggio e professionisti, Maggioli, 2013, p. 96. e Segnalazione nella lotta al riciclaggio: gli indicatori di anomalia, in Notariato, 3/2011, p. 316. 20 Il legislatore comunitario con la IV Direttiva – ora recepita negli ordinamenti interni – ha inteso fare proprie le raccomandazioni del GAFI, in particolare con le raccomandazioni 24 e 25. 19

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titolare effettivo è considerata un elemento fondamentale per rintracciare criminali che potrebbero altrimenti occultare la propria identità dietro una struttura societaria, da utilizzare per finalità di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo21. Gli standard internazionali richiedono, infatti, ai Paesi di garantire che informazioni adeguate, accurate ed aggiornate sul titolare effettivo e sulla catena di controllo delle persone giuridiche, siano rese disponibili ed accessibili tempestivamente alle autorità competenti22. La necessità di conseguire e conservare informazioni accurate e aggiornate sul titolare effettivo dei soggetti giuridici diversi dalle persone fisiche è considerata come prioritaria dai più recenti standard internazionali in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo, in quanto misura per rintracciare criminali che potrebbero altrimenti

Considerando (14) della DIRETTIVA (UE) 2015/849 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 maggio 2015 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione. 22 R. Alessandra, Prevenzione del riciclaggio e finanziamento del terrorismo: finalità e novità normative, in Diritto penale e processo, Ipsoa,1/2018, 33. 21

occultare la propria identità dietro una struttura societaria23. Naturalmente, prima dell’invio di una segnalazione di operazione sospetta, occorre verificare attentamente le informazioni fornite dal proprio cliente in quanto potrebbe accadere la circostanza che fornisca informazioni palesemente inesatte o incomplete ovvero false riguardo alla propria identità e quella dell’eventuale titolare effettivo; altresì occorre verificare il comportamento tenuto dal medesimo nel corso del rapporto professionale, nonché verificare “l’apparente originalità” dei documenti identificativi utilizzati. Per garantire il rispetto della privacy e la protezione dei dati personali, i dati minimi necessari per lo svolgimento delle indagini AML/CFT dovrebbero essere conservati in meccanismi centralizzati automatizzati per i conti bancari e di pagamento, quali registri o sistemi per il recupero dei dati. Gli Stati membri dovrebbero poter stabilire quali dati è utile e proporzionato raccogliere, tenuto conto delle tradizioni giuridiche e dei sistemi esistenti per consentire l’efficace individuazione dei titolari effettivi. 4. È regola generale ricercare un giusto equilibrio tra il pubblico interesse alla prevenzione del riciclaggio di denaro e del finan V. Vallefuoco, Dalla V Direttiva antiriciclaggio incentivi alla disciplina già esistente in ottica di continuità e coerenza – Accesso pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva, in Il Fisco, 32/33, 2018, 3159. 23


La trasparenza del titolare effettivo in Europa: l’implementazione del sistema di interconnesione dei registri

ziamento del terrorismo e i diritti fondamentali delle persone interessate. L’insieme di dati da mettere a disposizione del pubblico dovrebbe essere limitato, definito in maniera chiara e tassativa e avere natura generale, in modo da ridurre al minimo il potenziale pregiudizio per i titolari effettivi. Allo stesso tempo le informazioni rese accessibili al pubblico non dovrebbero differire significativamente dai dati raccolti attualmente. Per limitare le ripercussioni sul diritto al rispetto della vita privata in generale e alla protezione dei dati personali in particolare, tali informazioni dovrebbero riguardare essenzialmente lo status dei titolari effettivi di società e altri soggetti giuridici nonché di trust e istituti giuridici affini e riferirsi rigorosamente alla loro sfera di attività economica. È opportuno che nei registri siano chiaramente indicati i casi in cui il dirigente di alto livello sia stato identificato come titolare effettivo solo ex officio e non perché detiene partecipazioni o esercita un controllo tramite altri mezzi24. Inoltre, allo scopo di garantire un approccio proporzionato ed equilibrato e di tutelare il diritto alla vita privata e alla protezione dei dati personali, gli Stati membri dovrebbero poter prevedere in circostanze eccezionali, qualora le informazioni espongano il titolare effettivo a un rischio sproporzio-

nato di frode, rapimento, ricatto, estorsione, molestia, violenza o intimidazione, deroghe alla comunicazione delle informazioni sulla titolarità effettiva attraverso i registri che contengono informazioni sulla titolarità effettiva e l’accesso a esse. Dovrebbe inoltre essere possibile per gli Stati membri prevedere la richiesta di registrazione online al fine di identificare tutte le persone che richiedano informazioni dal registro, come pure il pagamento di un corrispettivo per accedere alle informazioni contenute nel registro25. Ed ancora, sempre al fine di evitare l’abuso delle informazioni contenute nei registri e bilanciare i diritti dei proprietari effettivi, gli Stati membri potrebbero ritenere opportuno esaminare la possibilità di mettere altresì a disposizione del titolare effettivo le informazioni sul richiedente unitamente alla base giuridica della relativa richiesta26. A tal proposito, in Europa è contestata la modalità di accesso ed identificazione dei dati ovvero di reperibilità delle informazioni e precisamente dal Lussemburgo che ha presentato un ricorso pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia Europea in merito a dei ricorsi massivi di soggetti controinteressanti (circa 17.000) che si oppongono strenuamente alla

DIRETTIVA (UE) 2018/843, considerando (36). 26 DIRETTIVA (UE) 2018/843, considerando (38). 25

DIRETTIVA (UE) 2018/843, considerando (34). 24

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consultazione di terzi di dati a loro riferibili. Infatti, in seguito all’adozione della quarta direttiva antiriciclaggio dell’UE (4AMLD) nel 2017, il Lussemburgo ha imposto a tutte le società di identificare i propri beneficiari economici e di registrarne i dati nel Registro delle Imprese Lussemburghese (LBR), che a sua volta li pubblica sul Registro dei titolari effettivi delle società (RBE). Di conseguenza, le informazioni sulla titolarità effettiva devono essere conservate da tutti i fiduciari nazionali o esteri e i trust il cui trustee è domiciliato in Lussemburgo, o laddove un fiduciario o un trustee non residente instauri un rapporto professionale con un’entità commerciale lussemburghese o acquisisca un immobile in Lussemburgo. A seguito di tale disposizione, negli anni sono state sollevate perplessità in merito a possibili violazioni della privacy per quei soggetti che hanno visto i propri dati personali resi pubblicamente accessibili, e a fine ottobre 2020 è stata iniziata la prima causa presso il tribunale distrettuale del Lussemburgo, riguardante la pubblicazione di dati personali sull’ LBR27. 5. L’esigenza che i registri gestiti dai rispettivi Stati membri siano interconnessi tramite una

https://www.capitaltrustees.ch/it/lapubblicazione-di-informazioni-sui-beneficiari-economici-di-societa-lussemburghesi-apre-la-strada-ad-azioni-legali/ 27

piattaforma centrale europea dal sistema di interconnessione dei registri delle imprese è stata conseguente al fatto che le imprese si espandono sempre di più oltre i confini nazionali approfittando delle opportunità offerte loro dal mercato interno. I gruppi transfrontalieri come pure le numerose operazioni di ristrutturazione, quali fusioni e scissioni, vedono coinvolte società di diversi Stati membri. Di conseguenza, si assiste a una crescente richiesta di accesso alle informazioni sulle società in un contesto transfrontaliero a partire dal 201228. In particolare, tutte le società di capitali con sede legale in uno dei Paesi appartenenti all’Unione europea (inclusi Islanda e Norvegia, paesi dello spazio economico europeo, ampliando quindi il territorio e le società interessate), aventi succursali (sedi secondarie) in Italia, oppure derivanti da fusione transfrontaliera a cui abbia partecipato almeno una società avente sede legale in Italia, devono indicare rispettivamente: lo Stato, il Registro di iscrizione e il numero di iscrizione relativi alla propria sede legale, in modo da determinarne l’Identificativo Unico Euro-

DIRETTIVA 2012/17/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 13 giugno 2012 che modifica la direttiva 89/666/CEE del Consiglio e le direttive 2005/56/CE e 2009/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di interconnessione dei registri centrali, commerciali e delle imprese (Testo rilevante ai fini del SEE). 28


La trasparenza del titolare effettivo in Europa: l’implementazione del sistema di interconnesione dei registri

peo (EUID) dell’impresa ai sensi della direttiva europea 2012/17/EU del 13 Giugno 2012. Ciò facilita lo scambio di informazioni tra registri e la trasparenza. Nel giugno 2017 l’interconnessione dei registri centrali, di commercio e delle imprese degli Stati membri è diventata operativa, agevolando in tal modo notevolmente l’accesso transfrontaliero alle informazioni sulle società nell’Unione e consentendo ai registri degli Stati membri di comunicare tra loro elettronicamente relativamente a determinate operazioni transfrontaliere che hanno un impatto sulle società. Il collegamento dei registri centrali degli Stati membri alla piattaforma è stato effettuato in conformità delle specifiche tecniche e delle procedure stabilite dagli atti di esecuzione adottati dalla Commissione a norma dell’articolo 24 della direttiva (UE) 2017/113229 e dell’articolo 31-bis della direttiva (UE) 2018/8430. Nel caso specifico dell’Italia: – il 14 gennaio 2021 è stata sciolta la riserva dal Garante della privacy circa la pubblicazione e, quindi, l’ufficialità del registro dei titolari effettivi che deve essere obbligatorio: ha dato parere favorevole su uno sche-

La DIRETTIVA (UE) 2017/1132 del Parlamento europeo e del Consiglio stabilisce, tra l’altro, le norme in materia di pubblicità e interconnessione dei registri centrali, dei registri di commercio e dei registri delle imprese degli Stati membri. 30 DIRETTIVA (UE) 2018/843, art. 20-bis. 29

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ma di decreto del MEF-MISE in materia di comunicazione, accesso e consultazione dei dati e delle informazioni relativi alla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, di persone giuridiche private, di trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali e di istituti giuridici affini ai trust; – lo scorso 22 marzo 2021, è entrato in vigore, per gli Stati membri dell’Unione Europea – e quindi anche per l’Italia –, il Regolamento di esecuzione n. 369/2021 della Commissione, riguardante l’interconnessione tra i registri centrali nazionali dei beneficial owner, in linea con la IV e V Direttiva sull’AML, sennonché il Consiglio di Stato, con Provvedimento n. 458 del 22 marzo 2021 ore 8.35 (giorno di entrata in vigore di BORIS), ha sospeso l’adozione del parere avente ad oggetto il Decreto previsto dall’art. 21, comma 5, D.Lgs. n. 231/2007, chiedendo al MEF di fornire una serie di valutazioni, chiarimenti ed elementi di conoscenza ampiamente motivati all’esito di un’analisi accurata del testo del Decreto e dell’allegato tecnico. Si è ancora in attesa di un decreto attuativo dei ministeri MEF-MISE per l’attivazione e consultazione del registro telematico ex art. 21 comma 5° del D.lgs. 231/2007 contenente i dati sulla titolarità effettiva delle imprese dotate di personalità giuridica e delle persone giuridiche private tenute all’iscrizione nel Registro

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delle imprese nonché dei trust31, senza il quale appare probabile un rinvio del termine (originariamente previsto per il 15 marzo) entro cui occorre inviare al registro delle imprese i dati e le informazioni riguardanti la titolarità effettiva delle imprese.

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Art. 21 comma 5° del D.lgs.231/2007 Con un apposito decreto in attesa di emanazione saranno definiti: “1. i dati e le informazioni sulla titolarità effettiva delle imprese dotate di personalità giuridica, delle persone giuridiche private e dei trust da comunicare al Registro delle imprese nonché le modalità e i termini entro cui effettuare la comunicazione; 2. le modalità attraverso cui le informazioni sulla titolarità effettiva delle imprese dotate di personalità giuridica, delle persone giuridiche private e dei trust sono rese tempestivamente accessibili al Ministero dell’economia e delle finanze, alle autorità di vigilanza del settore, all’Unità di informazione finanziaria per l’Italia, alla Direzione investigativa antimafia e alla Guardia di finanza per il tramite

È stato disatteso dallo Stato italiano la tempistica prescritta dal nuovo art. 32 bis della V direttiva europea secondo cui gli Stati membri istituiscono i registri centrali di cui all’articolo 30 entro il 10 gennaio 2020, il registro di cui all’articolo 31 entro il 10 marzo 2020 e i meccanismi centralizzati automatizzati di cui all’articolo 32-bis entro il 10 settembre 2020. 31

del Nucleo Speciale Polizia Valutaria; 3. le modalità di consultazione delle informazioni da parte dei soggetti obbligati e i relativi requisiti di accreditamento; 4. i termini, la competenza e le modalità di svolgimento del procedimento volto a valutare la sussistenza dell’interesse all’accesso in capo alle autorità preposte e a disporre l’eventuale diniego; 5. con specifico riferimento alle informazioni sulla titolarità effettiva di persone giuridiche private diverse dalle imprese e su quella dei trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali, le modalità di dialogo tra il Registro delle imprese e le basi dati di cui è titolare l’agenzia delle Entrate relativi al codice fiscale ovvero, se assegnata, alla partita Iva del trust e agli atti istitutivi, dispositivi, modificativi o traslativi inerenti le predette persone giuridiche e i trust, rilevanti in quanto presupposti impositivi per l’applicazione di imposte dirette o indirette”. 6. L’articolo 22 della direttiva UE 2017/1132 prevede che gli Stati membri interconnettano i loro registri centrali nazionali della titolarità effettiva attraverso la cosiddetta “piattaforma centrale europea”. Il sistema di interconnessione dei registri del titolare effettivo di ciascuno Stato membro c.d. “BORIS”32 (operativo dal 22 marzo

32 Il Regolamento di Esecuzione (UE) n. 2021/369 della Commissione Europea


La trasparenza del titolare effettivo in Europa: l’implementazione del sistema di interconnesione dei registri

2021) funge da servizio di ricerca centrale che mette a disposizione tutte le informazioni relative alla titolarità effettiva di società, di altri soggetti giuridici, di trust e di istituti giuridici affini con l’obbiettivo di migliorare la trasparenza in merito alla titolarità effettiva in vista di una prevenzione migliore dell’uso del sistema finanziario per fini di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo. Tuttavia, BORIS funzionerà come un sistema decentralizzato che interconnetterà i registri nazionali della proprietà economica degli Stati membri e il portale europeo della giustizia elettronica attraverso la piattaforma centrale europea. L’infrastruttura BORIS condivide la stessa piattaforma con il

(“Regolamento”), con l’obiettivo di migliorare la trasparenza in merito alla titolarità effettiva ai fini della prevenzione dell’uso del sistema finanziario per fini di riciclaggio di denaro o finanziamento del terrorismo, conformemente alle previsioni della Direttiva (UE) 2018/843 (V Direttiva Antiriciclaggio) e della Direttiva (UE) 2015/849 (IV Direttiva Antiriciclaggio), ha istituito BORIS, quale piattaforma di interconnessione dei registri centrali dei titolari effettivi degli Stati membri e servizio centrale di ricerca di tutte le informazioni relative alla titolarità effettiva di società, di altri soggetti giuridici, di trust e di istituti giuridici affini (ma non tutti i soggetti, come vedremo in seguito) N. Mitidieri, Antiriciclaggio: il (disap)punto del Consiglio di Stato e non solo (riskcompliance.it), 7 aprile 2021. Questo Regolamento stabilisce le specifiche tecniche e le procedure necessarie per il sistema di interconnessione dei registri centrali di cui alla direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento Europeo e del Consiglio sull’Antiriciclaggio.

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già operativo sistema di interconnessione dei registri delle imprese degli Stati membri (Business Registers Interconnection System – “BRIS”33), che fornisce, invece, un accesso pubblico transfrontaliero alle informazioni sulle imprese e sulle loro succursali create in altri Stati membri attraverso la comunicazione elettronica tra i registri delle imprese, trasmettendo le informazioni agli utenti che accedono al sistema in maniera standardizzata, mediante un contenuto simile e tecnologie interoperabili, in tutta l’Unione. Le differenze tra il fine, l’ambito di applicazione e il contenuto dei registri interconnessi attraverso il sistema BRIS – le cui specifiche tecniche e procedure sono stabilite con apposito atto, ossia il regolamento di esecuzione (UE) n. 2015/884 della Commissione dell’8 giugno 2015 – e dei registri centrali dei titolari effettivi interconnessi attraverso il sistema BORIS hanno reso necessario per quest’ultimo definire e adottare ulteriori specifiche tecniche, misure e altri requisiti con il regolamento di esecuzione (UE) n. 2021/369 che garantiscano condizioni uniformi per l’implementazione del L’infrastruttura BRIS si basa sugli obblighi giuridici stabiliti dalla direttiva 2012/17/ UE sull’interconnessione dei registri delle imprese e dal Regolamento di esecuzione (UE) 2015/884 dell’8 giugno 2015. La direttiva richiede l’istituzione di un sistema informativo che interconnetta i registri centrali, commerciali e delle imprese (detti anche registri delle imprese) di tutti gli Stati membri, mentre il regolamento dettaglia le specifiche tecniche del sistema. 33

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sistema, implementando di fatto BORIS (Beneficial Ownership Registers Interconnection System). Pertanto, in ciascuno Stato membro è costituito un fascicolo presso un registro centrale, presso il registro di commercio o presso il registro delle imprese (“registro”) per ogni società iscritta.

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7. Passando ad una sintetica disamina del Registro dei titolari effettivi italiano, questo, come già anticipato, è previsto dall’art. 21 comma 5° del d.lgs. n. 231/2017 modificato dai d.lgs. 90/2017 e 125/2019 ed è già recepito in diversi Paesi europei poiché è prevista l’interconnesione dei registri a livello comunitario. Si evidenzia che l’obbligo di comunicare le informazioni sui titolari effettivi riguarda le imprese dotate di personalità giuridica tenute all’iscrizione nel Registro Imprese ai sensi dell’art. 2188 c.c., le persone giuridiche private tenute all’iscrizione nel Registro di cui al Dpr n. 361/2000, nonché i trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali, le cui informazioni saranno conservate in apposite sezioni speciali34 del Registro Imprese. Il Registro Imprese è formato da due sezioni: la sezione dedicata e la sezione speciale da utilizzare esclusivamente per ottemperare agli obblighi di adeguata verifica del cliente. Le sezioni speciali del Registro Imprese dedicate ai titolari effettivi, previste dall’art. 21 del D.lgs. n. 231/2007 e successive modifiche, non sono ancora operative in quanto il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto

In particolare, l’art. 16 della Direttiva (UE) 2019/1151 individua i seguenti atti ed indicazioni come oggetto di obbligo della pubblicità per le società: a) l’atto costitutivo e lo statuto, se quest’ultimo forma oggetto di atto separato; b) le modifiche degli atti di cui alla lettera a), compresa la proroga della società; c) dopo ogni modifica dell’atto costitutivo o dello statuto, il testo integrale dell’atto modificato nella sua redazione aggiornata; d) la nomina, la cessazione dalle funzioni nonché le generalità delle persone che, in quanto organo previsto per legge o membri di tale organo: i) hanno il potere di obbligare la società di fronte ai terzi e di rappresentarla in giudizio; le misure di pubblicità precisano se le persone che hanno il potere di obbligare la società possano agire da sole o siano tenute ad agire congiuntamente; ii) partecipano all’amministrazione, alla vigilanza o al controllo della società; e) almeno una volta l’anno, l’importo del capitale sottoscritto,

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con il Ministero dello sviluppo economico, non ha concluso l’iter di approvazione. Tale decreto dovrà stabilire infatti i dati e le informazioni da comunicare, il termine entro cui assolvere l’adempimento, le modalità di consultazione da parte delle autorità, i soggetti obbligati e legittimati, i requisiti di accreditamento e i diritti di segreteria.


La trasparenza del titolare effettivo in Europa: l’implementazione del sistema di interconnesione dei registri

quando l’atto costitutivo o lo statuto menzionano un capitale autorizzato, a meno che ogni aumento del capitale sottoscritto comporti una modifica dello statuto; f) i documenti contabili di ciascun esercizio finanziario la cui pubblicazione è obbligatoria in forza delle direttive del Consiglio 86/635/CEE, 91/674/CEE e della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio ; g) ogni trasferimento della sede sociale; h) lo scioglimento della società; i) la sentenza che dichiara la nullità della società; j) la nomina e le generalità dei liquidatori e i loro rispettivi poteri, a meno che tali poteri risultino espressamente ed esclusivamente dalla legge o dallo statuto; k) l’eventuale chiusura della liquidazione e la cancellazione dal registro negli Stati membri in cui quest’ultima produce effetti. L’omessa comunicazione di tali informazioni comporterà l’applicazione della sanzione di cui all’art. 2630 c.c. L’insieme di informazioni contenute nei registri nazionali riguardanti una società o altro soggetto giuridico o trust o tipo affine di istituto giuridico viene definito «record sulla titolarità effettiva». Il «record sulla titolarità effettiva» include dati sul profilo del soggetto o istituto interessato, sul/sui titolare/i effettivo/i di tale soggetto/istituto, nonché su uno

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o più interessi beneficiari detenuti da tali titolari. Tuttavia, ogni Stato membro avrà la possibilità di ampliare le informazioni minime obbligatorie con ulteriori informazioni.

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L’evoluzione della disciplina normativa della costituzione delle società a responsabilità limitata startup innovativa tra la “compliance” e le disposizioni antiriciclaggio Bochra El Hachimi La costituzione di s.r.l. start-up innovativa può avvenire mediante la redazione dell’atto costitutivo attraverso un modello uniforme ovvero per atto pubblico o mediante la sottoscrizione di cui all’art. 24 del C.A.D. ai sensi dell’art. 4 del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3). Il decreto ministeriale del MISE del 17 febbraio 2016 ha introdotto un’ulteriore modalità, ovverosia la costituzione della società esclusivamente tramite la modalità informatica nell’ipotesi in cui l’atto costitutivo e lo statuto siano disgiunti. Il Consiglio Nazionale del Notariato, con ricorso di data 4 maggio 2016, ha richiesto l’annullamento del D.M. del MISE, muovendo molteplici censure. In primis non può avere la portata innovativa di introdurre un’ulteriore modalità di costituzione della società. In secondo luogo, è necessario un controllo in sede di costituzione, modificazione, estinzione della società in conformità alle direttive europee ed alla disciplina nazionale dell’antiriciclaggio, controllo che non può essere sostituito dall’attività di verifica svolta dall’Ufficio del Registro delle imprese, in quanto formale e non pregnante di verifica dei requisiti qualificanti la società quale innovativa, come invece introdotto illegittimamente dal decreto ministeriale impugnato. Il Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza di data 29 maggio 2021, n. 2643 ha accolto le censure mosse dal Consiglio Nazionale del Notariato e “bocciato” il D.M. del MISE del 17 febbraio 2016, ma delle criticità presenta la stessa norma primaria di cui all’art. 4 del D.L. 24 gennaio 15, n. 3 laddove ammette la modalità di costituzione della società per il tramite della redazione di un modulo senza un preventivo controllo del notaio. L’art. 29 della L. 22 aprile 2021, n. 53 prevede la costituzione di s.r.l. ed s.r.l.s. (con sede in Italia e costituite con conferimenti esclusivamente in denaro) mediante un modello standard di statuto in forma di atto pubblico tramite una piattaforma che consenta la videoconferenza ed il riconoscimento della firma elettronica. L’evoluzione normativa della disciplina conduce inevitabilmente ad una riflessione sul ruolo del notaio, che – nonostante le mutate esigenze sociali, affiancate da un processo di forte modernizzazione e digitalizzazione – ha saputo informatizzare il lavoro mediante la semplificazione e modernizzazione dell’attività e del ruolo svolti, per cui non può dirsi una figura “superata”. Sommario: 1. Premessa. – 2. La redazione di un modulo senza un preventivo controllo del notaio, quale modalità di costituzione delle start-up innovative, ex art. 4, D.L. 24 gennaio 15, n. 3. – 3. Il DM 17 Febbraio 2016 sulle “modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata start-up innovative”. – 4. Il Consiglio Nazionale del Notariato richiede l’annullamento del DM 17 febbraio 2016. – 4.1. Il Consiglio di Stato, sez. VI, 29 maggio 2021 n. 2643, accoglie le censure mosse dal Consiglio Nazionale del Notariato. – 5. La costituzione delle s.r.l. mediante piattaforma online ai sensi della L. 22 aprile 2021, n. 53. – 6. La valutazione sociale del ruolo del notaio.


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1. Premessa La disciplina dell’impresa startup innovativa costituisce uno dei punti chiave per la crescita occupazione e per una politica industriale strategica. Con essa si vuole “favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile (…) e contestualmente contribuire allo sviluppo di una nuova cultura imprenditoriale, alla creazione di un contesto maggiormente favorevole all’innovazione, così come a promuovere maggiore mobilità sociale e ad attrarre in Italia talenti, imprese innovative e capitali dall’estero”1. Ai sensi del comma 2 dell’art. 25 del D.L. 179/20122 la società di 254 D.L. 179/2012, art. 25, comma 1. D.L. 179/2012, art. 25, comma 2: “Ai fini del presente decreto, l’impresa start-up innovativa, di seguito «start-up innovativa», è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede i seguenti requisiti: a) Lettera soppressa dal D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 99; b) è costituita da non più di sessanta mesi; c) è residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia; d) a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del 1

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valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro; e) non distribuisce, e non ha distribuito, utili; f) ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; g) non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda; h) possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti: 1) le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa. Dal computo per le spese in ricerca e sviluppo sono escluse le spese per l’acquisto e la locazione di beni immobili. Ai fini di questo provvedimento, in aggiunta a quanto previsto dai principi contabili, sono altresì da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative allo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso. Le spese risultano dall’ ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa. In assenza di bilancio nel primo anno di vita, la loro effettuazione è assunta tramite dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della start-up innovativa; 2) impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure


L’evoluzione della disciplina normativa della costituzione delle società a responsabilità limitata start-up innovativa tra la “compliance” e le disposizioni antiriciclaggio

capitali start-up innovativa, ovverosia la società di capitali, è così delineata: – trattasi di un’impresa nuova o altrimenti in vita da non più di cinque anni; – con sede produttiva o filiale collocata sul suolo italiano e la residenza o in Italia o in altro Paese dell’Unione Europea; – una produzione annua di valore complessivo entro i cinque milioni di euro; – utili non ripartiti; – l’innovazione tecnologica quale espressione principale o esclusiva dell’oggetto sociale; – non sia il risultato o la determinazione di una fusione, scissione o di cessione di un ramo d’azienda; – le azioni e/o le sue quote non devono collocarsi sui mercati

in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270; 3) sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa”.

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regolamentati o in piattaforme multilaterali di negoziazione; – rispetta uno dei tre requisiti di cui alla lett. h: i. investimenti in R&S ed innovazione non inferiori al 15% del maggior valore intercorrente tra il fatturato ed il costo; ii. impiego di personale altamente qualificato di cui almeno 1/3 dottori di ricerca, dottorandi o ricercatori ovvero 2/3 con titolo di laurea magistrale; iii. l’impresa titolare o depositaria o licenziataria di un brevetto ovvero di un software registrato. La disciplina delle s.r.l. start-up innovative rispetto alla disciplina societaria ordinaria presenta una deroga in quanto consente per le società costituite in forma s.r.l. la creazione di categorie di quotate con particolari diritti, di eseguire operazioni sulle proprie quote, l’emissione di strumenti finanziari partecipativi nonché la possibilità di offrire al pubblico quote di capitale.

2. La redazione di un modulo, senza un preventivo controllo del notaio quale modalità di costituzione delle start-up innovative, ex art. 4, D.L. 24 gennaio 15, n. 3 L’art. 4, D.L. 24 gennaio 15, n. 3, c.d. “Decreto Crescita 2.0” prevede la modalità di costituzione delle start-up innovative mediante la redazione di un modulo, senza, ex ante, il controllo del no-

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taio. Tale modulo viene sottoscritto mediante firma digitale e poi trasmesso per via telematica al Registro delle Imprese. È una innovazione di portata epocale perché consente per la prima volta in Italia la costituzione di una società di capitali in assenza del controllo notarile. Questa modalità di costituzione presenta delle criticità: – la sua incompatibilità con i principi espressi dalla Dir. CE 1132/2017 e l’incompatibilità rispetto ai controlli antiriciclaggio di cui agli artt. 18 e 19, D.Lgs. n. 231/2007; – l’identificazione degli effettivi sottoscrittori. Il controllo che può effettuarsi mediante la firma digitale può avvenire solo ex post, mentre la normativa antiriciclaggio richiede di procedere ad una verifica prima della costituzione della società. Anche la Dir. CE 1132/2017 richiede che la costituzione della società sia susseguente al controllo di legalità; – la firma digitale non consente di verificare la sussistenza della capacità di agire in capo al sottoscrittore, al momento dell’apposizione della firma. Dunque “è per questi motivi che il nostro legislatore si sta orientando, nel recepimento della nota Dir. 1151/2019/CE, verso una precisa scelta per quanto attiene alle modalità di costituzione delle s.r.l. online, optando per la costituzione affidata al controllo notarile e, quindi, anche in presenza di un modello standard di statuto stipulato con atto pubbli-

co, formato mediante l’utilizzo di una piattaforma che consenta la videoconferenza e la sottoscrizione dell’atto con firma elettronica riconosciuta”3. La Direttiva n. 1151/2019 esprime contezza delle criticità intorno alla modalità costitutiva in esame. Per far fronte ad esse si ritiene necessario un controllo di legalità che guarda alle specificità dei singoli casi. Dunque, la modalità di costituzione ex art. 4, D.L. 24 gennaio 15, n. 3 risulta essere “fuori norma”: sia la disciplina comunitaria sia del legislatore nazione richiede un controllo di legalità sostanziale ex ante rispetto alla costituzione della società e non successivo come invece allo “stato dell’arte”, ma di tale criticità si formula una soluzione mediante la previsione di cui alla L. 22 aprile 2021, n. 53, ex art. 29.

3. Il DM 17 Febbraio 2016 sulle “modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata start-up innovative” Il D.M. del MISE del 17 febbraio 2016 sulle “modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata start-up innovative” da attuazione alla D.L. n. 3/2015, con l’introduzione di un modello standard di costituzione di società. Dispone all’art. 1, ru-

V. Gunnella, Le startup innovative online e la normativa antiriciclaggio, Editoriale Nuove tecnologie, Notariato, 2/2021. 3


L’evoluzione della disciplina normativa della costituzione delle società a responsabilità limitata start-up innovativa tra la “compliance” e le disposizioni antiriciclaggio

bricato “onere formale”, che: “in deroga a quanto previsto dall’art. 2463 del c.c., i contratti di società a responsabilità limitata, ivi regolati, aventi per oggetto esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e per i quali viene richiesta l’iscrizione nella sezione speciale delle startup di cui all’art. 25, comma 8, del decreto legge 19 ottobre 2012, n. 179, sono redatti in forma elettronica e firmati digitalmente a norma dell’art. 24 del C.A.D., da ciascuno dei sottoscrittori, nel caso di società pluripersonale, o dall’unico sottoscrittore nel caso di unipersonale, in totale conformità allo standard allegato sotto la lettera A al presente decreto, redatto sulle base delle specifiche tecniche del modello, di cui all’art. 2, comma 1. 2. L’atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica e portano l’impronta digitale di ciascuno dei sottoscrittori apposta a norma dell’art. 24 del C.A.D. 3. L’atto sottoscritto in maniera diversa da quanto previsto dal comma 2, non è iscrivibile nel registro delle imprese. 4. In caso di atto plurilaterale è richiesta la sottoscrizione da parte di tutti i contraenti. Il procedimento di sottoscrizione deve completarsi entro dieci giorni dal momento dell’apposizione della prima sottoscrizione. 5. Non è richiesta alcuna autentica di sottoscrizione”. In seguito, con un D.M. del 28 ottobre 2016, questa previsione innovativa viene estesa anche ri-

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spetto a modifiche dell’atto costitutivo successive alla “nascita” della società. L’art. 2, rubricato “procedimento di iscrizione in sezione ordinaria”, indica l’iter per l’iscrizione della società nel Registro delle Imprese. L’ufficio del Registro delle Imprese procede alle verifiche ex art. 2, comma 24, sul documento

L’ufficio del registro delle imprese verifica: a) la conformità del contratto al modello standard approvato col presente decreto e redatto sulle base delle specifiche tecniche del modello, di cui al comma 1 del presente articolo; b) la sottoscrizione a norma dell’art. 24 del C.A.D. da parte di tutti i sottoscrittori o se unipersonale dell’unico contraente; c) che il procedimento di sottoscrizione si sia concluso con l’apposizione della sottoscrizione di tutti i soci entro dieci giorni dal momento dell’apposizione della prima delle sottoscrizioni, in caso di contratto plurilaterale; d) la riferibilità astratta del contratto alla previsione di cui all’art. 25 del decreto legge 179 del 2012, come modificato da ultimo dall’art. 4, comma 10-bis, del decreto legge 3 del 2015; e) la validità delle sottoscrizioni secondo quanto previsto dall’art. 2189, comma 2, del codice civile e dall’art. 11, comma 6, lett. a), del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 995, n. 581; f) la competenza territoriale; g) l’indicazione di un indirizzo di posta elettronica certificata direttamente riferibile alla società; h) la liceità, possibilità e determinabilità dell’oggetto sociale; i) l’esclusività o la prevalenza dell’oggetto sociale concernente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; j) la presentazione contestuale della domanda di iscrizione in sezione speciale delle start-up; k) l’adempimento degli obblighi di cui al titolo II del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni. 4. In caso di esito positivo delle verifiche di cui al comma 2, l’ufficio procede all’iscrizione provvisoria entro 10 4

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informatico ex art. 1. Al ché l’Ufficio dispone l’iscrizione momentanea della società nella sezione ordinaria del Registro delle imprese, con annessa annotazione “start-up costituita a norma dell’art. 4 comma 10-bis del decreto legge 24 gennaio 2015, n. 3, iscritta provvisoriamente in sezione ordinaria, in corso di iscrizione in sezione speciale”. Se dovessero sopravvenire dei motivi determinanti la cancellazione della società dalla sezione speciale del Registro delle imprese, non ne consegue la cancellazione dell’iscrizione dalla sezione ordinaria, che può continuare a conservarsi.

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4. Il Consiglio Nazionale del Notariato richiede l’annullamento del DM 17 febbraio 2016 Il Consiglio Nazionale del Notariato (CNN), con ricorso di data 4 maggio 2016, muove le seguenti censure: – in primis, il MISE si è arrogato un potere di portata innovativa dell’ordinamento non attribuitoli: è la norma primaria (art. 4, comma 10-bis D.L. 24

giorni dalla data di protocollo del deposito nella sezione ordinaria del registro delle imprese, con la dicitura aggiuntiva “start-up costituita a norma dell’art. 4 comma 10-bis del decreto legge 24 gennaio 2015, n. 3, iscritta provvisoriamente in sezione ordinaria, in corso di iscrizione in sezione speciale”. Al momento dell’iscrizione in sezione speciale, l’ufficio elimina la dicitura “iscritta provvisoriamente in sezione ordinaria, in corso di iscrizione in sezione speciale”.

gennaio 2015, n. 3) deputata alla disciplina della costituzione delle start-up innovative ed alla tipologia di atti ad essa propedeutici. La fonte primaria dispone che “l’atto costitutivo e le successive modificazioni sono redatti secondo un modello uniforme adottato con decreto del Ministero dello sviluppo economico” ed altresì “l’atto costitutivo e le successive modificazioni di start-up innovative sono redatti per atto pubblico ovvero per atto sottoscritto con le modalità previste dall’articolo 24 del codice dell’amministrazione digitale”. Dunque il Ministero avrebbe dovuto dare meramente esecuzione alla norma primaria e non invece innovare la disciplina mediante la previsione per cui “l’atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica”. Il DM non si è limitato all’applicazione delle indicazioni del Legislatore, ma si è “spinto marcatamente oltre, finendo per porsi in contrasto con la fonte primaria, in palese contrasto con il principio di gerarchia delle fonti”. Quest’ultima disposizione, prevedendo quale unica possibilità di redazione dell’atto costitutivo e dello statuto quella “esclusivamente informatica”, esclude l’altra delle due modalità alternative che il Legislatore prevede per la costituzione della peculiare tipologia di società in discorso, vale a dire quella “per atto pubblico”;


L’evoluzione della disciplina normativa della costituzione delle società a responsabilità limitata start-up innovativa tra la “compliance” e le disposizioni antiriciclaggio

– in secondo luogo, “secondo l’appellante le direttive europee hanno affermato la necessità del controllo di legalità in sede di costituzione, modificazione ed estinzione delle società di capitali, prescrivendo a tutela dei soci e dei terzi che, nel caso di assenza di controllo preventivo (amministrativo o giudiziario) al momento della costituzione, l’atto costitutivo, lo statuto e le loro modifiche devono rivestire la forma dell’atto pubblico. Il controllo degli atti costitutivi della società cui procede l’Ufficio del Registro delle Imprese è meramente formale, per cui non può giustificare l’assenza del notaio nella procedura”5; – la disciplina nazionale (art. 11 D.P.R. n. 581 del 1995) attribuisce agli Uffici del Registro delle imprese la competenza ad un controllo di tipo eminentemente formale, ossia non diretto ad accertare l’effettiva esistenza delle condizioni per l’iscrizione della società nel registro, ma basato sull’esame della documentazione presentata dal

T.A.R. Lazio Roma, sez. III-ter, 2 ottobre 2017, n. 10004, secondo cui il controllo preventivo richiesto dall’art. 11 della direttiva 2009/101/CE è pacificamente assolto mediante i modelli uniformi o tipizzati sia per la costituzione della società che per le successive modifiche dell’atto costitutivo, in quanto “è il modello uniforme che garantisce, a monte, la coerenza dell’atto con i crismi della legalità sostanziale” in presenza della corrispondenza dell’atto di costituzione della società al modello standardizzato. 5

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notaio6. Oltre ad un controllo meramente formale del conservatore, si affianca un controllo c.d. qualificatorio – art. 11, comma 6 D.P.R n. 581/1995 – dove oltre alla verifica della corrispondenza dell’atto a quello previsto ex lege si affianca quello di qualificazione (in ipotesi di esito positivo del controllo di “corrispondenza”); anche tale tipo di controllo è ricondotto al tipo dei controlli formali7. Ne consegue l’illegitti Il Registro delle imprese ex art. 2188 c.c., ai sensi dell’art. 8 L. n. 580/1993 è stato istituito presso la camera di commercio per le iscrizioni disposte per legge. L’art. 11, comma 6, D.P.R. n. 581/1995, norma di attuazione della disposizione del c.c., dispone che “prima di procedere all’iscrizione, l’ufficio accerta: a) l’autenticità della sottoscrizione della domanda; b) la regolarità della compilazione del modello di domanda; c) la corrispondenza dell’atto o del fatto del quale si chiede l’iscrizione a quello previsto dalla legge; d) l’allegazione dei documenti dei quali la legge prescrive la presentazione; e) il concorso delle altre condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione”. In coerenza con la normativa delineata, la dottrina sostiene anch’essa un controllo meramente formale dei conservatori dei registri. Controllo che attiene dunque agli aspetti formali della domanda relativi all’autenticità della sottoscrizione, alla compilazione della domanda ed alle allegazioni dei documenti. 7 La giurisprudenza maggioritaria definisce questo controllo “qualificatorio” come un controllo meramente formale. Secondo il decreto del Tribunale di Padova del 16 febbraio 2007, si tratta di una “formale verifica della corrispondenza tipologica dell’atto da iscrivere a quello previsto dalla legge”. In coerenza, il Tribunale di Reggio Emilia 29 febbraio 2016, ritiene che i vizi rilevabili dal conservatore, sono quelli cd. estrinseci che risultano nell’immediato, per6

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mità dell’art. 2, lettere “d” e “b” del DM impugnato, nella parte in cui attribuiscono all’Ufficio del Registro delle Imprese un controllo che travalica i confini di quello formale di cui alla disciplina nazionale, ma ne stabilisce uno più pregnante di verifica della sussistenza dei requisiti qualificanti la start-up quale innovativa8.

