Familia 6/2018

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2018 6 Familia

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ISSN 1592-9930

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Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa

Rivista bimestrale

novembre - dicembre 2018

Diretta da Salvatore Patti Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Maria Giovanna Cubeddu, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda

www.rivistafamilia.it

IN EVIDENZA  Prospettive di riforma dell’affidamento condiviso Tommaso Auletta

 I rapporti personali nelle relazioni di coppia dopo la stagione delle riforme Massimo Paradiso

 I regimi patrimoniali delle coppie

internazionali sposate o registrate in

Europa:

i regolamenti gemelli

Ascensión Martín Huertas e Ubaldo Greco

Pacini



Indice Parte I Dottrina Tommaso Auletta, Prospettive di riforma dell’affidamento condiviso.................................................... p. 581 Gilda Ferrando, Matrimonio civile e matrimonio sacramento................................................................» 599 Massimo Paradiso, I rapporti personali nelle relazioni di coppia dopo la stagione delle riforme...........» 613 Ascensión Martín Huertas e Ubaldo Greco, I regimi patrimoniali delle coppie internazionali sposate o registrate in Europa: i regolamenti gemelli...........................................................................................» 631 Francesca Pietrafesa, La rinuncia al diritto di reintegrazione della quota di riserva da parte del legittimario minorenne.............................................................................................................................» 665 Parte II Giurisprudenza Cass. civ., sez. II, ord. 24 ottobre 2018, n. 26981 (con nota di Raffaele Picaro, Beni personali dei coniugi ed acquisti per surrogazione. La Suprema Corte al cospetto dell’utilizzo del denaro non tracciato)...................................................................................................................................................» 681

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Prospettive di riforma dell’affidamento condiviso Sommario : 1. Il panorama generale delle iniziative parlamentari in corso. – 2. Ragioni, obbiettivi, struttura dei DDL. – 3. Le misure principali proposte. – 4. Riflessioni sulle soluzioni adottate.

This paper analyses the key elements of some legislative proposals regarding parent-child relationship in the context of a marital breakdown. Such proposals aim to introduce a compulsory family mediation process, and to abolish the right to use the matrimonial home free of charge and the current fault-based effects of the separation. They also envisage that maintenance must be provided directly to the child, with the relevant right ceasing when the child reaches twenty-five years of age. Moreover, they seek to modify the rules relating to shared custody, establishing that its objectives could only be achieved by allowing equivalent cohabitation times between each parent and the child. The author remarks the positive and negative consequences (with the latter being considered as prevailing over the former) of the draft legislation.

1. Il panorama generale delle iniziative parlamentari in corso. Nella corrente legislatura, come in quella precedente, è in corso un’intensa attività parlamentare volta ad introdurre significative modifiche alla disciplina della crisi familiare, con particolare riguardo ai rapporti tra genitori e figli e, segnatamente, al c.d. affidamento condiviso. Tale è l’obiettivo principale che intendono perseguire alcune forze politiche – in un quadro più generale volto a stemperare la conflittualità tra coniugi al profilarsi della

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crisi – con la presentazione di quattro disegni di legge (nn. 45, 118, 735, 768)1 il cui esame congiunto è attualmente in corso in Senato e di un DDL (n. 269) presentato alla Camera dei Deputati2. Individuate le ragioni su cui si fondano tali iniziative e tracciato un quadro generale delle regole che esse introducono, si intende verificarne l’efficacia, in vista di un miglioramento della vigente disciplina. Maggiore attenzione verrà riservata peraltro al DDL n. 735 (primo firmatario Pillon) sia per il suo ampio articolato volto ad incidere su svariati aspetti della materia trattata sia perché ne sono co-firmatari alcuni senatori appartenenti alle forze politiche che sostengono il governo (Lega e Movimento 5 stelle) accrescendone le possibilità di approvazione. Esito peraltro non scontato – almeno a dare credito ad alcune dichiarazioni di componenti della maggioranza, riportate dagli organi di informazione – verosimilmente in ragione delle numerose, circostanziate ed incisive critiche mosse da molti studiosi ed operatori del diritto anche attraverso le Associazioni che li rappresentano. Sembrerebbe dunque prevalere l’idea che il testo vada quantomeno profondamente riformato se non del tutto abbandonato.

2. Ragioni, obbiettivi, struttura dei DDL. Le principali ragioni poste a fondamento delle iniziative parlamentari menzionate vengono espressamente indicate nelle relazioni introduttive ai rispettivi DDL e tendono essenzialmente a realizzare “un’inversione di rotta” riguardo alle modalità di applicazione dell’affidamento condiviso rivelatosi – si sostiene – un fallimento (sono le parole della relazione introduttiva al DDL Pillon). Dalle espressioni usate è facile dedurre che si individua nell’attuazione concreta, frequentemente proposta dai magistrati, la responsabilità principale di tale fallimento, perché optano “per la soluzione bi-genitoriale nella forma e per quella mono-genitoriale nella sostanza … svuotandola al contempo dei suoi essenziali requisiti” (DDL Galloni), a differenza di quanto accade in altri Stati. La ratio posta a fondamento della legge 54/2006 sarebbe stata dunque tradita, di qui l’urgenza di un nuovo intervento normativo, anche su pressante sollecitazione di una parte della società civile3, per introdurre regole più chiare e stringenti volte a realizzare una bi-genitorialità “effettiva” in vista della tutela del prevalente interesse del minore. Detta bi-genitorialità si realizzerebbe solo assicurando la permanenza del minore, in misura sostanzialmente paritetica, con ciascuno dei genitori, attribuendo loro i medesimi

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DDL n. 45, primo firmatario De Poli (Forza Italia); anche unico firmatario del DDL n.118; DDL 735 (primo firmatario Pillon); DDL n. 768 primo firmatario Gallone (Forza Italia). 2 Primo firmatario Molteni (Lega). 3 In realtà, si intuisce dalla relazione introduttiva al DDL Molteni, con l’intento di dare ascolto ai rilievi critici, provenienti soprattutto dai padri e dalle associazioni che li rappresentano, scontenti delle modalità di applicazione giudiziale della legge.

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poteri e prevedendo analoghe modalità di adempimento dei doveri (in particolare del dovere di mantenimento). Si ritiene inoltre necessario ridurre ulteriormente, rispetto alla situazione attuale, lo spazio riservato all’affidamento esclusivo4. Sono introdotte inoltre misure particolari per assicurare maggiore rilevanza all’interesse dei nonni e di altri parenti alla frequentazione del minore (o del maggiorenne diversamente abile ad esso del tutto equiparato). Altro obiettivo perseguito, in un quadro di favore verso la degiurisdizionalizzazione delle controversie5, è quello di ampliare l’autonomia dei genitori, riservando al giudice un ruolo residuale volto a verificarne la conformità delle scelte all’interesse del minore; di stemperarne il conflitto favorendo il ricorso a terzi imparziali che si adoperino per il raggiungimento dell’accordo (il mediatore familiare ed il coordinatore genitoriale). Sono infine introdotte sanzioni più pesanti nei confronti del genitore che frapponga (anche solo presuntivamente) ostacoli al perseguimento degli obiettivi previsti dalle norme o violi le regole di esercizio della responsabilità parentale. Si approfitta, inoltre, del contesto normativo generale per introdurre regole riguardanti il rapporto genitori-figli anche al di fuori della crisi o al rapporto fra coniugi in situazioni in cui non sono necessariamente in gioco interessi dei figli stessi. Sul piano strutturale, come si è detto, il progetto più articolato è il n. 735 (Pillon) il quale dedica una prima parte alla mediazione familiare ed alla figura del coordinatore genitoriale (artt. 1-5), introducendo poi (artt. 6-10) modifiche alle disposizioni del codice di rito relative alla separazione (artt. 178, 706, 708, 709, 711). Mediante un terzo gruppo di norme (artt. 11-18) si riscrive la disciplina del codice civile sull’affidamento dei figli (artt. 337 ter-337 octies cc.) e sugli ordini di protezione (titolo IX bis), mentre gli ultimi articoli, in (dis)ordine sparso, incidono su norme del codice civile (art. 151), penale (art. 570) e della legge sul divorzio (l’art. 4). Non dissimili (anche se più circoscritti) sono gli interventi previsti dagli altri DDL, i quali intendono introdurre modifiche anche ad altre norme del codice civile ed in particolare gli artt. 45 (determinazione del domicilio del minore), 145 (per dirimere il disaccordo fra i coniugi in merito alle decisioni riguardanti i figli), 316 (sulla responsabilità genitoriale), 317 bis (sui rapporti con gli ascendenti), 336 bis (con riferimento all’ascolto del minore)6. Il DDL n 45 (De Poli) contiene più ampie modifiche al codice penale (non limitate all’art. 570 ma riguardanti anche agli artt. 368 e 572).

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Il quale già costituisce soluzione di ripiego per la cui adozione occorre espressa motivazione: v. in tal senso ad es., Cass., 8 febbraio 2012, n. 1777. La giurisprudenza suole affermare infatti che per disporre l’affidamento esclusivo non è più sufficiente, come nel passato, un giudizio positivo sulla idoneità dell’affidatario ma occorre formulare anche un giudizio da cui risulti l’inidoneità o carenza educativa dell’altro genitore: v. ex multis, Trib. Catania, 20 maggio 2016, in Banca dati De Jure; Trib. Treviso, 29 gennaio 2016, in Banca dati Pluris; Trib. Milano, 11 giugno 2012, in Banca dati Pluris. 5 In quanto, precisa la relazione introduttiva al DDL Pillon, la radicalizzazione del conflitto finisce con l’essere pagata a caro prezzo dai minori coinvolti nel giudizio. 6 Tali modifiche sono previste dal DDL n. 768 (Gallone) ad eccezione di quella riguardante l’art. 145, contemplata dal DDL n. 45. Una previsione di modifica dell’art. 317 bis è contenuta anche nel DDL n. 269 (Molteni).

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In un quadro così ampio e variegato, sembra opportuno concentrare soprattutto l’attenzione sulle novità riguardanti il diritto civile.

3. Le principali misure proposte. Come accennato, si individua innanzitutto nella mediazione familiare (i cui costi sono a carico delle parti) l’istituto volto a tutelare l’interesse dei figli in vista della risoluzione del conflitto fra i coniugi7. Il DDL Pillon ne traccia i caratteri fondamentali, introducendone l’obbligatorietà in presenza di prole minorenne8. Infatti in tale situazione, ad eccezione del caso in cui venga avanzata domanda consensuale di risoluzione della crisi, i coniugi che intendano separarsi o divorziare devono intraprendere, a pena di improcedibilità, un percorso di mediazione familiare in vista del raggiungimento di un accordo anche al fine di redigere il “piano genitoriale”. Si dispone che il Presidente del tribunale, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, ordini alle parti di iniziare detto percorso i cui esiti devono essere documentati per iscritto. Il ricorso al mediatore è anche previsto nel caso di controversie riguardanti la revisione delle disposizioni, volte a disciplinare i rapporti fra genitori e figli, adottate in precedenza nel contesto della separazione o del divorzio (art. 337 quinquies). Importanza notevole è riconosciuta alla redazione del menzionato piano genitoriale9, il quale comprende gli indirizzi fondamentali futuri relativi a mantenimento, istruzione ed educazione del figlio10, che i genitori devono adottare a prescindere dal tipo di affidamento prescelto. Privilegiandone l’autonomia, si prevede che esso sia predisposto, di comune accordo, con l’assistenza dei legali e la collaborazione del mediatore (art. 706 c.p.c.), già nel corso del procedimento di separazione giudiziale e sottoposto all’omologazione del giudice che può negarla ove il piano contrasti con l’interesse del minore (art. 337 ter, comma 8 c.c.). In assenza di accordo (o se esso è solo parziale) ciascuno dei genitori redige dettagliatamente un proprio piano (eventualmente anche solo per la parte residua) contenuto, rispettivamente, nell’atto introduttivo del giudizio e nella comparsa di risposta (art. 706 ultimo comma c.p.c.). Alla luce del dettato dell’art. 337 ter comma 7, sembrerebbe peral-

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Solo il DDL n. 118 prevede infatti che la mediazione possa applicarsi anche ai procedimenti relativi alla rottura del rapporto fra conviventi. 8 Così anche il DDL n. 768. Il DDL n. 45 stabilisce invece che venga documentato dalle parti l’inizio di un percorso di mediazione, senza precisare le conseguenze derivanti dalla sua mancanza. Un mero invito da parte del Presidente del tribunale rivolto alle parti che intendono separarsi è la soluzione adottata dal DDL n. 118. 9 Di progetto educativo parla il DDL n. 45 (art. 1, il quale introduce modifiche all’art. 706 c.p.c.). 10 Il nuovo art. 337 ter ne esemplifica il contenuto col riferimento alla determinazione di: luoghi abitualmente frequentati; scuola e percorso educativo; attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative; frequentazioni parentali e amicali; vacanze normalmente godute.

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tro che il giudice possa predisporre il piano genitoriale in assenza di accordo, ma non ne sono chiare le circostanze: verosimilmente ove, nel complesso, entrambi i piani proposti dai genitori risultino contrari all’interesse del minore11. Si prevede inoltre che il giudice accolga, in linea di principio (se non contrasti con l’interesse del minore), il piano predisposto da un genitore ove l’altro non compaia o non ne proponga uno proprio (artt. 7 e 8 del DDL12). All’interno di un quadro siffatto, non è chiaro a quale situazione faccia riferimento il comma 3 dell’art. 708 c.p.c., puntualizzando che il giudice deve motivare le proprie decisioni “ove ritenga di discostarsi dalle indicazioni dell’uno o dell’altro genitore in ordine al piano genitoriale”. Forse si tratta dell’ipotesi in cui il piano presentato da ciascuno dei genitori non vada rigettato in toto ma contenga soluzioni divergenti riguardo a particolari aspetti; nel rispetto dell’autonomia dei genitori, il giudice deve procedere ad una scelta, da compiersi all’interno delle soluzioni prospettate, fatta salva l’ipotesi in cui nessuna tuteli adeguatamente l’interesse del minore, essendo tenuto allora ad adottare una soluzione diversa. Per superare l’eventuale disaccordo manifestatosi in sede di modifica del piano genitoriale inizialmente predisposto e nel caso di insuccesso da parte del mediatore familiare si stabilisce che le parti possano chiedere al giudice di procedere alla nomina di un coordinatore genitoriale (del quale l’art. 5 DDL precisa le caratteristiche), ripartendo le relative spese, il cui intervento è anche previsto, come si dirà in seguito, nel caso in cui sorgano contrasti sulle decisioni volte a dare attuazione al piano genitoriale (art. 13 DDL13). Aspetto centrale del DDL Pillon, nell’ipotesi (privilegiata dall’ordinamento14) in cui si ricorra all’affidamento condiviso, è costituito dalla introduzione di puntuali prescrizioni relative ai tempi che il figlio dovrà trascorrere con ciascuno dei genitori. Si stabilisce infatti che, a prescindere dall’età del minore, tali tempi debbano essere paritetici, cioè fissati generalmente nella misura del 50% (comprensivi di pernottamenti) o comunque equipollenti, salvo i casi di impossibilità materiale; i quali non possono comunque essere inferiori a dodici giorni al mese15, salvo motivato e comprovato pericolo di pregiudizio per la salute psicofisica del minore, derivante da situazioni normativamente determinate16 o in presenza di un diverso accordo fra le parti. Sono ammessi meccanismi di recupero, durante i periodi di vacanza goduti dal figlio, in presenza di circostanze che rendono obiettivamente difficile dare attuazione alla soluzione paritaria.

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Nel DDL n. 45 la scelta del giudice dovrebbe avvenire all’interno delle proposte dei genitori. I quali introducono modificazioni agli artt. 706 e 708 c.p.c. 13 Il quale contempla modifiche all’art. 337 quinquies c.c. 14 È da porre in luce al riguardo la dettagliata elencazione, contenuta nell’art. 1 di altro DDL, il n. 768, delle situazioni che non impediscono la condivisione dell’affidamento, come già attualmente per lo più ritenuto dalla giurisprudenza prevalente (età dei figli, distanza fra le abitazioni dei genitori, tenore dei loro rapporti, capacità di ciascun genitore di rispettare la figura e il ruolo dell’altro). 15 Analoga soluzione è contenuta nel DDL n. 768. 16 Violenza, abuso sessuale, trascuratezza, indisponibilità di un genitore, inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore. La tassatività o meno dell’elenco è problema che rimane aperto, che dunque dovrebbe risolvere l’interprete. 12

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Il criterio menzionato, nella visione del legislatore, è quello che dà(rebbe) effettiva attuazione al diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e con gli ascendenti; proprio in questa prospettiva si prevede anche la possibilità di un l’intervento di questi ultimi nel giudizio relativo alla crisi. Trattasi di soluzione certamente innovativa rispetto a quanto oggi praticato, in quanto detta pariteticità dei tempi di permanenza del minore presso ciascun genitore rappresenta solamente una delle possibili modalità di attuazione dell’affidamento condiviso, legata peraltro a circostanze particolari. Generalmente infatti la giurisprudenza ritiene più opportuno individuare un genitore collocatario presso il quale il minore deve risiedere stabilmente, assicurando nel contempo una significativa frequentazione e convivenza con l’altro genitore17. Mentre l’intervento in giudizio degli ascendenti per tutelare il loro interesse a coltivare rapporti col minore è per lo più escluso18. Con le nuove disposizioni si intende invece sottrarre al giudice gran parte della discrezionalità oggi riconosciutagli, per individuare la soluzione più idonea a perseguire l’interesse del minore, che il legislatore vuole in certa misura riservare a se stesso. Dal criterio adottato scaturiscono importanti conseguenze su: determinazione della residenza e del domicilio del minore, disciplina della casa familiare, modalità di adempimento del dovere di mantenimento. Il minore ha infatti un doppio domicilio, posto presso la abitazione di ciascuno dei genitori; tra gli “affari” che riguardano il minore vengono menzionati, verosimilmente a titolo esemplificativo, le comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute. Egli mantiene la residenza presso la casa familiare e dunque presso il genitore che la abita (v. artt. 337 ter ultimo comma e 342 quater)19; non è chiaro se acquisisca anche quella dell’altro genitore. Innovativa, anche se di tenore non chiarissimo, è la disciplina adottata riguardo alla casa familiare. La norma (art. 337 sexies nella nuova formulazione) infatti, premesso che le questioni relative alla proprietà ed alla locazione sono regolate dalla disciplina in materia, pone a carico del genitore che abiti la casa senza esserne l’esclusivo proprietario il pagamento di un canone pari al prezzo di mercato, intendendo così escludere il godimento gratuito20. Si conferma la regola attuale secondo la quale “non può continuare a risiedere nella casa familiare il genitore che non sia proprietario, o titolare di specifico diritto di

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Sono veramente rare le decisioni in cui i tempi di frequentazione del minore con l’altro genitore vengano rigidamente determinati; comunque si tratta di tempi minimi predisposti nel suo interesse ma viene per lo più riconosciuta ai genitori la possibilità di ampliarli di comune accordo. 18 Si vedano in proposito Cass., 27 dicembre 2011, n. 28902, in Foro it., 2012, I, 779; Cass., 16 ottobre 2009, n. 22081, in Giust. civ., 2010, I, 2817, con nota di Ingenito. Ma in senso favorevole si sono espressi, ad es., Trib. Firenze, 22 aprile 2006, in Famiglia e dir., 2006, 291; App. Perugia, 27 settembre 2007, in Giur. di Merito, 2008, 1913 ss., con nota di Mezzanotte. 19 La scelta della residenza anagrafica del minore è rimessa al giudice dal DDL n. 768. La doppia residenza è contemplata, invece, dal DDL 45, mediante l’aggiunta di un 3° comma all’art. 145 cc. (stravolgendo peraltro il contenuto originario della norma che si riferisce alla famiglia unita). 20 L’attuale disciplina che stabilisce la gratuità del godimento viene considerata dal riformatore – come si afferma nella relazione introduttiva – un istituto monstrum il quale solleva, a suo parere, forti dubbi di costituzionalità.

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usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione e che non abiti o che cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio21 o contragga nuovo matrimonio”22. La nuova versione dell’art. 337 ter, commi 6, 7 e 8 chiarisce in modo inequivocabile che il mantenimento del minore da parte di ciascuno dei genitori debba farsi in forma diretta, salvo diverso accordo23. La corresponsione da parte di un genitore all’altro di un assegno periodico, anche solo in misura integrativa, è dunque meramente eventuale e comunque può essere predisposta dal giudice solo per un tempo determinato. A parte il profilo della temporaneità la norma vigente già contempla una regola analoga disponendo – forse in maniera non altrettanto chiara – che “ciascuno dei genitori provvede (nostro il corsivo) al mantenimento dei figli”. Attualmente, tuttavia, la giurisprudenza, solo di rado dispone il mantenimento diretto24, privilegiando la liquidazione di un assegno a favore del genitore collocatario. La medesima regola viene introdotta anche per le spese straordinarie. Sono modificati i criteri volti a determinare la prestazione dovuta al figlio, i quali saranno applicati a prescindere dalla modalità di corresponsione (oggi sono riferiti alla liquidazione dell’assegno): scompaiono infatti i riferimenti al tenore di vita goduto durante la convivenza ed ai tempi di permanenza presso ciascun genitore. Importanti novità sono introdotte nella regolamentazione dei rapporti tra i genitori ed il figlio maggiorenne non autonomo patrimonialmente (art. 337 septies), prevedendo la possibilità che venga predisposto, mediante un accordo stipulato fra i medesimi, un piano genitoriale riguardante il suo mantenimento. In mancanza, il figlio può avanzare richiesta della liquidazione di un assegno a carico di ciascuno dei genitori. Egli è però tenuto a partecipare, ai sensi dell’art. 315-bis, alle spese, per soddisfarne i bisogni, sostenute dal genitore con cui vive abitualmente. Non è contemplata la possibilità che i genitori adempiano mediante mantenimento diretto25. Il diritto del figlio cessa al raggiungimento del venticinquesimo anno di età o, ancor prima, se la mancanza di autonomia economica dipende da negligenza o rifiuto ingiustificato di opportunità di lavoro26. Attualmente, come è noto, il raggiungimento dell’autonomia

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Effetto che, secondo il DDL 269, dovrebbe scaturire persino dalla ospitalità frequente di altra persona! (si potrebbe pensare ad es., al genitore del coniuge assegnatario). 22 Come è noto, peraltro la Corte costituzionale (30 luglio 2008, n. 308, in Familia, 2008, 6, 59 ss., con nota di Fantetti) si è espressa nel senso che l’estinzione del diritto non deriva comunque automaticamente dal verificarsi dell’evento, ma solo quando l’effetto è compatibile con la tutela dell’interesse del minore perché il dettato normativo deve essere letto in maniera costituzionalmente orientata. 23 Soluzione che si armonizza – sottolinea la relazione introduttiva – con il dettato secondo cui la convivenza del minore con ciascun genitore deve normalmente avvenire per tempi sostanzialmente equipollenti. 24 Comunque limitandola a qualche voce. 25 Si ipotizza dunque un singolare giro di denaro in quanto ciascuno dei genitori deve corrispondere l’intero importo dell’assegno da lui dovuto e richiederne al figlio in parte la restituzione riguardo alle spese sostenute anche per lui durante la convivenza (vitto, alloggio, utenze, ecc.). 26 Principio questo già oggi enunciato dalla giurisprudenza. V. ad es., riguardo alla negligenza, Cass., 25 settembre 2017, n. 22314; Cass., 12 aprile 2016, n. 7168, in Famiglia e dir., 2016, 622; Cass., 1 febbraio 2016, n. 1858, ivi, 2017, 134, con nota di Esposito; Cass., 6 dicembre 2013, n. 27377; Cass., 18 gennaio 2005, n. 951, ivi, 2005, 138. E con riferimento al rifiuto ingiustificato di opportunità di lavoro, App. Catania, 13 luglio 2017, in Foro it., 2017, I, 3180; App. Ancona, 27 giugno 2017, in Banca dati Pluris; Cass., 1 febbraio

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economica è rimessa alla valutazione del giudice il quale deve accertare se l’eventuale mancanza sia ascrivibile a colpa dell’avente diritto27. A tal fine la giurisprudenza fa ricorso a presunzioni, soprattutto in presenza dal raggiungimento di un’età certamente superiore a quella che il legislatore intenderebbe introdurre come regola per il cui operare non sono contemplate eccezioni28. Resta confermata la possibilità per il giudice di disporre, nell’interesse del minore, l’affidamento esclusivo ad uno dei genitori29, ma se ne prevede la temporaneità, per ragioni non chiare, forse perché si stabilisce che nel provvedimento debbano essere contemplate misure concrete volte a rimuovere le cause che giustificano l’affidamento esclusivo. È precisato inoltre che, comunque, occorre assicurare il rispetto del diritto del minore alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione con l’altro genitore (ma non se ne prevede la pariteticità). La necessità di garantire una frequentazione adeguata, questa volta con ciascuno dei genitori, è ribadita anche nel caso in cui il giudice debba ricorrere all’affidamento a terzi – per impossibilità di disporre l’affidamento mono-genitoriale – il quale deve avvenire all’interno di un nucleo familiare30 e per un tempo non superiore a due anni (operando così un coordinamento con l’art. 4 l. adozione, ma senza prevedere possibilità di proroga). Sono inoltre riformulate alcune regole riguardanti l’esercizio della responsabilità genitoriale, le quali potrebbero consentire il superamento di alcuni contrasti di opinione oggi esistenti31. Riguardo all’affidamento condiviso si precisa infatti che le decisioni quotidiane sono assunte dal genitore con il quale il figlio si trova in quel momento, mentre di comune accordo quelle di maggiore interesse (ivi compresa la determinazione della residenza abi-

2016, n. 1858, cit. La giurisprudenza più volte ha affermato che «occorre verificare in capo al creditore un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato dello stesso, il cui accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico universitario e post-universitario del soggetto e alla situazione attuale del mercato del lavoro» (Cass., 27 febbraio 2007, n. 4102, in Famiglia e dir., 2007, 550). 27 Viene richiamato infatti il principio di auto responsabilità: Cass., 22 giugno 2016, n. 12952, in Foro it., 2016, I, 2741. App. Catania, 13 luglio 2017, cit., afferma al riguardo che «l’imputabilità al figlio del mancato conseguimento dell’autonomia economica deve essere valutata con rigore via via crescente con l’avanzare dell’età». 28 Cfr., ad es., Cass., 26 aprile 2017, n. 10207; Cass., 22 giugno 2016, n. 12952, in Famiglia e dir., 2017, 236, con nota di Parini; Cass., 20 agosto 2014, n. 18076, in Foro it., 2015, I, 1021. 29 Nel DDL, ferma restando tale discrezionalità, si prevedono quali cause di esclusione dall’affidamento del genitore che si renda responsabile di: maltrattamenti, violenza fisica o psichica, trascuratezza, manipolazioni dei figli volte al rifiuto e all’allontanamento dell’altro genitore, denunce certamente false volte al medesimo scopo. 30 O, secondo il DDL n. 768, eventualmente anche all’interno di una casa-famiglia. 31 Si fa riferimento, in particolare, al dibattito suscitato dalla formula attuale dell’art. 337 ter che parla di “questioni di ordinaria amministrazione”, la quale secondo alcuni (v. ad es., R. Villani, La nuova disciplina sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati, in Studium iuris, 2006, 669; C.B. Pugliese, Interessi del minore, potestà dei genitori e poteri del giudice nella nuova disciplina dell’affidamento dei figli (L. 8 febbraio 2006 n. 54), in Familia, 2006, 1083; C.M., Bianca Diritto civile, 2.1. La famiglia, 6a ed., Milano, 2017, 228) fa riferimento solo alle questioni economiche e non a quelle “quotidiane” relative alla vita del figlio (ma in senso contrario è orientata l’opinione largamente prevalente). Nonché se l’enunciato “esercizio separato” debba ritenersi o meno equivalente ad “esercizio disgiunto”. La giurisprudenza spesso stabilisce nel provvedimento che è autorizzato ad assumere la decisione il genitore col quale il minore si trova in quel momento: ad es., Trib Salerno, 18 aprile 2017, in Foro it., 2017, I, 2498; Trib. Messina, 5 aprile 2007, in Dir. famiglia, 2007, 1795 ss.; Trib. Bari, 11 luglio 2006 e Trib. Catania, 1 giugno 2006, in www.affidamentocondiviso.it.

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tuale del minore) (art. 337 ter, ult. comma)32. Quest’ultima regola si applica anche nel caso di affidamento esclusivo, mentre le decisioni quotidiane spettano al genitore affidatario, sul quale l’altro esercita il controllo (non mutano dunque le regole relative all’affidamento esclusivo, rimanendo ferma anche la precisazione che l’affidatario ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale33). Per il mutamento di residenza e dell’istituto scolastico è necessario un accordo scritto dei genitori. Resta ferma la regola secondo la quale la decisione è rimessa al giudice in caso di disaccordo su questioni fondamentali volte a dare attuazione al piano genitoriale o in esso non previste, che non è stato possibile superare mediante l’eventuale intervento del coordinatore genitoriale (art. 5, comma 3 del DDL). Se, disattendendo tali principi, il genitore trasferisce unilateralmente la abitazione del minore, l’autorità di pubblica sicurezza deve “adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza”. Tale provvedimento si colloca nel contesto delle misure che il giudice può assumere nel caso di violazione delle regole di comportamento, al cui rispetto sono tenuti i genitori. In particolare il giudice può ordinare al genitore di cessare dai comportamenti volti ad ostacolare la conservazione di un rapporto equilibrato tra il figlio e l’altro genitore, gli ascendenti e gli altri parenti, disporre il cambiamento del luogo di residenza del minore e, nei casi più gravi, sospendere o limitare l’esercizio della responsabilità parentale esercitata dal responsabile (art. 342 quater). Tali sanzioni possono comminarsi persino “in assenza di evidenti condotte” del genitore, se il minore “manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraneazione” nei suoi riguardi (art. 342 bis, comma 2). Resta ferma la possibilità per il giudice di irrogare anche le sanzioni previste dall’art. 709 ter c.p.c. per gravi inadempienze o violazioni, fra le quali sono anche espressamente annoverate: “manipolazioni psichiche”, astensione ingiustificata dai compiti di cura, “accuse di abusi e violenze fisiche o psicologiche evidentemente false e infondate mosse contro uno dei genitori”. È stata però, forse inopportunamente, soppressa la misura dell’ammonizione perché ritenuta sostanzialmente priva di incisività34. Nel confermare le regole relative all’ascolto del minore, con riferimento all’adozione delle decisioni che coinvolgono i suoi interessi, si modifica però il contenuto del 2° comma dell’art. 337 octies precisando, in maniera minuziosa, le modalità da seguire a questo fine, disponendo in particolare che l’ascolto debba sempre avvenire alla presenza del giudice e di un esperto da lui designato35.

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Del tutto opposta è la soluzione adottata dal DDL 768, secondo la quale le decisioni più rilevanti spettano al genitore affidatario mentre quelle relative alla vita quotidiana sono esercitate separatamente. 33 Trattasi in realtà di esercizio differenziato in quanto al non affidatario spetta concorrere nell’assunzione delle decisioni più importanti per la vita del minore. 34 Definita dalla relazione introduttiva un’arma spuntata. Ma a mio avviso apprezzabile in un quadro di gradualità delle sanzioni. 35 Una modifica delle modalità è anche contenuta nel DDL n. 118 (art. 5), il quale precisa che, nell’ascoltare il minore, il giudice deve prendere in considerazione la sua opinione, assunto che a dire il vero si considera già oggi scontato.

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L’art. 23 del DDL puntualizza inoltre che le regole introdotte devono applicarsi anche ai procedimenti pendenti. Tuttavia, poiché tutti i provvedimenti relativi alla crisi operano rebus sic stantibus e sono dunque modificabili, la nuova disciplina potrà essere applicata con riferimento anche alle misure adottate nel passato, con prevedibile proliferazione delle controversie. Da segnalare, infine che, al di fuori del contesto della materia disciplinata, l’art. 19 del DDL procede all’abrogazione del 2° comma dell’art. 151 relativo all’addebito della separazione, scelta questa di rilevante importanza, tenuto conto degli effetti patrimoniali ad esso collegati.

4. Riflessioni sulle soluzioni adottate. Con riferimento alle misure innanzi menzionate non poche sono le perplessità che emergono, a cominciare dalla parte più significativa del DDL Pillon nella quale viene delineata la concezione stessa dell’affidamento condiviso e le ragioni che in concreto ne costituiscono il fondamento. Solo in apparenza infatti esse tutelano l’interesse del minore ed il suo diritto alla bi-genitorialità. Piuttosto la preoccupazione del riformatore sembra essere quella di ampliare la tutela da riservare in concreto ai padri, senza verificarne rigorosamente la compatibilità con l’interesse del minore. Era già stato questo peraltro il gruppo di pressione che aveva indotto il legislatore ad intervenire in occasione della legge del 2006, allora con piena giustificazione (per l’evidente inadeguatezza dell’affidamento esclusivo di porre in condizione entrambi i genitori di esercitare il loro ruolo), oggi forse un po’ meno. Nella realtà concreta è vero che, non sempre per apprezzabili ragioni, i giudici prediligano il collocamento presso la madre, alla quale è di conseguenza attribuito il godimento gratuito della casa familiare, la titolarità di un assegno per il mantenimento del figlio, a cui deve aggiungersi, non di rado, l’assegno volto ad assicurare il mantenimento del coniuge stesso (in conseguenza della separazione o del divorzio) meno abbiente. È ben difficile poi, per svariati motivi, che sia possibile introdurre una rigorosa simmetria tra i tempi di convivenza del figlio con ciascuno dei genitori, anche in mancanza di conflittualità36. Da questo punto di vista indubbiamente la madre è il genitore maggiormente privilegiato, non sempre giustificatamente. Occorre invece superare l’idea secondo la quale, nel dubbio, il genitore collocatario debba identificarsi per lo più nella madre, per il ruolo riservatole in natura37. La divisione dei ruoli è da considerarsi datata e non trova più riscontro nell’ordinamento, onde una siffatta opzione di principio può solo valere per bambini in

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Basti pensare al caso in cui i genitori vivano in città diverse. V. nel senso criticato Cass., 14 settembre 2016, n. 18087, in Foro it., 2016, I, 3447. Contra, App. Catania, 3 luglio 2017, in Foro it., 2017, I, 3186; Trib. Milano, 19 ottobre 2016, in Banca dati De Jure.

