Contratto e Impresa Europa 2/21

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Contratto e impresa Europa Direttore Scientifico Nadia Zorzi Galgano

• Caratteri e funzioni del diritto privato europeo • Responsabilità sociale di impresa e violazione dei diritti fondamentali • Mobilità sostenibile e trasporti intelligenti • Obbligazioni e contratti – Ancora su pandemia ed adeguamento del contratto – Servizi finanziari ed europeizzazione del diritto nazionale dei contratti – La nuova proposta di direttiva in tema di credito al consumo e rafforzamento della tutela dei consumatori

• Impresa e società – Bitcoin e piattaforme di scambio di valute digitali – Ambiente e aiuti di Stato nel settore dell’energia

n. 2 | 2021 Maggio/Agosto Pubblicazione quadrimestrale ISSN 2785-0633


Contratto e impresa Europa 2/2021

INDICE

DIBATTITI

Guido Alpa, Tre casi paradigmatici di responsabilità sociale delle imprese per violazione di diritti fondamentali: Vedanta, Okpabi, Milieudefensie Carlo Alberto Ravazzolo, La rincorsa dell’UE al diritto ambientale: gli aiuti di Stato dell’energia

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Eugenio Maria Mastropaolo, Il bitcoin è un attivo digitale immateriale e cosa fungibile e consumabile: a proposito di una sentenza del Tribunal de Commerce de Nanterre (Tribunal de Commerce, 6e Chambre, Nanterre, 26 febbraio 2020, n. 2018F00466) » 279

SAGGI

Giorgio Resta, Cosa c’è di “europeo” nel diritto privato europeo? » 301 Mads Andenas-Federico Della Negra, The “Europeanisation” of national contract law in the financial services sector: A judge-driven modernization of national contract law

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Achille Antonio Carrabba-Gelsomina Salito, Adeguamento del contratto tra principio del pacta sunt servanda e clausola rebus sic stantibus

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Daniela Di Sabato, Strumenti giuridici per l’attuazione della mobilità sostenibile

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Francesca Mollo, I sistemi di trasporto intelligente tra sviluppo della robotica e tutela della persona

» 453

Giulia Rossi, La nuova proposta di direttiva sul credito al consumo: la sfida dell’Unione Europea per garantire maggiore tutela ai consumatori

» 485



Contratto e impresa Europa 2/2021

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Guido Alpa

Tre casi paradigmatici di responsabilità sociale delle imprese per violazione di diritti fondamentali: Vedanta, Okpabi, Milieudefensie

Sommario: 1. Pubblico-privato nella difesa dei diritti fondamentali. – 2. Vedanta Resources plc v. Lungowe & Ors [2019] UKSC (10 aprile 2019). – 3. Okpabi v. Royal Dutch Shell plc, [2021] UKSC 3. – 4. Vereiniging Milieudefensie and Others v. Royal Dutch Shell plc (C/9571932/HA ZA 19-379).

Abstract In a short time, different Courts in USA, U.K. and in Netherlands issued relevant decisions on corporate social responsibility and responsibility of the parent company towards subsidiaries to protect populations once exploited by colonialism and today exploited by big corporations. It refers in particular to cases Vedanta, Okpabi and Milieudefensie.

1. Pubblico-privato nella difesa dei diritti fondamentali In un breve lasso di tempo Corti diverse, negli Stati Uniti d’America, nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, hanno assunto decisioni rilevanti in materia di responsabilità sociale delle imprese, applicando regole di diritto interno ma tenendo conto di risoluzioni e documentazione di organizzazioni internazionali, in primis le Nazioni Unite e l’OCSE. Si potrebbe disquisire se gli interessi lesi siano, oltre alla salute e alla proprietà, quelli assegnati tradizionalmente ai soggetti – anche collettivi – che vivono in una determinata area o se, oltre a questi interessi, i provvedimenti si preoccupino di tutelare un interesse più esteso volto a difendere l’ambiente e

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le generazioni future. In ogni caso, è rilevante sottolineare come, seguendo diversi percorsi argomentativi, i giudici abbiano voluto proteggere popolazioni un tempo oggetto di sfruttamento coloniale ed oggi di sfruttamento da parte delle grandi corporations, ricorrendo alla responsabilità sociale dell’impresa e alla responsabilità della capogruppo per atti dannosi della controllata. Il ricorso agli strumenti di diritto privato esonera i giudici dall’ appellarsi a discipline pubblicistiche con prescrizioni dettagliate, le clausole generali operanti (specie) nell’ambito della responsabilità civile essendo sufficienti a predisporre il terreno sul quale fondare i provvedimenti di tipo inibitorio o risarcitorio.

2. Vedanta Resources plc v. Lungowe & Ors [2019] UKSC (10 aprile 2019) I fatti del caso Vedanta si svolgono in Zambia (l’ex Rodesia), Paese appartenente al Commonwealth britannico, e riguardano gli abitanti di alcuni villaggi che, a causa dell’attività di due società del gruppo Vedanta, assumevano di aver subito danni alla persona e ai loro beni, perdite di profitti, insieme con il mancato godimento dell’ambiente, per effetto della discarica dei residui della miniera di rame gestita da una società costituita ad hoc in loco dal gruppo convenuto in giudizio. I liquami erano stati riversati sul suolo e nelle falde acquifere per più di un decennio. La questione attiene primieramente la giurisdizione: per difendere i loro diritti gli abitanti dei villaggi si debbono rivolgere alle corti dello Zambia o alle corti inglesi? Il danno deriva dall’attività delle controllate, che è svolta in loco e hanno sede nel Paese, o può coinvolgere anche la controllante? Le controllate fanno capo alla holding che è quotata in India ma ha sede legale a Londra. Gli attori insistono sulla giurisdizione del giudice inglese, in quanto le corti dello Zambia non sono affidabili e quello zambiano è un “forum non conveniens”. La questione passa attraverso tre gradi di giudizio. La High Court accoglie l’azione degli zambiani, escludendo che essi abbiano abusato del diritto dell’Unione europea: poiché le società locali non hanno adeguate risorse per risarcire il danno, ed è legittimo sospettare che la holding avesse progettato l’in-

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quinamento idrico, il giudice ritiene che sia possibile, in astratto, fondare un’azione sulla responsabilità extracontrattuale della holding, sussistendo un duty of care – contrassegnato da prevedibilità, prossimità e ragionevolezza – diretto a tutelare gli interessi degli attori. La responsabilità della holding – parent liability – deriva dal controllo e dalla direzione della holding sulle società operanti in loco. Ed in effetti, sostiene il giudice, gli affari che svolgono la capogruppo e le controllate sono gli stessi, la capogruppo avrebbe dovuto ragionevolmente conoscere le modalità di esercizio dell’attività svolta dalle società controllate, con gravi danni per gli abitanti; la holding, che aveva una esperienza e una competenza superiore a quella delle società controllate, avrebbe dovuto rendersi conto della necessità di maggior competenza e una maggiore esperienza da parte delle società controllate. A parte le argomentazioni relative alla applicazione del principio del forum non conveniens collegate all’art. 4 della Convenzione di Bruxelles, il giudice si preoccupa di capire se le società operanti in loco siano capienti, se non possano correre il rischio del fallimento, se le popolazioni danneggiate, vivendo in stato di estrema povertà, siano in grado di ricorrere ad altri giudici e possano essere sostenute nel difendere i loro diritti con il gratuito patrocinio. Tutte queste ragioni militano a favore del radicamento della controversia nel Regno Unito. La Corte d’Appello ricalca la decisione della High Court. Vedanta insiste sulle proprie tesi. La questione giunge dinanzi alla Corte Suprema, la quale, con un’ampia e colta motivazione, conferma i precedenti giudizi. È interessante esaminare, più che non la dibattuta questione dell’abuso dell’applicazione della Convenzione di Bruxelles per radicare la questione nel Regno Unito, il ragionamento della Corte in ordine alla responsabilità della capogruppo per fatti illeciti compiuti dalla società controllata (Vedanta Resources plc v Lungowe, [2019] 20, 10 aprile 2019). Il precedente richiamato – Chandler v Cape plc [2012] EWCA Civ 525 – aveva accolto la domanda di risarcimento danni dell’attore, il quale era stato leso da una società controllata dalla convenuta. I giudici della Corte d’Appello avevano ritenuto che, in linea generale, per il fatto che le due società sono persone giuridiche

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diverse, la controllante non ha il dovere di verificare i comportamenti della controllata; tuttavia, quando sia messa in condizione di controllare il comportamento dei managers, di esprimere opinioni e pareri sugli atti compiuti, di essere informata sull’uso dei beni in proprietà, è ragionevole attribuire alla controllante l’onere di adoperare la diligenza dovuta per prevenire il danno. Ebbene, nel caso esaminato, la Corte ritiene che Vedanta esercitava un controllo sull’attività della controllata, tale da renderla consapevole delle infiltrazioni che avevano cagionato gravi danni alle popolazioni attrici. Esaminate accuratamente le difese di Vedanta, la Corte ritiene che la società estrattrice abbia violato la disciplina locale relativa alla difesa dell’ambiente. A seguito di una dettagliata analisi dei precedenti, il giudice relatore smentisce tutti gli argomenti utilizzati da Vedanta e ritiene che l’appello possa essere discusso. Ai nostri fini conviene considerare un aspetto di diritto sostanziale ed un aspetto di natura formale. Il primo riguarda la giustizia sociale: siamo in presenza di popolazioni povere, il cui reddito proviene da allevamento e agricoltura, da una attività economica che fornisce un semplice sostegno di sopravvivenza e che si colloca nel ciclo biologico e si adegua all’ambiente in modo perfetto. Sono le esternalizzazioni dell’attività mineraria ad alterare l’ambiente e a rendere problematico lo svolgimento di attività agricole. Si deve notare che l’azione in giudizio è volta ad ottenere il risarcimento del danno per l’irreversibile trasformazione del suolo provocato dall’attività mineraria. Non è richiesta la interruzione o la sospensione dell’attività. Non si discute della natura giuridica dell’interesse leso, né, come avverrebbe da noi, se si sia in presenza di “beni comuni”, di interessi adespoti, di interessi collettivi o diffusi, essendo tuttavia chiaro che lo sfruttamento minerario del suolo è posteriore alla pregressa sua destinazione alla coltivazione e all’allevamento. Dal punto di vista formale è interessante sottolineare sia la configurazione dei fatti come lesivi di interessi protetti nell’ambito della responsabilità civile, sia, e soprattutto, mettere in evidenza l’imputazione della responsabilità anche alla società controllante, sulla base dell’esercizio di potere di direzione e controllo.

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Di qui alcune inferenze: che la tutela dell’ambiente e della consistenza orografica di un luogo possano essere tra loro coordinate, tenendo conto degli usi pregressi e del futuro generazionale; che il diritto privato possa colmare le lacune del sistema pubblicistico, quanto meno sotto il profilo della reintegrazione del danno patrimoniale; che i rischi possano essere allocati tra le società del gruppo, superando i problemi di soggettività e di responsabilità patrimoniale, facendo ricorso alla parental liability.

3. Okpabi v. Royal Dutch Shell plc, [2021] UKSC 3 Un caso abbastanza simile è stato deciso recentemente sempre dalla Corte Suprema inglese. Si trattava, questa volta, di un folto numero di abitanti della zona in cui si è formato il delta del Niger. Gli abitanti lamentavano gravissimi danni – alla vita, alla salute, all’ambiente – derivanti dall’inquinamento delle acque cagionato dalle perdite di petrolio convogliato in condutture ad opera delle società estrattrici e delle loro affiliate. La controllante – Royal Dutch Shell plc – è registrata nel Regno Unito. L’attività estrattiva e il suo trasporto è effettuata da una controllata avente sede in Nigeria. Anche in questo caso l’azione nei confronti della controllante è stata fondata sull’illecito extracontrattuale e sulla attività di direzione e controllo delle controllate. La motivazione della sentenza muove dalle premesse del caso Vedanta, e cioè dalla sussistenza di un duty of care in capo alla controllante. La premessa non è del tutto sicura, ovviamente, perché la sussistenza della responsabilità della controllante per fatti imputati alla controllata è ancora controversa nel Regno Unito. E tuttavia la Corte Suprema osserva che, nella specie, si era accertato che la controllante aveva una esperienza superiore a quella della controllata, così come una maggiore competenza e maggiori risorse per poter verificare i danni arrecati alla vita, alla salute e all’ambiente dalla attività estrattiva e dal trasporto del petrolio. Al fine di dimostrare il coinvolgimento della controllante – in altri termini, la proximity della società con sede nel Regno Unito ai danneggiati residenti in Nigeria – il relatore esamina accuratamente le difese dei danneggiati, riguardanti la struttura interna della controllante e gli atti dei diversi organi concernenti l’attività

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estrattiva. Cioè le deliberazioni che si possono ascrivere alla rete di controlli organizzata dalla società Shell. Esamina dunque l’attività dell’organo di corporate governance, i rapporti di sostenibilità, con particolare evidenza per le analisi degli effetti dell’attività sull’ambiente, e pure le comunicazioni tra controllante e controllata. I dati di fatto accertati dal giudice d’appello ed esaminati dalla Suprema Corte tuttavia avevano messo in evidenza che la controllante è una holding con un esiguo numero di dipendenti, che non svolge attività operative e non ha una particolare competenza in materia di estrazioni petrolifere, sì che tutte le decisioni relative alle modalità di esecuzione delle estrazioni e delle condutture spettavano alla controllata. Per dare dunque una corretta risposta alla domanda se la controllante debba essere ritenuta responsabile per i danni cagionati dalla controllata il relatore esamina – in fatto – cinque aspetti: (i) la vigenza di regole imperative che impongano alla società estrattiva particolari comportamenti, (ii) l’imposizione di obblighi di assunzione di procedimenti, (iii) l’imposizione di un sistema di controlli, (iv) l’imposizione di un regime di spese e (v) la sussistenza di un sistema di direzione e di vigilanza sulla controllata. A questi interrogativi il relatore risponde nel senso che il requisito della proximity, pur agevolato dalle prove, non porta ad una convincente e persuasiva soluzione in senso affermativo, essendo per lo più i controlli effettuati sulla base di procedure standard, che uniformano le attività di tutte le società controllate del gruppo. Così è per il requisito della correttezza e della giustizia sostanziale, che non sembra apprezzabile al giudice relatore. Le opinioni espresse dagli altri due giudici sono varie e tutte approfonditamente argomentate. E l’opinione dissenziente di uno dei giudici del collegio insiste sulla sussistenza della prossimità e quindi sulla applicabilità del precedente (Vedanta) anche alla Shell. Il terzo giudice giunge alla conclusione che il requisito della prossimità non è sufficientemente provato, e dunque assolve Shell. Anche questo caso mostra come sia complessa la valutazione della responsabilità sociale dell’impresa e che, pur in astratto concepibile, la responsabilità della controllante non può essere presunta, ma deve essere accertata in fatto, sulla base del duty of care.

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4. Vereiniging Milieudefensie and Others v. Royal Dutch Shell plc (C/9571932/HA ZA 19-379) Anche il terzo caso presenta affinità con i precedenti. Esso è stato deciso nei confronti della capogruppo Shell dalla Corte distrettuale dell’Aja il 26 maggio 2021; la decisione fa applicazione del codice civile olandese. Il testo è stato pubblicato dalla Corte anche in versione inglese (ECLI:RBDHA:2021:5339). Si tratta di uno dei primi casi di violazione degli standard di emissioni di CO2: Shell non è stata ritenuta colpevole per il passato, ma tenuta ad applicare immediatamente tutte le misure necessarie per ridurre le emissioni provocate in futuro dalla attività del gruppo. Anche in questo caso le regole invocate sono di diritto privato e riguardano in generale i requisiti dell’atto illecito. Innanzitutto le questioni di legittimazione processuale. L’ attrice era una associazione per la tutela ambientale ed agiva in rappresentanza di altre due associazioni e quattro fondazioni impegnate nello stesso settore. La convenuta era la holding del gruppo Shell, come si è visto sopra registrata nel Regno Unito ma con la sede principale nei Paesi Bassi. Come emerge dalla motivazione, spetta alla capogruppo definire le politiche delle controllate, le quali, essendo società operative, si occupano in tutto il mondo di estrarre petrolio, di trattarlo e di distribuirlo, tramite un sistema di società di servizi coordinato dalla capogruppo. La Corte si sofferma sugli effetti collaterali dell’attività imprenditoriale, segnalando gli aspetti nocivi del CO2, i cambiamenti climatici e la situazione globale in progressivo deterioramento come rappresentato dagli studi delle Nazioni Unite in materia. A questi effetti sono associati i danni alla salute, al livello di vivibilità, ai rischi in cui incorre tutta la popolazione mondiale. Per pagine e pagine la motivazione descrive la situazione nel globo, in Europa e nei Paesi Bassi, enumera tutti i maggiori provvedimenti e le risultanze adottati dalle Nazioni Unite e risolve i problemi giuridici preliminari. In primis, la legittimazione ad agire di associazioni e fondazioni. Si tratta della applicazione dell’art. III,305a del codice civile che ammette lo standing delle associazioni e delle fondazioni nella promozione di class actions. Occorrendo verificare se gli interessi difesi da questi enti possano rientrare nel dettato della disposizio-

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Guido Alpa

ne, la Corte si chiede se gli interessi delle generazioni future possano essere tali da fondare un obbligo imputabile alla società convenuta quale utile salvaguardia degli interessi degli stakeholders. Atteso il dettato della norma, esclude che tali interessi possano trovare protezione perché le popolazioni sparse nel mondo possono essere danneggiate in momenti diversi dal cambiamento climatico e in diverse maniere. Tuttavia, con riguardo ai residenti olandesi, la Corte ritiene che alcune delle associazioni possano considerarsi legittimate, tenendo conto dei loro scopi statutari. La Corte si chiede poi se il danno risentito debba essere quello che si aggrega alla situazione del CO2 in tutto il mondo oppure riguardi solo la popolazione residente nei Paesi Bassi, e propende per questa alternativa. Assai interessanti sono gli argomenti riguardanti la configurazione dell’illecito, posto che la holding aveva contestato la propria responsabilità, assumendo che la definizione della “corporate policy” doveva considerarsi solo un atto preparatorio che esorbitava dai confini dell’atto illecito, in quanto le definizioni di politica aziendale non sono di per sé causa di danno immediato. La Corte ritiene che proprio la definizione della politica aziendale debba essere considerata tale da configurare un atto illecito indipendente di per sé. In altri termini, la definizione della politica aziendale configura un atto illecito se contrasta con uno standard (non scritto) sul quale commisurare la diligenza necessaria per amministrare una società. L’esame delle risultanze fattuali concernenti l’emissione di CO2 nella regione dei residenti appartenenti alla associazione attrice hanno dimostrato, secondo la valutazione della Corte, che l’attività del gruppo Shell è stata potenzialmente nociva. Ma quali interessi sono stati lesi? L’attrice ha individuato la lesione dei diritti umani e fondamentali come il rispetto della vita, della privacy e della famiglia: sono gli artt. 2 e 8 della Convenzione europea e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, nonché gli artt. 6 e 17 della Convenzione internazionale dei diritti civili e politici approvata dalle Nazioni Unite nel 1966 ed entrata in vigore nel 1976. Corroborando la serie di documenti e di provvedimenti utili ai fini della configurazione dell’atto illecito, la Corte richiama le

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determinazioni del Comitato ONU sui diritti umani sul deterioramento del clima e dell’ambiente, i Principi Guida dell’ONU in cui si distingue la responsabilità degli Stati dalla responsabilità delle imprese, sì che la distinzione non implica una assoluzione delle imprese, ma anzi la loro “responsabilità individuale” anche nel monitorare le misure adottate dagli Stati. Questo obbligo emerge anche dalla Guida per le società multinazionali dell’OCSE (Principio n.23) che richiama le imprese alla necessaria tutela dei diritti fondamentali, «per tutelare l’ambiente e la salute nei luoghi dove esse operano contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile». Di qui l’obbligo delle imprese di rispettare i diritti fondamentali e di assumere tutte le misure necessarie per raggiungere questo risultato, che non implica un atteggiamento passivo, ma se mai una attiva collaborazione. Obbligo che riguarda tutte le imprese di qualsiasi dimensione, salvo ovviamente il principio di proporzionalità. Questo obbligo deve essere osservato da tutte le imprese della catena di produzione e distribuzione, secondo i criteri elaborati dal Rapporto predisposto dall’Università di Oxford nel 2020. Sulla base dei dati di fatto raccolti nel corso della procedura riguardanti le emissioni di CO2 dall’intero gruppo Shell, la Corte ritiene che la capogruppo abbia una obbligazione di risultato (§ 4.4.23) di prevenire e ridurre i rischi connessi con la sua attività, e ciò con riguardo a tutto il gruppo sul quale la holding esercita il suo potere di indirizzo e di controllo. Di qui una serie di misure di carattere tecnico che la Corte indica alla capogruppo per realizzare quel risultato. Ma la Corte non si arresta qui. Prende anche in considerazione un argomento acuto sollevato dalla difesa della convenuta, e cioè l’inutilità delle misure adottate, in quanto, nel mercato del petrolio, gli spazi liberati da Shell nell’ottemperare all’obbligo di risultato saranno occupati delle società concorrenti. La Corte non cade nella trappola: ribadisce l’utilità delle misure, e l’irrilevanza dei comportamenti delle imprese concorrenti nell’esonerare Shell dal suo obbligo. In fin dei conti, la collaborazione individuale concorre a raggiungere il benessere collettivo.

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Guido Alpa

È proprio dalla cooperazione di enti pubblici – gli Stati in primis – ed enti privati che si possono realizzare gli obiettivi prefissati dai ricercatori per arrestare il degrado del pianeta. Per raggiungere questo risultato gli obblighi imposti alle imprese debbono essere adeguati e proporzionali. Di qui la necessità per Shell di adeguare le proprie politiche aziendali e l’ordine di ridurre proporzionalmente le emissioni immediatamente esecutivo. La Corte ha tuttavia escluso il risarcimento del danno, non ritenendo illegali le emissioni fino a quel momento effettuate dal gruppo.

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Carlo Alberto Ravazzolo

La rincorsa dell’UE al diritto ambientale: gli aiuti di Stato dell’energia

Sommario: 1. La giurisprudenza della CGUE in tema di aiuti di stato nel campo dell’energia (Caso C-594/18 P, Austria v Commission (Hinkley Point C) EU:C:2020:742). – 2. La rivoluzione dell’energia: il Green Deal europeo. – 3. Gli aiuti di Stato e il difficile equilibrio tra evoluzione normativa e sviluppo economico.

Abstract During the liberalization process of energy markets, the grant of public support by the State facilitated the advancement of cross-border trades. State aid rules was aimed at reaching results of public interest (such as security of supply) and which would be difficult to achieve in a liberalized market. The role of public support is expected to change in a context of open competition as envisaged by the third energy package, however, State aid is seen by the Commission as a useful tool for States to address market failures and deliver efficient results. Particularly because State aid is an important instrument for achieving the environmental objectives that would otherwise not be achieved by market forces on their own, as set out in Article 194 TFEU and in the Europe 2020 strategy.

1. La giurisprudenza della CGUE in tema di aiuti di stato nel campo dell’energia (Caso C-594/18 P, Austria v Commission (Hinkley Point C) EU:C:2020:742) La Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 22 settembre 2020 si è pronunciata in materia di aiuti di stato, respingendo il ricorso proposto dalla Repubblica d’Austria che chiedeva l’annullamento

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Carlo Alberto Ravazzolo

di una sentenza della Corte Generale dell’Unione Europea del luglio 2018. All’epoca il Tribunale adito aveva confermato la decisione della Commissione europea la quale aveva ritenuto legittimi gli aiuti di stato concessi dal Regno Unito a favore della società NNB Generation Company Limited, che avevano lo scopo di promuovere la creazione di nuovi meccanismi di capacità di energia nucleare presso la centrale nucleare di Hinkley Point (unità C) (Caso C-594/18 P, Austria v Commission (Hinkley Point C) EU:C:2020:742). Il regime di concorrenza europeo si distingue per essere connotato, più di altri, da evidenti elementi di criticità sul piano dei rapporti politici, anch’essi di rilievo sovranazionale. Nell’ambito di questo regime, le norme dell’UE sugli aiuti di Stato limitano l’autonomia degli Stati membri nella definizione delle politiche economiche. Infatti, sebbene possa essere allettante per gli Stati membri concedere aiuti di Stato alle proprie imprese per promuovere determinate attività economiche, ciò potrebbe distorcere la concorrenza del mercato interno. Per questo motivo le norme dell’UE in materia di aiuti di Stato, incluse quelle sulla competenza della Commissione a decidere sulla loro corretta applicazione, sono contenute nei trattati europei dal 1957 in poi. Tale regolamentazione, rimasta sostanzialmente dormiente per i successivi decenni, all’inizio degli anni ‘80 inizia ad essere applicata rigorosamente. Sostenuta da sentenze favorevoli della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) e dal crescente impegno dei privati, la Commissione è riuscita a rafforzare la sua posizione, portando alla fine degli anni ‘90 all’introduzione del Reg. (CE) n. 994/98 del Consiglio del 7 maggio 1998 (sull’applicazione degli artt. 92 e 93 del trattato che istituisce la Comunità europea a determinate categorie di aiuti di stato orizzontali) e del Reg. (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999 (recante modalità di applicazione dell’articolo 93 del trattato CE), abrogato e sostituito da Reg. (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015 (recante modalità di applicazione dell’art. 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). All’interno di questo corpus legislativo la Commissione, tuttavia, ha ancora un certo margine di manovra (cfr. Jones & Sufrin, EU Competition Law, Oxford, 2016) e utilizza questo margine per essere più cauta in alcuni casi e più severa in altri. Ad esempio, durante la crisi finanziaria del 2008, ha temporaneamente adottato un’applicazione più

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La rincorsa dell’UE al diritto ambientale: gli aiuti di Stato dell’energia

indulgente delle norme sugli aiuti di Stato, a causa della pressione esercitata dagli Stati membri per consentire il salvataggio delle organizzazioni del settore finanziario. La Commissione ha adottato un approccio simile in risposta all’epidemia di Covid-19, creando un quadro temporaneo per la crisi (Temporary framework for State aid measures to support the economy in the current COVID-19 outbreak – COM 2020/C 91 I/01), con l’obiettivo di fornire agli Stati membri la possibilità di utilizzare la «piena flessibilità prevista dalle norme sugli aiuti di Stato». Va ricordato infatti che, a partire dal 2014, la Commissione aveva avviato indagini approfondite su una serie di trattamenti fiscali vantaggiosi riservato alle società multinazionali, emanando in seguito una serie di ruling fiscali nei quali si dava atto della illiceità degli aiuti concessi dalle autorità nazionali allo scopo di ridurre artificiosamente l’onere fiscale di dette società (si veda Commission decides selective tax advantages for Fiat in Luxembourg and Starbucks in the Netherlands are illegal under EU state aid rules, consultabile in https://ec.europa.eu/commission/ presscorner/detail/en/IP_15_5880). Ciò è avvenuto nonostante la significativa opposizione degli Stati membri coinvolti: ad esempio, nel caso di Apple (Casi T‑778/16 e T‑892/16), il governo irlandese aveva insistito sul fatto che avrebbe combattuto qualsiasi decisione negativa dall’apertura del caso da parte della Commissione. Del resto, è opportuno ricordare come la Commissione debba ogni volta fare una valutazione ex ante dei casi da affrontare: da un lato, infatti, deve considerare i vantaggi economici dell’applicazione delle regole, vale a dire una concorrenza non falsata sul mercato interno; dall’altra, tuttavia, deve considerare i costi politici di tale approccio, ovvero quelli della potenziale perdita del sostegno degli Stati membri. Ora, alla luce della sentenza in esame da parte della Corte, si noterà come questa valutazione assumerà una importanza dirompente nel futuro del diritto dell’Unione. Se pensiamo infatti al settore della tutela ambientale, normalmente gli aiuti di Stato che violano disposizioni o principi generali del diritto dell’UE non possono essere dichiarati compatibili con il mercato interno. Nel caso in commento la Corte, ritenendo l’applicabilità dell’art. 107, par. 3, lett. c), TFUE nel settore dell’energia nucleare, coperto dal Trattato

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Carlo Alberto Ravazzolo

Euratom (Trattato che istituisce la comunità europea dell’energia atomica, 2012/c 327/01), ha evidenziato come «non possano essere dichiarati compatibili con il mercato interno quegli aiuto di Stato rivolti ad un’attività economica che rientra in quel settore, poiché sono contrari alle norme del diritto ambientale dell’UE» (così la sentenza).

Tuttavia la Corte, rigettando le doglianze presentate, ha sottolineato come in realtà non si sarebbe dovuto tener conto dell’effetto negativo che le misure in questione avrebbero potuto avere sulla realizzazione dei principi di tutela dell’ambiente. Infatti, l’esame di tale condizione non richiede che la Commissione prenda in considerazione eventuali effetti negativi diversi da quelli che interessano la concorrenza e gli scambi tra gli Stati membri. Si aprono così diversi scenari.

2. La rivoluzione dell’energia: il Green Deal europeo Il Green Deal europeo, ossia una rivoluzione industriale incentrata sull’ambiente, è stato presentato a dicembre 2019 come la nuova strategia di crescita dell’Unione europea, con l’obiettivo di trasformare l’UE in un’economia sostenibile e climaticamente neutra entro il 2050 (COM(2019) 640 final, EUR-Lex – 52019DC0640 –). La “European man on the moon”( così definita dalla Presidente Von der Leyen: una “corsa europea alla luna”, che mira una trasformazione radicale del modello economico dell’UE in un “moderno, efficiente sotto il profilo delle risorse ed economia competitiva dove non ci sono emissioni nette di gas serra nel 2050 e dove la crescita economica è disancorata dall’uso delle risorse”) sarà la grande sfida UE del decennio, soprattutto per il costante a rimanere allineati al tanto temuto Accordo di Parigi, che si propone di raggiungere una neutralità climatica entro il 2050 (Il Green Deal europeo, in particolare, richiederà tagli senza precedenti alle emissioni di gas serra in Europa, in linea con l’Accordo di Parigi sul clima, Paris Agreement to the United Nations Framework Convention on Climate Change (12 December 2015), FCCC/CP/2015/10/Add). La legislazione dell’UE si è ovviamente occupata di politiche ambientali in

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passato, ma il Green Deal europeo è un progetto di vastissima portata che richiederà investimenti senza precedenti. La transizione prevista dal Green Deal europeo richiederà modifiche ad un’ampia varietà di normative e politiche dell’UE esistenti, anche nel campo degli aiuti di Stato. L’attuale normativa di riferimento sugli aiuti di Stato (Orientamenti del 2014), in vigore fino alla fine del 2021, costituisce l’unico quadro giuridico per la valutazione degli aiuti di Stato, anche se la Commissione Europea ha già pubblicato la bozza delle Linee Guida per sostituire le Linee Guida del 2014 (Bozza delle Linee Guida) per allineare il testo al Green Deal europeo. Con gli orientamenti del 2014 (2014/C 200/01) sugli aiuti di Stato per il settore ambientale ed energetico, la Commissione aveva compiuto un passo in avanti sulla via della “modernizzazione degli aiuti di Stato” avviata dalle misure del 2012. Un’attenta definizione delle misure di intervento pubblico che ricoprisse sia il tema dell’energia che quello del clima appariva quanto mai necessario alla luce della strategia Europa 2020 (la strategia Europa 2020, COM(2010) 2020 definitivo del 3.3.2010, è volta a creare le premesse per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. A tale fine è stata formulata una serie di obiettivi principali, tra cui figurano anche obiettivi legati ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità in ambito energetico: i) ridurre le emissioni di gas a effetto serra nell’Unione del 20 % rispetto ai livelli del 1990; ii) portare al 20 % la quota delle fonti di energia rinnovabili nel consumo di energia nell’Unione; e iii) migliorare del 20 % l’efficienza energetica dell’UE rispetto ai livelli del 1990. I primi due di questi obiettivi vincolanti a livello nazionale sono stati attuati con il pacchetto per il clima e l’energia; Cfr. Direttiva n. 406/2009/CE del 23 aprile 2009 (GU L 140 del 5.6.2009, pag. 136) e direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009 (GU L 140 del 5.6.2009, pag. 16). Le linee guida stabiliscono che gli Stati membri devono garantire la conformità con il diritto ambientale dell’UE, effettuando una valutazione dell’impatto ambientale che avrebbero (si veda per tutti La disciplina per gli aiuti di Stato per la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione, gli orientamenti sugli aiuti di Stato per la protezione dell’ambiente e l’energia, gli orientamenti dell’UE per l’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato in relazione alla rapida diffusione delle reti a banda larga, gli orientamenti sugli aiuti di Stato a finalità

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regionale per il 2014-2020 e per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra post-2021, C (2020) 6400). Ed il caso in commento lo conferma. La Corte di giustizia europea infatti ha confermato che gli aiuti a un’attività che viola il diritto ambientale dell’UE non possono essere ritenuti compatibili con il mercato interno. La sentenza stabilisce un nuovo importante equilibrio tra le norme sugli aiuti di Stato e la tutela ambientale. Per la prima volta infatti si afferma che la Commissione è obbligata, nel valutare se un aiuto di Stato è indirizzato a «facilitare lo sviluppo» di un’attività economica come richiesto dalla prima condizione dell’art. 107, par. 3, lett. c) TFUE, a verificare che tale attività «non infranga le norme del diritto dell’UE in materia di ambiente». Se la Commissione rileva una violazione di tali regole, «è obbligata a dichiarare l’aiuto incompatibile con il mercato interno senza altra forma di esame» (così la sentenza a p. 45). Nella decisione, la Commissione ha ritenuto che tali misure costituissero aiuti nell’ambito dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, come aiuto concesso da uno Stato membro o mediante risorse statali e che pertanto potesse falsare la concorrenza e incidere sugli scambi all’interno della UE. Vero è che l’art. 107, par. 3, lett. c), del TFUE prevede che possano essere dichiarati compatibili con il mercato interno gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi. Tuttavia spetta alla Commissione valutare i vantaggi delle misure in questione e il loro impatto negativo sul mercato interno. La Corte, nell’allinearsi alle doglianze dell’Avvocato Generale, ha puntualizzato il senso di tale decisione. Infatti, più che ad un generale interesse economico, per essere compatibile ai sensi di questa disposizione, gli aiuti devono mirare a «soddisfare due condizioni: la prima è che deve essere intesa a facilitare lo sviluppo di determinate attività economiche o di determinate aree economiche e la seconda, espressa in termini negativi, non deve influire negativamente sul commercio in misura contraria all’interesse comune».

La Corte ha ritenuto di rilievo l’art. 107, par. 3, lett. c), TFUE il quale

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«non subordina la compatibilità di un aiuto alla condizione che esso persegua un obiettivo di interesse comune, fermo restando che le decisioni adottate dalla Commissione a tale titolo devono garantire il rispetto del diritto dell’Unione».

Concludendo, la CGUE, ha ricordato che il diritto comunitario stabilisce che ogni Stato membro è libero di determinare la gestione delle proprie risorse energetiche e le proprie scelte di rifornimento energetico, tra cui è ricompresa la facoltà di ricorrere anche all’energia nucleare e, accogliendo le conclusioni raggiunte dall’Avvocato Generale Hogan, ha respinto il ricorso presentato dalla Repubblica d’Austria.

3. Gli aiuti di stato e il difficile equilibrio tra evoluzione normativa e sviluppo economico Nel commercio internazionale moderno, che è quello della società post-industriale, si assiste con sempre maggior frequenza alla circolazione di beni immateriali (Cfr. Galgano e Marrella, Diritto del commercio internazionale, 3a ed., Padova, 2011, p. 6 ss.). Oltre a prodotti dematerializzati (si veda Marrella, Libera circolazione del software usato nel mercato interno e qualificazione contrattuale europea: alcune riflessioni sul caso Oracle, in Contr. e impr./Eur. 1/2015), che sono oggetto di costante controllo normativo, circolano altri beni e uno dei più importanti è l’energia. Tuttavia, il forte controllo pubblico che ancora viene esercitato da molti degli stati membri su tale mercato, rende fondamentale monitorare da vicino la disciplina degli aiuti di stato. Nel quadro delineato dalla Commissione, il controllo degli aiuti di Stato dovrebbe mirare efficacemente ad espandere politiche di crescita sostenibile, limitando le distorsioni della concorrenza e mantenendo un mercato unico funzionante e aperto (Ammannati, Esperienze regolatorie europee a confronto nel settore dell’energia, Atti del Convegno AIDEN (Milano, 3 dicembre 2015). Il controllo degli aiuti di Stato è quindi visto, dal punto di vista della Commissione, come uno strumento fondamentale per migliorare l’efficienza e l’efficacia della spesa pubblica: «La modernizzazione del controllo degli aiuti di Stato dovrebbe facilitare il

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trattamento di aiuti, che mirano a fallimenti di mercato ben identificati e obiettivi di interesse comune e che hanno gli effetti meno distorsivi (aiuti “buoni”). [...] Gli aiuti di Stato possono raggiungere l’obiettivo perseguito dalle politiche pubbliche solo quando hanno un effetto incentivo, ovvero quando stimolano i beneficiari a intraprendere attività che non avrebbero svolto senza aiuti» (COM(2012) 209 final – 8.5.2012), Pf.12, p.4.). Come di consueto in questa materia, l’attenzione delle linee guida è sulla compatibilità e queste forniscono una serie di criteri per guidare l’elaborazione delle misure. Infatti nel Trattato non esiste una definizione reale di aiuto di stato. L’art. 107.1 si limita ad identificare alcune caratteristiche necessarie di incompatibilità con il mercato interno. Tuttavia, la giurisprudenza ha individuato quattro elementi cumulativi come necessari affinché una misura possa essere considerata aiuto di Stato: (i) deve fornire un vantaggio economico a una o più imprese o produzioni; (ii) deve essere selettiva; (iii) deve essere concessa da uno Stato membro e impegnare risorse statali; (iv) deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza e avere un effetto sugli scambi tra Stati membri. La concessione di un vantaggio direttamente o indirettamente tramite risorse statali e l’imputabilità di una misura allo Stato sono due condizioni separate e cumulative per l’esistenza di un aiuto di Stato. La prima è uno dei temi più controversi nelle valutazioni riguardanti il settore energetico da parte della Commissione e della CGUE. Il giudizio storico della CGUE nel campo dell’approvvigionamento energetico è PreussenElektra (C-379/98). In quel caso, l’assenza della condizione di impegno di risorse statali fece sì che la misura non costituisse aiuto di Stato anche se non si poteva contestare che la misura fornisse ai produttori di energia un chiaro vantaggio che altrimenti non sarebbe stato conferito. Altre importanti decisioni della CGUE sono il caso Essent (C-206/06) e il caso Vent de Colère (C-262/12). Il secondo degli elementi è l’esistenza di un vantaggio economico per determinate imprese. Si tratta di punto essenziale della valutazione sugli aiuti perché mira a chiarire se questo sarebbe stato concesso ad una impresa in normali condizioni di mercato. Terzo elemento è la selettività: il principio è che le misure generali,

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che riguardano l’economia nel suo insieme, non creano un vantaggio selettivo e, di conseguenza, non possono essere qualificate come aiuti di Stato. Affinché le misure siano veramente generali però, non devono avere una portata ridotta nella pratica. La Commissione lo ha sottolineato nella decisione Austria Green Electricity (Case T‑251/11) nella quale stabilì che «anche se la misura potrebbe in teoria sembrare neutra sia in termini di imprese che di settori economici, potrebbe comunque essere selettiva nella pratica». Nei casi in cui una misura sia applicabile a tutte le imprese che soddisfano determinati criteri, la Commissione valuta solitamente la selettività in un’analisi in tre fasi: (i) identificazione di un sistema di riferimento; (ii) valutazione se la misura implica una deroga al sistema di riferimento; e (iii) inesistenza di giustificazione basata sulla natura e logica del sistema di riferimento. L’onere della prova in relazione alla logica e alla natura del sistema spetta agli Stati membri. Ultimo elemento è la distorsione della concorrenza ed effetti sugli scambi tra Stati membri. Di norma si presume che un vantaggio concesso a un’impresa in un mercato aperto alla concorrenza incida sugli scambi tra Stati membri, anche se il destinatario non è effettivamente coinvolto in scambi transfrontalieri (A questo proposito, la Commissione ha affermato nella decisione Alcoa che «l’assenza di flussi commerciali effettivi tra Stati membri non può essere accettata come prova del fatto che l’aiuto non ha alcun impatto sul commercio intracomunitario. Se uno Stato membro concede un aiuto a un’impresa, la produzione nazionale può per questo motivo essere mantenuta o aumentata, con il risultato che le imprese stabilite in altri Stati membri hanno meno possibilità di esportare i loro prodotti sul mercato di quello Stato membro». Causa C-353/12). D’altra parte la sentenza in commento ci fa capire perché la Commissione dia quasi per scontata l’esistenza di una distorsione della concorrenza e di un effetto sugli scambi nel valutare le misure energetiche ai sensi delle norme sugli aiuti di Stato. Fu proprio la Commissione, nell’ambito del programma di modernizzazione degli aiuti di Stato del 2012, a sviluppare i cosiddetti “principi di valutazione comuni” per valutare se gli aiuti potessero essere autorizzati ai sensi dell’art. 107, par. 3, TFUE. Questi principi sono stati inclusi negli orientamenti sugli aiuti di Stato e richiedono che, affinché una misura di aiuto sia compatibile con il

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mercato comune, lo Stato membro deve dimostrare che contribuisce a un «obiettivo ben definito di interesse comune», che era necessario un intervento statale e che tale aiuto è proporzionato, evitando così effetti negativi sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri. Parte dello scopo dei principi comuni era quello di portare una maggiore coerenza e un approccio più sistematico al modo in cui la Commissione avrebbe valutato gli aiuti. Spetta infatti alla Commissione decidere se lo Stato membro abbia definito adeguatamente un «obiettivo di interesse comune». Nel solco tracciato da giurisprudenza costante secondo la quale la Commissione gode di un ampio potere discrezionale nell’applicazione dell’art. 107, par. 3, TFUE, ciò conferisce alla Commissione un grande potere di determinare cosa sia e cosa non sia «interesse comune». Tanto più nei casi del cd. fallimento del mercato ovvero l’intervento statale che avviene in conseguenza del cd. market failure, come eccezione alla proposizione generale secondo cui il mercato sarà tanto più competitivo quanto più efficiente in termini di prezzi, produzione e uso di risorse naturali (zi veda, Comunicazione della commissione, Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020, 2014/C 200/01). Le norme UE sugli aiuti di Stato sono uno degli strumenti più potenti utilizzati dalla Commissione Europea in relazione al settore energetico. Negli ultimi tempi hanno svolto un ruolo centrale nella liberalizzazione dei mercati interni, le nuove linee guida sugli aiuti di Stato in materia di protezione dell’ambiente e dell’energia infatti, estendono il campo di applicazione delle precedenti linee guida sulla protezione ambientale al anche il settore energetico e si occupano della compatibilità degli aiuti alle infrastrutture energetiche, alle industrie ad alta intensità energetica, ai meccanismi di adeguatezza della generazione e, per la prima volta, anche ai consumatori finali. Non c’è dubbio che la combinazione di un concetto ampio di aiuto di Stato con le nuove norme sulla compatibilità consentiranno alla Commissione di svolgere un ruolo di primo piano nella realizzazione di un vero mercato interno dell’energia (Biondi, EU Law after Lisbon, edited by Eeckhout and Ripley, Oxford). Le nuove linee guida sugli aiuti di Stato per la protezione ambientale e l’energia devono fare di più per garantire non solo che i progetti sostenuti dagli aiuti di Stato siano conformi alla legislazione ambientale dell’UE, ma che

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rappresentino anche il miglior uso del denaro pubblico. La speranza è che la Commissione riesca nella loro applicazione nella situazione che l’Europa si trova ad affrontare, in cui la necessità di un mercato energetico europeo efficiente e interconnesso è più che mai necessaria.

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Contratto e impresa Europa 2/2021

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Il bitcoin è un attivo digitale immateriale e cosa fungibile e consumabile: a proposito di una sentenza del Tribunal de Commerce de Nanterre (Tribunal de Commerce, 6e Chambre, Nanterre, 26 febbraio 2020, n. 2018F00466)

Sommario: 1. Il caso concreto. – 2. Sugli istituti interessati dalla controversia, secondo il diritto francese e comparabilità con gli istituti simili secondo il diritto italiano ed in particolare il deposito. – 3. Sugli istituti interessati dalla controversia, secondo il diritto francese e comparabilità con gli istituti simili secondo il diritto italiano ed in particolare sulla natura del prestito. – 4. La posizione delle parti. – 5. La posizione del giudice francese. – 6. La posizione di contrasto tra il giudice e la dottrina francese. – 7. L’analisi delle conclusioni del giudice francese. – 8. La sentenza francese in una logica comparatistica. – 9. La sentenza francese ed il dibattito dottrinale italiano. – 10. Conclusioni.

Abstract The note comments on a judgment of the Tribunal de Commerce of Nanterre (France) concerning bitcoin and in particular the returing effects related to an hardfork procedure on bitcoin. The comment follows the development of the judiciary case between the parties, the legal forms of French law referred to and the similarities with the analogous forms of Italian law, as well as the opposing allegations, and then analyzes the position of the judge on the claims made in the trial, compares this position to the French doctrine on bitcoin and in a comparative perspective, verify the applicability of what emerged in court in the Italian legal context.

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1. Il caso concreto Tra maggio 2014 e giugno 2016 la società francese Paymium (di seguito, coerentemente con la sentenza “Y”), che presta attività di organizzazione e gestione di una piattaforma di scambio di valute digitali, presta 1000 bitcoin (“BTC”) alla società inglese BitSpread (di seguito, coerentemente con la sentenza “X”) la cui attività consiste nel fornire consulenza sulle operazioni in valute digitali, nonché attività di market maker sulle piattaforme di scambio. A fronte di tale prestito, X si impegna a riconoscere ad Y interessi pari al 5% per anno sui BTC effettivamente presi in prestito e non restituiti, da corrispondere in BTC. X inoltre apre presso Y un rapporto di deposito dei BTC, cioè di loro scritturazione contabile, attraverso la custodia presso i sistemi informatici di Y della chiave privata di accesso ai BTC. L’1 agosto 2017 il BTC subisce un’operazione di «hardfork». L’«hardfork» consiste nella scissione della «blockchain» relativa al singolo BTC, tramite la copia del codice del protocollo Bitcoin esistente e la generazione di una nuova valuta digitale indipendente ed autonoma (nel caso concreto il «BitCoinCash» o di seguito “BCC”) a partire da e rispetto a quella precedente, che sopravvive. L’«hardfork» dell’1 agosto 2017 ha determinato l’assegnazione di un BCC per ogni BTC detenuto. Peraltro tale assegnazione non è stata automatica, ma è stata determinata dall’adesione all’«hardfork» stessa del detentore del BTC alla data dell’1 agosto 2017, attraverso il proprio custode delle chiavi private. Tale circostanza si rivelerà essenziale per la soluzione della controversia in commento. Per effetto della «hardfork» Y ritiene che X sia divenuto titolare di 1000 BCC in quanto titolare di 1000 BTC. Nell’autunno 2017 i rapporti tra le parti si complicano a seguito della restituzione da parte di X dei 1000 BTC prestatigli da Y, ma non degli interessi relativi a tale prestito. Y, pur riconoscendo il rimborso del prestito di 1000 BTC, fondamentalmente (A) chiede il pagamento degli interessi e di fronte all’inadempimento, chiude il conto di deposito dei BTC e nega il trasferimento del saldo dei BTC giacenti a titolo di restituzione di tale ammontare e (B) chiede che gli siano altresì trasferiti a titolo di rimborso i 1000 BCC che

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Y ritiene X abbia ricevuto per aver aderito all’«hardfork» tramite la piattaforma di scambio Kraken che notoriamente aveva aderito a sua volta all’operazione stessa. Y cita in giudizio X. La causa verte essenzialmente (al netto delle richieste in subordine e delle domande riconvenzionali) su due questioni: (A) l’obbligo di restituzione del saldo rappresentato dai BTC giacenti alla chiusura del deposito e quindi la qualifica giuridica di tale rapporto in funzione di quella del suo oggetto (i.e. il BTC) e (B) la natura giuridica del prestito in funzione della qualifica del BTC e gli effetti sugli obblighi restitutori del prodotto dell’«hardfork», in quanto operazione che ha generato dei frutti a partire dall’oggetto del prestito.

2. Sugli istituti interessati dalla controversia, secondo il diritto francese e comparabilità con gli istituti simili secondo il diritto italiano ed in particolare il deposito In relazione alla prima questione gli istituti di diritto civile francese interessati ruotano intorno alla figura del deposito, definito dall’art. 1915 c.c. fr. in linea generale come «un acte par lequel on reçoit la chose d’autrui, à la charge de la garder et de la restituer en nature». Esso può vertere solo su cose mobili (art. 1918 c.c. fr.) e determina in capo al depositario l’obbligo di immediata restituzione a richiesta del depositante (art. 1944 c.c. fr. «Le dépôt doit être remis au déposant aussitôt qu’il le réclame») esattamente della stessa cosa depositata (art. 1932 c.c. fr. «Le dépositaire doit rendre identiquement la chose même qu’il a reçue»). Sempre l’art. 1932 c.c. fr. (comma 2) ribadisce come il deposito di somme monetarie debba essere restituito attraverso la medesima specie di denaro in contante, a prescindere dalla variazione del loro valore, trattandosi di un’obbligazione di valuta. Per il diritto francese è ormai pacifico, dopo anni di dibattito (si vd. per es. Barre, Le dépôt des titres financiers et le droit commun, Tesi di Dottorato, Univ. Toulouse I Capitole, 2015, n. 14 ss. in https://www.theses.fr/191695351) che le cose mobili, che possano fare oggetto del contratto di deposito ed in particolare degli obblighi di custodia, siano anche quelle prive di materialità come per es. i valori mobiliari di cui all’art. L228-1 c.comm. che richiama

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l’art. L231-1 c.mon.fin., emessi in forma scritturale e registrati sui conti titoli (così art. L211-3 c.mon.fin.) amministrati dal depositario. Il presupposto di ciò, è dato dalla cd. teoria della «scripturalisation» (formulata per la prima volta da Martin, La théorie de la scripturalisation, in 20 ans de dématerialisation des titres en France, dir. de Vauplane, 2005, ed. Revue Banque, Paris, p. 60, nn. 10 ss.) per cui oggetto del diritto non è tanto il supporto o contenitore di una determinata informazione (un foglio di carta) ove siano trascritti i segni scritti in codice analogico (linguaggio) o in codice digitale (numerico), ma la sequenza stessa dei segni racchiusi in una parola ed in una frase oppure in un «bit» e più «bytes», la cui rilettura o il cui ricalcolo, nell’esatta sequenza, fornisce e dà forma al bene e che, se non custodita appropriatamente, determina lo smarrimento di informazioni essenziali e l’alterazione della cosa stessa (ex multis de Vauplane, Des titres papiers aux titres digitaux, in Rev. Econ. Financière, 1, 2018, p. 89 ss., sull’evoluzione del supporto e delle informazioni in questo contenute connesse al valore mobiliare ancora denominato “titolo”). Ciò che è dunque centrale per il diritto francese è l’obbligo di custodia, che in tal caso verte sulla tenuta precisa, puntuale e sicura delle scritture contabili di registrazione dei valori mobiliari che gli sono stati affidati dal titolare, affinché egli ne custodisca il riferimento alla qualità e alla quantità, permettendone l’attribuzione al titolare. Per completezza non incide su tale ricostruzione nel diritto francese il fatto che il depositario che tenga custoditi in conto i valori mobiliari, esegua istruzioni di accredito o trasferimento dei valori mobiliari impartite da terzi autorizzati dal titolare per effetto di operazioni sugli stessi, oppure accetti eventuali proventi nella forma di dividendi o cedole oppure di ulteriori valori mobiliari nel caso di operazioni relative all’emissione o all’emittente. Sempre al deposito vengono ricondotte le forme di custodia delle immagini e dei documenti digitali che vengono conservati su supporti informatici diffusi, la cui titolarità e responsabilità operativa è rimessa al depositario (es. la conservazione di un’immagine fotografica in «cloud»). Il diritto italiano in materia di deposito non presenta differenze formali rispetto al diritto francese, quanto al diritto di ritirare le cose depositate e agli obblighi di custodia. Anche sotto il profilo

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sostanziale, il diritto italiano e quello francese sono unanimi con riferimento alla possibilità che possano fare oggetto di un contratto di deposito cose immateriali. A tal riguardo al contratto di deposito viene ricondotta l’attività del soggetto che custodisce i valori mobiliari dematerializzati ex art. 83 bis TUF e quindi i codici digitali che sul sistema informatico dell’intermediario rappresentano scritturalmente e definiscono il singolo valore mobiliare, ancorché la normativa menzioni solo il fatto che l’intermediario debba tenere tali valori mobiliari in nome e per conto del titolare degli stessi tramite la loro registrazione contabile (art. 83 quater, comma 4, TUF).

3. Sugli istituti interessati dalla controversia, secondo il diritto francese e comparabilità con gli istituti simili secondo il diritto italiano ed in particolare sulla natura del prestito In relazione alla seconda questione gli istituti di diritto francese ruotano intorno al «prêt», distinto in due categorie a seconda delle conseguenze dell’uso che se ne può fare e dunque in funzione della consumabilità della cosa e della sua fungibilità nell’ambito del suo genere. L’art. 1874 c.c. fr. recita in tal senso «Il y a deux sortes de prêt: Celui des choses dont on peut user sans les détruire; Et celui des choses qui se consomment par l’usage qu’on en fait. La première espèce s’appelle “prêt à usage”. La deuxième s’appelle “prêt de consommation”, ou simplement “prêt”». Il «prêt à usage ou “commodat”» (rubrica del capitolo) è definito come quel contratto «par lequel l’une des parties livre une chose à l’autre pour s’en servir, à la charge par le preneur de la rendre après s’en être servi.». Il contratto ha natura esclusivamente («essentiellement») gratuita e può avere ad oggetto una cosa che possa essere scambiata e «qui ne se consomme pas par l’usage» (art. 1878 c.c. fr.). Colui che presta la cosa ne rimane proprietario (art. 1877 c.c. fr.) e la può ritirare solo al termine dell’utilizzo o al termine convenuto tra le parti (art. 1888 c.c. fr.). Data la natura del bene, questo non dovrebbe essere soggetto ad un’usura tale da determinare la sua distruzione. L’art. 1884 c.c. fr. prevede che «Si la chose se détériore par le seul effet de l’usage pour lequel elle a été empruntée, et

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sans aucune faute de la part de l’emprunteur, il n’est pas tenu de la détérioration». Se tuttavia dal suo utilizzo al di fuori dei normali modi d’uso ne dovesse discendere un’usura tale da distruggere l’oggetto e determinarne una perdita di valore, questa sarà oggetto di risarcimento del danno a favore di colui che abbia prestato la cosa. Peraltro anche il rischio fortuito è in capo a colui che riceve in prestito la cosa (art. 1883 c.c. fr.). Il «prêt de consommation» è quel contratto, potenzialmente oneroso (art. 1905 c.c. fr.), per effetto del quale «une des parties livre à l’autre une certaine quantité de choses qui se consomment par l’usage, à la charge par cette dernière de lui en rendre autant de même espèce et qualité. » (art. 1892 c.c. fr.) e «l’emprunteur devient le propriétaire de la chose prêtée» (art. 1893 c.c. fr.). Il beneficiario del prestito deve «rendre les choses prêtées, en même quantité et qualité, et au terme convenu» (art. 1902 c.c. fr.) per il loro valore nominale (debito di valuta) e non per il loro valore corrente (debito di valore) (salvo che trattasi di un prestito avente ad oggetto lingotti d’oro o derrate alimentari) (artt. 1895 ed 1896 c.c. fr.). Nel caso in cui tutto il genere perisca, il beneficiario del prestito corrisponderà il controvalore calcolato al valore nominale al momento del prestito trattandosi di un debito di valuta o al valore effettivo se l’oggetto fosse tra quelli per i quali si applica la regola del valore corrente (art. 1903 c.c. fr.). Il «prêt de consommation» è consentito solo qualora il prestito abbia ad oggetto cose di genere, dunque assolutamente fungibili tra di loro (per es. il prestito di animali è considerato «prêt à usage» in quanto pur dello stesso genere ogni animale è diverso da un’altro). Il trasferimento della proprietà, connesso alla necessità che le cose prestate siano utilizzate, è condizione essenziale e non derogabile del «prêt de consommation» in quanto lo stesso ha per oggetto esclusivamente cose che si consumano nel senso economico-sociale del termine per effetto del loro uso. Il passaggio della proprietà è condizione perché la tipologia di cose che possano essere oggetto del «prêt de consommation» sia “distrutta” nel suo uso, cioè perisca e quindi sia consumata o meglio trasformata in altro («l’emprunteur devient le propriétaire de la chose prêtée et c’est pour lui qu’elle périt, de quelque manière que cette perte arrive»), perché solo attraverso ciò la cosa stessa è valorizzata secondo la sua na-

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tura (cose di genere accettate in permuta per scambi; il denaro e la moneta con riferimento ai pagamenti; le derrate alimentari per il consumo alimentare; le materie prime e loro trasformazioni in lingotti o simili forme di metallo per le attività siderurgiche / metallurgiche; le materie prime e merci varie nell’ambito energetico come il petrolio, il gas ed i loro derivati). L’impossibilità di derogare alla gratuità del «prêt à usage» e l’impossibilità di prestare un oggetto specifico nell’ambito del «prêt de consommation» rendono necessario il richiamo di altro istituto giuridico nel caso in cui per il prestito di una determinata cosa non fungibile né consumabile sia previsto un corrispettivo, questione su cui peraltro il giudice francese non prende posizione. L’istituto giuridico di riferimento è allora il «bail» (sottospecie del contratto di «louage» riferito ai beni mobili di cui agli artt. 1709 e 1711 c.c. fr.) che prevede la possibilità, dietro un corrispettivo di importo fisso una tantum o eventualmente anche proporzionale al valore del bene prestato, di concedere il godimento del bene stesso. Il «bail» infatti è un contratto che può avere ad oggetto beni mobili e che consente di utilizzare, nell’ambito delle prescrizioni contrattuali, la cosa sia in via diretta, traendo utilità economica dalla stessa per i propri bisogni, sia in via indiretta, maturando un’utilità economica per effetto dell’inserimento del bene stesso in un ciclo produttivo che ne preservi l’identità. Il diritto italiano sulla questione è perfettamente allineato a quello francese e ne ricalca il contenuto e la struttura. Il comodato è un contratto essenzialmente gratuito (art. 1803, comma 2, c.c.). Se è promesso dal ricevente il bene un corrispettivo, la figura contrattuale di riferimento entro la quale ricondurre la fattispecie è la locazione (Fragali, Del comodato, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, art 1754-1812, 2a ed., Bologna-Roma, 1970, p. 187; F. Mastropaolo, I contratti reali, in Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, 1999, p. 651 ss., p. 701 ss. e p. 716 ss.). Il comodato di una cosa non si estende agli incrementi straordinari della cosa che dovranno essere immediatamente attribuiti al comodante, salvo patto contrario. In ogni caso gli accrescimenti ed i frutti prodotti dal bene in comodato devono essere restituiti, salvo che per quanto riguarda le cedole scadute dei titoli di credito concessi in comodato oppure laddove i frutti siano di

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valore di particolare tenuità (Fragali, op. cit., p. 226, 257 e p. 288289). Per quanto riguarda il mutuo, la nozione di cui all’art. 1813 c.c. e all’art. 1814 c.c. prevede che il mutuo possa avere ad oggetto solo cose fungibili e che il mutuatario si obbliga a restituire cose della stessa specie e qualità, essendone divenuto nel frattempo proprietario. Per l’art. 1815 c.c. il mutuo risulta normalmente oneroso. Il codice civile prevede che questi siano interessi in percentuale sul controvalore delle cose mutuate. Se proprio è necessaria rilevare una differenza rispetto al diritto francese, l’onerosità del mutuo non è disciplinata dal «code civil» ma è rimessa alle parti oppure è disciplinata nell’ambito del «code de commerce» o del «code monétaire et financier» laddove l’attività di prestito riguardi un imprenditore o una banca.

4. La posizione delle parti Sulla questione relativa alla possibilità che i BTC siano oggetto di un contratto di deposito, al fine di confermare l’obbligo restitutorio, X ha sostenuto che per la fattispecie è riconducibile a tale contratto in quanto è prevalente l’obbligo di custodia, suo elemento centrale. Sulla capacità professionale di custodire infatti poggia l’intero contratto nonché la scelta di un determinato depositario. Il conseguente obbligo restitutorio nasce dalla natura di deposito e deve essere adempiuto a prima richiesta del depositante a titolo di prelievo o a titolo di rimessa del saldo nel caso in cui il deposito o il conto di deposito (trattandosi di cosa fungibile) sia chiuso. I BTC possono essere oggetto di un contratto di deposito in quanto spesso la chiave privata è registrata su di un dispositivo autonomo e non in linea (cd. «coldstorage» su chiavetta USB). Inoltre anche se i BTC fossero considerati cose immateriali, queste possono essere oggetto di deposito alla stessa stregua dei valori mobiliari. Infine, puntualizza X, la Loi PACTE (Loi n. 2019-486 del 22 maggio 2019 «relative à la croissance et la transformation des entreprises» commentata da Berruto, La nuova disciplina francese dei crypto-asset: un imperfetto tentativo regolatorio, in Dir. Banc. online, 11 febbraio 2020) ha espressamente definito cosa sia il BTC in quanto valuta virtuale ed in cosa consistano i vari servizi che possono essere

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prestati in relazione alle valute virtuali, superando con riferimento a questi ultimi la qualifica tra «biens corporels et incorporels pour instaurer des obligations participants à la protection de cet actif à l’instar des obligations à la charge d’un dépositaire» e prevedendo l’obbligo di conservazione. In particolare la «Loi PACTE recepisce attraverso l’integrazione nel «Code monétarie et financier» degli artt. L54-10-1 e ss. le definizioni di cui alla V direttiva antiriciclaggio (Dir. (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica la Dir. (UE) 2015/849 del 20 maggio 2015) ed in particolare le due nuove definizioni di “valute virtuali” e “prestatore di servizi di portafoglio digitale”, che si possono riscontrare nel d.lgs. 231/2007 sub art. 1, comma secondo, lett. (ff), (ff bis) e (qq). Peraltro, mentre la norma francese sotto il profilo sistematico trova una sua collocazione più ampia anche con riferimento all’offerta di cd. «token» digitali e dunque offre una definizione a più vasto spettro e più generale, il collocamento della definizione italiana sembra essere più aderente alla normativa europea e più indirizzato a disciplinare aspetti relativi all’uso delle valute virtuali e alla prestazione dei servizi connessi con riferimento a tematiche di riciclaggio del denaro e del finanziamento del terrorismo. Nonostante ciò è interessante vedere come il Legislatore francese abbia utilizzato una definizione settoriale e l’abbia assunta a «standard» definitorio con una portata più ampia rispetto alla materia regolamentata. Risponde Y, sminuendo quanto sopra a proposito della «Loi PACTE» e sostenendo che la mera elencazione di servizi applicabili alle valute virtuali non qualifica la conservazione come un contratto di deposito, che la conservazione della chiave privata in modalità «coldstorage» non rende corporale un bene immateriale e che la natura di «bien meubles incorporel», accettata dalla giurisprudenza europea e francese in materia fiscale esclude la possibilità che tali beni possano essere oggetto di un contratto di deposito, data l’intrinseca natura informatica non riproducibile su alcun supporto materiale, come nell’esempio contrario dei valori mobiliari che potenzialmente potrebbero essere rappresentati in tale maniera ed in certe determinate condizioni (la questione è stata affrontata dalla Corte UE, V sez., , Skatteverket c. David Hedqvist, C-264/14, 22 ottobre 2015. La sentenza è stata commentata

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da Trenta, Bitcoin e valute virtuali. Alcune riflessioni alla luce della decisione della corte di giustizia UE sul regime IVA applicabile ai bitcoin, in Riv. Trim. Dir. Trib., 2016, in http://www.rivistatrimestraledirittotributario.it/bitcoin-decisione-corte-giustizia-ue-regime-ivaapplicabile; da Kollmann, The VAT Treatment of Cryptocurrencies, in EC Tax Review, 2019-3, p. 164 ss.; da Bonneau, Analyse critique de la contribution de la CJUE à l’ascension juridique du bitcoin, in Liber amicorum Blanche Sousi, L’Europe bancaire et financière, 2016, ed. Rev. Banque, Parigi, p. 295 ss. dove l’autore sottolinea come la Corte abbia provato a definire in senso negativo cosa non sia il BTC, pur limitando l’ambito della propria analisi e la definizione agli aspetti tributari della questione, a quanto essenziale per la risoluzione della vertenza (par. nn. 6 e 7). Inoltre si vd. la sentenza del Conseil d’État del 26 aprile 2018 (Considerandi 9 e 13) n. 417809 commentata da Collet, Le bitcoin devant le Conseil d’État, in JCP ed. G, 2018, p. 243 ss., in https://www.actu-juridique.fr/affaires/droit-financier/le-conseil-detat-precise-la-nature-juridiqueet-les-modalites-dimposition-du-bitcoin/#:~:text=par%20les%20 particuliers-,4.,cession%20par%20des%20particuliers14). Sulla questione relativa alla natura del prestito e alle conseguenze sull’operazione di «hardfork», Y ritiene che il rapporto fosse qualificabile come «prêt à usage» in quanto la natura dei BTC è quella di «bien meuble incorporel» dunque «non fongible et non consomptible». Il suo uso non determina la sua distruzione e non è fungibile in quanto ciascun BTC è reso individuabile ed unico dal suo codice informatico ed in particolare dalla serie di blocchi concatenati. Dunque i BTC dovrebbero essere restituiti in quanto tali o quanto meno per equivalente ai sensi dell’art. 1875 c.c. fr., unitamente ai frutti generati durante la vigenza del prestito quali i BCC, anche loro da restituire in quanto connessi ai BTC ed in particolare legati e sorti da atti connessi al godimento dei BTC e non dal loro mero utilizzo. Continua Y in via subordinata, nel caso in cui i BTC fossero ritenuti «choses fongibles» e dunque fosse applicabile la disciplina del «prêt de consommation» sostenendo come la restituzione dovrebbe farsi attraverso la consegna di cose «en même espèce er qualité» (art. 1892 c.c. fr.) e «même quantité et qualité» rispetto a quelle prestate. Orbene, i 1000 BTC oggetto di restituzione da X ad Y non avrebbero più la medesima qualità in quanto non darebbero

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più il diritto a ricevere anche 1000 BCC, né l’ammontare restituito comprendeva anche i BCC oggetto dell’«hardfork». Infine, va notato come, strumentalmente, Y non abbia insistito sulla possibile natura onerosa del «prêt à usage» in deroga al carattere di gratuità essenziale del rapporto, in quanto questa attribuzione avrebbe potuto determinare la riqualificazione del contratto in «bail», rendendo inutile l’argomentazione: il «bail» permette infatti al conduttore di far propri i frutti essendo la causa del contratto legata al godimento della cosa stessa. Risponde X facendo notare come l’evento dell’«hardfork» non fosse previsto né prevedibile e che l’eventuale attribuzione di BCC in ragione di 1 BCC per ogni BTC sia avvenuta per scelta indipendente dalla volontà del titolare dei BTC, cioè a discrezione della piattaforma di scambio Kraken. Inoltre il contratto di prestito non si esprimeva circa tale eventualità, come è invece d’uso per i contratti di prestito di strumenti finanziari che prevedono le conseguenze delle distribuzioni straordinarie e delle operazioni sul capitale in relazione a ciò che vada restituito. Continua X sottolineando come trattandosi di un «prêt de consommation» il trasferimento della proprietà sia previsto ex lege in quanto strutturalmente connesso alla possibilità di godere cioè consumare la cosa prestata, secondo le regole di utilizzo proprie della stessa ed in particolare secondo la loro funzione economico-sociale e le attività proprie di ciascun operatore (nel caso di specie la rivendita su altre piattaforme di scambio). A nulla vale poi il fatto che ciascun BTC sia individuabile ed unico per effetto della sua «blockchain» in quanto le parti possono decidere convenzionalmente che elementi formali non siano presi in considerazione ai fini della determinazione della fungibilità e della consumabilità di cose di un determinato genere. Ne deriva come il beneficiario del prestito debba restituire solo l’oggetto del prestito ai sensi dell’art. 1892 c.c. fr. trattandosi di un debito di valuta e non i suoi frutti e ciò anche in linea con la logica applicata in materia di lingotti e di derrate alimentari, dove l’obbligazione restitutoria è di valore, e di azioni gratuite attribuite nella vigenza del prestito.