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ché ulteriori accertamenti sono preclusi al vaglio in esame. 8 L’art. 2, comma 2, del DM impugnato prevede che: “l’ufficio del registro delle imprese verifica: a) la conformità del contratto al modello standard approvato col presente decreto e redatto sulla base delle specifiche tecniche del modello, di cui al comma 1 del presente articolo; b) la sottoscrizione a norma dell’articolo 24 del C.A.D. da parte di tutti i sottoscrittori o se unipersonale dell’unico contraente; c) che il procedimento di sottoscrizione si sia concluso con l’apposizione della sottoscrizione di tutti i soci entro dieci giorni dal momento dell’apposizione della prima delle sottoscrizioni, in caso di contratto plurilaterale; d) la riferibilità astratta del contratto alla previsione di cui all’articolo 25 del D.L. n. 179 del 2012, come modificato da ultimo dall’articolo 4, comma 10-bis, del D.L. n. 3 del 2015; e) la validità delle sottoscrizioni secondo quanto previsto dall’articolo 2189, comma 2, del codice civile e dall’articolo 11, comma 6, lett. a), del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581; f) la competenza territoriale; g) l’indicazione di un indirizzo di posta elettronica certificata direttamente riferibile alla società h) la liceità, possibilità e determinabilità dell’oggetto sociale; i) l’esclusività o la prevalenza dell’oggetto sociale concernente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; j) la presentazione contestuale della domanda di iscrizione in sezione speciale delle start-up; k) l’adempimento degli obblighi di cui al titolo II del

l’appellante lamenta la violazione della normativa antiriciclaggio ovverosia dei principi del D. Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e la violazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 in relazione agli obblighi di natura fiscale collegati all’attività di registrazione di atti.

4.1. Il Consiglio di Stato, sez. VI, 29 maggio 2021 n. 2643, accoglie le censure mosse dal Consiglio Nazionale del Notariato

Innanzitutto, il potere esercitato dal Ministero presenta una portata innovativa che non può avere, incidendo sulle modalità di costituzione della start-up innovativa rispetto alla disciplina delineata dalla normativa primaria. L’art. 4, comma 10-bis del D.L 24 gennaio 2015, n. 3 prevede la possibilità di costituire la società mediante due modalità alternative tra loro ovverosia “l’atto costitutivo e e successive modificazioni di start-up innovative sono redatti per atto D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni”. Deve ricordarsi che, in base all’art. 11 della Direttiva 2009/101/CE “in tutti gli Stati membri la cui legislazione non preveda, all’atto della costituzione, un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario, l’atto costitutivo e lo statuto della società e le loro modifiche devono rivestire la forma di atto pubblico” (è di analogo tenore l’art. 10 della successiva Direttiva 2017/1132/UE). È evidente che, in base alla disposizione comunitaria, l’atto costitutivo e lo statuto delle società e le loro modifiche possono non rivestire la forma dell’atto pubblico se la legislazione prevede, all’atto della costituzione, un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario.


L’evoluzione della disciplina normativa della costituzione delle società a responsabilità limitata start-up innovativa tra la “compliance” e le disposizioni antiriciclaggio

pubblico ovvero per atto sottoscritto con le modalità previste dall’articolo 24 del codice dell’amministrazione digitale”9. Invece, “il decreto impugnato (…) non si limita ad approvare un modello standard di atto costitutivo /statuto, prevedendo invece, tra l’altro, che “l’atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica”. Vi è, dunque, un “palese contrasto con il principio di gerarchia delle fonti”, ed una esclusione illegittima di una delle due modalità previste dal Legislatore per la costituzione della società tramite atto pubblico. Inoltre, Il Consiglio di Stato ritiene che debba “concludersi nel senso che (..) l’atto amministrativo impugnato abbia illegittimamente ampliato l’ambito dei controlli dell’Ufficio del Registro dell’imprese, senza un’adeguata copertura legislativa che autorizzasse tale innovazione. Il controllo di cui alla lettera d) non risulta un controllo meramente fermale, circoscritto alla rilevazione di vizi immediatamente rilevabili dai documenti a disposizione, bensì risulta essere un controllo che indaga oltre agli aspetti meramente forma-

9 V. Gunnella, Le start up innovative on line e la normativa antiriciclaggio, in Notariato, 2/2021, secondo cui già l’art. 4, D.L. 3/2015 presenta molteplici criticità, consentendo la costituzione della società per il tramite della sottoscrizione con firma digitale di un modulo e trasmissione on-line al Registro Imprese, modalità incompatibile con le Direttive Comunitarie e con gli artt. 18-19 del D.Lgs. n. 231/2007.

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li, su aspetti non immediatamente deducibili dall’atto. È ammesso il rilievo di vizi di validità, ma che emergano come tali dalla difformità dell’atto, poiché una indagine o una ulteriore valutazione è preclusa in capo al conservatore, di conseguenza il potere di controllo previsto alla lettera h) sulla liceità, possibilità e determinabilità dell’oggetto risulta travalicare i limiti delle potestà attribuite dalla disciplina nazionale all’Ufficio del Registro delle Imprese”10. Tribunale di Torino, 10 febbraio 2017, R.G. 12496/2016: nel caso di specie l’Ufficio del Registro imprese (abbreviando Ufficio) ha rifiutato l’iscrizione di una s.r.l. perché ha ritenuto necessaria, per considerarsi completa e regolare la domanda di iscrizione della società nella sezione speciale start-up innovative, l’indicazione chiara ed afferrabile delle qualità peculiari e dei connotati di qualità di “innovazione ad alto valore tecnologici”. L’utilizzo di queste ultime espressioni per soddisfare il requisito di cui all’art. 25 comma 2 lett. f) del D.L. 179/2021 comporta, invece, una domanda irregolare o incompleta. Il giudice del Registro delle Imprese, con la sentenza in oggetto ha ordinato all’Ufficio del Registro imprese di Torino l’iscrizione della società nella sezione speciale in quanto l’oggetto sociale “non è manifestamente carente degli attributi dell’innovatività e alto valore tecnologico” argomentando con seguenti ragioni: – in primis, l’art. 25 del D.L. 179/2012 non conferisce poteri di controllo extra-formali e ispettivi rispetto ai requisiti dell’oggetto sociale “start-up innovativa”. L’Ufficio non potrebbe nemmeno trovarsi nelle condizioni o nella possibilità di procedere ad un controllo nel merito perché la documentazione richiesta e presentata alla Camera di commercio risulta né ampia né approfondita sulla rappresentazione della rispondenza dell’oggetto sociale al tipo normativo. Altresì, in ipotesi di una istruttoria praeter legem l’Ufficio non ha la professionalità per 10

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procedere ad una verifica di tal si fatta ed il ricorrere a professionisti esterni non trova la copertura finanziaria ai sensi del comma 17 dell’art. 25 (D.L. 179/2012); – il comma 9 dell’art. 25 prevede che “ai fini dell’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui al comma 8, la sussistenza dei requisiti per l’identificazione della start-up innovativa (…) è attestata mediante autocertificazione prodotta dal legale rappresentante e depositata presso l’ufficio del registro delle imprese”. L’autocertificazione, nel segno della semplificazione e della speditezza dell’iter di iscrizione (nonché del mantenimento dell’iscrizione) nella sezione speciale implica – in prima battuta – la responsabilità del dichiarante in merito alla veridicità documentale; – il comma 12 dell’art. 25 dispone l’iscrizione automatica nella sezione speciale del registro delle imprese “a seguito della compilazione e presentazione della domanda in formato elettronico”. Il Ministero per lo Sviluppo, con parere 29.9.2014 prot. 169135, conferma che i poteri di verifica dell’Ufficio sono circoscritti alla regolarità formale ed alla completezza della documentazione della domanda allegata dove l’automatismo della presentazione della domanda non lascia spazio a valutazioni di merito ed attività istruttorie. Nel parere si legge che “non appare rimessa, dalla disciplina in esame, alla competenza dell’ufficio del registro delle imprese, infatti, la valutazione del merito delle dichiarazioni presentate dalle aspiranti start-up innovative (ad esempio, se i prodotti o i servizi di cui si avvia lo sviluppo, produzione e commercializzazione siano effettivamente caratterizzati dall’innovatività o dall’alto valore tecnologico) ma solo la verifica della regolarità formale della documentazione presentata: se cioè, la stessa sia stata sottoscritta dal soggetto legittimato; se la modulistica sia stata compilata correttamente; se siano state rese tutte le dichiarazioni previste; ecc.”. L’autocertificazione è, dunque, condizione necessaria e requisito sufficiente ai fini dell’iscrizione della start-up in sezione speciale. Se poi, la società dovesse risultare priva sin dalla sua costituzione dei

In ultima analisi, il D.M. impugnato prevede la possibilità di conservare – nell’ipotesi di cancellazione della società dalla sezione speciale per motivi sopravvenuti successivamente ad essa – l’iscrizione in quella ordinaria, così come disposto dall’art. 25, comma 16 D.L. n. 179/2012. Ma, questa previsione trova ragion d’essere nella costituzione della start-up innovativa per il tramite di atto pubblico; per tale motivo non dovrebbe ammettersi anche per le start-up innovative costituite mediante scrittura privata ex art. 24 C.A.D.11.

requisiti dichiarati, l’Ufficio ha il potere/ dovere di ricorrere al giudice del registro perché se ne ordini la cancellazione ai sensi dell’art. 2191 c.c. Preso atto dei limitati poteri istruttori dell’Ufficio al momento dell’iscrizione della società, in relazione al controllo ed alla verifica del requisito della rispondenza dell’oggetto sociale rispetto il tipo normativo, questo trova il suo esercizio dopo l’iscrizione nel Registro, dove l’art. 31 comma 5 del D.L. 179/2012 prevede che “il Ministero dello Sviluppo economico possa avvalersi della Guardia di Finanza, Nucleo speciale spesa pubblica e repressione delle start up innovative, e non sembrano esservi ostacoli normativi a che l’Ufficio segnali alla Guardia di Finanza le situazioni sospette”. 11 Secondo il T.A.R. “quest’ultima previsione, con la quale si permette la sopravvivenza dell’ente societario in forma di s.r.l. nonostante la perdita dei requisiti di “innovatività”, sia giustificabile alla luce della circostanza che all’epoca della sua entrata in vigore la costituzione delle start-up innovative poteva avvenire solo con atto pubblico e dunque con la forma ordinaria prevista per la costituzione delle società a responsabilità limitata. Ma introdotta dal co. 10-bis la modalità alternativa di cui oggi si controverte (scrittura privata ex art. 24


L’evoluzione della disciplina normativa della costituzione delle società a responsabilità limitata start-up innovativa tra la “compliance” e le disposizioni antiriciclaggio

Il Consiglio di Stato, dunque, ritiene che la regola in esame sia applicabile alle sole start-up innovative costituite con atto pubblico” al fine di “escludere in radice fenomeni di possibile aggiramento della normativa sulla costituzione delle s.r.l.”.

5. La costituzione delle SRL mediante piattaforma online ai sensi della L. 22 aprile 2021, n. 53 La L. 22 aprile 2021, n. 53, rubricata “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea, Legge di delegazione europea 2019-2020”, dà attuazione alla normativa europea, in particolare alle direttive europee n. 1151 del 2019 e n. 1132 del 2017 sulla disciplina degli aspetti informatici della costituzione delle s.r.l. L’art. 29 della presente Legge12 c.a.d.), viene meno l’anzidetta simmetria, il che esclude che dell’art. 25, co. 16, cit. possa esser data un’interpretazione meramente letterale, tale cioè da consentire la permanenza nella sezione O.U. s.r.l. (già startup innovativa) non costituita con atto pubblico (secondo quanto previsto dal codice civile), ma con scrittura privata non autenticata (ex art. 24 c.a.d.)”. 12 L. 22.04.2021, n. 53, art. 29: “1. Nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2019/1151 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, il Governo osserva, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012, anche i seguenti criteri direttivi specifici: prevedere che la costituzione online sia relativa alla società a responsabilità limitata e alla società a re-

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dispone la costituzione di s.r.l. ed s.r.l.s. anche mediante un cd. modello standard di statuto, in forma di atto pubblico, tramite l’utilizzo di una piattaforma che consente la videoconferenza e la firma elettronica.

6. La valutazione sociale del ruolo del notaio Secondo parte della dottrina, mantenere la presenza del notaio nella procedura di costituzione online della società significherebbe un passo verso l’arretramento rispetto l’evoluzione e la direzione della efficienza tecnologica. Ma in realtà, ad un confronto concreto dello “stato dell’arte”, risultano create in tempi molto più ridotti quelle start-up costituite mediante l’intervento del notaio rispetto a quelle in cui la figura risulta assente.

sponsabilità limitata semplificata con sede in Italia, con capitale versato mediante conferimenti in denaro, e sia stipulata, anche in presenza di un modello standard di statuto, con atto pubblico formato mediante l’utilizzo di una piattaforma che consenta la videoconferenza e la sottoscrizione dell’atto con firma elettronica riconosciuta. 2. Dall’attuazione mediante sottoscrizione riconosciuta. Tale modalità di costituzione però è rivolta alle sole società con sede in Italia ed il cui conferimento sia, esclusivamente, in denaro. La normativa precisa che, per tale via, non debbano conseguire maggiori oneri in capo alla finanza pubblica. Con tale previsione si dà soluzione ai problemi di sicurezza dati dalla digitalizzazione e si conservano invariati, come punti fermi, i principi fondamentali dell’identificazione dei sottoscrittori”.

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Negli ultimi quindici anni, lo sviluppo economico ha inciso altresì sull’attività svolta e sul ruolo ricoperto dal notaio. Le esigenze sociali sono cambiate, ed insieme ad esse si sono affiancate numerose iniziative di tutela del cittadino, alle quali, insieme al processo di modernizzazione e digitalizzazione del lavoro, il notaio si è dovuto in parte adattare. L’evoluzione informatica del notariato ha permesso e permette una maggior efficienza sia dell’attività svolata sia dell’interazione che da questa ne scaturisce. Di qui la semplificazione delle procedure, in forza dell’informatizzazione del lavoro, in vantaggio sia del cittadino che della Pubblica Amministrazione. Il ruolo del notaio di controllore a presidio della legalità non risulta sostituito da altre procedure, nemmeno in forza delle previsioni della disciplina comunitaria laddove acconsente – in presenza di un controllo preventivo sia esso amministrativo o giudiziario – la redazione dell’atto costitutivo e dello statuto senza la forma di atto pubblico. Osserviamo, dunque, che il notariato è una professione in evoluzione costante, che ha saputo modernizzarsi ed adattarsi ai cambiamenti, per cui la figura del notaio non può dirsi “superata”, anche alla luce della recentissima piattaforma informatica sviluppata dal CNN, con i crismi di sicurezza, per la costituzione online con la presenza del notaio13, ed alla

13 V. Gunnella, Le start up innovative on line e la normativa antiriciclaggio, cit., “un

luce della L. 22 aprile 2021, n. 53, con cui è divenuta legge la costituzione delle SRL ed SRLS mediante piattaforma online.

ulteriore esempio di come il notariato riesce a coniugare, nell’interesse pubblico, la sua tradizionale fusione di controllo, con l’innovazione tecnologica, governandola e non subendola”.


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Ecoreati e associazione a delinquere. L’aggravante c.d. eco-mafiosa e l’aggravante c.d. ambientale, tra incongruenze sistematiche e dubbi interpretativi Federica Colazzo

È evidente la stretta e intima connessione tra la mafia (rectius: le mafie) e il diritto penale ambientale, detto altrimenti l’implicazione delle associazioni a delinquere1, in particolare quelle a stampo mafioso, in tema di ecoreati. Se, per un verso, le ipotesi circostanziali introdotte per il tramite dell’art. 452-novies c.p. dalla l. 22 maggio 2015, n. 68, risultano coerenti con l’intento della riforma di inasprire le pene, posta la sempre crescente rilevanza della matrice ecologica, per altro verso, hanno sollevato dubbi interpretativi e si sono rivelate di difficile applicazione.

Sommario: 1. Le associazioni a delinquere nei reati ambientali. – 2. Analisi dell’aggravante di cui all’art. 452-octies c.p. (c.d. eco-mafiosa) in riferimento ai reati associativi. – 3. Segue. L’aggravante di cui all’art. 452-novies c.p. (c.d. ambientale). – 4. Spunti di riflessione.

Sul punto, occorre richiamare i reati associativi presenti nel Codice penale di cui agli artt. 416 – rubricato Associazione per delinquere – e 416-bis – rubricato Associazioni di tipo mafioso anche straniere – c.p. 1


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1. Le associazioni a delinquere nei reati ambientali

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La mafia è uno dei mali maggiori del sistema (non solo giuridico) italiano, ben radicato e difficile da estirpare, spesso interessato al settore degli appalti e subappalti, perché particolarmente redditizi. Ciò posto, può osservarsi come, oggigiorno, anche a causa di infiltrazioni nel tessuto economico, le associazioni criminali sfruttino gli affari leciti proprio al fine di celare i proventi dell’attività illecita. Ma vi è di più. Le associazioni di cui trattasi tentano, da un lato, di provvedere allo smaltimento di materiale e di rifiuti tossici anche dovuti ad attività industriali non a norma, dall’altro di sfruttare le imprese che gestiscono come meglio credono, anche in violazione dei limiti legali imposti. In entrambe le ipotesi, sono evidenti il danno e il pericolo – non solo potenziali ma spesso effettivi – per l’ambiente, per le specie viventi e per la pubblica incolumità. Lo stretto legame tra associazione a delinquere e reati ambientali, confermato anche dalla cronaca giudiziaria, ha comportato una particolare cautela del legislatore. Invero, benché la presenza delle fattispecie associative di cui agli artt. 416 e 416-bis c.p., per il tramite della legge 22 marzo 2015, n. 68, si è deciso di “rafforzare” la risposta sanzionatoria dell’ordinamento. In merito, è stata introdotta la circostanza aggravante di cui all’art. 452-octies c.p. (c.d. eco-mafiosa) che prevede delle specifiche ipotesi con riferimen-

to ai reati associativi o commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. Per completezza, è utile richiamare anche la successiva ipotesi di cui all’art. 452-nonies c.p., benché si tratti di una più generica circostanza aggravante (c.d. ambientale). Difatti, se pur con campi di applicazione diversi, entrambe le circostanze sono sintomatiche del medesimo intento (ideologico) del legislatore, posto che: «la previsione di una circostanza aggravante porta con sé, dal punto di vista ideologico, il messaggio che l’innalzamento del livello edittale della pena sia necessario e utile a rafforzare la tutela»1. Ciò che ci si propone di “dimostrare”, per il tramite delle osservazioni che seguono, è che scelte di politica criminale, dettate da ragioni ideologiche, non sempre risultino funzionali ai fini giuridici ma, al contrario, talvolta, determinino incongruenze sistematiche.

2. Analisi dell’aggravante di cui all’art. 452-octies c.p. (c.d. eco-mafiosa) in riferimento ai reati associativi

Quando l’associazione di cui all’articolo 416 è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo, le

Così, I. Merenda, L’aggravante ambientale: spunti per una riflessione in materia di circostanze, in Arch. pen., 2016, n. 3, 789. 1


Ecoreati e associazione a delinquere

pene previste dal medesimo articolo 416 sono aumentate2. Quando l’associazione di cui all’articolo 416-bis è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416-bis sono aumentate. Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla metà se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale. La norma de qua rappresenta una delle maggiori novità introdotte con la riforma del 20153. Tale disposizione si pone in linea con la prassi normativa di prevedere circostanze riferite alle associazioni criminali tali da determinare pene più severe per ipotesi considerate particolarmente gravi. Sul punto può richiamarsi l’art. 416 c.p., che, al sesto e al settimo comma, prevede due ipotesi aggravate: nel primo caso, qualora l’associazione sia diretta a Occorre puntualizzare che, in virtù del dettato normativo di cui all’art. 64 c.p., quando ricorre una circostanza aggravante, e l’aumento di pena non è determinato dalla legge, è aumentata fino a un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso. 3 Per un commento v. G. Amarelli, Sub art. 452-octies, in Codice penale commentato, E. Dolcini-G.L. Gatta (diretto da), t. II, Giuffrè, 2015, 2137 ss. 2

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commettere un reato di riduzione in schiavitù o servitù, di prostituzione o pornografia minorile o, altrimenti, una violazione delle leggi sull’immigrazione e sulle condizioni dello straniero; mentre, nel secondo caso, se l’associazione sia diretta a commettere uno dei delitti di cui agli artt. 600-bis c.p. e seguenti, ossia reati di natura sessuale. È evidente che, in entrambe le ipotesi, l’inasprimento della risposta sanzionatoria è dovuto al particolare allarme sociale destato da talune condotte criminali. Parimenti, la ratio sottesa all’aggravante di cui all’art. 452-octies c.p. deve essere rintracciata nella voluntas legis di prevedere una punizione più severa qualora, in tema di ecoreati, ci sia il coinvolgimento del crimine organizzato, con particolare riguardo a quello di stampo mafioso; in tal modo, il legislatore vorrebbe apparire “forte” soprattutto con riferimento ai temi “più sentiti” e che destano maggior clamore tra l’opinione pubblica. Ci si interroga, quindi, circa la reale efficacia delle misure adottate nel lungo periodo. Ebbene, in riferimento alla norma oggetto di analisi, può osservarsi che il primo comma prevede la circostanza aggravante qualora un’associazione a delinquere commetta uno dei reati ambientali previsti nel Titolo VI-bis c.p. Il secondo comma, invece, oltre a prevedere un’analoga aggravante ad effetto comune per le associazioni a delinquere a stampo mafioso (anche straniere), specifica ulteriormente che l’aggravante si applichi anche qualora si tratti

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di acquisire e di gestire attività economiche oppure di concedere o di autorizzare appalti e servizi pubblici in materia ambientale, quali il servizio di raccolta differenziata, la gestione di termoinceneritori etc. Il terzo comma, a differenza dei precedenti, introduce un’aggravante soggettiva e ad efficacia speciale4. Viene puntualizzato che l’aumento di pena debba essere da un terzo alla metà qualora si tratti di pubblichi ufficiali o di incaricati di pubblico servizio. Tale disposizione dovrebbe leggersi, in una visione sistematica, unitamente ai delitti contro la P.A., ossia ai fenomeni corruttivi e concussivi: si tratta di ipotesi di reati propri, rilevato che il soggetto attivo dovrà ricoprire necessariamente la carica di pubblico ufficiale (o di incaricato di pubblico servizio), e

Sul punto, R. Sabia, Responsabilità degli enti e reati ambientali al banco di prova del principio di legalità. Il caso delle fattispecie associative, in Dir. pen. cont., 1/2018, 317, nota 69, osserva che quelle previste nei commi 1 e 2 dell’art. 452-octies c.p. sono aggravanti oggettive ad efficacia comune, «in cui il legislatore contempla un aumento di pena ordinario “fino ad un terzo”», mentre l’aggravante di cui al comma 3 «sembra avere natura soggettiva ed efficacia speciale. Sotto il primo profilo [...] l’aumento di pena […] pare in realtà ancorato ad un aspetto inerente alla persona del colpevole (la qualifica di p.u. o i.p.s. dell’associato) […]; sotto il secondo profilo, la variazione sanzionatoria non è quella comune ricavabile dall’art. 64, ma è quella speciale e più elevata da un terzo alla metà», richiamando G. Amarelli, Sub art. 452-octies, in Codice penale commentato, E. Dolcini-G.L. Gatta (diretto da), t. II, Giuffrè, 2015, 2140 e 2142. 4

che non potrebbe dirsi integrata la fattispecie qualora si concluda che l’azione sia stata realizzata da persona diversa5 e non in possesso di detta qualifica

In merito a questi reati, occorre segnalare che la previsione del massimo edittale della pena - dodici anni di reclusione – è sintomatica della rilevanza che il reato di concussione assume nell’ordinamento giuridico italiano, rappresentando il più grave tra i delitti realizzabili ai danni della Pubblica Amministrazione. Ciò in considerazione del fatto che elemento essenziale della concussione è lo stato di soggezione – mentale ed emotiva – in cui si trova la vittima a causa dello squilibrio e dell’assenza di parità delle posizioni tra la stessa ed il pubblico agente. Sul punto si rinvia a, Circa il discrimen tra concussione e corruzione si rinvia, anche in considerazione delle plurime impostazioni, a M. Amisano Tesi, Le tipologie della corruzione, Giappichelli, 2012, 215 ss.; C. Benussi, In tema di corruzione e concussione, in Ind. pen., 1985, 409 ss.; G. Contento, Commento agli articoli 317 e 317bis del codice penale (1996), in Id., Scritti 1964-2000, G. Spagnolo (a cura di), Laterza, 2002, 539 ss.; G. Fiandaca, Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 883 ss.; G. Forti, Sulla distinzione fra i reati di corruzione e concussione, in Studium iuris, 1997, 725 ss.; E. Palombi, Ancora sulla distinzione tra corruzione e concussione, in Riv. pen. ec., 1992, 110 ss.; M. Ronco, Sulla differenza tra corruzione e concussione: note tra ius conditum e ius condendum, in Giust. pen., 1998, II, 610 ss.; A. Sessa, Corruzione e concussione. Dall’esperienza di Tangentopoli rinnovate esigenze di riforma, in Ind. pen., 2001, 29 ss.; A. Spena, Il «turpe mercato». Teoria e riforma dei delitti di corruzione pubblica, Giuffrè, 2003, 358 ss.; E. La Rosa, La riforma dei delitti di concussione e corruzione, in Giur. it., 2015 e L. Stortoni, Delitti contro la pubblica amministrazione, in Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, 4a ed., Monduzzi, 2006. 5


Ecoreati e associazione a delinquere

Con riferimento all’art. 452-octies c.p., sono state osservate talune criticità da parte della dottrina. In primo luogo, con riferimento alla collocazione sistematica, si è detto che le aggravanti di cui trattasi non siano state “aggiunte” agli artt. 416 e 416-bis c.p. atteso che si è preferito creare una “codificazione verde” piuttosto che prestare attenzione ad esigenze di razionalizzazione del sistema6 (che, forse, a modesto avviso di chi scrive, si sarebbero dovute preferire). In secondo luogo, è apparso discutibile che sia prevista un’ipotesi aggravata per l’art. 416 c.p. qualora siano commessi ecoreati ma non, qualora si tratti di reati parimenti gravi e allarmanti, a titolo esemplificativo quali l’omicidio o la bancarotta fraudolenta7. Inoltre, con riferimento al secondo comma, sembra determinarsi una irragionevole disparità di trattamento8 e potrebbero porsi taluni profili di legittimità costituzionale con riferimento al principio di proporzionalità e ai profili di uguaglianza e ragionevolezza9. Invero, i soggetti apparte-

6 Così conclude C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati, Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Giappichelli, 2015, 50. 7 Ibidem. 8 In questi termini v. anche C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati, cit., 50; M.O. Di Giuseppe, Le circostanze aggravanti nella nuova legge sugli ecoreati, in Il nuovo diritto penale ambientale, A. Manna (a cura di), Dike, 2016, 111; A. Manna-V. Plantamura, Una svolta epocale per il diritto penale ambientale italiano?, in Dir. pen. proc., 2007, 1079. 9 Così, M. Palmisano, Il traffico illecito di

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nenti ad un’associazione mafiosa i quali, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo (da cui deriva la condizione di omertà e assoggettamento), acquisiscano il controllo di appalti e di servizi pubblici in materia ambientale, saranno puniti più duramente di coloro i quali terranno la medesima condotta con la sola differenza (forse trascurabile) che operino in altri settori, quali ad esempio le opere pubbliche piuttosto che le mense scolastiche. Orbene, in occasione della riforma del 2015, si sarebbe potuto prevedere una disciplina più organica. Ciò sembra trovare conferma anche nelle osservazioni di alcuni autori con riferimento alla responsabilità degli enti, di cui i delitti associativi aggravati de quo costituiscono reati presupposti, in virtù dell’attuale art. 25-undecies, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 231/2001, così come innovato dall’art. 6 della l. n. 68/2015: «Nelle ipotesi aggravate ex art. 452-octies c.p. per il soggetto collettivo si prevede l’inflizione della sanzione pecuniaria da trecento a mille quote; ma “per una sorta di eterogenesi dei fini” proprio una simile scelta appare “destinata a produrre un’irragionevole e paradossale effetto opposto rispetto a quello auspicato di implementazione della tutela penale dell’ambiente”10 […] Evi-

rifiuti nel Mediterraneo: fenomenologie e strumenti di contrasto, in Dir. pen. cont., 1/2018, 102. 10 Citando G. Amarelli, I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli enti collettivi: una grande aspettativa parzialmente

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dente l’incoerenza del nuovo assetto, in forza del quale l’associazione per delinquere, semplice o anche di tipo mafioso, finalizzata alla commissione di ecoreati gode di un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quello previsto per ogni altro ‘tipo’ associativo, ai sensi dell’art. 24-ter del decreto»11. In merito alle incongruenze sul piano sistematico, è utile rappresentare che, all’indomani della riforma del 2015, venne segnalata una eclatante “svista” del legislatore con riferimento all’art. 260 T.U.A. recante Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti; svista che, oggi, è stata superata posta l’abrogazione della fattispecie ad opera Testo Unico in materia di ambiente per il tramite del decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 2112 che ha introdotto l’art. 452-quaterdecies c.p. Invero, prima del recente mutamento normativo, si osservava come l’aggravante di cui all’art. 452-octies c.p. non potesse ap-

delusa, in Cass. pen., 2016, 422 ss. il quale osserva che «seri e fondati dubbi di legittimità costituzionale per violazione del principio di ragionevolezza, a causa del trattamento sanzionatorio più mite di cui finiscono per godere gli enti per i delitti associativi finalizzati alla realizzazione dei più gravi delitti ambientali del Titolo VI-bis della parte speciale del Codice penale». 11 Così, R. Sabia, Responsabilità degli enti e reati ambientali al banco di prova del principio di legalità, cit., 317. 12 Recante Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103. (18G00046) (GU Serie Generale n. 68 del 22-03-2018).

plicarsi qualora l’associazione criminale (anche di stampo mafioso) risultasse finalizzata alla commissione del reato di cui all’art. 260 T.U.A.: tale norma non veniva espressamente menzionata nel novero dei reati a cui potesse applicarsi l’aggravante, posto il riferimento soltanto ai reati previsti dal Titolo VI-bis del Codice penale. Dunque, in queste ipotesi, nel triennio 2015-2018, doveva applicarsi la fattispecie del codice ambientale in concorso, a seconda dei casi, con le ipotesi associative di cui agli artt. 416 e 416-bis c.p. La citata riforma intervenuta nel 2018 ha parzialmente colmato la lacuna normativa poc’anzi evidenziata attraverso l’introduzione di una norma ad hoc, segnatamente l’art. 452-quaterdecies del Titolo VI-bis del Codice penale, recante attività organizzata per il traffico di rifiuti che, sostituendo l’ipotesi analoga di cui all’art. 260 T.U.A., ha reso applicabile la circostanza aggravante di cui all’art. 452-octies c.p.13. Tuttavia, la lacuna è solo parzialmente colmata perché, per l’appunto, sono rimaste aperte molte altre questioni, posto che l’aggravante di cui all’art. 452-octies c.p., ancora oggi, non trova applicazione con riferimento alle fattispecie del Testo Unico ambientale, vista l’assenza di un espresso richiamo.

Si rinvia sempre all’approfondimento di M. Palmisano, Il traffico illecito di rifiuti nel Mediterraneo, cit., 102.

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Ma vi è di più. A ben vedere, le ipotesi previste dal T.U.A., avendo natura contravvenzionale, non possono rappresentare reati fine delle ipotesi associative ex artt. 416 e 416-bis c.p. Per tali ragioni, per i casi ove il reato ambientale sia stato commesso da un’organizzazione criminale di stampo mafioso, si potrebbe accogliere quanto ipotizzato da attenta dottrina14 secondo la quale troverebbe applicazione l’aggravante di cui all’art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 15215, in virtù del quale «per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del Codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà». Ponendo nuovamente l’attenzione sull’analisi della fattispecie prevista dall’art. 452-octies c.p., più ragionevole è apparso l’aggravio di pena previsto dal terzo comma, posto che è innegabile l’intima connessione tra le mafie, i reati di corruzione e la politica: in questo caso sembra condivisibile l’inasprimento della pena previsto in particolari casi qualora si ravvisi il coinvolgimento di organi pubblici, talvolta anche apicali. Orbene, come anticipato, oltre all’aggravante specifica di cui 14 Così A. Manna-V. Plantamura, Una svolta epocale per il diritto penale ambientale italiano?, cit., 81 ss. 15 Si tratta del decreto poi convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203.

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all’art. 452-octies c.p., il legislatore ha introdotto un’aggravante generica, prevista dal successivo art. 452-novies c.p., che può applicarsi a tutti i reati commessi in violazione delle norme previste dal Testo Unico in materia ambientale.

3. Segue. L’aggravante di cui all’art. 452-novies c.p. (c.d. ambientale)

Quando un fatto già previsto come reato è commesso allo scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal presente titolo, dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge posta a tutela dell’ambiente, ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l’ambiente, la pena nel primo caso è aumentata da un terzo alla metà e nel secondo caso è aumentata di un terzo. In ogni caso il reato è procedibile d’ufficio. Il legislatore, per il tramite dell’articolo in commento, ha previsto, quindi, una norma in grado di “colpire” tutte le condotte che abbiano come fine quello di commettere un delitto contro l’ambiente o una contravvenzione oppure che risultino violative del D.Lgs. 152/2006 o di altra disposizione atta alla tutela ecologica. È stato osservato che «si tratta di una nuova circostanza che offre un’amplissima tutela all’ambiente, ma che appare descritta attraver-

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so una formulazione di difficile interpretazione»16. Viene espressamente prevista – con evidenti implicazioni sul piano processuale e non solo sostanziale – una procedibilità d’ufficio di ogni reato che arrechi un nocumento all’ambiente o violi una norma predisposta alla tutela ecologica al fine di rafforzare ulteriormente la risposta dell’ordinamento di fronte a talune condotte criminali; in tal modo, difatti, si evita la previsione di una condizione di procedibilità: «la disposizione in commento offre una tutela ulteriore ed amplissima (verrebbe da dire parossistica17) dell’ambiente; qualsiasi reato (anche contravvenzionale) venga commesso allo scopo di realizzare uno dei nuovi delitti ambientali (o uno dei “vecchi” delitti ambientali, ovunque contenuto, non solo nel T.U.A.) è per ciò solo punito con una pena aumentata da un terzo alla metà»18. A ben vedere, possono distinguersi due ipotesi, posto che il legislatore, se pur nel medesimo comma, sanziona: – sia le condotte finalisticamente orientate alla commissione di un ecoreato – come dimostrato dall’inciso commesso allo scopo di eseguire uno o più tra i delitti – in cui viene richiesto il dolo specifico e la pena viene

aumentata da un terzo alla metà (primo periodo); – sia (se pur in maniera lievemente meno severa, posto che l’aumento previsto è pari ad un terzo) le condotte da cui derivi comunque un danno per l’ambiente ma in cui sia trascurabile l’elemento soggettivo (secondo periodo). Orbene, nel caso della prima ipotesi, si tratta di un’aggravante che taluni hanno definito teleologica19: pertanto, un fatto che viene già previsto come delitto (o contravvenzione) diviene aggravato dall’evento; detto altrimenti, la pena è aumentata qualora sia finalisticamente orientato alla commissione di uno dei reati ivi richiamati. Sul punto, autorevole dottrina ha puntualizzato che, da un’interpretazione letterale della disposizione, sembrerebbe richiedersi un nesso, per l’appunto, teleologico tra un reato c.d. mezzo – da intendersi sia un delitto sia una contravvenzione – e un delitto c.d. scopo, con l’evidente esclusione di alcune macrocategorie20, quali i reati contravvenzionali previsti dal T.U.A. e da altre leggi speciali. Ma vi è di più. La formulazione del periodo appare più che mai vaga, posto che viene generica-

Ibidem. Ibidem. L’Autore puntualizza che: «sembrerebbero […] esclusi, tra i reati-scopo, tutti i reati contravvenzionali previsti dal T.U.A. (inquinamento idrico, atmosferico, gestione abusiva di rifiuti (art. 260 T.U.A.), di combustione illecita di rifiuti (art. 256-bis) e altri delitti previsti da disposizioni di legge poste a tutela dell’ambiente» (corsivo originario). 19

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M. Palmisano, Il traffico illecito di rifiuti nel Mediterraneo, cit., 103. 17 Come osservato anche da G. Rotolo, Art. 452-novies c.p., in Commentario breve al Codice penale, a cura di Forti, Seminara, Zuccalà, VI ed., Cedam, 2016, 1548. 18 Cfr. C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati, cit., 53. 16


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mente fatto richiamo al concetto di ambiente senza specificazione alcuna. Conseguentemente, sono emerse alcune difficoltà circa l’individuazione del bene giuridico oggetto di tutela, in considerazione della molteplicità di beni giuridici che trovano protezione per il tramite di norme che riguardano il settore ambientale. Nel caso della seconda ipotesi – segnatamente «se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l’ambiente» – parimenti, può osservarsi scarsa chiarezza, posto che, anche solo a livello sintattico, il secondo inciso, benché connesso al primo con la congiunzione disgiuntiva oppure, è retto dallo stesso soggetto. Preliminarmente, occorre osservare, come già anticipato, che in questo caso non si tratta di una aggravante c.d. teleologica, rilevato che l’elemento soggettivo è trascurabile. Inoltre, l’aumento di pena è previsto in funzione della mera “violazione di una o più norme” e, sul punto, sorge il quesito se si tratti di tutela di beni o piuttosto di funzioni21. Invero, una espressione della tutela di funzioni è costituita dalle norme che sanzionano disobbedienze al precetto amministrativo, e non dei veri e propri beni giuridici, «ciò peraltro deter-

21 In questo senso, T. Padovani, Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta tra delitto, contravvenzione e illecito amministrativo, in Cass. pen., 1987, 672.

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minando talune tensioni rispetto al principio di offensività»22. Occorre puntualizzare che la violazione non deve necessariamente riguardare un reato previsto dal Testo Unico in materia di ambiente, rilevato che il principio del ne bis in idem vieta di punire più volte lo stesso fatto, peraltro come reato ambientale e come aggravante ambientale. Va da sé che il campo di applicazione dell’ipotesi in commento risulta più che mai esiguo.

4. Spunti di riflessione Alla luce delle criticità emerse, può osservarsi, quindi, che le “nuove” ipotesi circostanziali introdotte per il tramite dell’art. 452-novies c.p. dalla l. 22 maggio 2015, n. 68, se, per un verso, risultino coerenti con l’intento della riforma di inasprire le pene in tema di ecoreati, posta la sempre crescente rilevanza della matrice ecologica, per altro verso, hanno sollevato dubbi interpretativi e si sono rivelate di difficile applicazione23.

Cfr. M. Palmisano, Il traffico illecito di rifiuti nel Mediterraneo, cit., 10. 23 Sul punto, per ulteriori approfondimenti, si rinvia nuovamente a I. Merenda, L’aggravante ambientale: spunti per una riflessione in materia di circostanze, 789 ss. Sempre, in senso critico, anche, per la giurisprudenza, a C. Cass., Ufficio del massimario, Rel. n. III/04/2015, Novità legislative: Legge n. 68 del 22 maggio 2015, recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, 25; e, per la dottrina, a M. Di Pirro, I nuovi delitti contro l’ambiente, ESI, 2015, 43 e a C. Bovino-R. Codebò, A. Scar22

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Quanto osservato suffragherebbe i dubbi avanzati inizialmente, ossia che il legislatore spesso, ponendo l’attenzione sulla necessità di prevedere un impianto sanzionatorio severo, nella convinzione sia funzionale alla protezione dei beni giuridici, finisca per perdere di vista altre esigenze24. Queste ultime, tuttavia, quali l’esigenza di certezza del diritto, o ancora, di costruire un sistema coerente e organico, sono necessarie e primarie proprio al fine di predisporre una tutela adeguata e una protezione dei beni giuridici da possibili offese. Al contrario, le scelte legislative sono, talvolta, apparse più simboliche che effettive. A sostegno di quanto concluso, possono osservarsi alcune criticità in merito al mancato raccordo tra le due aggravanti introdotte di cui agli artt. 452-octies e 452-novies c.p. Invero, le due ipotesi previste dall’aggravante c.d. eco-mafiosa, prevedendo un aumento di pena fino ad un terzo nei casi in cui un delitto ambientale sia commesso da un’associazione criminale, risulterebbero sempre assorbite dall’aggravante c.d. eco-ambientale, la quale dispone un aggravio di pena fino alla metà qualora l’ecoreato sia il fine di un qualsiasi reato.

Ecoreati. I nuovi delitti contro l’ambiente: Le modifiche al Codice penale della Legge, Simone editore, 2015, 112. 24 Sul punto, si rinvia ancora a quanto osservato da I. Merenda, L’aggravante ambientale: spunti per una riflessione in materia di circostanze, in Arch. pen., 789 ss.