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tenerissima età. La tutela del padre non si assicura dunque introducendo tempi paritari di permanenza del figlio con ciascuno dei genitori ma superando i pregiudizi ancora esistenti nell’individuazione del collocatario. L’essenza dell’affidamento condiviso non dipende tanto dai tempi paritari di permanenza quanto nel pieno coinvolgimento di entrambi i genitori nella determinazione delle linee fondamentali del progetto educativo riguardante il minore, nell’assunzione delle decisioni fondamentali per la sua vita e per il suo patrimonio (ove sussista), nel riconoscimento di tempi di frequentazione tali (questo sì) da consentire loro di “essere realmente presenti” nella vita del figlio, mettendoli in condizione di assumere consapevolmente le decisioni che lo riguardano38. Ciò che rileva è dunque la “significatività” della frequentazione, che si realizza rendendo possibile al genitore la condivisione con il figlio delle principali esperienze di vita (quali ad es., studio, vacanze, tempo libero, pernottamenti, rapporto con gli insegnanti e gli altri educatori). Mentre per lo più l’interesse del minore si realizza, in maniera ottimale, individuando un genitore presso il quale egli dimorerà stabilmente39. Tantomeno appare produttivo il tentativo del legislatore di formulare regole rigide in materia, le quali non trovano riscontro in ordinamenti a noi vicini40, in quanto è proprio la flessibilità a costituire lo strumento più idoneo a consentire in concreto la reale tutela del l’interesse del minore. Ogni situazione familiare, infatti, è diversa dall’altra (in un quadro di pluralità dei modelli familiari) e per questo motivo non è prudente sottrarre al giudice la scelta, rimettendola alla legge. Si rischierebbe altrimenti di equiparare situazioni familiari significativamente diverse in virtù dell’età del minore, rapporti pregressi con i genitori, maggiore affinità caratteriale con uno di essi, impegni lavorativi (e connessi spostamenti) luogo di residenza, disponibilità e concreta capacità di provvedere alle esigenze quotidiane del minore. Peraltro anche nella famiglia unita accade spesso che i tempi di frequentazione del figlio con i genitori non siano paritari, ma non è detto che la figura di riferimento sia necessariamente il genitore più presente. Anche il giudice deve privilegiare, nel limite del possibile, soluzioni flessibili (volte a disciplinare tempi e modalità essenziali della frequentazione) lasciando poi liberi i genitori di applicarle con la dovuta discrezionalità (in un quadro generale volto a valorizzare l’autonomia privata).

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Peraltro anche la risoluzione del Consiglio d’Europa n. 2079 del 2015, richiamata nella relazione introduttiva, sottolinea più genericamente la necessità di organizzare il tempo di permanenza presso ciascun genitore in funzione dei bisogni e dell’interesse dei bambini. 39 Un’ampia corrente di pensiero ritiene indispensabile, per la stabilità di vita dei minori, predeterminare un unico ambiente domestico. V. ad es., C. Padalino, L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, 17; L. Balestra, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, in Familia, 2006, 657; F. Ruscello, Affidamento ‘condiviso’, ‘collocazione abitativa’ del figlio e dovere di ‘cura’ dei genitori, in Studi in onore di Messinetti, Napoli-Roma, 2008, 871 ss. In giurisprudenza, Trib Messina, 27.11.2012, in Corr. merito, 2013, 495, con nota di Attademo. 40 I quali fanno ricorso a principi generali che devono trovare concretizzazione nella decisione del giudice o nell’ accordo dei genitori. V. ad es., i §§ 1684 e 1687 del BGB; l’art. 92 del codigo civ. spagnolo; gli artt. 372-2 e 373 – 2-6 del code civil francese; l’art. 133 del codice svizzero.

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In conclusione la soluzione che intende cancellare la figura del genitore collocatario41 e comunque stabilire tempi minimi di convivenza del figlio con l’altro genitore (dodici giorni) appare pericolosa per i motivi indicati e per lo più inutile in quanto spazi temporali siffatti sono già attualmente garantiti dalla maggior parte dei provvedimenti, ma sempre a ragion veduta, senza privare il giudice della valutazione del caso concreto, per affidarli ad una previsione normativa standardizzata. In questa prospettiva il criterio della doppia residenza non è quello generalmente più auspicabile quando sussiste l’esigenza del minore di avere un luogo in cui dimorare prevalentemente Scarsa coerenza mostra poi il riformatore nel prevedere che l’applicazione di detta regola dipenda dalla richiesta e dalla disponibilità di uno dei genitori (salvo comprovato impedimento). Se il diritto del minore alla bi-genitorialità dipendesse realmente dalla paritaria frequentazione con i genitori, la soluzione dovrebbe essere sempre privilegiata dal giudice e costituire ragione per respingere un accordo dei genitori di diverso contenuto, per contrarietà all’interesse del minore. Ugualmente criticabile è la regola secondo la quale il giudice potrebbe negare i tempi minimi di frequentazione (dodici giorni al mese) nel caso in cui il genitore si renda responsabile di violenza, abusi sessuali, trascuratezza verso il figlio. Trattasi infatti di situazioni che non si affrontano adeguatamente riducendo i periodi di convivenza bensì prevedendo incontri protetti, e, nei casi più gravi, ricorrendo all’affidamento esclusivo all’altro genitore (come attualmente stabilisce la giurisprudenza)42. Dubbi solleva anche la soluzione che consente un intervento in giudizio, ad adiuvandum, degli ascendenti, il quale rischierebbe di acuire i contrasti fra i genitori, che il riformatore è proprio impegnato a superare mediante meccanismi di composizione delle liti (sui quali si rifletterà in seguito). Sembra dunque più appropriato rimettere al giudice la tutela degli interessi dei nonni, eventualmente su impulso dei coniugi stessi, tenuto anche conto che l’art. 317 bis comma 2 cc. consente agli ascendenti di agire comunque a tal fine in separato giudizio. Criticabile è inoltre la modifica introdotta mediante riformulazione dell’art. 337 quater che intende circoscrivere nel tempo l’affidamento esclusivo. Infatti possono sussistere ragioni per ricorrervi che non vengono meno nel tempo o la cui durata non sia preventivabile; peraltro non è detto siano coronate da successo le azioni concrete che il giudice deve programmare per la loro rimozione (si pensi al genitore violento, o responsabile di abusi). Diversamente è a dirsi, ad esempio, nell’ipotesi in cui il provvedimento venisse assunto per consentire al genitore di curarsi o di scontare una pena carceraria.

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Figura che peraltro finisce con emergere comunque anche nella visione del riformatore, quando è prevista la possibilità che il minore viva la maggior parte del tempo con uno dei genitori. 42 Si tratta indubbiamente delle ipotesi più frequenti in cui nelle decisioni si ricorre all’affidamento esclusivo. Si vedano ad es., Trib. Roma, 16 giugno 2017 e Trib. Milano, 23 febbraio 2017, in Banca dati Pluris; Trib. Ancona, 13 febbraio 2013, in Banca dati De Jure; Trib. Caltanissetta, 20 dicembre 2010, in Famiglia e minori, 2011, 4, 54; Cass., 17 dicembre 2009, n. 26587, in Foro it., 2010, I, 427; Cass., 18 giugno 2008, n. 16593, in Familia, 2008, 4-5, 103, con nota di Cannata; Trib. Terni, 31 luglio 2007, in Giur. it., 2007, 1142.

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Qualche dubbio suscita la nuova formulazione dell’art. 337 sexies riguardante la casa familiare. Non si parla più di un’assegnazione in godimento al genitore che non ne sia esclusivo proprietario ma non mi sembra possa escludersi un diritto siffatto (come del resto accade attualmente). Esso dovrà essere costituito se i tempi di permanenza del figlio con ciascuno dei genitori non sono sostanzialmente equivalenti, eventualità che può verificarsi – come si è sottolineato – anche nella visione del riformatore, quando ne sussistono fondate ragioni. Solo in parte condivisibile, se non adeguatamente precisata, è la soluzione secondo la quale il genitore assegnatario deve pagare al proprietario il canone di locazione ai correnti prezzi di mercato. Per la sua determinazione dovrà infatti tenersi conto sia dell’eventuale diritto di comproprietà della casa da parte dell’assegnatario, sia del valore del godimento a vantaggio del figlio, gravante anche il proprietario coobbligato al suo mantenimento. Se poi al titolare spetta l’assegno di mantenimento (non essendo in grado di provvedervi autonomamente) la corresponsione del canone così determinato potrebbe risultare una mera partita di giro. In concreto pertanto la disposizione potrebbe introdurre novità contenute in quanto già la norma vigente stabilisce che dell’attribuzione in godimento “il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori”. Apprezzabile è l’idea, posta a fondamento della riformulazione dell’art. 337 ter commi 6, 7, 8, volta a privilegiare in maniera inequivocabile il mantenimento diretto del minore per capitoli di spesa. Non sussistono infatti, in linea di principio, ragioni per le quali uno dei genitori debba gestire somme di denaro corrisposte dall’altro per sovvenire ai bisogni del figlio. Tale modalità è certamente quella più in linea con la previsione di pariteticità dei tempi di permanenza del figlio con ciascun genitore ma rispondente comunque alla logica ed alle caratteristiche dell’affido condiviso, che vede ambedue i genitori ugualmente protagonisti nel rapporto con il figlio ed alla linea di continuità tra famiglia unita e famiglia in crisi tracciata dalle legge43, pur senza sottovalutare i maggiori rischi di inadempimento44; quest’ultimo è il motivo che rende la giurisprudenza per lo più restia ad adottarla. Ne conseguente che la liquidazione di un assegno, da corrispondersi da un genitore all’altro, debba avvenire, in funzione perequativa, quando detta pariteticità non è concretamente attuabile o sussistano altri motivi che la giustifichino (ad es., l’inadempimento totale

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Cfr. al riguardo A. De Filippis, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2006, 78; A. Arceri, L’affidamento condiviso, Milano, 2007, 149 ss.; Giuliano, Il mantenimento dei figli minori, in AA.VV., Affidamento condiviso e diritti dei minori, a cura di Dogliotti, Torino, 2008, 76, nt. 18; U. Roma, Commento all’art. 155, 2° comma c.c. della L. 54/2006, in Leggi civ. comm., 2008, 117 ss.; A. Morace Pinelli, Provvedimenti concernenti i figli in caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Padova, 2015, 692; 759 ss. In senso critico E. Zanetti Vitali, La separazione personale dei coniugi (appendice di aggiornamento), in Comm. Schlesinger, Milano, 2006, 12 rileva la mancanza di realismo della regola relativa al mantenimento introdotta già dalla legge del 2006, ma equivocando sul fatto che condizione essenziale per il mantenimento diretto sarebbe la convivenza del genitore obbligato col figlio. 44 Mette in luce i maggiori rischi di inadempimento nel caso di mantenimento diretto, G.F. Basini, I provvedimenti riguardanti i figli nella crisi della famiglia, l’affidamento condiviso, in Il diritto di famiglia, Tratt. Bonilini-Cattaneo, 2a ed., Torino, 2007, I, cit., 1053 s.

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o parziale). Non si comprende peraltro la ragione per la quale la legge preveda una liquidazione solo temporanea, potendosi configurare anche una situazione di stabile durata. Il mantenimento diretto è previsto anche per le spese straordinarie, le quali saranno poste a carico dei genitori in misura percentuale (in attuazione del criterio di proporzionalità) nell’ipotesi, non prevedibile, in cui se ne manifesti la necessità. Circa la misura del mantenimento da assicurare al figlio scompare il riferimento al tenore di vita goduto nel contesto della famiglia unita. Verosimilmente perché, in seguito alla crisi, i genitori potrebbero non essere in grado di garantirlo. Rimane però il richiamo alle “attuali esigenze del figlio” che vanno determinate sia in base alle disponibilità dei genitori sia in funzione dell’attuazione del piano educativo stabilito dai medesimi. Permane, riguardo alla ripartizione interna dell’obbligazione, l’equivoco derivante dal riferimento al reddito di ciascun genitore piuttosto che alle sostanze, come sarebbe stato preferibile, in conformità a quanto stabilito dall’art. 148 cc. per la famiglia unita. Non emergono però valide ragioni per distaccarsi dal suddetto criterio, tanto più che, per determinare la prestazione complessivamente dovuta, l’art. 337 ter c.c. si riferisce alle risorse economiche dei genitori, aggiungendo che occorre tenere conto della «valenza economica dei compiti domestici e di cura assunta da ciascuno». Evidenti criticità presenta la disposizione relativa al mantenimento del maggiorenne (art. 337 septies) secondo la quale il diritto viene meno senza eccezioni, al compimento del venticinquesimo anno di età da parte del titolare. Due sono i rilievi negativi di fondo. Anche in questo caso emerge, infatti, la criticabile tendenza del legislatore di introdurre meccanismi rigidi volti a porre sullo stesso piano situazioni che possono risultare profondamente diverse e che dunque è opportuno rimettere al giudice. È a tutti noto, infatti, che il completamento del percorso di preparazione necessario per accedere ad alcune professioni o per l’esercizio di attività particolarmente qualificate richiede tempi più lunghi, anche per persone capaci e diligenti (peraltro questo è il presupposto affinché possa dirsi raggiunta l’autonomia economica), nonché le difficoltà ancora esistenti nel nostro Paese per accedere al mondo del lavoro. Non è dunque opportuno modificare il criterio attuale – che lascia al giudice la valutazione – sostituendolo con una disposizione normativa rigida, ferma restando la necessità di una valutazione rigorosa della situazione nella quale versa l’avente diritto, per evitare che continui a percepire il mantenimento da parte dei genitori anche quando sarebbe in grado di provvedervi autonomamente. Criticabile è altresì il posizionamento della regola nel contesto delle norme che disciplinano la crisi della famiglia. Essa attiene infatti, più in generale, ai diritti vantati dal figlio nei confronti dei genitori, da applicarsi anche nel contesto della famiglia unita e dovrebbe dunque trovare posto all’interno dell’art. 315 bis c.c. (sui diritti e doveri del medesimo). Da valutare positivamente è la soluzione secondo la quale esclusivo titolare dell’assegno di mantenimento è il maggiorenne, senza eccezioni, eliminando la possibilità che il giudice ne disponga il pagamento a favore di un genitore (normalmente quello con cui il maggiorenne risiede), perché coerente con l’intento normativo di escludere, per quanto possibile, che un genitore gestisca le risorse corrisposte dall’altro a questo fine.

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Essendo richiesta la domanda dell’interessato si profila il problema legato al passaggio da parte del figlio dalla minore alla maggiore età, attualmente risolto per lo più dagli interpreti nel senso che, fino al mutamento della modalità di corresponsione, il genitore al quale veniva precedentemente versato, mantiene tale diritto45. Soluzione a mio avviso non soddisfacente anche alla luce del mutamento del quadro normativo di riferimento (introdotto, in verità, già dalla legge del 2006) che prevede una “residualità” dell’ipotesi, in virtù del normale ricorso al mantenimento diretto. Il genitore obbligato potrebbe pertanto liberarsi, a nostro avviso, versando l’assegno al figlio e continuando a soddisfare le altre sue esigenze mediante il mantenimento diretto (se tali erano la modalità di corresponsione prima del raggiungimento della maggiore età). L’adempimento diretto non è tuttavia contemplato dalla nuova normativa. Il figlio maggiorenne dovrà quindi avanzare domanda per ottenere la liquidazione dell’assegno ove non venga raggiunto l’accordo previsto (riferimento al piano genitoriale) dall’art. 337 septies. È da valutare positivamente, in linea di principio, anche la riformulazione di alcune regole relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, in quanto consentono di superare più agevolmente alcuni dubbi interpretativi (si pensi ad es., al più preciso riferimento rispetto al passato, alle regole da seguire per l’assunzione delle decisioni relative alla vita quotidiana). Ne sarebbe stato opportuno però il completamento mediante disposizioni riguardanti l’amministrazione dei beni del minore. Le norme mettono inoltre bene in risalto l’importanza dell’accordo dei genitori riguardo al piano formativo, volto a determinare le linee educative per la cura e lo sviluppo della prole; trattasi del presupposto essenziale, a mio avviso, per dare vita all’affidamento condiviso. Perplessità suscita tuttavia la soluzione che rimette al giudice la redazione del piano, nel caso di disaccordo dei genitori. Tracciare queste linee fondamentali è indubbiamente compito esclusivo dei genitori, affidato loro dall’art. 30 della costituzione, a cui non può sostituirsi il giudice. È discutibile, invece, che in presenza di visioni di vita profondamente differenti da parte dei medesimi possa darsi luogo all’affidamento condiviso, senza rischiare di esporre il minore ad un ricorrente conflitto. Solo sulla base di questo presupposto potranno poi funzionare adeguatamente le regole di esercizio della responsabilità genitoriale. Si pensi ad esempio, a quanto potrebbe accadere, in mancanza di accordo sulle linee fondamentali del piano educativo, in occasione dell’assunzione delle decisioni quotidiane da parte del genitore con cui il figlio si trova: la loro contraddittorietà rischierebbe di provocare disorientamento nel minore con effetti negativi facilmente intuibili. Almeno inizialmente, l’accordo potrà riguardare anche solo alcuni punti fondamentali (e più urgenti della linea educativa) da svilupparsi in un secondo momento. È difficile infatti che nel corso di un procedimento di separazione giudiziale o di divorzio conflittuale

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V. ad esempio, dopo l’avvento della legge del 2006, Cass., 23 maggio 2017, n. 12972. Ed in precedenza, con argomentazioni diverse, Cass., 16 luglio 1998, n. 6950; Cass., 12 marzo 1992, n. 3019, in Foro it., 1993, I, 1635; Cass., 28 giugno 1994, n. 6215 in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 113 e Cass., 16 febbraio 2001, n. 2289, in Famiglia e dir., 2001, 275.

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i genitori siano in grado di raggiungere un accordo completo dalla cui esistenza dipenderebbe poi la possibilità di procedere all’affidamento condiviso46. Opportuna sembra anche la puntualizzazione della regola47 che rimette all’accordo dei genitori il mutamento di residenza del minore, anche se riserve possono muoversi sulla necessità della forma scritta, dalla quale dipenderebbe poi (più esattamente) la validità e non l’efficacia del medesimo (come specificato impropriamente dalla legge). Regola che, negli obiettivi, tende a privare di fondamento la soluzione, adottata in alcuni casi dalla giurisprudenza, secondo la quale, in nome dell’interesse del minore, è consigliabile non modificare la situazione di fatto, creata dal genitore in seguito alla violazione delle disposizioni sulla responsabilità parentale, in tutte le ipotesi in cui si è verificato un radicamento del minore in un determinato luogo48. Si finirebbero altrimenti con l‘incoraggiare e, indirettamente legittimare, comportamenti che è necessario prevenire. Dubbi suscita il ricorso alla forma scritta anche per l’accordo sul mutamento della scuola del minore, quando quest’ultimo non dipende dal cambiamento della residenza49. Troppo generico e fonte di incertezza è poi il dettato che affida all’autorità di pubblica sicurezza di adoperarsi per ricondurre il minore alla sua residenza. Tale disegno non può innanzitutto realizzarsi nell’ipotesi (peraltro la più frequente) in cui il mutamento di residenza del minore si accompagni a quella del genitore collocatario, in quanto occorre un intervento del giudice volto a modificare le modalità dell’affidamento. È comunque da scongiurare l’uso della forza per ricondurre il minore alla residenza originaria. Con riferimento alle sanzioni previste nel caso di violazione delle regole di comportamento a cui sono tenuti i genitori, molte perplessità suscita l’applicazione delle misure caratterizzanti gli ordini di protezione, in mancanza di condotte evidenti da parte del genitore nei cui confronti il figlio manifesti rifiuto, alienazione o estraneazione. Una presunzione di colpevolezza appare del tutto ingiustificata già in linea di principio e ancor più in relazione alla gravità delle sanzioni comminate. Limitate novità sono previste anche riguardo all’ascolto del minore, precisandone alcune modalità, ma senza disporre il necessario coordinamento con l’artt. 336 bis, 2° comma e 38 disp. att. cc. Positive sono le valutazioni circa la promozione di soluzioni adottate dal DDL volte a favorire l’accordo fra i coniugi al di fuori di un giudizio per disciplinare i rapporti nella crisi, ma non anche l’obbligo di iniziare un percorso di mediazione familiare quale condizione

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Una interpretazione siffatta è quella che consente in concreto di realizzare il favore normativo per tale modalità di affidamento. Peraltro è quanto accade normalmente nella determinazione dell’indirizzo di vita che i coniugi devono concordare ai sensi dell’art. 144 cc. 47 La quale dovrebbe tuttavia essere più appropriatamente collocata fra quelle relative all’esercizio della responsabilità genitoriale e non nel contesto dell’art. 337 sexies. 48 È la soluzione che è stata adottata, ad esempio, da Cass., 26 marzo 2015, n. 6132, in Foro it., 2015, I, 1543, con nota di Casaburi e Trib. Roma, 26 marzo 2016, in Banca dati De Jure. 49 Sarei più propenso a ritenere, sulla base della lettera della norma, che il cambiamento relativo solo alla scuola, pur necessitando di accordo, non sia sottoposto ai suddetti limiti di forma.

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di procedibilità dell’azione in quanto il raggiungimento di un accordo è molto difficile se i coniugi non sono disponibili al dialogo. Il rischio dunque è quello di ampliare inutilmente i tempi di durata del giudizio ed accrescerne il costo. Analogamente a dirsi è per il ricorso al coordinatore genitoriale, figura richiamata in alcune decisioni giurisprudenziali50 ma che ha scarse prospettive di successo se viene imposta (come nelle decisioni a cui si è fatto cenno) e non rimessa alla scelta dei coniugi (come opportunamente stabilito dal disegno di legge). Un’ultima menzione merita l’abrogazione del 2° comma dell’art. 151 con conseguente cancellazione dell’addebito della separazione; soluzione da tempo caldeggiata da una corrente di pensiero con diversità di motivazioni. Istituto peraltro scarsamente applicato nei periodi più recenti dalla giurisprudenza per la rigorosità della prova richiesta (la violazione dei doveri coniugali deve essere la causa e non la conseguenza della crisi del rapporto) Non mi sento di condividere tale soluzione in quanto depotenzia l’efficacia dei doveri coniugali lasciandoli alla spontanea osservanza da parte di ciascuno sposo. È vero che in certi casi per assicurarne il rispetto si è fatto ricorso alle regole della responsabilità civile (peraltro con riferimento a situazioni particolarmente gravi ed in presenza dei relativi presupposti), ma a mio avviso non è questo il mezzo più appropriato per sanzionare il coniuge inadempiente e comunque non dovrebbe rappresentare l’unico rimedio. In una realtà in cui il matrimonio è istituto sempre più svalutato e attrae sempre meno le coppie legate affettivamente, il messaggio che ne deriverebbe non sarebbe costruttivo.

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Trib. Civitavecchia, 20 maggio 2015, in Foro it., 2015, I, 1655, con nota di Casaburi; Trib. Milano, 29 luglio 2016, in Famiglia e dir., 2017, 793.

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Gilda Ferrando

Matrimonio civile e matrimonio sacramento* Sommario : 1. Matrimonio sacramento e matrimonio civile. – 2. Il matrimonio concordatario. – 3. L’evoluzione del matrimonio civile. Dall’indissolubilità alla soluzione consensuale del conflitto. – 4. Matrimonio e procreazione. – 5. La differenza di sesso tra gli sposi. – 6. Dalla famiglia alle famiglie. – 7. Famiglie e matrimoni dopo le recenti riforme. Uno sguardo di sintesi.

In the 1942 Civil Code civil marriage is patterned on canonical marriage. Marriage is the indissoluble union of a man and a woman whose aim is procreation. The text illustrates the steps through which the civil marriage has progressively turned away from the canonical one and tries to draft the new image of civil marriage.

1. Matrimonio sacramento e matrimonio civile. Le recenti riforme della filiazione (l. n. 219/2012, d.lgs. n. 154/2013), della separazione e del divorzio (l. n. 162/2014, l. n. 55/2015), la nuova disciplina delle unioni civili e delle convivenze (l. n. 76/2016) segnano trasformazioni profonde nel rapporto tra famiglia e diritto e tra famiglia e matrimonio. Quella in corso costituisce, d’altra parte, l’ultima tappa di un processo evolutivo che parte nella seconda metà del secolo scorso quando inizia ad essere messo in discussione il modello ottocentesco di famiglia fondato sull’autorità del marito e del padre: una evoluzione che ha portato a un progressivo allontanamento del matrimonio civile rispetto al matrimonio canonico.

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Relazione al 13° Convegno nazionale SISDiC “Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà e inderogabilità”, Napoli, 3,4,5 maggio 2018.

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Gilda Ferrando

La concezione moderna del matrimonio si forma nel solco del diritto romano e del diritto canonico1. Scriveva Orio Giacchi che il matrimonio civile è nato “sui ginocchi della Chiesa”2. Già negli anni ’40 notava Jemolo che “l’istituto matrimoniale è ancora rimasto, anche dove le legislazioni statali hanno creduto di laicizzarlo e di regolarlo interamente, quale è stato foggiato dal diritto canonico, non solo nello schema giuridico, ma in tutte le basi pregiuridiche, che esercitano comandi e inibizioni sullo stesso legislatore”3. Dal diritto canonico deriva la struttura consensuale di matrimonio, un consenso che viene inteso non come sostegno permanente del matrimonio – secondo quella che era la concezione del diritto romano – ma come consenso iniziale che crea un vincolo la cui efficacia non può messa in discussione dal venir meno dell’adesione dei coniugi al comune progetto di vita. L’approdo, con il concilio di Trento, ad un rigore formale prima sconosciuto non altera questa concezione consensuale del matrimonio4. Le legislazioni moderne, anche dopo l’introduzione del divorzio, restano ancorate ad una concezione del matrimonio come manifestazione di volontà iniziale fonte di un vincolo, di diritti e di obblighi regolati dal diritto, generatrice di uno status che non può cessare per la sola volontà dei coniugi. Per il diritto canonico il matrimonio è ad un tempo contratto – patto, alleanza, foedus, secondo la dizione conciliare5 – che origina dal consenso degli sposi, e sacramento. Nel codice di diritto canonico del 1983, il matrimonio è il “il patto … con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole”, patto che “tra battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento” (c. 1055). Ed il consenso matrimoniale è “l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, dànno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio” (c. 1057)6. Una volta costituito sulla base del consenso il matrimonio non è governato, nel suo svolgimento, dalla volontà dei coniugi, ma dal diritto divino. Con le parole della Costituzione pastorale Gaudium et Spes (n. 48) è “dall’atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l’istituzione del matrimonio, che ha stabilità per l’ordinamento divino”. Abbandonato dal diritto civile il riferimento al sacramento, ne viene conservata la dimensione istituzionale, l’indisponibilità dei diritti, il prevalere degli interessi superiori su quelli individuali. Il matrimonio è un atto consensuale che diviene efficace con il suggello dello

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Per una più ampia illustrazione di questo processo e per opportuni riferimenti bibliografici rinvio al mio Il matrimonio, in Trattato Cicu Messineo, 2° ed., Milano, 2015, 14 ss. 2 O. Giacchi, Riforma del matrimonio civile e diritto canonico, Jus, 1974, 2. 3 A.C. Jemolo, Il matrimonio nel diritto canonico (dal Concilio di Trento al Codice del 1917), Ristampa, Bologna, 1993 (con prefazione di J. Gaudemet), 139. 4 Solo con il Concilio di Trento, nel 1563, la celebrazione solenne, “in facie Ecclesiae”, diventerà condizione di validità del matrimonio: Concilio di Trento, Sessio XXIV, 11-11-1563, Decretum de reformatione Matrimonii, caput I. 5 Il riferimento è al Concilio Vaticano II e alla Costituzione pastorale Gaudium et spes. 6 Per un confronto tra matrimonio civile e matrimonio canonico, v. G. Alpa, Matrimonio civile e matrimonio canonico: due modelli a confronto, in Pol. dir., 1988, 321 ss.

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Stato. Nella concezione pubblicistica della famiglia, affermatasi a cavallo delle due guerre, il matrimonio è istituzione orientata alla realizzazione di interessi di ordine superindividuale7. Pur mancando nel codice civile una predeterminazione normativa dei fini tipici, il matrimonio civile, nel codice del 1865, prima, e poi in quello del 1942, corrisponde al modello romano-cristiano in quanto unione indissolubile di un uomo e di una donna, comunione di tutta la vita orientata alla procreazione, l’unica unione legittima di fronte allo Stato. Il matrimonio civile, introdotto prima negli stati protestanti (in Olanda nel 1580) e poi negli stati cattolici, con la rivoluzione francese ed i codici dell’800, intende garantire il diritto di tutti i cittadini ad una pari via di accesso allo stato coniugale, nella prospettiva laica per cui il fattore religioso non può giustificare privilegi o discriminazioni di alcun tipo8, ma non si allontana dal solco della tradizione che si è alimentata nei secoli dei valori, della cultura, della Chiesa cattolica.

2. Il matrimonio concordatario. Il Concordato Lateranense del 1929 costituisce la grande svolta del diritto matrimoniale italiano in quanto restituisce al “sacramento del matrimonio disciplinato dal diritto canonico gli effetti civili” (art. 34), quegli effetti di cui il codice civile del 1865 lo aveva privato. Con il Concordato – e con la legge matrimoniale del 1929 che vi dà attuazione – la concezione sacramentale del matrimonio riprende il sopravvento nella società italiana del tempo. Per un’intera fase storica è dunque il sacramento del matrimonio – definito nei suoi requisiti costitutivi e nella sua essenza dal diritto canonico – a valere anche per lo Stato, secondo una regola molto semplice, come faceva notare Jemolo: “i matrimoni che hanno vigore per la Chiesa lo hanno per lo Stato; quelli che attraverso il giudizio di nullità cessano di avere vigore per la Chiesa, cessano di averlo per lo Stato”9. Rispetto a quel modello, e di pari passo con le trasformazioni sociali della famiglia, la disciplina del matrimonio civile ha subito trasformazioni profonde con le riforme degli anni ’70 del secolo scorso, con il nuovo Accordo tra lo Stato italiano e la Santa Sede del 1984, e poi con le riforme degli ultimi quindici anni, Nel trascorrere del tempo anche il matrimonio canonico mostra un volto nuovo, grazie al Concilio Vaticano II, alla costituzione conciliare Gaudium e Spes (1963), alla nuova stesura del Codice di diritto canonico (1983), ai più recenti Sinodi della famiglia – specie a quello del 2015 voluto da Papa Francesco – al Motu proprio dello stesso anno che ha semplificato

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Secondo una concezione pubblicistica della famiglia che trova la sua massima espressione nell’opera di Antonio Cicu, specie, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma, 1914, rist., con lettura di Sesta, Bologna, 1978. Si vedano inoltre i diversi saggi raccolti ora in A. Cicu, Scritti minori, Milano, 1965. 8 F. Finocchiaro, Il matrimonio, vol. I, in Commentario Scialoja - Branca, sub artt. 79-83, Bologna-Roma 1971, 80 ss. 9 A.C. Jemolo, Il matrimonio, in Trattato Vassalli, Torino, 1961, 252

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il procedimento canonico di annullamento del matrimonio. Una evoluzione che peraltro, pur introducendo significative innovazioni – pensiamo soltanto alla previsione del bonum coniugum, la comunione d’amore tra gli sposi come fondamento si affianca al bonum prolis nell’individuare l’essenza del matrimonio – non si allontana dalle linee segnate dalla dottrina e dal magistero della Chiesa10. In ambito civile, riforme legislative e nuovi orientamenti giurisprudenziali segnano un progressivo distacco del matrimonio civile dal modello tradizionale e dal matrimonio sacramento. Da un lato l’evoluzione del sistema concordatario – nel segno del progressivo attenuarsi degli automatismi che originariamente lo caratterizzavano – porta ad una progressiva divaricazione dei binari su cui corrono matrimonio civile e matrimonio concordatario11. La tendenziale coincidenza tra matrimonio canonico ed effetti civili, propria dell’originario sistema concordatario, è venuta sempre più attenuandosi sia per quel che riguarda il momento costitutivo (la trascrizione), sia per quanto riguarda la sua fine (l’annullamento). Da questo punto di vista è significativa la sentenza delle Sezioni Unite che identifica nella tutela del matrimonio rapporto un insuperabile principio di ordine pubblico12. L’affermazione secondo cui la convivenza tra coniugi protratta per almeno tre anni impedisce, sia pur a certe condizioni, il riconoscimento della pronuncia ecclesiastica di nullità raccoglie ed in un certo senso estremizza questa evoluzione, segnando (a torto o a ragione, qui non rileva) una divaricazione profonda tra matrimonio canonico ed i suoi effetti civili. D’altro lato l’evoluzione normativa e degli orientamenti giurisprudenziali ci porta a misurare le distanze che attualmente sussistono rispetto all’originario modello di matrimonio civile, unica unione legittima di fronte allo Stato, fonte di un vincolo indissolubile tra un uomo ed una donna orientata alla generazione di figli. Ed è su questo aspetto che vorrei spendere qualche riflessione ulteriore.

3. L’evoluzione del matrimonio civile. Dall’indissolubilità alla

soluzione consensuale del conflitto.

L’evoluzione del diritto civile mette in discussione gli elementi che caratterizzano l’“essenza” del matrimonio tradizionale: esclusività, indissolubilità, paradigma eterosessuale, finalità procreativa. Il primo elemento a cadere, nel 1970, è stato l’indissolubilità del matrimonio. Approdato alla scelta divorzista, l’ordinamento italiano non rinuncia, tuttavia, a salvaguardare la stabilità

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Al riguardo, in modo particolare, M. Miele, Bonum coniugum e profili civilistici, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica, n. 28/2016. 11 Ne offre un quadro efficace M. Miele, in Matrimonio, a cura di G. Ferrando, in Commentario Scialoja - Branca a cura di De Nova, sub art. 82, Bologna, 2017, 92 ss. 12 Cass. S.U. 17 luglio 2014, n. 16379, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 36, con nota di U. Roma.