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5. La posizione del giudice francese Il giudice francese sulla prima questione è estremamente sbrigativo. L’obbligo restitutorio sussiste a prescindere dalla natura di cosa materiale o immateriale ed è connessa alla (incontestata da parte di Y) titolarità di X dei BTC depositati in conto presso Y. In buona sostanza per il semplice fatto che Y si trovi a custodire i BTC di X senza contestarne la proprietà, questi ha l’obbligo di restituirli, avendo inteso le parti perfezionare un contratto riconducibile al deposito. Il giudice francese sulla seconda questione invece va molto più in profondità. Per prima cosa non prende posizione sul fatto che Y avremmo dovuto richiamare eventualmente la figura contrattuale del «bail» e non del «prêt à usage» anche perché questo argomento viene assorbito dalle considerazioni successive. Per l’art. 1892 c.c. fr. il «prêt de consommation» ha come oggetto cose fungibili e consumabili, secondo la percezione economico - sociale, dunque res in genere intercambiabili tra di loro e non individualizzabili come oggetti certi (cd. res in specie). Il giudice francese poi enuncia due principi fondamentali e dalla portata innovativa: per il primo il BTC est « consommé » lors de son utilisation, que ce soit pour payer des biens ou des services, pour l’échanger contre des devises ou pour le prêter, tout comme la monnaie légale, quand bien même il n’en est pas une

soffermandosi così ancora una volta sull’aspetto economico – sociale e sul tipo di operazioni che possono avere ad oggetto il BTC, mettendo in risalto come il suo uso lo renda «comsomptible»; per il secondo i BTC sont fongibles car de « même espèce et de même qualité » en ce sens que les BTC sont tous issus du même protocole informatique et qu’ils font l’objet d’un rapport d’équivalence avec les autres BTC

nel significato previsto dall’art. 1347-1 c.c. fr., sulla qualità delle obbligazioni fungibili e sulla riconduzione a tale categoria

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delle obbligazioni pecuniarie, così ritenendo che la fungibilità vada posta in relazione alla necessità che il bene sia anche consumabile per permetterne il suo uso economico-sociale, secondo un giudizio di equivalenza sostanziale Que la fongibilité nécessite une équivalence entre des choses de «même espèce et qualité».

Nel caso di specie l’equivalenza sarebbe data dalla comune sorgente informatica (cioè il protocollo informatico del BTC) che permette di considerare equivalente un BTC rispetto ad un altro BTC, tanto è vero che per il beneficiario (di un pagamento, di uno scambio contro altre monete virtuali o a corso legale, di un prestito, …) in BTC è equivalente ricevere un BTC piuttosto che un altro BTC, essendo fondamentale invece la convertibilità e dunque la possibilità di essere considerate, nell’ambito della categoria, cose di genere. Il giudice francese termina poi il proprio ragionamento, concludendo sull’attribuzione dei BCC, come il «prêt de consommation» nel prevedere il passaggio della proprietà delle cose imprestate al beneficiario del prestito, determina anche il passaggio dei conseguenti rischi, ma altresì dei vantaggi. Non avendo previsto nulla a riguardo nel contratto sotto il profilo della descrizione dell’evento casuale e degli effetti, nonostante le parti fossero investitori professionali specializzati ed avrebbero dovuto avere esperienza delle simili disposizioni applicate agli eventi societari, i BTC prestati prima dell’«hardfork» e quelli rimborsati successivamente all’evento sono equivalenti tra di loro. Ne consegue come la restituzione dei BTC sia sufficiente per considerare adempiuti gli obblighi restitutori del beneficiario del prestito al creditore. In conclusione quindi i BCC attributi rimarranno così nella piena titolarità del beneficiario del prestito in quanto proprietario dei BTC in relazione ai quali i BCC siano stati assegnati.

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6. La posizione di contrasto tra il giudice e la dottrina francese La posizione del giudice francese, pur non qualificando il BTC, mi sembra così non in linea con la posizione dottrinale espressa da alcuni tra i principali autori francesi (de Vauplane, L’analyse juridique du bitcoin, in Rapport moral sur l’argent dans le monde, Régulation, gouvernance et complexité dans la finance mondialisée, Edizione anno 2014, edit. Ass. Econ. Financière, Paris, p. 351 ss.; Roussille, Le bitcoin: objet juridique non identifié, in Banque & Droit, n. 159, 1-2, 2015; Bonneau, op. cit. par. n. 10 ss.; Thery, La propriété monétaire numérique: les bitcoins, in Le droit civil à l’ère numérique, Actes du colloque du Master 2 Droit privé général et du Laboratoire de droit civil - Paris II - 21 avril 2017, p. 40 ss.) In particolare rispetto alla posizione di Roussille non considera ciò che invece sostiene l’Autrice (il BTC sarebbe una cosa a doppia valenza: un bene del quale si può essere titolari, ma anche un attivo utilizzabile al fine di scambiarlo con altro, nonostante non abbia la connotazione classica e formale di moneta). Il giudice francese, contrasta la posizione di Bonneau che, commentando la sentenza della Corte Europea, ha sostenuto come il BTC non sia un bene corporale perché privo di fisicità e materialità; non sia individuabile singolarmente per effetto del suo codice informatico, frutto della successione dei blocchi (peraltro tale individuabilità e unicità non sarebbe paragonabile alla serie numerica della banconota); non abbia funzioni di unità di conto (numerario) e non serva a dare un valore ad un bene o servizio oggetto di acquisto (civilisticamente ciò può avvenire non necessariamente tramite compravendita); non sia nemmeno un valore mobiliare perché non rappresenta alcun credito verso un terzo, elemento essenziale per la qualifica di valore mobiliare a prescindere dal supporto ove il credito sorgente da una promessa unilaterale sia rappresentato; non abbia un valore intrinseco, ma convenzionale tra i partecipanti alla rete sociale (in ciò Bonneau recupera uno degli elementi sociologici delle valute virtuali), dunque abbia una funzione solutoria o di accumulo di valore a carattere privativo e non universale (come la moneta avente corso legale) ed infine non sia una moneta, né un mezzo di pagamento legale in quanto non

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ricompreso, né ricomprendibile, dalle/nelle definizioni di cui alla normativa settoriale europea, ancorché potrebbe esserlo sotto il profilo economico seppur limitato agli aderenti alla rete sociale. Il giudice francese quindi concorda con la dottrina unicamente rispetto alla definizione negativa di cosa non sia il BTC: non è una moneta elettronica, non è uno strumento finanziario, né un prodotto di investimento, ma un eventuale derivato sullo stesso lo sarebbe, non è una moneta alternativa, ma al contempo è un sistema di misurazione del valore di beni o servizi accettato dalla comunità dei partecipanti, non rappresenta un servizio di pagamento, ma può costituirne l’oggetto in relazione al cambio dello stesso rispetto a moneta avente corso legale. Il giudice francese non si esprime invece rispetto alle ricostruzioni dottrinali, che risultano essere tutte concordi sul punto di ritenere positivamente il BTC un bene mobile immateriale in un’accezione che tende a distinguerlo rispetto ai beni virtuali e a quelli incorporali, posizione per es. espressa da de Vauplane, (de Vauplane, op. cit., p. 357-358), per il quale i primi non esistono in alcuna realtà fisica o mentale presente, i secondi hanno invece attinenza a qualcosa avente ad oggetto il valore a carattere economico-sociale o rappresentativi di un diritto; il bene mobile immateriale sarebbe dunque secondo l’Autore la composizione tra un bene incorporale ed un supporto fisico sul quale sia registrata la chiave privata (che sia un «coldstorage» oppure una «server farm» sempre su qualcosa di fisico sarebbe effettuata la registrazione e al quale ci si possa collegare via Internet – cd. «hotstorage»), alla stessa stregua della moneta ove il valore rappresentato trova una sua trasfigurazione sulla carta moneta o sulla moneta scritturale. Il giudice francese è completamente in disaccordo con una gran parte della dottrina sull’analisi di ciò che si possa fare con il BTC e che caratteristiche lo stesso avrebbe. In particolare la posizione di Thery, nel riassumere molte posizioni espresse, merita di essere riportata integralmente: «Le bitcoin est donc un bien incorporel et, plus précisément, un bien numérique qui existe sous forme d’un code informatique, ce qui permet de distinguer un bitcoin d’un autre. À la différence des billets de banque qui sont fongibles en dépit d’une identification possible par leur numéro d’émission, les bitcoins ne sont pas fongibles car le code informatique est essentiel dans les

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opérations de vérification des transactions Le bitcoin est-il un bien consomptible ? Par nature, il n’est pas sujet à destruction, comme le serait une denrée qui s’altère et disparaît. Au-delà de cette observation, tout devient plus vague. L’argent est, dit-on, consomptible juridiquement : « la destruction de la chose doit alors être comprise comme sa disparition d’un patrimoine par aliénation». Si la consomptibilité est liée à l’usage qui est fait du bien, le bitcoin serait tantôt consomptible, lorsqu’il permet d’effectuer un paiement, tantôt ne le serait pas lorsqu’il est thésaurisé» (Thery, op. cit., p. 41-42). Così espressa essa appare negare la fungibilità del BTC ma ammettere la sua consumabilità a seconda del tipo di utilizzo che il titolare intenda farne.

7. L’analisi delle conclusioni del giudice francese Le conclusioni alle quali il giudice francese è giunto mi trovano d’accordo. L’approccio funzionale, privo di una connotazione dogmatica, mi sembra il più opportuno alla luce di due considerazioni: il recupero e la valorizzazione dell’aspetto privatistico del BTC e la valorizzazione dell’elemento economico – sociale del fenomeno, preliminare a qualunque considerazione o classificazione giuridica. Circa il primo elemento, il fatto che il giudice abbia posto in evidenza la funzione di intermediario di scambio sostanzialmente fungibile e consumabile, alla stessa stregua della moneta avente corso legale, accettata da persone consapevoli che non trattasi di questa, ma che al contempo il BTC possa avere tali caratteristiche, pone al centro la libertà dei privati nell’utilizzare una cosa e servirsene per mutuo accordo sociale. Il giudice mi sembra altresì abbia messo molto bene in evidenza come l’autonomia privata possa, nei limiti della ragionevolezza, considerare fungibili cose i cui criteri sorgenti siano i medesimi e che ab initio non siano stati specificati, ma accettati in blocco tramite un processo di loro generalizzazione. In tale ottica, va anche vista la decisione del giudice di valorizzare l’assenza di una qualunque disciplina in merito all’assegnazione ed all’eventuale restituzione degli eventuali frutti (cioè dei BCC assegnati) laddove soprattutto questa sia avvenuta a seguito di eventi non prevedibili e non nella disponibilità delle

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parti. Sempre sotto tale aspetto va letta anche la decisione di guardare all’obbligo sostanziale di restituzione proprio del contratto di deposito, a prescindere dalla corporeità del BTC, aprendo quindi ad una tutela reale e non meramente obbligatoria del titolare, considerato dunque un proprietario e non un semplice creditore. Circa il secondo elemento, mi sembra che il giudice sia molto rispettoso delle ragioni economiche e sociali per le quali e grazie alle quali è nato il BTC e dunque della sua impronta originaria, decentralizzata, indipendente da qualunque autorità, ma non anarchica (segue infatti le regole del protocollo). Il giudice mi è così sembrato, pur senza citarla, in linea con la «Loi PACTE», che definisce come attivi digitali (cioè elementi attivi del patrimonio di ciascun soggetto di diritto) i BTC ed elenca tutte le possibili attività che possono essere effettuate rispetto a tali attivi e che fornisce una definizione astratta, usufruibile da tutte le branche del diritto (come correttamente segnalato da Bonneau, op. cit., par. n. 24 il quale ritiene che in uno Stato di diritto, ancorché le definizioni normative e la relativa giurisprudenza interpretativa possano essere considerate autonome, tale autonomia non può pregiudicare un’unica visione rispetto ad un determinato fenomeno, che si voglia sussumere entro precise categorie dell’ordinamento. In altre parole, secondo tale interpretazione, il giudice non potrebbe distaccarsi da una norma primaria ancorché la stessa disciplini la fattispecie in altro ambito normativo. Di qui l’esigenza tipicamente francese di arrivare a definizioni quanto meno di ampia portata se non tendenzialmente universali, soprattutto di fronte a nuove istanze tecnologiche).

8. La sentenza francese in una logica comparatistica L’ulteriore punto da esaminare, soprattutto quando si compara il diritto esistente in due giurisdizioni differenti, è se alle stesse conclusioni, di fronte ad una fattispecie grossomodo simile, sarebbe potuto giungere il giudice italiano. Gli istituti giuridici di diritto francese e di diritto italiano, richiamati dalla fattispecie sono molto simili sia nella loro architettura che negli effetti sulle parti. Probabilmente il giudice italiano, nel silenzio del contratto, avrebbe concluso in maniera simile valorizzando l’elemento

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dell’autonomia privata ancorché non manchino nel codice civile esempi sul trattamento dei frutti naturali che vadano in una o l’altra direzione, possibilità peraltro derogabili dalle parti: a favore del depositante nel caso dell’art. 1775 c.c., salva la fattispecie di cui all’art. 1782 c.c. sul deposito irregolare dove l’obbligo restitutorio è limitato alle sole cose della stessa specie e qualità, in analogia all’art. 1813 c.c., a favore del riportato nel caso dell’art. 1548 c.c., a favore del disponente il pegno su titoli di credito nel caso di assegnazione di premi o altre unità aleatorie prodotte dallo stesso (art. 1998, comma 3, c.c.), ma a favore del compratore nella compravendita a termine di valori mobiliari, in relazione ai premi estratti ai quali possono essere equiparati i BCC assegnati (art. 1533 c.c.), a favore del conduttore (nei limiti della produttività della cosa) ai sensi dell’art. 1615 c.c., a favore dell’usufruttuario nel caso di assegnazione di premi o altre unità aleatorie prodotte dal titolo di credito (art. 1998, comma 1, c.c.) o a favore del creditore pignoratizio nel caso dell’art. 2791 c.c. Nutro invece qualche dubbio sulla capacità di estrazione giurisprudenziale, soprattutto nel silenzio normativo rispetto ad una disciplina comune, dall’unica definizione positiva data dall’ordinamento giuridico del BTC come valuta virtuale, di un principio generale ed astratto valido a livello interpretativo, soprattutto al fine di evitare pericolose derive quali quelle che ritengono il BTC uno strumento finanziario o un prodotto di investimento, solo perché l’intento dell’acquirente risulti ex post speculativo, oppure un attivo non suscettibile di essere conferito in ambito societario ad un soggetto il cui scopo sociale sia connesso all’uso e alla prestazione di servizi relativi alle valute virtuali, solo perché non si riesca a definirne un valore puntuale.

9. La sentenza francese ed il dibattito dottrinale italiano Le conclusioni del giudice francese o di un ipotetico giudice italiano chiamato ad esprimersi su di una fattispecie simile che decida in maniera conforme al giudice francese, sicuramente incidono o inciderebbero in maniera significativa sul dibattito dottrinale italiano sulla natura del BTC (sulle valute virtuali e specialmente sul BTC si può rinviare, in linea generale, per comprendere le varie

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questioni affrontate dalla dottrina italiana, anche con riferimento ad esperienze internazionali e a documenti emanati dagli organi politici e tecnici dell’Unione Europea a: Vardi, “Criptovalute” e dintorni: alcune considerazioni sulla natura giuridica del bitcoin, in Dir. inform., 2015, p. 443 ss.; N. Mancini, Bitcoin: rischi e difficoltà normative, in Banca, impr., soc., 2016, p. 111 ss.; Lemme e Peluso, Criptomoneta e distacco dalla moneta legale: il caso bitcoin, in Riv. dir. banc., 4, 2016, p. 43 ss.; Greco, Monete complementari e valute virtuali, in FinTech. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, a cura di Paracampo, Torino, 2017; Capaccioli, Bitcoin e criptovalute, in Tutele e risarcimento nel diritto dei mercati e degli intermediari, a cura di Cassano, Tilli e Vaciago, Milano, 2018; Girino, Criptovalute: un problema di legalità funzionale, Riv. dir. banc., 4, 2018, p. 50 ss.; De Stasio, Verso un concetto europeo di moneta legale: valute virtuali, valute complementari e regole di adempimento, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, p. 747 ss.; Iemma e Cuppini, La qualificazione giuridica delle criptovalute: affermazioni sicure e caute diffidenze, in Dir. banc. online, 8 marzo 2018; Pernice, Digital currency e obbligazioni pecuniarie, Napoli 2018; Carrière, Le “cryptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra tradizione ed innovazione, in Riv. dir. banc., 2, 2019, p. 1 ss.; Cian, La criptovaluta – Alle radici dell’idea giuridica di denaro attraverso la tecnologia: spunti preliminari, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, p. 325 ss.; Campagna, Criptomonete e obbligazioni pecuniarie, in Riv. dir. civ., 2019, p. 186 ss.; Liberanome, Criptovalute tra anarchia e difficili tentativi di regolamentazione; in FinTech, a cura di Falcone e Fimmanò, Napoli, 2019; Pernice, Crittovalute e bitcoin: stato dell’arte e questioni ancora aperte, Ibid.; Rubino De Ritis, La moneta digitale complementare: modelli convenzionali di adempimento in criptomonete e prospettive per il Sud, Ibid., Vampa, FinTech e criptovalute: nuove sfide per la regolazione dei mercati finanziari, Ibid.; Moliterni, Criptovaluta, valuta digitale, moneta elettronica e modelli di circolazione, in Le nuove frontiere dei servizi bancari e di pagamento fra PSD2, cripto valute e rivoluzione digitale, a cura di Maimeri e M. Mancini, QRG Banca d’Italia n. 87, Roma, 2019; De Giorgi, Criptovalute: l’approccio dei policy makers, Ibid.; Ruccia, Criptovalute e modelli di sorveglianza, Ibid.; Rinaldi, Approcci

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Normativi e qualificazione giuridica delle cripto monete, in questa Rivista, 2019, p. 257 ss.; Gi. Gitti e Sardini, I conferimenti di cripto attività, in questa Rivista, 2020, p. 1289 ss.; Sardini, La “moneta” contrattuale, in Nuovo dir. civ., 2020, p. 161 ss.; Calzolaio, Il bitcoin come oggetto di property. Note a margine di una sentenza della High Court, in Foro it., 10, 2020, IV p., p. 493 ss.; Ferrari, The regulation of crypto-assets in the EU – investment and payment tokens under the radar, in Maastricht J. of Eu. and Comp. Law, 2020, p. 325 ss. in https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/1023263X20911538; sulle obbligazioni pecuniarie si rinvia per tutti ad Inzitari, Delle obbligazioni pecuniarie, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, art 1754-1812, Bologna-Roma, 2011) il quale mi sembra più incentrato sulla riconduzione del BTC ed in generale delle valute virtuali al concetto di moneta, denaro o mezzo di scambio oppure di prodotto di investimento anziché a comprendere quali qualità abbiano i BTC e le forme analoghe di valute digitali, perché esse possano essere oggetto di una relazione dominicale con conseguente possibilità di disporne ed i conseguenti aspetti pratici quali per esempio: la forma del pegno di un BTC; la possibilità di prevedere un pegno regolare di BTC, nonostante la segretezza della chiave privata faccia propendere per un pegno irregolare come soluzione necessitata dalla forma tecnica del bene oggetto del pegno; il sequestro di un BTC. Tali questioni mi sembrano preliminari rispetto alla classificazione del BTC nell’ambito dell’ordinamento giuridico in funzione dell’uso. L’impressione che se ne ricava è infatti quella di un approccio più pubblicistico alla questione, cioè più focalizzato nel verificare un’ipotetica violazione delle norme sull’emissione monetaria, sulla valida efficacia solutoria delle obbligazioni pecuniarie con moneta o denaro non avente veste legale o di protezione degli investitori che acquistino BTC o altre valute virtuali (nell’ipotesi che la funzione sia quella di riserva di valore), nel tentativo di limitare le attività delle piattaforme di scambio che promuovono l’acquisto tramite le stesse di valute digitali, spesso creando ulteriore confusione attraverso l’uso di messaggi accattivanti. L’approccio dottrinale italiano sconta in buona sostanza una certa perdita di contatto con la realtà sociale sottostante alla creazione del BTC e pretende di definire oggi cosa questo sia dall’ana-

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lisi del limitato uso corrente senza alcuna proiezione sul futuro. È insomma il frutto della tendenza a regolamentare un determinato fenomeno in maniera indipendente dalle scelte in sede europea e di altri paesi membri dell’Unione Europea, ancor prima che del fenomeno siano definiti i contorni e si dispieghino gli effetti sul medio-lungo termine. Tale anticipato movimento, pur con finalità protettive, stroncherà solo localmente il fenomeno e la possibilità per gli utenti di utilizzare il BTC e per le piattaforme di scambio di pubblicizzarne l’acquisto. Infatti, mai come per il BTC la sua diffusione appare illimitabile ed illimitata: è una cosa (cioè un bene, un attivo …) che permette in maniera estensiva un arbitraggio regolamentare da parte degli utenti e delle piattaforme di scambio e che può essere acquistato o ne può essere promosso l’acquisto a prescindere da qualunque dimensione territoriale.

10. Conclusioni Dalla sentenza del giudice francese si può cogliere un primo essenziale insegnamento. Il BTC è come se fosse moneta avente corso legale perché la vastità di utenti vuole che si comporti come tale, cioè che il suo utilizzo economico-sociale si riferisca ad un suo uso negli scambi. Non ha funzione di riserva di valore, in quanto, a prescindere dalle oscillazioni di valore rispetto alle monete aventi corso legale in atto, non è un bene rifugio e la sua funzione non è quella di trasformarsi da (e ritrasformarsi in) moneta avente corso legale, in quanto i beni e servizi acquistabili sono denominati in tali valute. Il BTC è invece un «ecosistema» il cui utilizzo sarà verosimilmente, in un non prevedibile medio-lungo lasso temporale, quello di intermediario di scambio / pagamento diretto e tra pari («peerto-peer»), disintermediato e privo di connotazione territoriale che una pluralità vasta di aderenti liberamente utilizzi. Gli attuali «investimenti» sono quindi il risultato di una scelta rispetto ad una visione futura e di una presa di posizione rispetto all’oggetto del sistema.

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Contratto e impresa Europa 2/2021

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Cosa c’è di “europeo” nel diritto privato europeo? Giorgio Resta

Sommario: 1. Introduzione – 2. Questioni di lessico e di sostanza. – 3. Diritto privato europeo come “cultura delle regole”. – 4. La cultura…o le culture del giusprivatista europeo? – 5. Diritto privato europeo come complesso di norme. – 5.1. La dimensione verticale – 5.2. La dimensione orizzontale. – 6. Cosa è tipicamente “europeo”? Prospettive interne o esterne. – 7. Diritto privato e “capitalismo europeo”. – 8. Quale “disciplinamento” dei mercati? – 9. Il diritto privato europeo oltre le relazioni di mercato. – 10. Conclusioni.

Abstract This paper starts from the question “what is European in European Private Law”, and it argues that to answer it properly one should first better clarify what is meant by the formula “European private law”. Depending on its actual scope and content, the assessment of its “Europeanness” will change significantly. A basic distinction is introduced between the culture of European private law and its substantive content. After having discussed the problem of the existence of one or more European private law cultures, it critically reflects on the notion of European private law as a set of rules, principles and institutional settings deriving from various sources (EU, Council of Europe, national private law). It is argued that, at least on a comparative viewpoint, one of the striking features of EU private law is the way in which it re-embeds (in a Polanyian meaning) markets, by separating spheres of justice and non-economic institutions, and by preventing personal goods and values from being integrally commodified.

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1. Introduzione In uno degli ultimi convegni tenuti in presenza prima dello scoppio della pandemia, un gruppo di studiosi si è riunito a Firenze per celebrare i “140” anni di Hans Micklitz e Giuseppe Vettori e per riflettere sull’interrogativo: “cosa c’è di europeo nel diritto privato europeo”. La questione è particolarmente stimolante e, non a caso, essa è stata riproposta, in maniera pressoché identica, anche nell’ambito di altre discipline, come il diritto internazionale privato1. Sul piano analitico, come emerso dall’intera giornata di discussione, essa può essere affrontata da molteplici prospettive, interne o esterne al sistema giuridico, e ancora formalistiche, realistiche, di stampo comparativo (a sua volta su un registro diacronico o sincronico), etc. In questo contributo vorrei provare dapprima a precisare il senso delle parole e delle nozioni che compaiono nel titolo del convegno (riprodotte nel titolo di questo contributo), per poi confrontarmi con la parte contenutistica dell’interrogativo in oggetto. In particolare, in questo primo paragrafo vorrei presentare il quadro dei significati attribuibili alla formula “diritto privato europeo”, i quali verranno discussi in dettaglio nei paragrafi successivi; dal paragrafo 5 in poi proverò ad offrire una lettura poco ortodossa di ciò che v’è di europeo nel diritto privato europeo.

2. Questioni di lessico e di sostanza La parola “europeo” compare due volte nel titolo del convegno. A prima vista si potrebbe pensare che la prima occorrenza sia la più importante, e cioè che siamo chiamati ad individuare, definire e discutere una serie di tratti che potrebbero essere assunti come distintivi della matrice europea del diritto privato europeo. È indubbio che questo sia il cuore del problema, ma è altrettanto evidente che ad esso non sarebbe possibile accostarsi in maniera

Von Hein, Kieninger e Rühl, How European is European Private International Law, Cambridge, 2019. 1

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corretta qualora non si prestasse sufficiente attenzione alla seconda parte del titolo. Detto altrimenti, per rispondere alla domanda “che cosa è europeo”, è necessario far chiarezza sul significato della formula “diritto privato europeo”, raggiungendo un accordo preliminare circa la sua oggettiva estensione2. Infatti, a seconda del perimetro ascritto alla nozione di “diritto privato europeo”, l’individuazione dei suoi tratti caratteristici potrà variare anche sensibilmente. Iniziamo col rilevare come non vi sia uniformità negli usi di tale sintagma. I discorsi sul diritto privato europeo seguono schemi e perseguono obiettivi i più diversi3. Per i limitati scopi di questo contributo, ne isolerò soltanto due, che attengono rispettivamente alla cultura del diritto privato europeo e al contenuto sostanziale di questo, inteso come complesso di regole4.

3. Il diritto privato europeo come “cultura delle regole” Una tendenza caratteristica dei discorsi europeo-continentali sul diritto consiste nell’enfasi posta sulla correlazione tra diritto e cultura. In particolare, il diritto tende a essere visto come profondamente radicato in una certa “cultura giuridica”. Questa è una nozione che ha riscosso negli ultimi anni grande successo, anche se il credito di cui gode in termini statistici non è pari alla precisione nei suoi usi. Nelle pratiche discorsive dei giuristi, essa è per lo più utilizzata per indicare quella particolare dimensione del ter-

Cfr. in proposito il titolo e il contenuto dei saggi, ormai risalenti, di Brauneder, Europäisches Privatrecht – aber was ist es?, Zeitschrift für neuere Rechtsgeschichte, 1993, p. 225; Zeno-Zencovich, Ma cos’è il diritto privato europeo?, in Studi in onore di A. Salis, Torino, 2000, p. 1255. 3 Si veda Schulze, Le droit privé commun européen, in Rev. int. dr. comp., 1995, p. 7; Gambaro, ‘Iura et leges’ nel processo di edificazione di un diritto privato europeo, in Eur. dir. priv., 1998, p. 993. 4 Altri usi ricorrenti della formula in oggetto pertengono allo stile (Zeno-Zencovich, Ma cos’è il diritto privato europeo?, in Studi in onore di A. Salis, 1261) o al futuro (Alpa, Il diritto privato europeo, in Federalismi, 2019, 7, p. 1) del diritto privato europeo. 2

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mine che Lawrence Friedman ha definito la cultura giuridica “interna”, ossia i particolari modi di vedere consolidati nella cerchia professionale di riferimento circa il “diritto come concetto”5, accezione contrapposta a quella di cultura giuridica “esterna”, ossia atteggiamento del pubblico nei confronti del diritto, del processo e dei professionisti del diritto6. Meno esplicita in tali discorsi, ma difficilmente negabile, è la correlazione tra cultura giuridica e formante sapienziale: la doctrine è considerata dai più la componente principale di una cultura giuridica: se non la sua fonte almeno il suo oracolo7. Di conseguenza, secondo tale prospettiva, per scoprire “cosa c’è di europeo nel diritto privato europeo”, si dovrebbe guardare alla “cultura” del giusprivatista europeo, piuttosto che ai caratteri degli assetti istituzionali o delle disposizioni sostanziali del diritto privato8. Lunga è lista dei precursori di un siffatto atteggiamento. Forse il più celebre è Friedrich Karl von Savigny, il cui scritto programmatico “Della vocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza” (1814) ha dato vita a molteplici commenti e riflessioni. Tra questi merita di essere specificamente ricordato, per la sua risonanza nei dibattiti contemporanei, il famoso saggio di Carl Schmitt su “La condizione della scienza giuridica europea”9. Basato su conferenze tenute tra il 1942 e il 1943, il volumetto fu il primo degli scritti che uscì, nel 1950, dopo la fine del divieto di

Grødeland e Miller, European Legal Cultures in Transition, Cambridge, 2015, p. 21. 6 Friedman, The Legal System. A Social Science Perspective, New York, 1975, p. 223: «The external legal culture is the legal culture of the general population; the internal legal culture is the legal culture of those members of society who perform specialized legal tasks». 7 Si confrontino le diverse inclinazioni sottese al discorso di un europeo quale Zimmermann, Savigny’s Legacy: Legal history, Comparative Law, and the Emergence of a European Legal Science, 112 Law Quarterly Review 576 (1996) e a quello di un costituzionalista americano come Post, Constitutional Scholarship in the United States, 7 Int’l J. Const. L. 416 (2009). 8 Particolarmente utile al riguardo è il volume curato da Helleringer e Purnhagen, Towards a European Legal Culture, Munich, 2014. 9 Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, con introduzione di Carrino, Roma, 1996. 5

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pubblicazione, e presto seguito da Donoso Cortès in gesamteuropäischer Tradition e Ex captivitate salus10. In contrasto con molte idee difese da Schmitt nei decenni precedenti, e precisamente con la dicotomia tra legalità e legittimità11, il libro perviene alla conclusione che la scienza del diritto sia la vera fonte12 e l’“ultimo asilo” della coscienza giuridica13 e i dottrinari i più fedeli custodi dei valori di unità e coerenza dell’ordinamento14, valori minacciati da potenti forze tecnologiche ed economiche, nonché dalla moderna tendenza verso una “legislazione motorizzata”15. Schmitt nel suo volume esortava a tornare a Savigny e a meditare sul significato profondo dell’enfasi da lui posta sul valore di una scienza giuridica svincolata dalla contingenza del diritto positivo. Difendeva quindi con forza il primato della dottrina giuridica sugli altri formanti, e in particolare sulla legislazione con «caratteristiche moderne». Gli argomenti avanzati da Savigny nel suo plaidoyer contro la codificazione, nonostante alcuni difetti e contraddizioni, osservava Schmitt, erano lungimiranti. Il principale merito del suo discorso era quello di affermare l’indipendenza della scienza giuridica rispetto all’eredità filosofica e teologica, rappresentata dalla tradizione del diritto naturale, quanto rispetto alla subordinazione all’arbitrio del legislatore16. L’“autonomia” della scienza giuridica è sempre stata uno dei tratti distintivi della tradizione europea, il segno del suo atteggiamento razionalista, che ha contribuito alla genesi delle scienze naturali. Preservare tale autonomia dai rischi di colonizzazione da parte delle altre discipline e dall’incedere tumultuoso e

Per una dettagliata analisi della genesi e degli scopi del volume v. Mehring e Schmitts Schrift “Die Lage der Europäischen Rechtswissenschaft”, in ZaöRV, 77 (2017), 853, p. 855 ss. 11 Mehring e Schmitts Schrift “Die Lage der Europäischen Rechtswissenschaft”, cit., p. 870. 12 Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, cit., p. 68. 13 Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, cit., p. 63, 80. 14 Ibid. 15 Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, cit., p. 57-63. 16 Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, cit., p. 65 ss., 76. 10

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disordinato di leggi e regolamenti, era, secondo Schmitt, uno dei compiti principali della cultura giuridica moderna. Ai nostri fini è opportuno notare come il soggetto del discorso di Schmitt fosse rappresentato da una cultura giuridica “europea”. Una cultura autenticamente unitaria per metodi e valori fondanti, a dispetto della frammentazione del diritto interno riconducibile in particolare all’epoca degli stati nazione17. Tale comunanza era il risultato di molteplici “incontri e reciproche influenze”, nonché di veri e propri processi di recezioni incrociate, non passive, ma seguite da incorporazioni, adattamenti e perfezionamenti del diritto18. La maggior parte di tali fenomeni sarebbero riconducibili alla diffusione del diritto romano e canonico19, ma non marginale secondo S. fu la tradizione del diritto pubblico20. Sul piano contenutistico, i tratti comuni della cultura giuridica europea andrebbero rinvenuti in un insieme di elementi caratteristici, come: “un riconoscimento della perosna che non venga meno neppure nella contesa e che poggi sul rispetto reciproco; una sensibilità per la logica e per la coerenza dei concetti e delle istituzioni; il senso della reciprocità e del livello minimo di regolarità procedurale, del due process of law senza cui non c’è diritto”21. Al discorso schmittiano sono state mosse, com’è noto, varie obiezioni, non ultime quelle che riguardano il carattere opportunistico di alcune prese di proposizione o citazioni selettive, tese a velare il “lato oscuro” del suo pensiero giuridico e politico, sostituendo (o rigenerando) il vecchio paradigma del Grossraum attraverso il più spendibile ideale europeo22. Tuttavia, l’enfasi posta da Schmitt sulla realtà storica di una cultura giuridica europea intesa come autonoma e distinta dalle singole varianti nazionali merita

Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, cit., p. 39. Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, cit., p. 40. 19 Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, cit., p. 41-47. 20 Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, cit., p. 48. 21 Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, cit., p. 83. 22 In tema v. von Bogdandy, The Current Situation of European Jurisprudence in the Light of Carl Schmitt’s Homonymous Text, MPIL Research Paper Series, n. 2020-08, accessibile all’indirizzo https://papers.ssrn.com/ sol3/papers.cfm?abstract_id=3561655. 17

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di essere registrata con attenzione, poiché oggettivamente antesignana rispetto ad altre analisi che seguiranno il medesimo itinerario. Un secondo esempio di spicco, in quest’ottica, è offerto da Franz Wieacker. Nel corposo scritto “Fondamenti della cultura giuridica europea”23, preparato per la Conferenza della Società Internazionale di Filosofia del Diritto e Filosofia Sociale del 1983, il celebre storico del diritto ha offerto una panoramica approfondita dei vari processi che hanno portato allo sviluppo di un cultura giuridica fondamentalmente omogenea in Europa (da notare che l’A. distingueva due accezioni del termine “Europa”: una in senso geografico, quale Continente compreso tra il Mare del Nord e il Mediterraneo, nonché tra l’Atlantico e gli Urali, e una in senso ‘spirituale’, estesa alle zone di influenza della matrice europea su scala globale)24. Ad esito di tale retrospettiva, Wieacker si spinge a enucleare gli elementi invarianti, che in una prospettiva di lungo periodo, definirebbero la peculiare fisionomia della cultura giuridica europea25. Il primo tratto è il “personalismo”, cioè l’idea della primazia dell’individuo «as subject, end, and intellectual point of reference in the idea of law»26; come rileva Wieacker, libertà e autodeterminazione nell’ordinamento dei rapporti giuridici stanno alla base della nozione di diritto privato «as a bundle of subjective entitlements among responsible persons»27. La seconda costante è il “legalismo”, cioè il presupposto generale circa la necessità di basare le decisioni relative a rapporti sociali e controversie «on a general rule of law, whose validity and acceptance does not depend on any extrinsic (moral, social, or political) value or purpose»28.

Wieacker, Foundations of European Legal Culture, 38 Am. J. Comp. L. 1 (1990). 24 Wieacker, Foundations of European Legal Culture, p. 5. 25 Wieacker, Foundations of European Legal Culture, p. 19 ss.; si veda anche Padoa-Schioppa, Verso una storia del diritto europeo, in PadoaSchioppa, Italia ed Europa nella storia del diritto, Bologna, 2003, p. 589594. 26 Wieacker, Foundations of European Legal Culture, p. 20. 27 Wieacker, Foundations of European Legal Culture, p. 20. 28 Wieacker, Foundations of European Legal Culture, p. 23. 23

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Il terzo è l’“intellettualismo”, che si collega alla tendenza tipicamente europea a cogliere tutti i fenomeni «by means of general epistemological methods»29; nello specifico settore in oggetto, esso ha condotto il pensiero giuridico «in the direction of thematization, conceptualization, and contradiction-free consistency of empirical legal materials»30.

4. La cultura…o le culture del giusprivatista europeo? Si deve notare che né Schmitt né Wieacker offrono un’espressa definizione della nozione di “cultura giuridica”31. Tuttavia, entrambi considerano questa come un’entità oggettiva, suscettibile di essere osservata e descritta sia secondo un registro storico (come siamo diventati “noi stessi”) sia secondo una logica di differenziazione (perché “noi” saremmo diversi dagli “altri”)32. Ad entrambi preme enucleare i tratti distintivi che, ad esito di un’analisi genealogica, separano la tradizione europea dalle altre (prevalentemente non occidentali)33. Ciò implica l’adozione di una prospettiva trans-nazionale, ovvero – per richiamare la terminologia usata da Helge Dedek in un bel saggio – “illuminista”34, volta a porre in secondo piano la diversità delle culture giuridiche municipali esistenti in Europa. Non è senza significato che sia Wieacker sia Sch-

Wieacker, Foundations of European Legal Culture, p. 25. Ibid. 31 Michaels, Legal culture, in Max Planck Encyclopedia of European Private Law, a cura di Basedow, Hopt, Zimmermann e Stier, Oxford, 2012, p. 1060 ss., accessibile all’indirizzo http://scholarship.law. duke.edu/ faculty-scholarship/2390. 32 Dedek, When Law Became Cultivated: ‘European Legal Culture’ Between Kultur and Civilization, in Towards a European Legal Culture, a cura di Helleringer e Purnhagen, cit., p. 367-390. 33 Per una critica delle premesse di tali discorsi (e in particolare quello di Wieacker), v. Duve, Global Legal History: Setting Europe in Perspective, Oxford Handbook of Comparative Legal History, Oxford, 2018. 34 Ibid. 29

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mitt impieghino il lemma “cultura” al singolare; altri preferirebbe oggi parlare di culture giuridiche europee (al plurale)35. La riflessione sulla cultura giuridica europea ha tratto nuova linfa negli ultimi anni soprattutto in occasione di due snodi cruciali per la costruzione dell’assetto istituzionale dell’UE. Il primo è stato il confronto con la questione, politicamente molto controversa, della costituzione europea. Il dibattito aveva evidenti implicazioni valoriali e in esso la tesi circa la sussistenza di una cultura giuridica europea era implicitamente associata da un lato all’assunto di un demos europeo e, dall’altro, al telos di una più compiuta integrazione europea36. Il secondo evento è stata l’europeizzazione del diritto privato37. Qui l’idea di una cultura giuridica omogenea a livello europeo è stata trasposta sul piano giusprivatistico e usata come argomento pro (o contro) l’introduzione di un codice civile europeo38. Questo scivolamento di piani, peraltro, non è singolare né sorprendente, considerato il ruolo storicamente svolto dal diritto privato in ordine alla definizione dei degli stessi elementi connotativi della concezione del diritto in Europa39. Martjin Hesselink ha sostenuto, più di un decennio fa, che l’“europeizzazione” del diritto privato, specie quella risultante dalla normativa secondaria dell’Unione Europea, è stata uno dei principali fattori di trasformazione della “cultura” del dirit-

Grødeland e Miller, European Legal Cultures in Transition, cit., p. 1. Mann, (Legal) Culture in the European Union and the United States, in Towards a European Legal Culture, a cura di Helleringer e Purnhagen, cit., 52; con particolare riguardo al problema del demos europeo, Weiler, The State Über Alles. Demos, Telos, and the German Maastricht Decision, EUI Working Paper n. 95/19, San Domenico (Firenze), 1995, 18 ss. 37 Michaels, Legal culture, cit., p. 1060; Vettori, Il diritto privato europeo fra legge, Corti e diritti, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2018, p. 1341. 38 Micklitz, The (Un)-Systematics of Private Law as an Element of European Culture, in Towards a European Legal Culture, a cura di Helleringer e Purnhagen, cit., 81, in part. 83. 39 Wieacker, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit unter besonderer Berücksichtigung der deutschen Entwicklung, Göttingen, 1967; P. Rescigno, in P. Rescigno, G. Resta e Zoppini, Diritto privato. Una conversazione, Bologna, 2017, p. 14. 35 36

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to privato in Europa (e più in generale della “cultura giuridica europea”). Secondo Hesselink, «l’approccio strumentale ed “impressionistico” delle direttive, lo stile pragmatico della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il ruolo “eversivo” del diritto comparato con il suo metodo funzionale, l’approccio interdisciplinare – proposto da parte dell’accademia, che pone la sua attenzione anche su aspetti propri dell’economia, della cultura e della politica – il successo della soft law, basata sulla legittimazione sostanziale piuttosto che su procedure formali di emanazione e la de-positivizzazione della formazione giuridica per effetto dell’adozione della dichiarazione di Bologna, sono tutti fattori che contribuiscono a formare una nuova cultura giuridica europea, meno formale, dogmatica e positivistica rispetto a quanto lo siano state le culture giuridiche nazionali»40. Tale diagnosi è stata parzialmente rivista dallo stesso autore a dieci anni di distanza dalla pubblicazione dello scritto citato, a seguito di eventi come l’allargamento dell’UE, la guerra al terrorismo internazionale e il processo di “costituzionalizzazione” avviato con il Trattato di Lisbona, che hanno determinato una sorta di “riformalizzazione” della cultura giuridica europea41. Tuttavia, gli elementi fondanti dell’analisi originaria permangono invariati. L’esistenza di una cultura giusprivatistica condivisa a livello europeo è stata invece contestata – tanto dal punto di vista descrittivo quanto da quello normativo – da altri studiosi, in una prospettiva che secondo la terminologia di Helge Dedek definiremmo “anti-illuminista”. Pierre Legrand, in particolare, si è fatto interprete di un approccio radicale alla diversità nel diritto, sostenendo che gli ordinamenti giuridici europei non sono e non saranno convergenti, semplicemente perché le differenze esistenti a livello delle attitudini cognitive, cioè le mentalità locali, non possono

Hesselink, La nuova cultura giuridica europea, trad. it., Napoli, 2005, 111-112. 41 Hesselink, The New European Legal Culture – Ten Years On, in Towards a European Legal Culture, a cura di Helleringer e Purnhagen, cit., p. 17. 40

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essere facilmente superate42. Il divario maggiore sarebbe quello intercorrente tra civil law e common law. Tuttavia, spingendo oltre questo modo di ragionare, si potrebbe persuasivamente sostenere che anche all’interno della tradizione di civil law l’intrinseca pluralità delle storie giuridiche nazionali impedisce la fusione delle diverse culture giuridiche in un’unica, comune cultura europea dai caratteri omogenei. Contro quest’ultima tesi sono state sollevate diverse obiezioni43, tra le quali l’argomento per cui essa sembrerebbe presupporre una nozione di cultura (giuridica) rigida e monolitica, presentata come se fosse internamente coerente e storicamente immutabile, sottratta a trasformazioni e “negoziazioni identitarie”’. Un’idea, questa, che parrebbe oggi difficilmente accettabile nello stesso ambito dell’antropologia culturale44. Basta riflettere sugli imponenti cambiamenti impressi tanto dal processo di europeizzazione, quanto dalla globalizzazione dell’offerta dei servizi giuridici45, per capire quanto sia diverso il panorama rispetto a quello di appena vent’anni fa. La formazione del giurista ha subito una profonda trasformazione non soltanto in conseguenza del successo dei programmi Erasmus46 e della graduale introduzione di modelli di

Legrand, European Legal Systems are not Converging, 45 International and Comparative Law Quarterly, 52 (1996); Id., Against a European Civil Code, 60 The Modern Law Review, 44 (1997); Id., A Diabolical Idea, in Towards a European Civil Code, a cura di Hartkamp et al., 3a ed., Nijmegen, 2004, p. 245. 43 Zeno-Zencovich, Il “codice civile europeo”, le tradizioni giuridiche nazionali e il neo-positivismo, in Foro it., 1998, V, p. 60. 44 Mann, (Legal) Culture in the European Union and the United States, cit., p. 57-58. 45 Grødeland e Miller, European Legal Cultures in Transition, cit., 1314; Jayme, Die kulturelle Dimension des Rechts – ihre Bedeutung für das Internationale Privatrecht und die Rechtsvergleichung, in 67 RabelsZ 211 (2003). 46 Horspool, Erasmus. Past, Present and Future, in F. Amtenbrink, G. Davies, D. Kochenov-J. Lindeboom (a cura di), The Internal Market and the Future of European Integration: Essays in Honour of Laurence W. Gormley, Cambridge, 2019, 288. 42

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educazione transsistemica47, ma anche del notevole successo dello “stile americano” nei programmi post-laurea (banalmente, l’alto numero di professori tedeschi di nuova nomina che annoverano nel proprio curriculum un L.LM rilasciato da una law school statunitense ne è un segno inequivocabile)48. Lo stesso è a dirsi per la fascia alta della professione forense, e cioè l’organizzazione e la matrice culturale degli studi legali più grandi, la quale riflette chiaramente la tendenza verso una «globalizzazione del modello di legal practice anglosassone»49. Reti transnazionali di giudici, avvocati e ovviamente accademici sono state create e sono diventate sempre più effettive nell’influenzare l’attività quotidiana del giurista, il legal process, il sistema di apprendimento e insegnamento del diritto50. Sono state create nuove riviste e composti manuali istituzionali con un esplicito orientamento transnazionale51. I programmi di finanziamento delle istituzioni europee (come Horizon2020, ERC, ecc.) hanno promosso metodi di ricerca interdisciplinari con un forte potenziale innovativo, marginalizzando così i

Heringa, European Legal Education: The Maastricht Experience, 29 Penn State International Law Review, 81 (2010), 91-92; Ancel, Quelle place pour le droit national dans l’enseignement du droit en Europe?, in Revue de droit de l’Université de Sherbrooke, 43 (2003); Id., Towards a New Model of Legal Education: The Special Case of Luxembourg, in The Internationalisation of Legal Education, in The Internationalisation of Legal Education, a cura di Jamin e van Caenegem, Cham, 2016, p. 195. 48 In tema Stürner, How International Should the German Einheitsjurist Be?, in The Internationalisation of Legal Education, a cura di Jamin e van Caenegem, cit., p. 115, 118. 49 Pistor, The Code of Capital: How the Law Creates Wealth and Inequality, Princeton, 2019, p. 177-178; Jamin e van Caenegem, The Internationalisation of Legal Education: General Report for the Vienna Congress of the International Academy of Comparative Law, 20-26 July 2014, in The Internationalisation of Legal Education, a cura di Jamin e van Caenegem, cit., 9. 50 Sull’importanza di tali reti Vettori, La funzione del diritto privato in Europa, in Persona e mercato, 2018, p. 143, 146. 51 Per alcuni esempi Zimmermann, Comparative Law and the Europeanization of Private Law, in The Oxford Handbook of Comparative Law, a cura di Reimann e Zimmermann, 2a ed., Oxford, 2019, p. 567 ss., 574. 47

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progetti di ricerca più tradizionali incentrati sulla mera descrizione o sistematizzazione del diritto positivo vigente52. Insomma, anche se è difficile affermare che sia emersa una cultura giuridica autenticamente europea, sicuramente sarebbe difficile sostenere che il divario tra le culture locali sia così ampio da impedire fenomeni palesi o nascosti di métissage e di fusione. Piuttosto, la giustapposizione di nodi locali più tradizionali con un tessuto transnazionale di crescente solidità dà origine a una rete multistrato che si caratterizza per la sua intrinseca complessità, come è tipico della cosiddetta identità europea53. Alla luce di queste considerazioni, è possibile tornare alla domanda iniziale su cosa sia “europeo” nella cultura del giusprivatista europeo. La risposta sembra essere dettata dalla posizione assunta da ciascun osservatore in merito all’alternativa tra una prospettiva “cosmopolita” e una “romantica” sulla cultura giuridica54. Partendo dal presupposto “anti-illuminista” dell’incommensurabilità delle culture locali, è giocoforza propendere per una lettura restrittiva della nozione di “cultura giusprivatistica europea”. Questa si limiterebbe, sul piano oggettivo, al diritto privato dell’Unione europea, che di per sé copre un ambito tematico dei rapporti di diritto privato ben più circoscritto rispetto al diritto privato nazionale (si veda infra, par. 4); e, sul piano soggettivo, principalmente alla “cultura” dell’élite europea di funzionari delle istituzioni, giudici delle corti sovranazionali, accademici e altre persone direttamente coinvolte

È significativo notare, da questo punto di vista, che il diritto non ha una posizione autonoma all’interno dei panel ERC (la cui classificazione è stata presa a parametro per l’organizzazione del finanziamento nazionale della ricerca, ad esempio per i programmi PRIN), ma è diviso all’interno di singoli sotto-settori, di cui SH2_4 è probabilmente il più rilevante. Per le questioni epistemologiche implicate da tale classificiazione Howarth, Is Law a Humanity? (Or is it more like Engineering?), 3 Arts & Humanities in Higher Education 9 (2004). 53 In proposito, volendo, G. Resta, Beethoven’s Ninth and the Quest for a European Identity. A Law & Music Perspective, in Law & the Opera, a cura di Colombo ed Annunziata, Berlin-New York, 2018, p. 361, 362, 372-373. 54 Dedek, When Law Became Cultivated: ‘European Legal Culture’ Between Kultur and Civilization, cit. 52

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nello sviluppo o nell’implementazione del diritto dell’UE55. A prima vista, ciò restituirebbe una maggiore coerenza interna alla nozione in discorso, che verrebbe a definirsi sul piano contenutistico da una serie precisa di caratteri, quali il funzionalismo, l’anticoncettualismo, l’empirismo, l’orientamento al mercato, ecc.56 In particolare, diversi autori hanno posto l’accento sulla relazione interocrrente tra il modello UE di stato-mercato e le caratteristiche della sua cultura giuridica: «[t]he legal culture we see developing encompasses two features: first, the goal of regulation changes from the aim to provide welfare-state features to the creation and management of a market, where market-features become dominant. Second, the regulatory tools change from those of top-down regulation to tools that deliberately use market-mechanisms to influence behavior. Both of these, we argue, have developed to become cornerstones of a decentralized European legal culture»57. Tuttavia, tale coerenza interna non dovrebbe essere sopravvalutata. Basterebbe confrontare l’atteggiamento delle persone che lavorano in alcune delle direzioni generali della Commissione con la rete di esperti di protezione dei dati, per capire come dietro lo schermo di una cultura giuridica funzionalistica e orientata al mercato possano celarsi attitudini molto diverse nei confronti della tecnica giuridica e delle scelte di valore a questa sottese58. Come sempre, bisogna stare attenti a non cadere nella trappola dell’identità, guardandosi da posizioni troppo nette circa la coerenza interna e la resistenza al cambiamento dei tratti culturali. I processi di integrazione identitaria, ibridazione, resistenza e conflitto sono sempre

Sull’atteggiamento dei giudici europei v. Grødeland e Miller, European Legal Cultures in Transition, 5 e gli autori ivi citati. 56 Micklitz, The (Un)-Systematics of Private Law as an Element of European Culture, cit., p. 97-99, con riferimento alla fiducia nello “stato-mercato” come contrapposto alle culture giuridiche nazionali, legate all’idea dello “stato-nazione”. 57 Afilalo, Patterson e Purnhagen, Statecraft, the Market State and the Development of European Legal Culture, in Towards a European Legal Culture, a cura di Helleringer e Purnhagen, cit., p. 279. 58 Per diversi esempi, Grødeland e Miller, European Legal Cultures in Transition, cit., p. 16. 55

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troppo importanti e sottili essere pretermessi o lasciati ai margini della discussione59. D’altra parte, se l’attenzione viene traslata sull’interazione tra culture giuridiche locali e sovranazionali, lo sguardo non dovrà esser rivolto unicamente alle sempre più importanti reti di accademici e professionisti del diritto, che danno ormai vita a una nuova “sfera pubblica giuridica” a livello europeo60. Ancora più rilevante si rivela il ruolo svolto dagli accademici quali propulsori silenziosi del processo di europeizzazione, in particolare in ragione della loro posizione privilegiata all’interno del meccanismo di formazione del giurista61. Come sottolineato diversi anni fa da Hein Kötz e Antonio Gambaro, non ci sarà mai una vera armonizzazione del diritto in Europa se questa si limiterà alle sole black letter rules62.

5. Diritto privato europeo come complesso di norme Sin qui si è ragionato sulla prima accezione del diritto privato come “cultura delle regole”. La seconda declinazione del sintagma si appunta invece sul contenuto sostanziale del “diritto privato europeo”, inteso come l’intero corpus di norme, principi e dispositivi istituzionali, derivanti da una pluralità di fonti e formanti all’opera in Europa63. Anche da questo punto di vista, però, la nozione in

Sul punto ampiamente Micklitz, The (Un)-Systematics of Private Law as an Element of European Culture, cit., p. 100. 60 Particolarmente importante da questo punto di vista è il contributo di von Bogdandy, Was ist Europarecht? Eine Fortschreibung von Begriff und Disziplin, in JZ, 2017, p. 589, 590-593. 61 Gambaro, ‘Iura et leges’ nel processo di edificazione di un diritto privato europeo, cit., p. 999 ss. 62 Kötz, Gemeineuropäisches Zivilrecht, in Festschrift für Konrad Zweigert, Tübingen, 1981, 481; Gambaro, La formazione del giurista in Europa, in Cont. e imp./Eur., 2002, p. 796; Id., ‘Iura et leges’ nel processo di edificazione di un diritto privato europeo, cit. 63 Sul pluralismo delle fonti, Mak, Pluralism in European Private Law, in 20 Cambridge Yearbook of European Legal Studies, 202 (2018); Smits, Plurality of Sources in European Private Law, or: How to Live with Legal Diversity?, in The Foundations Of European Private Law, a cura di 59

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oggetto è in sé anfibologica e deve essere decodificata: letture minimaliste coesistono con concezioni più ampie64. Per definire con più precisione l’ambito di riflessione, sembra utile restringere il perimetro della nozione secondo due diversi assi, quello verticale e quello orizzontale. 5.1. Dimensione verticale Consideriamo dapprima la dimensione verticale, che collega lo strato sovranazionale con quello nazionale e subnazionale. La parola “europeo” viene per lo più utilizzata in questo contesto come sinonimo di “Unione europea”. Pertanto, le fonti del diritto privato europeo sarebbero costituite principalmente dal diritto primario e secondario dell’Unione europea, nonché dal corpus giurisprudenziale della Corte di giustizia europea. Lo studio del diritto privato europeo, da questo punto di vista, dovrebbe appuntarsi sull’«impatto del diritto di fonte legislativa e giurisprudenziale dell’Unione europea (UE) sul diritto privato»65. In alternativa a una siffatta impostazione, potrebbe adottarsi una prospettiva di tipo bottom-up, tesa ad indagare le interazioni tra il diritto privato dei singoli ordinamenti, il suo “nucleo comune”, e l’intero spettro del diritto europeo66. Il progetto pluriennale sul common core del diritto privato europeo coordinato da M. Bussani e U. Mattei ne è un chiaro esempio67. Tale impianto analitico

Brownsword, Micklitz, Niglia e Weatherill, Oxford, 2011, p. 323. 64 Cfr. Schulze, Le droit privé commun européen, in Rev. int. dr. comp., 1995, p. 7, 8; Id., Contours of European Private Law, in Schulze e SchulteNölke, European Private Law – Current Status and Perspectives, Munich, 2011, p. 3; Zeno-Zencovich, Ma cos’è il diritto privato europeo?, cit.; Alpa, Il diritto privato europeo, cit.; Lipari, Diritto privato e diritto privato europeo, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 2000, p. 7. 65 Twigg-Flesner, Introduction: key features of European Union private law, in Cambridge Companion to European Union Private Law, a cura di Twigg-Flesner, Cambridge, 2010, p. 1; Benacchio, Diritto privato della Unione Europea. Fonti, modelli, regole, Padova, 2013. 66 V. ad es. European Private Law. A Handbook, a cura di Bussani e Werro, Brussels-Athens-Berne, 2009. 67 Bussani e Mattei, The Common Core Approach To European Priva-

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avrebbe il vantaggio non marginale di allargare la nozione di Europa al di là della sua dimensione strettamente politica per includerne le componenti culturali: tipicamente, il diritto svizzero (che ha avuto storicamente una forte influenza sullo sviluppo del diritto privato in Europa, sia sotto il profilo metodologico sia su quello contenutistico, come evidenziato dalla questione del risarcimento del danno non patrimoniale), diverrebbe a pieno titolo oggetto di analisi68. Tuttavia, i due approcci non si escludono a vicenda. In effetti, il rapporto tra il livello nazionale e quello europeo è circolare. Come hanno dimostrato decine di studi, (alcuni) modelli giuridici nazionali ispirano la normativa forgiata a Bruxelles, la quale a sua volta finisce per influenzare – talora creando fenomeni di “irritazione”69 – l’ordinamento giuridico nazionale, con un processo circolare e auto-riproducentesi70. Tuttavia, la tradizionale distinzione tra ius communitatis e ius commune71, sancita rispettivamente nel progetto Acquis della Commissione Europea e nel Draft Common Frame of Reference, risulta da questo punto di vista fin troppo riduttiva. Il quadro analitico merita infatti di essere allargato includendo quanto meno un ter-

te Law, in 3 Columbia Journal of European Law 339 (1997/1998); sulla stessa linea, in ordine al diritto amministrativo, della Cananea, Il nucleo comune dei diritti amministrativi in Europa. Un’introduzione, Napoli, 2019, p. 49 ss. 68 Zeno-Zencovich, Ma cos’è il diritto privato europeo?, cit., p. 1256. 69 Teubner, Legal Irritants: How Unifying Law Ends up in New Divergences, in Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Comparative Advantage, a cura di Hall e Soskice, Oxford, 2010, p. 417 ss. 70 Zeno-Zencovich, Ma cos’è il diritto privato europeo?, cit. p. 1257 ss.; Alpa, Problemi e prospettive del “diritto privato europeo”, in Diritto privato europeo. Fonti ed effetti, a cura di Alpa e Danovi, Milan, 2004, p. 9, 12. 71 Su questa dicotomia e il suo significato Grundmann, Ius Commune und Ius Communitatis - ein Spannungsverhältnis, in Festschrift für Fikentscher, Tübingen 1998, p. 671; Michaels, Of Islands and the Ocean: The Two Rationalities of European Private Law, in The Foundations Of European Private Law, a cura di Brownsword, Micklitz, Niglia e Weatherill, Oxford, 2011, 139; v. anche Somma, Diritto comunitario vs. diritto comune europeo, Torino, 2003.

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zo pilastro, costituito dal materiale normativo prodotto nell’ambito del Consiglio d’Europa. Le numerose Convenzioni COE – e tra queste in primis la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – e l’ampia gamma di Raccomandazioni e Dichiarazioni emanate dal Consiglio, insieme all’imponente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, hanno esercitato negli ultimi decenni notevole influenza sullo sviluppo del diritto privato in Europa72. Non soltanto nei settori più direttamente incisi dall’innovazione tecnologica, come la privacy e la ricerca biomedica, ma anche guardando al nucleo del diritto privato tradizionale, gli sviluppi impressi dal diritto sovranazionale e soprattutto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sono stati cruciali. Basti citare il diritto della proprietà in Italia73, o la materia dei diritti della personalità in Germania e nel Regno Unito74, per comprendere la straordinaria importanza di questa componente del diritto privato europeo. 5.2. Dimensione orizzontale Sul piano orizzontale, la questione attiene alla definizione degli ambiti dell’esperienza giuridica coinvolti da ciò che definiamo “diritto privato europeo”. Se si opta per una definizione più restritiva della nozione di “europeo”, come sopra illustrato (§ 4.1.), l’attenzione verrà necessariamente a concentrarsi sui settori più direttamente e intensamente influenzati dalla normativa UE. Tra questi si annoverano il

Con particolare riguardo alla CEDU, Schaefer, Die Europäische Menschenrechtskonvention als Faktor der europäischen Integration, in EuR, 2017, p. 80; The European Court of Human Rights. Implementing Strasbourg’s Judgments on Domestic Policy, a cura di Anagnostou, Edinburgh, 2013; Il diritto privato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Nuova giur. civ., 2016, 1. 73 Iannarelli, La proprietà e i suoi limiti nello spazio giuridico europeo, in I diritti fondamentali in Europa e il diritto privato a cura di Caggia e Resta, Roma, 2019, p. 165; Praduroux, Property and Expropriation: Two Concepts Revisited in the Light of the Case Law of the European Court of Human Rights and the European Court of Justice, 8 European Property Law Journal 172 (2019). 74 Giliker, The Influence of EU and European Human Rights Law on English Private Law, in 64 Int. Comp. L. Q. 237 (2015), at 246-249; Fenwick e Phillipson, Media Freedom under the Human Rights Act, Oxford, 2006. 72

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diritto della concorrenza, il diritto commerciale, il diritto dei consumatori, la responsabilità civile75, nonché la tutela dei dati personali, la disciplina dei rapporti digitali e la proprietà intellettuale76. Un chiaro esempio di questo approccio è offerto dall’importante volume di Hans Micklitz su The politics of justice in European private law77. In apertura l’A. chiarisce che, ai fini del suo discorso, il diritto privato è inteso come diritto dell’economia (“economic law”). «It covers contract and tort as well as labour law, nondiscrimination law and consumer law»78. Di conseguenza, lo studio del diritto privato europeo – e quindi la disamina dei suoi tratti distintivi – dovrebbe riguardare principalmente le regole e gli assetti istituzionali promananti dall’UE e specificamente occuparsi della regolazione dei rapporti di mercato. In altri termini, il diritto privato europeo verrebbe sostanzialmente a coincidere con ciò che è comunemente definito «diritto privato regolatorio»79. Una siffatta impostazione ha il vantaggio di rendere l’oggetto dell’analisi meno eterogeneo e più governabile. Tuttavia, limitare il discorso ai soli settori più specificamente interessati alla circolazione (e quindi alla redistribuzione) della ricchezza, come il diritto commerciale e il diritto dei consumatori, lasciando da parte quei segmenti del diritto privato che si occupano direttamente della produzione (e dell’allocazione originaria) della ricchezza, come il diritto di proprietà, potrebbe sembrare insoddisfacente. Alla luce di quanto sopra, è preferibile adottare una prospettiva più ampia, non limitando l’analisi alle materie più direttamente

Schulze, Contours of European Private Law, cit., p. 6. V. ad es. Benacchio, Diritto privato della Unione Europea. Fonti, modelli, regole, cit., p. 199-535. 77 Micklitz, The Politics of Justice in European Private Law. Social Justice, Access Justice, Societal Justice, Cambridge, 2018, p. 4. 78 Ibid., p. 4. 79 Micklitz, The Politics of Justice, cit., p. 161 ss.; Zoppini, Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, in Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, a cura di Maugeri e Zoppini, Bologna, 2009, p. 9; Sirena, Il diritto dei contratti nello spazio giuridico europeo, in Le «libertà fondamentali» dell’Unione Europea e il diritto privato, a cura di Mezzanotte, Roma, 2016, p. 121. 75 76

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incise dalla normativa comunitaria, ma avendo riguardo all’intero spettro del diritto privato (comprensivo anche del diritto delle persone, della famiglia, della proprietà e del diritto successorio).

6. Cosa è tipicamente “europeo”? Prospettive interne o esterne Definito il perimetro della nozione di diritto privato europeo, possiamo tornare alla questione iniziale. Cosa c’è di tipicamente “europeo” in un simile conglomerato di regole, principi e assetti istituzionali? Tralasciando la forma – carattere non sistematico, struttura multilivello, plurilinguismo, etc.80 – e guardando soltanto agli aspetti contenutistici, si possono distinguere due diversi approcci analitici: uno di carattere “interno” al diritto, ed uno “esterno” ad esso. Secondo il più consueto modo di ragionare, bisognerebbe muovere dal diritto vigente – inteso nella totalità dei suoi formanti – per enucleare una serie di regole e principi cardine, che potrebbero poi essere sistematizzati e assunti come paradigmatici di un peculiare approccio europeo al diritto privato. Una chiara esemplificazione di tale prospettiva è offerta dal libro di Norbert Reich su General Principles of EU Civil Law”81. Ad esito di un’ampia panoramica, Reich isola e discute sette principi fondamentali del diritto civile dell’UE: a) autonomia “controllata” (fondata sugli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti UE); b) protezione della parte debole (soprattutto nel diritto del lavoro e dei consumatori); c) non discriminazione; d) effettività delle tutele; e) contemperamento di interessi contrapposti; f) proporzionalità; g) buona fede82. In modo analogo, si può richiamare quanto osservato da Hans Micklitz,

Su forma e stile del diritto privato europeo Zeno-Zencovich, Ma cos’è il diritto privato europeo?, cit., p. 1261; Micklitz, The (Un)-Systematics of Private Law as an Element of European Culture, cit., p. 86-87; Id., The Politics of Justice, cit., p. 246 ss. 81 Reich, General Principles of EU Civil Law, Cambridge, 2013, p. 1 ss. 82 Per una prospettazione sintetica, Reich, General Principles and Fundamental Rights in EU Civil Law, Revista romana de drept European (RRDE), 2014, p. 88. 80

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nel volume già citato in precedenza, secondo cui: «the key features around which the European private law shall be built are the rationality test rooted in Cassis de Dijon; shared public-private competences and responsibilities between the EU, the Member States and private business; and, last but not least, the fragmentation of the legal status of the person with implications for justice and legal consciousness»83. In alternativa ad un’analisi condotta dall’interno, per il tramite di categorie analitiche e tassonomie proprie del bagaglio teorico del giurista europeo, si potrebbe anche optare per un punto di vista diverso, che si focalizzi sul ruolo specifico svolto dal diritto privato nel quadro del più generale assetto socio-economico, a livello nazionale o sovranazionale. Mentre la prima prospettiva è principalmente interna al sistema giuridico ed è del massimo rilievo per la comunità dei giuristi, la seconda è almeno in parte esterna e si apre al contributo degli scienziati sociali. Il saggio di James Whitman sul contrasto tra i modelli orientati all’offerta (producerism) e alla domanda (consumerism) ne è un buon esempio84. Prospettive

Micklitz, The Politics of Justice, cit., p. 162. Secondo Whitman, Consumerism versus Producerism: A Study in Comparative Law, 117 Yale L.J. 340 (2007), uno studio comparativo conoscitivamente utile dovrebbe essere finalizzato alla comprensione del ruolo specifico svolto dal diritto nei diversi sistemi socio-economici, e precisamente dei valori profondamente radicati che orientano le scelte di policy dei diversi contesti. Il diritto europeo, da questo punto di vista, sarebbe rappresentativo di un orientamento di policy prevalentemente orientato verso il lato dell’offerta, mentre il diritto americano sarebbe esemplificativo dell’orientamento opposto (ma v. più recentemente, con riferimento al “consumerist turn” nel diritto europeo della concorrenza, Mulder, The Trasformative Socio-Economic Effects of EU Competition Law. From Producerism to Consumeris, in The Law of Political Economy: Transformation in the Function of Law, a cura di Kjaer, Cambridge, 2020, p. 255 ss.). Tale quadro analitico permette di spiegare il diverso peso attribuito agli interessi dei produttori (lavoratori, concorrenti, autori e inventori, ecc.) e quelli dei consumatori in varie parti del sistema, quali antitrust, concorrenza sleale, diritto del lavoro, proprietà intellettuale, protezione del consumatore. Una tale classificazione metterebbe automaticamente fuori gioco tassonomie alternative e più tradizionali, come quelle incentrate sulle fonti del diritto (ad esempio common law v. civil law), le quali hanno il massimo rilievo per i professionisti del diritto, ma sono molto meno 83 84

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interne ed esterne non si escludono a vicenda, ma possono essere fruttuosamente integrate al fine di comprendere meglio cosa sia “europeo” nel diritto privato europeo. In particolare, considerata la marcata strumentalità del diritto privato dell’UE (inteso in senso stretto) rispetto ad uno specifico insieme di obiettivi macroeconomici, e cioè la costituzione di uno spazio economico unitario altamente competitivo (“diritto privato regolatorio”)85, appare necessario sfiorare la questione generale, molto complicata, del rapporto tra diritto privato europeo e modello europeo di capitalismo.

