2 • aprile-giugno 2019
Rivista trimestrale 2 • aprile-giugno 2019
Il diritto penale
globalizzazione della
Il diritto penale della globalizzazione
Diretta da: Ranieri Razzante e Giovanni Tartaglia Polcini
In evidenza: Plata o plomo. The most significant characters of the most modern Latin American criminal organizations Giovanni Tartaglia Polcini Inapplicabilità per i delitti punibili con ergastolo del giudizio abbreviato: riforma del giudizio alla luce del parere del CSM Nikita Micieli de Biase Dieci anni dopo la morte di Eluana Englaro, il Parlamento torna a riformare l’aiuto al suicidio Loredana Novia Caso NORSTAR: Italia condannata per parziale violazione della Convenzione di Montego Bay Antonio De Lucia
ISSN 2532-8433
Indice In evidenza A cura di Ranieri Razzante, Criptovalute a rischio riciclaggio ........................................................» 115
Editoriale A cura di Alessandro Parrotta, Strumenti di prevenzione alla corruzione......................................» 117
Saggi Giovanni Tartaglia Polcini, Plata o plomo. The most significant characters of the most modern Latin American criminal organizations........................................................................................» Ylenia Parziale, La rilevanza penale degli stati emotivi e passionali: uno spunto di indagine sul rapporto tra diritto e neuroscienze................................................................................................» Walter Rotonda e Marilisa De Nigris, Articolo 100 del Codice Antimafia ed ente locale sciolto ai sensi dell’art.143 Decreto 267/2000 .............................................................................................» Vincenzo Fucci, Lotta alla corruzione: tra misure preventive e strategie repressive..........................»
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Giurisprudenza Nazionale Cass. Pen. Sez. II, 12 aprile 2019, n. 1610, con nota di Marilisa De Nigris, Reati transnazionali: la Suprema Corte ribadisce la legittimità della confisca per equivalente........................................» 185
Internazionale Trib. Int. sul diritto del mare, c. 25 Judgement 10 aprile 2019, Panama contro Italia, con nota di Antonio De Lucia, Caso NORSTAR: Italia condannata per parziale violazione della Convenzione di Montego Bay .............................................................................................................................» 189
Europea CEDU, 7 marzo 2019, Sallusti c. Italia, ricorso n. 22350/13, con nota di Andrea Racca, Libertà di espressione e proporzionalità della pena .......................................................................................» 193
Osservatorio Normativo Nikita Micieli de Biase, Inapplicabilità per i delitti punibili con ergastolo del giudizio abbreviato: riforma del giudizio alla luce del parere del CSM..........................................................................» 199
Internazionale Antonio De Lucia, Beni culturali: nuove norme disciplinano la difesa e la circolazione delle opere d’arte in Italia .....................................................................................................................» 203
Indice
Europeo Andrea Racca, Inammissibilità del patteggiamento in caso di riqualificazione del fatto di reato.....» 207
Nazionale Domenica Loredana Novia, Dieci anni dopo la morte di Eluana Englaro, il Parlamento torna a riformare l’aiuto al suicidio .........................................................................................................» 213
Focus Giampaolo Estrafallaces, Antiriciclaggio: metodologia e procedure dell’attività di assessment del GAFI. Una sintesi del Mutual evaluation report (MER) sul sistema di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo della Repubblica popolare cinese........................................................ » 221
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In
evidenza
Criptovalute a rischio riciclaggio Carissimi, nell’ambito dell’attività di prevenzione e contrasto al terrorismo, vorrei segnalare che l’attenzione delle Autorità sui rischi connessi all’uso delle criptovalute è sempre alta. L’Unità di Informazione finanziaria (UIF) è tornata, infatti, ad avvertire i soggetti obbligati con Comunicazione del 28 maggio 2019 sull’utilizzo anomalo di valute virtuali. Da diversi anni il progresso tecnologico ha consentito l’emergere ed il crescente utilizzo di valute virtuali, per una varietà di scopi: scambio di beni, gioco online, speculazioni finanziarie, etc. Tuttavia, la suddetta evoluzione manca ancora oggi di un’efficace regolamentazione che consenta di arginare i rischi di truffe e frodi informatiche per i singoli individui; ma il pericolo più grave è che le organizzazioni criminali se ne servano a fini di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Una prima disciplina in materia è stata introdotta nel 2017, in occasione della riforma del D.lgs. 231/2007, grazie all’aggiunta dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali – i c.d. exchangers – tra i destinatari degli obblighi antiriciclaggio. Un’ulteriore modifica poi è prevista a breve, con il recepimento della direttiva (UE) 2018/843 (c.d. V direttiva antiriciclaggio), ove tale previsione dovrà estendersi altresì ai prestatori di servizi di portafoglio digitale. A partire dal 2015 UIF ha costantemente attenzionato l’evoluzione del fenomeno, contribuendo a diffondere una maggiore consapevolezza a livello nazionale circa i rischi connessi con l’utilizzo anomalo delle valute virtuali, agevolando così la collaborazione attiva dei soggetti obbligati. Una prova di una maggiore sensibilità sul tema, sviluppata dagli intermediari finanziari, proviene dall’incremento delle segnalazioni di operazioni sospette (SOS). Infatti, i dati diffusi dalla UIF mostrano che tra il 2013 ed il 2018 quelle riguardanti le attività illecite compiute per mezzo di criptovalute sono state complessivamente 898, la maggioranza pervenuta nel 2018. Con la nuova Comunicazione di maggio 2019, oltre a richiamare i contenuti divulgati nel 2015, sono state fornite alcune indicazioni integrative riguardanti le attività su cui porre particolare attenzione: ricariche, anche in più tranches, di carte prepagate; sistematici versamenti di piccole quantità di contanti, la cui somma sia però complessivamente di ammontare rilevante; accrediti di bonifici. UIF sottolinea la necessità di valutare se l’attività di raccolta fondi possa essere messa in relazione con la criminalità informatica, o se il denaro abbia una provenienza illecita. In tal senso, l’Unità suggerisce di tenere in adeguata considerazione le caratteristiche dei soggetti, anche specializzati, a vario titolo coinvolti nell’operatività in Virtual Asset, nonché la presenza di: a) collusioni, di qualsiasi tipo, con soggetti sotto processo o sottoposti a misure di prevenzione; b) collegamenti con soggetti stanziati in Paesi terzi ad alto rischio; c) operatività in aree di conflitto, o in Paesi che supportano organizzazioni terroristiche; d) società con strutture complesse, di cui sia difficile determinare il titolare effettivo; e) soci con mansioni inadeguate rispetto alle specializzazioni richieste dal settore. È inoltre da considerare l’utilizzo di Virtual Asset connesso con sospetti di abusivismo dell’offerta di servizi d’investimento, oltre i casi in cui l’operatività appaia incoerente rispetto al profilo del cliente, o alla natura ed allo scopo del rapporto. Infine, per rendere più completa l’eventuale segnalazione di operazioni sospette compiute per mezzo di valute virtuali,
In evidenza
la UIF ha reso disponibile l’utilizzo dell’apposita sezione “P12 - VIRTUAL ASSET” del portale INFOSTAT-UIF. Torneremo in argomento con apposite iniziative dopo la pausa estiva. Ranieri Razzante
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Editoriale
Strumenti di prevenzione alla corruzione L’editoriale di questo numero è dedicato alla delicata attuazione dei cd. adeguati assetti organizzativi alla base degli strumenti collaborativi volti a prevenire fenomeni corruttivi. L’indagine intellettuale trova il suo esordio dal settore pubblico, spesso scenario di fatti giudiziari oncologici. L’applicazione della L. 190/12 (c.d. legge anticorruzione) alle società partecipate dalle P.A. ha posto numerose problematiche per i professionisti che svolgono le loro funzioni negli organi di governance o di controllo delle stesse e, più in generale, all’applicazione della disciplina per la prevenzione della corruzione nelle società pubbliche. L’art. 41 del D.lgs. 97/2016, ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 1 della L. 190/2012, prevedendo che sia le pubbliche amministrazioni, che gli “altri soggetti di cui all’articolo 2-bis, comma 2, del D.lgs. n. 33 del 2013” sono destinatari delle indicazioni contenute nel Piano Nazionale Anticorruzione, seppur con un regime differenziato: mentre le Amministrazioni Pubbliche sono tenute ad adottare un vero e proprio Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (PTPC); le società in controllo pubblico, gli enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché enti pubblici economici e ordini professionali, devono adottare “misure integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”. Adempimento richiesto è quello relativo alla nomina di un Responsabile per l’attuazione dei Piani di prevenzione della Corruzione che può essere individuato nell’Organismo di Vigilanza cui l’art. 1, comma 7, della L. 190/12 assegna non solo le funzioni di prevenzione e attuazione del Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) e ai Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione (PTPC), ma anche funzioni di controllo e monitoraggio dei modelli, nonché di raccordo dei flussi informativi con l’organo amministrativo. Affianco alla previsione di una pianificazione generale e nazionale, il legislatore ha previsto una pianificazione locale, da attuarsi mediante il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione, divenuto, per effetto del D.lgs. 97/2016, il Piano Triennale Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (c.d. PTPCT). Il perseguimento di tale obiettivo passa attraverso la fase dell’analisi del contesto (che ha lo scopo di ottenere le informazioni necessarie a comprendere come il rischio corruttivo possa verificarsi all’interno dell’amministrazione attraverso la valutazione dell’ambiente in cui esso opera); l’individuazione delle aree di rischio; la mappatura dei processi; la ponderazione del rischio; la trattazione del rischio sulla base delle priorità emerse in sede di valutazione degli eventi rischiosi1. A fianco alla loro attuazione v’è l’adozione del MOG ex D.lgs. 231/2001. Non solo. A livello internazionale è prevista la possibilità per la società di avvalersi della certificazione ISO 37001:2016, istituita in seno all’International Organization for Standardization (Organizzazione internazionale per la normazione) quale strumento di prevenzione speculare a quello già studiato. Tale sistema di certificazione nasce dalla volontà per le società di far controllare da
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A. De Chiara, L’attuazione della disciplina in materia di anticorruzione e trasparenza da parte delle società in controllo pubblico, 2016/2017, 36 ss.
Editoriale
un Ente certificato indipendente che tutte le azioni di controllo siano conformi alla normativa di riferimento e consolidate all’interno dell’azienda. Le peculiarità del suddetto approccio operativo fanno, dell’ISO 37001:2016, uno strumento aggiuntivo ma non sostitutivo dell’assetto “231” in materia di anticorruzione, con il vantaggio di facilitare la sterilizzazione del rischio dei reati corruttivi. Tuttavia, l’ottenimento della certificazione ISO 37001/16 non pone, mai, l’azienda a riparo da eventuali contestazioni da parte dell’autorità di vigilanza, in quanto l’efficacia attuazione del Sistema Anti-Corruzione della certificazione ISO avrà l’effetto di ridurre la probabilità di corruzione nell’ambito dell’organizzazione stessa che potrà dichiarare la propria compliance rispetto alla prevenzione del fenomeno corruttivo, ovvero dimostrare di avere adottato misure di prevenzione ragionevoli e proporzionali al rischio di incorrere nella corruzione. A ben vedere, il coinvolgimento degli organismi di settore nel contesto sistemico della prevenzione alla corruzione mira non tanto alla scoperta dei reati già commessi, quanto piuttosto alla creazione di un contesto organizzativo e di trasparenza che cerchi di impedire la commissione degli stessi attraverso ulteriori cautele. In tale prospettiva ante delictum di contrasto alla corruzione risulta evidente il pregnante ruolo dei liberi professionisti (commercialisti, consulenti di impresa, etc.) chiamati ad aiutare l’impresa nella individuazione e applicazione delle regole di compliance, di governance, di organizzazione che si adattino alla sua realtà, così evitando l’imposizione di una regolamentazione insufficiente o inadatta a conseguire il risultato voluto. Ciò permette da un lato di estendere questo clichet di prevenzione anche ad altri settori oltre a quello di contrasto alla corruzione e, dall’altro, di realizzare una vera e propria collaborazione con l’autorità giudiziaria che trova riscontro in iniziative legislative rivolte all’introduzione del c.d. whistleblowing: la segnalazione delle irregolarità di cui venga a conoscenza sul posto di lavoro2. In tale contesto giocano un ruolo di primaria importanza l’attività di supervisione compiuta dall’Internal Audit in ordine al coordinamento ed all’effettiva operatività delle singole procedure aziendali, così come i controlli rimessi all’Organismo di Vigilanza, ciascuno dei quali si colloca nell’ambito del più generale sistema di verifiche volte a garantire un’efficace attuazione del sistema 231. In quest’ottica, doveri di buona condotta paiono compiti di natura organizzativa, consistenti nella predisposizione di adeguate procedure amministrativo-contabili volte a presiedere la formazione del bilancio di esercizio, del bilancio consolidato e di ogni altra comunicazione di carattere finanziario. Pertanto, assume le funzioni di “sorvegliato speciale” il soggetto posto all’apice della struttura amministrativa (n.d.r.: noto a tutti che non va intesa quale direzione amministrativa che, di contro, è organo differente) preposta alla redazione dei documenti contabili. Tale considerazione interpretativa rispecchia la natura e l’essenza stessa del bilancio, documento destinato a palesare le strategie gestionali ed imprenditoriali, frutto di determinazioni di natura tecnico-discrezionale di esclusiva spettanza del Consiglio di Amministrazione3.
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G. M. Flick, Governance e prevenzione della corruzione: da pubblico al privato (artt. 7 e 18 della L. 124/2015), 2015. Così A. Parrotta - R. Razzante, Il sistema di segnalazione interna - il whistleblowing nell’assetto anticorruzione, antiriciclaggio e nella prevenzione da responsabilità degli Enti, Pisa, Ed. Pacini Giuridica, 2019. 3 In tale contesto, grava sul Consiglio di Amministrazione la responsabilità in ordine all’adeguatezza ed all’effettiva operatività dei sistemi di controllo interni considerati nel loro insieme, ivi incluso quello amministrativo-
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Editoriale
Non a caso l’adozione di “adeguati assetti organizzativi” ricade all’interno dell’assetto dell’impresa anche a mente nel recentissimo Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza sulla base delle modifiche codicistiche apportate dal recentissimo D.lgs. 14/2019 che ha introdotto un nuovo comma secondo all’art. 2086 c.c., prevedendo il “dovere” in capo agli amministratori, che operano in forma societaria o collettiva, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa. Vigilare, ora, non è mai stato così fondamentale. Alessandro Parrotta Componente della Commissione Scientifica della Rivista
contabile, nonché in ordine ad una proficua circolazione dei flussi informativi fra le diverse funzioni aziendali.
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Giovanni Tartaglia Polcini
Plata o plomo. The most significant characters of the most modern Latin American criminal organizations* Summary : 1. Geo-historical and socio-economic frame. – 2. Some terminological clarifications needed. – 3. The criminal organizations in Latin America: general characteristics. – 4. Three deepen brief frameworks: the Colombian criminal organizations; the Mexican cartels; the Central American “maras” and “pandillas”. – 5. The penitentiary system as an incubator of new forms of criminal organizations. – 6. The mission of the juridical diplomacy. Abstract As the violence of organized crime groups linked to drugs in Latin America for decades knows no bounds, so corruption has seen the narcos progressively refine the methods to approach the public administration, also through the establishment of real negotiations at the highest levels. The recycling of narco dollars has completed the criminal design aimed to pollute the economy: today a large part of the continent suffers from the lack of security and citizens’ confidence in the institutions and from limited economic progress. The traditional criminal groups are joined by new, even more violent organizations, in some cases able to take advantage of the security measures leaks and the malfunctioning of the penitentiary systems. Essential, for the purpose of the success of any policy and operational program in this context, is the so-called. Knowledge Management Sharing, according to the rules of international technical assistance on justice and security. Only coordinated training, institutional reorganization, modernization of the regulatory framework and value sharing for the dissemination of the culture of legality will enable Latin America to engage sustainable development standards and, in particular, the Goal 16 of the United Nations Agenda 2030. The peer review mechanism of the Palermo Convention, recently approved in Vienna, and training programs such as the one financed by the European Union called EL PAcCTO, can offer – in this framework – an unrepeatable opportunity for a step change and the strengthening of law enforcement action at the strategic and general level.
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The opinions expressed in this article refer exclusively to its author and don’t reflect necessarily institutional positions; they are personal and are developed only through scientific sources, with study and research aims. We thank in particular the exchange of sources and the common reflection, Ambassador Giorgio Malfatti di Monte Tretto, responsible of the penitentiary component of the EL PAcCTO Program and Mr. Antonio Mazzitelli, UNODC high official, former head unit in Mexico. Cf. James Kuykendall. Plata o plomo, ed. XLIBRIS CORP 2005.
Giovanni Tartaglia Polcini
1. Geo-historical and socio-economic frame1. “Plata o plomo”, “money or lead “, was the motto of Pablo Escobar’s motto, historical leader of the Colombian cartel of Medellìn. Corruption and intimidation went hand in hand, moving unscrupulously from the physical elimination of obstacles, to the indebt influence to the exercise of state powers. The lemma - sadly made famous by a noir literature and a flourishing series of successes on the subject - still summarizes today, in a clear and distinct way, the operating procedures of the most powerful criminal organizations in Latin America. The Indian-American continent is the crossroad of the most important criminal traffic and is at the center of the most important transnational investigations towards criminal networks and laundering of illicit capital (for instance, it is enough to conduct investigations of Italian National Antimafia Direction (DNA) and US DEA on international drug trafficking, the Panama Papers scandal, the Odebrecht case, the Lava Jato investigation, the La Linea trial, etc.). Latin American organized crime, in consequence of what has been highlighted and due to objective more specific historical and sociological data, represents now a threat at the global level. On this regard, we should consider that Europe has faced such challenges decades before Latin America, achieving good results: it is equally important to underline that the European institutional response to the threat of mafias in the last twenty years of the last century has reduced its consistency and offensiveness, through measures that, although significantly harsh, have always been implemented fully within the framework of the rule of law principles. Also due to this value-driven consideration, the experience gained from the old continent can integrate an invaluable and historically indispensable asset for any hypothesis of effective contrast to Latin American organized crime. The circulation of European models and their hybridization with the Ibero-American institutional architecture offer a useful and viable alternative. Finally, we should note that the affinities between Ibero-American criminal groups and traditional mafias are consistent and important: on the other hand, the now more consistent
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G. A. Akerlof, R. J. Shiller (2009), Animal Spirits: How Human Psychology Drives the Economy, and Why It Matters for Global Capitalism, Princeton University Press, Princeton, New Jersey. G. A. Akerlof, R. J. Shiller (2015), Phishing for Phools: The Economics of Manipulation and Decep- tion, Princeton University Press, Princeton, Nj. J. P. Cualkin (2016), The Real Danger of Marihuana, «National Affairs», Issue 26 Winter. E. Ciconte, s. Mannelli (2013), Politici e malandrini, Rubbettino. F. Forgione (2008), ‘Ndrangheta. Boss, luoghi e affari della mafia più potente al mondo, Baldini Castoldi Dalai, Milano. J. C. Garcon (2008), Mafia et Co. The Criminal Networks in Mexico, Brazil, and Colombia, Woo- drow Wilson Center, Washington, DC. T. Levitt (1983), The Globalization of Markets, «Harvard Business Review», May-June 1983. A. Mazzitelli (2011), Mexican Cartels Influence in Central America, WheMsAC Florida Int. University. (2011), The New Transatlantic Bonanza: Cocaine on Highway 10, WheMsAC Florida Int. University. (2015), Crimine organizzato e narcotraffico in Messico: cartelli e protomafie, Atlante delle Mafie, Vol. 3, Rubettino. Global Iniitative Against Transnational Organized Crime (2016), Organized Crime and Illegally Mined Gold in Latin America. (2016), Development Responses to Organi- sed Crime: An analysis and Programme Framework. R. Sciarrone (1998), Mafie vecchie, mafie nuove. Radicamento ed espansione, Donzelli, Roma. UNODC (2002), Results of a Pilot Survey of Forty Selected Organized Criminal Groups in Sixteen Countries. (2010), The Globalization of Crime – A Transnational Organized Crime Threat Assessment. UNODC (2011), Estimating Illicit Financial Flows Resulting From Drug Trafficking and Other Transnational Organized Crimes – Research report.(2012), Delinquencia organizada transnacional en Centro America y el Caribe, Una evaluación de las amenazas. G. Valdes Castellanos (2013), Historia del Narcotráfico en Mexico, Aguilar, Elites and organized crime, Insight crime.
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transnational nature of the most important and powerful criminal networks would increasingly encourage the adoption of an intercontinental synergic strategy of prevention and repression. Here is a brief summary of the reasons for the approach chosen in the present intervention, which tends to offer a strategic proposal to respond in a truly effective way to the threat of organized crime in Latin America. That said, it is necessary to start with a preliminary geo-historical analysis of the criminal phenomenon, in order to identify the most realistic legal, institutional and regulatory requirements. In this field, survey activities should always be conducted in co-ownership with the Latin American partners, coherently through a partnership approach, isolating critical issues and enhancing good practices. In other words, any system initiative in this matter under consideration should follow the tested operational canons of bilateral and multilateral legal diplomacy in the justice and security areas2. ***** The first difference compared to the rest of the world, which can be seen in the organized crime ontology, as manifested in Latin America, concerns the role of drug smuggling: specifically, in that region the criminal system that centers around illicit profits produced by drugs is at the origin of the vast majority of associative- delinquent phenomena. Elsewhere, however, drug trafficking has always assumed the different role to be driver of mafia activities and criminal networks, which existed and operated even before the spread and consumption of drugs. There are, of course, Latin American criminal organizations, however, separated from drug trafficking. Nevertheless, they constitute - in the face of others - a small minority3. Another noteworthy feature, in the ontological distinguished adduced, concerns the violence dimension, conceived by the Ibero-American criminal groups as an instrument of daily operating. And indeed, at a time when all the welfare measures of the world population are constantly growing, there is only one area where lethal violence has progressively increased until today: Latin America. The theme is of great importance and it should be investigated. The Wall Street Journal has recently published an impressive report4. Only 8% of the global population lives on the continent (including the Caribbean), yet, according to the UN, one third of all intentional killings in the world are committed there, the vast majority of which are committed by organized crime. In order to have terms of comparison, it is sufficient to bear in mind the fact that, in 2016 throughout China (1.37 billion inhabitants), 8,634 murders were registered, 5,351 in the entire European Union. In Latin America, there are approximately 145,000 murders per year and the relative statistics are growing; Mexico has set a new record: 8493 murders in the first quarter of 2019 alone (up 9.6% compared to 2018). A quarter of all the world’s murders are committed in only four countries: Brazil, Colombia, Mexico, Venezuela; 43 of the 50 cities with the most
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See infra references to the biannual g20 ACWG Action Plan (2017-2018) where recognizes as a best practice model the Italian proposal on multilevel integrated technical assistance 3 As well as the sectors of operation in which they are active [routes, weapons, mines and medium-environment, cyber, child pornography, etc.]. 4 Latin America Is the Murder Capital of the World, Riven by drugs, gangs, weak institutions and lawlessness, the region is facing a crisis, By David Luhnow Brian L. Frank for The Wall Street Journal Updated Sept. 20, 2018 7:55 p.m. ET
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murders in the world, including all the top ten, are located in Latin America. If you live at least 70 years in Caracas (Venezuela) or in Acapulco (Mexico), the possibility of dying from violent aggression is far greater than the world average (one in ten).
Recently, an also particularly alarming statistic related only to El Salvador has surveyed the number of police force members murdered in that small Central American country5. To give a further visual strength to the gravity of the phenomenon, I cite a personal experience: I witnessed a strike held by forensic doctors in El Salvador, due to insufficient staffing and the means to face the number of homicides and the necessary autopsy investigations. A similar crisis in the coroner forensic area is also evident in Mexico, where the inability of the morgues in Acapulco has recently been stigmatized, although of considerable dimensions from the beginning, and the consequent need to lease “refrigerated trucks” to preserve the bodies of the murdered, attending identification and forensic medical examinations. Thousands of corpses have no established identity. Thousands of people have disappeared without a trace. It should still be specified, always on a general and abstract level, that we should not run into the error of considering organized Latin American crime as exclusively violent and threatening, as the first-generation European mafia. We should consider, indeed, that further characteristics, which we could define as “physiological and common”, outline Latin American criminal groups in a way that is not distinct from those active on other continents.
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https://m.elsalvador.com/fotogalerias/noticias-fotogalerias/559270/ellos-son-los-policias-asesinados-por-pandilleros- en-este-ano/; https://m.elsalvador.com/noticias/nacional/559232/dos-policias-asesinados-durante-ataque-a-patrulla-policial-ensan- miguel/; https://www.google.com.sv/amp/s/www.elsalvadortimes.com/articulo/sucesos/son-rostros-30-policias-asesinados2018/20181228222707052998.amp.html; https://m.elsalvador.com/noticias/nacional/551127/pandilleros-matan-a-un-policia-durante-una-emboscada-en-cabanas/
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In fact, transnational criminal organizations have diversified their product and service portfolios throughout the world, without giving up their cultural traditions, their classic operational tools (corruption, intimidation and violence) and their territorial competences. The mafias have built a new identity by consolidating a local dimension and developing also cross-border operations. The free movement of people and services in larger markets has unfortunately also favored the development of organized crime. Finally, organized crime has diversified its offer by expanding it from criminal goods and services (drugs, people, weapons, etc.) to those that are criminally relevant, although less serious in terms of security, defined as illicit (gambling, betting, usury, smuggling and counterfeiting of legitimate products, etc.), to finally reach the infiltration and control of entire legitimate economic and productive sectors. In doing so, organized crime has also shifted its center of gravity from productive economic sectors typically linked to the territory (agriculture, public procurement and construction), to areas and markets where there is greater mobility (counterfeiting, weapons, drugs, toxic waste, metals, trafficking in human beings and migrants smuggling). Organized Latin-American crime pollutes the economy entirely, spreads its interests around the world, relates to European and Asian criminal organizations, manages a large part of global drug trafficking and expands into distant territories, recycling the huge capitals produced by drug trafficking and replicating recent operating methods in metropolitan areas.
2. Some terminological clarifications needed. One should not make the mistake of observing organized crime, even in Latin America, as an isolated phenomenon: the mafias are increasingly infiltrating the economy, through money laundering and corruption in the civil services. Only a holistic approach to the mafia issue will allow an effective response to the examined increasing global threat. In particular, the concept of mafia and / or mafias is not shared easily at the definition level. Paradoxically it can be argued [for example] that the characteristics required by the art. 416 bis of the Italian penal code are not linked in all types of international organized crime. Indeed, the diffusion of forms of criminal networking that reach the highest institutional levels (even up to the co-optation of entire state structures6), without assuming clear mechanisms of subjection and silence, involves cases of corruption that have led to the fall of governments and to the start and accomplishment of transnational judicial investigations; nevertheless, we will be able to demonstrate (although from this regional point of view only) that the dark side of the world’s criminal organizations is much more homogeneous than it is believed. Going deeper into the definitional approach, for example, one hears more and more talk about Grand Corruption, or “Cooptacion de Estado�7, referring to corruption cases on an economic basis that led to the fall of Governments, as well as to transnational judicial investigations. In the face of such criminal phenomena, the need to build new forms of international reaction to the danger of immunity / impunity connected to the size of the threat has been
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See infra. Transparency International and the 2016 Anticorruption International Conference held in Panama, not a case intended to dedicate a specific focus on the issue. 7
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increasingly felt (see the cases of the Commission for Impunity in Guatemala [CICIG ] or the MACCIH in Honduras, the first, sponsored by the United Nations and the second by the Organization of American States). Unfortunately, due to contingent geo-political reasons, the health of similar organizations is precarious and the good experience developed above all in Guatemala seems to get mark time. In our approach on the qualification level, we will refer to criminal organizations as a complex of criminal organizations which, taking advantage of the intimidating force of the associative bond and the condition of subjection and of ensuing silence, acquire the ability: to take root in a territory, to dispose of huge economic resources, to exercise forms of control over growing portions of the local society and to present themselves on the political market both as an autonomous and specific social force, and as a dispenser of electoral consent, thus obtaining a further enhancement. The mafias [so defined without political color and without nationality] constitute a phenomenon that affects the whole society as a capitalist degeneration that trades and uses the human as a “thing”. It can therefore be considered not so much as an inferior product of a poor society but as the emergence of a novelty destined to obtain an ever wider global affirmation. The mafia logic is traditionalist by antonomasia but it is also extremely avant-garde in the technical methods of exploiting conflicts and social contradictions. In this sense, today’s relationship between corruption and the economy recalls the issue on security, the utmost importance for the community protection. When we deal in detail with the situation of organized crime in Latin America and Central America, we can and must refer both perfectly within the Mafia schemes in the context of the Italian case of criminal association qualified pursuant under art.416 bis of the criminal code, and to different prototypes criminal networking modules, having to understand the seriousness of the threat constituted by both schemes and the convergence of the response tools.
3. The criminal organizations in Latin America: general characteristics. As already well mentioned above, Latin America is actually the most violent region in the world, with 30% of violent killings. There are twenty-three murders per hundred thousand inhabitants, twice as many as in Africa and five times compared to Asia. The vast majority of these crimes are linked to the organized crime’s interests. This has caused a growing feeling of insecurity among citizens and the United States. In recent years, Latin American countries have experimented with different strategies to combat organized crime, some repressive and others “softer”: in the first case we think in Mexico with the experience that involved a militarization of public order, or in the case of Guatemala, passed, in 2015, from a defined approach of a “hard hand” to the opposite featured by the so called “Hand bland”. In other countries, were created new military police forces too. Overall, these policies are not [until now] known to be guarantee acceptable levels of security. Short term policies were unable to impact effectively on this phenomenon. Latin America, on the other hand, needs a structured response in order to reduce the level of insecurity in the region and, consequently, favor and develop socioeconomic development, in line with the United Nations 2030Agenda 16th Goal8.
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Goal 16 is dedicated to the promotion of peaceful and inclusive societies for sustainable development, and it
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Even in Latin America, the awareness emerged that there can be a clear economic development as long as there an existing such pervasive crime infiltrates the economy and public organisms: on the other hand, the issue of security is extremely important also for the undeniable fact for its relation to the exercise of human rights and to the protection of direct or indirect victims of organized crime, as well as their families. Closely considered, the exercise of the human prerogatives, is seriously questioned in contexts that, in some extreme cases, resemble more war scenarios than accomplished societies. It is yet to be underlined - once again - the transnational character of criminal organizations, which act easier in a context where any effective legal and operational law enforcement tools were launched. This means that any state without control and prevention systems can indirectly cause risks of infiltration for others, with consequences for the same state stability. Thus, governments together have a responsibility to work together to address jointly the global threat of organized crime. The theme of the trans-nationality of organized crime in Latin America is expressed clearly in two cases: - in the so called “triple frontera” (three borders), which separate Argentina, Brazil and Paraguay, and constitutes the operational field of the most dangerous drug, arms smugglers as armies and so deep to resist even the attempts of transnational response operated up to now. The circulation of criminal models in the “triple frontera” has also affected the prison system, from the point of view of the Primero Comando da Capitale group in the prisons of all three neighboring countries; - Central America, on the other hand, represents an emblematic example of a place of “free movement of groups and criminal models”, as experimented in the so called. triangolo norte, an area that includes the states of Guatemala, El Salvador and Honduras, which see the institutions engaged in a daily fight against new organized criminal forms, called maras or pandillas, present almost uniformly in the most populous capitals and cities of the sub-region. With regard to similar emergency situations, which have been dragging on for more than a decade, any strategy of contrast, to be useful, must necessarily take into account two essential forming issues: - the trans-nationality of the answer, - technical assistance implemented through tested and shared models. In my opinion, in large parts of the Indian-American continent the only viable way to reaffirm the Rule of Law is cooperation between states, through legal diplomacy and technical assistance activities ordered in a real strategic program. As mentioned, in order to obtain a good result, any intervention activity needs first of all a careful analysis: a need assessment conducted with care and in co-ownership with Latin American countries. In these terms, it will be useful to consider that the development of organized crime in Latin America and the Car-
aims also to provide universal access to justice, and build responsible and effective institutions at all levels. The official website of the Agenda states that, among the institutions most affected by corruption, there are the judiciary and the police. Corruption, bribery, theft and tax evasion cost developing countries about 1.26 trillion dollars a year; this amount of money could be used to relieve those living on less than $ 1.25 a day above this threshold for at least six years. The rule of law and development are characterized by a significant interrelationship and mutual reinforcing, making this coexistence necessary for sustainable development at national and international level.
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ibbean has been marked by the tendency to emphasize market-led organizations, especially transnational organized crime specialized in drug smuggling. But the truth is that drug cartels are only a part of organizations characterized both by their ability to supply the international market and by their ability to take advantage of the local economic crime by controlling the territory. Another trend, that an highlight is worth, concerns precisely the drug smugglers groups and their evolution with respect to the control of the territory: from an initial ambition of domination on some routes and on some drug pathways, the cartels and the Latin mafias Americans have begun to expand their sphere of invasive and pervasive operations, far beyond the rutas. From the organizational-systemic point of view, organized crime can be considered in the region on different levels interconnected, which act on a scale of variable value in terms of profit and violence. In the examination of the presence of mafias and criminal cartels, in a first level we find the groups of transnational organized crime related to drug smuggling in large portions of territory, following the process from the production to the sale (for example cartels). Some of these groups control a large part of the illegal drug distribution chain, but they are not a single reality. Indeed, they rely on a series of small contracted organizations specialized in the transport of illegal goods in their territories. Transnational crime organizations, for its part, manage this process from beginning to end, selling illegal goods on a large scale in the countries of greatest consumption. The profit margins of this trade allow these groups to influence government security policies at the highest levels, to operate through their politicians, to implement largescale economic projects and to influence social interactions at local, national and international level. Moreover, the great profits allow these groups to create partnerships and alliances. Criminal organizations have often equipped themselves with small armies to rely on for their orders. Criminal groups in the region form these small-scale. Many of them have now cut off their contacts with their origins and operate independently, even if they are acting on a less extensive geographical area. Their economic model is based on the ability to conquer and control the territory on which they collect the proceeds of legal and illegal traffic. Unlike their predecessors, their peculiarity is represented by the capability of establishing positive interactions with government entities, and likewise developing strong partnerships. Therefore, it is explained why these second level groups generate so much violence in the region (first generation of maras). Their relationships with political and economic elites are based often on intimidation, rather than mutual respect and the sharing of benefits. Third level criminal groups refer to street gangs (pandillas). These groups usually have mild and dynamic relations with the first and second level groups, but maintain an apparent independence. They are rather precarious organizations that survive mostly through extortion and the small drug dealing. Their morality is more related to social, ethnicity and nationality than to the economic aspect. Their identity is based in relation to rivalry with other street gangs, rather than in relation to capital accumulation or the development of long-term economic strategies. They penetrate the state too, but at a purely local level, particularly through the police who can facilitate their criminal activities. The police in fact operate as an intermediary facilitating the operations of these criminal groups. Often the police create their own criminal organizations both during the period of service and after retirement (or following the dismissal). These forces carry out various activities including: providing protection to criminal operations, facilitating the purchase of weapons, alerting or diverting investigations from criminal groups, or targeting rival organizations. Personnel armed forces can perform the same tasks as criminal groups, especially in areas where they are most active as part of a security strategy.
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Political and economic elites also play an active role in facilitating and encouraging these criminal activities. First of all, they can be partners in criminal activities or beneficiaries through money laundering and other economic projects. They can also receive funding and support for their campaigns from criminal organizations, some of which exercise considerable political power. The elites can also support indirectly criminal groups by compromising investigations, corrupting judges and prosecutors or simply removing funds from the legal system. Finally, we must consider the fact of post-war realities (even after the numerous civil wars that affected the region), the consequent disarmament processes and the historical cohabitation (tolerant in places and conniving sometimes) between organized criminal groups and terrorist organizations, which often has complicated greatly the Latin American framework.
4. Three deepen brief frameworks. Not allowing the length of the present analysis more than a synthetic historical- reconstructive picture of the main types of Latin American criminal organizations, I decided to follow an approach experimented by teaching law and anti-mafia legislation. It starts from a journey through time and takes into consideration the most powerful mafias active in the region in the past, especially in Colombia, the immediately following imposition of Mexican organizations and finally the development of new forms of violent crime, especially in Central American, represented by maras and pandillas.
4.1. Colombian criminal organizations In the 1970s, in the wake of the conditions that favored Colombia’s new international role, real criminal organizations were born, mainly dedicated to drug smuggling. The term “drug cartel”9 is appropriate to define Colombian criminal organizations. In fact, although several groups were involved in the various stages of drug smuggling, two were the main organizations to consider: the Medellín cartel and the Cali cartel. The Medellín cartel is also known to international public opinion for literature and filmography. Its undisputed leader was the notorious Pablo Emilio Escobar Gaviria. Escobar created a vertical structure for the cocaine business, capable of covering all the various phases, from cultivation to the great distribution in the USA and Europe. After the death of its leader, the top-down and hierarchical organization did not hold up starting inexorably to decline and favoring the progressive expansion of the operations of other criminal group active in Colombia, the Cali cartel. The latter, created by the brothers Rodriguez Orejuela, Miguel and Gilberto, as Escobar also sons of peasants, was structured, instead of a pyramid system, as a real “holding” characterized by a strong division of labor that was reflected in the presence of numerous small cartels specialized in a single phase of the drug production and smuggling process. The relationship between the two cartels was a reason for an alliance at first and then entered into a real conflict situation. In the period following Escobar’s death, the Cali cartel grew stronger until they took over the cocaine export monopoly. Even the caleños, neverthe-
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In economia con il termine cartello si indica un “accordo tra imprese concorrenti diretto a disciplinare la concorrenza” ma estendendo il significato della parola si può far riferimento ad “un’alleanza tra forze o gruppi che perseguono scopi comuni”.
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less, had a cycle of limited existence with a reduction to the minimum of their activities in the second part of the nineties10. Unlike the Medellin cartel, the Cali cartel was the silent and industrious cartel; it was in fact much more sophisticated and above all more integrated in the judicial and financial circuits of the country. The leaders of the group maintained a “low” profile not only in daily life but also in relations with politics; with the latter they preferred prudence and discretion, before corruption then only in the extreme case violence and murder. The Medellin cartel was instead more politicized and ambitious: Escobar worked personally in politics to obtain parliamentary immunity, was even elected deputy in parliament for the Liberal Party. Escobar acted politically not only to guarantee general protection for his “business” but also to protect his figure from a possible extradition to the US, where he was wanted for international drug smuggling. However, Escobar’s political career was destined to run out soon due to a late, if not extreme, resilience of the politics represented by Colombian interests and values. Escobar, who offered to pay the Colombian public debt in exchange for immunity, financed religious institutions, homes for the poorest, built football fields for the children and became the president of the National of Medellín football club. His partner Rodriguez Gacha instead owned the Millionarios, team from Bogotà. Escobar even owned a newspaper, the “Medellín Civico”, from whose pages he sent messages to the political leaders writing to share with the guerrillas “the desire for a Colombia with greater social equality”. Even Orejuela did not give up “well-targeted patronage” by supporting some private journalism universities and owning the America football team that in 1993 won the Colombian championship. The disappearance of historical cartels has led to the spread of less relevant organizations from the point of view of territorial diffusion and control, with an increase in violence especially in large cities.
4.2. Mexican cartels Many sources sources show that Mexico records very high figures of violent deaths typical of a country at war11. The United Nations High Commissioner for Human Rights (UNHCHR), Michelle Bachelet, recently said that 252.538 deaths in Mexico have been logged since 2006. The current government inherits a situation of extreme violence, but both the newly elected President López Obrador and the competent authorities have officially pledged to remedy the
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Paradoxically, the end of the Cali and Medellín cartels hegemony caused in Colombia the fragmentation of the crime organizations which have changed forms and have permeated the political situation in Colombia under different aspects of daily and social life to the point that we speak about a “violent criminalization of urban life”. In addition to the two main ones, there were also six other minor historical organizations: the Norte del Valle cartel, the Cauca cartel, La Guarjira cartel, Narino, Pereira, Bogotà and Leticia. Among these groups the cartel of the Norte del Valle was considered “the last of the real cartels” and Diego Montoya, one of its greatest exponents, has long been considered “the boss of the Colombian narcos bosses” like Pablo Escobar. However, unlike the cartels of Medellin and Cali, the organizational situation of the Norte del Valle cartel is not certain: it is a criminal association no longer active in the field of drug smuggling that operated mainly north of the Department of Valle del Cauca, in Colombia. It became important especially after the second half of the 1990s due to the fragmentation of the other two large Colombian cartels, the Medellín cartel and the Cali cartel. 11 https://www.proceso.com.mx/578949/mexico-tiene-cifras-de-muertes-violentas-propias-de-un-pais-en-guerrabachelet
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situation by fighting insecurity in the country, respecting human rights. Mexico, besides being an important geopolitical actor in the region (it is a G20 country) and an economic protagonist of the international scenario (it has great natural resources and a flourishing industry), is considered one of the main centers of world drugs smuggling. It is a country in which a campaign of violence has been going for years, which has caused thirty-three thousand “desaparecidos” in the last decade. The concentration of cocaine production in South America is the starting point of all the routes that, in their initial part, are macro-flows directed to consumer markets. If North America is the landing place of the first flow, the second is Europe. Starting from the Atlantic coast, drugs go to Europe by various means of transport. The long border that separates Mexico from the United States has always been a great market for licit and illicit products and services. Therefore, it is natural that the most important organized crime groups in Mexico as well as the most relevant criminal activities and markets for Mexican criminal organizations have developed mainly along this border. Mexico became the epicenter of the drugs smuggling, in the nineties, when, following the weakening of the Colombian narcos, which were the main suppliers of the US market, it stopped being only a transit country assuming a leading role in the production, in the management of traffic, in the determination of the price and routes. The institution of Mexican drug cartels is due to a former judicial police officer of the State of Sinaloa, a plateau rich in marijuana and opium crops, Miguel Angel Félix Gallardo, who in the eighties controlled all the illegal drug trade in Mexico and in the corridors on the border with the United States. Gallardo started an important flow of narco traffic towards North America and was the first Mexican to act as a link with Colombian cartels. Gallardo was arrested in 1989 and the cartel fragmented. With the advent of the 2000s, two factors determined the breakup of the “Pax Messicana”, which until then had held up the internal balance. The first was represented by the end of the seventy-one years of uninterrupted government of the “Partido Revolucionario Istitucional (PRI)”, which caused a political power vacuum at the territorial level and the end of a determined control by federal law enforcement on the groups criminals, holders of well-defined areas in which they could trade and carry out their illicit advantages. The PRI, the party heir to the ideals of the Pancho Villa and Emiliano Zapata revolution, in its long term in power had ended up by getting involved with the cartels. The latter consisted in the temporary drop in the demand for drugs from the United States. It reduced the revenues, and increased competition between cartels. These events upset the system of alliances that until then had guaranteed the safety of the corridors to smugglers and favored the constitution of ten large Mexican criminal cartels. The most influential are: the “Sinaloa Cartel “, founded by Joaquim Guzman, called “El Chapo”, which until his arrest controlled 25% of the drug market; the “Cartello del Golfo”; “La Familia”; “Los Caballeros Templarios” and the “Tijuana Cartel”. The Mexican cartels, organized as an entrepreneurial network, with various types of agreements, which link together groups and individuals without subjecting them to a pyramid structure, manage the various phases of the activity. Their organization is, in fact, able to perform various functions in the sectors concerning the cultivation of plants (with the need for protection and camouflage), the purchase of leaves and chemical substances, the transport of raw materials in the laboratory area, the cocaine packaging and deposit supervision. These activities, together with the protection of the leaders, led to the militarization of the cartels by equipping them with armed units, used in the protection of the routes, which, more and more
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often, are threatened by groups dedicated exclusively to predatory activities. These militarized groups, are composed mostly of former members of the Mexican special forces, among which the most consistent is “Los Zetas�12.
Military formations assisted the other cartels, such as the Beltran Leyba for the Sinaloa cartel. There is also the third type of criminal organization as mentioned above: in fact there are numerous local pandillas (in Ciudad JuĂĄrez in 1997 more than 287 pandillas operated, including at least 13 extremely violent).
4.3. The Central American maras and pandillas. Central America represents an important link corridor for drugs smuggling from the south to Mexico and the United States.
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It worked at the beginning for the cartels and then becomes independent so to gain market segments. It is active in many Mexican states and in various Latin American countries in drugs smuggling, in kidnapping for extortion and in other criminal activities.
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Criminal organizations handles also arms and human trafficking. Amnesty International defines Central America as a theater of war, in which its public institutions have progressively lost full sovereignty within their borders due to administrations sometimes involved in investigations into serious corruption and incapable of curbing violence. In particular, in the so-called “Northern Triangle�, formed by Guatemala, El Salvador and Honduras, violence is the basis of everyday life and cohabitation with criminal gangs in cities is the rule.
Central America political division I have already highlighted the sad statistics of the murders of police officers in El Salvador. I can add a personal experience lived during a mission in Honduras to the numerical data (cold as it is such as to dismay). At the end of the work day, the police officers assigned to my protection did not return in uniform to their homes. The Honduran policemen from Tegucigalpa [which is not the most dangerous city in the country having to give up the scepter to San Pedro Sula] consort to rent out delocalized apartments, to decontextualize the attention of the maras from their families13. Naturally, this is a measure taken in a completely autonomous and prudential manner, which illustrates, however, in a particularly significant way, the level of fear that the criminal organizations under consideration incite on the population.
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The police do not have the capacity to fight a force that seems for all an army of aggression. The most consistent response was the military one. The army was often used for repressive purposes - and when it achieved them - it was counterproductive.
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The origins and causes of the multi-faceted criminal phenomenon organized in Central America are various: guerrilla movements and paramilitary structures, protagonists of brutal violence, have dissolved following the creation of the democratic governments elected by the people. Many of their members, mostly young people, have not laid down their arms or entered civil society and have ended up, due to the scarce job opportunities offered by the region14, to be attracted by criminal organizations, emerging as true autonomous emerging powers. Furthermore, another factor was the decision of the United States, in the mid- nineties, to repatriate mass immigrants in large numbers. The vast majority of these were composed of common Central American criminals. Thus it started to be used the term “gang”, as in the North American cities where this phenomena originated. When we talk about gangs operating in Central America the term “pandillas or maras” is more proper: for pandillas we mean all local criminal groups, with maras we refer to a more recent phenomenon, which has its own roots among the Central Americans who emigrated to the United States in the 1960s. In El Salvador, Guatemala and Honduras the two “maras” have spread, the most dangerous of the continent, even more violent than the Mexican ones. The “Mara Salvatrucha (MS-13)” and the “Mara 18” or “Barrio 18”15, were both created by Salvadoran and Honduran emigrants in Los Angeles and Washington, the two cities with a strong presence of Central American emigration in the United States starting since the seventies. Other countries in the area are also involved with the “Northern Triangle”in drug smuggling due to the presence, more or less marked, of Mexican cartels. Costa Rica has traditionally been considered as a bastion of security in the region, but in recent years has seen a worrying increase of violence, due on the one hand to the consequences of the crises in neighboring countries and on the other to the growing role of local criminal groups in the drug smuggling. In Belize, the drug killing data is staggering. In Panama, even a president, Manuel Noriega, was accused of drug trafficking and deposed following an invasion by the US military. Its geographical position, between the Center and the South of the continent, has made it a key transit point for illicit trade, as well as an area of refuge and traffic for criminal organizations. The Mexican cartels took advantage of the fragile Panamanian judicial system and of the extensive corruption to infiltrate the local system. Finally, as far as Nicaragua is concerned, the recent political events are now bringing it to the brink of a civil war.
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The national economy is inexistent, basically due to the control of the big industries by the multinationals. he high unemployment rate and the ease of finding weapons have multiplied the chances of finding recruits willing to shed blood in exchange for something to eat. 15 The two main maras, the “13” and the “18”, took their name from the streets of the cities they controlled. The “MS-13” has about sixty thousand affiliates dedicated to a very differentiated criminal activities and allies in the global galaxy of the crime; it does business even with the Japanese and Asian Gulf Mafia. It is also active in the trafficking of human beings, especially Central American citizens who are smuggled to the United States, and operates mainly in urban areas. The “Barrio 18” has a slightly lower number of members of different nationalities, although in the vast majority Hispanics. Its main activity is drug trafficking, which allowed to create close ties with Mexican cartels and recruit its members in schools with the promise of money and identity. The “Barrio 18” extends to several Central American states. The struggle for the territory and for the control of criminal activities has always caused feuds between the two “maras”, which are resolved in a spiral of bloody murders and revenge. These have created parastatal apparatuses within their respective territories. This report highlights the difficulty of fighting drugs smuggling.
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A note from the Justice Department reports that, the politician Mario Estrada with his partner Juan Pablo Gonzalez conspired asking for the Sinaloa cartel to become president. The recent announcement that Mario Estrada, Guatemala’s presidential candidate for the minority party of the National Union of Change (UCN) – although without any real chance of winning the June elections, however candidate and active participant in the electoral campaign – represents the confirmation of how the Central American situation in some sectors is significantly in danger. The Guatemalan politician was indeed captured in Miami (Florida, USA) with one of his trusted men, Juan Pablo González Mayorga. Both are charged with conspiracy aimed to export cocaine to the United States, as well as to import weapons. A note from the US Department of Justice says that both Estrada and Gonzalez “use the money from the Sinaloa cartel to finance their plan to reach the presidency” by offering the cartel the possibility of using Guatemalan ports and airports as a bridge to export tons of cocaine to the territory of the United States16.