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del vincolo. Secondo la disciplina originaria della l. n. 898/1970, i casi di divorzio sono solo quelli tassativamente indicati dalla legge. Non è ammesso il divorzio sulla base del mero consenso dei coniugi. Il divorzio non è ammissibile se non preceduto da un prolungato periodo di separazione legale. La modifica dello status non può avvenire se non sulla base di una pronuncia del giudice che, verificati i presupposti di legge ed esercitato il dovuto controllo sulle condizioni economiche relative ai coniugi ed ai figli, pronuncia lo scioglimento del vincolo. L’evoluzione successiva segna un progressivo favore per la soluzione consensuale del conflitto, a partire dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 che elimina la separazione per colpa e pone l’accento sulla separazione consensuale come modalità preferenziale di composizione della crisi familiare, per giungere alla l. n. 56/2004 sull’affido condiviso, perfezionata poi dalla riforma della filiazione del 2012/2013, dove la ricerca del consenso diviene condizione ineludibile per la gestione dei rapporti tra genitori e figli anche dopo la fine della vita comune. Il modello consensuale di soluzione del conflitto è enfatizzato dalle riforme della separazione e del divorzio per negoziazione assistita e consenso raggiunto innanzi al Sindaco nella sua veste di ufficiale di stato civile (artt. 6, 12, l. n. 164/2015) e dalla riduzione dei tempi di separazione necessari per ottenere lo scioglimento definitivo del vincolo: sei mesi in caso di separazione consensuale, un anno in caso di giudiziale (l. n. 55/2015). Da una concezione di “divorzio rimedio”, forma di soluzione estrema della crisi coniugale, si passa ad una concezione del divorzio come “libertà”, non sindacabile, della persona. Si assiste ad una crescente “privatizzazione”, “deistituzionalizzazione” delle scelte riguardanti le sorti del rapporto matrimoniale, almeno nelle situazioni in cui manchino figli non autosufficienti. Da questo punto di vista, particolarmente significativo è il divorzio che non dipende da una qualche procedura di tipo giudiziale, ma dal semplice intervento di una autorità amministrativa, il Sindaco nella sua veste di ufficiale di stato civile. Manca in tal caso qualsiasi forma di controllo pubblico che non sia meramente formale. La presenza dell’Ufficiale dello stato civile costituisce una condicio juris di efficacia ineludibile dell’accordo raggiunto, ma niente più. “Il modello burocratico/amministrativo di divorzio sembra privare l’istituto del solido ancoraggio alla sfera degli interessi personali indisponibili che era assicurato dall’intervento del giudice, proiettandolo in una dimensione negoziale inedita”13. Si è parlato “passaggio epocale, anche sul piano dei principi”, con possibili ripercussioni “sulla fisionomia dell’intero sistema della ‘crisi coniugale’”14. La dottrina ha colto la portata sistematica delle riforme quando, nel commentarle, non ha esitato a parlare di “nuovo divorzio”15. Con la previsione di forme di (separazione prima e

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Una sottolineatura in A. Licastro, La questione della riconoscibilità civile del divorzio islamico al vaglio della Corte di giustizia dell’Unione europea (a margine della pronunzia del 20 dicembre 2017, C-372/16), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica, n. 13/2018, specie 28. 14 M.N. Bugetti, Separazione e divorzio senza giudice: negoziazione assistita da avvocati e separazione e divorzio davanti al Sindaco, in Corr. giur., 2015, specie 525. 15 C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Trattato Cicu Messineo, Milano, 2015, passim.

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poi di) divorzio stragiudiziale e la riduzione dei tempi di attesa tra separazione e divorzio, i presupposti del divorzio individuati dagli artt. 2 e 3 della l. n. 898/1970 (cessazione della comunione materiale e spirituale, sussistenza di uno dei “casi” tassativamente indicati dalla legge) sono ormai meri simulacri, dato che ormai il divorzio si può ottenere semplicemente su consenso dei coniugi e addirittura su richiesta di uno di essi e trascorsa una breve pausa di riflessione. Il controllo giudiziale che, nel sistema del codice civile, era “necessario”, in quanto garanzia della stabilità dello status, ora diventa residuale. In una prospettiva realistica, l’accordo viene riconosciuto come strumento prioritario di soluzione del conflitto e il provvedimento giudiziale come strumento sussidiario. L’entrata e l’uscita dallo status coniugale sempre meno sono sottoposti a controllo pubblico e sempre più vengono affidati all’autonomia dei coniugi, segno del deperire degli interessi pubblici al mantenimento dell’unione nel tempo e della preminente considerazione della libertà individuale. Questo da un lato segna una definitiva distanza dal modello canonico in quanto – come scriveva Bettetini nel 199616 – “se il consenso matrimoniale espresso validamente nell’ordinamento canonico dà origine ad un rapporto ormai sottratto alla volontà delle parti … non così si verifica nell’ordine dello Stato, ove un consenso, per quanto valido, può, ed è di fatto sottoposto a continua verifica, sì da dover essere sempre confermato, e sempre poter essere revocato”. Dall’altro lato, il recente approdo alla gestione burocratica della crisi coniugale affidata in buona sostanza, quando manchino i figli, al consenso dei coniugi ulteriormente sviluppa questo fenomeno di “deistituzionalizzazione e contrattualizzazione del matrimonio”17. Il diritto rispetta le scelte dei coniugi, non le sovrasta. Solo i diritti dei figli giustificano limiti e controlli, soglie di inderogabilità.

4. Matrimonio e procreazione. Anche riguardo alla generazione dei figli – tradizionalmente intesa come scopo fondamentale del matrimonio – si può riscontrare, da parte del diritto civile, una progressiva presa di distanza. Nel trascorrere del tempo, il diritto appare sempre più “neutrale” rispetto alle scelte delle persone nel campo della sessualità e della procreazione. È vero che il diritto civile – diversamente da quello canonico – non ha mai espressamente indicato nella procre-

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A. Bettetini, La secolarizzazione del matrimonio nell’esperienza giuridica contemporanea, Padova, 1996, 21. Ancor oggi, tuttavia, non manca chi sostiene una concezione istituzionale del matrimonio civile, nella preminente considerazione degli interessi superiori, di carattere pubblicistico, che tutt’ora ne innervano la disciplina. V. in modo particolare A. Renda, Il matrimonio. Una teoria neo-istituzionale, Milano, 2013; Id., Le ragioni di una teoria neoistituzionale del matrimonio, Riv. dir. civ., 2014, 1025 ss. Ancor prima, v. A. Nicolussi, La famiglia una concezione neoistituzionale, Europa e dir. priv., 2012, 169 ss. Per una discussione, rinvio alle mie pagine introduttive al volume Il matrimonio, in Commentario Scialoja e Branca, cit., sub. artt. 79-158, specie 7 ss.

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azione il fine del matrimonio. È però anche vero che in questo senso deponevano in modo inequivoco regole di matrice civile e penale. Anche il diritto civile, al pari di quello canonico, considerava nullo fin dall’origine il matrimonio inidoneo alla generazione (v. art. 123 c.c. 1942 abr). Il matrimonio, riguardato nella sua etimologia originaria come matris munus, costituiva infatti l’istituzione sociale e giuridica per via della quale assicurare all’uomo una discendenza certa. Per la donna il matrimonio costituiva pressoché l’unica prospettiva di vita degna; una volta sposata, la donna era tenuta all’obbedienza, e ad un obbligo di fedeltà, per lei sola, incondizionato18, né poteva rifiutare i rapporti sessuali — dato che al marito spettava nei suoi confronti il ius in corpus —, o impedire che fossero fecondi, essendo le pratiche contrarie penalmente sanzionate19. Oggi il diritto non offre più questa garanzia. Non si è mancato di notare come il passaggio dell’impotenza da causa di nullità a circostanza rilevante solo in quanto materia di errore da parte dell’altro coniuge, abbia cambiato il volto del matrimonio20, rendendo disponibile quanto era fino a quel momento elemento necessario del vincolo. La fedeltà resta il primo tra i doveri coniugali, ma è fondata su basi di reciprocità ed è priva di sanzione penale; il consenso al matrimonio non autorizza a rapporti sessuali non voluti21; il controllo della fertilità non è riprovato, ma promosso in vista di una procreazione responsabile. L’aspirazione alla discendenza può, quindi, realizzarsi non in forza del diritto, ma del consenso22. È vero che la presunzione di paternità del marito costituisce tutt’ora regola cardine dell’accertamento della filiazione matrimoniale. Questa regola non sta tuttavia ad indicare che la generazione della prole sia il fine “istituzionale” del matrimonio, bensì che riceve specifica tutela in quanto effettivamente perseguito dai coniugi. La procreazione non rappresenta più la finalità necessaria del matrimonio. È vero che la generazione costituisce aspirazione naturale delle giovani coppie e sovente la ragione per

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Nella disciplina del codice penale del 1930 l’infedeltà della moglie era sempre sanzionata, mentre quella del marito solo in casi d’eccezione (artt. 558, 559 c.p., norme dichiarate costituzionalmente illegittime da Corte cost., 19 dicembre 1968, n. 126; Corte cost., 18 dicembre 1968, n. 127). A sua volta il codice civile considerava l’adulterio della moglie sempre causa di separazione per colpa, mentre quello del marito lo era solo se costituiva “ingiuria grave” (art. 151 c.c. dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte cost., 3 dicembre 1969, n. 147). 19 Il codice penale Rocco del 1930 puniva come reato non solo l’aborto (art. 546 c.p. abr.) e la somministrazione di anticoncezionali (art. 552 c.p. abr.), ma anche l’“incitamento a pratiche contro la procreazione” (art. 553 c.p. abr.). 20 Osserva G. Dalla Torre, Veritas, non auctoritas facit matrimonium, in G. Dalla Torre-C. Gullo-G. Boni (a cura di), Veritas non auctoritas facit legem, Studi di diritto matrimoniale in onore di Piero Antonio Bonnet, Città del Vaticano, 2012, 222 ss. che il “venir meno dell’impedimento di impotenza nel matrimonio civile… ha costituito in definitiva un fattore importante per il cedere di quel principio del matrimonio come luogo proprio della trasmissione della vita e, quindi, del presupposto necessario della eterosessualità” (230). 21 L. 5 febbraio 1996, n. 66 – Norme contro la violenza sessuale. 22 Anche il giurista custode della tradizione doveva osservare come “la programmazione delle nascite da un lato – passata in gran parte dalle decisioni dell’uomo a quelle della donna – ed il potere dall’altro riconosciuto alla stessa moglie di abortire senza che sia richiesto il consenso del marito … sono espressioni dello stesso filone di tendenza che ha portato alla non incriminazione dell’adulterio ed al libero riconoscimento dei figli adulterini. Questa è rivoluzione: il rapporto familiare, chiuso per naturale tendenza, non trova più una difesa esterna al suo carattere istituzionale; ma questo forse è soltanto un segno che riflette la dilagante libertà dei costumi”: A. Trabucchi, Famiglia e diritto nell’orizzonte degli anni ’80, in La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo, Padova, 1986, 3 ss., specie 11 s.

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cui decidono di solennizzare con il matrimonio un’unione talvolta già sperimentata nella convivenza. Ma è anche vero che il matrimonio rappresenta forma aperta anche ad altri progetti. Si pensi al matrimonio tra persone che non possono o non intendono avere figli, a quello tra anziani, a quello tra persone delle quali una abbia ottenuto la rettificazione di attribuzione di sesso e ad altre situazioni ancora. In ogni caso il matrimonio resta la forma giuridica per costituire una comunione di vita, un’unione solidale che si alimenta nella coabitazione, nella fedeltà, nell’assistenza reciproca, nella collaborazione ad un comune progetto. È ben vero che anche nel diritto canonico il “bonum coniugum”, “il bene dei coniugi”, la comunione di vita e di amore, costituisce finalità che si affianca al bonum prolis, ma è anche vero che il matrimonio non può non essere aperto alla generazione, tanto che l’esclusione anche unilaterale del bonum prolis è causa di nullità del vincolo. La stessa procreazione, poi, non ha più nella derivazione genetica il suo fondamento esclusivo. L’adozione, prima, e poi le nuove tecnologie della riproduzione hanno contribuito a spostare l’attenzione dalla “natura” al “consenso”, alla “responsabilità” dei genitori. La discendenza genetica non costituisce più il paradigma esclusivo, perché ad essa si affianca, con pari dignità, anche l’elemento psico-sociale dell’accoglienza e della responsabilità23. È in questa prospettiva, molto lontana dall’originario disegno codicistico, che può apparire problematico spiegare perché il matrimonio venga riservato a coppie di sesso diverso e non sorprende che in un numero crescente di Stati si affermi il modello di matrimonio egualitario, aperto anche a persone dello stesso sesso.

5. La differenza di sesso tra gli sposi. Anche da noi, il paradigma eterosessuale del matrimonio si è progressivamente appannato, a partire dalla legge n. 164/1982 che autorizza la persona che ha ottenuto la rettifica di attribuzione di sesso a contrarre matrimonio con persona di sesso diverso da quello acquisito, per giungere, più di recente, alla istituzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Dopo la legge n. 76/2016 è legittimo chiedersi che cosa resti nell’ordinamento italiano di quel paradigma. È vero che le unioni civili non sono il matrimonio, sono un istituto distinto. Nel diritto italiano il matrimonio è ancora riservato in via esclusiva a coppie di sesso diverso. È però anche vero che le unioni civili condividono con il matrimonio i tratti essenziali, sia per quel che riguarda il momento costitutivo (il profilo dell’“atto”) sia per quanto riguarda la relazione interpersonale (il profilo del “rapporto”) e la rilevanza nei confronti dei terzi e della collettività. La clausola generale di equivalenza è lo strumento normativo di cui il

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Il divieto di fecondazione eterologa, contenuto nella l. n. 40/2004, è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 2, 13, 32 Cost. da Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 802, con mio commento Autonomia delle persone e intervento pubblico nella riproduzione assistita. Illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, ivi, 2014, II, 392.

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legislatore si è avvalso per assicurare alle coppie dello stesso sesso una tutela paragonabile al matrimonio24. Si può discutere, non è questa la sede per farlo, se il paradigma eterosessuale sia stato, per così dire, costituzionalizzato, o se invece, come a me pare e come suggeriscono anche le sentenze della Corte di Strasburgo, della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione, il legislatore ordinario sia autorizzato, senza vincoli di ordine costituzionale, ad introdurre, se e quando riterrà di farlo, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, come è avvenuto in altri Stati25. Resta il fatto che dopo la legge n. 76 anche il matrimonio non è più lo stesso di prima.

6. Dalla famiglia alle famiglie. Da questo punto di vista, si è fatto notare come la legge n. 76 costituisca una tappa importante nel passaggio dalla “famiglia” alle “famiglie”. Se in passato nel diritto si rifletteva un solo modello famiglia, ora ci viene restituita un’immagine plurale di famiglie, fondate a volte sul matrimonio, altre volte sulla filiazione (l. n. 219/2012)26, altre volte su unioni civili, convivenze registrate e non (l. n. 76/2016), altre volte ancora su rapporti fattuali di filiazione e genitorialità (l. n. 173/2015 sulla tutela delle relazioni affettive). Non più la famiglia come isola ma le famiglie come arcipelago di “di piccole isole che si affianca all’isola maggiore”27. L’evoluzione del diritto riflette le trasformazioni sociali. A livello costituzionale la Carta di Nizza fa propria una visione plurale dell’esperienza familiare. La Corte EDU ne trae motivo per proporre una lettura aggiornata della Convenzione del 1950 e anche la nostra Corte costituzionale include le famiglie non coniugali nell’area di protezione dell’art. 2 Cost. La declinazione plurale delle famiglie non trova ostacolo l’art. 29 Cost., letto nella più ampia cornice dei principi fondamentali di eguaglianza e tutela dei diritti inviolabili (artt. 2, 3 Cost.),

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Si tratta di un’opinione diffusa anche se non unanime. Osserva, ad esempio, G. Bonilini, Convivenza, matrimonio, unione civile, e famiglia, in Dir. fam. succ., 2017, 764 ss, che la legge n. 76 “rende smaccatamente uguale al matrimonio codesta unione” (768). “Essa è, o mira ad essere, una compagine familiare”. “Piaccia o no al legislatore, la vita affettiva, di assistenza, e di sostegno, condotta da almeno due persone, qualsivoglia ne sia il sesso, integra sempre una famiglia” (771). Secondo G. Alpa, La legge sulle unioni civili e le convivenze. Qualche interrogativo di ordine esegetico, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1719: “è giunto il momento di riconoscere che si è alla presenza di un unico istituto, la famiglia, che si presenta con morfologie differenti”. Per una sottolineatura delle differenze tra i due istituti, in particolare, v. M. De Cristofaro, Le “unioni civili” tra coppie del medesimo sesso. Note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1°-34° dell’art. 1 della legge 20 maggio, n. 76, integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 113 ss. 25 Per una più ampia argomentazione, rinvio al mio Matrimonio e unioni civili. Un primo confronto, in Pol. dir., 2017, 43 ss. 26 Il riconoscimento degli eguali diritti di ogni figlio porta con sé necessariamente la rilevanza delle relazioni familiari in cui si svolge la sua personalità siano esse fondate sul matrimonio o altrimenti fondate. Cfr. M. Paradiso, Filiazione, stato di figlio e gruppi familiari tra innovazioni normative e riforme annunciate, in Dir. succ. fam., 2016, 101 ss.; M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, 1 ss.; Id. L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, 231. E v. anche, per una più diffusa argomentazione del mio punto di vista, G. Ferrando, Stato unico di figlio e varietà di modelli familiari, in Fam. dir., 2015, 952 ss. 27 F.D. Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, 520 ss.

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nell’assunto che l’art. 29, non “cristallizzi” il modello di famiglia storicamente dato all’epoca della sua approvazione: quello disciplinato dal codice civile del 194228. A livello di legislazione ordinaria, la riforma della filiazione segna il passaggio da un unico tipo di famiglia alla pluralità di esperienze familiari rilevanti per il diritto. Nella recente riforma la tutela del figlio porta con sé la tutela delle relazioni in cui si svolge la sua personalità. I diritti dei figli sono diritti che si incardinano nella relazione (art. 315 bis c.c.): quella con i genitori, anche se non sposati, nel fisiologico svolgersi della vita familiare (art. 316 c.c.) e nel momento della crisi del loro rapporto (art. 337 bis ss. c.c.); quella con i nonni e gli altri parenti, secondo quanto dispongono gli artt. 315 bis c.c. e 317 bis c.c. Grazie ai figli esce dall’ombra la molteplicità delle relazioni in cui si svolge la loro personalità e che (almeno) per questo meritano tutela. Il baricentro della famiglia si sposta dal matrimonio alla filiazione. Il matrimonio resta istituto aperto alla generazione (artt. 231, 147, 156 c.c.), anche se questa non ne costituisce più il fine necessario. La filiazione, per contro, riceve una tutela indipendente dal matrimonio, a prescindere dal tipo di relazione esistente tra i genitori, una tutela che in ogni caso implica l’insorgere di legami familiari con le reti parentali. Dove ci sono figli, lì per il diritto c’è famiglia, una famiglia fondata non sul matrimonio, ma sulla generazione. La legge sulle unioni civili e le convivenze di fatto porta a compimento quel passaggio dalla “famiglia” alle “famiglie”, tale per cui alla famiglia fondata sul matrimonio si affiancano altri tipi di famiglie, diverse, ma anch’esse meritevoli di tutela secondo l’ordinamento. L’“esclusività” della tutela che un tempo il diritto riservava alla famiglia “legittima” è ormai tramontata.

7. Famiglie e matrimoni dopo le recenti riforme. Uno sguardo di sintesi.

L’immagine di famiglia che le ultime riforme (filiazione, separazione e divorzio, unioni civili) ci consegnano è assai diversa da quella della tradizione, è intanto una famiglia declinata al plurale, che accoglie forme diverse dello stare insieme, nel rispetto della pluralità dei modi di intendere i rapporti di coppia e di generazione. Non è più solo la famiglia coniugale il luogo dove si esplicano vincoli di solidarietà, di affetto, dove si attende alla cura ed alla crescita dei figli, al sostegno delle personalità individuali. La legge riconosce e disciplina diverse forme di famiglie, tutte orientate alla promozione dei diritti fondamentali delle persone che le compongono29, ed il cui il baricentro si è spostato dal matrimonio alla filiazione.

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Corte cost. 15 aprile 2010, n. 138, in Fam. e dir., 2010, 653, con nota di M. Gattuso. La famiglia non può essere “nemica delle persone e dei loro diritti”, secondo la felice formula della Corte costituzionale – v. Corte

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Matrimonio civile e matrimonio sacramento

Si registra una crescente “deistituzionalizzazione” del matrimonio. L’ordinamento rinuncia a garantire nel tempo la durata del vincolo coniugale, dato che è ormai il consenso a costituire il vincolo e a determinarne la fine, sia pur con un limitato controllo pubblico30. Si fa carico, invece, di regolarne le conseguenze nell’interesse dei soggetti più deboli, il coniuge ed i figli, rendendosi garante di quel dovere di solidarietà che scaturisce dal matrimonio. Sempre meno viene giustificato il sacrificio degli interessi individuali a tutela di istanze di ordine superiore. Le istanze collettive, presenti in ambito familiare (si pensi alla certezza degli status, alla solidarietà che fa della famiglia la principale rete di assistenza per i più deboli), non giustificano più, nelle intenzioni del legislatore, il sacrificio dei diritti individuali. Matrimonio e famiglia non vengono più riguardati dal diritto come istituzioni portatrici di interessi superiori31, ma come formazioni sociali orientate al fiorire delle personalità individuali. Nello stesso tempo, bisogna prendere atto della crescente neutralità del diritto rispetto alle esperienze familiari. Sempre meno il diritto prefigura un unico modello rigido entro il quale le vite e i sentimenti debbono essere costretti e sempre più offre gli strumenti perché le individualità possano esprimersi, apre spazi all’autonomia delle persone, alla libera espressione della loro personalità32. In questa dimensione plurale, al matrimonio si affiancano altre unioni, alcune fondate sull’assunzione di un vincolo, altre sull’esistenza di relazioni di affetto e convivenza che, per quanto non formalizzate, costituiscono tuttavia vita familiare meritevole di tutela33. In questo arretramento del diritto nei confronti della vita familiare a mio parere si deve cogliere il senso dell’evoluzione del matrimonio civile. La legge sempre più riconosce che vi sono spazi privati riservati all’intimità delle persone, alla libera esplicazione delle

cost. 28 novembre 2002, n. 494 –, ma deve essere rispettosa della pari dignità di tutti. Si consideri, inoltre, che la Corte costituzionale ha esteso l’ambito delle norme che debbono potersi applicare al convivente in quanto la tutela dei fondamentali diritti delle persone richiede che vengano riconosciute e garantite le relazioni, anche di fatto, che ne rendono possibile la realizzazione (v. Corte cost. 23 settembre 2016, n. 213, sul riconoscimento al convivente dei permessi mensili previsti dalla legge sull’handicap a favore dei parenti). 30 Si è detto che, in seguito alle recenti riforme, “il matrimonio sembra destinato a diluirsi … in un’unione di diritto civile precaria e incerta nel suo contenuto e nella sua funzione, sempre meno riconoscibile come una istituzione solidaristica in grado di fungere da corpo intermedio tra Stato ed individuo”: A. Nicolussi, Recensione a Girgis, Anderson, George, Che cos’è il matrimonio?, Milano, 2015, in Europa e diritto privato, 2015, 977 ss., specie, 978. 31 Anche se non si manca di rimarcare la perdurante dimensione “istituzionale” del matrimonio: v. A. Renda, Il matrimonio. Una teoria neoistituzionale, cit. 32 S. Rodotà, Diritto d’amore, Roma-Bari, 2015, 35 ss. 33 La tutela del preminente interesse del figlio porta la Corte europea a declinare in termini estremamente ampi il concetto di vita familiare secondo un approccio concreto e funzionale che parte dall’effettività del rapporto genitoriale e familiare per riconoscere tutela a tutti i soggetti che di esso sono protagonisti. Di questo approccio si ritrovano molteplici esempi, si pensi soltanto ai casi Wagner c. Lussemburgo (Sentenza del 28 giugno 2007), Negrepontis c. Grecia (Sentenza del 3 maggio 2011), Moretti e Benedetti c. Italia (Sentenza del 27 aprile 2010), in tema di adozione; ai casi Menneson e Labassee c. Francia (Sentenze del 26 giugno 2014) in tema di maternità per sostituzione. E v. anche Corte EDU, Paradiso e Campanelli c. Italia, 27 gennaio 2015, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 834, con nota di A. Shuster. Pur riformando la sentenza di primo grado, la Grande Camera (Corte EDU, G.C., Paradiso e Campanelli c. Italia, 24 gennaio 2017) si colloca nell’alveo della precedente giurisprudenza a proposito della rilevanza dei rapporti familiari di fatto, precisando i requisiti necessari per la loro sussistenza.

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personalità, in cui allo Stato non è consentito entrare. Il rispetto della vita privata e familiare segna un limite all’intervento del diritto, limite che può essere superato, ma solo per ragioni molto forti che oggi tendono ad identificarsi nella tutela dei figli. Il riconoscimento della famiglia come società naturale, in questa prospettiva, non allude ad un modello immutabile di famiglia, non “cristallizza un certo modello di famiglia”. Il riconoscimento della famiglia come società naturale indica un limite all’ingerenza dello Stato, garantendo il rispetto delle sue dinamiche interne, della vita familiare che in essa si svolge. Come ebbe a notare Aldo Moro in Assemblea Costituente, la formula “la famiglia è una società naturale”, “... non è affatto una definizione, anche se ne ha la forma esterna, in quanto si tratta in questo caso di definire la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita”34. Ci si può chiedere che cosa resti della sacralità del vincolo in tale contesto. Già due decenni fa Andrea Bettetini, concludendo il suo studio sulla secolarizzazione del matrimonio civile notava in modo malinconico che, con riferimento al matrimonio, la permanenza di idee cristiane, “a livello di esperienza giuridica è assai labile e vaga”. “Il modello, la stessa idea di coniugio civile, sta sempre maggiormente divergendo da quella cristiana”. A suo parere, oramai “si può correttamente parlare di matrimonio post-cristiano in quanto l’influsso esercitato dal cristianesimo su una società e una legislazione al punto da costituire una struttura impregnata di spirito religioso è venuto meno o comunque ha conosciuto un non indifferente riflusso”35. In anni più recenti si è parlato di un’“età del disorientamento”, quasi che nel volgere di due secoli o poco più si sia compiuta la parabola del matrimonio civile, dal suo sorgere, con la rivoluzione francese, al suo attuale tramonto, cosicché chi volesse ancora contrarre “vero” matrimonio dovrebbe “tornare a rivolgersi laddove esso risulta davvero presente”, al diritto della Chiesa36. Da altro punto di vista, si può invece osservare che il fatto di essere matrimonio e famiglia, per il diritto dello Stato, istituti laici inevitabilmente porta ad accentuarne le distanze rispetto al diritto della Chiesa. Il diritto civile non può non tener conto della effettività dei fenomeni che intende regolare, dell’esigenza prioritaria di protezione dei soggetti deboli nelle circostanze concrete del loro esistere. Là dove lo Stato riconosce un limite al proprio potere coercitivo e amplia gli spazi riservati all’autonomia delle persone, lì si aprono le porte per dare rilevanza a regole diverse da quelle del diritto: regole della morale, della religione, del costume, della tradizione dalle quali le persone, nella libertà del proprio sentire, ritengano di farsi guidare.

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Adunanza plenaria dell’Assemblea Costituente del 15 gennaio 1947. A. Bettetini, La secolarizzazione del matrimonio nell’esperienza giuridica contemporanea, Padova, 1996, 239-40. 36 “…dove si è custodita gelosamente la consapevolezza dell’essere davvero il matrimonio “divini et umani iuris communicatio”: G. Della Torre, Veritas, non auctoritas facit matrimonium, cit., 11. 35

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Matrimonio civile e matrimonio sacramento

Lo Stato, tuttavia, non rilascia una delega in bianco ai diversi sistemi di valori. Al contrario ne fissa il limite nel rispetto dei principi fondamentali della convivenza civile, dei diritti costituzionali inviolabili: dignitĂ , eguaglianza, libertĂ , vita, salute, sono diritti che lo Stato garantisce a tutti a prescindere dal credo religioso, dalla comunitĂ di appartenenza e che in nome di nessun credo religioso o tradizione, o morale, o costume particolare possono essere violati. Nel momento in cui si riconosce la libertĂ dei privati, anche in ambito familiare, ne viene tuttavia segnato il limite e viene riaffermata la funzione di garanzia da parte dello Stato.

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I rapporti personali nelle relazioni di coppia dopo la stagione delle riforme* Sommario : 1. Introduzione. – 2. Rapporti di coppia, innovazioni legislative e mutamenti culturali. – 3. Principio di sussidiarietà, autonomia delle coppie e disciplina del rapporto. Il richiamo al binomio libertà-responsabilità. – 4. Diritti e doveri dei coniugi e principio di uguaglianza. L’impegno reciproco di fedeltà e collaborazione come essentiale matrimonii. – 5. Convivenza di fatto, comunione di vita e disciplina del rapporto. – 6. Unione civile, obblighi reciproci e patto di assistenza.

The paper examines the theme of personal relationships in the light of new regulation for de facto cohabitations and for unions between persons of the same sex. The theme is framed primarily within the principles of subsidiarity and autonomy of family relationships, and brought back to the binomial freedom-responsibility. In particular, we highlight the greater extent of responsibility for married couples – whose essential core is identified in the mutual commitment of fidelity and collaboration – and, on the contrary, the central role that assumes the profile of freedom in de facto couples. As for the “unione civile”, we exclude that it may or should be reduced to an imitation of marriage – by imposing duties that the law did not intend to impose, such as fidelity and collaboration – and we highlight that they, if framed in contractual agreements, can perform a useful function in the mutual assistance and company.

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Relazione al Convegno Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme: rapporti di coppia e ruolo genitoriale (Catania, 27 – 29 settembre 2018). Ricerca condotta nell’ambito del Piano triennale per la ricerca dipartimentale dell’Università di Catania 2016/2018 – Giurisprudenza.

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1. Introduzione. È noto che ormai da molti anni al profilo del rapporto viene assegnato un ruolo centrale, quando non radicalmente assorbente, nella vita e nella configurazione sistematica della famiglia; e ciò, in particolare, a discapito della rilevanza del suo atto fondativo: quando non manca del tutto, esso vede progressivamente ridursi la sua importanza sia in ordine alla validità del matrimonio, sia in ordine alla disciplina conseguente alla sua accertata irregolarità1. E ancor più modesto, poi, è il ruolo che gli viene riconosciuto nell’individuazione dell’essenza, dei caratteri individuanti delle diverse formazioni familiari: se già nel matrimonio si fa comunemente riferimento alla «comunione materiale e spirituale» – quale profilo fattuale in grado di decidere della sua “vitalità” e del suo eventuale venir meno –, nelle convivenze i «legami affettivi e di reciproca assistenza» instaurati in via di fatto assurgono per un verso a connotato identificante, per l’altro a elemento costitutivo del consorzio di vita, anche a tenore della recente disciplina legislativa2. Ebbene, a fronte di una tale rilevanza non è molta la riflessione che, nel complesso, viene dedicata allo studio del rapporto: a parte qualche profilo – collegato per lo più ad aspetti e diritti patrimoniali – vi si dedica attenzione quasi soltanto nell’ambito di trattati e commentari: e se queste trattazioni sono spesso pregevoli, non è detto che uno specifico approfondimento del tema non sarebbe in grado di fornire un utile contributo alla specificazione di quella “comunione” e perciò a una migliore comprensione degli istituti. Né, credo, sia da temere il rischio di irrigidire il rapporto, di incasellarlo in schemi tanto più lontani dalla realtà quanto più sono costruiti a tavolino: osservazione comune è infatti quella dell’ampiezza di contenuto che la legge disegna attorno a diritti e doveri coniugali, tanto che qualcuno parla di una loro genericità, o indeterminatezza, che va riempita di contenuto dagli stessi protagonisti del rapporto e, per quanto di ragione, dall’interprete.

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Basti rammentare le importanti opere di G. Furgiuele, Libertà e famiglia, spec. 274 ss., di N. Lipari, La categoria giuridica della famiglia di fatto e il problema dei rapporti personali al suo interno, in La famiglia di fatto, Pontremoli, 1976, spec. 54 ss., e di V. Scalisi, Il superiore interesse del minore, ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, 405. Ma si tratta di approccio, com’è noto, esteso ormai a tutto il sistema: si v., con diverse valutazioni, P. Grossi, L’invenzione del diritto: a proposito della funzione dei giudici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 831; Id., Lungo l’itinerario di Nicolò Lipari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 1407; P. Perlingieri, Produzione scientifica e realtà pratica: una frattura da evitare, in Riv. dir. comm., 1969, I, 455; N. Lipari, A partire da “L’invenzione del diritto” di Paolo Grossi, in Riv. dir. civ., 2018, 349; Id., Il diritto civile tra legge e giudizio, Milano, 2017; G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, 1992. 2 Fra i molti contributi in materia, segnalo T. Auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia? (l. 20 maggio 2016, n. 76), in Nuove leggi civ. comm., 2016, 368 ss.; S. Patti, Le convivenze «di fatto» tra normativa di tutela e regime opzionale, in Foro it., 2017, I, c. 301; M. Paradiso, Commento all’art. 1, commi 36 e 37, della legge n. 76/2016, in Le unioni civili e le convivenze (a cura di C.M. Bianca), Torino, 2017, 486 ss.; F. Busnelli, Architetture costituzionali, frantumi europei, incursioni giurisprudenziali, rammendi legislativi. Quale futuro per la famiglia?, in Unioni civili e convivenze di fatto (a cura di M. Gorgoni), Santarcangelo di Romagna, 2016, XVI; L. Balestra, La convivenza di fatto. Nozione, presupposti, costituzione e cessazione, in Fam. e dir., 2016, 919; G. Ferrando, Conclusioni al Convegno “Modelli familiari e nuovo diritto” (Padova, 7-8 ottobre 2016), in Nuova giur. civ. comm., 2016, ivi, 1775; A. Luminoso, Diritto di famiglia: incertezze, criticità e lacune, in Riv. giur. sarda, 2016, 1; M. Rizzuti, Prospettive di una disciplina delle convivenze: tra fatto e diritto, in www.giustiziacivile.com, 2016; F. Romeo, Famiglia legittima e unioni non coniugali, in F. Romeo (a cura di), Le relazioni affettive non matrimoniali, Torino 2014, 3 ss.; Id., I rapporti personali tra i conviventi, ibidem, 235 ss.