7. Diritto privato e “capitalismo europeo” Pur nei limiti di qualche breve cenno, il tema del rapporto tra diritto privato e capitalismo europeo impone di chiarire due premesse. In primo luogo, il discorso muove dall’assunto che i mercati moderni siano essenzialmente una costruzione giuridica86 e che il diritto “plasma e rimodella il comportamento di mercato”87. Nonostante la finanziarizzazione dell’economia e il crescente divario tra mercati e politica, vi sono ancora ottime ragioni per credere nella “capacità del diritto di influenzare i comportamenti di mercato”88 e, quindi, nello stretto rapporto intercorrente tra uno specifico sistema economico e i caratteri del diritto. Il diritto privato svolge a tal riguardo un ruolo particolare, poiché – come ha ben scritto Bernard Lomfeld – la sua funzione primaria non consiste soltanto nel

significative per gli scienziati sociali interessati a comprendere il ruolo svolto dal diritto come sistema di controllo sociale, atto anche a plasmare il funzionamento dei sistemi socio-economici. 85 Micklitz, The Politics of Justice, cit., p. 180 ss., 246 ss.; Id., The Transformation of Private Law Through Competition, 22 Eur. L.J. 627 (2016). 86 Fra gli altri Pistor, The Code of Capital: How the Law Creates Wealth and Inequality, Princeton, 2019, p. 6 ss. 87 Lomfeld, Epilogue: the power of law to reshape markets, in Reshaping Markets. Economic Governance, the Global Financial Crisis and Liberal Utopia, a cura di Lomfeld, Somma e Zumbansen, Cambridge, 2017, p. 347. 88 Lomfeld, Epilogue: the power of law to reshape markets, cit., p. 348.

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“limitare o redistribuire gli outputs del mercato, ma nel costituire il meccanismo di mercato in quanto tale. Gli istituti fondamentali del diritto privato, come la proprietà o il contratto non soltanto costituiscono, ma possono anche ri-modellare i mercati”89. In secondo luogo, andando oltre la distinzione – usuale nel dibattito sulle varietà del capitalismo – tra economie di mercato liberali e coordinate90, si condivide l’idea, espressa da molti studiosi, che il modello europeo di capitalismo abbia caratteristiche specifiche, che lo rendono distinguibile da altri modelli e che quindi tale categoria possa essere validamente usata per fini tassonomici91. Secondo Franco Amatori, tale modello si baserebbe su quattro pilastri principali: a) cooperazione contrattuale tra imprese per il controllo dei mercati; b) imprese di limitate dimensioni e egemonia dell’impresa familiare; c) presenza attiva dello Stato nell’economia; d) movimento operaio che condivide l’idea di usare il potere per cambiare la società92. Questa non è ovviamente l’unica descrizione possibile del modello europeo di capitalismo, né è detto che sia la più convin-

Ibid. Per un’introduzione Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Comparative Advantage, a cura di Hall e Soskice, Oxford, 2010; Streeck, E Pluribus Unum? Varieties and Commonalities of Capitalism, in The Sociology of Economic Life, a cura di Granovetter e Swedberg, 3a ed., Westview, Boulder (Col.), 2011, p. 419; Westra, Badeen e Albritton, The Future of Capitalism After the Financial Crisis. The Varities of Capitalism Debate in the Age of Austerity, London, 2014. 91 Circa i problemi concettuali insiti nell’assunzione dell’Europa (e così della società o dell’economia europea) come unità analitica v. Martinelli, The European Union and the United States as two variants of Western modernity, in Transatlantic Divide. Comparing American and European Society, a cura di Martinelli, Oxford, 2007, p. 1 ss.; Beyond Varities of Capitalism: Conflicts, Contradictions, and Complementarities in the European Economy, a cura di Hancké, Rhodes e Thatcher, Oxford University Press, Oxford, 2007; per una diversa e più tradizionale prospettiva, Schmidt, The Future of European Capitalism, Oxford, 2002. 92 Amatori, In Search of European Capitalism, accessibile all’indirizzo https://www.economia.unicampania.it/images/eventi/Amatori_EuropeanCapitalism_draft_March2018.pdf; Id., Alla ricerca del capitalismo europeo, in Economia e management, 2020, 1, p. 71-76. 89 90

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cente. Tuttavia, ciò che qui interessa maggiormente è la possibilità di traslare l’attenzione dalle varietà (nazionali) del capitalismo alla categoria sovraordinata ed omogenea del capitalismo europeo93. Alla luce di quanto sopra, è più facile esprimere alcune considerazioni generali sul ruolo del diritto privato nel governo del mercato, e precisamente nella definizione di una peculiare “via europea” al capitalismo. I contributi seminali di Hans Micklitz94 e Giuseppe Vettori95 sul diritto contrattuale, sui valori costituzionali e i modelli di giustizia offrono indicazioni specifiche sul tema e sono d’ausilio per distinguere due aspetti principali del problema, i quali attengono al ruolo del diritto: a) nel plasmare i caratteri dei mercati e perseguire una qualche forma di giustizia distributiva; b) nello stabilire i confini tra sfera del mercato e sfera non mercantile. Entrambe queste dimensioni si rivelano particolarmente importanti ove si adotti il quadro analitico perfezionato da Karl Polanyi, ed in particolare la sua lettura dei rapporti tra l’economia e le altre sfere sociali96. Secondo Polanyi, ogni operazione di comparazione tra sistemi sociali ed economici, sia essa di tipo sincronico o diacro-

Zeno-Zencovich, Comparative Legal Systems. An Introduction, Roma, II ed., 2019; Marini, Diritto e politica. La costruzione delle tradizioni giuridiche nell’epoca della globalizzazione, in Polemos, 2010, p. 31 ss., 34. 94 Tra i più recenti contributi, Micklitz, The Politics of Justice, passim; Id., The Transformative Politics of European Private Law, in The Law of Political Economy: Transformation in the Function of Law, Cambridge, a cura di Kjaer 2020, p. 205; Id., The ‘New’ European Private Law, in The Internal Market and the Future of European Integration: Essays in Honour of Laurence W. Gormley, a cura di Amtenbrink, Davies, Kochenov e Lindeboom, Cambridge, 2019, p. 578; Id., The Transformation of Private Law Through Competition, 22 Eur. L.J. 627 (2016). 95 Vettori, The Fair Contract in the Constitutional System: Principles as an Imperative Content of Codified Rules in the Italian Case-Law, in European Review Of Contract Law, 2016, p. 1; Id., Il contratto europeo fra regole e principi, Torino, 2016; Id., Diritto dei contratti e ‘Costituzione’ europea. Regole e principi ordinanti, Milan, 2005; Id., Diritto privato e ordinamento comunitario, Milano, 2009; Id., Il diritto privato europeo fra legge, Corti e diritti. 96 Frerichs, Karl Polanyi and the Law of Market Society, 44 Österreichische Zeitschrift für Soziologie 197 (2019); G. Resta, L’istituzionalismo di Karl Polanyi e il suo valore attuale, in Pol. e soc., 2020, p. 279. 93

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nico, che aspiri ad esiti conoscitivamente validi, dovrebbe muovere da una domanda fondamentale: qual è il “la posizione occupata dall’economia nella società nel suo insieme, ossia il cambiamento del rapporto tra le istituzioni economiche e quelle non economiche nell’ambito di una determinata organizzazione sociale” 97. Focalizzando l’analisi sulle democrazie liberali occidentali, l’indagine sul ruolo specifico dell’economia dovrebbe dipanarsi lungo l’asse concettuale embedded/disembedded, là dove “embedment” significa essenzialmente il modo in cui le istituzioni non economiche modellano il funzionamento del meccanismo di mercato98. Tale assunto può essere riformulato avanzando l’ipotesi – sulla falsariga di Stefano Rodotà99 – che gli ordinamenti giuridici contemporanei differiscono fondamentalmente sulla base delle risposte date a due questioni fondamentali: a) quale sia l’estensione oggettiva della sfera di mercato (cosa c’è dentro e fuori lo spazio rimesso al mercato); b) il tipo di dispositivi di protezione volti a impedire che i mercati producano effetti distorsivi sulla società. Osservando la letteratura sul diritto privato europeo (e più specificamente sul diritto privato dell’UE) sembra che l’accento sia stato posto quasi esclusivamente su quest’ultimo tema. Molti e importanti studi hanno affrontato la questione se ed entro quali limiti il diritto euro-unitario replichi, o al contrario stravolga, i modelli di giustizia sociale adottati dagli ordinamenti nazionali100. Esiste un ampio consenso sul presupposto che il passaggio dallo stato-nazione allo stato-

Polanyi, Storia economica generale, in K. Polanyi, Per un nuovo Occidente. Scritti 1919-1958, a cura di G. Resta e Catanzariti, Milano, 2013, p. 175. 98 Sull’idea di “embedded economy”, Polanyi, The Economy as Instituted Process, in Polanyi, Arensberg e Pearson, Trade and Market in the Early Empires. Economies in History and Theory, New York, 1957, p. 243; Id., La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Torino, 1974, p. 74. Sulle implicazioni attuali Cangiani, Karl Polanyi’s Institutional Theory: Market Society and Its ‘Disembedded’ Economy, 45 Journal of Economic Issues 177 (2011). 99 Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, 2a ed., Bologna, 1990, p. 15; Id., Le proprietà comuni dell’umanità, in Le strutture del capitalismo e l’impresa nella società contemporanea, Milano, 1991, p. 262, 266. 100 Micklitz, The Politics of Justice, cit., p. 161 ss. 97

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mercato abbia profondamente e irreversibilmente alterato il modello sociale che ha contraddistinto il diritto privato classico, portando all’emergere di assetti post-classici ispirati alla logica dell’«accessjustice»101. Ciò è immediatamente evidente se si guarda ai settori maggiormente interessati dagli atti normativi comunitari, ovvero il diritto dei consumatori, il diritto del lavoro e il diritto della non discriminazione; settori in cui il diritto privato è stato conformato “come strumento per istituire un accesso equo al mercato, compensando le asimmetrie informative e depurando il mercato da condizioni, termini e procedure inique che ne bloccano l’accesso”102. Tali analisi non solo hanno svelato alcuni tratti distintivi del modello sovranazionale di giustizia, ma hanno anche chiarito in che misura l’approccio europeo differisca da altri approcci al governo del mercato, come quello statunitense, come chiaramente evidenziato dall’esempio della tutela del consumatore e dal diritto dei contratti103. Tuttavia, per una valutazione più completa del-

Micklitz, The Politics of Justice, cit., 16-18, p. 390. Micklitz, The Politics of Justice in European Private Law, cit., p. 20. 103 L’esempio della tutela dei consumatori illustra bene il differente peso attribuito alla fiducia nei mercati autoregolantesi, nonché la differente idea della soggettività del consumatore: come notato da Daniela Caruso, The Baby and the Bath Water: The American Critique of European Contract Law, 61 Am. J. Comp. L. 479 (2013), mentre il pensiero giuridico americano «assumes the inherent efficiency of markets and holds pro-consumer rules to prohibitively high justification standards», l’approccio europeo non è preordinato unicamente a perseguire l’efficienza economica (attraverso l’eliminazione dei fallimenti del mercato connessi alle asimmetrie informative), ma anche ad assicurare un alto livello di tutela per gli interessi economici e non economici del consumatore. Come pure chiarito da Whitman, Consumerism versus Producerism, p. 367, «if we define the consumer interest as an economic interest in having the widest available range of goods at the lowest possible prices, then consumer protection legislation operates against consumer economic interests. After all, consumer protection legislation eliminates one class of goods – goods that are relatively unsafe or relatively low-quality, but also relatively cheap – that would otherwise have been available for consumers to choose». Su questo tema v. Afilalo, Patterson e Purnhagen, Statecraft, the Market State and the Development of European Legal Culture, cit., p. 296297; Micklitz, Il consumatore: mercatizzato, frammentato, costituzionalizzato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, p. 859. 101 102

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la posizione del diritto privato europeo, vale la pena considerare anche la prima delle due questioni precedentemente menzionate.

8. Quale “disciplinamento” dei mercati? Mentre il diritto contrattuale, la tutela dei consumatori e il diritto antidiscriminatorio si occupano essenzialmente dell’allocazione secondaria e della ridistribuzione della ricchezza all’interno dei mercati esistenti, gli ordinamenti giuridici contemporanei si trovano sempre più di fronte a una questione diversa e più generale, e cioè la demarcazione tra sfere del mercato e sfere non mercantili. La tendenza alla mercificazione universale mette a dura prova il sistema giuridico. Diversi beni e rapporti sociali, che erano tradizionalmente sotto il controllo di istituzioni non economiche, come la politica, la religione o l’etica, sono sempre più assorbiti dalla retorica del mercato e dal calcolo economico104. Di conseguenza, c’è una crescente pressione verso l’ampliamento della sfera di ciò che è appropriabile e alienabile105. Nuove “merci fittizie” esigono il riconoscimento e lo statuto proprietario, non diversamente da quanto avvenne agli albori della moderna era capitalistica, quando terra, lavoro e denaro – secondo l’illuminante ricostruzione di Polanyi – furono trasformati artificialmente in beni commerciabili106. Tra le nuove merci fittizie ci sono il corpo umano, aspetti della personalità, i rapporti sessuali, le emozioni e soprattutto i dati107.

Sandel, What Money Can’t Buy. The Moral Limits of Markets, New York, 2012; Satz, Why Some Things Should Not Be for Sale: The Moral Limits of Markets, Oxford-New York, 2010. 105 Cohen, Between Truth and Power: The Legal Construction of Informational Capitalism, Oxford, 2019, p. 15 ss.; Pistor, The Code of Capital, cit., p. 108 ss. 106 Polanyi, The Livelihood of Man, a cura di Pearson, New York, 1977, p. 10; Id., Our Obsolete Market Mentality. Civilization Must Find a New Thought Pattern, in 3 Commentary 109 (1947). 107 Cohen, Between Truth and Power, 48 ss.; v. in generale Jessop, Knowledge as a Fictitious Commodity: Insights and Limits of a Polanyian Perspective, in Reading Karl Polanyi for the Twenty-First Century. Market Economy as a Political Project, a cura di Buğra e Ağartan, New York, 2007, 104

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Sulla scia dell’espansione dei rapporti di mercato, l’ordinamento è il punto focale di due forze in competizione: da un lato la logica dell’autonomia privata e della libertà contrattuale, e dall’altro l’esigenza intrinseca di preservare – per richiamare la formula di Michael Walzer108 – “sfere di giustizia” funzionalmente differenti. Trovare un punto di equilibrio accettabile tra tali opposte pressioni è un compito ineludibile per il diritto, visto nel suo ruolo di strumento d’integrazione della società (e quindi per l’embedment dei mercati)109. Guardare al diritto privato e alle sue funzioni da questo specifico punto di vista, potrebbe fornire interessanti spunti comparativi e permettere di enucleare un insieme di caratteristiche meno apprezzate, ma comunque significative, del diritto privato europeo. Il confronto con il sistema giuridico statunitense, in particolare, è illuminante, dal momento che l’idea stessa di una sfera non di mercato può persino apparire discutibile, dal momento che la commercializzazione, come osserva lo storico Maury Klein, «rolled like a tsunami into every corner of American life»110. Più specificamente, Klein ha osservato, ad esito di un’affascinante retrospettiva sull’ascesa delle grandi imprese negli Stati Uniti nell’ultimo secolo, che «business historians have virtually ignored what may be the broadest and most profound movement of this half-century: the amazing irresistible tendency to transform every aspect of American life first into a business and then into a larger business. No institution, activity or value has escaped this relentless organising into some form of commerce. Some of the most obvious examples include the arts, politics, religion, education, sport, sex, entertainment, the family, childhood, and, of course, history»111. In modo simile, lo sto-

p. 115. 108 Walzer, Spheres of Justice. A Defense of Pluralism and Equality, New York, 1983. 109 Kjaer, The Law of Political Economy. An Introduction, in The Law of Political Economy: Transformation in the Function of Law, a cura di Kjaer, Cambridge, 2020, 1, p. 12. 110 Klein, Coming full circle. The study of big business since 1950, in 2 Enterprise & Society, 425 (2001), p. 454. 111 Ibid.

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rico dell’economia Harm Schröter ha elencato cinque aspetti che possono essere considerati distintivi del sistema socio-economico americano: «1. An extremely strong and positive role allocated to the economy in society as well as in a person’s life; 2. a (sometimes naive) belief in the abilities of competition, that advantages for individual persons will add up to the best for all members of society; 3. a strong feeling for individualism (in contrast to communalism, or shared values); 4. a trend towards a commercialisation of human relations (in contrast to non-money-related behaviour); 5. a trend to exchange the traditionally given social bonds and controls for contract- and marketbased bonds of one’s own, deliberate choice»112. Coerenti con questa impostazione di fondo sono le soluzioni emergenti nel campo dei diritti sul corpo, dei mercati dei dati, dello sfruttamento dell’identità personale, per non parlare dei rapporti di lavoro, che sono illustrative della più ampia tendenza alla commercializzazione di molti aspetti della vita sociale113. CIstituti come il contratto e la proprietà (anche intellettuale) hanno offerto un supporto specifico all’idea di stampo libertario di impedire che il governo interferisca nelle scelte personali concernenti lo sfruttamento degli aspetti materiali e immateriali dell’identità114. Al contrario, il diritto europeo appare prestar fede a un diverso presupposto, e cioè all’idea che l’embedment dei mercati – non solo per quanto riguarda il loro effettivo funzionamento, ma anche per quanto riguarda i loro confini concettuali – sia un obiettivo ineludibile del diritto. Nonostante il ruolo centrale svolto dall’integrazione economica nel quadro istituzionale dell’Unione Europea, la storia del rapporto tra economia e istituzioni non economiche ha tradizionalmente impedito – sulla base di radicati valori di fondo – un «impar-

Schröter, Americanization of the European Economy. A compact survey of American economic influence in Europe since the 1880s, Dordrecht, 2005, 10 (corsivo aggiunto); Id., Economic culture and its transfer: an overview of the Americanisation of the European economy, 1900-2005, 15 European Review of History-Revue européenne d’histoire, 331 (2008), p. 333. 113 Sandel, What Money Can’t Buy; M. Radin, Contested Commodities, Cambridge-London, 1996. 114 G. Resta, Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005. 112

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ziale apprezzamento del mercato»115. Pertanto, si potrebbe sostenere in modo convincente che tra i compiti primari del diritto privato contemporaneo non vi sia soltanto la regolamentazione del mercato, ma anche il suo contenimento. Le tecniche disponibili a questo scopo sono molteplici, e vanno dal riconoscimento di un più ampio dominio di beni comuni (come l’acqua, le conoscenze di base o il genoma umano)116, all’adozione di regole di inalienabilità ben calibrate117. Si potrebbe anche parlare di un “diritto privato regolatorio”, ma di carattere diverso, orientato non soltanto al mantenimento di un mercato aperto, accessibile e contendibile, ma anche alla preservazione di sfere di giustizia schermate dalla commercializzazione, oppure improntate alla tutela dei valori fondamentali della persona pur all’interno di contesti di mercato118.

9. Il diritto privato europeo oltre le relazioni di mercato Guardando al diritto privato europeo da questo specifico angolo visuale si può registrare un rapporto circolare tra diritto pri-

Habermas e Derrida, February 15, or What Binds Europeans Together: A Plea for a Common Foreign Policy, Beginning in the Core of Europe, 10 Constellations 291 (2003), p. 296. 116 Mattei, Protecting the Commons: Water, Culture, and Nature: The Commons Movement in the Italian Struggle against Neoliberal Governance, 112 South Atlantic Quarterly 366 (2013); Id., Proprietà (nuove forme di), Enciclopedia del diritto. Annali vol. 5, Milano, 2012, p. 1117; Rodotà, Beni comuni: una strategia globale contro lo human divide, in Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, a cura di Marella, Verona, 2012, p. 311; Id., Mondo delle persone, mondo dei beni, in Id., Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012; G. Resta, The Case Against the Privatization of Knowledge: Some Thoughts on the Myriad Genetics Controversy, in Biotech Innovation and Fundamental Rights, a cura di Bin, Lorenzon e Lucchi, Berlin-New York, 2012, p. 11. 117 Porat e Sugarman, Limited Inalienability Rules, 107 Georgetown Law Journal, 701 (2019); Rose-Ackerman, Inalienability and the Theory of Property Rights, 85 Columbia Law Review 931 (1985); G. Resta, Contratto e diritti fondamentali, in Enc. dir., I tematici: Il contratto, Milano, 2021. 118 Navarretta, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, Torino, 2017, p. 193. 115

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vato nazionale e fonti normative sovranazionali, convergente nel rafforzamento dei confini tra sfere di mercato e sfere non di mercato. Particolarmente emblematico, da questo punto di vista, è il regime giuridico dei materiali biologici umani (parti del corpo, tessuti, cellule, prodotti, ecc.). Precursore della tendenza alla depatrimonializzazione dei diritti sul corpo è stato il diritto francese. Sin dall’adozione delle famose leggi sulla bioetica del 1994, che hanno apportato profonde modifiche al titolo I, primo libro del Codice civile (artt. 16 e ss.)119, la Francia ha adottato una posizione particolarmente innovativa e coraggiosa in ordine al corpo quale oggetto di diritti extra-patrimoniali120, chiudendo così il campo a sistemi di reperimento e allocazione basati sul mercato, del tipo di quelli proposti dall’analisi economica del diritto121. Il modello francese è circolato – sull’asse orizzontale – in altri ordinamenti giuridici europei ed extra-europei e, su un piano verticale, nella Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997), nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE (2000). È particolarmente significativo che in un documento normativo di livello para-costituzionale, come la Carta, si possano trovare non soltanto dettagliate garanzie dei diritti fondamentali, ma anche specifici divieti volti a preservare uno spazio giuridico non mercantile. L’art. 3 della Carta, in particolare, prevede che il corpo umano e le sue parti non possano, in quanto tali, costituire fonte di profitto. Ta-

J Massip, L’insertion dans le Code civil de dispositions relatives au corps humain, à l’identification génétique et à la procréation médicalement assistée, in Gaz. pal., 1995, doct., p. 433. 120 Cfr. Galloux, Le corps humain dans le code civil, in 1804-2004. Le Code Civil. Un passé, un présent, un avenir, Paris, 2004, p. 381, 387; Bellivier e Noiville, La circulation du vivant humain: modèle de la propriété ou du contrat?, in Code civil et modèles. Des modèles du Code au Code comme modèle, a cura di Revet, Paris, 2005, p. 101; Hermitte, Le corps humain, hors du commerce, hors du marché, in Archives de philosophie du droit, 1988, p. 120. 121 Healy, Last Best Gifts. Altruism and the Market for Human Blood and Organs, Chicago-London, 2006; Mahoney, Altruism, Markets and Organ Procurement, in 72 Law & Cont. Prob’s 17 (2009). 119

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le disposizione è comunemente interpretata nel senso che essa implica un divieto assoluto di scambi di mercato di primo grado aventi ad oggetto il corpo umano, i suoi prodotti e le sue parti122. Coerentemente, un ampio spettro di disposizioni del diritto secondario UE in materia di trapianto di organi e tessuti, nonché di conservazione e riutilizzo di cellule umane (Reg. 536/2014; direttive 2016/17/CE; 2004/23/CE; 2006/ 86/CE; 2015/565 e 2015/566), rafforzano il principio di gratuità (o inalienabilità di mercato). A ciascun soggetto è quindi vietato dalla legge di alienare a titolo oneroso parti del corpo, tessuti e prodotti, sia per atto tra vivi che post mortem. Dei diritti sul corpo umano può quindi disporsi esclusivamente mediante atto gratuito, spesso definito (come nella legislazione francese) “dono”123. Talvolta, tale principio viene ulteriormente ampliato nel diritto interno sì da precludere qualsiasi forma di valorizzazione economica del corpo, anche ai fini dell’applicazione dei rimedi risarcitori e restitutori in caso di sfruttamento commerciale non consentito (ad es. per scopo di brevettazione, come nella celebre controversia Moore v. Regents of the University of California). Lo statuto del corpo umano è quindi definito dal diritto europeo – a differenza del diritto statunitense124 – principalmente attraverso regole di market-inalienability. Gli unici mercati riconosciuti come leciti in Europa sono i c.d. mercati secondari125, concernenti

G. Resta, Doni non patrimoniali, in Enc. dir. Annali IV, Milano, 2011, p. 510, 516. Per un’attenta riflessione critica v. anche Hennette Vauchez, EU Law and Bioethics, in New Technologies and EU Law, a cura di Cremona, Oxford, 2017, p. 38. 123 Rodotà, Il dono, in Id., La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 1998, p. 124. 124 Robertson, Reproductive Technology in Germany and the United States: An Essay in Comparative Law and Bioethics, in 43 Col. Journ. Transnat. Law 189 (2004); Mahoney, The Market for Human Tissue, in 86 Va. L. Rev., 163 (2000). 125 Bellivier e Noiville, Contrats et vivant, in Traité des contrats, a cura di Ghestin, Paris, 2006, p. 82; Id., La circulation du vivant humain: modèle de la propriété ou du contrat?, in Code civil et modèles. Des modèles du Code au Code comme modèle, a cura di Revet, Paris, 2005, p. 101, 115. 122

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il ri-utilizzo da parte dell’originario donatario di cellule e materiali biologici per scopi di ricerca e applicazione industriale. Questo primo caso è esemplificativo del radicale rifiuto opposto dal diritto europeo nei confronti del riconoscimento di una nuova “fictitious commodity” (nel senso di Polanyi), il campione biologico, la cui circolazione di mercato viene ritenuta incompatibile con il principio fondamentale di rispetto della dignità umana. Il diritto privato opera da questo punto di vista come fonte di specifici limiti all’autonomia dei privati e non, come di consueto, come strumento “abilitante”. Tali restrizioni, tuttavia, hanno lo scopo di assicurare specifica attuazione a uno dei valori apicali dell’intero sistema di diritto privato, e cioè la tutela della dignità umana. Un altro esempio illustra come il diritto europeo conosca anche regimi di disciplina che, senza ricorrere allo strumento più radicale del divieto della circolazione di mercato (e connesse nullità civilistiche), sono preordinati a bilanciare l’affidamento dei terzi con la tutela dei diritti fondamentali126. Il riferimento è al sistema della protezione dei dati personali, e più precisamente alla controversa questione dei dati come controprestazione. È innegabile che nell’era dei big data e dell’innovazione data driven i dati personali sono diventati una materia prima di grande valore, il “petrolio del futuro” come scrisse l’Economist in una famosa copertina127. È anche risaputo che i dati vengono scambiati quotidianamente in cambio di servizi “gratuiti”, come l’accesso ai social network, i premi assicurativi scontati, il libero utilizzo dei motori di ricerca, il download gratuito di “app” per smartphone, vari tipi di servizi di posta e comunicazione elettronica128. Ci si è quindi chiesti se i dati

Per approfondimenti G. Resta, Contratto e diritti fondamentali, in Enc. dir., I tematici: Il contratto, Milano, 2021. 127 Cohen, Between Truth and Power: The Legal Construction of Informational Capitalism, Oxford, 2019, 48; Zech, Data as a Tradeable Commodity, in European Contract Law and the Digital Single Market. The Implications of the Digital Revolution, a cura di De Franceschi, Cambridge-AntwerpPortland, 2016, p. 51, 69-74; Angiolini, Lo statuto dei dati personali. Uno studio a partire dalla nozione di bene, Torino, 2020 128 Davis e Marotta-Wurgler, Contracting for Personal Data, in 94 New York University Law Review, 2019, 669; Metzger, Data as Counter-Perfor126

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personali siano giuridicamente costruiti come oggetto di diritti di proprietà suscettibili di alienazione, non diversamente dagli altri beni. Il testo originario della proposta di direttiva sulla fornitura di contenuti digitali (ora dir. 2019/770), per come era scritto, aveva dato adito a qualche perplessità e suscitato un acceso dibattito129. L’idea del «pagamento attraverso i dati»130, esplicitamente contemplata nell’art. 3 della proposta con l’obiettivo di rafforzare la tutela dei consumatori nei mercati digitali, ha sollevato critiche soprattutto – ma non esclusivamente – nell’ambito della comunità degli esperti in protezione dei dati. Di conseguenza, il testo finale della direttiva evita accuratamente di utilizzare l’espressione «pagare un prezzo» e si riferisce semplicemente all’atto di «fornire dati personali al professionista» (art. 3). In particolare, il considerando 24 afferma con enfasi che «la protezione dei dati personali è un diritto fondamentale e che tali dati non possono dunque essere considerati una merce». Tale modifica è probabilmente più simbolica che sostanziale, dal momento che la stessa proposta chiariva che le condizioni per la validità del consenso sono quelle previste dal Regolamento 2016/679 (di seguito GDPR)131. Tuttavia, i simboli hanno un significato specifico nel diritto e il linguaggio legislativo è lo strumento più importante per perseguire una siffatta funzione di segnalazione. Inoltre, se si volge lo sguardo all’intera costruzione del GDPR, si è portati a concludere che, nonostante il loro

mance. What Rights and Duties do Parties Have?, in JIPITEC, 8, 2017, 2; De Franceschi, La circolazione dei dati personali tra privacy e contratto, Napoli, 2017. 129 G. Resta, I dati personali oggetto del contratto. Riflessioni sul coordinamento tra la Direttiva 2019/770 e il Regolamento 2016/679, in Annuario del contratto 2018, Torino 2019, 127. 130 Langhanke e Schmidt-Kessel, Consumer Data as Consideration, in EuCML, 2015, p. 218; Metzger, Dienst Gegen Daten: Ein Synallagmatischer Vertrag, in AcP, 2016, p. 818. 131 De Cristofaro, Die datenschutzrechtliche Einwilligung als Gegenstand des Leistungsversprechens, in Rechte an Daten, a cura di Pertot, Tübingen, 2020, p. 151, 164; Riehm, Freie Widerruflichkeit der Einwilligung und Struktur der Obligation. Daten als Gegenleistung?, ivi, p. 175, 190.

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enorme valore economico e la loro commerciabilità, i dati personali non sono giuridicamente configurati in Europa come termini di riferimento oggettivo di diritti di proprietà, ma sono destinatari di un regime giuridico ibrido e volto ad assicurare un oculato bilanciamento tra interessi economici e diritti fondamentali132. Come ben spiegato da Josef Drexl, il regime di protezione dei dati non può essere considerato fonte di diritti esclusivi. Innanzitutto, non si può trascurare che il consenso al trattamento dei dati deve essere prestato “liberamente” (e questa nozione di “libertà” implica uno standard piuttosto elevato), può essere revocato in qualsiasi momento (art. 7), e la cancellazione dei dati richiesta ai sensi dell’art. 17, senza alcuna conseguenza133. In secondo luogo, il diritto di accesso e il diritto alla portabilità garantiscono che l’interessato non perda mai il controllo sul trattamento dei propri dati personali, anche in contesti di tipo contrattuale. Terzo, l’art. 7 prevede il divieto di offerta congiunta, stabilendo che il consenso si ritiene invalidamente prestato se «l’esecuzione di un contratto, compresa la prestazione di un servizio, sia condizionata alla prestazione del consenso al trattamento di dati personali non necessario all’esecuzione di tale contratto»134. Infine, la peculiare integrazione tra tecniche di diritto privato e strumenti pubblicistici – la creazione di un’autorità amministrativa indipendente preposta alla vigilanza e all’applicazione delle norme sulla protezione dei dati costituisce a tal riguardo un elemento essenziale – rafforza l’impressione di una peculiare forma di regolamentazione del mercato volta a tutelare i diritti fondamentali e non soltanto il libero accesso al mercato. I mercati sui dati, in altri termini, sono rigidamente controllati attraverso norme, procedure e istituzioni preordinate priori-

G. Resta, Towards a Unified Regime of Data Rights: Rapport de Synthèse, in Rechte an Daten, cit., 231. 133 De Cristofaro, Die datenschutzrechtliche Einwilligung als Gegenstand des Leistungsversprechens, cit. 134 Thobani, La libertà del consenso al trattamento dei dati personali e lo sfruttamento economico dei diritti della personalità, in Eur. dir. priv., 2016, p. 513. 132

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tariamente alla tutela della persona. Si tratta di un presupposto tipicamente europeo, non condiviso dalla normativa statunitense, che opta invece per un approccio maggiormente market-friendly e si basa su un paradigma consumeristico della privacy135. Non è un caso che subito dopo la pubblicazione della proposta di Regolamento generale sui dati personali, gli osservatori statunitensi abbiano manifestato profondo scetticismo sul regime previsto dall’UE, ritenuto una malcelata forma di protezionismo. Il motivo risiede, ancora una volta, in una diversa visione dei compiti assegnati al diritto e dei limiti che qualsiasi regolamentazione giuridica dei mercati emergenti deve necessariamente rispettare.

10. Conclusioni Quanto sin qui osservato porta a concludere che la funzionalizzazione del diritto privato agli obiettivi di costruzione di un mercato unico non significa necessariamente supporto all’estensione senza limiti dei rapporti di mercato, o sostegno alla tendenza verso la mercificazione di qualsiasi bene o valore. A seconda dei caratteri specifici che connotano le varie forme di diritto privato regolatorio, questo può anche rivelarsi come un efficace strumento non soltanto di governo, ma anche di ‘confinamento’ del mercato. Hans Micklitz ha magistralmente dimostrato come il diritto privato europeo possa rispondere al processo di erosione della sovranità statale e alle sfide della globalizzazione fornendo negli ambienti transnazionali una valida alternativa alla giustizia sociale propria dello stato nazione, nelle forme della access justice136. Se allarghiamo lo spettro dell’indagine e guardiamo alle più controverse zone di confine tra i rapporti economici e i rapporti non economici, si

Sul divario transatlantico, Schwartz e Peifer, Transatlantic Data Privacy Law, 106 Georgetown Law Journal 115 (2017), 118; Davis e MarottaWurgler, Contracting for Personal Data; Graziadei, Collisioni transatlantiche: consenso e contratto nel trattamento dei dati personali, in Giurisprudenza e autorità indipendenti nell’epoca del diritto liquido. Studi in onore di Roberto Pardolesi, Piacenza, 2018, p. 361, 363-365. 136 Micklitz, The Politics of Justice, p. 16-18 e passim. 135

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può avanzare l’ipotesi che il diritto privato europeo persegua anche una diversa forma di giustizia sociale, volta a preservare l’autonomia delle diverse “sfere di giustizia” e “istituzioni non economiche”, oltre a perseguire il disciplinamento di mercati che hanno un impatto diretto su beni e valori fondamentali. Ciò è coerente con l’idea che un approccio di tipo critico «all too often focuses on the destructive potential of the EU, but falls short of recognising that the EU is trying to build a European society beyond the market, not only, but also, through law»137. Naturalmente, i valori sottesi a tali scelte di politica del diritto sono soggetti a trasformazione e possono essere contraddetti da decisioni prese in altre parti del sistema. Questo è anche il risultato della struttura multilivello del diritto privato europeo, che sfida qualsiasi tentativo di semplificazione. Sperimentalità e apertura al cambiamento, sono, d’altronde, due tratti costanti di quello che si potrebbe chiamare lo spirito europeo. Vale la pena citare, in conclusione, il magistrale libro di Paul Hazard sulla storia del pensiero europeo, una lettura che rimane tuttora illuminante. “«Cos’è l’Europa? Un pensiero sempre insoddisfatto. Senza pietà per se medesima, essa non cessa mai di cercare la felicità e, cosa ancor più indispensabile e preziosa, la verità. Appena trovi una condizione che soddisfi a tale duplice esigenza, essa si accorge, sa di tenere pur sempre, e in maniera incerta, soltanto il provvisorio, il relativo; e riprende la ricerca che costituisce la sua gloria e il suo tormento»138.

137

Micklitz, The Transformative Politics of European Private Law, cit., p.

227. 138

Hazard, La crisi della coscienza europea, Torino, 2007, p. 467.

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Contratto e impresa Europa 2/2021

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The “Europeanisation’’ of national contract law in the financial services sector: A judge-driven modernization of national contract law Mads Andenas - Federico Della Negra*

Sommario: 1. Introduction. – 2. The Legal Nature and Purpose of Financial Regulatory Duties. – 2.1. The Legal Nature of Financial Regulatory Duties. – 2.2. The Purpose of Financial Regulatory Duties. – 3. The Role of Contract Law in the Regulation of Financial Transactions. – 4. Retail Financial Transactions. – 5. Non-Retail Financial Transactions. - 6. The Case Law of the Court Of Justice. – 6.1. The Peter Paul Judgment. – 6.2. The Bankinter Judgment. – 7. The Impact of EU Financial Regulation on National Private Law. – 7.1. The Impact of EU Financial Regulation on National Legislation. – 7.2. The Impact of EU Financial Regulation on National Case Law. – 7.2.1. The Challenges of Complex Financial Disputes for the National Judge. – 7.2.2. The National Adjudication Techniques. – 7.2.3. The (Regulatory) Implications of Adjudication s Techniques. – 8. The Role of Alternative Dispute Resolution (ADR) Mechanisms. – 8.1. The Influence of EU Law on ADR: From Convergence to Harmonisation. – 8.2. The National Models of ADR. – 9. Concluding Remarks.

Abstract This paper explores the interactions between the general law of contract and the EU­derived financial regulatory duties. Starting from the analysis

While this paper is the result of a joint research, chapters 1 to 4 have been written by Mads Andenas and chapters 5 to 9 have been written by Federico Della Negra. *

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Mads Andenas Federico Della Negra

of the legal nature of the EU-derived conduct of business rules duties and the role played by contract law in the governance e of financial markets, the paper shows that, after the global financial crisis, national courts have used the remedies based on general contract law as tools to enforce the EU-derived conduct of business rules and to ensure a high level of client protection. This paper argues that this case law provides evidence of a gradual process of Europeanisation and modernization of the general law of contract, i.e. of transformation of traditional autonomy-driven categories of general contract law into regulatory tools to govern financial transactions and increase the protection of investors.

1. Introduction Following the global financial crisis, the European Commission proposed more than 40 new legislative measures to increase the stability of the financial system, the integrity of financial markets and the protection of investors1. The cascade of rules adopted by the EU between 2009 and 2015 not only reshuffled the prudential requirements for credit and investment firms and the conduct of business rules, which apply to financial services providers, but also the architecture of financial supervision and enforcement. However, lack of harmonisation of contract law-related rules – including the rules on the formation, performance, breach of contract and other contractual remedies – remains a distinctive feature of EU financial regulation2. Whereas the EU regulates financial products, services and capital requirements heavily, it does not regulate the content of contracts between financial market participants nor it requires Member States to establish contractual

European Commission, Regulating Financial Services for Sustainable Growth, Brussels, 2.6.2010 COM(2010) 301 final. 2 New tortious liability regimes have been introduced by Art. 21 of Directive 2011/61/EU of the European Parliament and of the Council on Alternative Investment Fund Managers (AIFMD) 0.1. L 174/1 (2011) and Art. 35 of Regulation (EU) No 462/2013 of the European Parliament and of the Council on Credit Rating Agencies 0.1. L 146/1 (2013). For a detailed overview see Olha, Cherednychenko and Mads Andenas, Financial Regulation and Civil Liability in European Law, Edward Elgar (2020). 1

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remedies or private rights of action for the loss suffered by clients as a result of the firm’s violation of conduct of business rules. National private law remains, formally speaking, untouched by the provisions of the EU legislation of the new post-crisis reforms3. Lack of EU harmonisation of national private law remedies could suggest that the EU generally prefers a public law-based system of regulation and enforcement of financial regulation4. It does not rule out the possibility that EU conduct of business rules can influence, by way of judicial interpretation, or even more directly determine the nature, role and function of national contract law. The understanding of how EU-derived regulatory standards can interfere with general private law5, is important from a practical and theoretical perspective. From a practical perspective, lack of a express private remedy for the breach of regulatory duties derived from EU law begs the question, recurrent among courts and adjudicators after the global financial crisis: whether any remedy, based on general private law, can be granted to clients, and, if so, on what EU legal basis (e.g. principle of effectiveness of EU law). From a theoretical perspective, the interaction between regulatory and private law duties, requires a clarification of whether, and to what extent, the general categories of private law (e.g. freedom of contract, good faith, privity of contract) can be adapted, adjusted and modelled in order to provide redress to clients who suffered a loss as a result of the firms’ breach of conduct of business rules6.

See, for an exception, Art. 12(3) of the Regulation (EU) No 648/2012 of the European Parliament and of the Council of 4 July 2012 on OTC derivatives, central counterparties and trade repositories (EMIR), O.J. L 201/1 (2012). 4 Tridimas, EU Financial Regulation: Federalization, Crisis Management and Law Reform in P Craig-G de Bùrca (eds.), The Evolution of EU Law, 793 (Oxford, Oxford University Press 2011). 5 See Lipari, Parte generale del contratto e norme di settore nel quadro del procedimento interpretativo 1 Rivista trimestrale di diritto e procedura civile 1 (2008); Micklitz, The Visible Hand of European Regulatory Private Law – The Transformation of European Private Law from Autonomy to Functionalism in Competition and Regulation 28 Yearbook of European Law 3 (2008). 6 For the importance of ‘the law’ and ‘the legal system’ in the go3

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Against this background, our hypothesis is that EU financial regulation, in particular conduct of business rules, has an impact on general private law, both on the principle of freedom of contract and on the remedies for breach of contractual obligations. First, while it does not directly limit the parties’ freedom to enter into contracts or to draft contracts in a specific way, EU financial regulation indirectly leads financial services providers to draft standard contract terms in ways that do not conflict with national law transposing EU law, and in particular the Investment Service Directive7 and MiFID I8 – the “new constitution” in the area of investment services and secondary capital markets9. Second, the EU conduct of business rules, as transposed by the relevant national laws, can be used by national courts and adjudicating bodies as a tool to interpret, in a purposive way (i.e. in order to achieve the client protection objective), the general contract law. The influence of EU law on freedom of contract and remedies is not, however, homogeneous. Whereas in some jurisdictions (e.g. Italy, Spain, France) there is a trend towards gradual integration of EU financial regulation and national contract law, in others (e.g. United Kingdom) national statute law and case law preserve the distinction between regulatory and contract duties. To explore these hypotheses, this chapter is organized as follows. Section 2.2. provides a theoretical framework for understanding the problems related to the legal nature and purpose of EU conduct regulation10. Section 12.3. illustrates and explains the subsi-

vernance of financial markets, see Pistor, A Legal Theory of Finance 41 Journal of Comparative Economics 315 (2013). 7 Council Directive 93/22/EEC of 10 May 1993 on investment services in the securities field (ISD), 0.1. L 141/27 (1993). 8 Directive 2004/39/EC on markets in financial instruments (MiFID I) 0.1. L 145/1 (2004). 9 Grundmann, Hollering, EC Financial Services and Contract Law - Developments 2005-2007 4 European Review of Contract Law 58 (2008). 10 This paper does not consider the impact of EU prudential regulation on national contract law. For a recent analysis, see Christos Hadjiemmanuil, The Banking Union and Its Implications for Private Law: A Comment 16 European Business Organization Law Review 383 (2015).

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diary role played by contract law rules in EU financial regulation by analysing EU law on retail financial contracts (e.g. consumer credit, payment services) and non-retail financial contracts (e.g. MiFID II11, EMIR). Section 2.4. describes the function of contract law in the case law of the Court of Justice of the European Union (CJEU) by looking at two important cases, Peter Paul and Bankinter v. Genil, where the CJEU had the opportunity to consider the impact of EU prudential and conduct regulation on private law. Section 2.5. gives an account of the impact of EU statute and case law on national contract law in several EU jurisdictions. This comparative analysis brings to light national divergences and convergences and shows different models of interaction between EU financial regulation and national contract law. Section 2.6. illustrates the increasing role played by alternative dispute resolution mechanisms in the resolution of disputes involving retail clients. Section 2.7 draws conclusions from the preceding research and advocates for a high degree of harmonisation of contract law rules for investment contracts in order to enhance legal certainty and legal integration between Member States.

2. The Legal Nature and Purpose of Financial Regulatory Duties 2.1. The Legal Nature of Financial Regulatory Duties The legal nature of financial regulatory duties and, in particular, conduct of business rules, duties of conduct has provoked much debate in the literature. Some Authors consider conduct of business rules to be regulatory rules; others see them as “contract

Directive 2014/65/EU on markets in financial instruments (MiFID II) 0.1. L 173/349 (2014). MiFID II will enter into force and repeal MiFID I with effect from 3 January 2018. 11

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related supervision rules”12 or as hybrid duties between contract and administrative law13. There is also intense debate over the relationship between financial regulatory duties and contract law duties (or obligations). Some authors claim that these duties should be kept separate14; others claim that the regulatory duties should produce radiating effects on contractual duties15; others argue that there is a necessary complementarity between them since they functionally integrate with each other16. 2.2. The Purpose of Financial Regulatory Duties Seeking to further clarify the relationship between financial regulatory duties and contract law duties, some scholars have recen-

See Cherednychenko, Contract Governance in the EU: Conceptualizing the Relationship between Investor Protection Regulation and Private Law 21 European Law Journal 505 (2015); Ferrarini, Contract Standards and the Markets in Financial Instruments Directive (MiFID): An Assessment of the Lamfalussy Regulatory Architecture I European Review of Contract Law 20 (2005). Public Supervision over Private Relationships: Towards European Supervision Private Law? 22 European Review of Private Law 37 (2014) 13 Kondgen, Policy Responses to Credit Crises: Does the Law of Contract Provide an Answer? in Grundmann, Atamer (eds.), Financial Services, Financial Crisis and General European Contract Law: Failure and Challenges of Contracting, 40 (Alphen aan den Rijn, Kluwer Law International, 2011). 14 Hudson, Law of Finance, 13 (London, Sweet and Maxwell, 2013) and Chiu, Regulatory Duties for Directors in the Financial Services Sector and Directors’ Duties in Company Law: Bifurcation and Interfaces, 6 Journal of Business Law 489 (2016). 15 See Haar, From Public Law to Private Law: Market Supervision and Contract Law Standards, in Atamer Grundmann (eds), Financial Services, Financial Crisis and General European Contract Law, 259-279 and Busch, The Private Law Effect of MiFID: The Genil Case and Beyond, in Busch and Ferrarini (eds.), Regulation of the EU Financial Markets. MiFID II and MiFIR, 228 (Oxford, Oxford University Press: 2017). 16 See Cherednychenko, Contract Governance in the EU: Conceptualizing the Relationship between Investor Protection Regulation and Private Law, 520; Zoppini, Diritto privato vs diritto amministrativo (ovvero alla ricerca dei confini tra stato e mercato I Rivista diritto civile, 523 (2013). 12

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tly focused on the purpose of the duty (i.e. safety and soundness of individual firms, financial stability or client protection), rather than its legal nature (private or public law). From this purposive perspective, there may be convergences (especially in the field of client protection regulation) or divergences (especially in the field of micro and macro prudential regulation) between different kind of duties17. For example, the investment firm’s duty to “act honestly, fairly and professionally in accordance with the best interests of its clients” (Art. 19 of the MiFID I and Art. 24 of the MiFID II) does not differ, in its substance, from the duty to negotiate in good faith and to perform contractual obligations in good faith, both of which exist in a number of national jurisdictions and in the projects for the harmonisation of European contract law. However, it is much more difficult to find convergent purposes or goals between financial regulation and contractual duties in relation to micro and macro prudential regulatory rules. As is well known, after the global financial crisis, financial stability has become a key concern for international and EU regulators. Financial stability is not just conceived of as instrumental in reducing the vulnerability of individual institutions, especially in times of capital shortfalls, but also as a public good in itself, which ensures medium- and long-term growth18. The rules imposed on credit and investment firms to protect clients may be in conflict with rules, now enshrined in the CRR and CRD IV, which mandatorily require them to hold certain levels of capital and liquidity and set up efficient governance and organizational mechanisms to control financial risks. In fact, these financial regulatory rules pursue conflicting interests, which are intrinsically connected to the basic objectives of prudential regulation: on the one hand, maintaining the safety and soundness of financial institutions and the financial

Grundmann, The Banking Union Translated into (Private Law) Duties: Infrastructure and Rulebook I European Business Organisation Law Review I (2015). 18 See Andenas, Chiu, Financial Stability and Legal Integration in Financial Regulation 3 European Law Review 335 (2013). 17

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system as a whole; on the other hand, protecting the depositors and other creditors of financial institutions. The difference between financial conduct of business and prudential rules suggests that a cautious approach should be adopted when interpreting the EU financial regulatory standards. Whilst there may be a convergence of purposes between financial regulation and contract law with regard to conduct of business regulation, divergence may still exist when it comes to prudential regulation because the protective contract law rules (e.g. good faith) may conflict with the prudential objectives pursued by financial regulation.

3. The Role of Contract Law in the Regulation of Financial Transactions Having examined the most prominent views in European academia on the legal nature and purpose of EU financial regulatory duties, it is necessary to analyse in more detail the role played by the law of contract in EU financial regulation. The law of contract – including the default and mandatory rules governing the formation, performance, and breach of contract – has traditionally played a subsidiary role in EU financial regulation. Ever since the adoption of the ISD in 1993, the EU legislators have focussed on the regulation of conduct of business rules, i.e. by regulated financial instruments and services19, without interfering in the regulation of the contract between investment firms and clients. In fact, similar to other sectors of the internal market, the liberalization of financial services has gradually required more regulation, supported by administrative agencies, in order to increase competition and to protect weaker parties. As a result, liberalization has paradoxically produced its opposite, namely regulation20.

See Andenas, Rules of Conduct and the Principle of Subsidiarity 15 Company Lawyer 60 (1994). 20 See Cassese, Quattro paradossi sui rapporti tra poteri pubblici ed autonomie private 2 Rivista trimestrale di diritto pubblico 389 (2000). 19

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This re-regulation of the EU financial markets, however, has not directly changed nor has it harmonized the national law of contract. This is for the following reasons. First of all, given that the EU does not enjoy express competence in the field of private law, it is easier to harmonize administrative sanctions than contract law duties and civil law remedies21. Second, there is a wide belief in the financial industry and among scholars that the harmonisation of civil law remedies could give rise to opportunistic litigation by professional clients and endanger the efficiency of financial markets22. The resistance of the industry, coupled with the disagreement among Member States, is one of the reasons why the 2010 Commission proposal, put forward in the context of the MiFID I review, to introduce a principle of civil liability for financial firms who caused losses to clients was eventually dropped23. Third, from a more theoretical perspective, the EU has traditionally been much more concerned to regulate the economic activity of market participants than the legal acts that enable such activity, not only in the field of financial services but also in telecommunications, transport and energy24. This regulatory approach has resulted in the establishment of sectoral or silo-type regimes which govern the technicalities and specificities of different economic activities for the overriding purpose of increasing the functioning of the internal market25. In

Tridimas, EU Financial Regulation: Federalization, Crisis Management and Law Reform, 794. 22 MacNeil, Enforcement and Sanctioning, in Ferran, Moloney, Payne (eds.), Oxford Handbook on Financial Regulation, 293 (Oxford, Oxford University Press, 2015). 23 See Moloney, Liability of Asset Managers: A Comment 7 Capital Markets Law Journal 421 (2012). 24 Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori in Lipari (ed.), Trattato di diritto privato europeo III, 13 (Padova, Cedam, 2003). 25 See, in particular, Micklitz, The Visible Hand of European Regulatory Private Law – The Transformation of European Private Law from Autonomy to Functionalism in Competition and Regulation, 3 and, recently, Comparato, Micklitz and Svetiev, The Regulatory Character of European Private Law, in Twigg-Flesner (ed.), Research Handbook on EU Consumer and Contract Law, 35 (Edward Elgar Publishing, 2016). 21

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fact, the Directives and the Regulations adopted on the basis of the 1999 Commission’s Financial Services Action Plan (FSAP), and those adopted after the global financial crisis, between 2009 and 2015, have all relied on Art. 95 TEC (now Art. 114 TFEU), which is the classical legal basis for measures aimed at strengthening the functioning of the internal market. The rationale for this legislative choice rests on the assumption that the greater the harmonisation of national laws, the higher the level of market integration26. A remarkable novelty is that after the global financial crisis, this provision was also used as an ‘institution-building tool’ to set up new EU bodies entrusted with micro-and-macro-prudential financial supervision, such the European Supervisory Authorities (ESAs) – the European Banking Authority (EBA), the European Securities and Markets Authority (ESMA) and the European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA) – and the European Systemic Risk Board (ESRB) which together compose the new European System of Financial Supervision (ESFS)27. In the landmark case C-270/12, UK v. Parliament and Council, the Court of Justice of the European Union (CJEU) held that Art. 114 TFEU was an appropriate legal basis for the adoption of Art. 28 of Regulation No 236/2012 on short-selling28 as this provision improves the condi-

In more detail, on the relationship between harmonisation of laws and financial integration, see Moloney, EU Securities and Financial Markets Regulation, 27 (3 ed., Oxford, Oxford University Press, 2014) and Avgouleas, Arner, The Eurozone Debt Crisis and the European Banking Union: “Hard Choices”, “Intolerable Dilemmas”, and the Question of Sovereignty 50 The International Lawyer 32 (2017). 27 For the analysis of the impact of the acts adopted by the ESAs and national competent authorities on general contract law see Della Negra, The Effects of the ESMA’s Powers on Domestic Contract Law, in Andenas, Deipenbrock (eds.), Regulating and Supervising European Financial Markets: More Risks than Achievements, 155 (Springer, 2016) pp 139 ss.; Svetiev, Ottow, Financial Supervision in the Interstices Between Private and Public Law 4 European Review of Contract Law 496 (2014); Cherednychenko, Public Supervision over Private Relationships: Towards European Supervision Private Law? I European Review of Private Law 37 (2014). 28 Regulation (EU) No 236/2012 on short selling and certain aspects 26

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tions for the establishment and functioning of the internal market in the financial field29. More critically, in 2014, the Single Resolution Board (SRB) and the Single Resolution Fund (SRF), as part of the new Single Resolution Mechanism (SRM), were set up on the basis of Art. 114 TFEU. In fact, in order to accommodate the concerns of some Member States about the appropriateness of this legal basis, it was agreed that the complex arrangements concerning the transfer to and the mutualisation of contributions to the SRF would be included in an intergovernmental agreement signed by the participating Member States. However, whereas this “internal market-driven” substantive and institutional legislation has led to an increase in the level of harmonisation of both retail and wholesale segments of the market, it has not introduced harmonized rules on contracts between market participants. As a result of the lack of EU harmonisation of national contract law, three different levels of rules govern financial transactions30; the rules that the parties design themselves (self-regulation); EU legislative (directives, regulations, decisions) and non-legislative rules (ESMA’s decisions, guidelines, recommendations); and national rules (e.g. in contract, tort and property law), whether they transpose EU rules or not. This classification is not only illustrative of the complexity which characterizes the regulation of financial transactions but also of the need for lawyers to adopt a flexible approach when interpreting financial contract clauses and regulation. In fact, in this field the boundaries between contract and administrative law have become particularly blurred. For a contract lawyer, an interest rate swap is a contract, but for an administrative lawyer, it is a

of credit default swaps 0.1. L 86/1 (2012). 29 CJEU, case C-270/12, UK v. Parliament and Council, EU:C:2014:18. 30 For the notion of transaction see, in particular, Williamson, Transaction-cost Economics: the Governance of Contractual Relations 22 Journal of Law and Economics 235 (1979); Moslein, Riesenhuber, Contract Governance – A Draft Research Agenda 5 European Review of Contract Law 248 (2009).

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financial instrument. Can the regulatory duties imposed on a swap dealer be more intense than those laid down by general contract law? Should national courts and adjudicating bodies interpret the general law of contract in light of EU financial regulation even if there is no express EU rule regulating such contracts? As we will see below, national courts have given very different answers to these questions. Another important distinction should be drawn between retail and non-retail financial transactions. The nature of the client (retail, professional, eligible counterparty), together with the type of service execution only, investment advice, portfolio management and the financial instrument (complex, non-complex), is one of the criteria used by the MiFID I and MiFID II to customize the duties of conduct31.

4. Retail Financial Transactions The notion of retail client includes all clients, both natural and legal persons, that are not professional clients; that is, who do not possess the experience, knowledge and expertise to make their own investment decisions and properly assess the risks that are incurred32. It follows that the notion of retail client includes also that of consumer which, according to the relevant EU law, refers to any natural person who, acts for purposes which are outside his trade, business, craft or profession33. This means that the EU financial directives applying to retail clients also apply to consumers and that,

See Kruithof, van Gerven, A Differentiated Approach to Client Protection: The Example of MiFID, Financial Law Institute WP 2010/07. 32 See Art. 4(1)(11) of MiFID II, referring to Annex II. 33 See in particular Art. 2(1) of Directive 2011/83/EU of the European Parliament and of the Council of 25 October 2011 on consumer rights, amending Council Directive 93/13/EEC and Directive 1999/44/ EC of the European Parliament and of the Council and repealing Council Directive 85/577/EEC and Directive 97/7 /EC of the European Parliament and of the Council (consumer rights directive). 31

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conversely, EU consumer directives apply to retail clients in so far as they are natural persons. Among consumer directives, the Distance Marketing of Consumer Financial Services Directive34, the Payment Services Directive35, the Consumer Credit Directive36 and the Mortgage Credit Directive37 are the most important for our purposes. Although these directives do not provide a comprehensive harmonized framework of contractual rights and duties, they do regulate consumer contractual rights and remedies. In particular, Art. 6 of the Distance Marketing of Consumer Financial Services Directive and Art. 14 of the Consumer Credit Directive confer on the consumer the right of withdrawal; Arts 60 and 75 of the Payment Services Directive harmonize the payment service provider’s liability to the payer for unauthorized payment transactions and for non-execution or defective execution of the payment transaction; and Art. 14 of the Mortgage Credit Directive imposes detailed pre-contractual information duties on the creditor38.

Directive 2002/65/EC concerning the distance marketing of consumer financial services 0.1. L 271/16 (2002). 35 Directive 2007/64/EC of the European Parliament and of the Council of 13 November 2007 on payment services in the internal market amending Directives 97/7/EC, 2002/65/EC, 2005/60/EC and 2006/48/ EC and repealing Directive 97/5/EC 0.1. L 319/36 (2007). 36 Directive 2008/48/EC of the European Parliament and of the Council of 23 April 2008 on credit agreements for consumers and repealing Council Directive 87/102/EEC 0.1. L 133/66 (2008). 37 Directive 2014/17/EU of the European Parliament and of the Council of 4 February 2014 on credit agreements for consumers relating to residential immovable property and amending Directives 2008/48/ EC and 2013/36/EU and Regulation (EU) No 1093/2010 O.1.L 60/34 (2014). 38 The Recital 58 of the Mortgage Credit Directive specifies that “Without prejudice to private contract law, Member States should ensure that creditors cannot terminate a credit agreement because they realized, after the signature of the credit agreement, that the assessment of creditworthiness was incorrectly conducted due to incomplete information at the time of the creditworthiness assessment”. 34

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These provisions reveal that the consumer financial directives have been drafted from the perspective of the private law relationship between a consumer and a service provider39 for the main purpose of increasing the protection of the investor vis-à-vis financial service providers.

5. Non-Retail Financial Transactions Unlike the EU consumer and retail financial regulation, EU non-retail financial regulation is drafted from the perspective of public enforcement via supervisory authorities of the investor protection provisions contained therein. The Prospectus Directive40, the Transparency Directive41, MiFID I42 and MiFID II43 require Member States to establish effective sanctions for a firm’s failure to comply with specific conduct of business rules but they do not provide private law remedies to (retail and non-retail) investors who may have been affected by the firm’s violation of these rules. However, these Directives do not expressly prevent Member states from introducing or preserving private law remedies or mandatory rules which ensure a high level of investor protection. The EMIR, on the other hand, specifies that an infringement of its rules shall

See Cherednychenko, The Regulation of Retail Investment Services in the EU: Towards the Improvement of Investor Rights? 33 Journal of Consumer Policy 408 (2010). 40 Art. 25 of Directive 2003/7l/EC on the prospectus to be published when securities are offered to the public or admitted to trading 0.1. L 345/64 (2003). Art. 6 requires Member States to ensure that their laws, regulations and administrative provisions on civil liability apply to those persons responsible for the information given in a prospectus. 41 Art. 24 of Directive 2004/109/EC on the harmonisation of transparency requirements in relation to information about issuers whose securities are admitted to trading on a regulated market and amending Directive 200 l/34/EC 0.1. L 390/38. Art. 7 requires Member States to ensure that their laws, regulations and administrative provisions on liability apply to issuers. 42 Art. 51 of MiFID I. 43 Art. 69 of MiFID II. 39

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not affect the validity of an OTC derivative contract and shall not give rise to any right to compensation from a party to an OTC derivative contract (Art. 12(3)). In such cases, a national provision establishing the nullity of an OTC derivative contract in cases where a firm infringes conduct of business rules would be in breach of EU law. There are two reasons for this public enforcement approach to the regulation of the B2B segment of the market. First of all, it must be kept in mind that the primary aim of the above-mentioned directives is to maintain the stability of financial markets. Maintaining a stable financial market increases the efficiency of financial markets and therefore indirectly enhances investor protection against banking crises, misspelling practices and fraud. Even if investor protection has attracted more attention since the global financial crisis44, it is doubtful whether the above-mentioned legislation can be interpreted in light of this exclusive objective. Rather, it seems that this objective needs to be counterbalanced with that of ensuring financial stability. This problem, as we will show below, is particularly relevant for national courts and adjudicating bodies when deciding whether the EU conduct of business rules pursue similar or divergent goals with respect to general contract law. Second, the public enforcement approach to financial regulation seeks to overcome divergences existing at the national level as regards the legal qualification of financial contracts (e.g. mandate, sale, sui generis contract) and the remedies for breach of these contracts (e.g. pre-contractual liability, contractual liability, nullity). In fact, by regulating the economic activity (e.g. financial instruments, financial services) instead of the legal mechanisms used to carry out such activities (e.g. the contract), EU law ensures that regulation will apply in Member States despite the relevant divergences across national jurisdictions. This means that EU finan-

See the recitals Nos. 77, 156, 177; Art. 24(6), 74(2) and 75(1) of MiFID II. See in particular Moloney, The Investor Model Underlying the EU’s Investor Protection Regime: Consumers or Investors? 13 European Business Organization Law Review 169 (2012). 44

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cial regulation is insensitive to national contract law, i.e. national contract law cannot set lower standards of protection than EU law. It does not mean, however, that national contract law is insensitive to EU financial regulation as the rules of conduct imposed by EU law on credit and investment firms may drive the interpretation of traditional categories of contract law45. How can the influence of EU law on national contract law be legally conceptualized? From the perspective of EU law, the problem arises when EU legislation (e.g. MiFID I, MiFID II) does not expressly require Member States to establish private law rights and remedies between the parties to a transaction but similarly does not prevent Member States from doing so. In these circumstances, if the Member State does not lay down a specific remedial consequence for the firm’s failure to respect the national law transposing EU law, can the firm’s breach give rise to a remedy based on general contract law? Some have argued that since directives lack horizontal direct effect they cannot be used by courts in order to provide a private law remedy to an investor (e.g. compensation). In contrast, other scholars have claimed that, notwithstanding lack of horizontal effect of directives, the national judge has a duty to interpret national law, including contract law, in light of EU law in accordance with the principle of “harmonious interpretation”46. Notably, the duty to interpret national law in light of EU law applies even if the provision was not enacted for the specific purpose of transposing the directive, provided that it does not lead to an interpretation contra legem of national law and does not have the effect of de-

See Della Negra, The Transformation of the Retail Financial Transactions in the EU and the Role of Contract Law, in Comparato, Micklitz, Svetiev (eds.), European Regulatory Private Law – Autonomy, Competition and Regulation in European Private Law 6 EUI Working Paper Law 117 (2016) and Della Negra, MiFID II and Private Law. Enforcing EU Conduct of Business Rules, Hart Publishing, Oxford, 173 (2019). 46 See Moslein, Third Parties in the European Banking Union Regulatory and Supervisory Effects on Private Law Relationships Between Banks and their Clients or Creditors 16 European Business Organisation Law Review 551 (2015). 45

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termining or aggravating the liability in criminal law of persons who act in violation of the directive47. Thus, while the provisions laid down in EU directives cannot be directly applied in horizontal relationships, they may be relied upon by the investor in order to have the conformity of national law with the directive reviewed48. To support this argument it must be remembered that since the global financial crisis the level of detail and prescription of the duties imposed on financial services providers under EU law has significantly increased49 despite the lack of private law remedies for the breach of these duties. The intensification of conduct of business rules is a clear sign that, even in the contractual relationship with the firm, investor protection is assuming crucial importance.

6. The Case Law of the Court Of Justice 6.1. The Peter Paul Judgment The CJEU addressed the complex problem of the horizontal effect of EU financial regulation in the Peter Paul judgment in

CJEU, case C-168/95, Luciano Arcaro, ECLI:EU:C:1996:363, para. 42; case C-I05/03, Pupino, ECLI:EU:C:2005:386, para. 45 and Joined Cases C-397/01 – C-403/01, Bernhard Pfeiff er et al., ECLI:EU:C:2004:584 , para 114. 48 See also Della Negra, MiFID II and Private Law, 174. In the case law, see the judgment of the Court of Appeal of Turin of 27 November 2009 available at www.ilcaso.it which held that the provisions of the Italian consolidated text of finance (Legislative Decree No 58/1998) must be interpreted in light of Art. 47 of the Italian Constitution and MiFID I. For a different view, see the judgment of the Scottish Court of Session in Grant Estates Limited v. The Royal Bank of Scotland pie. [2012] CSOH 133, of 21 August 2012 which refused to interpret the national contract law in light of the purposes of MiFID I. 49 See Moloney, Regulating the Retail Markets, in Moloney, Ferran, Payne (eds.), The Oxford Handbook of Financial Regulation, 739 (Oxford, Oxford University Press, 2015). 47

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200450 and the Genil v. Bankinter judgment in 201351. The former concerned the interpretation of Directive 1994/19/EC on deposit guarantee schemes52 and the latter, the interpretation of MiFID I. In Peter Paul, the plaintiffs claimed damages from the German state for deficient prudential supervision by the supervisory authority. However, they were precluded from claiming compensation for loss resulting from defective supervision because a specific banking law rule provided that the functions of the competent supervisory authority were to be carried out only in the public interest. The CJEU noted, interpreting the recitals of several banking directives (Directives 77/780, 89/299 and 89/646), that it does not necessarily follow either from the existence of such obligations or from the fact that the objectives pursued by those directives also include the protection of depositors that those directives seek to confer rights on depositors in the event that their deposits are unavailable as a result of defective supervision on the part of the competent national authorities53. Moreover, the CJEU held that the very objective of harmonisation pursued by these directives was the mutual recognition of authorizations and of prudential supervision systems. Therefore, the CJEU concluded that a national rule which precludes individuals from claiming compensation for damage resulting from defective supervision on the part of a supervisory authority was compatible with EU law54.