Non appare chiaro il differente trattamento sanzionatorio, rilevato che l’ipotesi di cui all’art. 452-octies c.p. è più grave e che, posta la questione in questi termini, la sua portata applicativa – già di per sé limitata come poc’anzi osservato – risulterebbe ulteriormente ristretta; detto altrimenti, l’aggravante c.d. eco-mafiosa non troverebbe mai applicazione in favore della più generale ipotesi prevista dall’art. 452-novies c.p. Da ultimo, può osservarsi come entrambe le ipotesi, avendo natura di circostanze, potranno sempre essere oggetto di bilanciamento per il tramite dell’art. 69 c.p., ben potendo, essere “annullate” anche in virtù della presenza di attenuanti generiche25. Pertanto, pur riconoscendo l’innovazione e lo sforzo del Parlamento di prevedere non solo una c.d. “codificazione verde” bensì di introdurre strumenti al fine di contrastare il fenomeno c.d. ecomafioso, deve darsi conto che la natura circostanziale finisce per restringere il campo di applicazione del singolo reato26 e, inoltre, per come congeniate, le stesse circostanze presentano non pochi limiti attuativi.

cella,

Come concluso da G. De Santis, Il delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” (art. 260 D.Lgs. 152/2006), in www. carabinieri.it/editoria, 2008. 26 Cfr. M. Palmisano, Il traffico illecito di rifiuti nel Mediterraneo, cit., 103. 25


APPROFONDIMENTI

Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica

Giampaolo Estrafallaces*

Sebbene nel tempo sia cresciuta l’attenzione sui crimini ambientali, resta ancora lontano – negli Stati e negli operatori – l’obiettivo di un adeguato livello di consapevolezza dell’esposizione al rischio di riciclaggio dei proventi connessi a tale tipo di reati. In parte, ciò dipende dal modus operandi dei diversi Stati che, finora, hanno affrontato i crimini ambientali considerando solo i profili di conservazione dell’ambiente senza valutarne gli aspetti in termini di criminalità economica. In tutti i Paesi, anche quelli con limitate risorse naturali, andrebbero delineati nuovi rapporti fra il settore privato – finanziario e non – e gli attori del settore pubblico, sia quelli che si occupano di tutela dell’ambiente quanto quelli cui è demandato il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. Alla base di questo nuovo approccio va posta una maggiore attenzione ai crimini ambientali in sede di national risk assessment e la necessità di conoscenze specialistiche, da parte di chi deve adempiere agli obblighi AML/CFT, in merito alla normativa nazionale e unionale dettata per specifici settori di attività connesse allo sfruttamento dell’ambiente.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Forestry crime. – 3. Illegal mining. – 4. Caratteristiche comuni fra il trattamento dei flussi finanziari derivanti dall’attività mineraria illegale e quelli relativi al commercio illegale di legname. – 5. Waste trafficking. – 6. Indicatori di rischio e “choke points”: considerazioni in tema di adeguata verifica. – 7. Considerazioni conclusive.

*

Le opinioni espresse non impegnano l’Istituto di appartenenza.


APPROFONDIMENTI

1. Premessa

276

Facendo seguito allo studio pubblicato nel corso del 2020 in tema di commercio illecito di specie selvatiche1, il 28 giugno 2021, il GAFI ha reso noto l’esito delle proprie ricerche condotte sul più ampio tema del riciclaggio di proventi derivanti da crimini ambientali2. Il report in commento, come da tempo ci ha abituato il GAFI, prende avvio con la denuncia di una generale sottovalutazione di tale tipo di crimine riconducibile, a parere dell’organismo internazionale, a svariati fattori, non ultimi la carenza di un contesto normativo omogeneo a livello mondiale, la limitata attenzione in merito ai risvolti finanziari connessi a tali fenomeni e, quindi, i conseguenti

Fatf Report, Money Laundering and the Illegal Wildlife Trade, June 2020. 2 Già in esordio il GAFI dichiara che: «[…] sebbene vi siano prove che i gruppi armati e le organizzazioni terroristiche facciano, in varia misura, affidamento su determinati reati ambientali per sostenere e finanziare le loro operazioni, il presente rapporto si concentra sul rischio di riciclaggio connesso ai crimini ambientali, piuttosto che al finanziamento del terrorismo» (Trad. dell’a.), FATF Report, Money laundering from environmental crime, July 2021, Chapter 1, Introduction, Objectives of this Report, 8. Il GAFI, tuttavia, parrebbe non escludere ulteriori approfondimenti sul tema, soggiungendo che i reati ambientali, in particolare l’illegal mining, sono uno strumento di finanziamento per le organizzazioni terroristiche che operano nelle aree ricche di risorse caratterizzate da instabilità politica. FATF Report, Money laundering, cit., Annex B. Further Detail on Convergence of Environmental Crime with other Crimes, 58. 1

meccanismi di riciclaggio dei proventi illeciti generati da queste attività criminali. Completa il quadro delle carenze la limitatezza dei poteri e delle risorse a disposizione delle forze dell’ordine deputate ad indagare sui proventi da reati ambientali3. A tali conclusioni il GAFI è giunto dopo aver condotto attività di studio e approfondimento che hanno incluso, oltre alla raccolta di materiale open source su questo argomento, l’interlocuzione con le diverse giurisdizioni che compongono la rete GAFI per individuare casistiche riconducibili al riciclaggio di proventi da reati ambientali. Gli incaricati della redazione del report hanno, altresì, raccolto informazioni fra le parti interessate, mediante la distribuzione di un questionario con il quale sono stati acquisiti dati sulla percezione da parte dei diversi Paesi delle implicazioni finanziarie connesse a tali reati, sulla legislazione nazionale, in particolare in materia di crimini ambientali, di contrasto del riciclaggio e di confisca di beni frutto di attività illecita o utilizzati per la perpetrazione della stessa, nonché sui meccanismi di cooperazione internazionale eventualmente attivabili in materia. In totale, il team del progetto, guidato da esperti canadesi, irlandesi e designati dallo United Nations Office on Drugs and Crime “…a lack of powers or resources for law enforcement to investigate and trace the proceeds from environmental crime”, FATF Report, Money laundering, cit., Chapter 1, Introduction, 6.

3


Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica

(UNODC)4 ha ricevuto risposte da 45 dei paesi interpellati. Tali informazioni sono state, successivamente, integrate con quelle raccolte nell’ambito di workshop e con i risultati dei contatti avviati, a marzo 2021, con esperti dell’industria privata per cercare di enucleare una serie di indicatori utili a individuare attività finanziarie rivenienti da tali reati. Fra le fonti consultate dal GAFI, lo studio5 pubblicato nel 2018 congiuntamente con Interpol, RHIPTO6 e Global Initiative Against Transnational Organized7,

Il team era composto da esperti provenienti da Argentina, Brasile, Repubblica Popolare Cinese, Costa Rica, Finlandia, Germania, Indonesia, Irlanda, Italia, Madagascar, Paesi Bassi, Norvegia, Perù, Singapore, Sud Africa, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti e Zimbabwe. Inoltre, il team si è avvalso della collaborazione di alcune organizzazioni internazionali come il Segretariato CITES, la Commissione europea, il Gruppo Egmont, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione degli Stati americani l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), la Banca mondiale e l’Organizzazione mondiale delle dogane. 5 Nellemann, Henriksen, Pravettoni, Stewart, Kotsovou, Schlingemann, Shaw and Reitano, World Atlas of Illicit Flows, Environmental crime: The largest conflict finance sector, 15. 6 Organizzazione non governativa RHIPTO-Norwegian Center (d’ora innanzi RHIPTO). 7 Il Global Initiative Against Transnational Organized, conosciuto anche come GITOC, è un’organizzazione non governativa, con sede a Ginevra, nata al termine di una serie di meeting principalmente fra alti funzionari delle forze dell’ordine di diversi paesi che hanno concordato sulla necessità di creare una “piattaforma” per promuovere 4

GIAMPAOLO ESTRAFALLACES

segnala che i crimini ambientali, generando da 110 a 281 miliardi di dollari annui, si porrebbero non solo fra quelli più redditizi a livello globale ma anche fra quelli a più basso rischio per i criminali (“low risk, high reward”). Ciò premesso, il report pubblicato dal GAFI a giugno 2021, pur nella consapevolezza di quanto ampia sia la categoria dei “reati ambientali” (fra i quali, ad esempio, la pesca illegale)8, si è focalizzato su tre aree che, nel loro complesso, assorbirebbero circa il sessantasei per cento dei ricavi da tale tipo di reati (cfr. figura 1). Tali aree sono definite come: • forestry crime, termine generico utilizzato per descrivere l’attività criminale perpetrata nel settore forestale, ivi inclusa 277 un maggiore dibattito e approcci innovativi per pervenire a una strategia globale di contrasto alla criminalità organizzata. Il GI-TOC ha sviluppato una rete formata da cinque osservatori: • l’Osservatorio sulla criminalità organizzata per il Nord Africa e il Sahel (NASOBS), con sede a La Valletta; • l’Osservatorio delle economie illecite nell’Europa sudorientale (SEE-OBS), con sede a Vienna; • l’Osservatorio delle economie illecite nell’Africa orientale e meridionale (ESAOBS), con sede a Cape Town e una sede secondaria a Nairobi; • l’Osservatorio sulla criminalità organizzata per l’America Latina (CAM-OBS), con sede in Guatemala; • l’Osservatorio per la Guinea-Bissau, con sede a Bissau. 8 Sulla definizione della categoria dei “reati ambientali” v. anche G. Estrafallaces, Antiriciclaggio: l’ECOFEL sensibilizza le FIU sui crimini contro la fauna selvatica, in Diritto Bancario on line, maggio 2021.


APPROFONDIMENTI

l’intera filiera del commercio illegale di legname, a cominciare dalla raccolta, al trasporto, alla lavorazione e vendita. La definizione comprende anche quei comportamenti illeciti diretti ad agevolare tali attività, tra cui la frode documentale, la corruzione e il riciclaggio di denaro; • illegal mining, cioè l’attività mineraria condotta illegalmente, vale a dire senza autorizzazioni o licenze, o quando queste ultime siano state ottenute a fronte di comportamenti corruttivi; • waste trafficking, inteso come l’esportazione illegale e/o lo smaltimento illecito di rifiuti elettronici, plastica9 e sostanze pericolose.

che, ad eccezione del traffico di rifiuti, i crimini ambientali si localizzano in linea di massima nei paesi in via di sviluppo e a medio reddito, ricchi di risorse, ma viene, altresì, sottolineato dal GAFI che essi vengono alimentati e alimentano, a loro volta, le economie dei paesi maggiormente sviluppati.

2. Forestry crime All’interno dei crimini ambientali, il “forestry crime” o crimine forestale, compreso il disboscamento nelle sue varie forme e finalità, sembrerebbe essere il più significativo in termini di valore dei guadagni criminali.

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Fig. 1, Elaborazione dell’autore Va, infine, tenuto presente, come regola di carattere generale,

In tema di traffico illecito di materie plastiche v. anche G. Estrafallaces, Antiriciclaggio: il “Rapporto Interpol” sulle più recenti tendenze criminali nel mercato mondiale dei rifiuti di materie plastiche, in Diritto Bancario on line, ottobre 2020. 9

Secondo il già citato studio congiunto Interpol, RHIPTO e GITOC, la criminalità forestale genera tra i 51 e i 152 miliardi di dollari l’anno. Il GAFI ritiene, tuttavia, che il fenomeno sia sottovalutato dal punto di vista dei volumi finanzia-


Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica

ri10 in quanto larga parte del denaro connesso a tali tipi di transazioni circolerebbe al di fuori dal sistema bancario e, comunque, al di fuori del sistema finanziario ufficiale. Sebbene questo tipo di crimine interessi in generale tutto il mondo, vi sono aree più intensamente sfruttate: le foreste pluviali dell’America centrale e meridionale (compresi Perù, Colombia, Ecuador e Brasile); l’Africa centrale e meridionale (compresa la Repubblica Democratica del Congo, il Gambia e la regione dei Grandi Laghi); il Sud-Est asiatico (Indonesia, Papua Nuova Guinea, Myanmar); la parte orientale dell’Europa, compresa la Russia. I paesi di destinazione sono rappresentati da quelli del Nord America, dell’Europa occidentale e dell’Asia orientale. La perpetrazione del “forestry crime” avviene per lo più occultando fra il legname proveniente da terreni in concessione specificamente destinati alla produzione di legname da taglio, il legname proveniente da aree protette11. A tal fine, per attestare la provenienza del legname da aree in concessione, i criminali utilizzano documenti falsi o rilasciati dalle

“[…] the availability of increasingly diverse ways of moving money outside the banking system results in illicit financial flows being understated.”, FATF Report, Money laundering, cit., Chapter 2, Overview of financial flows from environmental crime, 13. 11 In gergo questa fase è detta “comingling”, cioè letteralmente “commistione”. 10

GIAMPAOLO ESTRAFALLACES

autorità sotto la spinta di attività corruttive. La fase successiva comprende la trasformazione del legname (sia quello di origine lecita che quello di origine illecita) in assi o in trucioli o coils di carta destinati all’esportazione. Altra modalità utilizzata è quella dell’esportazione (reale o simulata) del legname tagliato illegalmente dal paese di origine (A) verso un altro paese (B) (circostanza che si accompagna al pagamento di tangenti per ottenere falsi permessi di esportazione) e la reimportazione (anch’essa reale o simulata) del legname verso il paese di origine (A) nel quale, risultando come un prodotto importato legalmente, verrà trasformato in assi e esportato verso la destinazione finale (C). Un caso interessante, per saggiare l’inventiva delle organizzazioni criminali, è stato segnalato dalle autorità della Repubblica del Madagascar: il paese, infatti, ospita alcune varietà di palissandro non esportabili in quanto minacciate di estinzione, ma è anche tra i primi esportatori di vaniglia, Le autorità malgasce, monitorando strettamente le aree caratterizzate dalla presenza del palissandro, hanno individuato, dal 2009 al 2020, 76 casi di esportazione illegale di tale specie di legname per un controvalore di circa 160 milioni di dollari, sottolineando come il disboscamento, prima, e l’esportazione, dopo, siano stati resi possibili grazie a episodi corruttivi. Ma la “rivelazione” è stata la modalità con la quale sarebbero

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APPROFONDIMENTI

stati giustificati e, dunque, riciclati i proventi illeciti: in sostanza, già nel 2014, i criminali avrebbero agito sul mercato all’ingrosso della vaniglia determinando un aumento dei prezzi di tale tipo di spezia. Ciò ha consentito di giustificare i ricavi legati all’esportazione illegale di palissandro come prove-

già citato12 proventi criminali tra i 12 e i 48 miliardi di dollari all’anno. Tali attività si sono intensificate in concomitanza con l’aumento del prezzo dell’oro registrato sui mercati internazionali, andamento che ne ha reso ancora più redditizia l’estrazione illegale (cfr. figura 2).

2 ago. 2020: 53,925

30 lug. 2021: 49, 141

280

1 ago. 2016: 38,963

Fonte: Bullion-Rates.com MBH Media Inc. 2, Fonte: Bullion-Rates.com MBH Media Inc. Una caratteristica Fig. peculiare dell’attività estrattiva illegale è rappresentata dalla sua ambivalenza: da un lato infatti essa genera, in quanto non soggetta a leggi, controlli o licenze, proventi illegali in grado di falsare il naturale andamento del mercato; dall’altro i prodotti dell’attività illegale, ad esempio oro e pietre preziose grezze, incorporando essi stessi un valore intrinseco ampiamente nienti da edesportazioni dioccultabili vanigliae trasportabili, Unasi prestano caratteristica peculiare riconosciuto essendo facilmente a essere utilizzati come strumento di pagamento nell’ambito del commercio di beni al di fuori estrattiva del sistema finanziario per la quale in realtà veniva fatto dell’attività illegale è ufficiale13.un prezzo più basso della pagare rappresentata dalla sua ambiva-

quotazione ufficiale, ingiustificata in quanto frutto di operazioni che ne avevano alterato il prezzo.

lenza: da un lato infatti essa genera, in quanto non soggetta a leggi, controlli o licenze, proventi illegali in grado di falsare il naturadall’al13 La gravità di tale problematica ha indotto ripetuti interventile daandamento parte delle Nazioni del Unite,mercato; a partire dalla Risoluzione 2013/38 “Combating transnational organized crime and its possible links to illicit trafficking in precious metals” del 25 tro, i prodotti dell’attività illegale, Illegal 3. luglio 2013. La mining “risoluzione” si occupava in particolare del traffico illecito di metalli preziosi incoraggiando “gli Stati ad esempio oro e pietre preziose membri ad adottare misure adeguate per prevenire e combattere il traffico illecito …da parte di gruppi criminali organizzati, compresa, se del caso, l'adozione e l'effettiva attuazione di una legislazione necessaria a prevenire, indagare L’estrazione illegale di minerali grezze, incorporando essi stessi e perseguire il traffico illecito di metalli preziosi” (trad. dell’a.).

Più recentemente le Nazioni Unite hannolo cercato di richiamare l’attenzione degli Stati membri su tale problematica con genererebbe, secondo studio la Risoluzione 2019/23 “Combating transnational organized crime and its links to illicit trafficking in precious metals and illegal mining, including by enhancing the security of supply chains of precious metals” del 23 luglio 2019. 12

Nellemann, op. cit., 15.

Rispetto alla Risoluzione 2013/38, quest’ultima insiste sull’aspetto transnazionale del traffico illecito di metalli preziosi invitando gli Stati membri a implementare i sistemi di tracciatura dei metalli preziosi per proteggere la catena di approvvigionamento da infiltrazioni criminali e la collaborazione reciproca invitando gli Stati a stipulare accordi o intese bilaterali o multilaterali su questioni attinenti ai reati connessi al traffico illecito di metalli preziosi e all'attività estrattiva illegale.

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Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica

un valore intrinseco ampiamente riconosciuto ed essendo facilmente occultabili e trasportabili, si prestano a essere utilizzati come strumento di pagamento nell’ambito del commercio di beni al di fuori del sistema finanziario ufficiale13. Sulla base delle risposte raccolte dal GAFI con il noto questionario, l’estrazione illegale interessa

La gravità di tale problematica ha indotto ripetuti interventi da parte delle Nazioni Unite, a partire dalla Risoluzione 2013/38 “Combating transnational organized crime and its possible links to illicit trafficking in precious metals” del 25 luglio 2013. La “risoluzione” si occupava in particolare del traffico illecito di metalli preziosi incoraggiando “gli Stati membri ad adottare misure adeguate per prevenire e combattere il traffico illecito …da parte di gruppi criminali organizzati, compresa, se del caso, l’adozione e l’effettiva attuazione di una legislazione necessaria a prevenire, indagare e perseguire il traffico illecito di metalli preziosi” (trad. dell’a.). Più recentemente le Nazioni Unite hanno cercato di richiamare l’attenzione degli Stati membri su tale problematica con la Risoluzione 2019/23 “Combating transnational organized crime and its links to illicit trafficking in precious metals and illegal mining, including by enhancing the security of supply chains of precious metals” del 23 luglio 2019. Rispetto alla Risoluzione 2013/38, quest’ultima insiste sull’aspetto transnazionale del traffico illecito di metalli preziosi invitando gli Stati membri a implementare i sistemi di tracciatura dei metalli preziosi per proteggere la catena di approvvigionamento da infiltrazioni criminali e la collaborazione reciproca invitando gli Stati a stipulare accordi o intese bilaterali o multilaterali su questioni attinenti ai reati connessi al traffico illecito di metalli preziosi e all’attività estrattiva illegale. 13

GIAMPAOLO ESTRAFALLACES

soprattutto le aree del Sud America14 e dell’Africa. Un caso di studio presentato dal GAFI su segnalazione delle autorità brasiliane rappresenta un interessante esempio di ipotesi di illegal mining e di trade based money laundering (TBML), trend già oggetto di approfondimento da parte del GAFI e dell’Egmont Group nel 202015. Le autorità brasiliane, sulla base di prime informazioni raccolte tramite segnalazioni di operazioni sospette, hanno rilevato alcune operazioni connotate da anomalia poste in essere da persone esercenti l’attività di parrucchiere: le anomalie riguardavano tanto l’ammontare delle operazioni – non in linea con la capacità finanziaria dei soggetti esercenti l’attività di parrucchiere – quanto la tipologia

Ad esempio, in Perù, il valore della produzione illegale di oro pari nel 2005 a 84 milioni di dollari sarebbe passato a oltre 1 miliardo nel 2014. Tutto ciò si è accompagnato ad un aumento del numero delle segnalazioni di operazioni sospette che indicano l’attività mineraria illegale come reato presupposto. 15 In argomento, FATF – Egmont Group (2020), Trade-based Money Laundering: Trends and Developments, FATF, Paris, France, www.fatf-gafi.org/publications/ methodandtrends/documents/trade-based-money-laundering-trends-and-developments.html. Il report in parola utilizza l’espressione trade based money laundering o l’acronimo TBML, per indicare “il processo diretto a occultare l’origine illecita dei proventi da reato e trasferirne il valore mediante l’uso di transazioni commerciali…” (trad. dell’a.), cfr. FATF–Egmont Group (2020), Tradebased cit., Section 1, Definitions and trade financing processes, 11. 14

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APPROFONDIMENTI

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delle operazioni consistenti nella ricezione di fondi da luoghi distanti da quelli in cui i beneficiari (parrucchieri) svolgevano la loro attività. La provvista così costituita veniva, poi, rinviata a persone fisiche già note alle forze dell’ordine per aver svolto illegalmente l’attività di estrazione di smeraldi nel nord est del Brasile. In sostanza, i parrucchieri fungevano da tramite fra i minatori e un gruppo criminale organizzato il cui ultimo sbocco era rappresentato da importatori residenti nel sud est asiatico, reiterando uno schema oggetto, tra l’altro, di una precedente inchiesta dalla quale era emerso che gli importatori di pietre preziose del sud est asiatico erano riforniti direttamente dai minatori illegali ma anche da grandi società minerarie brasiliane che si servivano di fatture e documenti di esportazione falsi. In un altro caso, segnalato dalle autorità statunitensi, è emersa la diretta complicità di società americane operanti nel comparto della raffinazione di oro. In particolare, si tratta di quanto emerso in seguito all’effettuazione, a partire da gennaio 2016, dell’operazione denominata “Diez Condores” condotta dall’FBI in collaborazione con le unità investigative della polizia cilena, diretta a smantellare un’organizzazione criminale transnazionale responsabile del contrabbando negli Stati Uniti di oro per un ammontare valutato, a conclusione delle indagini, oltre 3,5 miliardi di dollari.

Va premesso che, qualificando come “elevato” il rischio di riciclaggio connesso al commercio di oro, la normativa federale statunitense ha imposto, con la legge nota come Bank Secrecy Act (“BSA”), l’adempimento di obblighi antiriciclaggio anche ai commercianti di metalli preziosi. Le indagini hanno evidenziato che l’oro veniva trasportato dal Cile agli Stati Uniti dai corrieri dell’organizzazione criminale tramite voli commerciali e veniva consegnato per la raffinazione agli stabilimenti della società NTR Metals Miami LLC – facente capo alla Elemetal LLC, con sede a Dallas, Texas – che pagava tramite bonifici destinati a banche cilene16. La NTR Metals Miami LLC era, tuttavia, il terminale di una filiera composta da società di comodo con sedi in Cile e a Miami che effettuavano spedizioni di oro fino alla Florida17 e a cui partecipavano anche membri della criminalità peruviana. In alcuni casi i fornitori stranieri di oro erano registrati come semplici “collezionisti d’oro” senza che fossero acquisite informazio-

Sull’argomento vedi anche https:// www.justice.gov/usao-sdfl/pr/us-gold-refinery-pleads-guilty-charge-failure-maintain-adequate-anti-money-laundering. 17 “In August 2016, the members of the TCO were arrested in Chile after the investigation documented USD 80 million in gold shipments that moved through multiple shell companies established in Chile and Miami, Florida with the assistance of NTR.”, FATF Report, Money laundering, cit., Chapter 2, Box 3.5. Case Study: ML and Gold Refining, 32. 16


Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica

ni più approfondite sull’origine del metallo contrabbandato: infatti, dagli interrogatori condotti dagli investigatori statunitensi nei confronti dei membri cileni dell’organizzazione criminale è emerso che l’oro era in parte frutto di attività estrattiva illegale e in parte il risultato ultimo dell’attività di traffico di stupefacenti. A conclusione della vicenda, la stessa Elemental LLC ha ammesso di aver acquistato e raffinato oro da agosto 2012 a novembre 2016, omettendo deliberatamente di adottare un adeguato programma antiriciclaggio, accettando oro da persone ed entità straniere senza procedere a identificarle e a acquisire informazioni in merito a tali soggetti e all’origine del loro oro, come richiesto dalla BSA18.

4. Caratteristiche comuni fra il trattamento dei flussi finanziari derivanti dall’attività mineraria illegale e quelli relativi al commercio illegale di legname Il GAFI ha evidenziato che, con riferimento ai proventi da illegal

A conclusione della vicenda la società Elemetal è stata condannata a pagare al Governo degli Stati Uniti una sanzione pecuniaria di 15 milioni di dollari e si è impegnata a sviluppare e utilizzare un efficace programma di conformità ed etica, a collaborare con il Governo nelle relative indagini ed essere soggetta a un periodo di prova di 5 anni durante i quali la Elemetal non potrà acquistare metalli preziosi al di fuori degli Stati Uniti. 18

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mining e forestry crime, più che in altri ambiti, l’attività di “stratificazione”, cioè la creazione di una serie di numerosissime transazioni dirette a rendere difficoltosa la ricostruzione a ritroso della riconducibilità dei fondi di origine illecita al reato presupposto, avviene con l’ausilio di una pluralità di figure intermedie qualificabili come white collar come avvocati, contabili, fornitori di servizi fiduciari e aziendali, spedizionieri e assicuratori. Inoltre, come detto, per garantire che il prodotto possa fisicamente lasciare il paese, non è raro il ricorso a funzionari doganali corrotti o a soggetti in posizioni di rilievo rientranti nella ampia categoria dei “politically exposed person” che operano nel paese di origine come rappresentanti locali di multinazionali facendo valere il loro peso per l’ottenimento di licenze e permessi per l’esportazione e ricavando fondi per le loro prestazioni che vengono, erogati dalla multinazionale attraverso giurisdizioni offshore. Un’altra caratteristica comune nel disboscamento illegale e nell’estrazione illegale di minerali, è l’ingente movimento di fondi verso le aree rurali anziché verso i più importanti centri urbani e finanziari. Infatti, i flussi finanziari finalizzati a investimenti in attività forestali e estrattive legali vengono canalizzati normalmente verso banche di dimensioni medio grandi poste in centri urbani di primaria importanza per le attività finanziare del paese interessato:

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APPROFONDIMENTI

pertanto, occorrerebbe una particolare attività di monitoraggio sui flussi indirizzati, al contrario, verso istituzioni finanziarie regionali/locali di paesi in via di sviluppo dotati, in generale, di minori risorse da dedicare ai controlli AML/CFT rispetto alle loro controparti più grandi. Ciò non solo rende meno probabile che tali istituti “periferici” possano rilevare o indagare in maniera efficace sulle attività illecite, ma la movimentazione dei fondi finalizzati alla perpetrazione dei reati in parola o di fondi già riciclati da parte di tali istituti rurali ha il vantaggio aggiuntivo per la criminalità di creare un’ulteriore “stratificazione” nel ciclo del riciclaggio.

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5. Waste trafficking Il traffico illecito di rifiuti genererebbe circa 10-12 miliardi di dollari all’anno. Al danno che tali attività provocano all’erario, in quanto si sottraggono alla regolare attività di riscossione delle imposte, si devono aggiungere i costi che i diversi Stati devono sostenere per provvedere alla bonifica delle aree interessate. Ciò che caratterizza questo tipo di attività illecita è la presenza di una filiera criminale particolarmente organizzata, specialmente nel campo del commercio illegale di rifiuti pericolosi, categoria che comprende anche i rifiuti elettronici contenenti cadmio o piombo, composti di arsenico o amianto

o residui di processi dell’industria chimica. Sulla base delle risposte raccolte con il noto questionario, il Nord America e l’Europa occidentale sarebbero i principali paesi di origine e transito per il traffico illecito di rifiuti, mentre parti dell’Africa subsahariana, del sud est asiatico e dell’America centrale e meridionale sembrano essere le destinazioni principali. In alcuni casi, i rifiuti trafficati illecitamente vengono semplicemente smaltiti in mare. Il traffico illecito, governato da gruppi criminali organizzati, si avvale di società intestate a prestanome, munite di tutti i permessi richiesti (legitimate front companies in waste management) ma che, al contrario, utilizzano processi di smaltimento o stoccaggio dannosi e mescolano i proventi del traffico illecito con quelli derivanti dal commercio legale19. In ordine all’utilizzo di schermi societari risulta significativo il caso portato all’attenzione del GAFI dalle autorità italiane: in particolare, un’indagine avviata in seguito ad una segnalazione di operazioni sospette ha consentito di individuare flussi finanziari che interessavano una società operante nel comparto della rottamazione di metalli e dello smaltimento di rifiuti.

“…the proceeds from waste trafficking are often comingled with gains from legal waste trade”, FATF Report, Money laundering, cit., Chapter 3, Analysis of money laundering from environmental crime cases, 17. 19


Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica

I sospetti che si trattasse di una società di mera facciata o “front company” sono sorti in quanto, a un più attento esame, la società è risultata priva di un’adeguata struttura organizzativa e non svolgeva alcuna effettiva attività. Si trattava, inoltre, di una società che aveva subito un recente passaggio proprietario in quanto i soci precedenti erano stati indagati. Infine, il prezzo corrisposto dai nuovi soci, tra l’altro privi di adeguate conoscenze e competenze proprie di un settore fortemente regolamentato, era significativamente inferiore al valore di mercato delle quote. Le successive indagini hanno evidenziato che la società risultava destinataria di bonifici, recanti in causale riferimenti al pagamento anticipato di fatture da parte di società fittizie, all’apparenza operanti nello stesso settore e già indagate dalla Procura della Repubblica di Salerno per reati tributari, smaltimento abusivo di rifiuti metallici e riciclaggio di proventi illeciti perpetrati col metodo mafioso. È inoltre emerso un ampio scambio di fondi fra i titolari effettivi di queste società mediante l’utilizzo di carte prepagate e contanti, anche ricorrendo a soggetti esteri cui il denaro era inviato mediante bonifici. Altro metodo utilizzato, per occultare il traffico illecito di rifiuti, consiste nel dichiarare i rifiuti stessi, ad esempio quelli dei prodotti dell’elettronica, come beni di seconda mano esportati nei paesi di destinazione dove, di fatto,

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i container utilizzati per la spedizione rimangono giacenti a tempo indeterminato senza un piano di raccolta o smaltimento20. Casi come questi sarebbero agevolati, secondo il GAFI, dalla limitatezza dei controlli sia interni che alle frontiere di destinazione. Alcune indagini della Guardia di Finanza hanno evidenziato la rischiosità delle società operanti nel settore dei rottami metallici, utilizzate per riciclare denaro di origine illecita attraverso la simulazione di operazioni commerciali con l’estero, con fatture e documenti accompagnatori falsi, con fondi trasferiti oltre confine e successivamente rimpatriati. Non ultimo, il riciclaggio da parte di queste società, sempre secondo quanto indicato dalle autorità italiane, si sarebbe svolto tramite false operazioni di sponsorizzazione sportiva21.

Alcune fonti di origine tedesca esaminate dal GAFI riferiscono che, nel 2017, il 19 per cento delle apparecchiature elettriche e elettroniche usate arrivate al porto di Lagos, in Nigeria, erano in realtà i rifiuti elettronici spediti illegalmente. FATF Report, Money laundering, cit., Chapter 4, Challenges and good practices in disrupting ml from environmental crimes, 37. 21 FATF Report, Money laundering, cit., Chapter 3, Analysis of money laundering from environmental crime cases, Box 3.4. Case Study: ML, Waste Trafficking and Tax Audits, 31. 20

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APPROFONDIMENTI

6. Indicatori di rischio e “choke points”: considerazioni in tema di adeguata verifica

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Nella parte conclusiva del proprio report il GAFI, nell’intento di supportare in particolare le istituzioni finanziarie e le autorità governative, indica alcuni “choke points” e elenca una serie di “indicatori di rischio”. I “choke points” (strozzature) sono, secondo la logica del GAFI, dei passaggi che inevitabilmente la filiera criminale deve affrontare affinché le risorse naturali di provenienza illecita possano essere allocate sul mercato legale: si tratta degli impianti di lavorazione del legname e delle raffinerie di metalli22, che necessitano dunque di approfondite procedure di adeguata verifica (cfr. figura 3).

Gli indicatori di anomalia altro non sono che degli esempi di attività che potrebbero celare uno o più comportamenti riconducibili alla categoria dei crimini ambientali. Per quanto ovvio, e come spesso hanno ripetutamente dichiarato anche le stesse Autorità italiane, gli indicatori non individuano di per sé stessi operazioni da segnalare come sospette, ma il ricorrere dei comportamenti descritti dovrebbe indurre l’avvio di approfondimenti. Sotto alcuni aspetti gli indicatori presi in considerazione dal GAFI in questo contesto sono, almeno all’apparenza, connotati da genericità e quasi scontati per un sistema finanziario maturo e dotato di una legislazione di settore consolidata come quella italiana. Ad esempio, si attira l’attenzio-

Fig. 3, Elaborazione dell’autore

Il GAFI include nella categoria dei “choke points”, in particolare per il continente africano, i “National precious metals aggregators”, in sostanza i grandi intermediari di metalli preziosi le cui transazioni potrebbero riguardare anche le aziende italiane che in tal caso richiederebbero, pertanto, un’attenzione particolare da parte degli operatori sottoposti agli obblighi antiriciclaggio. 22

ne dell’operatore sottoposto agli obblighi antiriciclaggio nei confronti di: • frequenti transazioni verso centri finanziari offshore da parte di società che lavorano nel settore del legname; • ingenti prelievi di contante presso banche poste in zone rurali in prossimità di giacimen-


Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica

ti minerari o note per essere sfruttate illegalmente per l’attività di disboscamento; ricezione di bonifici da più aree geografiche senza che vi sia un collegamento logico o motivazioni economiche o finanziarie con la sede o il domicilio del beneficiario; bonifici dal paese in cui si trova un’azienda che raffina l’oro verso paesi di produttori di oro, seguiti dal quasi immediato prelievo di contanti; frequenti pagamenti da aziende del settore estrattivo in favore di soggetti all’apparenza estranei a tale comparto di attività; transazioni finanziarie tra soggetti che non operano nel settore minerario/forestale e società che forniscono, anche in leasing, attrezzature da utilizzare in tali comparti; repentini incrementi di attività economiche (ad esempio, aumento del valore e della frequenza delle operazioni bancarie) nelle zone rurali o isolate di paesi noti per l’attività di disboscamento illegale e dell’estrazione mineraria illegale; società di recente costituzione che registrano esportazioni di oro per importi significativi nonostante il breve periodo in cui sono state attive; trasferimenti di denaro che interessano alti funzionari, persone politicamente esposte con responsabilità nella gestione o conservazione di risorse naturali;

GIAMPAOLO ESTRAFALLACES

• soggetti che da fonti di stampa risultano coinvolti in vicende corruttive, crimini ambientali o legati alla criminalità organizzata; • titolari di licenze minerarie che operano all’interno o nelle vicinanze di zone dove è in atto un conflitto armato; • aziende, come impianti di lavorazione del legno, che effettuano vendite a prezzi inferiori a quelli di mercato a favore di altre aziende collegate, specie quando il giro di operazioni si accompagna a vicende di tipo concorsuale; • transazioni finalizzate al finanziamento di attività estrattive che coinvolgono giurisdizioni ad alto rischio23 o transazioni commerciali aventi ad oggetto merci sensibili dal punto di vista ambientale (legname) per le quali le autorità nazionali hanno posto una moratoria; • aziende operanti nel settore della gestione dei rifiuti da parte di soggetti che risultano privi di adeguata esperienza in tale comparto; • investimenti inattesi e non motivati in impianti di smaltimento dei rifiuti da parte di entità di cui non sia chiara la titolarità effettiva; • investimenti o sponsorizzazioni immotivati da parte di società operanti nel settore dei rifiuti

23 Nello specifico si richiama il rischio di corruzione, di conflitti in corso e di estrazione illegale di risorse.

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APPROFONDIMENTI

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o dei metalli preziosi, in entità non operanti nel comparto; • palese incoerenza fra la quantità spedita risultante dai documenti di esportazione/importazione e quella che in base alla concessione/permesso di disboscamento potrebbe essere lavorata per la spedizione; • costi inferiori a quelli standard sostenuti dalle aziende del medesimo settore. La lista di indicatori fornita dal GAFI contiene tuttavia anche riferimenti più specifici e interessanti per gli operatori della nostra giurisdizione: in particolare, si richiama l’attenzione su quei “clienti che non sono in grado di fornire la documentazione comprovante il rispetto della locale normativa ambientale (come autorizzazioni, documentazioni per l’esportazione e contratti di acquisto o locazione di terreni)”24. In sostanza, il GAFI evidenzia indirettamente la necessità che gli operatori sottoposti alla normativa antiriciclaggio dispongano di conoscenze tecniche particolari con riferimento ai diversi comparti a rischio come quelli citati in premessa. Se le norme dettate dall’Autorità di vigilanza di settore richia-

Clients that are unable to provide evidence of compliance with local environmental requirements (e.g., proof of permit for environmental activity, export, land purchase/lease agreements, etc.), trad. dell’a., FATF Report, Money laundering, cit., Annex A. Potential Risk Indicators Related to ML from Environmental Crimes Companies operating in the logging sector, 56. 24

mano espressamente l’attenzione sulla necessità di applicare misure rafforzate di adeguata verifica nel caso di clienti operanti nei settori dell’industria estrattiva e della raccolta e smaltimento dei rifiuti, in quanto possibili destinatari di fondi pubblici e, pertanto, “particolarmente esposti a rischi di corruzione”25, nessun cenno viene fatto sul comparto della lavorazione del legname (ivi compresa l’attività di impor/export).

Banca d’Italia, Disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela per il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, 30 luglio 2019, Allegato 2, Fattori di rischio elevato, n. 7, 34. Le disposizioni emanate, sempre dalla Banca d’Italia, per dettagliare gli obblighi di adeguata verifica cui sono sottoposti gli operatori non finanziari che trattano il contante ex articolo 3, c.5, lettera f, d.lgs. 231/2007, fanno cenno anche ai settori del commercio di metalli preziosi e di rottami ferrosi definiti “...settori particolarmente esposti a rischi di riciclaggio…”. Cfr. Provvedimento della Banca d’Italia del 4 febbraio 2020 recante Disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela e di conservazione dei dati e delle informazioni per gli operatori non finanziari iscritti nell’elenco di cui all’articolo 8 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409. Ne deriva – pur trattandosi di disposizioni emanate dalla medesima Autorità di vigilanza di settore (Banca d’Italia) – un sostanziale disallineamento fra gli obblighi cui sono sottoposti gli intermediari bancari e finanziari e quelli imposti agli operatori da ultimo citati: per questi ultimi certi clienti richiederebbero il rafforzamento delle misure di adeguata verifica mentre per gli intermediari finanziari il rafforzamento non sarebbe prescritto. 25


Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica

In ordine a quest’ultimo aspetto va tenuto presente che un efficace supporto normativo – anche in materia di contrasto del riciclaggio – è rappresentato dal Regolamento UE del 20 ottobre 2010, n. 995/201026, noto anche come “Regolamento EUTR” (European Timber Regulation), che stabilisce gli obblighi degli operatori e commercianti del comparto del legno e prodotti da esso derivati provenienti da qualsiasi parte

Entrato in vigore su tutto il territorio dell’Unione Europea il 3 marzo 2013; pubblicato nella G.U.U.E. del 12/11/2010. Il Regolamento ha dato luogo in Italia all’adozione di un Decreto attuativo, il d.lgs. 30 ottobre 2014, n. 178 “Attuazione del regolamento (CE) n. 2173/2005 relativo all’istituzione di un sistema di licenze FLEGT per le importazioni di legname nella Comunità europea e del regolamento (UE) n. 995/2010 che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legno e prodotti da esso derivati”. In attuazione al Regolamento EUTR che prevede l’irrogazione di sanzioni pecuniarie commisurate al danno ambientale, al valore delle merci, alle perdite fiscali e al danno economico derivante dalla violazione, oltre alla confisca del legno e alla immediata sospensione dell’autorizzazione ad esercitare l’attività commerciale, il d.lgs. 178/2015 sancisce per l’operatore che commercializza legno o prodotti da esso derivati violando la legislazione del paese di produzione, l’ammenda da euro 2.000 a 50.000 o l’arresto da un mese a un anno, salvo che il fatto non costituisca più grave reato. Inoltre è sanzionato con ammenda anche l’operatore che nel commercializzare legno o prodotti da esso derivati non dimostra di aver posto in essere e mantenuto le procedure di dovuta diligenza. Sanzioni pecuniarie da euro 150 a 1.500 sono previste anche a carico del commerciante che ometta di rispettare l’obbligo di tracciabilità. 26

GIAMPAOLO ESTRAFALLACES

del mondo (territorio UE e nazionale compreso). Il Regolamento del 2010 dopo aver sancito che “È proibita la commercializzazione di legno o prodotti da esso derivati di provenienza illegale”27 (cfr. articolo 4, paragrafo 1) stabilisce, a tal fine, una serie di obblighi per gli “operatori”, cioè per coloro che immettono per la prima volta nel mercato UE legname e prodotti da esso derivati28 e per i “commercianti” che vendono o acquistano sul mercato interno legno o prodotti da esso derivati già immessi sul mercato interno UE. Fermo restando per i “commercianti” l’obbligo di tracciabilità sancito dall’articolo 5 del Regolamento29, viene imposta agli operatori l’adozione di un insieme di 289 27 Secondo il Regolamento 995//2010 il legno è da considerarsi “di provenienza illegale” quando è ottenuto violando la legislazione applicabile nel paese di produzione. Cfr. articolo 1, lett. g. 28 Rientrano in tale nozione i prodotti indicati nel Regolamento all’allegato intitolato “Legno e prodotti da esso derivati secondo la classificazione della nomenclatura combinata di cui all’allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio ai quali si applica il presente regolamento”. 29 Obbligo di tracciabilità. Nell’ambito dell’intera catena di approvvigionamento, i commercianti sono in grado di identificare: a) gli operatori o i commercianti che hanno fornito il legno e i prodotti da esso derivati; ed b) eventualmente, i commercianti cui hanno fornito il legno e i prodotti da esso derivati. I commercianti conservano le informazioni di cui al primo comma per almeno cinque anni e le forniscono, su richiesta, alle autorità competenti.