5. The penitentiary system as an incubator of new forms of criminal organizations. A crucial aspect of the Latin American problems is the penitentiary system. The concrete abdication of power within prisons in large parts of the hemisphere17 has made these structures into real, non-sporadic storage room for criminal groups and schools for future criminals. This process has accelerated since the governments of the region strengthened the measures to suppress the small drug dealing and other crimes, leading to overcrowding of prisons and increasing the difficulties for the authorities to manage the sector. In the face of any classification and management, in some prison systems, inside the prisons the pavilions take the name of the groups to which the criminals are convicted18. Since there is no separation in the prison environment between common crime and organized crime, the prison becomes a place of proselytism, recruitment, radicalization and training. The “Primeiro Comando da Capital” (PCC), is a paradigmatic example of similar organizations with endo-prison or intramural origin that evokes at least the mechanisms of primitive formation, the Italian New Organized Camorra and the criminal experience of Raffaele Cutolo. It is a criminal organization born precisely from the harsh prison conditions, set up to create an alternative entity, using a rhetoric of injustice and “revenge” against the police to attract new recruits and to generate the legitimacy needed to lead in tranquility its criminal operations. The “Primeiro Comando da Capital” lives, in fact, of criminal activities: it is financed through the sale of cannabis and cocaine, with extortion to prisoners or to the detriment of civilians and with robberies of banks and valuables. It is present in a network that branches out in almost all of Brazil, with rival gangs that are gradually defeated, subjugated and reduced to local “branches” of the group. Linked by bonds of fidelity, unity and silence, present in a real Statute, just like any criminal or paramafiosa organization, the enlisted must follow a complex affiliation path, in which
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https://elpais.com/internacional/2019/04/18/america/1555556040_527061.html It is enough to remember the specific issue of the program of the Mexican Minister of Interior’s who just took in office 18 For instance, Comando Vermeglio, PCC 17
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the new adept must be presented by an already active senior member, and be subjected to a “baptism” ceremony, having three other members as godparents. Each member of the PCC must pay monthly a sum of money to the common fund, differentiated between detained members and free members. A common practice in criminal groups of all latitudes, in which ties of solidarity and mutual assistance are created between members in freedom and members in captivity. Today the PCC is also present beyond Brazil, in various Latin American states, engaging the jurisdiction, the police and the penitentiary system of Argentina and Paraguay. In particular, the PCC is expanding and is considered the largest and best organized criminal group, having about twenty thousand members, multimillionaire revenues and strong support among the detainees. It orchestrated riots in various prisons of San Paolo, putting the entire city on fire for two days. It has been implicated in many kidnappings in Bolivia, in the recruitment of FARC dissidents, in drug shipments seized in Uruguay and in various murders in Paraguay, where the organization was also responsible for the largest armed robbery of the country’s history: about forty million dollars stolen with explosives from a security vault. The organization has a vertical mafia-type structure. Like the mafias, in fact, it is established where the State and the law are weak and it proposes to create an institutional alternative. In Brazilian prisons, where prisoners’ conditions are somewhat critical, it uses the rhetoric of injustice and revenge against the police to attract new recruits and generate the legitimacy he needs to easily carry out his criminal activities. Its bosses, despite beingdetained to serve heavy sentences, continue to lead proselytes from behind bars. Although one of the PCC leaders, Marcos Camacho known as “Marcola”, a drug smuggler and bank robber with intellectual pretensions, in an interview with a newspaper exposed fanciful political and revolutionary ideas, the organization actually has little or nothing to do with politics, with the revolution, with justice and with the misery of the favelas. The PCC does not set out to seize the state, which is disputed confusedly with the right to pass sentences of condemnation, nor does it have a social program outside the demands of the prison population to which it guarantees, in the name of “prison brotherhood”, a support important. This includes the payment of lawyers, money for inmates and financial assistance for their family members. The agreements with groups of former Latin American Marxist guerrillas aim exclusively at criminal action. The PCC has also managed to form similar groups in other regions of the country and to ally, for example, with the powerful “Familia do Norte (FDN)” in Amazonia, a fundamental hub for cocaine river traffic. It aimed to emulate the Escobar project in Colombia, aimed at creating a single organization (Narcosur) for the control of the drug market in the southern continent.
6. The juridical diplomacy mission 19 in the topic under consideration. Legal diplomacy allows a journey through space and time towards better regulatory models. In space, it makes it possible to translate, share and export norms, institutes, organizational models and value systems. As far as it identifies and studies the best practices spread or established elsewhere, it allows us to anticipate scenarios, as in a hypothetical journey through
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A.M. Durante Mangoni e G. Tartaglia Polcini (2019), La diplomazia giuridica, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019.
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time. It often happens that national models - indicated or recognized as terms of reference - rise to standards in multilateral forums and, through conventional mechanisms, end up conditioning, permeating it, tomorrow’s national legislation. The study of such phenomena in advance and in depth offers an unprecedented approach to link and govern them in the best possible way. In a context like the Latin America, judicial and police cooperation, although admirable and efficient, are not in my opinion enough: the geographical fragmentation of criminal organizations and the new figures of crime require today a more effective preventive and repressive system. The traditional bilateral judicial cooperation agreements shall be made outdated and ineffective by the transnational character of the crime, which instead would require agreements and multilateral cooperation schemes and sometimes even in contrast with the traditional conception of state domestic jurisdiction. The problem must be considered a priority not only by legislators and public authorities, but also by all sectors of society (educational agencies, the press, the private sector), with a view to long-term prevention programs that can reduce administrative, social and economic vulnerabilities, thus limiting the space available to gray areas, a breeding ground for global organized crime. A multi-stakeholder approach is needed. The diplomatic action in this new sphere of law are aimed at: - harmonizing legislation, bringing national regulatory frameworks closer to ensure fair competition between production systems and healthy competition between companies; - consequently, favoring a transnational response to the most serious forms of crime on a global level: criminal organizations, corruption, money laundering; - promoting the spread of Italian anti-corruption models (including those of the private sector), anti-money laundering and anti-mafia. A really significant space for action opens today following the approval of the peer review mechanism of the Palermo Convention on the fight against organized transnational crime: Italy is a reference model in this field of action and will be, in all probability, recipient of numerous requests for technical assistance. The increasing incidence of the UNCAC review mechanism makes it wish that the establishment of a review mechanism also within the framework of the UNTOC Convention, recently approved by the Conference of the Parties (Vienna 15-19 October 2018), can have a similar impact. In light of the frequent existing links between organized crime and corruption, it can be assumed that this important development contributes, on the one hand, to strengthen the overall arsenal to counter the malfeasance and, on the other, to amplify the opportunities created by the circulation of the European regulatory models too. Finally, the European program EL PAcCTO, an initiative aimed to help the Latin American continent in matters of justice and security, is equally important. EL PAcCTO is a European Union program funded by the European Commission and implemented by FIIAPP and Expertise France, with the support of the International Italian-Latin American Organization (IILA) and Camþes. Its main objective is the fight against transnational criminal organizations through the enforcement of all institutions involved in the criminal sector and which are responsible for guaranteeing security and legality in 18 Latin American countries. The program has taken on a denomination with an acronym in Spanish, evocative in the article of the intercontinental nature of the action (Europe-Latin America) and in the noun of the object and purpose of the initiative (Assistance Program against Transnational Criminal Organizations, for the rule of law and the security of citizens).
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Italy has the responsibility to coordinate cooperation between penitentiary systems and is working in this direction, achieving significant results, as well as each partners in its area of action. European efforts offer a prospect of hope for the redemption of the region and sustainable development of the entire area.
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La rilevanza penale degli stati emotivi e passionali: uno spunto di indagine sul rapporto tra diritto e neuroscienze Sommario: 1. Il rapporto tra neuroscienze e diritto penale in pillole – 2. Il controverso giudizio sull’imputabilità: cenni comparatistici – 3. L’influenza degli stati emotivi e passionali sull’imputabilità nell’ordinamento italiano – 4. Ipotesi di recupero della valenza giuridica degli stati emotivi e passionali – 5. La ricerca scientifica sulle emozioni – 6. La controversa sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Bologna – 7. Conclusioni Abstract The article 90 of the Italian Penal Code, after its adoption, raised a heated medical-legal debate, based on the possible ways of understanding emotional and passionate states. By the law, only mental illness may affect imputability, but the neurosciences, on the contrary, showed that the mental capacity can be compromised even by emotional states. The most recent doctrine and jurisprudence confirmed the criminal relevance of emotions in the judgment, but without reaching a request for the abolition of the art. 90. L’art. 90 c.p., fin dalla sua approvazione in sede di lavori preparatori dell’attuale codice penale, ha sollevato un acceso dibattito medico-legale basato sul modo di intendere gli stati emotivi e passionali. Se per il diritto soltanto le condizioni morbose sono idonee ad influire sull’imputabilità, le neuroscienze, al contrario, hanno dimostrato come le capacità di intendere o di volere possono essere fortemente compromesse anche da stati emotivi. La dottrina e la giurisprudenza più recenti, con un abile escamotage, hanno confermato la rilevanza penale delle emozioni nel giudizio di responsabilità, senza però spingersi a tal punto da auspicare l’abolizione della norma in oggetto.
1. Il rapporto tra neuroscienze e diritto penale in pillole. Il tema delle interazioni tra le neuroscienze, in particolare cognitive, ed il diritto penale è di crescente interesse, e sta coinvolgendo giuristi e neuroscienziati in un confronto reciproco nazionale e internazionale di grande rilevanza. Di particolare importanza sono alcune applicazioni delle neuroscienze che hanno permesso un ripensamento di istituti tradizionali dei moderni ordinamenti giuridici, come quello dell’imputabilità1.
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Per i possibili riflessi delle scoperte neuroscientifiche sui presupposti dell’imputabilità, e più in generale dell’imputazione soggettiva, cfr. O. Di giovine, voce Neuroscienze (diritto penale), in Enc. Dir., Annali, VII ed., Milano, 2014, 711 ss.; Aa.Vv., Diritto penale e neuroetica, O. Di giovine (a cura di), Padova, 2013; I. Merzagora Betsos, Il
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Sotto questo profilo, la giurisprudenza di merito italiana e non solo, in più occasioni ha fatto ricorso diretto agli strumenti e alle scoperte messe a disposizione dagli studi neuroscientifici per valutare la responsabilità del soggetto agente2. Tuttavia, è importante precisare che dopo ogni diagnosi clinica – e quindi anche dopo gli esiti d’indagine offerti dalle neuroscienze – occorre una valutazione psichiatrico-forense al fine di verificare l’effettiva incidenza della patologia funzionale sulla capacità di intendere e volere. Pertanto, la prova neuro scientifica, pur presentando un grado di tecnicismo molto più elevato di quella tradizionale, non può essere utilizzata come unico elemento di accertamento dell’imputabilità. Tra i risultati innovativi del reciproco confronto tra diritto e scienze cognitive, vi è il ripensamento della funzione attribuita dal legislatore agli stati emotivi e passionali: le neuroscienze hanno rafforzato notevolmente la prospettiva dottrinale che individua negli stessi una causa di esclusione della capacità di intendere e di volere3. Infatti, l’art. 90 c.p., che sancisce l’irrilevanza degli stati emotivi e passionali ai fini dell’esclusione o della diminuzione dell’imputabilità, è stato largamente criticato dalla moderna scienza psichiatrica, che ha affermato il principio di unitarietà della psiche, superando così un concetto di malattia mentale strettamente connesso al dato nosografico in favore di una definizione più ampia di anomalia psichica4. In aderenza alle recenti aperture giurisprudenziali determinate dalle scoperte neuroscientifiche sull’influenza delle emozioni nell’agire umano appare, quindi, necessaria una modifica
colpevole è il cervello: imputabilità, neuroscienze, libero arbitrio: dalla teorizzazione alla realtà, in Riv. it. med. leg., 2011, 175 ss.; A. Stracciari - A. Bianchi - G. Sartori, Neuropsicologia forense, Bologna, 2010, 49 ss.; G. Sartori - D. Rigoni - A. Mechelli - P. Pietrini, Neuroscienze, libero arbitrio, imputabilità, in V. Volterra (a cura di), Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica, Milano, 2010, 36 ss.; A. Santosuosso, Diritto, scienza e nuove tecnologie, Padova, 2011; G.M. Flick, Neuroscienze (diritto penale), in Enc. it. scienze, lettere ed arti, app. IX, 2014; M.T. Collica, Il riconoscimento del ruolo delle neuroscienze nel giudizio di imputabilità, in Dir. pen. cont., 2/2012; M.T. Collica, Gli sviluppi delle neuroscienze sul giudizio di imputabilità, ivi, 2/2018; F. Basile - G. Vallar, Neuroscienze e diritto penale: le questioni sul tappeto, ivi, 2/2017; M.A. Pasculli, Neuroscienze e giustizia penale, in Medicina legale, criminalistica e scienze sociali, 10/2012; A. Corda, Riflessioni sul rapporto tra neuroscienze e imputabilità nel prisma della dimensione processuale, in Criminalia, 2012, 497 ss. 2 Si fa riferimento alla decisione della Corte d’Assise d’Appello di Trieste, n. 5 del 18 settembre 2009, in Riv. pen., 2010, 70 ss., con nota di A. Forza, Le neuroscienze entrano nel processo penale; per ulteriori considerazioni, in parte critiche, su tale sentenza, v. M. Bertolino, Prove neuro-psicologiche, cit., 20. Altra sentenza emblematica sul tema dell’influenza delle neuroscienze nel diritto penale è quella del G.i.p. di Como del 20 maggio 2011, Albertani, in Dir. pen. cont., 15 febbraio 2012, con nota di M.T. Collica, Il riconoscimento del ruolo delle neuroscienze nel giudizio di imputabilità, cit. In argomento, si vedano altresì le osservazioni di A. Corda, Riflessioni sul rapporto tra neuroscienze e imputabilità nel prisma della dimensione processuale, cit.; D. Terracina, Neuroscienze: lo studio della morfologia del cervello determinante nello stabilire il vizio parziale di mente, in Guida al diritto, 5/2012, 63 ss. 3 G. Amato, Diritto Penale e fattore emotivo: spunti di indagine, in Riv. it. med. leg., 1/2013, 4; V. Casetti - M. Celva - E. Arreghini, Jigsaw feeling: categorial diagnosis, dimensional approach and functional evaluation in the forensic assessment of psychosis, in Rass. it. crim., 4/2016; I. Merzagora Betsos, Opache follie, impulsi resistibili, furori non sempre morbosi e il ritorno della perizia criminologica, in Riv. it. crim. 1/2007. 4 G. Lattanzi - E. Lupo, Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Milano, 2010, vol. IV, 59; M.T. Collica, Vizio di mente: nozione, accertamento e prospettive, Torino, Giappichelli, 2007; M.T. Collica, Anche i disturbi della personalità sono infermità mentale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 420-47.
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normativa che miri al riconoscimento di un rilievo scusante per situazioni di profondo perturbamento della coscienza in genere, indipendentemente dall’origine patologica delle stesse. Il presente contributo, partendo dall’analisi del dato normativo, ripercorre l’evoluzione della rilevanza penale attribuita agli stati emotivi e passionali, evidenziando il ruolo che le neuroscienze hanno avuto nel processo di reinterpretazione del concetto di infermità mentale nei sistemi giuridici moderni.
2. Il controverso giudizio sull’imputabilità: cenni comparatistici. Il rapido evolversi delle conoscenze psichiatrico- psicologiche in tema di infermità mentale ha riproposto la necessità di una revisione critica della normativa in tema di imputabilità penale in vigore nei diversi paesi europei ed extraeuropei. Molte discipline, infatti, sono apparse evidentemente inadeguate rispetto alle ultime acquisizioni degli studi neuroscientifici sul cervello, cosicché, anche sulle linee di un confronto internazionale, si è avviato un processo di ripensamento e di riforma dei sistemi normativi in atto. Gli interventi legislativi intervenuti negli ultimi anni in molti Paesi sono accomunati dalla stessa idea di base: mantenere ferma la distinzione fra soggetto imputabile e non imputabile per infermità di mente e procedere ad una ridefinizione dei termini entro cui riconoscere rilievo scusante al disturbo psichico. Le diverse soluzioni adottate per addivenire al giudizio di non imputabilità possono essere ricondotte a tre modelli principali: patologico o biologico puro, psicologico o normativo e misto o biologico- psicologico. Secondo il metodo patologico non sono imputabili i soggetti affetti da determinate malattie mentali, senza che si abbia riguardo a quanto la malattia incida sulla capacità di intendere e di volere. Il legislatore indica, a questo riguardo, specificamente le infermità che, per la loro stessa presenza, escludono l’imputabilità5. Questo metodo trova applicazione nell’ordinamento norvegese, che prevede, ad esempio, tra le cause di esclusione dell’imputabilità le psicosi e le deficienze mentali ed in quello greco, dove però ha un’applicazione limitata ai casi di schizofrenia o psicosi maniacodepressiva. Una posizione particolare occupa la Spagna, dove il legislatore si è mantenuto fedele al metodo patologico mostrando indifferenza verso il dibattito attuale sul tema dell’imputabilità. Quest’ultima è definita in negativo come impossibilità di comprendere la illiceità del fatto o di agire in conformità alla sua valutazione. Il sistema così delineato richiede un giudizio valutativo che per i giudici spagnoli presenta notevoli difficoltà le quali «non risiedono nella definizione dell’imputabilità bensì nel problema legato alla capacità di intendere del soggetto e alla comprensione che questo ha dell’illiceità del suo agire»6. Invero, la giurisprudenza spagnola manifesta la propria disapprovazione verso il filone biologico puro, ritenendo che la sola diagnosi della malattia sia insufficiente ad escludere la responsabilità del soggetto e che sia necessario, altresì, l’accertamento di una perturbazione
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M. Bertolino, L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, Milano, 1990, 145 ss. F.M. Prats, Imputabilità e misure di sicurezza nel nuovo codice penale spagnolo, in A. Manna (a cura di), Imputabilità e misure di sicurezza, 2002, 138.
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profonda della coscienza o della volontà. Si dovrebbe accertare, dunque, non solo la sussistenza del disturbo psichiatrico al momento del fatto, ma anche la sua precisa influenza sulla capacità di comprensione del valore dell’atto e su quella di adeguamento della propria condotta a tale comprensione. Dunque, un giudizio basato solo sulla diagnosi della malattia si rivela inadeguato, ma soprattutto inattuale e non sembra poter soddisfare né le esigenze giuridiche né quelle psicopatologiche7. Viceversa, per il metodo puramente normativo o psicologico rileva soltanto la eventuale incapacità di intendere e di volere, indipendentemente dall’accertamento di una malattia di mente8. Tale modello risulta essere il meno diffuso nelle legislazioni, data la difficoltà di una sua utilizzazione in termini di chiarezza e di precisione. Infatti, affidare in via esclusiva il giudizio sull’imputabilità del soggetto a formule troppo generiche (quali capacità di cogliere il valore della propria condotta o capacità di autodeterminarsi) è parso un rischio da non correre perché comporta una valutazione che si sottrae a qualsiasi prova empiricamente fondata. Un esempio di ordinamento che, fino a qualche tempo fa, aveva adottato il metodo normativo è quello francese, in cui il vizio di mente veniva definito come una forma di alienazione mentale caratterizzata dall’abolizione delle facoltà intellettive. Il concetto de quo risultava essere talmente vago e impreciso che si prestava a ricomprendere tutti i tipi di disturbo psichico ed, in quanto tale, era privo di significato clinico9. La riforma del codice francese del 1994 ha però sostituito il termine demenza con “disturbi psichici o neuro-psichici che abbiano abolito il discernimento o il controllo delle azioni”, in questo modo il sistema francese si è avvicinato al più equilibrato modello misto. Quest’ultimo, detto anche biologico-psicologico è il metodo più diffuso nei Paesi europei, tra cui anche l’Italia, proprio perché costituisce un compromesso tra i due modelli analizzati10. Consiste, infatti, nel diagnosticare l’esistenza di un disturbo mentale e nel valutare l’incidenza di questo sulla capacità di intendere o di volere. Si tratta quindi di un giudizio costruito su due piani: un primo attiene al profilo patologico relativo all’accertamento del disturbo psi-
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I. Merzagora Betsos, Nuove idee in tema di imputabilità, in G. Giusti (a cura di), Trattato di medicina legale e Scienze affini, Padova, 1999. 8 G. Canepa, I problemi diagnostici in rapporto ai quesiti della perizia psichiatrica, in L. Dell’Osso - A. Lomi (a cura di), Diagnosi psichiatrica e DSM-III-R, Milano, 1989, 181; U. Gatti, L’accertamento della imputabilità e della pericolosità sociale alla luce della situazione esistente in alcuni paesi europei, in O. De Leonardis - G. Gallio - D. Mauri - T. Pitch (a cura di), Curare e punire, Milano, 1988, 15. 9 P. Lamothe - B. Gravier, La psichiatria forense francese, in F. Ferracuti, Trattato di Criminologia, Medicina Criminologica e Psichiatria Forense, Milano, 1990. 10 Per trattazioni più organiche e per più diffuse notizie relative al diritto comparato si vedano: M. Bertolino, L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, cit.; T. Bandini - M. Lagazzi, Le basi normative e le prospettive della perizia psichiatrica nella realtà europea contemporanea: l’imputabilità del sofferente psichico autore di reato, in A. Ceretti - I. Merzagora Bestos (a cura di), Questioni sulla imputabilità, Padova, 1994; G. Canepa - M.I. Marugo, Imputabilità e trattamento del malato di mente autore di reato, Padova, 1995; U. Fornari, Psicopatologia e Psichiatria Forense, Torino, 1989; U. Gatti, L’accertamento della imputabilità e della pericolosità sociale alla luce della situazione esistente in alcuni paesi europei, cit.
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chico e un secondo, di tipo normativo, riguarda la rilevanza giuridica da riconoscere a siffatto disturbo psichico in base alla sua incidenza sui processi intellettivi e volitivi dell’individuo11. Tra i Paesi che adottano questo metodo, è interessante analizzare la disciplina dell’imputabilità accolta dal sistema giuridico tedesco per la notevole somiglianza con quella vigente nel nostro ordinamento. Dopo la riforma del 1975 il codice penale tedesco ha introdotto tra le cause di esclusione dell’imputabilità i “profondi disturbi della coscienza”, i quali, assimilabili ai nostri stati emotivi e passionali, comprendono quei disturbi non patologici di natura puramente psichica, il cui rilievo scusante viene tuttavia riconosciuto solo per le forme più gravi12. Tale estensione del concetto di infermità mentale ha moltiplicato le incertezze e i contrasti interpretativi tra gli psichiatri forensi che ancora non hanno trovato un accordo su chi sia la persona competente a decidere sull’imputabilità o meno del delinquente passionale. Queste innovazioni, tuttavia, sono intese a porre fine alle discussioni sulla incidenza o meno dei disturbi della serie nevrotica o dei disturbi di personalità sulla capacità di intendere e di volere che, evidentemente, rimane ovunque il punctum dolens in materia di imputabilità (ricordiamo, comunque, che trattandosi di paesi che adottano il sistema “misto”, non basterà diagnosticare l’anomalia, ma andrà poi valutata la sua incidenza sulla capacità di intendere e di volere). Alla luce di questa breve analisi comparatistica risulta chiaro come anche gli ordinamenti stranieri affidino un ruolo preminente all’imputabilità e al suo accertamento e come, in relazione all’individuazione del disturbo o della causa che determina l’incapacità, si registrino tentativi di elaborazione, specialmente da parte della giurisprudenza, di criteri sempre più elastici ed aperti al fine di poter assolvere il soggetto in situazioni prima aprioristicamente escluse.
3. L’influenza degli stati emotivi e passionali sull’imputabilità nell’ordinamento italiano. Il sistema penale italiano rientra tra gli ordinamenti che applicano il modello misto, caratterizzato, come abbiamo visto pocanzi, da un collegamento tra malattia mentale e incapacità psichica del soggetto con riferimento al fatto concreto. Anche nel nostro Paese la dottrina e la giurisprudenza si sono trovate a dover affrontare il problema della riconducibilità dei disturbi psichici non patologici al concetto di infermità di
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M. Bertolino, L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, cit. «Il concetto di profondo disturbo della coscienza si riferisce agli stati di forte agitazione mentale non causati da malattia. É noto che gli psichiatri in particolare si sono opposti all’introduzione di questo concetto. Essi hanno espresso preoccupazione circa la possibilità che, in futuro, tutti i criminali possano sostenere di aver agito in stato di estrema agitazione, e quindi, specialmente nei casi di brutali reati di violenza, sarebbe praticamente inevitabile la presunzione di riduzione della responsabilità penale. Alcuni esperti psichiatri rifiutano di esprimere la propria opinione sugli effetti giuridici dei disturbi non patologici della coscienza, causati da forte agitazione emotiva, sostenendo che la valutazione deve essere compito esclusivo del giudice» in W. Rasch, Problemi attuali della psichiatria forense nella Repubblica Federale di Germania, in F. Ferracuti (a cura di), Trattato di Criminologia, Medicina Criminologica e Psichiatria Forense, cit. 12
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mente rilevante ai fini della non imputabilità del soggetto agente, e la soluzione a cui sono giunte non si discosta di molto dalla linea assunta dagli altri ordinamenti europei. L’impostazione seguita dal codice Rocco quanto alla rilevanza, in sede di imputabilità, dei soli stati morbosi incidenti sulla capacità di intendere o di volere, con esclusione degli impulsi e dei sentimenti attinenti alla vita affettiva ed emozionale, è confermata dall’art. 90 c.p.: «Gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità». Prima di esporre le diverse tesi sulla rilevanza penale delle emozioni, è utile precisare cosa si intende esattamente per «stati emotivi e passionali». Un’autorevole dottrina individua la differenza tra i due termini nella diversa intensità di coinvolgimento del soggetto: «l’emozione è un intenso turbamento affettivo, di breve durata e in genere d’inizio improvviso, provocato come reazione a determinati avvenimenti e che finisce col predominare sulle altre attività psichiche (ira, gioia, paura, spavento afflizione, sorpresa, vergogna ecc.). La passione, invece, è uno stato affettivo e violento più duraturo che tende a prevalere sulla attività psichica in modo più o meno invadente o esclusivo, sì da comportare talora alterazioni della condotta, che può divenire del tutto irrazionale per difetto del controllo. Ad essa sono riconducibili alcune forme di amore sessuale, di odio, di gelosia, di entusiasmo di ideologizzazione politica»13. Il succitato articolo ha sollevato un acceso dibattito dal punto di vista medico- legale: se è vero che, per espressa previsione legislativa, soltanto le condizioni morbose sono idonee ad acquisire rilevanza ai fini del giudizio sull’imputabilità, è altrettanto vero che la realtà biologica dimostra che le capacità di intendere e di volere possono essere fortemente compromesse da stati emotivi e passionali che certamente sono in grado di influenzare sfavorevolmente la ragione, la libertà di scelta, la coerenza dell’agire e il controllo della volontà14. La statuizione dell’art. 90 del nostro codice penale, dunque, è stata dettata unicamente da motivi di politica criminale, e tende a proteggere la società dagli individui più pericolosi che facilmente si abbandonano a passioni insane e che quindi realizzano comportamenti illeciti violenti sotto la spinta di intensi coinvolgimenti emotivo-affettivi15. Proprio per la sua eccessiva rigidità – contrastante con il dato di esperienza che anche le passioni violente possono menomare la capacità di autocontrollo dell’agente – l’art. 90 c.p. è andato incontro a critiche anche da parte della dottrina penalistica. A tal riguardo, si possono distinguere due differenti orientamenti. Il primo si è espresso a favore della sostanziale inutilità della previsione, ritenendo applicabili ai casi di perturbamenti emotivi le regole generali di cui agli artt. 85, 88, 89 c.p. Infatti, i fautori di tale indirizzo sono del parere che, se si accerta che lo stato emotivo e passionale
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F. Mantovani, Diritto penale, cit., 669; nello stesso senso, F. Ferracuti - C. Giarrizzo, voce stati emotivi e passionali, in Enc. Dir., Giuffrè, vol. XLIII, 1990, 661; M. Bertolino, Fughe in avanti e spinte regressive in tema di imputabilità penale, in Riv. It. Dir. e proc. Pen., 2001, 857; F.S. Fortuna, Gli stati emotivi e passionali. Le radici storiche della questione, in S. Vinciguerra - F. Dassano, Scritti in memoria di Giuliano Marini, Napoli, 2010, 347 ss. 14 G.B. Traverso, Responsabilità, imputabilità e perizia psichiatrica, in V. Volterra (a cura di), Psichiatria forense, criminologia, ed etica psichiatrica, Milano, 2006, 19. 15 L’art. 90 c.p. è stato inserito nel codice «con una precisa e non trascurabile funzione pedagogica: per stimolare cioè il dominio della volontà sulle proprie emozioni e passioni». F. Mantovani, Diritto penale, cit., 670; nello stesso senso T. Padovani, Diritto penale, XI ed., Milano, 2017; C. Fiore, Diritto penale, pt. gen., V ed., 2016, 408.
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deriva da un’anomalia psichica, viene meno la capacità di intendere e di volere, altrimenti non resterebbe altra scelta che riconoscere la piena imputabilità dell’agente16. Nel quadro di tale impostazione, il disposto dell’art. 90 c.p. non avrebbe alcuno spazio di operatività trovando applicazione, a seconda della gravità dello stato patologico, le disposizioni generali in tema di infermità mentale totale o parziale. Questa tesi, tuttavia, risulta eccessivamente rigorosa nella parte in cui non tiene conto di tutta una serie di disturbi psichici di carattere non strettamente patologico, che non si prestano ad essere ricondotti ad un preciso inquadramento clinico ma che incidono effettivamente sulla capacità di intendere e di volere (es. nevrosi, psicopatie, ma anche shock emotivi, eccesso di passioni e deficit emotivi). Il secondo orientamento, avvalorato dalla dottrina più recente, ha in parte rivalutato la norma sul presupposto che, anche se indubbiamente lo stato emotivo o passionale incide sulla capacità di intendere o di volere, non si può tuttavia concludere sempre nel senso della non imputabilità, perché altrimenti resterebbero impuniti i c.d. reati d’impeto. Sul punto, pertanto, si aprono due possibilità: la prima è quella offerta in particolare dalla giurisprudenza tedesca con il ricorso al concetto di “pre-colpevolezza”, nel senso che il giudice dovrebbe andare a verificare, prima della commissione del fatto, se il soggetto poteva o non resistere all’impulso17. Questa tesi incontra, tuttavia, due obiezioni insuperabili: in primo luogo, la colpevolezza deve essere valutata al momento del fatto di reato; in secondo luogo, sarà difficile dimostrare l’evitabilità dell’illecito prima che questo sia commesso, senza cadere in pericolose presunzioni18. La seconda possibile soluzione è stata individuata dalla giurisprudenza italiana più garantista che, a seguito dei mutamenti nella concezione di infermità mentale penalmente rilevante19, ha ritenuto opportuno distinguere, nell’ambito degli stati emotivi e passionali, i casi in cui questi costituiscano manifestazione di una patologia in grado di sfociare nell’infermità mentale, dai casi in cui invece ciò non avviene.
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F. Mantovani, Diritto penale, cit., 667; N. Madia, Stati emotivi e passionali con riferimento all’art. 90, in Riv. Dir. Penit., 1957, 157; G. Aromatisi, Il punto attuale dell’indagine sugli stati emotivi e passionali, in Studi in onore di E. Eula, 1957, I, 62. 17 A. Manna, L’imputabilità e i nuovi modelli di sanzione. Dalle funzioni giuridiche alla terapia sociale, Torino, 1997, 45 ss. 18 A. Manna, Corso di diritto penale, pt. gen., cit.; M. Bertolino, Fughe in avanti e spinte regressive in tema di imputabilità penale, cit.; S. Coda, Stati emotivi o passionali: un contributo clinico, in Riv. It. Med. Leg., 2000, 168. 19 A tal riguardo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione in una storica sentenza in tema di capacità di intendere e di volere dell’agente hanno affermato: «anche i disturbi della personalità, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità». Cass. pen. Sez. Unite, 8 marzo 2005, n. 9163, in CED Cass., n. 230317.
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Più precisamente si è affermato che i suddetti stati possono influire sull’imputabilità quando, esorbitando dalla sfera puramente psicologia, degenerano in un vero e proprio squilibrio mentale, con disordine e perturbazioni nella funzione della mente e della volontà, in modo da elidere o attenuare le capacità intellettive e volitive20. Al di fuori di questi casi, nessun rilievo può essere attribuito agli stati emotivi e passionali. Volendo fare un esempio pratico, la passione amorosa, anche se così travolgente da escludere ogni altro sentimento, è uno stato passionale che, per il disposto dell’art. 90 c.p., non diminuisce né esclude l’imputabilità. In relazione ad essa, pertanto, non può disporsi perizia psichiatrica, sempre che le concrete emergenze non indichino l’esistenza, a monte della passione, di uno stato morboso incidente sulla capacità di intendere e di volere21. Allo stesso modo la gelosia, che costituisce uno stato passionale di per sé non degenerante nello squilibrio mentale, non opera ai fini dell’imputabilità22. In quest’ottica, la giurisprudenza ha costruito una sorta di “limite tacito” all’interno dello stesso art. 90 c.p., nel senso che non lo applica, laddove lo stato emotivo e passionale sia di origine patologica23. Questa strada, condivisa anche dalla dottrina maggioritaria, appare decisamente preferibile proprio perché non comporta una scissione tra colpevolezza e fatto, ma solo una collocazione di quest’ultimo nell’area dell’infermità di mente, laddove si dimostri che lo stato compulsivo è, appunto, di origine patologica. Occorre, a tal fine, un quid pluris che, associato allo stato emotivo o passionale, si traduca in un fattore determinante un vero e proprio stato patologico, sia pure di natura temporanea e non inquadrabile nell’ambito di una precisa classificazione nosografica. Per concludere, quanto sopra esposto può essere sintetizzato nei seguenti termini: gli stati emotivi e passionali possono spiegare efficacia scusante «in presenza di due condizioni essenziali: a) che lo stato di coinvolgimento emozionale si manifesti in una personalità per altro verso già debole; b) che lo stato emotivo o passionale assuma, per particolari caratteristiche, significato e valore di infermità sia pure transitoria (squassi emotivi, reazioni da panico, reazioni esplosive, discontrolli episodici, raptus ecc.)»24.
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Cass. Pen. Sez. I, 3 dicembre 1990, Fornaro, in Riv. Pen., 1991, p. 369; Cass. Pen. Sez. V, 5 aprile 1990, D’Urso, ivi, 1991, p. 422; Cass. Pen. 9 giugno 1983, Lepore, ivi, 1984, p. 74; Cass. Pen. Sez. I, 5 dicembre 1997, Giordano. In dottrina, nello stesso senso, F. Antolisei, Manuale di diritto penale, pt. gen., Milano, 2015, 552; G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di diritto penale, pt. gen., Milano, 2015, 392; G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale, pt. gen., Bologna, 2014, 351 ss.; I. Caraccioli, Manuale di diritto penale, pt. gen., II ed., Milano, 2005, 568; F. Palazzo, Corso di diritto penale, pt. gen., IV ed., Torino, 2011, 450 ss.; A. Crespi, voce imputabilità, in Enc. Dir. Giuffrè, 1970, vol. XX, 763. 21 Corte Ass. App. di Savona, 4 febbraio 1978, Grasso, in Giur. Merito 1978, 1184. 22 Cass. Pen. Sez. I, 9 giugno 1983, Lepore, in Riv. Pen. 1984, 76; Cass. pen. Sez. I, 11 gennaio 1996, Fragnelli, ivi, 1997, 414, che ammette la possibilità che la gelosia, qualora degeneri in uno “stato delirante”, incida sulla capacità di intendere e di volere, nello stesso senso anche Cass. pen., Sez. I, 26 ottobre 2006, n. 37020, in CED Cass., n. 232250; Cass. pen. Sez. VI Sent., 25 marzo 2010, n. 12621, in Foro It., 2010, 6, 2, 300. 23 A. Manna, Corso di diritto penale, pt. gen., IV ed., Milano, 2017, 365. 24 G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale. Pt. gen., cit.; cfr. anche M. Bertolino, Fughe in avanti e spinte regressive in tema di imputabilità penale, cit.
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4. Ipotesi di recupero della valenza giuridica degli stati emotivi e passionali. Sulla base di quanto affermato, anche al fine di evitare di rendere non punibile ogni delitto impulsivo sotteso da alterazioni emotive, si ribadisce il concetto della piena responsabilità penale della persona che non sia compromessa nella sua efficienza psichica da condizioni morbose: pertanto, proprio perché non sono patologici ma rientrano nell’ambito delle comuni funzioni psichiche e si verificano anche in ogni individuo sano, gli stati affettivi non vengono ritenuti idonei ad incidere sull’imputabilità. Tuttavia, nel caso in cui essi riconoscano la ragione della loro incontrollabilità in preesistenti condizioni certamente di natura patologica (disturbi deliranti, demenze, disturbi dell’umore, ritardi mentali ecc.) e ne siano essi stessi una fondamentale espressione sintomatologica, verranno ritenuti idonei ad abolire o ridurre la capacità di intendere o di volere in forza della coesistente malattia. Non sarà, pertanto, lo stato emotivo e passionale di per se stesso ad avere abolito o ridotto l’imputabilità, ma sarà rilevante, ai fini della valutazione della capacità di intendere o di volere al momento del reato, la presenza dell’autore dell’illecito penale di un disturbo psichico, del quale lo stato emotivo non è altro che un’espressione epifenomenica25. A questo punto, è lecito chiedersi quale è la scriminante tra semplice stato emotivo e passionale (che si realizza come una reazione psichica ancora considerabile come normale) e una reazione che si configuri quale disturbo mentale. La risposta data dalla dottrina psichiatrica prende in considerazione la ricorrenza di indicatori psicopatologici al momento del fatto di reato, quali: - alterazione della coscienza durante la commissione del delitto (slivellamento o abolizione della capacità di integrazione, di partecipazione consapevole all’ambiente, con perdita della coscienza di sé, dei luoghi e del tempo, con conseguente impossibilità di fissazione del ricordo di quanto è accaduto); - frattura nei confronti della realtà, talché il soggetto vede compromessa la propria consapevole partecipazione all’evento, la capacità inibitoria e quindi volitiva; - condotta ed eloquio globalmente disorganizzati, cioè incomprensibili, afinalistici, privi di coerenza e non motivati; - modalità di reagire del tutto aliena dagli abituali standard comportamentali del soggetto, tali che la reazione viene ad assumere “valore di malattia” per la sua unicità ed eccezionalità26. Dunque, se non in grado di incidere sull’imputabilità dell’autore di reato, lo stato emotivo e passionale tout court è tuttavia in grado di funzionare da motivo di variazione di entità della pena. A tal proposito, lo stesso codice penale riconosce al coinvolgimento emotivo del soggetto un effetto di attenuazione delle conseguenze del reato: è il caso della provocazione o della suggestione di folla in tumulto, entrambe attenuanti comuni previste dall’art. 62 nn. 2 e 3 c.p.27. La prima circostanza si compone di due elementi: lo stato d’ira, costituito da un impulso emotivo incontenibile che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi (esso è dunque diverso dall’odio, dal rancore,
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G.B. Traverso, Responsabilità, imputabilità e perizia psichiatrica, cit. G. Ponti, Compendio di criminologia, Milano, 1999; U. Fornari, Trattato di psichiatria forense, Milano, 2018. 27 G. Lattanzi - E. Lupo, Codice Penale. cit., 61; F. Mantovani, Diritto penale, cit. 667; I. Caraccioli, Manuale di diritto penale cit.; M. Mazzanti, voce Stati emotivi e passionali, in Novissimo digesto italiano, Torino, 1971, vol. XVIII, 215. 26
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ecc.), e il fatto ingiusto altrui, rappresentato da un comportamento antigiuridico in senso stretto o dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti la civile convivenza. Tra i due requisiti deve ovviamente intercorrere un nesso di causalità psicologica, cioè la reazione offensiva deve essere determinata dal fatto ingiusto altrui. La giurisprudenza, inoltre, richiede, quale ulteriore requisito, la proporzione tra offesa e reazione, da intendersi in termini di adeguatezza della risposta offensiva rispetto all’ingiustizia patita, pena altrimenti la strumentalizzazione dell’istituto a mero pretesto per commettere il reato. La seconda circostanza, invece, trova la sua ratio nella minorata resistenza psichica in cui versa l’agente a causa della suggestione provocata dalla presenza di una massa di persone in stato di eccitamento emotivo e passionale. Per quanto riguarda, poi, la rilevanza degli stati emotivi e passionali ai fini dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che il giudice può valutare lo stato di alterazione emotiva a favore dell’agente applicando una diminuzione della pena. Quello delle circostanze, dunque, costituisce il più moderato e marginale livello di rilevanza dei turbamenti emotivi nel sistema penale, come dimostrato dalla giurisprudenza prevalente28. Tuttavia, i giudici di merito, in alcuni casi rimasti isolati, hanno avanzato una differente interpretazione, secondo cui sarebbe possibile recuperare, in eccezionali ipotesi, la rilevanza dello sconvolgimento emotivo e passionale al livello della colpevolezza: in dette ipotesi, sarebbe possibile ritenere che emozioni e passioni abbiano potuto determinare in un individuo l’annientamento della coscienza e volontà della condotta29. Questa impostazione è stata, tuttavia, sconfessata dalla Cassazione, la quale ha affermato che la disposizione di cui all’art 90 c.p., vietando di valutare gli stati emotivi e passionali ai fini dell’imputabilità, non consente di riprenderli poi in esame nell’ambito dell’art. 42 c.p. come causa di esclusione della colpevolezza. La Suprema Corte, infatti, ha spiegato che, in base al sistema del codice penale, sarebbe arbitrario identificare, in situazioni come l’improvviso offuscamento della coscienza o l’abnorme reazione ad un avvenimento ricco di carica emotiva, un’ulteriore categoria degli stati emotivi e passionali che, da un lato non rientrerebbero nell’infermità mentale e, dall’altro, non ricadrebbero neanche nel divieto dell’art. 90. In tal modo, si verrebbe a configurare un tertium genus dei predetti stati, che è del tutto estraneo al sistema30. Tale apertura, dunque, benché sollecitata dalla dottrina, sembra non potersi spingere al punto di appellarsi a un generale principio di inesigibilità per dare rilievo a manifestazioni dell’umana fragilità e scusare il compimento di ingiustificati fatti offensivi di beni giuridici. Il limite resta quello di una previsione tassativa dell’elemento scusante, del rinvenimento di un referente testuale che consenta una ricostruzione dello stato emotivo, «quale circostanza anormale che, nella valutazione legislativa, ha influito in modo irresistibile sulla volontà del soggetto o sulle sue capacità psicofisiche»31.
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Cass. Pen. 15 novembre 1982, Langella, in Riv. pen. 1983, 907; Cass. pen. Sez. IV, 18 settembre 1990, n. 14357, in Arch. Giur. Circolaz., 1991, 315; Cass. pen. Sez. VI, 20 aprile 2011, n. 17305, in CEDCass. n. 250067; Cass. pen. Sez. I, Sent. 05 aprile 2013, n. 7272, ivi, n. 259160. 29 Trib. Roma, 21 giugno 1971, Davani, in Arch. Pen. 1972, 469. 30 Cass. Pen. Sez. 1, 6 giugno 1972, n. 739, Davani, in CED Cass. n. 122473. 31 Alcuni Autori riconoscono l’operatività, benché sullo specifico terreno dei reati colposi, di alcune circostanze
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Infine, un orientamento dottrinario minoritario, nell’intento di valorizzare la categoria degli stati emotivi e passionali, ha evidenziato come tali alterazioni psichiche possano determinare una percezione distorta della realtà da parte dell’agente, determinando in lui un errore di fatto rilevante ex art. 47c.p.32
5. La ricerca scientifica sulle emozioni. Nell’impianto penalistico classico, dunque, il profilo emozionale umano rimane pressoché irrilevante, dato che la chiara espressione dell’art. 90 c.p. è volta a tenere separato il ruolo dell’emozione dall’imputabilità, cioè dalla capacità di intendere o volere. Questa impostazione negli ultimi anni è stata messa in discussione dalla dottrina italiana, che ha iniziato ad affrontare alcuni istituti fondanti del diritto penale, quali l’imputabilità o la colpevolezza, in lettura simbiotica con la nuova disciplina delle neuroscienze. Queste ultime studiano il sistema nervoso, analizzano il pensiero umano e osservano i comportamenti attraverso cui lo stesso si manifesta. Gli esperti del settore si chiedono cosa sia la mente, in che modo gli individui percepiscano le loro emozioni e quali siano le cause di disturbi neurologici e psichiatrici. Le neuroscienze, dunque, hanno assegnato un nuovo e fondamentale ruolo all’emozione, che ha avuto una particolare rilevanza nel diritto penale proprio perché alla base di una serie di spinte, impulsi e intuizioni che fondano il comportamento umano33. Ebbene, di fronte al nuovo sapere la tradizionale suddivisione dei disturbi mentali, che portava a considerare vere e proprie infermità solo le psicosi, in quanto clinicamente accertabili, e ad escludere le psicopatie, le nevrosi o i disturbi della personalità per la ragione opposta, diventa obsoleta. Allo stato attuale, infatti, è possibile riscontrare un’alterazione cerebrale, che può essere di tipo strutturale o di tipo funzionale, quasi per ogni anomalia psichica34. Sofisticati strumenti di visualizzazione cerebrale (neuroimaging)35 hanno consentito lo studio diretto dell’attività del cervello nel corso dell’esposizione ad una stimolazione emotiva o durante la risposta comportamentale in condizioni fisiologiche.
anormali in grado di influire “in modo normalmente irresistibile sulle capacità psicofisiche dell’agente, impedendo anche all’agente modello di rispettare la regola di diligenza violata”, valorizzabili sulla base delle disposizioni sul caso fortuito, sulla forza maggiore e sulla coscienza e volontà dell’azione o dell’omissione. Quali esemplificazione di circostanze interne che paralizzano le normali funzioni di controllo della coscienza e della volontà, gli Autori indicano stati emotivi di terrore e spavento. A loro avviso, inoltre, tali circostanze non avrebbero nessun rilievo autonomo sul terreno dei reati dolosi, convertendosi in ipotesi di assenza di dolo, cioè di rappresentazione o di volizione del fatto. G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di diritto penale, cit., 393; nello stesso senso, I. Caraccioli, Corso di diritto penale, cit., 452. 32 G. Contento, Corso di diritto penale, Bari, 2004, 480. 33 M.T. Collica, Vizio di mente: nozione, accertamento e prospettive, cit. 34 A. Forza, La psicologia nel processo penale. Pratica forense e strategie, Milano, 2010, 147 ss. 35 Tra cui: l’analisi computerizzata del tracciato EEG, che realizza un mappaggio selettivo dell’attività elettrica di specifiche aree cerebrali, la tomografia assiale computerizzata (TAC), la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la tomografia ad emissione di positroni (PET), la magnetoencefalografia (MEG), la tomografia computerizzata ed emissionale di fotoni singoli (SPECT).