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I rapporti personali nelle relazioni di coppia dopo la stagione delle riforme

Nel rispetto allora della legittima autonomia delle coppie una precisazione può e deve essere tentata: se ne ricaveranno, com’è mio convincimento, anche utili indicazioni sull’essenza dei diversi rapporti di coppia.

2. Rapporti di coppia, innovazioni legislative e mutamenti culturali.

I numerosi interventi legislativi che hanno innovato il diritto di famiglia successivamente alla riforma organica del 1975, se hanno inciso talora profondamente sul tessuto normativo e in particolare sulla disciplina della filiazione3, non hanno toccato in modo sostanziale il regime dei rapporti personali di coppia4. Quel che è cambiato, piuttosto, è il contesto complessivo di riferimento, il vissuto quotidiano delle relazioni familiari e la loro collocazione nel sistema dei valori sociali. Ma, altresì, quel che è profondamente modificato è il tessuto connettivo del sistema e il complessivo contesto normativo, che oggi vede introdotta una disciplina di diritto positivo per le unioni civili e per le convivenze informali. E discorso analogo può farsi per i provvedimenti e le sollecitazioni che a vario titolo e con diverso impatto normativo sono venuti dagli organi comunitari5: vero è che essi non hanno inciso direttamente su diritti e doveri delle coppie, ma lo stesso moltiplicarsi delle fonti pone un problema di integrazione e coordinamento con il più ampio contesto sociale e normativo di riferimento6. Fuor di luogo sarebbe qui un’esposizione dei complessi mutamenti intervenuti nella visione della famiglia e della sua collocazione nel sistema7. Quel che può rilevarsi è che,

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Basti rammentare che, a parte gli interventi indicati nel testo, le modifiche hanno riguardato la disciplina in tema di adozione, affidamento dei figli nella “crisi” del matrimonio e tutela contro gli abusi familiari, procreazione assistita e parificazione della condizione dei figli: per uno sguardo d’insieme, v. in particolare AA.VV., Bilanci e prospettive del diritto di famiglia a trent’anni dalla riforma, T. Auletta (a cura di), Milano, 2007. 4 A parte l’abrogazione della disciplina sulla cittadinanza della moglie e qualche indiretto riflesso derivante dalle modifiche in tema di separazione e di divorzio, le innovazioni forse di maggior rilievo sono venute dalle leggi sull’interruzione della gravidanza e sulla modificazione dei caratteri sessuali: discipline, emanate quasi a ridosso della riforma ma che ancora si stenta a conciliare con lo spirito e le coordinate generali del riformato diritto di famiglia. 5 Fra i molti contributi in materia, S. Patti-M.G. Cubeddu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008; P. Perlingieri, Unitarietà dell’ordinamento e pluralità delle fonti, in Il diritto civile nella legalità costituzionale, 3° ed., Napoli 2006, 159; P. Zatti, Introduzione, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, Milano 2002, 1 ss.; G. Ferrando, L’influenza del diritto europeo e internazionale sul diritto interno della famiglia, in Il nuovo diritto di famiglia, G. Ferrando (a cura di), I, Bologna, 2007, 3 ss.; N. Lipari, Riflessioni su famiglia e sistema comunitario, in Studi in onore di C.M. Bianca, II, Milano, 2006, 329 ss. 6 Si v. in argomento, fra i molti contributi, J. Long, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto italiano della famiglia, in Trattato Zatti, Aggiornamento, Milano 2011, 1 ss., ove si sottolinea che, se il diritto europeo è privo di effetti diretti nel nostro paese, rilevante è invece la sua influenza sulle fonti; ma altresì che l’uso di dette fonti «è prevalentemente retorico-strumentale: sono citate ad abundantiam per legittimare soluzioni che si fondano su norme di origine interna o, più spesso, che non appaiono agevolmente sostenibili sulla base del solo diritto interno». Ivi comunque un’ampia ricognizione delle fonti non interne del diritto italiano della famiglia e numerosi riferimenti di dottrina. 7 V. comunque, per una efficace visione d’insieme, T. Auletta, Dal code civil del 1804 alla disciplina vigente: considerazioni sugli itinerari del diritto di famiglia, in Familia 2005, I, 405 ss.

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con riguardo specifico al tema in discorso, è emersa una progressiva “resistenza” al modello di relazioni consegnatoci dalla tradizione, all’impostazione che lo articola nei termini tradizionali di diritti e di doveri, e perciò nello schema dell’assunzione di un impegno reciproco. In breve, si fa spazio la richiesta di un rapporto “leggero”, non appesantito da doveri inderogabili, e si moltiplicano le voci che ammettono schiette deroghe ai diritti e ai doveri di carattere personale, fino a guardare con favore alla possibilità di vere e proprie pattuizioni, anteriori o contestuali all’inizio della relazione, dirette a disciplinare i rapporti successivi alla crisi e prima ancora lo stesso contenuto della vita di coppia8. Al fondo di dette suggestioni naturalmente, e quale denominatore comune, v’è il riconoscimento di una paritaria legittimazione sociale e giuridica di matrimonio e altri tipi di convivenze; ma certo sarebbe improprio trascurare ragioni più prosaiche che nascono dal sovrapporsi, nella legislazione recente, di una disciplina sempre più cogente sul piano della solidarietà economica e per contro lassista sul piano dei rapporti personali e della stessa stabilità delle relazioni. Proprio nel momento in cui lo scioglimento del rapporto diviene esito non infrequente, e comunque largamente agevolato dalla legge, avvertite esigenze di protezione – ma altresì schemi concettuali vischiosi, legati all’assetto tradizionale di un rapporto strutturato come indissolubile – hanno portato a estendere una disciplina vincolante sul piano patrimoniale della quale non si coglie più il significato e non si è disposti a portarne il peso9. Per contro, ed è vicenda di questi giorni, si è voluto estendere il paradigma della vincolatività alle nuove figure di rapporti di coppia, sia pure articolandolo in maniera peculiare, vuoi nella tipologia di doveri, vuoi con riguardo al loro contenuto precettivo. Come dunque coordinare tali diverse esigenze? Come conciliare l’esigenza di maggiori spazi per l’autonomia dei coniugi con una disciplina positiva che dispone l’inderogabilità di diritti e doveri sanciti per legge (art. 160 c.c.)? E come inquadrare nel sistema la scelta legislativa di rendere giuridicamente vincolanti rapporti che fino a ieri, se proprio non erano irrilevanti, rinvenivano tutela nella disciplina di diritto comune?

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Sul problema, per tutti, T. Auletta, Gli accordi sulla crisi coniugale, in AA. VV., I mobili confini dell’autonomia privata (Atti del Convegno di studi in onore di C. Lazzara, M. Paradiso (a cura di), Milano 2005, 133 ss., e D.G. Ruggiero, Gli accordi prematrimoniali, Napoli, 2000. 9 V. ad es., per il rilievo che il mantenimento post-coniugale è una sorta di «trasfigurazione» del principio di indissolubilità del matrimonio, F. De Scrilli, I patti di convivenza, in Trattato Zatti, I, 1, cit., 853. Quanto al “disagio” che connota le realtà familiari odierne, v. in particolare Il nuovo rapporto Cisf 2017. Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali, e il Quarto rapporto Cisf sulla famiglia in Italia (ambedue a cura di P. Donati), Milano, 1995, che insiste particolarmente su tre fattori di cambiamento: la crisi demografica (che rovescia la piramide), la “discendenza fluida” (nella quale si afferma una filiazione non biologica bensì sociale o legale), il ruolo sociale slegato dall’età biologica: tutti elementi che mettono in ombra la “generatività”, quale elemento qualificante dei rapporti familiari: «sentirsi famiglia vuol dire sentirsi legati come genitori e generati in una comune matrice esistenziale che dà collocazione nel mondo» (spec. 18 ss.). Più in generale, sui mutamenti intervenuti sul piano sociale, P. Donati, Manuale di sociologia della famiglia, 5a ed., Roma-Bari, 2012.

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3. Principio di sussidiarietà, autonomia delle coppie e disciplina del rapporto. Il richiamo al binomio libertàresponsabilità. Ebbene, credo che utili indicazioni al riguardo, che evitino soluzioni estemporanee e occasionali sulle singole questioni, possano venire dalla valorizzazione del principio di sussidiarietà: un principio, introdotto di recente nel sistema di diritto positivo e in particolare nella nostra carta costituzionale (artt. 118 e 120 Cost.)10. Com’è noto, per sussidiarietà s’intende un principio organizzativo dei pubblici poteri e dell’azione sociale in base al quale l’organo o ente che si trova più in basso, più prossimo al cittadino e alla realtà dei problemi locali, è senz’altro legittimato a provvedere senza essere intralciato dalle autorità sovraordinate: queste ultime perciò hanno anzitutto il dovere di astenersi dall’interferire nell’azione dell’organo inferiore11, e altresì il dovere di intervenire nei settori (o nei casi) in cui le minori si dimostrino inadeguate al compito, ma, comunque, nel rispetto dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità: nei limiti cioè strettamente necessari a salvaguardare gli interessi che non siano adeguatamente protetti12. E se il principio ha ormai trovato ingresso anche nella legislazione ordinaria, proprio nel diritto di famiglia ha trovato spazio non secondario: dalle procedure negoziali di separazione e divorzio fino ai contratti di convivenza e al relativo ‘controllo’ demandato alla sede notarile13. Si tratta di una innovazione tanto più significativa in quanto ben si presta a riassumere il progressivo mutamento di paradigma che sta investendo lo stesso concetto di giuridicità e che si può riassumere nel passaggio dall’atto al rapporto: il diritto abbandona il giuspositivismo con i suoi caratteri di rigidità, di statalismo, di formale predeterminazione delle

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Sul punto, anche per le osservazioni che seguono, mi permetto di rinviare a M. Paradiso, Sussidiarietà e limiti all’autoregolazione dei rapporti familiari (Relazione al XIII Convegno nazionale Sisdic “Comunioni di vita e familiari tra libertà, sussidiarietà e inderogabilità”, Napoli, 3-5 maggio 2018), in corso di stampa su Dir. succ. e fam., 2018. 11 Ed è la cd. implicazione negativa del principio. Sul principio di sussidiarietà, fra le opere più recenti, v. in particolare M. Barcellona, Sussidiarietà e determinazione della competenza normativa, in Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti (Atti del IV convegno nazionale Sisdic, Napoli, 2010, 619 ss., anche per riferimenti alle diverse, e talora contrastanti, componenti culturali che hanno concorso alla sua elaborazione) e, con ampio sviluppo, A. Moscarini, Competenza e sussidiarietà nel sistema delle fonti, Torino, 2003, nonché D. De Felice, Principio di sussidiarietà ed autonomia negoziale, Napoli, 2008. Un’accurata trattazione con specifico riferimento al diritto privato nei saggi contenuti ne Il principio di sussidiarietà nel diritto privato, (a cura di M. Nuzzo), Torino, 2015, tra i quali si segnala R. Carleo, La sussidiarietà nel linguaggio dei giuristi, ivi, I, 3 ss. 12 P. Perlingieri, Complessità e unitarietà dell’ordinamento giuridico vigente, in Rass. dir. civ., 2005, 188 ss. 13 Tra i numerosi contributi in materia, mi limito a segnalarne alcuni per le peculiari prospettive di ciascuno di essi: F. Ruscello, Accordi sulla crisi della famiglia e autonomia coniugale, Padova, 2006; E. Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in I contratti di convivenza (a cura di E. Moscati e A. Zoppini), Torino, 2002, 303; G. Dosi, La negoziazione assistita da avvocati, Torino, 2014; C. Caricato, Gli accordi in vista della crisi, in Il diritto di famiglia. La crisi familiare, IV (a cura di T. Auletta), in Tratt. Bessone, Torino, 2013, 417 ss.; L. Rossi Carleo, Patti di famiglia: competenza normativa dell’ordinamento e competenza dispositiva dei privati nel prisma della sussidiarietà, in Il principio di sussidiarietà nel diritto privato, cit.; G. Perlingieri, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi, in Rass. dir. civ., 2008, 177 ss.

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fattispecie e si apre alla pluralità degli ordinamenti in un sistema complessivo che diviene flessibile e aperto: un passaggio, come s’è accennato, che proprio nel diritto di famiglia trova un campo elettivo di operatività14. È noto altresì che il principio di sussidiarietà si articola su piani diversi: sul piano dell’azione della pubblica amministrazione e sul piano regolamentare. Quanto al primo, l’intervento sostitutivo dev’essere anzitutto di tipo operativo, deve supplire cioè all’inettitudine o incapacità delle singole famiglie, e in questa sede dovrà bastare avervi accennato. Con riguardo invece al riparto di competenze regolamentari, non sembra da dubitare che, lungi dal ridursi a una prosaica esigenza di maggiore efficacia dell’azione di governo, il principio di sussidiarietà depone univocamente nel senso che il potere di autodisciplinarsi spetta già in origine in capo alle comunità familiari15. Vero è soltanto che, nelle varie epoche storiche, diversificato è stato il bilanciamento concreto tra i valori e le diverse esigenze, tra principio di autorità e autonomia dei singoli gruppi, tra eteronormazione e autodisciplina. Oggi, del tramonto delle concezioni pubblicistiche nel diritto di famiglia è testimone esemplare la scomparsa, in pedissequa sequenza, di potestà maritale, potestà paterna, potestà dei genitori. La autorità private, così, se non sono totalmente scomparse si sono almeno ridefinite: perdono ogni carattere impositivo per trasformarsi in uffici o funzioni al servizio degli altri componenti e delle «esigenze preminenti della famiglia», per dirla con l’art. 144 c.c. Non v’è dunque una autorità da esercitare, magari quale espressione o portato dell’autonomia del gruppo, come ci ha abituato a pensare lo statalismo formale. V’è piuttosto una responsabilità da assumere nella libertà, nella libera e consapevole scelta di impegnarsi in rapporti familiari. Può dirsi allora che la dialettica autonomia-autorità, propria del principio di sussidiarietà orizzontale, assume una specifica curvatura in famiglia, articolandosi nei termini del binomio, non alternativo ma concorrente, libertà e responsabilità16: principi, che da tempo la migliore dottrina ha assunto alla base dell’esperienza familiare consacrata nel matri-

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Ma altresì, esso costituisce manifestazione della transizione in atto «da un diritto prodotto in forma gerarchica a un diritto scritto e riscritto da soggetti diversi: legislatore, giudice, autorità indipendenti, dottrina, privati»: così, A. Punzi, Prefazione, in G. Benedetti, Oggettività esistenziale dell’interpretazione, Torino, 2014, XVI. Il che, naturalmente, non è senza costi, in particolare per la crisi della fattispecie e il declino della certezza del diritto: cfr. N. Irti, La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, 36 ss.; C. Camardi, Certezza e incertezza nel diritto privato contemporaneo, Torino, 2017, passim e 87 ss. per i problemi sollevati dai sistemi complessi e dagli ordinamenti multilivello. È un diritto, in altre parole, che nel consacrare la crisi della fattispecie segna in pari tempo il declino della sistematicità chiusa e rigida del nostro ordinamento: N. Irti, Un diritto incalcolabile, Torino, 2016; U. Breccia, La parte generale fra disgregazione del sistema e prospettive di armonizzazione, in Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, E. Navarretta (a cura di), Milano, 2008, 31 ss. 15 Per uno sviluppo meno approssimativo, M. Paradiso, Sussidiarietà e limiti all’autoregolazione dei rapporti familiari, cit. 16 Non da oggi del resto s’è notato che «la sussidiarietà orizzontale valorizza le due più importanti componenti costitutive della persona umana: la libertà e la responsabilità»: A. Moscarini, Competenza e sussidiarietà nel sistema delle fonti, cit., 348. E v. in proposito, i rilievi di D. De Felice, Principio di sussidiarietà, cit., 15 ss. Quanto al collegamento, anzi alla strettissima correlazione tra libertà e responsabilità, la bibliografia è amplissima e basterà un richiamo a qualcuna fra le molte opere in argomento: S. Pugliatti, Autonomia privata, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 366; Id., voce Autoresponsabilità, ibidem, 454; Salv. Romano, voce Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1957. V. comunque, tra le opere recenti, V. Caredda, Autoresponsabilità e autonomia privata, Torino 2007, passim, e A. Cordiano, Il principio di autoresponsabilità nei rapporti familiari, Torino, 2018, ove emerge in maniera netta quella che in definitiva è la radice comune di libertà e responsabilità, autonomia e autoresponsabilità.

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monio e tali da ricondurre a sistema, nel nuovo ordine costituzionale, le regole specifiche fissate nell’art. 29 della Carta17. Ma, altresì, si tratta di principi che legittimandosi per così dire ontologicamente – in quanto coerenti con la realtà fattuale, con i bisogni autentici delle persone emergenti dai rapporti familiari concreti – sono in grado di esprimere anche la realtà profonda dei rapporti informali di convivenza18: non per caso infatti la mancanza fino a tempi recenti di una disciplina specifica è stata surrogata in via interpretativa da alcune regole minime che, in concreto, hanno cercato di conciliare una indeclinabile esigenza di libertà delle coppie e una altrettanto avvertita esigenza di tutela dei conviventi tramite la chiamata a un responsabile impegno. Sia al matrimonio che alle convivenze dunque, in quanto realtà simili e insieme diverse, ben si attaglia il binomio libertà-responsabilità, quale specificazione del principio di sussidiarietà, – e altresì del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. –, ma con una articolazione concreta del contenuto derivata dai caratteri precipui di ciascuna compagine e di ciascun rapporto. Nel matrimonio il bilanciamento tra libertà e responsabilità tenderà a porre l’accento su quest’ultima, conforme alla scelta dei coniugi che, formalizzando il loro rapporto, mostrano di desiderare quel tanto di certezza e di stabilità che l’istituzione è (ancora) in grado di assicurare. Qui, se così si può dire, si dà vita a una preventiva – e formalizzata – delimitazione di campo tra le sfere dell’autoregolazione e della regolazione eteronoma: si tratta, conforme alla statuizione dell’art. 144 c.c., di concordare le modalità con cui adempiere i doveri sanciti per legge19, tenendo presente che, a norma dell’art. 160 c.c., «gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio»: è, dunque, un netto richiamo alla responsabilità assunta al momento delle nozze20. Un principio che, paradossalmente, riceve nuova linfa dall’introduzione di una disciplina per le convivenze: chi trovasse troppo stringente il regime coniugale ha oggi la possibilità di rifugiarsi in questa diversa compagine.

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Ovvio il riferimento alla fondamentale lezione di F.D. Busnelli, Libertà e responsabilità dei coniugi nella vita familiare, in Riv. dir. civ., 1971, I, 124 ss. Ma si v. anche P. Perlingieri, Riflessioni sull’unità della famiglia, in Id., La persona e i suoi diritti, Napoli, 2005, 920, ove si sottolinea «l’unità originaria tra libertà e responsabilità», sì che nell’unità la libertà trova non tanto il limite quanto la funzione, il fondamento della sua stessa titolarità» che evita il suo isterilirsi in «prospettive libertarie o di gretto individualismo». 18 Per un più ampio sviluppo dell’assunto, M. Paradiso, Libertà e responsabilità dei conviventi nella vita familiare e nella crisi del rapporto, in Dir. succ. e fam., 2018, 271 ss., dal quale sono tratte alcune delle osservazioni che seguono. 19 Per una specifica trattazione, M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, in Comm. Schlesinger-Busnelli, 2a ed., Milano, 2012, 170 ss. 20 Nel senso che gli sposi non possono eliminare gli obblighi nascenti dal matrimonio, atteso che essi indicano il significato sociale del matrimonio, e possono solo precisarne le modalità di adempimento, S. Patti, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privata, in Familia, 2002, 2, 285. E v. altresì, A. Zoppini, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2002, I, 218.

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Nelle convivenze, per contro, manca una preventiva delimitazione di campo tra le diverse sfere e il bilanciamento tenderà a favorire il profilo della libertà e della spontaneità, individuale e di coppia21: non è certo un caso che, per gli aspetti personali del rapporto, manchino previsioni vincolanti mentre, nell’ambito dei rapporti patrimoniali, è espressamente rimesso all’autonoma determinazione degli interessati, tramite la stipulazione di uno specifico contratto, un impegno di solidarietà che vada oltre la contribuzione spontanea. È solo alla fine della relazione che, in mancanza di accordo, la legge si affida all’opera di mediazione del giudice, a un’opera di concreto bilanciamento tra l’istanza di libertà e un responsabile impegno che risponda ai bisogni concreti che la convivenza ha contribuito a determinare: basti pensare alla durata degli alimenti e del diritto di abitazione22. Ed è appena il caso di precisare poi che l’ambito di libertà per i conviventi sarà tanto più accentuato quanto più distante dal “modello” delineato dalla legge 76/2016 sia la configurazione del concreto rapporto di coppia, fino al limite in cui, dissolta la relazione nella libertà più piena, nulla resti di un qualche “responsabile impegno” e dunque venga meno la sua stessa rilevanza giuridica. Dissonante da questi schemi per contro, stando alla disciplina positiva, si prospetta la figura dell’unione civile: ma sul punto è necessario rinviare al prosieguo del discorso. Intanto, è il caso di accennare brevemente ai diversi aspetti delle relazioni di coppia, nel matrimonio e nelle convivenze, per scrutinare un po’ più da presso il richiamato principio di sussidiarietà.

4. Diritti e doveri dei coniugi e principio di uguaglianza. L’impegno reciproco di fedeltà e collaborazione come essentiale matrimonii.

La disciplina del rapporto matrimoniale, nella configurazione emersa dalla riforma, si apre nel segno della perfetta reciprocità dei diritti e degli obblighi, prendendo le mosse dalla solenne, esplicita affermazione circa l’acquisto degli «stessi diritti» e l’assunzione dei «medesimi doveri», in attuazione, e a svolgimento, dei principi costituzionali sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi23. In tale affermazione, anzi, si esaurisce il contenuto

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In tal senso anche A. Papa, Il “mosaico delle famiglie” nel sistema della costituzione, in Il principio di sussidiarietà nel diritto privato, cit., 357. 22 Sul tema, mi permetto di rinviare a M. Paradiso, L’obbligo alimentare successivo alla fine della convivenza, in Comm. Scialoja-Branca. Unione civile e convivenze (a cura di S. Patti) Bologna-Roma, in corso di stampa. 23 Il profilo è sottolineato da tutta la dottrina, che da subito ha segnalato la portata innovativa o senz’altro rivoluzionaria dell’assetto paritario dei rapporti coniugali. Tra i primi contributi dedicati specificamente all’analisi di diritti e doveri dei coniugi: F. Santoro Passarelli, Artt. 143-146, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia (a cura di Carraro-Oppo-Trabucchi), I, 1, Padova 1977, 215 ss.; P. Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato Rescigno, 3, 2, (2a ed., riveduta

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precettivo del primo comma dell’art. 143 c.c., il cui valore di principio-cardine dell’intera disciplina è confermato da una concreta specificazione di diritti e doveri che va ben al di là di quella astratta reciprocità degli obblighi nel cui segno, pure, si apriva il disegno originario del codice24. Alla ‘indeterminatezza’ di contenuto dei doveri coniugali, rimasta nella legge25, si affianca il margine di oscillazione che va riconosciuto all’autonomia dei coniugi nel determinarne il contenuto concreto alla stregua delle loro intese; prospettandosi allora l’ulteriore esigenza di individuare nei doveri in parola quel contenuto minimo che valga a salvaguardare l’identità sostanziale del matrimonio ma non mortifichi al contempo quella legittima differenziazione che non da ora si è riconosciuta alle diverse realtà coniugali. Ma si tratta di problema che non può essere affrontato in questa sede: qui dovrà bastare un semplice richiamo al fatto che la legge non definisce il rapporto matrimoniale: l’unica precisazione rinvenibile è quella che, in apertura della disciplina dedicata al rapporto coniugale, prevede proprio l’acquisto di diritti e l’assunzione di doveri, e, testualmente, fa derivare «dal matrimonio l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione» (art. 143, 2 ° c., c.c.). La “sintesi degli effetti” così operata dalla legge, perciò, sembra legittimare la ricostruzione che ne individua il tratto caratterizzante nella istituzionalizzazione del rapporto, nella garanzia giuridica di unità e certezza delle relazioni interpersonali26. E se il dettato normativo è anche ispirato dall’esigenza di ribadire solennemente l’uguaglianza dei coniugi e la reciprocità degli obblighi, non può essere senza significato che il nu­cleo caratterizzante del paritario consorzio così instaurato venga rinvenuto nel vincolo reciproco a una relazione centrata sui rispettivi obblighi e i corrispondenti diritti. Nell’impossibilità di trattarne in maniera conveniente, mi limito ad evidenziare che in tale disegno complessivo si segnala come preminente «l’impegno reciproco alla fedeltà... e alla collaborazione nell’interesse della famiglia»27. L’impegno invero si prospetta come

e aggiornata da M. Mantovani) Torino, 1996; M. Paradiso, La comunità familiare, Milano 1984; F. Finocchiaro., Del matrimonio, II, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993. Tra i contributi più recenti, F. Ruscello, I diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, in Trattato Zatti, cit.; G. Ferrando, Il matrimonio, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni, V, 1, Milano, 2002; S. Patti-M.G. Cubeddu (a cura di), Diritto della famiglia, Milano, 2011. 24 Codice che, d’altra parte, si era limitato a riprodurre sul punto la disciplina dettata dalla codificazione del 1865: cfr. artt. da 130 a 133, e T. Auletta, Dal code civil del 1804 alla disciplina vigente, cit., p. 406 ss. Sulla disciplina previgente, in particolare, C.A. Jemolo, Il matrimonio3, in Trattato Vassalli, III, 1, Torino, 1961. 25 Un sistema, che è stato significativamente accostato alla tecnica di legislazione per clausole generali: cfr. P. Zatti, I diritti e i doveri, cit., 10, anche per una impostazione non legata alla specificità o «nominatività» dei doveri, quanto alla individuazione dei «beni fondamentali» del matrimonio perseguiti alla stregua delle disposizioni di cui agli artt. 143 ss.» (ivi, spec. 12 ss.). 26 Cfr., sul punto, P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 930. Nel senso che l’ordinamento «mira a realizzare certezza e stabilità nei rap­porti familiari, istituzionalizzando i doveri personali e patrimoniali verso il coniuge e i figli» e che «l’impegno identifica il significato sociale del matrimonio», C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, 6a ed., Milano, 2017, 45 ss., nonché, ampiamente, F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit., 48 ss. 27 Parlando di impegno a un determinata condotta di vita si vuol sottolineare come atto e rapporto, se devono distinguersi, non possono scindersi: come già nel contratto la causa è la sintesi degli effetti, analogamente può dirsi del coniugio: se l’atto di matrimonio è libera assunzione di un impegno, il rapporto è nient’altro che l’impegno liberamente assunto al momento della celebrazione, quel che si vive nel rapporto coniugale e che conferisce ad esso il suo contenuto; se si preferisce, il matrimonio è la fedeltà promessa all’atto

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riassuntivo dell’essenza del matrimonio, nella legge e nella stessa coscienza sociale diffusa, già per il corrente apprezzamento circa il suo decisivo rilievo nella concreta, effettiva realizzazione dell’unità familiare28. Deve negarsi allora che rientri nell’autonomia della coppia la facoltà di esonero o schietta deroga dai doveri in parola: ai coniugi, piuttosto, spetterà di concordare le modalità di adempimento di quegli obblighi, giusta la previsione dell’art. 144 c.c.29. Maggiori dettagli non sono possibili in questa sede. Tengo solo a precisare che, in linea di principio, il matrimonio non comporta limitazioni nell’esercizio dei diritti fondamentali e delle libertà costituzionali: fermo restando il primario dovere di rispetto dell’altri libertà e sensibilità – in particolare per quelle ‘manifestazioni’ che si svolgano tra le mura domestiche – la considerazione di fondo dalla quale occorre muovere è quella relativa all’inesistenza di un interesse del gruppo in quanto tale, un interesse cioè distinto da quello dei suoi membri e a questo «superiore»30. D’altra parte, s’è veduto come il sistema appaia saldamente ancorato al principio della pari dignità di tutti i membri della comunità, della loro uguaglianza morale oltre che giuridica: e pertanto, già sotto tale profilo, sembra negarsi la possibilità di argomentare limitazioni nei diritti di libertà facendo leva sulla diversità dei ruoli31.

5. Convivenza di fatto, comunione di vita e disciplina del rapporto.

La convivenza informale, per contro, è stata assunta dalla legge recente quale mera situazione di fatto, consistente in una stabile comunione di vita, intessuta di legami affettivi e animata da reciproca assistenza morale e materiale. Ed è a una tale situazione, se e fin quando sussistente, che si è conferita specifica rilevanza giuridica, consacrandola come conforme alla legge32.

della celebrazione: cfr., sul punto, la magistrale trattazione di G. Lo Castro, Il foedus matrimoniale come consortium totius vitae, in Tre studi sul matrimonio, cit., 5 ss., 39, e Patto e rapporto matrimoniale nel diritto canonico, in Matrimonio, diritto e giustizia, Milano, 2003, 69 ss. 28 F. Finocchiaro, ad es., individuando nell’amore l’oggetto del negozio matrimoniale, afferma che esso «non è mero vagheggiamento sentimentale, ma si esprime attraverso una lunga serie di comportamenti esterni e, perciò, suscettibili di valutazione giuridica»: voce Matrimonio (diritto civile), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, 813; analogamente, ma in termini più sintetici, C.M. Bianca, op. cit., 48. 29 Per tutti, C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, cit.., 46. 30 Sempre che, naturalmente, non si voglia oggi identificarlo con il “preminente interesse del minore”. Ulteriori riferimenti sul punto in M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, cit., spec. 206 ss. 31 È da escludere perciò che le disposizioni che fanno riferimento all’interesse della famiglia bastino a incardinare dei diritti in capo al gruppo in quanto tale. Per l’esclusione di una limitazione di principio nei diritti fondamentali, salva l’esigenza di un contemperamento con lo specifico familiare, per tutti, R. Villa, Gli effetti del matrimonio, in Il diritto di famiglia, G. Bonilini e G. Cattaneo (a cura di), I, 1, Torino 2007, 341. 32 Fra i primi commenti si v. in particolare A. Luminoso, Diritto di famiglia: incertezze, criticità, lacune, in Riv. giur. sarda, 2016, 1, 8, che

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In altre parole, se nucleo portante di detta comunione di vita sono i legami affettivi e di assistenza morale e materiale, essi vengono sì assunti come costitutivi del rapporto – e al tempo stesso come indice e manifestazione esterna dell’esistenza di una «convivenza di fatto» –, ma non come obblighi giuridici in senso proprio33; obblighi, destinati a sorgere piuttosto al momento del venir meno della situazione di fatto, e in misura comunque contenuta34. In concreto, tali «legami affettivi e di reciproca assistenza» ben potranno arieggiare la prassi di reciproco sostegno e mutuo aiuto che anima il rapporto coniugale, ma non è da escludere che l’autonomia dei conviventi se ne discosti in maniera più o meno significativa. Fermo restando allora che nell’assistenza materiale non può non rientrare la contribuzione reciproca (o, se si preferisce, il concorso di entrambi nella soddisfazione delle esigenze materiali della vita in comune), pena il venir meno, rectius: la “irriconoscibilità” di una «convivenza di fatto», va anche detto che detta contribuzione non dovrà necessariamente adeguarsi al principio di “parità ponderata” che vale per i coniugi35: credo sufficiente, ma anche necessario, che venga assicurato un comune tenore di vita. Quanto alla fedeltà, si ritiene comunemente che essa non debba necessariamente caratterizzare le convivenze informali: e non è detto che sul punto non si possa convenire, sia in ordine al divieto di relazioni sentimentali con altri, sia con riguardo ai rapporti intimi in seno alla coppia, che vanno pertanto lasciati all’autonomia delle parti36. Tuttavia la comunione di vita di fatto instaurata, che si vuole connotata da mutua benevolenza e da compartecipazione alle comuni vicende esistenziali, non può non riecheggiare la «comunione materiale e spirituale» che si ritiene propria del matrimonio: è quanto emerge dalla prassi delle convivenze ed è quanto, in definitiva, si è proposto lo stesso legislatore con la configurazione di un complesso di impedimenti pedissequamente esemplati su quelli matrimoniali. Fermo restando allora che, al di sotto di un certo livello, già in via di fatto non è possibile riscontrare gli estremi di una «convivenza», il problema che si prospetta è: si possono/si devono individuare degli obblighi tra i conviventi? Obblighi, sia chiaro, sanzionabili non con la mera negazione della ricorrenza della fattispecieconvivenza ma, se del caso, con gli ordinari strumenti giuridici37.

parla di disciplina delle convivenze «pavida e minimalista», e F. Romeo, Dal diritto vivente al diritto vigente: la nuova disciplina delle convivenze, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 4 ss. Per un commento sistematico, AA.VV., Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016, C.M. Bianca (a cura di), Torino, 2017. 33 Fra gli altri, L. Lenti, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, in Fam. e dir., 2016, 933; M. Trimarchi, Unioni civili e convivenze, in Fam. e dir., 2016, 865. 34 Per un più ampio svolgimento, M. Paradiso, Commento all’art. 1, commi 36 e 37, della legge n. 76/2016, in Le unioni civili e le convivenze, C.M. Bianca (a cura di), cit., 486 ss. 35 Salvo, naturalmente, che si sia provveduto alla stipulazione di un formale «contratto di convivenza»: G. Di Rosa, I contratti di convivenza, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 707. 36 M. Paradiso, Libertà e responsabilità dei conviventi, cit., 271. V. inoltre, con ampia trattazione, E. Bivona, L’obbligo di fedeltà dopo la stagione delle riforme, in corso di stampa su questa Rivista. 37 Ad es., E. Russo, La convivenza giuridica (di fatto), in Vita not., 2016, 555, rileva che la mancata prestazione dell’assistenza non comporta inadempimento bensì il venir meno della convivenza stessa.