CJEU, case C-222/02, Peter Paul, ECLI:EU:C:2004:606. CJEU, case C-604/11, Bankinter, ECLI:EU:C:2013:344. 52 Directive 1994/19/EC on deposit guarantee schemes of the European Parliament and of the Council of 30 May 1994 on deposit guarantee schemes, 0.1. 1994 L 135/5, recently replaced by Directive 2014/49/ EU of the European Parliament and of the Council of 16 April 2014 on deposit guarantee schemes, 2014 0.1. L 173/149. 53 CJEU, case C-604/11, case C-604/11, Bankinter, para. 40. 54 See, for instance, about the law before the Bankinter judgment, Andenas, Misfeasance in Public Office, Governmental Liability, and European Influences 51 International and Comparative Law Quarterly 757 (2002) and about other aspects, D’Ambrosio, The Liability of the ECB and the NCAs within the Single Supervisory Mechanism 78 Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia (2015). 50 51

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This conclusion was based on a rather restrictive interpretation of the “conferring right” quality of the banking directives’ provisions. Whilst it is undisputed that these directives did not confer enforceable rights on depositors, it could be argued that they took into account their legal interests at least in the sense that prudential authorities, when exercising supervision, should balance the interest in the stability of the individual bank with the interest in the protection of its depositors55. 6.2. The Bankinter Judgment In the Genil v. Bankinter case, the referring court asked the CJEU, among other things, whether the omission of the appropriateness and suitability test provided for by Art. 19(4) and (5) of MiFID I in relation to the supply of an interest rate swap to a retail investor could determine the absolute nullity of the contract between the firm and the client. The CJEU noted that, even if MiFID I lays down administrative sanctions for a firm’s breach of national provisions transposing the directive, it does not require the Member States to stipulate contractual consequences for this breach. Therefore, the CJEU held that it is for the internal legal order of each Member State to determine the contractual consequences of non-compliance with the obligations, subject to the principles of equivalence and effectiveness56. Interestingly, the CJEU did not refer to or quote the Peter Paul judgment in support of its argument. This shows that the Peter Paul judgment could be a precedent for the interpretation of the contractual effects of prudential regulation but not conduct regulation57. In its concise reasoning, the CJEU made two important points. First, MiFID I do-

See Tison, Do not Attack the Watchdog! Banking Supervisors Liability after Peter Paul 42 Common Market Law Review 639 (2005). 56 CJEU, case C-604/11, Bankinter, para. 57. The CJEU has confirmed the Bankinter judgment in the judgment of 3 December 2015 in Case C-312/14, Banif Plus Bank, ECLI:EU:C:2015:794, para 79. 57 See in this sense Moslein, Third Parties in the European Banking Union Regulatory and Supervisory Effects on Private Law Relationships Between Banks and their Clients or Creditors, 552. 55

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es not prohibit Member States from preserving or introducing contract law remedies for a firm’s failure to respect national laws transposing MiFID I; second, the national contractual remedies must respect the EU principles of effectiveness and equivalence. Yet, the CJEU did not clarify one of the most problematic aspects which emerged across national jurisdictions in the wake of the financial crisis: does EU law require Member States to provide contract law remedies, alongside administrative sanctions, for a firm’s breach of national laws transposing MiFID I? The reasoning of the CJEU suggests, in our view, that the question should be answered in the affirmative, for the following reasons. First of all, the CJEU twice underlined the importance of the “investor protection” objective in MiFID, by referring to its recitals Nos 2 and 31 and by stressing that MiFID’s provisions on conduct of business rules (Art. 19 seq.) should be interpreted in light of this objective58. This is even more true with regard to the new MiFID II which has included further references in its recitals to the need to improve the protection of investors and consumers of financial services59. Second, from a more literal perspective, the judgment itself provides further support for our argument. In paragraph 57 of the judgment, the CJEU held that MiFID does not state either that the Member States must provide for contractual consequences in the event of contracts being concluded which do not comply with the obligations under national legal provisions transposing Article 19(4) and (5) of Directive 2004/39, or what those consequences might be. In paragraph 58, however, the CJEU concluded that it was up to the internal legal order of each Member State to determine the contractual consequences of non-compliance with those obligations, subject to observance of the principles of equivalence and effectiveness. The different wording used in these two instances suggests that Member States may choose an appropriate contractual remedy for the firms failure to comply with MiFID, but that

58 CJEU, case C-604/11, Bankinter, para. 39. See the recitals Nos. 77, 156, 177; Art. 24(6), 74(2) and 75(1) of MiFID II. 58 59

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they may not choose to provide no remedy if this would undermine the effectiveness of MiFID60. Third, if the ruling were interpreted as leaving Member States free to decide whether to establish contractual remedies for a firm’s breach of MiFID, this would mean that Member States could circumvent the principle of effectiveness of EU law by simply refusing to provide a contractual remedy. This result would, however, conflict with the principle of effectiveness of EU law, which requires that national law (whether public or private) should not make impossible or excessively difficult the exercise of rights conferred on the individual by EU law61. Thus, the Member State should be able to prove that despite the lack of private law remedies the protection of individual investor rights against the financial service provider are sufficiently protected by other legal remedies (e.g. administrative sanctions). It is likely that the CJEU’s restrictive answer can be explained by the narrow formulation of the question referred for a preliminary ruling by the national Court62. But the restrictive approach upheld by the CJEU could also be interpreted as a paradigmatic sign of the CJEU’s reluctance to encroach on the very sensitive issue of the interplay between EU law and national contract law, regulation and private autonomy63. In conclusion, we argue that on the basis of the Bankinter v. Genil ruling Member States have a duty to provide investors with private law remedies for a investment firm’s failure to respect the EU conduct of business rules unless the Member State proves that

See Grundmann, The Bankinter Case on MiFID Regulation and Contract Law 9 European Review of Contract Law, 278. 61 See, in particular, Dougan, The Vicissitudes of Life at the Coalface: Remedies and Procedures for Enforcing Union Law, in Craig and de Burca (eds.), The Evolution of EU Law, 424 (Oxford, Oxford University Press, OUP, 2011). 62 Grundmann, The Bankinter Case on MiFID Regulation and Contract Law, 267. 63 Cherednychenko, Contract Governance in the EU: Conceptualizing the Relationship between Investor Protection Regulation and Private Law, 505. 60

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other legal remedies already ensure full compliance with the principle of effectiveness under EU law.

7. The Impact of EU Financial Regulation on National Private Law 7.1. The Impact of EU Financial Regulation on National Legislation Our proposed interpretation of the Bankinter v. Genil judgment would increase convergence in the judicial approach to the complex relationship between EU financial regulation and national contract law across Member States. In the absence of any express EU law provision, Member States have adopted various perspectives on the relationship between EU financial regulation and national contract law. The divergences in national legislation can be summarized in three models. Some Member States, like Spain and France, have decided not to introduce any specific contractual remedies for a firm’s failure to respect its conduct of business rules; other Member States, such as Italy, have not introduced any specific contractual remedies but, nevertheless, set out certain rules regarding the form of investment contract and the burden of proof in compensation claims64; other Member States, such as the United Kingdom, have introduced an express private cause of action for a firm’s failure to comply with the conduct of business rules65.

See Arts 23(1) and (6) of the Italian consolidated text of finance (Legislative Decree No 58/1998). 65 Section 138D of FSMA (replacing the former Section 150 of FSMA). On the interpretation of this provision see, in particular, Titan Steel Wheels Ltd v. The Royal Bank of Scotland Pie [2010] EWHC 211 (Comm). 64

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7.2. The Impact of EU Financial Regulation on National Case Law 7.2.1. The Challenges of Complex Financial Disputes for the National Judge However, beyond the “law on the books” (i.e. statute law), the “law in action” (i.e. case law) shows a much more variegated reality. In the wake of the financial crisis, national courts have had to deal with financial disputes involving complex financial instruments (e.g. interest rate swaps, collateralised debt obligations), jurisdictional clauses and bankruptcies. The recurrent issue in the litigation concerns the role and function of the traditional categories of private law (e.g. liability, debt, guarantee, promise) in view of the rapid evolution in financial instruments, market practices and societal customs66. For example, derivative contracts have de facto transformed the contractual promise into a matter of risk management. The functioning of a derivative contract, such as for example a credit default swap (CDS), does not substantiality differ from a traditional insurance contract regulated by national civil codes: the seller of the CDS compensates the buyer in the event of a loan default (by the debtor) or other credit event. What is remarkably different, however, when compared to traditional insurance contracts, is the systemic relevance of these contractual arrangements, as well as the fact that they are highly standardized throughout global financial markets. About 90% of all OTC derivatives are governed by the standardised documentation published by the trade association, the International Swaps and Derivatives Association (ISDA)67. The complexity of financial instruments and practices raises important new

See Renner, Death by Complexity: The Financial Crisis and the Crisis of Law in Kjaer, Teubner and Febbrajo (eds.), The Financial Crisis in Constitutional Perspective. The Dark Side of Functional Differentiation, 105 (Oxford, Hart Publishing, 2011). 67 See in particular Braithwaite, Standard Form Contracts as Transnational Law: Evidence from the Derivatives Markets 5 Modern Law Review 784 (2012). 66

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challenges for the national judge. First, whilst the contract terms are global, the assets of the parties and the adjudicating courts remain local. Second, such contracts are not individually negotiated and the parties to the contract are not the original drafters of the contract terms. This means that, in order to understand the context of the transaction, the judge should refer to the intention of the original drafters of the terms rather than that of the actual contracting parties68. Third, as we mentioned above, the regulatory architecture of such contracts is multi-layered: it comprises self-regulation (standard contract terms), general contract law and financial regulation. But whilst self-regulation and financial regulation are rapidly evolving, the latter following the former, the general law of contract remains formally enshrined in civil codes adopted in the 19th and 20th centuries or in the case law. What role should the traditional categories of private law play in the adjudication of complex financial disputes in the post-crisis era? What is the relationship between these categories and financial regulatory standards? The recurrent issue tackled by national courts since the financial crisis is whether, in the absence of EU law provisions, a firm’s failure to comply with conduct of business rules may give rise to a remedy based on general contract law. The solutions adopted by national courts are very diverse even within the same jurisdiction69. 7.2.2. The National Adjudication Techniques Two general approaches can be identified in the case law. Some national courts maintain a strict separation between financial regulatory standards and private law standards and therefore refuse to enforce regulatory standards through private law re-

See Choi, Mitu Gulati, Contract as Statute 104 Michigan Law Review 1133 (2006). 69 See for an overview, Busch, Why MiFID Matters to Private Law – The Example of Mifid’s Impact on an Asset Manager’s Civil Liability 7 Capital Markets Law Journal 386 (2012) and Della Negra, MiFID II and Private Law, 131-170. 68

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medies. In the UK, for example, national courts have refused, bar a few rare cases70, to grant remedies based on general common law to clients who suffered a loss as a result of a firm’s failure to comply with the pre-MiFID71 and MiFID-derived conduct of business rules72. The U.K. court approach is based on the idea that the autonomy of general common law, and consequently, the principle of private autonomy should be protected against the ‘intrusions’ of EU-derived regulatory standards. Separating financial regulation and contract law is instrumental in achieving greater private autonomy, which helps to foster financial innovation and strengthen commercial and legal certainty73. To achieve these objectives, UK Courts attach a crucial importance to the contractual documentation freely agreed between the parties74, i.e. by deciding that in the absence of advisory agreement no duty to advise can arise at common law75 and that, in the absence of an express contractual provision, regulatory duties cannot be incorporated into the contract and cannot be actionated by way of contractual remedies76. Other national courts (in particular, in Italy, Spain and France) have held that a firm’s failure to comply with its conduct of business rules may give rise to an implied remedy based on general

Loosemore v. Financial Concepts [2001] Lloyd’s Rep. P.N. 235; Seymour v. Caroline Oekwell & Co. [2005] EWHC1l37 (QB); Shore v. Sedgwiek Financial Services Ltd [2007] EWHC 2509 (QB); Rubenstein v. HSBC Bank pie [2012] EWCA Civ 1184. 71 See, inter alia, JP Morgan Chase Bank v. Springwell Navigation Corporation [2008] EWHC 1186 (Comm) 2008 WL 2148250; Green v. Royal Bank of Scotland Pie [2012] EWHC 3661 (QB). 72 See, inter alia, Crestsign Ltd v. National Westminster Bank pie and Royal Bank of Scotland pie [2014] EWHC 3043 and Thornbridge Ltd v. Barclays Bank Pie [2015] EWHC 3430 (QB). 73 See, Bridge, Braithwaite, Private Law and Financial Crises 2 Journal of Corporate Law Studies I (2013). 74 See Alexander, Bank Civil Liability for Mis-selling and Advice in Busch, Van Dam (eds.), A Bank’s Duty of Care, 253 (Oxford, Hart Publishing, 2017). 75 JP Morgan Chase Bank and Others v. Springwell Navigation [2008] EWHC 1186 (Comm), para. 440. 76 Clarion Ltd v. National Provident Institution [2000] I WLR 1888. 70

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contract law. The underpinning rationale is that general contract law should support EU-derived regulatory standards in order to increase the protection of retail clients. To achieve this objective, national courts, rather than focusing on contractual documentation, focus on the purposive interpretation of national private law in light of EU-derived regulatory standards (suitability and appropriateness rules). However, the courts’ approach differ with regard to the type of remedy awarded to retail investors (e.g. absolute nullity, avoidance for mistake, liability), In Italy, between 2005 and 2007, several courts held that a firm’s failure to comply with the national rules implementing the ISD (when providing financial services to retail clients in relation to Cirio, Parmalat and Republic of Argentina bonds)77 provoked the absolute nullity of the contract for the breach of mandatory rules pursuant to Art. 1418(1) of the Civil code78. This judicial reasoning was based on the premise that, since the conduct of business rules are rules of public order (ordre public), they are tantamount to imperative contract terms and therefore their breach enables the investor to claim the nullity of the contract for breach of imperative rules79. By contrast, other courts have held that a breach of the conduct of business rules gives rise to avoidance of the contract for

See Capriglione, Crisi di sistema ed innovazione normativa: prime riflessioni sulla nuova legge sul risparmio (l. n 262 del 2005) 2 Banca, borsa e titoli di credito 125 (2006). 78 See, in particular, Trib. Mantova, 18 March 2004 and Trib. Mantova, 12 November 2004. Available on www.ilcaso.it. 79 See for this thesis Tison, The Civil Law Effects of MiFID in a Comparative Law Perspective 5 Working Paper Financial Law Institute (2010). 77

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mistake or fraud80 or determines pre-contractual81 or contractual liability82 of the financial service provider83. In 2007, the Plenary Session of the Italian Supreme Court held, in two landmark judgments84, that a breach of the conduct of business rules would not engender the absolute nullity of the contract because conduct of business rules, whilst mandatory, do not qualify as imperative rules under Art. 1418(1) of the Civil code. According to the Supreme Court, violation of these rules by the financial service provider could only give rise to pre-contractual or contractual liability; thus it falls to the plaintiff to prove the loss suffered as a result of an alleged breach of these rules. These judgments are based on a theoretical and formalistic distinction between rules of conduct, which govern the parties’ behavior before, during and after the conclusion of the contract, and rules of validity, which govern the formal and structural requirements of the contract. However, this distinction is not expressly laid down in the law and, more importantly, it risks undermining the effective protection of retail investors who may find it difficult to prove the firms breach of conduct of business rules85. It must be noted, however, that in some

See, in particular Trib. Roma, 16 May 2005, Trib. Bologna, 18 December 2006. Available on www.ilcaso.it. 81 See Cass. 29 settembre 2005, n 19024. Available on www.ilcaso.it. 82 See in particular Trib. Firenze, 18.10.2005; Trib. Genova, 19.10.2006. Available on www.ilcaso.it. 83 For an overview of the case law see Roppo, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento, (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattuali), 3 Contratto e impresa 896 (2005) and Greco, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria (Milano, Giuffré, 2010). 84 Cass. Sez. Un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725 commented, inter alia, by Scoditti, La violazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziario e le sezioni unite I Foro italiano 748 (2008); Lucchini-Guastalla, Violazione degli obblighi di condotta e responsabilità degli intermediari finanziari 2 Responsabilità civile e previdenza 748 (2008); Roppo, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf 3 Danno e responsabilità 536 (2008). 85 See Alpa, Gli obblighi informativi precontrattuali nei contratti di investimento finanziario. Per l’armonizzazione dei modelli regolatori e per l’uni80

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recent judgments Italian courts have declared null and void OTC interest rate swaps (not based on ISDA model agreements) for a lack of consideration on the nature of the risks involved in the financial instrument (causa) pursuant to Art. 1418(2) of the Civil code86. Interestingly, in such cases the contract was not annulled for mere lack of information but because this lack of information meant that the investors could not have been aware of the imbalance of power visà-vis the financial firm. As a result, the likelihood of monetary risk protection was frustrated, inexistent or reduced by the contract. In the wake of the global financial crisis, Spanish courts have faced a wave of financial litigation concerning the mis-selling of participationes preferentes, interest rate swaps and Lehman Brothers’ products. Similarly to Italian courts, the Spanish courts have had to seek the most appropriate contractual remedy for a firm’s failure to respect MiFID’s suitability and appropriateness tests87. Unlike in Italy and in the United Kingdom, the most important remedy applied by national law is the avoidance of the contract for mistake pursuant to Art. 1265 of the Civil code. In a recent string of cases, the Spanish Supreme Court, referring to the judgment of the CJEU in Bankinter v. Genil, held that a firm’s failure to carry out the appropriateness test required by MiFID I could give rise to an error invalidating the consent of the client88. In particular, the Supreme Court has clarified that while the lack of performance of such assessment does not itself imply the existence of an error invalidating consent, it does not preclude its presumption. Thus, the error must take place in relation to the subject­matter of

formazione delle regole di diritto comune 3 Contratto e Impresa 131 (2008). 86 See Corte App. Milano, 18 September 2013; Corte App. Torino, 22 Aprii 2016. Available on www.ilcaso.it. See also for a recent overview of the case law on financial derivative contracts, Della Negra, I rimedi per la violazione di regole di condotta MiFID II: una riflessione di diritto UE, Banca borsa e titoli di credito, 7, 701 (2020). 87 See Zunzunegui, Mis-selling of Preferred Shares to Spanish Retail Clients 29 Journal of International Banking Law and Regulation 174 (2014). 88 See judgments of the Supreme court 4 February 2016,323/2016; 20 January 2014, No 840/2013, 15 September 2015, No 49112015, / July 2014, No 384-384/2014.

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the contract. In swaps contracts, the error must concern the risks associated with that instrument. This means, then, that the provision of understandable and appropriate information, comprising “guidelines and warnings about the risks associated with those instruments”, becomes essential for a retail client to legitimately give his consent. In France, civil courts have consistently held that an investment firm’s failure to respect MiFID’s conduct of business rules, as transposed by Art. L. 533 of the Code monétaire et financier, leads to a breach of the investment contract pursuant to Art. 1147 of the Civil code. The Supreme Court has specified that the duty of a bank to warn its client(s) of the risks associated with a transaction only lies where the financial instrument is of a so-called “speculative nature” (caractère speculatif – i.e. instruments subject to a high level of exposure, traded on future markets – or where the client is not a sophisticated investor (investisseur averti) and is therefore unable to assess his/her financial exposure89. Thus, in the absence of a specific remedy provided under the “droit special” the judge must apply the remedies of the “droit general”90. Similarly, the Dutch Supreme Court in Levob v. B, De Treek v. Dexia and Stichting Gedupeerden Spaarconstructie v. Aegon91 held the banks responsible for breaching the duty of care. Even if the duty to know one’s client had not been included in the financial supervision legislation then in force, the Supreme Court held that private law duties of care could extend further than the public law duties of care contained in the conduct of business rules92.

Cass. com., 5 Novembre 1991, n. 89-10005 (Buon case); Cass. com, 19 September 2006, n 005-15.305 (Benefic cases); Com., 26 February 2008, Bull. 2008, IV, n° 42, pourvoi n. 07-10.761; Com., 1 July 2008, pourvoi n. 07-16.461. 90 See Mazeaud, Droit commun du contract et droit de la consommation nouvelles frontières? – Etudes de droit de la consommation – Liber Amicorum Jean Calais-Auloy, 703 (Paris, Dalloz, 2004). 91 HR 5 June 2009, NJ 2012, 182, 183 and 184. 92 Cherednychenko, The Regulation of Retail Investment Services in the EU: Towards the Improvement of Investor Rights?, 421. 89

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A similar solution has been adopted by the German civil Courts93. According to the German Supreme Court, a firm’s failure to comply with its conduct of business rules does not determine per se the avoidance of the contract but it may give rise to pre­contractual liability and breach of contract94. 7.2.3. The (Regulatory) Implications of Adjudication s Techniques The foregoing overview on the national case law has brought to light differences between the continental and common law approaches to dispute resolution. The continental courts promote a gradual integration between regulatory and contract law duties. The common law courts, instead, seem to separate these two sets of duties. Both approaches have regulatory implications. The continental approach attaches to courts the role of supplementing financial regulation, supervision and public enforcement, by compensating clients who suffered a loss as a result of mis-selling of financial instruments. By contrast, the common law approach is instrumental to foster financial innovation and market efficiency because it assigns primary importance to the parties’ agreement and self-responsibility95. The difference between these two approaches, whilst reflecting historical divergences between civil and common law that cannot be investigated in this paper, should, nevertheless, not be over-emphasized because the factual context of the disputes is very different.

See on this debate Grundmann, Commentary to §§ 31 et seq, Bankrecht VI – Wertpapierhandelsgesetz in C Ebenroth, K Boujong, D Joost and L Strohn (eds.), HGB-Kommentar, 2 vol, BankRpara VI 229 et seq 266 (1st ed., Munich: CH Beck, 2001). 94 See, in particu1ar, BGH, 22.3.2011, XI ZR 33/10 commented by Haas, Lindenmaier-Mòhring Kommentierte BGH-Rechtsprechung (LMK) 2011,318031. 95 See, on the impact of courts on contractua1 innovation, Gibson, Sabel, Scott, Contract and Innovation: The Limiter Role of Generalist Courts in the Evolution of Contractual Forms 88 New York University Law Review 170 (2013). 93

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The UK courts adjudicate high level claims disputes which involve, almost always, sophisticated retail clients (i.e. firms) or non-retail clients, who are supposed to have a sufficient knowledge, experience and financial resources to understand the terms and conditions of financial agreements; by contrast, the disputes before civil law courts, especially in Italy and Spain, often involve small claim disputes concerning unsophisticated retail clients who do not have any knowledge and experience of securities markets (i.e. retired persons)96. This context-driven consideration suggests that the role of private law-making and enforcement in financial markets should be analyzed taking into account, besides national courts, also other institutional mechanisms, such as out-of-court dispute resolution, which can support courts in the ‘management of conflict between firms and clients97.

8. The Role of Alternative Dispute Resolution (ADR) Mechanisms 8.1. The Influence of EU Law on ADR: From Convergence to Harmonisation Since the outbreak of the global financial crisis, ADR mechanisms have also assumed increasing importance in the adjudication of retail client disputes. At the EU level, the out-of-court resolution of financial disputes has has become an essential element of retail financial market regulation, first, through the establishment of the

See Della Negra, The Transformation of the Retail Financial Transactions in the EU and the Role of Contract Law in Comparato, Micklitz, Svetiev, European Regulatory Private Law – Autonomy, Competition and Regulation in European Private Law 6 EUI Working Paper LAW 119 (2016). 97 See Micklitz, The Transformation of Enforcement in European Private Law: Preliminary Considerations 4 European Review of Private Law 523 (2015) and Cherednychenko, Public and Private Enforcement of European Private Law in the Financial Services Sector 4 European Review of Private Law 621 (2015). 96

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FIN-NET network, and, second, through ‘light-touch’ harmonisation of national laws98. In 2001 the European Commission launched the FIN-NET network to facilitate cross-border retail client dispute resolution. The FIN-NET, however, is a mechanism of coordination which does not introduce any harmonisation of the institutional rules governing ADR at the national level. An important step towards legislative harmonisation was made by the MiFID I which required Member States to establish “efficient and effective complaints and redress procedures for the out-of-court settlement of consumer disputes” (Art. 53). The MiFID II reiterated the same principle but did not introduce any specific requirement on how Member States should design ADRs and what remedies they can grant. Therefore, these ADR shall remain subject to the principles laid down by the new Directive on consumer ADR adopted in 2013 which encourages Member States to develop ADR networks, such as the financial dispute resolution network ‘FIN-NET’ in the area of financial services, and to foster the inclusion of national ADR mechanisms in this network99. A remarkable novelty of the MiFID II is that it requires Member States to set up mechanisms “to ensure that compensation may be paid or other remedial action be taken in accordance with national law for any financial loss or damage suffered as a result of an infringement of this Directive or of Regulation (EU) No 600/2014” (Art. 69)100. Although this innovative provision does not confer an express private law remedy to clients it certainly strengthens the private enforcement of MiFID II conduct of business rules, namely by ‘importing’ in EU law the UK enforcement model of the ‘con-

See Della Negra, The Private Enforcement of the Mifid Conduct of Business Rules. An Overview of the Italian and Spanish Experiences 4 European Review of Contract Law 587 (2014) and Della Negra, MiFID II and Private Law, 89-129. 99 See Recital No 53 of Directive 2013/11/EU of the European Parliament and of the Council of 21 May 2013 on alternative dispute resolution for consumer disputes and amending Regulation (EC) No 2006/2004 and Directive 2009/22/EC (Directive on consumer ADR). 100 See, with more detail on the interpretation of this provision, Della Negra, The Effects of the ESMA’s Powers on Domestic Contract Law, 155. 98

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sumer redress scheme’ of Section 404 of FSMA which provision empowers the Financial Conduct Authority to require financial firms to establish and operate a consumer redress scheme when there may have been a widespread or regular failure by relevant firms to comply with its conduct of business rules, consumers have suffered (or may suffer) loss or damage and it considers that it is desirable to make rules for the purpose of securing that redress is made to the consumers. 8.2. The National Models of ADR However, the institutional nature and remedies awarded by national ADR schemes differ significantly from one country to another. Some ADR schemes are public or publicly funded (Arbitro Bancario e Finanziario, ABF in Italy); others are private or privately funded (Ombudsman-giurì bancario in Italy). Some provide mere recommendations to investment firms (Comisionado para la Dejensa del Cliente in Spain); others adjudicate the dispute through a binding determination (ABF and Financial Ombudsman Service, FOS in the UK). It is also important to note that some “adjudicative” ADRs, like the ABF, seriously take into account statute law and case law101, whilst others, in particular the FOS, determine the complaint by reference to what is “fair and reasonable in all the circumstances of the case102. The British courts have emphasized the importance of this ‘informal’ approach to dispute resolution by holding that the FOS is not bound by common law103 and that its determinations can be set aside by means of judicial review only if “his opinion as to what is fair and reasonable in all the cir-

See Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole (Bologna, Zanichelli, 2013). 102 See Section 228 FSMA 2000. The FOS shall take into account, among other things, the relevant law and regulations (DISP 3.6.4 of FCA Handbook Dispute Resolution Complaints). See Alpa, Gli obblighi informativi precontrattuali nei contratti di investimento finanziario, 910. 103 See R. (on the application of London Capital Group) v. Financial Ombudsman Service Ltd [2013] EWHC 2425 (Admin). 101

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cumstances of the case is perverse or irrational104. The nature of the FOS’ adjudication, together with its broad competence (up to f 150,000), gives to retail unsophisticated investors, who could not afford access to courts, an effective way to protect their rights visà-vis financial firms105.

9. Concluding Remarks The preceding analysis has investigated the complex interactions between EU financial regulation and national contract law. The wave of mis-selling practices involving complex financial instruments, the infamous financial fraud and the various banking failures have caused significant losses to retail investors and have increased financial litigation across Europe. EU law has reacted to this serious situation by increasing the level of regulation, through the imposition of new conduct of business rules, and by harmonising the public enforcement and supervision of financial regulation. Contract law has remained in the shadow of EU post-crisis financial regulation; the regulation of contractual duties and remedies is still predominantly based on national law and varies widely across jurisdictions. Our research, based on an analysis of the statute law and case law in several Member States, has underlined two important findings. First, in most European countries judicial enforcement of EU financial regulation has provided important options to investors in terms of compensation and deterrence. In Italy and Spain, in particular, national courts have played a fundamental role in protecting investors against mis-selling practices, often compensating for the weaknesses of public enforcement and super­vision. Although it

See R. (on the application of IFG Financial Services Ltd v. Financial Ombudsman Services Ltd v. Mr and Mrs Jenkins [2005] EWHC 1153 (Admin). 105 See, for the impact of the FOS adjudication of payment protection insurance (PPI)-related disputes, Ferran, Regulatory Lessons from the Payment Protection Insurance Mis-Selling Scandal in the UK 4 European Business Organization Law Review 247 (2012). 104

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The ‘’Europeanisation’’ of national contract law in the financial services sector: A judge-driven modernization of national contract law

could be argued that an excessive level of litigation may endanger market efficiency, in several countries national courts have been successful in compensating retail investors for the losses suffered as a result of widespread mis-selling practices106. Second, the general law of contract, which is often neglected in academic studies on financial regulation, has proved to be an adaptable and flexible tool to achieve a high level of investor protection. The case law in several EU countries (e.g. Italy, Spain, France, Germany, Netherlands) shows an ongoing process of ‘Europeanisation’ and ‘modernization’ of general contract law and its traditional categories (e.g. liability, validity) which suggests gradual convergence between financial regulatory standards and contractual standards107. In our view, this judicial development should be normatively welcomed. The traditional categories of contract law should not represent an outdated toolbox. On the contrary, they can be effectively used as flexible theoretical tools to enhance legal and commercial certainty by conceptualizing a rapidly evolving reality108. One important implication of these ongoing processes (Europeanisation and modernization) is the growing interdependence and integration between financial regulatory standards and contractual standards. EU law has designed financial regulation as a self-sufficient body of law, which should theoretically at least steer the parties’ behaviour without needing to rely on traditional contract law109. As we mentioned above, this regulatory technique aims to set limits to the economic activity of market participants by overcoming the different private law regulations existing at the national level110.

See Perrone, Valente, Against All Odds: Investor Protection in Italy and the Role of Courts 13 European Business Organization Law Review 21 (2012). 107 See Della Negra, MiFID II and Private Law, 201. 108 See Lipari, Categorie civilistiche e diritto di fonte comunitaria 1 Rivista trimestra1e di diritto e procedura civile 20 (2008). 109 See Micklitz, Svetiev, A Self-Sufficient European Private Law – A Viable Concept? 31 EUI Working Papers Law 23 (2012). 110 See also Azoulai, The Complex Weave of Harmonization, in Chalmers, Arnull (eds.), The Oxford Handbook of European Union Law (Oxford, Oxford University Press, 2015). 106

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Mads Andenas Federico Della Negra

However, after the global financial crisis and the widespread misselling scandals, fraud and bankruptcies which followed, there was a pressing need to ensure a high level of investor protection and the effectiveness of EU law. For these reasons, the remedies based on the general law of contract have become necessary tools to support and complement the financial regulatory tools (i.e. information duties) and provide a high level of investor protection. Of course, the national judge-made modernisation of general contract law cannot overcome per se the high degree of divergence in private law-making and enforcement that has arisen across national jurisdictions. The regulatory approach of Member States and the judgments of national courts still differ significantly as regards the kinds of private law remedy that investors can rely on to recoup losses suffered as a result of a firm’s failure to comply with EU conduct of business rules, as transposed in national law. In fact, whereas the modernisation of contract law is visible in continental Europe, in the UK national courts have maintained a more conservative approach when interpreting contract clauses and have refused to interpret the general common law in light of the objectives of EU financial regulation. Although the EU is still struggling to introduce harmonised rules on the civil liability of financial service providers, there is some evidence of a new trend towards the strengthening of private enforcement of conduct regulation. The innovative provision of Art. 69 of the MiFID II, read in light of the Bankinter judgment, suggests that Member States should introduce mechanisms (judicial and extra-judicial) to confer on individual clients the right to enforce EU-derived regulatory standards, thus strengthening the effectiveness of EU financial regulation. We argue that, the effective enforcement of EU conduct regulation is a necessary precondition to ensure the credibility of EU client protection regulation, strengthen the investors’ confidence in the EU financial markets and mitigate the systemic risk arising from firms’ misconducts.

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Adeguamento del contratto tra principi del pacta sunt servanda e clausola rebus sic stantibus Achille Antonio Carrabba - Gelsomina Salito

Sommario: 1. Le sopravvenienze tra pacta sunt servanda e clausola rebus sic stantibus. – 2. La rilevanza del fattore “tempo” nei rapporti di durata e le soluzioni del codice civile. – 3. (segue) L’impossibilità sopravvenuta della prestazione. – 4. La rinegoziazione tra buona fede ed equità. – 5. L’adeguamento del contratto.

Abstract The recent pandemic crisis brought to the attention of the jurist the complex theme of the contingencies and the events occurencing after the contract. The civil code, in this regard, regulates essentially demolishing remedies, which are not always suitable for solving the problems related to the alteration of the original relationship agreed between the parties. The essay focuses on the possibility of reaching solutions other than those normally indicated.

1. Le sopravvenienze tra pacta sunt servanda e clausola rebus sic stantibus Il complesso tema delle sopravvenienze pone il giurista a confronto con «l’umanamente imprevedibile»1 e lo sfida nella ricerca

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Per riprendere l’espressione di Pardolesi, Regole di “default” e razio-

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di risposte e soluzioni in grado di restituire alle relazioni l’equilibrio sconvolto (o comunque modificato) dal supervenire ossia dal sopraggiungere di eventi esterni, inattesi ed improvvisi. Non si tratta, in verità, di una tenzone nuova, sebbene la recente pandemia causata dal coronavirus la riproponga sotto una rinnovata veste2. Si tratta, al contrario, di una questione che fa la sua prima timida apparizione già nelle fonti romane3, dove, tuttavia, la sostanziale impermeabilità dell’obbligazione al verificarsi di circostanze sopravvenute e la necessità di assicurarne l’adempimento fino al limite dell’impossibilità4 vengono scalfite solo dalla vis maior o dal fortuitus casus, icasticamente resi dall’irrompere della violenza di briganti o di pirati o di eventi naturali come terremoti,

nalità limitata: per un (diverso) approccio di analisi economica del diritto dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 1996, p. 460 ss. 2 Sul punto, per tutti, Zorzi Galgano, Impatto del Covid-19 sul sistema del codice: impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità?, in questa rivista, 2021, p. 53 ss. 3 L’irrilevanza delle sopravvenienze emerge, così, da D.18.1.69 (Proculus 11 epistularum), in cui è riportata la sententia del giureconsulto Proculo: «Rutilia Polla emit lacum Sabatenem Angularium et circa eum lacum pedes decem: quaero, numquid et decem pedes, qui tunc accesserunt, sub aqua sint, quia lacus crevit, an proximi pedes decem ab aqua Rutiliae Pollae iuris sint. Proculus respondit: ego existimo eatenus lacum, quem emit Rutilia Polla, venisse, quatenus tunc fuit, et circa eum decem pedes qui tunc fuerunt, nec ob eam rem, quod lacus postea crevit, latius eum possidere debet quam emit». Gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, p. 78, ricorda che, comunque, era prevista la possibilità di revocare le donazioni tra coniugi in caso di divorzio e in caso di sopravvenienza di prole; parimenti, era riconosciuta al locatore la possibilità di ottenere la restituzione del bene in presenza di nuovi bisogni imprevisti al momento della conclusione del contratto. 4 Pugliese, Sitzia, Vacca, Istituzioni di diritto romano, Torino, 2012, p. 366; Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1978, p. 382 ss. Biscotti, Sopravvenienze, rischio contrattuale, litora e concessioni, tra diritto privato e diritto pubblico, in La interpretación del negocio jurídico: desde la Antigüedad hasta hoy, a cura di Rodríguez, Madrid, 2017, p. 9, evidenzia come, in tema di locazione, al dominus veniva addossato tendenzialmente persino il casus, in considerazione dell’ampiezza della sua obbligazione di garantire al conduttore l’uti frui.

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tempeste, incendi non provocati. Improntato alla regola del pacta sunt servanda, secondo cui il contratto non poteva essere infranto per motivi extragiuridici, il diritto romano classico ignorava, infatti, la clausola rebus sic stantibus5 e con essa la rilevanza delle sopravvenienze6. L’idea che tutti i contratti nei quali intercorresse un intervallo di tempo tra la stipulazione e l’adempimento fossero implicitamente subordinati a detta clausola è di epoca successiva e si deve soprattutto all’opera della Scolastica. La sua diffusione – pur notevole nei secoli XV e XVI – ebbe, tuttavia, scarsa fortuna per il rischio che la sua applicazione – disancórata da parametri certi ed oggettivi e legata piuttosto a valutazioni di ordine psicologico relative alla communis opinio dei contraenti – minasse la certezza dei rapporti negoziali. Di qui la mancata positivizzazione in gran parte delle moderne codificazioni a cominciare proprio dal Code Napoleon, restìo ad accogliere la theorie de l’imprevision7. Sull’esempio dell’esperienza francese il codice italiano del 1865 non recepì la regola, favorendo, con il suo silenzio, il proliferare delle tesi di quanti ritenevano la clausola rebus sic stantibus espressione della volontà (tacita) delle parti di non dare esecuzione al contratto se fossero mutate le circostanze esistenti al momento della sua conclusione8. Alle sollecitazioni della dottrina non rimase, invece, sorda la successiva ri-codificazione del 1942, che anzi, come si legge nella Relazione di accompagnamento, avvertì l’esigenza di disci-

Per la ricostruzione storica della regola Osti, La cosiddetta clausola «rebus sic stantibus» nel suo sviluppo storico, in Riv. dir. civ., 1912, p. 1 ss.; Id., voce Clausola «rebus sic stantibus», in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1959, p. 353 ss. Sul tema, v. anche Galletto, voce Clausola «rebus sic stantibus», in Digesto, disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, p. 383 ss. e in I contratti in generale, a cura di Alpa e Bessone, Torino, 1991, p. 3 ss. 6 Ferrara sr., Della simulazione dei negozi giuridici, Milano, XIV, 1909, p. 1 ss. 7 Ferrari, Laghi, Diritto europeo dei contratti, Milano, 2012, p. 42. 8 Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1975, p. 69 ss. In argomento v. altresì Dusi, Sulla clausola «rebus sic stantibus», in Riv. dir. comm., 1915, II, p. 148 ss.; Brugi, Impossibilità oggettiva della prestazione. Presupposizione e clausola «rebus sic stantibus», ivi, 1923, II, p. 629 ss. 5

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plinare i riflessi sul contratto del verificarsi di eventi eccezionali in grado di incidere sugli assetti economici pattiziamente definiti. Il legislatore codicistico, in altre parole, mostrò di avere presenti le problematiche connesse al protrarsi, più o meno lungo, nel tempo dei rapporti obbligatori, senza mai spingersi tuttavia fino al punto di apprestare soluzioni di contenuto generale9. Preferì, piuttosto, prevedere specifiche fattispecie10, affidando la regolamentazione dei rimedi risolutori (riferiti al contratto tout court) alla disciplina delle obbligazioni sul presupposto che la stessa fosse comunque destinata a riflettersi, «in modo coerente e consequenziale» su quella, appunto, del contratto11. Una scelta, questa, che riposava sulla volontà ora di far ricadere sul soggetto le conseguenze del suo agire (poco o affatto diligente, come nel caso degli effetti della mora sul rischio, regolato dall’art. 1221 c.c.), ora di onerarlo degli svantaggi insiti nel tipo di contratto prescelto a fronte dei vantaggi conseguiti (come nel caso dell’esclusione della garanzia nella vendita a rischio e pericolo del compratore di cui all’art. 1488 c.c. o nel caso del passaggio del rischio in sede di vendita con riserva della proprietà ex art. 1523 c.c.). Si tratta – a ben vedere – di una serie di disposizioni distribuite e articolate in modo disomogeneo, destinate, per lo più, ad operare all’interno del singolo tipo legale, che, nella logica del “mitico personaggio”, rappresenta, «se non l’unico, certamente il migliore criterio di selezione del rischio contrattuale»12. Al di fuori

Cfr. Zorzi Galgano, Impatto del Covid-19 sul sistema del codice: impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità?, cit., p. 71. 10 Si veda Giampieri, voce Rischio contrattuale, in Digesto, disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, p. 19. 11 In questi termini Macario, voce Contratti di durata, in Enc. dir. online, 2021, p. 5. 12 Come appunta Gabrielli, Rimedi giudiziali e adeguamento del contratto alle mutate circostanze di fatto, in Studi Urbinati di scienze giur., pol. econ., 2003, p. 173. Le circostanze sopravvenute – diverse da quelle contemplate dalle parti in sede di conclusione del contratto o previste dal legislatore per effetto di disposizioni ad hoc – non dovrebbero a rigore incidere sulla tenuta del regolamento contrattuale, pena – afferma Villanacci, Interessi e sopravvenienze contrattuali, in Persona e mercato, 2015, p. 60 9

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di tali ipotesi, invece, il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili estingue l’obbligazione se è causa di una impossibilità non imputabile della prestazione (art. 1256 c.c.) – con conseguente liberazione, nei contratti a prestazioni corrispettive, dall’obbligo di eseguire la controprestazione ancóra dovuta in capo alla controparte (art. 1463 c.c., ma si v., altresì, l’art. 1464 c.c.) – e legittima la risoluzione se determina una eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica (art. 1467 c.c.)13.

2. La rilevanza del fattore “tempo” nei rapporti di durata e le soluzioni del codice civile Le soluzioni indicate appaiono coerenti con il contesto culturale in cui venne emanato il vigente codice civile, contesto nel quale il contratto era considerato, sul piano funzionale, strumento di acquisto della proprietà (art. 922 c.c.) e, sul piano strutturale, fonte di obbligazioni (art. 1173 c.c.): di conseguenza, ogni attenzione (normativa) ruotava intorno alla tutela della proprietà, alle vicende modificative del diritto reale e agli strumenti attraverso i quali garantire le prerogative del titolare. Si spiega, in quest’ottica, la ragione per la quale i rimedi per la gestione delle sopravvenienze risultavano plasmati sul paradigma dei contratti “permutativi”

– «la determinazione di un contesto economico-sociale imperniato sulla precarietà delle relazioni giuridiche, in palese discrasia con il principio di certezza del diritto che innerva l’area dei traffici giuridici». Sul punto v. altresì Galgano, La forza di legge del contratto, in Scritti in onore di R. Sacco, Milano, 1994, p. 509; De Nova, Il contratto ha forza di legge, Milano, 1993; Id., Recesso e risoluzione nei contratti. Appunti da una ricerca, in Recesso e risoluzione nei contratti, a cura di De Nova, Milano 1994; Vettori, La vincolatività, in Aa.Vv., Il contratto in generale, V, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, XIII, Torino, 2002, p. 6 ss. 13 L’eccessiva onerosità della prestazione pone un «problema di equità della cooperazione», in ragione del «processo di tempo» che intercorre tra il momento della conclusione del contratto e quello della esecuzione della prestazione medesima: Betti, Teoria generale delle obbligazioni, vol. I, Milano, 1953, vol. III, p. 189.

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(modello di riferimento, del resto, dell’intera disciplina generale del contratto) e per la quale il verificarsi di eventi inattesi e sopravvenuti assumeva rilevanza solo ed esclusivamente nella misura in cui determinava una forma di «oggettiva e insostenibile irrazionalità dello scambio», rendendo, pertanto, «inesigibile la controprestazione sul piano della logica economica»14. Si spiega, altresì, dalla medesima prospettiva, la ritrosìa dell’“estensore” ad avvalersi della dicitura contratti di durata15 per riassumere l’insieme dei vincoli negoziali destinati a protrarsi nel tempo (tant’è che la lettera dell’art. 1467 c.c. ricorre piuttosto all’espressione contratti a esecuzione continuata16); ritrosìa – altresì – del giurista a teorizzare una categoria (quella, vale a dire, dei contratti di durata) non sedimentata nella tradizione. L’opzione in via preferenziale per rimedi di tipo demolitorio è, allora, nel descritto scenario, il corollario immediato di una visione del rapporto contrattuale sostanzialmente slegata dalla considerazione della sua componente temporale17, come ben si trae dall’art. 1467 c.c., che offre prioritariamente al contraente onerato la so-

Così Macario, voce Contratti di durata, cit., p. 5 ss. Per la ricostruzione della categoria si rinvia alla voce di Macario, voce Contratti di durata, cit., p. 1 ss. 16 Di contratto ad esecuzione continuata o periodica parlano, altresì, l’art. 1360, secondo comma, c.c., l’art. 1458, primo comma, c.c., l’art. 1373, secondo comma, c.c. Gli interpreti si avvalgono indistintamente dell’espressione contratti ad esecuzione continuata o periodica e dell’espressione contratti di durata, attribuendo ad esse un significato convenzionale e non già il significato letteralmente riferibile e immediatamente percepibile. Sul punto Rivolta, La società come rapporto di durata, in Riv. soc., 1962, p. 35, n. 5. 17 Oppo, I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, I, p. 240, ragiona del tempo quale «nota individuale» o essenza del negozio destinato a non esaurirsi in un unico atto. Sul punto, altresì, Timoteo, Contratto e tempo. Note a margine di un libro sulla rinegoziazione contrattuale, in Contr. e impr., 1998, 2, p. 619; Granieri, Il tempo e il contratto. Itinerario storicocomparativo sui contratti di durata, Milano, 2007. Per uno sguardo all’esperienza francese, Genicon, La forza maggiore: alcuni insegnamenti tratti dalla crisi del Covid-19 nel diritto francese dei contratti, in questa rivista, 2021, p. 87 ss. 14 15

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luzione estintiva (la risoluzione del contratto, appunto) e confina in un angolo, quale scelta subordinata all’iniziativa del creditore, la possibilità di mantenere la relazione negoziale per effetto della reductio ad aequitatem18. Che, peraltro, l’alterazione del nesso di interdipendenza anche economica tra le prestazioni per effetto di “avvenimenti straordinari e imprevedibili” trovi «la sua tradizionale stanza di compensazione sistemica»19 nell’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta è confermato dall’attenzione ricevuta dalla ricordata disposizione nell’era attuale, allorquando si è preferito risolvere quei contratti, modificati significativamente nel sinallagma, in ragione del grave sacrificio economico – superiore all’alea tipica del contratto – conseguente ai provvedimenti governativi volti al contenimento dell’emergenza sanitaria20. La soluzione, però, non convince. La regolamentazione posta nell’art. 1467 c.c., infatti, non solo potrebbe rivelarsi non conforme all’interesse dei contraenti, più propensi, magari, alla continuazione del rapporto, ma potrebbe altresì risultare inadeguata a supportare fattispecie nelle quali non si realizza, di fatto, un mutamento delle condizioni originariamente pattuite. Si prenda, ad esempio, il caso dei contratti di locazione ad uso commerciale, rispetto ai quali la difficoltà del conduttore di corrispondere i canoni dovuta alle restrizioni imposte dalla pandemia deriva da un impedimento di

Cfr. Gabrielli, voce Offerta di riduzione ad equità del contratto, in Digesto, disc. priv., sez. civ., Agg., Torino, 2003, p. 972; Id., L’offerta di riduzione ad equità del contratto, in Aa.Vv., I contratti di composizione della lite, a cura di Gabrielli e Luiso, in Tratt. contr., diretto da Rescigno e Gabrielli, Torino, 2005, p. 221 ss. 19 Cass., Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” antiCovid 19 in ambito contrattuale e concorsuale, Relazione tematica, Roma, 8 luglio 2020, p. 5. 20 Lo ricorda Musio, Stato di emergenza e leale collaborazione tra enti e nei rapporti tra privati, in Riv. dir. aliment., 2021, p. 3. Nega che nel caso del Covid-19 la diffusione del virus possa essere considerata un evento imprevedibile Grisi, La lezione del coronavirus, consultabile online all’indirizzo www.juscivile.it, 2020, I, p. 180 ss. 18

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tipo soggettivo, ossia dalla sua incapacità di far fronte agli impegni assunti per effetto dell’interruzione dei flussi di cassa21. A confermare l’impressione della inopportunità di generalizzare il richiamo allo strumento della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta depongono, peraltro, anche altri argomenti: l’inadeguatezza della previsione codicistica a rispondere alle sopravvenienze qualitative22; la circostanza per cui allorquando il legislatore ha voluto favorirne l’applicazione lo ha espressamente detto23; la non definitività della situazione sopravvenuta all’origine

Alpa, Note in margine agli effetti della pandemia sui contratti di durata, in Nuova giur. civ., 2020, p. 60; Gentili, Una proposta sui contratti di impresa al tempo del Coronavirus, consultabile online all’indirizzo www. giustiziacivile.com, 29 aprile 2020, p. 8, il quale ricorda, altresì, che per molti imprenditori in difficoltà di cassa «ce ne sono altrettanti, anche bloccati dai decreti, che più forniti di liquidità o avendo predisposto un piano finanziario, continuano a pagare locazioni, forniture, servizi: e allora dov’è l’‘impossibilità’? Del resto, se per il solo fatto dell’emergenza e/o del factum principis fosse giusto ritenere sopravvenuta l’impossibilità dell’adempimento, allora i corrispettivi delle locazioni, delle forniture, dei servizi, non dovrebbe più pagarli nessuno (e non solo gli imprenditori in difficoltà) perché l’emergenza epidemiologica c’è per tutti». Sul punto, v. anche Russo, L’arma letale della buona fede. Riflessioni a margine della “manutenzione” dei contratti in seguito alla sopravvenienza pandemica, in Riv. dir. banc., 2021, I, p. 152. Analogamente per Zorzi Galgano, Impatto del Covid-19 sul sistema del codice: impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità?, cit., p. 65, la c.d. difficultas praestandi (intesa come difficoltà finanziaria riguardante quel determinato debitore) rimane irrilevante e «il debitore che non paga quanto dovuto sarà sempre ritenuto responsabile dell’inadempimento». Sul “pericolo” che, contraddittoriamente, siano imprese rinomatamente “forti” (come le compagnie aeree) a risultare “parte debole” v. Genicon, La forza maggiore: alcuni insegnamenti tratti dalla crisi del Covid-19 nel diritto francese dei contratti, cit., p. 100-101. 22 Salanitro, La gestione del rischio nella locazione commerciale al tempo del coronavirus, consultabile online all’indirizzo www.giustiziacivile. com, 20 aprile 2020, p. 18. 23 Stabilisce l’art. 216, comma 3, d.l. n. 34/2020 che: «La sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei citati decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, e a decorrere dalla data di entrata in vigo21

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dell’alterazione del sinallagma contrattuale di cui la norma del codice rischia di non tener conto24. Né a risultati migliori si perviene attraverso il recupero della categoria della presupposizione25 (il cui fondamento, non a caso, è spesso indicato nel dettato dell’art. 1467 c.c.26), alla quale da ultimo pur si è fatto ricorso per spiegare l’impossibilità, generata

re degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati». 24 Musio, Stato di emergenza e leale collaborazione tra enti e nei rapporti tra privati, cit., p. 15. 25 Sul principio della presupposizione Alpa, I principi generali, Milano, 2006, p. 441. In generale sull’istituto Bessone, “Presupposizione” di eventi e circostanze all’adempimento, in Foro pad., 1970, I, p. 804 ss.; Id., Presupposizione, “oggettività” delle circostanze e fonti di integrazione del rapporto obbligatorio, in Giur. it., 1977, I, 1, p. 1894; Id., Obbligo di adempiere ed esigibilità della prestazione (In margine al ruolo delle valutazioni di diligenza e buona fede), ivi, 1972, I, p. 1251; Id., Presupposizione, «causa» tipica del negozio, economia del contratto (e l’equivoco delle formule sulla pretesa «irrilevanza» dei «motivi», in Riv. dir. comm., 1979, II, p. 146 ss.; Scognamiglio, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992, p. 190 ss. Secondo Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, Milano, 1984, p. 467, il rimedio in tema sarebbe il recesso unilaterale a favore della parte per la quale il vincolo contrattuale è divenuto intollerabile o inutile. 26 In passato la Suprema Corte ha spesso ravvisato nell’art. 1467 c.c. il fondamento del principio di presupposizione: cfr. Cass., 29 luglio 1948, in Rep. Foro it., 1948, voce Obbligazioni e contratti, n. 397; Cass., 17 ottobre e 15 gennaio 1947, ibidem, 1947, voce cit., nn. 130, 13. Per Cass., 6 maggio 1949, n. 1143, in Mass., 1949, col. 238, l’articolo citato riconosce la clausola rebus sic stantibus (essa parla indifferentemente di clausola rebus sic stantibus e di presupposizione) soltanto entro limiti rigorosi: e cioè che si tratti di contratti ad esecuzione continuata, o periodica o differita, che il nuovo stato di fatto incida sull’entità economica del rapporto, che la sopravvenienza sia in relazione ad eventi straordinari e imprevedibili, che la prestazione diventi eccessivamente onerosa per effetto della nuova situazione. In dottrina, nel senso che l’art. 1467 c.c. non può dirsi fondato sulla presupposizione, Martuscelli, La presupposizione nel codice civile vigente, in Foro it., 1950, c. 167. Sui rapporti tra risoluzione e presupposizione Nicolussi, Presupposizione e risoluzione, in Eur. dir. priv., 2001, p. 846 ss.

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dai provvedimenti emergenziali, di assicurare il godimento del bene ceduto in locazione secondo il tipo di utilizzo oggettivamente desumibile ex fide bona dal contratto, «là dove le prestazioni si dimostrino non utilizzabili dal creditore coerentemente con il presupposto di fatto che dà il senso oggettivo al contratto concluso»27. La rilevanza della presupposizione e del fondamento negoziale – per quanto tesi suggestiva che segna un’affrancazione dai vincoli dogmatici legati alla teoria della causa e un recupero della dimensione concreta del rapporto – rischia, da un lato, di confondere l’eccessiva onerosità della prestazione con l’errore di previsione comune ad entrambi i contraenti; introduce, dall’altro, un problema di interpretazione28, in ordine alla difficile indagine del profilo psicologico delle parti volta a chiarire le circostanze “presupposte”29.

In questi termini E. Navaretta, CoViD-19, e disfunzioni sopravvenute dei contratti. Brevi riflessioni su una crisi di sistema, in Nuova. giur. civ., 2020, 3, p. 89, per la quale «se si condivide che la presupposizione si comporti in modo non radicalmente diverso dai presupposti causali […] e se si prende atto che al funzionamento originariamente pattuito deve corrispondere, in fase esecutiva, una possibile attuazione del funzionamento programmato, salvo il ricorso ai rimedi sopravvenuti, il temporaneo venire meno della presupposizione viene ad essere disciplinato non diversamente dalla temporanea impossibilità della prestazione». 28 La presupposizione «condensa e stabilizza pratiche decisionali non razionali»: Belfiore, La presupposizione, in Il contratto in generale, IX, t. IV, Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, 2000, pp. 1 e 56, nota 131. Essa, inoltre, apre al quesito circa il concetto di sopravvenienza al quale ascrivere rilievo. Se, infatti, non ci sono dubbi in ordine alla rilevanza giuridica delle sopravvenienze che ledono il rapporto di equivalenza fissato originariamente nel contratto – scrive Nicolussi, Presupposizione e risoluzione, cit., p. 853 – «più incerta si fa la questione riguardo alle sopravvenienze che determinano l’irraggiungibilità del c.d. scopo del contratto». 29 Al tradizionale rimedio della risoluzione del contratto si è poi fatto ricorso nei casi di impossibilità, anche solo parziale, della prestazione sul presupposto del venir meno dell’interesse del creditore a ricevere la prestazione medesima in ragione della «sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto»: Cass., 20 dicembre 2007, n. 26958, in Mass Giust. civ.., 2007, 12 e consultabile online all’indirizzo dejure.it.; Cass., 10 luglio 2018, n. 18047, in Guida al dir., 2018, 32, p. 35 ss. e consultabile online all’indirizzo dejure.it. 27

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3. (segue) L’impossibilità sopravvenuta della prestazione Un evidente punto di rottura rispetto alle richiamate impostazioni si coglie nel testo del d.l. n. 18/2020 in tema di «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19». Il decreto, nel disciplinare le conseguenze dell’impossibilità della prestazione nell’ambito dei contratti di acquisto di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, e di biglietti di ingresso ai musei e agli altri luoghi della cultura (art. 88) e dei contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo, nelle acque interne o terrestre, di contratti di soggiorno e di contratti di pacchetto turistico (art. 88-bis)30, introduce, infatti, rimedi manutentivi in alternativa a quelli risolutori, laddove autorizza il debitore della prestazione divenuta impossibile per causa a lui non imputabile a scegliere se offrire al creditore rimasto insoddisfatto il rimborso del corrispettivo versato oppure l’emissione di un voucher (di importo pari a quanto dal creditore speso) da utilizzare entro diciotto mesi dall’emissione. Il tentativo di mantenere in vita il rapporto alterato nel suo sinallagma da cause non imputabili ai contraenti non traspare, tuttavia, solo dai provvedimenti emergenziali, ma torna nelle linee di quanti hanno inteso interpretare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione in termini di compromissione della funzione tipica svolta dal bene oggetto del contratto. Per apprezzarne le riflessioni basta porre mente, ancóra una volta, al caso delle locazioni ad uso commerciale, in relazione alle quali la situazione di pandemia e la normativa che ne è conseguita non hanno causato tecnicamente una impossibilità sopravvenuta della prestazione, non hanno in altri termini impedito al locatore di mettere a disposizione della controparte il bene di sua proprietà, ma hanno determinato piuttosto una impossibilità per il conduttore (non imputabile, come detto, al locatore) di godere dell’immobile secondo le finalità per

Come evidenzia D’Amico, L’epidemia Covid-19 e la “legislazione di guerra”, in Contr., 2020, p. 256. 30

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le quali esso è stato locato. L’impossibilità di utilizzare il bene non sarebbe testimonianza di un difetto di quel particolare immobile, oggetto del contratto, ma appunto di divieti di legge, atteso che il conduttore sarebbe rimasto comunque privato della possibilità di esercitare la sua attività anche se la stessa si fosse svolta in un qualsiasi altro locale31. Si comprende, pertanto, la difficoltà di ipotizzare una sospensione del pagamento del canone da parte del conduttore che continua in realtà a detenere il bene e, al tempo stesso, di immaginare di risolvere il contratto in presenza di una impossibilità – nella condizione prospettata – solo temporanea. Analogamente non è agevole argomentare lo scioglimento del vincolo negoziale, pur suggerito, in presenza di una dichiarata impossibilità sopravvenuta di adempiere le obbligazioni pecuniarie (il pagamento del canone di locazione, per restare all’esempio considerato), per le quali vale la regola generale riassunta nel noto brocardo del genus numquam perit. Se, infatti, le obbligazioni generiche in senso lato intese trovano nella citata regola un limite indicativo e non assoluto, le obbligazioni pecuniarie restano «un baluardo pressocché invalicabile per l’impossibilità sopravvenuta»32, con conseguente irrilevanza dal punto di vista giuridico della «impotenza finanziaria del debitore»33. In vero, già all’indomani dell’entrata in vigore del codice civile, voci autorevoli avevano denunciato l’inadeguatezza della previsione di soli rimedi risolutori come risposta alle diverse situazioni generate dalle sopravvenienze. Si eccepiva, in particolare, che il legislatore del ’42, concentrato sull’idea del contratto quale strumento di scambio della proprietà, avesse finito con il trascurare le ragioni del mercato e dell’impresa34, le quali, al contrario, si an-

Musio, Stato di emergenza e leale collaborazione tra enti e nei rapporti tra privati, cit., p. 16. 32 Cipriani, L’impatto del lockdown da COVID-19 sui contratti, in Riv. dir. banc., 2020, p. 665. Nello stesso senso Cass., Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale, Relazione tematica, cit., p. 6 ss. 33 Cfr. di Majo, Le obbligazioni pecuniarie, Torino, 1996, p. 126 s. 34 Santini, Commercio e servizi. Due saggi di economia del diritto, Bologna, 1988, p. 47 ss. 31

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davano progressivamente affermando anche per effetto della crescente rilevanza dei contratti di tipo associativo35. Questi ultimi, in particolare, suggerivano una diversa considerazione del contratto, da intendere (altresì) come mezzo di pianificazione e di esercizio dell’attività economica36. Il ribaltamento di prospettiva sollecitato dall’evolversi dei traffici e delle forme di aggregazione ha avuto come immediato corollario la rivalutazione del profilo relazionale del negozio e, quindi, del valore del fattore temporale nello svolgimento del rapporto contrattuale. L’emersione delle teorie sulla causa in concreto ha rappresentato, in tale direzione, l’epilogo ulteriore e prevedibile del mutato sentire giuridico; epilogo che, riferito ai contratti di durata, si è tradotto nel riconoscere al “tempo” il carattere di momento essenziale, che irrompe all’interno della causa37 e al cui decorso corrisponde «economicamente la soddisfazione continuativa degli interessi contrattuali»38.

4. La rinegoziazione tra buona fede ed equità La descritta valorizzazione dell’attività rispetto all’atto avvalora il già denunciato sospetto circa l’inadeguatezza dei rimedi pre-

Nicolò, voce Codice civile, in Enc. dir., Milano, VII, 1960, p. 240 ss. Ferro-Luzzi, I contratti associativi, Milano, 1971, p. 219 ss. 37 Luminoso, Il rapporto di durata, in Riv. dir. civ., 2010, p. 525. Sulla categoria generale dei contratti ad esecuzione continuata o periodica si è formata, intorno agli anni sessanta, una feconda elaborazione dottrinale. Siffatta produzione era stata preceduta dagli studi autorevoli di Oppo, I contratti di durata, cit., p. 240 ss.; Osti, voce Contratto, in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, p. 497 ss.; Id., La clausola rebus sic stantibus nel suo sviluppo, in Riv. dir. civ., 1912, p. 1 ss.; Id., Appunti per una teoria della «sopravvenienza», ibidem, 1915, p. 475 ss. Significativi, in precedenza, anche gli studi sulla somministrazione di Mossa, La somministrazione, Sassari, 1914, p. 17 ss. 38 Pertanto – chiarisce Oppo, I contratti di durata, cit., p. 283 – «la risoluzione o lo scioglimento trova l’interesse contrattuale già soddisfatto (…) e non può che rispettare gli effetti economici e giuridici già prodotti dal contratto». 35 36

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disposti dal legislatore codicistico per l’insorgere delle sopravvenienze, vieppiù all’indomani di una pandemia che di detti rimedi ha definitivamente messo a nudo i limiti, soprattutto in relazione ai contratti di durata. Al cospetto di eventi che sembrano minarne la stabilità, non ci si può esimere pertanto dall’interrogarsi sulla possibilità di soluzioni differenti rispetto a quelle indicate, le quali, senza risolvere il vincolo pattizio, siano in grado di evitare sproporzioni ingiustificate in fase esecutiva del contratto. Il suggerimento, che sempre più insistentemente viene propo39 sto , è quello di affidare il mantenimento del contratto, attraverso una condivisa reductio ad aequitatem da parte dei contraenti, al filtro della rinegoziazione, al quale apre, a ben vedere, lo stesso art. 1467 c.c., rimettendolo però alla volontà di una sola parte, quella creditrice, e non di quella sostanzialmente lesa dagli eventi straordinari e imprevedibili. Soluzione questa prescelta dalla norma che riflette la volontà dei redattori del codice di ritenere il debitore tenuto ad adempiere fino al limite dell’impossibilità, con la sola eccezione appunto del caso di sopravvenienza dell’imprevedibile40. Soluzione – ancóra – che trova un riscontro logico nella circostanza per cui il rischio, se rientra nell’alea normale del contratto, non può che restare a carico della parte penalizzata, la quale assume

Cfr. Tartaglia, L’adeguamento del contratto alle oscillazioni monetarie, Milano, 1987; Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; Galgano, Diritto civile e commerciale, Padova, 1999, II, p. 562 ss.; Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, in Il c.c. Comm., diretto da Schlesinger, Milano, 1995, p. 248 ss.; Criscuolo, Equità e buona fede come fonti di integrazione del contratto. Potere di adeguamento delle prestazioni contrattuali da parte dell’arbitro (o del giudice), in Rass. arb., 1999, pp. 74 e 76 ss.; Gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992; Id., voce Revisione del contratto, in Digesto, disc. priv., sez. civ., XVII, Torino, 1998, p. 431 ss.; Ambrosoli, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002; Barcellona, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione della sopravvenienza, in Eur. dir. priv., 2003, p. 467 s.; Id.; Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, Torino, 2006; Gambino, Problemi del rinegoziare, Milano, 2004. 40 Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, cit., p. 394. 39

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su di sé il pericolo di una contrattazione rivelatasi meno vantaggiosa di quanto sperato41. Esiste, in altri termini, «un indiscutibile principio di sopportazione del rischio di gestione in conseguenza del quale il singolo contraente non può addossare ad altri il rischio di errori di previsione nei calcoli sulla economicità della gestione e sullo stato del mercato»42. La prosecuzione del rapporto contrattuale, pertanto, non dovrebbe dipendere dalla valutazione unilaterale di una sola delle parti legata all’effettiva convenienza economica dell’affare, qualora appunto la maggiore gravosità delle prestazioni assunte dovesse rientrare nell’alea normale del contratto43. Né sarebbe immaginabile che il singolo contraente ricorra al giudice «per ottenere un rimedio ad un cattivo affare»44 non potendo egli far ricadere sulla controparte gli errori di previsione commessi. Solo nel caso in cui l’alterazione del sinallagma dovesse superare l’alea normale del contratto e dovesse investire entrambi i con-

Pardolesi, Indicizzazione contrattuale e risoluzione per eccessiva onerosità, in Foro it., 1981, I, c. 2142. 42 Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, cit., p. 352. Il rischio delle sopravvenienze non va confuso con il rischio dell’inadempimento della controparte: Betti, Teoria generale delle obbligazioni, cit., p. 154 ss.; Alpa, voce Rischio (dir. vig.), in Enc. dir., Milano, 1989, XL, p. 1144 ss.; Giampieri, Rischio contrattuale, cit., pp. 19, 20 ss.; Delfini, Autonomia privata e rischio contrattuale, Milano, 1999, p. 5 ss. Per Gorla, Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, pp. 49-50, il concetto di rischio dovrebbe riguardare le obbligazioni e non i contratti. 43 L’eccessiva onerosità della prestazione, dovuta ad eventi imprevedibili, pone «l’esigenza di conservare la complessiva economia dell’assetto di interessi previsto nel contratto, mediante una ripartizione dei rischi eccedenti quella che è l’alea normale del contratto secondo il suo tipo»: in questi termini E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, vol. I, cit., p. 190. Cfr. sulla convenienza economica del contratto, di recente, Cass., 22 marzo 2017, consultabile online all’indirizzo dejure.it e in Mass. Giust. civ., 2019. 44 Galgano, Diritto civile e commerciale, cit., p. 331; Pardolesi, Indicizzazione contrattuale e risoluzione per eccessiva onerosità, in Foro it., 1981, I, c. 2142; ma già Betti, Teoria generale delle obbligazioni, cit., pp. 192-193. 41

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traenti, potrebbe prospettarsi che il rimedio revisionale abbandoni il ruolo di eccezione «per assumere dignità di regola generale»45. A volgere lo sguardo oltre l’esperienza nazionale, ci si imbatte, del resto, in regole – i Principi Unidroit (art. 6.2.3), i Principi della Commissione Lando (art. 6.11), il Codice europeo dei contratti (art. 157) – che prevedono espressamente la hardship quale condizione che legittima la parte svantaggiata a richiedere e vedersi riconosciuta la rinegoziazione (Principi Unidroit 6.2.1. e 6.2.2)46. L’esperienza francese, da sempre foriera di stimoli per il legislatore interno, si muove nella direzione indicata come si evince dall’introduzione dell’art. 1195 all’interno del code civil (ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016 relativa alla “réforme du droit des contrats”), con il quale si è accolta nel diritto dei contratti la teoria dell’imprévision47. A rigore, al codice civile italiano non è estranea l’idea della revisione del negozio, che trova anzi espressione in più di una disposizione: ad esempio, nell’art. 1664 c.c., che, in tema di appalto, autorizza l’appaltatore o il committente a chiedere una revisione del prezzo, al verificarsi di condizioni imprevedibili tali da comportare una variazione del prezzo medesimo nella misura del decimo di quello inizialmente pattuito48; nell’art. 1623 c.c., che, in tema di affitto, prevede la possibilità di una revisione del prezzo quante volte, a seguito di un provvedimento dell’autorità, il rapporto con-

Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, cit., p. 245. Sul punto si v. Commissione per il diritto europeo dei contratti, Principi di diritto contrattuale europeo, a cura di Castronovo, Milano, 2005; Ferrara, I Principi per i contratti commerciali internazionali dell’Unidroit ed il loro ambito di applicazione, in questa rivista, 1996, p. 300 ss.; De Nova, I Principi Unidroit come guida nella stipula dei contratti internazionali, in Contr., 1995, p. 5; Alpa, Prime note di raffronto tra i principi dell’Unidroit e il sistema contrattuale italiano, in Contr., 1996, p. 316 ss.; di Majo, I principi dei contratti commerciali internazionali dell’Unidroit, in questa rivista, 1996, 1, p. 287 ss. 47 Sul punto da ultimo Di Gregorio, Rinegoziazione e adeguamento del contratto: a margine dell’introduzione dell’imprévision nel code civil francese, in Nuova giur. civ., 2018, p. 392 ss. 48 In merito Cagnasso, Appalto e sopravvenienza contrattuale. Contributo a una revisione della dottrina dell’eccessiva onerosità, Milano, 1979. 45 46

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trattuale risulti notevolmente modificato49; nell’art. 1578 c.c., che, in tema di locazione, legittima il conduttore a chiedere una riduzione del corrispettivo in presenza di vizi della cosa locata i quali ne diminuiscano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito; nell’art. 1710 c.c., che, in tema di mandato, impone al mandatario di rendere note al mandante le circostanze sopravvenute, le quali potrebbero determinare la revoca o la modificazione del mandato50. Si tratterebbe, tuttavia, di singole, specifiche previsioni di là dalle quali la parte danneggiata dall’eccessiva onerosità sopravvenuta non potrebbe imporre all’altra di rideterminare il contenuto contrattuale51, non esistendo all’interno del sistema un principio di necessaria equivalenza delle prestazioni52. La rinegoziazione, pertanto, quale rimedio manutentivo in contrapposizione a quelli demolitori altrimenti previsti dal codice civile, presupporrebbe pur sempre la concorde intenzione dei contraenti di rideterminare il contenuto del negozio e, dunque, quella di porre in essere nuove trattative53.