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In particolar modo, a risultare interessanti per il giurista sono i risultati delle indagini cliniche condotte esaminando il lobo frontale (specie le aree “orbitali” o “ventromediane” della corteccia anteriore) di pazienti che hanno lesioni traumatiche o patologie degenerative in questa zona del cervello36. Si tratta di soggetti che, sebbene capaci di intendere, non riescono a controllare gli impulsi, proprio a seguito di un’anomalia o lesione che li rende insensibili e incapaci di comprendere le emozioni altrui. Le tecniche di neuroimaging, in definitiva, sarebbero non solo in grado di individuare le componenti neurobiologiche del processo decisionale e comportamentale di tipo automatico e involontario, ma persino di riscontrare una base neuronale nel giudizio morale. In altri termini, nel cervello del soggetto sano e in quello del soggetto disturbato queste funzioni opererebbero in modo diverso, per cui il secondo non riuscirebbe a bloccare le risposte automatiche. Accade, pertanto, che individui con un lobo frontale mal funzionante possano più facilmente commettere illeciti, anche se non esposti ad ambienti particolarmente sfavorevoli, ovvero che, in presenza di una certa componente genetica, eventi traumatici possano generare reazioni aggressive altrimenti non verificabili. In questo modo è possibile distinguere stabilmente fra un soggetto infermo ed uno normale, ma anche operare una differenziazione all’interno dello stesso tipo di disturbo, ad esempio tra schizofrenici violenti e schizofrenici non violenti, come pure tra un grave disturbo di personalità ed uno lieve, essendo presenti solo nel primo i correlati microstrutturali evidenziabili alla c.d. Voxel-Based Morphometry (VBM)37. Tornando al tema che interessa in questa sede, l’idoneità degli stati emotivi e passionali ad incidere sulla capacità di comprensione e di agire della persona è stata dimostrata dai risultati ottenuti dagli esperimenti sui neuroni a specchio, effettuati attraverso l’utilizzo delle tecniche di neuroimaging e della risonanza magnetica funzionale. Grazie a tali strumenti, si è osservato come in un soggetto che si trovava ad osservare una determinata azione compiuta da un altro individuo, si attivavano una serie di reazioni speculari a quelle che si erano attivate nel cervello del soggetto che stava compiendo l’azione stessa (proprietà specchio). È stato provato che in questo processo neuronale non c’è nessuna partecipazione cosciente del soggetto “osservatore”, ma nel suo cervello si è innescato un meccanismo gli ha permesso di comprendere
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Riferimenti in P. Pietrini - M. Guazzelli - G. Basso - K. Jaffe - J. Grafman, Neuralcorrelates of imaginal aggressive behavior assessed by positron emissiontomography in healthy subjects, in Am J Psichiatry, 157, 2000, 1772, nonché in A. Abbott, Into the mind of a killer, in Nature, 2001, 296 ss. 37 La morfometria basata sui voxel (VBM) è una tecnica di analisi in neuroimaging che consiste nell’investigazione di differenze focali nell’anatomia del cervello, usando l’approccio statistico noto come mappatura statistica parametrica. Nella morfometria tradizionale, il volume dell’intero cervello oppure di alcune aree cerebrali viene misurato evidenziando regioni d’interesse (ROI) sulle immagini fornite dalla scansione cerebrale e calcolando il volume residuo. Si tratta di una procedura che comunque necessita di molto tempo e può fornire misure di aree piuttosto grossolane, ma ha problemi con aree ramificate o variamente distribuite. Le piccole differenze di volume possono non essere apprezzate e certe lesioni non rilevate. La VBM (registratura delle immagini) riconduce ogni cervello a un atlante anatomico elettronico come quello del Montreal Neurological Institute, trascurando la maggior parte delle grosse differenze nell’anatomia del cervello tra le persone. In seguito, le immagini del cervello vengono sottoposte a una procedura matematica nota come smoothing (ammorbidimento) in maniera che ogni voxel rappresenti la media di se stesso e dei 26 voxel vicini (in un cubo con 3 x 3 x 3 voxel). Il volume dell’immagine viene poi confrontato tra i vari cervelli in esame per ogni singolo voxel.
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e di conoscere immediatamente, in una dimensione prelinguistica, le intenzioni dell’altro individuo, rendendo così possibile una previsione del suo comportamento futuro38. Tutto ciò vale anche per altre emozioni più forti quali amore o dolore39. I risultati sono stati così incoraggianti da spingere gli scienziati a ritenere possibile, se non probabile, che la comprensione e l’empatia per gli stati emotivi altrui possa dipendere da «un meccanismo a specchio in grado di codificare l’esperienza sensoriale direttamente in termini emozionali»40. Vi sono alcune tipologie di soggetti che, a causa di un’anomalia o lesione, non sono in grado di empatizzare nei confronti di un altro individuo, di provare compassione e neppure di decifrare, attraverso i neuroni a specchio, le emozioni altrui. Sulla base di tali constatazioni, l’esclusione degli stati emotivi e passionali dall’ambito dell’infermità risulta discutibile, soprattutto pensando alla moderna interpretazione di tale concetto, aperto a tutta una serie di nuovi disturbi che difficilmente sarebbero stati ammessi in base al vecchio criterio medico-nosografico. Dunque, in un panorama ormai dominato dalla scienza e dagli studi sulla mente e il cervello umano, che hanno messo a nudo i meccanismi e le connessioni alla base della capacità d’intendere e di volere, si sta diffondendo la convinzione che nella valutazione dell’imputabilità occorra tener conto della personalità globale del soggetto, e dunque anche della sua sfera emozionale, e sia pertanto ormai da rivedere la tradizionale disciplina degli stati emotivi e passionali, di cui all’art. 90 c.p.41.
6. La controversa sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Bologna. La recente giurisprudenza di merito è tornata ad occuparsi del ruolo degli stati emotivi e passionali nel sistema della giustizia penale, con una sentenza che ha destato scalpore e turbamento ed è stata oggetto di critiche da parte degli organi della stampa e di diversi esponenti politici. È opportuno sottolineare che la sentenza in esame è perfettamente in linea con la posizione della dottrina e della giurisprudenza sulla rilevanza penale degli stati emotivi. Come è noto, questi ultimi, in base all’art. 90 c.p., non hanno alcun rilievo ai fini del giudizio sull’imputabilità; ciononostante, per i motivi sovraesposti, non sembra possibile escludere la componente emotiva dal giudizio sulla responsabilità penale, la quale viene tradizionalmente confinata nell’ambito della commisurazione della pena42. Con tale decisione la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha rideterminato la pena stabilita dal Giudice per l’udienza preliminare, sulla base del fatto che il reato sarebbe avvenuto «a causa di una soverchiante tempesta emotiva» determinata dallo stato di gelosia dell’imputato. È opportuno, a questo proposito, ricostruire brevemente il fatto e l’iter giudiziario.
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G. Rizzolatti - L. Vozza, Nella mente degli altri, Bologna, 2008. In tal senso I. Merzagora Betsos, Il colpevole è il cervello: imputabilità, neuroscienze, libero arbitrio: dalla teorizzazione alla realtà, in Rivista italiana di medicina legale, 2011, 189. 40 G. Rizzolatti – C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Milano, 2006, 177. 41 M.T. Collica, Vizio di mente, cit., 89 ss.; A.R. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Milano, 2009, 227. 42 Cass. Pen. Sez. I, 5 febbraio 2018, n. 5299: «Gli stati emotivi e passionali, pur non escludendo né diminuendo l’imputabilità, possono essere considerati dal giudice ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche». 39
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L’imputato, poco più di un mese dopo aver intrapreso una relazione affettiva con una donna, la uccide, preso da un eccesso emotivo, quando quest’ultima, dinanzi alla fragilità, insicurezza e gelosia dell’uomo, aveva manifestato la volontà di interrompere il rapporto. Successivamente, l’appellante confessa ad una cartomante dalla quale si recava da qualche tempo, il proprio delitto, insieme alla volontà di togliersi la vita. Le forze dell’ordine, allertate dalla stessa cartomante, hanno trovato l’uomo presso la propria abitazione in stato di sopore, a seguito di un idoneo tentativo di suicidio. All’esito del giudizio abbreviato, il Gup del Tribunale di Rimini ha condannato l’imputato alla pena di trent’anni di reclusione per omicidio aggravato dai motivi abietti e futili. In particolare, il giudice di primo grado ha affrontato tre questioni che avranno rilievo anche nel giudizio di appello: la capacità di intendere e di volere dell’uomo, la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 c.p. e, infine, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In relazione al primo punto, il Gup, sulla base delle concordi valutazioni del perito e del consulente tecnico di parte, si è pronunciato a favore della piena capacità di intendere e di volere dell’appellante; quest’ultimo infatti «non presentava patologie psichiatriche strutturali né chiari segni di disturbo della personalità […], l’omicidio era frutto di uno stato d’animo turbato, tormentato dal dubbio, provato dalle precedenti esperienze di vita e sfociato in una reazione rabbiosa di fronte all’atteggiamento di chiusura della donna ma, al di là di questa soverchiante tempesta emotiva e passionale, non sembra possibile scorgere nell’imputato alcuna alterazione rilevante in termini di psicopatologia ai fini della capacità di intendere e di volere». Per quanto riguarda le circostanze, il Giudice di prime cure ha ritenuto sussistente l’aggravante dei motivi abietti e futili. Infatti, precisa il Gup, per stessa ammissione dell’imputato, l’azione omicidiaria era stata cagionata da un moto di gelosia, uno stato improvviso e passeggero, privo di alcun fondamento e, soprattutto, non determinato da un sentimento di profondo attaccamento per la donna. In altre parole, la condotta dell’uomo era stata espressione di un intento meramente punitivo nei confronti di una donna che si mostrava poco sensibile alle fragilità del compagno. Era stata invece esclusa l’applicazione delle attenuanti generiche: secondo il Gup la confessione dell’imputato non aveva agevolato l’accertamento del fatto; nessun rilievo poteva essere attribuito all’inidoneo tentativo di suicidio; e la perdita dell’autocontrollo sfociato nell’omicidio dipendeva dall’abuso di alcool, più che da un incontenibile turbamento emotivo. Venendo ora alla sentenza in commento, la Corte d’assise d’appello ha confermato la sentenza di primo grado nella parte riguardante la piena capacità di intendere e di volere dell’imputato e, a sua volta, ha ritenuto sussistente l’aggravante dei futili motivi di cui all’art. 61 n. 1 c.p., soffermandosi proprio sul rapporto fra questi e lo stato di gelosia. Tale circostanza, scrivono i giudici, sussiste «quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale»43.
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La Corte riprende quanto stabilito dalla Cassazione nella sentenza n. 20667, Sez. VI, 12 febbraio 2008, in CED Cass. pen., n. 240060; la stessa considerazione è stata fatta dalla Suprema Corte nella sentenza n. 28111 del 2 luglio 2012, nella quale in cui i giudici, in un caso di maltrattamenti in famiglia motivato da ragioni di gelosia, hanno ritenuto erronea la valutazione della futilità del motivo in quanto fondata su una motivazione generica non ancorata
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A tal proposito, è importante evidenziare che vi sono casi in cui la sola manifestazione di gelosia, per quanto ingiustificabile, può non integrare il motivo futile, ma deve trattarsi di una spinta davvero forte dell’animo umano collegata ad un desiderio di vita in comune e non, come nel caso di specie, quando sia espressione di uno spirito punitivo nei confronti della vittima, considerata come propria appartenenza44. Dunque, la Corte, in linea con la decisione di primo grado in punto di sussistenza dell’aggravante dei futili motivi, non ha ritenuto in alcun modo che lo stato di gelosia potesse giungere ad un giudizio di incompatibilità con la circostanza di cui all’art. 61 n. 1 c.p. Diversa è stata, invece, la valutazione dei giudici di appello per quanto riguarda il riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche, negate dal giudice di prime cure. La Corte utilizza tre argomenti a favore della concessione di dette circostanze. In primo luogo, viene attribuito rilievo alla confessione dell’imputato, non tanto nella parte in cui ammette la sua responsabilità, posto che, una volta scoperto il cadavere della donna, gli investigatori sarebbero facilmente giunti ad individuarne il colpevole, quanto perché «nelle dichiarazioni da lui rese sin da subito al Pubblico Ministero, e poi confermate al Gip, fu egli stesso a fornire sostanzialmente la prova dell’aggravante dei motivi abietti e futili che non sarebbe stata contestata se non avesse parlato della sua gelosia e della discussione dell’ultimo fatale incontro». Vi è poi il riferimento al tentativo di risarcimento effettuato dall’imputato nei confronti della figlia della vittima (inizialmente attraverso l’intestazione della quota degli immobili di sua proprietà, non autorizzata dal giudice tutelare, e, successivamente, attraverso disposizioni testamentarie). Secondo la Corte, tale comportamento lascia intravedere una presa di coscienza dell’enormità dell’azione compiuta. Infine, i giudici di secondo grado individuano, come terzo elemento su cui fondare il riconoscimento delle attenuanti generiche, il forte stato di gelosia che, «sebbene immotivato e inidoneo a inficiare la capacità di autodeterminazione dell’imputato, determinò in quest’ultimo, anche a causa delle sue poco felici esperienze di vita, quella soverchiante tempesta emotiva e passionale che in effetti si manifestò subito dopo anche con il teatrale tentativo di suicidio». Da ultimo, per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, la Corte, ritenendo equivalenti le circostanze, ridetermina la pena nella misura di 16 anni di reclusione, per effetto della riduzione collegata alla scelta del rito abbreviato. Tra le critiche mosse alla decisione in commento, vi è che questa appare contraddittoria nella parte in cui la Corte ritiene sussistenti sia l’aggravante dei futili motivi, sia le attenuanti generiche. Questo non sembra condivisibile dal momento che le motivazioni che inducono i giudici ad applicare le une e le altre sono diverse. In relazione alla prima, la Corte attribuisce un significato determinante al timore dell’imputato per la fine della relazione e all’insicurezza dello stesso, di fronte alla quale la vittima si era mostrata insofferente. Per altro verso, la concessione delle attenuanti generiche non deriva esclusivamente dal turbamento emotivo, ma dal concorso di due ulteriori elementi, sufficienti da soli a giustificare la decisione: la confessione
alle circostanze del caso concreto, che non consentiva di identificare la condotta compiuta come prova di un istinto criminale maggiormente spiccato, in quanto tale rimproverabile come maggiormente grave ai sensi dell’art. 61 n. 1. Sull’argomento, in dottrina si veda P.F. Poli, Sull’aggravante dei futili motivi, in Dir. pen. cont., 12/2012. 44 Cass. pen., Sez. I, 22 settembre 1997, Scarola, in Cass. pen., 1998, 2612; Cass. pen. Sez. V, 22 settembre 2006, n. 35368, in CED Cass. n.235008; Cass. pen., Sez. Un., 18 dicembre 2008, n. 337, ivi, n. 241576; Cass. pen. Sez. I, 08 aprile 2009, n.18187, in Famiglia e Diritto, 2009, 11, 1018.
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e il tentativo di risarcimento. Si tratta di comportamenti successivi alla commissione del reato e rivelatori della personalità del colpevole, rientranti nei parametri espressamente previsti dall’art. 133 c.p., che il giudice deve tener in conto ai fini della concessione delle circostanze attenuanti e quindi della riduzione della pena. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che il comportamento di collaborazione processuale e il tentativo di risarcimento fossero sintomi di un ravvedimento dell’imputato e di una presa di coscienza dell’enormità dell’azione compiuta. Infatti, la ratio alla base di tale disposizione consiste nel premiare quei comportamenti che manifestano una riconsiderazione critica del proprio operato e l’accettazione di quei valori di ordinata e pacifica convivenza, nella quale si esprime l’oggetto della rieducazione45. La Corte ha attribuito rilievo anche allo stato d’animo del soggetto attivo, aderendo a quell’orientamento secondo cui “gli stati emotivi o passionali, pur non escludendo né diminuendo l’imputabilità, possono comunque essere considerati dal giudice ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto influiscono sulla misura della responsabilità penale”46. Se da un lato l’affermazione di tale principio di diritto non è in discussione ed è costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito deve valutare, caso per caso, se sussistano in concreto le condizioni richieste per concedere o meno le attenuanti generiche. Quanto al tipo di valutazione richiesta al giudice, in giurisprudenza è ricorrente il principio secondo cui, nel motivare il diniego della concessione delle generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati47. Da ciò si ricava che la Corte sarebbe potuta giungere alla medesima conclusione finale, ossia una rideterminazione della pena sulla base del riconoscimento delle attenuanti, anche senza pronunciarsi sulla rilevanza degli stati emotivi e passionali, basandosi solo su altri elementi esterni, quali la confessione e il tentativo di risarcimento compiuti dall’imputato48. Il riferimento fatto da alcuni quotidiani alla “soverchiante tempesta emotiva” come unico presupposto per la diminuzione della pena, ha fatto sì che aumentasse notevolmente la visibilità mediatica del caso, che ha riguardato una tematica particolarmente attuale e delicata nel momento storico in cui viviamo, connotato da efferati delitti nei confronti delle donne. Dunque, ci sembra doveroso sottolineare che la sentenza della Corte di Assise di Appello di Bologna non ha detto nulla di nuovo né di rivoluzionario in ordine al problema degli stati emotivi e passionali; tuttavia la complessità del caso rende necessaria qualche ulteriore riflessione. Innanzitutto, ci si chiede come si debba comportare il giudice davanti ai casi sempre più frequenti di reati d’impeto motivati dai più vari stati emozionali. Questi delitti originano da disagi psicologici, i quali, pur non intaccando la capacità di intendere e di volere, condizionano e
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Corte Cost., 10 giugno 2011, n. 183, Sito uff. Corte cost., 2011. Cass. Pen. Sez. I, 5 aprile del 2013, n. 7272, in CED Cass. n. 259160. 47 Cass. pen. 15 novembre 2016, n. 1. 48 G. Stampanoni Bassi, Sulla attitudine degli stati emotivi o passionali ad influire sulla misura della responsabilità penale. Brevi note ad una recente sentenza di merito, in Giur. Pen. 3/2019; M. Dova, Eccessi emotivi e responsabilità penale: la controversa sentenza della corte d’assise d’appello di Bologna, in Dir. pen. cont., 3/2019.
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La rilevanza penale degli stati emotivi e passionali
orientano la condotta del reo. Si ritiene che in questi casi, per i quali non ci sono ancora chiare soluzioni normative, non ci sia altra soluzione se non quella di ancorarsi al caso concreto. Infatti, solo attraverso un’attenta disamina del caso, scevra da pregiudizi e prese di posizione ideologiche, che trovi puntuale riscontro in una motivazione che dia conto di tutti gli elementi emersi nel processo, è possibile pervenire a una decisione che possa definirsi il più imparziale possibile.
7. Conclusioni. La sentenza analizzata è un esempio concreto di come al giorno d’oggi diventi sempre più attuale ed urgente il tema del rapporto tra diritto e neuroscienze. Certo la relazione resta ancora problematica, ma sembra aprire un confronto fruttuoso ed utile per la crescita di entrambi: il mondo del diritto cerca nella scienza un fondamento razionale per le proprie decisioni e il mondo della scienza spesso trova nel diritto un riconoscimento ufficiale delle proprie “conquiste”49. Il risultato di questo connubio è un importante processo di cambiamento del concetto di patologia mentale, che non viene più ricondotto solo alla presenza nel soggetto di alterazioni organiche, ma anche all’influenza esercitata da fattori extrabiologici, di natura esogena, endogena o funzionale «da quelli psicologici a quelli situazionali, socioculturali e transculturali»50. Dunque, anche disturbi psichici non patologici, riconducibili ad un morboso stato emotivo o passionale scatenato da un impulso esterno, che fino ad oggi facevano fatica a rientrare nel concetto di infermità mentale a causa di una posizione molto rigida della giurisprudenza, sembrano cominciare ad aprirsi ad una nuova lettura grazie ai risultati degli studi neuroscientifici. Le neuroscienze, infatti, grazie alla scoperta di particolari meccanismi cerebrali hanno impedito alle corti italiane di appellarsi al noto paradigma, fondamento originario dell’art 90 c.p., per escludere la rilevanza patologica di certi stati emotivi o passionali. Tuttavia, si tratta dell’apertura di un cammino molto complesso: innanzitutto, sarebbe necessario adottare misure sanzionatorie più idonee alle esigenze di cura e terapia, alle quali non pare potere far fronte con l’ordinario trattamento penitenziario; in secondo luogo, bisognerebbe evitare il rischio che le parti difensive si possano trincerare dietro un semplice stato emotivo (la gelosia, per esempio) per sottrarre l’imputato dalla responsabilità. Si tratterebbe, quindi, di aprire ad un’interpretazione diversa della nozione di infermità mentale, riconoscendo che in certi soggetti psicotici la gelosia, per rimanere nell’esempio, può essere la manifestazione anche di un disturbo delirante. Le neuroscienze confermerebbero questa strada, offrendo una maggiore consapevolezza scientifica di un principio che il diritto deve maneggiare con la giusta cautela, per rifuggire estremismi riduzionisti di un’immagine umana dominata dalle passioni.
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L. Sammicheli - G. Sartori, Neuroscienze e processo penale, in Cass. Pen., 9/2010, 3305-3317. U. Fornari, Temperamento, delitto e follia, in Riv. it. med. leg., 2001, 521 ss.
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Articolo 100 del Codice Antimafia ed Ente locale sciolto ai sensi art. 143 267/2000 Sommario: 1. Analisi storica – 2. Articolo 143 del TUOEL - 3. L’articolo 143 del Decreto legislativo 18 agosto del 2000, n. 267 e successive modifiche – 3.1. I motivi di scioglimento – 3.2. Il procedimento. Abstract The Article 100, included in the complex anti-Mafia law, already refers to a specific social context, since it presupposes the previous application of the rule provided for by the Consolidated Law on the Organisation of Local Authorities, referred to in Article 143. The objective of the regulation is the interruption of the relationship of connivance, or rather, of subjection of the local administration with the mafia organizations, capable of conditioning the choices through the recourse to the corrupt method, or rather, through pressure and intimidating acts. The main objective of the dissolution institute is “to ensure the good performance of the administrations and the regular functioning of the services entrusted to them”. If the concept of public order is anchored in objective canons, its injury is the cause of extraordinary measures, justified by the pursuit of a fundamental objective of the action of the State: to guarantee the subsistence of the conditions of peaceful civil coexistence. The regulation does not propose to repress criminal convictions, as it is not connected to criminal models, but protects the right of the community to the democratic development of the administrative life, guaranteeing the full deployment of the autonomy of the local Administration. If the substitute intervention provided for by it is undoubtedly “sanctioning”, its “ratio” is characterized by aspects of social prevention to defend the local communities and, therefore, it is correctly inserted in the structural bed of the Consolidated Text of the Local Administrations. L’art. 100 inserito nella complessa legge antimafia fa riferimento ad un determinato contesto sociale in quanto presuppone la precedente applicazione della norma prevista dal Testo Unico dell’Ordinamento degli Enti Locali di cui all’articolo 143. L’obiettivo che si pone la norma è l’interruzione del rapporto di connivenza ovvero di soggezione dell’amministrazione locale con la criminalità organizzata, in grado di condizionarne le scelte attraverso il ricorso al metodo corruttivo ovvero tramite pressioni e atti intimidatori. Finalità precipua dell’istituto dello scioglimento è “di assicurare il buon andamento delle amministrazioni ed il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati”. Se il concetto di ordine pubblico è ancorato a canoni oggettivi, la sua lesione è causa di provvedimenti straordinari, giustificati dal perseguimento di un obiettivo fondamentale dell’azione dello Stato: garantire la sussistenza delle condizioni di pacifica convivenza civile. La norma non si propone di reprimere condanne criminose, in quanto non collegata a modelli penalistici, ma tutela il diritto della collettività allo svolgimento democratico della vita amministrativa, garantendo il pieno dispiegamento dell’autonomia dell’Ente locale. Se l’intervento sostitutivo da essa previsto e indubbiamente “sanzionatorio”, la sua “ratio” a caratterizzata da aspetti di prevenzione sociale a difesa delle Comunità locali e, pertanto, essa a correttamente inserita nell’alveo strutturale del Testo Unico degli Enti locali.
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1. Analisi storica. L’analisi storico-sociale della criminalità organizzata e la sua affermazione in Italia meridionale hanno evidenziato le possibili cause della sua diffusione nella gestione governativa e nella scarsa presenza delle autorità sin dall’epoca borbonica che permise alle organizzazioni criminali di affermarsi non solo in chiave antigovernativa, ma soprattutto come alternativa allo Stato. Successivamente all’Unità d’Italia, il nuovo Stato continuò a mostrarsi incapace di garantire un’efficiente amministrazione in grado di opporsi al dominio territoriale cui le diverse consorterie criminali aspiravano, paradossalmente il nascente Regno d’Italia mostrò tutti i suoi limiti nella gestione del fenomeno mafioso. L’ovvio interesse degli uomini d’onore locali a “stabilizzare in ogni modo la propria leadership” mediante la massima legalizzazione possibile dei propri poteri collimò con l’incapacità politico-amministrativa del nuovo Stato. L’incontro di queste esigenze permise, così, una graduale investitura politica dei leader mafiosi. Sull’evoluzione storico sociale della mafia si sono susseguite due opposte teorie, da una parte gli storici sostengono che le organizzazioni mafiose siciliane già anticamente erano legate alla città e ai suoi apparati di potere, diversamente altre correnti, invece, riconducono le origini della mafia ad aggregazioni rurali. In effetti, la mafia si dimostrò, già alla fine del ’800, in grado di orientare la vita politica sfruttando i legami elettorali tra alcuni deputati e gli elettori, che le permisero non solo di entrare nella vita pubblica dell’isola, ma di intervenire sul campo economico. Nel secondo dopoguerra, i potenti capimafia vennero collocati ai vertici della vita politica affermando così un quadro di rapporti contrassegnato da legami di complicità tra mafia e pubblici poteri. La mafia, negli anni Cinquanta, estese il proprio controllo sulla società anche radicandosi negli enti pubblici. Solo con la presa di coscienza del problema mafia-politica, tra la fine degli anni ’50 e degli anni ’60, inizia a svilupparsi un lento fenomeno di delegittimazione del potere mafioso da parte dello Stato, in particolare con l’istituzione nel 1962 di un’apposita Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. Negli anni ’70 assistiamo, poi, ad una progressiva conquista da parte dei gruppi mafiosi di una quota rilevante del mercato della spesa e dell’assistenza pubblica quale contropartita del voto di scambio nelle competizioni elettorali. Infatti, proprio in quegli anni si registra lo sviluppo della nuova mafia imprenditrice che rompe ogni vincolo di subordinazione dal potere politico centrale e locale. Questa nuova forma di criminalità organizzata, che si arricchisce mediante il traffico di stupefacenti e di armi, si ramifica in strutture complesse, raffinate ed efficienti, riuscendo quindi ad esprimere una propria autonomia politica. Se è indubbio che la mafia necessita di controllare il territorio nel quale opera, qualsiasi giudizio di valore sulla normativa di contrasto alle consorterie criminali mafiose deve passare attraverso l’evoluzione dei rapporti tra mafia, controllo del territorio e apparati amministrativi locali. Il controllo del territorio è un bisogno assoluto, non solo per motivi economici, ma soprattutto per motivi di immagine e di prestigio, per rendere visibile alla cittadinanza il proprio potere, garantendosi legittimazione ed alimentando quel “metus”, e cioè quel potere intimidatorio, che costituisce la linfa vitale sulla quale si fonda il sodalizio criminale rendendolo difficilmente scardinabile con gli ordinari strumenti di politica legislativa.
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«Il vero momento costituente del fenomeno mafioso è il periodo storico in cui la mafia più antica comincia a darsi regole e strutture, a interagire sistematicamente con la società e a interferire con il funzionamento delle istituzioni. Risale a quel tempo il progressivo radicamento sociale di una mafia alta o “in guanti gialli”, che si trasformerà presto anche in forza elettorale, in referente e strumento di forze politiche e amministrazioni pubbliche»1. Le associazioni di stampo mafioso, che «tendono a mescolarsi con la società civile, che cercano di esercitare il massimo controllo sul territorio, di svolgere in apparenza attività imprenditoriali legali, conoscere sino in fondo le attività economiche presenti, riconoscere tempestivamente potenziali alleanze, eliminare i nemici»2, nutrono quindi una particolare attenzione per gli enti locali, ancor di più in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione esaltando il ruolo di tali enti quali autonomi livelli di governo, non più quindi qualificabili come mere articolazioni dello Stato sul territorio, ma soggetti competenti a gestire risorse finanziarie, oggetto di attenzione della criminalità. Nonostante oggi la criminalità mafiosa si sia affermata a livello transnazionale, con l’obiettivo dagli ingenti guadagni che producono i traffici illeciti, mantiene la necessità di infiltrarsi nelle piccole amministrazioni locali, seppur caratterizzate da limitatissime risorse, in virtù del bisogno vitale di rimanere radicata sul proprio territorio da cui continua a ricevere la legittimazione. Dunque, le infiltrazioni mafiose sono costituite da quelle molteplici ed eterogenee attività di penetrazione nelle istituzioni democratiche e nella società civile finalizzate a mantenere ed eventualmente ad ottenerne il controllo. È in questo contesto sociale, delle infiltrazioni criminali locali, che lo Stato cerca di reagire con l’introduzione della nuova Legge n. 161 del 2017, art. 100 Obbligo di acquisizione della documentazione antimafia nel quinquennio successivo allo scioglimento ai sensi dell’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 che prevede: «I. L’ente locale, sciolto ai sensi dell’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni, deve acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia precedentemente alla stipulazione, all’approvazione o all’autorizzazione di qualsiasi contratto o subcontratto, ovvero precedentemente al rilascio di qualsiasi concessione o erogazione indicati nell’articolo 67 indipendentemente dal valore economico degli stessi». L’articolo rappresenta quindi la volontà dello Stato di estirpare il controllo non solo amministrativo, ma anche territoriale, alla mafia e che, nel tempo “cinque anni” avvenga il risanamento del tessuto sociale ed anche la diffusione di un convinto ritorno al rispetto della legalità. D’altra parte le indagini giudiziarie hanno accertato la delocalizzazione/colonizzazione mafiosa, confermando la presenza invasiva della criminalità organizzata anche nel nord Italia, caratterizzata da una penetrante capacità di infiltrazione, soprattutto della ’ndrangheta, nell’economia legale di comuni anche di piccole e medie dimensioni. Nel corso del 2017, come riportato anche dall’ultima Relazione del Ministro dell’InternoDipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, sull’attività delle Commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, in merito ai fenomeni di infiltrazione e condizionamento della criminalità organizzata nel tessuto politico
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http://www.limesonline.com/le-radici-della-mafia-dal-1870-al-1900/53793. https://www.diritto.it/sociologia-della-mafia-paradigmi-incerti-visti-dentro.
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dei comuni, si è evidenziata una crescita nel Nord del Paese, come i casi del comune di Brescello (RE), Lavagna (GE) e Seregno (MB). Ciò dimostra la capacità delle organizzazioni criminali di radicarsi, oltre ai territori di origine, anche in altre zone del Paese che possano presentare le condizioni economiche “vantaggiose” per le consorterie criminali.
2. Articolo 143 del TUOEL. Una complessiva valutazione delle vicende che hanno portato all’adozione della misura dissolutoria, ex articolo 143 del TUOEL, nei riguardi di enti di regioni del nord Italia, consente di affermare come i metodi utilizzati dalla criminalità organizzata e/o del condizionamento esercitato, già riscontrati nell’ambito di altri territori, si concentrino soprattutto in determinati settori, quali gli appalti pubblici, maggiormente investiti da interessi economici dei sodalizi criminali”3. È, quindi, anche attraverso specifici interventi di natura politico ed amministrativa, e cioè con disposizioni extraprocessuali, che si cerca di contrastare la crescita delle organizzazioni criminali. Il legislatore, infatti, fa riferimento nella nuova normativa antimafia all’accertamento degli indizi di appartenenza all’associazione a delinquere di stampo mafioso. Il fine di detta norma è la possibilità di poter procedere sulla base di indizi che rappresenta un notevole ausilio ad un’incisiva azione dello Stato nella lotta alla mafia, permettendo al processo penale di non essere il solo luogo esclusivo per la lotta contro il crimine organizzato, che deve invece svilupparsi anche a livello sociale e politico e successivamente legislativo.
3. L’articolo 143 del Decreto legislativo 18 agosto del 2000, n. 267 e successive modifiche Nell’ordinamento giuridico italiano, il primo intervento normativo antimafia in materia di enti locali avvenne con la Legge 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle autonomie locali, che all’art. 39, Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali, prevedeva lo scioglimento e la sospensione dei consigli comunali e provinciali su proposta del Ministero dell’Interno: «I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno: a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché’ per gravi motivi di ordine pubblico; […]». Non si parlava ancora di mafia, ma il riferimento all’illegalità diffusa ed all’ordine pubblico prefigurava già la presa d’atto della problematica della devianza dell’Ente dai fini istituzionali. Successivamente, con il D.L. del 31 maggio 1991, n. 164, Misure urgenti per lo scioglimento dei Consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, il legislatore intervenne per colmare la lacuna normativa introducendo una nuova ipotesi di scioglimento, l’art. 15-bis che prevedeva:
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Relazione del ministro dell’Interno sull’attività di Commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, anno 2017.
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«Fuori dei casi previsti dall’ articolo 39 della legge 8 giugno 1990, n. 142, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 15, comma 5, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi che compromettono l’imparzialità degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica […]». L’art. 15-bis disponeva, quindi, che i Consigli comunali e provinciali potessero essere sciolti quando, in seguito all’esercizio dei poteri ispettivi del Prefetto, fossero accertati elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori tali da compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Detto provvedimento, altresì, introduceva una tutela cautelare interinale conferendo, al comma 5 («Quando ricorrono motivi di urgente necessità, il prefetto, in attesa del decreto di scioglimento, sospende gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell’ente mediante invio di commissari. La sospensione non può eccedere la durata di sessanta giorni e il termine del decreto di cui al comma 3 decorre dalla data del provvedimento di sospensione»), al Prefetto il potere di sospendere, in attesa del decreto di scioglimento, «gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell’ente mediante invio di commissari» per il termine di sessanta giorni (art. 15-bis L. n. 55/ 1990). Obiettivo della Legge n. 55 del 1990 era migliorare gli strumenti di contrasto alla mafia con specifico riferimento all’infiltrazione mafiosa, attraverso l’introduzione di norme sulla trasparenza delle Amministrazioni locali in materia di appalti pubblici e l’introduzione di nuove ipotesi di non candidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali di soggetti condannati in via definitiva ai sensi dell’art. 416-bis c.p. È quindi con il D. L. n. 152 del 13.5.1991, convertito in Legge n. 203 del 12.7.1991, mediante l’attivazione del cosiddetto “Collegio degli Ispettori” di nomina prefettizia e l’introduzione del potere del Prefetto di sottoporre a controllo le delibere delle Giunte in materia di contratti, che si evidenzia l’intento del legislatore di sindacare, nello specifico, le scelte degli Enti locali quando esse appaiano di dubbia legittimità e si estende ancora le possibilità di combattere le irregolarità e le indebite interferenze negli appalti degli Enti pubblici. Si perviene, quindi, ad una normativa specifica che consente, per la prima volta, lo scioglimento di interi consessi elettivi, in relazione alla specifica causa di infiltrazione e/o condizionamento da parte della criminalità organizzata. La norma costituisce, indubbiamente, una deroga ai principi di democraticità e di autonomia locale che risulta necessaria, data la preminenza da attribuire, tra gli interessi costituzionalmente protetti, quello relativo alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Si tratta senz’altro di una norma “speciale”, che prevede misure di carattere straordinario per situazioni straordinarie, quali quelle in cui si delineano ipotesi di collusione, anche indiretta, degli organi elettivi con la criminalità organizzata; collusioni tali da rendere pregiudizievole, per i legittimi interessi della comunità locale, il permanere di quegli organi dimostratisi inidonei a gestire correttamente la cosa pubblica.
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L’intervento è finalizzato all’eliminazione di quelle situazioni in cui, a prescindere da ogni accertamento circa il grado di responsabilità individuale dei componenti del consesso sciolto, il governo locale viene assoggettato attraverso anomale interferenze che ne alterano la capacità di conformare la propria azione alla legalità. L’art. 15-bis viene riportato pressoché integralmente, nel Testo Unico delle leggi sull’Ordinamento degli Enti locali, D. lgs. n. 267 del 18.8.2000, inquadrandole organicamente nella parte dedicata al “Controllo sugli organi”, artt. 143 e seguenti Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti, che riprendendo la previsione di cui all’articolo 15-bis della Legge 19 marzo 1990, n. 55, prevede: «1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica […]». La relazione prefettizia, di cui al comma 2, nel caso di riscontro di elementi che integrino gli estremi dello scioglimento, collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o ‘forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, come elencati dal comma 1 dell’art. 143 T.U., è seguita dall’emanazione, da parte del Presidente della Repubblica del decreto che dispone lo scioglimento dell’Ente. Il suddetto decreto viene trasmesso contestualmente alla sua emissione alle Camere e conserva i suoi effetti (comma 10) «… per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali». Il comma 7 del citato articolo, «Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5, il Ministro dell’Interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, emana comunque un decreto di conclusione del 6 procedimento in cui dà conto degli esiti dell’attività di accertamento. Le modalità di pubblicazione dei provvedimenti emessi in caso di insussistenza dei presupposti per la proposta di scioglimento sono disciplinate dal Ministro dell’interno con proprio decreto», pone un preciso limite all’esercizio del potere statale di controllo sugli organi elettivi dell’ente locale, non solo attraverso la fissazione di una rigida tempistica per l’emanazione del decreto presidenziale di scioglimento, ma anche fissando un termine finale entro il quale dar conto delle risultanze negative dell’attività di accertamento svolta presso l’amministrazione comunale interessata. In merito all’attività di contenzioso e dei principi giurisprudenziali pronunciati, riguardo alla legittimità dei decreti di scioglimento adottati, si evidenzia che nella totalità dei casi le pronunce sono risultate favorevoli all’Amministrazione, con conseguente conferma dei provvedimenti impugnati. L’articolo 100 della Legge n. 161 del 17 ottobre 2017, Obbligo di acquisizione della documentazione antimafia nel quinquennio successivo allo scioglimento ai sensi dell’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, del nuovo codice antimafia, estende il controllo
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attraverso un rigoroso monitoraggio, disponendo che lo stesso debba acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia precedentemente alla stipulazione, all’approvazione o all’autorizzazione di qualsiasi contratto o subcontratto, ovvero precedentemente al rilascio di qualsiasi concessione o erogazione indicati nell’art. 67 indipendentemente dal valore economico degli stessi. Come perspicuamente osservato, la previsione in esame evidenzia come i controlli eseguiti dal Prefetto siano espressione, mai come in questo caso, di un’esigenza che trascende le stesse motivazioni di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico e che attinge, piuttosto, l’obiettivo di preservare il corretto funzionamento delle amministrazioni pubbliche locali. Scopo della normativa è la volontà dello Stato di sradicare il legame tra l’ente locale e l’organizzazione criminale. L’art. 100 si riferisce ad un ente locale che è stato oggetto di interventi di natura politica amministrativa, da cui si presume che trascorsi 5 anni dallo scioglimento l’ente si stato di fatto liberato dal legame. La norma, dunque, non si propone di reprimere condotte criminose, in quanto non collegata a modelli penalistici, ma di tutelare il diritto della collettività allo svolgimento democratico della vita amministrativa garantendo il pieno dispiegamento dell’autonomia dell’Ente locale. Se l’intervento sostitutivo da essa previsto è indubbiamente “sanzionatorio”, la sua “ratio” è caratterizzata da aspetti di prevenzione sociale a difesa delle Comunità locali e, pertanto, essa è correttamente inserita nell’alveo strutturale del Testo Unico degli Enti locali”. Le recenti modifiche costituzionali non contrastano con l’impianto della legge, essendo stata riservata, in maniera esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h, allo Stato la materia della sicurezza e dell’ordine pubblico; né l’obbligo, sancito dal novellato art. 120 della Costituzione, di esercitare il potere sostitutivo nei confronti degli Enti locali, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, induce un’attenuazione della sua efficacia. L’esercizio dell’intervento sostitutivo per le ipotesi di infiltrazioni mafiose continua, infatti, ad essere ammesso, poiché le stesse rappresentano una tale gravità da minare la libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza dell’azione amministrativa: valori questi che appartengono alla collettività e, come tali, devono essere tutelati al massimo livello di governo, e cioè a quello statale. L’assolvimento puntuale e rigoroso della funzione di pubblica sicurezza che lo Stato esercita in tale occasione è condizione insopprimibile per preservare il sistema democratico, coincidendo, nella sostanza, proprio con l’interesse delle Comunità locali, sia nella loro prospettiva di sviluppo economico e sociale, sia nella realizzazione dei diritti e delle libertà civili dei propri cittadini, evidentemente compromessi dall’aggressione della criminalità mafiosa. Proprio il rispetto, dunque, del principio di leale collaborazione, inteso nel suo senso più pieno di «dovere di controllo sull’attività e non sui singoli atti» da esercitare nei confronti degli enti locali, impone, l’intervento dello Stato al fine di recuperare e ripristinare la legalità violata qualora ricorrano le condizioni richieste dall’art. 143 del TUEL. Ciò premesso, è necessario evidenziare i presupposti giuridici che costituiscono i requisiti legittimanti la richiesta di scioglimento sanciti dalla legge nell’art. 143 del TUEL e fatti oggetto di una chiara analisi interpretativa da parte della Corte Costituzionale nella fondamentale sentenza 10 19 marzo del 1993 n. 103. La Corte Costituzionale precisa che la norma in esame è formulata in modo da assicurare il rispetto dei principi di ragionevolezza ed imparzialità che si assumono violati, e contiene in sé tutti gli elementi idonei a garantire obiettività e coerenza nell’esercizio del potere straordinario di scioglimento degli organi elettivi conferito all’autorità amministrativa. L’art 143 del TUEL esige una stringente consequenzialità tra l’emersione di una delle due situazioni suddette, “collegamenti” o “forme di condizionamento”, e di una delle due evenien-
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ze, l’una in atto, la compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo, nonché del regolare funzionamento dei servizi; l’altra conseguente ad una valutazione di pericolosità, espressa dalla disposizione impugnata con la formula: «tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica». Stabilito, quindi, che l’art. 143 del TUEL si colloca nell’alveo del dettato costituzionale, l’ampiezza del potere, dalla medesima previsto, è stata oggetto di una serie di pronunce del giudice amministrativo, che ha precisato, anzitutto, che: «lo scioglimento temporaneo di un Consiglio comunale ex art. 15-bis, 1. 19 marzo 1990 n. 55, per infiltrazioni mafiose, costituisce una misura di carattere straordinario che non ha finalità repressive nei confronti di singoli, ma concerne piuttosto la salvaguardia della p.a. di fronte alla pressione ed all’influenza della criminalità organizzata e, quindi, si giustificano gli ampi margini d’apprezzamento non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente, e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi della possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità stessa»4; Quindi: «il sindacato sulla legittimità del decreto di scioglimento di un Consiglio comunale o provinciale per infiltrazioni mafiose e la valutazione delle acquisizioni probatorie in ordine a collusioni e condizionamenti non possono essere effettuati estrapolando dal materiale acquisito singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l’esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo sull’operato dell’organo consiliare. In presenza di un fenomeno di diffusa criminalità, gli elementi addotti a riprova di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, giacché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza dell’addebito mosso al Consiglio comunale di incapacità, nel determinato contesto ed a prescindere da responsabilità dei singoli, di esercitare l’attività di controllo e di impulso cui è deputato per legge»5. Il giudice amministrativo6 ha anche chiarito che l’art. 143 D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 conferisce alle massime autorità istituzionali competenti l’adozione del provvedimento di scioglimento dei consigli comunali, un potere ampio e altamente discrezionale, giustificato dal pericolo di infiltrazioni mafiose, che non necessita dell’accertamento di quei presupposti di fatto della responsabilità dei singoli amministratori che per essere provati in modo certo e conclusivo richiedono lo svolgimento di procedimenti giurisdizionali o assimilati. Inoltre, i presupposti per l’esercizio di detto potere devono essere valutati non con riguardo a singoli episodi e vicende amministrative, che considerati singolarmente possono non essere indicativi del collegamento o condizionamento con organizzazioni della malavita organizzata, ma nel loro insieme, e per la loro idoneità ad esprimere un reale pericolo di infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni locali. Da tale assunto deriva che ulteriore requisito necessario per lo scioglimento degli organi elettivi degli enti locali, sul quale peraltro la giurisprudenza si è recentemente pronunciata, è costituito dall’attualità del pericolo alla libera determinazione degli amministratori locali nella gestione della cosa pubblica.
4 5 6
Consiglio Stato, sez. V, 2 ottobre 2000, n. 5225. Consiglio Stato, sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573. Cfr. Consiglio Stato, sez. V, 4 maggio 2005, n. 2160.