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procedure e misure identificate come “sistema di dovuta diligenza” (cfr. articolo 4, paragrafo 2; cfr. figura 4).

prodotti da esso derivati con la normativa di settore; b) la seconda che ponga l’operatore nelle condizioni di analiz-

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Fig. 4, Elaborazione dell’autore

Tale “sistema” è delineato dal successivo articolo 6 che prevede per l’operatore tre ordini di procedure: a) la prima che consenta l’accesso a informazioni relative al legname acquisito (ivi compreso il nome scientifico e comune della specie di albero), il paese di produzione e se del caso la regione di origine, la quantità, il nominativo e l’indirizzo del fornitore e il nominativo e indirizzo del commerciante cui sono stati forniti il legno e i prodotti da esso derivati, documenti o informazioni di altro tipo attestanti la conformità di tale legno e dei

zare e valutare il rischio che il legno o i prodotti da esso derivati immessi sul mercato siano di provenienza illegale. Questa valutazione deve essere effettuata tenendo presenti le informazioni acquisite ai sensi della precedente lettera a), ponderate sulla base di alcuni parametri fra i quali: ì. la prevalenza di produzione illegale o di pratiche illegali nel paese di produzione e/o della regione subnazionale in cui il legname è stato ottenuto, tenendo anche conto della presenza di conflitti armati; ìì. le sanzioni imposte dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni


Il rapporto fra criminalità ambientale e riciclaggio nelle recenti considerazioni del GAFI. Alcuni spunti in materia di adeguata verifica

Unite o dal Consiglio dell’Unione europea sulle importazioni o esportazioni di legno; ììì. la complessità della catena di approvvigionamento del legno e dei prodotti da esso derivati. c) la terza, da attivare solo quando il rischio sia di entità “non trascurabile”, finalizzata all’attenuazione di tale rischio, che nella sostanza si concretizza nella richiesta di ulteriori formazioni o documenti supplementari a terzi fornitori. È, inoltre, previsto che ogni membro dell’UE designi un’autorità competente che sovraintenda all’applicazione del Regolamento che per l’Italia è stata individuata nel Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf). Il Regolamento prevede che “ciascun operatore mantenga e valuti periodicamente il sistema di dovuta diligenza che utilizza, salvo il caso in cui ricorra ad un sistema di dovuta diligenza messo a punto da un organismo di controllo” (cfr. articolo 4, paragrafo 3). Pertanto, l’operatore potrà impostare un proprio “sistema” o utilizzare quello di una “Monitoring organisation” riconosciuta30. Ciò premesso, il soggetto, sottoposto agli obblighi antiriciclaggio che si rapporti con un cliente rientrante fra quelli destinatari del Regolamento EUTR dovrà neces-

Ai sensi dell’articolo 8 del Regolamento EUTR la “Monitoring organisation” per operare in tale veste deve essere riconosciuta dalla Commissione Europea, previa consultazione dello Stato membro interessato, sempre che soddisfi una serie di requisiti previsti dallo stesso Regolamento. 30

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sariamente disporre di addetti a conoscenza anche della relativa normativa di settore e, dunque, in grado di acquisire informazioni sul sistema di diligenza e di tracciabilità adottato dal proprio cliente, disincentivandone pratiche illecite. Più in generale, il sommario richiamo alla normativa europea in tema di commercializzazione del legno è occasione per rimarcare che la complessità delle attività delle organizzazioni criminali richiede l’abbandono dei consueti schemi di adeguata verifica finalizzati, il più delle volte, a cogliere fenomeni “facili”, e conferma come imprescindibile la presenza di addetti antiriciclaggio in possesso di conoscenze sui più recenti trend criminali attraverso programmi permanenti di formazione finalizzati non solo alla individuazione di operazioni potenzialmente sospette ma anche a favorire, attraverso la raccolta di informazioni specifiche, il corretto funzionamento dei sistemi aziendali di misurazione del rischio e di classificazione della clientela.

7. Considerazioni conclusive Come in quasi tutti i suoi recenti report, il GAFI con quest’ultima pubblicazione persegue la finalità di stimolare gli Stati ad avviare azioni concrete la prima delle quali dovrebbe consistere nel considerare/valutare i reati ambientali in sede di national risk assessment soppesando le eventuali connessioni fra questo tipo di minacce e

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altri reati gravi quali quelli di tipo corruttivo, il traffico di droga e lo sfruttamento di manodopera31. Solo 20 su 45 dei paesi che hanno risposto al questionario confermano di aver preso in considerazione nelle loro valutazioni nazionali i rischi del riciclaggio di proventi derivanti da crimini ambientali, mentre il GAFI ritiene cruciale questa attività anche per i paesi che, disponendo di risorse naturali limitate potrebbero considerarsi al riparo da rischi, e svolgerebbero, al contrario, il ruolo di hub finanziari per i proventi che rappresentano la contropartita di tali traffici illeciti. In particolare, il GAFI raccomanda di sviluppare un approccio “top down” che prenda avvio dalla valutazione dell’eventuale ruolo del paese come produttore o acquirente di merci a rischio di crimini ambientali e consideri le statistiche in ordine al numero di reati e ai tassi di condanna, ai dati sulle importazioni/esportazioni e consumo domestico.

Per quanto riguarda l’Italia, delle tre fattispecie finora oggetto di considerazione (forestry crime, illegal mining e waste trafficking) il rapporto recante l’Analisi nazionale dei rischi redatto dal Comitato di sicurezza finanziaria, nel suo aggiornamento al 2018, prende in considerazione solo il traffico illecito di rifiuti ponendolo, tra l’altro, in una posizione di secondarietà rispetto alla rilevanza delle minacce derivanti da altre condotte criminali quali corruzione, estorsione, evasione e reati tributari, usura, narcotraffico, reati fallimentari e societari. Analisi nazionale dei rischi di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo elaborata dal Comitato di sicurezza finanziaria, aggiornata al 2018, III.2 Analisi delle condotte che producono proventi da riciclare, 12. 31

Finora le azioni intraprese dai diversi Stati hanno sofferto di una visione parziale e frammentata di tali attività illecite trascurandone il carattere transfrontaliero. Pertanto il GAFI include fra gli aspetti da rafforzare la condivisione di informazioni fra le autorità domestiche (come le autorità doganali) e estere. Secondo il GAFI questa collaborazione non dovrebbe essere limitata alle autorità AML/CFT ma coinvolgere tutte quelle che dispongono di informazioni in materia: a mero titolo di esempio, le autorità portuali dispongono di sistemi di monitoraggio che potrebbero consentire la rilevazione di incrementi, all’apparenza inspiegabili, della quantità di legname in transito e condurre a individuare eventuali nuove rotte. Un’ultima riflessione in argomento: risulta singolare l’affermazione del GAFI secondo cui non si registrerebbero indagini finanziarie che abbiano rivelato l’utilizzo in questi casi di transazioni condotte mediante “virtual assets” sebbene tale assenza non significhi che i criminali non utilizzino tali tecnologie32. Come dire: “Non è vero ma ci credo”.

32 “Countries did not submit any case with financial investigations involving new technologies (such as virtual assets, or peer-to-peer transactions). However, the absence of case information on the use of new technologies does not mean those criminals are not using such technologies”, FATF Report, Money laundering, cit., Chapter 3, Analysis of money laundering from environmental crime cases, 20.


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Nesso crimine-terrorismo in Italia: il matrimonio di convenienza tra il crimine organizzato italiano e il terrorismo islamico

Jessica Noviello

La criminalità organizzata italiana, con le sue specificità e differenziazioni territoriali, ha storicamente dimostrato enormi capacità di adattamento ed espansione. L’abilità dei gruppi criminali di ampliare le attività di interesse e gli ambiti in cui infiltrarsi è oggetto di studi da decenni. Nei momenti di crisi, e ne rappresenta un esempio quello pandemico in corso, la criminalità ha modo di fare leva sulle difficoltà economiche e sociali dei cittadini per ampliare il bacino di utenza e rafforzare il proprio controllo sul territorio. Tuttavia, vi è un aspetto che, in Italia, è stato a lungo sottostimato e sotto-studiato: il nesso crimine-terrorismo, anch’esso frutto di un complesso processo evolutivo della criminalità. Il lavoro si propone di fare luce sulle connessioni e interazioni che i gruppi criminali italiani hanno stabilito con gruppi terroristici di matrice islamica in diversi ambiti, quali droga, armi o traffico di migranti, in un pericoloso connubio definito matrimonio di convenienza. Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il crimine organizzato in Italia. – 3. Terrorismo e radicalizzazione. – 4. Il crime-terror nexus. – 5. Il matrimonio di convenienza tra crimine organizzato e terrorismo in Italia: i punti di contatto. – 6. Il ruolo delle autorità. – 7. Conclusioni.

1. Introduzione La libera circolazione di beni, servizi e individui, propria della globalizzazione, ha permesso la creazione di un sistema globale interconnesso e di molteplici nuove opportunità economiche, mediante strumenti e meccanismi che hanno promosso accordi tra agenti economici alle diverse latitudini del globo. Questa opportunità è stata inevitabilmente colta dalle organizzazioni criminali. Il crimine organizzato, ad esempio,

ha ampliato le proprie attività criminali divenendo transazionale e impegnandosi in diversi ambiti, da quelli più tradizionali ai moderni con maggiore sofisticatezza e tecnicismo. Si è riusciti ad attraversare i confini e a passare di attività in attività con velocità e adattabilità (Vlassis, 2000). Il nesso crimine-terrorismo è oggi percepito come uno degli effetti diretti di un mondo globalizzato e maggiormente interconnesso. Il concetto, di per sé, rappresenta l’idea secondo cui


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criminali e terroristi possano entrare in contatto ma, nel corso del tempo, il nesso ha assunto diverse declinazioni e la letteratura a riguardo è riuscita a fornire numerose interpretazioni. La necessità di ricercare la natura e gli effetti del nesso in Italia deriva dalla constatazione che quest’ultimo sia stato a lungo sottovalutato, trovando poco spazio nella letteratura nazionale e, di conseguenza, il presente lavoro si propone di contribuire alla ricerca accademica. Oltretutto, l’Italia rappresenterebbe per molti the quintessential case study of the crime-terror nexus1. Risulta necessario premettere che la portata della ricerca è piuttosto specifica: la relazione tra il crimine organizzato italiano e il terrorismo di matrice islamica. Limitare lo studio ad un solo argomento, sebbene estremamente ampio, ne permette un’analisi più dettagliata e approfondita. Il quesito a cui si tenta di dare una risposta è se vi sia un nesso tra crimine e terrorismo in Italia e se le organizzazioni criminali italiane abbia stretto accordi redditizi con le organizzazioni jihadiste.

senza di una definizione universalmente accettata2, ogni legislazione prediligeva i propri canoni interpretativi. La definizione poi adottata dalla comunità internazionale nel 2000 fu redatta in occasione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transazionale tenutasi in Palermo ed entrata in vigore nel 2003. La Convenzione perseguì l’obbiettivo di armonizzare tutti i precedenti sforzi interpretativi e le definizioni adottate dai 189 paesi firmatari. Il risultato fu una definizione di crimine organizzato che appare meno, piuttosto che maggiormente, specifica: «“Gruppo criminale organizzato” indica un gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi o reati stabiliti dalla presente Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale»3. Il crimine organizzato italiano, oggetto di questa ricerca, pre-

Per universalmente accettata si intende una definizione che rispecchia l’interpretazione di un concetto che la comunità internazionale formula in seno alle Nazioni Unite. 3 “Gruppo strutturato” indica un gruppo che non si è costituito fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata; – UNTOC, art.2a e 2c, Conferenza di Palermo (12-15 dicembre 2000). 2

2. Il crimine organizzato italiano La definizione di crimine organizzato è stata oggetto di dibattito a livello internazionale per decenni e per lungo tempo, in as-

Trad. Il caso-studio sul nesso crimineterrorismo per antonomasia.

1


Nesso crimine-terrorismo in Italia: il matrimonio di convenienza tra il crimine organizzato italiano e il terrorismo islamico

senta tuttavia delle specificità e la legislazione nazionale è stata di volta in volta aggiornata per adeguare le risposte all’evoluzione del fenomeno. Il momento decisivo nel processo normativo italiano fu la stesura dell’art. 416-bis c.p. La c.d. legge Rognoni-La Torre (1982), che introdusse la disposizione, sancì la possibilità da parte del legislatore di criminalizzare la mafia in quanto tale. Gli eventi traumatici degli anni Settanta4 si rivelarono necessari e utili alla stesura della normativa, dopo che la struttura e il modus operandi delle principali organizzazioni criminali venne alla luce (Lavorgna e Sergi, 2014). L’importanza dell’articolo sta nell’aver stigmatizzato una condotta di tipo mafioso attraverso la criminalizzazione dei suoi tratti specifici e la differenziazione tra la mafia e gli altri tipi di organizzazioni criminali descritti nell’art.416. Come specificato dalla disposizione, le associazioni di tipo mafioso si avvalgono della “forza di intimidazione del vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo di attività economiche […]” Un’altra interessante definizione inquadra il crimine organizza-

Gli anni Settanta, in Italia, furono caratterizzati da decine di uccisioni mafiose e terroristiche che presero di mira giornalisti, giudici, politici e cittadini comuni. Lo stesso Pio La Torre, firmatario della proposta di legge che introdusse l’art. 416-bis c.p., fu ucciso da Cosa Nostra il 30 aprile 1992. 4

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to italiano come tradizionale, in quanto sviluppatosi da antiche ramificazioni in alcune regioni; nuovo, visto il progressivo ampliamento delle attività illegali svolte; ed espansivo, per la tendenza a stringere alleanze di tipo transazionale (Bianchini e Sicurella, 2007). Ad ogni modo, risulterebbe erroneo analizzare il crimine organizzato italiano come fenomeno unitario e si rende necessaria la differenziazione tra i principali gruppi criminali organizzati e le loro attività. Cosa Nostra nacque essenzialmente come reazione al decadimento del sistema feudale in Sicilia (Sylos Labini, 2014). L’organizzazione, tra le più longeve, ha subito una serie di modificazioni. Dopo l’accentramento dei poteri messo in atto da Toto Riina, nessun’altra figura è riuscita ad imporsi come principale leader e ad oggi, Cosa Nostra sembra rispettare una struttura di tipo de-centralizzato. Studiosi e forze dell’ordine non hanno identificato alcun boss del rango di Riina o Provenzano, capace di controllare e manipolare l’intera organizzazione. Tra le principali attività di Cosa Nostra vi è: • L’estorsione, che ha il duplice scopo di raccogliere denaro per motivi puramente economici, quindi ottenere liquidità, e quello di pagamento per una struttura di protezione. L’agente economico che viene estorto si considera al sicuro. Ad essere vittima di estorsione non sono solo le tradizionali attività

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economiche ma anche i comuni cittadini. Attraverso il “cavallo di ritorno” il cittadino viene privato di un proprio bene, come ad esempio del proprio veicolo, e gli viene richiesta una somma di denaro per la restituzione; • L’usura; • La distribuzione della droga e il controllo delle piazze di spaccio. A differenza di altre organizzazioni criminali, Cosa Nostra non è impegnata nella produzione delle sostanze stupefacenti; • Il riciclaggio di denaro; • L’infiltrazione nei lavori pubblici. Basti ricordare la figura dell’affiliato Angelo Siino, la cui bravura nella gestione degli appalti pubblici gli valse il soprannome di “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra”. La Camorra, sviluppatasi nella regione Campania, si è presto distinta dalle altre organizzazioni per il controllo e l’influenza che le diverse famiglie criminali esercitavano sui residenti delle aree urbane (Sergi, 2017). Contrariamente a Cosa Nostra, inoltre, l’organizzazione campana ha sempre mostrato una configurazione di tipo orizzontale con un gran numero di famiglie e clan che controllano territori diversi. Le alleanze e le faide tra i diversi gruppi, infatti, caratterizzano molti territori, anche tra i più remoti, della regione. Anche la Camorra ha subìto alcuni tentativi di accentramento e verticalizzazione, tra i più celebri vi è l’iniziativa da parte di Raffaele Cutolo e la sua Nuova Camor-

ra Organizzata. Tentativo fallito che ha reso ancor più evidente la frammentazione dell’organizzazione. Per quanto riguarda le attività della Camorra, queste non si discostano molto dalle principali funzioni di Cosa Nostra ma vi sono dei settori in cui le famiglie napoletane dimostrano di avere più esperienza: • L’estorsione rappresenta uno dei principali metodi di finanziamento dell’organizzazione. Tra le varie tipologie nella regione, la più comune è l’estorsione “mascherata” che si manifesta in diversi modi. In alcune circostanze, i commercianti vengono costretti a vendere a basso costo, o addirittura a donare, alcuni dei propri prodotti ai criminali; in altri casi, il commerciante è invece costretto ad acquistare beni o attrezzature dalle bande criminali; o anche ad assumere lavoratori a qualsiasi prezzo sia stabilito dal gruppo (Di Gennaro, 2015)5;

Questa partecipazione imposta dal crimine organizzato nell’economia legale ha di fatto creato dei monopoli in alcuni settori. Durante gli anni Ottanta, la famiglia Schiavone (a capo del clan dei Casalesi per alcune decine di anni) controllava l’intero mercato edile nel territorio sotto il proprio controllo. Questa possedeva le aziende che producevano il cemento e le compagnie di costruzioni. Il controllo sulla produzione di cemento era tale che, eliminando tutta la concorrenza attraverso prezzi estremamente bassi, essi arrivarono a manipolare il prezzo del materiale grezzo e di controllare un business di circa €5 milioni (Saviano, 2006). 5


Nesso crimine-terrorismo in Italia: il matrimonio di convenienza tra il crimine organizzato italiano e il terrorismo islamico

• Il traffico di droga ha da anni preso il posto del contrabbando di sigarette, che fino agli anni Ottanta era tra le principali fonti di reddito della camorra. • La contraffazione di prodotti e di denaro; • Lo smaltimento illegale dei rifiuti, strettamente legato all’infiltrazione negli appalti pubblici per creare e gestire discariche abusive. La ‘Ndrangheta calabrese è da molti riconosciuta come il gruppo più violento e complesso. È la stagione dei rapimenti a darne l’avvio ma l’organizzazione riesce presto ad espandersi in diversi settori e, soprattutto, in molti territori. La ‘Ndrangheta, infatti è nota per le ramificazioni in tutto il mondo. Oltre all’ingente presenza nel Nord Italia, in particolare in Lombardia, Liguria e Piemonte, la presenza delle ‘ndrine è riscontrabile in Europa, principalmente in Germania e Svizzera, così come nel lontano Canada o in Australia. Senza alcun dubbio, l’attività più remunerativa per la ‘Ndrangheta è il traffico di droga, di cui è uno dei più potenti gestori grazie ai rapporti longevi che i gruppi criminali calabresi intrattengono con le organizzazioni dei principali paesi produttori di sostanze stupefacenti, quali Venezuela, Perù, Bolivia, Messico e Colombia. Il porto di Gioia Tauro è difatti tristemente noto per essere destinazione della droga proveniente da ogni parte del globo. Le tre organizzazioni appena citate convivono nel territorio nazionale con altri gruppi criminali, di diversa natura e collocazione

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territoriale; la Sacra Corona Unita in Puglia ne è un esempio.

3. Terrorismo e radicalizzazione Il termine terrorismo è apparso per la prima volta durante la Rivoluzione francese (Razzate, 2019) ma il concetto, similmente a quello di crimine organizzato, è stato al centro di un lungo dibattito interpretativo. L’unica, seppur enorme, differenza sta nel tentativo fallito di raggiungere un compromesso e quindi nell’attuale assenza di definizione universalmente accettata di terrorismo. Assenza che si rivela problematica per numerose ragioni; più di tutto perché impedisce la possibilità di criminalizzare tale attività a livello internazionale (nulla poena sine lege). Nondimeno, alcuni tentativi di codificazione meritano una speciale menzione. Tra questi, la definizione di Alex P. Schmid (2018) secondo cui un “gruppo terroristico” è una organizzazione militante clandestina, generalmente non-statuale, con obbiettivi politici e che si impegna nel terrorismo come strategia comunicativa per la manipolazione psicologica di massa, per mezzo della quale civili disarmati (e non combattenti come i prigionieri di guerra) vengono deliberatamente vittimizzati per impressionare terze parti (es. intimidare, costringere o influenzare un governo o una porzione della società, o l’opinione pubblica in generale) con l’aiuto di rappresentazioni violente dimostrative

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dinnanzi a testimoni e/o attraverso un’indotta copertura mediatica6. Questa genericità nella definizione internazionale si rispecchia anche all’interno delle legislazioni nazionali. La giurisprudenza italiana ha più volte tentato di fornire una definizione di terrorismo lungo i decenni, spesso adattando gli aggiornamenti alla forma che il terrorismo assumeva in quel preciso contesto storico. Prevedibilmente, dal 2001 il lavoro legislativo volto alla prevenzione e punizione del terrorismo è stato copioso. Nonostante la legislazione nazionale già prevedesse misure per combattere il terrorismo, gli eventi dell’11 settembre hanno necessitato una reazione da parte delle autorità. In quel caso l’esperienza italiana nella lotta al terrorismo di natura politica si è rivelata di enorme aiuto e ha permesso al sistema nazionale di rispondere prontamente alla necessità di modificare la propria legislazione in materia. Uno degli esempi emblematici di questa risposta è rappresentato dalla legge 155/2005 che introdusse nel Codice Penale l’art. 270-sexies7. L’articolo tentò di dare una definizione più esauriente

Trad. (Schmid, 2018). La legge 155/2005 si propone di essere la reazione non solo all’ennesimo attentato terroristico di quegli anni, l’attentato di Londra del 7 luglio 2005, ma soprattutto la risposta alle dilaganti incertezze in materia all’interno della giurisprudenza italiana e internazionale. 6 7

degli atti che necessitano di essere considerati come terroristici. Successivamente, vista l’assenza di attentati terroristici compiuti sul suolo nazionale, si è potuta ritenere prioritaria la necessità di analizzare il fenomeno della radicalizzazione islamica nel paese. A differenza di altre nazioni europee, il caso della radicalizzazione italiana non è stato approfondito dal mondo accademico (Marone, 2017) nonostante rappresenti una circostanza molto interessante. Da un lato, il processo di radicalizzazione e le caratteristiche del fenomeno sembrano ricalcare le fasi già attraversate da altri paesi europei negli anni precedenti; dall’altro lato, esso presenta caratteristiche differenti rispetto al processo di radicalizzazione riscontrato in Francia o Belgio, ad esempio. La scena jihadista italiana oggi, e da qualche decennio, presenta alcune caratteristiche specifiche che verranno riportate di seguito: – una teorizzazione estremamente utile è stata fornita da Abu Musab al-Suri che ha formulato la “jihad del terrorismo individualizzato e della resistenza senza leader”8 per fare riferimento ad un sistema in cui individui isolati o piccoli gruppi operano autonomamente, senza necessariamente sviluppare contatti o connessioni con altri networks. La sua elaborazione sembrò descrivere in maniera chiara e mirata il fenomeno

8 Trad. “jihad of individualized terrorism and leaderless resistance”.


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del terrorismo locale (homegrown) in Occidente e, in particolare, in Italia (Vidino, 2014); – l’assenza o ininfluenza delle strutture tradizionali di radicalizzazione9. I numerosi arresti da parte delle autorità italiane in tutto il territorio nazionale e l’utilizzo estensivo delle espulsioni hanno avuto l’effetto di smantellare quei gruppi jihadisti organizzati o cluster militanti che avrebbero potuto figurare un rischio per la sicurezza nazionale (Vidino, 2014). Un esempio ben noto è rappresentato dall’approccio delle autorità nei confronti dell’ICI di Milano la cui funzione reclutante o indottrinante è evidentemente venuta meno. Come conseguenza, l’Italia ha visto una prevalenza di percorsi individuali verso la radicalizzazione piuttosto che meccanismi di gruppo (Marone, 2017); – I casi italiani di home-grown jihadists sono raramente riconducibili alle moschee come facilitatori nella radicalizzazione. Un’analisi lucida e utile di questo fenomeno è quella proposta da Lorenzo Vidino (2014); – Il naturale risultato di questa assenza è che la scena jihadista italiana appare estremamente variegata e frammentata (Vidino, 2014). Individui isolati e formatisi localmente, così come raggruppamenti dalle dimensioni limitate, rappre-

Come le moschee, il cui ruolo verrà analizzato in un secondo momento.

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sentano i principali elementi dell’attuale panorama italiano. Proprio nel tentativo di classificare la minaccia terroristica, piuttosto che lo scenario di radicalizzazione, il Generale dei Ros Pasquale Angelo Santo ha individuato10 tre principali espressioni della minaccia: 1. il rientro in Italia dei foreign terrorist fighters; 2. i lupi solitari che si auto-radicalizzano e che non presentano un legame diretto con le organizzazioni terroristiche; 3. Strutture ben organizzate che riescono a intercettare affiliati in soggetti ben istruiti all’utilizzo delle armi e degli esplosivi già presenti nei paesi da colpire. – Enorme importanza dev’essere riconosciuta all’utilizzo di internet nel processo di radicalizzazione. Secondo Vidino, l’intera scena del jihadismo locale è strettamente legata alla radicalizzazione via internet; l’utilizzo dei social media e delle piattaforme informatiche è stato individuato già dagli anni Novanta ma ha assunto un ruolo ancor più preponderante in seguito all’autoproclamazione del califfato del 2015. Lo Stato Islamico, sin dal suo insediamento, ha tentato di allargare la propria base di consensi ed

L’intervento cui si fa riferimento risale al 17 Maggio 2019 in occasione della presentazione del volume Comprendere il Terrorismo, a cura di Ranieri Razzante, alla Sala della Regina di Palazzo Montecitorio. 10

https://www.youtube.com/watch?v=jKl3kxPkQSU.

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influenza al di fuori dei propri confini territoriali attraverso una continua propaganda mediatica11. Propaganda mediatica che, dato il maggior tempo passato online durante la pandemia da Covid-19, sembra aver aumentato le possibilità di radicalizzazione. Angelo Santo, nel porre l’accento sul cambiamento delle attività di contrasto, ha esemplificato come il dover concentrare le attività investigative sul web, e non attorno o all’interno di uno spazio fisico ben delineato, come una moschea o un istituto islamico, si è tradotto in attività investigative più complesse. Per concludere, può essere interessante fare riferimento alla descrizione che il Procuratore Federico Cafiero de Raho fornisce dell’attuale panorama terroristico: “Ci troviamo in un sistema binario del terrore in cui convergono sia le classiche manifestazioni del terrorismo sia le nuove tendenze emotive, caratterizzate da atteggiamenti anti-sistema rispetto al contesto socio-culturale e veicolate attraverso l’assunzione dell’ideologia jihadista” (Razzante, 2019).

4. Il crime-terror nexus Le tipologie di nesso crimineterrorismo cui fa riferimento la ricerca sono tre: il nesso sociale, il nesso organizzativo e il nesso istituzionale12. Il concetto di nesso sociale vede la prima formulazione durante una ricerca condotta per l’International Centre for the Study of Radicalization (ICSR)13 da parte di Rajan Basra e Peter Neumann, professori del King’s College di Londra. Il nesso si propone di analizzare ed evidenziare la convergenza tra gli ambienti e le strutture sociali dei due gruppi. Attraverso lo studio degli schemi di radicalizzazione e reclutamento in Europa, i due studiosi hanno notato e posto l’accento sul crescente coinvolgimento di excriminali nei network jihadisti, arrivando a redigere, successivamente e assieme a Claudia Brunner, il lavoro “Criminal Past, Terrorist Future: European Jihadists and the new crime-terror nexus” (2016). Il report riassume i risultati della loro ricerca in modo da validare l’ipotesi alla base del “nuovo nesso”: i gruppi terroristici e i gruppi criminali tendono oggi a reclutare dallo stesso bacino di persone, creando sinergie e sovrapposizioni (spesso non intenzionalmente) che hanno

La distinzione è quella proposta dal progetto CRIME-TERROR NEXUS di Panta Rhei Research Ltd (www.crimeterrornexus. com) che rappresenta, per lo scopo di questa ricerca, uno dei più completi in materia. 13 Il Centro Studi è un think-thank non governativo, senza scopo di lucro, fondato nel gennaio del 2008 da Peter Neumann 12

Per alcuni esempi concreti della propaganda promossa dallo Stato Islamico online, si veda M. Lakomy, Picturing the Islamic State’s online propaganda: vanishing or resurfacing from the World Wide Web?, Robert Schuman Centre for advanced study, European University Institute, 2018. 11


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conseguenze sul modo in cui gli individui si radicalizzano e poi operano. Attraverso la raccolta e l’analisi di un campione composto da settantanove jihadisti europei, essi sono giunti a quattro importanti conclusioni: 1. i processi di radicalizzazione e reclutamento sono cambiati e le loro nuove configurazioni permettono la coincidenza tra il profilo del criminale e quello del terrorista. Basra e Neumann sottolineano due nuove dinamiche che influenzano questi processi: la redemption narrative (la narrativa della redenzione), secondo cui il jihadismo viene visto come l’unica via di espiazione per le proprie colpe; e la legitimizing crime dynamics (la dinamica che legittima il crimine), secondo cui l’utilizzo delle proprie abilità criminali per il motivo giusto può essere giustificabile dal punto di vista religioso: “rubare dagli infedeli è permesso da Allah”14; 2. le prigioni dovrebbero essere costantemente monitorate. Non solo la detenzione viene legittimamente vista come un acceleratore della radicalizzazione ma spesso rappresenta il luogo fisico dove possono cre-

Zhalid Kerkani, un uomo di origini marocchine radicalizzato in Belgio, ripeteva spesso questa frase agli individui che egli reclutava per la jihad. In modo da finanziare il viaggio per divenire foreign fighters, Zerkani cercava di convincere le nuove reclute e derubare gli altri. 14

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arsi e solidificarsi le connessioni tra terroristi e criminali; 3. la skill transfer è la dinamica secondo cui i gruppi terroristici riescono a sviluppare le capacità criminali all’interno della propria struttura, creando dei gruppi che siano più esperti e meglio equipaggiati. Un passato criminale ha a volte significato che le reclute terroristiche avessero già avuto modo di interfacciarsi con le forze dell’ordine o conoscessero il modo per accedere più facilmente alle strutture criminali per l’approvvigionamento di beni o servizi illeciti; 4. da ultimo, le capacità criminali dei gruppi terroristici permettono loro di finanziare l’organizzazione. Che sia partire per la jihad o organizzare un attentato, che sia attraverso la frode della carta di credito o il più tradizionale furto, i terroristi che sono adesso in grado di sfruttare le pre-esistenti capacità criminali rappresentato un ulteriore pericolo alla sicurezza nazionale e internazionale. Considerando le quattro dinamiche appena citate, è piuttosto semplice negare l’esistenza di un pronunciato nesso sociale tra crimine e terrorismo in Italia. Volendo tenere da parte la criminalità comune, le specificità del crimine organizzato italiano e la “jihad del terrorismo individualizzato” rende inverosimile che le due strutture convergano in questa direzione. Non c’è evidenza che la narrativa della redenzione o la dinamica

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che legittima il crimine siano riscontrabili nel panorama italiano. Indubbiamente, il ruolo delle carceri come catalizzatori nel processo di radicalizzazione è noto alle autorità italiane da lungo tempo, al punto che il monitoraggio degli istituti detentivi è sempre stato puntuale. L’Italia non ha un livello di integrazione paragonabile a quello degli altri attori multiculturali europei ma i numeri provenienti dalle carceri segnalano un fenomeno da non sottovalutare: la tendenza alla sovra-rappresentazione statistica dei musulmani. Pur rappresentando circa il 5% della popolazione italiana, i musulmani costituirebbero il 20% della collettività negli istituti detentivi. Vi è infatti una tendenza preoccupante, come dimostrato dalla vicenda di Anis Amri, attentatore di Berlino che sarebbe stato introdotto all’islam radicale durante una permanenza nelle carceri italiane. Con questa consapevolezza, le autorità nazionali hanno optato per l’isolamento degli individui che si ritiene rappresentino il più alto rischio di proselitismo o estremismo e per la classificazione su tre livelli degli altri individui in base all’eventuale pericolosità di radicalizzazione (Pezzuto, 2019). Riconoscendone il potenziale radicalizzante, le carceri sono oggetto di un attento lavoro d’indagine e controllo; lavoro che, congiuntamente all’estensivo utilizzo delle espulsioni come primo metodo di contrasto, fanno venir meno i presupposti per una commistione di gruppi terroristici e membri appartenenti al crimine organizzato nei penitenziari italiani.

Inoltre, l’assenza di banlieue o “ghetti” musulmani, sul modello delle no-go zones/areas sparse in Europa, riduce la possibilità che criminali e terroristi possano andare alla ricerca di nuove reclute nello stesso bacino di individui ed ha notevolmente ridotto la portata delle dinamiche appena citate. Il secondo tipo di nesso coincide con il nesso organizzativo definito da Letizia Paoli (2002). La teoria si basa sulla comparazione tra i due fenomeni e si riferisce alle similitudini tra le organizzazioni criminali e i gruppi terroristici. La studiosa enfatizza gli elementi comuni come la natura associativa di entrambi, il ruolo dei leader e la sottomissione dei membri. Nel farlo, Paoli rinnega il tradizionale assioma che distingue i due gruppi in base alla contrapposizione tra politica e profitto. Nella sua opinione, definire una collettività solo in base ai propri obbiettivi sarebbe inefficace, perché gli obbiettivi mutano (Paoli, 2002). Vi sono molti altri studiosi che concordano sulla concettuale similitudine tra i fenomeni15 ma quando si fa riferimento al caso italiano, l’analisi differisce leggermente. Pur rimanendo un esercizio del tutto teorico, l’analisi di un eventuale nesso organizzativo in Italia andrebbe a porre in relazione due entità incomparabili. L’enorme differenza tra gruppi terroristici, laddove presenti,

Si pensi al recente paragone di Hammoud (2021) tra la zakat estorta dallo Stato Islamico e un vero e proprio sistema di racket sul modello mafioso. 15


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e organizzazioni criminali italiane è evidente ed intuitiva. Il crimine organizzato è un termine che in Italia si riferisce ad almeno cinque differenti organizzazioni longeve. Il terrorismo islamico, invece, oggi si riferisce ad un gruppo non ben definito di individui isolati, raramente connessi tra di loro, il cui principale obbiettivo potrebbe essere quello di colpire l’Italia ma anche utilizzare il suolo nazionale solo come punto di partenza per luoghi vicini o come territorio in cui massimizzare i propri profitti in vista di altri obiettivi. Avendo questo a mente, sembra piuttosto semplice dedurre che il nesso crimine-terrorismo di tipo organizzativo è, al momento, né presente né plausibile in Italia. Il terzo tipo di nesso è il nesso istituzionale. Quest’ultimo ipotizza una relazione concreta tra i gruppi criminali e quelli terroristici, classificando diversi livelli di connessione. La teorizzazione del nesso e dei livelli di interazione qui proposti sono quelli concepiti da Tamara Makarenko (2009)16.

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Secondo il modello, la relazione tra terrorismo e crimine organizzato può operare su tre piani: operativo, organizzativo ed evolutivo. Il piano operativo comprende due nodi: • Alleanza: le alleanze potrebbero essere di diversa natura e svilupparsi in ambienti diversi. Si potrebbe trattare di un connubio temporaneo (come il matrimonio di convenienza), di una cooperazione di tipo parassitario o di cooperazione simbiotica. Tra gli esempi più citati vi è l’alleanza tra la mafia albanese e l’esercito di liberazione del Kosovo (KLA) durante il conflitto in Kosovo. Dopo la caduta del governo albanese nel 1997, il cartello di Pristina e l’ala politica del KLA, il Fronte Nazionale del Kosovo, svilupparono un’intensa relazione basata sullo scambio di armi e droga. • Appropriazione di tattiche: l’appropriazione di tattiche elimina i rischi inerenti alle allean-

Fig. 1, Refined crime-terror nexus model. Source: Makarenko and Mesquita (2014) La versione del 2009 presenta un modello teorico che va inteso come evoluzione di quello proposto dall’autrice nel 2003. 16

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ze17 e può essere suddivisa in due tipi: il crimine organizzato che intraprende attività terroristiche o i terroristi che si impegnano in attività criminali. Per quanto concerne il primo tipo di dinamica, un esempio emblematico è rappresentato da Cosa Nostra e dagli attacchi propriamente terroristici degli anni Novanta. Molteplici sono invece gli esempi di gruppi terroristici che sviluppano capacità criminali al proprio interno. Per citare un esempio: Al-Qaeda nel Maghreb (AQIM) si è per anni dedicato a numerose attività criminali, dallo spostare denaro tra l’Europa e la regione del Sahel, all’organizzare canali illegali per la migrazione clandestina o il narcotraffico (Makarenko e Mesquita, 2014). Il piano organizzativo si rifà ad una sola ipotesi: integrazione/ ibrido, ossia la condizione in cui i gruppi criminali e terroristici siano stati così abili nello sviluppare le capacità dell’altro gruppo al punto di assumerne le caratteristiche, configurandosi quindi a metà tra le due entità (Makarenko, 2004). La convergenza, seppur piuttosto improbabile, teorizza due casi di-

Non vi è dubbio, infatti, che delle alleanze tra le due diverse organizzazioni corrano il rischio di non perseguire gli obbiettivi sperati. Le differenze tra criminalità e terrorismo, l’uno interessato al guadagno, l’altro a motivazioni politiche, l’uno impegnato a rimanere in clandestinità, l’altro volenteroso di riconoscimento pubblico, rendono complicata un’eventuale relazione duratura. 17

versi: i gruppi criminali che sono mossi da motivazioni politiche; e gruppi terroristici che sono interessati ai profitti criminali e continuano ad utilizzare la retorica politica solo come facciata o giustificazione. L’ultimo nodo, che coincide con la convergenza evolutiva, è rappresentato dalla trasformazione. Quest’ultima ipotizza che i gruppi criminali o terroristici perdano la loro motivazione originaria e si trasformino del tutto nell’altro gruppo. Al momento, non vi sono evidenze di un caso simile. Nel ricercare l’eventuale esistenza di un nesso di tipo istituzionale nel panorama italiano, si è arrivati a diverse conclusioni. L’ipotesi della trasformazione non è verificata né verificabile in Italia. Per quanto riguarda la dinamica dell’integrazione o ibrido, vi è un solo caso italiano che potrebbe essere adatto: la mafia siciliana agli inizi del ventesimo secolo. Attraverso un ricorso costante alla violenza, la mafia siciliana prese il controllo della Sicilia occidentale, militarmente e “giudizialmente”, impedendo allo Stato italiano di svolgere le proprie funzioni amministrative (Parlamento Europeo, 2012). In aperto contrasto con lo Stato, la mafia di quegli anni rappresentò l’unico caso italiano di ibridizzazione: un’organizzazione criminale che perseguiva scopi politici attraverso metodi violenti18.