Cfr. Tommasini, voce Revisione del rapporto (dir. priv.), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 116. 50 Come rileva Sicchiero, La rinegoziazione, in Contr. e impr., 2002, 2, p. 774, anche gli artt. 1897 e 1898 c.c., che disciplinano la modifica del rischio nel contratto di assicurazione, confermerebbero la tendenza dell’ordinamento nel senso dell’adeguamento del contratto. 51 Aspetto quest’ultimo ribadito in taluni pronunciati della giurisprudenza: cfr. Cass., 26 giugno 1961, n. 1536, Giur. it., 1962, I, 1, c. 493. 52 Che la rinegoziazione non debba tendere a realizzare l’equivalenza delle prestazioni nemmeno in senso soggettivo è precisato da Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 281. 53 Sulle clausole di rinegoziazione, tra gli altri, Gorni, Le clausole di rinegoziazione, in Aa.Vv., Il conflitto del golfo e i contratti di impresa, a cura di Vaccà, Milano, 1992; Costanza, Clausole di rinegoziazione e determinazione unilaterale del prezzo, ibidem, p. 311; Rescigno, L’adeguamento del contratto nel diritto italiano, ibidem, p. 299; Cesaro, Clausole di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli, 2000. A parere di Villanacci, Interessi e sopravvenienze contrattuali, cit., p. 60, l’obbligo di rinegoziazione non rappresenta altro che il tentativo delle parti di ripristinare la violata dignità del contratto, in quanto rimedio alternativo alla 49

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Non è peraltro mancato il tentativo di slegare la rinegoziazione dalla volontà delle parti prospettando l’esistenza di un vero e proprio obbligo di ridefinire il contenuto del contratto in ragione della modifica della situazione di fatto esistente al momento della sua conclusione, con conseguente possibilità di intervento del giudice quante volte le parti stesse restino inerti o le intraprese trattative non conducano alla revisione dell’accordo. A fondamento di un simile obbligo si invoca da parte di taluni la clausola generale di buona fede54. Per effetto dell’art. 1375 c.c., in particolare,

ablazione dello stesso. 54 Sul valore della buona fede quale fonte di integrazione del contratto, inter alia, Piraino, L’integrazione del contratto e il precetto di buona fede, in Aa.Vv., Correzione e integrazione del contratto, a cura di Volpe, Bologna, 2016, p. 43 ss.; Benatti, La clausola generale di buona fede, in Banca, borsa, tit. cred., I, 2009, pp. 241-252; Barcellona, Clausole generali e giustizia contrattuale: equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, Torino, 2006; Grondona, Solidarietà e contratto: una lettura costituzionale della clausola generale di buona fede, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2006, 3, p. 711; Alpa, La completezza del contratto: il ruolo della buona fede e dell’equità, in Vita not., 2002, p. 623 ss.; Bianca, Patti, Buona fede (in senso oggettivo), in Riv. dir. civ., 2001, pp. 537-559; Franzoni, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contr. e impr., 1999, p. 83 ss.; Riccio, La clausola generale di buona fede è, dunque, un limite generale all’autonomia contrattuale, in Contr. e impr., 1999, p. 21; Galgano, Sull’equitas delle prestazioni contrattuali, in Contr. e impr., 1993, p. 419 ss.; Bessone, D’Angelo, voce Buona fede, in Enc. giur., V, Roma, 1988, p. 1 ss.; Bigliazzi Geri, voce Buona fede nel diritto civile, in Digesto, disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, p. 154 ss.; Nanni, La buona fede contrattuale, Padova, 1988; Mengoni, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, p. 5 ss.; Criscuoli, Buona fede e ragionevolezza, in Riv. dir. civ., I, 1984, p. 709 ss.; Cattaneo, Buona fede obiettiva e abuso del diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1971, pp. 628; Bigliazzi Geri, Note in tema di interpretazione secondo buona fede, Pisa, 1970; Gazzoni, Equità e autonomia privata, Milano, 1970; Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969; Pietrobon, Il dovere generale di buona fede, Padova, 1969; Breccia, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1968; Stolfi, Il principio della buona fede, in Riv. dir. comm., 1964, I, p. 166 ss. A giudizio di Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, p. 209 ss., la buona fede, quale principio di solidarietà contrattuale, si specifica negli

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i contraenti sarebbero tenuti a rivedere il contenuto alterato del contratto, a non porre in essere trattative maliziose55 o volte a creare la mera apparenza dell’intenzione di trattare e a non sottrarsi alle trattative medesime o a rifiutarle. La pretesa del contraente svantaggiato dallo squilibrio a rinegoziare il contratto costituirebbe il «riflesso del dovere della controparte di attivarsi per tutelare l’interesse alla prosecuzione del rapporto»56. Spetterebbe pertanto al giudice, sulla base di parametri oggettivi, ricavabili dal principio della buona fede in executivis, sindacare la condotta delle parti e valutare se un eventuale rifiuto ad addivenire alla revisione degli accordi originari sia o meno giustificato, sia o meno ragionevole57.

obblighi di lealtà e salvaguardia, per effetto dei quali il soggetto è tenuto a far salvo l’interesse altrui ma non fino al punto di subire un apprezzabile sacrificio, personale o economico. Ricorda Alpa, I principi generali, cit., p. 249, che il problema del significato di «buona fede» si è riproposto con l’introduzione della direttiva comunitaria sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori. La riscoperta della buona fede – precisa quindi l’autore, in Id., Il contratto in generale, I, Fonti, teoria, metodi, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 2014, p. 521 – incrina la sacertà del contratto. In tema si v., altresì, dello stesso a., Le “autonomie contrattuali” tra mercato e persona, in Aa.Vv., La vocazione civile del giurista. Saggi dedicati a Stefano Rodotà, a cura di Alpa e Roppo, Roma-Bari, 2013, 204 ss., spec. 233 ss. 55 Cfr. Carresi, Il contratto, nel Tratt. dir. civ. e comm., a cura di Cicu e Messineo, 1987, p. 709. 56 Interesse proprio anche della controparte medesima come comprovato dalla possibilità che la legge le concede di «neutralizzare l’eventuale domanda giudiziale di risoluzione del contratto attraverso un’offerta di riconduzione ad equità». In tal senso si veda D’Arrigo, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, in Sopravvenienze e dinamiche di riequilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, a cura di Tommasini, Torino, 2003, p. 539. 57 Sul punto Sicchiero, La rinegoziazione, cit., p. 779. V. altresì Rovelli, La responsabilità precontrattuale, in Aa.Vv., Il contratto in generale, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, Torino, 2000, II, p. 371; Gabrielli, Poteri del giudice ed equità del contratto, in Contr. e impr., 1991, p. 494; Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, cit., p. 656.

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Essendo poi la correttezza anche fonte delle regole destinate a sovraintendere lo svolgimento della rinegoziazione58, il giudice sarebbe altresì tenuto ad «ipotizzare (a seguito della valutazione di tutte le circostanze rilevanti all’interno del rapporto) l’esito più probabile della trattativa che le parti avrebbero [dovuto condurre] in buona fede per la ridefinizione dei termini del rapporto nella prospettiva della sua prosecuzione»59. Non stupisce allora il largo ricorso alla richiamata clausola generale, proposto da ultimo in relazione ai contratti di locazione commerciale, che ha condotto alla teorizzazione di un vero e proprio obbligo di rinegoziare in capo alle parti60; obbligo che imporrebbe, in definitiva, al proprietario dell’immobile di ridefinire il canone originariamente pattuito, ripristinando così l’equilibrio tra le prestazioni e favorendo, di conseguenza, la continuazione del rapporto61.

Sul rapporto tra buona fede e correttezza, oggi utilizzate indifferentemente, Alpa, I principi generali, cit., p. 254. 59 Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 16. 60 Sul se la difficoltà del conduttore possa giustificare un vero e proprio obbligo di rinegoziazione delle condizioni economiche in corso di rapporto in ragione del verificarsi della pandemia si interroga, da ultimo, Bargelli, Locazione abitativa e sostenibilità del canone oltre l’emergenza, in Jus civile, 2021, 1, p. 84 ss. 61 Macario, Sopravvenienze e rimedi al tempo del “coronavirus”: interesse individuale e solidarietà, in Contr., 2020, 2, p. 129 ss. In giurisprudenza ammette la possibilità di una rideterminazione autoritativa del canone di locazione, da parte del giudice, in considerazione della funzione integrativa della clausola di buona fede Trib. Roma (ord.), 27 agosto 2020, consultabile online all’indirizzo www.leggiditalia.it, secondo cui, «in ragione della mancata ottemperanza della parte resistente ai doveri di contrattazione derivanti dai principi di buona fede e solidarietà, sembra necessario fare ricorso alla buona fede integrativa per riportare in equilibrio il contratto nei limiti dell’alea negoziale normale» (nella specie è stata disposta «la riduzione del canone di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20% per i mesi da giugno 2020 a marzo 2021»). Alla luce del principio di buona fede e correttezza e del dovere costituzionale di solidarietà reputa dovuta la rinegoziazione del canone di locazione, nel caso di immobile destinato allo svolgimento di attività commerciale 58

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Nella direzione indicata sembra muoversi, del resto, il legislatore che, nel recente disegno di legge delega per la revisione del codice civile (d.d.l. 28 febbraio 2019, art. 1, lett. i), stabilisce, nei contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali ed imprevedibili, il diritto delle parti di «pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede». Ad esso fa eco la giurisprudenza che scorge in quest’ultima il valore di principio portante dell’ordinamento sulla base del quale vincere la regola del pacta sunt servanda62 e autorizzare la ricordata rideterminazione autoritativa del canone di locazione da parte del giudice63. Alla teorizzazione di un vero e proprio dovere di rinegoziazione perviene altresì chi ne rinviene il fondamento nell’equità64, con-

inibita o limitata dalle disposizioni emergenziali, anche Trib. Milano, 21 ottobre 2020, consultabile online all’indirizzo www.condominioelocazione. it, 24 novembre 2020; Trib. Treviso, 21 dicembre 2020, in Giur. it., 2021, p. 589 ss. 62 Cass., Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” antiCovid 19 in ambito contrattuale e concorsuale, Relazione tematica, cit., p. 22. 63 Trib. Roma (ord.), 27 agosto 2020, cit. 64 Da ultimo Sicchiero, La prima applicazione giurisprudenziale sull’intervento giudiziale fondato sull’equità ex art. 1374 (Nota a Trib. Treviso, 21 dicembre 2020), in Giur. it., 2021, p. 590, per il quale le parti sono vincolate a rinegoziare dall’equità correttiva (e non solo integrativa) a condizione che «non abbiano previsto il caso e (…) la legge non disciplini l’ipotesi». In precedenza, in argomento Sacco, Il contratto, Torino, 1993, II, p. 686. Vedi però D’Amico, L’epidemia Covid-19 e la “legislazione di guerra”, cit., p. 45, n. 75, il quale ricorda come l’equità entri in gioco solo in mancanza di una norma di legge (e subordinatamente agli usi, se esistono). Per una ricostruzione dell’equità quale fonte di regole dettate dall’esperienza cfr. Romano, voce Equità (dir. priv.), in Enc. dir., XV, Milano, 1966; De Cupis, Precisazioni sulla funzione dell’equità nel diritto privato, in Riv. dir. civ., 1971, I, p. 636 ss.; Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 165 ss.; Gazzoni, Equità e autonomia privata, cit., p. 176; Tucci, L’equità del codice civile e l’arbitrato di equità, in Contr. e impr., 1998, p. 486; Russo, Sull’equità dei contratti, Napoli, 2001; Perlingieri, Equità e ordinamento giuridico, in Rass. dir. civ., 2004, p. 1149 ss.; Sicchiero, Un nuovo ruolo per l’equità ex art. 1374 c.c., in Giur. it., 10, 2020, p. 2317 ss. Sui rapporti tra buona fede ed equità, si v. Busnelli, Note in tema di buona fede ed equità,

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siderata di per sé ovvero riguardata sub specie di giudizio nel quale si tradurrebbe il principio di proporzionalità delle prestazioni, posto a presidio dell’equilibrio contrattuale65. In entrambe le accezioni essa obbligherebbe i contraenti o, in caso di mancato accordo, il giudice66 a “riscrivere” il contratto, sostituendo o aggiornando «il dato obsoleto o non più funzionale»67 e riconducendo, appunto, ad equità il complessivo assetto d’interessi68.

5. L’adeguamento del contratto Per certo, ciascuno dei percorsi illustrati presenta il pregio di condurre verso la rinegoziazione delle pattuizioni contrattuali69

in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 556 s.; Franzoni, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 83 ss.; Corradini, Il criterio della buona fede e la scienza del diritto privato – Dal codice napoleonico al codice civile italiano del 1942, Milano, 1970. 65 Sul raggiungimento dell’equilibrio contrattuale Schlesinger, Complessità del procedimento di formazione del consenso ed unità del negozio contrattuale, in Riv. trim., 1964, p. 1354. 66 Il principio di proporzionalità avrebbe valenza quantitativa, sarebbe cioè da intendere come giusta misurazione tra elementi omogenei e raffrontabili tra loro. La conclusione è di Villanacci, Il rapporto tra ragionevolezza e proporzionalità nella rilevazione delle situazioni di abuso, con particolare riferimento alla riduzione ex officio della clausola penale, in RBDCivil, 2019, p. 145. Sul ruolo del giudice Rescigno, L’adeguamento del contratto nel diritto italiano, in Aa.Vv., Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi, cit., p. 299 ss. 67 Così ancora Cass., Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale, Relazione tematica, cit., p. 21. 68 Ferrari, Laghi, Diritto europeo dei contratti, cit., p. 175. Le ragioni del minore ricorso all’equità rispetto alla buona fede quale fonte di integrazione del contratto sono da ricercare – a giudizio di Franzoni, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 83 ss. – nell’incertezza di inquadramento che accompagna l’equità; incertezza che affonda le sue radici nella storia della figura. 69 Chiaro in tal senso Russo, L’arma letale della buona fede. Riflessioni a margine della “manutenzione” dei contratti in seguito alla sopravvenienza pandemica, cit., p. 139.

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quale alternativa alle soluzioni demolitorie, che, in più di una occasione, possono rilevarsi, come detto, inidonee rispetto alle esigenze del caso concreto70. Il problema non riposa, però, nella opportunità o meno della rinegoziazione: le parti stesse, infatti, potrebbero prevederla in via pattizia inserendo nel contratto una apposita clausola o decidendo di addivenire a nuove trattative volte a rivedere l’intesa al verificarsi di eventi in grado di stravolgere il sinallagma o rimettendo ad un terzo, da loro indicato, la rimodulazione del contratto “squilibrato”. Il problema, al contrario, è, da un lato, quello di individuare all’interno del sistema l’indice “normativo” che consenta di teorizzare l’adeguamento, pur nel silenzio delle parti o in difetto di accordo o di invalidità dello stesso71, e, dall’altro (ove si pervenga ad una soluzione positiva), quello di determinare contenuti e limiti della funzione perequativa spettante al giudice72.

Tanto, ad esempio, è accaduto nelle circostanze in cui di fatto non si è determinata una sproporzione tra valori delle prestazioni ma solo una maggiore difficoltà di adempiere da parte di uno dei contraenti (e, dunque, una inesigibilità soggettiva) o in quelle in cui l’impossibilità si è rivelata soltanto temporanea. 71 Si pensi al caso in cui il contratto rimetta al mero arbitrio di un terzo la rideterminazione del contenuto negoziale e il terzo non provveda o provveda con dolo. Cfr. Roppo, Autonomia privata e poteri unilaterali di conformazione del contratto, in Confini attuali dell’autonomia privata, a cura di Belvedere e Granelli, Padova, 2001, p. 147 ss. 72 Evidenzia la «delicatezza» dell’intervento del giudice sul contratto Capobianco, Integrazione e correzione del contratto: tra regole e principi, in Annuario del contratto, 2015, diretto da D’Angelo e Roppo, Torino, p. 77. In argomento, cfr., altresì, Pennasilico, Dal “controllo” alla “conformazione” dei contratti: itinerari della meritevolezza, in Contr. e impr., 2020, p. 823 ss.; Id., «Ménage à trois»: la correzione giudiziale dei contratti, in Aa.Vv., Correzione e integrazione del contratto, cit., p. 43 ss.; Calvo, Equità e controllo del giudice sull’equilibrio contrattuale, ibidem, p. 151 ss.; Grondona, Auto-integrazione ed etero-integrazione del contratto: che cosa resta della distinzione?, ibidem, p. 245 ss.; Lipari, Per una revisione della disciplina sull’interpretazione e sull’integrazione del contratto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2006, p. 711 ss.; Criscuolo, Adeguamento del contratto e poteri del giudice, in Aa.Vv., Il nuovo diritto dei contratti, Problemi e prospettive, a cura di Di Marzio, Milano, 2004, p. 191. 70

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I richiami alla buona fede e/o all’equità sembrano, infatti, insufficienti dal momento che l’una come l’altra operano su un piano differente da quello relativo alla revisione del contratto: attengono all’integrazione del suo contenuto e ai conseguenti effetti e, quindi, ad una fase – per così dire – fisiologica e non già potenzialmente “patologica” del suo svolgimento, del suo svolgimento relazionale. In particolare la prima potrebbe addirittura essere apprezzata come servente rispetto alla forza precettiva espressa dal noto brocardo. «Entrambe mirano a garantire l’esecuzione del contratto secondo l’originario programma fissato dalle parti» anche se con una diversa incidenza ovvero l’una nella direzione del superamento del comportamento abusivo, l’altra verso il governo del riequilibrio73. Non solo. Buona fede ed equità sono strumenti che vengono in considerazione sotto il profilo del voluto74 e sicuramente possono veicolare la rilevazione di un obbligo (implicito) di rinegoziazione e/o la rilevazione della clausola rebus sic stantibus con riferimento alle prestazioni convenute75, la prima, e avere una incidenza di tipo quantitativo, la seconda76, aspetti questi di cui il giudice deve tener conto nella valutazione della specifica vicenda negoziale. Esse, nondimeno, non pare possano essere utilizzate fino a intaccare il profilo qualitativo del rapporto tra le parti. Di qui la possibile loro inadeguatezza in quanto è proprio in ordine a quest’ultima prospettiva che può e deve essere principalmente soppesata la conformazione della singola vicenda. Adeguamento del contratto non può significare semplice adesione a un criterio oggettivo (statico) di equivalenza e proporzionalità delle prestazioni, come sembra prospettare da ultimo l’Ufficio del Massimario della Cassazione allorquando afferma che nei contratti

Franzoni, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 92. 74 Del voluto con riferimento al concreto regolamento di interessi: v. Criscuolo, Adeguamento del contratto e poteri del giudice, cit., p. 191. 75 Ferri, Dalla clausola «rebus sic stantibus» alla risoluzione per eccessiva onerosità, in Quadr., 1988, p. 66. 76 In argomento Benatti, La clausola generale di buona fede, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, p. 244. Già in precedenza Bigliazzi Geri, Interpretazione del contratto, Milano, 1991, p. 358 s. 73

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commutativi lo scambio avviene tra prestazioni economicamente equivalenti, di guisa che «le vicende successive alla formazione del negozio», le quali «influiscono sul valore di una prestazione innescandone uno squilibrio economico rispetto all’altra, sono suscettibili di ripercuotersi sulla sorte del contratto»77. Né significa riportare ad un valore proporzionalmente più basso la prestazione del contraente in difficoltà con conseguente trasferimento del rischio (di impresa) sulla controparte, magari estranea del tutto al suo sistema (al mondo dell’impresa). Così, per riprendere l’esempio più volte richiamato delle locazioni ad uso commerciale al tempo del coronavirus, sarebbe ingiusto consentire al locatore di partecipare ai (maggiori) profitti dell’attività del conduttore come parimenti ingiusto sarebbe privare quel medesimo locatore del corrispettivo «solo perché il conduttore non si è premunito di riserve finanziarie per i tempi difficili»78. Non può, del resto, escludersi a priori che il contraente più danneggiato dalla sopravvenienza sia in realtà quello economicamente più forte e più in grado di fronteggiare la situazione di crisi79. Adeguamento significa, al contrario, rimanere fedeli all’originario profilo di interessi80, ricalibrando i reciproci diritti e obblighi, stravolti dalla sopravvenienza81, in ragione dinamica e funzionale. Il recupero dell’assetto qualitativo ed il superamento dell’angusta visuale economica impone un’indagine (ulteriore) che riguarda la causa concreta del contratto pure sotto il profilo dell’adeguatezza del sinallagma rispetto agli specifici interessi delle parti82.

Cass., Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” antiCovid 19 in ambito contrattuale e concorsuale, Relazione tematica, cit., p. 2. 78 Gentili, Una proposta sui contratti di impresa, cit., p. 390. 79 Cipriani, L’impatto del lockdown, cit., p. 663. 80 Sulla possibile rilevanza degli interessi non solo patrimoniali v. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Id., Il diritto dei contratti tra persona e mercato, Napoli, 2003, p. 445 s. 81 Lo Gullo, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 c.c., in Sopravvenienze e dinamiche di riequilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, a cura di Tommasini, Torino, 2003, p. 149. 82 Cass., 9 luglio 2019, n. 18413, in Danno e resp., 2019, 5, p. 625 ss. 77

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Il giudizio non può che fondarsi su parametri di valore presenti nei diversi ordinamenti e riscontrabili in tutti i livelli “normativi”, con carattere finalistico83 e operativi in modo paritario per entrambi i contraenti. Parametri alla luce dei quali rimodulare nella sua complessità lo “scambio” contrattuale, senza rifarsi esclusivamente alle prerogative della parte che ha subito, che pare aver subito, le conseguenze negative degli eventi imprevisti84. La recente esperienza pandemica dimostra, del resto, come le sopravvenienze possano incidere in maniera determinante sulla situazione non solo di quella che sembra essere la parte “debole” (il conduttore, l’affittuario, il mutuatario, etc.), ma anche di quella almeno teoricamente “forte”. L’istanza di adeguamento del rapporto deve essere valutata, pertanto, casisticamente e, per quanto alla stessa conseguente, se da un lato si deve prendere in considerazione l’impatto della sopravvenienza, non si può ignorare, dall’altro, né lo status quo ante, ovvero i presupposti (di fatto e di diritto) che hanno portato a una determinata valutazione negoziale al momento della conclusione dell’accordo85, né l’incidenza di detto impatto sulle posizioni dei soggetti protagonisti della singola vicenda negoziale86. La prospet-

V. Corte cost., 2 aprile 2014, n. 77, consultabile online all’indirizzo dejure.it. 84 Sul punto cfr. Russo, L’arma letale della buona fede. Riflessioni a margine della “manutenzione” dei contratti in seguito alla sopravvenienza pandemica, cit., p. 142. Per Oppo, Note sulla contrattazione d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 639, non vale eccepire in senso contrario che se si collega la meritevolezza al dovere di solidarietà si rischia di lambire soltanto la funzionalizzazione del contratto: basta, infatti, «spostare la mira (come del resto è naturale) dall’art. 2 all’art. 41 cost. perché la soluzione si presenti in termini più equilibrati» e possa predicarsi «(se non forse in relazione al contratto in genere) rispetto al contratto d’impresa la necessità che esso tenda al rispetto dell’utilità sociale». Si veda la riflessione di Alpa, Diritti, libertà fondamentali e disciplina del contratto: modelli a confronto, in Giust. civ., 2018, 1, p. 7. 85 In tal senso Russo, L’arma letale della buona fede. Riflessioni a margine della “manutenzione” dei contratti in seguito alla sopravvenienza pandemica, cit., p. 152. 86 Sulla necessità che il giudice tenga conto delle pregresse attività svolte dalle parti e delle esigenze del caso concreto cfr. P. Rescigno, 83

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tiva dell’integrazione giudiziale perequativa non deve essere quella di conservare, rispetto ai rapporti incisi dalla sopravvenienza, il piano di costi e ricavi originariamente pattuito. La prospettiva perequativa, di fronte all’avverarsi dell’imprevedibile ignoto, deve essere quella di una rimodulazione della impalcatura economica del rapporto in ragione delle peculiarità delle situazioni (dell’essere) concrete87. Così, per tornare al più volte richiamato esempio delle locazioni commerciali incise nel loro svolgimento dal contingente momento sanitario, la soluzione che il giudice deve elaborare non può prescindere dalla considerazione dei dati soggettivi oltre che oggettivi della vicenda. Non può, in altri termini, non tenere presente la condizione personale dei contraenti e del locatore in primis: un conto, infatti, è il caso in cui costui svolga, a sua volta, attività d’impresa, un altro quello in cui egli, operando al di fuori di una logica imprenditoriale, ricorra alla locazione quale mezzo di sostentamento personale, un altro ancóra quello in cui lo stesso, benché estraneo all’altrui rischio d’impresa, goda di rendite tali da non risentire particolarmente della momentanea riduzione o sospensione dei canoni. Ex altera parte, non può non soffermarsi sulla differente valenza che assume la circostanza che il conduttore sia un imprenditore o un privato cittadino; svolga un’attività commerciale o si avvalga del locale per fini diversi; abbia tenuto una corretta ed avveduta gestione di cassa o abbia goduto di rilevanti introiti. Non minore rilievo assumono le circostanze di contorno della vicenda considerata: se, ad esempio, alla temporanea chiusura del locale segua una modifica dello stato dei luoghi nei quali lo stesso è ubicato, tale da favorire il rilancio e la ripresa dell’attività ivi svolta anche in termini più vantaggiosi rispetto alla fase del lockdown, il giudice non potrà non tenerne conto, come qualora

L’adeguamento del contratto nel diritto italiano, cit., p. 299 ss.; Villanacci, Interessi e sopravvenienze contrattuali, cit., p. 64. 87 La necessità di non trascurare le peculiarità del singolo caso torna nella recente giurisprudenza di merito. Si veda Trib. Bari, 9 giugno 2020, consultabile online all’indirizzo dejure.it.

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un punto vaccini contro il coronavirus – in grado di concentrare un numero ampio di persone nel corso di una stessa giornata e per più giorni – venga collocato accanto ad un esercizio commerciale che offra servizi di ristorazione al pubblico e che, appunto, per effetto dell’allentarsi delle misure di restrizione, possa riprendere il suo corso. Solo dopo aver attentamente considerato tutti gli elementi che connotano il vissuto sarà possibile pervenire alla corretta e più adeguata regola del caso in soluzione, regola che potrà concretizzarsi (cumulativamente o alternativamente) ora in una ponderata riduzione del corrispettivo dovuto, ora in una semplice dilazione di pagamento, ora, ancóra, in una sua temporanea sospensione. Regola, in ogni caso, che non potrà mai tradursi nella possibilità per una o per entrambe le parti di trarre un vantaggio non meritevole dal rapporto “rivisto”88. Preso atto che l’accordo, quale momento genetico, non è sufficiente a governare la vicenda distribuita nel tempo89, superata qualunque dicotomia dei piani (del contratto e del rapporto), non può più non essere rilevata la tensione al giusto negoziale (contratto/rapporto), apprezzabile sia quanto all’aspetto sostanziale sia quanto all’aspetto processuale90, riflesso di valori, di principi

In senso analogo Russo, L’arma letale della buona fede. Riflessioni a margine della “manutenzione” dei contratti in seguito alla sopravvenienza pandemica, cit., p. 161. 89 «La logica del “puro scambio e nulla più” si rivela incapiente quando due soggetti si vincolano per un certo tempo e l’incompletezza del contratto è destinata ad allargarsi molto, “affratellando” inevitabilmente le parti nell’incontro con la sopravvenienza»: Nicolussi, Etica del contratto e contratti ‘di durata’ per l’esistenza della persona, in Nogler, Reifner, U., Life Time Contracts: Social Long-term Contracts in Labour, Tenancy and Consumer Credit Law, Eleven International Publishing, Den Haag, 2014, p. 152. 90 Ferma è la «convinzione che sia impossibile svincolare l’idea di diritto dalla tensione al conseguimento di un risultato di giustizia, nella lucida consapevolezza dell’enorme distacco che inevitabilmente si misura tra la perfezione dell’idea e l’imperfezione dell’atto che tenta di esserne un pallido riflesso pratico»: Lipari, Elogio della giustizia, Bologna, 2021, p. 106. 88

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e diritti fondamentali costituzionalmente “espressi”, non unidirezionali, declinazione della persona in grado di reagire di fronte alla sopravvenienza squilibrante e di sostenere un adeguamento non semplicemente quantitativo, che di per sé potrebbe condurre di fatto a una mera traslazione delle conseguenze negative della circostanza inizialmente ignota, e quindi in grado di reggere, se del caso, di là dal mondo chiuso della regola, dalla dovuta interpretazione e connessa integrazione del contratto91, una conformazione additiva sostanzialmente qualitativa ovvero di favorire una ricalibratura delle posizioni, senza alcuna preclusione rimediale92, sulla base degli effettivi interessi, degli interessi propri dei soggetti protagonisti delle esperienze giuridiche di vita per come indotte dal(l’imprevedibile) divenire.

Si confrontino sul tema i contributi di Pennasilico, «Ménage à trois»: la correzione giudiziale dei contratti, in Aa.Vv., Correzione e integrazione del contratto, cit., p. 43 ss.; Angelone, «Integrazione» e «correzione» del contratto nel prisma dei poteri regolatori delle autorità indipendenti, ibidem, p. 261 ss. 92 Perlingieri, Il giusto rimedio nel diritto civile, in Giusto proc. civ., 2011, p. 1 ss. 91

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Sommario: 1. L’evoluzione delle esigenze di spostamento e l’impatto del cambiamento sugli strumenti giuridici. – 2. Gli obiettivi imposti dal Green Deal europeo. – 3. I nuovi bisogni: condivisione, disintermediazione, intermodalità, tutela della sicurezza e della salute. – 4. Mobility as a service. – 5. Il ruolo assolto dalla tecnologia informatica. – 6. Strumenti negoziali di mobilità sostenibile. – 7. Mobilità evoluta e responsabilità civile: i nuovi veicoli. – 8. (segue) I soggetti responsabili. – 9. (segue) Automazione e responsabilità. – 10. Profili assicurativi.

Abstract The movement of people in urban centers is carried out by a variety of means, such as bikes, elettric scooters, elettric city cars, etc., which, in accordance to the European Green Deal, should reduce the production of CO2 levels in the atmosphere. Vehicle sharing contracts and platforms represent a valid opportunity to achieve smart mobility. The efficient management of transport services includes the use of new technologies. Moreover, driverless vehicles are a concrete reality in public transportation sector. It is a priority to ensure that vehicles circulate safely and that responsibilities in the event of an accident are adequately distributed among the various players. The essay focuses on the possibility to regulate the relationship between people involved with mobility and the liability in case of accident using the rules laid down by civil code.

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1. L’evoluzione delle esigenze di spostamento e l’impatto del cambiamento sugli strumenti giuridici Il movimento rappresenta un’esigenza vitale per l’uomo, che vive spostandosi nello spazio circostante. Il trasferimento da un punto ad un altro del territorio, infatti, può essere funzionale alla soddisfazione di bisogni di vario tipo: di svago o culturali, di socialità e di cura dei rapporti con gli altri, di svolgimento di diverse attività lavorative, ecc. Il trasferimento di cose e di persone, peraltro, può costituire una fase dell’esecuzione di molte operazioni negoziali. Lo spostamento è immanente all’attività ed è una forma di affermazione della personalità umana; per questa ragione la libertà di movimento è riconosciuta dalla Carta Costituzionale come momento essenziale per l’esercizio della libertà personale (art. 18)1. Peraltro, le persone possono muoversi nello spazio con e senza l’impiego di mezzi e infrastrutture in grado di velocizzare il raggiungimento della meta. Occorre, innanzitutto, considerare la possibilità che l’individuo si sposti a piedi e senza utilizzare strade asfaltate o ferrate, sentieri, ponti, ecc.: se una persona passeggia nel bosco esercita la propria libertà e arricchisce la propria personalità senza che tale vicenda abbia nulla a che fare con la mobilità. Tuttavia, le passeggiate nei boschi non sono l’occupazione principale della popolazione che vive nei centri urbani e nella stragrande maggioranza dei casi le vie di comunicazione e i veicoli assolvono una funzione strumentale rispetto all’attuazione della libertà di movimento. La circolazione di persone e cose realizzata con mezzi propri nei centri urbani non è un fatto indifferente sotto il profilo giuri-

Cfr. Amato, sub art. 16, in Commentario della Costituzione Branca, Bologna-Roma, 1977, p. 114 ss., il quale evidenzia come sia problematico stabilire dove finisca la libertà di circolazione e dove cominci la libertà personale e «se si tratti di due situazioni giuridiche corrispondenti a facoltà e interessi realmente distinti o di due aspetti di un’unica libertà». Sulla nozione di circolazione che emerge dal codice civile, cfr. Franzoni, Dei fatti illeciti, sub art. 2054, Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1993, p. 646 ss. 1

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dico. Esso, infatti, è espressione della libertà di circolazione e, nel rispetto del dettato costituzionale, dovrebbe poter essere effettivamente realizzato e attuabile in condizioni di sicurezza. Inoltre, lo spostamento degli individui con mezzi propri nei centri urbani produce, in ogni caso, un impatto sull’ambiente e sulle infrastrutture impiegate, determinando uno sfruttamento di risorse collettive. Una visione complessiva del fenomeno della mobilità nei centri urbani, quindi, deve necessariamente tener conto anche dello spostamento che gli individui realizzano con mezzi propri o a piedi. Peraltro, i beni strumentali alla circolazione, come le strade, i corsi d’acqua, lo spazio aereo, sono per loro natura destinati a soddisfare anche altri bisogni, di incontro, di commercio, di sport, di salute, ecc. Lo sviluppo esponenziale dei centri urbani ha fatto emergere la necessità di bilanciare la libertà di circolazione con l’esigenza di tutela di altri interessi meritevoli di tutela. Non è, quindi, sempre possibile invocare la tutela della libertà di rango costituzionale, per escludere la legittimità di divieti di circolazione2. La regolamentazione del traffico all’interno dei centri urbani, proprio in considerazione delle diverse istanze di cui occorre tenere conto, dunque, non può essere frutto di improvvisazione, ma deve essere oggetto di un’attenta programmazione. La circolazione delle persone e delle cose deve rispondere ad esigenze di rapidità ed efficienza e allo stesso tempo deve avvenire in condizioni di sicurezza, evitando la congestione del traffico, minimizzando l’impatto ecologico dell’attività, ecc.3.

Cfr. sul necessario bilanciamento con altri interessi meritevoli di tutela, sull’impossibilità di considerare conseguentemente illegittimo qualsiasi divieto di circolazione e sui limiti del diritto di avvalersi delle vie di comunicazione e dei mezzi pubblici Amato, sub art. 16, cit., p. 119 ss. V. art. 7 del codice della strada che prevede la possibilità di istituire zone a traffico limitato e zone pedonali di adottare provvedimenti limitativi della circolazione. Nel senso che le questioni relative all’istituzione di zone a traffico limitato rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo v. Cass., sez. un., ord., 26 giugno 2020, n. 12864, Pluris on line. 3 L’attenzione, peraltro, non dovrebbe essere limitata al traffico all’interno dei centri urbani e tra questi; si avverte, infatti, la necessità di in2

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L’uomo nell’ultimo secolo è stato affetto da una bulimia smisurata nel consumo e questo atteggiamento non ha risparmiato il settore del trasporto, sia per la quantità di spostamenti sia per la varietà dei mezzi utilizzati sia per la pretesa sempre crescente di efficienza e rapidità. I centri urbani sono conseguentemente diventati sempre più congestionati, inquinati, e invivibili e questo ha infine determinato un decisivo cambio di passo. È emersa, innanzitutto, la consapevolezza della necessità di trattare il tema della mobilità urbana in modo complessivo, includendo qualsiasi spostamento di persone e cose con qualsiasi mezzo e l’urgenza di porre alla base di qualsiasi scelta l’obiettivo di ridurre l’inquinamento e migliorare la qualità di vita. Le scelte, in ossequio al dettato costituzionale, dovrebbero sempre essere adottate riconoscendo la centralità della persona ed assicurando lo sviluppo della personalità umana. É inoltre imprescindibile considerare la necessità di preservare l’ambiente e utilizzare le risorse disponibili in considerazione anche delle esigenze delle generazioni future4. Rispetto a questo quadro che registra l’emergere di bisogni del tutto nuovi di mobilità occorre indagare su quali siano gli strumenti giuridici più adeguati per regolare i rapporti tra gli utenti e i fornitori dei servizi. I giuristi per secoli sono stati abituati a trattare la questione della circolazione di persone e merci in modo semplicistico e schematico, considerando due alternative possibili: lo spostamento realizzato autonomamente con mezzi propri e quello

tervenire anche sulla rete di collegamento tra i diversi paesi dell’UE, la quale ha predisposto un programma di finanziamento di iniziative che «supports innovation in the transport system in order to improve the use of infrastructure, reduce the enviromental impact of transport, enhance energy efficiency and increase safety». (The Connecting Europe Facility (CEF), inhttps://ec.europa.eu/inea/connecting-europe-facility/cef-transport. 4 Cfr. P. Perlingieri, I diritti umani come base dello sviluppo sostenibile. Aspetti giuridici e sociologici, in Riv. giur. Mol. Sannio, 2000, p. 73, afferma che «L’accoglimento del concetto secondo il quale i diritti umani e, quindi, la dignità dell’uomo, integrano un valore assoluto, fa sì che lo stesso sviluppo debba fare riferimento a questo valore».

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affidato ad un terzo che esegue, a vario titolo, una prestazione di trasporto. Questa è l’impostazione che emerge dal codice civile e che trova conferma nel Codice della Strada che, pur essendo stato recentemente modificato, sotto tale profilo non è stato innovato5.

Il Codice della Strada, dlgs. 30 aprile 1992 n. 285 è stato nel corso degli anni modificato; L’ultimo intervento riformatore è stato attuato con la legge 28 febbraio 2020 n. 8. Si è chiarito che rientrano nella categoria dei velocipedi anche le biciclette a pedalata assistita che non superino i 25 Km/ ora (art. 50). Anche i monopattini sono stati equiparati ai velocipedi dall’art. 1, comma 75 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020). Sull’uso dei monopattini e hoverboard nei centri urbani si veda il d. m. del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 4 giugno 2019, n. 162 che favorisce la sperimentazione di questi dispositivi di micromobilità, prescrivendo le caratteristiche che dovrebbero avere i luoghi in cui vengono utilizzati e le regole di comportamento prudenziali che dovrebbero rispettare gli utilizzatori. La qualificazione dei mezzi come veicoli influenza il trattamento giuridico da riservare ai sinistri nei quali questi possono essere coinvolti e all’applicabilità delle sanzioni previste per la violazione delle regole di circolazione imposte dal codice della strada. Il tema è all’attenzione della giurisprudenza. Si vedano Cass. ord., 7 dicembre 2018, 31702, in Pluris online; Trib. Palermo, 29 settembre 2020 n. 2881, in Quotidiano Pluris on line, n. 2/152; Trib. Alessandria, 18 giugno 2020, in Pluris online; Trib. Ferrara, 29 luglio 2020, ivi; Trib. Vicenza, 22 marzo 2018, ivi; App. Firenze, 26 aprile 2017, ivi; App. Firenze, 12 aprile 2016, ivi; Nessuna innovazione di rilievo è stata apportata in tema di destinazione ed uso dei veicoli nel Codice della Strada. L’art. 80 del cod. str. stabilisce che «I veicoli possono essere adibiti a uso proprio o a uso di terzi. Si ha l’uso di terzi quando un veicolo è utilizzato, dietro corrispettivo, nell’interesse di persone diverse dall’intestatario della carta di circolazione. Negli altri casi il veicolo si intende adibito a uso proprio». Anche l’esplicazione delle fattispecie che si intendono comprese nell’uso di terzi appare deludente in quanto non include realtà imprenditoriali che soddisfano il bisogno di spostamento proponendo agli utenti operazioni negoziali che non possono essere semplicisticamente qualificate come noleggio o locazione (sul tema v. infra). A norma dell’art. 80 comma 5, infatti, «L’uso di terzi comprende: a) locazione senza conducente; b) servizio di noleggio con conducente e servizio di piazza (taxi) per trasporto di persone; c) servizio di linea per trasporto di persone; d) servizio di trasporto di cose per conto terzi; e) servizio di linea per trasporto di cose; f) servizio di piazza per trasporto di cose per conto terzi». 5

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Lo studio del fenomeno della mobilità per anni è stato declinato come lo studio del trasporto, quale operazione materiale con cui un soggetto, servendosi di un’organizzazione di mezzi sotto il proprio controllo e avvalendosi di un veicolo, trasloca nello spazio persone o cose attraverso una via di comunicazione al fine specifico di trasferirli da un luogo a un altro. La rivoluzione intervenuta nella mobilità ha spazzato via una ad una le certezze che per secoli hanno governato gli studi giuridici in materia. I cambiamenti nei costumi sociali e l’emergere di esigenze del tutto nuove hanno determinato una ricaduta inevitabile sugli strumenti negoziali impiegati per soddisfare il bisogno di spostamento.

2. Gli obiettivi imposti dal Green Deal europeo L’ambizioso obiettivo strategico dell’Unione Europea, individuato dalla Commissione nella Comunicazione The European Green Deal, è di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il Parlamento Europeo, ha emanato una Risoluzione6, nella quale fa propri gli obiettivi indicati Commissione e sottolinea l’urgenza di adottare misure dirette a «transforming the EU into a healthier, sustainable, fair, just and prosperous society with net-zero emissions of greenhousegases (GHGs)»7. Il tema della mobilità può costituire un terreno sul quale implementare strumenti diretti al contenimento dell’impatto ecologico complessivo dell’attività economica, alcuni dei quali possono essere attuati anche in tempi non troppo lunghi. Gli interventi diretti ad assicurare che la mobilità delle persone coinvolte nel processo produttivo e quella delle merci prodotte sia realizzata senza sacrificare l’ambiente o contenendo l’impatto sullo stesso sono, infatti, realizzabili anche in presenza di un processo produttivo inalterato e in attesa della realizzazione dei necessari cambiamen-

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Risoluzione Parlamento EU 15 gennaio 2020 European Green Deal (2019/2956(RSP)), https://eur-lex.europa.eu. 7

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ti dello stesso, incidendo positivamente sull’impronta ecologica complessiva dell’attività economica. Per conseguire gli obiettivi di un’economia a impatto climatico zero, infatti, è certamente indispensabile la mobilitazione dell’industria; tuttavia, è lo stesso organismo europeo a riconoscere che «occorrono 25 anni – una generazione – per trasformare un settore industriale e tutte le catene del valore»8. La trasformazione europea deve riguardare «tutti i settori dell’economia: industria, produzione e consumo, grandi infrastrutture, trasporti, prodotti alimentari e agricoltura, edilizia, tassazione e prestazioni sociali»9. Il settore del trasporto, peraltro, è in grado di svolgere un ruolo cruciale nelle politiche trasformative perché sono poche le attività economiche che possono essere realizzate senza spostare persone o cose. Il cambiamento nelle modalità di circolazione di persone e cose può determinare una riduzione dell’impatto ambientale dell’attività umana in generale e anche di quella economica. Inoltre, diversamente dall’adattamento del processo produttivo, che richiede tempi lunghi, alcuni cambiamenti dei comportamenti umani diretti al contenimento delle immissioni prodotte dalla circolazione possono essere realizzati nell’immediato. La Commissione EU è consapevole della centralità del tema della mobilità delle persone e delle cose per conseguire gli obiettivi prospettati nel Green Deal10.

Comunicazione Commissione EU 11 dicembre 2019 della Commissione European Green Deal (2019/640 (COM)), https://eur-lex.europa.eu. In Italia nel 2019 è stato emanato il primo atto normativo interamente dedicato all’emergenza climatica, il c.d. Decreto Clima d. l. 14 ottobre 2019, n. 111. 9 Comunicazione Commissione EU 11 dicembre 2019 della Commissione European Green Deal (2019/640 (COM)), cit., par. 2.1.5. 10 Comunicazione Commissione EU 11 dicembre 2019 della Commissione European Green Deal (2019/640 (COM)), par. 2.1.5, cit. I trasporti sono responsabili di un quarto delle immissioni di gas a effetto serra e l’obiettivo del Green Deal, per conseguire la neutralità climatica, è di ridurle del 90%. La visione è ovviamente globale e riguarda il trasporto aereo ferroviario e su strada di cose e di persone. L’obiettivo, secondo la Commissione, do8

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Il legislatore italiano, in vista degli obiettivi individuati dalla Comunità EU, ha provveduto ad emanare la legislazione interna di attuazione, attribuendo ai comuni e alle città metropolitane il compito di predisporre gli strumenti necessari alla attuazione della mobilità sostenibile11.

vrebbe essere realizzato incrementando la mobilità multimodale, impiegando l’automazione e i sistemi intelligenti di gestione del traffico al fine di ridurre l’inquinamento, facendo in modo che il costo rispecchi l’impatto del trasporto sull’ambiente e sulla salute, modulando il trattamento fiscale e le tariffe in base ai combustibili impiegati. Anche la ricerca tecnologica diretta all’individuazione di fonti energetiche alternative e alla produzione di veicoli in grado di ridurre drasticamente le emissioni assume un ruolo cruciale. Con specifico riferimento ai centri urbani, le misure da adottare «dovrebbero vertere sulle emissioni, sulla congestione del traffico urbano e sul miglioramento del servizio pubblico». Si prevede, inoltre, un incremento delle stazioni di ricarica di veicoli a basse a zero immissioni e la promozione dell’impego di combustibili alternativi. La Commissione, inoltre, anche attraverso propri strumenti di finanziamento, «contribuirà allo sviluppo di sistemi intelligenti di gestione del traffico e di soluzioni del tipo “mobilità come servizio”». La necessità di implementare l’impiego di combustibili alternativi era già prevista dalla dir. 2014/94/UE, di cui, peraltro, la Commissione non esclude la possibilità di modifica. 11 In attuazione della dir. 2014/94/UE è stato emanato il d.lgs. 16 dicembre 2016 n. 257 e il d. m. del Ministero della Infrastrutture del 4 agosto 2017 che prevedono la formazione di piani urbani di mobilità sostenibile. Lo Stato Italiano ha destinato risorse per l’attuazione dei piani urbani di mobilità sostenibile (PUMS) e per l’attuazione di progetti innovativi in questo settore a cominciare dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione 2018-2020). Si veda, inoltre, la L. 11 gennaio 2018, n. 2. Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica. Sulla ripartizione di competenze tra Stato e Regioni in materia v. Corte Cost. 9 aprile 2019, n. 74, in Foro. It. 2019, I, 3863. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio ha individuato la mobilità sostenibile tra le linee di intervento nell’ambito della strategia unitaria 2014-2020 per superare le criticità ambientali. V. il progetto CReIAMO PA, Competenze e Reti per l’Integrazione Ambientale e per il Miglioramento delle Organizzazioni della PA, che si propone di incrementare le competenze degli enti che hanno il compito di adottare scelte in tema di mobilità sostenibile e di individuare adeguati strumenti di gestione per l’attuazione dell’azione amministrativa (www.creiamopa.minambiente.it). L’attenzione verso il te-

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Gli enti locali, dai piccoli comuni ai centri urbani più grandi, si sono dati da fare per attivare, direttamente o attraverso privati, servizi di mobilità in grado di soddisfare le esigenze di spostamento contenendo l’impatto sull’ambiente. Senza entrare nel merito delle diverse esperienze maturate sul territorio e dei procedimenti amministrativi utilizzati12, preme sottolineare che, nella gestione del cambiamento, può considerarsi consolidata una visione complessiva e comprensiva della mobilità che rappresenta l’unica alternativa possibile per perseguire in modo efficace l’obiettivo della riduzione dell’impatto ambientale degli spostamenti nei centri urbani.

3. I nuovi bisogni: condivisione, disintermediazione, intermodalità, tutela della sicurezza e della salute Dal punto di osservazione del giurista il cambiamento ha innanzitutto interessato le modalità di soddisfazione dei bisogni umani connessi alla mobilità. È emersa, infatti, la tendenza a preferire per soddisfazione del bisogno di mobilità l’accesso temporaneo alle risorse rispetto alla titolarità di diritti di godimento esclusivo dei veicoli. Questo fenomeno ha in realtà interessato non solo il bisogno di spostamento di persone e cose nello spazio, ma più

ma, peraltro, è risalente. È del 1998 il c.d. decreto Ronchi, d.m. 27 marzo 1998 sulla Mobilità sostenibile nelle aree urbane che ha introdotto la figura del mobility manager operante negli enti pubblici e delle imprese con il compito di redigere un Piano degli spostamenti Casa-Lavoro del personale dipendente finalizzato alla riduzione dell’uso del mezzo proprio. Giova, inoltre, rilevare che alla luce delle disposizioni contenute nel codice dell’ambiente (d.lgs 3 aprile 2006, n. 152, così come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) è compito di tutti gli enti pubblici prevenire i danni all’ambiente e conformare l’azione amministrativa ai principi di precauzione (art. 3-ter). Inoltre, l’attività umana «deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita delle generazioni future» (art. 3-quater).

Diverse esperienze degli enti locali sono illustrate nei materiali reperibili nel sito www.creiamopa.it, ove è possibile anche rinvenire resoconti sulle iniziative di e-mobility di grandi centri urbani europei. 12

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in generale il godimento di diversi beni suscettibili di uso promiscuo13. Secondo l’impostazione tradizionalmente accolta nel nostro ordinamento che corrisponde alle abitudini radicate nel tessuto sociale, infatti, la modalità più efficace per procurarsi la soddisfazione di un bisogno consiste nello stabilire, a diverso titolo, un rapporto tra il soggetto e la “cosa” che implichi uno ius excludendi. La soddisfazione del bisogno tradizionalmente passa per la disponibilità esclusiva di beni dal cui godimento sono esclusi gli altri anche nel tempo in cui essi restano inutilizzati14. L’esperienza moderna, invece, ha fatto emergere una maggiore consapevolezza dello sfruttamento efficiente delle risorse; in questa ottica si è fatta strada la possibilità di assicurare al soggetto la disponibilità materiale del bene per il tempo e nella misura sufficiente alla soddisfazione del bisogno. Anche a causa degli oneri connessi alla proprietà, si registra, quindi, una crescente propensione per quei rapporti in grado di procurare la soddisfazione dei bisogni, spesso contingenti, senza l’acquisizione di diritti di godimento esclusivo sul bene.

I settori interessati da questa rivoluzione diversi dal trasporto sono, turismo, editoria, formazione, informazione, ecc. Numerose sono, inoltre, le analisi svolte dagli economisti su questi temi, i quali sottolineano che la sharing economy non costituisce più un fenomeno di nicchia, ma rappresenta una realtà economica imponente. Cfr. in tema il resoconto di Smorto, Verso la disciplina giuridica della Sharing economy, in Merc. conc. reg., 2015, p. 245 ss. Una fotografia efficace del grado di sviluppo del fenomeno e della evoluzione attesa è contenuta nella Relazione alla Proposta di legge n. 3564 del 27 gennaio 2016, Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione, in www.parlamentari.org, elaborata dall’Intergruppo Parlamentare per l’Innovazione Tecnologica. 14 In tema cfr. Gambaro, I beni, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, Milano, 2012, p. 62 ss., il quale sottolinea che lo ius exscludendi che sembra essere il cuore stesso indefettibilmente presente nella posizione proprietaria, in realtà dipende dalla natura del bene. Nell’indagine sui beni «più promettente appare quindi la prospettiva inversa che muova dalla prospettiva delle ontologie dei beni e da essa prosegua all’analisi dei correlati interessi dei soggetti» (p. 67). 13

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Il settore della mobilità è uno di quelli nei quali l’economia della condivisione ha avuto maggiore diffusione; il bisogno di spostamento, infatti, per sua natura non è continuativo, al contrario, per quanto frequente, esso è sempre circoscritto nel tempo. Tendenzialmente, ci si sposta da e per un luogo dove si svolge una certa attività per un dato tempo e ci si rimette in movimento. L’esigenza di spostamento, infatti, pervade l’attività umana ed esso è funzionale alla sua attuazione, tuttavia l’uomo non vive circolando. L’alternativa tra l’utilizzazione del mezzo proprio o del mezzo pubblico si è, quindi, arricchita di diverse altre opportunità che assicurano l’accesso temporaneo al bene e che hanno visto il proliferare di operazioni negoziali di sharing di auto, motocicli, bike, monopattini ecc.15. L’uso promiscuo dei veicoli permette di sfruttare pienamente le potenzialità dei medesimi evitando la dispersione di risorse che si avrebbe nel periodo di sosta tra uno spostamento ed un altro. L’economia della condivisione consente di valorizzare la capacità dei beni di produrre utilità, il godimento dinamico e funzionale e lo sfruttamento efficiente delle risorse che il bene è in grado di produrre. Questo diverso approccio determina uno spostamento dell’attenzione dal valore di scambio dei beni al valore d’uso dei medesimi. La conseguenza è che se in passato la ricchezza si misurava essenzialmente in base alla quantità di beni di cui un sog-

In materia di trasporti v. la Proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati n. 3137 del 21 maggio 2015, Disposizioni in materia di servizi di trasporto con conducente non di linea e di uso condiviso di veicoli privati tra piú persone (car pooling); la Proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati n. 859 del 3 luglio 2018, Disposizioni per la promozione dell’utilizzo condiviso di veicoli privati (car sharing); La proposta di legge n. 930 del 12 luglio 2018, Disposizioni per la promozione dell’uso condiviso di veicoli privati (car pooling) in www.camera.it. Vedi anche la documentazione per la lettura dei progetti di legge elaborata dal Servizio Studi della Camera dei Deputati, http://documenti.camera.it/leg18/ dossier/pdf/TR0059.pdf. Sulla condivisione come strumento per implementare la mobilità sostenibile, cfr. Lobuono e Addante, I “nuovi” servizi di mobilità, in I contratti di somministrazione e di distribuzione, a cura di R. Bocchini e A.M. Gambino, in Tratt. dei contr., Torino, 2011, p.116 ss. 15

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getto era proprietario; oggi, soprattutto a causa del peso fiscale imposto, viene valorizzata, invece, la capacità di procurarsi i beni utili alla soddisfazione dei bisogni senza esserne proprietari16. Questa evoluzione dei costumi solo apparentemente determina una svalutazione della proprietà dominicale che, in ogni caso, continua a svolgere una funzione essenziale nella produzione di ricchezza. Infatti, non può sfuggire che alle origini della filiera che genera il godimento temporaneo da parte del soggetto c’è sempre un proprietario che mette a disposizione il proprio bene e che ne riceve un’utilità indiretta. Senza la proprietà dominicale, intesa in senso classico, quindi, non vi sarebbe alcuna possibilità di accesso ai beni per la soddisfazione dei bisogni. L’economia della condivisione pertanto non implica un abbandono della proprietà intesa in senso tradizionale, piuttosto evoca uno sfruttamento efficiente delle sue potenzialità da parte del proprietario attraverso il godimento indiretto. Sta di fatto che sotto l’etichetta della sharing economy sono sovente accomunate fattispecie affatto diverse. In realtà, la condivisione di beni, servizi e risorse può essere ispirata da un intento solidale, da uno scopo egoistico o dall’intento di ricavare un profitto e il carattere lucrativo o non lucrativo dell’attività non può essere indifferente ai fini della determinazione del trattamento giuridico. Di fatto alcune attività sono gestite senza alcuno scopo di lucro e sono dirette a favorire l’incontro tra soggetti che decidono di

In una diversa prospettiva la nozione di bene deve includere la nozione di risorsa, che risente di un’impostazione economica, ma che veicola in sé quella di utilità; «ma mentre quest’ultima presuppone la sua direzione verso il soggetto che la percepisce, la parola risorsa appare rivolta a ciò che la origina». Cosí, Gambaro, I beni, cit., p. 76 ss: «le persone sono interessate alle utilità dei beni, ed anche in una prospettiva fisicalista si dovrebbe tener conto del dato di fatto per cui alle persone interessano le risorse generate dalle cose non le cose in sé, sicché si dovrebbe pur sempre osservare come il modello semplicistico che contempla una persona una cosa nello stesso istante di tempo (…) non può ambire a porsi come modello universale e meno che mai a modello standard atto a costituire il terreno di incontro tra diverse tradizioni di ricerca» (p. 86). 16

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condividere beni, servizi, attività, ecc. a scopo solidaristico, senza intermediazione di denaro e in assenza di profitto. Esistono poi realtà imprenditoriali che utilizzano la condivisione per allocare piú efficientemente beni e servizi e per trarre profitto dalla commercializzazione dei medesimi. È evidente la necessità di evitare il pericolo di confusione tra realtà per nulla omogenee, che devono necessariamente essere destinatarie di un trattamento giuridico diverso. Il fenomeno della sharing mobility, generalmente, nulla ha a che vedere con l’intento solidaristico: si tratta, infatti, di imprese, pubbliche o private, che utilizzano piattaforme di condivisione di veicoli per assicurare un’allocazione efficiente delle risorse. In questi casi si assiste ad una sorta di mercificazione della sharing economy; l’idea della condivisione costituisce, infatti, un espediente di marketing per attuare in modo efficace progetti imprenditoriali diretti alla ottimizzazione di un risultato o alla realizzazione di un profitto. Caso di mistificazione eloquente è quello di Uber che si è proposta come piattaforma di sharing, avente la funzione di mettere in comunicazione utenti bisognosi di una vettura con autista e utenti con del tempo libero a disposizione, muniti di auto e disposti a effettuare il trasporto. Proprio l’esperienza Uber ha dimostrato che questi nuovi modi di fare impresa devono essere trattati per quello che realmente sono. L’alternativa è, infatti, ingenerare malcontento in coloro che svolgono le stesse attività o attività simili e sopportano maggiori oneri, costi e vincoli per accedere al mercato (gli autisti di taxi nel caso di Uber, gli albergatori nel caso di AirBnB, i ristoratori nel caso degli home restaurant, e cosí via)17.

In diversi Stati dell’UE sono sorte controversie tra Uber e le cooperative di autisti di taxi locali. Uber, infatti, pretende di essere qualificata come un’app, scaricabile dagli utenti sui propri dispositivi elettronici, che ha la funzione di mettere in contatto gli stessi con autisti non professionisti che con la loro auto sono occasionalmente disponibili ad effettuare il servizio di trasporto richiesto. Gli autisti di taxi sostengono che l’attività svolta da Uber sia equivalente a quella che realizzano le cooperative di autisti professionisti, conseguentemente, considerano ingiustificata la 17

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Dovrebbero quindi, a rigore, meritare l’appellativo di servizi di sharing mobility solo quelli gestiti, direttamente o indirettamente, dagli enti locali, in assenza di profitto, e consistenti nella messa a disposizione dei cittadini di veicoli, come bici e monopattini, a titolo gratuito o con un contributo da destinarsi alla copertura dei costi di gestione. Sembrano, inoltre, ispirate ad intenti autenticamente solidaristici quelle piattaforme che consentono di mettere in contatto gli utenti che condividono le medesime esigenze di viaggio e intendono usufruire di un’auto di gruppo per ripartire i costi e le energie necessarie a realizzarlo (car pooling)18. La mobilità, inoltre, è stata investita di un fenomeno che ha negli ultimi anni riguardato più in generale tutti gli scambi e che consiste nella tendenza alla eliminazione di qualsiasi forma di intermediazione tra il bisogno e la soddisfazione dello stesso. La possibilità di accedere tramite la rete ad un numero sterminato di informazioni e di mettersi in contatto con estrema facilità con

sottrazione della stessa ai controlli e agli oneri imposti dalla legge agli autisti professionisti. La circostanza che gli autisti Uber non subiscano il peso, ad esempio, degli obblighi assicurativi e fiscali determina, infatti, un’ingiustificata disparità di trattamento e realizza un atto di concorrenza sleale rispetto agli altri operatori del settore. L’assenza di controlli e di obblighi assicurativi, peraltro, rappresenta un grave pericolo per la sicurezza degli utenti. La questione è stata sottoposta anche all’attenzione dei giudici italiani. Si veda, Trib. Torino, 22 marzo 2017, in Dir. ind., 2018, p. 16; Trib. Torino, 1° marzo 2017, in Quotidiano giur, 2017; Trib. Milano, 9 luglio 2015, in Corr. giur., 2016, p. 360; Trib. Milano, 26 maggio 2015, in Foro it., 2015, p. 2181. In tema cfr. Di Amato, Uber and the Sharing Economy, cit., p. 177 ss. Da ultimo, è stata ideata un’app che consente l’accesso ad un servizio di consegna collaborativo di plichi, che ha fatto insorgere le associazioni di spedizionieri professionisti in Francia. Cfr., in tema Faletti, Sharing economy: dopo gli appartamenti, si condivide anche la consegna pacchi, in Quot. Pluris. 18 Il modello è stato diffuso negli Stati Uniti ed è utilizzato soprattutto dai giovani. La piattaforma più nota è Bla Bla car. In tema cfr. Addante, Autonomia contrattuale e mobilità sostenibile, in Contr., 2011, p. 604 ss. Si può ipotizzare anche la condivisione delle spese degli spostamenti urbani impiegando taxi collettivi, come offrono diverse cooperative di autisti di auto con licenza operanti nelle nostre città.

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chiunque in qualsiasi parte del mondo induce il convincimento di potersi procurare direttamente beni e servizi. Perché rivolgermi ad un agente di viaggio per programmare la mia vacanza, a un consulente finanziario per scegliere l’investimento, a un negoziante al dettaglio per scegliere un prodotto, ecc.? Perché farmi trasportare da un autista se posso, avendo un mezzo a disposizione e consultando il navigatore, realizzare lo stesso obiettivo senza la collaborazione di nessuno. La disintermediazione, peraltro, consente generalmente di ottenere il risultato desiderato verso il pagamento di un corrispettivo più contenuto perché si risparmia il costo della prestazione dell’intermediario. Questa propensione, inoltre, è diretta conseguenza della diffusa tendenza a screditare le competenze, nel convincimento di poterle efficacemente sostituire con le informazioni che ciascuno può procurarsi agevolmente attraverso la rete. Il consumatore medio tende a considerare che l’agente di viaggio, il consulente finanziario, lo scienziato, l’autista, il giardiniere, ecc. non sappiano più di quanto egli stesso possa riuscire a sapere accedendo alle informazioni reperibili in rete; piuttosto, è diffuso il convincimento che gli esperti possano utilizzare il pretesto della conoscenza per offrire prestazioni a costi maggiori, mentre è possibile ottenere la soddisfazione del bisogno direttamente, facendo a meno di loro e risparmiando. La disaffezione verso la proprietà del mezzo e la diffusione dell’accesso temporaneo ha fatto emergere, inoltre, la possibilità di realizzare lo spostamento da un luogo a un altro mediante l’utilizzazione sequenziale di una pluralità di veicoli anche di diverso tipo. I veicoli utilizzati per gli spostamenti, infatti, non essendo di proprietà, possono essere lasciati dopo l’utilizzo e sostituiti con altri con cui proseguire il viaggio. Il trasporto così attuato è incentivato nella misura in cui sono utilizzati veicoli poco inquinanti. Inoltre, la intermodalità determina, in ogni caso, una flessione del numero complessivo dei veicoli in circolazione e un decongestionamento del traffico nei centri urbani19.

La multimodalità e l’intermodalità costituiscono una realtà acquisita nel trasporto internazionale di cose. In particolare si ha trasporto 19

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La tendenza alla condivisione dei veicoli, la propensione verso l’utilizzazione di mezzi senza conducente e la possibilità di compiere il tragitto impiegando sequenzialmente veicoli diversi producono una ricaduta inevitabile sulle categorie giuridiche tradizionalmente utilizzate per definire i rapporti giuridici che si instaurano per la soddisfazione del bisogno di mobilità. Il concetto di mezzo “proprio”, così come attualmente inteso, non può più rappresentare un criterio valido in base al quale individuare la disciplina applicabile. La circostanza che l’utente sia parte attiva nella realizzazione dello spostamento non può non essere tenuta in conto nell’accertamento della correttezza dell’adempimento del fornitore del servizio e della responsabilità in caso di sinistro. Inoltre, non si può non tener conto della evoluzione che nel corso del tempo vi è stata nelle modalità di gestione dei servizi di mobilità da parte degli enti locali e del ruolo che, allo stato, giocano le imprese private nella definizione dell’offerta. Diversamente percepito da parte degli utenti è, inoltre, il bisogno di sicurezza che prima era strettamente attinente alla sfera personale ed oggi si è arricchito della considerazione dell’esigenza di tutelare la salute collettiva e quella delle generazioni future. Si richiede che lo spostamento non metta a rischio l’incolumità delle persone direttamente coinvolte e nello stesso tempo non sia dannoso o sia dannoso in misura più contenuta possibile per la collettività e per l’ambiente.

multimodale quando vi è un unico vettore che utilizza modalità diverse per spostare il carico da un luogo ad un altro e che, in ogni caso, è responsabile dell’intero viaggio. Il trasporto intermodale, invece, costituisce una combinazione di viaggi realizzati sequenzialmente da vettori diversi, che il mittente si fa carico di organizzare. Ai sensi dell’art. 1700 c.c. i vettori nel trasporto cumulativo di cose sono responsabili solidalmente, salvo il regresso verso l’effettivo responsabile se identificabile o verso tutti proporzionalmente. Con riferimento al trasporto cumulativo di persone, invece, l’art. 1682 c.c. prevede la responsabilità di ciascun vettore nell’ambito del proprio percorso. Cfr. in tema Barruso, Il contratto di trasporto intermodale e la responsabilità dell’OTM, in Nuova giur. civ., 2006, p. 20284 ss.

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La propensione al consumo consapevole influenza il contenuto dei negozi diretti alla soddisfazione del bisogno di spostamento, perché occorre che emerga con chiarezza l’impatto ecologico della prestazione offerta. Questo elemento può influenzare la scelta degli utenti non solo perché assume rilievo l’intento altruistico di non danneggiare l’ambiente ma anche perché può essere utilizzato per attuare un sistema di cash-back o altre forme di incentivi finalizzati a sollecitare comportamenti ecosostenibili20. Non possiamo, inoltre, nell’ambito del bisogno di sicurezza non considerare le esigenze legate all’emergenza sanitaria che ha investito e travolto il mondo intero. Il Covid-19 ha fatto innanzitutto emergere un bisogno negativo, ossia quello di evitare e contenere il più possibile gli spostamenti delle persone. Oggi senza spostarsi da casa si lavora, si studia, si assiste a spettacoli, si consumano cene gourmet, ecc. Questa flessione della circolazione delle persone, peraltro, non necessariamente va a beneficio dell’ambiente, posto che assistiamo ad un contestuale incremento del trasporto di cose nei centri urbani dovuto all’incremento dell’e-commerce. In ogni caso, occorre considerare che la diffusione del virus Covid-19 influenza inevitabilmente la scelta circa le modalità di soddisfazione del bisogno di spostamento, in quanto, da un lato, scoraggia l’uso dei mezzi pubblici e, dall’altro potrebbe anche determinare una flessione della domanda di sharing, in ragione della

Tralasciando la questione dell’incidenza delle prescrizioni a tutela dell’ambiente sui rapporti patrimoniali che andrebbero a delineare la figura del c.d. contratto ecologico (sul tema cfr. Pennasilico, Contratto ecologico e conformazione dell’autonomia negoziale, in Riv. quadr. dir. amb., 2017, p. 4 ss.; in senso critico Pagliantini. Sul c.d. contratto ecologico, in Nuova giur. civ.), certo non si può negare che esista un interesse del creditore ad essere correttamente informato circa l’impatto ecologico dell’atto di consumo. Questo aspetto è posto in rilievo dalla Commissione EU che nel par. 2.1.3, ove si legge che «anche le informazioni, a condizione di essere affidabili, comparabili e verificabili, svolgono un ruolo importante per consentire agli acquirenti di prendere decisioni più sostenibili, riducendo il rischio di un marketing ambientale fuorviante (“green washing”)». 20

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difficoltà di assicurare interventi di sanificazione tra un viaggio ed un altro. Questa inversione di rotta e il pericolo del ritorno all’impiego massiccio dei mezzi propri negli spostamenti costituisce potrebbe costituire un grave pericolo per l’ambiente. Per evitare che ciò accada, occorre che la sicurezza e la prevenzione entrino a far parte del contenuto del contratto e costituiscano una qualità essenziale della prestazione21. È doveroso, in ogni caso, assicurare che lo spostamento delle persone avvenga in condizioni di sicurezza sanitaria e individuare misure di prevenzione adeguate che ingenerino negli utenti l’affidamento e il senso di sicurezza

4. Mobility as a service Per attuare una mobilità di questo tipo, i moderni centri urbani dovrebbero dotarsi di punti di snodo, collocati preferibilmente nei pressi delle stazioni ferroviarie e metropolitane, dove lasciare il veicolo dopo l’utilizzo per proseguire, eventualmente, il tragitto con un altro. Questi punti nodali dovrebbero contenere parcheggi per auto tradizionali, stazionamenti di veicoli elettrici (van, moto bike), veicoli destinati micro mobilità, come bike e monopattini, da impiegare per spostamenti brevi e colonnine di ricarica. Le isole di mobilità, distribuite in diversi punti della città, dovrebbero, inoltre essere collegate tra loro fino a costituire una rete. L’impego della tecnologia informatica per la raccolta e l’elaborazione dei dati è, infatti, indispensabile per l’attuazione di un servizio di mobilità integrata efficiente.