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In merito a questo ulteriore requisito risulta particolarmente interessante l’analisi della sentenza del TAR Campania n. 7783 del 7 giugno 2006 riguardante lo scioglimento del Consiglio comunale del Comune di Pozzuoli per accertate infiltrazioni mafiose. In relazione a tale procedimento il giudice amministrativo ha evidenziato che dalla valutazione complessiva dell’ampio materiale raccolto nel corso dell’istruttoria, durata peraltro ben 21 mesi, da parte della Commissione di Accesso, emergeva un quadro che globalmente consentiva di valutare come “attuale” la compromissione di taluni componenti dell’Amministrazione disciolta rispetto a membri di organizzazioni delinquenziali attive nel territorio puteolano. Compromissione che pur traendo effettivamente le proprie radici, in taluni casi, da scelte amministrative compiute da parte di precedenti consessi consiliari, pur tuttavia sostanzialmente proseguita, consolidandosi, anche nel corso degli anni successivi corrispondenti all’attività svolta dal consesso poi disciolto, laddove un certo scostamento da prassi illegittime s’è registrato talora soltanto dopo l’avvenuto insediamento – presso il Comune – della Commissione d’accesso. Nel caso specifico il TAR Campania, in riferimento al mercato ittico di Pozzuoli, aveva infatti dato l’avvio a una serie di rinvii a giudizio per i reati di abuso d’ufficio, concussione, truffa aggravata di più componenti del consiglio comunale, nonché del sindaco stesso per fatti verificatesi anche precedentemente l’insediamento del consiglio comunale poi sciolto per infiltrazioni mafiose. A tal riguardo, osserva il Tar Campania, «il semplice fatto che tali procedimenti penali si sarebbero conclusi con l’assoluzione degli amministratori locali non esclude l’attualità del pericolo in quanto quel che conta porre in risalto è la pregnanza dell’elemento, rappresentato dalla gravità di tali carichi pendenti, essendo ben fermo che il grado di accertamento richiesto dall’art. 143 del TUEL non deve essere lo stesso, proprio della decisione assunta a seguito di giudizio penale, destinata ad assumere l’incontrovertibilità del giudicato». Dalla Relazione della Commissione d’Accesso, che ha operato una scrupolosa attività di analisi del complesso contesto socio economico dell’area puteolana, si evince, ad avviso del TAR Campania, il carattere attuale degli elementi di contiguità ad ambienti criminali, emergenti dalla vicenda in questione in quanto più episodi, evidenziavano chiari sintomi di condizionamento degli organi elettivi da parte di sodalizi criminali anche se rispetto a tali vicende i consiglieri comunali andarono poi assolti in sede penale. L’interpretazione data dal giudice amministrativo campano della vicenda esposta appare assolutamente condivisibile in quanto: l’art. 143 del TUEL fa espresso riferimento ad elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità, non richiedendo quindi prove in senso stretto che sono invece tipiche del procedimento giurisdizionale penale rispetto alla quale la procedura di scioglimento in esame è assolutamente autonoma. A conferma di tale assunto è opportuno citare la sentenza n. 3386 del 21 giugno 2002 della V sezione del Consiglio di Stato nella quale è stato affermato un principio cardine operante in materia, secondo cui: «per lo scioglimento di un organo consiliare di un comune per infiltrazioni mafiose non occorre che vi siano prove in senso giuridico o circostanze tali da giustificare l’applicazione di misure di sicurezza, essendo in realtà sufficiente che le motivazioni del provvedimento si basino su fatti e circostanze plausibili ed adeguatamente risultanti dagli atti». La Commissione antimafia appariva ben consapevole della differenza qualitativa tra la diversa consistenza degli elementi necessari per l’avvio di un procedimento penale e quelli indispensabili per lo scioglimento di un’amministrazione. Attesa la funzione di prevenzione e difesa sociale della misura dello scioglimento, ben si giustificava il diverso spessore tra elementi probatori in senso proprio ed indici di infiltrazione mafiosa. Tuttavia, gli elementi che portano allo scioglimento «devono consentire di configurare una situazione nella quale l’interferenza con la libera determinazione degli organi di autogoverno
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locale sia collegabile all’esistenza di fenomeni […] di criminalità organizzata che sono ragionevolmente riconducibili agli esponenti politici locali oggetto del provvedimento». Ciò al fine di evitare arbitri, come sottolineato dai casi limite esaminati. Un passaggio fondamentale del Documento della Commissione Antimafia deve ritenersi, a buon diritto, l’analisi dell’incidenza sulla normativa di scioglimento degli Enti della riforma della dirigenza pubblica, introdotta con il D.L. 18 agosto 2000, n. 267. Principio ispiratore della citata riforma è quello della separazione dei poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo, che spettano agli organi di governo, dai poteri di gestione amministrativa, finanziaria e contabile, di competenza dei dirigenti. Orbene, attesa la ripartizione dei poteri e delle responsabilità operata dalla riforma, si poneva l’esigenza di «salvaguardare 1’Amministrazione che, pur evidenziando nella propria gestione elementi di compromissione del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione, non manifesti responsabilità del livello politico». La Commissione, pertanto, proponeva di modificare la disciplina sullo scioglimento degli enti locali, aggiungendo l’ipotesi di commissariamento dell’area gestionale da realizzarsi «mediante la nomina di un commissario straordinario che svolga le funzioni del direttore generale con poteri di avocazione delle funzioni gestionali, amministrative e finanziarie dei servizi interessati». La sussistenza di responsabilità del livello dirigenziale nel verificarsi di infiltrazioni mafiose doveva implicare, quale portato naturale, la possibilità di «risoluzione del rapporto di diritto pubblico o privato instaurato con l’ente, per il venire meno del rapporto fiduciario sottostante»; analogamente, per i lavoratori dipendenti, la Commissione antimafia riteneva che l’accertamento della sussistenza di responsabilità nel verificarsi di fenomeni infiltrativi a carico di questi, debba poter determinare l’avvio di procedimenti disciplinari che possano terminare anche con il licenziamento del dipendente. Il documento dell’Antimafia si soffermava sull’opportunità di introdurre nella normativa in materia un ulteriore presupposto di scioglimento. Invero, l’art. 143 del D.lgs. 267/2000 prevede l’ipotesi di scioglimento nei casi in cui risulti compromesso il buon andamento dell’ente. Il principio del buon andamento, richiamato dall’art. 97 della Costituzione, pone a carico del funzionario pubblico l’onere di svolgere la propria attività secondo i modi e le forme più opportuni per garantire efficienza, speditezza, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa. La Commissione opportunamente argomentava che, oltre al principio del buon andamento, la normativa sullo scioglimento debba tutelare anche quello dell’imparzialità della P.A., che si estrinseca nella estraneità dell’azione amministrativa ad interessi particolari. L’esperienza pratica dei condizionamenti mafiosi insegna che sovente un atto «pur non ledendo i principi di efficacia, efficienza, speditezza ed economicità, abbia leso quello di imparzialità». Un esempio pratico è riferibile ad “appalti aggiudicati al prezzo più basso, in tempi celeri e senza spreco di risorse pubbliche, ma assegnati favorendo un’impresa mafiosa”. Pertanto, il documento suggeriva che oggetto di valutazione da parte della Commissione d’accesso sia non solo l’eventuale turbativa del buon andamento di un’amministrazione, ma anche dell’imparzialità. Beninteso la sanzione da applicare nel caso di compromissione dell’imparzialità dell’amministrazione avrebbe dovuto colpire il livello politico e/o quello dirigenziale, a seconda dell’addebitabilità delle situazioni compromissive riscontrate. La proposta di modifica legislativa si soffermava su tre aspetti non secondari delle vicende di scioglimento. Il primo è quello dell’accertamento di compromissioni individuali con la criminalità organizzata non suscettibili di interferire con la vita dell’Ente. Sotto tale profilo, la Commissione indicava la necessità di previsione legislativa di un potere di sospensione o
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decadenza dalla funzione svolta, sia essa elettiva o dirigenziale. Poteri da esercitarsi, in ogni caso, nelle forme e con il controbilanciamento delle garanzie giurisdizionali previste per lo scioglimento dell’ente. Ancor più centrale era la questione del termine per l’esecuzione delle indagini intraprese dalla commissione d’accesso. Come ricorda Mauro Bestini, sindaco di Marano di Napoli, rievocando la propria vicenda, la commissione d’accesso protrasse nell’ente le proprie funzioni per «dodici mesi di occupazione militare e di blocco degli uffici, impegnati nella continua richiesta di documenti e fotocopie». Evitare di compromettere ulteriormente la funzionalità dell’ente oggetto di indagine, in ragione del protrarsi dell’attività inquisitoria della commissione d’accesso: in quest’ottica la Commissione Antimafia riteneva congruo «fissare il termine di tre mesi entro il quale la commissione dovrà ultimare l’attività di accesso, fissando […] nei successivi tre mesi il termine entro il quale dovrà essere emanato il provvedimento definitivo […]». Una limitazione temporale all’esercizio dei poteri di accesso ritenuta senz’altro indispensabile, alla stregua delle esperienze maturate nel corso di questi anni. Infine, non può omettersi l’importanza di un’ulteriore proposta di modifica legislativa della Commissione consistente nel riconoscimento al Prefetto della facoltà di consultare il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, al quale sia chiamato altresì a partecipare il Procuratore della Repubblica competente per territorio. Una consultazione ritenuta indispensabile per «conferire maggiore solidità argomentativa alle motivazioni poste a base delle decisioni adottate dall’Amministrazione dell’Interno nell’ambito della propria autonomia». Oltre che sugli aspetti connessi allo scioglimento, la pars destruens di un’attività amministrativa compromessa da infiltrazioni mafiose, la Commissione antimafia indicava alcune direttrici di modifica alla legge in vigore, il cui precipuo scopo era migliorare l’incisività della gestione straordinaria «tesa al recupero effettivo delle condizioni generali dell’azione amministrativa secondo il dettato della Carta costituzionale». A tal fine la Commissione ravvisava l’opportunità di innovare la normativa vigente, indicando sin dalla relazione del Prefetto allegata alla proposta di scioglimento, i «punti critici dell’azione amministrativa». Ciò al fine di motivare la misura adottata, ma anche di individuare «adeguate soluzioni di recupero di ogni aspetto della legalità dell’azione amministrativa condotta nell’interesse della collettività». Preliminarmente, allo scopo di garantire una intensa professionalità e specializzazione alla gestione straordinaria, la Commissione proponeva di innovare la normativa vigente mediante l’istituzione di un ruolo dei Commissari straordinari presso il Ministero dell’Interno. Anche la provenienza da un territorio provinciale diverso da quello d’appartenenza dell’ente sciolto, per ragioni inespresse ma di evidente opportunità, veniva individuato come elemento qualificante della gestione. I principi che dovrebbero presenziare all’azione commissariale vengono individuati in quelli di «promozione della legalità, dello sviluppo e della partecipazione democratica». Nei settori più “sensibili” ai condizionamenti, quale quello degli appalti, servizi e forniture, la Commissione Antimafia ravvisava l’opportunità di concedere alla gestione commissariale la possibilità di stipulare contratti a trattativa privata anche in deroga alla normativa di evidenza pubblica, procedura da adottare «solo quando non si possa accedere con la stessa efficienza e celerità agli ordinari strumenti offerti dalle norme in vigore in materia di evidenza pubblica». Nella medesima logica si poneva l’esigenza di conferire espresso mandato alla gestione commissariale di provvedere alla ricognizione sull’aggiudicazione di appalti, affidamento in
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concessione di servizi pubblici locali, concessioni edilizie, autorizzazioni amministrative ed incarichi professionali. Il riflesso delle innovazioni legislative nel campo della dirigenza ed il conseguente riparto di sfere decisionali trovavano strumento pratico nella previsione di innovazione legislativa proposta dalla Commissione in ordine agli spostamenti del personale dell’ente, anche «in deroga alle norme in materia di contrattazione e concertazione con le organizzazioni sindacali» verso le quali residuerebbe un obbligo di comunicazione preventiva dei provvedimenti adottati. Tale misura si giustificherebbe in forza «dell’eccezionale interesse dello Stato al ripristino della legalità nello svolgimento dell’azione amministrativa gravemente compromessa dall’infiltrazione mafiosa». Il Documento in esame si concludeva con l’analisi di due profili residuali ma non secondari. Il primo riguarda la previsione di una sanzione di ineleggibilità a carico dei soggetti che abbiano dato causa all’infiltrazione mafiosa nell’ente. Tale previsione, atteso che sovente riguarderebbe soggetti a carico dei quali non si è formato un giudicato penale, dovrebbe essere temporanea e limitata al solo successivo turno elettorale utile. Anche in tal caso, comunque, pur non contestandosi l’utilità della modifica proposta, resta problematico conciliare tale esigenza con l’art. 48 della Costituzione. L’ultimo aspetto, infine, è quello della tutela giurisdizionale delle amministrazioni oggetto del provvedimento di scioglimento. Al fine di evitare, da un lato, contrasti giurisprudenziali e dall’altro disparità di trattamento giudiziario delle singole vicende, la Commissione proponeva la devoluzione della cognizione delle vicende giurisdizionali inerenti lo scioglimento al TAR Lazio (Roma). L’applicazione dell’art. 143 del D.lgs. 267/2000 incide in maniera rilevante sull’autonomia degli enti locali, avendo come diretti destinatari gli organi elettivi. Siamo in presenza di una misura che non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo di carattere straordinario, ribadito anche dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 103 del 1993 oltre che dal Consiglio di Stato che con sentenza n. 5278 del 2017. In base all’art. 143, lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, al termine di un complesso procedimento di accertamento, effettuato dal Prefetto competente per territorio attraverso un’apposta commissione di indagine, tale passaggio può non essere necessario nei casi in cui emergano elementi certi nel corso delle indagini dell’autorità giudiziaria, come avvenuto in diverse circostanze, ad esempio per lo scioglimento dei comuni di Scalea e di Nardodipace. Condizione dello scioglimento è l’esistenza di elementi “concreti, univoci e rilevanti” di collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali (Sindaci, Presidenti delle province e delle comunità montane, Consiglieri comunali e provinciali e delle comunità montane ecc.) e di forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare «un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali», incidendo negativamente sulla funzionalità degli organi elettivi. Il testo vigente (Legge n. 94 del 2009, art. 2, 14 comma 30) richiede perciò condizioni più stringenti per lo scioglimento rispetto alla disposizione originaria, che faceva riferimento in modo generico ad “elementi” espressione di “collegamenti diretti o indiretti” degli amministratori alla criminalità organizzata ovvero di forme di condizionamento degli stessi. La procedura si applica anche alle aziende sanitarie
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locali, a tutela della sicurezza pubblica7. Ai sensi dell’art. 143, comma 11, si può procedere allo scioglimento per infiltrazioni mafiose anche in caso di precedente decreto di scioglimento per le fattispecie di cui all’art. 141: ne costituiscono un esempio il caso del Comune di Brescello, per il quale al primo provvedimento di scioglimento ex art. 141 per le dimissioni del Sindaco ha fatto poi seguito un successivo decreto ex art. 143 e quello del comune di San Gennaro Vesuviano, per il quale la nomina di una Commissione straordinaria è avvenuta a 11 mesi di distanza dallo scioglimento ex art. 141, dovuto alle dimissioni dalla carica di 9 consiglieri comunali su 16. Si tratta di un atto di alta amministrazione, e come tale caratterizzato da un’ampia discrezionalità. Per giungere allo scioglimento non è necessario che siano stati commessi reati perseguibili penalmente oppure che possano essere disposte misure di prevenzione, essendo sufficiente che emerga una possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata. Gli indizi raccolti devono essere documentati, concordanti tra loro e davvero indicativi dell’influenza della criminalità organizzata sull’amministrazione, anche a prescindere dalla prova rigorosa dell’accertata volontà degli amministratori di assecondare le richieste della criminalità. L’attività di indagine può avere oggetto anche il comportamento dell’apparato burocratico (Segretario Comunale, Dirigenti, Dipendenti) in ragione delle rilevanti responsabilità e competenze attribuite alla burocrazia locale dalla legislazione vigente. Se emergono elementi di collegamento con la criminalità mafiosa, il Prefetto è tenuto a trasmettere al Ministero dell’Interno una relazione con l’indicazione dei provvedimenti necessari (inclusa la sospensione/ destituzione dall’impego dei dipendenti coinvolti) anche se non sussistono i presupposti per lo scioglimento dell’organo elettivo, esempio i casi di Roma Capitale e del comune di Sacrofano8. Nella relazione sono indicati altresì gli appalti, contratti e servizi interessati dai fenomeni di interferenza mafiosa. La relazione deve essere inviata anche all’autorità giudiziaria ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione. In caso di urgente necessità, il Prefetto può disporre la sospensione temporanea dalla carica e la nomina di un commissario straordinario.
3.1. I motivi di scioglimento. Secondo quanto previsto dall’art. 143 TUEL lo scioglimento dei Consigli comunali può essere disposto «quando emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica». Tali elementi possono essere riferiti anche al segretario comunale, al direttore generale, ai dirigenti ed ai dipendenti dell’ente.
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Vedi al riguardo le considerazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato n. 4765 del 2006 che ha respinto le eccezioni avanzate dalla regione Campania 8 Audizione del Ministero dell’Interno del 15 marzo 2016.
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Lo scioglimento dell’organo elettivo, secondo la giurisprudenza, «non ha finalità repressive nei confronti di singoli, ma di salvaguardia dell’amministrazione pubblica»9 e si connota quale «misura di carattere straordinario per fronteggiare un’emergenza straordinaria»10. Gli elementi che giustificano lo scioglimento dei Consigli comunali devono essere tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori «pur quando il valore indiziario dei dati non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale, essendo asse portante della valutazione di scioglimento, da un lato, la accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale». Il compimento, da parte dell’amministrazione comunale, di atti illegittimi non è sufficiente a determinare lo scioglimento dell’ente in quanto «è necessario un quid pluris, consistente in una condotta, attiva od omissiva, condizionata dalla criminalità anche se subita, riscontrata dall’amministrazione competente con discrezionalità ampia, ma non disancorata da situazioni di fatto suffragate da obbiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusione, così da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della comunità locale il permanere alla sua guida degli organi elettivi»11. Inoltre, in presenza di un fenomeno di criminalità organizzata diffuso nel territorio, gli elementi posti a conferma di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, poiché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l’adozione della misura dello scioglimento12.
3.2. Il procedimento. Il Prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, di norma promuovendo l’accesso presso l’ente. In tal caso il Prefetto nomina una commissione d’indagine, composta da tre funzionari della P.A., attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell’interno. Entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una volta per un ulteriore periodo massimo di tre mesi, la commissione termina gli accertamenti e rassegna al Prefetto le proprie conclusioni. Entro quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni, ovvero quando abbia comunque acquisito gli elementi in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, il Prefetto, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza integrato con la partecipazione del Procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell’Interno una relazione nella quale si dà conto dell’eventuale sussistenza di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Nella relazione sono, altresì, indicati agli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. Nel caso in cui sia pendente un procedimento penale per i fatti oggetto dell’accertamento o per eventi connessi, il Prefetto può richiedere preventivamente informazioni al Procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all’articolo 329 del codice
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C. Stato, VI, 13 maggio 2010, n. 2957 Corte Cost., 19 marzo 1993, n. 103; C. Stato, VI, 10 marzo 2011, n. 1547. 11 C. Stato, VI, 24 aprile 2009, n. 2615; 6 aprile 2005, n. 1573. 12 Vedi C. Stato, IV, 6 aprile 2005, n. 1573; 4 febbraio 2003, n. 562; V, 22 marzo 1998, n. 319; 3 febbraio 2000, n. 585. 10
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di procedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento. Lo scioglimento del Consiglio Comunale è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione prefettizia, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento. Lo scioglimento del consiglio comunale comporta la cessazione dalla carica di Consigliere, di Sindaco, di componente della giunta e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti. Lo scioglimento delle amministrazioni locali in relazione al fenomeno delle infiltrazioni mafiose, introdotto nel ns ordinamento nel 1991 (D.L. n. 164 del 1991), in uno dei momenti più difficili della lotta dello Stato contro la minaccia mafiosa, ed oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni, è ora compiutamente disciplinato negli articoli da 143 a 146 del testo unico degli enti locali di cui al D.lgs. n. 267 del 2000. Siamo in presenza di una misura che non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo di carattere straordinario, in quanto ha come diretti destinatari gli organi elettivi nel loro complesso, e non il singolo amministratore, come disciplinato dall’art. 142, che prevede la rimozione in caso di «atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico»; e quindi incide in maniera rilevante sull’autonomia degli enti locali; anche sotto questo profilo, la legislazione è stata ritenuta conforme al dettato costituzionale dalla Corte Costituzionale proprio in ragione dell’esistenza di elementi attendibili sulle collusioni, anche indirette, degli organi elettivi con la criminalità organizzata; lo scioglimento di tali organi può considerarsi l’extrema ratio dell’ordinamento per salvaguardare la funzionalità dell’amministrazione pubblica13 (sentenza n. 103 del 1993). Vedi al riguardo anche le considerazioni con cui il Consiglio di Stato ha ritenuto manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale della legge. Attraverso lo scioglimento degli organi elettivi si vuole interrompere un rapporto di connivenza ovvero di soggezione dell’amministrazione locale con i clan mafiosi, in grado di condizionarne le scelte attraverso il ricorso al metodo corruttivo ovvero tramite pressioni e atti intimidatori. Nuove elezioni e incandidabilità temporanea. Il decreto di scioglimento, con validità dai 12 ai 18 mesi (prorogabili a 24 mesi) determina la cessazione dalla carica di tutti i titolari di cariche elettive nonchè la risoluzione di tutti gli incarichi ai dirigenti e consulenti nominati dagli organi sciolti (salvo diversa scelta del commissario straordinario). Per le “prime elezioni” che si tengono dopo lo scioglimento nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato, non sono candidabili gli amministratori che “hanno dato causa” allo scioglimento stesso, previa tempestiva dichiarazione del tribunale civile, cui il Ministro dell’Interno trasmette la proposta di scioglimento: la disposizione è volta ad evitare che, grazie al successivo turno elettorale, i soggetti responsabili dello scioglimento possano ricoprire nuovamente i medesimi (o simili) ruoli amministrativi.
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Dunque, i Consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno: - quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico; - quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause: a) mancata elezione del sindaco, del presidente dell’amministrazione provinciale e della giunta entro sessanta giorni dalla proclamazione degli eletti o dalla vacanza comunque verificatasi o, in caso di dimissioni, dalla data di presentazione delle stesse; b) dimissioni o decadenza di almeno la metà dei consiglieri; c) quando non sia approvato nei termini il bilancio. Nell’ipotesi di cui alla lettera c) del comma 1, trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia stato predisposto dalla giunta il relativo schema, l’organo regionale di controllo nomina un commissario affinché lo predisponga d’ufficio per sottoporlo al consiglio. In tal caso e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, l’organo regionale di controllo assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al Prefetto che inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio. Con il decreto di scioglimento si provvede alla nomina di un Commissario, che esercita le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso. Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve avvenire entro novanta giorni dalla pubblicazione del relativo decreto. Tale termine può essere prorogato per non più di novanta giorni al solo fine di far coincidere le elezioni con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge. I consiglieri cessati dalla carica per effetto dello scioglimento continuano ad esercitare, fino alla nomina dei successori, gli incarichi esterni loro eventualmente attribuiti. Al decreto di scioglimento è allegata la relazione del Ministro contenente i motivi del provvedimento; dell’adozione del decreto di scioglimento è data immediata comunicazione al Parlamento. Il decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Iniziata la procedura di cui ai commi precedenti ed in attesa del decreto di scioglimento, il prefetto, per motivi di grave e urgente necessità, può sospendere, per un periodo comunque non superiore a novanta giorni, i consigli comunali e provinciali e nominare un commissario per la provvisoria amministrazione dell’ente. In tal caso, i termini di cui al comma 4 decorrono dalla data del provvedimento di sospensione.”. Infine, nel Testo Unico delle leggi sull’Ordinamento degli Enti locali, D.Lgs. n. 267 del 18.8.2000, inquadrandole organicamente nella parte dedicata al “Controllo sugli organi”, artt. 143 e seguenti, Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti, che riprendendo la previsione di cui all’articolo 15-bis della Legge 19 marzo 1990, n. 55, prevede: «I. Fuori dai casi previsti dall’articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da com-
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promettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché’ il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della pubblica sicurezza ... omissis». La relazione prefettizia (comma 2), nel caso di riscontro di elementi che integrino gli estremi dello scioglimento, collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, come elencati dal comma 1 dell’art. 143 T.U., è seguita dall’emanazione, da parte del Presidente del decreto che dispone lo scioglimento dell’Ente. Il suddetto decreto viene trasmesso contestualmente alla sua emissione alle Camere e conserva i suoi effetti (comma 10) «per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali […]». Il comma 7 del citato articolo, «Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5, il Ministro dell’Interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, emana comunque un decreto di conclusione del 6 procedimento in cui dà conto degli esiti dell’attività di accertamento. Le modalità di pubblicazione dei provvedimenti emessi in caso di insussistenza dei presupposti per la proposta di scioglimento sono disciplinate dal Ministro dell’Interno con proprio decreto», pone un preciso limite all’esercizio del potere statale di controllo sugli organi elettivi dell’ente locale, non solo attraverso la fissazione di una rigida tempistica per l’emanazione del decreto presidenziale di scioglimento, ma anche fissando un termine finale entro il quale dar conto delle risultanze negative dell’attività di accertamento svolta presso l’amministrazione comunale interessata. In merito all’attività di contenzioso e dei principi giurisprudenziali pronunciati, riguardo alla legittimità dei decreti di scioglimento adottati, si evidenzia che nella totalità dei casi le pronunce sono risultate favorevoli all’Amministrazione, con conseguente conferma dei provvedimenti impugnati. L’articolo 100 della Legge n. 161 del 17 ottobre 2017, Obbligo di acquisizione della documentazione antimafia nel quinquennio successivo allo scioglimento ai sensi dell’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 del nuovo codice antimafia, estende il controllo attraverso un rigoroso monitoraggio, disponendo che lo stessa debba acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia precedentemente alla stipulazione, all’approvazione o all’autorizzazione di qualsiasi contratto o subcontratto, ovvero precedentemente al rilascio di qualsiasi concessione o erogazione indicati nell’art. 67 indipendentemente dal valore economico degli stessi. Come perspicuamente osservato, la previsione in esame evidenzia come i controlli eseguiti dal prefetto siano espressione, mai come in questo caso, di un’esigenza che trascende le stesse motivazioni di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico e che attinge, piuttosto, l’obiettivo di preservare il corretto funzionamento delle amministrazioni pubbliche locali. Scopo della normativa è la volontà dello Stato di eliminare il legame tra un ente locale e l’organizzazione criminale, e se si parte dal presupposto che l’art. 100 ha come base di partenza proprio un ente locale che è stato oggetto di interventi di natura politica amministrativa, da cui si presume che trascorsi 5 anni dallo scioglimento l’ente si stato di fatto liberato dal legame. A tal fine sembrerebbe opportuno che, essendo il procedimento amministrativo iniziato con una proposta dell’Autorità statale locale, il Prefetto, a cui segue il decreto del Presidente
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della Repubblica, l’elaborazione di una successiva relazione prefettizia che fotografi la nuova situazione, libera da ogni infiltrazione. Quindi, la norma non si propone di reprimere condotte criminose, in quanto non collegata a modelli penalistici, ma tutela il diritto della collettività allo svolgimento democratico della vita amministrativa, garantendo il pieno dispiegamento dell’autonomia dell’Ente locale. Se l’intervento sostitutivo da essa previsto è indubbiamente “sanzionatorio”, la sua “ratio” è caratterizzata da aspetti di prevenzione sociale a difesa delle Comunità locali e, pertanto, essa è correttamente inserita nell’alveo strutturale del Testo Unico degli Enti locali. Le recenti modifiche costituzionali non contrastano con l’impianto della legge, essendo stata riservata, in maniera esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h, allo Stato la materia della sicurezza e dell’ordine pubblico; né l’obbligo, sancito dal novellato art. 120 della Costituzione, di esercitare il potere sostitutivo nei confronti degli Enti locali, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, induce un’attenuazione della sua efficacia. L’esercizio dell’intervento sostitutivo per le ipotesi di infiltrazioni mafiose continua, infatti, ad essere ammesso, poiché le infiltrazioni mafiose rappresentano situazioni di tale gravità da costituire una ferita non tollerabile alla libera determinazione degli organi elettivi, al buon andamento ed alla trasparenza dell’azione amministrativa: valori questi che appartengono alla collettività e, come tali, devono essere tutelati al massimo livello di governo, e cioè a quello statale. L’assolvimento puntuale e rigoroso della funzione di pubblica sicurezza che lo Stato esercita in tale occasione è condizione insopprimibile per preservare il sistema democratico, coincidendo, nella sostanza, proprio con l’interesse delle Comunità locali, sia nella loro prospettiva di sviluppo economico e sociale, che nella realizzazione dei diritti e delle libertà civili dei propri cittadini, evidentemente compromessi dall’aggressione della criminalità mafiosa. Proprio il rispetto, dunque, del principio di leale collaborazione, inteso nel suo senso più pieno di «dovere di controllo sull’attività e non sui singoli atti» da esercitare nei confronti degli enti locali, impone, quando ricorrano le condizioni richieste dall’art. 143 del TUEL, l’intervento dello Stato al fine di recuperare e ripristinare la legalità violata. Ciò premesso, è quindi necessario evidenziare i presupposti giuridici che costituiscono i requisiti legittimanti la richiesta di scioglimento sanciti dalla legge nell’art. 143 del TUEL e fatti oggetto di una chiara analisi interpretativa da parte della Corte Costituzionale nella fondamentale sentenza 10 19 marzo del 1993 n. 103. La Corte Costituzionale precisa correttamente che la norma in esame è formulata in modo da assicurare il rispetto dei principi (di ragionevolezza ed imparzialità) che si assumono violati, e contiene in sé tutti gli elementi idonei a garantire obiettività e coerenza nell’esercizio del potere straordinario di scioglimento degli organi elettivi conferito all’autorità amministrativa. L’art 143 del TUEL esige, perciò, una stringente consequenzialità tra l’emersione, da un lato, di una delle due situazioni suddette, “collegamenti” o “forme di condizionamento”, e, dall’altro, di una delle due evenienze, l’una in atto, la compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo, nonché del regolare funzionamento dei servizi; l’altra conseguente ad una valutazione di pericolosità, espressa dalla disposizione impugnata con la formula: «tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica». La Corte ha ritenuto infine palesemente infondate le questioni di costituzionalità dell’art. 143, comma 11, che non ha carattere sanzionatorio ma cautelare e si configura come misura interdittiva temporanea volta a «rimediare al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite e, in tal modo, potenzialmente perpetuare l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali» ed «evitare il ricrearsi delle situazioni a cui la misura dissolutoria ha inteso
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ovviare, salvaguardando beni primari della collettività nazionale» (vedi più diffusamente la sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 1747 del 2015 e, di recente, la sentenza della prima sezione n. 7316 del 2016). La gestione straordinaria. Con il decreto di scioglimento è nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente, con il supporto del Ministero dell’Interno (art. 144), affidando così ad un organo composto da persone estranee all’ambiente inquinato e dotate di comprovata professionalità e rettitudine la gestione dell’ Amministrazione in vista della regolare ripresa del funzionamento dell’Ente; la commissione dovrà predisporre un piano di interventi prioritari e procedere ad una verifica puntuale di appalti e concessioni finalizzate alla revoca delle delibere già adottate o dei contratti in essere, nel caso in cui siano accertate infiltrazioni di stampo mafioso (art. 145). Su tali aspetti leggi anche la scheda sulla giurisprudenza di Tar e Consiglio di Stato). Il prefetto può disporre l’assegnazione temporanea di personale amministrativo e tecnico. Sono dettate norme speciali per consentire agevolare il risanamento dell’ente e la sua stabilità finanziaria (vedi l’art. 145-bis e le disposizioni contenute nella legge finanziaria per il 2007 e nella legge di stabilità 2011). Disposizioni specifiche per gli enti commissariati sono dettate dall’art. 6 del decreto legge n. 78 del 2015 (convertito nella Legge n. 125 del 2015) con riguardo, da un lato, ad anticipazioni di liquidità che permettano a tali enti la liquidità necessaria e, dall’altro all’assunzione di alcune unità di personale a tempo determinato (uffici alle dirette dipendenze degli organi di direzione politica, direttori generali, dirigenti). A tali enti inoltre non si applica la disposizione che proibisce alle amministrazioni pubbliche in forte ritardo nei pagamenti di effettuare assunzioni di personale). La copertura dei relativi oneri è posta a carico del bilancio del comune interessato (leggi anche questa scheda). Obblighi ulteriori. Vanno ricordate anche le disposizioni previste dal codice antimafia (D.lgs. n. 159 del 2011), in base alle quali l’ente locale sciolto per infiltrazioni della criminalità organizzata deve acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia in occasione di qualsiasi contratto, concessione o erogazione di cui all’art. 67 indipendentemente dal valore economico degli stessi (art. 100). Inoltre, l’ente locale può decidere di avvalersi della stazione unica appaltante per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di competenza del medesimo ente locale (art. 101). Proposte di revisione della normativa. L’esperienza dei primi anni di attuazione ha evidenziato l’opportunità di modificare alcuni aspetti della legislazione vigente. Proposte a tale riguardo sono contenute in particolare nel Rapporto per una moderna politica antimafia a cura della Presidenza del consiglio dei ministri, sopra citato, con riferimento soprattutto ai seguenti profili: - ulteriore estensione della pubblicazione degli atti conclusivi dei procedimenti di accertamento; - maggiore specializzazione del personale chiamato a svolgere la funzione di Commissario straordinario, anche attraverso la costituzione di un apposito Albo; - possibilità di intervento sul personale degli enti sottoposti a procedimento di scioglimento (sia in termini di licenziamento/trasferimento che di nuove assunzioni) durante il periodo di commissariamento; - nuove regole per la gestione degli appalti con ricorso obbligatorio alla stazione unica appaltante; - estensione del periodo temporale della incandidabilità anche al fine di renderlo omogeneo con quanto previsto dalla c.d. Legge Severino (D.lgs. n. 235 del 2012); - allargamento dei controlli per infiltrazione mafiosa alle società partecipate ed ai consorzi pubblici anche a partecipazione privata.
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Si tratta senz’altro di una norma “speciale”, che prevede misure di carattere straordinario per situazioni straordinarie, quali sono quelle nelle quali si delineano ipotesi di collusione, anche indiretta, degli organi elettivi con la criminalità organizzata; collusioni tali da rendere pregiudizievole, per i legittimi interessi della Comunità locale, il permanere di quegli organi dimostratisi inidonei a gestire correttamente la cosa pubblica. Intervento sanzionatorio, la cui finalità è l’eliminazione di quelle situazioni in cui, a prescindere anche da ogni accertamento circa il grado di responsabilità individuale dei componenti del consesso sciolto, il governo locale viene assoggettato ad anomale interferenze che ne alterano la capacità di conformare la propria azione alla legalità. Il successivo D.lgs. n. 529 del 20.12.1993, convertito in Legge n. 108 dell’11.2.1994, modifica ed integra l’originaria previsione normativa, nel tentativo di colmare le lacune di una legislazione che, a fronte di provvedimenti straordinari di eccezionale gravità, non aveva ancora previsto i necessari corrispondenti strumenti di intervento. L’inserimento delle predette disposizioni, riportate pressoché integralmente, nel Testo Unico delle leggi sull’Ordinamento degli Enti locali (D.lgs. n. 267 del 18.8.2000), ne elimina, formalmente, il carattere di “specialità”, inquadrandole organicamente nella parte dedicata al “Controllo sugli organi” (artt. 143 e seguenti del TUEL). Tutto ciò non diminuisce l’efficacia della norma, che si conferma tra quelle a tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico nella sua più ampia accezione, sancita dall’art. 159 del D.lgs. n. 112 del 31.3.1998 che, nel fare riferimento «alla sicurezza delle Istituzioni, dei cittadini e dei loro beni», lo definisce quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari su cui si regge l’ordinata civile convivenza della comunità nazionale». Se il concetto di ordine pubblico è ancorato a canoni oggettivi, la sua lesione è causa di provvedimenti straordinari, giustificati dal perseguimento di un obiettivo fondamentale dell’azione dello Stato: garantire la sussistenza delle condizioni di pacifica convivenza civile. La norma non si propone di reprimere condotte criminose, in quanto non collegata a modelli penalistici, ma tutela il diritto della collettività allo svolgimento democratico della vita amministrativa, garantendo il pieno dispiegamento dell’autonomia dell’Ente locale. Se l’intervento sostitutivo da essa previsto è indubbiamente “sanzionatorio”, la sua “ratio” è caratterizzata da aspetti di prevenzione sociale a difesa delle Comunità locali e, pertanto, essa è correttamente inserita nell’alveo strutturale del Testo Unico degli Enti locali. Le recenti modifiche costituzionali non contrastano con l’impianto della legge, essendo stata riservata, in maniera esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h, allo Stato la materia della sicurezza e dell’ordine pubblico; né l’obbligo, sancito dal novellato art. 120 della Costituzione, di esercitare il potere sostitutivo nei confronti degli Enti locali, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, induce un’attenuazione della sua efficacia. L’esercizio dell’intervento sostitutivo per le ipotesi di infiltrazioni mafiose continua, infatti, ad essere ammesso, poiché le infiltrazioni mafiose rappresentano situazioni di tale gravità da costituire una ferita non tollerabile alla libera determinazione degli organi elettivi, al buon andamento ed alla trasparenza dell’azione amministrativa: valori questi che appartengono alla collettività e, come tali, devono essere tutelati al massimo livello di governo, e cioè a quello statale.
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Lotta alla corruzione: tra misure preventive e strategie repressive Sommario: 1. Norme anticorruzione. – 2. Prevenzione alla corruzione. – 3. Strategie di contrasto alla corruzione. – 4. Inasprimento delle pene. – 5. Traffico di influenze illecite e corruzione internazionale. – 6. Il Decreto 231/2001 responsabilità degli enti. – 7. Conclusioni. Abstract The article aims to analyse the evolution of the anti-corruption strategies adopted by the legislator over the last decade, with particular emphasis on the recent reform n. 3/2019. First of all, it is worth highlighting the passage from a preventive approach by the legislator, aimed at creating a hostile environment for corruption, to a repressive one, of which the “Bribe destroyer” 2019 reform constitutes the point of arrival. Then, the main innovations introduced by the “Bribe destroyer” will be the object of a critical analysis, such as the new investigative and rewarding instruments, the soaring of the interdictory penalties, the extension of the regime ex Article 4 bis of the penitentiary system to the perpetrators of crimes against the public administration, the amendments to the the financial penalty, the new criteria for the admissibility, the revision of the regime of the prescription, the reformulation of the trading in influence and the innovations about the responsibility of the institutions. L’articolo si prefigge di analizzare l’evoluzione delle strategie di lotta alla corruzione adottate dal legislatore nell’ultimo decennio, ponendo l’accento in particolare sulla recente riforma n. 3/2019. Si evidenzierà il passaggio da un approccio preventivo del legislatore, volto a creare un ambiente ostile alla corruzione, ad uno repressivo, culminato nella riforma del 2019. Saranno oggetto di un’analisi critica le principali novità introdotte dalla “Spazzacorrotti”, quali i nuovi strumenti investigativi e premiali, l’ispessimento delle pene accessorie interdittive, l’estensione del regime ex art 4 bis dell’ord. pen. ai rei di delitti contro la p.a., le modifiche all’istituto della sanzione pecuniaria, i nuovi criteri per la procedibilità, la revisione del regime della prescrizione, la riformulazione del delitto di traffico di influenze illecite e le novità circa la responsabilità degli enti.
1. Norme anticorruzione. In Italia, nell’ultimo decennio, il legislatore, attraverso significativi interventi novellistici, ha elaborato nuove strategie di lotta alla corruzione, tanto in chiave preventiva, quanto repressiva. La legge 3/2019 rappresenta il punto di arrivo di un iter normativo intrapreso, che ha definitivamente scandito l’adesione della lotta alla corruzione al “modello emergenziale” di gestione dei problemi politici e sociali. Tale trend legislativo ha avuto inizio con la legge 190/2012, c.d. “Severino”, che ha affiancato all’azione repressiva penale, strumento tradizionale dell’azione pubblica nel contrasto alla corruzione, la prevenzione amministrativa. Il nuovo modello preventivo, retto dal diritto amministrativo, si è arricchito di nuovi capitoli, quali, ad esempio, la trasparenza, i conflitti di interesse, l’incompatibilità di incarichi ed il legislatore non ha mancato di innovare, al contempo, vaste aree del diritto penale della Pubblica Amministrazione inserendo nuove e più ampie fattispecie criminose con pene maggiormente afflittive ed infrangendo il tabù, sino ad allora inviolabile, dell’impunità del privato “indotto” ad un pagamento indebito dall’abuso del pubblico agente.
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Alla legge “Severino” ha fatto seguito la novella del 2015 che ha razionalizzato la normativa riscritta dalla riforma precedente ed ha introdotto novità al corpus degli strumenti anticorruzione, con la previsione nell’ambito codicistico della riparazione pecuniaria (art. 322-quater) e dell’attenuante della collaborazione processuale (art.323 bis comma 2). Va sottolineato che gli interventi normativi sopra citati sono solo gli ultimi di un ciclo di politiche anticorruzione perché, nell’ultimo ventennio, il legislatore è intervenuto più volte sul tema, ad esempio, criminalizzando nel 2000 la corruzione internazionale, ed estendendo, con la legge 296/2006, prima, e la 161/2017, poi, le ipotesi speciali di ablazione patrimoniale anche ai principali reati contro la Pubblica Amministrazione. L’attività legislativa mostra come la strategia di contrasto al fenomeno corruttivo abbia assunto i caratteri di una ricerca incessante di mezzi volti a sradicare un vizio insanabile che trova la sua “sublimazione” nella legge 3/2019, cosiddetta “Spazzacorrotti”, che ha portato ad un inasprimento degli strumenti penali ed amministrativi nella lotta alla corruzione. Per quanto concerne l’aspetto esterno, la spinta proviene dal fenomeno di europeizzazione e internazionalizzazione del diritto. In particolare, dalla metà degli anni novanta molti strumenti sono stati adottati in seno ai Consigli internazionali di cui l’Italia è parte (UE, OCSE, ONU, Consiglio d’Europa). Ciò ha comportato un flusso di report da parte di organismi internazionali volti a valutare la corretta implementazione degli accordi. I Paesi aderenti si sono così trovati costretti a adattare i propri ordinamenti interni alle pressioni provenienti dall’esterno per sottrarsi al giudizio della comunità internazionale e per convincere l’opinione pubblica interna del proprio intento virtuoso. Il fattore endogeno, invece, attiene alla forte preoccupazione destata dalla diffusione della corruzione in tutti i campi politico-sociali. Corruzione intesa più come corruption in senso lato, la maladministration cui fa riferimento l’ANAC, che come scambio corruttivo in senso stretto, bribery. È indubbio che nel corso degli ultimi venti anni la corruzione in Italia è passata dall’essere un fenomeno episodico ad assumere una dimensione sistemica. Oggigiorno, la corruzione ha assunto un carattere plurisoggettivo e la sua diffusione ha condotto alla formazione di vere e proprie fazioni politico-affaristiche, le c.d. “nuove mafie”. E, laddove non si arriva alla formazione di tali fazioni, sempre più spesso, nel rapporto concorsuale tra corruttore e corrotto si inseriscono nuove figure intermedie (ad esempio il mediatore, o il faccendiere). A ciò va aggiunta la forte esposizione mediatica delle vicende giudiziarie circa i reati di corruzione che genera e diffonde la sua percezione come un cancro inestirpabile dal tessuto economico, politico e sociale del paese. All’idea del fenomeno straripante consegue una scarsa fiducia verso le istituzioni e la politica. La percezione finale è dunque quella di una piaga sociale incontenibile, gonfiata da sempre nuovi scandali che occupano la scena mediatica ed il dibattito con una frenetica produzione normativa per far fronte alla avvertita emergenza sociale.
2. Prevenzione alla corruzione. Il fenomeno della corruzione, intesa come manifestazione criminale emergenziale, ha spinto dapprima il legislatore a puntare sulla sua prevenzione per porre un significativo argine (legge Severino). Il legislatore si è poi concentrato su un approccio più repressivo, infatti, è stata prevista la nuova fattispecie di cui all’art. 346 bis c.p. del traffico di influenze illecite, ulteriormente dilatato dall’ultima novella del 2019; si è assistito, poi, a un aumento del compasso edittale in materia: la pena per il reato di corruzione minore (art.318 c.p.) oggi va dai 3 agli 8 anni di
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reclusione, e la pena per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.) va dai 6 ai 10 anni. Le cause di questa nuova ondata repressiva possono essere ricondotte a diversi motivi politico-criminali. Innanzitutto, la frammentazione delle fattispecie penali, introdotta dalla legge “Severino”, in un minisistema di incriminazioni (concussione, induzione indebita e corruzione, quest’ultima a sua volta divisa in due sottospecie, corruzione per l’esercizio delle funzioni e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, oltre alla variante della corruzione in atti giudiziari). A questa si affiancano altre due ragioni, quali la volontà del legislatore di rendere più difficile la sospensione condizionale della pena e l’accesso a misure alternative alla detenzione, da una parte, e il già citato convincimento secondo cui il semplice inasprimento della minaccia edittale e l’aumento delle fattispecie criminose fungano da deterrente, dall’altra. Occorre notare come questa tesi sia stata fortemente messa in discussione dalla letteratura criminologica, secondo la quale ciò che rileva è la percezione psicologica della pena. Se a ciò si aggiunge, poi, che la credibilità dell’arsenale sanzionatorio è stata ulteriormente erosa dalla prescrizione, dall’indulgenzialismo verso certi autori e da altri strumenti affini, ci si ritrova davanti ad un diritto penale tenace e caparbio in astratto, ma velleitario nella prassi.
3. Strategie di contrasto alla criminalità organizzata e alla corruzione. Il fenomeno corruttivo negli ultimi anni è stato oggetto di contrasto normativo ed ha infatti interessato le misure di prevenzione patrimoniale ed istituti tesi a neutralizzare le imprese coinvolte in attività criminali senza però comprometterne la continuità aziendale o i rapporti contrattuali di interesse pubblico, quali il commissariamento, l’amministrazione e il controllo giudiziario. Con la legge “Spazzacorrotti”, in particolare, sul piano dell’accertamento investigativo, il legislatore del 2019, mutuando dalle strategie introdotte per la lotta alla mafia, al traffico di stupefacenti e, più in generale, al crimine organizzato, ha previsto l’autorizzazione degli agenti sotto copertura e la possibilità di usare captatori informatici. Sul piano del diritto penale sostanziale, è stato introdotto il meccanismo premiale in caso di autodenuncia e collaborazione. Sul piano penitenziario, si è assistito ad una estensione del regime carcerario ex art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario ai rei di patti corruttivi. Le misure in questione sono tutte volte a elevare il rischio di condanna per corruzione e la pena per reati contro la Pubblica Amministrazione. Tuttavia, non possono essere taciuti i rischi annessi, ossia l’irragionevole overdeterrence, l’erosione delle garanzie penalistiche e l’eccessiva manipolazione delle norme. Entrambe le innovazioni seguono un percorso avviato dal legislatore già con la legge 179/2017. Le operazioni sotto copertura sono usate da tempo nel contrasto alla criminalità organizzata, attualmente regolate dall’articolo 9 della legge 146/2006 ed hanno visto ampliare il loro spazio applicativo con la “Spazzacorrotti”. In particolare, sono state inserite tredici nuove fattispecie, che vanno dai reati di corruzione attiva e passiva, a quelli di corruzione domestica internazionale, incluse le condotte istigatorie, per poi passare alla concussione, l’induzione indebita, il traffico di influenze illecite, la turbata libertà degli incanti e del procedimento di scelta del contraente da parte della Pubblica Amministrazione. Il legislatore, nel disegnare questa figura, ai fini di contrasto alla corruzione, ha dovuto rispettare la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che, nell’interpretazione offerta dalla Corte Edu, è stata giudicata incompatibile con forme di istigazione per acquisire la prova della colpevolezza. La giurisprudenza
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della Corte separa, difatti, la figura dell’agente provocatore da quella dell’agente sotto copertura, ritenendo quest’ultima legittima solo se e quando rimanga nei confini dell’investigazione passiva, senza esercitare influenza causale. Il parametro è stato recepito dalle Corti nazionali che hanno ribadito come il fine unico dovrà essere solo quello di svelare l’intento criminoso preesistente. Permane, ad ogni modo, la difficoltà nel distinguere le due figure. Il legislatore nel 2019 si è adoperato per contenere i rischi di un uso deviato dell’agente sotto copertura stabilendo che il medesimo, qualora violi i limiti stabiliti all’art. 9, non può fruire della nuova causa di non punibilità. Inoltre, la nuova formulazione dell’articolo 9 ha abilitato l’organo di polizia giudiziaria a tenere condotte riguardose della compartecipazione passiva. Restano, comunque, una serie di problemi applicativi. In primis, vi è una certa diffidenza tra le forze dell’ordine verso strumenti investigativi non convenzionali e poco garanti dell’esonero da responsabilità. A ciò si aggiunga la complessità dell’azione dell’agente nell’infiltrarsi in casi di grand corruption. La causa di non punibilità riprende una proposta avanzata dal Progetto di Cernobbio del 1994; con essa si vuole incoraggiare la resipiscenza del correo e riconoscere l’impunità al delatore collaborante. Un primo passo fu fatto dal legislatore nel 2015, laddove si propese per una riduzione della pena da un terzo a due terzi per il collaboratore. Nella prassi, però, la modifica si rivelò poco efficace, ciò ha così permesso il ritorno in auge della ipotesi di non punibilità. Il nuovo articolo 323 ter c.p. dichiara non punibile tanto l’agente privato che quello pubblico che si sia macchiato di tali delitti corruttivi, che si denunci volontariamente e rispetti le condizioni fissate dalla disposizione. Il caso particolare della premialità opera per ogni fattispecie di corruzione concorsuale, e si estende anche alle fattispecie semplicemente tentate. Mentre non sono incluse nel catalogo in esame le ipotesi di istigazione alla corruzione, concussione e peculato, proprio perché si tratta di una condotta unilaterale. Resta poco chiaro il perché non sia stato incluso nel catalogo l’ipotesi di traffico di influenze illecite. Infine, il legislatore ha sancito l’irrilevanza del soggetto che prenda l’iniziativa di collaborare con la giustizia. Aspetti fondamentali della novella per quanto concerne la fattispecie della non punibilità sono date dalle condizioni di operatività. In primo luogo, è richiesto che la denuncia sia volontaria e che avvenga prima ancora che il soggetto venga a conoscenza di un’indagine a suo carico; in secondo luogo, la denuncia deve avvenire entro quattro mesi dalla commissione dei fatti oggetto di denuncia. Il denunciante deve fornire entro quattro mesi indicazioni utili per assicurare prove del reato e l’individuazione dei correi. Onde evitare il rischio di abusi dell’istituto dell’impunità e, allo stesso tempo, che il soggetto denunciante possa conservare il vantaggio conseguito, è fatto obbligo al denunciante di mettere a disposizione l’utilità ottenuta, o una somma equivalente se impossibilitato, o ancora, di indicare elementi utili per individuarne il beneficiario. A tali condizioni, vengono poi aggiunte due ulteriori preclusioni, la prima sancisce la non operatività della non punibilità se la denuncia è preordinata al reato, la seconda stabilisce l’impossibilità per l’agente sotto copertura di aggirare i vincoli imposti dalla disposizione ricorrendo come espediente all’autodenuncia. Occorre fare alcune precisazioni circa questo regime. Innanzitutto, non punibilità non vuol dire non colpevolezza; tale regime, oltre ad essere suscettibile di applicazione retroattiva, opera come causa di esclusione della sola punibilità individuale, non essendo estendibile all’ente collettivo. Il giudizio circa la sua corretta applicabilità fa sorgere alcuni dubbi. Il primo concerne il rischio di abusi a detrimento dei diritti e delle garanzie del soggetto denunciato. Un altro problema, poi, riguarda il possibile uso di tale regime come strumento per colpire avversari. Si teme che l’istituto in esame, introdotto per scoraggiare il mercimonio, possa destare un clima di
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insicurezza tale tra i correi, da poter addirittura arrivare a fomentare la nascita di reti corruttive sistemiche e relazioni criminali stabili. Infine, seri dubbi permangono circa la sua capacità di portare alla luce fenomeni corruttivi diffusi. Difatti, oltre ad essere poco plausibile un’autodenuncia prima ancora di venire a conoscenza di indagini a proprio carico, appare inverosimile che un individuo possa maturare una volontà di resipiscenza in quattro mesi.