Il Parlamento Europeo fa riferimento a

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Vi è molta più evidenza, nello scenario italiano, delle ipotesi relative al piano operativo. L’appropriazione di tattiche è una dinamica che è stata ampiamente osservata nello scenario italiano. Il crimine organizzato italiano ha optato per tattiche propriamente terroristiche e, infatti, rappresenta l’unico caso europeo di criminalità che sviluppa capacità terroristiche al proprio interno. L’ipotesi inversa, un gruppo terroristico che si dedica ad attività criminali, è senza dubbio più comune. Un esempio è rappresentato dal gruppo Garsalloui, legato ad Al-Qaeda e operativo in Lombardia, che per lungo tempo ha facilitato l’immigrazione illegale e, parallelamente, reclutato islamisti radicali (PE, 2012). L’ultima ipotesi che resta da analizzare è quella delle alleanze. Mentre è necessario negare l’esistenza di una relazione di lunga data o di un’alleanza strutturata tra i due networks in Italia, è ormai doveroso riconoscere che vi sono alcune forme di collaborazione tra le organizzazioni criminali italiane e i gruppi jihadisti locali e stranieri. Queste connessioni possono essere definite principalmente come “matrimo-

questo caso come un ibrido criminal-terroristico. È stato anche teorizzato l’ibrido terroristico-criminale con l’esempio dei paramilitari Lealisti nord-irlandesi (UDA, UVF) che fin dagli anni settanta hanno assunto le caratteristiche di gruppi criminali organizzati (PE, 2012). Quest’ultimo caso, tuttavia, non ha corrispondenze nello scenario italiano.

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ni di convenienza”, che saranno oggetto di analisi nella sezione successiva.

5. Il matrimonio di convenienza tra crimine organizzato e terrorismo in Italia: i punti di contatto Il crimine organizzato e il terrorismo di matrice islamica hanno trovato diversi punti di contatto in Italia, in attività che risultano essere redditizie per entrambi i gruppi. • Contrabbando di petrolio: il suggerimento di indagare sul contrabbando di petrolio per individuare alcune connessioni tra criminalità e terrorismo è arrivata dall’ufficio della Direzione Nazionale Antimafia e dal procuratore aggiunto Giovanni Russo. I due casi emblematici di questa connessione sono: il contrabbando di petrolio estratto in Siria e il contrabbando del petrolio libico al centro dell’investigazione “Dirty Oil”. L’indagine del 2017, ad opera della Procura di Catania, ha messo in luce una struttura criminale composta di cittadini italiani e stranieri impegnati nel trasporto e la distribuzione del petrolio trafugato dalla Libia. Il network poteva contare sulla collaborazione dei vertici di una milizia armata libica e sulla intermediazione di un membro del clan Santa-Paola Ercolano di Cosa Nostra. • Droga: la produzione di droga è stata per molto tempo

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la principale fonte di finanziamento di molte organizzazioni terroristiche, si pensi ai Talebani in Afghanistan. Allo stesso tempo, la distribuzione di droga in Italia è gestita e controllata dai gruppi criminali organizzati italiani menzionati in precedenza. Alcuni processi giudiziari hanno dimostrato l’esistenza di una pericolosa connessione tra gruppi legati alla Camorra e organizzazioni terroristiche di matrice islamica. Una gran quantità di droga gestita dalle organizzazioni come Al-Qaeda o Boko Haram è passata per Napoli, rilevante punto strategico del narco terrorismo nell’area mediterranea (Stivala, 2017). In aggiunta, dopo l’11 settembre e l’aumento dei controlli sulle transazioni in dollari americani, i cartelli colombiani, in accordo con la ‘Ndrangheta, hanno optato per una rotta alternativa per il trasporto di cocaina: la rotta Sahel/Africa occidentale. Il tragitto prevede la produzione della cocaina nella regione andina e l’arrivo in Italia dopo l’attraversamento dell’Africa Occidentale, dove i gruppi jihadisti che controllano il territorio riescono a ricavare i loro profitti dal trasporto verso l’Europa. • Arms-for-drugs networks: Un esempio rivelante è la connessione longeva tra le organizzazioni criminali italiane e i gruppi terroristici operanti in

Palestina19 o Nord Africa. Per anni, il crimine organizzato italiano ha venduto armi a questi gruppi che, in cambio, fornivano supporto alla rete italiana di contrabbando della droga (PE, 2012) • Armi: Tra le indagini giudiziarie prese in esame, una in particolare è riuscita a fare luce sul ruolo che Cosa Nostra ha avuto in un network criminale transazionale su larga scala. Nel luglio 2018, l’ufficio del procuratore-antimafia di Palermo ha eseguito l’arresto di diciassette persone coinvolte in favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, associazione a delinquere, traffico di armi e riciclaggio di denaro (ICSA, 2019). La rete criminale è stata identificata come a metà tra terrorismo e criminalità organizzata. Il gruppo era formato da kosovari, italiani e macedoni e lo scopo era quello di condurre i migranti dai Balcani fino all’Eu-

Durante l’intervista condotta con l’esperto di geopolitica, Gianluca Ansalone, gli è stata posta la seguente domanda: vista la sua lunga durata e il continuo scambio di informazioni, beni e servizi, il rapporto tra i gruppi italiani e quelli palestinesi potrebbe essere individuato come un’alleanza? Nel rispondere alla domanda, il dott. Ansalone ha specificato che il presupposto di un’alleanza resta un’ideologia comune o la convergenza dei fini, elementi che sono da escludere nel rapporto considerato. Tuttavia, vista la capacità di questa cooperazione di resistere e sopravvivere anche al cambio dei vertici delle organizzazioni, è indubbio che si tratti di un’unione più strutturata rispetto ad un singolo scambio di favori o beni riscontrabile in altre occasioni. 19


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ropa del nord passando per l’Italia. Il ramo italiano dell’organizzazione aveva il compito di facilitare il transito dei migranti lungo il territorio nazionale ed era nel contempo coinvolto nel traffico di armi e diamanti. È doveroso notare, infatti, che molti traffici spesso seguono le stesse rotte, siano essi relativi alla droga, i diamanti, le armi e finanche gli esseri umani. • Traffico di migranti e tratta di esseri umani: I due fenomeni sono complesse attività illecite che vedono il coinvolgimento di molti attori criminali a livello internazionale. Gli uomini e le donne che lasciano il Medio Oriente o l’Africa per raggiungere l’Europa si trovano ad affrontare lunghi viaggi estenuanti dalla durata di molte settimane o anni20. I gruppi criminali hanno gestito questi viaggi per decenni21 e le organizzazioni terroristiche non hanno esitato ad entrare in un business così remunerativo. Secondo un report della NATO sui traffici illeciti, ogni organizzazione terroristica riporta vantaggi economici dal riscuotere tasse e percentuali dai trafficanti nei territori sotto il 20 Nel caso del traffico di migranti, non vi è neppure la certezza di raggiungere la destinazione desiderata (generalmente l’Europa). Prevedibilmente, le vittime di tratta difficilmente incontrano enormi difficoltà nel raggiungere i territori nei quali saranno destinati allo sfruttamento. 21 Basti pensare all’attività delle Tamil Tigers in Sri Lanka, il cui ruolo nel traffico di persone verso il Canada è estremamente rilevante da anni (Mili e Townsend, 2008).

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proprio controllo; è il caso di Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin (JNIM) in Mali, lo Stato Islamico in Mali e Nigeria, AQIM in Algeria e Mali, e di Ansar al-Shari’a (AAS-L) e Daesh-L in Libia (NATO, 2018). Allo stesso modo, le organizzazioni come Boko Haram in Nigeria e lo Stato Islamico in Siria hanno ottenuto ingenti profitti dal coinvolgimento diretto nel traffico di esseri umani, specialmente donne. Le organizzazioni criminali italiane hanno compreso i vantaggi di queste attività decenni addietro e, già in concomitanza con la migrazione di massa proveniente dai Balcani, hanno iniziato ad investire risorse nella gestione illegale dei flussi migratori (Digirolamo, 2013). Un caso piuttosto rilevante riguarda il rapimento delle donne da parte dei gruppi jihadisti. Il rapimento di 250 donne ad opera del gruppo nigeriano Boko Haram ha fatto luce su un vero e proprio sistema strutturato di traffico di donne che pone le basi per una stretta connessione tra i gruppi jihadisti e lo sfruttamento della prostituzione. Un numero notevole delle donne e ragazze catturate in Nigeria, in fatti, viene venduto alle reti nigeriani della prostituzione estremamente attive in Europa. In Italia, nello specifico, il crimine organizzato fornisce a queste organizzazioni i documenti necessari affinché le donne possano entrare nel paese di destinazione (ICSA, 2019). A quanto pare, infatti, i membri delle gang nigeriane sono tenuti a pagare la Camorra, o altri gruppi criminali in base al luogo in cui opereranno e costrin-

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geranno le donne a prostituirsi, per assicurarsi che le loro attività si svolgano senza grosse intromissioni o problematiche. (Nadeau, 2018). Per usare le parole del Professor Razzante “la Camorra è azionista del crimine nigeriano nello sfruttamento della prostituzione”. Vi si potrebbero portare molti altri esempi di questo tipo ma vale la pena notare che si è avuto prova delle infiltrazioni mafiose anche relativamente al sistema d’asilo governativo, il cui esempio più emblematico sono le vicende che hanno coinvolto i Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (i CARA) di Mineo e di Capo Rizzuto. • Contrabbando di tabacco: questa attività rappresenta sicuramente un elemento riconducibile al nesso crimineterrorismo dal momento che rappresenta sia una fonte di finanziamento per i gruppi terroristici sia una fonte di guadagno per il crimine organizzato italiano. • Falsificazione dei documenti: uno dei casi più tristemente famosi risale al 2004, quando fu provato che la Camorra aveva fornito i documenti falsi alla cellula di Madrid (PE, 2012). Secondo il procuratore della DDA di Napoli, Michele del Prete, le condizioni nel napoletano permettono alla criminalità di fornire supporto logistico a chiunque ne avesse bisogno. Vi sono infatti gruppi specializzati nel rifornimento (spesso furto) di documenti dalle municipalità, prefetture o

motorizzazioni (Palumbo, 2015). Questo supporto logistico è spesso stato di grande aiuto per cellule terroristiche o singoli individui. • Il traffico di reperti: tutte i paesi devastati da conflitti sono vulnerabili alla distruzione dei loro patrimoni culturali ma il caso specifico del fondamentalismo islamico è piuttosto interessante. Sin dall’inizio del millennio, i media hanno riportato e trasmesso le immagini delle distruzioni dei simboli e il saccheggiamento di oggetti di valori in molti paesi22. Tuttavia, l’intenzione iconoclastica è solo una delle ragioni per queste deturpazioni. Il traffico illecito di antichità ha per decenni rappresentato un’importante fonte di reddito per i gruppi jihadisti. I reperti trafficati dai gruppi sono anche arrivati spesso in Italia dove i gruppi criminali, ancora una volta, sono riusciti a beneficiare dal business. Uno dei casi più interessanti riguarda l’indagine sotto copertura del giornalista Domenico Quirico. Fingendosi un collezionista di Torino, Quirico è riuscito a fare luce su una rete internazionale che gestiva reperti rubati nei territori sotto il controllo dello Stato Islamico vendendoli sul territorio italiano attraverso degli intermediari, spesso membri della ’Ndrangheta o della Camorra. Anche grazie al suo contributo, la settimana successiva al reportage le autorità di Di grande rilievo fu l’attenzione destinata alla distruzione delle due grandi statue di Buddha nella valle di Bamiyan in Afghanistan ad opera di Al-Qaeda solo qualche mese prima dell’attacco alle torri gemelle. 22


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Salerno hanno aperto l’indagine sulla rete criminale con l’ipotesi di ricettazione ad opera di ignoti con finalità terroristiche e l’intermediazione di associazioni mafiose (La Stampa, 2019).

6. Il ruolo delle autorità Le strutture antimafia e antiterrorismo italiane hanno frequentemente dimostrato la loro abilità nel contrastare la criminalità. Un importante aspetto che dev’essere evidenziato riguarda la connessione tra le due attività di contrasto. I molti successi dell’attività antiterrorismo sono strettamente legati e derivanti dall’esperienza quarantennale delle autorità italiane nel contrasto al crimine organizzato e il terrorismo di natura politica. L’esperienza italiana con la violenza politica ha infatti fornito le solide basi per la costruzione di un efficace attività di contrasto. Se dopo l’11 settembre la maggioranza degli stati europei si è trovata a dover creare una struttura normativa antiterrorismo dal principio, l’Italia ne possedeva già una. Per questo motivo, durante l’intervista al professore Razzante, si è affrontato l’argomento dell’applicazione delle misure antimafia nell’attività di contrasto al terrorismo. Razzante ha sottolineato la necessità e l’efficacia di utilizzare quelle metodologie già note all’antimafia: gli strumenti di prevenzione e repressione oggi in mano all’antiterrorismo sono quelli originariamente pensati e creati

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per la prevenzione e repressione dell’attività mafiosa. Tra questi vi sono le espulsioni, le intercettazioni ambientali, il monitoraggio dei flussi monetari e il controllo telematico ed informatico. Alla domanda circa quali siano gli strumenti più adatti per combattere il terrorismo, il Professore risponde: “quelli già in campo ed utilizzati per le mafie”. Non è un caso che il decretolegge 7/2015, poi convertito in legge 43/2015, abbia dato alla DNA la competenza per antiterrorismo, di conseguenza creando la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo23. La legislazione italiana aveva compreso l’importanza di connettere le due attività di contrasto. Come spiega l’ex direttore della Direzione Investigativa Antimafia, Giuseppe Governale, le autorità italiane compresero che gli strumenti investigativi sperimentati nella struttura antimafia offrono una concreta possibilità di riuscita nel contrasto al terrorismo (ICSA, 2019). Senza dubbio, l’Italia rappresenta un esempio virtuoso di questo coordinamento, nonostante la scarsità di letteratura sul nesso. Un efficiente modello di contrasto che andrebbe ampliato dall’Italia al resto d’Europa è sicuramente il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, meglio conosciuto come CASA: un progetto tutto italiano che prevede il coordina-

23 Fino a quel momento, solo Direzione Nazionale Antimafia.

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mento e lo scambio di informazioni costante tra le diverse componenti statali che si impegnano nella prevenzione e contrasto delle attività terroristiche. Il Comitato, tra le altre cose, ha il compito di analizzare ogni possibile minaccia, di pianificare iniziative di controllo e di fornire opinioni a procuratori e ministeri (Giannini, 2019) Tra i diversi meriti del CASA vi è stata l’intuizione e l’elaborazione di un’unica lista di individui, condivisa tra tutte le agenzie di sicurezza, che possano rappresentare una minaccia alla sicurezza del paese, siano essi foreign fighter, soggetti auto radicalizzati in Italia o cittadini stranieri che abbiano un legame più o meno diretto con la nostra nazione. L’assenza di attentati sul suolo italiano negli ultimi anni è senz’altro riconducibile all’ottimo lavoro delle autorità investigative e giudiziarie italiane che, senza indugio, hanno monitorato e contrastato ogni possibile minaccia.

7. Conclusioni Prima di concludere, si possono così riassumere le raccomandazioni che andrebbero avanzate a livello internazionale per una migliore conoscenza e prevenzione del pericoloso legame tra crimine e terrorismo. Il sistema italiano, dal canto suo, ha già recepito alcune di queste raccomandazioni e può rappresentare un esempio di “good practices”.

• Conoscere e definire la natura specifica del nesso all’interno di un determinato territorio • Monitorare efficientemente e addestrare le agenzie specializzate nell’individuazione delle connessioni • Condividere le informazioni tra le agenzie su scala nazionale ed internazionale • Definire e controllare tutte le fonti di finanziamento di crimine organizzato e gruppi terroristici: è importante non sottovalutare i crimini minori o i legami che possano apparire ininfluenti • Contrastare il traffico di migranti e la tratta di esseri umani come attività in cui il nesso ha già mostrato la sua pericolosa natura • Controllare i flussi finanziari. È importante, infatti, monitorare le transazioni sia nel mercato tradizionale (come nel caso degli assegni) o nella nuova economia (es. le criptovalute o i money transfer), come sottolineato da Ranieri Razzante. In questo contesto, è di grande importanza la proposta legislativa della Commissione europea, risalente al 20 luglio scorso, relativa alla creazione di un organismo comunitario anti-riciclaggio. Tale ente, che dovrebbe vedere la luce nel 2024, si pone l’obbiettivo di colmare le lacune della cooperazione tra le autorità nazionali e di preparare un codice di vigilanza nel campo, relativo anche alle criptovalute.


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• Creare un efficiente sistema di prevenzione alla radicalizzazione. Rilevante a questo proposito è la proposta di legge a firma Dambruoso e Manciulli: “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista”. La proposta ha ricevuto l’approvazione dalla Camera dei deputati il 18 luglio 2017 ed è ancora in attesa dell’approvazione al Senato • Monitorare la radicalizzazione e i legami tra crimine e terrorismo nelle prigioni In conclusione, vale la pena notare che il nesso crimine-terrorismo è sempre più presente nell’agenda internazionale. La Risoluzione 2482 del Consiglio di Sicurezza, del luglio 2019, ha infatti evidenziato il pericoloso legame tra terrorismo e criminalità organizzata e, inoltre, il 31 marzo 2021 il Comitato del Consiglio d’Europa per la lotta contro il terrorismo – CDCT – ha adottato delle linee guida che forniscono consigli alle autorità nazionali degli Stati membri per migliorare la comprensione dei legami tra i gruppi della criminalità organizzate e le organizzazioni terroristiche24 (Sticca, 2021).

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JESSICA NOVIELLO

Intervista al Professore Ranieri Razzante

Roma, 22 gennaio 2021 1) Dal suo punto di vista, esistono evidenze di attività criminali in Italia finalizzate al finanziamento del terrorismo di matrice jihadista? Assolutamente sì, queste evidenze ci sono e vengono da fonti più autorevoli di me e cioè la DNA stessa, la DIA etc. Un grosso studioso di queste cose coniò una definizione qualche anno fa che io riprendo sempre: non c’è nessuna azione criminale che si può portare a termine se non c’è un finanziamento adeguato; il terrorismo e le mafie non esistono senza riciclaggio e senza denaro. Togliere loro le fonti di guadagno li renderebbe disoccupati e sarebbe più semplice contrastarli. I soldi si procurano illecitamente. La saldatura principale tra mafia e terrorismo sta proprio qui, nel fatto che si copiano tra di loro le fonti di finanziamento, o comunque l’azione sulle fonti di finanziamento è di equanime divisione. Mi spiego: il traffico di migranti è gestito in combinata. È inutile che ci prendiamo in giro. Non parliamo di una relazione indiretta per il “sol fatto” che in origine c’è un gruppo terroristico e alla destinazione le mafie, parliamo di un rapporto tra i due? Di un rapporto, certamente. C’è qualche collega che, più arditamente da me, sostiene che noi siamo protetti da attentati perché c’è questa saldatura. Io ho detto

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che non è che sia inverosimile; ma conoscendo dall’interno il mondo dell’investigazione, so che noi abbiamo un controllo del territorio e un monitoraggio dei terroristi (anche perché ne abbiamo di meno di potenziali terroristi) che è assai diverso da quello che fanno in altri paesi. Tornando a quello che lei mi chiede, certamente le due organizzazioni hanno in comune il traffico dei migranti, che ha superato il traffico di droga. Perché in intercettazioni telefoniche si è sentito dire che i migranti rendono più della droga. Certamente i volumi stanno raggiungendo quelli innumerevoli della droga. Non ci si pensava proprio che dietro a un traffico di “poveracci” si potesse arrivare a guadagnare per ogni migrante tra i 5 e i 10 mila euro.

2) L’espressione “i migranti fruttano più della droga” è stata intercettata durante le indagini riguardanti il centro CARA di Mineo, dove le mafie, infiltratesi nella struttura, sono riuscite a guadagnare frodando lo stato. Di fatto impadronendosi degli appalti o dichiarando un numero di ospiti della struttura maggiore rispetto a quello reale. Parliamo però di un ruolo che la mafia assume una volta che i migranti sono arrivati a destinazione […]. Si, ma l’accordo è a monte! L’accordo è con la Libia, con al-Qaeda e i suoi emissari, con gli emissari dello Stato Islamico. Al-Qaeda soprattutto, che sta facendo l’amministratore delegato dell’IS. Magari ci fosse solo lo sfruttamento da

parte delle mafie a destinazione. Il processo è senza dubbio complesso, il migrante che parte e attraversa la Libia paga i primi dazi alle tribù libiche, dopodiché interviene la criminalità organizzata libica, non è detto che sia al-Qaeda ma anche lì abbiamo evidenze di associazioni di tipo mafioso, tra cui la mafia nigeriana, e poi la nostra mafia che è il link per lo spostamento. È un po’ come il traffico dei rifiuti, la Camorra si occupava anche del trasporto.

Quando parliamo di coinvolgimento delle mafie nostrane nel traffico di migranti, a quali gruppi ci riferiamo? ’Ndrangheta, innanzitutto, e parti di Cosa Nostra. 3) Se pensiamo al contrabbando del petrolio, grande risonanza mediatica ha avuto un’indagine che ha visto come mediatore tale NICOLA ORAZIO ROMEO, appartenente a Cosa Nostra catanese, che mediava tra broker maltesi, legati ai libici, e i compratori italiani. La presenza di un membro del crimine organizzato è un caso isolato oppure rappresenta una consuetudine, come per sottolineare il consenso dell’organizzazione criminale? Nel caso del petrolio le connessioni sono ancora più nette. Certamente, come nel caso della droga, non vi è affare che si fa senza un mediatore. Ed è consuetudine che il mediatore sia parte del nostro crimine organizzato?


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Ma certamente! È consuetudine, come ha detto lei. Non si può pensare senza un mediatore di avviare un contatto, perché, come lei immagina, ci dev’essere un trait d’union con altre realtà. Ci sono molti colletti bianchi e imprenditori che si stanno prestando. Non è il boss che si muove. Nel caso da lei citato è forse una rarità che un appartenente alla famiglia abbia rischiato tanto, spesso si preferisce mandare il colletto bianco di turno.

4) L’arrivo nel porto di Gioia Tauro di grandi quantità di medicinali contraffatti come il Tramadolo ha avuto grande risonanza. Supponendo che il porto di Gioia Tauro sia sotto controllo dei clan mafiosi e accertato che il carico era diretto a gruppi insurrezionali in Nord Africa, è realistico pensare che carichi di questo tipo passino per il porto di Gioia Tauro senza il consenso del clan che controlla il porto? Non mi riferisco necessariamente a un supporto di tipo logistico, ma quanto meno del consenso. No. Non è realistico pensarlo. Non esiste un traffico che passi senza consenso. Allo stesso modo è importante dire che può esserci la complicità di qualche funzionario dello stato o delle forze dell’ordine. La complicità, tra l’altro, è articolata. La complicità articolata avviene quando si prevede una catena che parte dalla corruzione, si commettono tre o quattro reati in fila e in cui sono impegnati funzionari dello stato. Non troviamo il

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boss a dirigere lo scarico o carico merci; a farlo è uno che lavora lì a cui tacitano minacce o che corrompono. Poi c’è il trasporto, l’acquisizione e la distribuzione di cui se ne occupano le mafie. Quando però parliamo di droga non si tratta solo di trasportarla come con i rifiuti o il petrolio, si devono avere complicità a vari livelli. Quella che io chiamo complicità strutturale o strutturata, cioè si ha un’impresa. In questi casi non abbiamo complicità occasionale ma strutturata e aggiungo: c’è necessariamente legame tra pubblico e privato.

5) La rete della prostituzione in Campania è controllata dal crimine nigeriano. Che ruolo ha la Camorra in questo? Ha lasciato spazio ad un’altra organizzazione, ha spartito il territorio, ne ricava dei profitti pretendendo una percentuale sulle vendite o cosa? La Camorra è azionista del crimine nigeriano nello sfruttamento della prostituzione, nella gestione e nell’esercizio. Le metodologie sono quelle che ha citato lei: è un insieme di metodologie. Sostanzialmente consentire che nel tuo territorio ci sia un traffico che non direttamente gestisci, facendoti pagare dazio; in secondo luogo scegliere di intervenire nella gestione del traffico. Ma la Camorra ha una compartecipazione. Non esiste un’infiltrazione di mafie straniere se non c’è l’accordo con le italiane, fermo restando che stiamo parlando della mafia più sanguinaria e più violenta che abbiamo. Non è da escludere che la Camorra abbia dovuto chiedere aiuto a ’Ndrangheta e Cosa Nostra

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per gestire qualcosa di più grande di esso. La Camorra è notoriamente meno organizzata rispetto alle altre due.

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6) L’analisi del sodalizio cult nigeriani e Camorra tra i nessi tra crimine e terrorismo in Italia nasce dalle considerazioni della DNA secondo le quali il gruppo straniero sia legato a gruppi terroristici, quale per esempio Boko Haram. Nonostante ciò, la mafia nigeriana non è da considerarsi gruppo terroristico per definizione. Per questo motivo, sarebbe forzato inserire questo tipo di rapporto nell’elenco dei rapporti crimineterrorismo in Italia? Io, molto modestamente, ho elaborato una mia teoria. A me piace distinguere tra terrorismo e atto terroristico e mafia e atto mafioso. Cioè chi compie atti efferati con la matrice mafiosa e della mafia nigeriana, per me compie atti terroristici. Se vado a vedere il presupposto anche nel codice penale o nella normativa internazionale, un attentato di mafia ha poco di diverso rispetto ad un attentato terroristico, perché la dinamica è in generale terrore, pressione etc. Per quanto riguarda la mafia nigeriana in particolare, perché si sta tendendo a metterla insieme ai terroristi? Per quello che lei diceva del legame provato con Boko Haram, per le sue origini che sono di matrice tribale e quindi molto vicina alle origini di al-Qaeda piuttosto che di ISIS; sono molto vicine all’attuale condizione di ISIS e Al-Qaeda che si devono appoggiare o utilizzano le tribù della Li-

bia, come tribù sono quelle di cui si serve Boko Haram per veicolare il messaggio. Se noi vogliamo parlare in punta di diritto, è dubbio se possiamo classificare terroristi o meno. Gli atti della mafia nigeriana sono atti terroristici, classificarli terroristi non so… per me gli atti di affiliazione sono molto simili ai riti tribali che sono propri della jihad o della causa jihadista. Se le debbo dire la verità, non credo ci debba interessare la classificazione. Allo stesso modo, le organizzazioni mafiose che si inseriscono nel narcotraffico e nello sfruttamento dei migranti contribuiscono a finanziare il terrorismo. In qualsiasi caso, in una ricerca capisco sia importante etichettare ma io non credo sia una forzatura.

7) Secondo molti, il successo del contrasto al terrorismo in Italia è frutto dell’esperienza decennale del contrasto alle criminalità organizzate. La risposta fino ad ora è stata adeguata, secondo Lei? Ci sono altri piani da attuare e altri metodi da sperimentare? Parliamo di applicazione delle metodologie di contrasto mafioso al terrorismo? Sì Assolutamente sì. Le faccio un esempio: noi abbiamo fatto un contrasto alla mafia che era terrorista, che si mischiava e si saldava anche con le nostre BR e che compiva atti terroristici. L’attentato a Falcone è un atto terroristico. A Falcone e Borsellino… mi emoziono sempre quando li cito, ancora dopo tanti anni.


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Le metodologie di contrasto e di prevenzione che noi utilizziamo, per esempio per i foreign fighters che abbiamo beccato ed espulso e per i terroristi sono principalmente quelle delle intercettazioni ambientali, telefoniche e da un po’ di anni siamo alle moderne intercettazioni dei sistemi informatici e telematici. Le brillanti forze dell’ordine che sono in Italia, in particolare l’Anti-crimine della polizia, l’antiterrorismo, lo SCO, monitorano molti dei soggetti affiliati o che si auto-radicalizzano via internet. Sono controllati con pedinamenti, intercettazioni ambientali e telematiche. Questi sono strumenti che nascono per il contrasto e la prevenzione alla mafia. Io aggiungo, un po’ egoisticamente perché il copyright è mio, che l’intercettazione finanziaria è quella che stiamo maggiormente utilizzando. Le analisi delle movimentazioni e dei traffici di denaro banca su banca o impresa su banca che abbiamo fatto per le mafie, li stiamo replicando per il finanziamento al terrorismo. Si monitorano gli spostamenti della old economy, quindi bonifico, e della new economy, le cripto valute, e si tenta di reprimere il riciclaggio, come si fa con le mafie. Non vedo altri strumenti. Quando mi chiedono “ma quale strumento è il migliore?”, io rispondo “quelli che venivano utilizzati per le mafie”: intercettazione classica, intercettazione finanziaria, posti di blocco fisici, intelligence militare affiancata all’intelligence finanziaria. I nostri servizi segreti e le nostre polizie fanno

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corsi da un po’ di anni proprio in questo senso.

8) La DNA mi ha consigliato di concentrarmi sulle criptovalute per meglio analizzare le movimentazioni finanziare criminali. Io, come studioso, mi sono permesso di dire che le cripto valute ad oggi sono, per lo più, strumento quasi esclusivamente di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. I magistrati hanno appurato queste cose e gli allarmi sono universali. Questa è la nuova frontiera e nella mafia nigeriana (che dovrebbe essere una mafia tribale, ma quando mai!) e nelle mafie nostrane e nuove, l’ordine è quello di non servirsi mai delle monete ufficiali. 9) Le carceri in molti studi sono state definite sia come luogo di radicalizzazione che come punto d’incontro tra i due mondi, quello criminale e quello terroristico. Anche in Italia hanno questo ruolo? In questo sono in minoranza e mi trova un po’ contro-corrente. Secondo me stiamo enfatizzando troppo il ruolo delle carceri. Premettendo che sono d’accordo con molti magistrati, come Dambruoso, che hanno scritto della radicalizzazione in carcere e credo che la situazione nelle carceri, l’astio verso lo stato-carnefice e l’esasperazione possano portare alla radicalizzazione. Per quanto riguarda il punto di contatto con mafie e la criminalità organizzata, io non credo. Molto spesso abbiamo scoperto che c’è più contatto con la delinquenza comune.

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10) L’assenza di attacchi terroristici, come la si spiega? Premettendo un ambiente radicalizzato molto minore rispetto ad altri paesi, un’attività di intelligence di successo e volendo tralasciare le ipotesi della “mafia che ci protegge”; possiamo presumere che sia proprio il supporto del crimine organizzato al terrorismo che ci “protegge” dagli attacchi? Si, ci sono due motivi: loro rispettano molto la nostra mafia e il Vaticano. Non dimentichiamo che l’integralismo islamico parte dall’idea di un leader religioso che è anche leader politico e hanno grande rispetto per il nostro pontefice. Non dimentichiamo che l’ISIS non vuole altro che creare uno stato con un capo di stato che sia anche capo religioso. Poi c’è quello che ha detto lei, certamente. Lungi dal dire che le mafie ci proteggono ma noi siamo territorio di transito e affari. Gli affari si fanno nel silenzio, i terroristi hanno capito che come le nostre mafie, è meglio che siano “interrati” (come dice Cafiero de Raho). Noi siamo un porto importante per molti affari, primo tra tutti migranti. Lungi da me dire che i migranti siano tutti terroristi, assolutamente no, vanno aiutati ma è anche importante conoscere l’infiltrazione terroristica nel business. Non penso di dire una cosa scandalosa quando affermo che se le mafie decidono di bloccare questo flusso, (perché qualcuno “sgarra” o perché le mafie litigano) il flusso potrebbe dimezzarsi. Se io posso far guadagnare sia

terroristi che mafie, perché spezzare questo flusso? Non è questo che ci protegge, certo, ma è da tenere in considerazione. La prima ragione per la quale non avvengono attentati è il livello della nostra intelligence (noi abbiamo più espulsi e più controllati di tutti gli Stati d’Europa); seconda nell’ordine c’è il fatto che non abbiamo comunità corpose come negli altri paesi e le predicazioni nel nostro territorio sono controllate. Noi siamo stati i primi a lanciare il modello CASA che ancora non viene copiato a livello europeo e non capisco perché, visto che mette in difficoltà le più grandi mafie e i più arditi terroristi, quindi sposiamo intelligence d’analisi (anche economica) con l’intelligence del territorio; La terza è che siamo un paese di transito dove si fanno buoni affari, non siamo un paese di approdo in cui vado a mettere una cellula, siamo un punto di interesse e transito.

11) E i lupi solitari? Molti tendono a considerare l’atto del lupo solitario come l’atto di un pazzo. I lupi solitari non esistono, secondo me. È una teoria che condivide con me il direttore di analisi e difesa.it, Andrea Gagliani, che ha sempre detto che chiamarli lupi solitari è soggettivo. Secondo me non c’è un atto terroristico in cui non c’è almeno la complicità di una persona che dopo ti aiuta nella fase di “esfiltrazione” e secondo me analizzando accuratamente gli attentati che


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sono avvenuti, non troviamo evidenze di lupi solitari.

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APPROFONDIMENTI

Hacker etico: cacciatore di vulnerabilità

Alessandra Biondini

L’adozione frettolosa dello smartworking ha costretto le aziende ad attivare in tempi strettissimi servizi di connessione con migliaia di dipendenti e così, senza tenere debito conto dei livelli di protezione dei computer, sono state realizzate interconnessioni tra i computers privati dei dipendenti e le reti aziendali. La pandemia ha comportato, pertanto, un sensibile aumento dell’attenzione verso la Cyber Protection e degli investimenti in cybersecurity. In questo contesto emerge il “white hacker” che, a differenza del “black hacker”, effettua una “caccia ai bug” per individuare e correggere le vulnerabilità dei sistemi, determinando le falle di sicurezza prima che lo facciano i cyber criminali in modo da poter suggerire e predisporre comportamenti e/o aggiornamenti che le correggano.

Negli ultimi anni stiamo vivendo una vera e propria “cyberpandemia” con aumenti significativi di attacchi informatici anche molto gravi. Una tal situazione può dirsi “effetto collaterale” dell’emergenza da Sars-Cov-19 che ha portato miliardi di dati sensibili sui computer domestici, rendendo più vulnerabili e più estesi i confini da “difendere”. Proprio la pandemia ha comportato, altresì, un aumento dell’attenzione verso la Cyber Protection, tanto che è stato sti-

mato che l’80% delle aziende nei prossimi anni considererà strategico investire in cybersecurity. L’adozione frettolosa dello smartworking, infatti, ha costretto le aziende ad attivare in tempi strettissimi servizi di connessione con migliaia di dipendenti e così sono state realizzate interconnessioni tra il computer privato dei dipendenti e la rete aziendale, senza tenere debito conto dei livelli di protezione dei computer. Se l’attività dei pirati informatici un tempo prevedeva la “presa


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in ostaggio” dei dati aziendali attraverso sistemi di crittografia per estorcere un “riscatto” in cambio della soluzione per recuperarli, l’odierna leva è la minaccia di diffondere le informazioni rubate, creando un conseguente danno in materia di trattamento dei dati. In questo contesto, di grande mutamento e fermento, è importante considerare il ruolo dell’hacker, figura che, spesso, intesa in maniera scorretta probabilmente a causa di una cattiva informazione, si identifica in una persona guidata da una sfrenata passione per la programmazione che si diverte ad esplorare i dettagli dei sistemi informatici, migliorando sempre le proprie capacità per superare limiti imposti al fine di compiere reati informatici. Una siffatta e generalizzata criminalizzazione degli hackers esprime certamente una scarsa conoscenza del fenomeno. Ebbene, gli hackers veri e propri non agiscono con l’intenzione di compiere reati, né normalmente li compiono, essendo essi distinti dai crackers, ossia da coloro che agiscono allo scopo di violare sistemi informatici, per acquisire informazioni riservate o per puro vandalismo oppure per proprio vantaggio economico. Questi ultimi, infatti, sono lontani dalla c.d. etica hacker, i cui caratteri fondamentali risiedono nella condivisione della conoscenza, mai volta alla commissione di furti, atti di vandalismo o di lesione della privacy. L’ethical hacking, o hacking etico, componente essenziale nel

panorama della cybersecurity, viene talvolta associato “al lato positivo” dell’hacking, collegato al concetto di white hat, cioè la figura dell’hacker “buono” contrapposta al black hat, o hacker “cattivo”. Nella community della sicurezza informatica l’ethical hacking è alla base sia della ricerca, sia di alcune attività di assessment che consentono di migliorare il livello di sicurezza di una struttura. Il primo compito dell’hacker etico è partecipare alla cosiddetta “caccia ai bug” che consente di individuare e correggere le vulnerabilità determinando le falle di sicurezza prima che lo facciano i cyber criminali in modo da poter suggerire e predisporre comportamenti e/o aggiornamenti che le correggano. Questo tipo di attività si estende anche ai protocolli, per esempio quelli dedicati alla protezione delle comunicazioni attraverso sistemi di crittografia. L’ethical hacking, in questo senso, rappresenta uno dei pilastri della cybersecurity ed è un elemento fondante della community impegnata nel miglioramento del livello di sicurezza complessivo a livello di infrastrutture informatiche. Gli hacker etici pongono in essere attività di “penetration testing”, particolare forma di assessment che permette di evidenziare i punti deboli dei sistemi IT attraverso una simulazione di attacco, ponendo in risalto non solo le vulnerabilità, ma anche le eventuali debolezze nei processi e nelle policy. Gli “attacchi” portati in fase di penetration test, infatti, possono sfruttare anche tecniche


Hacker etico: cacciatore di vulnerabilità

di ingegneria sociale, come l’uso di e-mail di phishing o rapporti diretti (per esempio via telefono), ricalcando esattamente il modus operandi dei pirati informatici. In tema di reati informatici è sicuramente degna di approfondimento una “coraggiosa” pronuncia del GIP del Tribunale di Catania che, basandosi sul concetto di «divulgazione responsabile», ha emesso decreto di archiviazione nei confronti di un “hacker etico” imputato per diffamazione (art. 595 c.p.) ed accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter c.p.). Pronunciandosi sul comportamento dell’indagato che, dopo aver scoperto una vulnerabilità contenuta in una applicazione, l’aveva prima segnalata allo stesso produttore e poi divulgata a tutela dei consumatori, il Giudice ha osservato come, considerata la crescente rilevanza che ha assunto nella gestione dell’attività d’impresa la sicurezza dei relativi sistemi informatici, costituisca ormai “prassi consolidata l’invito rivolto dai titolari delle aziende a comunicare loro la presenza di bug (errori di sistema) all’interno del loro apparato da parte di chi ne abbia conoscenza…”. Nel caso esaminato, quindi, la condotta dell’indagato «non integra il delitto di cui all’art. 615-ter c.p., inquadrandosi la stessa nella metodologia comune della “divulgazione responsabile”, avendo il medesimo contattato prima l’azienda coinvolta proprio per consentirle di emendare l’errore entro un lasso di tempo, che può variare da

ALESSANDRA BIONDINI

trenta giorni a un anno, a seconda della gravità e della complessità della vulnerabilità». La sentenza è estremamente importante in quanto l’ordinamento giuridico italiano non riconosce in alcun modo la differenza tra hacking etico e cracking esistendo, alla base della normativa, solo l’accesso non autorizzato in un determinato sistema informatico, che fa diventare “abusive” le azioni indipendentemente dal loro fine.

Riferimenti bibliografici Angerfelt. “Computer crimes. a study of different types of offences and offenders”. In IFIP TC11 International Conference on Information Systems Security, 1992. Denning. “Concerning hackers who break into computer systems”. In 13th National Computer Security Conference, 1990. S. Heikkuri, “An Analysis of Ethics as Foundation of Information Security in Distributed Systems”. Proceedings of the Hawaii International Conference on System Sciences, 1998. L.F. Young. “Utopians, cyberpunks, players and other computer criminals”. In IFIP TC9/WG9.6 Working Conference on Security and Control of Information Technology in Society, 1993. Jordan, “A genealogy of hacking Convergence: The International Journal of Research”. In New Media Technologies.

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“Jargon File”, prestigioso dizionario di terminologia hacker, “esauriente compendio del gergo degli hacker, che fa luce su vari aspetti della tradizione, del folklore e dell’humour hackeristico”. Iniziato da Raphael Finkel all’università di Stanford nel 1975 e passato poi in gestione a Don Woods del MIT, è stato dato alle stampe nel 1983 con il titolo di “The Hacker’s Dictionary”. Dagli anni novanta la versione elettronica del dizionario è curata da Eric S. Raymond e da questi pubblicata. National Computer Security Association. GDPR Reg. EU 679/2016 Decreto archiviazione GIP Catania 2017


APPROFONDIMENTI

Antiriciclaggio e misure di contrasto al finanziamento del terrorismo: l’insufficienza degli ordinamenti comunitari secondo il più recente rapporto Moneyval Pierluigi Zarra

Il presente contributo suole predisporre un’attenta analisi sul recente rapporto annuale Moneyval – l’organismo del Consiglio d’Europa contro il riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo – pubblicato il 4 giugno 2021, con riferimento alle attività svolte nel 2020. Dal reportage emerge come gli Stati membri abbiano incrementato l’adozione delle raccomandazioni disposte da tale organismo, ma urge intensificare l’attuazione di misure nazionali coordinate per favorire l’effettiva azione di lotta ai gruppi terroristici che riciclano i proventi illeciti per la consumazione di attività terroristiche. Sommario: 1. La normativa nazionale in materia di lotta al terrorismo ed al suo finanziamento. – 2. Il Moneyval e le misure comunitarie in materia di antiriciclaggio e lotta al finanziamento del terrorismo. – 3. Il rapporto Moneyval 2020 e l’insufficienza normativa degli ordinamenti comunitari. – 4. L’iniziativa legislativa della Commissione Europea del 2021.