Allo stato non è ben chiara la ripartizione delle competenze in tema di sicurezza nella circolazione, tutela della salute e dell’ambiente. Si veda in tema la pronuncia del T.a.r. Toscana Firenze Sez. I, 08/02/2021, n. 215, in www.dirittifondamentali.it, che ha giudicato illegittima l’ordinanza del sindaco di Firenze che aveva imposto l’uso del casco anche agli utenti di monopattini maggiori di età. In senso non conforme, T.a.r. Puglia Lecce Sez. I, 18 luglio 2019, n. 1305; in Pluris on line; T.a.r. Lazio Latina Sez. I, 26 febbraio 2019, n. 146, ivi. 21

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Le strade e le piazze dovrebbero essere idonee ad accogliere la circolazione contestuale di veicoli diversi in condizioni di sicurezza e consentire la fruibilità degli spazi da parte di coloro che vogliono svolgere altre attività. L’ambiente urbano dovrebbe essere, infatti, in grado di soddisfare anche esigenze diverse dalla circolazione come quella di passeggiare, di far giocare i bambini, di svolgere attività sportiva all’aperto, di socializzare, di allestire fiere, mercati, spettacoli, ecc. Un approccio progettuale adeguato, quindi, tende a preferire forme di destinazione degli spazi non definitive e a preservarne la versatilità, in modo da garantire il più ampio soddisfacimento di interessi anche concorrenti. Uno stesso spazio, infatti, può essere utilizzato a fini diversi, contestualmente o in tempi diversi, consentendo di appagare una pluralità di bisogni meritevoli di tutela. L’alleggerimento del traffico può derivare inoltre dalla creazione, nei limiti del possibile, di servizi di prossimità: i cittadini dovrebbero, infatti, poter trovare tutto ciò di cui hanno bisogno nell’arco di una distanza tanto contenuta dalla propria abitazione da poterla percorrere a piedi o utilizzando veicoli di micro mobilità. Una visione complessiva della mobilità che persegua il miglioramento della qualità della vita nei centri urbani, inoltre, deve, tendere ad incoraggiare anche gli spostamenti a piedi più salutari e ecosostenibili. Anche il comportamento degli utenti, in ogni caso, può contribuire al contenimento dei danni all’ambiente: è quindi fondamentale la sensibilizzazione al problema e l’incentivazione a tenere condotte adeguate. Non si può, inoltre, non tener conto che l’incremento del lavoro a distanza determinato dalla diffusione della pandemia da Covid-19 e l’esigenza di contenere il rischio di contagio ha prodotto una contrazione degli spostamenti per ragioni di lavoro. É prevedibile che anche dopo il superamento dell’emergenza contingente, diverse attività lavorative, riunioni, incontri di lavoro, convegni, ecc. continueranno a svolgersi a distanza alleggerendo la pressione sul traffico. Questa prospettiva è compatibile solo con una visione complessiva del tema della mobilità che includa qualsiasi forma di

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spostamento e anche la stessa possibilità di contenere gli spostamenti all’interno dei centri urbani. Sotto il profilo giuridico, il tema della mobilità può essere trattato in modo unitario, tenuto conto che è unico il bisogno di spostamento, eventualmente realizzato grazie a una pluralità di soggetti che agiscono in modo sinergico. Questo approccio emerge chiaramente dagli interventi dell’UE ed è acquisito dal legislatore nazionale; anche gli amministratori delle città metropolitane e dei comuni sono ben consapevoli della necessità che le procedure amministrative siano finalizzate alla gestione complessiva della mobilità urbana22. La necessità di attuare un nuovo modello di business che tenga conto delle sopravvenute esigenze è ben chiaro anche alle imprese che operano nel settore. La mobility as a service (Maas) consente all’utente, anche attraverso la tecnologia informatica e l’impiego di apposite app, scaricabili sul proprio smart phone, di pianificare il viaggio, utilizzando anche mezzi diversi e usufruendo di tariffe unificate o di abbonamenti mensili.

L’approccio pubblicistico è da tempo inclusivo e tendente a trattare il tema della mobilità in modo complessivo. Nell’ambito delle Carte dei Servizi Pubblici, strumento diretto a definire con trasparenza i rapporti con gli utenti (v. d.l. n.163 del 12 maggio 1995 convertito nella Legge n.273 dell’11 luglio 2013, Misure urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi e per il miglioramento dell’efficienza delle P.A), gli enti gestori elaborano Carte dei servizi di mobilità che includono la possibilità di utilizzare diversi mezzo di spostamento, di usufruire di aree parcheggi, di monitorare la qualità dei servizi offerti e il livello di soddisfazione degli utenti. Si veda, tuttavia, la pronuncia del T.a.r. Lombardia Milano Sez. III, 3 luglio 2020, n. 1274 (in www.dirittodeiservizipubblici.it, anche in Pluris), che esclude che il servizio di mobilità in sharing, attuato con mezzi adatti alla micromobilità, costituisca un servizio pubblico. Il «“servizio pubblico” presuppone la decisione della p.a. di farsi carico del soddisfacimento di un bisogno proprio della collettività da essa amministrata». Peraltro, si precisa che il fatto che l’attività di noleggio di dispositivi per la micromobilità elettrica non venga qualificata dal Comune come attività di servizio pubblico non implica che esso possa disinteressarsi degli interessi che interferiscono con essa e non debba assicurare che i cittadini possano beneficiare del miglior servizio possibile. 22

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Non si può dire che ci sia altrettanta chiarezza nella ricostruzione dell’operazione negoziale diretta a realizzare la circolazione di persone all’interno dei centri urbani. Lo spostamento può, infatti, essere ricostruito come una sommatoria di diversi contratti che, pur se funzionalmente diretti ad un unico scopo, debbano, in ogni caso, essere considerati autonomamente. Questa soluzione, che certamente costituisce la strada più agevolmente percorribile, non sembra, tuttavia, appagante in quanto è molto lontana dalla realtà e poco coerente con le situazioni giuridiche che di fatto la mobilità multimodale crea. In alternativa occorre valorizzare lo scopo e il bisogno che i diversi servizi sono diretti a soddisfare, trattare la vicenda negoziale in modo unitario e valorizzare il ruolo assolto dagli enti pubblici nella gestione complessiva, diretta o indiretta, dei servizi.

5. Il ruolo assolto dalla tecnologia informatica I cambiamenti radicali che interessano le modalità di soddisfazione del bisogno di spostamento sono caratterizzati dal massiccio impiego della tecnologia. La condivisione dei veicoli, come di qualsiasi altro bene, di per sé è un fenomeno che è sempre esistito: chiunque per realizzare un risparmio di spesa può scegliere di mettere a disposizione degli altri le utilità residuali e sottoutilizzate di un proprio bene. Un’auto può essere utilizzata dai membri di una stessa famiglia o condivisa con un vicino di casa; un condominio potrebbe attrezzarsi con una flotta di bici o monopattini; un’azienda può mettere la propria flotta di veicoli a disposizione dei dipendenti, un gruppo di amici può spostarsi con lo stesso veicolo per lavoro, per divertimento, per vacanza, ecc. Queste soluzioni presuppongono la prossimità dei soggetti tra i quali si instaura a diverso titolo il rapporto di condivisione. Al pari di quel che accade nell’economia della condivisione, la difficoltà nella realizzazione di questo genere di intese sta nella circostanza che devono ritrovarsi e accordarsi soggetti che hanno allo stesso tempo la medesima esigenza. Questa difficoltà è superata grazie alla tecnologia informatica; le piattaforme informatiche consentono di annullare le distanze tra

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gli individui e tra gli individui e gli strumenti per la soddisfazione dei loro bisogni. Il risultato è reso possibile grazie al trattamento algoritmico dei dati che gli utenti forniscono per accedere al servizio e alla localizzazione delle persone e dei veicoli23. I dati che costituiscono la materia prima dell’attività algoritmica non vengono necessariamente immessi dall’uomo, in quanto l’intelligenza artificiale consente oggi anche la raccolta degli stessi attraverso l’interazione diretta con il mondo esterno (la robotica è in grado di combinare sensorialità, mobilità e computazionalità). La raccolta e l’elaborazione di informazioni finalizzata alla formazione dell’algoritmo utilizzabile al fine di assicurare all’utente la soddisfazione del proprio bisogno rischia di scontrarsi con i diritti della personalità con riferimento ai dati riferibili alle persone. Non si può, peraltro, ricondurre semplicisticamente le problematiche connesse al trattamento algoritmico dei dati nell’àmbito delle tematiche relative alla tutela della privacy e affidare la tutela delle persone al meccanismo del consenso al trattamento. Per assicurare che lo strumento informatico sia utilizzato in modo benefico e i dati siano utilizzati con finalità lecite è indispensabile che l’ordina-

Il ruolo che può svolgere la tecnologia nella attuazione di una mobilità sostenibili sono evidenziati dalla Commissione EU nella Comunicazione Green Deal, cit., par. 2.1.5, ove si legge che «La mobilità multimodale automatizzata e connessa svolgerà un ruolo sempre più importante, insieme ai sistemi intelligenti di gestione del traffico resi possibili dalla digitalizzazione». Per questa ragione «la Commissione contribuirà allo sviluppo di sistemi intelligenti di gestione del traffico e di soluzioni del tipo “mobilità come servizio”. Vedi la Proposta di Risoluzione del Parlamento Europeo recante raccomandazioni alla Commissione sul quadro relativo agli aspetti etici dell’intelligenza artificiale, della robotica e delle tecnologie correlate (2020/2012(INL)), https://www.europarl.europa.eu/ doceo/document/A-9-2020-0186_IT.html#title1, ove si afferma che le nuove tecnologie consentono di «dare impulso al trasferimento modale e all’intermodalità, dato che queste tecnologie possono contribuire all’individuazione della combinazione ottimale dei modi di trasporto per il trasporto merci e passeggeri; (…) rendere i trasporti, la logistica e i flussi del traffico più efficienti e (…) tutti i modi di trasporto più sicuri, più intelligenti e più rispettosi dell’ambiente». 23

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mento intervenga con strumenti più efficaci a tutela dell’interesse generale24. Soprattutto è indispensabile sensibilizzare le persone e consentire loro di distinguere tra l’uso benefico e altruistico dei dati, quale può essere quello diretto a monitorare il traffico delle persone ed evitare sovraffollamenti nei mezzi pubblici, l’uso egoistico con finalità di profilazione e marketing e l’uso malefico diretto ad arrecare un danno alla sfera individuale o collettiva. L’attività algoritmica può essere di enorme aiuto sia per la tutela dell’ambiente25 sia per la prevenzione sanitaria e non deve essere demonizzata, ma va disciplinata e conformata ai principi generali che governano il nostro ordinamento. Le piattaforme che vengono utilizzate per gestire la mobilità devono essere il più possibile trasparenti sul processo di elaborazione dei dati e assicurare ogni volta che ciò sia possibile l’anonimizzazione dei dati sensibili26. La tecnologia e il trattamento algoritmico dei dati consentono la sostituzione dell’uomo nello svolgimento di diverse attività. L’impiego diffuso di macchine intelligenti per l’assolvimento di

In tema sia consentito rinviare a D. Di Sabato, Diritto e New economy, Napoli, 2020, p. 115 ss. 25 Le prerogative della tecnologia informatica e la possibilità di impiegarla per evitare il congestionamento del traffico nei centri urbani era segnalata all’attenzione dell’ANIA nel 2017, v. il Discussion paper in tema di Smart roads, veicoli connessi ed autonomi, mobilità e assicurazione nel prossimo futuro: RC auto o prodotti?, a cura di Guidoni, Sebastiani, Gherso e Stolfi, https://www.ania.it/documents/35135/144872/Paper-ANIASmart-Roads.pdf. 26 Sul tema della sicurezza informatica cfr. Pisani Tedesco, Smart mobilitye rischi satellitari e informatici: i possibili scenari di allocazione della responsabilità civile, in Dir. comm. Inter., 2019, p. 801 ss. I veicoli connessi, ai fini del trattamento dei dati personali, sono considerati apparecchiature terminali, al pari di un personal computer o di uno smart phone. In tal senso si è espresso lo EDPB – European Data Protection Board nelle Linee Guida sui Veicoli Connessi, adottate il 9 marzo 2021, in https://www. agendadigitale.eu. 24

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compiti generalmente attributi ad esseri umani non fantascientifica27. In particolare nel settore della mobilità la tecnologia sta facendo grandi progressi. L’impiego di robot nella conduzione di veicoli su rotaie è già realtà, mentre per i veicoli su strada si oscilla ancora tra l’entusiasmo e la paura. Sotto il profilo giuridico ci si interroga sulla possibilità di considerare queste macchine intelligenti in grado di apprendere dall’esperienza e assumere decisioni come strumenti nelle mani dell’uomo. Si avverte, inoltre, la necessità di assicurare che questi marchingegni siano impiegati per agevolare lo svolgimento dei compiti assegnati agli esseri umani ma non sostituirsi del tutto a questi. L’uomo deve conservare il controllo in fase di programmazione del robot e deve essere sempre in grado di intervenire per interrompere il processo meccanico. Anche la conclusione dei contratti e la gestione del rapporto negoziale può essere quasi del tutto automatizzata ed affidata ad un algoritmo. L’utilizzazione degli smart contracts consente, infatti agli utenti di accedere rapidamente alla migliore offerta in considerazione delle proprie esigenze e al fornitore del servizio di ottimizzare la gestione della clientela. Gli smart contrcts hanno ricevuto un timido e poco efficace riconoscimento da parte del nostro ordinamento con l’art. 8-ter, comma 2, d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito in l. 12 febbraio 2019, n. 12 (decreto semplificazioni). La disposizione ha delegato all’agenzia per l’Italia digitale l’individuazione delle linee giuda per l’attuazione della previsione28. In ogni caso, anche in assenza della previsione normativa, in attuazione dell’autonomia negoziale non si può escludere l’impie-

Si veda in tema la Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103 8INL)) P8_TAPROV(20170051). 28 In tema si rinvia ancora a D. Di Sabato, Diritto e New economy, cit., p. 156 ss. 27

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go di strumenti tecnologici avanzati per la gestione dei rapporti contrattuali, come di fatto avviene nel settore della mobilità. La gestione autonomizzata dei contratti di mobilità presenta vantaggi che vanno ben al di là della possibilità di definire il corrispettivo rispetto all’utilizzo effettivo del veicolo. É possibile, infatti, monitorare la quantità di immissioni prodotte e eventualmente risparmiate al fine di incentivare l’uso di veicoli non inquinanti anche attraverso un meccanismo di cash back29.

6. Strumenti negoziali di mobilità sostenibile L’utilizzazione dei servizi di mobilità si realizza generalmente attraverso l’accesso a una piattaforma e la sottoscrizione di un abbonamento che consente di utilizzare i veicoli al bisogno. L’offerta di servizi integrati (parcheggio, treno, bici, ecc.) rinvenibile nei punti di snodo ideati nei centri urbani implica una sinergia tra i diversi attori che rendono possibile il soddisfacimento del bisogno di spostamento. Questa realtà non dovrebbe essere oggetto di una visione settoriale: la ricostruzione della vicenda come una sommatoria di servizi diversi e distinti, infatti, non appare rispondente alla realtà. I rapporti contrattuali che si instaurano possono avere contenuto vario e l’incertezza in ordine alle modalità di gestione dei nuovi servizi di mobilità è alla base di iniziative come quella pro-

Il sistema della limitazione delle immissioni e dello scambio delle quote di immissioni prodotte è già utilizzato nell’UE per contrastare i cambiamenti climatici. Entro il limite di produzione ammesso le imprese possono cedere o acquistare quote e guadagnare crediti grazie ad investimenti finalizzati alla riduzione delle emissioni. Per un resoconto sullo stesso v. https://ec.europa.eu/clima/policies/ets_it. Nella Comunicazione, più volte citata, European Green Deal (par. 2.1.5) si legge che «la Commissione considererà l’eventuale applicazione di un sistema per lo scambio di emissioni al trasporto su strada che integri le norme attuali e future sui livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 per i veicoli». La tecnologia informatica rappresenta uno strumento fondamentale per attuare scambi di questo tipo. 29

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mossa dal I.C.S per l’individuazione uniforme delle condizioni contrattuali del servizio di car sharing da parte degli enti locali30. La distinzione classica tra spostamento realizzato con mezzo proprio o con mezzo di terzi, che, come detto, è ribadita nel codice della strada, appare del tutto inadeguata e non costituisce una sintesi valida del fenomeno mobilità. Generalmente la qualificazione dei contratti oscilla tra la locazione, il noleggio e il contratto di servizi, mentre il trasporto così come disciplinato dal codice civile sembra relegato in soffitta. Anche il richiamo a schemi contrattuali tipici quali la locazione e il noleggio, in realtà, è poco appagante. In particolare, la difficoltà nel configurare una locazione temporanea, secondo le indicazioni che, come si è visto sembrerebbero emergere anche dal Codice della Strada (art. 82), risiederebbe nella circostanza che l’utente non acquisirebbe un diritto al godimento esclusivo del veicolo. Salvo a voler considerare che la durata molto limitata nel tempo del rapporto contrattuale non escluda la possibilità di riconosce all’utente un diritto di godimento esclusivo per quel poco tempo durante il quale egli utilizza il veicolo. Peraltro, non può trascurarsi di considerare che diverse disposizioni dettate con riferimento alla locazione presuppongono che il locatore perda il controllo del bene che passa al locatario al momento della consegna. Sta di fatto che il gestore dei servizi di mobilità condivisa generalmente conserva il controllo della flotta di veicoli che attua anche attraverso le piattaforme informatiche, che consentono la localizzazione e l’elaborazione dei dati ad esso riferibili. La considerazione di questo aspetto dovrebbe indurre a trattare il rapporto come noleggio. Il noleggio, che non è disciplinato

ICS (Iniziativa Car Sharing) è una convenzione stipulata tra diverse amministrazioni locali e supportata dal Ministero dell’Ambiente per fornire una guida agli amministratori pubblici che intendessero avviare un servizio di car sharing. La convenzione non è più in vigore ma nel sito (www.icssharing.it) sono ancora rinvenibili materiali utili. Nel senso che i nuovi servizi di mobilità sarebbero alternativi al trasporto, Lobuono e Addante, I “nuovi” servizi di mobilità, cit., p. 95 ss. 30

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dal c.c. ma dal codice della navigazione è, infatti, caratterizzato - aspetto che lo distingue dalla locazione –proprio dalla circostanza che il noleggiante non perde il controllo del bene concesso in godimento ad altri31. Tuttavia, per entrambe le figure contrattuali assume un’importanza cruciale la fase della consegna del bene all’inizio del rapporto e quella della restituzione, che coincidono con la verifica delle condizioni e le caratteristiche del bene all’inizio e alla fine del rapporto. Sta di fatto che generalmente l’utente accede direttamente al servizio e si serve del veicolo per il tempo necessario allo spostamento. Le fasi di consegna e di restituzione del bene avvengono senza che tra il gestore e l’utente vi sia alcun contatto e in assenza di verifiche circa le condizioni del bene all’inizio e alla fine del tragitto. Soprattutto, occorre tener conto dell’effettivo assetto di interessi che sottende al rapporto negoziale: l’utente non ha interesse ad impossessarsi del bene, ma solo ad accedere temporaneamente alla risorsa idonea al soddisfacimento del proprio bisogno che il gestore gli fornisce. Inoltre, il gestore non si limita a fornire un bene ad uso temporaneo e mette a disposizione dell’utente una serie di altri servizi di prenotazione, parcheggio, ricarica, localizzazione, servizi informatici, multimodalità dei trasferimenti, ecc. La prestazione è quindi probabilmente più realisticamente riconducibile ad un fare piuttosto che a un dare e il veicolo è uno degli strumenti utilizzati per l’esecuzione della prestazione.

Cfr. Busti, Contratto di trasporto terrestre, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu Messineo, vol. XXVI, t. 1, Milano, 2007, cit., p. 123 ss. Sul rapporto tra noleggio di nave e aeromobile e trasporto, cfr. Cottino, Contratti commerciali, in Tratt. dir. comm. e dir. pub. econ. Galgano, vol. XVI, Padova, 1991, p. 748 ss. Sulle peculiarità del noleggio di veicoli terrestri, cfr. Lobuono e Addante, I “nuovi” servizi di mobilità, cit., p. 103 ss.; Addante, Autonomia contrattuale e mobilità sostenibile, cit. p. 604 ss.; M.F. Tommasini, Le tipologie del noleggio. Ipotesi di un quadro sistematico, in Nuova giur. civ., 2018, p. 92 ss. che si occupano anche di bike sharing e noleggio gratuito di biciclette (in part. p. 125 ss.). 31

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La complessità del comportamento diretto alla soddisfazione dell’interesse dell’utente può far propendere per la qualificazione del rapporto tra il gestore e l’utente come appalto di servizi32. Certamente questa soluzione è coerente con la circostanza che oggetto del contratto sono una pluralità di prestazioni. Si tratta, tuttavia, di una qualificazione poco caratterizzante che non fa emergere quello che è l’aspetto più rilevante dell’attività del gestore: l’organizzazione di mezzi diretta alla soddisfazione del bisogno di spostamento da un luogo ad un altro33.

Flamini, Il trasporto, in Flamini, Cozzi e Lenzi, Trasporto, Spedizione, Deposito, Noleggio, in Tratt. dir. civ. CNN, diretto da P. Perlingieri, IV, 25, Napoli, 2008, p. 17 ss.; Busti, Contratto di trasporto terrestre, cit., p. 43 ss. Sulla complessità della prestazione del vettore, cfr. Cottino, Contratti commerciali, cit., p. 749 ss.; Lobuono e Addante, I “nuovi” servizi di mobilità, cit., p. 109 ss. 33 Il trasporto è concepito dal legislatore come un contratto a prestazioni corrispettive aventi ad oggetto, l’una il pagamento di una somma di denaro e l’altra la prestazione di trasferimento di persone o di cose da un luogo ad un altro (art. 1678 c.c.). Quest’ultima prestazione è costituita da un facere «valutato nell’economia contrattuale non in funzione della quantità di energie prestate, ma in funzione del suo concretarsi in un risultato utile». Così, Iannuzzi, Del trasporto, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1962, p. 1 ss. Più recentemente è emersa l’opportunità di distinguere il fatto «trasporto» da altri fenomeni locomotori. In questo senso A. Flamini, Il trasporto, cit., p. 3. Sulla definizione di trasporto v. anche Lamattina e Schiano di Pepe, Trasporti e logistica, in Tratt. dei contr. Roppo, vol. IV – 2, Milano, 2014, p. 20 ss., ove altri riferimenti. La definizione contenuta nel codice civile è valida per ogni tipo di trasporto, pubblico e privato, individuale e collettivo, e a prescindere dal modo in cui il trasferimento è realizzato. In questo senso Gonnelli e Mirabelli, voce Trasporto (dir. priv.), in Enc. dir., vol. XLIV, Milano, 1992, p. 1154 ss. L’irrilevanza della distinzione tra trasporto pubblico e trasporto privato ai fini dell’esame del rapporto contrattuale era già chiara a Asquini, Del contratto di trasporto, in Codice di Commercio Commentato, vol. VI, Torino, 1925, p. 6 ss. Il trasporto, in ogni caso, si realizza attraverso la conclusione di un contratto. L’obbligo gravante sui gestori, che deriva dalla situazione di monopolio nella quale operano, «è concepito dalla legge quale obbligo legale a contrarre, e non quale obbligo legale a traportare indipendentemente dal contratto». Così a pag. 19. Sul modello romanistico di locatio-conductio nel quale affonda le radici il trasporto, che nell’evoluzione 32

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I numerosi servizi forniti, infatti, non offuscano il ruolo centrale assolto dal trasferimento che rappresenta l’elemento caratterizzante il rapporto e che deve essere oggetto di disciplina. L’iscrizione dell’utente nella piattaforma che gli consente l’accesso al servizio di mobilità o la sottoscrizione dell’abbonamento comprensivo di servizi vari, infatti, non sono di per sé idonei a soddisfare il bisogno di spostamento; questo scopo si raggiunge solo con l’effettiva utilizzazione del veicolo34. Questa funzione, peraltro, è quella propria del contratto di trasporto, che tuttavia, sembra, invece, relegato in soffitta e considerato definitivamente superato e inidoneo ad essere utilizzato per l’attuazione dei più moderni servizi di mobilità35. Sta di fatto che tutte le soluzioni sin qui prospettate risentono della tendenza alla tipizzazione dei rapporti negoziali e alla sussunzione dei medesimi entro gli schemi prestabiliti, per cui qualsiasi variazione che la prassi concepisce determinerebbe l’impossibilità di inquadramento nel tipo e di applicazione della relativa disciplina. Più correttamente, invece, occorre definire la ragione giustificatrice delle disposizioni che il legislatore detta con riferimento al tipo contrattuale per stabilire se esse siano coerentemente applicabili alla fattispecie concreta nonostante le deviazioni dallo schema astratto concepite dalla prassi.

successiva si distacca dalla locazione, «la cui prestazione tipica, cioè la restituzione della cosa locata, diviene allora strumentale nell’ambito d’una prestazione di fare». Così Busti, Contratto di trasporto terrestre, cit., p. 4 ss. 34 La centralità dello spostamento nel contratto di trasporto è sottolineata da Cottino, Contratti Commerciali, cit., p. 743 ss., il quale rileva che il mero acquisto del biglietto non è sufficiente a perfezionare il contratto di trasporto perché l’acquirente potrebbe non eseguire il viaggio e che chiunque, del resto, può usufruire del servizio di trasporto senza esserne munito. 35 Nel senso che i contratti di bike sharing non possano essere fiscalmente trattati come contratti di trasporto si è pronunciata l’Agenzia delle entrate, Risoluzione 478/E, 16 dicembre 2008, di cui riferiscono Lobuono e Addante, I “nuovi” servizi di mobilità, cit., p. 127.

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Vi è di più, si può riconoscere l’applicabilità di una disposizione dettata con riferimento al trasporto, alla locazione o al noleggio se la ratio della stessa è comune alla fattispecie concreta da disciplinare, senza per questo dover necessariamente applicare l’intera disciplina del contratto tipo. Seguendo questa impostazione e fermo restando la necessità di verificare caso per caso se le disposizioni siano effettivamente applicabili al caso concreto, non si può non sottolineare l’esistenza di elementi significativi che inducono a non escludere a priori l’applicabilità delle norme dedicate al trasporto ai negozi che si istaurano nell’ambito della mobilità smart. Nel contratto di trasporto, innanzitutto, il vettore è colui che organizza il viaggio e non necessariamente colui che esegue la prestazione di trasporto. L’elemento caratterizzante della figura sembra essere, quindi, la professionalità dell’organizzazione, che certamente costituisce un elemento ricorrente nella gestione del servizio di mobilità36. L’elemento che sembrerebbe determinante per escludere l’utilizzabilità delle disposizioni relative al trasporto con riferimento ai nuovi servizi di mobilità potrebbe rinvenirsi nella circostanza che il trasportato, non è inerme, non si affida al gestore ma partecipa attivamente all’attività diretta all’attuazione dello spostamento. La questione del rilievo da dare alla circostanza che il trasportato partecipa attivamente al trasporto è stata posta all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza a proposito del contratto di sciovia37. La Cassazione ha ritenuto che la circostanza che il trasportato collabori attivamente allo spostamento esclude l’applicabilità della disciplina della responsabilità aggravata del vettore in caso di sinistri. Non opererebbe, quindi, in questo caso la presunzione di responsabilità di cui all’art. 1681 c.c. da cui il vettore po-

In questo senso cfr. Busti, Contratto di trasporto terrestre, cit., p. 25; Cottino, Contratti commerciali, cit., p. 808. 37 In tema cfr. Cottino, Contratti commerciali, cit., p. 764 ss.; Flamini, Il trasporto, cit., p. 14 ss. 36

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trebbe liberarsi fornendo la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno38. Tuttavia, è esclusa la responsabilità aggravata, ma non la responsabilità contrattuale ordinaria, né ovviamente la responsabilità extracontrattuale. L’accertamento dell’inadempimento, peraltro, è influenzato dal contenuto del contratto: se assumiamo che oggetto del contratto è lo spostamento, la prestazione sarà correttamente eseguita se sono garantite le condizioni per la realizzazione dello stesso in condizioni di sicurezza. Del resto, la stessa giurisprudenza che si è occupata della responsabilità dei gestori di sciovie non ha escluso un obbligo di manutenzione e di controllo diretto a garantire lo spostamento in sicurezza. Dovrebbero inoltre essere applicate le altre disposizioni in tema di trasporto: si pensi, a proposito del trasporto di persone, all’obbligo gravante sui concessionari di assicurare l’accesso al servizio e di astenersi da condotte discriminatorie di cui all’art. 1679 c.c. e alla responsabilità dei vettori nei trasporti cumulativi di cui all’art. 1682 c.c. L’assimilazione degli strumenti contrattuali di mobilità nell’ambito del trasporto in senso lato consente, inoltre, di cogliere il minimo comun denominatore rispetto ai servizi di trasporto tradizionali e ai servizi assicurati dagli enti pubblici: tutti, infatti, sono finalizzati al soddisfacimento di un bisogno di spostamento. Una visione unitaria della mobilità, peraltro, è acquisita nella gestione amministrativa e favorisce l’adozione delle scelte più ap-

In questo senso Cass., 18 marzo 2003, n. 3980, in Danno e resp., 2003, p. 1018 ss., ove si afferma che al contratto di sciovia non è applicabile l’art. 1681 c.c., in quanto esso presuppone che il trasportato non collabori in alcun modo allo spostamento; Cass., 10 maggio 2000, n. 5953, in Mass. Giur. it., 2000. Per la giurisprudenza di merito si vedano App. Torino, 28 aprile 1993, in Giur. mer., 1994; App. Roma, 2 dicembre 1981, in Riv. dir. sport, 1982, p. 69; Trib. Modena, 12 novembre 1990, in Dir. trsasp., 1992, p. 579; Trib. Bolzano, 11 agosto 1980, in Resp. civ., 1981, p. 93; Trib. Aosta, 5 dicembre 1980, Riv. dir. sport, 1982 p. 339. Sulla responsabilità aggravata del vettore ex art. 1681 c.c. cfr. Cottino, Contratti commerciali, cit., p. 762 c.c. 38

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propriate da parte dell’ente pubblico che gestisce i servizi direttamente o attraverso la concessione a privati. L’esigenza di riflettere sulla figura del conducente del mezzo, peraltro, emerge, in un’ottica affatto diversa anche in merito all’utilizzazione dei veicoli a conduzione automatizzata. In questo caso, diversamente da quel che accade con l’impiego dei veicoli destinati alla micromobilità sin qui considerati, occorre tener conto, anche ai fini dell’attribuzione della responsabilità per gli eventuali sinistri, della parziale o totale inerzia del conducente nel compimento dell’attività di trasferimento da un luogo ad un altro39. Di questi cambiamenti che interessano il fenomeno della mobilità in questo nostro tempo non si può non tener conto nella individuazione degli strumenti giuridici più appropriati per la gestione dei rapporti che si instaurano in questo contesto. Se il trasporto ha ancora possibilità di essere rivitalizzato e non merita di essere considerato definitivamente soppiantato da altri strumenti contrattuali, altrettanto deve dirsi per gli scambi ispirati alla condivisione solidale. Si è detto che la prassi della utilizzazione di piattaforme informatiche per assicurarsi un servizio di accesso all’uso temporaneo di veicoli e altri beni, generalmente etichettato con l’appellativo di sharing nulla ha a che vedere con la condivisione e con gli scambi solidaristici.

Sulla necessità di ripensare alla figura del conducente e di considerarlo piuttosto un passeggero o un utente nei trasporti realizzati con veicoli automatizzati, cfr. Pardolesi e Davola, In viaggio col robot: verso nuovi orizzonti della r.c. auto (“driveless”)?, in Danno e resp., 2017, p. 616 ss.; Albanese, La responsabilità per danni da circolazione di veicoli ad elevata automazione, in Eu. dir. priv., 2019, p. 995 ss.; Lobianco, Veicoli a giuda autonoma e responsabilità civile: regime attuale e prospettive di riforma – I parte, in Resp. civ. prev., 2020, p. 724 ss.; Gaeta, Automazione e responsabilità civile automobilistica, in Resp. civ. prev., 2016, p. 1717 ss.; Al Mureden, Sicurezza “ragionevole” degli autoveicoli e responsabilità del produttore nell’ordinamento italiano e degli Stati Uniti, in Contr. e impr., 2012, p. 1505 ss. Ovviamente la questione non è meramente terminologica ma ha inevitabili implicazioni in tema di responsabilità per i sinistri prodotti dalla circolazione di questo genere di veicoli. 39

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Si è anche detto che la sharing economy è caratterizzata dall’impiego di strumenti informatici che consentono di realizzare scambi anche tra persone distanti e che la condivisione pura presuppone invece inevitabilmente la prossimità dei protagonisti dello scambio. Ebbene, proprio a seguito del diffondersi dell’epidemia da Covid-19 la condivisione di prossimità può essere rivitalizzata in quanto l’uso promiscuo di veicoli tra utenti appartenenti a comunità ristrette di individui può apparire più rassicurante. I dipendenti di un’azienda, ad esempio, o residenti in un condominio, che hanno in comune la medesima destinazione periodica per ragioni di lavoro o altro, possono scegliere di utilizzare in modo turnario o cumulativo il medesimo veicolo. Questa soluzione consente, infatti, di identificare gli utilizzatori dei mezzi e rendere più facile l’attivazione delle procedure di prevenzione della diffusione del virus40.

7. Mobilità evoluta e responsabilità civile: i nuovi veicoli L’evoluzione della mobilità urbana ha determinato la possibilità che sulle strade dei centri urbani convivano veicoli di natura diversa e questa circostanza non è priva di conseguenze sulla circolazione. Le caratteristiche tecniche dei mezzi attualmente utilizzati sono varie: essi, conseguentemente, procedono a velocità non omogenea, impiegano sistemi di frenata più o meno lunghi, mantengono traiettorie non uniformi, sono dotati di strumenti di segnalazione luminosa diversi, ecc. Gli interventi realizzati per adeguare le sedi stradali alle sopravvenute esigenze non sempre

Si tratterebbe di utilizzare in modo appropriato la figura del mobility manager introdotta con il d.m 27 marzo 1998, recante norme in materia di Mobilità sostenibile nelle aree urbane, di cui devono dotarsi le imprese e gli enti pubblici di dimensioni determinate ed al quale è assegnato il compito di redigere il Piano degli Spostamenti Casa-lavoro del proprio personale dipendente. In tema v. Perrotto, Mobility manager: chi è, cosa fa e perché è una figura sempre più richiesta, in Ambiente e Sviluppo, 2019, p. 637 ss. 40

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appaiono all’altezza della situazione, soprattutto nei centri urbani più grandi41. La cronaca sovente ci riferisce di incidenti che coinvolgono autoveicoli e mezzi destinati alla micromobilità urbana, come monopattini e bici elettriche, che spesso, purtroppo, producono lesioni gravissime e possono provocare anche la morte di coloro che, non viaggiando su veicoli dotati di carrozzeria, sono più esposti e vulnerabili. La tutela della salute e della sicurezza dei cittadini deve essere perseguita, innanzitutto, attraverso interventi di educazione e di formazione che inducano tutti gli utenti delle strade pubbliche a tenere condotte prudenti che non mettano in pericolo se stessi e gli altri. Inoltre, la responsabilità civile, lungi dall’assolvere un ruolo meramente riparatorio, svolge una pluralità di funzioni42, tra le quali rientra certamente quella di prevenzione. Tuttavia, i cambiamenti che hanno interessato la circolazione negli ultimi anni mettono a dura prova l’applicazione della relativa disciplina e fanno emergere una serie di problematiche di cui non si può non tener conto.

Il problema dell’uso promiscuo delle strade e della necessità di assicurare spostamenti in condizione di sicurezza è all’attenzione. Si veda il d. m. del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 4 giugno 2019, n. 162 che si occupa delle caratteristiche che dovrebbero avere i luoghi in cui vengono utilizzati i veicoli destinati alla micromobilità nei centri urbani e le regole di comportamento prudenziali che dovrebbero rispettare gli utilizzatori. Sulla impossibilità di attribuire al Comune una responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni subiti da un pedone investito da un ciclista in un’area pedonale v. Cass., 13 febbraio 2019, n. 4160, in Pluris on line. La posizione del Comune, secondo la Corte, non è paragonabile a quella del gestore delle autostrade, che, in ragione degli obblighi di custodia, risponde dei sinistri provocati dalla presenza di animali, pozzanghere, macchie d’olio, ecc. sulla sede autostradale. Nel caso di specie, infatti, «i fattori che intervengono nella concatenazione causale risiedono tutti nella condotta degli utenti dell’area pedonale». 42 In tema per tutti cfr. P. Perlingieri, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. dir. civ., 2011, p. 115 ss. 41

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In primo luogo occorre considerare una nozione di veicolo ampliata e rivista, anche alla luce delle modifiche intervenute nel codice della strada43. Il legislatore, infatti, nel tentativo di adeguare le disposizioni all’evoluzione tecnologica, che individua sempre nuovi mezzi per spostarsi in modo efficiente e poco dannoso per l’ambiente, ha ampliato la categoria dei veicoli. Anche alla luce di queste innovazioni, sembrerebbe che si possa trattare come scontro tra veicoli il sinistro che coinvolge due o più autoveicoli, velocipedi a pedalata ordinaria o assistita, monopattini elettrici, hoverboard, ecc. Diversamente, invece, dovrebbe essere considerato come investimento di un pedone un incidente che coinvolga uno dei veicoli sopra indicati e una persona che circola utilizzando, ad esempio, uno skateboard, dei pattini a rotelle, dei rollerblade, e altri marchingegni non classificati come veicoli44. Invero, la velocità con la quale, grazie allo sviluppo tecnologico, vengono individuati nuovi mezzi in grado di facilitare lo spostamento dell’uomo suggerisce, probabilmente, di abbandonare l’impostazione oggettiva sin qui seguita che si basa sulle caratteristiche del mezzo e che presuppongono interventi legislativi di diverso livello diretti ad aggiornare la categoria dei veicoli. Più opportuno sarebbe, piuttosto, concentrare l’attenzione sulla funzione che questi strumenti sono destinati ad assolvere e sulla circostanza che essi consentono di ricoprire uno spostamento in un tempo ridotto rispetto alla realizzazione del medesimo tragitto a piedi, con

Vedi sopra nt. 5. Sulla nozione di veicolo cfr. Franzoni, Dei fatti illeciti, sub art. 2054, cit., p. 644 ss. La confusione che può ingenerare la situazione attuale caratterizzata dall’utilizzazione di mezzi vari per la circolazione emerge dalla pronuncia rea in appello dal Trib. Palermo, 29 settembre 2020, n. 2881, in Quotidiano n. 2, 153, che correttamente censura il Giudice di Pace che aveva qualificato come ciclomotore una bicicletta a pedalata assistita. Sull’applicabilità dell’art. 2054 comma 2 c.c. in caso di scontro tra bicicletta a pedalata assistita e auto, vedi Cass., 13 maggio 2021, n. 12884, in Pluris on line, che attribuisce alla presunzione di eguale concorso di colpa carattere sussidiario, operando solo nel caso in cui non sia possibile accertare l’apporto causale della condotta dei conducenti. 43 44

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la conseguente assunzione degli eventuali maggiori rischi connessi alla pericolosità del mezzo scelto. La qualificazione del mezzo come veicolo destinato alla circolazione determina, inoltre, l’obbligo del rispetto delle regole che governano la stessa e che sono contenute nel codice della strada45. Coloro che si spostano utilizzando mezzi che non sono qualificati come veicoli sono, in ogni caso, tenuti a conformarsi alle regole di prudenza generalmente richieste nello svolgimento di qualsiasi attività. L’esistenza di danni prodotti dalla circolazione di veicoli è, inoltre, condizione per l’applicabilità dell’art. 2054 comma 1 e 2 c.c. e, quindi, della presunzione di responsabilità in capo al conducente che non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e della presunzione dell’eguale concorso nella produzione del danno da parte dei conducenti dei due o più veicoli coinvolti nel sinistro46.

La sovrapposizione delle regole e delle sanzioni a seconda del tipo di veicolo utilizzato costituisce fonte di confusione e non giova alla sicurezza, che dovrebbe costituire l’obiettivo da perseguire. Significativa è la circostanza che si il reato di guida in stato di ebbrezza possa essere commesso anche mediante la condizione di una bicicletta, ma si sia costretti a riconoscere l’impossibilità di applicare la sanzione della sospensione della patente di guida. La sanzione amministrativa accessoria «applicabile in relazione a illeciti posti in essere con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, non può essere disposta nei confronti di chi si sia posto alla guida di un veicolo per cui non è richiesta alcuna abilitazione, come il velocipide». In questo senso Cass. pen. 3 dicembre 2018, n. 54032, in Quotidiano, 2019, n. 15/153, in senso conforme Cass. pen., 22 gennaio 2015, n. 4893, in Pluris on line. 46 In tema, con riferimento a sinistri in cui sono coinvolti autoveicoli e biciclette, comprese nella categoria dei veicoli per il nuovo codice della strada, v. Cass. 22 settembre 2000, n. 12524; Cass., 7 dicembre 2018, n. 31702; App., Firenze, 26 aprile 2017, App., Firenze, 12 aprile 2016, App., Milano, 9 maggio 1980, in Arch. Giur. circ., 2008, p. 686; Trib., Alessandria 18 giugno 2020; Trib., Vicenza, 22 merzo 2018, in Pluris on line. Sull’applicabilità della presunzione del concorso di responsabilità in caso di scontro tra due biciclette, v. Trib., Ferrara, 29 luglio 2020, ivi. 45

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Vero è che il pedone che procede o deve uniformarsi ai canoni di prudenza adeguati alla pericolosità del mezzo, non qualificato come veicolo, che eventualmente utilizza. Il suo comportamento, infatti, può causalmente incidere sulla determinazione dell’evento in modo più o meno rilevante; circostanza di cui si deve, ovviamente, tener conto in sede di determinazione del risarcimento eventualmente dovuto47. Tuttavia, ognuno vede come la scelta in ordine all’applicazione o meno delle presunzioni di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c. incide in modo non poco rilevante sulla distribuzione dell’onere della prova.

8. (segue) I soggetti responsabili Un altro aspetto di non secondaria importanza che occorre prendere in considerazione è incentrato sul ruolo dei soggetti coinvolti nella mobilità così come attualmente declinata. La rivoluzione che è ancora in atto in questo settore, infatti, come emerge anche dalle considerazioni che precedono, ha determinano un indebolimento dei tratti distintivi dei soggetti protagonisti della vicenda. Le figure del proprietario, utilizzatore, conducente, passeggero, vettore che sono state per secoli delineate da contorni netti e definiti oggi si sovrappongono determinando un’incertezza nell’applicazione delle regole che deve necessariamente essere risolta tenendo presente la ratio cui esse si ispirano. Ancor prima che prendessero piede le pratiche di sharing che consentono un uso promiscuo e temporaneo dei mezzi, il problema del ruolo da assegnare al proprietario della flotta di veicoli concessi in uso a terzi si è posto con riferimento al contratto di leasing48. La giurisprudenza, infatti, è stata investita della questione

Vedi Cass., 11 aprile 2017, n. 9278, in Pluris on line, ove si afferma che il conducente non risponde dei danni subiti dal pedone (ciclista) investito ove questi «copia un movimento talmente inatteso e repentino da non consentire al conducente del veicolo, data la imprevedibilità ed anomalia di esso, di porre in atto la manovra che potrebbe impedirne l’investimento». 48 La questione è all’attenzione da tempo; si veda Cass. 27 ottobre 1998, n. 10698, in Resp. civ. prev., 1998, p. 68 ss., con nota di Chindemi. 47

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dell’applicabilità della responsabilità prevista dall’art. 2054 comma 3 c.c. alle società di leasing proprietarie delle vetture oggetto del contratto. Secondo un orientamento più incline a tener conto della ratio ispiratrice della norma, alla responsabilità del conducente dovrebbe aggiungersi quella dell’utilizzatore, che ha la disponibilità del veicolo ed è in grado di impedirne la circolazione esercitando un effettivo controllo sullo stesso e. L’utilizzatore, quindi, ha la possibilità di dimostrare che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà e avvantaggiarsi eventualmente della prova liberatoria prevista dall’art. 2054 c.c.; prova liberatoria che sarebbe di fatto impedita alla società di leasing proprietaria del veicolo. Un orientamento più formalista, invece, si basa sul carattere eccezionale della responsabilità che l’art. 2054 comma 3 c.c. attribuisce al proprietario o, in sua vece all’usufruttuario e all’acquirente con patto di riservato dominio. In considerazione della eccezionalità della previsione, questa responsabilità per fatto altrui non sarebbe estendibile a soggetti diversi da quelli espressamente menzionati dalla norma, tra cui non rientra l’utilizzatore del veicolo in leasing49. La questione è stata solo apparentemente risolta con la espressa previsione della responsabilità solidale del locatario per il risarcimento dei danni prodotti da un veicolo oggetto di contratto di leasing contenuta nell’art. 91 comma 2 del codice della strada50.La

Numerose sono le pronunzie e i contributi della dottrina anche più recenti; senza pretesa di completezza e al fine di ricostruire i termini del dibattito, si vedano sulla responsabilità della società di leasing, Cass., 14 luglio 2003, n. 1106, in Giur. it., 2004, p. 7 ss., con nota di Barrelli, al quale si rinvia per ulteriori riferimenti di giurisprudenza e dottrina; Cass., 25 maggio 2004, 10034, in Corriere giur., 2005, p. 339 ss., con nota di Pennetta; Cass. 8 maggio 2007, n. 10424, in Dejure; Cass., 23 giugno 2009, n. 14644, ivi. 49 Sulla presunta tassatività dell’elenco di soggetti che rispondono in sostituzione del proprietario in solido con il conducente, vedi Franzoni, Dei fatti illeciti, sub art. 2054, Comm. c.c., cit., 697 ss. 50 L’art. 91 del cod. della strada, in ogni caso, non può essere applicato retroattivamente, così Cass., 24 gennaio 2012, n. 947; Cass., 23 giugno 2009, n. 14644, entrambe in Dejure.

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formulazione poco felice della disposizione, infatti, ha fatto dire a qualcuno che la responsabilità dell’utilizzatore si sommerebbe a quella del proprietario e non si sostituirebbe a questa. La norma, invero, non utilizza la formulazione che più precisamente si rinviene nell’art. 196 cod. della strada che, con riferimento alle sanzioni amministrative, stabilisce che delle stesse risponde il proprietario o in sua vece l’usufruttuario, l’acquirente con patto di riservato dominio «o l’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria». Questo ha fatto dire a qualcuno che il legislatore, se avesse voluto escludere la responsabilità del proprietario anche per i danni prodotti dalla circolazione, avrebbe concepito una disposizione dello stesso tenore dell’art. 196 cod. str., ma così non è stato51. La società di leasing quindi continuerebbe a rispondere solidalmente con il conducente in sostituzione dell’utilizzatore dei danni provocati dalla circolazione, essendo stata dal legislatore prevista una responsabilità cumulativa e non sostitutiva, finalizzata a rafforzare la tutela rafforzata del danneggiato. Di contro vi è chi rileva che la ratio ispiratrice di entrambe le disposizioni contenute nel codice della strada consiste nel far ricadere la responsabilità su colui che, in ragione del rapporto di prossimità con il veicolo, esercita sullo stesso un controllo effettivo. Peraltro, l’argomento che si basa sulla esigenza di preservare al danneggiato la possibilità di rivolgersi per ottenere il risarcimento del danno patito a soggetti agevolmente identificabili attraverso il registro automobilistico, sembra superato dalla previsione del codice della strada della possibilità di annotare sulla carta di circolazione, non solo l’atto di costituzione dell’usufruttuario, della locazione, dell’acquisto con patto di riservato dominio, bensì anche degli altri atti diversi da questi «che comportino la disponibilità del veicolo, per un periodo superiore a trenta giorni, in favore di un soggetto diverso dall’intestatario stesso»52.

Nel senso che gli artt. 91 comma 2 e 196 comma 1 del codice della strada trovano entrambe «la ratio nella relazione qualificata tra il soggetto e la cosa», rispondono alla medesima ratio vedi Cass. 25 maggio 2004, n. 10034, cit.; Cass. 24 gennaio 2012, 947, cit. 52 V. artt. 91, 93 e 94 comma 4-bis del codice della strada. 51

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La considerazione della disponibilità del veicolo e della effettiva possibilità di controllarlo e impedirne la circolazione è alla base della tesi che, anche con riferimento al noleggio a lungo termine, vorrebbe attribuire la responsabilità solidale all’utilizzatore ed escludere quella della società di noleggio, che, per quanto proprietaria della flotta di veicoli, al pari della società di leasing, ne perde l’effettivo controllo al momento della consegna al contraente, titolare del diritto di utilizzarlo53. Il noleggio a lungo termine dei veicoli senza conducente54, infatti, rappresenta un’operazione negoziale diversa dal noleggio a breve55, da cui si distingue proprio per la perdita del controllo del veicolo da parte del proprietario, al pari di quel che accade nel leasing. La società di noleggio, infatti, affida il veicolo all’utilizzatore per tutta la durata del contratto che normalmente è superiore all’anno. L’utilizzatore ha l’obbligo di pagamento di un canone, tuttavia, diversamente dal leasing, non può esercitare un diritto di riscatto e divenire proprietario del veicolo; può solo, eventualmente, prolungare la durata del noleggio. Senza volerci addentrare troppo a fondo in questa questione, quel che preme sottolineare, in ogni caso, è che non tutti i mezzi utilizzati oggi per gli spostamenti sono veicoli, non tutti i veicoli che il mercato mette a disposizione degli utenti sono soggetti ad obbligo di immatricolazione e sempre il proprietario del veicolo è

Il tema della tassatività delle ipotesi indicate dal legislatore si ripropone in tema di noleggio. Con riferimento al noleggio a breve termine e alle sanzioni amministrative dovute si esclude la possibilità della sostituzione della responsabilità del proprietario/locatore con quella del locatario anche in considerazione della difficoltà a identificare quest’ultimo. Infatti, «l’identità del locatario, di regola, è nota soltanto al locatore», così Cass., 5 giugno 2018, n. 14452, in Dejure. In senso conforme, Cass., 19 febbraio 2019, n. 4735, ivi. «La ratio di questa interpretazione è di rendere più agevole la posizione dell’amministrazione che contesta la violazione». Così Cass. 26 maggio 2020, n. 9675, ivi. 54 Cfr. Lobuono e Addante, I “nuovi servizi” di mobilità, cit., p.103 ss. 55 Sul noleggio a breve cfr. Franzoni, Dei fatti illeciti, sub art. 2054, Comm. c.c., cit., p. 703 s.; M.F. Tommasini, Le tipologie del noleggio, cit., p. 92 ss. 53

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anche colui che esercita un controllo effettivo sullo stesso ed è in grado di impedirne la circolazione. Invero, i mezzi in regime di condivisione, anche non immatricolati, sono probabilmente riconducibili all’impresa che è proprietaria della flotta e che concede agli utenti il diritto di utilizzarli. Le imprese che gestiscono servizi di sharing, inoltre, grazie anche agli strumenti informatici e di geolocalizzazione che impiegano per rendere il sevizio efficiente, conservano una certa forma di controllo sui veicoli anche durante l’utilizzazione da parte degli utenti. Sarebbe, quindi, astrattamente attribuibile a queste imprese una responsabilità per fatto altrui, per aver consentito al conducente di guidare il veicolo che ha provocato danni a cose o persone. Per tutti gli altri veicoli non immatricolati, invece, non è realistico immaginare una responsabilità del proprietario, che non è di fatto identificabile: unico responsabile per gli eventuali danni derivanti dalla circolazione degli stessi dovrebbe quindi essere l’utilizzatore.

9. (segue) Automazione e responsabilità La tecnologia moderna offre oggi la possibilità di affidare la conduzione dei veicoli a sistemi automatizzati sempre più sofisticati che sollevano del tutto o solo parzialmente l’uomo dal compimento dell’attività normalmente richiesta o lo agevolano nell’adozione delle scelte da adottare. I sistemi automatici, di cui molti veicoli sono oggi dotati, rappresentano un valido supporto alla guida, consentono di prevenire e di evitare incidenti e contribuiscono a rendere la circolazione più sicura. Essi inoltre svolgono un ruolo fondamentale nel monitoraggio e nel contenimento delle emissioni prodotte. Si tratta, in ogni caso, di marchingegni qualificabili come strumenti nelle mani dell’uomo che li utilizza per ottimizzare un’attività che resta a lui imputabile. Il conducente, infatti, conserva il controllo del veicolo, la possibilità di non accogliere i suggerimenti che provengono dal computer di bordo e di disattivare il sistema. Se l’impiego dell’automazione resta contenuto entro questi margini, non vi è alcuna difficoltà ad applicare le regole che governano generalmente la responsabilità civile per danni derivanti dalla circolazione. L’eventuale difetto del sistema non sembra che possa essere

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addotto come prova liberatoria: al conducente è, infatti, richiesto di fare tutto il possibile per evitare il danno, dunque, è suo compito mantenere il controllo del veicolo e non affidarsi esclusivamente allo strumentario di bordo, per quanto efficiente esso possa essere. Piuttosto, alla responsabilità per danni derivanti dalla circolazione di cui all’art. 2054 c.c. potrebbe aggiungersi quella da prodotto, se il danno prodotto è riconducibile ad un vizio dello strumento tecnologico utilizzato56. La prospettiva della diffusione di veicoli a conduzione totalmente automatica, invece, impone una riflessione circa la adattabilità delle regole attualmente in vigore, attraverso un’interpretazione adeguatrice, alle mutate circostanze. L’estremizzazione dell’impiego della tecnologia comporta che coloro che sono a bordo del veicolo non svolgono alcuna attività e non hanno il controllo del mezzo; essi, pertanto, assumono probabilmente, le vesti di passeggeri, piuttosto che di conducenti57. L’esistenza della possibilità effettiva di controllare il veicolo, in ogni caso,

La responsabilità potrebbe derivare da vizi di costruzione, da difetti nella programmazione, nell’installazione, nella manutenzione, da cattiva utilizzazione dovuta a informazione inadeguata, ecc. In tema cfr. Al Mureden, Sicurezza “ragionevole” degli autoveicoli e responsabilità del produttore nell’ordinamento italiano e negli Stati Uniti, in Contr. impr., 2012, p. 1505 ss.; Davola e Pardolesi, In viaggio col robot: verso nuovi orizzonti della r.c. auto (“driveless”)?, in Danno e resp., 2017, p. 616 ss.; Lobianco, Veicoli a giuda autonoma e responsabilità civile: regime attuale e prospettive di riforma – II parte, in Resp. civ. prev., 2020, p. 1080 ss.; Albanese, La responsabilità civile per danni da circolazione di veicoli ad elevata automazione, in Eur. e dir. priv., 2019, p. 995 ss.; Gaeta, Automazione e responsabilità automobilistica, in Resp. civ. prev., 2016, p. 1717 ss. Sulla opportunità di abbandonare il modello bipolare – responsabilità oggettiva e responsabilità per colpa – cfr. Roppo, Responsabilità ogettiva e funzione deterrente. Note sparse, in Nuova giur. civ., 2008, II, p. 288 ss. Sulla problematica specifica della responsabilità per i danni causati dall’impiego di robot, C. Perlingieri, L’incidenza dell’utilizzazione della tecnologia robotica nei rapporti civilistici, in Rass. dir. civ., 2015, p. 1235 ss. Vedi Cass., 8 ottobre 2019, n. 25023, in Danno e resp., 2020, p. 235, nel senso che la responsabilità ex art. 2054 c.c. concorre con quella da prodotto solo ove sia effettivamente occorso un sinistro. 57 Sui diversi livelli di automazione cfr. Gaeta, Automazione e responsabilità automobilistica, cit. 56

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come emerge anche dal dibattito, riassunto nelle pagine precedenti, sulla responsabilità del proprietario e dell’utilizzatore in pendenza di contratti in virtù dei quali il primo si spoglia della disponibilità del veicolo, non è circostanza indifferente: si dovrebbe, infatti, evitare di far ricadere la responsabilità su un soggetto che non ha nessuna possibilità effettiva di gestire il rischio e di evitare il prodursi del danno, privilegiando un criterio di imputazione basato sulla colpa. Il legislatore europeo si sta orientando nel senso di definire il regime di responsabilità in base al grado di autonomia dei sistemi di intelligenza artificiale58. L’obiettivo di assicurare, in ogni caso, il giusto ristoro al danneggiato dovrebbe essere perseguito impiegando un criterio di attribuzione della responsabilità basato sulla colpa dell’operatore59, ovvero della «persona fisica o giuridica che esercita un certo grado di controllo su un rischio connesso all’operatività e al funzionamento del sistema di IA e che beneficia del suo funzionamento»; con riferimento ai sistemi di IA autonomi ad alto rischi, invece, «appare ragionevole istituire un regime comune di responsabilità oggettiva»60. Poco condivisibile appare la proposta di procedere, con un approccio empirico nell’individuazione dei sistemi da sottoporre a un regime di responsabilità oggettiva. Si propone, infatti, la formazione di un elenco di sistemi di IA ad alto rischio, che la Commissione dovrebbe assumersi il compito di aggiornare61. La pretesa

Vedi la Risoluzione del Parlamento Europeo del 20 ottobre 2020 recante raccomandazioni alla Commissione su un regime di responsabilità civile per l’intelligenza artificiale (2020/2014(INL)) in https://www. europarl.europa.eu. 59 Come “operatore” si intende «sia l’operatore front-end che l’operatore back-end». In questo senso nella Risoluzione (2020/2014(INL)), cit. 60 Il Parlamento EU riconosce che «la direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi abbia dimostrato, per oltre trent’anni, di essere un mezzo efficace per ottenere un risarcimento per i danni cagionati da un prodotto difettoso, ma che dovrebbe essere rivista per adattarla al mondo digitale e per affrontare le sfide poste dalle tecnologie digitali emergenti». Così nella Risoluzione (2020/2014(INL)), cit. 61 I sistemi di IA non inclusi nell’elenco dovrebbero continuare ad essere assoggettati ad un regime di responsabilità per colpa. Tuttavia, ove un sistema di IA non sia stato ancora valutato dalla Commissione 58

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di rincorrere lo sviluppo tecnologico attraverso un censimento dei nuovi ritrovati, appare, invero, piuttosto utopistica. Più opportuno sarebbe stabilire quali sono le caratteristiche che determinano un’elevazione del rischio e impediscono un’indagine sulla colpevolezza dell’operatore rendendo necessaria l’applicazione di un regime di responsabilità oggettiva. Invero, il problema dell’impiego massiccio della tecnologia che consente all’uomo di delegate del tutto alle macchine lo svolgimento di attività tradizionalmente a lui riservate investe non solo la circolazione ed è di portata molto più vasta. Ci si interroga sul permanere della possibilità di ricondurre all’uomo quelle modificazioni del mondo circostante che costituiscono gli effetti di decisioni, di fatto, adottate da un programma informatico: se a guidare è un robot, è quest’ultimo che provoca l’incidente non l’uomo che se ne serve62. Senza addentrarci in una questione alquanto complessa e ricca di implicazioni filosofiche, basti qui considerare che allo stato si tende a valutare l’opportunità di prevedere regole in grado di assicurare che l’uomo non perda mai del tutto il controllo degli strumenti tecnologici e che conservi la possibilità di interromperne il funzionamento per sostituirsi a stessi ove necessario63.

e «dovrebbe essere soggetto alla responsabilità oggettiva qualora abbia causato incidenti ripetuti che producono gravi danni o pregiudizi». L’inclusione nell’elenco «dovrebbe avere effetto retroattivo a partire dal momento in cui si è verificato il primo incidente provocato dal sistema di IA in questione, che ha causato un danno o un pregiudizio grave». Così la Risoluzione (2020/2014(INL)), cit. 62 Il tema è affrontato in D. Di Sabato, Diritto e New economy, cit., p. 143 ss. 63 Vedi Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103 8INL)) P8_TA-PROV(20170051) e Libro Bianco della Commissione UE White Paper On Artificial Intelligence – A European approach to excellence and trust, Brussels, 19 febbraio 2020, in https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/commission-white-paper-artificial-intelligence-feb2020_it.pdf. Vedi anche la Proposta di Risoluzione del Parlamento Europeo recante raccomandazioni alla Commissione concernenti il quadro relativo agli aspetti etici dell’intelligenza artificiale, della robotica e delle tecnologie correlate, cit.

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Nei casi caratterizzati da una automazione tanto spinta da far apparire come una eccessiva forzatura l’applicazione di criteri di imputazione basati sulla colpevolezza, in considerazione del ruolo passivo assolto dall’utilizzatore, vi è comunque la possibilità di considerare che la responsabilità per gli eventi dannosi connessi all’impiego di qualsiasi strumento tecnologico debba ricadere su chi si avvantaggia della loro utilizzazione64. Questo metodo di scelta del responsabile, che non è estraneo al nostro ordinamento, consente di addossare la responsabilità, oltre che all’utilizzatore, anche al proprietario del veicolo all’organizzatore del viaggio e al gestore del programma informatico. Inoltre, ove il danno sia ricollegabile ad un difetto nella produzione o nell’aggiornamento della funzionalità del marchingegno ne dovrebbe rispondere chiunque abbia contribuito alla creazione dello stesso65. I cambiamenti intervenuti nelle modalità di soddisfazione del bisogno di mobilità sono, in definitiva, molti e investono diversi aspetti; l’attività delle imprese che operano nel settore è radicalmente cambiata. Di questa rivoluzione non si può non tener conto nell’interpretazione delle regole attualmente in vigore. Un’attività ermeneutica che tenga conto delle sopravvenute esigenze e che sia fedele alla ratio delle norme consente di risolvere molte questioni applicative in attesa di interventi legislativi innovatori, che, peraltro, rischiano di sopraggiungere quando il contesto è ulteriormente mutato. Lo sviluppo tecnologico, infatti, è continuo e rapido ed è probabilmente più saggio adeguare l’interpretazione delle norme esistenti invece di tentare di rincorrerlo con interventi legislativi innovativi.

Cfr. in tema A. Davola R. Pardolesi, In viaggio col robot, cit., p. 619 ss., che riferisce anche di tentativi di adeguamento della disciplina messi in atto in altri ordinamenti. 65 Sulla responsabilità concorrete dei diversi soggetti che contribuiscono a rendere possibile lo spostamento con veicoli autonomi, cfr. ancora Davola e Pardolesi, In viaggio col robot, cit., p. 618 ss. Gli AA. propongono l’adozione di un regime di responsabilità oggettiva limitata e «l’individuazione di un protocollo operativo ex ante» che permetterebbe «di ancorare l’imputazione di responsabilità – oggettiva – al mancato rispetto delle regole operative previste». Il risarcimento, in caso di rispetto delle regole operative, dovrebbe invece ricadere su un fondo pubblico (p. 628). 64

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Qualsiasi sforzo deve, in ogni caso, prendere le mosse dalla considerazione prioritaria della persona umana, del suo benessere e della sua sicurezza. In questo senso la mobilità deve essere sostenibile e produrre l’impatto minore possibile sull’ambiente, ma deve anche assicurare che gli spostamenti delle persone avvengano in condizioni di sicurezza. La responsabilità civile, intesa in senso polifunzionale, assolve una funzione rilevante e imprescindibile. Le zone d’ombra, peraltro, come emerge dalle pagine che precedono non sono poche e riguardano le caratteristiche tecniche dei mezzi utilizzati per gli spostamenti, i soggetti cui addebitare la responsabilità e il titolo in virtù del quale chiamarli a rispondere dei danni prodotti a causa della circolazione. Il principio in virtù del quale chiunque subisca un danno ingiusto deve essere risarcito non può subire deroghe ed occorre operare in modo sia effettivamente applicato.

10. Profili assicurativi Il sistema più semplice per assicurare il ristoro a chi subisce un danno consiste nel fare in modo che esso sia coperto da un’assicurazione66. Questo significa tradurre il rischio in un costo per l’assicurato, garantire il giusto ristoro al danneggiato e trasformare il problema della sicurezza in una questione di mercato. La monetizzazione del rischio, in ogni caso, non deve indurre ad allentare l’attenzione sulla sicurezza e sul benessere della persona. Peraltro, l’esistenza di una copertura assicurativa non esonera dall’indagine relativa alla individuazione del responsabile del sinistro, che perde di interesse per l’assicurato ma non per le compagnie assicurative.

Il Parlamento EU nella citata Risoluzione sul regime di responsabilità civile per l’intelligenza artificiale (2020/2014(INL)) «considera la copertura della responsabilità civile uno dei fattori principali che definiscono il successo delle nuove tecnologia». Si prevede, quindi, che tutti gli operatori di sistemi di IA ad alto rischio dovrebbero essere in possesso di un’assicurazione per responsabilità civile. 66

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Strumenti giuridici per l’attuazione della mobilità sostenibile

Non si può non tener conto, in ogni caso, degli effetti che la rivoluzione intervenuta nel settore della mobilità produce anche sul settore assicurativo. In primo luogo, la mobilità alternativa ha determinato un incremento della circolazione di veicoli non immatricolati e non soggetti ad obblighi assicurativi. Inoltre, la sovrapposizione dei ruoli dei protagonisti della circolazione – proprietario, utilizzatore, passeggero, conducente, vettore, locatore, ecc. – non può non influenzare anche la contrattazione assicurativa. Emerge, anche con riferimento a questi aspetti, l’esigenza di prendere in considerazione la vicenda della circolazione a prescindere dalle modalità con le quali viene realizzata e dai mezzi utilizzati. Lo spostamento comunque realizzato, a piedi, mediante l’utilizzazione di veicoli più o meno pericolosi, con mezzo proprio o altrui, affidato all’abilità dell’uomo o alla tecnologia, in ogni caso produce un rischio più o meno elevato ed è questa vicenda che deve essere oggetto di copertura assicurativa. Non è più tempo, quindi, di assicurare il veicolo, tanto meno ci si può accontentare dell’obbligo assicurativo gravante sui proprietari, più precisamente, sui proprietari di veicoli immatricolati. Oggetto di assicurazione, deve essere lo spostamento comunque realizzato. L’ampliamento della prospettiva è condizione necessaria perché il meccanismo assicurativo possa rendere certo il ristoro dei danni prodotti dalla circolazione, indipendentemente da come essa sia realizzata: la diffusione di zone d’ombra rappresentata dalla impossibilità di identificare il responsabile, dalla incertezza su chi far ricadere la responsabilità, dall’utilizzazione di mezzi di vario genere e non tutti immatricolati, inevitabilmente, incide sull’efficienza del sistema. A dimostrazione di come la reazione del mercato è sempre più rapida di quella degli studiosi, del resto, le compagnie assicurative offrono polizze che coprono il rischio derivante dalla circolazione, indipendentemente da come essa sia realizzata67. In altri casi, il ri-

Oltre alle polizze dedicate ai ciclisti, l’offerta di strumenti assicurativi include polizze che assicurano il rischio mobilità (si vedano, per esempio, le polizze Bici2Go e MiMuovo offerte dalla SARA, in occasione 67

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schio connesso allo spostamento è assicurato nell’ambito di polizze a copertura più ampia come quelle c.d. del capofamiglia: con la sottoscrizione di questo genere di contratti il contraente e gli altri soggetti ai quali si vuole estendere la polizza hanno diritto al risarcimento di qualsiasi danno derivi a loro stessi o a terzi dallo spostamento realizzato con qualsiasi mezzo nei centri urbani ed extraurbani68. La diffusione di una prassi negoziale di questo tipo certamente aiuterebbe a ridimensionare i problemi che emergono in ragione dei cambiamenti intervenuti nella mobilità. Sta di fatto che l’incremento dell’automazione negli strumenti impiegati per la circolazione dovrebbe determinare una riduzione del numero dei sinistri e produrre un effetto generalmente benefico. La grande maggioranza dei sinistri, infatti, sarebbe, allo stato, causata dall’errore umano, che potrebbe essere neutralizzato grazie ai moderni sistemi di automazione69. L’impiego della tecnologia, inoltre, consente di adattare il contenuto del contratto in considerazione del rischio effettivamente prodotto dallo spostamento. Il premio assicurativo potrebbe, infatti, essere influenzato dall’impiego di strumenti in grado di contenere i sinistri e commisurato all’effettivo utilizzo del mezzo. Inoltre, la moderna tecnologia potrebbe essere utilizzata per distribuire in modo efficiente la responsabilità tra i vari soggetti che a diverso titolo rendono possibile la circolazione e ne beneficiano70.

della sponsorizzazione del Giro d’Italia2021). 68 La polizza responsabilità civile del capofamiglia offerta da Generali Italia, copre i danni causati a terzi derivanti dalla «proprietà, il possesso e l’uso di veicoli quali velocipedi anche a pedalata assistita, carrozzine per disabili, golf cars, hoverboard e segway non soggetti all’assicurazione obbligatoria secondo le vigenti disposizioni di legge». 69 Cfr. in tema Lobianco, Veicoli a giuda autonoma e responsabilità civile, cit., p. 1080 ss. 70 C. Perlingieri, L’incidenza dell’utilizzazione della tecnologia robotica nei rapporti civilistici, cit., p. Sulla possibilità, grazie all’impiego della tecnologia, di modulare i premi assicurativi, cfr. Gaeta, Automazione e responsabilità automobilistica, cit., p. 1717 ss.