4. Inasprimento delle pene. Altro pilastro su cui si regge la strategia delineata dalla “Spazzacorrotti” è l’inasprimento delle pene, in particolar modo di quelle accessorie individuali. La legge del 2019 ha ampliato il raggio applicativo dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 317 bis c.p.). L’estensione soggettiva abbraccia anche gli incaricati di pubblico servizio e i privati corruttori. Il novero delle fattispecie è stato integrato con i delitti di corruzione per l’esercizio delle funzioni, induzione indebita a dare o promettere utilità (solo se pubblico agente), istigazione alla corruzione, corruzione internazionale e traffico di influenze illecite. Senza dubbio, la modifica più importante è però l’aumento esponenziale della durata delle pene accessorie. I casi in cui le due forme di incapacità giuridica operano per un periodo indefinito sono stati estesi a tutte le condanne di reclusione superiori a due anni, purché non ricorra l’attenuante della particolare tenuità del fatto; mentre, per le condanne inferiori a due anni di reclusione, la durata della privazione è stata estesa da un minino di 5 a un massimo di 7 anni. Inoltre, sia in caso di sospensione condizionale della pena che di applicazione della pena su richiesta delle parti, la sorte della pena accessoria viene affidata totalmente all’apprezzamento del giudice. La legge però non detta alcun criterio cui quest’ultimo debba attenersi. La novella del 2019 non ha risparmiato neanche gli istituti dell’affidamento in prova al servizio sociale e della riabilitazione. Nel primo caso, la modifica sancisce che l’esito positivo della misura estingue gli effetti penali della condanna, ad esclusione delle pene accessorie perpetue. Nel caso della riabilitazione si segue lo stesso modus operandi, non producendo effetti soltanto sulle pene accessorie perpetue. Tuttavia, il legislatore ha voluto lasciare uno spiraglio aperto al maturare dell’effetto estintivo, esigendo, però, il trascorrere di ulteriori sette anni dalla riabilitazione, nel corso dei quali si dia prova di buona condotta costante ed effettiva. Emerge, dunque, che la repressione mediante interdizione tende a segnare come indegno il reo che si sia macchiato di gravi reati contro la Pubblica Amministrazione, infrangendo i principi di correttezza e trasparenza. Ad ogni modo, in tale ambito, potrebbero sorgere questioni di costituzionalità per violazione del principio di proporzione e del finalismo rieducativo della pena. L’esigenza della tutela della concorrenza e dei beni fondamentali dell’amministrazione pubblica, sebbene vada tutelata, non può far venir meno valori pure degni di tutela costituzionale. Proprio la finalità rieducativa della pena (art. 27. co.3 Cost.) si erge a caratteristica fondamentale del nostro ordinamento, così come ribadito dalla Consulta sin dagli anni novanta. Un altro intervento del legislatore che mostra l’intento di intimidazione e neutralizzazione del reo in tale settore riguarda l’innesto dei principali reati contro la Pubblica Amministrazione nell’elenco dell’articolo 4 bis comma 1 della legge 354/1975. La norma prevede un regime più gravoso per l’accesso ai benefici penitenziari (misure alternative, permessi premio e lavori all’esterno). L’obiettivo complementare che il legislatore si è posto è di assicurare la misura restrittiva più gravosa anche se sussistono i presupposti per misure alternative cui potrà ricorrersi solo in un secondo momento. Anche in questo caso ci sono delle ricadute gravose, soprattutto per il venir meno della possibilità di fruire della sospensione dell’esecuzione della pena, che
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non può essere disposta per condannati per reati di cui all’articolo 4 bis. L’ardore punitivo che emerge mostra come le ragioni utilitaristiche siano state anteposte ai diritti individuali del condannato. Anche questa modifica normativa potrebbe far sollevare questioni di costituzionalità che attengono a quello che è il profilo più discusso, ossia l’applicabilità di queste nuove regole a fatti pregressi. Tale applicazione retroattiva violerebbe l’articolo 117 della Costituzione integrato dall’articolo 7 della CEDU, nonché gli articoli 25. co.2 della Costituzione e l’articolo 2 c.p. La riparazione pecuniaria (art 322 quarter c.p.) è stata introdotta nel 2015 e riformata nel 2019. Anch’esso si colloca a riprova di un sottosistema volto all’intimidazione e alla promozione di dinamiche collaborative. Tale misura patrimoniale mostrava già nel 2015 una certa carenza di sistematicità per quanto concerne l’aspetto riparatorio. Il problema più rilevante sorge circa i nessi e le differenze tra confisca e riparazione. Da un lato, vi è una sanzione riparatoria che cela, al suo interno, una tensione punitiva, dall’altro, una misura ablatoria, che però perde la sua natura “riequilibratice”. La “Spazzacorrotti” arriva a ribaltare definitivamente gli scopi, estendendo la misura patrimoniale a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio. Sarà così applicabile anche al privato, corruttore o indotto, e ammonterà ad una somma equivalente all’utilità conseguita. La riforma dell’art 322 quarterc.p. alimenta i dubbi già sorti nel 2015 circa la violazione possibile del principio ne bis in idem per l’applicazione congiunta di sanzioni simili ma che vanno sotto diverso nome. Si arriva così a ritenere che in materia di strumenti di ablazione patrimoniale un sistema unico allo stato attuale non esista. Una volta potenziati gli strumenti investigati e rafforzato l’effetto deterrente delle norme, il legislatore nel 2019 ha perseguito l’obiettivo di aumentare le condanne per corruzione o condotte strumentali. I primi interventi sono stati posti in essere al fine di rimuovere gli ostacoli territoriali all’applicazione delle norme penali in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione. La modifica ha riguardato gli artt. 9 e 10 del c.p. e ha mostrato un sensibile ulteriore orientamento verso il principio di giurisdizione universale. Dunque, per i reati contro la Pubblica Amministrazione, anche qualora siano stati commessi all’estero, viene meno la necessità della richiesta del Ministero della Giustizia o dell’istanza/querela della persona offesa. Il secondo campo di intervento concerne la procedibilità a querela. Il legislatore ha stabilito la procedibilità d’ufficio per tutte le ipotesi di corruzione tra privati e relativa istigazione. Tale misura ha difatti reso la leale e libera concorrenza oggetto delle disposizioni in esame. Infine, la novità certamente più discussa attiene al nuovo regime della prescrizione, nel caso di specie agli artt. 158, 159 e 160 del c.p., la cui entrata in vigore è stata rimandata al gennaio del 2020. La modifica più rilevante è quella che introduce un’ulteriore ipotesi di sospensione della prescrizione, cioè, una volta avvenuta la sentenza definitoria di primo grado il reato non potrà più estinguersi per prescrizione. Un’altra novità in materia concerne il regime di prescrizione in caso di reato continuato. Il dies a quo infatti è stato stabilito dal giorno di cessazione della continuazione, riesumando una visione unitaria del reato continuato, sancita inizialmente nel Codice Rocco. Emerge, così, che la recente revisione del regime di prescrizione antepone le ragioni della potestà punitiva dello Stato e delle vittime all’interesse degli imputati ad essere giudicati in tempi definiti, senza correre il rischio di restare imbrigliati per un lasso di tempo indefinito nei meandri del sistema di giustizia penale.
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5. Traffico di influenze illecite e corruzione internazionale. La corruzione internazionale (322 bis c.p.) e il traffico di influenze illecite (346 bis c.p.), fattispecie entrambe derivanti da ordinamenti giuridici sovrannazionali, sono state oggetto di una forte rivisitazione tramite la legge 3/2019. L’adattamento di dette fattispecie ha mostrato come il processo di recepimento di obblighi di penalizzazione sovrannazionale all’interno degli ordinamenti statali sia intrinseco di problematicità. A riguardo si intrecciano due aspetti fondamentali. Innanzitutto, la formulazione di questi delitti non esprime una fattispecie criminosa sufficientemente comprensibile e socialmente condivisa. Inoltre, così come delineata, tale formulazione non sintetizza efficacemente la dannosità sociale delle fattispecie. In secondo luogo, si è andati incontro ad un equivoco rilevante negli ultimi anni, quello di confondere obblighi convenzionali internazionali con semplici raccomandazioni. Il problema sorge in particolar modo quando si analizzano le due fattispecie in esame. Queste, infatti, sono evocate come obblighi internazionali. In realtà, la Convenzione di Merida dell’ONU non sancisce alcun tipo di dovere di penalizzare il traffico di influenze illecite, bensì sollecita a prendere in considerazione l’adozione. Lo stesso vale per la corruzione passiva di pubblici ufficiali stranieri o di organizzazioni internazionali.
6. Il Decreto 231/2001. Il legislatore con la riforma del 2019, infine, si è concentrato anche sulla responsabilità sopraindividuale, regolata dal d.lgs. 231/2001. Sono aumentati i reati-presupposto richiamati dal decreto citato, attraverso l’introduzione della rinnovata fattispecie del traffico di influenze illecite. Le ricadute sulla responsabilità del soggetto collettivo sembrano tuttavia poco lineari, in quanto risulta difficile da comprendere come un ente possa trarre vantaggio da una pura millanteria. Ad ogni modo, le modifiche più rilevanti hanno interessato il sistema sanzionatorio contro gli enti. Anche qui la strategia seguita ha puntato a rafforzare le misure sanzionatorie interdittive. Per condanna per reati contro la Pubblica Amministrazione, se commessi da un soggetto che riveste una posizione di vertice, la durata delle sanzioni è passata da un minimo di 4 anni a un massimo di 7. Tale modifica va a traviare il sistema punitivo dell’ente così come delineato nel 2001, fondato, appunto, sulla prevenzione ex ante e sulla riorganizzazione post delictum. L’apparato sanzionatorio allora preposto non punta a distruggere ricchezza patrimoniale, bensì a riportare l’ente nella legalità, solo in ultima ipotesi, per particolare pericolosità, la norma ammette sanzioni interdittive riservate a imprese recidive o seriamente disorganizzate. Pertanto, l’ultima novella risulta in controtendenza rispetto all’impianto originario.
7. Conclusioni. È bene precisare che la diffusione della corruzione è un problema assurto a fenomeno sistemico che deve essere necessariamente contrastato al fine di creare un ambiente sicuro e lontano da logiche di corruttela, e, soprattutto, che non si lasciano trasportare da semplici percezioni sensazionali, ma si fondano su tutti i dati empirici disponibili. Appare quindi doveroso sostenere tutti gli sforzi compiuti negli ultimi anni volti a favorire la strutturazione di indici di misurazione oggettivi del fenomeno corruttivo. Il percorso intrapreso è quello di un sistema di prevenzione amministrativa della corruzione con adozione di significative misure repressive. Con l’ascesa della corruzione a fenomeno
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emergenziale, ciò che emerge è un sistema di giustizia criminale all’insegna della condanna, della semplificazione probatoria e dell’inasprimento delle reazioni afflittive.
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nazionale
Cass. Pen. Sez. II, 12 aprile 2019, n. 1610 Confisca per equivalente – Reati transnazionali Acclarata la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, non qualificabile “né come pena in senso stretto”, “né come pena accessoria”; ribadita la legittimità della decisione del giudice di applicare la confisca per equivalente, sulla base del disposto dell’art. 11 della Legge n. 146 del 2006. Così la Suprema Corte si è pronunciata in tema di reati transnazionali con la pronuncia 12 aprile 2019, n. 16100.
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Reati transnazionali: la Suprema Corte ribadisce la legittimità della confisca per equivalente Con la Pronuncia del 12 aprile 2019 n. 16100 la Suprema Corte, nello specifico la seconda sezione penale, si è nuovamente pronunciata sulla legittimità della confisca per equivalente ai sensi dell’art. 11 Legge 16 marzo 2006, n. 146, in tema di reati transnazionali. Secondo il Supremo Consesso, infatti, in riferimento ai reati p. e p. dall’art. 3 della Legge 11 marzo 2006, «… qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo. In caso di usura è comunque ordinata la confisca di un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari. In tali casi, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di danaro o individua i beni o le utilità assoggettati a confisca di valore corrispondente al prodotto, al profitto o al prezzo del reato». In effetti, analizzando la pronuncia in questione si evince che la medesima si basa essenzialmente sul modus operandi di un gruppo criminale internazionale che aveva dato vita ad un’articolata rete di raccolta di oro, in Italia, e successivamente, attraverso l’ausilio di complici, trasferiva in altra nazione (Svizzera) dove risiedeva il dominus dell’intero disegno criminale. A fronte di ciò sarebbero stati gestiti ingenti capitali di natura illecita, per un importo superiore ai 173.000.000 di euro. Pertanto, per i reati di ricettazione e commercio abusivo d’oro veniva contestata e riconosciuta l’aggravante della transnazionalità dato che il gruppo criminale era impegnato in attività illecite in più di uno Stato. Questo era quanto desumibile dal provvedimento del Tribunale di Arezzo con il quale il giudice disponeva la confisca per equivalente ai sensi dell’art. 11 della Legge 146 del 2006, dell’ art. 372 c.p., e dell’art. 74 D.lgs. del 10 marzo 2004. A fronte di detto provvedimento i soggetti condannati adivano la Suprema Corte chiedendone l’annullamento. La Cassazione rigetta le richieste di quasi tutti i condannati coinvolti ritenendole in parte non proponibili in sede di legittimità, in parte infondate. Secondo la Corte al caso di specie non è riconducibile quanto previsto dalle Sezioni Unite con la c.d. “Pronuncia Adami” risalente al 2013, e proposta nei ricorsi di tutti gli imputati, in
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quanto la natura di reato transnazionale è stata riconosciuta per i delitti di ricettazione e commercio abusivo d’oro, reati previsti anche dall’ordinamento svizzero, firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite risalente al 2000 e ratificata dallo stato Elvetico nel 2006. I giudici di legittimità asseriscono che deve essere ritenuta legittima la confisca per equivalente disposta con sentenza di patteggiamento, dal momento che il legislatore, nel recepire la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, «ha utilizzato la medesima espressione “sentenza di condanna” adottata dalla Convenzione senza fare riferimento ad uno specifico modello procedimentale» compiendo una «scelta comprensibile alla luce dei diversi ordinamenti dei 189 Stati Parte, in alcuni soltanto dei quali è previsto il patteggiamento della pena». Inoltre, nella decisione la Seconda Sezione della Cassazione evidenzia che in merito a tale vicenda già in precedenza le Sezioni Unite avevano chiarito la natura della sentenza di patteggiamento, affermando che «la sentenza emessa all’esito della procedura di cui agli artt. 444 e segg. c.p.p. poiché è, ai sensi dell’art. 445 comma 1-bis, equiparata “salvo diverse disposizioni di legge a una pronuncia di condanna”, costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell’art. 168, primo comma, n. 1 c.p., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa». Nel recepire la Convenzione, mediante la legge di ratifica, il legislatore nazionale, senza dubbio, ha utilizzato le stesse espressioni, senza avvertire la necessità di una specificazione, quale quella presente nelle norme che prevedono la confisca per equivalente. Quantomeno a livello dottrinario, è bene sottolineare che il sequestro preventivo si caratterizza per il suo spiccato finalismo cautelare, sul presupposto implicito che sia già stata accertata la sussistenza di elementi idonei a suffragare in concreto il fumus commissi delicti. In sostanza, è previsto, dalla norma, che il giudice, anche prima dell’esercizio dell’azione penale e su richiesta del pubblico ministero, disponga con decreto motivato il sequestro delle cose pertinenti al reato, tra cui tutte le cose suscettibili di confisca, ogni volta che la libera disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato oppure agevolare la commissione di altri reati. Ripercorrendo il quadro appena esaminato è possibile affermare in conclusione che la confisca “di valore” rappresenta un provvedimento ablativo disposto su somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto e al profitto del reato, previsto per talune fattispecie criminose allorquando sia intervenuta condanna e sia impossibile identificare fisicamente le cose che ne costituiscono effettivamente il prezzo, il prodotto o il profitto. La confisca per equivalente, pertanto, trova il suo fondamento e il suo unico limite nel profitto derivato dal reato e prescinde dalla pericolosità che in qualsiasi modo possa derivare dalla cosa o dall’uso della stessa. L’ablazione dunque può avere ad oggetto, fino alla concorrenza dell’importo determinato, non solo i beni già individuati nella disponibilità dell’imputato, ma anche quelli che in detta disponibilità entrano dopo il provvedimento di confisca. La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 16100 del 27/02/2019, ha affermato che, in tema di reati transnazionali, è legittima la confisca per equivalente disposta, ai sensi dell’art. 11, Legge 16 marzo 2006, n. 146, con sentenza di patteggiamento, in quanto il legislatore, nel recepire la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, ha utilizzato la medesima espressione “sentenza di condanna” adottata dalla Convenzione senza fare riferimento ad uno specifico modello procedimentale. Inoltre, «Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p., per uno dei delitti previsti dagli artt. da 314 a 320, anche se commessi dai
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soggetti indicati nell’art. 322-bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell’art. c.p.p., per il delitto previsto dall’art. 321, anche se commesso ai sensi dell’art. 322-bis, secondo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell’art. 322-bis, secondo comma. Nei casi di cui ai commi primo e secondo, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato». La natura sanzionatoria della confisca per equivalente fa sì che la stessa sia disposta in via principale nei confronti del soggetto che ha commesso il reato. Tuttavia, secondo quanto previsto dai giudici di legittimità, non deve sussistere un rapporto di necessaria pertinenzialità tra i beni oggetto della misura ablatoria ed il reato, essendo sufficiente che i beni di cui viene disposta la confisca, e preliminarmente il sequestro, corrispondano per valore al prezzo e al profitto del reato a nulla rilevando il fatto che tale profitto sia andato a beneficio di un soggetto diverso dall’autore dell’illecito. Il solo dato letterale non è sufficiente per ritenere che il legislatore abbia inteso escludere il caso di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. dalla sfera di operatività della confisca, prevista nella Convenzione con disposizioni stringenti e rigorose, volte a rafforzare la cooperazione internazionale ai fini della confisca (art. 13) ed a disporre che gli Stati Parte adottassero, «nella più ampia misura possibile nell’ambito dei loro ordinamenti giuridici interni, le misure necessarie a consentire la confisca» dei proventi derivanti dai reati di cui alla Convenzione o di «beni il cui valore corrisponde a quello di tali proventi». «All’esito di un’ampia analisi dei mutamenti subiti dall’istituto del patteggiamento, le Sezioni Unite sono pervenute alla conclusione che gli stessi stanno «univocamente a significare che il regime della equiparazione, ora codificato alla stregua della normativa complementare più volte menzionata, non consente di rifuggire dall’applicazione di tutte le conseguenze penali della sentenza di condanna che non siano categoricamente escluse». Marilisa De Nigris
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Trib. Int. sul diritto del mare, c. 25 Judgement 10 aprile 2019, Panama contro Italia Contrabbando di petrolio e frode fiscale – Convenzione di Montego Bay – ITLOS – Norstar – Fermo Mancata violazione dell’art. 87 paragrafo 2 e dell’art. 300 dell’UNCLOS. L’Italia ha violato l’art. 87 paragrafo 1. I danni, a fronte della richiesta, sono ridotti a meno dell’1% dell’importo richiesto da Panama. L’importo di USD 285.000 sarà risarcito a Panama per la perdita di M/V Norstar, con gli interessi al tasso del 2,7182% annuo composto e pagabile dal 25-9-1998 fino alla data della presente sentenza. Panama v. Italia (caso M/V Norstar), Panama ha diritto al risarcimento per il danno subito, nonché per danni o altre perdite subite da Norstar, comprese tutte le persone coinvolte o interessate al suo funzionamento.
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Caso NORSTAR: Italia condannata per parziale violazione della convenzione di Montego Bay Violazione dell’art. 87 della convenzione di Montego Bay, è quanto stabilito dal Tribunale Internazionale per il diritto del mare nella recente pronuncia del 10 aprile 2019 con cui è stato definito il “caso” della M/V “Norstar” (Panama contro Italia, c. 25 Judgment 10 aprile). La sentenza emessa nell’aprile 2019 ha ad oggetto avvenimenti svolti sul finire degli anni ’90. Il caso trae origine da una richiesta di fermo ordinato dalla magistratura italiana ed eseguito dalle Autorità spagnole di una nave, battente bandiera panamense, impegnata in attività al largo delle coste europee. L’11 agosto 1988 infatti la magistratura italiana, Tribunale di Savona, ordinava tramite rogatoria il sequestro della nave Norstar, nave cisterna, relativamente ad un procedimento penale a carico di alcuni membri dell’equipaggio, accusati di reati di contrabbando di petrolio e frode fiscale. Nel dettaglio, la MV Norstar era una nave panamense responsabile della fornitura di «gasolio a megayacht in acque internazionali al di là del mare territoriale di Italia, Francia e Spagna» tra il 1994 e il 1998. La procura del Tribunale di Savona ne richiedeva il fermo, avvenuto specificamente nel settembre 1998 mentre la nave era all’ancora a Palma di Maiorca. Il Procuratore di Savona aveva sostenuto che l’approvvigionamento in mare di mega-yachts contravveniva a diversi articoli del codice penale, pertanto la nave fu arrestata nel prosieguo della navigazione da funzionari spagnoli il 24 settembre 1998 a causa della fornitura di petrolio in violazione della legislazione italiana. Alla fine del conseguente iter giudiziario, relativo alla definizione dei reati di cui sopra esposti da parte della magistratura italiana, la Norstar, battente bandiera panamense ma operante per una compagnia norvegese, veniva restituita ai proprietari. Nell’anno 2015 in relazione ai fatti accaduti, Panama adiva l’ITLOS (Tribunale Internazionale per il diritto del mare) con sede ad Amburgo, sostenendo che l’Italia avesse violato diverse disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, in particolare il diritto alla libertà di navigazione adducendo, più specificamente, per l’Italia le violazioni degli artt.
Giurisprudenza internazionale
33, 73 comma 3 e comma 4, 87, 11, 226 e 300 della Convenzione di Montego Bay, operante dal 1982. Nell’ambito del procedimento instaurato l’Italia sollevava ben sei eccezioni alcune relative alla carenza di giurisdizione, del Tribunale adito ed altre, invece, aventi ad oggetto l’ammissibilità delle domande proposte da Panama. Quanto al primo gruppo di eccezioni, secondo l’Italia la domanda di Panama era da inquadrare nell’istituto dell’esercizio della protezione diplomatica, le altre argomentazioni proposte, invece, erano volte a contestare l’ammissibilità della domanda di Panama. L’Italia, infatti, sosteneva che la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni non fosse stata rispettata privando così di fondamento la tesi della protezione diplomatica di Panama e determinando, conseguenzialmente, un’ulteriore ed inaccessibile barriera all’esplicazione del procedimento internazionale. In merito alla controversia in esame, con un primo pronunciamento, risalente al 04/11/2016, l’ITLOS si dichiarava giudizialmente competente e sottolineava come «le note verbali e le altre comunicazioni inviate all’Italia ed il silenzio di quest’ultima indicano che nel presente caso esiste un disaccordo tra le Parti su determinate questioni di fatto e di diritto». Il Tribunale rigettava, così, l’obiezione tesa a dimostrare la sua carenza di giurisdizione ratione personae. L’Italia, ulteriormente sosteneva che la controparte di Panama sarebbe potuta essere solo la Spagna in quanto il sequestro della nave Norstar era materialmente imputabile alle sole autorità Spagnole. A fronte di tale argomentazione l’ITLOS sottolineava che le autorità spagnole avevano agito in esecuzione di un decreto emanato da un Organo dello Stato italiano in conformità alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale risalente al 20.4.1959 e vigente tra i due Paesi; pertanto, il sequestro della nave non era internazionalmente imputabile alla Spagna, bensì all’Italia, confermando così ulteriormente la giurisdizione del Tribunale. Infine, l’ITLOS rigettava l’argomento dell’Italia con il quale si tendeva a sottolineare che la giurisdizione del Tribunale adito non fosse accettabile dal momento che Panama non aveva cercato di risolvere il contenzioso con mezzi diplomatici, ossia, ai sensi dell’art. 283 paragrafo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che recita «Quando tra gli Stati contraenti sorge una controversia relativa all’interpretazione o applicazione della presente Convenzione, le parti della controversia procedono senza indugio ad una consultazione reciproca sulla soluzione della controversia attraverso negoziati o altri mezzi pacifici». Con il provvedimento del 2016 l’ITLOS, essenzialmente, riconosceva e ribadiva la possibilità per Panama di essere in diritto di presentare reclami internazionali e vantare pretese risarcitorie, anche se l’oggetto del contendere era, in pratica, una imbarcazione con una c.d. “bandiera di comodo”. A fronte di quanto detto il 10 aprile 2019, il Tribunale internazionale per il diritto del mare ha pronunciato sentenza, definitiva relativamente al caso in esame, riscontrando, essenzialmente, che l’Italia aveva violato l’UNCLOS, art. 87 paragrafo 1 e che il paragrafo 2 del medesimo art. non era applicabile al caso di specie, ed ancora che l’Italia non aveva violato l’art. 300 della Convenzione di Montego Bay. Analizzando in dettaglio la sentenza si può notare che il Tribunale ha ribadito che l’art. 87 «proclama che l’alto mare è aperto a tutti gli Stati» e che «salvo casi eccezionali, nessuno Stato può esercitare la giurisdizione su una nave straniera in alto mare». Ed inoltre è stato stabilito che «la libertà di navigazione sarebbe illusoria se una nave […] potesse essere soggetta alla giurisdizione di altri Stati in alto mare». … «il bunkeraggio in alto mare fa parte della libertà di navigazione da esercitarsi alle condizioni stabilite dalla Convenzione e da altre norme di diritto internazionale».
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Caso NORSTAR: Italia condannata per parziale violazione della convenzione di Montego Bay
Secondo il Tribunale, «se uno Stato applica le sue leggi penali e doganali in alto mare e criminalizza le attività svolte da navi straniere su di esso, ciò costituirebbe una violazione dell’articolo 87 della Convenzione, a meno che ciò non sia giustificato dalla Convenzione o da altro trattati internazionali». L’ITLOS ha, dunque, concluso che l’Italia, mediante il Decreto di sequestro, posto in essere dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Savona contro la M/V Norstar, e la contestuale richiesta di esecuzione, esplicitatasi nell’arresto e detenzione della nave, aveva violato l’art. 87 comma 1 dell’UNCLOS dal quale si evince che «L’alto mare è aperto a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale. La libertà dell’alto mare viene esercitata secondo le condizioni sancite dalla presente Convenzione e da altre norme del diritto internazionale. Essa include, tra l’altro, sia per gli Stati costieri sia per gli Stati privi di litorale, le seguenti libertà: a) libertà di navigazione; b) libertà di sorvolo; c) libertà di posa di cavi sottomarini e condotte, alle condizioni della Parte VI; d) libertà di costruire isole artificiali e altre installazioni consentite dal diritto internazionale, alle condizioni della Parte VI; e) libertà di pesca, secondo le condizioni stabilite nella sezione 2; f) libertà di ricerca scientifica, alle condizioni delle Parti VI e XIII». Il Tribunale ha poi sottolineato che l’articolo 87, paragrafo 2, prevede che «Tali libertà vengono esercitate da parte di tutti gli Stati, tenendo in debito conto sia gli interessi degli altri Stati che esercitano la libertà dell’alto mare, sia i diritti sanciti dalla presente Convenzione relativamente alle attività nell’Area». Pertanto, tale comma non era applicabile al caso in esame. Sempre in relazione a quanto proposto da Panama, il Tribunale ha stabilito che non fosse ravvisabile nei confronti dell’Italia una violazione dell’art. 300 della Convenzione di Montego Bay ossia buona fede e abuso di diritto secondo il quale «Gli Stati contraenti devono adempire in buona fede gli obblighi assunti a termini della presente Convenzione ed esercitare i diritti, le competenze e le libertà riconosciuti dalla presente Convenzione in un modo tale che non costituisca un abuso di diritto». Infine, in merito alla richiesta di risarcimento danni avanzata da Panama nei confronti dell’Italia, l’ITLOS ha stabilito che Panama ha diritto al risarcimento del danno subito, in particolare, al risarcimento del danno per la perdita in capo alla Norstar. È stata ribadita, inoltre, la presenza di un nesso causale tra l’illecito commesso e il danno subito, nesso che sarebbe comunque venuto meno sin dall’anno 2003, data in cui l’armatore ebbe comunicazione ufficiale dal tribunale di Savona che la nave era stata liberata incondizionatamente dalla detenzione, così che qualsiasi danno arrecato successivamente al 26 marzo del 2003 non fosse direttamente imputabile all’attività delle autorità italiane. In termini di risarcimento effettivo, essendo state parzialmente accolte le argomentazioni proposte dall’Italia relative all’interruzione del nesso causale tra l’arresto della nave e i danni nel 2003, come detto, è stato assegnato un risarcimento quantificato in 285.000 dollari come valore della M/V Norstar insieme agli interessi; ossia meno dell’1% del totale delle richieste avanzate da Panama. Il Tribunale non ha concesso un risarcimento per quanto riguarda le altre richieste di Panama: perdita di profitti; pagamento continuato dei salari; pagamento dovuto per tasse e tasse; perdita e danneggiamento del noleggiatore della M/V; e danni materiali e immateriali alle persone fisiche. Antonio De Lucia
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Giurisprudenza
europea
Corte Europea Diritti dell’Uomo, Sez. I, Sentenza 7 marzo 2019, Sallusti c. Italia, Ricorso n. 22350/13. Diritto di espressione – Libertà di stampa – Diffamazione a mezzo stampa – Proporzionalità della pena – Art. 10 CEDU La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla libertà d’espressione di un giornalista, ritenendo “manifestamente sproporzionata” la sua condanna al carcere per diffamazione per due articoli pubblicati nel 2007 sul quotidiano che dirigeva allora.
Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista
Libertà di espressione e proporzionalità della pena Sommario: 1. Il Caso – 2. Il principio di proporzionalità della pena secondo la Corte EDU – 3. Conclusioni
1. Il Caso. L’Italia subisce una condanna dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in ordine ad una vicenda che negli anni scorsi aveva già destato molte polemiche nel panorama giuridico nazionale, ovvero la condanna del giornalista A.S., all’epoca dei fatti direttore di una testata di rilevanza nazionale, che aveva riportato, per il reato di diffamazione aggravata, la condanna ad una pena di 14 mesi di reclusione, congiunta ad euro 5000 di multa. Ripercorrendo brevemente la vicenda risalente al 2007, nel mese di febbraio appariva, infatti, sul quotidiano “L” un articolo con il titolo Il Giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita, con occhiello Il dramma di una tredicenne, a firma dell’autore il cui nome era Dreyfus, il cui contenuto veniva tuttavia smentito e rettificato il giorno stesso dall’ANSA, da alcuni notiziari RAI e da altri media, secondo i quali l’aborto fu una libera scelta della minore e non frutto di indebiti condizionamenti. Nell’articolo in questione, l’ignoto autore, che prendeva il proprio nome “d’arte” dal capitano alsaziano (Alfred Dreyfus), che nei primi del novecento divise la Francia, sulla scorta di un clamoroso errore giudiziario avvenuto nel contesto dello spionaggio militare antecedente alla prima guerra mondiale, denunciava infatti il presunto clamoroso caso di una tredicenne torinese, che pareva essere stata costretta ad abortire dai genitori e dal Giudice Tutelare. Nel testo incriminato si leggeva, infatti, del dramma di una minore, che nei primi mesi di gravidanza, non volesse abortire, mentre i genitori del parere opposto, dopo aver tentato di convincere inutilmente la figlia, si rivolgevano al Giudice Tutelare del Tribunale di Torino per “imporre” tale scelta alla figlia. Il giornalista Dreyfus con toni molto accessi descriveva i genitori, il ginecologo e il Giudice Tutelare, che «aveva applicato il diritto – il diritto! – decretando l’aborto coattivo», come assassini («quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro [l’altra] costretto alla follia»), per i quali si augurava la pena di morte. Peraltro, nel medesimo numero del quotidiano, nelle pagine interne, era pubblicato anche un altro articolo, di analoghi conte-
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nuti, ma dai toni più pacati, a firma di altro giornalista (A.M.), dal titolo Dramma a Torino. Costretta ad abortire da genitori e giudice. La 13enne sotto shock è stata ricoverata in psichiatria. Per tali articoli, il Giudice Tutelare, sentendosi leso da questa notizia che risultava distorta, sporgeva querela, tanto che il direttore del giornale (A.S.) e il giornalista (A.M.) venivano quindi imputati per diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.p. e dell’art. 13 L. 47/1948, nonché per omesso controllo, ex art. 57 c.p. per il direttore responsabile. All’esito del giudizio di primo grado presso il Tribunale di Milano, foro speciale ex art. 11 c.p.p., il Giudice riconosceva la totale falsità delle informazioni contenute negli articoli ed escludeva l’applicabilità della scriminante putativa, poiché l’atteggiamento del giornalista e del direttore responsabile sarebbe stato incurante delle smentite delle agenzie di informazioni, tanto da escludere anche l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e nello specifico condannava il giornalista-direttore A.S., riconosciuta la continuazione, alla pena finale di 5.000 euro di multa, sostanzialmente ‘dimenticando’ che congiuntamente alla multa l’art. 13 L. 47/1948 prevedeva anche la pena della reclusione, per di più senza il beneficio della sospensione condizionale della pena. Allo stesso modo il giudice del Tribunale di Milano condannava il giornalista A.M., per la diffamazione aggravata dal mezzo della stampa e dall’ attribuzione di fatto determinato, alla pena finale di euro 4.000,00 omettendo, anche in questo caso, di applicare la pena detentiva1. Tutte le Parti provvedevano, così, ad impugnare i disposti di primo grado, tuttavia la Corte D’Appello Milano con sentenza del 17 giugno 2011, n. 2516, rigettando l’impugnazione degli imputati, in parziale riforma in pejus della sentenza emessa dal Tribunale di prime cure, applicava anche la pena detentiva, come previsto dall’art. 13 L. n. 47/1948 e, confermando l’insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, condannava il giornalista/direttore A.S. alla pena finale di 14 mesi di reclusione, congiunta alla pena pecuniaria di euro 5.000,00, con esclusione della sospensione condizionale, mentre d’atro canto concedeva la sospensione al giornalista A.M. Il Direttore del quotidiano procedeva, allora, al ricorso in Cassazione, che con sentenza2 n. 41249/2012, annullando la condanna di A.M. e rinviando nuovamente alla Corte d’Appello di Milano, rigettava invece il ricorso di A.S. confermandone la responsabilità penale, sia ai sensi dell’art. 57 c.p. per il carattere diffamatorio del contenuto dell’articolo a firma A.M., sia ai sensi dell’art. 595 c.p. e dell’ex art. 13 L. 47/1948 per l’articolo a firma Dreyfus. In particolare, i Giudici di legittimità, pur soffermandosi ampiamente sulla giurisprudenza di Strasburgo e riconoscendo che le norme CEDU, nel significato loro attribuito dalla Corte Europea, integrassero «come fonte sub costituzionale parametro interposto di legittimità costituzionale per il tramite dell’art. 117 co. 1», tuttavia ritenevano che nel caso sottoposto al loro vaglio l’applicazione della pena detentiva fosse legittima, poiché: - la libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuta a livello interno dall’art. 21 Cost., nonchè a livello internazionale dall’art. 10 CEDU, incontrava un limite legittimo nella tutela dell’onore e della reputazione individuale ex artt. 2 e 3 Cost. e art. 8 CEDU; - che, nel caso di specie, i due articoli oggetto di imputazione, pubblicati sul quotidiano “L” il 18 febbraio 2012, avessero offeso gravemente la reputazione di un Giudice, il quale veniva
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Tribunale Milano Sezione Penale sent. 26 gennaio 2009. Cass. Pen., sez. V, 26 settembre 2012 (dep. 23 ottobre 2012), n. 41249, Pres. Grassi, Est. Bevere, imp. Sallusti e Monticone. 2
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falsamente accusato di avere costretto una minore ad abortire, e dunque di un fatto costitutivo di reato ai sensi dell’art. 18 L. 194/1978; - che il trattamento sanzionatorio applicato ad A.S. dalla Corte d’Appello appariva comunque motivato, poiché la pena detentiva in ipotesi eccezionali ben poteva ritenersi legittima, soprattutto poiché l’elemento oggettivo della diffamazione risultava compromettere diritti fondamentali. In tal guisa, i Giudici di Piazza Cavour richiamavano alcune sentenze CEDU che parevano, tuttavia, lontane dal caso, una in particolare incentrata su un caso di incentivo all’odio e alla violenza mezzo stampa e non in tema di diffamazione3. In ogni caso, restava una nota stonata proprio nel testo della motivazione, che richiamava anche una sentenza della stessa Corte Europea per i Diritti dell’uomo del 6 dicembre 2007 (Katrami c. Grecia, ric. n. 19331/05), che riguardava proprio un caso analogo di diffamazione a mezzo stampa sanzionata con una pena detentiva, ove la CEDU aveva ravvisato proprio una violazione dell’art. 10 CEDU nell’applicazione di una pena detentiva sospesa, che riteneva parimenti sproporzionata in relazione a una diffamazione a mezzo stampa. A complicare poi il tutto, nel dicembre 2012 interveniva, anche, nella vicenda anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ricevuti gli atti del procedimento dal Ministro della Giustizia, con il parere favorevole di quest’ultimo, a seguito delle osservazioni contrarie da parte del Procura Generale di Milano e quelle favorevoli del Magistrato di Sorveglianza, commutava la pena detentiva, ancora da espiare, nella corrispondente sanzione pecuniaria4.
2. Il principio di proporzionalità della pena secondo la Corte EDU. La questione non poteva poi non approdare anche in sede europea, ove i Giudici di Strasburgo, ricevuto il ricorso del giornalista A.S., hanno effettivamente colto l’occasione per confermare il consolidato orientamento secondo il quale l’inflizione di una pena detentiva, benché commutata in pecuniaria, ad un giornalista colpevole di diffamazione costituisce una violazione dell’art. 10 CEDU, che sancisce il fondamentale diritto alla libertà di espressione, poiché in via di bilanciamento il diritto all’onore non può integrare di per sé una valida limitazione a detto diritto, tanto da giustificare l’applicazione di una pena detentiva. Infatti, con decisione del 7 marzo 2019, la Corte Europea, dopo aver rilevato che la condanna di A.S. integrasse
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Corte Edu, 17 dicembre 2004, Campana e Mazare c. Romania, ric. n. 33348/96, in http://hudoc.echr.coe.int.; Corte Edu, 16 luglio 2009, Feret c. Belgio, ric. n. 15615/07, nonché Corte Edu, 2.10.2012, Rujak c. Croazia, ric. n. 57942/10, entrambe in http://hudoc.echr.coe.int.; Corte Edu, 22 aprile 2010, Fatullayev c. Azerbaijian, ric. n. 40984/07, in http://hudoc.echr.coe.int.; Corte Edu, 6 dicembre 2007, Katrami c. Grecia, ric. n. 19331/05, in http:// hudoc.echr.coe.int. 4 La decisione del Quirinale nella relativa nota del 21.12.2012 sottolineava che «la decisione di commutare la pena raccoglie altresì gli orientamenti critici avanzati in sede europea, in particolare dal Consiglio d’Europa, rispetto al ricorso a pene detentive nei confronti di giornalisti. Si è anche valutato che la volontà politica bipartisan espressa in disegni di legge e sostenuta dal governo, non si è ancora tradotta in norme legislative per la difficoltà di individuare, fermo restando l’obbligo di rettifica, un punto di equilibrio tra l’attenuazione del rigore sanzionatorio e l’adozione di efficaci misure risarcitorie. Con il provvedimento di commutazione della pena detentiva, il Presidente della Repubblica ha inteso ovviare a una contingente situazione di evidente delicatezza, anche nell’intento di sollecitare, nelle istituzioni e nella società, una riflessione sull’esigenza di pervenire a una disciplina più equilibrata ed efficace dei reati di diffamazione a mezzo stampa».
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un’ingerenza legittima (in quanto fondata sugli artt. 57 e 595 c.p. e sull’art. 13 L. 47/1948) da parte dello Stato italiano nella sfera della libertà di espressione, tutelata dall’art. 10 CEDU, ha comunque ritenuto la condanna del giornalista A.S. non proporzionale. La Corte, richiamando i propri precedenti (tra cui la sent. Belpietro c. Italia, 24 settembre 2013), ha cercato infatti di definire i criteri per i quali qualificare o meno necessaria l’ingerenza di uno Stato democratico sulla libertà di stampa, ovvero nel caso verificare se l’ingerenza risponda ad un “pressante bisogno sociale” e se le sanzioni inflitte risultino “proporzionate” rispetto allo scopo legittimo perseguito5. La Corte Europea espressasi così sul caso, non ha sollevato dubbi circa la colpevolezza del giornalista-direttore A.S., non discostandosi dalla ricostruzione dei giudici di merito, né in relazione alla accertata falsità delle informazioni riportate nell’articolo, né al contenuto diffamatorio dell’articolo, lesivo della reputazione di tutte le parti coinvolte (Giudice, genitori e medico), né al mancato rispetto delle regole deontologiche, che impongono comunque sempre al giornalista di verificare la verità del fatto prima di diffonderlo; tanto più che l’imputato rivestendo anche la qualità di direttore non poteva essere esonerato dal dovere di controllare gli articoli destinati alla pubblicazione. Tuttavia, nella valutazione dell’applicazione della pena in concreto in virtù del principio di bilanciamento tra diritti, la Corte ha ritenuto che la pena detentiva inflitta ad un giornalista responsabile di diffamazione sia sproporzionata in relazione allo scopo perseguito e comporti una violazione della libertà di espressione garantita dall’art. 10 CEDU. La Corte recuperando il caso “Katrami c. Grecia” argomenta, infatti, che la violazione sussiste anche quando la pena detentiva è sospesa, o come nel caso del giornalista italiano commutata con provvedimento di grazia in pena pecuniaria, che in quanto atto discrezionale di clemenza, esonera soltanto l’esecuzione della pena restrittiva. A questo punto, occorre ricordare quanto era già stato affermato dalla stessa Corte europea in una sentenza che aveva coinvolto l’Italia nel 2007 per il medesimo reato (Ormanni c. Italia), ovvero che la libertà di manifestazione del pensiero deve essere intesa come uno strumento essenziale di democrazia, in quanto: «La stampa svolge un ruolo essenziale in una società democratica: se da un lato essa non deve oltrepassare certi limiti, prestando attenzione in particolare alla tutela della reputazione e dei diritti altrui, dall’altro le spetta tuttavia di comunicare, nel rispetto dei suoi doveri e delle sue responsabilità, informazioni e idee su tutte le questioni d’interesse generale, comprese quelle della giustizia. Alla sua funzione di diffondere le notizie si aggiunge il diritto, per l’opinione pubblica, di riceverne»6. In questo contesto, i giudici di Strasburgo, nel precisare che la pena detentiva può essere ritenuta compatibile con la libertà di espressione solo in circostanze eccezionali, laddove altri diritti fondamentali siano stati seriamente lesi, fanno ancora una volta riferimento in via comparativa ai discorsi di odio o di incitamento alla violenza, escludendo esplicitamente le ipotesi di diffamazione o di omesso controllo su fatti di diffamazione a mezzo stampa. La Corte ha,
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Secondo la CEDU principi generali relativi alla necessità di un’ingerenza nella libertà di espressione sono riassunti nelle cause Morice c. Francia [GC], n. 29369/10, §§ 124-139, CEDU 2015 e Belpietro (sopra citata, §§ 47-54).In particolare, la Corte sottolinea che il criterio della “necessità in una società democratica” esige che essa determini se l’ingerenza lamentata corrispondesse a una “pressante esigenza sociale”, se i motivi addotti dalle autorità nazionali per giustificare l’ingerenza fossero “pertinenti e sufficienti” e se la sanzione inflitta fosse “proporzionata al fine legittimo perseguito” (si veda Belpietro, sopra citata, §§ 49-50). 6 Corte EDU sent. Del 17.7.2007, n. 30278/04, Ormanni c. Italia.
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infatti, frequentemente affermato che la libertà di espressione, riconosciuta dalla stessa Convenzione, non è illimitata, ma può subire una legittima compressione della sua forza espansiva in virtù di “legge”, intesa in senso lato, ovvero disposizioni “accessibili”, le cui conseguenze negative siano “prevedibili”7. Fatto salvo che il giornalista deve, comunque, essere mosso da un fine legittimo, la limitazione derogatrice alla libertà di stampa deve essere “necessaria” nel contesto di una società democratica e “proporzionata” rispetto agli obiettivi perseguiti, per cui dette “circostanze eccezionali” non possono essere integrate da fatti di diffamazione, ovvero di un reato per il quale la Corte continua ad auspicare l’abolizione della pena detentiva, valutando positivamente le recenti iniziative di riforma orientate in questo senso8.
3. Conclusioni. A livello europeo, il caso appena trattato, proprio per la severità della condanna che l’Italia aveva applicato al caso del giornalista A.S., aveva comunque indotto l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a commissionare ad un suo organo consultivo (la Commissione di Venezia9) un parere in ordine alla conformità della legge italiana sulla diffamazione all’art. 10 CEDU. La Commissione interpellata10, benché rilevasse che anche pene pecuniarie elevate (contenute nei progetti di riforma) avrebbero rischiato di produrre per il giornalista quel chilling effect che mina il diritto all’informazione, tuttavia, come si legge anche nell’odierna decisione, apprezzava quelle proposte di riforma, in quanto avrebbero segnato un’evoluzione in linea con le indicazioni del Consiglio d’Europa. La riforma pare non trovare unanime consenso in seno al legislatore italiano: il DDL Costa, approvato dalla Camera nel 2013, è stato successivamente modificato dal Senato (29.10.2014), ancora modificato dalla Camera il 24.6.2015. Nella XVII Legislatura, al 18.10.17 risultava in corso di esame presso la commissione Giustizia del Senato (come DDL S 1119–b). Anche nell’attuale legislatura si registrano diversi disegni di legge, uno dei quali (Caliendo S. 812) presentato al Senato il 20 settembre 2018 e attualmente all’esame della commissione Giustizia, un altro (Verini C. 416) presentato alla Camera dei Deputati il 27 marzo 2018 e assegnato alla commissione Giustizia della Camera il 28 settembre 2018: entrambi prevedono l’abolizione della pena detentiva per la diffamazione, anche per le
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Il Draft del Council of Europe CDMS(2012) Misc 11, cit., ricorda che nella sua Dichiarazione del 4.7.2012 il Comitato dei Ministri ha enfatizzato l’importanza di incrementare «the legal predictability and certainty of law applicable to defamation». 8 La Corte sembra volersi riferire al disegno di Legge Costa 925, approvato dalla Camera dei deputati il 17 ottobre 2013. 9 Resolution 1920, 24 gennaio 2013, in http://www.assembly.coe.int. 10 Opinion n. 715/2013, 9 novembre 2013, in http://www.assembly.coe.int. «On 9 November 2013 the Venice Commission, in Opinion n. 715/2013 (Opinion on the Legislation on Defamation of Italy) observed that a reform of the legislation on defamation was ongoing (see paragraph 30 above): the amendments proposed envisaged, inter alia, limitation of the use of criminal provisions, abolition of imprisonment as a possible penalty and an upper limit for fines, lacking in Article 595 §§ 3 and 4 of the Criminal Code (repealed by the Bill). The Venice Commission was of the opinion that (high fines posed “a threat with almost as much chilling effect as imprisonment”) but also recalled that this was to be regarded as “a remarkable improvement, in accordance with the Council of Europe calls for lighter sanctions for defamation».
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ipotesi più gravi, quale la diffamazione a mezzo stampa con «attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della falsità». Intanto, in previsione di una futura depenalizzazione, la Corte europea con la recente sentenza del 7 marzo 2019 ha ritenuto l’Italia responsabile di non aver un adeguato disposto in materia di repressività del reato diffamazione a mezzo stampa, ritenendo lo stesso art. 3 della L. n. 47/1948 eccessivo nelle previsioni sanzionatorie, tanto da costituire un’ingiustificata ed indiretta limitazione alla libertà di espressione, condannando così lo Stato alla refusione al giornalista A.S. di dodicimila euro per danno non patrimoniali e cinquemila per le spese sostenute. Andrea Racca
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Osservatorio
normativo
Inapplicabilità per i delitti punibili con ergastolo del giudizio abbreviato: riforma del giudizio alla luce del parere del CSM Nikita Micieli de Biase La proposta di legge AC 392/C1 abbinata alla proposta di legge AC 460/ intitolata Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con l’ergastolo è divenuta L. 12 aprile 2019, n. 33 dopo la sua approvazione dall’Assemblea del Senato in prima lettura in data 2 aprile. La L. n. 33 prevede modifiche agli artt. 429, 438, 441-bis e 442 c.p.p. Con l’art. 1, che ha modificato l’art. 438 c.p.p.: - è stato introdotto il comma 1-bis a norma del quale è inammissibile il giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo”; - è stato riformulato il comma 6 prevedendo che in caso di dichiarazione di inammissibilità o di rigetto, ai sensi, rispettivamente, dei commi 1-bis e 5, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dal comma 2”; - è stato aggiunto il comma 6-ter disponendo che, qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1-bis, il giudice, se all’esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 comma 2. L’art. 2 L. n. 33 ha introdotto nell’art. 441-bis c.p.p. il comma 1-bis, in base al quale «se, a seguito delle contestazioni, si procede per delitti puniti con la pena dell’ergastolo, il giudice revoca, anche d’ufficio, l’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l’udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione e si applica il comma 4». Il successivo art. 3, in virtù di quanto stabilito all’art. 1, ha abrogato il secondo e il terzo periodo dell’art. 442 comma 2 c.p.p. che, in caso di condanna all’esito del giudizio abbreviato, prevedono, rispettivamente, la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella della reclusione di anni 30 e la sostituzione dell’ergastolo con isolamento diurno con l’ergastolo. L’art. 4 ha inserito all’art. 429 c.p.p. il comma 2-bis ai sensi del quale se si procede per delitto punito con la pena dell’ergastolo e il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio 2 abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene anche l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione ed, inoltre, si applicano le disposizioni dell’art. 458.
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Proposta di legge presentata alla Camera con primo firmatario l’On. Molteni e abbinata alla proposta C 460 con primo firmatario l’On. Morani il 27 marzo 2018.