1. La normativa nazionale in materia di lotta al terrorismo ed al suo finanziamento Il terrorismo1 costituisce un fenomeno in continua evoluzione

Cherubini, voce Terrorismo, in Enc. dir., V, Giuffrè, 2012, 4 ss.; Panzera, voce Terrorismo, in Enc. dir., XLIV, Giuffrè, 1992, 1 ss.; Razzante, La nozione di «terrorismo»: un annoso (e irrisolto) problema internazionale, in Rivista trimestrale della Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia, 2018, 1, 96 ss.; Id., Comprendere il terrorismo, Pacini Editore, 2019; Id., The evolution of terrorism threats, in Handbook of Research on Trends and Issues in Crime Prevention, Rehabilitation and Victim Support, Hershey, a cura di Balloni, Sette, 2019. 1

che ha assunto connotati sempre diversi – a partire dal più grande attacco terroristico delle Torri Gemelle nel 2001 – modificandosi in rapporto progressivo alla società, tanto da formare una concreta minaccia per la difesa degli Stati e dei loro interessi da aggressioni da parte delle organizzazioni terroristiche, volte a destabilizzare o distruggere le Istituzioni nazionali sia dal punto di vista sociale, politico ed economico2. Le comuni esigenze preventive – derivanti dal maggior pericolo

Cass. pen., Sez. V, 22 ottobre 2008, n. 39545, in Foro it., 2008.

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per l’incolumità fisica del cittadino, ma così anche per la stessa struttura democratica statale – si pongono alla base della costituzione di un programma condiviso e complesso tra gli Stati dell’Unione Europea per contrastare la diffusione di tale fenomenologia, affinché le singole realtà terroristiche non raggiungano le proprie finalità delittuose. In verità, il percorso preventivo, come intrapreso dagli Stati coinvolti, non può dirsi pienamente esaustivo per il completamento di tali prerogative, giacché il principale metodo di incremento e rafforzamento delle realtà terroristiche si fonda sulla stabile attività di finanziamento economico. A tal riguardo, si è concordi nel ritenere che sia estremamente necessario individuare mezzi idonei ad interrompere qualsiasi processo di finanziamento in favore delle organizzazioni terroristiche; condizione che costituisce il prioritario meccanismo di lotta al fenomeno del terrorismo e tutela dell’integrità del mercato finanziario internazionale, prima ancora di qualsiasi attività sanzionatoria verso condotte di costituzione e partecipazione a tali gruppi3. Questa considerazione è stata condivisa dal legislatore nazionale, tanto da inserire, con un apposito intervento di riforma, un’autonoma fattispecie incriminatrice nella parte speciale del Codice penale,

Sul punto, si veda Dambruoso, Jihad, la risposta italiana al terrorismo: le sanzioni e le inchieste giudiziarie, Dike, 2018. 3

di cui all’art. 270- quinquies.1 c.p.4, volta sanzionare qualsiasi attività di raccolta, erogazione o messa a disposizione di beni o denaro, portata a termine in qualunque modalità, in favore di tali associazioni terroristiche. L’intervento di riforma, mediante cui il legislatore ha introdotto all’interno del sistema penale l’ipotesi delittuosa del finanziamento per le associazioni terroristiche – ovverosia la legge 153 del 2016 – rappresenta un ulteriore potenziamento del regime penale di lotta al terrorismo. La novatio legis in oggetto residua questioni di legittimità costituzionale, specie in riferimento alla clausola di riserva, volta ad escludere, almeno formalmente, l’ipotesi di concorso tra il delitto in esame e le differenti disposizioni in materia di associazione terroristica e di finanziamento o propaganda di viaggi all’esterno con finalità di terrorismo. Sembra che, in questa ipotesi, l’intentio del legislatore possa dirsi circoscritto ad incidere sulla qualifica dell’extraneus rispetto al sodalizio

“Chiunque, al di fuori dei casi di cui agli articoli 270-bis e 270-quater.1., raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro, in qualunque modo realizzati, destinati a essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all’art. 270-sexies è punito con la reclusione da sette a quindici anni, indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi per la commissione delle citate condotte. Chiunque deposita o custodisce i beni o il denaro indicati al primo comma è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. 4


Antiriciclaggio e misure di contrasto al finanziamento del terrorismo

terrorista, non punendo, in tal caso, colui che è già inserito in tale consorzio. L’elemento subiettivo del delitto in parola è il dolo specifico. L’attenzione è così rivolta al finanziatore ed alla destinazione patrimoniale, ossia all’utilizzo dei fondi per la realizzazione di attività aventi finalità terroristiche. Al fine di evitare che il disvalore penale sia limitato ad un mero atteggiamento interiore, v’è bisogno di una esternazione dell’elemento soggettivo, tanto da rendere l’attività delittuosa concreta ed idonea ad arrecare danno al bene socialmente protetto; recuperando quel deficit in termini di offensività che si pone a cavaliere fra l’azione e la finalità delittuosa perseguita. Proprio per questi motivi, è possibile ritenere che l’elemento soggettivo del reato non indichi esclusivamente il movente, ma rimane inscindibilmente legato alla condotta stessa rappresentando, quindi, la sequenza causale a cui tende l’azione delittuosa. Questa impostazione assolve all’impegno di accertare quale sia la reale finalità di terrorismo, non già nella psiche del reo, quanto nella condotta di fatto eseguita, al fine di attribuire a questi un ruolo specifico con risolvi penali. Il percorso di oggettivizzazione che coinvolge il dolo specifico è confermato oltremodo nella struttura normativa dell’art. 270-sexies c.p., in cui vengono esposte le finalità del terrorismo ed elementi oggettivi che conferiscono quel grado specifico di offensività per i fatti commessi. In considerazione di ciò, non v’è chi non veda che la necessità di strut-

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turare nuove ipotesi criminali per fronteggiare un diffuso stato d’allarme sociale abbia trovato terreno fertile in un percorso normativo emergenziale che comprende caratteri corrispondenti ad una lotta contro il fenomeno delinquenziale, atteso che questo tradizionale sistema d’incriminazione si caratterizzi per la costituzione di ipotesi delittuose associative e fattispecie di reato che sanzionano meri atti preparatori, in modo conforme ad un tecnica legislativa contraddistinta dall’anticipazione invero eccessiva della tutela penale5. L’art. 270-quinquies 1. c.p.6 non può esser compreso nel novero di quelle ipotesi delittuosa di natura associativa. La condotta – secondo il paradigma normativo espresso – deve esser posta in essere da un soggetto estraneo rispetto all’associazione terroristica, ai sensi dell’art. 270-bis c.p. È escluso, in tal modo, qualsiasi potenziale raffronto con il programma criminoso predetermina-

Manna, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, 2020, 513 ss.; Bartoli, Legislazione e prassi in tema di contrasto al terrorismo internazionale: un nuovo paradigma emergenziale?, in DPC, 2017, 3, 233 ss. 6 Per una maggior conoscenza penalistica delle condotte ivi sanzionate, si confronti, ex multis, Razzante, Riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo: analogie e differenze, in Riv. GdF, 2020, 6, passim; Imparato, Dall’associazionismo al finanziamento di condotte con finalità terroristiche, in De Iustitia, 2017, 4, 110 ss. Nel diritto vivente, Cass. Pen., sez. II, 22 aprile 2020, n. 14704, in Foro it., 2020. 5

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to dal gruppo terroristico; per di più, l’esistenza di una fattispecie autonoma di reato associativo7 consente un’applicazione accessoria della norma che incrimina il finanziamento rispetto all’adozione dell’art. 270-bis c.p.8: non è infatti del tutto casuale la presenza di una specifica clausola di sussidiarietà che assolve ad una funzione risolutiva tra i rapporti interferenziali intercorrenti fra la condotta di finanziamento e l’ipotesi di finanziamento associativo. Cionondimeno, la relazione tra le due norme in esame è fissata in una soccombenza della fattispecie autonoma di finanziamento ogni qualvolta in cui l’attività di sostegno materiale ed economico sia rivolto direttamente all’associazione e tale apporto sia realizzato da un membro del gruppo stesso. Sebbene il rapporto fra le norme comprenda uno status di soccombenza normativa, le due fattispecie sono accomunate da un elemento condiviso che corrisponde all’elemento oggettivo e tipico della condotta di finanziamento – ossia la raccolta e l’elargizione – ma la vera distinzione ha riguardo ad un difetto strutturale nella norma sul requisito dell’appartenenza dell’agente al gruppo terroristico ed allo stanziamento di fondi ed alla conseguente alimentazione economica in favore

Corte Cost., 31 luglio 2020, n. 191, in Consultaonline.it. 8 Miccichè, La partecipazione all’associazione terroristica di cui all’art. 270 bis c.p.: tra concorso esterno e reati di supporto, in Giurisprudenza penale Web, 2019,

del gruppo terroristico. La scarsa capacità applicativa per le condotte di finanziamento potrebbe trovare giustificazione per la configurabilità astratta del concorso esterno nell’associazione con finalità di terrorismo, pertanto, l’elemento discretivo in relazione all’art. 270-quinquies. 1. c.p. è costituito dalla modalità di realizzazione del finanziamento che deve essere direttamente rivolto al sodalizio9. È del tutto noto che, per questi stessi elementi, che devono esser ritenuti peculiari, il campo d’applicazione della fattispecie autonoma di finanziamento opera con riguardo a quelle attività di sostegno economico non dirette a soggetti che già rientrano nei ranghi associativi, ma sia posto in favore di persone estranee al sodalizio pronti a commettere autonomamente atti di terrorismo10. La lotta al terrorismo ed al suo finanziamento si struttura così su di un sistema normativo multilivello ed interdisciplinare; tale modello comprende riferimenti normativi internazionali e comunitari, a riprova della rilevante estensione assunta dal fenomeno in oggetto. Mediante l’adozione del d.lgs. 90 del 2017, il legislatore nazionale ha conferito all’Autorità giudiziaria nazionale un potere indipendente ed autonomo di congelamento

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Donini, Il concorso esterno “alla vita dell’associazione” ed il principio di tipicità penale, in DPC, 13 gennaio 2017. 10 Bertolesi, Ancora nuove norme in materia di terrorismo, in DPC, 19 ottobre 2016. 9


Antiriciclaggio e misure di contrasto al finanziamento del terrorismo

dei fondi e finanziamenti destinati al terrorismo11. La ratio da cui trae origine tale intervento normativo è individuabile nella scelta di dotare l’ordinamento nazionale di strumenti appropriati per controllare i traffici economici che mirano a riciclare denaro “sporco” ed al finanziamento di gruppi organizzati di matrice terroristica12 (ISIS, ISIL, Al Qaeda), dal momento che le misure indicate dalle Nazioni Unite hanno palesato, in modo alquanto evidente, una particolare difficoltà applicativa e scarsi risultati giuridici. Il potere di congelamento dei finanziamenti muove dell’esigenza di disporre misure congrue a colpire nel nucleo centrale qualsiasi attività di sostentamento economico in favore di associazioni e singole cellule terroristiche13. Sebbene appaia del tutto consolidata la formazione di un regime multidisciplinare di tipo internazionale, incentrato a contrastare il finanziamento delle or11 Manna, Misure di prevenzione e diritto penale: una relazione difficile, Pisa University Press, 2019, passim; Pasculli, Le misure di prevenzione del terrorismo e dei traffici criminosi internazionali, Cedam, 2012, 200 ss.; Masarone, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale. Tra normativa interna, europea ed internazionale, ESI, 2013, 135 ss. 12 Razzante, I danni conseguenza del terrorismo di matrice islamica, in Gnosis. Rivista italiana di intelligence, 2015, 2, 64 ss. 13 In questo senso, si faccia riferimento a Manacorda, Les conceptions de l’Union eurpéene en matière de terrorisme, in Terrorismes, a cura di Laurens, Delmas-Marty, Parigi, 2010, 195 ss.

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ganizzazioni terroristiche, risulta ancora labile il percorso d’individuazione di una specifica nozione giuridica di “finanziamento”14. Invero, atteso che le principali attività volte ad incriminare ogni azione di finanziamento illecito verso sodalizi terroristici sia posta quale primario obiettivo di una politica criminale diffusa e largamente condivisa in realtà comunitarie ed internazionali, è possibile rinvenire un primigenio approccio alla definizione normativa in esame già con la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, siglata a New York il 9 dicembre del 199915, che definisce il finanziamento quale ausilio materiale per la realizzazione o programmazione di atti di natura terroristica16. 329 Di Stasio, La lotta multilivello al terrorismo internazionale. Garanzia di sicurezza versus tutela dei diritti fondamentali, Giuffrè, 2010, passim. 15 La predetta Convenzione ha influito direttamente sul processo di formazione della disciplina legale della responsabilità da reato dell’ente, con specifico riferimento all’art. 25 quater del d.lgs. 231/2001 che dispone la punibilità dell’ente nel caso in cui soggetti apparentanti a esso commettano, nell’interesse o a vantaggio di quest’ultimo, delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico. In tal senso, si veda il recente commento di Razzante, Art. 25 quater. Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, in Il 231 nella dottrina e nella giurisprudenza a vent’anni dalla sua promulgazione, a cura di Levis, Perini, Zanichelli, 2021, 695 ss. 16 Sul tema si faccia riferimento a Di Vetta, Nuove disposizioni penali di contrasto al terrorismo. La repressione del circuito di finanziamento, commento alla L. 153/2016, in LP, 5 ottobre 2017, 5. 14


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Il finanziamento, dunque, non può essere giuridicamente definito e circoscritto ad un’ipotesi di complicità o di un apporto materiale per la consumazione di delitti con movente terroristico, ma necessita di un riconoscimento normativo autonomo ed indipendente, da cui discende un determinato valore sanzionatorio e prim’ancora preventivo17, tale da rendere il finanziatore responsabile penalmente anche nell’ipotesi in cui i fondi siano destinati all’associazione terroristica e non per l’effettiva realizzazione di singoli episodi terroristici. È ben chiaro che, in seguito alla particolare e progressiva intensità degli attacchi terroristici – giova rammentare l’attentato dell’11 settembre del 200118 – venne avvertita la necessità di predisporre apposite ed incisive misure per contrastare, con estrema efficacia, ogni possibile azione terroristica, in specie al diffuso fenomeno del finanziamento e alle incidenti misure antiriciclaggio19; conside-

razione comprese in una risposta normativa di natura cautelare ed ablativa20. Per quel che concerne la prospettiva nazionale, occorre soffermarsi su quali siano stati gli interventi del legislatore nel predisporre un impianto sanzionatorio adeguato ad interrompere le attività di finanziamento ai gruppi terroristici21. Questa scelta di politica criminale è caratterizzata dal ricorso alla legislazione emergenziale, al punto da classificare questi interventi come prosecuzione logica di quel trend d’indirizzo normativo imposto da decisioni sovrannazionali che propendono in favore di un diritto penale d’autore o del nemico22. Tale constatazione trova riferimento in una palese intenzione normativa che si sostanzia con l’entrata in vigore della l. 153 del 2016, dal momento che si predilige il ricorso a misure repressive piuttosto che preventive, giacché il sistema di regolamentazione adoperato dal legislatore nazionale corrisponde

Razzante, Manuale di legislazione e prassi dell’antiriciclaggio, Giappichelli, 2020, passim.; Id., L’autovalutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo: tra IV Direttiva e raccomandazioni del GAFI, in Resp. amm. soc. enti, 2016, 1, 1; 18 Razzante, L’evoluzione del terrorismo di matrice politico-religiosa. Dall’11 settembre agli attacchi in Europa, in Gnosis. Rivista italiana di intelligence, 2017, 1, 31 ss. 19 A tal riguardo, il Consiglio d’Europa con la decisione 475 del 2002 ha incluso tra le varie forme di partecipazione ad un’associazione terroristica anche la condotta di fornitura di risorse materiali o finanziarie, attività realizzatasi con la consapevolezza

che la partecipazione contribuisca per il raggiungimento delle finalità terroristiche del gruppo. 20 In materia di sequestro e confisca, si faccia riferimento a Furciniti-Frustagli, Il sequestro e la confisca di patrimoni nella UE, Cedam, 2016; Cimmino, Le misure di prevenzione patrimoniale antimafia, Giuffrè, 2019. 21 Ex plurimis, Leotta, La repressione penale del terrorismo, in Arch. pen., 2016, 12 ss. 22 Flora, Verso un diritto penale del tipo d’autore?, in RIDPP, 2008, 561 ss.; Mantovani, Il diritto penale del nemico, il diritto penale dell’amico, il nemico del diritto penale e l’amico del diritto penale, in RIDPP, 2007, 489 ss.

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al sistema di anticipazione della tutela penale, tale da indicare una precipua necessità di strutturare un percorso di lotta al delitto di matrice terroristica, con riguardo al programma di sostentamento economico e materiale posto in favore dei gruppi terroristici, così come emerge dall’introduzione dell’art. 270-quinquies.1 del codice penale23. Nello specifico, è di palmare evidenza che qualsiasi considerazione che si effettuare circa le modalità di realizzazione del finanziamento, prescinde da considerazione sulle principali strutture di finanziamento e di erogazione materiale utilizzate per i sodalizi terroristici, atteso che la particolare evoluzione del mercato internazionale risulta condizionata da fattori incontrollabili, come la diffusione dei bitcoins: meccanismi monetari che garantiscono flussi di mercato in totale anonimato, in assenza di una dettagliata normativa che regoli questa specifica categoria, al punto da rendere difficile l’applicazione di misure aventi natura ablatoria. Tra le altre modalità di finanziamento occorre soffermarsi sul noto meccanismo “Hawala”24 (ordine di pagamento in arabo) che rappresenta un sistema largamente diffuso ed assai complesso incentrato su stretti rapporti

interpersonali di mediazione di denaro25. Oltre a questa particolare struttura di intermediazione, occorre constatare la presenza di numerose attività illecite come il riciclaggio, dato che anche questa specifica ipotesi criminale può dirsi collegata all’immissione di denaro nel mercato di proventi illeciti da parte delle organizzazioni terroristiche e, quindi, esser compresa nel più grande fenomeno di finanziamento.

2. Il Moneyval e le misure comunitarie in materia di antiriciclaggio e lotta al finanziamento del terrorismo Il peculiare interesse suscitato dalla progressiva estensione di fenomeni terroristici, accompagnato dall’incremento di attività di finanziamento verso tali gruppi criminali, ha indotto il Consiglio dell’Unione Europea a costituire un comitato specifico – composto da tecnici ed esperti – per la valutazione della misure antiriciclaggio, con l’obiettivo di controllare e circoscrivere tali fenomeni, tanto da assolvere ad una funzione di consulenza e di direzione per ogni organizzazione internazionale che non appartenga al GAFI26.

Popoli, I canali di finanziamento al terrorismo e le strutture di contrasto, in Iura Orientalia, II, 2006, 138 ss. 26 Il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale è un organismo internazionale ed intergovernativo fondato nel 1989, svolge funzioni di promozione dell’effettiva applicazione di misure legali, istituzionali e 25

23 Giacometti, Formenti, La nuova disciplina in materia di prevenzione del riciclaggio e finanziamento al terrorismo, in DPC, 2017, 7-8, 197 ss., 24 Palumbo, Hawala e finanza, in www.csii. unifi.it.

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Le numerose attività perseguite dal Comitato, ma così anche l’imponente rilievo che questa organizzazione ha assunto nel corso degli anni, ha fatto sì che il Comitato fosse elevato ad organismo autonomo ed indipendente, svolgendo attività di monitoraggio del Consiglio dell’Unione Europea, con facoltà di instaurare rapporti diretti con il Comitato dei Ministri dell’economia, presentando annualmente un dettagliato reportage che funge da riepilogo delle attività di antiriciclaggio. Così, il Moneyval procede con l’analisi dell’efficienza dei sistemi di antiriciclaggio degli Stati partecipi, predispone valutazioni ed osservazioni, vaglia sulle varie modalità di realizzazione del riciclaggio ed esprime parere favorevole o contrario sulle misure adottate da ciascuno Stato membro, sia per quel che concerne l’attività normativa, finanziaria, investigativa e giudiziaria, formulando, da ultimo, pareri e raccomandazioni. La competenza del comitato non è limitata alle attività suindicate, ma si estende a forme di prevenzione e di contrasto effettivo per ogni azione di finanziamento del terrorismo. Sebbene il Comitato assolva ad un ruolo principale all’interno di un organismo comunitario dedito alla gestione, conoscenza ed intervento verso ogni forma di rinormative, regolamentari ed operative per rinnovare il sistema di contrasto al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo e per altre forme di minaccia per l’integrità del sistema finanziario internazionale.

ciclaggio e finanziamento illecito per il terrorismo, è d’uopo soffermarsi sulle principali disposizioni comunitarie in materia di contrasto al riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Sono stata numerose le direttive emanate dall’Unione Europea in tal materia, condizionate da iniziative internazionali, tali da costituire strumenti normativi essenziali per assolvere a finalità di natura prettamente preventiva, avendo una specifica cogenza nei rapporti con gli Stati membri, inteso quale onere di recezione, nei rispettivi ordinamenti, di siffatte disposizioni. Tra le principali raccomandazioni giunte ai singoli Stati appartenenti all’Unione Europea, tra cui la stessa Italia, è necessario segnalare quella di fortificare la lotta al riciclaggio, predisponendo maggiore efficacia per l’attuazione di disposizioni legislative. • La prima direttiva CEE, n. 308 del 10 giugno 1991, può considerarsi la primigenia manifestazione di una specifica esigenza dell’Unione nel costituire un sistema comunitario volto a prevenire l’uso di sistemi monetari e finanziari mediante cui venissero occultate forme di riciclaggio di denaro con provenienza delittuosa, al punto da realizzare un livello base di armonizzazione ed uniformazione comunitaria. Tale direttiva provvedeva, dunque, ad istituire un costante scambio informativo tra intermediari ed operatori del mercato e le autorità preposte all’antiriciclaggio, fa-


Antiriciclaggio e misure di contrasto al finanziamento del terrorismo

vorendo la realizzazione di un nucleo operativo conforme agli indici di trasparenza. Tra questi, è possibile considerare l’onere di valutazione sulle attività sospette, l’identificazione degli operatori per attività economiche che superassero una determinata soglia di rilievo economico. • La seconda direttiva CEE, n. 97 del 4 dicembre 2001 trova fondamento nella necessità di fronteggiare, in modo più diretto, i nuovi aspetti assunti dal riciclaggio, specie con riferimento ad una più attenta panoramica del sistema repressivo di lotta al terrorismo internazionale. La principale novità risiede nell’estensione degli oneri di collaborazione alle persone fisiche che svolgono, professionalmente, una specifica competenza che potrebbe favorire la proliferazione di condotte di riciclaggio. Tra l’altro, è di assoluto rilievo considerare che si è assistito ad un incremento delle misure di sequestro e confisca dei mezzi o proventi di reato. • Nonostante le direttive suindicate rappresentano l’incipit normativo di un sistema preventivo e repressivo comunitario verso svariate forme di delitto, è opportuno far menzione della direttiva n. 60 del 26 ottobre 2005, recante azioni di prevenzione dell’uso del sistema finanziario allo scopo di riciclaggio dei proventi di attività delittuose, compreso il finanziamento del terrorismo. Si

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tratta, invero, della prima direttiva comunitaria che annovera nella sua struttura normativa un riferimento diretto alle attività di finanziamento del terrorismo, riducendo a fattore comune la lotta al finanziamento a due fenomeni criminali che, seppur strutturalmente diversi, sono accumunati in ragione dell’unicità dello strumento adoperato dagli autori per il raggiungimento di scopi illeciti che coinvolgono, in qualunque caso, il sistema finanziario. Per questo giova sottolineare che la direttiva in esame abbia esteso i generali oneri di verifica alle persone fisiche che negoziano beni per un valore economico pari o superiore a 15.000 euro. L’attività di controllo comprende pertanto l’identificazione dei soggetti che operano all’interno di una determinata operazione finanziaria, individuando anche soluzioni finalizzate a garantire la protezione di persone fisiche ed enti che procedono a segnalare possibili attività economiche di sospetto delinquenziale. • Le disposizioni comunitarie in vigore dal 2005 hanno essenzialmente condizionato le successive direttive in materia di contrasto al riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, come avviene con la direttiva CEE del 20 maggio 2015, n. 845, quale IV direttiva antiriciclaggio. Tale atto normativo ha disposto un abbassamento sostanziale della soglia monetaria rilevante per le attività di

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APPROFONDIMENTI

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mercato da 15.000 a 10.000 euro, in modo indipendente rispetto a qualsiasi operazione economica completata. La normativa ha incluso nel novero dei soggetti obbligati all’attività di controllo anche i prestatori di servizio di gioco d’azzardo, quali lotterie, casinò e scommesse, a prescindere da qualsiasi strumento possa essere adoperato per le predette attività. È prevista, da ultimo, una valutazione sui rischi di riciclaggio e di finanziamento per le organizzazioni terroristiche sia a livello comunitario, che nazionale ed imprenditoriale. Questo specifico aspetto corrisponde allo sviluppo di un procedimento di razionalizzazione del principio del rischio controllato, quale canone per la gestione ed il controllo di soggetti su cui grava l’onere di verifica da parte delle competenti Autorità. • La direttiva n. 843 del 2018 è destinata, invece, ad incrementare il contenuto applicativo delle precedenti direttive ampliando il novero dei soggetti obbligati all’attività di valutazione e controllo. Si procede, tuttavia, a regolamentare il sistema delle valute virtuali che integrano un fiorente strumento per il riciclaggio ed il finanziamento delle organizzazioni terroristiche. Allo stesso modo, è istituito un elenco ove sono contenuti i nominativi di coloro che svolgono cariche pubbliche di prestigio, a livello delle istituzioni ed organi dell’Unio-

ne Europea, per ciascuno Stato membro. • L’esigenza di garantire uno strumento di politica comunitaria adeguato a superare condizioni ostative per l’applicazione di procedure concordate a livello Europeo e di contrasto al riciclaggio di proventi illeciti e di ogni forma di sostentamento economico in favore delle associazioni terroristiche rappresenta un passaggio ineludibile per l’applicazione del Regolamento delegato UE del 31 gennaio 2019, n. 758, per cui si stabiliscono ulteriori misure ed obblighi ascrivibili ad enti e persone fisiche potenzialmente coinvolte in attività di riciclaggio, arginando ipotetici fattori di rischio nel caso in cui il Paese non attui politiche comunitarie in subiecta materia. Il Regolamento summenzionato non altera il generale obbligo di vigilanza da parte delle Autorità destinate a ciò, ma fornisce ulteriori misure supplementari, dal momento che le precedenti disposizioni possono considerarsi inadeguate. In tal guisa, si assiste ad un incremento delle attività di individuazione di modelli appropriati a prevenire il rischio di riciclaggio e finanziamento dei gruppi terroristici, favorendo la condivisione ed il corretto trattamento dei dati dei clienti per operazioni imprenditoriali di rilievo; oneri di comunicazione alle Autorità competenti del Paese membro delle condotte poste in essere da succursali o aziende


Antiriciclaggio e misure di contrasto al finanziamento del terrorismo

controllate a maggioranza che operino in un determinato contesto imprenditoriale.

3. Il rapporto Moneyval 2020 e l’insufficienza normativa degli ordinamenti comunitari Le molteplici forme di lotta contro il finanziamento del terrorismo e l’effettiva attuazione di norme internazionali e convenzionali per il contrasto al riciclaggio, così come le raccomandazioni che giungono agli Stati Europei dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) costituiscono, come già in precedenza emerso, le più significative modalità di prevenzione e repressione al delitto, strumenti indispensabili per costituire un sistema convenzionale condiviso ed operativo. In questi termini si è espresso l’organismo autonomo del Consiglio dell’Unione Europea, il Moneyval, con la più recente relazione annuale del 2020, pubblicata il 4 giugno del 2021. Il Comitato ha rilevato che gli Stati dell’Unione e le singole giurisdizioni coinvolte – tra cui l’Italia – possono ritenersi moderatamente incisive nell’attività di repressione al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo. È indispensabile, tuttavia, considerare che il livello di conformità delle normative nazionali in materia di riciclaggio e di soppressione del finanziamento al terrorismo può ritenersi insoddisfacente rispetto ai requisiti impo-

PIERLUIGI ZARRA

sti dal Moneyval per costituire un idoneo sistema sanzionatorio. Ciononostante, è d’uopo evidenziare che i membri del Moneyval hanno sviluppato molteplici modelli di lotta al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo all’interno dei propri ordinamenti nazionali e nelle strutture istituzionali, tecnico-amministrative, nonostante la pandemia abbia colpito inesorabilmente questo complesso procedimento di adeguamento istituzionale, favorendo, oltretutto, l’incremento di reati informatici attraverso l’utilizzo di metodi d’investimento fraudolenti. Eppure è innegabile ammettere che occorrano ulteriori sforzi per garantire la costituzione di un sistema unificato e multidisciplinare che sia effettivamente diretto ad incidere su meccanismi criminali che mirano a riciclare proventi delittuosi o a finanziare attacchi terroristici. La relazione annuale ha indicato che la valutazione dei rischi, l’attività di cooperazione sovrannazionale e lo sviluppo di informazioni condivise in materia finanziaria costituiscono il principale metro di giudizio per la valutazione di conformità alla raccomandazione Moneyval per gli Stati membri. A tal riguardo, è emerso infatti, in maniera chiara, come la cooperazione internazionale, realizzatasi per l’assistenza giuridica reciproca, sullo scambio di informazioni e di dossier, abbia costituito l’aspetto certamente più rilevante per lo sviluppo di una politica di cooperazione e di lotta al delitto. Gli Stati hanno, in verità,

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APPROFONDIMENTI

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palesato una scarsa attenzione in materia di sorveglianza nel settore finanziario, ossia di trasparenza delle persone giuridiche, specie nei riguardi di condanne passate in giudicato per riciclaggio e in materia di confische e sequestri di beni che, nonostante costituiscano il prioritario metodo di contrasto all’illecito, non trovano una dimensione applicativa coerente alle esigenze repressive. Di conseguenza, all’interno del rapporto sono rilevate gravi lacune per quel che concerne l’irrogazione di sanzioni finanziarie, l’attuazione di misure di sorveglianza in tale settore, l’applicazione di misure ablative contro il terrorismo, il suo finanziamento e la proliferazione di armi di distruzione di massa. Sebbene la Relazione abbia fatto emerge le numerose difficoltà riscontrate dai vari Paesi membri, pare opportuno segnalare che la Repubblica di San Marino e lo Stato del Vaticano hanno ricevuto esito positivo, avendo attuato progressi sostanziali nell’attuazione delle Raccomandazioni e delle norme AML/CFT, rafforzando sensibilmente il regime di prevenzione, adottando misure normative, regolamentari ed istituzionali tali da incidere, in modo opportuno, sull’attività di contrasto al fenomeno del riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Si è, tra l’altro, assistito ad una maggiore attenzione verso le possibili attività soggette a rischio, predisponendo l’attuazione di specifiche normative in materia di antiriciclaggio, costituendo un quadro giuridico completo sia per le istitu-

zioni finanziarie, sia per quelle non finanziarie. A dimostrazione di ciò, è di palmare evidenza considerare che la cooperazione internazionale abbia sortito miglioramenti per quel che concerne l’assistenza giudiziaria, tale da costituire canali efficaci, che hanno notevolmente semplificato lo scambio di informazioni fra le autorità internazionali preposte all’osservanza di specifichi oneri di controllo. In conclusione, sebbene lo Stato del Vaticano e la Repubblica di San Marino abbiano intrapreso un percorso preventivo virtuoso, attuando le direttive previste per incrementare efficienti sistemi di lotta al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo, non può condividersi l’assunto secondo cui l’Italia rivesta ancora un ruolo marginale nel percorso di recezione delle direttive per la prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo. Più nel dettaglio, è opportuno evidenziare come l’Italia sia il primo Paese europeo a recepire con immediatezza le direttive, già nel 1991, con il decreto legge 143 del 1991, mediante cui si dava attuazione alla Direttiva 91/308. La costituzione di un apposito settore della Banca d’Italia dedicato alla valutazione delle operazioni economiche, al controllo valutario ed all’antiriciclaggio, consente di raggruppare informazioni di particolare importanza anche per gli stessi procedimenti antimafia, costituendo un nucleo informativo per assolvere a funzioni di natura preventiva e repressiva verso fenomeni criminali diversi dall’ asso-


Antiriciclaggio e misure di contrasto al finanziamento del terrorismo

ciazione di stampo mafioso, come le organizzazioni terroristiche. È ampiamente condivisa l’idea per cui ogni singolo Stato debba progredire verso la costituzione di un sistema multifunzionale e dinamico che possa incidere, in modo sostanziale, sull’attività di prevenzione e repressione di fenomeni criminali, quali il riciclaggio e il finanziamento delle attività terroristiche, incentivando l’istituzione di un quadro giuridico complesso basato sulla collaborazione internazionale, tanto con la creazione di consultazioni tra gli Stati, quanto con il costante aggiornamento dei dati per il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo27: organismo informativo che analizza il grado di minaccia e di pericolo delle attività terroristiche a livello nazionale ed internazionale.

4. L’iniziativa legislativa della Commissione Europea del 2021 La Commissione Europea ha presentato il 20 luglio 2021 una serie di proposte normative funzionali per consolidare il pantheon normativo comunitario in materia di contrasto al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo28. Tra

Roberti, Giannini, Manuale dell’antiterrorismo. Evoluzione normativa e nuovi strumenti investigativi, Laurus, 2016, 39 ss. 28 In materia la letteratura è sterminata. Ex plurimis, senza alcuna pretesa di completezza, cfr. Razzante, Manuale di legislazione e prassi dell’antiriciclaggio, Giappichelli, 2020, passim; Id., La regolamentazione an-

PIERLUIGI ZARRA

le principali proposte è compresa la possibilità di istituire una nuova Autorità Europea (AMLA) per fronteggiare alla diffusione di tali pratiche criminali. L’obiettivo primario attiene all’identificazione delle attività ed operazioni economiche sospette. La nuova Autorità antiriciclaggio europea (AMLA) modificherà i modelli di vigilanza AML/CFT già presenti nelle normative comunitarie, favorendo la costituzione di un sistema cooperativo con l’Unità d’informazione finanziaria (UIF). L’Autorità antiriciclaggio svolgerà un ruolo apicale per l’attività di coordinamento e collaborazione tra le singole realtà nazionali; assolverà, inoltre, ad un ruolo di garante affinché il settore finanziario privato adotti ed osservi, in modo coerente, le normative comunitarie in materia. Tra l’altro, l’AMLA dovrà provvedere a definire un sistema centrale ed integrato di vigilanza AML/ CFT per l’Unione Europea, incentrato su metodi univoci e coordinati di vigilanza; dovrà controllare gli enti finanziari maggiormente a rischio, ossia quelle realtà imprenditoriali che operano in aree di mercato particolarmente ampie, che svolgono attività d’impresa in un gran numero di Stati membri. È onere di tale Autorità monito-

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tiriciclaggio in Italia: aggiornato alla delibera della Banca d’Italia 10 marzo 2011 sui controlli antiriciclaggio, Giappichelli, 2011, passim; Id., Finanziamento del terrorismo ed antiriciclaggio. Normativa di contrasto e prassi operativa, Nuova Giuridica, 2011, passim.

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APPROFONDIMENTI

rare costantemente gli organismi di vigilanza nazionali, impartendo direttive e raccomandazioni, così come sostenere il partenariato tra l’Unità d’informazione finanziaria nazionali e rendere agevole qualsiasi coordinamento tra queste, disponendo analisi congiunte per accertare i flussi finanziari illeciti.

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GIURISPRUDENZA

Il mandato di arresto europeo e la portata applicativa del principio di ne bis in idem: un vuoto normativo colmato dalla giurisprudenza di legittimità Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 25333/2021

Gloria Lazzaro

Nel caso de quo la Suprema Corte ha avuto l’occasione di pronunciarsi sul rapporto tra il mandato di arresto europeo e il principio di ne bis in idem, nella sua veste di motivo obbligatorio di rifiuto della consegna ex art. 18 lett. b) della legge n. 69/2005, modificato dall’art. 14 D.lgs. n. 10/2021.

Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista.

L’imputato, per mezzo del difensore, ricorreva avverso la sentenza della Corte di appello di Torino laddove veniva dichiarata la presenza delle condizioni per l’accoglimento della richiesta di consegna formulata dall’Autorità giudiziaria della Croazia con mandato di arresto europeo, emesso in data 10/2/2021, dal Tribunale di Zagabria con riferimento a provvedimento cautelare del 2/3/2016 relativo a otto furti in abitazione, consumati o tentati, commessi in Croazia, in concorso con altra persona tra il 16 luglio e il 23 settembre 2014. La ricorrente deduceva come motivi di ricorso: – la violazione del principio del ne bis in idem dal momento che la sentenza con cui, nel

2018, la Corte di appello di Torino aveva rifiutato la consegna della ricorrente ai sensi dell’art. 18, lett. p) della legge n. 69 del 2005 non si era limitata alla decisione di questioni pregiudiziali in rito ma aveva deliberato nel merito con l’accertamento di una causa obbligatoria di rifiuto e dell’assenza di esigenze cautelari allo scopo rilevanti; – la mancanza di motivazione con riguardo al carattere processuale del mandato di arresto europeo, non essendo specificato nello stesso lo stato processuale per quei fatti; – l’errata motivazione in ordine al mancato accertamento e conseguente ritenuta insussistenza di un titolo esecutivo definitivo, ancorché allo stato sospeso ex


GIURISPRUDENZA

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art. 146 c.p., e di una pendenza in Italia a carico della ricorrente. La Sesta sezione ha ritenuto il ricorso fondato. In primo luogo, la Suprema Corte ha chiarito che, in tema di mandato di arresto europeo, il principio del ne bis in idem rileva in qualità di motivo obbligatorio di rifiuto della consegna ex art. 18, lett. b) della legge n. 69/20051, a seguito delle modiche apportate dall’art. 14 del d.lgs. n. 10/20212. L’articolo summenzionato, sottolinea la Suprema Corte, è da intendersi come il riflesso normativo in materia di consegna europea degli artt. 50 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) e 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (CAAS), oggetto dell’acquis europeo, che

Sul punto, per approfondire si rinvia a M. Lanotte, Luci ed ombre della legge di delegazione europea 2018 (e del sistema di trasposizione degli obblighi UE previsto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234) con particolare riguardo alla materia penale, in www.eurojus.it, 2019, n. 4, 89 ss. e 102 ss.; M. Lipani, S. Montaldo, I motivi ostativi di esecuzione del mandato d’arresto europeo nella legge italiana di recepimento e la corte di cassazione: uno sguardo d’insieme alla luce dei principi generali dell’ordinamento UE e della giurisprudenza della Corte di giustizia, in lalegislazionepenale.eu, 5 luglio 2017. 2 In merito, per ulteriori approfondimenti sulla riforma, si rinvia a M. Bargis, Meglio tardi che mai. Il nuovo volto del recepimento della decisione quadro relativa al M.A.E. nel d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10: una prima lettura, in Sistema penale, 2021, n. 3; L. Scollo, La riforma del Mandato d’Arresto Europeo. Meno diritto e più diritti, in Giur. pen. web., 2021, n. 2. 1

statuiscono il principio del ne bis in idem da considerarsi come il diritto a non essere giudicato o punito due volte per lo stesso fatto qualora sia intervenuta sentenza di assoluzione o condanna definitiva in uno Stato membro dell’UE, a condizione, in caso di condanna, che la pena sia stata eseguita, in corso di esecuzione o non più suscettibile di essere eseguita. Il primo motivo di ricorso della difesa ha posto il tema del principio del ne bis in idem con riferimento al mandato di arresto europeo in relazione all’archetipo della consegna internazionale, rappresentato dal meccanismo dell’estradizione, con precipuo riguardo all’esistenza e alla portata di un eventuale effetto preclusivo prodotto su una nuova domanda di consegna dalla pronuncia definitiva contraria, intervenuta su una precedente richiesta presentata dallo stesso Stato per i medesimi fatti-reato. In assenza di uniformità da parte della giurisprudenza di legittimità in merito alla portata dell’effetto preclusivo, si afferma che, in tema di mandato di arresto europeo, il principio del ne bis in idem trova applicazione con riguardo alla sentenza irrevocabile con la quale è stata rifiutata la consegna, per effetto del mancato invio da parte dello Stato richiedente della documentazione integrativa richiesta; di conseguenza, la Corte d’appello non può pronunciarsi sulla documentazione integrativa successiva modificando la precedente decisione di rifiuto.