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Contratto impresa Europa 2/2021

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I sistemi di trasporto intelligente tra sviluppo della robotica e tutela della persona Francesca Mollo

Sommario: 1. Introduzione. – 2. I sistemi di trasporto intelligente tra regolamentazione e sperimentazione. – 3. I sistemi di trasporto intelligente nel quadro europeo di protezione dei dati personali. – 4. L’impatto delle nuove tecnologie in ambito di trasporto intelligente sui diritti e le libertà delle persone. – 5. E quindi quali rischi e quali tutele per la persona i cui dati sono oggetto di trattamento da parte delle smart cars? – 6. Conclusioni

Abstract The article analyzes intelligent transport systems, in particular self-driving vehicles, in the framework of the key principles of the European strategy on artificial intelligence and robotics, with a view to protecting the individual from the point of view of the protection of personal data. Once the reference regulatory framework has been drawn up, the article compares with the European legislation on the protection of personal data, to analyze the risks for the rights and freedoms of individuals, in terms of the type of treatment, the type of data processed and the purpose of the processing itself. The perspective thus assumed, which enhances the centrality of the person, therefore requires a sustainable development of artificial intelligence, in balancing the reasons for the market and the protection of the person.

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1. Introduzione «L’ intelligenza artificiale non è fantascienza: fa già parte delle nostre vite»1. Essa, qualificata alla stregua di una vera e propria «quarta rivoluzione»2 che trova oggi applicazioni nei più disparati settori3, si inserisce nel quadro di una più ampia strategia europea destinata a porre l’IA «al servizio dei cittadini europei», aumentando in tal senso gli investimenti4, e definendo orientamenti etici 5, in

Queste le parole della Commissione europea nella Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, L’intelligenza artificiale per l’Europa, COM (2018) 237, 25 aprile 2018, p. 1. 2 Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano, 2017, p. 44 e ss., in cui si legge che «a un livello minimo, l’infosfera indica l’intero ambiente informazionale costituito da tutti gli enti informazionali, le loro proprietà, interazioni, processi e reciproche relazioni (…). A un livello massimo, l’infosfera è concetto che può essere utilizzato anche come sinonimo di realtà, laddove interpretiamo quest’ultima in termini informazionali. (…) La transizione dall’analogico al digitale e la crescita esponenziale di spazi informazionali in cui trascorriamo sempre più tempo illustrano con massima evidenza il modo in cui le ICT stanno trasformando il mondo in una infosfera». Negli stessi termini di “quarta rivoluzione” si è espresso anche, nel proprio intervento in occasione della giornata europea della protezione dei dati personali 2019, il Presidente dell’Autorità Garante per la privacy laddove ha sottolineato che «l’intelligenza artificiale applicata alla vita individuale e collettiva, la cui progressiva diffusione ha segnato quella che – con i limiti di ogni periodizzazione – è stata definita quarta rivoluzione, con il passaggio all’internet “degli oggetti”, all’economia della condivisione, al “pianeta connesso”». 3 Per una ricognizione, si veda il Rapporto dell’Aspen Institute Italia, Intelligenza artificiale come nuovo fattore di crescita, luglio 2017, pp. 8 e 9. Si veda pure Finocchiaro, Il contratto nell’era dell’intelligenza artificiale, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2018, 2, p. 441 e ss. 4 Cfr. Comunicato stampa della Commissione europea del 25 aprile 2018, consultabile in www.europa.eu. 5 Cfr. The European Commission’s High Level Expert Group on artificial Intelligence, Draft Ethics Guidelines For Trustwothy AI, Working Document for stakeholders’ consultation, Brussels, 18 December 2018. 1

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I sistemi di trasporto intelligente tra sviluppo della robotica e tutela della persona

una cornice volta a migliorare la competitività del mercato europeo. Una delle declinazioni più interessanti e promettenti della IA è rappresentata proprio dai sistemi di trasporto intelligente, una vera e propria opportunità nel quadro di tale strategia, che però necessita di una quantità ingente di dati, potenzialmente impattando sui diritti e le libertà delle persone. I dati costituiscono infatti una traccia della persona, frammenti della stessa che ne rivelano caratteristiche e peculiarità, anche attinenti alla vita privata, e che nella loro complessità e combinazione/ricombinazione consentono di ricostruire il sistema di relazioni, di vita, di abitudini e di interessi che la caratterizzano. Big data e cloud storage, ormai sistemi infrastrutturali collaudati basati sulla elaborazione di dati, costituiscono oggi le precondizioni di sviluppo di qualsiasi tipo di intelligenza artificiale, dal momento che gli algoritmi si nutrono di dati, con ciò crescendo, imparando dai dati (in particolare il machine learning)6 e creando altri dati, tanto da essere suscettibili di imporre una vera e propria dittatura dell’intelligenza artificiale quale portato di quella che è stata definita la «dittatura dell’algoritmo»7.

2. I sistemi di trasporto intelligente tra regolamentazione e sperimentazione Gli autonomous vehicles possono essere considerati un ibrido fra i veicoli e i computers, dal momento che sono gestiti da un sistema informatico complesso, costituito in prevalenza da videocamere, sensori laser e software GPS - che attraverso il dialogo con un ambiente predisposto ad attivarli, permette la conduzione

Il machine learning, o apprendimento automatico, è un settore dell’informatica che sviluppa algoritmi e metodi per consentire al computer di apprendere specifici compiti direttamente dai dati, senza la necessità di un’esplicita e dedicata programmazione. Sul punto, cfr. D’Acquisto e Naldi, Big data e privacy by design. Anonimizzazione. Pseudononimizzazione. Sicurezza, Torino, 2018, pp. 15 e 16. 7 Rodotà, Il mondo nella rete, Roma-Bari, 2014, spc. p. 37. 6

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del veicolo in assenza di intervento umano o con intervento minimo da parte di quest’ultimo, con tutti i riflessi che ciò comporta e comporterà in futuro sul piano giuridico8, anche sul piano della responsabilità, come dimostrano le considerazioni contenute anche nella recente Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2020 recante «raccomandazioni alla Commissione su un regime di responsabilità civile per l’intelligenza artificiale»9. Si tratta nel concreto di una complessa varietà di veicoli, rientranti nella lata definizione di smart cars e costituenti un genus eterogeneo, composto di veicoli di vario tipo, proprio in funzione del livello di controllo umano esercitato: automated car, autonomous car, driverless car, robotic car e self-driving car. Esistono diversi livelli10 incrementali della autonomia del veicolo, a partire

Si vedano, sul punto, Abraham e Rabin, Automated Vehicles and manufacturer responsibility for accidents: a new legal regime for a new era, 105 Va. L. Rev., 2019; Cerini, Dal decreto Smart Roads in avanti: ridisegnare responsabilità e soluzioni assicurative, in Danno e resp., 2018, p. 4; Davola e Pardolesi, In viaggio col robot: verso nuovi orizzonti della r.c. auto (‘‘driverless’’)?, in Danno e resp., 2017, 5, p. 616 ss.; Gaeta, La protezione dei dati personali nell’Internet of Things: l’esempio dei veicoli autonomi, in Dir. inf., 2018, p. 147; Levy, No need to reinvent the wheel: why existing liability law does not need to be preemptively altered to cope with the debut of driverless Cars, in J. Bus. Entrepreneuship & L., 2016, 9, p. 355; Smith, Automated driving and product liability, in Mich. St. L. Rev., 2017, p. 1; Smart mobility, smart cars e intelligenza artificiale: responsabilità e prospettive, a cura di Cerini e Pisani tedesco, Torino, 2020. Si veda altresì Diritto e intelligenza artificiale. Profili generali, soggetti, contratti, responsabilità civile, diritto bancario e finanziario, processo civile, a cura di Alpa, Pisa, 2020. Da ultimo, sul punto e con riferimento specifico alla responsabilità, Tampieri, L’intelligenza artificiale: una nuova sfida anche per le automobili, in Contratto e Impresa, 2020, 2, p. 732-759. 9 Risoluzione 2020/20(INL), Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre recante “raccomandazioni alla Commissione su un regime di responsabilità civile per l’intelligenza artificiale. 10 La National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA) e la Society of Automotive Engineers (SAE) hanno individuato sei possibili “livelli di automazione dei veicoli”, compresi tra uno stadio iniziale (L0, corrispondente agli attuali sistemi di guida non automatizzati), nel quale il guidatore umano è pienamente responsabile del controllo del veicolo, 8

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da veicoli con dotazioni di ausilio al conducente nei quali l’uomo mantiene il controllo, per arrivare ai casi di prevalente controllo della circolazione da parte del veicolo medesimo con situazioni di automazione condizionale, elevata e completa, così come risulta proporzionalmente crescente il grado di collegamento e di interazione del veicolo con lo spazio esterno, reso possibile attraverso un flusso continuo di dati. La caratteristica coessenziale ai sistemi robotici attuali, anche in questo settore, è rappresentata dalla connettività, funzionale alla necessità di arricchire le conoscenze a disposizione della macchina senza appesantire i sistemi operativi, dal momento che i robot, almeno nella fase iniziale, non possiedono capacità sofisticate percettive e interattive con l’ambiente circostante, ma devono ricorrere alle risorse online e alle attività di sharing data per effettuare operazioni di riconoscimento oggetti ed esecuzione di compiti non predeterminati, atteso che la loro attività consiste nel raccogliere dati attraverso sensori, processandoli, in vista della pianificazione e del compimento di azioni mediante le informazioni così acquisite, in funzione di obiettivi predeterminati. Il funzionamento di tali veicoli poggia sostanzialmente su flussi comunicativi di dati gestiti attraverso algoritmi, reti informatiche e supporti satellitari, tanto da far già affermare che «le vere auto driveless, dove la (pericolosissima) guida umana sarà severamente

ed un livello di piena automazione (L5), nel quale il sistema di controllo del veicolo compie tutte le azioni al posto del guidatore umano, in qualsiasi condizione. I gradi di automazione intermedi (L1-L3) corrispondono invece a diverse ipotesi in cui il sistema di controllo dell’auto opera in assistenza a diverse operazioni del veicolo (frenata, gestione della velocità etc.), pur mantenendo il controllo in capo al guidatore umano, sino a giungere ad un tasso di automazione (L4), che consente all’individuo di alienarsi completamente dal controllo dell’auto, seppur limitatamente a specifiche condizioni di guida costante. Più in particolare, i livelli di automazione sono stati classificati da SAE in cinque vehicle automation degrees (driver only, driver assistance, partial automation, high automation e full automation) Cfr. SAE standard J3016, Taxonomy and Definitions for Terms Related to On-Road Motor Vehicle Automated Driving Systems, in www.sea.org, 2014 (rivisto nel 2016).

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proibita, saranno forse guidate dall’alto da una sorta di “Grande Fratello”»11. Tale comunicazione postula la connessione dei veicoli in re12 te e comprende diversi tipi di comunicazione: la prima è quella che intercorre tra i veicoli automatizzati e le più svariate categorie di dispositivi — tra i più comuni vi sono gli smartphone, gli smart watch, i tablet e i personal computer, che possono essere connessi ai veicoli di ultima generazione tramite apposite applicazioni installate su tali dispositivi — nota come la Vehicle to device communications (V2D), la seconda è la Vehicle to infrastructure communications (V2I), una tipologia più specifica che si instaura tra i veicoli e le infrastrutture stradali, da ultimo. la più sofisticata tipologia di comunicazione è quella Vehicle to vehicle communications (V2V), la quale presuppone che siano messi in circolazione veicoli completamente autonomi o, quantomeno, dotati di un elevato livello di automazione. Più in generale, l’automazione dei veicoli e la capacità di connettersi tra di loro (V2V) e con segnali stradali o altre infrastrutture a lato della strada (V2I), unita alla possibilità di connettersi con altri utenti quali i pedoni (V2P, Vehicle-to-Pedestrian) oppure con la rete pubblica per fruire di servizi (V2N, Vehicle-to-Network), apre poi interessanti prospettive per lo sviluppo di sistemi di assistenza alla guida (ADAS) e a mezzi di trasporto autonomi13. D’altra parte, l’imprescindibile connessione tra evoluzione tecnologica (con particolare riferimento al settore dei mezzi di trasporto e della viabilità) e flusso di dati correlati, è sottolineata anche dal decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti del 28 febbraio 2018, n 70 (c.d. Decreto Smart Roads) concernente le «Mo-

Ruffolo, Self driving cars, in Intelligenza artificiale e responsabilità, a cura di Ruffolo, Milano, 2018, p. 51. 12 Sul punto si veda anche il parere del Gruppo di lavoro ex articolo 29, n. 8 del 2014, Recent Developments on the Internet of Things. 13 Tutte queste declinazioni di possibili tipologie di comunicazioni, spesso raggruppate sotto l’unico acronimo V2X (Vehicle-to-everything), si avvalgono sostanzialmente di due tecnologie di comunicazione: a corto raggio (Dedicated Short Range Communication basate su protocollo Wi-Fi 802.11p e standard ETSI-G5) oppure di derivazione cellulare (C-VTX) e a lungo raggio, sulle reti cellulari mobili (4G e il neonato 5G). 11

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dalità attuative e strumenti operativi della sperimentazione su strada delle soluzioni Smart Roads e di guida connessa e automatica»14, che definisce smart roads (art. 2) «le infrastrutture stradali per le quali è compiuto, secondo le specifiche funzionali di cui all’art. 6, comma 1, un processo di trasformazione digitale orientato a introdurre piattaforme di osservazione e monitoraggio del traffico, modelli di elaborazione dei dati e delle informazioni, servizi avanzati ai gestori delle infrastrutture, alla pubblica amministrazione e agli utenti della strada, nel quadro della creazione di un ecosistema tecnologico favorevole all’interoperabilità tra infrastrutture e veicoli di nuova generazione». Il decreto identifica le specifiche funzionali minime alle quali adeguare la rete stradale nazionale, fornendo la chiave di volta per la creazione di un ecosistema tecnologico favorevole alla interoperabilità tra infrastrutture e veicoli di nuova generazione; disciplina altresì la sperimentazione su strada pubblica dei veicoli automatici e connessi, individuando le modalità per il rilascio della relativa autorizzazione alla sperimentazione; istituisce infine uno specifico Osservatorio tecnico quale facilitatore e promotore di questi nuovi processi innovativi15. Il decreto è stato poi aggiornato nel settembre 2020, prevedendo la sperimentazione di «mezzi di trasporto innovativi che non dispongono di un volante o di una pedaliera», quindi mezzi sostanzialmente autonomi, destinati a percorrere le strade sotto la supervisione degli addetti ai lavori. Deve qui osservarsi come, a livello europeo, nella dir. 2010/40/ UE, relativa al quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto, che pur aveva rappresentato un

C.d. Decreto Smart Roads, approvato in esecuzione della Legge di Bilancio 2018 – l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 72. 15 L’Osservatorio tecnico di supporto per le Smart Road e per il veicolo connesso e a guida automatica è istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed è presieduto dal Direttore Generale per i sistemi informativi e statistici del MIT. Il decreto direttoriale del 4 maggio 2018 n. 9 a firma del Presidente dell’Osservatorio, ne ha definito l’organizzazione e le modalità di funzionamento, ai sensi dell’art. 20, comma 4, del decreto n. 70 del 2018. 14

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momento importante della progettualità in sede comunitaria, ci si limitasse ad operare un mero rinvio alle norme comunitarie sul danno da prodotto approvate ormai oltre trent’anni fa e per di più sostanzialmente prive di cornice comune sotto questo profilo. L’art. 10 della direttiva si limitava infatti a fare generico cenno alla tutela dei dati personali, nel senso della necessità di rispettare la normativa in materia di consenso al trattamento dei dati personali, e solo auspicando l’utilizzo di dati e in forma anonima e secondo modalità idonee a prevenire utilizzi impropri, alterazioni o perdite di dati, ovvero accessi non autorizzati agli stessi. Il confronto con l’esperienza statunitense fa emergere una realtà differente in tema di Highly Automated Vehicles16. Oltreoceano, infatti, la circolazione sulla strada di macchine senza guidatore può avvenire in virtù di regolamentazioni ad hoc, alla luce della disciplina risultante dalla convenzione di Ginevra del 1949, che ne possono autorizzare la circolazione in via sperimentale, come avviene in alcuni Stati, come Nevada, Florida, California e Michigan17, a fronte dell’imposizione di determinati requisiti di sicurezza, come la presenza a bordo di una persona che assuma il controllo in caso di necessità, oltre che dell’individuazione dei profili di responsabilità e assicurativi. In Europa18, invece la circolazione di macchine autonome sulle strade pubbliche è esclusa dalla Convenzione di Vienna sul traf-

Sul punto, si veda Al Mureden, Gli Highly Automated Vehicles negli USA tra norme statali ed esigenze di armonizzazione federale, in Giur. it., 2019, p. 1713 ss. 17 Cfr. http://www.ncsl.org/research/transportation/autonomousvehicles-self-driving-vehicles-enacted-legislation.aspx.). Si vedano anche soluzioni caratterizzate da un approccio improntato ad una maggior cautela, tra cui la legislazione adottata nel 2017 dallo Stato di New York prevede che le sperimentazioni che vedono coinvolti gli autonomous vehicles tests and demonstrations possano essere condotti sotto la supervisione delle forze dell’ordine, assicurando il rispetto ddi dettagliati requisiti di sicurezza e con l’obbligo di una significativa copertura assicurativa. Cfr http://www.ncsl.org/research/transportation/autonomous-vehicles-selfdriving-vehicles-enacted-legislation.aspx. 18 Si veda però l’esperienza tedesca, nella scia delle recenti dichiarazioni di settembre 2020 della Cancelliera di voler investire, sul piano 16

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fico stradale del 1968, che impone che ogni veicolo sia costantemente sotto il controllo del guidatore, che l’automazione integrale della guida potrebbe essere ammessa solo ove sia assicurata la presenza a bordo di un umano adibito al monitoraggio costante e in grado di assumere il controllo della macchina in qualsiasi momento, escludendo quello del dispositivo, come previsto dalla modifica del testo dell’art. 8, introdotta in sede di UNECE, secondo il testo entrato in vigore il 23 marzo 201619.

3. I sistemi di trasporto intelligente nel quadro europeo di protezione dei dati personali La tecnologia che sta alla base di queste applicazioni di intelligenza artificiale si nutre di dati, comportando un processo di centralizzazione della loro gestione, da un lato, e aumentando la complessità e l’opacità del trattamento dei dati, nonché la dipendenza dalle determinazioni dei fornitori di tali prodotti o servizi, dall’altro. La questione si inserisce, quindi, nel quadro di protezione europea dei dati personali approntato con il Reg. UE 679/2016. relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GDPR). Come si legge fin dai Considerando dello stesso, «La rapidità dell’evoluzione tecnologica e la globalizzazione comportano

degli investimenti quanto giuridico, in tale settore. Sul punto, si consideri l’ipotesi di revisione della legge tedesca sul traffico stradale (Straßenverkehrgesetz, StVG), promossa dal ministero dei trasporti – e presentata il 27 gennaio 2017 al Bundesrat – al fine di introdurre nel codice stradale tedesco una disciplina per le auto a guida automatizzata (Anpassungsprojekt der Straßenverkehrsordnung an die Möglichkeiten des automatisierten Fahrens). Losano, Il progetto di legge tedesco sull’auto a guida automatizzata, in Dir. inf., 2017, p. 1. 19 Cfr. Working Party in Road Traffic Safety, Sixty-eighth Session, March 24-26, 2014, Ginevra, Report of the Sixty-eifhth Session of the Working Party in Road Traffic Safety.

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nuove sfide per la protezione dei dati personali. La portata della condivisione e della raccolta di dati personali è aumentata in modo significativo. (…) La tecnologia ha trasformato l’economia e le relazioni sociali e dovrebbe facilitare ancora di più la libera circolazione dei dati, garantendo(ne) al tempo stesso un elevato livello di protezione» (considerando 6). Se fino a questo momento la normativa si configurava come imperniata su una concezione sostanzialmente statica del trattamento dei dati personali, in cui il moto di circolazione delle informazioni si presentava in senso unidirezionale, procedendo prevalentemente dall’interessato al titolare, nella realtà attuale, in un mondo digitalmente sempre più interconnesso, il sistema si basa invece su modello di condivisione di dati destinati ad una circolazione globale e di tipo circolare. Raccolte sempre più ampie di date e sistemi via via più sofisticati di analisi hanno comportato un vero e proprio processo di datafication, in cui tutto diviene riconducibile a informazione20, destinate a circolare21 per lo più su Internet, che rappresenta un mondo senza confini, «il più largo spazio pubblico che l’umanità abbia mai conosciuto»22, che ha contribuito a conferire nuove sfumature al fenomeno della globalizzazione.

Mantelero, op. cit., p. 144, che richiama sul punto Floridi, The 4th revolution: how the infosphere si reshaping human reality, Oxford, 2014, p. 96. 21 Finocchiaro., Privacy e protezione dei dati personali, Bologna, 2012, p. 97 ss; nonché Mantelero, Il contratto per l’erogazione alle imprese di servizi di cloud computing, in Contr. e impr., 2012, p. 1216 e ss. 22 Cfr. Rodotá, Una costituzione per Internet?, in. Pol. del dir., 2010, p. 4, spec. p. 344-350, in cui l’A. sottolinea, oltre alla necessità di salvaguardare la neutralità della rete, che «cimentarsi con il problema della costituzione di Internet, del modo complessivo in cui la tecnologia incontra il tema delle libertà e istituisce lo spazio politico, significa proprio fare i conti con processi reali. Le trasformazioni determinata dalla tecnologia possono essere comprese, e governate, solo se si è capaci di mettere a punto strumenti prospettici, e se questo avviene ridefinendo i principi fondativi della libertà individuali e collettive». Proprio per evidenziare l’astrazione dal fattore spaziale nella realtà della rete, appare particolarmente suggestiva l’immagine del «popolo della rete, disteso sull’intero pianeta, diffuso al di là di ogni confine, che si organizza in nuove “nazione”». Rodotà, 20

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Nella società sempre più governata dalla dittatura dell’algoritmo e dei Big Data Analytics, occorre prendere atto che l’obiettivo principale di indagine da parte dei detentori di dati non sono più i singoli, bensì i comportamenti collettivi di “gruppi a geometria variabile, plasmati e rimodellati in continuo degli algoritmi”24; viene 23

Il mondo della rete, cit., p. 58, in cui l’A. sottolinea che «la comunità di Facebook è la terza al mondo come popolazione, dopo la Cina e India». Questa realtà ha portato anche una parte della dottrina a sottolineare come in tali comunità si venga realizzare un vero e proprio ordinamento giuridico, diverso da quello tipicamente riconducibile allo Stato nazione e che coesiste con altri ordinamenti giuridici, tanto da strutturarsi come una societas, intesa come gruppo ordinato e dotato di un’organizzazione e di regole proprie applicabili a tutti consociati, sottoposti al potere normativo-tecnologico del gestore monarca. Si fa qui riferimento all’interessantissimo contributo di Bravo, Ubi societas ibi ius e fonti del diritto nell’età della globalizzazione, in Contr. e impr., 2016, 6, pp. 1344-1390., in cui a p. 1368 si sottolinea anche come «Nella community planetaria di Facebook (così come in altre communities che facciano uso di determinate piattaforme di social network), il contratto diviene strumento istitutivo e normativo di un dato “ordinamento”, che si trova in rapporto di “rilevanza giuridica” con altri “ordinamenti”, secondo quanto chiarito da Santi Romano nella nota impostazione teorica della “pluralità” degli ordinamenti, riassunto nell’ adagio ubi societas ibi ius, ubi ius ibi societas». L’appartenenza alla community attribuisce una sorta di cittadinanza digitale. Per il concetto di cittadinanza digitale cfr. Rodotà, Il mondo nella rete, cit., p 13 e ss. L’espressione è stata pure utilizzata anche dal legislatore italiano, nella legge 124 del 2015, recante delega al governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, il cui art. 1 è rubricato testualmente “carta della cittadinanza digitale”. Alla diversa ma contigua nozione di identità digitale, fa invece riferimento Alpa, L’identità digitale la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contr. e impr., 2017, 3, p. 723 ss. 23 Rodotá, Il mondo nella rete, cit., p. 37 ss. 24 «Occorre prendere atto che l’obiettivo principale di indagine da parte dei detentori di dati non sono più singoli, bensì i comportamenti collettivi di “gruppi a geometria variabile”, plasmati e rimodellati in continuo degli algoritmi». Cfr. Mantelero, op. cit., p.144 ss., in cui si sottolinea pure come «va tuttavia rilevato come, in questi casi, non si sia in presenza di gruppi nel senso tradizionale del termine, ovvero di gruppi preesistenti (quali ad esempio le minoranze), bensì di aggregazioni a geometria variabile, creati dei titolari del trattamento mediante l’impiego di algoritmi.

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quindi sostanzialmente a prevalere una dimensione collettiva del dato, da tutelare non meno di quella individuale25, anche alla luce del processo di ri-centralizzazione che sta interessando la tecnologia informatica del nostro tempo, in cui un ristretto numero di operatori finisce per gestire26 un’enorme massa di dati offrendo prodotti “as a service”, di fatto limitanti in punto di controllo diretto degli utenti, peraltro già esclusi dal controllo materiale sulle risorse informatiche, ormai trasferite in ambiente cloud. Il Reg. (UE) 67927 del 2016 si colloca proprio in questo quadro, adottando un approccio globale alla protezione dei dati personali

Aggregazioni dunque in cui i soggetti appartenenti non hanno conoscenza dell’identità degli altri membri del gruppo, possono avere una limitata o assente percezione delle possibili conseguenze negative che possono derivare da tale dimensione collettiva». 25 Cfr. Atti del convegno dell’Autorità Garante della protezione dei dati personali del 30.01.17 in tema di «Big Data e Privacy. La nuova geografia dei poteri». Convegno per la Giornata Europea della protezione dei dati personali, 30 gennaio 2017, p. 52, in cui si evidenzia l’etimologia di “statistica” come “scienza dello stato”. 26 Rodotá, Una Costituzione per Internet?, in Pol. del dir.,2010, 3, p. 342. Ed è sostanzialmente proprio attraverso queste gigantesche raccolte di dati che i nuovi «signori dell’informazione (...) governano la nostra vite», finendo per trasformarsi da strapotente società multinazionale in un «potere a sé, superiore a quello di un’infinità di Stati nazionali, con i quali negozia da potenza a potenza. (...) interlocutore quotidiano di centinaia di milioni di persone alle quali offre la possibilità di entrare e muoversi nell’universo digitale. Governa corpi conoscenza, relazioni sociali». 27 Tra i commenti alla nuova normativa si segnalano Persona e mercato dei dati. Riflessioni sul GDPR, a cura di Zorzi Galgano, ne Le monografie di Contratto e Impresa, Milano, 2019; Il nuovo Regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, diretto da Finocchiaro, Bologna, 2017; il volume di Bistolfi, Bolognini e Pelino, Il Regolamento Privacy europeo. Commentario alla nuova disciplina sulla protezione dei dati personali, Milano, 2016; il volume La nuova disciplina europea della privacy, a cura di Sica, D’Antonio e G.M. Riccio, Milano, 2016; Pizzetti, Privacy e il diritto europeo alla protezione dei dati personali, tomo I (Dalla dir. 95/46 al nuovo regolamento europeo) e tomo II (Il regolamento europeo 2016/679), Torino, 2016; Cuffaro, D’Orazio e Ricciuto, I dati personali nel diritto europeo, Torino, 2018; Le nuove frontiere della privacy nelle tecnologie digitali: bilanci e prospettive, a cura di Busia, Liguori e

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dell’Unione europea inaugurato nell’ultimo decennio28 e in una vera e propria strategia europea per lo sviluppo di una economia dei dati. In questo senso, è richiamabile la Comunicazione della Commissione del 10 gennaio del 201729 volta a «Costruire un’economia dei dati europei», da coordinarsi con la Comunicazione approvata lo stesso giorno30 sullo scambio e la protezione dei dati in un mondo globalizzato, in cui si legge che «Il rispetto della privacy è una condizione necessaria per flussi commerciali stabili, sicuri e competitivi a livello mondiale. La privacy non è una merce di scambio (…). Internet e la digitalizzazione dei beni e dei servizi ha trasformato l’economia globale: il trasferimento transfrontaliero di dati, compresi i dati personali, è parte dell’operatività quotidiana delle imprese europee di tutte le dimensioni e in tutti i settori. Poiché gli scambi commerciali utilizzano sempre più i flussi di dati personali, la riservatezza e la sicurezza di tali dati è diventata un fattore essenziale della fiducia dei consumatori. Ad esempio, due terzi degli europei si dichiarano preoccupati del fatto che non han-

Pollicino, Roma, 2016; Manuale di diritto alla protezione dei dati personali. La privacy dopo il Regolamento UE 2016/679, a cura di Magli, Polini e Tilli, Sant’Arcangelo di Romagna, 2017; Bernardi e Messina, Privacy e Regolamento Europeo, Milano, 2017; Stanzione, Il regolamento europeo sulla privacy: origini e ambito di applicazione, in Eur. dir. priv., 2016, p. 1249 ss.; Spina, Alla ricerca di un modello di regolazione per l’economia dei dati. Commento al regolamento (Ue) 2016/679, in Riv. regolaz. merc., 2016, p. 143 ss. 28 Comunicazione della Commissione [COM(2010) 609 final], un approccio globale alla protezione dei dati personali nell’Unione europea. Per un più ampio inquadramento precedente l’emanazione del Regolamento sulla protezione dei dati nell’ambito dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, v. Boehm, Information Sharing and Data Protection in the Area of Freedom, Security and Justice. Towards Harmonised Data Protection Principles for Information Exchange at EU-level, HeidelbergDordrecht-London-New York, 2012; European Data Protection: Coming of Age, a cura di Gutwirth, Leenes, de Hert e Poullet, Dordrecht-HeidelbergNew York-London, 2013. 29 Comunicazione della Commissione [COM (2017) 9 final] del 10 gennaio 2017. 30 Comunicazione della Commissione [COM (2017) 7 final] del 10 gennaio 2017.

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no alcun controllo sulle informazioni che forniscono online, mentre la metà degli intervistati teme di essere vittima di frode (…). Al tempo stesso, le imprese europee che operano in alcuni paesi terzi si trovano sempre più spesso a dover far fronte a restrizioni protezionistiche che non possono essere giustificate con argomentazioni legittime di tutela della sfera privata (§ 3)»31. Così come la Comunicazione sullo spazio europeo dei dati [COM (2018) 125 final del 25 aprile 2018], muovendo dalla premessa che con l’introduzione del Regolamento «l’UE ha creato una solida struttura per la fiducia digitale, un presupposto essenziale per lo sviluppo sostenibile dell’economia dei dati» e che «il regolamento generale sulla protezione dei dati garantisce un elevato livello di protezione», precisa che «gli orientamenti si fondano sui principi per la condivisione dei dati tra imprese e tra imprese e settore pubblico (…). Le misure previste interessano diverse tipologie di dati e hanno pertanto diversi livelli di intensità. Allo stesso tempo, tutte concorrono al più ampio obiettivo di riunire i dati, come fonte essenziale di innovazione e crescita, provenienti da settori, paesi e discipline diversi in uno spazio comune»32. D’altra parte, pone in primo piano la necessità di promuovere le iniziative in tema di IA nel rispetto di un ‘‘quadro etico basato sui valori dell’Unione e coerente con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea’’, prevedendosi l’elaborazione di ‘‘un progetto di orientamenti etici per l’intelligenza artificiale’’ in cooperazione con il Gruppo europeo sull’etica nelle scienze e nelle nuove tecnologie33.

Richiamandosi «a titolo di esempio, la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sul «Commercio per tutti – Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile», COM(2015) 497 final del 14 ottobre 2015, p. 8. 32 Si veda anche il Rapporto predisposto dall’OECD (Key Issues for Digital Transformation in the G20) del 12 gennaio 2017, che insiste sulla protezione dei dati dei consumatori ma anche sulla necessità di sostenere la concorrenza in un mondo globalizzato. 33 Si veda anche la Carta etica europea sull’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e in ambiti connessi, adottata dalla European Commission for the Efficiency of Justice il 3-4 dicembre 2018. 31

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Principi sostanzialmente analoghi sono contenuti anche nella Comunicazione della Commissione dell’Unione Europea del 24 giugno 202034, contenente la relazione di valutazione e riesame del GDPR in attuazione dell’art. 97 dello stesso. La disciplina è improntata ad una logica del bilanciamento, lascito di una tradizione ormai di lungo corso in seno alla Corte di Giustizia; già il considerando 435, dopo aver affermato che il trattamento dei dati dovrebbe essere «al servizio dell’uomo», testualmente prevede che «il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ottemperanza al principio di proporzionalità»36.

Relazione di valutazione e riesame del Regolamento (UE) 2016/679 [SWD(2020) 115 final], «Data protection as a pillar of citizens’ empowerment and the EU’s approach to the digital transition – two years of application of the General Data Protection Regulation». 35 «Il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell’uomo. Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità. Il presente regolamento rispetta tutti i diritti fondamentali e osserva le libertà e i principi riconosciuti dalla Carta, sanciti dai trattati, in particolare il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni, la protezione dei dati personali, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione e d’informazione, la libertà d’impresa, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, nonché la diversità culturale, religiosa e linguistica». 36 Sul punto, si veda anche Cass. 10280 del 2015, in cui si afferma che «la protezione dei dati personali non è un totem al quale possono sacrificarsi altri diritti altrettanto rilevanti sul piano costituzionale, per cui la materia va coordinata e bilanciata da un lato con le norme che tutelano altre prevalenti diritti (tra questi, interesse pubblico alla celerità, trasparenza ed efficacia dell’attività amministrativa); dall’altro, con le norme civilistiche in tema di negozi giuridici». Cfr., più recentemente, Cass. 19761 del 2017, in tema di diritto all’oblio e pubblicità in relazione al registro delle imprese, in cui si afferma che «Alla luce delle norme e dei compiti istituzionali della Camera di commercio con la tenuta del registro delle imprese è legittima, perché in linea con un obbligo legale, l’iscrizione e la conservazione nel registro delle informazioni relative alla carica di 34

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Se l’importanza e la centralità del bilanciamento emergono quindi già dalla lettura dal considerando 4, è dalla lettura attenta anche delle altre disposizioni nel loro complesso che appare come la disciplina sia orientata, nel complesso, al massimo sviluppo del mercato, in particolare di quello digitale, e alla circolazione dei dati, suo necessario presupposto, nell’ottica di garantire una ponderazione tra esigenze di protezione di quei dati e la libertà di iniziativa economica, significativamente assunti quali oggetto del Regolamento in apertura dello stesso (art. 1 par.1), facendo con ciò emergere le «due anime del GDPR»37, ovvero il diritto della persona fisica alla protezione dei dati personali da un lato, e il diritto del titolare al trattamento ed alla circolazione degli stessi, dall’altro. Viene estesa anche la nozione di dati personali, in relazione alle informazioni che identificano o rendono identificabile la persona. In generale, la definizione contenuta all’art. 4 del Regolamento38, che include appunto «qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (“interessato”); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati

socio liquidatore ricoperta in una società anche se questa è stata prima dichiarata fallita e poi cancellata dal registro delle imprese». 37 La suggestiva immagine è proposta da Zorzi Galgano, Le due anime del GDPR e la tutela del diritto alla privacy, in Persona e mercato dei dati. Riflessioni sul GDPR, a cura di Zorzi Galgano, cit., p. 35 ss. 38 Cfr. anche considerando n. 26, in cui si enuncia che per determinare se una persona sia identificabile è opportuno valutare «tutti i mezzi, come l’individuazione, di cui il titolare del trattamento o un terzo può ragionevolmente avvalersi per identificare detta persona direttamente o indirettamente», specificandosi, altresì, che gli individui potrebbero essere associati con identificativi online forniti dai loro dispositivi, come indirizzi IP, marcatori temporanei (i cc.dd. cookies) ovvero tag di identificazione a radiofrequenza (RFID tags). Sul punto, si veda anche il parere del Gruppo di Lavoro ex Articolo 29 n. 4/2007 (consultabile all’URL ec.europa.eu/justice/dataprotection/article29documentation/opinionrecommendation/ files/2007/wp136_en.pdf), la nozione di dati personali accolta dalla direttiva 95/46/CE ha generato differenti interpretazioni negli ordinamenti europei.

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relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale» – alluderebbe ad altrettanti diritti fondamentali, la cui protezione si associa a quella della protezione della persona riguardo al trattamento dei dati, come il diritto al nome e allo pseudonimo, nonché all’immagine e agli altri aspetti della identità, suscettibili di costruire l’identità digitale del soggetto quale modo di svolgimento della sua personalità39. D’altra parte, la disciplina amplia poi significativamente l’elenco di operazioni che – singolarmente o nel loro insieme, nonché compiute o meno con l’ausilio di processi automatizzati – costituiscono un trattamento di dati personali, per cui alle tradizionali attività di raccolta, registrazione, organizzazione, conservazione, elaborazione o modifica, estrazione, consultazione, impiego, comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, raffronto o interconnessione, nonché congelamento, cancellazione o distruzione, si aggiungono la strutturazione, l’uso e la limitazione40. Ma l’aspetto forse più interessante legato al tema che ci occupa è il nuovo approccio al rischio (risk oriented approach) assunto dalla disciplina, che appare tutto incentrato nella sfera del titolare del trattamento, nelle declinazioni di una maggiore proceduralizzazione degli obblighi dello stesso – secondo un modello tipicamente anglo-americano approdato anche nell’Europa continenta-

Sul punto, si tenga in considerazione la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 19 ottobre 2016, Breyer c. Germania, causa C-582, con la quale è stato ricondotto al novero dei dati personali anche l’indirizzo IP dinamico qualora il gestore del sito web visitato disponga di mezzi tecnici e giuridici per l’identificazione dei visitatori. Cfr. Merla, L’indirizzo IP dinamico quale dato personale, in Dir. inf., 2017, p. 360 ss. 40 Costituisce una novità ulteriore la definizione di «profilazione», che si riferisce a qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di essi per valutare determinati aspetti relativi ad una persona fisica, in particolare le cc.dd. analisi predittive riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti della persona interessata (art. 4.5). 39

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le – e del principio di accountability41, tradizionalmente tradotto come principio di rendicontazione, o di responsabilità42. Inseriti in un’ottica di sistema, gli obblighi previsti in capo al titolare del trattamento sono suscettibili di lettura teleologica, in funzione di protezione dei dati personali43, sicché il legislatore europeo non ha inteso meramente caricare di nuovi compiti il titolare del trattamento, ma coinvolgerlo piuttosto in un processo volto a produrre beni o erogare servizi fin dall’origine privacy oriented. Sostanzialmente, a fronte dell’inadeguatezza mostrata dall’approccio essenzialmente riparatore adottato dal sistema della direttiva precedente, la nuova disciplina accoglie un’impostazione fon-

Finocchiaro, op. ult. cit., p.3 ravvisa nel modello dell’accountability un modello alternativo a quello incentrato sul consenso, “spesso vuoto di effettivo significato, perché prestato nell’inconsapevolezza o nell’assenza di alternative praticabili”.Il termine si rinviene, tra le prime occasioni, nel corso della Conferenza Internazionale sui Garanti della Privacy e la Protezione dei Dati, tenutasi a Gerusalemme nel 2010, durante la quale The Centre for Information Policy Leadership ha presentato il documento “Demonstrating and Measuring Accountability, Accountability Phase II – The Paris Project”, risultato della deliberazione del gruppo di lavoro internazionale che si è riunito in Irlanda nel 2009 e a Parigi nel 2010. 42 È un termine che può essere tradotto in molti modi, fra cui responsabilità, affidabilità, assicurazione, obbligo di rendicontazione, attuazione dei principi concernenti il trattamento dei dati personali. Il parere 3/2010 del gruppo di lavoro articolo 29 precisa infatti che «l’architettura giuridica dei meccanismi di responsabilità prevederebbe due livelli: il primo livello sarebbe costituito da un obbligo di base vincolante per tutti responsabili (cioè il titolare) del trattamento. Tale obbligo comprenderebbe due elementi: l’attuazione di misure e procedure e la conservazione delle relative prove. Questo primo livello potrebbe essere integrato da disposizioni specifiche. Il secondo livello includerebbe sistemi di responsabilità di natura volontaria eccedenti le norme di legge minima, in relazione ai principi fondamentali di protezione dei dati (tali da fornire garanzie più elevate di quelle prescritte dalla normativa vigente) e/o intermedi modalità di attuazione di garanzia dell’efficacia delle misure (norme di attuazione) e consistente nell’obbligo di conformarsi». 43 Sia consentito rinviare a Mollo, Gli obblighi previsti in funzione di protezione dei dati personali, in Persona e mercato dei dati. Riflessioni sul GDPR, a cura di Zorzi Galgano, cit., p. 255 ss. 41

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data piuttosto su una tutela preventiva, che utilizza gli strumenti della valutazione di impatto sulla protezione dei dati personali e della privacy by design, cioè della protezione fin dalla progettazione, e della privacy by default, cioè della protezione per impostazione predefinita, anticipando la tutela del dato ad un momento anteriore al trattamento stesso e presupponendo una prova dell’attività dei titolari. Per questa via si finisce per orientare la produzione di beni e la prestazione di servizi proprio nel senso della creazione di prodotti privacy oriented, il cui vantaggio consiste nel fatto che lo strumento segue l’intera vita del prodotto del servizio, agevolando l’adeguamento da parte delle imprese ai livelli di tutela previsti dalla norma e via via sempre più richiesti e attesi dagli utenti, disvelando un’impostazione al tempo stesso preventiva44 e promozionale della nuova normativa.

4. L’impatto delle nuove tecnologie in ambito di trasporto intelligente sui diritti e le libertà delle persone Nel quadro così delineato, la probabilità che l’«uso innovativo o applicazione di nuove soluzioni tecnologiche od organizzative» comportanti nuove forme di utilizzo o raccolta di dati possa impattare – nel senso indicato dall’art. 35 GDPR – sui diritti e le libertà degli interessati cui i dati sono riferibili è rinvenibile nello specifico settore dell’automotive, in cui ci si trova ad avere oggi a disposizione una tecnologia basata su veicoli sempre più interconnessi e intelligenti: veicoli interconnessi tra di loro, veicoli connessi con

Tale prospettiva si rinviene in particolare all’art. 25 del Regolamento, che introduce le due nozioni di privacy by design e privacy by default, quali strumenti volti ad attuare i principi posti alla base della materia, di cui all’articolo 4, nati per gemmazione dal principio di necessità. In particolare, il principio di minimizzazione dei dati personali, per cui dati dovranno essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per i quali sono trattati, è richiamato espressamente nel par. 1 della norma citata che definisce la privacy by design. Si vedano, recentemente, sul punto, le Linee Guida EDPB 4/2019 Data Potection by Design and by default, adottate il 20 ottobre 2020. 44

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i devices degli utilizzatori e veicoli connessi con le centrali operative. Questo coacervo di connessioni genera una massa di dati, il cui percorso risulta complesso da tracciare (talora anche per il titolare originario) e il cui flusso diviene sempre più difficile da controllare da parte degli interessati, nell’ottica di protezione dei propri dati personali. La preoccupazione è da tempo presente in seno alle istituzioni europee, e ben delineata già dalla Strategia europea per i sistemi di trasporto intelligenti cooperativi (CITS) del 2016, di cui ha costituito una tappa importante una comunicazione della Commissione45, adottata su invito rivolto nella dichiarazione di Amsterdam del 12 dell’aprile 201646 da parte dei ministri dei trasporti europei, in considerazione anche del fatto che «in vari paesi del mondo (ad esempio Stati Uniti, Australia, Giappone, Corea e Cina) si sta passando rapidamente alla diffusione delle tecnologie digitali, e in alcuni di essi i veicoli e i servizi C-ITS sono già disponibili sul mercato», in cui si prende coscienza proprio dell’importanza che assumono «le questioni più critiche, tra cui la sicurezza informatica e la protezione dei dati (due elementi particolarmente importanti per l’accettazione da parte del pubblico)», affrontando specificamente la questione della protezione dei dati personali, avvertita come fattore determinante per la diffusione dei veicoli cooperativi, connessi e automatizzati, per cui «gli utenti devono avere la garanzia che i dati personali non sono un bene di scambio e devono sapere che possono realmente controllare le modalità e le finalità di

COM (2016) del 30.11.2016, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni «Una strategia europea per i sistemi di trasporto intelligenti cooperativi, prima tappa verso una mobilità cooperativa, connessa e automatizzata», in cui la Commissione sottolinea come siano previsti per il settore dei trasporti cambiamenti profondi, a livello globale. 46 Dichiarazione di Amsterdam in materia di cooperazione nel settore della guida connessa e automatizzata, 14 aprile 2016. Il gruppo di Amsterdam è un’alleanza tra autorità stradali (Associazione europea degli operatori di infrastrutture a pedaggio, Conferenza europea dei direttori di strade), città attive in POLIS (rete di città e regioni europee) e industria automobilistica organizzata nel consorzio di comunicazione Car2Car. 45

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utilizzo dei loro dati» e che «i dati trasmessi dai veicoli mediante i sistemi C-ITS saranno in linea di massima considerati dati personali, in quanto si riferiscono a una persona fisica identificata o identificabile». A partire da tali premesse, si renderà necessario che i sistemi siano realizzati in modo conforme al quadro giuridico in materia di protezione dei dati, con particolare riferimento alle condizioni di legittimità del trattamento (consenso o altro legittimo interesse), all’approccio privacy by design e by default di cui all’art. 25 del Regolamento, nonché agli standard di sicurezza previsti dagli artt. 32 e ss., che poggiano sul sistema di obblighi inerenti la sicurezza – ex ante ed ex post – previsti in capo al titolare del trattamento. Gli obiettivi che in sede europea ci si propone con ciò di raggiungere sono sostanzialmente i seguenti: instaurare la necessaria fiducia fra gli utilizzatori finali, ottenere l’accettazione da parte del pubblico, mantenendo un dialogo costante con le autorità europee per la protezione dei dati al fine di sviluppare un modello a livello settoriale di valutazione d’impatto sulla protezione dei dati da utilizzare per l’introduzione di nuovi servizi C-ITS, dimostrare come l’utilizzo dei dati personali possa migliorare la sicurezza e l’efficienza del sistema di trasporto, nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali, sulla considerazione che attraverso la circolazione dei dati possa realizzarsi la più sicura e libera circolazione delle persone. La questione si inscrive nel più generale interesse dell’Unione europea alle tematiche della robotica47, testimoniato anche dall’at-

Si vedano alcuni atti di fonte europea rilevanti in tema di intelligenza artificiale: Comunicazione della Commissione, Piano di coordinamento per l’IA, e Allegato, Piano coordinato per lo sviluppo e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale ‘‘Made in Europe’’, COM(2018) 795, 7 dicembre 2018; Consiglio dell’Unione europea, Conclusioni dell’11 febbraio 2019 relative al «Piano coordinato sull’intelligenza artificiale»; Risoluzione del Parlamento europeo del 12 febbraio 2019 su una politica industriale europea globale in materia di robotica e intelligenza artificiale, 2018/2088(INI). Si veda altresì, in tema, il parere adottato nel maggio 2017 dal comitato etico sociale in materia di «ricaduta dell’intelligenza artificiale sul mercato digitale, sulla produzione, sul consumo, sull’occupazione, e sulla 47

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tenzione normativa ad esse rivolte, atteso che «l’umanità si trova ora sulla soglia di un’era nella quale robot, bot, androidi e altre manifestazioni dell’intelligenza artificiale sembrano sul punto di avviare una nuova rivoluzione industriale, suscettibile di toccare tutti gli strati sociali, rendendo imprescindibile che la legislazione consideri le implicazioni e le conseguenze legali ed etiche, senza ostacolare l’innovazione» (considerando B risoluzione 2015/2103 INL). Il 19 febbraio 2020 la Commissione ha inoltre lanciato un pacchetto completo contenente le proprie idee e azioni sulla trasformazione digitale, tra cui un Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale e una strategia europea per i dati, basata su una visione specifica del futuro dei dati e dell’Intelligenza Artificiale, compresa l’aspettativa di un prossimo cambiamento di paradigma, da un ambiente dominato dal cloud a dati molto più diffusi, di modo che l’«ondata futura dei dati» rappresenti per l’Europa un’occasione unica per preparare la propria leadership nel settore. Il Libro Bianco si pone il duplice obiettivo di creare un «ecosistema di eccellenza» e un «ecosistema di fiducia» basato principalmente su un approccio c.d. “umanocentrico”48.

società» (31 maggio 2017, 2017/C 288/01), nonchè il Commission Work Programme per l’anno 2018 (24 ottobre 2017, COM (2017) 650 final). Gli interventi europei in materia, seppur al momento di carattere meramente programmatico, si inseriscono in un contesto di interesse europeo per il settore della robotica, risalente già al 2010 con il programma denominato euRobotics Coordination action, poi sostituito nel 2013 dal programma RockEU Coordination Action, volto allo studio del fenomeno della robotica integrata nel day-to-day life, nell’ambito di Horizon 2020, consultabile al sito cordis. europa.eu/project/rcn, in cui si trova pure il documento «Strategic research agenda for robotics in Europe 2014-2020». Si veda altresì, in tema, il parere adottato nel maggio 2017 dal comitato etico sociale in materia di «ricaduta dell’intelligenza artificiale sul mercato digitale, sulla produzione, sul consumo, sull’occupazione, e sulla società» (31 maggio 2017, 2017/C 288/01), nonché il Commission Work Programme per l’anno 2018 (24 ottobre 2017, COM (2017) 650 final). 48 In quest’ottica, le azioni previste per le innovazioni nel mondo dell’AI sono varie: collaborazione con gli Stati membri, concentrazione degli sforzi della comunità della ricerca e dell’innovazione, competenze,

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Emblematica di questa tendenza era però stata già la Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103 (INL))49, cui successivamente aveva fatto seguito la Risoluzione del 12 febbraio 2019 concernente una politica industriale europea globale in materia di robotica e intelligenza artificiale, con particolare riferimento ai processi decisionali automatizzati, sotto il profilo delle garanzie di tutela dei consumatori e della libera circolazione di beni e servizi. La prima delle due già dai suoi considerando iniziali, istituisce un solido collegamento tra il quadro giuridico volto a proteggere i dati personali, incardinato sul Regolamento del 2016, nel campo della robotica, laddove si afferma pure che «altri aspetti riguardanti l’accesso ai dati e la protezione dei dati personali e della privacy potrebbero ancora dover essere affrontati, dal momento che potrebbero ancora sorgere preoccupazioni in materia di privacy per quanto riguarda le applicazioni e gli apparecchi che comunicano tra di loro e con le banche dati senza l’intervento umano», nonché gli sviluppi in questi settori «dovrebbero essere pensati in modo tale da preservare la dignità, l’autonomia e l’autodeterminazione degli individui» (considerando O)50.

maggiore attenzione alle PMI, partenariato con il settore privato, promozione dell’adozione dell’AI nel settore pubblico, garanzia di accesso ai dati e alle infrastrutture di calcolo, aspetti internazionali. 49 La Commissione europea ha risposto alle osservazioni del Parlamento in un documento denominato «Follow up to the European Parliament resolution of 16 February 2017 on civil law rules on robotics», adottato il 16 maggio 2017, in cui dà atto delle raccomandazioni del Parlamento e conferma la propria disponibilità e cooperazione sul tema. A tal fine, il 9 marzo 2018 la Commissione europea ha annunciato l’istituzione di un gruppo di esperti sull’intelligenza artificiale che consigli e supporti la Commissione nelle decisioni e iniziative sul tema. 50 Già il Progetto di relazione recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015-2103 (INL) era organizzato intorno ai tre assi dei danni causati dai robot, l’aspetto etico e la tutela della privacy, che fin dalle prime battute risultava «elemento centrale e limitante del dibattito». Cfr. Zorzoza e Laukyte, Robotica e diritto: riflessioni critiche sull’ultima iniziativa di regolamentazione in Euro-

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Nell’ambito di tale documento programmatico, ricevono autonoma considerazione i mezzi di trasporto autonomo e i veicoli autonomi51, il cui impatto sulle problematiche relative ai dati, in relazione all’accesso agli stessi, al diritto alla protezione dei dati personali e privacy, nonché alla condivisione di informazioni, viene ampiamente valorizzato accanto ad altri importanti aspetti quali la responsabilità civile e le assicurazioni, la sicurezza stradale e le tematiche relative all’ambiente. Riferimenti alla protezione dei dati sono poi contenuti anche in relazione ai profili di ricerca e innovazione, per cui l’interoperabilità tra i sistemi, i dispositivi e servizi di cloud devono essere basati sulla sicurezza e sulla tutela della vita privata fin dalla progettazione (privacy by design) che siano al contempo in grado di garantire flussi di dati in tempo reale tali da consentire ai robot una maggiore flessibilità e autonomia nonché con riferimento ai principi etici, in relazione ai quali si afferma che le possibilità di realizzazione della persona derivanti dall’uso della robotica dovrebbero essere valutati anche dal punto di vista «della libertà, della vita privata, dell’integrità, la dignità, dell’autodeterminazione, della non discriminazione nonché della protezione dei dati personali». Allo stesso modo, anche nel codice etico-deontologico degli ingegneri robotici si fa riferimento ai diritti fondamentali, laddove si afferma che la ricerca nel campo della robotica dovrebbe rispettare i diritti fondamentali ed essere condotta nell’interesse del benessere e dell’autodeterminazione del singolo, della società nel suo complesso, nel quadro del pieno rispetto della dignità umana e dell’autonomia sia fisica che psicologica della persona, così come deve tenere presente il rispetto della vita privata, laddove si afferma che «il diritto alla privacy deve essere sempre rispettato», per cui un ingegnere robotico dovrebbe garantire la conservazione sicura e un utilizzo appropriato delle informazioni, garantendo altresì salvo eccezioni e consenso informato, che le persone non siano personalmente identificabili, rispettando le eventuali richieste di soppressione dei dati e della loro rimozione da qualsiasi

pa, in Contr. e impr. Eur., 2016, p. 815. 51 Punti 24-30.

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insieme di dati. Il consenso appare ancora come solida base giuridica di cui tenere conto anche nell’ambito dei trattamenti correlati alla robotica, laddove si afferma che «il consenso informato della persona deve essere richiesto e ottenuto prima di qualsiasi interazione uomo macchina. Di conseguenza, gli ingegneri robotici sono chiamati a definire e applicare le procedure per garantire il consenso valido, la riservatezza, l’anonimato, il trattamento equo (...)». In linea con questa impostazione, si colloca anche la prospettiva di sviluppo per un’intelligenza artificiale affidabile avanzata dalle linee guida espresse dalla Commissione nella comunicazione del 2019 “Creare fiducia nell’intelligenza artificiale antropocentrica”52, in cui si sottolinea la necessità di creare una strategia europea volta a garantire l’etica dell’intelligenza artificiale fondata su un approccio “umanocentrico”. Alla luce degli artt. 7 e 8 della CFDUE e dell’articolo 16 del TFUE, si esplicita la necessità che, proprio nel quadro dell’attuazione del Regolamento generale sulla protezione dei dati, vengano chiarite le norme e criteri relativi all’uso di fotocamere e sensori dei robot, auspicando altresì l’implementazione delle misure di sicurezza adeguate ai sensi dell’art. 32 del Regolamento, dei principi della privacy by design e by default, la minimizzazione dei dati e limitazione delle finalità, ponendo ancora una volta l’accento sul principio di finalità del trattamento, che nei procedimenti più complessi effettuati nell’ambito della robotica rischia la dissolvenza. Se ne ricava come la questione della privacy si ponga in termini di centralità e improcrastinabilità nell’ambito della robotica proprio in ragione dell’oggettiva diminuzione delle possibilità di controllo sui dati che da tali applicazioni deriva, a mano a mano che si compie gradualmente il passaggio da robot-prodotto a robot-agente53, stante lo sviluppo dei livelli di autonomia e di facoltà

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, COM(2019), “Creare fiducia nell’intelligenza artificiale antropocentrica”, reperibile online, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/ PDF/?uri=CELEX:52019DC0168&from=EN, p. 6. 53 Interessante sottolineare incidentalmente che la risoluzione è in52

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cognitive, che paiono preludere all’ulteriore passaggio dal “corpo elettronico“ da tutelare ad una vera e propria persona elettronica da cui tutelarsi54, fino al prospettarsi delle nuove frontiere del c.d. “transumanesimo”55.

5. E quindi quali rischi e quali tutele per la persona i cui dati sono oggetto di trattamento da parte delle smart cars? Sono proprio le due forme di connessione V2V e V2I, cui si è fatto poc’anzi riferimento, a presentare gli aspetti di criticità maggiori. Con riferimento a queste, infatti, si prospetta un rischio informatico56 correlato alle necessarie interconnessioni con le strutture esterne e al trasferimento ed alla comunicazione dei dati necessaria per l’interazione con le reti satellitari o con le altre tecnologie volte a coordinare sul territorio le informazioni, le operazioni di geo-localizzazione e gli spostamenti.

fluenzata dalla suggestione delle leggi di Asimov, esplicitamente menzionate nel considerando T, che affermano: 1) un robot non può recare danno a un essere umano e non può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2) un robot deve obbedire agli ordini impartiti degli esseri umani, purché tali ordini non contravvengono alla prima legge. 3) un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la prima o la seconda legge. 0) un robot non può recare danno all’umanità, né può permettere che a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno. Cfr. Asimov, Circolo vizioso, 1942. 54 Cfr. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano 2006, p. 87, in cui si legge che «i diritti umani non sono perduti in una eventuale transizione verso il post umano o il trans umana (…) Il diritto si affaccia su questi nuovi territori e da essi non può distogliere lo sguardo». 55 Ruffolo e Amidei, Intelligenza artificiale e diritti della persona: le froniere del “transumanesimo”, in Giur. it., 2019, p. 1658 ss., in cui si parla di “post-umanesimo” «quale anelito dell’uomo “prigioniero del proprio corpo” verso il travalicarne il limite, fino a superare la morte», mutando con ciò «le mobili frontiere di quelli che conosciamo come “diritti della persona”». 56 Per una classificazione degli attacchi alla sicurezza cfr. D’Acquisto e Naldi, op. cit., p. 191 ss.

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Nello specifico caso, sono prospettabili due segmenti di rischio ulteriori rispetto al mero malfunzionamento dovuto a vizi intrinseci del prodotto (c.d. vizi on board) e che attengono, da un lato, alla protezione dei medesimi dati da aggressioni di terzi e, dall’altro, ai malfunzionamenti dei sistemi esterni al veicolo57. A monte della gestione di tali rischi sta, da un lato, la questione dell’individuazione del titolare trattamento dei dati, dall’altro quella della qualificazione e della provenienza dei dati stessi, talora costituenti anche dati sensibili, stante la circostanza che tali tecnologie operano prevalentemente in contesti privati e sono in continuo contatto con la persona utilizzatrice. Un primo problema si pone con riferimento all’individuazione del titolare del trattamento, che potrebbero essere – di volta in volta o contemporaneamente – il produttore del veicolo, il produttore di una componente elettronica del veicolo, ovvero soggetti terzi, come ad esempio fornitori di un servizio, e anche in questo caso occorrerà chiedersi volta per volta se attualmente l’informativa sul trattamento dei dati personali sia adeguata e se il relativo consenso sia valido, da un lato, nonché se siano effettivamente rispettati i principi di finalità, necessità e proporzionalità, con la predisposizione, peraltro, di misure di sicurezza adeguate al fine di garantire la non dispersione dei dati e l’utilizzo conforme a quanto autorizzato dall’interessato o consentito dalla legge. Ma, questione ancora più delicata, quali sono i dati che possono venire in rilievo nel concreto?

Il G7 Trasporti, già nelle riunioni del 2017, ha posto l’accento sull’esigenza di conciliare la condivisione dei dati per raggiungere una maggior interazione funzionale alla sicurezza delle strade con la protezione dei diritti dell’individuo titolare dei medesimi dati. D’altro canto, anche il mercato stesso sta proponendo soluzioni per un dialogo con i regolatori: al fine di gestire più efficacemente i rischi in ottica assicurativa, con particolare riferimento alla necessità di coordinare gli obblighi in capo ai costruttori, le imprese assicuratrici hanno suggerito l’introduzione di un sistema di certificazione, mediante la predisposizione di una norma ISO262622 sui “rischi funzionali” per i veicoli autonomi e la stesura di “best practices” per ridurre i livelli di pericolosità. 57

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Si tenga in prima battuta presente la nozione molto ampia di dati elaborata dal Gruppo ex art. 29, che sottolinea come un frammento di informazione sia sempre riferito al contesto in cui si trova, e sia suscettibile esso stesso di diventare dato personale sulla base di una nozione dinamica dello stesso, a partire dal quale frammenti di informazione che inizialmente non consentano l’identificazione diretta della persona cui si riferiscono, associate ad altre informazioni consentono di identificare l’interessato, in modo da configurarsi come indirettamente identificative. I dati potrebbero provenire dal veicolo autonomo (vehicle generated data), prodotti dal veicolo stesso, che si distinguono in dati personali o semplici dati tecnici (technical data). Adottando un’impostazione restrittiva e più tutelante della privacy, rientrerebbero nella categoria di technical data solo quei dati che non possono essere in alcun modo ricollegati all’utente, mentre in tutti gli altri casi si tratterebbe, in via residuale, di dati personali o sensibili. In questo senso può argomentarsi che anche il dato tecnico relativo ai livelli di specifiche componenti del motore del veicolo può diventare un dato personale se è collegabile con un utente specifico, in quanto consente di giungere per via deduttiva a informazioni attinenti la sua sfera personale; appare in questo senso quindi difficile tracciare con nettezza una linea di demarcazione tra dati personali e dati non personali. Le informazioni collegate con dati personali sono essi stessi dati personali, atteso che attraverso l’individuazione di un doppio collegamento, tra identificativo e persona fisica e tra identificativo e contenuto informativo, ogni successiva informazione o contenuto collegati con un’informazione-identificativo è suscettibile di divenire a sua volta dato personale, arricchendo di elementi conoscitivi il dato di partenza58.

Cfr. Gruppo ex art. 29, Opinion 4/2007 on the concept of personal data, adottato il 20 giugno 2007, p. 10, in cui si afferma che «in alcune circostanze, l’informazione meriterebbe di essere considerata anche come dato personale (…) Da questo punto di vista l’informazione costituisce il personale». Sul punto, Il regolamento privacy europeo: commentario alla nuova disciplina sulla protezione dei dati personali, a cura di Bolognini, Pelino e Bistolfi, Milano, 2016, p. 55. 58

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Neppure l’anonimizzazione dei dati preserverebbe del tutto dalla classificazione: anche quando i cookies sono disabilitati e la navigazione web è anonima, lasciando tracce che sono a tutti gli effetti “impronte digitali”, la cui elaborazione e arricchimento potrebbero essere correlati a uno o più identificatori di dispositivi, piuttosto che al proprietario o all’utilizzatore, eludendo la normativa sulla protezione dei dati personali; fenomeno destinato a crescere, con l’implementazione dell’Internet of things, tanto che l’identificazione personale effettiva come requisito per individuare i soggetti sta diventando irrilevante nella società della classificazione, grazie all’emergere di cluster di dati collegati a cose piuttosto che a individui59. Quindi, se i dati sono personali, il collegamento con il soggetto cui si riferiscono i dati consente di individuare l’interessato, al quale spettano i diritti in funzione di protezione dei dati personali previsti dal Regolamento; laddove invece i vehicle generated data non costituiscano dati personali ma meri dati tecnici, occorrerà individuarne un titolare e la normativa applicabile, trattandosi di dati che esulano dall’applicazione del GDPR (in quanto non di carattere personale), con riferimento ai quali, è già presente nelle strategie dell’Unione60 l’introduzione di una futura normativa regolamentare ad hoc, in cui sono destinati a rientrare i dati generati dall’ Internet of Things e dall’ Intelligenza artificiale, che costituiscono nuovi dati, caratterizzati da novelty. I dati possono poi derivare dall’utente stesso (customer provided data) e riguardare, ad esempio, la localizzazione dell’autoveicolo e dei suoi passeggeri, i tragitti percorsi e le informazioni derivanti dalla sincronizzazione del cellulare degli utenti a bordo con l’auto connessa; in tal caso si tratterà di dati personali del proprietario del veicolo, del conducente del veicolo ovvero di eventuali passeggeri a bordo dello stesso, quindi l’ interessato del trattamento - che deve fornire il consenso per il trattamento dei suoi dati personali - può essere il proprietario del veicolo, il conducente

Pasquale, The Black Box Society. The secret Algorithms That Control Money and Information, Cambridge-London, 2015, pp. 15 e ss. 60 Cfr. COM 2018/37, p. 11. 59

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ovvero un passeggero. In quest’ultimo caso, in particolare, potrebbe essere problematico individuare una base giuridica del trattamento dei dati, non essendo pacificamente rinvenibile nella mera accettazione della condizione di passeggero anche un consenso al trattamento dei propri dati personali, né sussistendo in linea di principio altri legittimi interessi in relazione allo stesso. Già a partire da queste considerazioni emerge la complessità del fenomeno con riferimento alla tutela delle persone fisiche i cui dati siano coinvolti nei trattamenti presupposti dai sistemi di trasporto intelligente, nonché l’indifferibilità e l’urgenza di una riflessione seria in funzione di tutela degli stessi, che risulti compatibile con l’implementazione di un settore strategico per il mercato europeo come quello in esame.