Osservatorio normativo
Infine, l’art. 5 in coerenza al principio di irretroattività della sanzione penale sfavorevole di cui all’art. 25 Cost. comma 2 ed in conseguenza della natura sostanziale delle norme sul rito abbreviato prevede l’applicabilità delle nuove disposizioni ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della legge, indicata nel giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. L’obiettivo della riforma, ricavabile dai lavori parlamentari, è di sanzionare in modo pregnante condotte criminose di particolare allarme sociale, per i quali il sistema previgente, anche per effetto della premialità conseguente al rito applicabile a tutti i delitti anche punibili con l’ergastolo, non sempre assicura che le pene inflitte siano adeguate al concreto disvalore dei reati. La riforma dovrebbe essere esente da rilievi di incostituzionalità come affermato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale secondo la quale ha le preclusioni ai fini dell’applicazione di un istituto premiale come in questo caso costituisce una scelta di politica legislativa sindacabile laddove essa sia connotata di profili di manifesta irragionevolezza. Ciò è da escludere quando, avuto riguardo alla gravità dei fatti, valutata non solo con riferimento all’entità della pena edittale per essi comminata, appaia giustificata «l’applicabilità di un trattamento sostanziale o processuale più rigoroso»2. I reati puniti con la pena perpetua si collocano all’apice della scala di gravità prefigurata dal legislatore e la pena, in sé, è indice del disvalore massimo che l’ordinamento ha ritenuto insito negli stessi. Il parere esamina anche le ricadute della riforma sui carichi di lavoro che si prevede di subire, un aggravio del numero dei dibattimenti in aula in conseguenza dell’esclusione dei reati puniti con la pena dell’ergastolo da quelli per cui è ammissibile il rito abbreviato. L’indirizzo della giurisprudenza di legittimità3 consolidatosi sulla base della normativa previgente è nel senso della non ammissibilità di una richiesta di giudizio abbreviato limitata solo ad alcuni reati; e ciò sul presupposto che la mancata definizione con il rito speciale del processo, nella sua interezza, rende ingiustificato l’effetto premiale, riconnesso alla rinuncia alla fase dibattimentale per la globalità e non per singoli reati, com’è espressamente previsto dall’art. 438 c.p.p., laddove fa riferimento ad una richiesta relativa al “processo” riguardante il singolo imputato4. Da ciò deriva la deroga alla regola dell’inammissibilità dell’abbreviato “parziale”, in caso di imputazioni cumulativamente formulate nei confronti della stessa persona, è doverosa in
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Corte Costituzionale, ordinanza n. 455/06. Vedi Cass. Sez. VI, Sentenza n. 2251 del 05/10/2010; Sez. II, 27 marzo 2008, n. 20575; Sez. IV, 5 luglio 2006, n. 30096; Sez. I, 19 novembre 1999, n. 380 Favara. 4 Questo principio è sostanzialmente condiviso anche dalla giurisprudenza costituzionale nelle pronunce relative agli artt. 516 e 517 c.p.p., la cui illegittimità è stata ritenuta nella parte in cui non era consentito all’imputato richiedere il giudizio abbreviato con riferimento al fatto diverso, al reato concorrente o aggravato contestato al dibattimento. La Corte Costituzionale ha escluso la possibilità di un recupero del rito in rapporto all’intera platea delle imputazioni originarie, ritenendo irragionevole riconoscere la premialità rispetto ad imputazioni per le quali l’imputato ha consapevolmente lasciato spirare il termine utile per la richiesta di rito abbreviato; diversamente, con riguardo ai casi di cui agli artt. 516 e 517 c.p.p., oggetto del quesito di costituzionalità, la “parzialità” dell’abbreviato, determinata dalla limitazione dell’accesso allo stesso per i soli fatti oggetto delle nuove contestazioni, è stata ritenuta giustificata in ragione dell’«esigenza di restituire all’imputato la facoltà di accesso al rito alternativo relativamente al nuovo addebito in ordine al quale non avrebbe potuto formulare una richiesta tempestiva a causa dell’avvenuto esercizio dell’azione penale con modalità derogatorie rispetto alle ordinarie cadenze procedimentali». 3
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Inapplicabilità per i delitti punibili con ergastolo del giudizio abbreviato: riforma del giudizio alla luce del parere del CSM
tutti i casi in cui l’imputato, per fatti ad esso non imputabili, non abbia potuto accedere al rito speciale per tutti i reati che gli sono contestati. In caso di imputazione cumulativa riferita ai reati puniti con la pena dell’ergastolo e altri reati puniti con pena temporanea, la natura ostativa del primo reato costituirebbe ragione idonea a giustificare una richiesta di rito abbreviato “parziale”, limitata, cioè, ai soli reati per i quali l’accesso al rito è consentito, e ciò in special modo quando sia richiesto l’abbreviato “semplice”, che, come già detto, configura un vero e proprio diritto potestativo dell’imputato. In conclusione, l’inammissibilità del rito abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo concerne soltanto il reato e non si estende all’intero procedimento in cui questo è contestato. Ciò è confermato dal fatto che il Legislatore ha utilizzato l’espressione «delitti punibili con l’ergastolo» invece di «procedimenti».
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Osservatorio
internazionale
Beni culturali: nuove norme disciplinano la difesa e la circolazione delle opere d’arte in Italia Antonio De Lucia Il Ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, ha recentemente approvato le modifiche al decreto ministeriale (DM 246/2018) che fissava condizioni, modalità e procedure per la circolazione internazionale dei beni culturali. Il Parlamento italiano è intervenuto, dunque, sul regime inerente alla circolazione delle opere d’arte rielaborando nuovamente la materia ed adeguandola alla normativa comunitaria ed internazionale in genere. L’iter è stato piuttosto lungo, infatti, essa trae origine dai decreti a firma dell’ex Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, il quale aveva posto in essere le basi per una riforma della circolazione internazionale dei beni culturali avviata con la legge annuale per il mercato e la concorrenza (Legge 4 agosto 2017, n. 124). In seguito, con i decreti n. 537 del 2017 e n. 246 del 2018 furono individuati nuovi criteri per la concessione o il diniego dell’attestato di libera circolazione e le condizioni, con particolare modalità e procedure per la circolazione internazionale di beni culturali, come previsto dall’art. 1 della “Legge Concorrenza”. Mentre il D.M. n. 537/2017 ha modificato i criteri di valutazione adottati dagli Uffici Esportazione, precisandoli e limitando la sfera di discrezionalità dell’amministrazione, il D.M. n. 246/2018 ha, invece, disciplinato il regime di circolazione internazionale dei beni culturali in entrata ed in uscita dal territorio italiano. Il decreto ministeriale, in esame, fissa nuove modalità e procedure che regoleranno la circolazione internazionale dei beni culturali. Essenzialmente tende a garantire l’effettiva provenienza di un bene culturale dallo Stato estero dal quale proviene o nel quale è stato acquistato. Vengono richiesti, in modo più stringente, nuovi documenti ossia, fattura d’acquisto e documenti di spedizione, atti a specificare la provenienza dell’opera; un bene culturale munito di CAS o di CAI (Certificati di Avvenuta Importazione extra Ue e di Avvenuta Spedizione dalla UE) può uscire nuovamente dal territorio italiano nei successivi cinque anni senza bisogno di un controllo all’esportazione, che sia destinato ad un Paese UE o Extra UE. Altro punto forte della normativa in esame è rappresentato dalle disposizioni inerenti al c.d. «passaporto» quinquennale delle opere, rilasciato dagli Uffici Esportazione. Secondo l’art. 9 del D.lgs. n. 246/2018 entro il 31 dicembre 2019 il Mibac attiverà l’anagrafe della circolazione internazionale delle opere culturali sul Sistema Informativo degli Uffici. Analizzando tale decreto si evince che tre sono gli elementi di maggior rilevanza: - introduzione delle cd. “soglie di valore” o, meglio, della “soglia di valore unica” a 13.500 euro; - innalzamento da 50 a 70 anni della c.d. “soglia temporale”, - introduzione (con operatività a fine 2019) del c.d. “passaporto elettronico” delle opere d’arte e nuove norme in materia di importazione temporanea.
Osservatorio internazionale
L’azione normativa, riconducibile al settore in esame, è sicuramente apprezzabile e di fondamentale importanza. Basti pensare che l’Italia, secondo una stima dell’UNESCO, detiene circa il 45% del patrimonio artistico e culturale a livello mondiale. Pertanto, gli interessi dei soggetti attratti dall’aspetto economico-commerciale ad essi collegati sono in costante crescita. Più volte si è palesato in maniera incontrovertibile l’interesse di persone tendenti a ricavare profitti illeciti e di trafficanti ed esponenti della criminalità organizzata impegnati in un redditivo business. La materia nel corso degli anni è stata oggetto di diversi interventi da parte dei legislatori nazionali, ma anche l’Unione Europea e le normative a livello internazionale in genere hanno più volte affrontato l’argomento. Tra i principali interventi legislativi in ambito nazionale e sovranazionale, di tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico, vanno ricordati: la Carta del Restauro italiana risalente al 1931, posta in essere su iniziativa del Consiglio Superiore per le Antichità e Belle arti; la Carta di Atene a cura della Commissione Internazionale di Cooperazione Intellettuale per “la conservazione del patrimonio artistico ed archeologico dell’umanità”; la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale dell’Unesco sottoscritta a Parigi nel 1972 ed avente ad oggetto «le misure da adottare per impedire e vietare l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali»; la Convenzione per la tutela del patrimonio architettonico europeo di Granada del 1985; la Convenzione dell’Unidroit nel 1995 a Roma avente ad oggetto «il ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati» ratificata in Italia con Legge 7 giugno 1992, n. 213; la Legge 30 marzo 1998, n. 88 poi abrogata dall’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio previsto dal D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 più comunemente noto come CODICE URBANI perché voluto dal ministro omonimo. Il recente provvedimento ha reso possibile l’avvicinamento dell’Italia ad altri Paesi, in particolare Francia o Gran Bretagna dove la tradizione di tutela delle opere artistiche a carattere storico-culturale appare molto più forte ed incisiva. In effetti, dando vita ad un rapido parallelismo appare chiaro che vi è un modus operandi atto a garantire maggiore sicurezza alle opere presenti in tali Paesi. Tra i punti focali del D.lgs. n. 246/18 si evincono, come già detto, alcuni elementi fondamentali riguardanti le c.d. “soglie di valore” e “soglie temporali”, elementi ben presenti in altre normative. In effetti, la soglia temporale per la licenza di esportazione è riconosciuta in molti altri Paesi: - Nel Regno Unito le esportazioni di opere presenti da oltre 50 anni sono disciplinate dall’Export Control Act (2002) e dall’Export of Objects of Cultural Interest (Control); in Francia la soglia temporale è rilevante per le opere presenti da oltre 50 anni sul territorio nazionale; in Germania la legge sull’esportazione in ambito europeo, in vigore dal 2016, pone vincoli alle opere con più di 70 anni e prevede in alcuni casi soglie superiori ai 300000,00 euro; in Spagna le opere con più di 100 anni, sono oggetto di attenzione dello Stato; in Svizzera è stato istituito un Registro federale nel quale sono iscritti i beni culturali di significativa importanza e di proprietà del governo federale che non possono uscire dal paese; gli Stati Uniti tendono a tutelare il proprio patrimonio artisticoculturale con l’inserimento delle opere ritenute di rilevanza artistica in appositi registri. Oltre al vincolo temporale è utile sottolineare che, tanto le normative nazionali, quanto la disciplina UE con il Regolamento (CE) 116/2009, prevedono delle “soglie di valore” per la circolazione interna dei beni culturali, recepite dai singoli Paesi. - In Francia la circolazione dei beni culturali è disciplinata dal Code du patrimoine (D.lgs. 93124 del 29 gennaio 1993) che essenzialmente vieta l’uscita dei beni culturali ritenuti “tesori nazionali”.
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Beni culturali: nuove norme disciplinano la difesa e la circolazione delle opere d’arte in Italia
- Nel Regno Unito, a condizione che vengano rispettate determinate sogli di valore, è possibile esportare beni artistico-culturali attraverso una sorta di autocertificazione, c.d. “OGEL”, lo Stato in caso di riconosciuto “tesoro nazionale” da parte del Reviewing Committee on the Export of Works of Art and Objects of Cultural Interest (RCEWA) ne propone l’acquisto, entro sei mesi istituzioni o privati devono assumerne l’incarico. - In molti altri Stati europei si applicano le soglie di valore e il diritto alla preservazione si sposa con il diritto alla proprietà privata, lasciando, comunque, la decisione allo Stato sulla possibile circolazione del bene all’interno o fuori dal territorio del Paese. Quanto al regolamento comunitario 116/2009 si può constatare che l’Italia ha sempre avuto difficoltà relative alla concreta applicazione dello stesso. Appare chiaro, dunque, come tale normativa possa essere ricondotta in un ambito molto più vasto, infatti a livello internazionale le misure di protezione del patrimonio culturale sono diventate fondamentali e necessarie, soprattutto a seguito di sottrazioni di beni culturali in tempo di guerra, così come previsto nelle Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907 e nella Convenzione dell’Unesco del 1970. Il fenomeno del commercio e la circolazione “illecita” di opere d’arte e di altri beni culturali è in effetti un fenomeno che ha origini lontane nel tempo, costituisce una seria minaccia per l’identità culturale di ogni Stato e si è evoluto anche in relazione ai diversi contesti e scenari di tipo illecito che si sono avvicendati nel corso del tempo; si è passati dai trafugamenti di opere d’arte in tempo di guerra ad un vasto e redditizio commercio di opere d’arte compiuto, in tempi più recenti, dai maggiori gruppi terroristici. Il traffico illecito di opere d’arte, a fronte di numerose indagini e statistiche, è infatti collocato nei primi posti come volume d’affari relativamente alle attività illecite poste in essere dalla criminalità organizzata o dai gruppi terroristici. La nuova normativa italiana tende quindi a contrastare fenomeni dannosi per lo Stato e ad adeguare la normativa del Paese a quella di altri Stati e delle Convenzioni Internazionali; si tende ad intervenire in tema di esportazione delle opere d’arte tutelando le stesse i lori autori, e, comunque, il patrimonio culturale in modo più incisivo.
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Osservatorio
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Inammissibilità del patteggiamento in caso di riqualificazione del fatto di reato Andrea Racca
Sommario: 1. La questione giuridica – 2. Il caso –3. Gli sviluppi della Corte di Giustizia – 4. Conclusioni
1. La questione giuridica. Con la sentenza del 13 giugno 2019, causa C-646/17 della I sezione, la Corte di Giustizia ha affermato che l’art. 6 paragrafo 4 della direttiva 2012/13/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali e l’art. 48 della Carta dei diritto fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che non siano d’ostacolo alla normativa nazionale, nel caso di specie quella italiana, in forza della quale l’imputato può domandare, nel corso del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta nel caso di una modifica dei fatti su cui si basa l’imputazione, e non nel caso di una modifica della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione. La domanda di pronuncia pregiudiziale, presentata nell’ambito di un procedimento penale del Tribunale di Brindisi, riguardava un’imputazione per il reato di «ricettazione» di gioielli, successivamente riqualificata, nel corso del dibattimento, in «furto» di detti gioielli. La direttiva 2012/131 stabilisce, infatti, norme minime comuni da applicare in materia di informazioni relative ai diritti e all’accusa da fornire alle persone indagate o imputate per un reato, al fine di rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri. Alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia, emergente proprio dalle sentenze della Corte costituzionale n. 265/1994, n. 184/2014 e, da ultimo, n. 82/2019, con riferimento al patteggiamento in caso di modifica dell’imputazione, l’imputato può accedere all’applicazione premiale della pena. Ritenendo che il diritto dell’Unione alla luce dell’art. 6 par. 4 della direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali e l’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea tuteli questa situazione, il Giudice ha così investito della questione la Corte del Lussemburgo, che si è espressa nei termini indicati in esordio, ritenendo che il diritto all’informazione sia stato rispettato e che questo non implichi anche il diritto di accedere al patteggiamento, considerata la scadenza dei termini per formulare la relativa richiesta.
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La direttiva muove dai diritti enunciati nella Carta, in particolare gli artt. 6, 47 e 48, fondandosi sugli artt. 5 e 6 della CEDU come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
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2. Il caso. Ricapitolando la dinamica infatti, l’11 marzo 2015 la persona offesa, poi costituitasi nel corso dei procedimenti parte civile, presentava una denuncia presso il commissariato di polizia di Ostuni contro l’imputato, lamentando che quest’ultimo avrebbe ricevuto da una persona di identità ignota vari gioielli in oro rubati alla propria famiglia e li avrebbe consegnati ad un negozio del paese, al fine di trarne profitto. Il 1° aprile 2016, con decreto emesso dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 552 c.p.p., l’imputato è stato citato a comparire dinanzi al Tribunale di Brindisi per rispondere del reato di «ricettazione» come previsto dall’art. 648 c.p. Tuttavia in una delle prime udienze l’imputato per sua esplicita ammissione dichiarava di essere stato l’autore del furto di gioielli. In quella sede, il Giudice informava l’imputato della possibilità di riqualificare giuridicamente il fatto a lui contestato nel delitto di cui agli artt. 624 e 61 n. 7 c.p., ossia «furto» aggravato dall’avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità. Il difensore dell’imputato veniva, così, autorizzato da quest’ultimo a domandare l’applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., in relazione al fatto-reato come giuridicamente riqualificato per ammissione dell’imputato, tuttavia, l’istanza non veniva considerata ammissibile in quanto il termine previsto all’art. 555 comma 2, del codice di procedura penale era da ritenersi scaduto. Il Giudice invitava il Pubblico Ministero a modificare l’imputazione, ai sensi dell’art. 516 c.p.p., al fine di consentire all’imputato di beneficiare del patteggiamento, tuttavia il Pubblico Ministero si rimetteva al Tribunale per la qualificazione giuridica del fatto, non volendo egli procedere in detta rubrica. A tal punto, il Giudice del rinvio rilevava che la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 c.p.p. nella parte in cui tale articolo non prevede la facoltà dell’imputato di domandare al giudice del dibattimento l’applicazione di una pena su richiesta a norma dell’art. 444 c.p., relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Dalla giurisprudenza della Corte costituzionale pareva, infatti, che, nel corso del dibattimento, l’imputato fosse autorizzato a domandare l’applicazione di una pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p., con contestuale riapertura dei termini di presentazione della relativa istanza, nel caso di una modifica dei fatti sui cui si basa l’imputazione, modifica riconducibile o ad un errore o emersa nell’ambito del normale svolgimento del procedimento, mentre una simile possibilità di domandare l’applicazione di una pena su richiesta veniva esclusa, qualora la modifica avrebbe riguardato unicamente la qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione. In questo contesto, il Tribunale di Brindisi riteneva così di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia Europea «se l’art. 2, paragrafo 1, l’art. 3, paragrafo 1 lettera c), l’art. 6, paragrafi 1, 2 e 3, della direttiva 2012/13, nonché l’art. 48 della CEDU, debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni processuali penali di uno Stato membro in base alle quali le garanzie difensive conseguenti alla modifica dell’imputazione vengano assicurate in termini, qualitativamente e quantitativamente, diversi a seconda che la modifica riguardi gli aspetti fattuali dell’accusa, ovvero la qualificazione giuridica della stessa, in particolare consentendo soltanto nel primo caso all’imputato di chiedere il rito alternativo premiale dell’applicazione della pena (c.d. patteggiamento)».
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3. Gli sviluppi della Corte di Giustizia. Nel procedimento presso la Corte Europea si è costituito il Governo italiano che riteneva l’oggetto della questione sottoposta alla Corte non rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 2012/13 e che, di conseguenza, la Corte non può esaminare tale questione. Tuttavia, l’avvocato dell’avvocatura italiana pareva scordare che, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita all’art. 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. La Corte ha, infatti, il compito di interpretare tutte le disposizioni del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie per cui sono stati aditi, anche qualora tali disposizioni non siano espressamente indicate nelle questioni ad essa sottoposte da detti giudici2. Di conseguenza, benché formalmente il giudice del rinvio avesse limitato le sue questioni all’interpretazione di talune disposizioni del diritto dell’Unione, la Corte si è espressa in aiuto interpretativo al Giudice del rinvio al fine di risolvere la questione oggetto di controversia. La Corte procedeva quindi all’analisi del combinato disposto degli artt. 3 e 6 della direttiva 2012/12 ravvisando due distinti diritti a cui, nel caso sottoposto, occorreva tener a riferimento. Da un lato, gli indagati o gli imputati devono, conformemente all’articolo 3 di tale direttiva, essere come minimo informati di determinati diritti procedurali, di cui tale disposizione stila un elenco comprendente il diritto all’assistenza di un avvocato, le condizioni per beneficiare del gratuito patrocinio, il diritto di essere informato dell’accusa, il diritto all’interpretazione e alla traduzione, nonché il diritto al silenzio. Dall’altro, detta direttiva definisce, all’articolo 6, talune norme relative al diritto all’informazione sull’accusa3. Su questo profilo la Corte ha infatti rilevato che, alla luce della formulazione di tali disposizioni, è pacifico, in primo luogo, che all’imputato sono state fornite informazioni sul reato che lo stesso è accusato di aver commesso, in secondo luogo, che egli non è stato arrestato e non è detenuto e, in terzo luogo, che le informazioni sull’accusa che ha ricevuto, in particolare sulla qualificazione giuridica di quest’ultima, gli sono state fornite prima che il merito dell’accusa fosse sottoposto all’esame di un’autorità giudiziaria. Per contro, occorre rilevare che l’art. 6 paragrafo 4 della direttiva 2012/13 risulta essere una disposizione pertinente per quanto riguarda una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale. A termini di tale disposizione, gli Stati membri garantiscono che le persone indagate o imputate siano tempestivamente informate di ogni eventuale modifica alle informazioni fornite a norma dell’art. 6 di tale direttiva, ove ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento. Secondo la giurisprudenza della Corte, la direttiva 2012/13 non disciplina le modalità con cui l’informazione sull’accusa, prevista dal suo articolo 6, deve essere comunicata all’imputato. Tuttavia, tali modalità non possono arrecare pregiudizio all’obiettivo perseguito, in particolare, dallo stesso art. 6, che consiste, come emerge altresì dal considerando 27 di detta direttiva, nel consentire alle persone indagate o imputate per aver commesso un reato di predisporre la propria difesa e nel garantire l’equità del procedimento4.
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Sentenza del 19 dicembre 2018, AREX CZ, C‑414/17, EU:C:2018:1027, punto 34. Sentenza del 15 ottobre 2015, Covaci, C‑216/14, EU:C:2015:686, punti da 54 a 56. Sentenza del 15 ottobre 2015, Covaci, C‑216/14, EU:C:2015:686, punti 62 e 63.
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A tale riguardo, l’esigenza che l’imputato, o il suo avvocato, possa partecipare utilmente al dibattimento nel rispetto del principio del contraddittorio e della parità delle armi, così da far valere la sua posizione in modo effettivo, non esclude che le informazioni relative all’accusa trasmesse alla difesa possano essere oggetto di modifiche ulteriori, segnatamente per quanto riguarda la qualificazione giuridica dei fatti contestati, né che nuovi elementi di prova possano essere inseriti nel fascicolo nel corso della discussione. Siffatte modifiche e siffatti elementi devono tuttavia essere comunicati all’imputato o al suo avvocato in un momento in cui questi ultimi abbiano ancora la possibilità di reagire in modo effettivo, prima della deliberazione. Tale possibilità è del resto contemplata dall’art. 6 paragrafo 4 della direttiva 2012/13, il quale prevede che ogni eventuale modifica alle informazioni fornite a norma di tale articolo che si verifichi durante il procedimento penale deve essere comunicata tempestivamente alla persona indagata o imputata, ove ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento5. In ogni caso, indipendentemente dal momento in cui le informazioni dettagliate sull’accusa sono fornite, all’imputato e al suo difensore, deve essere concesso, segnatamente, nel rispetto del principio del contraddittorio e di parità delle armi, un lasso di tempo sufficiente per prendere conoscenza di tali informazioni, ed essi devono essere posti in grado di predisporre efficacemente la propria difesa, presentare le loro eventuali osservazioni e, se del caso, formulare qualsiasi richiesta, in particolare, istruttoria, che avrebbero diritto di presentare ai sensi del diritto nazionale. Tale necessità impone che la causa sia, se del caso, sospesa e che sia disposto il rinvio di quest’ultima a una data successiva6. A tale riguardo, secondo la giurisprudenza di tale Corte, in materia penale, la precisa e completa informazione delle accuse nei confronti dell’accusato e, quindi, la qualificazione giuridica del fatto che un giudice potrà ritenere a suo carico, sono una condizione essenziale per l’equità del processo7. Se i giudici hanno, quando tale diritto è riconosciuto dalla legge, la possibilità di riqualificare i fatti di cui siano regolarmente investiti, essi devono garantire che gli accusati abbiano avuto la possibilità di esercitare i loro diritti di difesa sul punto in modo concreto ed efficace, venendo informati in tempo utile non solo della causa dell’accusa, cioè dei fatti materiali posti a loro carico e sui quali si fonda l’accusa, ma anche della qualificazione giuridica data a questi fatti, e questo in maniera dettagliata8. Dall’ordinanza di rinvio del tribunale di Brindisi, risulta che la normativa nazionale discussa nel procedimento principale opera una distinzione a seconda che la modifica riguardi i fatti su cui si basa l’imputazione o la qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione. Solo nel caso di modifica riguardante i fatti l’imputato è autorizzato a domandare, nel corso del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta, con contestuale riapertura dei termini di presentazione della relativa istanza. Nel caso di specie, secondo il giudice del rinvio, la circostanza che l’imputato abbia riconosciuto di essere l’autore di un furto di gioielli, circostanza che ha portato alla riqualificazione del reato di «ricettazione» in «furto», ai sensi del diritto nazionale, configura una modifica della qualificazione giuridica dei fatti su cui si basa l’imputazione.
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Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 95. Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 96. 7 Corte EDU, 25 marzo 1999, Pélissier e Sassi c. Francia, CE:ECHR:1999:0325JUD002544494, §§ 52 e 54. 8 Corte EDU, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, CE:ECHR:2007:1211JUD002557504, § 34, e Corte EDU, 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia, CE:ECHR:2018:0222JUD006517309, § 65. 6
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Inammissibilità del patteggiamento in caso di riqualificazione del fatto di reato
Di conseguenza, il diritto dell’imputato di essere tempestivamente informato di ogni eventuale modifica alle informazioni fornite, ove ciò sia necessario per garantire l’equità del procedimento, in applicazione dell’art. 6 paragrafo 4 della direttiva 2012/13, non impone allo Stato membro interessato l’obbligo di concedere a detto imputato il diritto di domandare, dopo l’apertura del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta in caso di modifica della qualificazione giuridica dei fatti che costituiscono oggetto dell’imputazione.
4. Conclusioni. A tal riguardo, la mera circostanza che il diritto nazionale non conceda gli stessi diritti all’imputato per quanto riguarda la possibilità di domandare l’applicazione di una pena su richiesta, a seconda che la modifica riguardi i fatti su cui si basa l’imputazione oppure la qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione, non può costituire, di per sé, una violazione dei diritti della difesa, ai sensi dell’art. 48 paragrafo 2 della Carta, sotto il profilo del diritto degli indagati o degli imputati di essere informati dell’accusa elevata a loro carico. Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla questione dichiarando che l’art. 6 paragrafo 4 della direttiva 2012/13 e l’articolo 48 della Carta devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale l’imputato può domandare, nel corso del dibattimento, l’applicazione di una pena su richiesta nel caso di una modifica dei fatti su cui si basa l’imputazione, e non nel caso di una modifica della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell’imputazione.
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Osservatorio
nazionale
Dieci anni dopo la morte di Eluana Englaro, il Parlamento torna a riformare l’aiuto al suicidio Domenica Loredana Novia Il 18 gennaio 1992, di ritorno da una festa a Lecco, la ventunenne Eluana Englaro perdeva il controllo della sua automobile e, a causa di questo incidente, riportava un gravissimo trauma cranico encefalico con annessa lesione di alcuni tessuti cerebrali corticali e subcorticali, con slivellamento della seconda vertebra, ciò comportava l’immediata tetraparesi a carico degli arti, associata a deficit di sensibilità. Le lesioni cerebrali facevano sì che venisse dichiarato dai medici lo stato vegetativo permanente. Eluana Englaro non era clinicamente morta, ma la sua condizione coincideva con uno stato perpetuo di incoscienza con preclusione di qualsiasi funzione percettiva e cognitiva, altresì, era impossibilitata ad interagire con l’ambiente esterno. Per tali ragioni il padre, nominato tutore dal Tribunale, chiedeva l’autorizzazione alla sospensione dei trattamenti di sostegno vitale, ovvero, la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale. Tale autorizzazione fu più volte negata. “Mai in quella trappola!” aveva detto Eluana quando un suo amico si era trovato a vivere in stato vegetativo a causa di un incidente di auto ed aveva espresso contrarietà verso l’accanimento terapeutico. Ma le dichiarazioni espresse da Eluana furono, in prima battuta, considerate dichiarazioni generiche, rese a terzi con riferimento a fatti accaduti ad altre persone, in un momento di forte emotività quando era molto giovane e si trovava in uno stato di benessere fisico e non nella attualità della malattia. Fu considerata priva di maturità rispetto alle tematiche della vita e della morte e non poteva neppure immaginare la situazione in cui si sarebbe trovata. Alle dichiarazioni di Eluana non fu attribuito il valore di una personale, consapevole ed attuale determinazione volitiva, maturata con assoluta cognizione di causa1. La battaglia del padre (appoggiato dagli esponenti dei Radicali italiani, dalle associazioni Luca Coscioni e Nessuno tocchi Caino) per mettere fine allo stato vegetativo di Eluana, facendo valere la sua volontà, durò ben diciassette anni. Il 9 febbraio 2009, presso la Residenza Sanitaria Assistenziale “La quiete” di Udine, moriva Eluana Englaro2. Nonostante fosse stata emessa una sentenza che lo stabiliva, la Regione Lom-
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N. Comoretto, Testamento biologico e rispetto della dignità umana. Una prospettiva etico-clinica, in «BioLaw Journal» («Rivista di Biodiritto»), 2016, 3, 246. 2 Era la notte del 3 febbraio 2009, alle ore 1:30 Eluana lascia la casa di cura “Beato Luigi Talamoni” di Lecco per raggiungere intorno alle 6:00 la residenza sanitaria assistenziale “La Quiete” di Udine, struttura resasi disponibile per la procedura di sospensione dell’alimentazione artificiale conformemente alle disposizioni contenute nel decreto della Corte di Appello di Milano. La questione bioetica raggiunge qui la sua massima valenza politica: il 6 febbraio, l’équipe medica della clinica udinese comunicava l’avvio della procedura per la progressiva riduzione dell’alimen-
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bardia impedì che fossero sospesi i trattamenti3, pertanto, Beppino Englaro, al fine di vedere soddisfatte le volontà di sua figlia, fu costretto a condurla in Friuli nella struttura sanitaria che si era resa disponibile alla procedura di sospensione dell’alimentazione artificiale conformemente alle disposizioni contenute nel decreto della Corte di Appello di Milano. Lo scontro tra associazioni cattoliche pro-vita da una parte ed il mondo laico dall’altra fu durissimo e testimonianza di ciò furono le immagini della folla che cercava di bloccare l’ambulanza che doveva trasportare Eluana a Udine. In quei lunghi diciassette anni l’opinione pubblica era mutata. Dopo anni di riflessione di bioetica, deontologia e biogiuridica, il 14 dicembre del 2017, il Senato della Repubblica approvava la Legge n. 219 recante Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento nota poi a tutti come Legge sul biotestamento. La legge si compone di otto articoli e mira a disciplinare le modalità di espressione e di revoca, legittimazione, ambito e condizioni del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), di quelle disposizioni con le quali il dichiarante enuncia i propri orientamenti sul “fine vita” nell’ipotesi in cui sopravvenga una perdita irreversibile della capacità di intendere e di volere. La menzionata legge dà rilievo centrale alla tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione dell’individuo nelle scelte terapeutiche. Il diritto alla salute è garantito tanto in senso positivo, come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, tanto in senso negativo, con il riferimento all’art. 13 Cost. e alla libertà personale, come il diritto a non vedersi imposto un trattamento sanitario, compresi la nutrizione e l’idratazione artificiali, inquadrandoli come trattamenti rifiutabili e revocabili, senza il consenso libero
tazione. Quello stesso pomeriggio, il Governo approvava un decreto legge d’urgenza per impedire la sospensione dell’alimentazione artificiale ad Eluana Englaro. L’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, decise di non firmare, alla luce del contenuto palesemente anti costituzionale di quel decreto. Quella stessa sera, il Consiglio dei Ministri approvava un disegno di legge con gli stessi contenuti precedentemente rifiutati, trasmesso al Senato per discussione straordinaria il 9 febbraio 2009, evidenziando una tensione istituzionale tra il Governo e il Capo dello Stato. La battaglia di Eluana terminava il 9 febbraio 2009, alle ore 19:35 venne dichiaro il suo decesso; quel disegno di legge fu ritirato per rimandare a un dibattito più complesso. 3 Il Ministro della Salute, sulla base del parere del Comitato nazionale di bioetica del 30 settembre 2005 e della Convenzione sui diritti dei disabili (ove si sancisce il diritto dell’incapace a godere del miglior stato di salute possibile, compreso il diritto a non subire rifiuti discriminatori di cibo e prestazioni sanitarie), invitava le Regioni e le Province autonome ad adottare i comportamenti idonei al rispetto di tali disposizioni, ossia ad non considerare quali terapie rifiutabili la nutrizione e l’idratazione artificiale. Sulla base di tale direttiva la Regione Lombardia adottava la nota del 3 settembre 2008, con cui la Direzione generale sanità respingeva la richiesta di messa a disposizione, da parte della Regione, di una struttura idonea al distacco del sondino naso-gastrico. Tale atto, tuttavia, veniva annullato dal TAR Lombardia, sez. III, con la sentenza 22 gennaio 2009, n. 214, poiché in contrasto con un provvedimento definitivo del giudice, dettando le indicazioni alle strutture sanitarie per l’esecuzione del provvedimento. Inoltre, proprio la Convenzione sui diritti dei disabili venne richiamata come base giuridica per la sospensione del sostentamento vitale, ché altrimenti un soggetto incapace sarebbe discriminato rispetto a uno capace riguardo al potere di autodeterminazione sulle scelte terapeutiche. Tuttavia, sulla base dell’ottenuto annullamento del provvedimento della Regione Lombardia, il padre di Eluana, con apposito ricorso, chiedeva la condanna della Regione per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivati dagli atti regionali. La condanna, riconosciuta dal T.A.R. Lombardia, sez. III^, con la sentenza 6 aprile 2016, n. 650 trovava definitiva conferma con la decisione del Consiglio di Stato, sez. III, 21 giugno 2017, n. 3058. Con la decisione del Consiglio di Stato si chiuse la coda giudiziaria sopravvissuta alla morte di Eluana Englaro.
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e informato. Per mezzo delle DAT ciascun soggetto maggiorenne e capace di intendere e di volere può fissare le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari per rendere il consenso o il rifiuto rispetto a scelte terapeutiche o a singoli trattamenti, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi. Ma, già all’indomani della sua entrata in vigore, la Legge n. 209/2017, fu considerata per alcuni aspetti settoriale in quanto afferma e disciplina il rilievo dell’autodeterminazione solo in alcune tipologie di casi4. E, in maniera più prepotente, le sue carenze sono emerse grazie al caso di Fabiano Antoniani. Ad oggi, il medico, con il consenso del paziente, in forza della Legge n. 209/2017, integrandola con le previsioni della Legge n. 38/2010 Disposizioni relative l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continuata in associazione con la terapia del dolore per fronteggiare sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari. Tale disposizione non può non riferirsi anche alle sofferenze provocate al paziente dal suo legittimo rifiuto di trattamenti di sostegno vitale, quali la ventilazione, l’idratazione o l’alimentazione artificiali; scelta che innesca un processo di indebolimento delle funzioni organiche il cui esito non può che essere la morte in un tempo non necessariamente rapido. La legislazione oggi in vigore non permette al medico di mettere a disposizione del paziente trattamenti diretti che ne determino la morte. I trattamenti disponibili costringono il paziente a subire un processo lento in ipotesi non corrispondente alla propria visione delle dignità nel morire e carico di sofferenze per le persona che gli sono care5. Le DAT sono, senza ombra di dubbio, un’opportunità faticosamente conquistata, ma è necessaria una maggiore attenzione nel dibattito pubblico, affinché questa risorsa possa essere nota a tutta la popolazione, utilizzata a piene mani dai cittadini per rendere note le proprie volontà, nonché conosciuta a pieno sia dal personale medico-sanitario, che dal personale amministrativo operante presso gli sportelli comunali, preposto alla ricezione di questi documenti. Accanto al problema informativo, quello attuativo: è ancora assente il Registro Nazionale per le Disposizioni anticipate di trattamento DAT. Con la finanziaria 2017 sono infatti stati stanziati 2 milioni di euro per la creazione della Banca dati nazionale dei testamenti biologici che sarebbe dovuta essere operativa entro il 30 giugno 2018, ulteriori 400 mila euro l’anno sono stati stanziati con la finanziaria 2018, eppure della Banca dati ancora non vi è traccia. Al contrario c’è traccia del tentativo di modifica che prevede il deposito nel comune di nascita anziché di residenza e autorizzando solo il medico curante ad estrarre copia delle DAT. Il caso che ha visto protagonisti Fabiano Antoniani e Marco Cappato6 ha riacceso i riflettori sulle questioni di fine vita. Della questione è stata investita anche la Corte costituzionale che,
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O. Di Giovine, Procreazione assistita, aiuto al suicidio e biodiritto in generale: dagli schemi astratti alle valutazioni in concreto, in «Diritto Penale e processo», 2018, 7. 5 In virtù di ciò, Fabiano Antoniani scartava la soluzione dell’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale con contestuale sottoposizione a sedazione profonda proprio perché quest’ultima non gli avrebbe garantito una morte rapida non essendo totalmente dipendente dal respiratore artificiale; la morte sarebbe sopravvenuta solo dopo un periodo di apprezzabile durata quantificabile in giorni e tale modalità di morire veniva reputata non dignitosa. 6 Marco Cappato è imputato per il reato di cui all’art. 580 c.p. per aver rafforzato il proposito suicidiario di Antoniani Fabiano, affetto da tetraplegia e cecità a seguito di incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014, prospettandogli la possibilità di ottenere assistenza al suicidio presso la sede dell’associazione Dignitas, a Plaffikon in Svizzera, e attivandosi per mettere in contatto i familiari di Antoniani con la Dignitas fornendo loro materiale informativo;
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con l’ordinanza n. 207/2018, ha rinviato all’udienza pubblica del 24 settembre 2019 la trattazione della questione di legittimità relativa all’art. 580 c.p. sollevata dalla Corte d’assise di Milano durante il processo a Marco Cappato. Laddove, come nella specie, la soluzione del quesito di legittimità costituzionale coinvolga l’incrocio di valori di primario rilievo, il cui compiuto bilanciamento presuppone, in via diretta ed immediata, scelte che anzitutto il legislatore è abilitato a compiere, la Corte reputa doveroso – in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale – consentire al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, così da evitare, per un verso, che una disposizione continui a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili, ma, al tempo stesso, scongiurare possibili vuoti di tutela di valori, anch’essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale, anche se, il sostanziale ed, invero, eccezionale non liquet della Corte potrebbe indurre a ritenere che all’interno della medesima non si sia raggiunta una maggioranza7. Il provvedimento della Corte costituzionale rappresenta, dunque, il punto di riferimento per l’attività parlamentare in corso. In detta ordinanza la Corte suggerisce l’opportunità di inserire nel contesto della Legge n. 209/2017 una modifica «delle condizioni di attuazione della decisione di taluni pazienti di liberarsi delle proprie sofferenze non solo attraverso una sedazione profonda continua e correlativo rifiuto dei trattamenti di sostegno vitale, ma anche attraverso la somministrazione di un farmaco atto a provocare rapidamente la morte». Il progetto di legge che qui verrà analizzato è il n. 1586, presentato lo scorso 11 febbraio dal deputato Cecconi; detto progetto, a differenza di altri, tiene conto sia dell’innovato contesto normativo, che dell’ordinanza n. 207/2018 della Corte costituzionale. Detto progetto di legge introduce all’art. 1 della Legge. n. 219 del 2017 il comma 5-bis, ai sensi del quale ogni paziente ha la facoltà, in determinate condizioni cliniche, di richiedere il trattamento eutanasico al personale medico in modo da mettere fine alla propria vita. È, inoltre, previsto l’inserimento, nella stessa legge, dell’art. 2-bis prevedendo che le disposizioni degli artt. 575 (omicidio), 579 (omicidio del consenziente), 580 (istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) del codice penale non si applichino al personale sanitario che abbia praticato trattamenti eutanasici, secondo modalità definite. Allo stesso modo, il personale sanitario andrà esente da responsabilità penale ove abbia attuato tecniche di eutanasia, provocando la morte del paziente, nel rispetto delle condizioni previste per le disposizioni anticipate di trattamento eutanasico. La proposta fa esplicito riferimento al solo personale medico “qualificato”, priva, seppur in modo comprensibile, trattandosi di condotte che richie-
inoltre, per aver agevolato il suicidio dell’Antoniani, trasportandolo in auto presso la Dignitas in data 25 febbraio 2017, dove il suicidio si verificava il 27 febbraio 2017. All’udienza del 14 febbraio 2018, la Corte d’assise di Milano pronunciava ordinanza a mezzo della quale disponeva la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ritenendo che non fosse manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o rafforzamento del proposito di suicidio, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 13 comma 1 e 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 2 e 8 della Convenzione Europea Diritti dell’Uomo; nella parte in cui prevede che le condotte di agevolazione dell’esecuzione del suicidio, che non incidano sul processo deliberativo dell’aspirante suicida, siano sanzionabili con la pena della reclusione da 5 a 10 anni, senza distinzione rispetto alle condotte di istigazione, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 13, 25 comma 2 e 27 comma 3 della Costituzione. 7 In tema si rinvia a L. Novia, Caso Cappato: il non liquet della Corte costituzionale. Al Parlamento ogni opportuna riflessione ed iniziativa in materia di fine vita, in «Diritto Penale della Globalizzazione», 2018, 4.
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dono comunque l’intervento di personale sanitario, di qualsiasi richiamo al rilievo scriminante di possibili condotte poste in essere da soggetti terzi rispetto al rapporto terapeutico. Quanto allo stato patologico, in presenza del quale è possibile richiedere l’accesso a tali trattamenti, sul piano definitorio, deve trattarsi di una «malattia che provoca gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi». Così come è stata formulata la proposta, sembrerebbe che i requisiti della inguaribilità e della prognosi infausta inferiore a diciotto mesi, possano non sussistere congiuntamente, aprendo, in tal modo, spazi alla rilevanza di patologie croniche, ma non letali. Il concetto di gravità delle sofferenze, che sembra dovere ad ogni modo accompagnare lo stato patologico di chi formula la richiesta, pur non appiattendosi sul solo profilo della mera percezione soggettiva del paziente, si espone, inoltre, all’obiezione di notevole elasticità. Appare, pertanto, opportuno chiarire quali siano le condizioni legittimanti il trattamento eutanasico, al fine di evitare possibili contrasti interpretativi su un punto decisivo. In merito alla possibilità di rendere dichiarazioni pro futuro in relazione ai trattamenti eutanasici, il progetto di legge in esame interviene inserendo, all’art. 4 della Legge. n. 219/2017, il comma 2-bis8 con la previsione che ogni individuo ha la facoltà di redigere un atto scritto, con firma autenticata, con il quale chiede l’applicazione dell’eutanasia nell’ipotesi in cui egli successivamente venga a trovarsi nell’incapacità di intendere e di volere, nominando un fiduciario. Con riferimento poi al contesto nel quale può essere realizzato il trattamento eutanasico, il progetto di legge in esame, nell’inserire l’art. 5-bis, dispone che il trattamento eutanasico sia effettuato presso strutture pubbliche nel rispetto della dignità del paziente e dei suoi familiari. Pertanto, si prevede che il Ministro della Salute, previa intesa con le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, stabilisca le modalità necessarie a garantire la corretta attuazione della legge in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale e in particolare: a) le modalità e i tempi del sostegno psicologico e sociale da prestare sia al paziente che ai suoi familiari; b) le procedure di attuazione dell’eutanasia, compresi i farmaci utilizzabili; c) i requisiti strutturali minimi delle strutture sanitarie pubbliche idonee a praticare l’eutanasia; d) le modalità di accertamento delle condizioni prescritte per richiedere l’eutanasia. Il progetto di Legge n. 1586 può affermarsi consono alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, trattandosi di sede idonea, da una parte, a mettere in luce i diversi interessi in gioco e, dall’altra, a lanciare un messaggio simbolico, per cui il precetto penale, posto a tutela
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Comma 2-bis. Ogni persona può compilare un atto scritto, con firma autenticata dall’ufficiale di anagrafe del comune di residenza o domicilio, con il quale chiede l’applicazione dell’eutanasia qualora essa successivamente venga a trovarsi nelle condizioni previste dall’art. 3 e sia incapace di intendere e di volere o di manifestare la propria volontà, nominando contemporaneamente, nel modo indicato dall’art. 1, un fiduciario, perché confermi la richiesta, ricorrendone le condizioni. La richiesta di applicazione dell’eutanasia deve essere chiara e inequivoca e non può essere soggetta a condizioni. Essa deve essere accompagnata, a pena di inammissibilità, da un’autodichiarazione, con la quale il richiedente attesta di essersi adeguatamente documentato in ordine ai profili sanitari, etici e umani ad essa relativi. La conferma della richiesta da parte del fiduciario deve, altresì, essere chiara e inequivoca, nonché espressa per scritto. Ove le condizioni previste dal presente comma, unitamente a quelle stabilite dal comma 5-bis dell’ar. 1, siano rispettate, non si applicano al medico e al personale sanitario che hanno attuato tecniche di eutanasia, provocando la morte del paziente, le disposizioni degli artt. 575, 579, 580 e 593 c.p.
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della vita, resterebbe formalmente immutato e un nuovo assetto di diritti e doveri ne escluderebbe l’applicazione solo in peculiari situazioni9. Sul piano della soluzione penalistica, si è indicato, da parte dei giudici costituzionali, un modello di c.d. scriminante procedurale; in altri termini, l’agevolazione al suicidio, prestata dallo stesso soggetto della procedura, viene giustificata alla luce di quanto la procedura medicalizzata ha verificato. Anche se, il progetto di legge esaminato si fonda sulla limitazione, in determinati casi, dell’ambito applicativo delle fattispecie previste nel codice penale, si è in qualche misura optato per una soluzione proceduralizzata che richiama, in rapporto ai requisiti da accertare, l’approccio invocato dalla Corte costituzionale e che può, dunque, reputarsi sufficientemente in linea con le relative indicazioni. Non appare pienamente conforme al dictum della Corte, invece, l’ambito di liceità dell’eutanasia terapeutica, dal momento che dall’ordinanza non si può ricavare alcuna apertura a forme di eutanasia attiva, né al riconoscimento di un inesistente diritto di morire; vi si coglie, piuttosto, la diversa esigenza di valorizzare a pieno la dignità nell’autodeterminazione nelle scelte di fine vita, accompagnata dallo sforzo di circoscrivere la possibilità di aiuto al suicidio a situazioni limite, all’interno di un processo medicalizzato e con opportune cautele e modalità idonee a precludere possibili abusi10. Mancano, altresì, rispetto alle indicazioni fornite dalla Corte, i riferimenti al potenziamento del percorso di cure palliative considerate un pre-requisito della scelta, a una disciplina delle vicende pregresse e alla possibilità di garantire l’obiezione di coscienza al personale sanitario coinvolto nella procedura. Ma qualora la situazione legislativa dovesse restare invariata e qualora la Corte costituzionale decidesse di non dichiarare la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., resterebbe la via “interpretativa”. Il soggetto che decide di togliersi la vita, a fortiori mediante il contributo di un terzo, versa solitamente in una condizione di particolare vulnerabilità, pertanto, potrebbe ritenersi che l’art. 580 c.p. configuri un reato di pericolo presunto, posto a tutela della libertà di autodeterminazione del singolo. Il principio di offensività11, a questo proposito, opera su due piani: quello della previsione normativa (offensività in astratto), sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o, comunque, la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale; quello dell’applicazione giurisprudenziale (offensività in concreto), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato. Qualora si riscontrasse una carenza di offensività in astratto perché, ad esempio, la presunzione di pericolo operata dal legislatore non trovi corrispondenza alcuna nelle regole di comune esperienza, il “rimedio” sarebbe quello della dichiarazione di illegittimità costituzionale della fattispecie; se, per contro, si ritesse che, in ragione delle esigenze di tutela dei soggetti più vulnerabili, l’offensività in astratto dell’art. 580 c.p. possa ritenersi rispettata, spetterà pur
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C. Cupelli, Il cammino parlamentare di riforma dell’aiuto al suicidio. Spunti e prospettive dal caso Cappato, fra Corte costituzionale e ritrosia legislativa, in www.penalecontemporaneo.it, 2019. 10 M.B. Magro, The last dance. Riflessioni a margine del c.d. caso Cappato, in www.penalecontemporaneo.it, 2019. 11 V. Manes, I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di offensività e ragionevolezza, in www.penalecontemporaneo.it, 2012, 1.
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sempre ai giudici ordinari verificare se, di volta in volta, il fatto sia risultato concretamente offensivo. Il difetto di questa previsione è quello per cui, se davvero si ritesse di assumere come premessa una sostanziale messa in discussione del dogma dell’indisponibilità della vita umana per approdare alla tutela della sola libertà di autodeterminazione, si comprometterebbe non tanto la tenuta dell’art. 580 c.p., ma quella dell’art. 579 c.p. Si tratterebbe di conseguenze cui la perdurante vocazione ad un paternalismo di “facciata”, non sembra per ora disposto a concedere spazi, anche solo ipotetici12.
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A. Massaro, Questioni di fine vita: i riflettori tornano ad accendersi con il “caso Cappato”, in «Giurisprudenza Penale Web», 2019, 1-bis - Questioni di fine vita.