Il mandato di arresto europeo e la portata applicativa del principio di ne bis in idem

La Sesta sezione3 aveva delineato una prospettiva ermeneutica differente statuendo che, in tema di mandato di arresto europeo, non configura violazione del principio del ne bis in idem la pronuncia di una successiva decisione che dispone la consegna dell’interessato all’autorità giudiziaria dello Stato richiedente, qualora la precedente decisione abbia negato la consegna definendo soltanto questioni di rito o meramente pregiudiziali, senza deliberare sul merito della richiesta. Il Collegio ha specificato che, stante il vuoto normativo in subiecta materia in assenza di pertinenti previsioni della legge 22 aprile 2005 n. 69, il contesto normativo di riferimento deve essere individuato facendo riferimento all’art. 39 comma primo della summenzionata legge laddove viene previsto un meccanismo normativo di completamento della legislazione interna del MAE che rende applicabili le disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari in quanto compatibili. Pertanto, a paradigma della vicinanza normativa con la consegna estradizionale4, è corretto ritenere applicabile l’art. 707 c.p.p. quale “Rinnovo della domanda di estradizione”, laddove viene esplicitato il principio di diritto per cui Cass. pen., sez. VI, 26 aprile 2018, n. 18872, in Foro it., 2018. 4 La materia viene ampiamente trattata da M. Bargis-E. Selvaggi, Mandato di arresto europeo. Dall’estradizione alla procedura di consegna, Giappichelli, 2005. 3

GLORIA LAZZARO

la sentenza contraria all’estradizione costituisce motivo di preclusione della pronuncia di un successivo provvedimento favorevole a seguito di un’ulteriore domanda presentata per i medesimi fatti dallo stesso Stato, ad eccezione del caso in cui questa sia fondata su elementi che non siano già stati oggetto di valutazione dell’autorità giudiziaria. La Suprema Corte evidenzia la disomogeneità della giurisprudenza di legittimità nell’individuazione degli elementi nuovi rilevanti ai sensi dell’art. 707 c.p.p. idonei a non ricadere nella preclusione prevista dalla stessa norma. Infatti, secondo un primo orientamento, in tema di estradizione per l’estero richiesta sulla base della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, la sentenza con cui la Suprema Corte dichiari l’insussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione, a causa del ritiro da parte dello Stato istante, ha efficacia preclusiva ex art. 707 c.p.p. nei confronti della pronuncia di una successiva sentenza favorevole a seguito della presentazione da parte dello stesso Stato di una nuova domanda per i medesimi fatti, escludendo tale efficacia solo nei confronti degli elementi non valutati in precedenza. In tal senso, la Sesta sezione, con la sentenza n. 40167/2006, ha statuito che gli elementi nuovi menzionati all’art. 707 c.p.p. devono riguardare: «circostanze o eventi inerenti i profili sostanziali del fatto o dei fatti reato integranti

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GIURISPRUDENZA

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la domanda in tutte le loro componenti (ontologiche e soggettive), emersi in epoca successiva alla precedente richiesta estradizionale o comunque non portati o non potuti portare a conoscenza dell’autorità giudiziaria dello Stato richiesto e non già circostanze o situazioni di stretta significanza processuale». Sicché, la Suprema Corte con la summenzionata pronuncia ha circoscritto l’effetto preclusivo fondato sull’art. 707 c.p.p. escludendo la facoltà in capo: «allo Stato richiedente di rinnovare o reiterare ad libitum domande di estradizione identiche e già in precedenza respinte dallo Stato richiesto ovvero cadute in perenzione (…) per effetto dell’autonoma ed insindacabile decisione dello stesso Stato richiedente di ritirare o revocare l’anteriore richiesta estradizionale; salvi i casi (…) che la nuova o le nuove domande si basino su elementi storici diversi od ulteriori non resi già oggetto della o delle precedenti richieste» mentre non è connotata dall’effetto preclusivo del giudicato estradizionale la decisione del giudice di legittimità caratterizzata da mere valenze processuali o formali connesse alla revoca della richiesta di estradizione. La Sesta sezione con la successiva sentenza n. 8812/2011 ha ancor più circoscritto l’effetto preclusivo laddove, definendo «il cosiddetto giudicato estradizionale» come «mera preclusione agli atti», ha statuito che, in tema di estradizione per l’estero, la pronuncia di una successiva sentenza favo-

revole all’estradizione non è preclusa successivamente ad una ulteriore domanda presentata dallo stesso Stato per i medesimi fatti ex art. 707 c.p.p. qualora la precedente decisione abbia definito questioni in rito o di natura pregiudiziale, senza entrare nel merito della richiesta. Con quest’ultima pronuncia la Suprema Corte ha, altresì, definito fuorviante parlare di «diritto di azione» riconosciuto allo Stato estero una tantum consumabile con il solo esercizio da parte dello stesso a prescindere dall’effettiva delibazione nel merito della richiesta sia perché il disposto normativo di cui all’art. 707 c.p.p. non dispone in tal senso, sia perché si porrebbe, come tale, in contrasto con il corretto ed efficace adempimento degli obblighi internazionali in tema di leale collaborazione. Il Collegio ha ritenuto che, stante l’applicabilità al mandato di arresto europeo, l’art. 707 c.p.p., in virtù dell’art. 39, comma 1, legge n. 69 del 2005, l’efficacia preclusiva della sentenza definitiva, con cui è stata dichiarata la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento di una prima domanda di consegna, opera allo stato degli atti non pregiudicando, in tal senso, la successiva facoltà dello Stato estero di formulare una nuova richiesta in presenza di elementi in precedenza non oggetto di valutazione da parte dell’autorità giudiziaria. Anche il tenore letterale del disposto normativo di cui all’art. 707 c.p.p. valorizza non la natura delle questioni, processuale o di merito,


Il mandato di arresto europeo e la portata applicativa del principio di ne bis in idem

bensì il diverso oggetto della valutazione giudiziaria resa necessaria dalla seconda domanda. Di conseguenza, tali nuovi e rilevanti elementi possono consistere anche nell’intervenuta modifica della normativa interna applicabile, come nel caso di specie in cui non è da ritenersi preclusa la valutazione del mandato di arresto presentato dallo Stato membro per i medesimi fatti di cui la ricorrente è imputata dinanzi all’autorità giudiziaria croata, dopo che con una prima sentenza la competente Corte di appello aveva ritenuto, con una decisione sul merito della richiesta di consegna, sussistente il motivo di rifiuto al tempo previsto dall’art. 18, lett. p) legge n. 69 del 2005 e poi abrogato dal D.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10. Pertanto, considerato quanto detto sinora, il divieto del ne bis in idem in materia di mandato di arresto europeo, stante l’efficacia preclusiva ex art. 707 c.p.p., costituisce motivo ostativo alla consegna europea solo in relazione alle statuizioni disciplinate agli artt. 50 TUE e 54 CAAS. Non essendo rinvenibili questi ultimi riferimenti normativi nel caso di specie, non può dirsi esistente un’efficacia preclusiva collegata al ne bis in idem e, pertanto, la Sesta sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto il primo motivo di ricorso infondato ed oggetto di rigetto. Il Collegio, inoltre, considerato che la ricorrente è madre di prole inferiore ai 3 anni, nonostante la modifica normativa introdotta

GLORIA LAZZARO

con l’art. 14 d.lgs. n. 10/2021 all’art. 18 della legge 22 aprile 2005, n. 69, consistente nell’eliminazione, tra le cause di rifiuto del MAE, della circostanza di essere madre di prole di età inferiore a tre anni, ritiene che l’intervenuta abrogazione del motivo obbligatorio di rifiuto della consegna, già previsto all’art. 18 lett. p) legge n. 69/2005, non valga di per sé a ritenere consentita la consegna europea di madre di prole di età inferiore a tre anni, considerata la modalità con cui si è previsto che l’Italia darà esecuzione alla disciplina del MAE, i.e. nel rispetto dei diritti e principi stabiliti dai trattati internazionali e dalla Costituzione indicati alle lettere a) e b) della medesima disposizione, così come sancisce l’art. 2 comma 1 della legge n. 69 del 2005. La stessa Corte costituzionale a più riprese5 ha sottolineato che il divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere di carattere generale ex art. 275, comma quarto, c.p.p. trova la sua ratio nel bilanciamento di interessi tra l’esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria e la tutela di un altro interesse di rango costituzionale, i.e. protezione costituzionale dell’infanzia ex art. 31 Cost. I giudici della Consulta, pertanto, hanno ritenuto che le pre Cfr. C. Cost., 10 giugno 2009, n. 177; C. Cost., 4 maggio 2009, n. 145; C. Cost., 22 ottobre 2014, n. 239; C. Cost., 24 gennaio 2017, n. 17, tutte consultabili sulla rivista giuridica Consulta online, al seguente indirizzo: www.giurcost.org. 5

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visioni di cui agli articoli 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e l’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000 definiscano come superiore l’interesse del minore, con la conseguenza che tutte le decisioni relative ad esso debbano essere adottate tenendo conto di tale preminenza; tuttavia, quest’ultima non fa venire meno il necessario bilanciamento con interessi contrapposti, anch’essi di natura costituzionale quali quelli di difesa sociale, fondanti le esigenze cautelari, laddove, come nel caso di specie, la madre sia imputata di gravi delitti. Invero, a paradigma del necessario bilanciamento di interessi in gioco, lo stesso articolo 275 c.p.p. fa comunque salve le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza anche in presenza di un figlio minore di sei anni. Nel caso de quo non sono mai state concretamente allegate delle esigenze cautelari, sicché si tratta di una questione che attiene all’esecuzione del mandato di arresto europeo nel rispetto delle garanzie costituzionali di cui al primo comma dell’art. 2 della legge 22 aprile 2005, n. 69, rilevabile d’ufficio dalla Suprema Corte ai sensi dell’art. 609, comma 2, c.p.p. e, come tale, impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso.


GIURISPRUDENZA

La portata applicativa del regime sull’utilizzo

del

contante previsto dalla normativa antiriciclaggio Cass. civ., Sez. Lavoro, sent. n. 10999/2020

Eliana Colazzo

La disciplina prevista dall’art. 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007, che impone il divieto di effettuare transazioni in denaro, con libretti di deposito o con titoli al portatore, se non per il tramite di soggetti abilitati, trova applicazione solo quando l’intermediario è terzo e non anche quando agisca come parte del rapporto o effettui la transazione in proprio.

Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista.

Sommario: 1. L’origine della vicenda processuale. – 2. Il divieto di cui all’art. 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007: analisi e approdo interpretativo della Suprema Corte. – 3. Il secondo motivo di ricorso: prestazione in luogo dell’adempimento?

1. L’origine della vicenda processuale Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità giungono a delineare il perimetro di efficacia della disciplina normativa delle transazioni eseguite in denaro mediante libretti di deposito o titoli al portatore1. Il caso di specie trae origine dalla sentenza con cui la Corte d’Appello di Brescia respingeva Per ulteriori approfondimenti, v. Circolare 19 marzo 2012 n. 83607 del Comando generale della Guardia di Finanza che tratta e analizza la tematica riguardante le limitazioni dell’uso del contante e degli altri mezzi di pagamento.

le istanze avanzate da Poste Italiane S.p.A. avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato la sua opposizione al decreto ingiuntivo di pagamento di somme liquidate in favore di una dipendente. Nonostante la società ricorrente avesse proceduto in due occasioni alle transazioni di quanto dovuto al fine di estinguere l’obbligazione, la Corte bresciana, sulla scorta delle disposizioni di cui all’art 49 del D.Lgs. n. 231 del 20072, aveva reputato le modalità

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Decreto emesso in attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di 2


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di pagamento inappropriate alla costituzione in mora della creditrice. In particolare, i giudici dell’Appello, valorizzando le limitazioni imposte dalla normativa sopra richiamata, ritenevano non conformi alle prescrizioni di legge i due tentativi effettuati dalla debitrice, in primis con bonifico domiciliato presso qualsiasi ufficio postale e, in secundis, con assegno postale vidimato indirizzato, come richiesto dalla lavoratrice, presso lo studio del suo difensore (mai riscossi fino alla data della loro validità). Pertanto, Poste Italiane S.p.A. proponeva ricorso per Cassazione sulla base di due ordini di motivi: 1) la violazione degli artt. 1277, 1210 e 1214 c.c., e dell’art. 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007 per la non corretta interpretazione di quest’ultima norma; 2) la violazione dell’art 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul terzo motivo d’appello, non avendo il Tribunale dichiarato comunque adempiuta l’obbligazione per effetto di una datio in solutum ai sensi dell’art 1197 c.c.

2. Il divieto di cui all’art. 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007: analisi e approdo interpretativo della Suprema Corte La norma di cui all’art. 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007, come già

attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/ CE che ne reca misure di esecuzione.

rilevato, impedisce l’utilizzo del contante oltre limite, quando il trasferimento avvenga direttamente tra privati senza l’ingerenza di intermediari finanziari3. Più precisamente, la disposizione in esame garantisce la possibilità di effettuare quelle transazioni (in denaro, con libretto di deposito o titoli al portatore) altrimenti precluse, per il tramite di soggetti abilitati come banche, Poste Italiane S.p.A. o altri. In questi casi, la movimentazione del denaro presuppone la consegna della somma in contanti all’intermediario nonché la relativa accettazione per iscritto da parte di quest’ultimo, così determinando la formazione di un regolamento negoziale tra le parti, qualificabile come deposito irregolare4 con prestazione al terzo. La comunicazione del debitore al creditore, relativa all’accettazione dell’intermediario, comporta altresì l’estinzione dell’obbligazione ex art. 1277 c.c. e, nell’ipotesi di mora del creditore, gli effetti liberatori del deposito ex art. 1210 c.c. Si precisa, tuttavia, che la concreta regolazione del rapporto inter partes, nonché l’effettivo compimento dell’obbligo pecuniario richiede la materiale riscossione del contante inizialmente

La soglia antiriciclaggio sarebbe superata anche nell’ipotesi di pagamenti artificiosamente frazionati, quando le transazioni si riferiscono ad un’unica operazione economica; sul punto, cfr. Cass. civ., sez. II, 22 giugno 2010, n. 15103, in Foro it., 2010. 4 Sul punto, cfr. ex multis, Cass. civ., sez. III, 22/03/2013, n. 7262. 3


La portata applicativa del regime sull’utilizzo del contante previsto dalla normativa antiriciclaggio

consegnato5, in considerazione del fatto che gli altri mezzi di pagamento utilizzati rappresentano degli strumenti alternativi a quella che, invece, costituisce la moneta avente corso legale nello Stato. A parere della Suprema Corte, ad ogni modo, gli effetti estintivi e liberatori cui si è fatto cenno non sono riscontrabili nel caso di specie, non avendo la società ricorrente proceduto in qualità di intermediario terzo. L’interpretazione della norma adottata dai giudici di legittimità, anche in relazione al fatto in esame, trova la sua ratio iuris nell’esigenza di tracciabilità delle transazioni di cui sopra6, soddisfatta solo nell’ipotesi in cui il soggetto abilitato a ricevere la disposizione risulti estraneo al rapporto obbligatorio esistente tra le parti principali. Qualora taluno degli intermediari finanziari, individuati dalla normativa antiriciclaggio7, proceda al trasferimento di somme in qualità di parte del rapporto giuridico, verrebbe meno la finalità Sul valore e l’efficacia del denaro contante, si veda R. Razzante, Uso del contante tra principio nominalistico e normative settoriali: qualche considerazione di politica del diritto, Il Foro Napoletano, Anno X, n. 1, 2021. 6 Sulla finalità della disciplina in esame, v. anche Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2018, n. 10050, in Foro it., 2018. 7 Per approfondire, si raccomanda, R. Razzante, Antiriciclaggio e professionisti, Maggioli editore, 2020 e R. Razzante, Corruzione, riciclaggio e mafia: la prevenzione e la repressione del nostro ordinamento giuridico, Aracne, 2015. 5

ELIANA COLAZZO

di controllo perseguita, in forma general-preventiva, dalla disciplina di cui all’art. 49 del D.Lgs. n. 231 del 20078. Pertanto, nella vicenda processuale da cui trae origine la pronuncia in commento, gli Ermellini hanno ritenuto infondato il primo motivo di ricorso sollevato da Poste Italiane S.p.a, implicante un problema di carattere interpretativo e di coordinamento normativo. La ricorrente, sulla scorta di un’impostazione più estensiva, ha sostenuto la necessità di considerare il regime di divieto imposto dalla normativa antiriciclaggio anche nelle ipotesi in cui gli intermediari non agiscano in tale qualità, valendo per gli stessi le medesime prescrizioni indipendentemente dal ruolo ricoperto nel rapporto obbligatorio. Contrariamente, la Corte ha statuito che la disposizione richiamata si applica solo nel caso in cui l’intermediario operi in posizione di terzietà così da garantire la reprimenda auspicata dal legislatore. In applicazione dei principi enunciati, Poste Italiane S.p.A., al fine di adempiere al pagamento in favore della propria dipendente e costituirla in mora con effetti liberatori, avrebbe dovuto procedere nelle forme ordinarie previste dagli artt. 1210, 1212 c.c., 73 e 74, disp. att. c.c., essendo inidonei al Per ulteriori approfondimenti sulla configurazione del reato di riciclaggio e sulla normativa antiriciclaggio si rimanda a R. Razzante, Antiriciclaggio e professionisti, Giappichelli, 2020. 8

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lo scopo i tentativi di pagamento effettuati.

3. Il secondo motivo di ricorso: prestazione in luogo dell’adempimento?

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La Corte di Cassazione ha dichiarato l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso proposto dalla società ricorrente, che deduceva violazione dell’art. 112 c.p.c. in ragione della mancata pronuncia della Corte d’appello di Brescia sul terzo motivo prospettato; quest’ultimo si fondava sulla pretesa di aver sciolto il vincolo obbligatorio per effetto di una datio in solutum ex art 1197 c.c.9. Poste Italiane S.p.a. sosteneva che, avendo accettato la proposta della dipendente creditrice di pagare con assegno quanto dovuto in contanti, l’obbligazione si fosse estinta per il compimento di una differente prestazione in luogo dell’esatto adempimento. In virtù dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, i giudici di legitti-

9 L’istituto de quo si sostanzia in «una facoltà del debitore, consentita dal creditore, di eseguire una prestazione diversa da quella originaria, nell’ambito dell’unica obbligazione dedotta in giudizio; e in tal caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita, per cui, ove questa non possa essere adempiuta, è dovuta la stessa prestazione originaria»; si veda, Cass. civ., sez. III, 30 marzo 1973, n. 888, in Foro it., 1973.

mità hanno statuito su quanto precedentemente ignorato10, evidenziando l’erronea impostazione fornita dalla ricorrente. Diversamente da come dedotto in giudizio, il dettato normativo di cui all’art. 1197 c.c. prevede espressamente l’elemento del consenso del creditore come necessario affinché una prestazione diversa dall’originale abbia effetto estintivo. La mancanza di questa condizione all’interno del negozio solutorio ne impedisce l’integrazione; pertanto, sulla scorta di tali argomentazioni, la pronuncia in esame ha escluso che nel caso di specie possa ravvisarsi una forma di accettazione anche tacita da parte della creditrice la quale, al contrario, ha rifiutato il tentativo di pagamento eseguito. Rebus sic stantibus, la Corte di Cassazione ha rigettato l’impugnazione avanzata, escludendo la verificazione di qualsivoglia effetto estintivo per le considerazioni anzidette nonché di un possibile effetto liberatorio per ragioni connesse al primo motivo di ricorso, precedentemente trattato.

La giurisprudenza di legittimità esclude il vizio di omessa pronuncia della sentenza di appello quando, anche nel caso di omessa statuizione su un motivo proposto, la decisione adottata comporti conseguentemente il rigetto di tale motivo; in tal senso, si rinvia a Cass. civ, sez. II, 13 agosto 2018, n. 20718, in Foro it., 2018 e, ancora, Cass. civ., sez. VI, 4 giugno 2019, n. 15255, in Foro it., 2019. 10


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Il sistema informale hawala: origini, caratteri fondamentali e recenti pronunce giurisprudenziali

Salvatore Francaviglia

A partire dai tragici attentati terroristici dell’11 settembre 2001, è cresciuta, nel mondo occidentale, l’attenzione per i sistemi informali di trasferimento fondi, strumenti che consentono di inviare ingenti somme di denaro con estrema facilità anche nelle aree del globo più remote, senza lasciare alcuna traccia e sfuggendo, di conseguenza, alla lente delle autorità nazionali. Per tale ragione, i sistemi informali si prestano ad un utilizzo strumentale da parte di organizzazioni criminali con l’intento di finanziare gruppi terroristici, favorire l’immigrazione clandestina ovvero riciclare i proventi delle attività illecite. In tale schema si inserisce a pieno titolo l’hawala, il più noto dei sistemi informali di trasferimento fondi, sorto, già nel Medioevo, nell’area del Medio Oriente, ed arrivato sino ai giorni nostri grazie ai rapporti di fiducia familiari e tribali consolidatisi nel tempo. Al fine di contrastare la diffusione del fenomeno, istituzioni internazionali, quali il FATF-GAFI, hanno effettuato approfonditi studi e pubblicato report e standard. In ambito nazionale, la giurisprudenza viene in soccorso dei vuoti normativi e, tramite un esercizio interpretativo, riconduce le attività poste in essere dagli operatori dell’hawala, i cosiddetti hawaladar, nell’alveo delle condotte abusive previste dal Testo unico delle leggi bancarie e creditizie.

Sommario: 1. I sistemi informali di pagamento. – 2. L’hawala. – 3. Le prime pronunce sul tema: la sentenza n. 400/2018 del G.U.P. del Tribunale di Palermo. – 4. Le modifiche al T.U.B. e l’introduzione dell’abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento. – 5. La sentenza n. 36034 del 2020 della Corte di Cassazione. – 5. Conclusioni.


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1. I sistemi informali di pagamento

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Accanto ai convenzionali sistemi di pagamento, costituiti dalla miriade di strumenti e mezzi di trasferimento sorti nell’ambito dei circuiti bancari accettati dalla comunità e dalle istituzioni finanziarie internazionali, esiste uno spazio parallelo, sviluppatosi, per ragioni storiche, geografiche ed etniche, quale vera e propria alternativa ai sistemi bancari ufficiali, ma i cui caratteri distintivi, generalmente accettati nelle aree del globo di origine, finiscono per assumere, negli Stati in cui prendono piede a seguito dell’aumentare dei fenomeni migratori, dei contorni fumosi, con il conseguente rischio di un improprio utilizzo da parte della criminalità transnazionale. I sistemi informali di trasferimento di denaro o valori, anche definiti servizi di pagamento alternativi, o ancora, sistemi bancari paralleli, sorgono con l’intento di facilitare il trasferimento di fondi. Come evidenziato dal Fondo Monetario Internazionale, la diffusione di tali sistemi appare correlata negativamente al livello di sviluppo del settore finanziario formale, atteso che essa si registra, con maggiore frequenza, nelle aree meno sviluppate del pianeta ovvero nei Paesi dilaniati da conflitti, ove, per ragioni generalmente strutturali (anche se non mancano, in talune casistiche, anche motivazioni di natura meramente contingente), il sistema finanziario del Paese risulta estremamente

debole, quando non addirittura completamente assente1. A riprova della natura transnazionale del sistema, nonché dell’interessamento prioritario delle giurisdizioni più povere del globo, si evidenzia, altresì, come tale strumento risulti essere particolarmente interconnesso con i fenomeni migratori, in considerazione soprattutto del suo diffuso utilizzo fra i migranti che, una volta conseguiti dei guadagni presso le aree geografiche di destinazione, desiderano inviare parte di essi ai propri familiari rimasti nei Paesi di origine. Per ciò che attiene al funzionamento dei sistemi informali di trasferimento di somme di denaro fra due differenti aree geografiche, lo schema classico prevede la necessaria partecipazione di almeno quattro soggetti: – il mittente ed un operatore del sistema informale, ubicati nell’area geografica di partenza; – il destinatario ed un secondo operatore, localizzati, invece, nell’area geografica di destinazione. I due operatori, fra i quali può sussistere un legame familiare, o anche solo etnico o linguistico, fondano il loro rapporto d’affari sulla fiducia, elemento che, come si approfondirà meglio nel prosieguo, risulta essere necessario per il corretto funzionamento del si-

Report on Money Laundering Typologies 2002-2003, FATF-GAFI, 14 febbraio 2003. 1


Il sistema informale hawala: origini, caratteri fondamentali e recenti pronunce giurisprudenziali

stema, proprio in virtù del suo carattere marcatamente informale. Le somme di denaro da trasferire sono affidate dal mittente all’operatore del sistema informale di trasferimento ubicato nella medesima area geografica, il quale svolge, il più delle volte, un’attività economica non attinente al trasferimento di denaro, quindi del tutto estranea al convenzionale circuito finanziario o bancario. Quest’ultimo, ricevuta la somma oggetto del trasferimento, invita il corrispondente operatore, sito nell’area geografica di destinazione, a versare una somma di denaro, del medesimo valore di quella ricevuta (decurtata, generalmente, di una commissione in somma fissa ovvero proporzionale), al soggetto designato dal mittente quale destinatario. Allo scopo di garantire la sicurezza della transazione, il mittente comunica al destinatario una parola d’ordine o password che dovrà essere riferita da quest’ultimo al momento del trasferimento finale, così da poter consentire, all’operatore del sistema informale ubicato nel Paese di destinazione, di verificare la corretta identità del destinatario. Il rapporto fiduciario viene, quindi, ad assumere una funzione determinante atteso che la trasmissione dei fondi avviene attraverso una mera annotazione di partite contabili che può restare del tutto priva di un trasferimento materiale di valuta. In particolare, nel caso in cui l’ammontare dei fondi di denaro è similare in entrambe le direzioni, il rapporto “ef-

SALVATORE FRANCAVIGLIA

fettivo” tra i due operatori risulta pressoché nullo, in quanto le partite annotate tendono, sulla scorta di un semplice principio compensativo, a bilanciarsi nel lungo periodo. Tale evenienza, tuttavia, è poco ricorrente, viste le finalità degli utenti che ricorrono al sistema in parola, le quali comportano flussi unidirezionali, con ingenti somme di denaro drenate, generalmente, dalle aree più ricche del globo a quelle più povere e remote. In ragione di ciò, si rendono necessari meccanismi idonei a saldare i conti di credito/debito accesi dagli operatori del sistema informale. È in queste specifiche occasioni che il sistema informale entra in contatto col sistema bancario formale, attraverso trasferimenti di valuta (giustificati, o meno, da rapporti commerciali) posti in essere fra conti bancari accesi dagli operatori del sistema informale presso uno o più istituti di credito, allo scopo di saldare, periodicamente, le partite rimaste scoperte. Tali trasferimenti costituiscono, dunque, la punta dell’iceberg, unica porzione tangibile, di un enorme sistema sommerso di sole movimentazioni contabili.

2. L’hawala Molteplici sono le denominazioni con cui i sistemi informali di pagamento sono conosciuti nei diversi Paesi, soprattutto del continente asiatico (ove gli stessi hanno maggiormente preso piede):

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a partire dal fei-ch’ien cinese, fino ad arrivare all’hundi indiano, passando per il pedal nelle Filippine, il phi khan in Tailandia e l’hui kuan di Hong Kong; tuttavia, il sistema informale di trasferimento per antonomasia è, senza dubbio, l’hawala, geograficamente collocabile nell’area del Medio Oriente2. Le etimologie di molti di tali vocaboli portano con sé la natura intrinseca dei sistemi che identificano: il termine “hawala”, la cui radice linguistica “hwl” significa “cambio” o “trasformazione”, nel linguaggio bancario del mondo arabo ha assunto lo specifico significato di “trasferimento”3; il termine “hundi” è invece traducibile in “fiducia”, a voler rimarcare, ancora una volta, l’elemento portante del sistema di trasferimento. Venendo alle origini del sistema hawala, si evidenzia come le sue radici affondino in secoli di storia. Risalgono, infatti, al mondo islamico medievale le prime tracce di un primordiale utilizzo del sistema hawala, che ha trovato terreno fertile in un’economia che non necessitava di un sistema bancario strutturato e autonomo4. Figure di spicco di una siffatta economia erano grandi mercanti (i M. El Qorchi, S. Munzele Maimbo, J.F. Wilson, Informal Funds Transfer System – An Analysis of the Informal Hawala System, Occasional Papers, International Monetary Fund, 18 agosto 2003. 3 Comprehensive Report of the Special Advisor to the DCI on Iraq’s WMD, 30 settembre 2004. 4 In merito, B. Geva, The payment order of Antiquity and the Middle Ages. A legal history, Oxford and Portland Oregon, 2011. 2

cosiddetti “jahbads”) che, avvezzi al trattamento e alla gestione del denaro per ragioni evidentemente professionali, non disdegnavano di offrire, a latere e in via incidentale, altresì primordiali servizi bancari. Essi tendevano ad operare in network di prossimità che, in virtù di fitte relazioni d’affari fra plurime reti, consentivano di rendere più agevoli anche le transazioni economiche intercorrenti fra soggetti posti ad elevata distanza. Già allora l’elemento imprescindibile che muoveva l’intero mondo commerciale islamico consisteva nella fiducia, in quanto si avvaleva, per il suo corretto funzionamento, di interrelazioni personali e di connessioni tra diverse famiglie e tribù. Gli operatori del sistema informale hawala, definiti hawaladar, hanno, da sempre, costituito un gruppo chiuso fondato sulla fiducia. Risultano particolarmente rare le occasioni di violazione di tale rapporto fiduciario sia nelle relazioni interne fra gli hawaladar che in quelle esterne fra hawaladar e clienti5. Qualora ciò accadesse, comporterebbe l’impossibilità futura, per il trasgressore, di proseguire la propria attività, essendo venuta meno l’imprenscindibile fiducia che il sistema riponeva in lui. Successivamente, i plurimi vantaggi che l’hawala ha garantito quali, su tutti, la speditezza (grazie alla carenza di burocrazia un

P.M. Jost e H.S. Sandhu, The Hawala Alternative Remittance System and Its Role in Money Laundering. A FinCEN/INTERPOL Report, FinCEN, Vienna, 2000. 5


Il sistema informale hawala: origini, caratteri fondamentali e recenti pronunce giurisprudenziali

trasferimento informale può avvenire anche nel giro di 24/48 ore, contro la settimana, in media, delle transazioni transnazionali bancarie6), l’economicità (dovuta alla circostanza per cui sono aggirati gli elevati tassi di cambio imposti dalle banche) e il potenziale anonimato (in virtù della carenza di documentazione tracciabile e del frequente utilizzo di nomi e appellativi di invenzione), hanno comportato da un lato, una sua rapida diffusione anche in aree geografiche diverse da quelle di origine e, dall’altro, una maggiore vulnerabilità ad abusi da parte di gruppi criminali al fine del trasferimento dei proventi scaturiti dalle attività illecite. È proprio quando l’hawala, naturalmente sorto per facilitare le movimentazioni finanziarie in assenza di un sistema bancario sufficientemente strutturato, è adoperato per finalità differenti da quelle lecite, al solo scopo di sfruttarne le zone d’ombra, che vengono in evidenza quelli che sono gli “effetti collaterali” del sistema di trasferimento informale in trattazione. In primis, vi sono evidenti implicazioni che attengono all’ambito della normativa penale, in considerazione delle potenziali interconnessioni che gli attori dell’hawala possono avere con condotte delittuose spesso di matrice transnazionale (basti pen-

Cfr. Immigrazione e flussi finanziari. 2° rapporto Bocconi, Dia, Dna, Uic. 1 novembre 2003. 6

SALVATORE FRANCAVIGLIA

sare al finanziamento dei gruppi terroristici internazionali, ai fenomeni di riciclaggio ovvero, come si vedrà meglio nel prosieguo, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina). In particolar modo, a partire dagli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 del World Trade Center, si sono accesi i riflettori di molteplici istituzioni finanziarie internazionali sul sistema dell’hawala, proprio in ragione del potenziale utilizzo di tale strumento di trasferimento di fondi da parte di gruppi terroristici internazionali al fine di perpetrare le proprie illecite attività criminali. Anche per tali motivi negli ultimi decenni, la letteratura sul tema, tanto dal mondo accademico quanto da quello delle autorità di regolamentazione, ha proliferato, consentendo anche al mondo occidentale di conoscere più nel dettaglio le peculiarità di tale sistema che, inevitabilmente, finisce per avere molteplici punti di contatto con la nostra economia, atteso il carattere transnazionale che ne permea il funzionamento. Proprio di natura economica (o meglio, macroeconomica) è la seconda categoria di implicazioni del sistema di trasferimento informale hawala: – da un lato, conseguenze indirette sul contesto economico e monetario di un Paese, atteso che l’informalità connaturata ai sistemi di trasferimento de quibus, comporta una carenza nelle registrazioni contabili e statistiche dei Paesi interessati dalle transazioni, che finisce per rendere impossibile, per le

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autorità nazionali, ricostruire il reale bilanciamento delle attività e delle passività con l’estero. Tale economia sommersa, e la conseguente asimmetria informativa che ne deriva, tende a limitare l’efficacia delle misure adottate dai policymaker nazionali; – dall’altro, effetti di natura prettamente fiscale, tanto nel Paese di origine che in quello di destinazione del trasferimento informale, in ragione non solo della sottrazione all’imposizione dell’importo informalmente trasferito, ma altresì con riferimento alle procedure di “sistemazione” dei conti degli operatori, posto che espedienti quali la sottostima dei prezzi, nello scambio di merci adoperato a tal fine, comportano la sottrazione, in tutto o in parte, al pagamento dei dazi doganali. Attesa la pericolosità sociale di un siffatto fenomeno, appare, dunque, necessario individuare armi idonee per proteggere non solo la sicurezza nazionale ma anche il tessuto economico del sistema Paese. La lotta all’utilizzo fraudolento del sistema hawala si muove attraverso tre direttrici: – a livello internazionale, fondamentale è l’attività di regolamentazione delle grandi istituzioni internazionali, quali, ad esempio, il FATF-GAFI7 che,

Financial Action Task Force – Gruppo di Azioni Finanziaria, organismo intergovernativo, istituito al G7 di Parigi del 1989, che

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attraverso l’effettuazione di studi e analisi e l’emanazione di standard e raccomandazioni, indirizzano gli Stati di tutto il mondo anche con la finalità di uniformare le normative economico-finanziarie verso livelli di maggiore efficacia ed efficienza; – in ambito nazionale (e comunitario) appare necessaria un’adeguata struttura normativa che preveda, accanto ad un assetto di presidi antiriciclaggio in chiave preventiva, delle specifiche previsioni sanzionatorie in chiave repressiva e, ove questa risulti (come purtroppo spesso accade) carente, il prezioso soccorso di dottrina e giurisprudenza possono fungere anch’essi da validi strumenti non solo per la risoluzione di specifiche casistiche ma, altresì, quali fari per guidare il legislatore negli interventi normativi futuri.

3. Le prime pronunce sul tema: la sentenza n. 400 del 2018 del G.U.P. del Tribunale di Palermo Uno dei primi spunti giurisprudenziali sul tema dell’hawala si deve al Tribunale di Palermo che, con la sentenza n. 400 del 22 marzo si prefigge l’obiettivo di elaborare e di sviluppare strategie di contrasto al riciclaggio di capitali di origine illecita, di prevenzione del finanziamento al terrorismo nonché di contrasto del finanziamento della proliferazione di armi di distruzione di massa.


Il sistema informale hawala: origini, caratteri fondamentali e recenti pronunce giurisprudenziali

2018, emessa dal Giudice dell’udienza preliminare, ha sancito, in maniera del tutto innovativa, una connessione tra lo schema del sistema di pagamento informale di origine araba e talune fattispecie penalmente rilevanti previste dal Testo unico delle leggi in materia di bancaria e creditizia (abbrev. T.U.B. ex D.Lgs. n. 385 del 1993). Il procedimento penale che ha condotto alla storica decisione ha tratto le sue origini dal tristemente noto naufragio di un’imbarcazione libica, avvenuto nel Canale di Sicilia il 3 ottobre 2013, nel corso del quale hanno perso la vita più di 350 migranti africani che tentavano di raggiungere le coste dell’isola. Le attività d’indagine intraprese dagli inquirenti hanno consentito di individuare un’articolata organizzazione criminale avente il prioritario obiettivo di favorire l’immigrazione clandestina dentro i confini del nostro Paese. Taluni membri dell’organizzazione, in ragione del contributo fornito alla stessa con specifico riferimento all’ambito economicofinanziario (fungendo da cassieri/ tesorieri dell’organizzazione per il trasferimento dei pagamenti dei viaggi incassati dai familiari dei migranti), per le peculiarità del sistema da questi adoperato, corrispondente allo schema tipico dell’hawala, sono stati altresì accusati di aver perpetrato il reato di abusiva attività finanziaria ex art. 132 T.U.B., per aver svolto in maniera abusiva, nei confronti del pubblico (quindi un numero indeterminato di soggetti), e senza le prescritte autorizzazioni (art. 107)

SALVATORE FRANCAVIGLIA

o iscrizioni (artt. 111 e 112), attività di intermediazione finanziaria di cui al primo comma dell’articolo 106 del medesimo testo unico e, più nel dettaglio, servizi di raccolta del denaro e di cambio valuta, passando per la gestione finalizzata al trasferimento in Paesi esteri. Il merito del giudice del capoluogo siciliano, innanzi al tentativo di qualificazione giuridica del sistema hawala, è stato senz’altro quello di ricondurre l’incasso e il trasferimento dei fondi ai servizi di pagamento di cui all’art. 106, comma 2, lett. a). In ciò ha trovato utili ausili8, in primis, nel Decreto Ministeriale emanato dal Ministero del Tesoro il 6 luglio 19949 e, in secundis, nel provvedimento dell’Ufficio Italiano Cambi in data 11 luglio 200210. Partendo proprio da quest’ultimo, si evidenzia come, ai sensi dell’art. 1, comma 2, è stabilito in maniera esplicita che, nell’ambito della prestazione di servizi di pagamento “è compresa l’attività di incasso e trasferimento fondi”. A. Quattrocchi, La rilevanza penale del sistema di pagamento “hawala” nelle condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, in Dir. pen. cont., 2, 2019. 9 Determinazione, ai sensi dell’art. 106, comma 4, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del contenuto delle attività indicate nello stesso art. 106, comma 1, nonché in quali circostanze ricorre l’esercizio delle suddette attività nei confronti del pubblico. 10 Disciplina dell’elenco degli agenti in attività finanziaria previsto dall’art. 3 del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374. 8

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Invece, la causa nascendi dell’emanazione del decreto ministeriale risale all’articolo 106, comma 4, nella formulazione vigente sino al 19 settembre 2010, nella parte in cui è statuito che “[…] il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio Italiano Cambi: a) specifica il contenuto delle attività indicate nel comma 1, nonché in quali circostanze ricorre l’esercizio nei confronti del pubblico […]”. Il citato decreto, all’articolo 4, fornisce una classificazione delle operazioni che è possibile annoverare fra le attività di prestazione di servizi di pagamento. In tale elenco compaiono non solo “l’incasso e il trasferimento fondi”, ma altresì la “trasmissione o esecuzione di ordini di pagamento, anche tramite addebiti o accrediti, effettuati con qualunque modalità” e la “compensazione di debiti e crediti”. Come è facile comprendere, una definizione estensiva fornita dei servizi di pagamento, consente di includere anche operazioni che non necessitano di un effettivo, materiale trasferimento di fondi, essendo ritenuto sufficiente il mero addebito o accredito, ovvero la compensazione fra posizioni attive e passive. Da qui al sopra descritto schema dell’hawala il passo diventa breve. Per ciò che attiene, invece, al requisito dell’offerta al pubblico, secondo l’articolo 5 del predetto decreto, questo è da intendersi sussistente, con riferimento alle attività di finanziamento sotto qualsiasi forma, all’attività di intermediazione in cambi e a quel-

la di prestazione di servizi di pagamento, allorquando tali attività siano svolte nei confronti di terzi con carattere di professionalità. Con la decisione in parola, supportata dai citati riferimenti normativi, il Giudice di Palermo è, quindi, riuscito a “trovare un posto” all’interno del nostro ordinamento, ad un fenomeno, quello dell’hawala, di matrice estera, ma che, proprio in virtù del suo utilizzo, per fini legati, tra gli altri, all’immigrazione clandestina, finisce per avere importanti ripercussioni per la nostra economia. Grazie al link effettuato con le disposizioni previste dal Testo unico delle leggi bancarie e creditizie, è stata, quindi, individuata una possibile soluzione al tentativo di inquadrare giuridicamente il fenomeno dell’hawala.