6. Conclusioni Deve in effetti sottolinearsi come le ragioni di mercato non costituiscano oggi più la (sola) prospettiva privilegiata dell’azione dell’Unione europea. Se è vero che in origine il trattato istitutivo della Comunità Economica Europea non conteneva alcun riferimento alla tutela dei diritti fondamentali, in linea con l’originaria «impostazione economica» connaturata alla stessa, orientata teleologicamente alla creazione di un mercato unico europeo61, nell’ultimo ventennio almeno si è assistito ad un vero e proprio passaggio «dall’Europa dei mercati all’Europa dei diritti», sospinta in tal senso dall’attività interpretativa della Corte di Giustizia, sempre più attenta alle declinazioni dei diritti della persona. Seguendo questa «lunga marcia dei diritti»62, la persona è posta oggi al centro dell’azione dell’Unione, qualificante della citta-

Gianniti, Rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento dell’unione, in I diritti fondamentali dell’Unione Europea. La carta di Nizza dopo il trattato di Lisbona, a cura di Gianniti, in Commentario del codice civile e codice collegati Scialoja- Branca- Galgano, p. 55. Si veda anche Tesauro, Alcune riflessioni sul ruolo della Corte di giustizia nell’evoluzione dell’Unione europea, in Dir. UE, 2013, p. 484. 62 Per tale espressione, si veda Vettori, La lunga marcia dei diritti, in 61

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dinanza e dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che la stessa mira a promuovere e garantire; lo stesso sviluppo equilibrato e sostenibile inteso ad assicurare la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, in cui la libertà di stabilimento diviene quindi, al contempo condizionato dalla e orientato alla tutela della persona, in un sistema virtuoso circolare. Per questa via, i diritti fondamentali hanno fatto breccia nell’ordinamento dell’Unione, di modo che, «come per la circolazione dei cittadini europei, anche per i diritti individuali le frontiere nazionali sono state gradualmente smantellate»63 I diritti fondamentali, sempre più «presi sul serio»64, non sono più quindi soltanto qualcosa che «sta fuori» dall’ordinamento giuridico dell’Unione e che questa è tenuta solo a rispettare, bensì sono ora qualcosa che «sta dentro» l’ordinamento dell’Unione e che questa deve tutelare come suo precipuo compito, presupposto indispensabile, anzi, della sua stessa legittimità65. Alla luce di ciò, nello specifico settore di cui ci si occupa in questa sede, occorrerebbe una chiara elaborazione della nozione di spiegabilità declinata con riferimento agli algoritmi e ai meccanismi predittivi applicati, nonché una calibrazione degli obblighi verso la platea di utenti, in base anche alla tipologia degli stessi. Sotto questo profilo, nel quadro di un dialogo collaborativo, gli organismi di regolamentazione coinvolti e le istituzioni in genere dovranno stabilire chiari quadri di riferimento per l’innovazione, incentivando il ricorso a regulatory sandbox, anche nell’ottica di

Riv. crit. dir. priv., 2007, p. 5 ss.; nonché Id., La lunga marcia della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in I diritti fondamentali in Europa, a cura di Paciotti, Roma, 2011, p. 41 ss. 63 Cartabia, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona: verso nuovi equilibri, in Il trattato di Lisbona, 13 dicembre 2007, ratificato con legge 2 agosto 2008 numero 130, in Giorn. dir. amm., 2010, p. 21. 64 Dworkin, I diritti presi sul serio, Bologna, 2010. 65 Cfr. Manzella, Dal mercato ai diritti, in Riscrivere i diritti in Europa. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a cura di Manzella, Melograni, Paciotti e Rodotà, Bologna, 2001, p. 33. Sul punto, si veda anche Alpa, I “principi fondamentali” e l’armonizzazione del diritto contrattuale europeo, in Contr. e impr., 2013, 4-5, p. 825-838.

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sostenere le realtà che stanno sviluppando prodotti e servizi che utilizzano i dati in modo innovativo, al fine di garantire un ambiente di prova sicuro e protetto e promuovere un approccio privacy by design e by default. Più in generale, in questa prospettiva che valorizza la centralità della persona e privilegia i diritti della stessa, è auspicabile quindi uno sviluppo sostenibile dell’intelligenza artificiale, in tutte le sue declinazioni, che contemperi le ragioni del mercato e la tutela della persona, in bilanciamento tra loro.

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La nuova proposta di Direttiva sul credito al consumo: la sfida dell’Unione Europea per garantire maggiore tutela ai consumatori Giulia Rossi

Sommario: 1. Inquadramento generale. – 2. Il senso di una nuova Direttiva di armonizzazione massima. – 3. Le novità della Proposta.

Abstract With a view to strengthening consumer protection, the European Commission has proposed to revise the Directive 2008/48 / EC on Consumer Credit, to make it more in line with the new phenomena that have hit the market: digitization and the COVID-19 pandemic. The Proposal, in particular, intends to intervene on the profile of consumer information, ensuring that it is always provided in a clear and adequate manner to the new digital media in use, as well as on that of the assessment of creditworthiness in order to stem the phenomenon of excessive debt. The intervention then represents an opportunity to correct some critical issues that Directive 2008/48 / EC had shown, for example in terms of maximum harmonization.

1. Inquadramento generale Il 30 giugno 2021 è stata pubblicata la Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa ai crediti al consu-

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mo1, che intende abrogare la precedente Direttiva 2008/48/CE sul credito al consumo2 già modificata più volte nel corso del tempo3. La Direttiva del 2008, del resto, pur avendo dato buona prova di sé sotto molteplici profili, non pare più ideona a fronteggiare le nuove sfide che si stanno profilando negli ultimi anni a seguito di due fenomeni importanti: da una parte la digitalizzazione del mercato che ha profondamente modificato il processo decisionale e le abitudini dei consumatori, desiderosi oggi di un processo più agevole e rapido per ottenere il credito anche on line4; dall’altro,

Ad oggi non esistono pubblicazioni di commento alla Proposta di Direttiva COM(2021) 347 final 2021/0171 (COD), essendo la stessa di recentissima pubblicazione: cfr. il sito dell’Unione europea https://eur-lex. europa.eu. Detta Proposta si affianca a quella messa a punto in tema di sicurezza dei prodotti (con la modifica della relativa Direttiva). Entrambe le Proposte rientrano nell’ambito della nuova agenda dei consumatori, varata lo scorso anno e volta ad aggiornare il quadro strategico generale della politica dei consumatori dell’UE. 2 Per alcune indicazioni bibliografiche sulla dir. 2008/48/CE, tra i tanti, si ved. Tommaso, La nuova disciplina dei contratti di credito «al consumo» nella direttiva 2008/48/CE, in Giur. it., 2010, 1, p. 223; Costa, La nuova disciplina del credito ai consumatori, in Contr. e impr./Europa, 2011, 2, p. 262; De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione «completa» delle disposizioni nazionali concernenti «taluni aspetti» dei «contratti di credito ai consumatori», in Riv. dir. civ., 2008, p. 255; Lucati, Credito al consumo: novità a tutela dei consumatori, in Resp. civ. prev., 2007, p. 860; Vandone, Il credito al consumo in Europa: mercati, intermediari e consumatori, Torino, 2008; Modica, Il contratto di credito ai consumatori nella nuova disciplina comunitaria, in Eur. dir. priv., 2009, 3, p. 849; Rescigno, Il credito al consumo: Introduzione; Febbrajo, La nuova disciplina dei contratti di credito «al consumo» nella direttiva 2008/48/ CE; Calvo, Recesso del creditore, mutuo di scopo e collegamento negoziale; Di Donna, La disciplina degli obblighi informativi precontrattuali nella direttiva sul credito al consumo, tutti in Giur. it., 2010, p. 223; Indraccolo, Credito al consumo e principio di protezione effettiva del contraente debole - Prime considerazioni sulla dir. 2008/48/ CE, in Rass. dir. civ., 2010, p. 267. 3 La dir. 2008/48/CE aveva già subito 4 modifiche rispettivamente nel 2011, 2014, 2016 e 2019: dalla dir. 2011/90/UE; dalla dir. 2014/17/ UE; dal Reg. (UE) 2016/1011 e dal Reg. (UE) 2019/1243. 4 Basterà evocare alla mente i nuovi operatori del mercato quali le piattaforme di prestito peer to peer che offrono contratti di credito in vari modi. 1

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la crisi legata alla pandemia COVID-19 e le conseguenti misure di confinamento che hanno perturbato l’economia dell’UE e hanno avuto un impatto significativo sul mercato del credito e sui consumatori, rendendo molte famiglie finanziariamente più vulnerabili e, dunque, più bisognose di tutela5. Non a caso, nel programma di lavoro per il 2020, la Commissione aveva già annunciato un riesame della Direttiva sul credito al consumo del 20086. Detto programma, faceva seguito ad una valutazione effettuata dalla Commissione rispettivamente nel 2014 e nel 20207.

Cfr. la Relazione di accompagnamento alla proposta di Direttiva, pubblicata sul sito dell’Unione Europea, secondo la quale la crisi legata alla pandemia COVID-19 ha portato gli Stati membri ad adottare una serie di misure di sgravio volte ad alleviare l’onere finanziario dei cittadini e delle famiglie, come le moratorie sul rimborso dei prestiti che sono state generalmente estese al credito al consumo. 6 Il 27 maggio 2020 la Commissione europea – contestualmente all’adozione del piano della ripresa europea (Il momento dell’Europa: riparare i danni e preparare il futuro per la prossima generazione, COM(2020)456), che comprendeva un nuovo strumento per la ripresa nell’ambito del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 – ha presentato il programma di lavoro adattato per il 2020 (COM(2020)440), il quale apporta alcune modifiche al programma già adottato il 29 gennaio 2020, in primo luogo intervenendo sulla scansione temporale di alcune delle iniziative preannunciate, alla luce del mutato contesto prodottosi nell’UE in conseguenza della crisi per la pandemia del Covid-19. Si ricorda che è la prima volta che un programma di lavoro annuale della Commissione europea viene modificato. 7 cfr. Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione della dir. 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito ai consumatori del 14 maggio 2014, COM(2014) 259 final; cfr. Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione della dir. 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito ai consumatori del 5 novembre 2020, COM (2020) 963 final. A queste Relazioni ha fatto seguito la valutazione REFIT 2018-2019, per la quale sono stati consultati i portatori di interessi, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2020 in un documento denominato Valutazione della dir. 2008/48/Ce, Bruxelles, 5 novembre 2020, SWD(2020)254 final. La Commissione si è inoltre basata su una serie di studi e perizie su questioni relative alla concessione e assunzione responsabile di prestiti 5

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La seconda di queste due valutazioni veniva riportata in una Relazione che sottolineava, in particolare, come i risultati della Direttiva del 2008 fossero in linea con gli obiettivi prefissati i quali, a loro volta, apparivano ancora pertinenti: si era raggiunto un buon livello di protezione dei consumatori e si era dato vita ad un mercato interno ben funzionante. Tuttavia, la stessa Direttiva sembrava ora scarsamente efficace sotto altri profili, alcuni dei quali legati alla stessa formulazione del testo8, ed altri invece legati a fattori esterni quali la sua applicazione ed esecuzione negli Stati membri9. Alla luce di queste considerazioni si erano prospettate varie soluzioni al fine di apportare un intervento correttivo in materia10, ma l’opzione migliore appariva certamente quella di riformulare in modo radicale il testo della direttiva per includervi nuove disposizioni in linea con il diritto UE esistente.

(cfr. ICF, Study on possible impacts of a revision of the CCD, 2021; ICF, Evaluation of Directive 2008/48/EC on credit agreements for consumers, 2020); nonché sullo studio comportamentale LE Europe et al. sulla digitalizzazione della commercializzazione e della vendita a distanza di servizi finanziari al dettaglio (2019); sullo studio CIVIC sulla quantificazione del danno ai consumatori nell’Unione europea (2017); e infine sullo studio CIVIC sull’eccessivo indebitamento delle famiglie europee (2013). 8 Le carenze interne della dir. 2008/48/Ce spaziano dal suo campo di applicazione, alle definizioni in essa contenute, agli obblighi di informazione non idonei ai media digitali, alla mancanza di chiarezza nelle disposizioni in materia di valutazione del merito creditizio con conseguente insufficienza a livello di protezione dei consumatori. 9 In particolare, ciò che colpiva erano le significative differenze di applicazione riscontrate tra Stato e Stato a fronte di una Direttiva che si era professata di armonizzazione massima. Gli estremi margini di discrezionalità lasciati ai legislatori nazionali, le definizioni poche chiare e di facile ampia interpretazione, i vuoti di disciplina su alcuni settori e la carenza totale di intervento su aspetti che nel tempo sono diventati determinanti (come i finanziamenti on line), generavano una inadeguatezza sostanziale della disciplina contenuta nella Direttiva. 10 Le opzioni valutate spaziavano da uno scenario a politiche invariate ad un intervento non normativo, fino ad arrivare ad una modifica mirata della direttiva volta a rendere le sue attuali disposizioni più chiare ed efficaci.

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Gli Stati membri, del resto, manifestavano ampio favore ad una modifica legislativa completa, al fine di mantenere inalterato e, anzi, ove possibile rafforzare l’armonizzazione delle norme sul credito ai consumatori e potenziare la parità di condizioni tra gli Stati nazionali riducendo la frammentazione dell’attuale quadro giuridico. L’opzione prescelta, peraltro, avrebbe potuto garantire una riduzione del danno per i consumatori di circa 2 miliardi di euro nel periodo 2021-2030; avrebbe reso più praticabile l’apposizione di misure volte a prevenire e affrontare l’eccessivo indebitamento, migliorando in tal modo l’inclusione sociale; avrebbe semplificato alcuni requisiti in materia di informazione adeguandoli all’uso digitale nonché, infine, avrebbe introdotto misure di tolleranza e servizi di consulenza in materia di debito. Ecco la ragione per la quale la Proposta è stata accolta con grande entusiasmo.

2. Il senso di una nuova Direttiva di armonizzazione massima Come preannunciato, la scelta di adottare una nuova Direttiva muove dalla volontà di garantire la piena armonizzazione delle disposizioni di nuova introduzione, correggendo le distorsioni emerse, sotto questo profilo, dall’adozione della precedente dir. 2008/48/CE11. L’insuccesso della dir. 2008/48/CE sotto il profilo

In generale, sulla funzione delle direttive di armonizzazione piena si ved. Wilhelmssont, Un’armonizzazione completa del diritto del consumatore?, in Riv. crit. dir. priv., 2008, p. 605; Meli, Armonizzazione del diritto contrattuale europeo e quadro comune di riferimento, in Eur. dir. priv., 2008, p. 59; v. anche il contributo di Alpa, La codificazione del diritto dei consumatori. Aspetti di diritto comparato, in Nuova giur. civ., 2009, II, p. 249, il quale rileva che il diritto dei consumatori si è trasformato da un sistema aperto in un sistema chiuso: le direttive più recenti, dettagliate e precise, sono rivolte all’armonizzazione massima e, in rapporto ad esse, la stessa Corte di Giustizia, nelle sue decisioni, ha limitato la possibilità dei legislatori nazionali di andare al di là del livello di protezione posto dalle direttive: l’omogeneità prevale sulla creatività. 11

Si ricorda, invece, che la dir. 87/102/Cee sul credito al consumo aveva optato

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dell’uniformità normativa, del resto, era parso ormai evidente fin dalle sue prime applicazioni. Basterà pensare al tema del collegamento contrattuale, in relazione al quale la dir. 2008/48/CE aveva previsto che gli Stati membri stabilissero «in che misura e a quali condizioni» poter esperire i rimedi di cui all’art. 15 (in sostanza, l’azione del consumatore nei confronti del creditore); essa aveva autorizzato altresì gli Stati membri (considerando n. 10) ad includere nell’ambito di applicazione delle disposizioni di attuazione dell’art. 15, fattispecie diverse ed ulteriori rispetto a quelle indicate nella lett. n) dell’art. 3 della dir., consentendo con ciò di ampliare la portata della normativa; essa, infine, aveva consentito ai vari Stati membri (art. 15, par. 3) di conservare o introdurre disposizioni che imponessero al creditore di rispondere in solido con il venditore – e non solo in via sussidiaria – di tutti gli obblighi su quest’ultimo gravanti nei confronti del consumatore, in virtù del contratto di fornitura collegato con quello di credito. Così procedendo, però, si creavano significative distanze tra i sistemi nazionali in base all’approccio interpretativo ed applicativo12.

per una armonizzazione minima che alla lunga, aveva rappresentato un freno allo sviluppo del mercato creditizio. Sotto il profilo della tutela del consumatore, del resto, basterà pensare che gli Stati membri, nel corso del tempo, avevano finito per utilizzare una serie di meccanismi di tutela dei consumatori aggiuntivi rispetto alle norme europee, in ragione delle diverse situazioni economiche o giuridiche a livello nazionale, e ciò aveva determinato delle distorsioni significative della concorrenza tra i creditori all’interno della Comunità e aveva frapposto degli ostacoli al libero esercizio del mercato, che si ripercuotevano sulla domanda di merci e servizi. Uscire, pertanto, dal concetto di armonizzazione minima era parsa una scelta ottimale e funzionale agli obiettivi da raggiungere. In argomento cfr. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione «completa» delle disposizioni nazionali concernenti «taluni aspetti» dei «contratti di credito ai consumatori», in Riv. dir. civ., 2008, p. 255.

Basti pensare, infatti, che in Germania il cd. Wirtschaftliche Einheit previsto già nel § 358 BGB dopo la riforma del 1990, è rimasto nel sistema tedesco anche dopo l’attuazione della direttiva sul credito al consumo. La traduzione letterale, esprimerebbe un concetto in parte differente, perché più complesso, di quello che viene indicato con la semplice espressione «unità economica» e che viene richiesto per rilevare l’esistenza di un collegamento contrattuale nel credito al consumo. Il sistema italiano (e an12

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Ma non solo. Altri erano i campi in cui si era notato questa eccessiva discrezionalità13: ad esempio in tema di sanzioni, in cui la libertà lasciata agli Stati membri di individuare le sanzioni, per tipo ed entità, applicabili in caso di violazione delle norme nazionali introdotte a seguito dell’adozione della direttiva, implicava una differenziazione da Stato a Stato ancora troppo marcata ed evidente; oppure in merito al campo di applicazione della stessa Direttiva, giacché nei campi non toccati dalla Direttiva si creava inevitabilmente un vuoto normativo colmabile autonomamente da parte di ogni singolo legislatore nazionale che tuttavia, trattandosi spesso di fattispecie comunque rientranti nella materia creditizia, frammentavano il quadro normativo generale minando la certezza e l’affidamento nel buon funzionamento del mercato. Orbene, sotto questo profilo, l’unico senso logico della scelta di sostituire una direttiva di armonizzazione massima con una successiva di identica natura, potrebbe risiedere nella consapevolezza del suo fallimento. Non è un caso che il considerando 5 della

che quello inglese), invece, hanno preferito adottare l’espressione «unità commerciale» che implica una delimitazione più ristretta della stessa disciplina sul collegamento. Il risultato è stata un’evidente distanza tra i vari ordinamenti in argomento. 13 In sostanza, non si poteva fare a meno di evidenziare numerose deroghe al modello di armonizzazione massima previste dalla dir. 2008/48/ CE, le quali peraltro apparivano di gran lunga maggiori di quelle previste da altre direttive (come ad es. la dir. sulle pratiche commerciali sleali 2005/ 29/CE). Tale assunto sembrava derivare dal fatto che per materie «non armonizzate» la direttiva intendesse tutti quei conflitti specifici che, pur rientrando all’interno del complessivo macroconflitto regolato, non fossero stati oggetto di espresso intervento da parte del legislatore comunitario. Cfr. Considerando n. 9 nel quale si indicano a titolo esemplificativo i vari interventi consentiti ai legislatori degli Stati membri e Considerando n. 17. In dottrina, v. Maugeri e Pagliantini, Il credito ai consumatori. I rimedi nella ricostruzione degli organi giudicanti, in Quaderni di Banca, borsa e tit. cred., Milano, 2013, 37, p. 3. Sui vincoli che discendono da una direttiva di armonizzazione massima per gli Stati membri si v. Corte UE, causa C-540/08. Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo del 20 novembre 2012 sull’attuazione della dir. 2008/48/CE (2012/2037(INI), lett. d), la quale prende atto del fallimento della direttiva sotto il profilo dell’armonizzazione piena.

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Proposta parta dalla constatazione che «La formulazione imprecisa di determinate disposizioni della direttiva 2008/48/CE, (…) ha consentito agli Stati membri di adottare disposizioni divergenti che vanno al di là di quelle previste in tale direttiva, e ha determinato la frammentazione del quadro normativo nell’Unione per quanto riguarda una serie di aspetti del credito al consumo». Nel considerando 6, poi, si prosegue rilevando che «Lo stato di fatto e di diritto risultante da tali disparità nazionali in taluni casi comporta distorsioni della concorrenza tra i creditori all’interno dell’Unione e fa sorgere ostacoli nel mercato interno. Tale situazione limita le possibilità per i consumatori di beneficiare della crescente offerta di credito transfrontaliero, di cui si prevede un ulteriore incremento in virtù della digitalizzazione. Tali distorsioni e restrizioni possono a loro volta avere conseguenze in termini di riduzione della domanda di merci e servizi. La situazione determina inoltre un livello tutela per i consumatori nell’Unione inadeguato e non uniforme». Ma vi è di più. Al di là delle lacune che la dir. 2008/48/CE aveva mostrato, si era riscontrato anche un andamento del mercato verso i servizi on line e il credito digitale che, a sua volta, avevano finito per delineare scenari non previsti al tempo dell’adozione della Direttiva in parola. I rapidi sviluppi tecnologici registrati dalla direttiva del 2008 hanno difatti apportato cambiamenti significativi al mercato del credito ai consumatori, sia sul versante dell’offerta che su quello della domanda, come la comparsa di nuovi prodotti e l’evoluzione del comportamento e delle preferenze del consumatore14. Proprio per il fatto che tale forma di mercato digitale non fosse stato neppure ipotizzato al tempo dell’adozione della Direttiva 2008/48/Ce, gli Stati membri si erano sentiti liberi di regolare dette zone d’ombra senza alcun criterio di coordinamento e uniformità, continuando a peggiorare la distanza normativa esistente tra le varie legislazioni in materia. Così, il nuovo art. 1 della futura Direttiva nel sancire l’obiettivo dell’intervento normativo, estende fin da subito il suo campo d’azione anche ai servizi di crowdfuning15. Non solo, il successivo

14 15

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Cfr. considerando 4 della Proposta di Direttiva. La pratica del crowdfunding quale forma di microfinanziamento an-


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art. 2, in tema di ambito di applicazione, estende la sua efficacia a prodotti di credito prima esclusi, nonché a quelli nuovi ed inediti, comparsi nell’ambiente on-line che avevano creato incertezza nel diritto proprio per quel che riguardava l’applicazione della dir. 2008/48/CE16: l’ambito di applicazione della nuova direttiva do-

che per i consumatori rappresenta un tipo di intermediazione sempre più importante in cui il fornitore di servizi di crowdfunding, senza assumere a proprio titolo alcun rischio, gestisce una piattaforma digitale aperta al pubblico per realizzare o facilitare l’abbinamento tra potenziali investitori o erogatori di prestiti e soggetti che cercano finanziamenti. Tali finanziamenti potrebbero assumere la forma di prestiti o di emissione di valori mobiliari o di altri strumenti ammessi a fini di crowdfunding. I siti web fanno da piattaforma e permettono ai fundraiser di incontrare un ampio pubblico di potenziali finanziatori. Il crowdfundig è un particolare tipo di finanziamento collettivo che, «sfruttando le potenzialità di Internet, consente a coloro che hanno idee o delle necessità, ma – rispettivamente – non i fondi per realizzarle o soddisfarle, di provare ad accedere a risorse economiche di terzi, partendo da quelle di parenti e amici (family and friends) nella speranza di attrarre anche quelle – molto più ingenti – della folla (crowd) che popola il mondo online, la quale (fools), fidandosi dei meccanismi di feedback che si generano tra gli utenti – come discriminante per la validità e la fattibilità di un progetto –, è disposta a finanziare un numero crescente di idee (bisogni) (…). In questo modo, chiunque può, potenzialmente, accedere ad un vero e proprio finanziamento della folla». In argomento cfr. Cfr. Quaranta, Crowdfunding. Il finanziamento della folla o dei folli?, in Diritto ed Economia dell’Impresa, 2016, 5, p. 241; Id., Equity crowdfunding. Uno sguardo al mercato italiano, in ivi, 2018, p. 790 ss. Più in generale su questo fenomeno v. Messina, Crowdfunding e finanza alternativa, in Foro it., 2019, 11, p. 465-471; Policaro, Equity crowdfunding e s.r.l. aperte. Un cambio di paradigma nel nostro ordinamento, in Il diritto dell’economia, 2019, 3, p. 243-266; Mozzarelli, L’equity crowdfunding in Italia. Dati empirici, rischi e strategie, in Banca, borsa e tit. di credito., 2019, 5, p. 650-688; Laudonio, Equity-based crowdfunding: la protezione degli investitori nel prisma delle legislazioni europee e latino-americane, in Rivista delle società, 2019, 5-6, p. 1237-1295. 16 Ricordiamo, in argomento, le parole di De Cristofaro, «La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario», in Contratti, 2010, p. 1050, ancora attuali: «La disciplina del credito al consumo rimane pertanto una disciplina transtipica, destinata cioè a trovare applicazione ad una vasta categoria di operazioni negoziali, comprensiva di una pluralità di differenti tipologie di contratti e pattuizioni

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(mutui, aperture di credito, leasing finanziario, etc.) il cui comune denominatore è rappresentato dalla causa di finanziamento». Si riporta testualmente il testo dell’art. 2 della Proposta: «La presente direttiva si applica ai contratti di credito. Gli articoli 1, 2 e 3, da 5 a 10, da 12 a 23, 26, 27 e 28, da 30 a 33, 37 e da 39 e 50 si applicano anche ai servizi di credito tramite crowdfunding che non siano forniti da un creditore o da un intermediario del credito. 2. La presente direttiva non si applica ai: (a) contratti di credito garantiti da un’ipoteca o da un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali o da un diritto connesso ai beni immobili residenziali; (b) contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o un immobile costruito o progettato; (c) contratti di credito per un importo totale del credito superiore a 100 000 EUR; (d) contratti di credito mediante i quali i datori di lavoro, al di fuori della loro attività principale, concedono ai dipendenti crediti senza interessi od offerti a tassi annui effettivi globali che sono inferiori a quelli prevalenti sul mercato, purché tali crediti non siano offerti al pubblico; (e) contratti di credito conclusi con imprese di investimento quali definite dall’articolo 4, paragrafo 1, punto 1), della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio o con enti creditizi quali definiti dall’articolo 4, paragrafo1, punto1), del regolamento (UE) n.575/2013 del Parlamento (f) contratti di credito risultanti da un accordo raggiunto dinanzi a un giudice o a un’altra autorità prevista dalla legge; (g) contratti di credito relativi alla dilazione, senza spese, del pagamento di un debito esistente; (h) contratti di credito nel cui ambito il consumatore è tenuto a depositare presso il creditore un bene a titolo di garanzia e la responsabilità del consumatore è limitata esclusivamente al bene depositato; (i) contratti di credito relativi a prestiti concessi a un pubblico ristretto in base a disposizioni di legge con finalità di interesse generale, e a tassi inferiori a quelli prevalenti sul mercato, o senza interessi, o ad altre condizioni più favorevoli per il consumatore rispetto a quelle prevalenti sul mercato. (j) ai contratti di credito in corso al [UP: inserire come data sei mesi dal termine di recepimento]; tuttavia, gli articoli 23 e 24, l’articolo 25, paragrafo 1, seconda frase, l’articolo 25, paragrafo 2 e gli articoli 28 e 39 si applicano a tutti i contratti di credito a durata indeterminata in corso al [UP: inserire come data sei mesi dal termine di recepimento]. In deroga al paragrafo 2, lettera c), la presente direttiva si applica ai contratti di credito non garantiti che comportano un importo totale del credito superiore a 100 000 EUR, che siano finalizzati alla ristrutturazione di un bene immobile residenziale. Ai contratti di credito sotto forma di sconfinamento si applicano soltanto gli articoli 1, 2, e 3, l’articolo 25, e gli articoli da 41 a 50. Gli Stati membri possono stabilire che soltanto gli articoli 1, 2, e 3, gli articoli 7 e 8, l’articolo 11, l’articolo 19, l’articolo 20, l’articolo 21, paragrafo 1, lettere da a) a h)

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vrebbe così estendersi ai contratti di leasing, ai contratti di credito nella forma di concessione di scoperto da rimborsarsi entro un mese; ai contratti di credito che non prevedono il pagamento di interessi o altre spese, compresi i sistemi “Compra ora, paghi dopo”, ossia ai nuovi strumenti finanziari digitali che consentono ai consumatori di effettuare acquisti e di saldarli col tempo, e ai contratti di credito in forza dei quali il credito deve essere rimborsato

e l), l’articolo 21, paragrafo 3, l’articolo 23, l’articolo 25 e gli articoli da 28 a 51 si applichino ai contratti di credito stipulati da un’organizzazione alla quale possono aderire in qualità di membri soltanto le persone che risiedono o che lavorano come dipendenti in una zona determinata o i dipendenti, in attività o in pensione, di un determinato datore di lavoro, o le persone che soddisfano altri criteri fissati dalla legislazione nazionale quale condizione per l’esistenza di un vincolo comune fra i membri, e che soddisfi tutte le seguenti condizioni: (a) è istituita per il reciproco vantaggio dei suoi membri; (b) non realizza profitti per persone che non siano i suoi membri; (c) persegue una finalità sociale in virtù del diritto nazionale; (d) riceve e gestisce i risparmi dei suoi soli membri e fornisce fonti di credito solo ai suoi membri; (e) fornisce credito sulla base di un tasso annuo effettivo globale che è inferiore a quello prevalente sul mercato o che è soggetto ad un limite massimo fissato dalla legislazione nazionale. Gli Stati membri possono esentare dall’applicazione della presente direttiva i contratti di credito stipulati da un’organizzazione di cui al primo comma qualora il valore complessivo di tutti i contratti di credito esistenti conclusi da tale organizzazione sia trascurabile rispetto al valore complessivo di tutti i contratti di credito esistenti nello Stato membro in cui l’organizzazione è stabilita, e il valore complessivo di tutti i contratti di credito esistenti conclusi dall’insieme di siffatte organizzazioni nello Stato membro sia inferiore all’1 % del valore complessivo di tutti i contratti di credito esistenti conclusi in detto Stato membro. Gli Stati membri riesaminano ogni anno se ricorrono sempre le condizioni di applicazione dell’esenzione di cui al secondo comma e adottano le misure del caso per revocare l’esenzione qualora ritengano che le condizioni non siano più soddisfatte. 6. Gli Stati membri possono stabilire che soltanto gli articoli 1, 2, e 3, gli articoli 7 e 8, l’articolo 11, l’articolo 19, l’articolo 20, l’articolo 21, paragrafo 1, lettere da a) a h), l) e r), l’articolo 21, paragrafo 3, l’articolo 23, l’articolo 25, gli articoli da 28 a 38 e gli articoli da 40 a 50 si applichino ai contratti di credito che prevedono che il creditore e il consumatore stabiliscano di comune accordo le modalità del pagamento dilazionato o del rimborso, in caso di inadempimento del consumatore già in relazione al contratto di credito iniziale, e qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: 1. l’accordo offra maggiori probabilità di evitare procedimenti giudiziali relativi all’inadempimento del consumatore; 2. il consumatore, aderendo all’accordo, non sia sottoposto a condizioni meno favorevoli di quelle del contratto di credito iniziale».

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entro tre mesi e che comportano solo spese di entità trascurabile. Dovrebbero inoltre essere inclusi nell’ambito d’applicazione della nuova Direttiva tutti i contratti di credito fino a 100 000 euro17. Anche l’art. 3 della Proposta mostra di muoversi in questa direzione: le definizioni fornite dalla Direttiva oggi si arricchiscono di contenuto e varietà, in modo che espressioni ambigue o definizioni manchevoli che avevano dato adito a libere (e differenti) interpretazioni possano ridursi al minimo fino a scomparire18. Sennonché, tutto ciò è vero solo in parte. Va rilevato, infatti, che nonostante detto intento volutamente “inclusivo”, la Proposta lascia ancora troppi spazi di libertà e discrezionalità ai legislatori nazionali, tanto che sorge il dubbio che i molteplici profili di incongruenza che aveva sollevato la direttiva 2008/48Ce rispetto alla volontà di armonizzare, potrebbero permanere anche all’indomani dell’adozione della nuova Direttiva. Non sarà un caso, del resto, che il considerando 13 sancisca, rievocando quanto già previsto dal considerando 9 della dir. 2008/48/ Ce che: agli Stati membri non dovrebbe essere consentito di mantenere o introdurre disposizioni nazionali divergenti da quelle previste dalla presente direttiva, a meno essa non preveda altrimenti. Tuttavia, tale restrizione dovrebbe essere applicata soltanto nelle materie armonizzate dalla presente direttiva. Laddove tali disposizioni armonizzate mancassero, gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali. Di conseguenza, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di mantenere o introdurre di-

Cfr. testualmente considerando 15 della Proposta di Direttiva che prevede anche che “La soglia superiore dei contratti di credito ai sensi della presente direttiva dovrebbe essere innalzata per tenere conto dell’indicizzazione ai fini di un adeguamento agli effetti dell’inflazione dal 2008 e per gli anni a venire”. 18 Pensiamo alla nuova ed inedita definizione di «credito rotativo» quale forma di contratto di credito fornita dal creditore, che accorda al consumatore la possibilità di prelevare o ritirare fondi, rimborsare fondi e ritirare nuovamente fondi. Detta definizione compare per la prima volta nella Proposta, e mostra l’intento del legislatore di fare chiarezza in argomento partendo da una definizione inequivocabile che non possa più destare interpretazioni arbitrarie e diversificate. 17

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sposizioni nazionali sulla responsabilità solidale del venditore o prestatore di servizi e del creditore. Gli Stati membri dovrebbero avere anche la possibilità di mantenere o introdurre disposizioni nazionali sull’annullamento del contratto di vendita di merci o di prestazione di servizi qualora il consumatore eserciti il diritto di recesso dal contratto di credito o dal contratto per la fornitura servizi di credito tramite crowdfunding. A tale riguardo, in caso di contratti di credito a durata indeterminata, agli Stati membri dovrebbe essere consentito di fissare un periodo minimo che deve intercorrere tra il momento in cui il creditore chiede il rimborso e il giorno in cui il credito deve essere rimborsato19. Questa previsione, in sostanza, continuerà a consentire l’esistenza di diversità e particolarismi tra le varie normative nazionali: basterà pensare, solo per citare alcune criticità, ai due esempi sopra richiamati: il tema dei contratti collegati, la cui norma di riferimento riproduce – sostanzialmente – quella contenuta nella Direttiva 2008/48/Ce che, come visto, aveva sollevato dubbi in tema di uniformità nelle discipline di recepimento20; oppure il tema delle sanzioni lasciato sempre alla libera determinazione e quantificazione da parte degli Stati membri21.

Cfr. Considerando 13; si ved. anche il considerando 14 che riproduce, attualizzandolo, il considerando 10 della Direttiva 2008/48/Ce. 20 Continua del resto a sussistere la previsione per la quale Gli Stati membri stabiliscono in che misura e a quali condizioni possono essere esperiti tali rimedi, ovvero quelli previsti dal comma 2 dell’art. 27: Qualora le merci o i servizi oggetto di un contratto di credito collegato non siano forniti o siano forniti soltanto in parte o non siano conformi al contratto per la fornitura degli stessi, il consumatore ha il diritto di agire nei confronti del creditore o del fornitore di servizi di credito tramite crowdfunding se ha agito nei confronti del fornitore o prestatore senza ottenere la soddisfazione che gli spetta ai sensi della legge o in virtù del contratto per la fornitura di merci o la prestazione di servizi. 21 In verità, il considerando 81, in argomento, chiarisce che: «Le attuali norme nazionali in materia di sanzioni sono molto diverse nell’Unione. In particolare, non tutti gli Stati membri garantiscono l’irrogazione di sanzioni pecuniarie effettive, proporzionate e dissuasive nei confronti dei professionisti responsabili di infrazioni diffuse o infrazioni diffuse aventi una dimensione unionale. Per garantire che le autorità degli Stati membri possano 19

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Orbene, un’armonizzazione calata dall’alto, e quindi top down, rappresenta certamente “un bene” che meglio incrementa il livello di omogeneità delle regole altrimenti affidate al frenetico attivismo di una CGUE la quale non a caso, nel corso dell’ultimo decennio, ha integrato funditus la tessitura del diritto europeo attraverso un’interpretazione conforme demolitiva, in nome di un’effettività della tutela, di una miriade di norme nazionali “ritenute ambigue o inadeguate”22. Tuttavia, va anche rilevato come un’armonizzazione

imporre sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di infrazioni diffuse e di infrazioni diffuse aventi una dimensione unionale che sono oggetto di attività di indagine coordinate e misure di esecuzione ai sensi del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio, le sanzioni pecuniarie dovrebbero essere introdotte come un elemento per tali violazioni. Per garantire che le sanzioni pecuniarie abbiano un effetto deterrente, gli Stati membri dovrebbero fissare nel loro diritto nazionale la sanzione pecuniaria massima per tali infrazioni a un livello pari almeno al 4 % del fatturato annuo del creditore, dell’intermediario del credito o del fornitore di servizi di credito tramite crowdfunding nello Stato membro interessato o negli Stati membri interessati. In taluni casi tali professionisti possono anche essere un gruppo di imprese». Tuttavia, l’art. 44 enuncia che «Gli Stati Membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni (…)». Per cui, al di fuori dei casi in cui le sanzioni sono irrogate a norma dell’art. 21 del regolamento (UE) 2017/2934, resta aperto un ampio di ventaglio di possibilità per l’individuazione delle sanzioni da parte del legislatore interno. 22 Cfr. Pagliantini, Il diritto europeo in trasformazione, Torino, 2020, p. 2. V. anche Pardolesi, Armonizzazione giuridica comunitaria e codici nazionali: rapporti e tensioni, in Il diritto privato europeo al vaglio della comparazione e della storia, Milano, 2004, p. 172; Di Majo, L’attività di armonizzazione nel diritto privato. Il diritto alle e/o delle differenze, in TroianoRizzelli-Miletti (a cura di), Harmonisation involves history? Il diritto privato europeo al vaglio della comparazione e della storia, Milano, 2004, 327. Macario, Il percorso dell’armonizzazione del credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale?, in AA.VV., La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano, a cura di De Cristofaro, Torino, 2009, p. 3, afferma che la disciplina del credito al consumo rappresenta bene il modus procedendi dell’armonizzazione del diritto contrattuale tra difficoltà, contraddizioni ed esigenze di coordinamento, di natura tanto linguistica quanto più strettamente disciplinare, all’interno di un dato sistema in movimento o, meglio, di continuo assestamento, a fronte di una fenomenologia normativa che investe i procedimenti formali di produzione delle norme e i loro stessi contenuti.

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massima limiti la concorrenza (e la collisione) tra ordinamenti, generando un effetto di “discontinuità” che è fortemente ideologico per almeno due motivi: se un lato infatti preme una confiance consumeristica delusa da una (subottimale) armonizzazione minima (o comunque, sebbene piena, con effetto fallimentare), dall’altra, postulando l’egemonia di una determinata disciplina, disegna una traiettoria respingente “le differenze di quanto da ess(a) diverso”23. Quando, come visto, la Direttiva recita che sono fatte salve le norme nazionali per le quali il creditore risponde in solido con il fornitore qualora il consumatore faccia valere una pretesa nei confronti di quest’ultimo, è al diritto anglosassone che il legislatore comunitario pensa24, ma in realtà, una previsione del genere non dovrebbe sopravvivere se la disciplina dei contratti di credito collegati fosse davvero armonizzata. Allora potremmo concludere che l’armonizzazione è sì massima eppure, stando al lessico preferito dalla CGUE, “non esaustiva”25.

Così Di Majo, L’attività di armonizzazione nel diritto privato. Il diritto alle e/o delle differenze, cit., 328 e 334 (ove poi il rilievo che l’armonizzazione non è in sé un’“operazione asettica e neutra”); Rochfeld, Les ambiguïtés des directives d’harmonisation totale: la nouvelle répartition des compétences communautaire et interne, 2009, in Chron., p. 2047 ss. Più analiticamente potremmo dire che un’armonizzazione massima si applica a qualsiasi norma nazionale che interferisca con essa o rientri nel suo raggio di applicazione pregiudicandone, va da sé, l’effettività, così Pagliantini, Il diritto europeo in trasformazione, Torino, 2020, p. 3. 24 Cfr. art. 75 del Consumer Credit Act, come modificato per recepire la Direttiva 2008/48/Ce, recita: «quando un contratto di credito è utilizzato per acquistare beni o servizi e vi è un problema nella fornitura di tali prodotti o servizi, il consumatore può esercitare un’azione nei confronti del creditore». In sostanza, l’ordinamento inglese prevede una responsabilità solidale del creditore in caso di inadempimento del fornitore che è del tutto sconosciuta in Italia, così come in Germania e in Francia. 25 CGUE, 4 giugno 2009, C-285/08, Moteurs Leroy Somer c. Dalkia France e Ace Europe. Cfr. Bartoloni, L’apporto delle tecniche di armonizzazione nella definizione dei rapporti tra sistemi concorrenti di tutela dei diritti fondamentali, in Dir. Unione europea, 2019, 6, p. 3. Chi per primo ha parlato in questi termini di armonizzazione è Schlechtriem, Riflessioni per l’armonizzazione del diritto della vendita al consumatore attraverso la direttiva europea sulla vendita dei beni di consumo, in Annuario di diritto 23

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Armonizzazione massima parziale (o limitata), del resto, questo sta a significare, che è la densità della direttiva a graduare l’an e l’ampiezza del concorso di sistemi di tutela differenti all’interno di un “ambito d’applicazione del diritto UE”. Diverso, invece, è il lavoro compiuto dalla Proposta sotto il profilo della coerenza con le disposizioni nel frattempo emerse in vari campi coincidenti, sovrapponibili, o comunque trasversali rispetto alla materia dei contratti di credito ai consumatori. La preoccupazione avvertita, del resto, è stata quella ritenere il testo della Direttiva 2008 non più perfettamente coerente e in linea con l’attuale contesto normativo e ciò in quanto troppe erano state le normative emerse negli anni successivi ad essa. Così, la pubblicità ingannevole che è disciplinata dalla direttiva 2005/29/CE e dalla dir. 2006/114/CE, ha subito una serie di modifiche dalla dir. (UE) 2019/216126 per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori. Dette norme, tuttavia, non tengono conto delle specificità del credito al consumo né affrontano la necessità che i consumatori siano in grado di confrontare la pubblicità in tema di servizi di credito. Per questa ragione, la Proposta ha l’intento di coordinare le proprie disposizioni sulla pubblicità relativa ai contratti di credito o ai servizi di credito tramite crowdfunding con quelle contenute nella più ampia disciplina sulla pubblicità ingannevole, con l’ottica di fornire ai consumatori gli strumenti per paragonare le varie offerte27.

tedesco 2000, a cura di S. Patti, Milano, 2001, p. 129 ss. Nella letteratura civilistica già Luminoso, Chiose in chiaroscuro in margine al d. legisl. N. 24 del 2002, in Bin-Luminoso (a cura di), Le garanzie nella vendita dei beni di consumo, Padova, 2003, 93 ove, non a caso, si legge che tutto dipende “a seconda che la disciplina comunitaria sia diretta a regolare l’intero istituto o invece singoli aspetti ovvero questioni particolari”. V. anche Ferrante, La direttiva 18/771/UE, cit., 47 incline a riconoscere che, nelle ipotesi di lacune, «l’armonizzazione non sarà né massima né minima». Su tutto Pagliantini, Il diritto europeo in trasformazione, Torino, 2020, p. 7. 26 Pubblicata in GUUE del 18 dicembre 2019. 27 Cfr. considerando 29 secondo cui «Tali informazioni dovrebbero essere fornite in forma chiara, concisa e graficamente evidenziata me-

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Ancora, il regolamento (UE) 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (regolamento generale sulla protezione dei dati) stabilisce le norme applicabili al trattamento dei dati personali, rafforzando i diritti fondamentali delle persone fisiche e chiarendo le norme per le imprese e gli organismi pubblici. I principi di minimizzazione, accuratezza e limitazione della conservazione dei dati di cui all’articolo 5 di tale regolamento, disciplinano l’uso dei dati per effettuare valutazioni del merito creditizio. Senza discostarsi dal regolamento generale sulla protezione dei dati, la Proposta pertanto intende affrontare

diante un esempio rappresentativo. Le informazioni di base dovrebbero figurare in primo piano e in evidenza, in modo chiaro e in un formato che richiami l’attenzione. Dovrebbero essere chiaramente leggibili e adattate per tenere conto dei limiti tecnici di taluni media, come gli schermi dei telefoni mobili. le condizioni promozionali temporanee, come ad esempio un tasso civetta con interessi più bassi per i mesi iniziali del contratto di credito o dei servizi di credito tramite crowdfunding, dovrebbero essere chiaramente identificate come tali. I consumatori dovrebbero vedere tutte le informazioni essenziali con un’occhiata, anche quando le consultano sullo schermo di un telefono mobile. Il numero di telefono e l’indirizzo di posta elettronica del creditore e, ove applicabile, dell’intermediario del credito e del fornitore di servizi di credito tramite crowdfunding dovrebbero inoltre essere comunicati al consumatore, per consentirgli di contattarli in modo rapido ed efficace. Dovrebbe essere indicato un massimale qualora non sia possibile fornire l’importo totale del credito quale somma totale messa a disposizione, in particolare quando un contratto di credito dà al consumatore la facoltà di prelievo con un limite relativo all’importo. Il massimale dovrebbe indicare il limite superiore del credito che può essere messo a disposizione del consumatore. In casi specifici e giustificati, affinché il consumatore comprenda meglio le informazioni comunicate con la pubblicità dei contratti di credito o dei servizi di credito tramite crowdfunding quando il supporto usato non ne consente la visualizzazione, come nel caso della pubblicità radiofonica, la quantità di informazioni fornite potrebbe essere ridotta. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero conservare la facoltà di disciplinare gli obblighi di informazione nella legislazione nazionale riguardo agli annunci pubblicitari dei contratti di credito o dei servizi di credito tramite crowdfunding che non contengono informazioni sul costo del credito».

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le preoccupazioni individuate nel trattamento dei dati personali che sono specifiche delle pratiche osservate nel mercato del credito al consumo, vale a dire l’uso di fonti alternative di dati per le valutazioni del merito creditizio o la trasparenza delle valutazioni effettuate utilizzando tecniche di apprendimento automatico. La proposta garantirebbe, inoltre, la coerenza con altre normative, come quelle contenute nel pacchetto relativo alla legge sui servizi digitali adottato dalla Commissione nel 202028, che comprende una legge sui servizi digitali, la quale modifica la dir. 2000/31/CE (direttiva sul commercio elettronico) e introduce un quadro orizzontale per i servizi di intermediazione, e una legge sui mercati digitali, la quale introduce norme per le piattaforme che fungono da “controllori dell’accesso” nel settore digitale. La proposta è poi coerente e complementare ad altre normative e politiche dell’UE, in particolare nel settore della protezione dei consumatori, quali la dir. 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, la dir. 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori e la dir. 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, che disciplina i contratti di credito ipotecario (direttiva sul credito ipotecario). Coerentemente, la Proposta per modernizzare le norme in materia di credito al consumo tenendo conto dei cambiamenti apportati dalla digitalizzazione, intende integrare il Reg. (UE) 2020/150329 relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese, in quanto tale regolamento non si applica ai servizi di crowdfunding per i consumatori. Sotto questo profilo, in sostanza, si può sostenere che la Proposta più che armonizzare voglia coordinare, creare coerenza e unione con tutta l’impalcatura normativa europea ad oggi esisten-

In riferimento al Pacchetto sulla finanzia digitale pubblicato il 24 settembre 2020 consultabile sul sito dell’Unione europea. 29 Il 20 ottobre 2020 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, il Reg. 2020/1503 relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese, che modifica il precedente Reg. 2017/1129 e la dir. 2019/1937. 28

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te30. E sotto questo profilo il risultato sembra raggiunto in maniera ottimale.

3. Le novità della Proposta Il testo della proposta di Direttiva, tra le tante novità che apporta, incentra i suoi principali interventi sul potenziamento della protezione del consumatore. Detto potenziamento è attuato mediante la semplificazione di alcuni requisiti in materia di informazione mirando ad adeguare gli stessi all’uso digitale. Molte sono le norme che si occupano del profilo relativo alle informazioni: a partire dall’art. 5 che prevede l’obbligo di fornire informazioni ai consumatori a titolo gratuito conformemente alla direttiva; l’articolo 8 che stabilisce la forma e il contenuto delle informazioni da includere nelle pubblicità, le quali devono riguardare le principali caratteristiche del credito. In casi specifici e giustificati, qualora il mezzo utilizzato per comunicare le informazioni da includere nella pubblicità non ne consenta la visualizzazione visiva, come nella pubblicità radiofonica, tali informazioni dovrebbero essere ridotte per evitare un sovraccarico di informazioni e ridurre gli oneri superflui. Ancora, l’art. 9 prevede che i creditori o, se del caso, gli intermediari del credito o i fornitori di servizi di credito tramite crowdfunding rendano disponibili in qualsiasi momento informazioni generali chiare e comprensibili sui contratti di credito; l’art. 10 stabilisce l’obbligo per i creditori, gli intermediari del credito o i fornitori di servizi di credito tramite crowdfunding di fornire ai consumatori informazioni precontrattuali personalizzate sulla base del modulo “Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori”, a cui si aggiunge un “Prospetto europeo di base relativo al credito ai consumatori”, di una pagina, illustrante le caratteristiche princi-

Cfr. Patti, “Diversità, armonizzazione, unificazione e codificazione”: le tappe di un difficile percorso, in Diritto privato europeo. Fonti ed effetti. Materiali del seminario dell’8-9 novembre 2002, raccolti da Alpa e Danovi, Milano, 2004, p. 59. 30

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pali del credito in questione allo scopo di aiutarli a confrontare le diverse offerte. L’obiettivo è quello di garantire che i consumatori vedano tutte le informazioni essenziali al primo sguardo, anche su uno schermo di telefonia mobile. Le informazioni precontrattuali devono essere fornite almeno un giorno prima che il consumatore sia vincolato da un contratto di credito o da un contratto per la fornitura di servizi di credito tramite crowdfunding o da un’offerta. Se le informazioni precontrattuali sono fornite meno di un giorno prima, i creditori, gli intermediari del credito o i fornitori di servizi di credito tramite crowdfunding sono tenuti a ricordare al consumatore, un giorno dopo la conclusione del contratto, la possibilità di recedere dal contratto di credito o dal contratto per la fornitura di servizi di credito tramite crowdfunding. L’art. 11 istituisce l’obbligo per i creditori e gli intermediari del credito di fornire ai consumatori informazioni precontrattuali personalizzate per taluni tipi di credito al consumo, sulla base del modulo “Informazioni europee relative al credito ai consumatori”, in aggiunta al modulo “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”. L’art.12, infine, impone ai creditori, agli intermediari del credito o ai fornitori di servizi di credito tramite crowdfunding di spiegare adeguatamente ai consumatori i contratti di credito, i servizi di credito tramite crowdfunding e i servizi accessori proposti, al fine di consentire loro di valutare se sono adeguati alle loro esigenze e alla loro situazione finanziaria31.

Ma non è tutto, sempre in un’ottica di rafforzare la tutela del cliente/consumatore si prevede l’introduzione di standard in materia di servizi di consulenza; il divieto di vendita non sollecitata di prodotti di credito; l’introduzione dell’obbligo per gli Stati membri di fissare limiti sui tassi di interesse, sul tasso annuo effettivo globale o sul costo totale del credito; la determinazione di norme di comportamento e obblighi per i fornitori di credito e gli intermediari del credito di garantire che il personale disponga di competenze e conoscenze adeguate; l’indicazione che le valutazioni del merito creditizio siano effettuate sulla base di informazioni necessarie, sufficienti e proporzionate sulla situazione finanziaria ed economica; la disposizione sull’uso di fonti alternative di dati per effettuare valutazioni del merito creditizio conformemente ai principi del regolamento (UE) 2016/679 sulla protezione dei dati; l’obbligo per gli 31

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Quello che colpisce, in sostanza, è la particolare attenzione al profilo della consapevolezza del consumatore e alla sua piena cognizione di quello che sta scegliendo, ciò sicuramente nell’ottica di correggere le distorsioni del mercato del credito al consumo che si erano manifestate anche dopo la dir. 2008/48/CE: pensiamo alle carte di credito revolving, alla concessione di scoperti, oppure a tutte le operazioni in home banking, in cui la tutela e la salvaguardia della libertà di scelta del consumatore appariva dai contorni offuscati32. Già da tempo33, del resto, si era imposta l’idea che le norme sul credito al consumo che riguardavano la pubblicità dovessero

Stati membri di promuovere l’educazione finanziaria; l’obbligo per gli Stati membri di adottare misure volte a incoraggiare i creditori a esercitare un ragionevole grado di tolleranza; il rafforzamento della disponibilità di servizi di consulenza in materia di debito. 32 Pensiamo che in questi settori la carenza informativa rappresenta uno dei motivi più invocati per il contenzioso in materia bancaria e finanziaria: ABF Roma, 10 ottobre 2013, n. 5120 in relazione all’attivazione di una carta di credito revolving per telefono, e a distanza di un anno dalla sottoscrizione del primo finanziamento; ABF Roma 11 gennaio 2013, n. 187; Collegio di Coordinamento, 12 ottobre 2012, n. 3257. V. anche PS/2940, Ducato – Carta Revolving mai richiesta; PS/2431, Barclays Bank – scegli il 5% netto. 33 Cfr. Le Relazioni annuali dell’Agcm, reperibili sul sito ufficiale www.agcm.it. Sulla debolezza dei destinatari, nell’ambito del settore del credito, si v. anche PS/1903 del 2008, Fin-Florence – Finanziamento; PS/1359 del 2009, Euro contributi – Omessa indicazione TAN e TAEG; PS/2295 del 2009, Servizi finanziamenti – Omessa indicazione TAN e TAEG; PS/2292 del 2009, Italcrediti – Omessa indicazione TAN e TAEG; PS/1321 del 2009, Eurofin – Omessa indicazione TAN e TAEG; PS/2292 del 2009, Global Fin – Omessa indicazione TAN e TAEG; PS/2294 del 2009, Asfina – Omessa indicazione TAN e TAEG; PS/2316 del 2009, Euro Fiditalia – Omessa indicazione TAN e TAEG; PS/1079 del 2009, Ambrosiana finanziamenti – Ritenute eccessive; PS/3588 del 2009, Immobiliare Priolo – Pubblicità finanziamenti; PS/1786 del 2009, Italserfin – Omessa indicazione TAN e TAEG; PS/2817 del 2009, FinTime Palyer – Pubblicità fi- nanziamenti; PS/983 del 2009 New Sefim – Omessa indicazione TAN; PS/ 2518 del 2009, Prestitel Finanzial Services: tutti in Boll. 2009, Agcm; PS/ 2883 del 2010, Pubblicità finanziamenti; PS/3852 del 2010, Crefin money – Pubblicità finanziamenti, in Boll., 2010. Per un’analisi più ge-

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coordinarsi «in maniera diretta con la libertà di autodeterminazione dei consumatori e, indirettamente, con l’interesse pubblico alla realizzazione di un mercato pienamente efficiente e concorrenziale; (...) le norme che regolano il mercato del credito al consumo, invece, con particolare riguardo agli obblighi di trasparenza che gravano sugli intermediari finanziari, debbono essere raccordate alla specifica finalità dell’attività di vigilanza affidata alle autorità creditizie, che è principalmente quella di garantire la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati»34. Solo in questa ottica, del resto, si comprende anche la riproposizione pedissequa della previsione già contemplata nella Direttiva 2014/17/UE in tema di mutui bancari35, che vieta espressamente

nerale e di maggior respiro in merito al concetto di «consumatore», «consumatore medio» e consumatore «vulnerabile» si rinvia a Zorzi Galgano, Il contratto di consumo e la libertà del consumatore, Padova, 2011, p. 1 ss., la quale analizza la figura in questione in relazione a differenti settori. 34 Cfr. Consiglio di Stato, 22 giugno 2011, n. 3763. La nostra autorità Garante per la concorrenza ed il mercato è intervenuta svariate volte, ad esempio, sulla problematica del rilascio di carte di credito revolving, in cui quindi il settore creditizio si affianca a quello della disciplina delle pratiche commerciali scorrette: Provv. 19983, PS/2760, del 18 giugno 2009; PS/2624, Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. Estinzione c/c; PS/5130, BNL. Estinzione anticipata mutui; PS/2940, Ducato – Carta Revolving mai richiesta; PS/2431, Barclays Bank – scegli il 5% netto. Cfr. anche Tar Lazio, n. 12277 del 2010. In argomento cfr. Meli, Il Consiglio di Stato e l’applicabilità della disciplina delle pratiche commerciali scorrette al settore del credito, in Banca, borsa tit. cred., 2012, 5, p. 578. 35 Per un commento alla Direttiva v., tra i tanti, Palmieri e Tamburino, I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo, Commento alla Direttiva 2014/17/UE, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, 1/2015; Pellecchia, La direttiva 2014/17UE sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, in Banca, borsa, 2016, I, p. 206 ss.; Lupoi, La direttiva 17/2014, il mercato dei crediti immobiliari e la consulenza al credito, in Banca, borsa, 2016, I, p. 234 ss.; Id., Le direttive non vanno prese alla lettera (breve nota alla Direttiva 17/2014), in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 15, 2016, e Pagliantini, I misteri del patto commissorio, le precomprensioni degli interpreti e il diritto europeo della dir. 2014/17/ UE, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 1, p. 181; Las Casas, “Informazioni generali” e “informazioni personalizzate” nella nuova direttiva sui mutui

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le pratiche di commercializzazione abbinata e consente, entro certi limiti, quelle aggregate. Il tema è quello delle cd. vendite abbinate “a pacchetto” note anche come tecniche di bundling. Così, consiste in una pratica di commercializzazione abbinata, vietata salvo che per le eccezioni di cui infra, l’offerta o la commercializzazione di un contratto di credito in un pacchetto che comprende altri prodotti o servizi distinti, qualora il contratto di credito non sia disponibile per il consumatore separatamente: la norma è figlia sicuramente della maggior attenzione rivolta dal legislatore comunitario alle operazioni di credito a seguito della crisi finanziaria innescata dalla pandemia COVID-19 che hanno intensificato il rilascio di finanziamenti ai soggetti più vulnerabili e più bisognosi di sostegno economico e, pertanto, inclini ad accettare condizioni anche sfavorevoli o, comunque, pregiudizievoli per i loro diritti36. L’introduzione di un simile divieto – che in realtà, non appare affatto assoluto, come testimonia l’art. 14 – con ogni probabilità trova la giustificazione nel fatto che il legislatore comunitario non vuole che sia costretta la libertà contrattuale del consumatore, impedendogli l’accesso al credito a mezzo della necessaria sottoscrizione di contratti non voluti o non convenienti. La seconda parte della norma, tuttavia, contiene delle disposizioni di dettaglio le quali, consentendo delle deroghe alla regola generale posta dal primo paragrafo ne ridimensionano la portata.

ipotecari ai consumatori, in Persona e mercato, 2015/4, p. 251 ss.; Azzari, I “prestiti in valuta estera” nella direttiva 2014/17/UE sui “contratti di crediti ai consumatori relativi a immobili residenziali”, in Osservatorio del dir. civ. e comm., n. 1/2015, p. 187 ss. 36 Per una recente analisi del problema del sovraindebitamento, si rimanda a Montinaro, Il sovraindebitamento del consumatore: diligenza nell’accesso al credito ed obblighi del finanziatore, in Banca, borsa, 2015, I, p. 781; Falcone, Il trattamento normativo del sovraindebitamento del consumatore, in Giur. comm., 2015, p. 132 e Lupoi, Circolazione e contrabbando del rischio, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 2015. Una più generale analisi del rapporto tra crisi finanziaria e MCD e relativa disciplina di tutela dei consumatori si può rinvenire in Pellecchia, La direttiva 2014/17UE sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, in Banca, borsa, 2016, I, p. 206 ss.

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Così, per esempio, è prevista la possibilità per gli Stati membri possano introdurre una deroga al divieto per le pratiche di commercializzazione abbinata che comportino per il consumatore un “chiaro vantaggio”. In tal caso, è posto a carico del professionista l’onere di dimostrare all’Autorità nazionale competente, il carattere vantaggioso dell’offerta facendo riferimento alla disponibilità ed al costo di analoghi prodotti offerti sul mercato. L’ultimo paragrafo della norma attribuisce ai legislatori nazionali la facoltà di consentire ai creditori di “richiedere” al consumatore la sottoscrizione di una polizza assicurativa collegata al contratto di credito. Ove questa opzione fosse esercitata dallo Stato membro, dovrebbe altresì prevedersi il diritto del consumatore a stipulare una polizza assicurativa di un fornitore diverso da quello preferito dal creditore, a parità di copertura assicurativa garantita. La norma, quindi, ritiene legittima la possibilità che la banca obblighi il consumatore alla stipulazione della polizza collegata ma tutela la libertà di quest’ultimo di scegliere il professionista preferito (a parità di copertura assicurativa). Quest’ultimo inciso sembra rilevante non solo perché tutela la competitività nel mercato e la libertà di autodeterminazione del consumatore, ma anche perché disattiva il potenziale conflitto d’interessi della banca la quale potrebbe essere interessata ad incentivare la stipulazione della polizza erogata dalla stessa o da un partner commerciale al fine di lucrare ulteriori profitti37.

Nel nostro ordinamento, del resto, l’Abf aveva già da tempo “acceso un faro” sulla scorrettezza della pratica attuata da molti enti creditizi consistente nel subordinare di fatto la concessione del finanziamento alla stipulazione da parte del mutuatario delle polizze a copertura dei rischi quali il decesso, l’invalidità permanente e la perdita d’impiego la cui stipulazione, tuttavia, era prospettata come facoltativa nei messaggi pubblicitari e nella documentazione pre-contrattuale e contrattuale. Anche nel comparto del credito revolving sono state rilevate politiche aziendali finalizzate ad incrementare i ricavi attraverso il collocamento di polizze assicurative, mediante la retrocessione all’intermediario di larga parte del premio assicurativo. Sovente, il collocamento delle suddette polizze avviene senza un’attenta valutazione delle reali esigenze della clientela e a condizioni particolarmente onerose. Tale prassi è accompagnata da 37

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Orbene, questi appaiono ad oggi i principali campi di intervento sui quali la Proposta intende incidere: solo osservando l’iter della stessa e verificandone il testo definitivo si potranno cogliere i cambiamenti concreti che si attueranno in Europa nella materia del credito ai consumatori. Nell’attesa che ciò avvenga, si noti la conferma totale di quella che è da tempo la volontà del legislatore: mettere a punto un mercato interno caratterizzato da un livello elevato di protezione dei consumatori e dalla libera prestazione dei servizi, eliminando gli ostacoli che restringono il livello dell’offerta e della domanda transfrontaliere, riducono la concorrenza e, di conseguenza, la scelta dei consumatori. Per concludere con le parole di Věra Jourová, Vicepresidente per i Valori e la trasparenza UE, la verità è che I consumatori si trovano ad affrontare molte sfide, in particolare nel mondo digitale che ha rivoluzionato gli acquisti, i servizi o i mercati finanziari. È per questo motivo che è necessario rafforzare la protezione dei consumatori su due fronti: da un lato aiutare i consumatori ad evitare i rischi legati al credito, dall’altro porre in essere norme ancora più rigorose in materia di sicurezza dei prodotti. Si conferirà inoltre maggiori responsabilità agli operatori del mercato: per quelli meno scrupolosi sarà più difficile nascondersi dietro formulazioni giuridiche complicate38.

gravi violazioni della normativa sulla trasparenza nei casi in cui non sia stata fornita al cliente un’adeguata informativa in merito alla non obbligatorietà della copertura assicurativa. Si tratta di pratiche che limitano la mobilità dei consumatori e conseguentemente producono effetti negativi sul dispiegarsi di adeguate dinamiche concorrenziali nei mercati interessati. Cfr. Abf, Collegio di coordinamento, Decisione n. 896 del 14 febbraio 2014. Per una rassegna della giurisprudenza dell’Abf sul punto Civale, Il credito ai consumatori, in La trasparenza bancaria, a cura di F. Civale, Milano, 2013, p. 486 e ss. V. anche, D’Ostuni, Le polizze abbinate ai mutui ed ai finanziamenti, in La trasparenza bancaria, a cura di F. Civale, Milano, 2013, p. 529 e ss. 38 Didier Reynders, Commissario per la Giustizia, nella sua Relazione ha dichiarato: «La crisi della COVID-19 ha inciso sui consumatori in tante maniere, e molti hanno incontrato difficoltà finanziarie. La digitalizzazione, accelerata dalla pandemia, incrementa gli acquisti online cambiando pro-

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fondamente il settore finanziario. È nostro dovere tutelare i consumatori, in particolare quelli più vulnerabili, ed è esattamente quello che stiamo facendo con la revisione delle norme vigenti dell’UE sul credito al consumo e sulla sicurezza generale dei prodotti».

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Direttore Nadia Zorzi Galgano Comitato di Direzione Guido Alpa, Mads Andenas, Luigi Balestra, Andrea Biondi, Francesco Capriglione, Achille Antonio Carrabba, Vincenzo Cuffaro, Luca Di Donna, Raffaele Di Raimo, Thomas Genicon, Michele Graziadei, Stefan Grundmann, Martijn Hesselink, Aída Kemelmajer de Carlucci, Carlos Lasarte, Marcello Maggiolo, Maria Rosaria Maugeri, Daniela Memmo, Raffaella Messinetti, Hans-Wolfgang Micklitz, Elise Poillot, Giorgio Resta, Francesco Armando Schurr, Alessandro Somma, Matthias Storme, Stefano Troiano, Nadia Zorzi Galgano. Comitato Editoriale Fabio Bravo (coordinatore), Anthi Beka, Mauricio Boretto, Luca Antonio Caloiaro, Andrea Carrisi, Valerio Lemma, Claudia Morgana Cascione, Gabriella Cazzetta, Maria Luisa Chiarella, Massimo D’Auria, Domenico Di Micco, Araceli Donado Vara, Maria Samantha Esposito, Chiara Ferrari, Paolo Gaggero, Stefano Gatti, Elena Guardigli, Marco Giraudo, Carlotta Ippoliti Martini, Francisco Jiménez Muñoz, Barbara Knoll, Rosa Mattera, Francesca Mollo, Damien Nègre, Anna Maria Pancallo, Roberta Peleggi, Maria Colomba Perchinunno, Francesco Saverio Porcelli, Elisabetta Posmon, Giulia Puleio, Gianluca Riolfo, Marco Rizzuti, Diego Rossano, Giulia Rossi, Andrea Sacco Ginevri, Serena Maria Scalera, Sara Scola, Lorenzo Serafinelli, Cosimo Gonzalo Sozzo, Giuseppe Versaci, Vincenzo Vietri, Fátima Yáñez Vivero, Sirio Zolea. Comitato di Revisione Enrico Al Mureden, Franco Anelli, Maria Annunziata Astone, Andrea Barenghi, Giovanni Basini, Marino Bin, Giovanni Bonilini, Donato Carusi, Rossella Cavallo Borgia, Cristiano Cicero, Claudio Colombo, Massimo Confortini, Giovanni De Cristofaro, Maria Vita De Giorgi, Giusella Finocchiaro, Massimo Franzoni, Andrea Fusaro, Enrico Gabrielli, Aurelio Gentili, Carlo Granelli, Giuseppe Grisi, Bruno Inzitari, Marco Lamandini, Raffaella Lanzillo, Mario Libertini, Emanuele Lucchini Guastalla, Salvatore Mazzamuto, Vincenzo Meli, Lorenzo Mezzasoma, Aurelio Mirone, Paolo Montalenti, Andrea Mora, Andrea Nervi, Luca Nivarra, Mario Notari, Fabio Padovini, Stefano Pagliantini, Andrea Perrone, Gabriello Piazza, Luciana Cabella Pisu, Armando Plaia, Giulio Ponzanelli, Vincenzo Ricciuto, Carlo Rimini, Enzo Roppo, Horacio Roitman, Carlo Rossello, Pierpaolo Sanfilippo, Claudio Scognamiglio, Giuliana Scognamiglio, Giuseppe Sbisà, Roberto Senigaglia, Michele Sesta, Gianluca Sicchiero, Pietro Sirena, Marina Timoteo, Mario Trimarchi, Francesco Vella, Marco Ventoruzzo, Maria Carmela Venuti, Giovanna Visintini, Roberto Weigmann, Pietro Zanelli, Vincenzo Zeno-Zencovich. I contributi destinati alla pubblicazione sono sottoposti alla procedura di referaggio con il metodo c.d. double-blind peer ­review, a cui provvede un apposito Comitato di Revisione, formato da professori italiani e stranieri di prima fascia esterni alla Direzione, il cui elenco è riportato nella presente pagina e sul sito Internet della Rivista. Direzione e Comitato editoriale hanno sede in Bologna, Via Luca Ghini n. 1 E-mail: rivista@contrattoeimpresaeuropa.eu Sito web: www.contrattoeimpresaeuropa.eu Segreteria di redazione Gloria Giacomelli ggiacomelli@pacinieditore.it Phone +39 050 31 30 243 - Fax +39 050 31 30 300 Amministrazione Pacini Editore Srl, via Gherardesca 1, 56121 Pisa Tel. 050 313011 • Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • abbonamenti_giuridica@pacinieditore.it I contributi pubblicati su questa rivista potranno essere riprodotti dall’Editore su altre, proprie pubblicazioni, in qualunque forma previa autorizzazione del Proprietario della Rivista. In corso di registrazione presso il Tribunale di Bologna Direttore responsabile: Nadia Zorzi Galgano


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