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È un problema delicato e non è il caso di chiudere porte che il legislatore ha inteso lasciare aperte. Mi sentirei però di affermare che almeno il rispetto e la lealtà reciproca devono trovar posto non solo come elemento di carattere fattuale, ma altresì quale precipuo e specifico dovere dei conviventi38. In un sistema in cui basta intraprendere trattative contrattuali per essere vincolati a un obbligo reciproco di lealtà e di salvaguardia, come non ritenere che altrettanto debba dirsi – con le ovvie peculiarità del caso – per un rapporto intenso e stabile come quello del “convivere come coniugi”?

6. Unione civile, obblighi reciproci e patto di assistenza. Rimane da dire, infine, dell’unione civile. Per comune riconoscimento, si tratta di figura non ben definita, ricalcata sulla falsariga del matrimonio per quanto attiene ai requisiti di validità e che evidenzia i segni di una irrisolta ambiguità: basti dire della cura minuziosa riposta nella disciplina dell’atto costitutivo e della purezza e integrità dei consensi a fronte di uno scioglimento del rapporto che si stenta a distinguere da un recesso ad nutum39. Ma anche sotto il profilo sistematico si è trattato di un’operazione singolare: nel momento in cui, come anche ho rammentato, il fulcro del matrimonio abbandona il momento costitutivo per concentrarsi sul profilo del rapporto, si è posta la massima cura nella disciplina dei requisiti di validità e, per contro, si è fortemente impoverito il rapporto, in particolare per gli aspetti personali della relazione40. Rispetto al ‘modello’ coniugale invero spiccano per la loro assenza le discipline relative ad ammissione al rapporto dei minori d’età e promessa di matrimonio, pubblicazioni e opposizioni, omessa considerazione di eventuali anomalie sessuali e mancata consumazione, affinità e relative ricadute in tema di impedimenti e di alimenti, separazione ed eventuale addebito; e ancora, intervento del giudice, rapporti di filiazione, presunzione di paternità, adozione, procedure di divorzio e, con riguardo specifico ai rapporti personali, fedeltà e collaborazione41. Da qui i tentativi della dottrina di rimediare alle falle, vere o presunte, della disciplina: qua si interviene prospettando l’incostituzionalità di una mancata previ-

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E v., sul punto, i rilievi di M.a Bianca, La buona fede nei rapporti familiari, in I poteri privati e il diritto della regolazione, cit., spec. 168 ss. 39 Quanto alla scelta di creare un istituto apposito destinato alle coppie del medesimo sesso, basti ricordare quanto osservato da una attenta dottrina: il riferimento dell’art. 29 cost. all’uguaglianza dei coniugi ha senso solo nella prospettiva di una diversità di sesso degli sposi, sì che il matrimonio in esso contemplato, a tacer d’altro, non può che essere quello fondato sulla diversità di sesso degli sposi: T. Auletta, Diritto di famiglia, 4a ed., Torino, 2018, 14. 40 Parla di «povertà imbarazzante» per i doveri sanciti nell’unione civile, G. De Cristofaro, Le unioni civili fra coppie del medesimo sesso, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 125. 41 Sul raffronto tra matrimonio e unione civile v., con perspicua trattazione, M.a Bianca, Le unioni civili e il matrimonio: due modelli a confronto, in giudicedonna.it, 2.2016.

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sione o di una disposizione difforme da quella valevole per i coniugi, là si propone l’applicazione analogica di altre norme42. La figura, però, non ha una storia alle spalle né una qualche consistenza sociale come forma alternativa al coniugio o con esso concorrente43, tanto che il nostro ordinamento, mentre si limita a «riconoscere i diritti della famiglia come società naturale», provvede a «istituire l’unione civile quale specifica formazione sociale»: una figura, dunque, creata per legge a differenza dell’altra44. Risulta difficile allora vincere l’impressione che si tratti di uno schema costruito a tavolino sulla falsariga del matrimonio per un malinteso amore di simmetria e sotto la spada di Damocle del divieto di discriminazione, quasi che una relazione omosessuale sia, o debba essere necessariamente, solo una variante marginale del rapporto sponsale45. Ma tant’è, la si è voluta sperimentare, e non è detto che non possa trovare un suo ruolo nel sistema al fine di legittimare una stabile relazione tra persone dello stesso sesso che si spinga ben oltre una solida amicizia. Non è detto però che per conseguire tale fine se ne debba fare necessariamente un simil-matrimonio, sì che sia lecito all’interprete supplire in via interpretativa (interpretativa?) alle supposte carenze di disciplina movendo da una congetturata intenzione del legislatore: un legislatore preso tra l’incudine e il martello, tra l’ultimatum di giudici zelanti46 e un quadro politico refrattario all’innovazione, tanto che si è dovuto imporre il voto di fiducia per far approvare un testo pur così “accomodato”. E tanto più vale questo discorso con riguardo al profilo dei rapporti personali in cui le differenze di disciplina, e le cd. “lacune”, non sono state frutto di una svista bensì di una precisa scelta politica al momento dell’approvazione della legge47.

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Si v., tra i molti, L. Olivero, Unioni civili e presunta licenza di infedeltà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 213; R. Campione, L’unione civile tra la disciplina dell’atto e regolamentazione dei rapporti di carattere personale, in Fam. e dir., 2016, 881.; Dell’Anna Misurale, Unioni civili tra diritto e pregiudizio, in giustiziacivile.com, 2016, 10; C. Romano, Unioni civili e convivenze di fatto: una prima lettura del testo normativo, in Notariato, 2016, 338. Sul problema, inoltre, E. Quadri, Regolamentazione della unioni civili e disciplina delle convivenze: osservazioni (solo) a futura memoria?, in giustriziacivile.com, 2016; F. Parente, I modelli familiari dopo la legge sulle unioni civili, in Rass. dir. civ., 2017, 956, e, in senso critico sulla possibilità di ricorrere all’analogia, G. Alpa, Il linguaggio omissivo del legislatore, in Crisi della legge e produzione privata del diritto (a cura di G. Conte e M. Palazzo), Milano, 2018, 52, e C.M. Bianca, Commento al comma 1 della legge n. 76/2016, cit., 2. 43 E di ciò è indice non trascurabile già l’assenza di vocaboli capaci di identificare in modo adeguato sia la nuova figura, sia i soggetti che ne sono protagonisti: cfr. M. Sesta, Sub Art. 1, comma 1, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, M. Sesta (a cura di), Milano, 2017, 173. Non è nuovo comunque il rilievo che la sua introduzione nel sistema abbia solo la funzione di fornire al rapporto una pubblica legittimazione: ad es., F. D’Agostino, Dalla famiglia naturale alla famiglia sintetica, in La famiglia all’imperfetto?, A. Busacca (a cura di), Napoli, 2016, 251. 44 Cfr., in particolare, i rilievi di A. Renda, Il matrimonio civile. Una teoria neo-istituzionale, Milano, 2013, 46; analogamente, M. Sesta, L’unione civile: una speciale formazione sociale d’istituzione legislativa?, in Lo Stato, 2016, 6, 261. 45 Cfr. il giudizio di L. Balestra, Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it., 2016, 1779. Sottolineano le rilevanti differenze di disciplina rispetto al matrimonio, ad es., A. Ruggeri, Unioni civili e convivenze di fatto: “famiglie” mascherate?, in consultaonline, 16 giugno 2016, 253, e M. Sesta, La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare, in Fam. e dir., 2016, p. 888. 46 Per il ruolo decisivo svolto dalle diverse corti, per tutti, A. Pisanò, Il ruolo delle corti nel percorso verso l’approvazione della legge Cirinnà, in Unioni civili e convivenze di fatto, M. Gorgoni (a cura di), Santarcangelo di Romagna, 2016, 1 ss. 47 È noto infatti che molte delle lamentate “lacune” non erano presenti nel d.d.l. e le relative previsioni sono state espunte proprio al fine di consentire il superamento dello stallo parlamentare che ne bloccava l’approvazione. In ogni caso, si è trattato di una scelta

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Non ritengo possibile in particolare ipotizzare un dovere di fedeltà e un obbligo di collaborazione desumendoli in via analogica da quanto previsto per i coniugi o argomentandoli estensivamente dal dovere di assistenza. Quanto alla fedeltà, considerato l’ampio contenuto che ad essa oggi si riconnette, come immaginare di poter ritenere implicita una pesante limitazione della libertà personale qual è l’esclusiva sessuale?48. E, per altro verso, come supporre “obbligatorio” un profilo delicato come l’intimità sessuale in mancanza di qualsiasi riferimento normativo ed anzi in presenza di una disciplina che non contempla il caso di anomalie o deviazioni sessuali – così negando ogni rilievo anche all’impotenza coeundi – e in cui non trovano posto né l’inconsumazione, né la finalità della procreazione, né comunque la possibilità di far valere il rifiuto ai rapporti intimi quale specifica violazione dei doveri di coppia?49. In definitiva, esulando dall’unione civile il profilo della sessualità, del matrimonio manca l’apertura all’esterno e la capacità espansiva50: essa non instaura affinità, non genera figli, non crea parentele, non progetta il futuro delle nuove generazioni. Il senso complessivo dell’innovazione, allora, si coglie con nettezza nella Carta di Nizza che delinea un programma di segmentazione, di nuove articolazioni del vivere insieme affidandolo a una «pluralità di profili normativi, vuoi individuali, vuoi di coppia»51, al punto che la «vita familiare» cui ciascuno ha diritto di accedere «assume le sembianze di una semplice modalità di vita privata»52. Una modalità, che va rispettata come espressione della privacy e, in ultima analisi, della personalità individuale. In definitiva si è codificato quanto sancito, o prefigurato, in alcune note sentenze della nostra Corte costituzionale e delle corti europee circa il «diritto di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconosci-

politica netta, come emerge anche in altre disposizioni: basti richiamare il comma 20 della legge 76, ove si dispone che è «Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile... [che] le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile»; e salvo poi ad aggiungere che comunque detta «disposizione non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni... in materia di adozione». Se anche fosse vero allora che non si è potuto “fare di più”, mi sembra chiaro che a tanto voleva giungere quella che, in Parlamento, era solo una minoranza. Molte sono comunque le ‘sviste’ e le approssimazioni presenti nel testo approvato: v. gli attenti rilievi di M. Rizzuti, Prospettive di una disciplina delle convivenze: tra fatto e diritto, in giustiziacivile.com, 2016, n. 5, e di E. Quadri, Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, in Corr. giur., 2016, 893. Sul ‘raffronto’ tra matrimonio e unione civile, fra gli altri, G. Perlingieri, Interferenze tra unione civile e matrimonio. Pluralismo familiare e unitarietà dei valori normativi, in Rass. dir. civ., 2018, 107. 48 Sull’obbligo di fedeltà, specificamente, F. Ruscello, “Appartenenza” e amore. La fedeltà coniugale tra Sacre scritture e codice civile, in Dir. fam. pers., 2011, 286; A. Scarso, Il dovere di fedeltà coniugale, in Fam. pers. succ., 2005. 242. 49 Un accurato esame di tali profili in E. Bivona, L’obbligo di fedeltà dopo la stagione delle riforme, cit., § 3. Per l’esclusione della possibilità di introdurre la fedeltà per via analogica o di argomentarla dall’obbligo di assistenza, C.M. Bianca, Commento al comma 1 della legge n. 76/2016, cit., 4. 50 Cfr. A. Renda, Il matrimonio civile, cit., 121, 166. 51 F. D. Busnelli, Architetture costituzionali, frantumi europei, incursioni giurisprudenziali, rammendi legislativi. Quale futuro per la famiglia?, in Unioni civili e convivenze di fatto, cit., XVI. 52 F. D. Busnelli, op. loc. cit., corsivo mio.

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mento giuridico con i connessi diritti e doveri», e demandando al legislatore la determinazione di «tempi, modi e limiti» di unioni che «non possono essere ritenute omogenee al matrimonio»53. L’unione civile ha perciò funzioni diverse dal matrimonio, limitandosi a garantire e a sviluppare personalità e capacità dei singoli all’interno di uno specifico ed esclusivo rapporto di coppia. Quanto alla mancata previsione della «collaborazione nell’interesse della famiglia», è la legge che qualifica l’unione civile come «specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione» (art. 1, comma 1), piuttosto che quale «famiglia» ai sensi dell’art. 29 Cost., nel cui interesse le parti sono chiamate a uno specifico impegno di collaborazione a tenore degli artt. 143 e 144 c.c.54. In ogni caso, è noto che la dottrina tiene esplicitamente distinte nei rapporti tra coniugi collaborazione e assistenza, sia quanto a contenuto concreto sia quanto alla ‘logica’ che presiede all’una e all’altra, e da tempo le accredita come aspetti specifici e diversificati della relazione55. Ove si consideri poi che l’assistenza morale è prevista anche tra i doveri dei genitori verso i figli (art. 316 bis c.c.), non può che ricevere conferma la prospettiva ‘unilaterale’ dell’obbligo in parola e se ne conferma la differenziazione dal profilo della collaborazione. Infine, e per quel che vale, anche chi vi parla non da oggi ha ritenuto proprio gli obblighi di fedeltà e di collaborazione addirittura identificanti del rapporto coniugale, fino a farne una endiadi e a parlare dell’«impegno reciproco di fedeltà e collaborazione come essentiale matrimonii»56. L’unione civile allora non può, e non ha bisogno, di essere qualificata come un similmatrimonio del quale si affanna a ricalcare pedissequamente moduli e stilemi57. Abbandonata invece una simile forzatura, emerge chiaramente come l’unione civile si caratterizzi per essere un accordo volto a instaurare uno specifico rapporto di coppia, fondato sull’in-

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Così, Corte cost. 14 aprile 2010, n. 138, e 11 giugno 2014, n. 170: cfr. il giudizio di P. Logroscino, Il diritto fondamentale delle coppie same sex all’unione civile tra costituzione e integrazioni europee, in Unioni civili e convivenze di fatto, cit., spec. 54 ss., e, con maggiore sviluppo, N. Lipari, Rapporti coniugali di fatto e rapporti di convivenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 1033, e F.D. Busnelli, Architetture costituzionali, cit., XXI. 54 Fermo restando allora che non si tratta di questione nominalistica e tanto meno ideologica – la denominazione richiamando in sintesi contenuto e funzioni degli istituti –, escludono sostanzialmente che la Costituzione consenta di considerare “famiglie” le unioni civili, A Ruggeri, «Strane idee sulla famiglia, loro ascendenze teoriche e implicazioni di ordine istituzione, in La famiglia di fronte ai suoi giudici, Napoli, 2014, 331; F. D. Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, I, 520; G. Giacobbe, Famiglia, molteplicità di modelli o unità categoriale?, in Dir. fam. pers., 2006, 1219. Per una diversa ricostruzione complessiva, con particolare approfondimento, A. Palazzo, Eros e ius, Milano, 2015, passim; T. Auletta, Commento al comma 12 della legge n. 76/2016, in Le unioni civili, cit., 161; F. Romeo, Famiglia legittima e unioni non coniugali, in Le relazioni affettive non matrimoniali, F. Romeo (a cura di), Torino, 2014, 3. 55 Si v., tra gli altri, A. Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, 617 ss.; F. Ruscello, I diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, cit., spec. 751 e 761; P. Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio, cit., 9 e 24; A. e M. Finocchiaro, Riforma del diritto di famiglia, I, cit., 271. 56 M. Paradiso, La comunità familiare, Milano, 1984, 147 ss. 57 Nel senso che l’unione civile costituisce un rapporto personale strutturalmente distinto da quello della coppia eterosessuale, C.M. Bianca, Commento al comma 1 della legge n. 76/2016, cit., 3; M. Sesta, Art. 1, comma 1, cit., 176, e, sostanzialmente, M. Costanza, Commento al comma 2 della legge n. 76/2016, in Le unioni civili, cit., 7. Per il rilievo che nella figura dell’unione civile manca l’elemento fondamentale caratterizzante il matrimonio, e cioè la (finalizzazione alla) creazione e al mantenimento di una comunione di vita materiale e spirituale, G. De Cristofaro, Le unioni civili fra coppie del medesimo sesso, cit., 114.

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tuitus personae e connotato da precipui doveri di assistenza morale e materiale, nonché, sul piano patrimoniale, da obblighi di solidarietà economica di incisiva portata58. Il profilo morale dell’assistenza concerne il sostegno reciproco nella sfera affettiva, psicologica, spirituale59. Si tratta di aspetto della relazione affidato per larga parte alla sensibilità individuale, ma un profilo di sicuro rilievo è costituito dal dovere di rispetto della personalità altrui60, e dall’obbligo di comunicare quelle notizie, pur relative alla sfera personale, che possono incidere sulla vita comune o su interessi dell’altro61. Il profilo più schiettamente materiale riguarda anzitutto l’aiuto nei bisogni della vita quotidiana e in particolare l’assistenza in caso di malattia o di reclusione62. A tale obbligo la legge aggiunge la coabitazione, che a me sembra condizione ordinaria per una effettiva ed efficace prestazione di assistenza; ma è noto che già per altre forme di convivenza parte della dottrina dubita del carattere obbligatorio della coabitazione, lasciandolo alla libera scelta delle parti63. Credo allora di poter concludere nel senso che l’unione civile si caratterizza essenzialmente per essere un patto di vicendevole assistenza morale e materiale, che si connota per il suo carattere negoziale-contrattuale64, ma altresì per la sua indole strettamente personale, per l’ampia portata e per il fatto di richiedere un impegno esclusivo delle parti. Si tratta dunque di negozio personale, tipico e formale: una “intesa di partenariato” singolarmente impegnativa, diretta a offrire sostegno e aiuto vicendevole nella vita quotidiana, che può svolgere un utile ruolo in un mondo in cui si accentua la solitudine degli individui, Una

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Portata, a vero dire, talmente ampia che difficilmente si giustifica «a fronte della povertà dei contenuti e degli effetti non patrimoniali dell’unione civile e della evanescenza e fragilità del vincolo giuridico che ne deriva»: così, G. De Cristofaro, Le unioni civili, cit., 142. Per il rilievo che è solo in ragione dell’intensità dei rapporti personali che alcuni ordinamenti regolano l’esercizio dell’autonomia tramite il congegno degli status, A. Las Casas, Accordi prematrimoniali, status dei conviventi e contratto di convivenza in una prospettiva comparatistica, in Contratti, 2013, 913. 59 Per utili riferimenti, in termini generali, G. Conte, I rapporti personali tra i coniugi, in Il nuovo diritto di famiglia, G. Ferrando (a cura di), I, Bologna, 2007, 65 s. 60 È aspetto che ha sempre trovato larga eco in giurisprudenza, soprattutto sotto il profilo del reciproco dovere di stima e di sollecitudine: cfr., per la permanenza di tale dovere pur dopo la fine della convivenza, Cass. 3 gennaio 1991, n. 26; App. Perugia 18 luglio 1997, in Rass. giur. umbra 1998, I, 1. 61 Si v., sul punto, T. Auletta, Riservatezza e tutela della personalità, Milano, 1978, 191 s., e F. Ruscello, I diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, cit., 754. 62 Cfr. Pino, op. cit., 86. Per la riconduzione delle prestazioni professionali erogate nell’interesse della famiglia nell’ambito del dovere di solidarietà, Trib. Napoli 4 luglio 2001, in Fam. e dir., 2002, 55. 63 Al punto che, a giudizio di G. De Cristofaro, Le unioni civili, cit., 127, «non si vede per quale ragione il legislatore abbia ritenuto di qualificare come dovere essenziale e inderogabile quello della coabitazione». Sulla questione, v. comunque A. Arceri-G. Facci, Art. 1, comma 11, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, cit., 306. 64 Così, affermano che «il legame dei civilmente uniti è individuale e contrattuale, M. Sesta, Unione civile e convivenze: dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. it., 2016, 1793; Id., La disciplina dell’unione civile, cit., 882, e G. De Cristofaro, Le unioni civili, cit., 127. Ma altresì, rileva una progressiva «contrattualizzazione dei rapporti affettivi» che «induce a riflettere sulla possibile maggiore riconducibilità dell’unione civile entro l’alveo del contratto», fino a non escludere la possibilità di un vero e proprio «preliminare di unione», G. Ballarani, Contenuti e limiti alla autonomia privata in ambito familiare tra sussidiarietà ed esigenze di tutela degli interessi dei soggetti deboli, in I poteri privati e il diritto della regolazione. A quarant’anni da «le autorità private» di C.M. Bianca, P. Sirena e A. Zoppini (a cura di), Roma, 2018, 146, 149.

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qualificazione, in definitiva, che ormai non dovrebbe scandalizzare nessuno, e in particolare chi parla di privatizzazione, di contrattualizzazione delle relazioni personali e, più in generale, di progressiva estensione delle norme di diritto comune65. E, a questo punto, potrebbe anche dubitarsi dell’opportunità di precluderne l’accesso a persone legate da rapporti di parentela, atteso che la solitudine è dura per tutti e che non è certo inferiore il senso di solidarietà che si riscontra tra parenti: ed è questa, se mai, la censura di disparità di trattamento che mi sembra possa muoversi alla disciplina legislativa sulla unione civile.

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Accedono alla prospettiva di un inquadramento contrattuale delle “unioni di fatto”, ivi comprese quelle tra persone dello stesso sesso, A. Vercellone, Oltre le obbligazioni naturali. Poteri privati, distribuzione, regolazione: le unioni di fatto come rapporto contrattuale, in I poteri privati e il diritto della regolazione, cit., 217 ss., e M.R. Marella, Il diritto di famiglia fra status e convivenza: il caso delle convivenze non fondate sul matrimonio, in I contratti di convivenza, cit., 78, 94.

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I regimi patrimoniali delle coppie internazionali sposate o registrate in Europa:i regolamenti gemelli* Sommario : I. Introduzione. – II. La cooperazione rafforzata. – III. L’ambito di applicazione. – 1. Ambito territoriale e personale. – 2. Ambito materiale. – 3. Ambito temporale. – IV. Le soluzioni concrete e articolate. – 1. Competenza giurisdizionale internazionale. – 2. Legge applicabile. – 2.1. Ambito della legge applicabile. – 2.2. Determinazione della legge applicabile. – 2.2.1. L’autonomia della volontà. I requisiti. – 2.2.2. Legge applicabile in mancanza di scelta delle parti. – 2.3. Aspetti comuni. – 2.3.1. Limiti al diritto applicabile e esclusione del rinvio. – 2.3.2. Il caso specifico degli ordinamenti plurilegislativi. – 3. Riconoscimento ed esecuzione. – 3.1. Riconoscimento, esecutività ed esecuzione delle decisioni. – 3.2. Accettazione ed esecutività degli atti pubblici e delle transazioni giudiziarie. – V. Conclusioni.

The Regulations, which respond to three basic problems presented in Private International Law will undoubtedly remove many obstacles which often arise between married couples and those in registered domestic partnerships for the duration of their union, and above all its dissolution, whether that be due to the death of one of the partners or by the couple entering into crisis. The reality of the European judicial life has demonstrated that the existing differences between the distinct member states of the Union cause various damages in an important aspect for couples; the scope of their economic relations, and is the only one regulated which does not consider the application of personal relationships. Undoubtedly, harmonizing this matter will help to achieve greater levels of freedom of movement within the European Union, and have a direct and positive impact on the creation of a European judicial space which would provide legal security and easy judicial access for the citizens of the European Union.

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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I. Introduzione. La crescente mobilità delle persone in uno spazio senza frontiere interne, com’è l’Unione Europea (di seguito UE), ha portato ad un aumento significativo delle unioni di coppia, in qualsiasi forma, i cui componenti hanno nazionalità diverse. Sempre più spesso i cittadini dell’UE danno vita a specifiche formazioni di dimensione internazionale: sono le cosiddette “coppie internazionali”, le quali, sia nell’ambito di un matrimonio che di un’unione registrata, si trovano a dover amministrare e gestire il proprio patrimonio, così come a ripartirlo in caso di divorzio, separazione o decesso di uno dei membri. In un siffatto contesto, l’8 luglio 2016 sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, il Regolamento (UE) 2016/1103 del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi (di seguito Regolamento RPC)1 e il Regolamento (UE) 2016/1104 del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate (di seguito Regolamento EPUR)2. I due Regolamenti, conosciuti come Regolamenti gemelli, hanno quasi la stessa struttura e numerazione. Le differenze sono dovute principalmente al diverso status delle coppie, in quanto, come già anticipato, il Reg. 2016/1103 si riferisce alle coppie sposate ed il Reg. 2016/1104 alle coppie di fatto la cui unione sia stata registrata. Entrambi realizzano uniformità con riferimento agli effetti patrimoniali applicabili ai matrimoni e alle unioni registrate in cui sussistano elementi transfrontalieri e, come ebbe modo di evidenziare il giorno della ratifica degli accordi il relatore francese membro di ALDE, Jean-Marie Cavada, si adattano a circa 16 milioni di coppie internazionali che ora possono beneficiare di una maggiore sicurezza giuridica, di un migliore accesso alla giustizia e di norme armonizzate. In effetti, il nuovo panorama legislativo facilita il riconoscimento e l’esecuzione in uno Stato membro di una decisione su questioni di proprietà dettata in un altro Stato membro ed offre enormi benefici per la sicurezza e l’economia delle coppie internazionali: secondo le stime della Commissione Europea, i procedimenti paralleli nei vari Stati membri e la complessità di tali questioni generano costi giuridici che ammontano a circa 1,1 miliardi di euro all’anno3. Tuttavia riteniamo non si possa essere pienamente soddisfatti di quanto realizzato con i Regolamenti in esame e segnaliamo con rammarico che, approvandoli attraverso la pro-

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GUUE L 183/1-29, 8-VII-2016. GUUE L 183/30-56, 8-VII-2016. Disponibile su: www.diritto.it/ue-approvato-nuove-regolamento-sui-regimi-patrimoniali-per-coppie-internazionali/, consultazione 6/6/2018).

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(ultima


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cedura della cooperazione rafforzata, si è persa un’occasione per poter compiere l’ultimo decisivo passo verso la definitiva comunitarizzazione del Diritto Internazionale Privato nello specifico ambito del Diritto di Famiglia.

II. La cooperazione rafforzata. La cooperazione rafforzata, com’è noto, è una procedura decisionale che permette ad un minimo di nove Stati membri di realizzare maggiore integrazione in maniera trasparente e democratica in determinati settori che non siano di competenza esclusiva dell’UE, senza che sia necessaria l’adesione della totalità degli Stati. Per i Paesi che decidono, in prima istanza, di non partecipare alla cooperazione, le porte restano comunque aperte, potendo questi aderire in un qualsiasi altro momento successivo purché nel rispetto di quanto fin lì stabilito e dei provvedimenti già adottati. L’istituto della cooperazione rafforzata, introdotto con il Trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997), ha rappresentato una riforma senza precedenti, includendo nel Trattato sull’Unione Europea il concetto di integrazione differenziata. Con il Trattato di Nizza del 2001, furono rese più flessibili le condizioni e ampliate le sue modalità di utilizzo, ulteriormente riformate, poi, dal Trattato di Lisbona del 2007. Oggi la materia è regolata, nella sua versione consolidata, nell’art. 20 TUE e negli artt. 326 a 334 TFUE. Diversamente da quanto accade quando si concludono accordi intergovernativi, la cooperazione rafforzata si realizza entro i limiti dei Trattati ed è sottoposta al controllo delle Istituzioni dell’Unione, essendo necessaria l’autorizzazione a procedere concessa dal Consiglio, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo4. Si potrebbe sinteticamente affermare che l’avvio di una cooperazione rafforzata è subordinato all’acquis communautaire e che questa potrà essere autorizzata sempre che serva allo sviluppo dell’Unione5. Se fino al 2010 non si erano concretamente materializzate proposte di una cooperazione rafforzata, negli ultimi anni hanno invece preso avvio alcune cooperazioni che fanno già parlare di una Europa “alla carta” e “a due velocità”, nella quale si manifestano ed evidenziano i diversi atteggiamenti degli Stati membri in relazione alla loro propensione ad integrarsi.

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Per uno studio più dettagliato della cooperazione rafforzata è possibile consultare: M. Mastroianni - G. Strozzi, Diritto dell’Unione Europea – Parte istituzionale, 7ª ed., Torino, 2016, 40-43; R. Adam - A. Tizzano, Manuale di diritto dell’Unione Europea, 2ª ed., Torino, 2017, 49-58. 5 M.A. Alcoceba Gallego, El limitado control del Tribunal de Justicia sobre el Consejo al autorizar una cooperación reforzada (Sentencia del Tribunal de Justicia de 16 de abril de 2013, ASS. C-274/11 y C-295/11, España e Italia C. Consejo), en Revista General de Derecho Europeo, n° 31, 2013.

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Specificatamente, è stato nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e, in pratica, nella cooperazione giudiziaria – divorzi e proprietà matrimoniale – che è risultato più facile far ricorso alla cooperazione rafforzata. Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia è un campo fertile per l’instaurazione di una cooperazione, essendo un’area sensibile legata alla sovranità nazionale dove l’integrazione differenziata è molto importante6. Questa affermazione spiega perché, nonostante gli sforzi profusi a più riprese, i Regolamenti che analizziamo hanno carattere imperativo solo in 18 Stati membri che rappresentano il 67% della popolazione UE. Questi sono: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna e Svezia. Il ricorso alla cooperazione rafforzata è la diretta conseguenza del fatto che i 28 Stati membri non hanno raggiunto l’unanimità necessaria in seno al Consiglio per adottare le proposte presentate nel 2011. Si tenga presente che le proposte in oggetto esigevano l’accordo per unanimità in quanto riferite al Diritto di Famiglia. In effetti, il fondamento giuridico dei Regolamenti si basa sull’articolo 81.3 TFUE. L’art. 81 TFUE affida all’Unione il compito di sviluppare una cooperazione giudiziaria su argomenti civili con ripercussione transfrontaliera, basata sul principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie ed extra-giudiziarie, mediante l’adozione di strumenti per ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Lo strumento che meglio di altri raggiunge tale obiettivo è, senza dubbio, il Regolamento. Pertanto, in conformità con quanto disposto dall’ articolo 81 TFUE, tutti i provvedimenti relativi alla cooperazione giudiziaria in materia civile, sono soggetti al procedimento legislativo ordinario. Nonostante ciò, si registra un’eccezione nel caso di provvedimenti relativi al Diritto di Famiglia. Tant’è che l’articolo 81.3 TFUE, nonostante quanto disposto nel 2° comma dello stesso, in tali casi, prevede un procedimento ad hoc: il Consiglio si pronuncia per unanimità previa consultazione del Parlamento Europeo. La decisione di sottoporre le misure relative al Diritto di Famiglia con ripercussioni transfrontaliere ad un procedimento legislativo speciale non deve sorprendere. Il Diritto di Famiglia è strettamente relazionato (addirittura si potrebbe dire vincolato) con la storia, la cultura e lo sviluppo sociale di ogni Stato e quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 81 TFUE trova giustificazione nel carattere fortemente sensibile di questo settore e nell’importanza delle tradizioni.

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Come è stato osservato da M. Sainz, Usos y abusos de la cooperación reforzada en la UE, Disponibile su: http://blog.idee.ceu. es/2016/06/30/integracion-y-desintegracion-usos-y-abusos-de-la-cooperacion-reforzada-en-la-ue/, (ultima consultazione 28/5/2018).

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Si capisce pertanto il motivo per il quale l’adozione di disposizioni su questioni inerenti alla famiglia sia sempre stata molto più lenta rispetto a quanto di norma avviene per le altre materie civili. Infatti i Regolamenti RPC ed EPUR risultano essere il punto culminante di un lungo iter che ha preso origine dalle proposte della Commissione Europea del 2011 e rappresentano il risultato di anni di dibattiti tra Stati membri incentrati, specialmente, sulle diverse concezioni che esistono nei vari ordinamenti di effetti patrimoniali e di matrimonio, cosi come sull’assoluta mancanza, in alcuni di essi, di una regolamentazione delle coppie di fatto. In numerose occasioni le Istituzioni europee si sono pronunciate circa l’importanza che rivestirebbe la creazione di un Diritto di Famiglia comunitario7. Nel 2003 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea asserì che la mancanza di progresso in questo ambito costituisce un grave ostacolo alla libera circolazione delle persone, al perseguimento di un’identità europea e alla realizzazione di uno spazio giuridico e giudiziario comune8. Per rimediare a questa situazione, nel 2011 la Commissione annunciò l’intenzione di adottare due Proposte di strumenti legislativi che permettessero alle coppie internazionali (sposate o unioni registrate) di conoscere con maggior facilità quali fossero i Tribunali competenti e la legislazione applicabile ai propri diritti di proprietà. Dopo più di due anni, nel corso dei quali entrambe le proposte furono ampiamente dibattute ed esaminate, la maggior parte delle questioni tecniche sembrava oramai risolta e si era pronti per arrivare ad un accordo politico. La maggioranza degli Stati membri era convinta che le proposte dovessero adottarsi senza dover aspettare oltre, ma alcuni (soprattutto Ungheria e Polonia) incontrarono difficoltà e si opposero a questa decisione. Le ragioni di tale scetticismo risiedevano nel fatto che gli ordinamenti giuridici di alcuni Stati non riconoscevano (e non riconoscono tuttora) la istituzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e/o quella delle unioni registrate e, nonostante i futuri strumenti non obbligassero ad introdurre nei rispettivi ordinamenti nessuna istituzione sconosciuta,

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Nella “Relazione 2010 sulla cittadinanza dell’Unione – Eliminare gli ostacoli all’esercizio dei diritti dei cittadini dell’Unione”, adottata il 27 ottobre 2010, la Commissione individua nell’incertezza sui diritti di proprietà delle coppie internazionali uno dei principali ostacoli con cui tuttora si scontrano i cittadini nella vita quotidiana quando esercitano i diritti riconosciuti loro dall’UE oltre le frontiere nazionali. A tal proposito segnaliamo le parole di Viviane Reding, ex vicepresidente della Commissione ed ex Commissario europeo per la Giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, che già nel 2014 sosteneva che «le disgregazioni familiari sono per natura, sempre difficili. Quando coinvolgono persone di diverse nazionalità, sorgono ulteriori difficoltà giuridiche derivanti dalla complessità della situazione. Questo è il motivo per cui l’Europa ha bisogno di norme adeguate per aiutare le coppie a separarsi nel modo più semplice possibile, in particolare quando sono coinvolti minori. Nell’UE esistono, dal 2001, norme per determinare la competenza giurisdizionale ed aiutare le famiglie internazionali, ma dopo 13 anni è giunto il momento di migliorarle. Cittadini, avvocati, magistrati, autorità nazionali e organizzazioni non governative interessate: tutti possono esprimersi sul tipo di misure che l’UE dovrebbe adottare per facilitare ulteriormente la vita alle coppie internazionali». Disponibile su: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-451_es.htm, (Ultima consultazione 3/6/2018). 8 Sentenza della Corte del 2 ottobre 2003, Carlos Garcia Avello c. Belgio, causa C-148/02.