4. Le modifiche al T.U.B. e l’introduzione dell’abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento Si evidenzia come, grazie alla continua dialettica fra attività legislativa ed attività giudiziaria (resa ancor più fitta dalla rapida evoluzione del mondo finanziario), l’interesse sempre maggiore per il mondo dei servizi di pagamento, testimoniato anche dalle frequenti pronunce sul tema, abbia portato il legislatore nazionale, sotto la spinta degli impulsi comunitari, ad innovare il dettato normativo del T.U.B., al fine di renderlo idoneo a cogliere le trasformazioni


Il sistema informale hawala: origini, caratteri fondamentali e recenti pronunce giurisprudenziali

che hanno interessato il settore finanziario. Nel dettaglio, il riferimento è alla sostanziale modifica del citato art. 106 T.U.B. (che ha riverberato rilevanti effetti anche sul connesso art. 132), nonché alla previsione di una nuova, autonoma fattispecie specificamente riservata alle prestazioni dei servizi di pagamento, inserita nel neointrodotto art. 131-ter. L’articolo 106 T.U.B., nella versione vigente sino al 28 febbraio 2010, prevedeva, al primo comma, fra le attività esercitate nei confronti del pubblico, oggetto di riserva per gli intermediari finanziari (tenuti all’iscrizione in un apposito elenco presso l’Ufficio Italiano Cambi), le attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi. Pertanto, configurava abusiva attività finanziaria, grazie al rimando normativo previsto al citato comma 1, il compimento, senza le prescritte autorizzazioni e iscrizioni, di una delle quattro operazioni di natura finanziaria ivi riportate. Fra il 2010 ed il 2012, una fitta attività, a livello nazionale, di recepimento della normativa comunitaria (trattasi, nello specifico, dei decreti legislativi nn. 1111 e Attuazione della direttiva 2007/64/ CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/ CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE.

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14112 del 2010, e n. 4513 del 2012), ha condotto a plurime modifiche intervenute al dettato dell’art. 106, in virtù delle quali: talune attività sono state elisse dall’articolo (assunzione di partecipazioni ed intermediazione in cambi), le prestazioni di servizi di pagamento sono state spostate al secondo comma, ulteriori attività sono state aggiunte (sempre al secondo comma), quali l’emissione di moneta elettronica e le prestazioni di servizi di investimento. Concentrando l’attenzione sulle sole prestazioni di servizi di pagamento, si evidenzia come, in relazione ad esse, non appare più configurabile la previsione di esercizio abusivo di attività finanziaria di cui all’art. 132, alla luce del novellato art. 106 e del rimando, presente nella descrizione della fattispecie penale, al solo comma 1 di quest’ultimo. Di contro, il legislatore, per garantire la dovuta continuità nella repressione del fenomeno di abusivismo finanziario perpetrato a mezzo dei servizi di pagamento, ha introdotto, con il D.Lgs. n. Attuazione della direttiva 2008/48/ CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. 13 Attuazione della direttiva 2009/110/CE, concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE. 12

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11/2010, l’autonoma fattispecie prevista dall’art. 131-ter, rubricato appunto “Abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento”, i cui tratti salienti saranno di seguito approfonditi.

5. Il giudizio della Corte di Cassazione: la sentenza n. 36034 del 2020

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La V Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 16 dicembre 2020, n. 36034, inserendosi nel solco già tracciato dal Tribunale di Palermo, ha statuito, per la prima volta in questa sede, un collegamento fra il fenomeno dell’hawala e le fattispecie penali previste dal Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Nel dettaglio, i giudici del Palazzaccio hanno stabilito che tale fenomeno, definito quale “sistematica offerta ad un numero indeterminato di clienti, in maniera stabile ed organizzata attraverso una rete di mediatori internazionali, del servizio di raccolta, cambio e trasferimento all’estero di valuta, mediante transazioni fiduciarie non soggette ai tassi ufficiali di cambio”, configura il reato di abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento ai sensi dell’articolo 131-ter T.U.B. La citata norma punisce la condotta di colui che presta servizi di pagamento violando la riserva prevista dall’art. 114-sexies (in favore di banche, istituti di moneta elettronica, altri istituti di pagamento, nonché BCE, banche cen-

trali comunitarie, Stato italiano ed altri Stati comunitari, PP.AA. statali, regionali e locali, Poste Italiane) ed essendo privo dell’autorizzazione ex art. 114-novies (rilasciata dalla Banca d’Italia al ricorrere di determinate condizioni). Il caso de quo trae origine da una complessa attività d’indagine che ha consentito agli inquirenti di disvelare la sussistenza di un’organizzazione criminale di matrice siriana ed operante tanto nel continente europeo che nell’area mediorientale, cui è stato addebitato il reato associativo finalizzato alla commissione di plurimi delitti fra cui: – l’esercizio abusivo dell’attività di prestazione di servizi di pagamento, condotta senza le prescritte autorizzazioni di legge, consistente principalmente nella raccolta, custodia e pagamento di denaro contante, nonché (e qui rileva la natura intrinseca del sistema hawala) nel trasferimento di crediti e debiti e nella compensazione delle partite, con la conseguente attività di cambio valuta, con riferimento a transazioni di importo unitario financo superiore a centomila euro, salva la percezione, da parte degli hawaladar, di commissioni oscillanti fra lo 0,5% e l’8%; – il riciclaggio e l’autoriciclaggio dei proventi scaturiti dal reato presupposto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, consumato sulla cosiddetta “rotta balcanica”, tramite la raccolta ed il successivo trasferimento degli stessi,


Il sistema informale hawala: origini, caratteri fondamentali e recenti pronunce giurisprudenziali

adoperando il predetto schema dell’hawala, da Paesi quali la Svezia e l’Ungheria (sedi di due cellule dell’organizzazione criminale), nonché l’Italia (sede di plurimi hawaladar), in favore sia di ulteriori Paesi membri dell’Unione europea (quali la Germania, l’Austria ed i Paesi Bassi) che di Stati extra-UE (su tutti Siria, Libano e Turchia); – il finanziamento di condotte con finalità di terrorismo, attraverso la raccolta e la messa a disposizione di denaro destinato a sostenere milizie affiliate a gruppi jihadisti di combattenti nelle aree siriane e libanesi. Innanzi alla Suprema Corte giunge il ricorso proposto dall’imputato cui sono stati addebitati i predetti reati (eccezion fatta per lo scopo di finanziare condotte con finalità di terrorismo); il soggetto, più nello specifico, è stato accusato di fornire un costante apporto al referente italiano dell’organizzazione criminale, nella sua abituale veste di hawaladar per i trasferimenti informali di fondi tra il nostro Paese ed il Medio Oriente. Il ricorrente pone, a sostegno della propria linea difensiva, l’assenza di abitualità nel citato apporto, testimoniato da elementi quali: la sporadica ricorrenza dei trasferimenti finanziari effettuati, l’esiguità degli importi trasferiti, la mancata percezione di una commissione nonché la qualità dei soggetti destinatari delle somme trasferite (nello specifico identificati in conoscenti e amici).

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A tutt’altra tesi sono pervenuti i giudici di merito, in virtù di un copioso bagaglio probatorio raccolto dagli investigatori, ed anche grazie ad attività tecnica di intercettazioni ambientali e telefoniche, che delinea la figura dell’imputato come prossima ai promotori e agli ideatori dell’organizzazione, dedito alla custodia delle disponibilità finanziarie dell’organizzazione criminale (con importi che hanno sfiorato financo i 200 mila euro) nonché, in talune circostanze, all’attività dell’hawala, tramite il trasferimento di fondi finanziari in uscita dal territorio nazionale per importi non sempre irrisori (si fa menzione, a titolo puramente esemplificativo, ad un trasferimento dell’importo di dieci mila euro avente quale sede di partenza la città di Milano, con destinazione Aleppo, nella Siria settentrionale), attività per le quali il ricorrente percepiva una remunerazione. Il ricorso de quo è stato articolato in cinque motivi. Il quarto di questi riveste una centralità rilevante per i fini della presente trattazione, attesa la diretta afferenza all’applicazione dell’art. 131-ter del T.U.B., in tema di abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento. Più nel dettaglio, il ricorrente esegue un ragionamento analogico, in base al quale pone sul medesimo piano il reato di cui all’art. 131-ter del T.U.B., a lui ascritto, e la fattispecie delittuosa che lo segue immediatamente nello stesso Testo Unico, ossia la fattispecie pe-

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nale supra esplicitata dell’abusiva attività finanziaria ex art. 132. Come visto, affermata giurisprudenza di legittimità, in relazione alla citata fattispecie, ha sancito a più riprese che, ai fini della compiuta configurazione del reato, è necessario che l’attività in oggetto sia condotta in forma professionale, in maniera organizzata, secondo i canoni dell’attività d’impresa e tramite un’offerta la pubblico; tutti elementi idonei a garantire un ragionevole affidamento da parte dell’utenza e, conseguentemente, in grado di condurre ad una turbativa nel mercato finanziario tale da mettere in risalto la pericolosità sociale di un siffatto comportamento14. Forte di tali presupposti, il ricorrente, a mezzo del proprio legale, ha affermato che la sua condotta risultava essere del tutto priva di tali requisiti, atteso che: – la sporadicità dei trasferimenti eseguiti dall’imputato senza la ricezione di una commissione, e per di più (fattore questo dallo stesso mai negato) nell’ambito di prassi tipiche della sua cultura di origine “[…] fondata su vincoli arcaici di fedeltà e rispetto reciproci […]” renderebbe la condotta scevra dei requisiti della organizzazione e della professionalità; – la qualità dei destinatari, identificabili in una ristretta cerchia Ex multis, Cass., sez. pen., 12 febbraio 1999, 5118, in Foro it., 1999; Cass., sez. pen., 6 febbraio 2007, n. 10189, in Foro it., 2007; Cass., sez. pen., 17 settembre 2009, n. 43046, in Foro it., 2009. 14

di connazionali amici di lunga data, e la ragione economica dei trasferimenti (identificata in meri rapporti commerciali e debitori) farebbe venir meno, altresì, l’ulteriore requisito dell’offerta generalizzata al pubblico. Gli Ermellini non hanno, invece, condiviso il motivo di ricorso, sia perché il sostegno fornito dall’imputato in favore dell’organizzazione criminale, seppur definito minimale nella propria tesi difensiva, appare di tutt’altro spessore, avendo riguardo degli esiti delle attività d’indagine e, soprattutto, poiché ai fini della riconducibilità dello schema dell’hawala nella condotta tipica dell’art. 131-ter del T.U.B. e della conseguente configurabilità del reato di abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento, non deve aversi riguardo unicamente delle singole prestazioni di trasferimento informale dei fondi (“[…] singole frazioni di condotta ascrivibili all’imputato […]”), ma piuttosto dell’intento criminale considerato nella sua totalità. Il nodo cruciale, secondo i giudici della Suprema Corte, risiede proprio nell’accertare se, e in che modo, lo schema tipico dell’hawala possieda tutti gli elementi costitutivi dell’abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento. A tal fine, in primis, è eseguito un excursus dottrinario volto a definire i lineamenti generali del fenomeno, con specifico riferimento, da un lato, al posizionamento degli hawaladar “[…] uniti in qualche forma di sodalizio e,


Il sistema informale hawala: origini, caratteri fondamentali e recenti pronunce giurisprudenziali

più in generale, inseriti in una rete di mediatori […]” e, dall’altro, alle peculiarità delle transazioni “[…] basate unicamente sulla fiducia e sull’onore […] non essendo scambiati strumenti cambiari […]”, per cui più che di “trasferimenti virtuali”, sarebbe più corretto parlare di trasferimenti “di solo valore” del denaro, in assenza di un materiale trasporto del somma. Dopo aver sottolineato la strumentalità di un siffatto meccanismo (idoneo a garantire l’anonimato dei suoi utilizzatori e la non tracciabilità delle operazioni di trasferimento dei fondi) per le finalità proprie di un’organizzazione criminale che annovera fra i propri reati-fine il finanziamento del terrorismo di matrice jihadista, l’attenzione dei giudici di legittimità si è, quindi, concentrata sul dettato della norma sanzionatoria prevista dalla normativa bancaria e creditizia, ossia la neo-introdotta “abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento”. La peculiarità della casistica in esame, grazie al materiale probatorio raccolto, ha consentito di dirimere già in partenza qualsiasi perplessità in ordine ai requisiti di stabilità ed organizzazione, intese nei termini sopra citati, dell’operatività dell’imputato, cosicché l’organo giudicante ha potuto sorvolare sul significato da attribuire al termine “attività”, elemento su cui non sempre vi è stata unità di vedute15. Sul tema, infatti, non mancano pronunce giurisprudenziali apparentemente 15

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Neppure si è reso necessario soffermarsi sull’ulteriore necessario requisito dell’offerta al pubblico, attesa la già consolidata giurisprudenza sul tema16, la quale ha, a più riprese, statuito come esso si consideri sussistente qualora l’attività “sia professionalmente organizzata” con modalità e strumenti tali da consentirne un’esecuzione sistematica che possa essere rivolta ad un numero di persone potenzialmente vasto ed illimitato (anche se, in concreto, effettivamente destinata ad una cerchia ristretta di persone); con una concezione di pubblico che si permea di connotati qualitativi e non meramente quantitativi17. Di contro, tema degno di essere dibattuto, ai fini della decisione del caso, è apparso quello afferente alla nozione di “servizi di pagamento”. Per una definizione puntuale di cosa debba intendersi con tale locuzione viene in soccorso l’art. 1 “Definizioni” dello contrastanti, che spaziano da concezioni marcatamente restrittive (ancorché più datate nel tempo), che identificano l’attività dell’art. 131-ter T.U.B., con una “[…] serie coordinata di atti […]” (fra cui si cita Cass. pe., Sez. V, sent. n. 25160 del 16 gennaio 2015), evidenziando la necessità di una organizzazione strutturata e dotata del carattere della stabilità, sino ad arrivare, recentemente, a sentenze che accolgono concezioni più estensive, volte invece ad includere anche solo “[…] il compimento di singoli atti occasionali […]”. Ex multis, Cass. pen., sez. V, 24 settembre 2019, n. 44699, in Foro it., 2019. 16 Cass. pen., 2 ottobre 1997, n. 5285, in Foro it., 1997, e, più di recente, Cass. pen., 16 dicembre 2016, n. 18317, in Foro it., 1997. 17 Cass. pen., 16 settembre 2009, n. 2404, in Foro it., 2009.

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stesso Testo unico allorché, alla lettera h-septies.1) del secondo comma, è riportato un elenco di attività riconducibili nell’alveo dei servizi di pagamento. Si annoverano in tale elenco, inter alia, i servizi che consentono il deposito e il prelievo di contante su un conto di pagamento, l’esecuzione di pagamento, l’emissione di strumenti di pagamento e, al numero 6), altresì la rimessa di denaro; proprio tale ultimo elemento è stato adoperato dai giudici della Suprema Corte per ricondurre l’hawala nell’ambito della fattispecie delittuosa dell’art. 131-ter T.U.B. Difatti, come chiarito dall’art. 1, lettera n) del D.Lgs. n. 11 del 27 gennaio 201018, disposizione attuativa di normativa comunitaria in tema di servizi di pagamento nel mercato interno (cd. direttiva SEPA), per “rimessa di denaro” deve intendersi il “servizio di pagamento dove, senza l’apertura di conti di pagamento a nome del pagatore o del beneficiario, il prestatore di servizi di pagamento riceve i fondi dal pagatore con l’unico scopo di trasferire un ammontare corrispondente, espresso in moneta avente corso legale, al beneficiario o a un altro prestatore di servizi di pagamento che agisce per conto del beneficiario, e/o dove tali fondi sono ricevuti Attuazione della direttiva 2007/64/ CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/ CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE.

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per conto del beneficiario e messi a sua disposizione”. Lo schema tipico dell’hawala pare rientrare, a pieno titolo, nella fattispecie prevista per la rimessa di denaro, atteso che elementi strutturali del primo, quali il trasferimento di fondi senza uno spostamento materiale del denaro (in ragione della facoltà di trasferire un ammontare di valore esattamente corrispondente alla somma originariamente fornita), e l’intercessione di uno o più prestatori di servizi di pagamento (figura omologa a quella dell’hawaladar), sono pienamente ricalcati dalla definizione fornita, dal decreto, di rimessa di denaro.

6. Conclusioni Il fenomeno dell’hawala, in ragione della sua diffusione, ha assunto un’enorme importanza in ambito internazionale, per cui si rende necessario studiarne e analizzarne i caratteri fondamentali, così da ridurre il rischio di un utilizzo strumentale per finalità connesse a reati anche transnazionali. In quest’ottica, ad esempio, il FATF-GAFI, guida e punto di riferimento nel settore a livello internazionale, ha pubblicato, nell’ottobre 2013, il report “The Role of Hawala and Other Similar Service Providers in ML/TF”, al precipuo scopo di mettere in guardia le autorità nazionali sulle potenziali interconnessioni di tali sistemi informali di pagamento con fenomeni delittuosi di riciclaggio di capitali


Il sistema informale hawala: origini, caratteri fondamentali e recenti pronunce giurisprudenziali

di origine illecita e di finanziamento dei gruppi terroristici. Le autorità nazionali e sovranazionali, e più in generale i policymaker, sono chiamati ad una intensa attività di regolamentazione del fenomeno dell’hawala con il duplice scopo di accrescere il livello di trasparenza del settore, avvicinando gli hawaladar al settore finanziario formale senza, tuttavia, alterarne la specifica natura, e di migliorare i punti di debolezza del sistema formale (lentezza ed eccessiva burocrazia su tutti), così da renderne più “appetibile” un utilizzo (proprio a discapito dei sistemi informali). Passando all’ambito nazionale, ancora in una prospettiva di prevenzione, prima che di repressione, la previsione di autorizzazioni ed iscrizioni in appositi albi ed elenchi va individuata anch’essa nell’ottica di salvaguardare il sistema finanziario del Paese, ponendo una barriera in entrata agli operatori cui sarà riservata la facoltà di effettuare talune attività finanziarie (fra cui sono, appunto, annoverate le prestazioni di servizi di pagamento). Fondamentale risulta, infine, la funzione assolta dagli organi giudicanti che, con decisioni come quelle sopra analizzate, suppliscono a carenze e vuoti normativi, in quanto in grado non solo di dirimere perplessità in ordine alla riconducibilità di taluni istituti alle macro-categorie stabilite dalla normativa, ma altresì di tenere in debita considerazione, con una rapidità maggiore rispetto a quanto non riesca a fare il legisla-

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tore, l’evoluzione dei principali fenomeni criminali, in ciò assurgendosi a guida ed input per i futuri interventi normativi.

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DOCUMENTAZIONE

Criptovalute: nuove direttive per le banche dal Comitato di Basilea Elisa Vernagallo Il testo integrale del documento è accessibile sul sito della rivista.

Commento Il Comitato di Basilea si è recentemente pronunciato, tramite la pubblicazione di un documento di consultazione, al fine di ottenere, entro il 10 settembre 2021, pareri delle parti interessate circa una preliminare proposta sul trattamento prudenziale ad oggetto le criptovalute. Per intendere bene il focus dell’argomento, definiamo cosa siano le criptovalute: bene privato digitale che dipende anzitutto dalla crittografia e distributed legder (sistemi basati su un registro distribuito, ossia sistemi in cui tutti i nodi di una rete possiedono la stessa copia di un database che può essere letto e modificato in modo indipendente dai singoli nodi) o tecnologie simili. Tali sono classificati in due gruppi principali: il primo che include i c.d. tokenised asset tradizionali e i cryptoasset, che mirano a mantenere un valore stabile rispetto ad una precisa attività, altrimenti detti stablecoins; del

secondo gruppo fanno invece parte i già noti bitcoin. Per capire di quale gruppo faccia parte una determinata criptovaluta si valutano alcune caratteristiche, che se valide concerneranno il primo gruppo, altrimenti si parlerà del secondo. In primis il cryptoasset è un’attività tradizionale tokenizzata o possiede un meccanismo di stabilizzazione efficace in ogni momento del collegamento con il suo valore a un’attività tradizionale sottostante o a un pool di beni tradizionali; tutti i diritti, gli obblighi e gli interessi derivanti da accordi di criptovalute sono ben definiti e giuridicamente responsabili nelle giurisdizioni in cui la valuta è emessa o rimborsata; le funzioni delle criptovalute e della rete in cui operano sono progettate per ridurre sufficientemente e gestire ogni tipo di rischio materiale; infine i soggetti che eseguono rimborsi, trasferimenti o finalità di regolamento della criptovaluta sono regolati e sorvegliati.


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Stando ai requisiti patrimoniali per il gruppo 1 dobbiamo fare un’ulteriore suddivisione: vi sono gli assets tradizionali tokenizzati, che usano una strada alternativa per la registrazione della proprietà di assets tradizionali, ossia meccanismi di registrazione della titolarità con crittografia DLT o tecnologie simili. La valutazione del rischio di credito e di mercato sarà dunque basata sugli stessi parametri validi per gli assets tradizionali di riferimento, tenendo tuttavia conto di alcuni specifici rischi (soprattutto di liquidità) che quelli tokenizzati possono avere rispetto ai primi; per quanto riguarda gli stablecoins, non essendo possibile disciplinare tutte le criptovalute potenzialmente rientranti in tale categoria, si seguono due casi: il primo in cui la banca possiede i diritti di riscatto nei confronti dell’emittente; il secondo in cui la banca non detiene tali diritti, sempre nei confronti dell’emittente, ma li ha indirettamente tramite altri titolari o è tenuta nei confronti di altri possessori che non hanno diritti verso l’emittente. Il relativo rischio di mercato e di credito sarà dunque calcolato sia come detenzione diretta dell’asset sottostante, sia come rapporto tra valore della criptovaluta detenuta per il rischio ponderato applicabile ad un prestito non garantito nei confronti dell’emittente, ma anche in funzione del rischio e dell’esposizione che la banca può avere verso altri titolari. Riguardo invece ai requisiti patrimoniali del gruppo 2 è prevista una copertura secondo il criterio del rischio pondera-

to del 1250% del valore maggiore tra le esposizioni tramite posizioni lunghe e corte, cui la banca è esposta. Sostanzialmente il capitale sarà sufficiente per assorbire una completa cancellazione delle esposizioni di criptovalute senza esporre depositanti e altri creditori senior delle banche per una perdita. Restano invariati, per entrambi i gruppi, i requisiti normativi concernenti: il coefficiente di leva finanziaria, la grande esposizione, il coefficiente di liquidità. Dati tutti questi elementi vi sono delle responsabilità in capo alle banche, che hanno esposizioni dirette o indirette a qualsiasi forma di criptovaluta e che sono quindi soggette al processo di revisione prudenziale previsto dal Comitato in questione. Le banche dovrebbero avere l’onere di stabilire politiche e procedure delineanti i processi utilizzati al fine di identificare e valutare i rischi specifici in seno alle criptovalute. Devono altresì informare le autorità di vigilanza in merito a dette procedure e politiche, ai risultati della valutazione e alle esposizioni o attività di criptovalute effettive o programmate. I rischi in cui possono incorrere le banche sono: rischi di natura operativa e informatica; rischi di stabilità della DLT alla base delle criptovalute detenute; rischi attribuibili al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo. Le responsabilità dei supervisori invece concernono la revisione dell’appropriatezza delle politiche e procedure bancarie per identificare e valutare i rischi non presi in


Criptovalute: nuove direttive per le banche dal Comitato di Basilea

considerazione dai requisiti patrimoniali minimi e l’adeguatezza dei loro risultati alla valutazione. Essi, inoltre, dovrebbero avere l’autorità di chiedere alle banche di porre rimedio ad eventuali carenze nella loro identificazione o nel processo di valutazione di tali rischi. Infine, il Comitato menziona il terzo pilastro di Basilea i cui principi, relativi alla chiarezza, completezza, significatività, coerenza e comparazione delle informazioni, dovrebbero essere seguiti dagli obblighi di informativa per le esposizioni delle banche in riferimento ad attività crittografiche o correlate. In aggiunta alle informazioni di tipo quantitativo, le banche devono fornire anche quelle qualitative in modo tale da stabilire una panoramica delle attività della banca stessa in relazione alle criptovalute e ai relativi rischi.

ELISA VERNAGALLO

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DOCUMENTAZIONE

EU efforts to fight money laundering in the banking sector are fragmented and implementation is insufficient Francesca Romana Tubili Il testo integrale del documento è accessibile sul sito della rivista.

Commento Il riciclaggio di denaro consiste nel „legittimare“ i proventi di reato, filtrandoli nell‘economia per mascherare la loro origine illegale. In Europa, l‘Europol ha stimato il valore delle transazioni sospette nell‘ordine di centinaia di miliardi di euro, un equivalente dell‘1,3% del prodotto interno lordo dell‘UE. Le stime globali si avvicinano al 3% del PIL mondiale. L‘UE ha adottato la sua prima direttiva antiriciclaggio nel 1991, per contrastare le minacce nei confronti del mercato interno, derivanti dal riciclaggio di denaro e, successivamente, per prevenire il finanziamento del terrorismo. In ambito di antiriciclaggio alcuni organi dell‘UE svolgono un determinato ruolo. La Commissione si occupa della politica, controlla il recepimento ed effettua l‘analisi dei rischi. L‘Autorità bancaria europea (ABE) effettua analisi, indaga sulle violazioni del diritto dell‘Unione e stabilisce norme dettagliate che

vengono usate dalle autorità di vigilanza e dall‘industria. Nel 2020, il mandato legale e i poteri dell‘ABE in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo (AML/CFT) sono stati notevolmente aumentati. La Banca centrale europea (BCE) tiene conto del rischio di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo (ML/TF) nella vigilanza prudenziale delle banche nell‘area dell‘euro e, dal 2019, condivide importanti informazioni necessarie contro il riciclaggio di denaro e il contrasto al finanziamento del terrorismo con le autorità di vigilanza nazionali. Data l‘importanza della politica AML/CFT dell‘UE e l‘attuale slancio verso la riforma, il documento si pone l‘obiettivo di verificare gli aspetti della sua efficienza ed efficacia. Il rapporto ha lo scopo di informare le parti interessate e fornire raccomandazioni per supportare ulteriormente lo sviluppo della politica e l‘attuazione. Nel complesso, la Corte ha riscontrato una frammenta-


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zione istituzionale e uno scarso coordinamento a livello dell‘UE per quanto riguarda le azioni per prevenire il riciclaggio di denaro/ TF e intraprendere azioni laddove è stato identificato il rischio. In pratica, la vigilanza AML/CFT avviene ancora a livello nazionale con un quadro di vigilanza dell‘UE insufficiente per garantire parità di condizioni. La Commissione è obbligata a pubblicare un elenco di paesi al di fuori dell‘UE („paesi terzi“) che rappresentano una minaccia di riciclaggio di denaro per il mercato interno. Vi sono state carenze in relazione alla comunicazione con i paesi terzi elencati e una mancanza di cooperazione da parte del Servizio europeo per l‘azione esterna. Inoltre, ad oggi, l‘UE non ha adottato un elenco autonomo di paesi ad alto rischio. La Commissione effettua inoltre, una valutazione dei rischi per il mercato interno ogni due anni. Questa valutazione del rischio non indica cambiamenti nel tempo, manca di un focus geografico e non dà priorità al rischio in modo efficace. La Corte ha riscontrato che la Commissione è stata lenta nel valutare il recepimento delle direttive da parte degli Stati membri, a causa di una scarsa comunicazione di questi ultimi e delle risorse limitate della Commissione stessa. In relazione a questo, vengono riportate alcune raccomandazioni per la Commissione Europea: dare priorità al rischio di riciclaggio di denaro/TF e mantenere i contatti con l‘European External Action, per i paesi terzi elenca-

ti; utilizzare, ove possibile, i regolamenti anziché le direttive. Inoltre il documento raccomanda all‘Autorità bancaria europea di mettere in atto le regole per impedire ad altri membri del consiglio delle autorità di vigilanza di cercare di influenzare i membri del panel durante le loro deliberazioni; emanare linee guida che facilitino scambi di informazioni tra Autorità di vigilanza nazionali e Ue. Infine si raccomanda alla Banca Centrale Europea di mettere in atto procedure decisionali interne più efficienti e apportare modifiche alle sue pratiche di vigilanza.


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Mafia, maxi operazione a Palermo. Dia e Carabinieri smantellano con 85 arresti il mandamento di Partinico Alessandro Cristallini

Commento «L’operazione del 5 luglio 2021 contro il mandamento mafioso di Partinico, condotta dal Comando provinciale dei Carabinieri di Palermo e dalla Direzione investigativa antimafia, con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, conferma ancora una volta l’attenzione e l’impegno di magistratura e Forze di Polizia per contrastare le organizzazioni mafiose e le loro attività illecite sui territori» ha dichiarato il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. Il Comando provinciale dei Carabinieri e la DIA hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 85 indagati, ritenuti a vario titolo responsabili dei delitti di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, reati in materia di armi, droga, estorsione e corruzione. Nella doppia operazione denominata “Gordio”

e “Pars Iniqua”, coordinata dalla Procura di Palermo, 63 persone sono finite in carcere, 18 agli arresti domiciliari e quattro sono state sottoposte ad obblighi di dimora e presentazione alla polizia giudiziaria. I Carabinieri, supportati dalle unità cinofile, dal Nucleo elicotteri e dallo squadrone Cacciatori di Sicilia, sono entrati in azione nelle province di Palermo, Trapani, Latina, Napoli, Roma e Nuoro, eseguendo settanta degli 85 provvedimenti cautelari complessivi. La Direzione Investigativa Antimafia, invece, è intervenuta nelle province di Palermo, Trapani, Roma, Milano, Reggio Calabria e Cagliari, ed ha arrestato quattordici persone (dieci in carcere e quattro agli arresti domiciliari) e ne ha sottoposta una all’obbligo di dimora nel comune di residenza e di presentazione alla polizia giudiziaria, indagate, a vario titolo, per il reato di associazione finalizzata alla coltivazione, alla produzione e al traffico illeciti di sostanze stupefacenti. Tutti i delitti contestati


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sono stati ritenuti aggravati dall’agevolazione a Cosa nostra o alla ‘Ndrangheta. «Il complesso lavoro investigativo ha consentito di individuare le dinamiche criminali di cinque sodalizi che gestivano il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti con ingenti profitti», ha proseguito la titolare del Viminale, sottolineando «che operazioni come quella di questa mattina confermano la presenza forte dello Stato e la capacità di contrastare la criminalità, intercettandone i flussi di finanziamento e impedendone così di rafforzare ed ampliare il raggio di azione». Le indagini – che non hanno beneficiato del contributo delle dichiarazioni di alcun collaboratore di giustizia – hanno permesso di esplorare le dinamiche criminali in atto nel mandamento mafioso di Partinico, documentando l’operatività di cinque associazioni finalizzate al traffico ed alla produzione di stupefacenti capeggiate da personaggi già condannati per associazione mafiosa ovvero fortemente contigui a Cosa nostra1. La strategica rilevanza dei

- Gruppo promosso e diretto da VITALE Michele cl. ’68; 19 destinatari di provvedimento cautelare di cui 4 (VITALE Michele cl. ‘68, LO CRICCHIO Ottavio, LOMBARDO Giuseppe, VIRGA Pietro) a cura dell’Arma dei Carabinieri. - Gruppo promosso e diretto da CASARRUBIA Michele e dalla madre VITALE Antonina; 7 destinatari di provvedimento cautelare: CASARRUBIA Michele, VITALE Antonina, CASARRUBIA Leonardo (coniuge di VITALE Antonina), VACCARO Tiziana (coniuge di CASARRUBIA Michele), BOM1

consessi organizzativi partinicesi nella gestione dei fiorenti traffici di droga per la Sicilia occidentale è emersa prepotentemente con particolare riferimento: - alle stabili forniture per le piazze di spaccio: • della provincia di Trapani, dove operavano i referenti del “gruppo GUIDA”: FERRARA Massimo, GIACALONE Fabio e STALLONE Rosario; • della città di Palermo dove operava LA MATTINA Edoardo, referente del “gruppo GUIDA”;

MARITO Claudio, LA FATA Roberta (compagna di CASARRUBIA Michele) e PALUMBO Vincenzo. - Gruppo promosso e diretto da LOMBARDO Nicola e CASSARÀ Nunzio; 7 destinatari di provvedimento cautelare: LOMBARDO Nicola, CASSARÀ Nunzio, SICOLA Calogero, LUNETTO Roberto, LA FATA Ignazio, VITALE Filippo, FERRERI Vincenzo. - Gruppo promosso e diretto dai fratelli PRIMAVERA Maurizio e PRIMAVERA Antonino; 6 destinatari di provvedimento cautelare: PRIMAVERA Maurizio, PRIMAVERA Antonino, PURPURA Federico Daniel, IMPERIALE Giuseppe, IMPERIALE Biagio e PURPURA Simone. - Gruppo promosso e diretto dai fratelli GUIDA Gioacchino e GUIDA Raffaele, nonché da FERRARA Massimo e CUCINELLA Angelo; 18 destinatari di provvedimento cautelare: GUIDA Gioacchino, GUIDA Raffaele, FERRARA Massimo, CUCINELLA Angelo, GUIDA Maria (sorella di Gioacchino e Raffaele), COPPOLA Salvatore cl. ’76, COPPOLA Savio (fratello di Salvatore), PARISI Margherita (madre di GUIDA Gioacchino), PETTINATO Roberta (compagna di GUIDA Gioacchino), D’ARRIGO Filippo, GIACALONE Fabio, LA MATTINA Edoardo, MARCENÒ Marco, PRIMAVERA Salvatore (fratello di Maurizio ed Antonino), STALLONE Rosario, MESSINA Vincenzo, INGHILLERI Gianvito, SANZONE Riccardo Biagio.


Mafia, maxi operazione a Palermo

• della provincia di Palermo dove operava a Carini MANNINO Giuseppe, referente del “gruppo CASARUBBIA/VITALE”; • delle città di Partinico, Borgetto, Trappeto, Balestrate, Camporeale e Montelepre dove i 4 “gruppi” capeggiati rispettivamente da VITALE Michele 68’, CASARRUBIA/ VITALE Antonina, LOMBARDO/ CASSARÀ e dai PRIMAVERA hanno espresso maggiore dinamicità e controllo domestico; - ai costanti approvvigionamenti: • di cocaina dal basso Lazio tramite i corrieri ANTONACCI Alessio e CAROCCI Stefano, referenti del “gruppo GUIDA”; • di cocaina dalla Campania assicurati dal “gruppo GUIDA” in accordo con clan camorristici locali i cui interessi sono stati rappresentati dai fratelli VISIELLO Giovanni e Raffaele, esponenti dell’omonimo clan di Torre Annunziata; • di hashish da Palermo tramite MARCENÒ Marco, referente del “gruppo GUIDA”. Il blitz dei Carabinieri di Palermo e dell’Antimafia contro il mandamento mafioso di Partinico si è reso necessario per l’incombente rischio di una guerra di mafia per la droga. Il GIP nell’ordinanza ha sottolineano come “è emersa l›immagine di una vera e assai allarmante balcanizzazione degli scenari criminali partinicesi” che – ha precisato sempre l’Autorità Giudiziaria che ha adottato il provvedimento –”consente di presagire futuribili scenari di nuove e forse imminenti guerre di mafia nella provincia palermitana stori-

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camente nota come tra le più attive nell’ambito criminale del traffico di stupefacenti”2. Le attività – avviate dalla Compagnia di Partinico nel novembre 2017 in seguito all’analisi dei possibili rapporti tra Ottavio LO CRICCHIO, imprenditore partinicese attivo nel settore vinicolo, e Michele VITALE, esponente dell’omonima famiglia (i “Fardazza”) storicamente egemone – si sono sviluppate per due anni in sinergia col Nucleo Investigativo del Gruppo di Monreale. La ricostruzione degli assetti criminali ha permesso di rilevare gravi indizi di colpevolezza nei confronti, tra gli altri, di tre componenti della famiglia Vitale: Giusy VITALE – in passato reggente del mandamento e poi collaboratrice di giustizia, attualmente non sottoposta al programma di protezione – la sorella Antonina e il figlio di quest’ultima Michele CASARUBIA. Secondo gli investigatori, nel novembre 2018, CASARUBIA, si era recato a Roma per trattare l’acquisto di un ingente quantità di droga con Consiglio DI GUGLIELMI, detto “Claudio

“La necessità di non compromettere i cospicui introiti garantiti dal traffico di stupefacenti su larga scala ha evitato l’esacerbazione dei contrasti tra i vari gruppi per la gestione territoriale dei flussi di traffico – spiegano gli inquirenti -. Da questa esigenza la definizione di un precario equilibrio caratterizzato da una costante fibrillazione a media intensità che si è manifestata con numerosi danneggiamenti, spedizioni “punitive” e atti incendiari riconducibili all’uno o all’altro sodalizio criminale, sempre in procinto di portare lo scontro ad un livello superiore”. 2

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DOCUMENTAZIONE

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CASAMONICA”, personaggio apicale dell’omonimo clan romano, poi deceduto per Covid. All’incontro, interamente registrato, avrebbe partecipato tra gli altri proprio l’allora collaboratrice di giustizia Giusy VITALE. Le conversazioni registrate tra la donna e il nipote hanno messo in luce il supporto fornito dalla prima in relazione al traffico di stupefacenti. L’autorità giudiziaria ha quindi evidenziato come sia “pertanto assolutamente chiaro come la donna non si sia dissociata dall’ambiente criminale in genere e da Cosa nostra partinicese in particolare”. I provvedimenti, di cui sopra, scaturiscono dalle investigazioni che, avviate dalla DIA sin dal mese di marzo 2018 nell’ambito dell’operazione Pars Iniqua, hanno consentito di definire assetti ed operatività di un’articolata consorteria criminale, riconducibile al casato mafioso dei VITALE “Fardazza” di Partinico (PA), capace di coltivare e produrre, in quel territorio, ingentissime quantità di sostanza stupefacente del tipo marijuana, nonché di gestire un vasto traffico di droghe, approvvigionandosi, per quanto riguarda la cocaina, dalla ‘ndrina dei Pesce di Rosarno (RC), cui appartengono il PESCE ed il GRASSO, e dal CANORI, noto narcotrafficante romano che già nel 2021 era stato catturato in Spagna, ove trascorreva la latitanza perché ricercato sempre per reati concernenti gli stupefacenti e per questo allora inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi in campo nazionale. Con quest’ultimo, in particolare, i sodali ave-

vano convenuto di riferirsi, nelle loro comunicazioni, a compravendite di vini per dissimulare quelle di droga. Nel corso delle indagini – che hanno preso spunto dal tentativo del LEGGIO e di VITALE Michele cl. 1968 di imporre, a nome dei “fardazza”, ad un imprenditore partinicese di affittare dei locali ad operatori economici alcamesi con i quali era in affari solo dietro il pagamento di un “pizzo” – la DIA ha effettuato più sequestri di cospicui quantitativi di sostanze stupefacenti. In particolare, il 10 ottobre 2018, nelle campagne di Partinico, si rinveniva, prima, in contrada Suvaro, un sito di stoccaggio ove era in essicazione una gran quantità di marijuana, e subito dopo, in contrada Milioti, una vasta piantagione di circa 3.300 piante di cannabis indica, nonché due capannoni ove era in essiccazione un altro ingente quantitativo di marijuana. Complessivamente, circa sei tonnellate di sostanza stupefacente, in parte già pronta per essere immessa nel “mercato”. Infine tra gli indagati c’è anche un agente della polizia penitenziaria, in servizio presso il carcere Pagliarelli di Palermo, in quanto avrebbe favorito le comunicazioni all›esterno di Francesco NANIA, tratto in arresto per associazione mafiosa nel febbraio 2018, perché individuato quale referente della famiglia di Partinico. Le comunicazioni di NANIA verso l’esterno sono state inoltre favorite da TOLA Giuseppe, titolare di un’agenzia immobiliare di Partinico, il quale ha messo a disposizione di cosa nostra quale propria fidata risorsa


Mafia, maxi operazione a Palermo

un’agente della polizia penitenziaria di Palermo in servizio presso il carcere PAGLIARELLI. L’agente, cui gli viene contestato il reato di corruzione aggravata, ha favorito NANIA rendendo possibili scambi epistolari dal carcere, nonché ha rivelato agli indagati informazioni relative all’organizzazione della struttura carceraria al fine di ostacolare le attività di indagine e di intercettazione. I servizi resi dall’agente sono stati retribuiti dal TOLA con consegna di regalie varie: generi alimentari (ricotta, arance, carne di capretto), capi di abbigliamento (felpe, tute), il lavaggio mensile dell’auto e l’acquisto di carburante ad un prezzo inferiore a quello di mercato. Nel luglio 2020, il Consiglio Comunale di Partinico è stato sciolto con decreto ministeriale su proposta della Compagnia Carabinieri di Partinico per ritenuti condizionamenti mafiosi dell’attività amministrativa. Il provvedimento ha riguardato esclusivamente Consiglio Comunale poiché nel maggio 2019 il Sindaco aveva già rassegnato le proprie dimissioni con conseguente decadimento della Giunta. Come precisato, le attività di indagine da cui è scaturito questo provvedimento cautelare hanno interessato il biennio 2017/2019 consentendo di registrare indirettamente parte delle dinamiche amministrative e documentare aderenze tra alcuni degli indagati e diversi politici locali: tali acquisizioni sono state valorizzate anticipatamente d’intesa con l’Autorità Giudiziaria per promuovere

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l’accesso ispettivo insieme ad altri elementi rilevati da altre indagini.

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