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Antiriciclaggio: metodologia e procedure dell’attività di assessment del GAFI. Una sintesi del Mutual evaluation report (MER) sul sistema di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo della Repubblica popolare cinese di Giampaolo Estrafallaces* Fra i compiti del GAFI vi è quello di condurre verifiche periodiche sul sistema antiriciclaggio dei diversi paesi. A tal fine sono state elaborate metodologie e procedure dettagliate. Si tratta di un’attività di primaria importanza, considerati il carattere transnazionale del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo e l’interesse quindi che tutti i paesi collaborino concretamente e si dotino di strumenti robusti. La pubblicazione nel 2012 delle 40 Raccomandazioni ha determinato la necessità di avviare un nuovo ciclo di mutual evaluation; la Repubblica popolare cinese vi è stata sottoposta nel 2018.
Sommario: Parte I: 1. Premessa. – 2. La conformità tecnica: i cosiddetti “criteri”. – 3. L’efficacia. – 3.1 To what extent is the outcome being achieved? – 3.2 What can be done to improve effectiveness? – 4. Le procedure per il FATF fourth round di mutual evaluations. – Parte II: 5. Il Rapporto di mutua valutazione del sistema AML/CTF della Repubblica popolare cinese: una sintesi. – 5.1 Considerazioni preliminari;. – 5.2 Il giudizio degli assessors sulla normativa antiriciclaggio. – 5.3 Alcune considerazioni sulla Financial Intelligence Unit cinese. – 5.4 Il settore finanziario. – 5.5 Designated non-financial businesses and professions (DNFBPs). – 5.6 Le Raccomandazioni 24 e 25 (Trasparenza e titolare effettivo delle persone giuridiche e di negozi giuridici di natura fiduciaria): il giudizio di “non compliant”. – 6. Considerazioni conclusive.
Parte I 1. Premessa. Nel mese di febbraio 2013 il GAFI1 ha pubblicato il documento intitolato Methodology for assessing technical compliance with the FATF Recommendations and the effectiveness of AML/
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Consigliere senior della Banca d’Italia. Le opinioni espresse non impegnano l’Istituto di appartenenza. Il GAFI-FATF (Groupe d’action financière o Financial Action Task Force) è un organismo intergovernativo istituito nel 1989 il cui scopo è la promozione di politiche per il contrasto del riciclaggio, del finanziamento al terro-
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CTF systems2, con la finalità di supportare gli assessors del GAFI nell’attività di valutazione del livello di conformità e di efficacia del sistema antiriciclaggio di un paese rispetto al contenuto delle Raccomandazioni diffuse a febbraio del 2012. Il piano di valutazione delineato nella guida metodologica del GAFI si muove su due distinte direttrici (v. figura 1, Approach for assessment): a) ai fini della valutazione della conformità tecnica (technical compliance) la guida prescrive che si tenga conto dei contenuti delle FATF Recommendations3 in ordine al quadro giuridico, all’assetto istituzionale, ai poteri delle “autorità competenti” 4 e alle modalità con cui tali poteri sono attivabili, fattori che sono considerati dal GAFI come le “fondamenta” del sistema AML/CFT di ogni paese; b) nell’ambito della valutazione di efficacia (effectiveness) si dovrà verificare in che misura, nell’ambito del processo di recepimento delle Raccomandazioni del 2012, un paese sia riuscito a conseguire una serie di risultati (Outcomes) essenziali affinché possa dirsi realizzato un solido sistema antiriciclaggio. Figura 1
rismo e alla proliferazione di armi di distruzione di massa. L’organismo si propone di realizzare strumenti idonei a contrastare l’utilizzo del sistema finanziario per finalità illecite e monitorare, attraverso un processo di valutazione reciproca (mutual evaluation), l’accrescimento dei presidi antiriciclaggio, verificandone l’efficacia nei diversi paesi membri. Il GAFI collabora con gruppi regionali (cosiddetti FATF Style Regional Bodies o FSRBs). I membri del GAFI sono elencati nel sito all’indirizzo: http://www.fatf-gafi.org/countries/#FATF. 2 Consultabile sul sito internet del GAFI all’indirizzo https://www.fatf-gafi.org/media/fatf/documents/methodology/FATF%20Methodology%2022%20Feb%202013.pdf. Il documento è stato oggetto di numerosi aggiornamenti; l’ultimo è del febbraio 2019. 3 Le “nuove” 40 Raccomandazioni del GAFI sono consultabili sul sito del GAFI all’indirizzo http://www.fatf-gafi. org/publications/fatfrecommendations/documents/fatf-recommendations.html. Una traduzione in italiano, a carattere meramente divulgativo, è stata effettuata a cura della Direzione V del Dipartimento del Tesoro (MEF) ed è consultabile sul sito internet www.dt.tesoro.it/prevenzionereatifinanziari. 4 Per Competent authorities il GAFI intende quelle autorità pubbliche preposte alla lotta contro il riciclaggio di denaro e/o contro il finanziamento del terrorismo. In particolare, il concetto include le FIU e le autorità investigative e giudiziarie competenti in materia di riciclaggio di denaro, di reati presupposti, di finanziamento del terrorismo e di sequestro, di congelamento e di confisca dei proventi di reato. Fanno parte delle Competent authorities anche quelle autorità deputate a ricevere le comunicazioni in merito a operazioni di trasporto transfrontaliero di fondi o strumenti negoziabili al portatore (bearer negotiable instruments, BNIs), nonché quelle con compiti di supervisione in ordine al rispetto degli obblighi antiriciclaggio e di contrasto al terrorismo imposti agli intermediari finanziari e agli altri operatori. Non rientrano nel novero delle Competent authorities le associazioni professionali note come Self-regulatory body (SRB); cfr. The FATF Recommendations, Glossary, p. 111.
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Secondo la metodologia elaborata dal GAFI ogni valutazione deve prendere avvio dalla comprensione del contesto generale del paese sottoposto ad assessment, dei rischi specifici che lo caratterizzano. In tale ottica, la prima fase dell’assessment è caratterizzata dalla raccolta e dalla valutazione di informazioni su quelle che nella concezione della guida metodologica sono considerate quattro fondamentali aree di indagine (v. figura 2): 1) natura ed entità del fenomeno del riciclaggio e dei rischi di finanziamento del terrorismo, a partire da quanto emerso dalla autovalutazione condotta da ciascun paese, senza tuttavia che ciò si traduca in una accettazione acritica dei risultati ottenuti5; 2) condizioni del paese (circumstances of the country) sottoposto a verifica in relazione ai diversi fattori presi in considerazione dalle Raccomandazioni, cioè l’importanza, le dimensioni, il livello di integrazione e la composizione del settore finanziario, l’evoluzione dello stesso in termini di tipologia di prodotti finanziari e intermediari; il peso della componente rappresentata dagli operatori non finanziari; l’importanza delle attività transfrontaliere; il peso dell’utilizzo del contante nelle transazioni; la presenza di un’economia informale e/o sommersa; il numero di abitanti, il livello di sviluppo del paese, la presenza di fattori geografici, commerciali o di eventuali legami culturali; 3) elementi ritenuti basilari per un sistema di AML/CFT (structural elements) quali la stabilità politica, il coinvolgimento dei livelli più alti del paese nelle questioni di contrasto del riciclaggio, la presenza di istituzioni stabili e sottoposte a regole di accountability, moralità e trasparenza, la presenza di uno stato di diritto, un sistema giudiziario dotato di competenza, indipendente e efficiente6; 4) altri fattori suscettibili di incidere su un sistema nazionale di AML/CF (other contextual factors) come il livello di sviluppo e avanzamento del sistema di regolamentazione e controllo; il livello di corruzione e l’efficacia delle misure per combatterla; l’eventuale difficoltà di accesso delle persone a prodotti e servizi finanziari necessari a soddisfare le loro normali esigenze.
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«Assessors should use the country’s own assessment(s) of its risks as an initial basis for understanding the risks, but should not uncritically accept a country’s risk assessment as correct, and need not follow all its conclusions», Methodology for assessing technical compliance with the FATF Recommendations and the effectiveness of AML/CTF systems, Introduction, paragraph 7, p. 6 6 Su tale punto, a titolo di esempio, il Mutual evaluation report della Repubblica Popolare Cinese del febbraio 2019 riconosce che «La Cina ha un sistema politico stabile e un articolato assetto istituzionale. La Conferenza ministeriale congiunta antiriciclaggio (AMLJMC), composta dai rappresentanti di 23 diversi dipartimenti governativi, si riunisce regolarmente dal 2002 per dirigere e coordinare l’attuazione del quadro AML/CFT, con l’approvazione dei risultati del suo lavoro da parte del Consiglio di Stato (Governo)» (trad. dell’a.), Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures People’s Republic of China, Mutual Evaluation Report, Chapter 1, ML/TF risk and context, Structural elements, paragraph 59, p. 28.
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Figura 2
2. La conformità tecnica: i cosiddetti “criteri”. Quando la methodology del GAFI utilizza l’espressione technical compliance intende riferirsi al grado in cui un paese ha recepito le indicazioni contenute nelle Raccomandazioni FATF del 2012. La valutazione del grado di technical compliance avviene mediante l’utilizzo per ciascuna Raccomandazione di una lista di “criteri”, ognuno dei quali rappresenta una componente essenziale per la costruzione di un sistema AML/CTF conforme ai contenuti delle Raccomandazioni. Per lo più i criteri sono formulati come affermazioni concettuali che gli assessors devono valutare come realizzate o meno da parte del paese esaminato: a titolo di esempio nel riquadro che segue sono riportati i primi quattro criteri che gli assessors devono prendere in considerazione nell’ambito dell’esame di conformità alla Recommendation 1. OBLIGATIONS AND DECISION FOR COUNTRIES Risk assessment 1.1 Countries should identify and assess the ML/TF risks for the country. 1.2 Countries should designate an authority or mechanism to co-ordinate actions to assess risks. 1.3 Countries should keep the risk assessments up-to-date. 1.4 Countries should have mechanisms to provide information on the results of the risk assessment(s) to all relevant competent authorities and self-regulatory bodies (SRBs), financial institutions and DNFBPs7.
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1.1 I paesi dovrebbero identificare e valutare i rischi nazionali di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
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Per ogni Raccomandazione, i criteri sono numerati in sequenza senza che ciò, tuttavia, stia a significare una priorità o un ordine di importanza. Sarà compito del valutatore, infatti, attribuire maggiore o minore peso al singolo criterio in base al contesto del paese esaminato, tant’è che come la stessa guida metodologica prevede «In alcuni casi, una sola carenza può essere importante al punto di giustificare un rating di non conformità, anche se sono soddisfatti gli altri criteri. Al contrario, una carenza in condizioni di un basso rischio o riferibile a tipologie di attività finanziarie poco diffuse potrebbe avere solo un effetto marginale sul punteggio complessivo per una Raccomandazione»8 (trad. dell’a.). Per contro, una sola carenza potrebbe, talvolta, riverberarsi su più di una Raccomandazione (cascading effect): ad esempio, nel caso in cui il National Risk Assessment (d’ora innanzi “NRA”) fosse giudicato inadeguato si potrebbero conseguentemente ritenere altrettanto inadeguate tutte le misure fondate su quella errata valutazione del rischio, oppure la mancata applicazione della normativa AML/CFT a un particolare tipo di operatore finanziario o non finanziario potrebbe influenzare la valutazione di tutte le Raccomandazioni che si applicano alle istituzioni finanziarie o agli operatori non finanziari. Per ciascuna Raccomandazione i valutatori sono chiamati a esprimere un parere in ordine alla misura in cui un paese è o non è conforme allo standard GAFI. Ci sono quattro possibili livelli di giudizio: compliant, largely compliant, partially compliant, non-compliant, in relazione alle carenze (shortcomings) riscontrate, cioè, in sostanza, al numero e al peso dei criteri soddisfatti o meno (cfr. tav. 1). Grava ovviamente sul paese esaminato l’onere di provare che il proprio sistema antiriciclaggio è conforme e privo di carenze.
Tavola 1
1.2 I paesi dovrebbero individuare un’autorità o una procedura con funzione di coordinamento delle attività di valutazione dei rischi. 1.3 I paesi dovrebbero mantenere aggiornata la loro valutazione dei rischi. 1.4 I paesi dovrebbero dotarsi di procedure per diffondere i risultati della valutazione dei rischi a tutte le autorità competenti, ai competenti organismi di autoregolamentazione, alle istituzioni finanziarie e agli operatori non finanziari. (trad. dell’a.). 8 Methodology cit., paragraph 35, p. 13 Competent authorities.
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Focus
3. L’efficacia. Ai fini della guida metodologica del GAFI per effectiveness deve intendersi «la misura in cui sono stati raggiunti i risultati attesi»9 ossia la capacità di un sistema economico e finanziario di mitigare i rischi e le minacce connesse con il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. In tale ottica l’obiettivo della valutazione di efficacia è quello di consentire l’apprezzamento del complessivo sistema di AML/CFT di un paese e del suo funzionamento. Pertanto rispetto alla valutazione della technical compliance l’approccio è differente, in quanto non viene semplicemente verificato se tutte le indicazioni contenute in una data Raccomandazione siano state adottate, ma i valutatori sono chiamati a esprimere un giudizio sulla misura in cui siano stati colti determinati risultati, cioè se gli obiettivi perseguiti da un sistema di AML/CFT teoricamente in linea con le norme del GAFI vengano effettivamente raggiunti, consentendo in caso contrario al paese sottoposto ad assessment di individuare le misure prioritarie per migliorare il proprio sistema10. Nonostante la differenza di prospettiva, è indubbio che il livello di conformità tecnica di un paese influisca sulla valutazione di effectiveness: la metodologia del GAFI prescrive che i valutatori partano proprio dal profilo di compliance in quanto è probabile che un paese con un basso livello di conformità rispetto alle indicazioni contenute nelle Raccomandazioni del GAFI abbia un sistema di AML/CFT non soddisfacente sotto il profilo della effectiveness. Anzi, secondo l’esperienza del GAFI, di frequente le cause di una scarsa efficacia sarebbero da ricercare nella mancanza di compliance11. Per la valutazione di efficacia il GAFI ha adottato un approccio incentrato su quello che lo stesso organismo internazionale ha definito una “gerarchia di risultati”12. Al livello più alto è posto l’obiettivo concreto da perseguire mediante le diverse misure di AML/CFT, cioè «la protezione del sistema economico e finanziario dalle minacce connesse al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, rafforzando in tal modo l’integrità del settore finanziario e contribuendo alla sicurezza». Una volta fissato tale obiettivo il GAFI ha ritenuto utile, per comprendere il funzionamento complessivo del sistema AML/CTF di un determinato paese e delle sue singole componenti, l’individuazione – in una sorta di progressiva marcia di avvicinamento – di undici risultati immediati (Immediate Outcomes; cfr. tavola 2), intesi come obiettivi chiave che un efficace sistema di AML/CFT dovrebbe raggiungere, e che a loro volta dovrebbero consentire il soddisfacimento di tre risultati cosiddetti intermedi (Intermediate Outcomes) a loro volta rappresentati da:
9
«The extent to which the defined outcomes are achieved», Methodology cit., paragraph 38, p. 15. Anche sotto tale profilo vige la regola secondo cui «is the responsibility of the assessed country to demonstrate that its AML/CFT system is effective»: in sostanza l’onere della prova grava sul paese esaminato, Methodology cit., paragraph 41, p. 15. 11 La stessa Methodology non esclude tuttavia che i valutatori si trovino in situazioni caratterizzate da un basso livello di compliance ma da un certo grado di efficacia del sistema antiriciclaggio per ragioni diverse, ad esempio, da ricercarsi nel basso rischio di riciclaggio che caratterizza il paese, o in specificità di contesto dello stesso o in particolarità legislative o che caratterizzano le istituzioni del paese esaminato; cfr. Methodology cit., Links to technical compliance, paragraph 46, p. 17. 12 «For its assessment of effectiveness, the FATF has adopted an approach focusing on a hierarchy of defined outcomes», Methodology cit., Introduction, The framework for assessing effectiveness, paragraph 42, p. 15. 10
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1) presenza di una policy e di attività di coordinamento e cooperazione finalizzate ad attenuare i rischi connessi con il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo; 2) attitudine del settore finanziario e degli altri destinatari di obblighi antiriciclaggio a impedire l’accesso di proventi illeciti o destinati a sostenere il terrorismo e, comunque, capacità di individuare tali proventi e segnalarli; 3) capacità di individuare le minacce di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, porvi fine, punire i colpevoli e confiscare le relative risorse. Dunque, nella fase di avvio della verifica di effectiveness il focus sarà rappresentato dagli Immediate Outcomes, distinti ma non indipendenti gli uni dagli altri. Al contrario, in molti casi le questioni oggetto di esame nell’ambito di uno specifico Immediate Outcome possono contribuire a comprendere se anche altri Immediate Outcomes siano stati raggiunti. Ciò, secondo la guida metodologica del GAFI, è particolarmente vero con riferimento ai fattori che potrebbero emergere nell’esame degli Immediate Outcomes 1 e 2 e che potrebbero dispiegare effetti positivi o negativi sul grado di raggiungimento di tutti gli altri obiettivi immediati13. TAVOLA 2 High-Level Objective: Financial systems and the broader economy are protected from the threats of money laundering and the financing of terrorism and proliferation, thereby strengthening financial sector integrity and contributing to safety and security. Intermediate Outcomes: Immediate Outcomes: Policy, coordination and cooperation mitigate 1 Money laundering and terrorist financing risks are the money laundering and financing of terrounderstood and, where appropriate, actions coordirism risks. nated domestically to combat money laundering and the financing of terrorism and proliferation 2 International cooperation delivers appropriate information, financial intelligence, and evidence, and facilitates action against criminals and their assets. Proceeds of crime and funds in support of 3 Supervisors appropriately supervise, monitor and terrorism are prevented from entering the firegulate financial institutions and DNFBPs for comnancial and other sectors or are detected and pliance with AML/CFT requirements commensurate reported by these sectors. with their risks. 4 Financial institutions and DNFBPs adequately apply AML/CFT preventive measures commensurate with their risks, and report suspicious transactions. 5 Legal persons and arrangements are prevented from misuse for money laundering or terrorist financing, and information on their beneficial ownership is available to competent authorities without impediments
13
«Therefore, assessors should take into consideration how their findings for Immediate Outcomes 1 and 2 may have a positive or negative impact on the level of effectiveness for other Immediate Outcomes», Methodology cit., Effectiveness, paragraph 58, p. 20.
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Money laundering threats are detected and disrupted, and criminals are sanctioned and deprived of illicit proceeds. Terrorist financing threats are detected and disrupted, terrorists are deprived of resources, and those who finance terrorism are sanctioned, thereby contributing to the prevention of terrorist acts.
6
Financial intelligence and all other relevant information are appropriately used by competent authorities for money laundering and terrorist financing investigations.
7
Money laundering offences and activities are investigated and offenders are prosecuted and subject to effective, proportionate and dissuasive sanctions. 8 Proceeds and instrumentalities of crime are confiscated. 9 Terrorist financing offences and activities are investigated and persons who finance terrorism are prosecuted and subject to effective, proportionate and dissuasive sanctions 10 Terrorists, terrorist organisations and terrorist financiers are prevented from raising, moving and using funds, and from abusing the NPO sector. 11 Persons and entities involved in the proliferation of weapons of mass destruction are prevented from raising, moving and using funds, consistent with the relevant UNSCRs. Tratto da: Methodology for assessing technical compliance with the FATF Recommendations and the effectiveness of AML/CFT system, p. 16.
Come dovranno quindi procedere gli assessors? Per ciascun obiettivo immediato il valutatore dovrà porsi due distinte domande: I) in che misura si può dire che il paese sottoposto a valutazione abbia raggiunto/realizzato il singolo Immediate Outcome? II) Cosa si può fare per migliorare l’efficacia del sistema antiriciclaggio di quel determinato paese?
3.1. To what extent is the outcome being achieved? La guida metodologica raccomanda di adottare un approccio che può definirsi “alto” considerato che gli assessors «should base their conclusions principally on the Core Issues»14. Tali Core Issues si sostanziano, in pratica, in una serie di domande raccolte in una lista predisposta per ciascun Immediate Outcome, cui gli assessors devono inderogabilmente rispondere in modo da poter disporre di una visione d’insieme del grado di efficacia conseguito dal paese sottoposto ad assessment.
14
Methodology cit., Cross-cutting issues, paragraph 17, p. 47.
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Prendiamo in considerazione ad esempio l’Immediate Outcome 1: tale obiettivo immediato viene conseguito quando il paese oggetto di evaluation risulti consapevole dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e (se del caso) abbia posto in essere azioni coordinate per contrastare tali fenomeni. Tra le Raccomandazioni rilevanti per giudicare il livello di efficacia rispetto a tale Immediate Outcome figura la Raccomandazione FATF 1 che stabilisce, tra l’altro, che i diversi paesi procedano a identificare, valutare e comprendere i rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo a cui sono esposti, adottino misure (tra cui l’individuazione di un’autorità o di un meccanismo di coordinamento delle azioni volte alla valutazione dei rischi) e dedichino risorse al fine di assicurare che tali rischi siano efficacemente mitigati. Orbene, il primo dei Core Issues elencati nell’ambito di una specifica scheda in allegato alla methodology15 si sostanzia in una domanda semplice, la cui risposta richiede tuttavia uno sforzo conoscitivo di non poco conto: «How well does the country understand its ML/TF risks?» cioè «Quanto è consapevole il paese esaminato dei propri rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo». A questa domanda ne seguono altre, come quella destinata a indurre i valutatori a formulare un giudizio di coerenza fra le attività e gli obiettivi perseguiti dalle autorità competenti e dalle associazioni di categoria rispetto ai rischi identificati dal self assessment16; oppure sul livello di condivisione dei risultati del risk assessment nazionale con le istituzioni finanziarie e agli operatori non finanziari17. A loro volta le risposte ai Core Issues dovranno essere supportate da due ordini di strumenti: a) Examples of information; b) Examples of specific factors (v. figura 3). Figura 3
15
Methodology cit., Effectiveness assessment, Immediate Outcome 1, Core Issue 1.1, p. 93. «To what extent are the objectives and activities of the competent authorities and SRBs consistent with the evolving national AML/CFT policies and with the ML/TF risks identified?», Methodology cit., Core Issue 1.4, p. 94. 17 «To what extent does the country ensure that respective financial institutions, DNFBPs and other sectors affected by the application of the FATF Standards are aware of the relevant results of the national ML/TF risk assessment(s)?», Methodology cit., Core Issue 1.6, p. 94. 16
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I primi consistono in una elencazione di «information that could support the conclusions on Core Issues», meramente esemplificativa, fatta per ciascuno degli undici Immediate Outcomes per comprendere fino a che punto può dirsi conseguito da un determinato paese uno specifico Outcome e ferma restando la regola generale secondo cui i valutatori per formulare il loro giudizio dovranno utilizzare tutte le informazioni utili. Per esempio, sempre con riferimento all’Immediate Outcome 1, la guida metodologica include fra gli examples of information la documentazione relativa all’autovalutazione nazionale, quanto altro pubblicato o comunicato in termini di strategie, policy antiriciclaggio e in ordine all’attività svolta per sensibilizzare il settore privato e le autorità, compresi, in questi ultimi casi, esempi di istruzioni e orientamenti forniti in seguito al NRA. Con gli examples of specific factors la guida del GAFI fornisce esempi di quegli elementi/ fattori coinvolti nel perseguimento di un determinato Outcome o che potrebbero rappresentare la causa del mancato raggiungimento dell’obiettivo. Per esempio, sempre con riferimento all’Immediate Outcome 1, gli assessors devono prendere contezza a titolo di specific factor dei metodi, degli strumenti e delle informazioni utilizzate per sviluppare, rivedere e valutare le conclusioni dell’assessment nazionale nonché delle informazioni sulla completezza dei dati utilizzati.
3.2. What can be done to improve effectiveness? Una volta effettuate le valutazioni in termini di effectiveness la guida metodologica obbliga gli assessors a fornire “raccomandazioni” circa le misure da adottare per migliorare il sistema AML/CFT del paese oggetto dell’assessment. In sostanza i valutatori, prendendo spunto dalle cause del mancato conseguimento di un elevato livello di efficacia, devono formulare – ove possibile – indicazioni in termini di attività, processi, risorse e infrastrutture per migliorare la capacità del paese valutato di raggiungere lo specifico Outcomes esaminato18. Contrariamente a quanto possa pensarsi, questa parte deve essere considerata vitally important, cioè centrale nell’economia dell’assessment19: i valutatori pertanto non devono limitarsi a comunicare l’esistenza di eventuali carenze, ma devono aggiungere valore alle loro considerazioni attraverso l’individuazione di eventuali misure per attenuare – più efficacemente rispetto a quanto eventualmente emerso – i rischi e indicando la priorità delle misure suggerite. Proprio per agevolare la realizzazione di un concreto piano di azione da parte del paese valutato, la guida chiede che gli assessors distinguano chiaramente i casi in cui viene raccomandata l’adozione di una ben specifica misura da quelli in cui al paese oggetto di valutazione viene consentita una certa flessibilità nella scelta di più opzioni, evitando comunque di fornire indicazioni inutilmente rigide il cui effetto finale potrebbe essere quello di rendere ostico applicare al contesto locale i suggerimenti forniti.
18
«Assessors should understand the reasons why the country may not have reached a high level of effectiveness and, where possible, make recommendations to improve its ability to achieve the specific outcome. They should base their analysis and recommendations on their consideration of the core issues and on the examples of specific factors that could support the conclusions on core issues, including activities, processes, resources and infrastructure», Methodology cit., Using the effectiveness methodology, paragraph 47, p. 18. 19 «Assessors’ recommendations to a country are a vitally important part of the evaluation», Methodology cit., Crosscutting issues, paragraph 64, p. 21.
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Peraltro, la circostanza che il paese esaminato abbia conseguito un alto livello di efficacia non dispensa comunque gli assessors dal fornire suggerimenti: si può infatti ravvisare la necessità di ulteriori interventi per conservare – in un contesto caratterizzato dall’evoluzione dei rischi da fronteggiare – un elevato livello di efficienza. In sostanza la guida metodologica afferma che c’è sempre spazio per i miglioramenti di un sistema antiriciclaggio20. Sebbene venga prescritto che le conclusioni dei valutatori sul livello di effectiveness debbano essere chiare e debbano indicare gli aspetti problematici riscontrati, i punti di forza e di debolezza che sono emersi dall’assessment, e l’eventuale presenza di good practices, il GAFI ha stabilito, per garantire decisioni non solo chiare ma anche comparabili, che il giudizio sia riassunto in forma di rating da attribuirsi per ciascun Immediate Outcome: High level of effectiveness; Substantial level of effectiveness; Moderate level of effectiveness; and Low level of effectiveness (cfr. tavola 3). TAVOLA 3 Rating di efficacia* High level of effectiveness
Il risultato immediato è stato realizzato misura assai ampia. Sono necessari piccoli miglioramenti.
Substantial level of effectiveness
Il risultato immediato è realizzato in larga misura. Sono necessari miglioramenti di moderata entità.
Moderate level of effectiveness
Il risultato immediato è realizzato in una certa misura. Sono necessari miglioramenti di notevole entità.
Low level of effectiveness
Il risultato immediato non è stato conseguito o lo è in misura trascurabile. Sono necessari miglioramenti fondamentali.
Tratto da: Methodology for assessing technical compliance with the FATF Recommendations and the effectiveness of AML/CFT system, p. 21. * Trad. dell’a.
4. Le procedure per il FATF fourth round di mutual evaluations. Lo strumentario a disposizione dei valutatori si è ulteriormente arricchito con la pubblicazione a ottobre 2013 di un documento intitolato Procedures for the FATF fourth round of AML/ CFT mutual evaluations (d’ora innanzi Procedure) destinato a illustrare principi e obiettivi del quarto turno delle valutazioni reciproche21. Dalla lettura di tale documento emerge con ancora maggior chiarezza l’esigenza di un elevato grado di omogeneità dei comportamenti degli assessors. In particolare nelle Procedure il GAFI sottolinea la necessità di assicurare:
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«Even if a country has a high level of effectiveness, this does not imply that there is no further room for improvement. There may also be a need for action in order to sustain a high level of effectiveness in the face of evolving risks. If assessors are able to identify further actions in areas where there is a high degree of effectiveness, then they should also include these in their recommendations», Methodology cit., Recommendations on how to improve the AML/CFT system, paragraph 67, p. 22. 21 Le Procedure sono consultabili sul sito internet http://www.fatf-gafi.org/media/fatf/content/images/4th%20 Round%20Procedures.pdf. Il documento è stato oggetto di numerosi aggiornamenti; l’ultimo è del febbraio 2019.
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a) oggettività, precisione e tempestività ai rapporti di mutual evaluation; b) a level playing field, in modo che i reports siano allineati (coerenti) in termini di rilievi, raccomandazioni e rating; c) trasparenza del processo di valutazione e svolto con le medesime modalità per tutti i paesi; d) pari dignità alle valutazioni dei diversi organismi internazionali (GAFI, FMI, Banca Mondiale, FSRBs), che devono essere di alto livello; e) chiarezza e trasparenza per incoraggiare il miglioramento degli standard, individuare e promuovere prassi che si dimostrino corrette e efficaci, sistemi di gestione degli alert e le aree del settore privato per le quali sia necessaria un’opera di rafforzamento; f) procedure snelle ed efficienti per garantire che non vi siano inutili ritardi o duplicazioni nel processo e un efficace utilizzo delle risorse. Sempre al fine di garantire un elevato livello di omogeneità di comportamenti è stabilito che ogni valutazione si svolga secondo una serie di step temporali descritti nell’Appedix 122 delle Procedure. Solo in casi particolari è consentita una certa flessibilità. Per i profili di technical compliance al paese sottoposto a valutazione viene chiesto di compilare un questionario – contenuto nell’Appendix 323 delle Procedure – che ha la funzione di aiutare il paese a fornire le informazioni rilevanti riguardo al quadro istituzionale, ai rischi e alle informazioni di contesto (cfr. paragrafo 1, n. 4 nel presente articolo) e sulle misure che il paese ha adottato per soddisfare i criteri previsti per ogni Raccomandazione. Insieme con i risultati delle precedenti evaluations il questionario costituisce il punto di partenza per il team dei valutatori. Per la verifica del livello di effectiveness le Procedure prescrivono che almeno quattro mesi prima della verifica in loco il paese oggetto di assessment fornisca – per ciascuno degli 11 Immediate Outcomes – una serie di ulteriori informazioni elencate nell’Appendix 3, insieme a quanto necessario per dimostrare quale sia il livello di efficacia raggiunto dal sistema nazionale di AML / CFT. Uno dei momenti focali del processo di mutual evaluation è la on-site visit che deve essere preceduta dall’esame da parte del team di valutazione di tutta la documentazione disponibile sul livello di conformità tecnica del paese, sui fattori di contesto che caratterizzano il paese in questione e sui suoi rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Fra i supporti documentali le procedure indicano il rapporto prodotto al termine del precedente ciclo di valutazione e gli eventuali rapporti di follow up. In base alla documentazione esaminata i valutatori dovranno indicare se ciascun criterio24 è soddisfatto, o semplicemente conosciuto, soddisfatto solo in parte o non soddisfatto, e specificare le ragioni del loro giudizio25. Come solitamente avviene nel caso di accessi ispettivi, la on-site visit dovrebbe rappresentare la migliore occasione per chiarire eventuali problemi inerenti il sistema AML/CFT del pa-
22
Procedures for the FATF fourth round of AML/CFT mutual evaluations, Appendix I - Timelines for the 4th round mutual evaluation process, p. 29. 23 Procedures cit., Appendix 3 - Questionnaire for technical compliance update, p. 36. 24 Cfr. paragrafo 2 del presente articolo. 25 «The technical compliance annex is drafted by the Secretariat on the basis of a comprehensive prior analysis by the assessors. This requires assessors to indicate if each sub-criterion is met, mostly met, partly met or not met and why», Procedures cit., Desk based review for technical compliance, paragraph 22, p. 8.
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ese26, riesaminare gli 11 Immediate Outcomes e fare luce su eventuali problemi di conformità ancora in sospeso anche mediante incontri con una serie di soggetti elencati a titolo esemplificativo nell’Appendix 2 (Authorities and businesses typically involved for on-site visit). Si tratta tuttavia di un’attività prevalentemente diretta a confermare informazioni già in possesso del team dei valutatori, tant’è che le Procedure prevedono che l’accesso in loco abbia una durata media di dieci giorni, salvo ovviamente eccezioni per i casi di maggiore complessità. Dopo la on-site visit il team degli assessors deve preparare una prima bozza del rapporto da inviare al paese esaminato per eventuali osservazioni o richieste di chiarimenti che possono essere formulate da quest’ultimo entro un mese circa dalla ricezione della bozza. Sulla base delle osservazioni ricevute il gruppo dei valutatori deve preparare una seconda bozza da sottoporre alla revisione di un pool di tre esperti del GAFI appartenenti a paesi diversi da quelli del team che ha effettuato la on-site visit. Infine, il Report andrà discusso in “plenaria”27: tale riunione, secondo la tempistica fissata nelle procedure dovrebbe tenersi – ovviamente dopo le attività di redazione delle diverse bozze del Mutual evaluation report (d’ora innanzi MER), quelle dei revisori, l’eventuale ricezione delle osservazioni e i successivi incontri cosiddetti face-to-face fra gli assessors e i rappresentanti del paese esaminato per chiarire eventuali questioni attinenti la seconda bozza – non prima di 27 settimane dalla conclusione della on-site visit. Mentre è previsto che il MER adottato nella riunione plenaria del GAFI venga pubblicato quanto prima possibile, e comunque entro sei settimane da quando il team di valutazione ha esaminato le eventuali osservazioni formulate in plenaria e dopo la conferma da parte del paese interessato che il report sia esatto e non contenga informazioni incoerenti.
Parte II 5. Il Rapporto di mutua valutazione del sistema AML/CTF della Repubblica popolare cinese: una sintesi. 5.1. Considerazioni preliminari. Il 17 aprile 2019 il GAFI ha pubblicato il MER adottato nel corso della plenaria di febbraio 2019 sul sistema cinese di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo28.
26
«The on-site visit provides the best opportunity to clarify issues relating to the country’s AML/CFT system…», Procedures for the FATF fourth round of AML/CFT mutual evaluations, On-site visit, paragraph 33, p. 10. 27 L’Assemblea Plenaria è l’organo decisionale del GAFI, cui i Gruppi di Lavoro riferiscono; essa rappresenta la sede per la discussione e l’approvazione dei documenti di maggior rilievo, tra cui i rapporti di valutazione dei singoli paesi. 28 La Repubblica popolare cinese è entrata a far parte del GAFI come osservatore a gennaio 2005, divenendone membro a tutti gli effetti nel 2007. La precedente mutual evaluation è stata condotta nel 2007 e il relativo report è disponibile sul sito internet del GAFI all’indirizzo www.fatf-gafi.org/countries/#China. La Cina è anche membro di due FATF Style Regional Bodies, l’Asia/Pacific Group on Money Laundering (APG) e l’Eurasian Group on Combating Money Laundering and Financing of Terrorism (EAG). Maggiori informazioni su tali
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Il rapporto tiene conto di quanto emerso nell’ambito della on-site visit svoltasi a luglio 2018 e dà atto al paese esaminato dei passi intrapresi sin dal 2002 per migliorare la comprensione dei rischi cui è esposto; sottolinea tuttavia l’incompletezza di tale comprensione, che ha ricadute sul processo di implementazione della normativa, specie quella destinata agli intermediari finanziari in materia di preventive measures29. Per i profili di technical compliance rispetto alle 40 Raccomandazioni del GAFI, sono stati attribuiti solo 7 giudizi di piena conformità30, 15 di conformità caratterizzata da lievi carenze31, 12 di conformità solo parziale32 e 6 di non conformità. Con specifico riferimento a questi ultimi, la non conformità della legislazione nazionale cinese è stata rilevata rispetto ai contenuti delle Raccomandazioni: • 7 (Sanzioni finanziarie mirate relative alla proliferazione delle armi di distruzione di massa); • 22 (Attività e professioni non finanziarie designate: adeguata identificazione e verifica del cliente); • 23 (Attività e professioni non finanziarie designate: altre misure); • 24 (Trasparenza e titolare effettivo delle persone giuridiche); • 25 (Trasparenza e titolare effettivo di negozi giuridici di natura fiduciaria); • 28 (Regolamentazione e vigilanza delle attività e delle professioni non finanziarie designate). Sotto l’aspetto dell’efficacia è stato prevalentemente riscontrato un livello pari a low33 o moderate34 e, solo in alcuni casi, quello definito come substantial35, mentre per nessuno degli Immediate Outcome è stato riconosciuto un high level of effectiveness. In particolare il risultato immediato è stato giudicato non conseguito o conseguito in misura trascurabile per quanto riguarda: • le misure preventive36;
organismi sono disponibili, rispettivamente, sui siti internet www.apgml.org e www.eurasiangroup.org. 29 Con l’espressione preventive measures si intendono le disposizioni adottate per adeguare la normativa nazionale alle indicazioni presenti nelle raccomandazioni 9 (Financial institution secrecy laws), 10 (Customer due diligence), 11 (Record keeping), 12 (Politically exposed persons), 13 (Correspondent banking), 14 (Money or value transfer services), 15 (New technologies), 16 (Wire transfers), 17 (Reliance on third parties), 18 (Internal controls and foreign branches and subsidiaries), 19 (Higher-risk countries), 20 (Reporting of suspicious transactions), 21 (Tipping-off and confidentiality), 22 (DNFBPs: Customer due diligence) e 23 (DNFBPs: Other measures). 30 Compliant: Raccomandazioni 2, 4, 9, 11, 19, 30, 31. 31 Largely compliant: Raccomandazioni 1, 5, 10, 13, 14, 17, 20, 21, 27, 32, 33, 36, 37, 39, 40. 32 Partially compliant: Raccomandazioni 3, 6, 8, 12, 15, 16, 18, 26, 29, 34, 35, 38. 33 Giudizio riferibile agli Immediate Outcomes 4, 5, 10, 11. 34 Giudizio riferibile agli Immediate Outcomes 2, 3, 6, 7. 35 Giudizio riferibile agli Immediate Outcomes 1, 8, 9. 36 L’Immediate outcome 4 è pienamente raggiunto quando «Le istituzioni finanziarie e le DNFBP applicano adeguatamente le misure preventive AML / CFT commisurate ai loro rischi e segnalano transazioni sospette» (trad. dell’a.).
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• le persone giuridiche e i legal arrangements37 (negozi giuridici di natura fiduciaria)38; • le misure preventive e le sanzioni finanziarie con specifico riferimento al finanziamento del terrorismo39; • la applicazione delle risoluzioni del United Nations Security Council in materia di armi di distruzione di massa40. Secondo l’NRA svolto nel 201741 le minacce di maggior rilievo per il sistema economico finanziario cinese sono rappresentate: dalle pratiche di raccolta illegale del risparmio42; dai reati di frode, di traffico di droga, di corruzione e concussione; dai reati fiscali43; da quelli di contraffazione di prodotti; dal gioco d’azzardo illegale; dalle frodi informatiche. Secondo le autorità cinesi questi reati sarebbero alla base del 75 per cento circa del totale annuale dei proventi illeciti prodotti in Cina, buona parte dei quali verrebbe trasferita all’estero via Macao o Hong Kong44 tramite underground banking operations(v. infra) per poi essere lentamente rimpatriata. In proposito infatti in sede di NRA le autorità cinesi avrebbero accertato che fra il 2014 e il 2016 sarebbero rientrati in Cina, da circa 90 paesi, 8,64 miliardi di RMB che si stima siano stati trasferiti fuori dai confini nazionali nell’arco dei precedenti 20 anni circa. ***
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«Legal arrangements refers to express trusts or other similar legal arrangements. Examples of other similar arrangements (for AML/CFT purposes) include fiducie, treuhand and fideicomiso», International standards on combating money laundering and the financing of terrorism & proliferation the FAFT Recommendations, General glossary, p. 118. 38 L’Immediate outcome 5 è pienamente raggiunto quando «È impedito l’improprio utilizzo di persone giuridiche e di negozi fiduciari per finalità di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo e le informazioni sul loro titolare effettivo sono a disposizione delle autorità competenti senza ostacoli» (trad. dell’a.). In argomento gli assessors del GAFI hanno sottolineato che: «The abuse of legal persons has also been identified, in the NRA as a method of laundering illicit proceeds», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures People’s Republic of China, Mutual Evaluation Report, Chapter 1, ML/TF Risks and Scoping of Higher-Risk Issues, paragraph 40, p. 23. 39 L’Immediate outcome 10 è pienamente raggiunto quando «Ai terroristi e alle organizzazioni terroristiche vengono impediti la raccolta, il trasferimento e l’utilizzo di fondi e l’utilizzo di organizzazioni non profit» (trad. dell’a.). 40 L’Immediate outcome 11 è pienamente raggiunto quando «Ai soggetti convolti nella proliferazione delle armi di distruzione di massa sono impedite, in linea con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la raccolta, il trasferimento e l’utilizzo di fondi» (trad. dell’a.). 41 Il relativo risultato è stato pubblicato a giugno 2018. Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 7 (ML Investigation and Prosecution), paragraph 176, p. 71. 42 In particolare, la maggior parte dei proventi illeciti (circa il trentanove per cento) sarebbe generata proprio dalla raccolta illegale di fondi, ma solo l’uno per cento dei procedimenti penali per riciclaggio avrebbe ad oggetto condotte legate a tale tipo di reato. Secondo i dati del National risk assessment i prestiti ancora in essere in essere nel 2016 erogati attraverso questo canale ammontavano a circa 816 miliardi di RMB con una crescita del 101 per cento rispetto all’anno precedente. 43 Dal contenuto dell’NRA è emersa una rilevante attenzione delle autorità cinesi per questo tipo di reati, tanto che nell’arco temporale compreso fra il 2013 e il 2017 sono state pronunciate 19.850 sentenze di condanna per tali violazioni, ma solo in 30 sentenze i reati fiscali sono stati considerati reato presupposto di riciclaggio. 44 Riferimenti a tale circostanza sono presenti anche in altri rapporti di mutual evaluation come quello dell’Australia, del Canada e di Singapore.
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Con particolare riferimento al ruolo svolto dall’Italia in qualità di paese mittente, le indagini svolte dalle forze dell’ordine hanno consentito di appurare che il trasferimento di denaro illecito verso la Cina avverrebbe, oltre che mediante bonifici effettuati da società di comodo a fronte di fatture fittizie45, anche tramite l’utilizzo di money transfer e il trasporto fisico assicurato da corrieri che occulterebbero il denaro sulla loro persona o più semplicemente nel bagaglio destinato alla stiva dell’aereo46. Conferme empiriche in tal senso emergono dalle notizie diffuse in seguito agli esiti di alcune operazioni condotte dalla Guardia di Finanza i cui nomi riflettono l’oggetto stesso delle indagini: “Cian Liu” (fiume di denaro) e “Cian Ba” (diga sul fiume). In particolare, con riferimento al primo dei predetti canali (money transfer), uno dei fatti che avevano determinato l’avvio della prima delle citate operazioni era stata l’individuazione, durante un controllo di routine svolto dalle forze dell’ordine a Prato, di un cittadino cinese che si stava recando presso un’agenzia di money transfer portando con sé contanti e assegni per circa 548.000 euro. Le indagini, durate alcuni anni, avevano fatto emergere che il denaro veniva frazionato in molteplici operazioni, all’apparenza rispettose del limite imposto, per le quali figuravano come ordinanti nominativi appartenenti a soggetti estranei e inconsapevoli. Sull’argomento i rappresentanti del Ministero dell’Economia e delle finanze, dopo aver sostenuto nel corso di un’audizione innanzi alla Commissione Finanze (VI) della Camera dei Deputati che in generale uno dei rischi connessi con l’operatività dei money transfer era quello di un possibile utilizzo di tali operatori per finalità di riciclaggio, soggiungevano che «I casi più importanti e noti sono quelli legati alla comunità cinese. I money transfer sono utilizzati per
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In tal senso il comunicato stampa del Comando Provinciale di Roma del 30 gennaio 2018, Riciclaggio internazionale del denaro sporco della comunità cinese, disponibile in internet all’indirizzo http://www.carabinieri.it/cittadino/informazioni/comunicati-stampa/riciclaggio-internazionale-del-denaro-sporco-della-comunit%c3%a0-cinese. Su tale aspetto si è soffermata anche la Direzione Investigativa Antimafia, che nella sua ultima relazione evidenzia: «Il quadro criminale della Capitale si caratterizza anche per la presenza di diverse organizzazioni criminali di matrice straniera, le c.d. mafie etniche, le quali presentano una struttura organizzativa definita e una dimensione transnazionale, atteso che, in molti casi, mantengono legami con i Paesi di origine. In questo panorama, i gruppi cinesi si distinguono per la spiccata capacità imprenditoriale che si realizza anche attraverso la costituzione di società fittizie utilizzate sia per frodare il fisco che per trasferire capitali in Cina. Tali gruppi sono risultati attivi anche nel mercato delle merci contraffatte», Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento, Attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, Gennaio-Giugno 2018, p. 432. 46 Secondo un comunicato recentemente diffuso dalle Fiamme Gialle (disponibile sul relativo sito internet all’indirizzo http://www.gdf.gov.it/eventi/2019/245deg-anniversario-di-fondazione-della-guardia-di-finanza/scheda-allegata-al-comunicato-festa-del-corpo.pdf), «Particolarmente rilevante è stata l’operazione di servizio denominata “MILLEPIEDI”, eseguita dal Gruppo di Palermo, scaturita da controlli in materia di valuta effettuati presso il locale aeroporto “G. Falcone - P. Borsellino”, nel cui contesto venivano svolti mirati accertamenti su una famiglia di etnia cinese che periodicamente effettuava viaggi in partenza dal citato scalo. Nel corso delle attività investigative è stato operato il sequestro per equivalente di disponibilità finanziarie per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro, ed il servizio è terminato con l’applicazione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di una coppia di coniugi esercenti un’attività di commercio di prodotti di abbigliamento, responsabili di dichiarazione infedele, contraffazione, ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio». Secondo alcuni articoli di stampa, tali indagini avrebbero consentito di accertare che alcuni componenti di un nucleo familiare composto da cinesi avrebbero nascosto in occasione di viaggi anche verso la Cina contante per oltre 100.000 euro sulle loro persone o nel bagaglio destinato alla stiva dell’aereo.
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trasferire in madrepatria il corrispettivo di operazioni commerciali illegali (dal punto di vista fiscale, sanitario, della proprietà industriale, di sicurezza). In questi casi il trasferimento di denaro attraverso i money transfer non è casuale o estemporaneo ma è parte necessaria dell’impianto criminoso ed è attentamente pianificato, spesso con l’utilizzo di money transfer che potremmo definire captive, cioè operanti esclusivamente per l’organizzazione criminale»47. Sempre in tema di money transfer, sono stati individuati flussi di rimesse provenienti dal Nord America a favore di soggetti italiani e africani localizzati in Campania, cui hanno fatto seguito invii di rimesse verso la Cina giudicate potenzialmente collegate al fenomeno del commercio di prodotti contraffatti48. In tale contesto, dai dati diffusi dalla FIU per l’Italia emerge, almeno all’apparenza, un’accresciuta attenzione dei money transfer sulle rimesse di contante che hanno destinatari nella Repubblica popolare cinese: nel corso del 2018 si è infatti assistito a un incremento del valore di questa tipologia di operazioni segnalate come sospette, passate da poco più di 1 milione di euro nel 2017 a 2,6 milioni di euro49. Se da un lato tale trend risulta incoraggiante, desta perplessità la flessione del valore complessivo delle rimesse verso la Repubblica popolare cinese (cfr. tavola 4)50, circostanza che induce a ipotizzare che il trasferimento di contante verso la Cina si sia orientato verso canali alternativi rispetto a quelli regolamentati.
TAVOLA 4
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Audizione del Capo della Direzione V del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle finanze, Giuseppe Maresca, sulle tematiche relative ai servizi di money transfer, martedì 12 aprile 2016. Il testo dell’audizione è disponibile sul sito del Ministero dell’Economia e delle finanze all’indirizzo http://www.dt.tesoro.it/export/ sites/sitodt/modules/documenti_it/news/news/Audizione_dr_Maresca_12_04_016.pdf. 48 In tal senso Banca d’Italia - UIF, Rapporto annuale dell’Unità di Informazione Finanziaria, maggio 2018, p. 61. 49 Banca d’Italia - UIF, Quaderni dell’antiriciclaggio, Collana dati statistici. 50 I dati comprendono le transazioni transfrontaliere tra due persone fisiche effettuate tramite un istituto di pagamento o altro intermediario autorizzato, senza transitare su conti di pagamento intestati all’ordinante o al beneficiario (regolamento in denaro contante). Banca d’Italia, Statistiche, Rapporti con l’estero, Rimesse verso l’estero degli immigrati in Italia. Dall’analisi di tali dati emerge che le provincie presso le quali si sono registrate le flessioni più significative sono quelle di Prato (passata da 16,4 milioni di euro nel 2017 a 3 milioni nel 2018), Milano (da 11,6 milioni di euro nel 2017 a circa 800.000 nel 2018) e Napoli (da 9,6 milioni di euro nel 2017 a 3,7 milioni nel 2018).