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il riconoscimento, in questi Stati, degli effetti patrimoniali delle istituzioni summenzionate, avrebbe potuto avere conseguenze indirette sulla legislazione nazionale in materia di famiglia e politiche annesse. Venne perciò proposto di “scomporre” i Regolamenti per facilitarne l’adozione, però per la maggior parte degli Stati membri risultò essere di cruciale importanza la trattazione congiunta delle materie al fine di garantire un trattamento egualitario a tutte le coppie sul territorio dell’Unione Europea9. Il Consiglio decise quindi di concedere un periodo di riflessione di un anno agli Stati membri che continuavano ad incontrare difficoltà ma, nella riunione del 3 dicembre 2015, concluse che sarebbe stato impossibile raggiungere l’unanimità per l’adozione delle due Proposte di Regolamento. E questo nonostante le significative modifiche apportate al loro contenuto al fine di raggiungere l’unanime consenso10. Come conseguenza, dal dicembre 2015 al febbraio 2016, diciassette delegazioni di altrettanti Stati membri, comunicarono alla Commissione l’intenzione di instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nell’ambito dei due Regolamenti controversi11. Finalmente, il 9 giugno 2016, il Consiglio adottò la decisione (UE) 2016/954 con la quale autorizzò la creazione della cooperazione rafforzata12.

III. L’ambito di applicazione. Il presupposto per l’avvio dei Regolamenti è la conformità ai requisiti stabiliti nei differenti ambiti di applicazione: spaziale, personale, materiale e temporale. Prima di procedere è necessario considerare che, a proposito del Regolamento 2016/1103, il legislatore europeo non offre una definizione esatta di matrimonio. Per tale ragione il Considerando 17 rimette la questione al Diritto nazionale degli Stati membri. Si è provveduto invece a dare una definizione autonoma di “unione registrata” (limitata unicamente agli effetti del Regolamento 2016/110413 nell’art. 3.1.a), Reg. EPUR, intendendosi per questa il «regime di comunione di vita tra due persone previsto dalla legge, la cui registrazione è obbligatoria a norma di legge e conforme alle formalità giuridiche prescritte da tale legge ai fini della sua creazione». Proprio questo punto ha rappresentato, in fase di approvazione dei Regolamenti, il pomo della discordia tra gli Stati membri, date le distinte concezioni che esistono nei vari Sta-

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È evidente il carattere politicamente delicato della materia di cui trattasi. Considerando 10, RPC ed EPUR. 11 Considerando 11, RPC ed EPUR. 12 Considerando 12, RPC ed EPUR. 13 V. il Considerando 17, dove si aggiunge che «il suo contenuto specifico dovrebbe continuare ad essere definito dal Diritto interno degli Stati membri. Nulla nel presente regolamento dovrebbe imporre a uno Stato membro la cui legge non prevede l’istituto dell’unione registrata di prevederlo nel Diritto nazionale». 10

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ti di materie sensibili come matrimonio e unioni more uxorio e poiché alcuni di essi non ammettono le unioni matrimoniali e/o extra matrimoniali tra persone dello stesso sesso. Ecco spiegato, dunque, il motivo per cui il legislatore non ha voluto dare una definizione di matrimonio limitandosi, invece, a darne una più generica di “unioni registrate”14. È altrettanto opportuno fare riferimento al carattere transfrontaliero della controversia, che è presupposto per l’applicazione di entrambi i Regolamenti, il quale non è trattato in nessun articolo ma è analizzato nei Considerando. Concretamente, nei rispettivi Considerando 14, si precisa che «in conformità all’art. 81 TFUE, il presente Regolamento dovrebbe applicarsi nel contesto di regimi patrimoniali tra coniugi (o “degli effetti patrimoniali delle unioni registrate”) con implicazioni transfrontaliere», e cioè quando sono coinvolti gli ordinamenti giuridici di due o più Stati. Di fronte a una tale premessa ci si può chiedere quale sia il grado di internazionalizzazione che deve avere la relazione giuridico-privatapatrimoniale per rientrare nel campo di applicazione dei Regolamenti. Autorevole dottrina sostiene che basta che la relazione presenti un qualunque elemento di internazionalità affinché emerga la natura transfrontaliera, in modo tale che il giudice competente applicherà le disposizioni contenute nei Regolamenti se ritiene che la risoluzione della questione si proietti su di un distinto Stato, appartenga o meno all’UE15. 1. Ambito territoriale e personale.

Poiché i Regolamenti sono stati approvati tramite cooperazione rafforzata, il loro contenuto si applicherà solamente agli Stati che hanno aderito alla stessa, fermo restando che l’ambito spaziale si potrà sempre ampliare man mano che pervengano successive adesioni (Considerando 13 RPC ed EPUR)16.

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Ciononostante non scompaiono totalmente i problemi riguardanti questo punto, poiché, come rileva Rodríguez Pineau, ci saranno relazioni stabili di coppie omosessuali che, in alcuni Stati, saranno classificate come matrimonio e pertanto rientreranno nell’ambito di applicazione del Reg. RPC, mentre in altri Stati saranno considerate unioni soggette al Reg. EPUR. E. Rodríguez Pineau, Los efectos patrimoniales de las uniones registradas: algunas consideraciones sobre la propuesta de Reglamento del Consejo, en Anuario Español de Derecho Internacional Privado, 2011, 944-945. Addirittura, rimanendo su questo secondo Regolamento e tenuto conto della definizione data, non soltanto resterebbero estranee al suo ambito di applicazione le unioni puramente di fatto, ma sussisterebbero seri dubbi circa l’inclusione di quelle unioni la cui registrazione sia avvenuta volontariamente e non su base obbligatoria secondo la legge che la disciplini. 15 Per esempio perché i soggetti implicati hanno diversa residenza o cittadinanza o perché i beni che integrano il patrimonio sono ubicati in uno Stato diverso. I. Paz-Ares Rodríguez, La órbita de la autonomía privada en relación con el matrimonio, en M. Guzmán Zapater - C. Esplugues Mota(dirs.), M. Herranz Ballesteros y M. Vargas Gómez-Urrutia (coords.), Persona y familia en el nuevo modelo español de Derecho internacional privado, Tirant lo Blanch, Valencia, 2017, 212. È stato sottolineato in questo punto il parallelismo con il Regolamento 650/2012 sulle successioni (Reg. Roma IV) nel cui testo manca una definizione di quello che sarebbe la dimensione internazionale, sebbene sia deducibile. P. Peiteado Mariscal, Competencia internacional por conexión en materia de régimen económico matrimonial y de efectos patrimoniales de uniones registradas. Relación entre los Reglamentos UE 2201/2003, 650/2012 y 1104/2016, en Cuadernos de Derecho Transnacional, Vol. 9, nº. 1, 2017, 304. Tutto ciò implica la possibilità di dare un’ampia interpretazione della questione e porta a sollevare critiche nei confronti del legislatore europeo che «elude explicitar estos aspectos en todas las normas que no se limitan a la ley aplicable, sino que extienden su objeto a cuestiones tales como la competencia internacional o el reconocimiento y ejecución de resoluciones y documentos públicos». J.P. Quinzá Redondo, Régimen económico matrimonial. Aspectos sustantivos y conflictuales, Valencia, Tirant lo Blanch, 2016, 310-311. 16 V. capitolo II.

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L’applicazione dei Regolamenti non presenta invece alcuna limitazione dal punto di vista personale17, estendendosi a tutte le persone indipendentemente dalla cittadinanza o dalla residenza dei partner o dei terzi che si relazionano economicamente con loro. In questo modo i 18 Stati che hanno aderito alla cooperazione rafforzata possono applicare le norme contenute nei Regolamenti tanto ai cittadini degli altri Stati membri non coinvolti quanto alle persone con nazionalità o domicilio in uno Stato terzo18. 2. Ambito materiale.

Il parallelismo esistente tra i due Regolamenti relativo all’ambito di applicazione, si estende, mutatis mutandis, all’ambito materiale. Già in fase iniziale, l’art. 3.1 a), Reg. RPC, definisce il regime patrimoniale tra coniugi come «l’insieme delle norme che regolano i rapporti patrimoniali dei coniugi tra loro e rispetto ai terzi in conseguenza del matrimonio o del suo scioglimento», mentre l’art. 3.1 b), Reg. EPUR, stabilisce che per “effetti patrimoniali di un’unione registrata” si intende «l’insieme delle norme che regolano i rapporti patrimoniali dei partner tra loro e verso terzi, in conseguenza del rapporto giuridico creato dalla registrazione dell’unione o del suo scioglimento». Le nozioni chiave di “regime patrimoniale tra coniugi” e di “effetti patrimoniali di un’unione registrata” sono state costruite partendo da principi autonomi validi ai soli fini dell’applicazione dei rispettivi Regolamenti, indipendentemente dal fatto che queste coincidano, o meno, con le nozioni interne o sostanziali degli ordinamenti degli Stati cooperanti, costituendo dunque l’ambito di applicazione positivo19. Fatta questa precisazione di base, si può affermare che l’ambito materiale dei due Regolamenti è abbastanza omnicomprensivo in quanto copre tutti gli aspetti di Diritto Civile dei regimi patrimoniali tra partner20, includendo non solo quelli relativi alla gestione quotidiana dei beni dei coniugi o membri dell’unione registrata, ma anche quelli concernenti la liquidazione conseguente a separazione o morte di uno dei componenti della coppia21.

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Va da sé che, nonostante il silenzio dei Regolamenti sulla questione, l’applicazione personale attiene ai matrimoni e alle unioni di fatto registrate di natura internazionale. J.P. Quinzá Redondo, “El Reglamento 2016/1103 sobre régimen económico matrimonial: una aproximación general”, in La Ley, Derecho de familia, nº 17, gennaio-marzo 2018, 310-311. 18 Si noti, in questo punto, la differenza radicale con il Regolamento (CE) 2201/2003, del 27 novembre 2003 (GU L 338, del 23 dicembre 2003), relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (Reg. Bruxelles II bis), nel quale l’applicazione personale è circoscritta, per regola generale, alle persone con cittadinanza o residenza abituale in uno Stato membro, ex art. 6. 19 Logicamente è esclusa da entrambi i Regolamenti l’area delle relazioni personali. 20 Quinzá Redondo spiega come, dalla lettura del Considerando 18 del Regolamento 2016/1103, sia possibile dedurre la volontà di escludere gli Stati che adottano il sistema di Common Law, laddove il matrimonio implica solamente, sul piano economico, alcuni contenuti minimi che non incidono sulle proprietà dei coniugi. La stessa conclusione si può altresì ricavare dal Regolamento 2016/1104 dato il tenore del suo Considerando 18. J.P. Quinzá Redondo, “La unificación – fragmentada – del derecho internacional privado de la Unión Europea en materia de régimen económico matrimonial: el Reglamento 2016/1103”, in Revista General de Derecho Europeo, núm. 41. 2017, 183-184. 21 Considerando 18 RPC ed EPUR, primo punto.

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Inoltre, si tenga presente che rientrano nell’ambito di applicazione del Regolamento sul regime patrimoniale tra coniugi le norme del cosiddetto “regime patrimoniale primario”, ovvero quelle disposizioni generali comuni a tutti i matrimoni e che hanno carattere imperativo, imponendosi indipendentemente da quale sia il concreto regime patrimoniale e da quanto sancito con l’autonomia della volontà delle parti. Proseguendo con la distinzione esistente negli ordinamenti di Diritto Civile, il “regime secondario” si estende anche alle norme relative all’organizzazione economica del patrimonio e dei beni dei coniugi stabilite in base ai patti e alle convenzioni matrimoniali22, oppure per mezzo della legge, quando questi non abbiano fatto uso dell’autonomia della volontà. La circoscrizione dell’ambito materiale del Regolamento RPC non figura espressamente in nessuno dei suoi precetti, ma si deduce dalla lettura del Considerando 18: «(…) Ai fini del presente regolamento, il termine “regime patrimoniale tra coniugi” deve essere interpretato autonomamente e dovrebbe comprendere non soltanto le norme alle quali i coniugi non possono derogare ma anche le norme facoltative eventualmente concordate dai coniugi in conformità alla legge applicabile, nonché le eventuali norme dispositive della legge applicabile. Esso comprende non soltanto il regime dei beni specificamente ed esclusivamente contemplato da determinate legislazioni nazionali in caso di matrimonio, ma anche tutti i rapporti patrimoniali, tra i coniugi e rispetto ai terzi, che derivano direttamente dal vincolo coniugale o dallo scioglimento di questo». Il Regolamento EPUR non contiene nessuna previsione legale equiparabile a quella che abbiamo appena annunciato, dato il diverso carattere giuridico dei rapporti in esso contemplati (le unioni di fatto registrate). Ciononostante, la possibilità che l’insieme di norme comprensive degli effetti patrimoniali delle unioni registrate provenga tanto dalla legge quanto da un accordo tra i partner risulta implicita nell’art. 3.1. c), che descrive le “convenzioni tra partner” con parole analoghe a quelle già usate nell’art. 3.1. b), RPC, per le convenzioni matrimoniali. Infine, la delimitazione positiva dell’ambito di applicazione (seguendo lo schema prestabilito dei Regolamenti europei nel campo dell’ambito di applicazione materiale), è accompagnata, in senso negativo, dalle materie escluse da entrambi i Regolamenti. Innanzitutto sono state escluse materie che, anche se proprie del “regime matrimoniale tra coniugi”, hanno carattere eminentemente pubblico, ovvero le questioni fiscali, doganali e amministrative (artt. 1.1). Altresì non sono state ammesse quelle materie che, malgrado abbiano natura privata, non permettono di disporre (artt. 1.2): la capacità giuridica dei coniugi o dei partner23; l’esistenza, la validità e il riconoscimento di un matrimonio o di

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Definite nell’art. 3.1 b) come «qualsiasi accordo tra i coniugi o i nubendi con il quale essi organizzano il loro regime patrimoniale» (Reg. 2016/1103) e nell’art. 3.1 c) come «l’insieme delle norme che regolano i rapporti patrimoniali dei partner tra loro e verso terzi, in conseguenza del rapporto giuridico creato dalla registrazione dell’unione o del suo scioglimento» (Reg. 2016/1104). 23 La questione risulta quindi regolata dal Diritto nazionale. Tale esclusione non dovrebbe tuttavia riguardare gli specifici poteri e

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un’unione registrata24; le obbligazioni alimentari25; la successione a causa di morte del coniuge o del partner26; la sicurezza sociale; il diritto di trasferimento o adeguamento tra coniugi o tra partner, in caso di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio (scioglimento o annullamento nel caso dell’unione registrata), dei diritti a pensione di anzianità o di invalidità maturati durante il matrimonio (durante l’unione registrata) e che non hanno generato reddito da pensione nel corso dello stesso (o della stessa)27; la natura dei diritti reali28; qualsiasi iscrizione in un registro di diritti su beni mobili o immobili, compresi i requisiti legali relativi a tale iscrizione, e gli effetti dell’iscrizione o della mancata iscrizione di tali diritti in un registro29. 3. Ambito temporale.

Seguendo uno schema abituale delle misure adottate nel campo della cooperazione giudiziaria in materia civile30, i Regolamenti fanno distinzione tra due momenti temporali nettamente diversi: quello dell’entrata in vigore e quello dell’applicazione. L’interregno

diritti di uno o di entrambi i coniugi o i partner con riguardo ai beni, sia tra di essi che rispetto ai terzi, dato che tali poteri e diritti dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione del presente Regolamento. (Considerando 20 RPC ed EPUR). 24 Considerando 64, Reg. RPC e Considerando 63, Reg. EPUR. 25 Disciplinate dal Regolamento (CE) n° 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (GU L 7 del 10 gennaio 2009). 26 Disciplinato dal Regolamento (UE) n° 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo (GU L 201 del 27 luglio 2012). 27 Nonostante ciò, come chiarisce in entrambi i Regolamenti il Considerando 23, questa eccezione dovrebbe essere interpretata in modo restrittivo. Questo è il motivo per il quale i Regolamenti gemelli disciplinano le questioni della classificazione delle attività pensionistiche, degli importi già versati a un coniuge nel corso del matrimonio o a un partner nel corso dell’unione registrata e dell’eventuale compensazione concessa in caso di pensione costituita con beni comuni. 28 Ai sensi del Considerando 24 RPC ed EPUR, i Regolamenti dovrebbero consentire la creazione o il trasferimento derivante dal regime patrimoniale tra coniugi (o dagli effetti patrimoniali delle unioni registrate) di un diritto su un bene immobile o mobile secondo la legge applicabile al regime patrimoniale tra coniugi (o agli effetti patrimoniali delle unioni registrate). Non dovrebbe tuttavia incidere sul numero limitato (numerus clausus) dei diritti reali conosciuti nel Diritto nazionale di taluni Stati membri. Uno Stato membro non dovrebbe essere tenuto a riconoscere un diritto reale su un bene situato sul suo territorio se il diritto reale in questione non è contemplato dalla sua legge nazionale. Per consentire tuttavia ai coniugi o ai partner di godere in un altro Stato membro dei diritti che sono stati creati o trasferiti in forza del regime patrimoniale tra coniugi o degli effetti patrimoniali dell’unione registrata, il presente regolamento dovrebbe prevedere l’adattamento di un diritto reale non riconosciuto al diritto reale equivalente più vicino previsto dalla legge di tale altro Stato membro, tenendo conto degli obiettivi e degli interessi perseguiti dal diritto reale in questione nonché dei suoi effetti. (Artt. 29 e Considerando 25 RPC ed EPUR). 29 Ci troviamo qui dinnanzi ad elementi che incidono direttamente sulla sovranità nazionale. Per tale motivo i Considerando 27 e 28 RPC ed EPUR rimandano, per quanto concerne i requisiti e gli effetti dell’iscrizione nel registro di diritti su beni mobili o immobili, al Diritto dello Stato membro dove questi siano ubicati. I Regolamenti si allineano pertanto con quanto stabilito nel Regolamento (UE) n° 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Reg. Bruxelles I bis) (GU L 351, del 20 dicembre 2012), che attribuisce, in questi casi e con carattere imperativo, la competenza esclusiva allo Stato dove si trova il Registro (art. 24.3 Reg. Bruxelles I bis). 30 V. O. Feraci, L’incidenza del nuovo regime europeo in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi e parti di unioni registrate sull’ordinamento giudico italiano e le interazioni con le novità introdotte dal D. Lgs. 7/2017 attuativo della cd. Legge Cirinnà, in Osservatorio sulle fonti, Fascicolo 2/2017, 16.

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temporale è necessario per gli Stati facenti parte della cooperazione, affinché questi possano agevolmente adeguare le proprie legislazioni. I Reg. RPC ed EPUR sono entrati in vigore il 29 luglio 2016, ovvero venti giorni dopo essere stati pubblicati nel GUUE31. Da quel preciso giorno si applicano gli artt. 65, 66 e 67 di entrambi i Regolamenti che, sostanzialmente, trattano il tema della comunicazione di taluni dati, da parte degli Stati membri, alla Commissione. Concretamente, bisogna comunicare quali autorità e professionisti legali rientrano nella nozione di “autorità giurisdizionale”32, l’elaborazione di attestati e moduli previsti nei Regolamenti e la procedura di comitato. Dal 29 aprile 2018 si applicano invece gli artt. 63 e 64 che prevedono l’obbligo per Stati partecipanti di fornire tutti i dati riguardanti la propria legislazione e le procedure nazionali pertinenti alle materie oggetto dei Regolamenti, in modo tale da renderle accessibili al pubblico nell’ambito della rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale. Gli Stati membri hanno inoltre l’obbligo di mantenere costantemente aggiornate tali informazioni. Orbene, l’applicazione completa dei Regolamenti non si produrrà fino al 29 gennaio 2019, ex artt. 70.2. Tale disposizione implica che le nuove norme si applicheranno solamente «ai procedimenti avviati, agli atti pubblici formalmente redatti o registrati ed alle transazioni giudiziarie approvate o concluse alla data o successivamente al 29 gennaio 2019» (artt. 69.1 RPC ed EPUR). Questa disposizione va intesa nel senso che, le nuove norme, si applicheranno solamente alle cause legali promosse successivamente a tale data, restando nel frattempo applicabili le norme interne. Per quanto riguarda il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze straniere, i Regolamenti si applicheranno solo alle decisioni prese in procedimenti iniziati dopo la suddetta data33. Entrambi gli strumenti contengono, inoltre, regole che stabiliscono un regime transitorio: «Se il procedimento nello Stato membro d’origine è stato avviato anteriormente al 29 gennaio 2019, le decisioni assunte dopo tale data sono riconosciute ed eseguite secondo le disposizioni del capo IV se le norme sulla competenza applicate sono conformi a quelle stabilite dalle disposizioni del capo II». Da ciò ne consegue l’eccezionale possibilità di sottoporre al nuovo regime le decisioni prese dopo il 29 gennaio 2019, ma pronunciate in procedimenti iniziati anteriormente, quando la legge del foro si sia stabilita sulla base di titoli giurisdizionali nazionali concordi con quanto previsto dai due Regolamenti, ex art. 69.234. Infine, le norme del Regolamento che disciplinano la legge applicabile restano circoscritte, nel proprio ambito di applicazione temporale, ai coniugi che abbiano contratto

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Rispettivi artt. 70.1, in conformità con l’art. 297 TFUE. V. il capitolo IV.1. 33 O. Feraci, L’incidenza del nuovo regime europeo in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi e parti di unioni registrate, cit., 16. 34 Ibidem. 32

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matrimonio o che abbiano designato la legge applicabile al loro regime patrimoniale posteriormente al 29 gennaio 2019 ed ai partner che abbiano registrato la loro unione o abbiano stabilito la legge applicabile agli effetti patrimoniali della stessa, successivamente a quella data (artt. 69.3). Ciò concede un certo margine di tempo ai notai per familiarizzare con la nuova regolamentazione35. Risulta ovvio che, se in futuro altri Stati membri decidessero di partecipare alla cooperazione rafforzata, i Regolamenti si applicheranno a partire dalla data della Decisione che ne autorizza l’adesione (artt. 70.2 RPC ed EPUR).

IV. Le soluzioni concrete e articolate. Di fronte all’impossibilità di adottare un regime sostanziale unico e comune per tutti gli Stati membri, la armonizzazione prevista dai Regolamenti è finalizzata a garantire la sicurezza giuridica nelle relazioni transfrontaliere, dando risposta ai tre grandi problemi che si possono presentare nelle relazioni giuridiche private internazionali: la determinazione della competenza giurisdizionale internazionale e della legge applicabile; la determinazione di meccanismi adeguati per il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giudiziarie; l’accettazione ed esecuzione di atti pubblici e di transazioni giudiziarie. 1. Competenza giurisdizionale internazionale.

Le cosiddette norme sulla competenza36 assolvono la funzione di individuare l’autorità giurisdizionale investita del potere di conoscere le controversie insorte nelle materie disciplinate dai Regolamenti RPC e EPUR. Poiché i Regolamenti sono stati concepiti con il fine di incoraggiare le parti a risolvere amichevolmente ed in sede stragiudiziale le controversie relative alle proprie relazioni economiche37, è previsto un importante coinvolgimento dei notai che, infatti, rivestono un ruolo di primaria importanza nel nuovo ambito dei Regolamenti. Ad ogni modo, gli strumenti regolamentari in esame danno una definizione ampia di “autorità giurisdizionale”38 e questa questione va preliminarmente trattata.

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Leggendo l’espressione “successivamente al” invece di “a partire dal” 29 gennaio 2019, sorge il dubbio che i matrimoni “celebrati” o le unioni “registrate” quel giorno non rientrino nell’ambito temporale di applicazione dei Regolamenti gemelli. La stessa questione fu sollevata a proposito del Regolamento (CE) n° 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e fu risolta dalla CGUE nel senso di ricomprendere tali ipotesi. Si suppone pertanto che anche qui si arriverà alla stessa conclusione, sebbene il fatto che il legislatore europeo non abbia tenuto in conto questo precedente lascia spazio a qualche dubbio. H. Péroz, Le nouveau règlamente europèen sur les régimes matrimoniaux, in La semaine juridiquenotariale et inmobilière, Hebdomadaire, n° 29, 22 luglio 2016. 36 In entrambi i Regolamenti le norme sulla competenza sono ricomprese nel Capo II (artt. 4-19). 37 Considerando 39 RPC ed EPUR. V. A. Fernández Pérez, Mediación familiar transfronteriza en el ámbito europeo, La Ley, Derecho de familia, n° 17, enero-marzo, 2018. 38 Artt. 3.2, – Definizioni – «Ai fini del presente regolamento, per “autorità giurisdizionale” s’intende qualsiasi autorità giudiziaria e tutte le altre autorità e i professionisti legali competenti in materia di regime patrimoniale tra coniugi che esercitano funzioni giudiziarie o

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I Regolamenti gemelli comprendono sotto questo termine non solo le autorità giurisdizionali così come comunemente intese, e cioè quelle che esercitano funzioni giudiziarie, ma anche le altre autorità ed i professionisti legali che esercitano funzioni giurisdizionali o che agiscono su delega di un’autorità giudiziaria, come può essere il caso dei notai che rimarrebbero soggetti alle loro norme di competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni39. Chiarito questo punto, facciamo notare che nei Regolamenti RPC ed EPUR si utilizzano due tecniche diverse per determinare i Tribunali degli Stati membri competenti a conoscere le controversie relative al regime patrimoniale tra coniugi ed agli effetti patrimoniali di un’unione registrata con implicazioni transfrontaliere, anche se il legislatore ha previsto gli stessi fori per entrambi: in primo luogo, laddove possibile, sono previsti un criterio di collegamento e di economia processuale; secondariamente, e unicamente quando non vi sia alcun collegamento o questo criterio non sia applicabile, si fa riferimento a un complicato sistema di fori dove alcuni elementi si relazionano alternativamente ed altri in maniera sussidiaria tra di loro. L’obbiettivo dei criteri di collegamento ed economia processuale è quello di ricomprendere, per quanto possibile, i diversi procedimenti attinenti alla sfera del Diritto di Famiglia dinnanzi le autorità giurisdizionali di un unico Stato membro, fatto che implica una concordanza mediante rinvio così come stabilito negli artt. 4 e 5 dei Regolamenti40. Chiaramente, affinché si realizzi tale concentrazione, è necessario che l’autorità giurisdizionale che conosce della successione (artt. 4) o della crisi matrimoniale o dello scioglimento o annullamento dell’unione registrata (artt. 5) appartenga a Stati che fanno parte della cooperazione rafforzata e logicamente che i procedimenti non siano già conclusi quando sorga la controversia sugli effetti patrimoniali del matrimonio o della coppia di fatto registrata. In caso contrario la competenza si determinerà sulla base dei fori stabiliti dai seguenti articoli (artt. 6-11 RPC ed EPUR). L’articolo 4 coordina i Regolamenti di cui trattasi con il Regolamento (UE) 650/2012 sulle successioni internazionali stabilendo che le autorità giurisdizionali adite in merito a una successione saranno competenti a decidere anche sulle questioni inerenti al regime

agiscono per delega di competenza di un’autorità giudiziaria o sotto il suo controllo, purché tali altre autorità e professionisti legali offrano garanzie circa l’imparzialità e il diritto di audizione delle parti e purché le decisioni che prendono ai sensi della legge dello Stato membro in cui operano: a) possano formare oggetto di ricorso o riesame davanti a un’autorità giudiziaria; b) abbiano forza ed effetto equivalenti a quelli di una decisione dell’autorità giudiziaria nella stessa materia. Gli Stati membri notificano alla Commissione, conformemente all’articolo 64, le altre autorità e i professionisti legali di cui al primo comma». 39 Per questa ragione si ritiene più opportuno utilizzare in questo caso o altri simili (concretamente, riferendosi alla Proposta di riforma del Reg. Bruxelles II bis), l’espressione “competenza internazionale delle autorità”. B. Campuzano Díaz, La propuesta de reforma del Reglamento 2201/2003: ¿se introducen mejoras en la regulación de la competencia judicial internacional, en M. Guzmán Zapater y C. Esplugues Mota (dirs.), M. Herranz Ballesteros y M. Vargas Gómez-Urrutia (coords.), Persona y familia, cit., 94. 40 V. M. Requejo Isidro, La coordinación de la competencia judicial internacional en el Derecho procesal europeo de la familia (sucesiones y régimen económico matrimonial y de las uniones registradas), en A. Domínguez Luelmo y M.P. García Rubio (dirs.), M. Herrero Oviedo (coord.), TORRES GARCÍA, T.F. (ed.), La Ley, in Estudios de Derecho de sucesiones, 2014, 1195-1218.

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patrimoniale tra coniugi ed agli effetti patrimoniali di un’unione registrata correlate alla causa di successione41. Anche se l’art. 4 non è letteralmente identico nei due Regolamenti, lo è certamente nel suo significato. Pertanto la causa di successione e quella relativa agli effetti patrimoniali saranno risolte dallo stesso tribunale42. Disposizioni come questa sono di estrema importanza poiché perseguono la coerenza del sistema del Diritto Processuale Civile Internazionale della UE. Siffatto automatismo si mantiene, con alcune eccezioni, nel disposto dell’art. 5 RPC. Questo dispone che l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro investita di una domanda relativa alla dissoluzione del vincolo matrimoniale (divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio) ai sensi del Regolamento Bruxelles II bis43, sarà competente a decidere anche sulle questioni inerenti al regime patrimoniale tra coniugi correlate alla domanda in questione. Tuttavia, come delucida magistralmente Peiteado Mariscal44, «a differenza di quanto occorre nel caso di connessione con un procedimento successorio, qui la norma generale può cedere in favore di altri fori previsti nel Regolamento, dato che l’art. 5.2 RPC prevede quattro casi in cui la vis attractiva del contenzioso matrimoniale su quello relativo al regime patrimoniale è condizionata all’accordo dei coniugi; in assenza di tale accordo, l’autorità giurisdizionale competente a risolvere la questione relativa al procedimento matrimoniale non conoscerà, per attrazione, anche la controversia relativa al regime patrimoniale, che quindi verrà risolta servendosi dei fori contemplati agli artt. 6-11 del Reg. RPC»45. Se è concluso prima che l’autorità giurisdizionale sia adita per decidere su

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Il significato letterale dell’art. 4 EPUR ha fatto sorgere dubbi interpretativi relativi all’opportunità di limitare la competenza ai soli effetti che presentano un collegamento con la successione in questione, ma chiaramente questo lavoro di qualificazione preliminare non è esente da difficoltà. Noi ci associamo a coloro i quali esprimono parere contrario rispetto alla questione, poiché sarebbero ben altre le deroghe previste dall’art. 1.2 del Regolamento. P. Peiteado Mariscal, Competencia internacional por conexión, cit., 323. 42 Anche se potrebbe verificarsi la situazione contraria e, cioè, caratterizzata da un momento distinto per l’investitura del tribunale. In tal caso, innanzitutto, si considererebbero gli effetti patrimoniali, assegnando la portata dell’eredità al coniuge o compagno superstite e, posteriormente, si passerebbe alla distribuzione del patrimonio tra gli eredi. M.D. Adam Muñoz, La competencia judicial internacional en el Reglamento (UE) 2016/1103 del Consejo de 24 de junio de 2016 por el que se establece una cooperación reforzada en el ámbito de la competencia, la ley aplicable, el reconocimiento y la ejecución de resoluciones en materia de regímenes económicos matrimoniales, en M. Guzmán Zapater y C. Esplugues Mota (dirs.), M. Herranz Ballesteros y M. Vargas Gómez-Urrutia (coords.), Persona y familia, cit., 82. 43 Regolamento (CE) n° 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n° 1347/2000 (GU L 338, del 23 dicembre 2003). 44 P. Peiteado Mariscal, Competencia internacional por conexión, cit., 318. 45 In base a quanto previsto dall’art. 5.2 RPC, l’accordo dei coniugi è necessario quando l’autorità giurisdizionale investita della domanda di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio: «a) è l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel cui territorio si trova la residenza abituale dell’attore e questi vi ha risieduto per almeno un anno immediatamente prima della presentazione della domanda, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), quinto trattino, del regolamento (CE) n° 2201/2003; b) è l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro di cui l’attore è cittadino e questi vi risiede abitualmente e vi ha risieduto per almeno sei mesi immediatamente prima della presentazione della domanda, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), sesto trattino, del regolamento (CE) n° 2201/2003; c) è adita ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n° 2201/2003 in casi di conversione della separazione personale in divorzio; d) è adita ai sensi dell’articolo 7 del regolamento (CE) n° 2201/2003 in casi di competenza residua». A proposito della prorogatio fori in favore dei giudici competenti per la crisi coniugale, Peiteado Mariscal afferma che il requisito del consenso risponde in questi casi al desiderio di assicurare che il litigio relativo agli effetti patrimoniali della coppia sia trattato dalle

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questioni inerenti ai regimi patrimoniali tra coniugi46, l’accordo deve soddisfare i requisiti stabiliti dall’art. 7.247, ex art. 5.3 RPC. Diversamente accade nel Regolamento EPUR. Qui le questioni inerenti agli effetti patrimoniali dell’unione registrata non vengono automaticamente attratte dall’autorità giurisdizionale dello Stato membro investita di una domanda di scioglimento o annullamento: quando vi è connessione, è sempre necessario un accordo dei partner in tal senso. L’art. 5 EPUR esige questa pattuizione come conseguenza dell’assenza di un Regolamento che regoli la competenza nei casi di scioglimento o annullamento di un’unione di fatto, realtà che inevitabilmente rende il legislatore europeo incapace di poter assicurare l’adeguata attrazione della domanda sugli effetti patrimoniali al foro stabilito nelle varie legislazioni interne per casi di scioglimento o annullamento dell’unione. Cosicché, in difetto di accordo tra le parti, si farà riferimento ai seguenti artt. 6-11, che, da un lato, il legislatore europeo considera idonei per rapportarsi a tali controversie e, dall’altro, sono uguali per tutti i cittadini della UE48. Qualora nessuna autorità giurisdizionale sia competente in virtù degli artt. 4 o 5 (RPC e EPUR) o in altri casi diversi da quelli previsti in tali articoli49, il tribunale competente si determinerà ai sensi degli artt. 6. Questi articoli raccolgono una lista di fori enumerati gerarchicamente, partendo dal territorio in cui si trova la residenza abituale dei componenti della coppia nel momento dell’interposizione della domanda. In mancanza, si fa riferimento all’ultima residenza abituale, se uno di loro ancora vi risiede nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale, o alla residenza abituale del convenuto50. Il quarto criterio è quello della cittadinanza comune dei coniugi o dei membri dell’unione registrata al momento della presentazione della domanda51. Infine, e solo per quanto riguarda il Regolamento EPUR, è previsto un quinto foro; quando non ricorrano le condizioni precedenti, risulteranno competenti le autorità giurisdizionali dello Stato membro ai sensi della cui legge l’unione registrata è stata costituita. Al fine di accrescere la prevedibilità e la libertà di scelta delle parti, gli artt. 7 contemplano la possibilità di concordare l’elezione del foro nei casi previsti dagli artt. 6 (la dispo-

autorità giurisdizionali dello Stato dove effettivamente si trovano i beni che integrano il patrimonio della coppia. P. Peiteado Mariscal, Competencia internacional por conexión, cit., 319-320. 46 V. P. Quinzá Redondo, La unificación – fragmentada – del derecho internacional privado, cit., 194-195. 47 Art. 7.2 RPC: «L’accordo di cui al paragrafo 1 è espresso per iscritto, datato e firmato dalle parti. Si considera equivalente alla forma scritta qualsiasi comunicazione elettronica che consenta una registrazione durevole dell’accordo». 48 P. Peiteado Mariscal, Competencia internacional por conexión, cit., 323-324. 49 Ad esempio, nel caso di controversie che vertano sulla responsabilità di un membro della coppia rispetto all’attività economica dell’altro. M.D. Adam Muñoz, La competencia judicial internacional, cit., 85. 50 Si tratta di alcuni criteri ampiamente utilizzati e che generalmente coincidono con il luogo in cui si trova il patrimonio dei coniugi. 51 È opportuno segnalare che questi fori di competenza coincidono con la maggioranza di quelli previsti nell’art. 3.1 del Reg. Bruxelles II bis. Eppure vi è una differenza notevole, e cioè che in quest’ultimo Regolamento i fori hanno carattere alternativo. M. Vinaixa Miquel, La autonomía de la voluntad en los recientes Reglamentos UE en materia de regímenes económico matrimoniales (2016/1103) y efectos patrimoniales de uniones registradas (2016/1104), in Indret, nº. 2, 2017, 298.

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sizione è valida solo se non sono applicabili gli artt. 4 e 5, per cui bisogna verificare tale presupposto prima dell’applicazione dell’art.6). Nello specifico, l’art. 7 RPC permette di attribuire la competenza esclusiva a decidere sulle questioni inerenti al regime patrimoniale tra coniugi unicamente alle autorità giurisdizionali di due Stati: quelle dello Stato membro la cui legge sia applicabile al regime patrimoniale tra coniugi (e solo se questa è una delle designate dall’artt. 22, 26.1 a), 26.1 b) RPC, cioè la legge dello Stato di residenza abituale o di cittadinanza dei coniugi o nubendi al momento della conclusione dell’accordo e la legge dello Stato della prima residenza abituale comune dei coniugi dopo la conclusione del matrimonio o, in mancanza, della cittadinanza comune dei coniugi al momento della conclusione del matrimonio) o quelle dello Stato membro di conclusione del matrimonio, aspirando in tal modo a realizzare l’auspicabile equiparazione forum-ius52. Analogamente, l’art. 7 EPUR consente l’attribuzione della competenza esclusiva alle autorità dello Stato membro la cui legge sia applicabile in virtù degli artt. 22 e 26.1, ovvero la legge dello Stato della residenza abituale o la legge di uno Stato di cui uno dei partner o futuri partner ha la cittadinanza (avendo riguardo, per entrambi i casi, al momento della conclusione della convenzione), così come la legge dello Stato ai sensi della cui legge l’unione registrata è stata costituita. Nei suddetti casi è sempre richiesto un accordo tra le parti che deve sottostare ai requisiti formali tracciati negli artt. 7.2 RPC ed EPUR53. I successivi artt. 8 prevedono che la competenza internazionale delle autorità giurisdizionali degli Stati membri sia fissata come conseguenza dell’accettazione tacita del convenuto, cioè fondata sulla sua comparizione, sempre che questa non sia effettuata per eccepire l’incompetenza. I Regolamenti permettono una tacita attribuzione della competenza ai tribunali dello Stato ai quali è possibile attribuire competenza esclusiva (anche se, curiosamente, si ignora la possibilità di adire le autorità giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio si sia celebrato il matrimonio o si sia creata l’unione registrata in conformità alle proprie leggi). Tale norma non è applicabile se la comparizione è effettuata per eccepire l’incompetenza o nelle circostanze regolate dall’art. 4 e 5.1 RPC e 4 EPUR. Ebbene, è necessario che l’autorità giurisdizionale che risulti competente a seguito dell’accettazione tacita del convenuto verifichi che, quest’ultimo, sia informato del suo diritto di eccepire l’incompetenza e degli effetti della comparizione o della mancata comparizione54. In qualunque caso, perché sia valida l’applicazione degli artt. 7 e 8 di entrambi i Regolamenti, è necessario che il diritto applicabile o, nel caso in cui le parti stipulino un accordo,

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M.D. Adam Muñoz, La competencia judicial internacional, cit., 84. V. la nota 47. 54 Così stabilisce l’articolo 8.2, RPC ed EPUR. 53

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il luogo di conclusione del matrimonio o quello ai sensi della cui legge l’unione registrata sia stata costituita, siano circoscritti negli Stati membri vincolati dai Regolamenti55. Può persino succedere che l’autorità giurisdizionale inizialmente competente non contempli nel suo Diritto interno il matrimonio o l’unione registrata che necessita di una soluzione sulle questioni patrimoniali56. In entrambi i casi, i Regolamenti permettono a tale autorità giurisdizionale di declinare la propria competenza procedendo senza indebito ritardo. Per ovviare a situazioni di diniego di giustizia, il legislatore europeo ha previsto, negli artt. 9 (RPC ed EPUR), alcuni fori di competenza alternativa. Se le parti concordano, la competenza alternativa si può attribuire alle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro, stabilendosi distinte soluzioni a seconda del foro che ha fissato la competenza giurisdizionale internazionale dell’autorità che conosce della controversia. Tuttavia bisogna prestare attenzione ad una importante eccezione: lo Stato membro del foro continuerà ad essere competente qualora riconosca la decisione (adottata anteriormente) di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio o dell’unione registrata (in quest’ultimo caso parleremo, ovviamente, di “scioglimento”), giacché, riconoscendo l’unione coniugale o registrata, nulla osta logicamente a che possa occuparsi anche degli effetti più rilevanti della loro dissoluzione, come appunto le questioni relativa agli effetti patrimoniali57. Addirittura potrebbe capitare che nessuno Stato membro risulti competente in base all’applicazione degli articoli anteriormente esposti. In realtà si tratta di un’eventualità assai improbabile ma, ad ogni modo, il legislatore non ha voluto trascurare questo punto. Pertanto i Regolamenti gemelli contemplano, negli artt. 10, un’ipotesi di competenza sussidiaria che garantirebbe l’accesso alla giustizia dinnanzi alle autorità giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio uno o entrambi i membri della coppia possiedano il bene o i beni immobili58. Deve trattarsi, come è ovvio, di beni immobili situati in Stati che partecipano alla cooperazione rafforzata. L’articolo in analisi prevede che, in tali casi, l’autorità giurisdizionale adita sarà competente a pronunciarsi solo su quel bene o quei beni immobili, limitando di fatto il litigio e senza considerare la totalità dei beni compresi nel patrimonio della coppia. Questa disposizione appare del tutto contrastante con uno degli obiettivi dichiarati dei Regolamenti in esame che è concentrare più questioni dinnanzi ad un unico tribunale, dal momento che

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P. Quinzá Redondo, La unificación – fragmentada – del derecho internacional privado de la Unión Europea en materia de régimen económico matrimonial: el Reglamento 2016/1103, in Revista General de Derecho Europeo, n° 41, 2017, 198. 56 Pensiamo a tutti quegli Stati membri che partecipano alla cooperazione rafforzata e che, tuttavia, non permettono nessun tipo di unione tra persone dello stesso sesso. Quest’articolo fu pensato appunto per favorire l’applicazione dei Regolamenti in questi Stati. 57 È stata messa in evidenza la complicata applicazione pratica di questo precetto in entrambi i Regolamenti ed è stata proposta la sua sostituzione. Nell’ipotesi contemplata, coniugi o membri della coppia di fatto non solo potrebbero adire quei tribunali la cui competenza è stabilita in virtù delle disposizioni dei Regolamenti, ma anche quelli dello Stato membro di celebrazione del matrimonio (nel caso delle unioni, si parla dello Stato membro conforme alla cui legge l’unione sia stata registrata). J.P. Quinzá Redondo, La unificación – fragmentada – del derecho internacional privado, cit., 202. 58 Questa disposizione prende spunto dall’art. 10.2 del Regolamento (UE) nº 650/2012.

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può provocare una poco desiderabile frammentazione fino a determinare il paradosso che si possano adire tante autorità competenti quanti siano i beni posseduti dalla coppia nei differenti Stati59. Non siamo dinnanzi ad un caso isolato dato che i Regolamenti prevedono un’altra ipotesi in cui la disputa può limitarsi solo ad alcuni beni. Effettivamente, nei casi di morte di uno dei componenti della coppia, l’art. 13 permette che l’autorità giurisdizionale adita si astenga dal decidere, su istanza di una delle parti, su uno o più beni (del patrimonio del defunto) situati in uno Stato terzo qualora si possa supporre che la sua decisione sui beni in questione non sarà riconosciuta né, se del caso, dichiarata esecutiva in tale Stato terzo. Pertanto si favorisce, in un certo modo, il dépeçage. Si afferma nel Considerando 41 del Regolamento RPC che «al fine di porre rimedio in particolare a situazioni di diniego di giustizia, è opportuno prevedere nel presente regolamento un forum necessitatis che, in casi eccezionali, consenta all’autorità giurisdizionale di uno Stato membro di decidere su un regime patrimoniale tra coniugi che abbia uno stretto collegamento con uno Stato terzo. Un tale caso eccezionale potrebbe presentarsi qualora un procedimento si riveli impossibile nello Stato terzo interessato, per esempio a causa di una guerra civile o qualora non ci si possa ragionevolmente aspettare che il coniuge intenti o prosegua un procedimento in tale Stato. La competenza fondata sul forum necessitatis dovrebbe tuttavia essere esercitata soltanto se la causa presenta un collegamento sufficiente con lo Stato membro dell’autorità giurisdizionale adita»60. Con queste premesse gli artt. 11 (RPC ed EPUR) introducono un foro di necessità che si affermerà in circostanze eccezionali quando non sia possibile rivolgersi a nessuna autorità giurisdizionale basandosi sugli articoli anteriori61. Infine gli artt. da 12 a 19 di entrambi i Regolamenti segnalano norme di competenza tecnico-processuali il cui obiettivo è evitare che vengano dettate decisioni inconciliabili nei distinti Stati membri e che si occupano della verifica d’ufficio e delle questioni di litispendenza e connessione internazionale. Si regolano, nello specifico, la competenza in caso di domanda riconvenzionale (artt. 12), la limitazione del procedimento in caso di eredità i cui beni siano situati in uno Stato terzo (artt. 13), l’adizione di una autorità giurisdizionale (artt. 14), la verifica della competenza (artt. 15) e dell’ammissibilità (artt. 16), la litispendenza (artt. 17), la concentrazione di domande connesse (artt. 18) e i provvedimenti provvisori e cautelari (artt. 19).

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A. Rodriguez Benot, La armonización del régimen económico matrimonial en la Unión Europea: la Propuesta de Reglamento de 2011, en C. Esplugues Mota y G. Palao Moreno (eds); M. Penadés Fons (coord.), Nuevas fronteras del derecho de la Unión Europea, Tirant lo Blanch, 2012, 565. 60 Il testo del Considerando 41 RPC è quasi identico al Considerando 40 EPUR. L’unica differenza è che nel Considerando 40 l’espressione “regime patrimoniale tra coniugi” è sostituita da “effetti patrimoniali di un’unione registrata”. 61 Rileviamo che, anche in questo caso, l’articolo oggetto d’esame si ispira ad una norma del Regolamento (UE) nº 650/2012, nello specifico l’art. 11.

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2. Legge applicabile.

Affrontata la questione della determinazione dell’autorità giurisdizionale competente a dirimere le questioni che insorgono tra coniugi o membri dell’unione registrata durante la relazione o nel momento dell’annullamento – che è quando realmente sorgono i problemi – è necessario ora individuare quale normativa si dovrà applicare tra quelle che interessano la relazione. I Regolamenti dedicano i propri rispettivi capitoli III (artt. 20-35) alla risoluzione di questa questione. Va rilevato che, nonostante la coincidenza numerica, non sempre sono stabilite regole totalmente equiparabili e ciò è dovuto, come è ovvio, alla differente natura giuridica delle relazioni matrimoniali ed extramatrimoniali. Orbene, il legislatore europeo ha costruito le norme di conflitto basandosi su due principi base: quello della universalità e quello della unità della legge applicabile. Secondo il carattere universale dei Regolamenti, può risultare potenzialmente applicabile la legge di qualunque Stato, anche se non vincolato ai Regolamenti (artt. 20 RPC ed EPUR), sempre che si rispettino le prescrizioni relative alla determinazione della legge applicabile. Sul punto, i Regolamenti seguono la linea già marcata da anteriori norme regolamentari che prevedevano questo carattere universale, ma che, così come applicato nei Regolamenti gemelli, presuppone la scomparsa delle frontiere tra gli Stati partecipanti alla cooperazione rafforzata e quelli che alla stessa non si sono vincolati. In definitiva, la legge applicabile può essere, indistintamente, tanto quella degli uni, quanto quella degli altri e, ovviamente, anche quella di uno Stato non membro della UE. L’unità è consacrata nei rispettivi artt. 21 che estendono l’applicazione della legge applicabile al regime patrimoniale tra coniugi o agli effetti patrimoniali di un’unione registrata alla totalità dei beni rientranti in tale regime o soggetti a tali effetti, indipendentemente da dove questi si trovino. Si cerca in questo modo di garantire una maggiore sicurezza giuridica e di evitare una qualsivoglia frammentazione, «indipendentemente dalla natura dei beni e se questi siano situati in un altro Stato membro o in uno Stato terzo»62. Qui affiora perfettamente la soluzione di taglio personalistico adottata da certi ordinamenti continentali in antitesi con quella indipendentista seguita da altri63. L’encomiabile desiderio di evitare situazioni di dépeçage, favorendo l’unità del patrimonio rispetto all’unità del passivo64, può venire offuscato dall’eventuale assenza di coordinamento che potrebbe prodursi tra la legge applicabile, secondo i Regolamenti, e la lex rei sitae, criterio di collegamento generale che si

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Considerando 42 RPC e 43 EPUR. V. A. Rodríguez Benot, La armonización del régimen económico matrimonial de la Unión Europea, cit., 566. 64 J.C. Fernández Rozas, Un hito más en la comunitarización del Derecho internacional privado: regímenes patrimoniales y efectos patrimoniales de las uniones registradas, La ley Unión Europea, nº. 40, 30 settembre 2016, 13. 63

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applica per determinare la legge regolatrice delle questioni attinenti alla proprietà e agli altri diritti reali65. 2.1. Ambito della legge applicabile.

I rispettivi articoli 27 determinano l’ambito della legge applicabile in termini simili e con carattere meramente esemplificativo (come dimostra l’espressione “tra l’altro” utilizzata in entrambi i Regolamenti), facendo una distinzione tra le relazioni ad intra e ad extra. Tra le prime, punti da a) a e)66, rientrano gli aspetti patrimoniali delle relazioni economiche tra coniugi o membri dell’unione registrata, tanto durante la vigenza delle rispettive relazioni quanto nel momento della loro estinzione. Le seconde, punti f), si riferiscono agli aspetti esterni di tali relazioni, cioè ai rapporti con i terzi. Oltre a ciò, i rispettivi punti g) trattano della validità (sostanziale in RPC e formale in EPUR) delle convenzioni matrimoniali o tra partner. I rapporti dei partner con i terzi sono regolati negli artt. 28 (RPC ed EPUR). Si tratta di una disciplina che tutela i diritti dei soggetti terzi in buona fede che si relazionino con uno o entrambi i coniugi o i partner. L’articolo in questione preclude la possibilità di fare valere la legge applicabile contro un terzo, eccetto che si dimostri, in base ad una serie di presunzioni specificate nel comma 2°, che detto soggetto terzo «fosse a conoscenza di tale legge o fosse tenuto ad esserne a conoscenza esercitando la dovuta diligenza»67. Il comma 3° fissa invece le opportune connessioni per regolare le relazioni esterne nel caso in cui non possa essere fatta valere la legge applicabile che regola le relazioni patrimoniali 68. 2.2. Determinazione della legge applicabile.

I problemi riguardanti la legge applicabile ruotano intorno a due questioni: la determinazione della legge applicabile fatta dalle parti impiegando l’autonomia della volontà e la

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P. Quinzá Redondo, La unificación – fragmentada – del derecho internacional privado, cit., 194. a) La classificazione dei beni di uno o entrambi i coniugi o partner in varie categorie durante e dopo il matrimonio o l’unione registrata; b) il passaggio dei beni da una categoria all’altra; c) la responsabilità di un coniuge o partner per le passività e i debiti dell’altro coniuge o partner; d) i poteri, i diritti e gli obblighi di uno dei coniugi o partner o di entrambi i coniugi o partner con riguardo ai beni; e) lo scioglimento del regime patrimoniale tra coniugi o dell’unione registrata e la divisione, distribuzione o liquidazione dei beni. 67 Si presume che il terzo sia a conoscenza della legge applicabile al regime patrimoniale tra coniugi o agli effetti patrimoniali dell’unione registrata, se: a) la legge è la legge: i) dello Stato la cui legge è applicabile alla transazione tra un coniuge e il terzo o tra un partner e il terzo, o ii) dello Stato in cui il coniuge contraente o il partner contraente e il terzo hanno la loro residenza abituale, o iii) in casi riguardanti beni immobili, dello Stato in cui sono ubicati i beni; oppure b) uno dei coniugi ha adempiuto gli obblighi applicabili in materia di pubblicità o registrazione del regime patrimoniale tra coniugi prescritti dalla legge o uno dei partner ha adempiuto gli obblighi applicabili in materia di pubblicità o registrazione degli effetti patrimoniali dell’unione registrata prescritti dalla legge: i) dello Stato la cui legge è applicabile alla transazione tra un coniuge o un partner e il terzo, o ii) dello Stato in cui il coniuge o il partner contraente e il terzo hanno la loro residenza abituale, o iii) in casi riguardanti beni immobili, dello Stato in cui sono ubicati i beni (art. 28.2 RPC ed EPUR). 68 Se la legge applicabile al regime patrimoniale tra coniugi o agli effetti patrimoniali dell’unione registrata non può essere fatta valere da un coniuge o partner contro un terzo in virtù del paragrafo 1, gli effetti del regime patrimoniale tra coniugi o degli effetti patrimoniali dell’unione registrata rispetto al terzo sono disciplinati: a) dalla legge dello Stato la cui legge è applicabile alla transazione tra un coniuge o partner e il terzo; o b) in casi riguardanti beni immobili o beni o diritti registrati, dalla legge dello Stato in cui è ubicato il bene o in cui sono registrati i beni o i diritti (art. 28.3 RPC ed EPUR). 66

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definizione di un sistema di norme sussidiarie di conflitto nelle ipotesi in cui i rispettivi protagonisti delle unioni matrimoniali o extramatrimoniali non abbiano fatto uso della professio iuris. 2.2.1. L’autonomia della volontà. I requisiti.

Con riferimento alla determinazione dei canoni per regolare le proprie relazioni economiche, e in logica sintonia con gli ordinamenti interni degli Stati membri, i Regolamenti danno priorità alla volontà dei coniugi o membri delle unioni registrate rispetto al volere del legislatore, poiché è evidente che sono i partner quelli che meglio conoscono e possono difendere i propri interessi. Si desume dunque l’importanza che la scelta di questi sia quanto più possibile consapevole69. Si noti che, con gli ultimi regolamenti adottati, il legislatore europeo ha addirittura esteso tale possibilità ad ambiti che tradizionalmente restavano fuori dal raggio di azione di tale principio70. Negli artt. 22 dei Regolamenti in esame si disciplina la scelta della legge applicabile, anche se il Reg. EPUR presenta alcune sfumature differenti rispetto al “gemello” che si rilevano ineluttabili date le diverse premesse dei due strumenti regolamentari71. Invero, il primo comma dell’art. 22 EPUR stabilisce una conditio sine qua non secondo la quale la legge scelta da entrambi i membri della coppia deve riconoscere effetti patrimoniali all’istituzione dell’unione registrata72. Giacché si tratta di una autonomia della volontà conflittuale limitata, in tali articoli si determinano alternativamente le possibili leggi che è possibile scegliere: la legge dello Stato di residenza abituale o quella dello Stato di nazionalità dei coniugi o nubendi o dei partner o futuri tali dell’unione registrata al momento della conclusione della convenzione. A questi criteri di collegamento tradizionali si aggiunge, per le unioni registrate, quello della legge dello Stato ai sensi della cui legge l’unione è stata registrata. La libertà di scelta ruota dunque intorno alla legge del luogo di residenza abituale, quando cioè le parti intendano avvalersi di tale possibilità essendo pienamente integrate nel nuovo contesto geografico (possibilità che non si deve escludere poiché, dati i flussi migratori, ci sono persone che lasciano il proprio paese senza mai farvi ritorno), o, se lo preferiscono, intorno al criterio

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B. Añoveros Terradas, Autonomía de la voluntad conflictual y sus límites en los nuevos Reglamentos comunitarios en materia de regímenes económicos matrimoniales y efectos patrimoniales de las uniones registradas, en M. Guzmán Zapater y C. Esplugues Mota, (dirs.), M. Herranz Ballesteros y M. Vargas Gómez-Urrutia (coords.), Persona y familia en el nuevo modelo español, cit., 267. 70 Si veda, in tal senso, l’art. 22 del Reg. 650/2012 sulle successioni, l’art. 5 del Reg. 1259/2010 sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale e l’art. 8 del Reg. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari. 71 Infatti, il Parlamento Europeo ha dovuto pronunciarsi per mezzo della Risoluzione del 13 settembre 2013 per emendare la Proposta iniziale del Reg. 2016/1104, la quale non permetteva ai membri dell’unione registrata di scegliere una legge diversa quella dello Stato dove l’unione fu registrata, basandosi sul fatto che questa discriminazione, anche rispetto al Reg. 2016/1103, non rispettava i principi di uguaglianza e non discriminazione contenuti negli artt. 20 e 21 della Carta di Nizza. 72 Ed è così «per evitare di privare la scelta di legge di qualsiasi effetto e lasciare così i partner in un vuoto giuridico» (Considerando 44 EPUR).

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della cittadinanza, assicurandosi, così facendo, che la sentenza sia riconosciuta ed eseguita nel loro paese di origine73. Non esistono invece limitazioni relative tanto al momento temporale quanto al numero di cambi che eventualmente si possono realizzare nella scelta della legge applicabile (sempre che tale scelta ricada sugli stessi ordinamenti giuridici: cittadinanza o residenza abituale di qualunque dei membri). Questi cambi avranno però un’efficacia ex nunc, salvo patto contrario, in modo tale da salvaguardare i diritti dei terzi74. Le limitazioni riemergono attraverso l’imposizione, identica in entrambi i Regolamenti, di alcuni requisiti formali negli artt. 23 (per gli accordi sulla scelta della legge applicabile) e artt. 25 (per le convenzioni matrimoniali o tra partner). Seguendo la scia già lasciata dai regolamenti precedenti si esige che, con carattere generale, l’accordo si manifesti per iscritto corredato da data e firma di entrambi i componenti della coppia. Ad ogni modo si considera equivalente alla forma scritta qualsiasi comunicazione elettronica che consenta una “registrazione duratura dell’accordo”75. I requisiti di forma supplementari dipendono dal luogo di residenza abituale delle parti al momento della conclusione dell’accordo: se entrambi i membri della coppia sono residenti nel medesimo Stato membro (ci si riferisce solo agli Stati integranti la cooperazione rafforzata) che li prevede, si applicano tali requisiti, come nel caso in cui sia solo un partner colui che risiede in tale Stato membro; se la residenza abituale delle parti si trova in Stati membri diversi e se la legge di tali Stati prevede requisiti di forma differenti, l’accordo è valido purché vengano soddisfatti i requisiti della legge di uno dei due Stati. Gli stessi criteri determinano la validità formale delle convenzioni matrimoniali e tra partner, con la evidente differenza che il luogo di residenza è preso in considerazione nel momento della conclusione delle convenzioni matrimoniali o tra partner e con la sola addizione della necessaria conformità degli eventuali requisiti aggiuntivi stabiliti dalla legge applicabile al regime patrimoniale tra coniugi o agli effetti patrimoniali, cioè dal Diritto sostanziale che li regola. Non si esige, tuttavia, l’osservanza dei requisiti formali addizionali imposti dalle leggi di Stati terzi. Poiché i Regolamenti hanno la caratteristica di essere universali relativamente all’applicazione delle leggi degli Stati terzi, quando questa è la conseguenza del criterio di collegamento dei Regolamenti stessi, riteniamo che sarebbe più logico che fossero osservate le esigenze formali addizionali previste in questi Stati, al fine di evitare che si

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Logicamente, quanto più “internazionale” è la coppia tanto maggiori saranno le opzioni di scelta della legge, tenendo in conto che la questione di come considerare una persona avente cittadinanza plurima è una questione preliminare che dovrebbe essere lasciata alla legislazione nazionale, sebbene questa considerazione «non dovrebbe avere alcun effetto sulla validità della scelta della legge applicabile», operata in conformità dei Regolamenti in esame (Considerando 50 RPC e 49 EPUR). 74 La concessione di una libertà così grande da questo lato può creare qualche difficoltà, specialmente nel momento della liquidazione dove possono eventualmente coesistere diverse leggi. 75 Vanno consultati, in tal senso, l’art. 7.1 del Reg. n° 1259/2010 e l’art. 5.2 del Reg. n° 650/2012.

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produca una deprecabile discriminazione tra i matrimoni o le coppie a seconda dello Stato di residenza76. Infine, negli artt. 24 RPC ed EPUR si determina il regime al quale si sottomettono la validità sostanziale e il consenso di questi accordi: «l’esistenza e la validità di un accordo sulla scelta della legge o di una sua disposizione si stabiliscono in base alla legge che sarebbe applicabile ai sensi dell’articolo 22 se l’accordo o la disposizione fossero validi» (artt. 24.1). Con carattere eccezionale si ammette che un membro della coppia possa riferirsi alla legge del paese in cui ha la residenza abituale nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale al fine di dimostrare che non ha dato il proprio consenso, «se dalle circostanze risulta che non sarebbe ragionevole stabilire l’effetto del suo comportamento secondo la legge prevista nel paragrafo 1» (artt. 24.2). 2.2.2. Legge applicabile in mancanza di scelta delle parti.

La norma di conflitto sussidiaria prevista nelle ipotesi in cui le parti non facciano uso della professio iuris, oppure quando questa non sia valida, è quella che presenta maggiori differenze tra RPC ed EPUR, anche se, dal punto di vista numerico, entrambi la regolano nell’art. 26. In mancanza di scelta delle parti, il Reg. EPUR designa come unica legge quella dello Stato ai sensi della cui legge l’unione registrata è stata costituita, mentre il Reg. RPC stabilisce tre norme a cascata con ordine gerarchico, che si applicano una in difetto dell’altra: quella dello Stato della prima residenza abituale comune dei coniugi dopo la conclusione del matrimonio o, in mancanza, quella della cittadinanza comune dei coniugi al momento della conclusione del matrimonio (si tenga presente che se le parti sono in possesso di più di una cittadinanza in comune questo criterio di collegamento non si applica, per evitare di “favorire” una cittadinanza sull’altra, art. 26.277) o, in mancanza, la legge dello Stato con cui i coniugi presentano assieme il collegamento più stretto al momento della conclusione del matrimonio (art. 26.1). La regola generale prevista dai due regolamenti, seppure con distinti criteri di collegamento, presenta in entrambi la stessa eccezione (artt. 26.3 RPC e 26.2 EPUR): la possibilità di applicare la legge di uno Stato diverso da quello della prima residenza abituale comune successiva alla conclusione del matrimonio o dello Stato in cui si sia registrata l’unione quando così lo autorizzi il giudice su richiesta di uno dei componenti del matrimonio o dell’unione registrata, sempre che, in quest’ultimo caso, la legge di tale Stato gli attribuisca effetti patrimoniali. Si vuole scongiurare, in questo modo, il pericolo che potrebbe derivare qualora i partner non si sentano identificati con la legge stabilita dalla norma generale

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Si veda M. Vinaixa Miquel, La autonomía de la voluntad en los recientes Reglamentos UE, cit., 293. P. Quinzá Redondo, La cláusula de excepción del art. 26.3 del Reglamento 2016/1103 sobre régimen económico matrimonial, en M. Guzmán Zapater y C. Esplugues Mota (dirs.), M. Herranz Ballesteros y M. Vargas Gómez-Urrutia (coords.), Persona y familia en el nuevo modelo español, cit., 305.

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(che considera come riferimento temporale il momento della conclusione del matrimonio o della costituzione dell’unione registrata), con la conseguenza che, tale eccezione, dà la possibilità di applicare la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale comune dei soggetti coinvolti78. È necessario che la parte che intenda avvalersi di questa eccezione dimostri, cumulativamente, due circostanze di fatto: 1) che la coppia ha avuto l’ultima residenza abituale comune in tale altro Stato per un periodo significativamente più lungo di quello di residenza abituale comune nello Stato designato al paragrafo 1, lettera a)79 e 2) la pianificazione o l’organizzazione dei propri rapporti patrimoniali in base alla legge di quest’altro Stato, requisiti non esenti da difficoltà ad essere provati80. In ogni caso è indispensabile che i diritti dei terzi, derivati dalla legge della residenza abituale comune dei coniugi o dalla legge dello Stato in conformità della quale si sia creata l’unione registrata, non vengano colpiti negativamente e che non siano state concluse convenzioni matrimoniali o tra partner anteriormente alla data di stabilimento dell’ultima residenza abituale comune in tale altro Stato. 2.3. Aspetti comuni.

Dopo aver esposto le considerazioni di base sulla determinazione della legge applicabile ai regimi patrimoniali tra coniugi ed agli effetti patrimoniali delle unioni registrate, dobbiamo adesso analizzare la disciplina dei punti in comune relativa alle leggi applicabili contenute nei Regolamenti. 2.3.1. Limiti al diritto applicabile e esclusione del rinvio.