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La legislazione cinese, che non prevede limiti al trasferimento di contante fra privati, contiene norme precise in materia di trasporto fisico transfrontaliero di contante, risultando largely compliant con il contenuto della Raccomandazione del GAFI numero 32 (Cash couriers)51. La normativa cinese prevede infatti l’obbligo di dichiarare alla dogana il contante al seguito, sia in entrata che in uscita, se di importo superiore a 20.000 RMB (2.907 USD al 24 giugno 2019). In Cina vige anche il divieto di inviare contante tramite posta, mentre l’attività di trasporto di contante sul territorio nazionale tramite vettore è sottoposta a preventiva autorizzazione. Per le valute estere l’obbligo di dichiarazione doganale vige al superamento di un valore pari a 5.000 USD. Tali disposizioni non trovano tuttavia applicazione nel caso di strumenti di pagamento al portatore diversi dal contante espressi in valuta straniera. Per il prelievo di contante da ATM in Cina vigono limiti giornalieri e per transazione che variano da banca a banca, nel quadro della regola generale in base alla quale si può prelevare non più di 2.500 RMB per volta, fino a un massimo di 20.000 RMB al giorno. In sede di NRA è stata giudicata grave anche la minaccia terroristica52: al riguardo la Cina ha rafforzato il proprio quadro regolamentare con l’adozione, il 27 dicembre 2015, di una specifica legge per il contrasto del terrorismo, valutata dagli assessors idonea a intercettare e interrompere i canali di finanziamento del terrorismo53. Se l’entrata in vigore di tale legge ha comportato un aumento dei procedimenti penali e delle conseguenti condanne, gli assessors del GAFI hanno tuttavia comunque riscontrato deficienze di rilievo sul versante delle “sanzioni finanziarie mirate” (targeted financial sanctions)54. In particolare è stato rilevato che le misure di congelamento disposte dalla Peoples’ Bank of China in attuazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1267 del 199955 so-
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«I Paesi devono disporre di misure atte ad individuare il trasporto fisico transfrontaliero di valuta e strumenti di pagamento al portatore, ivi incluso un sistema di dichiarazione e/o notifica. I Paesi devono garantire che le autorità competenti abbiano l’autorità di bloccare o trattenere la valuta o gli strumenti di pagamento al portatore che si sospetti siano connessi al finanziamento del terrorismo, al riciclaggio di denaro o a reati-presupposto, o che siano oggetto di falsa dichiarazione o notifica. I Paesi devono garantire che siano applicabili sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per soggetti che abbiano rilasciato false dichiarazioni o notifiche. Nei casi in cui la valuta o gli strumenti di pagamento al portatore siano connessi al finanziamento del terrorismo, al riciclaggio di denaro o a reati-presupposto, i Paesi devono adottare misure, anche di natura legislativa, in linea con la Raccomandazione 4, che autorizzino la confisca della valuta o degli strumenti in questione». 52 Dal 2011 al 2016, la Cina ha registrato 75 episodi terroristici che hanno causato la morte di oltre 500 persone. Secondo le autorità cinesi la principale area di conflitto è la provincia nord-occidentale dello Xinjiang, ove ha la propria base il Movimento islamico del Turkestan orientale (ETIM), sebbene gli attacchi abbiano interessato tutto il territorio cinese. Si calcola anche che circa 60 persone siano partite ogni anno dalla Cina per partecipare ai combattimenti in Siria e Iraq. 53 La legge, nota come Counter Terrorism Law (CTL) o come People’s Republic of China Anti-Terrorism Act, è entrata in vigore il 1° gennaio 2016. 54 All’argomento, va rammentato per inciso, sono dedicate le Raccomandazioni del GAFI numero 6 (Sanzioni finanziarie mirate relative al terrorismo e al finanziamento del terrorismo) e 7 (Sanzioni finanziarie mirate relative alla proliferazione delle armi di distruzione di massa), in relazione alle quali è stato attribuito un giudizio sostanzialmente negativo: partially compliant per la Raccomandazione 6 e non compliant per la Raccomandazione 7. 55 Come noto le linee strategiche della lotta al finanziamento del terrorismo internazionale sono state delineate dall’ONU nella Convenzione di New York del 9 dicembre 1999 (ratificata tra l’altro dal Parlamento italiano con la legge 14 gennaio 2003, n.7). Tuttavia già qualche mese prima sempre il Consiglio di Sicurezza aveva adottato la
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no lungi dall’essere attuate tempestivamente, in quanto le liste dei nominativi cui applicare le predette misure verrebbero diffuse prima a livello governativo e solo successivamente inoltrate ai soggetti destinatari. Queste considerazioni hanno finito per incidere sul giudizio di mancato conseguimento (low) degli Immediate Outcome 1056 e 1157. Va infine evidenziato che il quadro delineato in sede di NRA offre una visione solo parziale delle problematiche che l’assetto antiriciclaggio della Repubblica popolare cinese deve fronteggiare: gli assessors hanno mosso infatti una serie di rilievi, evidenziando ad esempio, oltre alla mancata analisi dei rischi connessi con alcune componenti del settore degli operatori non finanziari58, l’assenza nell’NRA di una analisi dettagliata dei rischi ML/TF in relazione alle diverse tipologie di persone giuridiche59 (cfr. infra 5.6 Le Raccomandazioni 24 e 25 [Trasparenza e titolare effettivo delle persone giuridiche e di negozi giuridici di natura fiduciaria]: il giudizio di non compliant). Questa sostanziale incompletezza dell’NRA sarebbe da ricondurre anche alla limitatezza delle fonti utilizzate per l’analisi dei rischi: come infatti sottolineato dagli assessors, l’NRA si è principalmente basato sull’analisi di 680.000 sentenze giudiziarie pronunciate tra il 2013 e il 2015, al fine di individuare i reati “presupposto” rappresentativi delle minacce all’economia e all’ordine sociale del paese, mentre sarebbe mancata un’attenzione sufficiente sulle modalità con cui i proventi di tali reati vengono effettivamente riciclati60. Conseguentemente il GAFI ha raccomandato, quale azione correttiva, l’ampliamento delle fonti da consultare per la conduzione dell’NRA, come ad esempio lavori pubblicati su questa materia da autorità accademiche e da organizzazioni internazionali61.
Risoluzione 1267/1999 del 15 ottobre 1999 per l’introduzione della procedura di “congelamento” dei fondi e delle risorse economiche detenuti da persone collegate alla rete terroristica Al-Qaeda, sulla base di una black-list gestita da un apposito comitato (Comitato per le Sanzioni). La Risoluzione 1373/2001 ha poi ampliato la portata della procedura di congelamento prevedendo un generale obbligo di congelamento dei fondi appartenenti a terroristi, a prescindere dalla matrice ideologica o dall’ambito territoriale dell’azione terroristica, rimettendo, a differenza della risoluzione 1267/1999, ai singoli Stati il potere di individuare persone ed entità destinatari delle misure di contrasto al terrorismo. 56 Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 4, Terrorist financing and financing of proliferation, Immediate Outcome 10 (TF Preventive measures and financial sanctions), paragraph 242, p. 101. 57 Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 4, Terrorist financing and financing of proliferation, Immediate Outcome 11 (PF Financial sanctions), paragraph 266, p. 108. 58 «The CSP and DPM sectors are not discussed in the NRA and are unrated», Anti-money laundering and counterterrorist financing measures cit., Chapter 2, National AML/CFT policies and coordination, Immediate Outcome 1 (Risk, Policy and Coordination), paragraph 107, p. 44. 59 «There is no granular understanding of the ML/TF risks of each type of legal person, and the risk classification that has been produced for the purposes of the NRA focuses on control measures related to technical compliance», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Executive Summary, paragraph 29, p. 13. 60 «Authorities in China demonstrated a strong understanding of the contents of the NRA and proceeds generating crimes, the overall understanding of China’s ML risks was demonstrated to be much lower», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 2, National AML/CFT policies and coordination, Immediate Outcome 1 (Risk, Policy and Coordination), paragraph 103, p. 42. 61 «China should expand the information sources relied upon to formulate its NRA to include broader perspectives of the ML/TF threats, vulnerabilities, and risks it faces such as academic and international organizations’ publications
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5.2. Il giudizio degli assessors sulla normativa antiriciclaggio. La regolamentazione cinese dei profili penalistici del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo è stata giudicata “buona”62. I principi generali in materia sono contenuti nella Legge antiriciclaggio del 31 ottobre 2006 (Order of the President of the People’s Public of China No. 56), entrata in vigore il 1° gennaio 2007. Circa l’impianto normativo generale, gli assessors del GAFI hanno constatato tuttavia che l’ordinamento cinese presenta sull’argomento una molteplicità di strumenti giuridici secondari con possibili riflessi negativi in termini di efficacia del sistema63. In particolare, in materia di preventive measures il Mutual evaluation report rimarca che «il team ha esaminato per la valutazione oltre 30 regolamenti AML/CFT oltre a molti altri strumenti giuridici secondari. Questa struttura frammentata determina diversi casi di sovrapposizione e duplicazione…»64. Il reato di riciclaggio è preso in considerazione all’interno di tre distinti articoli della Criminal Law of the People’s Republic of China65: a) nell’articolo 191, che riguarda il riciclaggio di proventi derivanti da specifici reati. Ai sensi di tale disposizione, colui che – pur essendo a conoscenza che i fondi derivano dal traffico di narcotici, o da reati commessi da organizzazioni criminali o da contrabbando – al fine di occultarne la fonte illecita, fornisce servizi contabili, o presta assistenza nella conversione della provvista illecita in denaro contante o strumenti finanziari, o fornisce servizi di trasferimento su conti o servizi di regolamento, oppure presta servizi di trasferimento di fondi all’estero o comunque compie atti diretti a occultare i predetti fondi o la loro origine illecita è punito con la detenzione fino a cinque anni e la confisca dei proventi illeciti. In aggiunta o in alternativa alla pena detentiva può essere previsto il pagamento di una sanzione pecuniaria di ammontare fra il 5 e il 20 per cento del valore della provvista riciclata e dei
on the subject as well as feedback from foreign jurisdictions. This will allow a more balanced understanding of the ML and TF risks faced by China beyond those directly linked to proceeds generating predicate offences», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 2, National AML/CFT policies and coordination, Immediate Outcome 1 (Risk, Policy and Coordination), Key findings and recommended actions, p. 42. 62 «China has a good legal framework with respect to the criminalization of ML and TF, national coordination arrangements, the powers and responsibilities of law enforcement authorities and arrangements for international cooperation», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Executive Summary, Overall Level of Effectiveness and Technical Compliance, paragraph 7, p. 9. 63 Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 1, ML/TF risk and context, Background and Other Contextual Factors, paragraph 60, p. 30. 64 «China’s preventive measures regime is set-out in the AML Law and a vast number of secondary legal instruments, including regulations, notices, administrative measures, opinions, rules, and guidelines. In the process of conducting the assessment, the team reviewed more than 30 AML/CFT regulations in addition to many other secondary legal instruments relevant to the assessment. This fragmented framework results in several instances of overlap and duplication…», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 1, ML/TF risk and context, Background and Other contextual Factors, paragraph 94, p. 35 (Trad. dell’a.). 65 Criminal Law of the People’s Republic of China, Adopted by the Second Session of the Fifth National People’s Congress on July 1, 1979 and amended by the Fifth Session of the Eighth National People’s Congress on March 14, 1997. Il testo in lingua inglese della legge è presente sul sito internet della Missione permanente della Repubblica Popolare Cinese presso le Nazioni Unite all’indirizzo: www.fmprc.gov.cn/ce/cgvienna/eng/dbtyw/jdwt/crimelaw/ t209043.htm.
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guadagni ottenuti. Nei casi giudicati di maggiore gravità la pena detentiva può arrivare fino a dieci anni e la sanzione pecuniaria fino al 20 per cento del riciclato. Nelle ipotesi in cui il riciclaggio sia perpetrato da soggetti non persone fisiche, essi sono tenuti al pagamento della sanzione pecuniaria, mentre i vertici del soggetto non persona fisica e il personale direttamente responsabile del reato sono condannati alla detenzione fino a cinque anni; b) nell’articolo 312, che punisce con la detenzione fino al massimo di tre anni chiunque occulta, trasferisce, acquista o si interpone nella vendita di beni che sa chiaramente66 essere di origine illecita. Anche in questo caso la detenzione può essere accompagnata o sostituita dalla richiesta di pagamento di una multa; c) nell’articolo 349, che punisce coloro che hanno fornito protezione a chi abbia commesso i reati di contrabbando, traffico, trasporto e fabbricazione di narcotici e coloro che nascondono, spostano o dissimulano narcotici e beni di proprietà dei criminali. Tali condotte sono punite con la detenzione fino a un massimo di tre anni, salvo casi di particolare gravità nei quali la detenzione può arrivare fino a dieci anni67. Nella maggior parte dei casi le sentenze di condanna sono state pronunciate ai sensi dell’articolo 312: secondo le informazioni fornite al GAFI, nell’arco temporale compreso fra il 2013 e il 2017 il numero complessivo delle persone condannate ai sensi di tale disposizione ammonterebbe a 49.730, mentre, nello stesso periodo, quelle condannate ai sensi dell’articolo 191 sarebbero state 87; non sono invece stati forniti dati in ordine all’articolo 349, riguardo al quale è stato comunicato solo il numero delle sentenze emesse (103). Ciò, unitamente alla modesta frequenza dei procedimenti penali per riciclaggio, confermerebbe l’opinione manifestata dal GAFI secondo cui, sebbene la strategia ufficiale della Cina sarebbe improntata al principio follow the money, nei fatti gli sforzi si sono concentrati nella repressione del reato presupposto più che del riciclaggio68. In proposito le autorità cinesi hanno spiegato che il numero contenuto dei giudizi per riciclaggio dipenderebbe, in realtà, dalla prassi consolidata nel sistema giudiziario cinese. In base a tale prassi, qualora venga accertato che il riciclatore, ancora prima della consumazione del reato presupposto, è a conoscenza dell’intenzione del criminale di perpetrarlo, egli verrebbe considerato complice, e dunque condannato per il reato presupposto, per il quale è general-
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Riguardo a tale condizione, cui il Mutual evaluation report fa riferimento utilizzando l’espressione obviously knowing, gli assessors del GAFI hanno suggerito un abbassamento della soglia di conoscenza, potendo bastare ai fini della consumazione del riciclaggio anche la circostanza che il soggetto “avrebbe potuto/dovuto conoscere” l’origine illecita della provvista. «Authorities should remove the threshold for the criminalisation of ML (Art. 312) and in addition amend “obviously know” to a lower level of knowledge threshold as an element for the ML offense (e.g., “should have known”; or similar wording as appropriate under Chinese law)», Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Key findings and recommended actions, Immediate Outcome 7, p. 51. 67 Tornando alla tematica delle “duplicazioni normative”, gli stessi assessors del GAFI hanno evidenziato che tali condotte, con la sola eccezione di quella diretta a proteggere i criminali coinvolti nel traffico di droga e al nascondimento della droga stessa, ricadrebbero già nelle previsioni degli articoli 191 e 312. 68 «Officially, China pursues a strategy and investigation ethos of “follow the money;” however, in practice the money is followed to the predicate offence, whereas ML prosecutions occur with modest frequency», Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 7 (ML Investigation and prosecution), paragraph 177, p. 71.
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mente prevista una sanzione più severa. Tale orientamento è sintetizzato dagli assessors del GAFI con l’espressione accomplice strategy69. Infine, l’ordinamento penale cinese non prevede l’autoriciclaggio come autonoma fattispecie penale ma lo considera alla stregua di una aggravante. In conclusione, il GAFI, ribadendo quanto già raccomandato nell’ambito del precedente assessment70, ha sottolineato la necessità di rivedere tale assetto normativo incentrato su tre distinte fattispecie e di prevedere solo due distinti reati: (a) quello di chi riceve beni frutto di furto o di un qualsiasi altro reato presupposto e (b) quello di riciclaggio vero e proprio.
5.3. Alcune considerazioni sulla Financial Intelligence Unit cinese. La Financial Intelligence Unit cinese è collocata presso la People’s Bank of China (d’ora innanzi PBC) e opera mediante tre distinte componenti, note nel loro insieme come China’s FIU arrangement: • il China Anti-Money Laundering Monitoring and Analysis Centre (CAMLMAC)71; • l’Anti-Money Laundering Bureau (AMLB); • le 36 filiali della PBC, presso ciascuna delle quali è istituita una Unità AML. Il CAMLMAC ha il compito di ricevere e analizzare le segnalazioni di operazioni sospette cosiddette “ordinarie” e le LVTRs (large value transaction reports), cioè comunicazioni oggettive contenenti informazioni su transazioni di vario genere trasmesse – a prescindere dalla sussistenza di un sospetto – al superamento di una determinata soglia di importo72. Tale struttura è inoltre competente a ricevere le cosiddette key STRs cioè segnalazioni contenenti riferimenti particolarmente gravi. Esse sono definite come le segnalazioni da effettuare nei casi in cui: (i) la transazione è evidentemente sospetta, oppure (ii) la transazione possa compromettere gravemente la sicurezza nazionale o incidere sulla stabilità sociale, oppure (iii) ricorrano gravi circostanze o emergenze.
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Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 7 (ML Investigation and prosecution), paragraph 194, p. 78. 70 «In line with the existing recommended actions from the previous assessment report…», Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 7 (ML Investigation and prosecution), paragraph 186, p. 75. 71 Al 30 giugno 2017 il CAMLMAC disponeva di 103 addetti. Il CAMLMAC ha sottoscritto il 20 giugno 2017 un protocollo di collaborazione con la FIU per l’Italia. «L’intesa costituisce, per la FIU cinese, una condizione necessaria per lo svolgimento della collaborazione bilaterale. Essa consente di avviare scambi di informazioni di potenziale utilità per la ricostruzione e l’approfondimento di schemi operativi complessi che caratterizzano i flussi finanziari tra l’Italia e la Cina», Banca d’Italia - UIF, Rapporto annuale dell’Unità di Informazione Finanziaria, maggio 2018, p. 111. 72 Vanno comunicate: a) le operazioni in contanti che singolarmente o cumulativamente nell’arco di una giornata siano di importo almeno pari a 50.000 RMB o, se in valuta estera, il cui valore sia almeno di 10.000 USD; b) i trasferimenti di fondi da conti correnti intestati a soggetti diversi da persone fisiche che superino in giornata i 2.000.000 RMB o il valore di 200.000 USD se espressi in valuta estera; c) i trasferimenti di fondi domestici da conti correnti intestati a soggetti persone fisiche che superino in giornata i 500.000 RMB o il valore di 100.000 USD se in valuta estera; d) i trasferimenti di fondi transfrontalieri da conti correnti intestati a persone fisiche di importo giornaliero almeno pari a 200.000 RMB o il valore di 10.000 USD se in valuta estera.
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Le key STRs sono simultaneamente inoltrate dai segnalanti alle filiali provinciali della PBC e al CAMLMAC che svolge la funzione di accentramento di tutte le informazioni presenti nelle segnalazioni “ordinarie”, nelle key STRs e nei large value transaction reports. L’accesso da parte delle filiali provinciali della PBC al patrimonio informativo del CAMLMAC è limitato alle transazioni avvenute nel loro ambito di competenza territoriale, ferma restando la possibilità di accedere a richiesta anche ad altre informazioni73. Per contro, ciascuna delle filiali provinciali è dotata di un data base autonomo nel quale vengono raccolte le informazioni acquisite nel corso dei propri approfondimenti e che non è accessibile né dal CAMLMAC, né dall’AMLB, tantomeno dalle altre filiali74. Il CAMLMAC, nel caso reputi necessario un ulteriore approfondimento, si rivolge alla filiale provinciale competente o all’AMLB75. Quest’ultimo, oltre a svolgere compiti di divulgazione e supervisione, approfondisce le segnalazioni eventualmente assegnategli dal CAMLMAC e svolge la funzione di direzione e coordinamento nei casi di approfondimenti che coinvolgano più filiali provinciali. Oltre a ciò l’AMLB conduce insieme al CAMLMAC analisi congiunte nei casi caratterizzati da maggiore complessità. Il CAMLMAC ha l’obbligo di riferire i risultati delle proprie analisi al Ministry of Public Security (MPS)76. Infine, sia il CAMLMAC che l’AMLB hanno, l’uno indipendentemente dall’altro, il potere di trasmettere i risultati delle loro analisi alle forze dell’ordine. Avuto presente questo approccio, gli assessors del GAFI hanno manifestato preoccupazione circa la capacità della FIU cinese di fungere da centro nazionale per la ricezione e l’analisi delle segnalazioni di operazioni sospette e delle altre informazioni rilevanti e per la disseminazione dei risultati di tali analisi, a causa della presenza di più componenti che operano in larga parte indipendentemente l’una dall’altra77. In ogni caso, il quadro di riferimento non parrebbe del tutto chiaro neanche ai segnalanti: alcuni intermediari finanziari avrebbero infatti dichiarato al gruppo degli assessors del GAFI che essi provvederebbero a inoltrare alle filiali provinciali della PBC una key STR solo quando emerge con certezza un reato presupposto, limitandosi negli altri casi a inoltrare una informativa alle forze dell’ordine sotto forma di whistleblower report. In tal modo viene di fatto sottratta alla China’s FIU arrangement una notevole mole di informazioni finanziarie che potrebbero invece essere poste in connessione con quelle già in possesso della FIU e contribuire quindi a fornire alle forze dell’ordine nuovi spunti per l’attività investigativa78.
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Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Technical compliance annex, Recommendation 29 (Financial Intelligence Units), p. 242. 74 Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 6 (Financial Intelligence ML/TF), paragraph 145, p. 58. 75 Al 30 giugno 2017 l’AMLB disponeva di solo sette addetti. 76 Ministry of Public Security (MPS) è parte integrante del sistema antiriciclaggio cinese in quanto ha il compito di dirigere e coordinare le forze dell’ordine anche nell’azione di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. 77 «…components, which function largely independently from each other and with limited systematic coordination between each other», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures People’s Republic of China, Mutual Evaluation Report, Technical compliance annex, Recommendation 29 (Financial Intelligence Units), p. 242. 78 «While this approach ensures that LEAs have access to suspicious activity identified by reporting entities for incorporation in their investigations, it limits the FIUs’ abilities to establish linkages with other data in its posses-
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Infine, fra i rilievi mossi vi è quello secondo il quale il CAMLMAC non riceve con adeguata tempestività flussi informativi da parte delle autorità doganali. Più precisamente il CAMLMAC (ma non l’AMLB né le 36 filiali provinciali della PBC) ha solo di recente iniziato a ricevere alcune informazioni dalla dogana sul trasporto transfrontaliero – in entrata e in uscita – di valuta nazionale e straniera. Le informazioni rese disponibili dalle autorità doganali al CAMLMAC sono tuttavia parziali, in quanto riguardano solo i casi in cui è stata individuata una violazione delle norme sul trasporto fisico transfrontaliero di rilevante ammontare. Una difficoltà di non secondaria importanza è inoltre rappresentata dalla circostanza che tali informazioni sono conservate dall’autorità doganale su supporto cartaceo. In conclusione, il GAFI ha valutato la normativa della Repubblica popolare cinese come solo partially compliant ai contenuti della Raccomandazione 29 (Financial intelligence units).
5.4. Il settore finanziario. Protagoniste assolute del sistema finanziario cinese sono le banche, considerate dal GAFI «to be highly vulnerable to abuse with respect to ML/TF»79. Una delle caratteristiche del sistema bancario cinese è la grande quantità di filiali estere e di controllate estere: secondo i dati del 2017 le prime cinque banche cinesi disponevano di circa 1.270 overseas branches, rappresentative del 12 per cento circa del loro attivo complessivo, stimato all’epoca in 92,82 trilioni di RMB80. La presenza diffusa, accanto al sistema bancario ufficiale, di operatori che, pur privi di qualunque autorizzazione, offrono servizi bancari anche a livello internazionale – ivi inclusi i pagamenti in contante – rappresenta, insieme al materiale trasferimento di denaro contante all’estero81, il principale canale per riciclare proventi illeciti. Questo genere di operatori, senza essere collusi con il sistema bancario ufficiale, tenderebbe comunque a utilizzarlo per condurre le proprie transazioni. Indicativa dell’ampiezza del fenomeno noto come underground financial sector è l’individuazione nel 2016 da parte delle autorità cinesi di 380 importanti casi di operazioni bancarie clandestine, nonché l’arresto di 800 soggetti sospettati e la chiusura di 500 strutture in cui si svolgevano tali attività; l’anno successivo sono state individuate 468 grandi banche clandestine, sono stati arrestati 892 sospetti criminali e chiusi 1.100 centri clandestini operativi. Sul punto è stato pertanto rilevato come in seguito agli sforzi posti in essere, in particolare dal Ministry of Public Security (MPS), si sia conseguito un netto ridimensionamento del peso dell’underground financial sector82, sebbene le autorità cinesi lo considerino ancora un settore florido.
sion and to produce complete and meaningful financial intelligence that could otherwise assist LEAs in identifying new leads for investigation or support them in their ongoing investigations», Anti-money laundering and counterterrorist financing measures cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 6 (Financial Intelligence ML/TF), paragraph 146, p. 58. 79 Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., ML/TF Risks and Scoping of Higher-Risk Issues, Chapter 1, paragraph 42, p. 23. 80 Al 10 maggio 2019 la BCE registrava il seguente tasso di cambio: 1 YUAN RMB = 0,1305 €. 81 Nel periodo nel periodo 2013-2016, la dogana cinese ha individuato e confiscato sequestrato 510 milioni di RMB, pari a circa 74 milioni di USD. 82 Anti-money laundering and counter-terrorist cit., Chapter 2, National AML/CFT policies and coordination, Immediate Outcome 1 (Risk, Policy and Coordination), Chapter 2, paragraph 115, p. 46.
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Significativamente negativo, anche per il settore finanziario, è il giudizio espresso dal GAFI in tema di misure preventive (v. supra, Immediate Outcome 4, paragrafo 5.1 e nota n. 32). In particolare, a una conoscenza giudicata soddisfacente degli obblighi antiriciclaggio e di contrasto del terrorismo non si accompagna un altrettanto adeguata consapevolezza dei rischi, particolarmente carente nel settore degli operatori che effettuano prestiti online. Con specifico riferimento a tale ultimo aspetto il GAFI ha sottolineato come sul livello di rischio del settore finanziario pesi il moltiplicarsi di piattaforme internet83 per l’effettuazione di prestiti da privato a privato (cosiddetto prestito online P2P”)84 o da parte di online lending companies. Come infatti ravvisato in sede di NRA, l’assenza di una specifica regolamentazione AML nel settore della internet finance fa sì che tali pratiche costituiscano un fattore di vulnerabilità dell’intero sistema85. La citata ridotta consapevolezza dei rischi ha determinato, a parere degli assessors del GAFI, l’adozione di misure di mitigazione non adeguate da parte degli operatori finanziari, sebbene gli stessi assessors abbiano riconosciuto nelle banche una capacità di valutazione dei rischi più sofisticata di quanto in generale rilevato nel settore finanziario86 87. I rilievi di maggiore importanza hanno riguardato: a) una non chiara conoscenza del concetto di beneficial ownership, circostanza riscontrata anche nelle banche88 la maggior parte delle quali – secondo quanto rilevato in sede di NRA – non effettuerebbe alcun controllo di ownership89. In particolare, per identificare il titolare effettivo gli operatori del comparto finanziario si accontenterebbero di una mera dichiarazione rilasciata dal cliente o, nel caso di cliente persona giuridica, si limiterebbero a individuarlo nella persona fisica che detiene il 25 per cento o più del capitale90. Del tutto
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Alla fine del 2016 si contavano 2.448 piattaforme di prestito online con sede, nella maggior parte dei casi, a Guangzhou, Pechino e Shanghai. 84 I prestiti a persone fisiche non possono tuttavia eccedere il limite di 200.000 RMB, quelli ai soggetti diversi da persone fisiche (corporate loans) un milione di RMB. 85 «The NRA considers that the residual vulnerability of the internet finance sector is high», Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 1, ML/TF risk and context, Background and Other contextual Factors, paragraph 91, p. 34. 86 «Banks far more sophisticated than other institutions in identifying, and to certain extent, assessing ML/TF risks», Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 280, p. 115. 87 «In general, FIs did not demonstrate a developed or comprehensive understanding of AML/CFT vulnerabilities, such as determining the aspects of their business that are exposed to these threats and the extent of this exposure», Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 281, p. 115. 88 «The identification of BO is a challenge for FIs, many of which, including banks, did not demonstrate a proper understanding of the concept thereof», Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 291, p. 118. 89 «The NRA report indicates that most banks do not carry out checks of ownership», Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 291, p. 118. 90 Per inciso, al solo fine di meglio inquadrare i termini della questione della identificazione e verifica della beneficial ownership, che rappresenta evidentemente un problema diffuso, va ricordato che gli assessors del GAFI nel Mutual evaluation report pubblicato sul sistema italiano di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, nel rimarcare come uno dei punti di forza dell’assetto antiriciclaggio del settore finanziario italiano fosse
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assente sarebbe l’attività di identificazione del titolare effettivo da parte delle online lending institutions; b) carenze nell’attività di monitoraggio. Quest’ultima infatti avverrebbe sulla base di soluzioni di information technology per l’individuazione di transazioni anomale mediante indicatori giudicati dal GAFI generic or not comprehensive enough91. Nel caso delle società di intermediazione mobiliare è stato riscontrato l’affidamento a soluzioni di carattere “manuale” che comunque non tengono conto dei volumi e dei rischi impliciti in tale specifica attività; c) l’assenza di sistematicità nell’applicare la misura dell’astensione nel caso in cui il processo di adeguata verifica non risulti completato. Tale prassi è stata riscontrata talvolta anche nelle banche che, invece di astenersi, preferiscono applicare limitazioni alla operatività del cliente, o semplicemente rinviano l’attività di adeguata verifica. Sono stati inoltre individuati, anche presso banche, conti anonimi ancora in essere sebbene inattivi; d) l’inefficacia delle misure applicate in materia di politically exposed persons (d’ora innanzi PEPs). In proposito va tenuto presente che, sebbene la corruzione sia annoverata fra le minacce più rilevanti92 per la Cina, la normativa nazionale non prevede misure specifiche di adeguata verifica per i PEPs domestici, tanto che in tema di technical compliance per la Raccomandazione 12 (PEPs) nel Mutual evaluation report si attribuisce un rating di partially compliant, indicando fra i motivi del giudizio che «Financial institutions are not required to implement specific due diligence requirements for domestic PEPs, family members or close associates of domestic PEPs»93. Ciò non ha impedito agli operatori del settore finanziario di considerare i PEPs come soggetti ad alto rischio, sebbene risulti che solo un numero
rappresentato dal corretto svolgimento dell’attività di adeguata verifica, hanno altresì rilevato che tale procedura potrebbe risultare indebolita – in particolare in tema di individuazione del titolare effettivo – qualora dovesse ridursi a una acritica rilevazione di informazioni tratte da registri o rese dal cliente, specie in caso di assetti partecipativi complessi. Inoltre si deve ritenere che, anche per l’Italia, il GAFI abbia lanciato un segnale rilevante affermando che, sebbene siano previste sanzioni a carico dei clienti che rilasciano dichiarazioni false o incomplete in tema di titolarità effettiva, la prassi di fare affidamento assoluto su quanto dichiarato dal cliente è da considerarsi opinabile. «…The practice of placing ultimate reliance on the completeness and accuracy of the self-declaration is questionable», Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 5, Preventive measures, Application of Enhanced or Specific CDD and Recordkeeping Requirements, paragraph 257, p. 84. Infine anche per l’Italia il GAFI ha sottolineato come non vada risolta l’individuazione del titolare effettivo facendo riferimento a una mera soglia partecipativa. Sul punto la Banca d’Italia è intervenuta rimarcando che: (a) vanno identificate come titolari effettivi tutte le persone fisiche che detengano una partecipazione di controllo in una persona giuridica titolare di una partecipazione superiore al 25 per cento nella società cliente; (b) la soglia del 25 per cento più uno del capitale rappresenta solo un caso al ricorrere del quale il controllo è presunto ex lege. Ne discende che i titolari effettivi ben possono essere in numero superiore a quattro ove l’intermediario, all’esito dei controlli effettuati in sede di adeguata verifica del cliente, identifichi in più di quattro persone fisiche i controllanti della persona giuridica cliente. Cfr. https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/ riciclaggio-terrorismo/faq/index.html#faq8761-33. 91 Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 292, p. 119. 92 Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Chapter 1, ML/TF risks and context, ML/TF risks and scoping of higher-risk issues, paragraph 39, p. 22. 93 Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Summary of technical compliance - Key deficiencies, p. 270.
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ristretto di banche si sia dotato di veri e propri sistemi per l’individuazione dei clienti PEP e dei loro family members e close associates94, e che accanto a operatori che utilizzano in tale ambito data base forniti da soggetti specializzati ve ne sono altri che effettuano screening manuali per individuare se un soggetto sia o meno un PEP95. Con riferimento ai PEPs stranieri il giudizio negativo degli assessors ha tenuto conto del fatto che molti operatori finanziari non si impegnano nella individuazione dell’origine dei fondi e del patrimonio del PEP e che non è necessaria l’approvazione del senior management per l’avvio di relazioni della specie; e) il ridotto numero di segnalazioni di operazioni sospette in rapporto alle dimensioni del settore finanziario cinese96. Tale aspetto risentirebbe tanto della insufficiente consapevolezza dei rischi quanto della difficoltà, già in precedenza evidenziata, che gli operatori del comparto finanziario incontrano nel determinare se un’operazione debba essere segnalata come sospetta o come key STR97. In tale contesto di incertezza risulta che, nelle ipotesi in cui non si riesca a individuare con precisione il reato presupposto, solo alcuni operatori inoltrano la segnalazione al CAMLMAC, mentre altri si limitano a inoltrare un’informativa al Ministry of Public Security (MPS) o un whistleblower report direttamente alle forze dell’ordine. La situazione di incertezza sarebbe tale da indurre alcuni operatori, comprese alcune banche, a inviare una segnalazione di operazioni sospette alla competente filiale della PBC e contemporaneamente una informativa al Ministry of Public Security (MPS). Ciò ha indotto gli assessors ad affermare che «esiste chiaramente la necessità di indicazioni per superare l’ambiguità relativa ai presupposti dell’inoltro di una segnalazione di operazioni sospette o una key STR»98; f) la limitata efficacia delle politiche antiriciclaggio “di gruppo”, specie con riferimento alle filiali e alle controllate estere. Da un lato sono emerse difficoltà a acquisire informazioni dalle filiali estere in relazione a legislazioni restrittive dei paesi ospitanti in materia di protezione dei dati. Tali difficoltà sono state talvolta superate mediante accertamenti in loco da parte della casa madre cinese, ma talvolta non è stato adottato alcun rimedio. Dall’altro l’irrogazione di sanzioni nei confronti di filiali o di controllate estere per l’omesso inoltro di segnalazioni di operazioni sospette da parte di autorità dello Stato ospitante indurrebbero a ritenere che alcuni gruppi finanziari cinesi non siano in grado di assicurare standard più
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Sullo specifico argomento del PEPs si veda anche G. Estrafallaces, Il concetto di Persona Politicamente Esposta (PEP): dalle indicazioni del GAFI e dell’Unione Europea al recepimento della IV Direttiva Antiriciclaggio, Diritto Bancario on line, agosto 2017, e R. Razzante, La persona politicamente esposta nella legge antiriciclaggio: lex specialis o errore civilistico?, Rivista Notariato, 2/2019. 95 Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 298, p. 121. 96 Dal Mutual evaluation report si desume che nel 2016, a fronte di oltre 4.300 banche, solo 903 abbiano inoltrato una segnalazione di operazioni sospette. Quanto alla numerosità, nel 2016 le banche hanno trasmesso 5.380.100 segnalazioni (erano 24.497.700 nel 2013) e “solo” 8.391 Key STRs (4.669 nel 2013). 97 Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 310, p. 126. 98 «Therefore, there clearly exists a need for guiding reporting entities to address the ambiguity in the reporting requirements as to whether to file an STR or a key STR» (trad. dell’a.), Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 310, p. 126.
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stringenti ove richiesti dallo Stato ospitante, e quindi non siano efficaci nella gestione del rischio di ML/TF99; g) ritardi nell’inoltro delle segnalazioni di operazioni sospette.
5.5. Designated non-financial businesses and professions (DNFBPs). In Cina il settore degli operatori non finanziari e dei professionisti include circa un milione di agenti immobiliari che operano nell’ambito di circa 130.000 agenzie100, i rivenditori di metalli preziosi (dealers in precious metals, DPM) di cui non si conosce il numero esatto, 325.500 avvocati che prestano la loro attività in circa 26.200 studi legali, 13.175 notai, 105.200 revisori contabili e infine company service providers di cui non è noto il numero. Il giudizio formulato dal GAFI con riferimento a tale settore è sostanzialmente negativo. Gli assessors hanno infatti rilevato, almeno al momento della on-site visit, la sostanziale assenza di una disciplina degli obblighi antiriciclaggio dedicata a tale comparto, e hanno dunque adottato, con riferimento al profilo di technical compliance per le Raccomandazioni 22 (DNFBPs: customer due diligence)101 e 23 (DNFBPs: other measures), giudizi di non compliant. Invero, la normativa che, ai sensi dell’articolo 35 della Legge antiriciclaggio del 31 ottobre 2006 (Order of the President of the People’s Public of China No. 56), è di competenza della PBC è stata emanata ed è entrata in vigore il 26 luglio 2018, nel corso della verifica del GAFI, che tuttavia non l’ha ritenuta all’epoca ancora efficace in quanto emanata senza il previsto apporto collaborativo del Governo come invece prescritto dalla legge. Fanno eccezione le norme specificamente emanate per i rivenditori di metalli preziosi con Comunicazione 218/2017 dalla PBC, che il GAFI ha ritenuto già applicabili, mentre ha segnalato che sono ancora in corso contatti fra la PBC e il Governo per rendere applicabili le normative di settore anche agli altri operatori non finanziari e ai professionisti. Stante tale quadro, non stupisce che il GAFI abbia altresì sottolineato che gli operatori non finanziari e i professionisti non hanno alcuna considerazione dell’esistenza e dell’estensione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo in Cina e non adempiono all’obbligo di astensione se non nei casi in cui manchino i basilari elementi per l’identificazione, mentre non effettuano affatto l’adeguata verifica del titolare effettivo né un’attività di monitoraggio. Per quanto ovvio, in tale contesto il numero delle segnalazioni di operazioni sospette inoltrate da tali operatori è molto modesto: il GAFI ha rilevato solo sei segnalazioni, senza tuttavia precisare l’ampiezza dell’arco temporale preso in considerazione102.
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Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 316, p. 129. 100 I ricavi del comparto ammonterebbero secondo le informazioni fornite al GAFI a circa 15 miliardi di RMB l’anno. 101 «There are serious deficiencies regarding most of the requirements for DPMs. The other categories of DNFBPs are not designated yet and are not subject to CDD requirements», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Technical compliance annex, Recommendation 22 (DNFBPs: customer due diligence), p. 226. 102 «The reporting of suspicious transactions by DNFBPs is very rare: only six STRs submitted so far», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, paragraph 305, p. 123.
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5.6. Le Raccomandazioni 24 e 25 (Trasparenza e titolare effettivo delle persone giuridiche e di negozi giuridici di natura fiduciaria): il giudizio di non compliant.
Già nel corso della precedente mutual evaluation la legislazione cinese era stata giudicata non compliant sotto l’aspetto della trasparenza della beneficial ownership; più precisamente, era stata rilevata l’assenza di qualsiasi disposizione idonea a garantire alle autorità competenti la disponibilità di informazioni adeguate, accurate e tempestive su chi fosse il titolare effettivo delle persone giuridiche e su chi ne detenesse il controllo. Che in generale da allora non siano stati fatti sostanziali passi in avanti lo si comprende da una serie di circostanze quali l’assenza in sede di NRA di valutazioni analitiche sul rischio connesso alle singole tipologie di persone giuridiche103 e la persistente assenza di norme che impongano nella fase di costituzione/registrazione di una società l’obbligo di fornire le informazioni sui propri titolari effettivi. Al riguardo, come previsto dalla Methodology for assessing technical compliance with the FATF Recommendations and the effectiveness of AML/CTF systems, la legislazione nazionale di un paese risulta conforme al contenuto della Raccomandazione 24 non solo quando le informazioni sulla titolarità effettiva di una società siano raccolte e rese disponibili in un dato luogo, ad esempio tramite un registro delle imprese, ma anche quando l’autorità competente possa ottenere tempestivamente tali informazioni dagli operatori finanziari o non finanziari sottoposti alla normativa antiriciclaggio che a loro volta le abbiano acquisite nell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica in conformità alle Raccomandazioni del GAFI numero 10 e 22104. In proposito gli assessors hanno rilevato che, sebbene la normativa cinese imponga agli operatori finanziari di adottare ragionevoli misure per l’individuazione del titolare effettivo105, nessuna disposizione impone la tempestività di tale adempimento106, e inoltre non è previsto alcun obbligo di disclosure nel caso di soggetto che operi a titolo di interposta persona. Le debolezze rilevate si riflettono a parere del GAFI anche sulla qualità della collaborazione fornita in materia ad altre FIU dal CAMLMAC, collaborazione che risulta limitata in quanto ha
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«The 2017 NRA contains insufficiently detailed information regarding ML/TF risks associated with all types of legal persons created or registered in China to be able to conclude that a comprehensive risk assessment had taken place», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Technical compliance annex, Recommendation 24, Transparency and beneficial Ownership of Legal Persons, Criterion 24.2, p. 228. 104 Methodology cit., Technical Compliance Assessment, Recommendation 24, Beneficial Ownership Information, Criterion 24.6, p. 66. Per inciso, va sottolineato che se con riferimento alla Raccomandazione 10 (Customer due diligence) è stato formulato il giudizio di largely compliant, riguardo alla Raccomandazione 22 (DNFBPs Customer due diligence) la legislazione cinese ha conseguito un giudizio di non compliant. Cfr. supra il paragrafo 5.5 Designated non-financial businesses and professions (DNFBPs). 105 La normativa prevede che le informazioni acquisite nell’ambito dell’attività di adeguata verifica siano conservate per cinque anni dopo la fine della relazione commerciale. 106 Gli stessi assessors rilevano, tuttavia, la limitatezza di questo sistema, laddove evidenziano che: «No beneficial ownership information would be available on companies (or specific entities that are part of larger legal structures) or other types of legal entities that are not a customer of a financial institution in China», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Technical compliance annex, Recommendation 24, Transparency and beneficial Ownership of Legal Persons, Criterion 24.6, p. 229.
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ad oggetto solo informazioni già eventualmente in possesso del CAMLMAC, senza alcun obbligo per quest’ultimo di attivarsi per ottenerne altre107. Con specifico riferimento ai trust, gli assessors hanno rilevato che all’atto dell’istituzione non è richiesta l’identificazione del disponente e, sebbene non vi sia alcuna norma che vieti al trustee di rivelare il proprio status, per contro non vi è neanche alcun obbligo per il trustee di comunicare agli operatori finanziari e ai professionisti che sta operando in tale veste. Infine la normativa cinese non contempla la specifica responsabilità del trustee per la mancata osservanza degli obblighi antiriciclaggio, né sanzioni proporzionate e dissuasive per non aver messo tempestivamente a disposizione delle autorità competenti le informazioni sul trust (disponente, trustee, beneficiari, ecc.)108.
6. Considerazioni conclusive. Dal quadro che il GAFI ha delineato applicando le proprie regole metodologiche emerge che il sistema cinese di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, quasi esclusivamente focalizzato sul sistema finanziario, presenta carenze rilevanti. Una delle ragioni va individuata in una visione complessiva dei rischi da parte della PBC giudicata inadeguata109 pur avendo conseguito un giudizio non totalmente negativo con riferimento all’Immediate Outcome 1, che viene soddisfatto quando «Money laundering and terrorist financing risks are understood…» (cfr. supra tav. 2). Sotto il profilo normativo, dai riferimenti degli assessors del GAFI si coglie un quadro caratterizzato da un elevato livello di superfetazione legislativa. Con riferimento agli obblighi segnaletici sarebbe necessaria maggiore chiarezza in merito ai presupposti delle diverse tipologie di segnalazioni (STRs e Key STRs). Dovrebbe essere potenziato il sistema di accentramento delle informazioni presso il CAMLMAC, evitando in tal modo la dispersione di informazioni importanti per le indagini110. La mancanza di un effettivo coinvolgimento degli operatori non finanziari (DNFBPs)111 rappresenta un fattore di vulnerabilità di primaria importanza.
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«If beneficial ownership information was collected as part of CDD then it can be exchanged by the PBC with foreign counterparts (AML Law, Art. 23), also through regular MLA requests, but only information that is already available to the FIU, not if it is information that is available to the FIU on request only», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Criterion 24.14, p. 230. 108 Anti-money laundering and counter-terrorist financing cit., Recommendation 25, Transparency and beneficial Ownership of Legal Arrangements, Criterion 25.7 and 25.8, p. 231. 109 «The PBC has an inadequate understanding of risks overall», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Executive Summary, Key findings, lett. g, paragraph 1, p. 6. 110 «China’s FIU arrangement does not fully qualify as a national centre for the receipt and analysis of STRs and other information relevant to ML, associated predicate offences and TF; and for the dissemination of the results of that analysis», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Summary of Technical Compliance – Key Deficiencies, p. 273. 111 «DNFBPs do not implement programs against ML/TF. This is mainly due to the lack of regulatory requirements», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures cit., Chapter 5, Preventive Measures, Immediate Outcome 4, lett. g, paragraph 317, p. 129.
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Ancora maggiore risulta il rischio connesso alle carenze attinenti ai profili di adeguata verifica del titolare effettivo delle persone giuridiche e di negozi giuridici di natura fiduciaria. Va rilevato, infine, che i giudizi non positivi sotto il profilo di technical compliance riguardano Raccomandazioni prese in considerazione ai fini delle valutazioni dell’International Cooperation Review Group (ICRG), un gruppo di supervisori del GAFI chiamato a svolgere un’attività di monitoraggio per individuare le minacce, le vulnerabilità o i rischi eventualmente derivanti da una specifica giurisdizione ai fini della formulazione di dichiarazioni di «Public Statement» e «Improving Global AML/CFT Compliance: On-going Process»112. In particolare, fra i casi in cui un paese viene sottoposto a valutazione dell’International Cooperation Review Group (ICRG), vi è quello in cui, in seguito alla mutual evaluation, abbia ottenuto risultati insoddisfacenti («poor»), circostanza che si verifica, tra l’altro, quando la giurisdizione sottoposta ad assessment ha conseguito un giudizio «non compliant» o «partially compliant» su tre o più delle Raccomandazioni 3, 5, 6, 10, 11 e 20113, cioè su quelle per le quali la Cina, ad eccezione della Raccomandazione 11, ha ottenuto giudizi negativi. Ciò rafforza l’opinione in ordine alla necessità di sostanziali e urgenti miglioramenti del sistema AML/CFT cinese, in attesa dei quali sarebbe opportuna una riflessione circa l’eventuale applicazione da parte dei destinatari della normativa antiriciclaggio italiana di proporzionate misure di rafforzamento (con particolare riferimento ai profili attinenti alla identificazione del titolare effettivo) nel caso di operazioni o rapporti con controparti e clienti che operino con soggetti sottoposti alla giurisdizione della Repubblica popolare cinese.
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Queste due forme di «Public Identification» riflettono i diversi livelli di rischio rilevati: • nel caso di «Public Statement», si tratta di paesi che presentano carenze strategiche per le quali sono state previste delle “contromisure” o che non hanno compiuto progressi sufficienti o non si sono impegnate in un «action plan» già concordato con il GAFI. Il «Public Statement» in tutti questi casi si sostanzia in un invito a tutti gli altri paesi a prendere atto dei rischi derivanti dalle carenze associate a ciascuna delle giurisdizioni citate e ad applicare, conseguentemente, misure rafforzate di adeguata verifica o, a seconda dei casi, applicare «contromisure» che possono consistere in specifiche misure di rafforzamento dell’adeguata verifica, o nell’obbligo di segnalare sistematicamente le operazioni che coinvolgono il paese oggetto di «Public Statement», o in una serie di limitazioni e divieti ad operare con quel paese; • i paesi compresi nell’elenco «Improving Global AML/CFT Compliance: On-going Process» sono paesi per i quali sono state rilevate debolezze strategiche («strategic weaknesses») ma che hanno fornito un impegno ad alto livello per la realizzazione di un «action plan» concordato con il GAFI. In questi casi il GAFI incoraggia i propri membri a tener conto delle carenze strategiche identificate per queste giurisdizioni e se uno dei paesi inclusi in tale elenco non dimostrasse sufficiente impegno nel superamento delle carenze il GAFI, per proteggere il sistema finanziario internazionale, lo includerebbe fra quelli oggetto di «Public Statement». 113 Si tratta, rispettivamente, delle Raccomandazioni in tema di reato di riciclaggio, reato di finanziamento del terrorismo, sanzioni finanziarie mirate relative al terrorismo e al finanziamento del terrorismo, adeguata verifica, registrazione e conservazione dei dati e segnalazione di operazioni sospette.
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