L’autonomia della volontà delle parti, pur adempiendo alla funzione di rafforzare la certezza del diritto nelle relazioni private transfrontaliere incentivando una maggiore mobilità dei cittadini europei, è tuttavia limitata dalle cosiddette norme di applicazione necessaria e dall’eccezione di ordine pubblico del foro. In primo luogo, dobbiamo considerare la tradizionale clausola di ordine pubblico così come regolata negli artt. 31 dei Regolamenti. Pertanto, qualora applicando le norme di conflitto risultasse infine applicabile una legge straniera81 manifestamente incompatibile

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Nonostante questa previsione, non essendo possibile estendere tale possibilità agli altri due punti dell’art. 26.1 RPC (e cioè la legge della cittadinanza comune dei coniugi e la legge con cui i coniugi presentano assieme il collegamento più stretto) che si riferiscono entrambi al momento della conclusione del matrimonio, può accadere che il giudice sia tenuto ad applicare leggi con le quali i coniugi non presentano alcun collegamento. M. Vinaixa Miquel, La autonomía de la voluntad en los recientes Reglamentos UE, cit., 301-302. 79 Trattandosi di un punto sottoposto a una prova, chiama l’attenzione il fatto che il Reg. RPC richieda che la residenza durante un periodo di tempo più lungo nel secondo Stato debba determinarsi in rapporto con quello trascorso nello Stato designato nell’art. 26.1 quale prima opzione, precisazione che non è contemplata invece nel Reg. EPUR che si limita a richiedere semplicemente “un periodo significativamente lungo”. M. Vinaixa Miquel, La autonomía de la voluntad en los recientes Reglamentos UE, cit., 301. 80 Tranne quando questi abbiano disposto di qualche bene, il che comporterebbe la necessaria determinazione della legge applicabile e del regime patrimoniale tra coniugi. P. Quinzá Redondo, La cláusula de excepción del art. 26.3 del Reglamento 2016/1103 sobre régimen económico matrimonial, en M. Guzmán Zapater y C. Esplugues Mota (dirs.), M. Herranz Ballesteros y M. Vargas Gómez-Urrutia (coords.), Persona y familia en el nuevo modelo español, cit., 311. 81 Non va dimenticato che il carattere universale dei Regolamenti comporta un gran numero di leggi applicabili. Per

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con l’ordine pubblico del foro, questa potrà essere dichiarata inapplicabile. È inoltre opportuno richiamare quanto precisato dai Considerando 54 RPC e 53 EPUR, che limitano la possibilità di avvalersi dell’eccezione di ordine pubblico quando, per mezzo di questa, si voglia disattendere la legge straniera o non si voglia riconoscere o eseguire una decisione, un atto pubblico o una transazione giudiziaria emessi in un altro Stato membro, sempre che ciò avvenga in violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare del suo articolo 21 sul principio di non discriminazione. Metodologicamente si è deciso di seguire la scia già marcata dalla CGUE in alcune delle sue decisioni82. L’altra limitazione è data dall’impossibilità di violare le norme di applicazione necessaria, ex artt. 30, denominazione che comprende le disposizioni che ogni Stato considera fondamentali per proteggere i propri interessi pubblici e che, per tanto, si impongono indipendentemente dalla legge applicabile. Tuttavia quest’articolo deve essere interpretato restrittivamente per non stroncare sul nascere l’obiettivo generale dei Regolamenti, e cioè il conseguimento dell’unità della legge applicabile. Ancora una volta risultano interessanti le previsioni stabilite nei Considerando (53 RPC e 52 EPUR), che riportano come esempio di norme di applicazione necessaria quelle di carattere imperativo sancite per la protezione della casa familiare. Questo è un elemento chiave per lo svolgimento della vita delle coppie ed è dunque da considerarsi “blindato”. Ad ogni modo si tratta, appunto, di mere eccezioni e non potrebbe essere altrimenti per non finire col soffocare sistematicamente la volontà delle parti83. L’esclusione del rinvio è disciplinata in modo chiaro negli artt. 32 che determinano che la remissione alla legge di uno Stato vada riferita all’applicazione delle norme giuridiche in vigore in quello Stato, con esclusione delle norme di Diritto Internazionale Privato. La diretta conseguenza è che non è ammesso avvalersi delle norme di conflitto di questo Stato e, pertanto, non è possibile che si verifichi una seconda remissione alla legge di un altro Stato che è requisito indispensabile affinché esista il rinvio84.

tale ragione questa clausola si invocherà con maggior frequenza quando la legge designata sia, per esempio, quella di un paese islamico o nelle ipotesi di leggi straniere che riconoscono il matrimonio o le unioni dello stesso sesso. In ogni caso, l’impressione è che la possibilità che l’autorità giurisdizionale procedente si rifiuti di conoscere di determinate controversie se il suo Diritto non riconosce il matrimonio o l’unione che gli venga sottoposta ad esame nei rispettivi artt. 9.1 dei Regolamenti gemelli, metterebbe il veto sulla successiva invocazione della clausola di ordine pubblico, nel caso in cui non si avvalga di tale prerogativa. Sul punto si veda M. Vinaixa Miquel, La autonomía de la voluntad en los recientes Reglamentos UE, cit., 306-307. 82 Relativamente alla progressiva “europeizzazione” dell’ordine pubblico a discapito della dimensione esclusivamente statale, si veda S. Álvarez González, Orden público europeo versus orden público internacional de cada Estado?, La gobernanza del interés público global, in XXV Jornadas de Profesores de Derecho internacional y relaciones internacionales, Madrid, 2015, 179 e Una visión general posible del Derecho internacional privado de familia de la UE, La Ley, Derecho de familia, nº. 17, enero-marzo 2018. 83 B. Añoveros Terradas, Autonomía de la voluntad conflictual y sus límites en los nuevos Reglamentos comunitarios, cit., 269 e 270. 84 Qui si nota la rottura del parallelismo tra i Regolamenti RPC ed EPUR e il Regolamento sulle successioni (che ammette il rinvio, art. 34) al quale comunque i “gemelli” si ispirano.

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2.3.2. Il caso specifico degli ordinamenti plurilegislativi.

I Regolamenti si occupano anche dei problemi riguardanti gli Stati plurilegislativi85 laddove la risposta che proviene dalla norma di conflitto risulti incompleta. Infatti, trattandosi di Paesi nei quali coesistono diversi sistemi legislativi, si impone la necessità di specificare il particolare diritto applicabile86. I Regolamenti gemelli hanno trattato e risolto la questione in termini praticamente identici tra di loro (a parte piccolissime e inevitabili differenze dettate dai diversi tipi di relazione che RPC ed EPUR analizzano). Entrambe le norme regolamentari distinguono, nei rispettivi artt. 33 e 34, tra ordinamenti plurilegislativi a base territoriale, nel caso di Stati composti da varie unità territoriali, ciascuna delle quali ha una propria normativa in materia di regimi o effetti patrimoniali, e ordinamenti plurilegislativi a base personale, quando uno Stato ha due o più sistemi giuridici o complessi di norme applicabili a categorie diverse di persone nelle materie già menzionate. Rispetto agli ordinamenti plurilegislativi a base personale, i Regolamenti prevedono che ogni riferimento alla legge di tale Stato deve intendersi come riferimento al sistema giuridico o al complesso di norme determinato dalle norme in vigore in tale Stato, e cioè bisognerà in primo luogo stabilire le proprie norme di conflitto. In mancanza di tali norme sarà necessario applicare il sistema giuridico o il complesso di norme con cui i partner hanno il collegamento più stretto. Per quanto riguarda gli ordinamenti plurilegislativi a base territoriale, le norme interne dello Stato in questione in materia di conflitti di legge determineranno l’unità territoriale pertinente la cui normativa si applica, ex artt. 33.1 RPC ed EPUR. In mancanza di tali norme interne la legge prevede diverse soluzioni, a seconda del punto di connessione impiegato dalle norme di conflitto: se è stato utilizzato il criterio della residenza abituale, si applicherà la legge dell’unità territoriale in cui i soggetti coinvolti hanno la residenza abituale; nel caso in cui il criterio impiegato sia quello della cittadinanza delle parti, bisognerà prendere in considerazione la legge dell’unità territoriale con cui le parti hanno il collegamento più stretto; nel resto dei casi si applicherà la legge dell’unità territoriale in cui l’elemento in questione è situato. In relazione all’ipotesi anteriore, gli artt. 35 RPC ed EPUR non obbligano gli Stati membri composti da più unità territoriali ad applicare i Regolamenti ai conflitti di legge che riguardano unicamente tali unità. Pertanto, un’interpretazione a sensu contrario permette-

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Particolarmente rilevante, ad esempio, in Paesi come la Spagna, dove coesistono “un Derecho civil común y los Derechos especiales y forales”. 86 Come si vedrà in seguito, entrambi i Regolamenti riproducono la soluzione accolta nel Reg. 650/2012 sulle successioni (artt. 36 y 37), allontanandosi invece dalla normativa introdotta dall’art. 14 del Reg. 1259/2010 sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale nel quale opera una remissione diretta al sottosistema normativo dell’ordinamento plurilegislativo. O. Feraci, L’incidenza del nuovo regime europeo in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi e parti di unioni registrate, cit., 34.

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rebbe l’applicazione degli stessi nei casi di conflitti puramente interni (ovvero quelli che si presentano esclusivamente tra unità territoriali di uno stesso Stato). 3. Riconoscimento ed esecuzione.

Un aspetto assai rilevante dei Regolamenti gemelli è dato dalla possibilità che una decisione emessa in un determinato Stato riesca ad avere effetti in un altro, ma non solo, poiché arreca altresì grandi vantaggi il fatto che anche gli atti pubblici e le transazioni giudiziarie possano circolare da uno Stato all’altro. Il procedimento designato dal legislatore europeo per conseguire queste finalità è regolato nei capitoli IV (artt. 36-57, per le decisioni giudiziarie) e V (artt. 58-60, per quanto riguarda atti pubblici e transazioni giudiziarie), in un piano di totale parallelismo tra entrambi i Regolamenti. Anche qui, come nel caso di altri Regolamenti precedenti, tutto il sistema si articola intorno al principio base della fiducia reciproca tra le diverse autorità appartenenti a Stati che fanno parte della cooperazione rafforzata. È indispensabile che la decisione, atto o transazione provenga originariamente da uno di tali Stati87; ciò facilita al massimo la circolazione degli atti da un Paese all’altro e consente di realizzare quella che viene comunemente chiamata la “quinta libertà comunitaria”: libera circolazione delle decisioni, degli atti pubblici e delle transazioni giudiziarie dentro lo spazio giudiziario europeo. 3.1. Riconoscimento, esecutività ed esecuzione delle decisioni.

Le decisioni emesse in uno Stato partecipante alla cooperazione rafforzata saranno riconosciute negli altri che ne fanno parte senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento particolare. In altre parole, si instaura il riconoscimento automatico in sintonia con quanto già stabilito da altri Regolamenti europei (artt. 36.1 RPC ed EPUR). Nonostante ciò, lo stesso articolo riconosce ad ogni Stato membro la possibilità di effettuare due diversi tipi di controllo per un corretto riconoscimento: il primo si attiva per mezzo di un procedimento dichiarativo di riconoscimento a titolo principale che deve sottomettersi allo stesso procedimento previsto per la dichiarazione di esecutività (artt. 44-57), ex artt. 36.2, ed il secondo è un controllo del riconoscimento a titolo incidentale, ex artt. 36.3. In quanto ai motivi di diniego del riconoscimento non è stata introdotta nessuna novità rispetto ai regolamenti precedenti. Permangono dunque i motivi, per così dire, classici: – contrarietà manifesta all’ordine pubblico dello Stato membro in cui è richiesto il riconoscimento88;

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Diversamente, ogni Stato applicherà la propria normativa interna per quanto riguarda l’efficacia extraterritoriale delle decisioni giudiziarie. 88 Mettendo a confronto questo motivo di diniego con quanto previsto dall’art. 38 osserviamo come i diritti fondamentali forniscono informazioni circa l’applicazione dei motivi di diniego. Pertanto si constata che tanto la giurisprudenza quanto il legislatore europeo prendono come punto di riferimento la Carta per accertare se i diritti fondamentali siano stati debitamente rispettati.

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– decisioni pronunciate in contumacia, quando non sia stata notificata la domanda giudiziale o un atto equivalente in tempo e forma utili, eccetto quando il convenuto pur avendone avuto la possibilità, non abbia impugnato la decisione; – incompatibilità di decisioni nei seguenti due casi: quella che si ha a seguito di una decisione emessa in un procedimento tra le stesse parti nello Stato membro in cui richiesto il riconoscimento e quella conseguente ad una decisione emessa precedentemente, in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, tra le parti stesse e anche con lo stesso oggetto, sempre che quest’ultima soddisfi le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello Stato membro nel quale si richiede (art. 37). Si noti che non è incluso tra i motivi di diniego il fatto che la legge dello Stato adito non ammetta l’istituto del matrimonio in questione o dell’unione registrata. Se mettiamo questo fatto in correlazione con la competenza alternativa regolata nei rispettivi artt. 9, la conclusione che ne ricaviamo è che tale esclusione non ha alcuna ripercussione, ad eccezione della possibilità di astenersi dal conoscere. In effetti, basta che gli interessati si rivolgano ad un altro organo giurisdizionale competente affinché si produca il riconoscimento della decisione e, eventualmente, la sua esecuzione, con la conseguenza che gli effetti si imporranno anche nei confronti dello Stato ricalcitrante. I Regolamenti sanciscono altresì il divieto di riesame della competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro d’origine ed il divieto di riesame del merito di una decisione emessa in uno Stato membro (artt. 39 e 40 RPC ed EPUR). In nessun caso le autorità giurisdizionali possono essere una seconda istanza per una decisione che è stata già adottata, essendo il loro potere di controllo limitato, unicamente ed esclusivamente, all’esame formale dei documenti presentati ed alla valutazione degli eventuali motivi di diniego sopra esposti, senza entrare nel merito. Per ottenere l’esecuzione della decisione nello Stato destinatario è necessaria una previa dichiarazione di esecutività, requisito di cui difettano le sentenze straniere. Su questo punto i Regolamenti in esame hanno rotto con le ultime tendenze regolamentari europee che hanno soppresso l’exequatur a questi effetti, ed in concreto con il Regolamento Bruxelles I bis 1215/2012. Il nuovo sistema si mostra invece in continuità con il Regolamento sulle successioni e con il Regolamento Bruxelles I. Al fine di ottenere la dichiarazione di esecutività è necessario presentare una domanda corredata dei documenti elencati negli artt. 45 dinnanzi alle autorità dello Stato membro adito89 e l’exequatur sarà concesso direttamente ex artt. 47 e notificato tanto al istante che

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Artt. 45.3: «La domanda è corredata dei seguenti documenti: a) una copia della decisione che soddisfi le condizioni necessarie per stabilirne l’autenticità; b) l’attestato rilasciato dall’autorità giurisdizionale o dall’autorità competente dello Stato membro d’origine utilizzando il modulo elaborato secondo la procedura consultiva di cui all’articolo 67, paragrafo 2, fatto salvo quanto stabilito all’articolo 46». Artt. 46: «1. Qualora l’attestato di cui all’articolo 45, paragrafo 3, lettera b), non venga prodotto, l’autorità giurisdizionale o l’autorità competente può fissare un termine per la sua presentazione o accettare un documento equivalente ovvero, qualora ritenga di essere informata a sufficienza, disporne la dispensa. 2. Qualora l’autorità giurisdizionale o l’autorità competente lo richieda, deve

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alla parte contro la quale è chiesta l’esecuzione ex artt. 48. In questa fase del processo potrebbe aprirsi un contraddittorio, essendo garantita alle parti la possibilità di ricorrere entro 30 giorni dalla notificazione, ampliabili a 60 giorni se la parte contro la quale è chiesta l’esecuzione è domiciliata in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata rilasciata la dichiarazione di esecutività (artt. 49.3 RPC ed EPUR). A sua volta la decisione emessa sul ricorso può essere impugnata (artt. 50 RPC ed EPUR) e si potrà rifiutare o revocare la dichiarazione di esecutività solamente in base ai motivi di diniego esposti per il riconoscimento (artt. 51 RPC ed EPUR). Le disposizioni contenute in entrambi i Regolamenti sul riconoscimento e sull’esecuzione delle decisioni si estendono ai documenti emessi dalle autorità che esercitano le proprie competenze tramite delega, in conformità con la definizione di “autorità giurisdizionale” dell’art. 3 di entrambi i testi regolamentari90. 3.2. Accettazione ed esecutività degli atti pubblici e delle transazioni giudiziarie.

Ai sensi dei Regolamenti gemelli si intende per “atto pubblico” quel documento, riguardante il regime patrimoniale tra coniugi o gli effetti patrimoniali dell’unione registrata, che è stato redatto, stipulato o registrato come documento pubblico in uno Stato membro e la cui autenticità fa riferimento alla firma ed al suo contenuto ed è stato emanato da un’autorità pubblica o da un’altra autorità a tal fine autorizzata dallo Stato membro di origine91; tra questi documenti emerge quello notarile. L’obiettivo dichiarato dai “gemelli” è quello di favorire l’accettazione dell’atto pubblico al fine di garantirne la libera circolazione e realizzare la coerenza dei Regolamenti con altri strumenti legislativi dell’Unione. Il legislatore europeo ha fatto riferimento solo agli atti pubblici e non anche ad altri tipi di atti in virtù delle peculiarità di questi documenti. Gli atti pubblici soddisfano alcune speciali condizioni che conferiscono loro una forte presunzione di legalità e validità: un atto pubblico trae origine da un’autorità o persona alla quale lo Stato ha concesso espressamente l’autorizzazione per crearlo, delegandogli il servizio pubblico della redazione dei documenti. Questa autorità o persona, altamente qualificata, agisce, in maniera indipendente ed imparziale, sotto la propria responsabilità, controllando la legalità del documento e prestando la necessaria assistenza, informazione e consulenza che permette agli interessati di dare un consenso debitamente informato. Carrión García de Parada dice al riguardo

essere presentata una traduzione o una traslitterazione dei documenti. La traduzione è effettuata da una persona abilitata a eseguire traduzioni in uno degli Stati membri». 90 In nessun caso il riconoscimento e l’esecuzione di decisioni implica il riconoscimento del matrimonio o dell’unione registrata che ha dato luogo alla decisione (Considerando 64 RPC e 63 EPUR). 91 Si veda, a questo proposito, l’art. 3.1, lettera c), RPC e l’art. 3.1, lettera d), EPUR. La definizione che danno i Regolamenti gemelli di documento pubblico si ispira a quella data da altri Regolamenti anteriori, come il Reg. 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo, il Reg. 4/2009 sulle obbligazioni alimentari e il Reg. 650/2012 sulle successioni internazionali, i quali, a loro volta, adottarono i parametri emersi dalla sentenza Unibank della CGUE del 19 giugno 1999.

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che l’autenticità dell’atto pubblico «si riferisce non solo agli aspetti esterni come la firma o la data ma anche al suo contenuto, ragione per la quale si conferiscono al documento effetti speciali, tra i quali emergono a livello europeo quello probatorio ed esecutivo»92. Questi atti rivestono un’importanza pratica straordinaria nella materia sinora esaminata considerando che rientrano nel concetto di documento pubblico gli accordi, le convenzioni matrimoniali e le convenzioni tra partner. Orbene, in virtù degli artt. 58.1, gli atti pubblici godranno di forza probatoria in qualunque Stato membro diverso da quello di origine e le persone che desiderino utilizzarli (in un altro Stato membro) potranno richiedere all’autorità che li abbia redatti (nello Stato di origine) che compili il modulo previsto, d’accordo con la procedura consultiva di cui all’art. 67, paragrafo 2 di entrambi i Regolamenti93, precisando il valore probatorio che l’atto pubblico ha nel proprio Stato. Tuttavia questa efficacia probatoria incontra dei limiti in quanto, dice la legge, l’accettazione degli atti pubblici94 non può contravvenire l’ordine pubblico dello Stato adito. In ogni caso è possibile presentare ricorso concernente l’autenticità dell’atto dinnanzi alle autorità giurisdizionali dello Stato membro di origine che verrà deciso sulla base del proprio Diritto interno. È altresì possibile impugnare il contenuto materiale dell’atto dinnanzi ai tribunali competenti in virtù dei Regolamenti. I documenti impugnati cesseranno di produrre effetti probatori in un altro Stato membro fino a quando la contestazione è pendente davanti all’autorità giurisdizionale competente (artt. 58.2 e 58.3). Per quanto riguarda la loro esecutività – che può avvenire quando siano previste obbligazioni di pagamento di una determinata quantità o dazione di beni – risulta innanzitutto necessario ottenere la dichiarazione di esecutività secondo quanto previsto dagli artt. 44 a 57 (artt. 59.1 RPC ed EPUR). Si mantiene pertanto l’exequatur, esattamente come avviene nei casi delle decisioni giudiziarie. L’autorità giurisdizionale dinnanzi alla quale si propone ricorso contro la decisione relativa alla domanda volta ad ottenere una dichiarazione di esecutività (artt. 49 RPC ed EPUR) o l’impugnazione della decisione emessa sul ricorso (artt. 50 RPC ed EPUR) avrà la facoltà di negare o revocare (in seconda ed ultima istanza) la dichiarazione di forza esecutiva unicamente quando l’atto pubblico sia manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro di esecuzione (artt. 59.3 RPC ed EPUR).

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P. Carrión García De Parada, Nuevos reglamentos europeos sobre regímenes matrimoniales y sobre efectos patrimoniales de las uniones registradas, en los que inciden elementos transfronterizos, en El notario del siglo XXI: Revista del Colegio Notarial de Madrid, n° 69, 2016, 20. 93 L’art. 67.2 RPC ed EPUR prevede che nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applica l’articolo 4 del Reg. (UE) n° 182/2011, che stabilisce quanto segue: «1. Nei casi in cui si applica la procedura consultiva, il comitato esprime il proprio parere, procedendo eventualmente a votazione. Se il comitato procede a votazione, il parere è espresso a maggioranza semplice dei suoi membri. 2. La Commissione decide sul progetto di atto di esecuzione da adottare, tenendo nella massima considerazione le conclusioni raggiunte nei dibattiti svolti in seno al comitato e il parere espresso». 94 È questo il titolo dell’art. 58 dei Regolamenti in esame. Il legislatore europeo ha optato per questa sostituzione per distinguere tra documento pubblico e sentenza.

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I regimi patrimoniali delle coppie internazionali sposate o registrate in Europa:i regolamenti gemelli

Infine, la regolamentazione delle transazioni giudiziarie (che è retta dagli artt. 60 RPC ed EPUR) è identica a quella dell’esecutività degli atti pubblici. In altre parole, è necessario ottenere la dichiarazione di esecutività prima di sollecitarne l’esecuzione materiale e si mantiene l’ordine pubblico come unico motivo sul quale si possono fondare gli eventuali ricorsi. Al fine di dotare tutti questi documenti (decisioni, atti pubblici e transazioni giudiziarie) di maggiore flessibilità è stato soppresso il requisito della legalizzazione e di qualunque altra formalità analoga affinché questi possano dispiegare effetti in un altro Stato membro (artt. 61 RPC ed EPUR). Ancora una volta si segue la linea già tracciata da altri Regolamenti come quello sugli alimenti del 2009 e quello sulle successioni del 2012.

V. Conclusioni. L’aumento del numero degli Stati membri ha provocato inevitabilmente una maggiore diversità di obiettivi, priorità e sensibilità dentro l’UE e questo talvolta ha frenato il processo di integrazione. Mentre da un lato gli Stati che partecipano alla cooperazione rafforzata dimostrano una maggiore armonia, al contrario, quelli che si mantengono al margine dimostrano un crescente distacco dal “plotone avanguardista”. Ad ogni modo la cooperazione rafforzata si presenta come uno strumento di pressione molto utile in fase di negoziazione nel caso in cui alcuni Stati membri non vogliano avanzare allo stesso ritmo degli altri. Ciononostante, secondo l’opinione di molti (che condividiamo), il rischio è che si possa ricorrere alla cooperazione in maniera distorta al fine di evitare votazioni difficili in seno al Consiglio. Va inoltre considerato che le cooperazioni rafforzate rompono l’unità di obiettivi dell’Unione e determinano una situazione giuridica atipica in capo ad ogni Stato membro che, a sua volta, comporta Statuti giuridici spesso molto differenti tra loro. L’acquis comunitario, in definitiva, si fa incerto. Eppure è altrettanto certo che questo procedimento garantisce la flessibilità necessaria a mantenere in piedi la struttura europea che infondo, al giorno d’oggi, risulta estremamente eterogenea. I Regolamenti esaminati danno una risposta completa alle tre grandi questioni che ruotano intorno al Diritto Internazionale Privato e garantiscono un avanzamento qualitativo verso la tanto agognata armonizzazione del Diritto di famiglia che è un tema di estrema importanza per l’Unione. In ultima analisi riteniamo che: 1) L’ambito di applicazione dei due Regolamenti genera i primi problemi. Il legislatore ha optato per l’utilizzo di definizioni eccessivamente ampie per ricomprendere le ipotesi di “regime patrimoniale tra coniugi” ed “effetti patrimoniali delle unioni registrate”, e lo stesso discorso vale anche per le materie escluse dall’ambito di applicazione dei Regolamenti. Questa vaghezza presuppone la necessità di affrontare la questione inter-

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namente ex ante, con tutte le conseguenze e le complicanze che questo spesso comporta95. 2) Con riferimento alle dispute inerenti agli aspetti patrimoniali della coppia, la determinazione della competenza giurisdizionale si realizza per mezzo di una serie di fori attraverso dei quali, innanzitutto, si cerca di ricondurre le diverse questioni che possono sorgere nel contenzioso familiare alla competenza di un unico organo giurisdizionale. In quest’ottica, valutiamo positivamente tanto il criterio di connessione introdotto dagli articoli 4 RPC e 5 EPUR96 quanto la possibilità riconosciuta alle parti di esercitare, seppure con dei limiti, la propria autonomia della volontà. Piuttosto ci lascia un po’ perplessi l’eccezionale procedimento che, ai sensi degli artt. 9 (RPC ed EPUR), permette che un’autorità giurisdizionale declini la propria competenza97. Ad ogni modo, dall’analisi svolta arguiamo il chiaro desiderio del legislatore di realizzare un sistema internazionale che miri alla completa soppressione del rinvio alle norme nazionali sulla competenza, attraverso la previsione di un foro sussidiario ed uno di necessità. 3) Alla stessa stregua della competenza giurisdizionale, una delle novità più rilevanti introdotte dai Regolamenti riguarda la funzione dell’autonomia della volontà (dei membri della coppia) nella scelta della legge applicabile che è limitata esclusivamente a garantire il principio di prossimità nel diritto applicabile, mediante un legame effettivo tra questa legge e la coppia in questione. Oltretutto, il carattere universale e unitario della legge applicabile ne favorisce l’effettiva applicazione. In questo modo l’adesione degli Stati ai Regolamenti si rivela del tutto irrilevante, giacché la legge applicabile potrà essere tanto quella di uno Stato che non partecipa alla cooperazione rafforzata tanto quella di uno Stato che non fa parte dell’Ue98.

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Per esempio, Mota si chiede se l’atto di disposizione di un partner portato a termine senza il consenso dell’altro debba rientrare nel concetto di “capacità”, così come intesa nei Regolamenti. H. Mota, El ámbito de aplicación material y la ley aplicable en la Propuesta de Reglamento Roma IV: algunos problemas y omisiones, en Cuadernos de Derecho Transnacional, nº. 2, n. 26, 2013, 431. 96 Si tenga presente che la concentrazione delle varie questioni può raggiungere la sua massima espressione nella sfera familiare quando si utilizza la proroga della competenza dell’art. 12.1 Reg. Bruxelles II bis. In questo caso, le questioni concernenti la responsabilità genitoriale vincolate a una domanda di separazione, nullità o divorzio saranno giudicate dalla stessa autorità che conosce di quest’ultima (determinata secondo l’art. 3 Reg. Bruxelles II bis). A ciò si aggiungerebbe tutta la materia relativa al Diritto agli Alimenti (art. 3 del c.d. Reg. sugli alimenti del 2009) e alla ripartizione e liquidazione dei beni del matrimonio in base a quanto previsto dall’art. 5 RPC. Si veda, R. Arenas García, Principios inspiradores del sistema actual de competencia judicial internacional en materia de persona y familia, en M. Guzmán Zapater y C. Esplugues Mota (dirs.), M. Herranz Ballesteros y M. Vargas Gómez-Urrutia (coords.), Persona y familia, cit., 21-50). Non esiste invece nessuna normativa europea che tratti della dissoluzione delle unioni di fatto registrate, e pertanto bisognerà rivolgersi, in linea di principio, alla normativa interna o autonoma. Questo discorso non vale però per le obbligazioni alimentari; l’art. 4.c. del Reg. 4/2009 le regola solamente qualora derivino da rapporti di famiglia, parentela, matrimonio o affinità. Si veda M. Vargas Gómez-Urrutia, El puzzle se complica. Efectos patrimoniales de las uniones registradas y Reglamento (UE) 2016/1104. Problemas de calificación y coordinación entre los instrumentos europeos conexos, en M. Guzmán Zapater y C. Esplugues Mota (dirs.), M. Herranz Ballesteros y M. Vargas Gómez-Urrutia (coords.), Persona y familia, cit., 323 e ss. 97 Per i problemi relativi all’applicazione di quest’articolo, si veda P. Quinzá Redondo, La unificación – fragmentada – del derecho internacional privado, cit., 199 e ss. 98 Quest’ultima possibilità può portare a situazioni di incertezza specialmente rilevanti a proposito dell’organizzazione familiare, ad esempio quando bisogna applicare leggi emanate in Paesi con cultura e tradizioni molto diverse rispetto alle nostre. In questi casi l’attuazione della clausola di ordine pubblico sarà il miglior strumento per risolvere eventuali questioni.

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I criteri di collegamento a cui normalmente si ricorre sono la residenza abituale e la cittadinanza. Rispetto al primo, ci rincresce che il legislatore europeo abbia preferito restare vago sulla nozione di “residenza abituale” invece di (finalmente) concettualizzarla99. Per quanto riguarda il secondo criterio, è escluso dall’ambito di applicazione dei Regolamenti quanto concerne la doppia cittadinanza100. Questi punti lacunosi possono senz’altro portare a situazioni di insicurezza ed incertezza giuridica. Mettendo in relazione competenza e legge applicabile, riscontriamo una certa proclività del legislatore a ridurre a unità il forum e lo ius. Questa tendenza va accolta con estremo favore specialmente se consideriamo che, nell’ambito del Diritto di Famiglia, le questioni procedurali e quelle sostanziali sono strettamente correlate tra loro. Ciò si osserva, ad esempio, nei limiti imposti all’autonomia della volontà delle parti nell’elezione del foro competente, che è circoscritta all’autorità giurisdizionale dello Stato membro la cui legge risulti applicabile ai sensi dei Regolamenti. 4) Il legislatore ha optato per una linea, per così dire, classica nel trattare i temi del riconoscimento e dell’esecuzione, riconoscendo grande importanza alla fiducia derivante dall’integrazione degli Stati che formano parte della cooperazione rafforzata. Il mutuo riconoscimento si erge, ancora una volta, come la colonna portante della costruzione europea in materia di Diritto Privato101. Eppure, nell’ottica di una corretta applicazione dei Regolamenti, la mancata soppressione dell’exequatur rappresenta, per certi versi, un passo indietro rispetto a quanto elucubrato dal legislatore comunitario negli ultimi anni e rispetto ai più recenti Regolamenti che, sebbene con diverse sfumature, hanno soppresso tale procedura giudiziaria102. Ciononostante, al netto delle dovute considerazioni, i Regolamenti analizzati costituiscono il culmine della comunitarizzazione del Diritto Internazionale Privato della Famiglia, delle Successioni e delle Obbligazioni Alimentari, e praticamente non lasciano più alcuna lacuna normativa in tali settori103. Per cui è auspicabile che tutte le imperfezioni e i grovigli che presentano (come nel caso della mancanza di un legame tra l’art. 26 e l’art. 6 per determinare la residenza abituale e la nazionalità nel Reg. RPC)104, così come la mancanza

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González Beilfuss considera estrapolabile la nozione che diede la CGUE. Questa, infatti, fornì un concetto di residenza abituale del minore nel quadro di attuazione del Reg. Bruxelles II bis, combinando elementi oggettivi e soggettivi. Si veda C. González Beilfuss, Article 5, en S. Corneloup (dir.), Le droit européen du divorce – European Divorce Law, LexisNexis, 2013, 551. 100 Questa omissione è del tutto ingiustificata se si considera che in un Regolamento precedente, il Reg. sulle successioni del 2012, la questione è espressamente regolata. 101 A. Rodríguez Benot, Los reglamentos de la Unión Europea en materia de sucesiones por causa de muerte y de régimen económico matrimonial: justificación y caracteres comunes, en E.M. Vázquez Gómez, M.D. Adam Muñoz, N. Cornago Prieto, (coords.), El arreglo pacífico de controversias internacionales, Tirant lo Blanch, 2012, 591. 102 V. E.M. Vázquez Gómez, Una nueva fórmula para la supresión del exequátur en la reforma del Reglamento Bruselas I, en Cuadernos de Derecho Transnacional, n° 1, 2014, 330-348. 103 J.C. Fernández Rozas, Un hito más en la comunitarización del Derecho internacional privado: regímenes patrimoniales, cit., 15-16. 104 M. Vinaixa Miquel, La autonomía de la voluntad en los recientes Reglamentos UE, cit., 288 e ss.; J.P. Quinzá Redondo y J. Gray, La (des) coordinación entre la propuesta de reglamento de régimen económico matrimonial y los Reglamentos en materia de divorcio y sucesiones, AEDIPr., t. XII, 2013, 513-542.

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di coordinazione con altri Regolamenti strettamente relazionati con l’aspetto patrimoniale delle coppie (concretamente il Reg. Bruxelles II bis, il Reg. sulle successioni e il Reg. Roma III), siano colmate attraverso di una buona praxis da parte di tutti gli operatori giuridici (fondamentalmente, la CGUE in veste di massimo interprete autorizzato della normativa europea). Infine ci auguriamo che, nel prossimo futuro, tutti gli Stati membri possano aderire alla cooperazione rafforzata. Per il momento non ci resta che questa speranza in mancanza del grande desideratum di vedere finalmente realizzata per le “famiglie internazionali” la tanto agognata certezza e sicurezza giuridica, che potrà essere raggiunta solo attraverso la creazione di un unico Diritto Internazionale Privato della Famiglia e delle Successioni.

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La rinuncia al diritto di reintegrazione della quota di riserva da parte del legittimario minorenne* Sommario : 1. Legittima e posizione dei legittimari, esame generale. Possibile lesione della quota di riserva mediante donazione. – 2. Tutela del legittimario leso: azione di riduzione e azione di restituzione. – 3. Alienazione del bene ricevuto in donazione e azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente. – 4. Tutela del terzo acquirente dal donatario. – 5. Problema della rinunziabilità da parte del minore: requisito della evidente utilità, autorizzazione del giudice tutelare. – 6. Conclusioni.

The present essays is intended to discuss the renunciation to exercise the reduction action or the restitution claim (as waivers to reinstate the reserved share) in the particular case in which the owner of this reserved share is a minor and where the aim of the parties is the one to ease the circulation of immovable goods that have been donated.

1. Legittima e posizione dei legittimari, esame generale. Possibile lesione della quota di riserva mediante donazione. In tema di successioni mortis causa, la cd. legittima è la quota di eredità o altri diritti riservati dalla legge a determinati soggetti, qualificati come legittimari, indipendentemente

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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dalla volontà del de cuius, in virtù di una inderogabile esigenza di solidarietà tra i membri più stretti della famiglia1. Il sistema apprestato dal Codice civile, in tal senso, ha voluto tutelare i rapporti tra soggetti legati da un vincolo familiare particolarmente intenso e, specificamente, quel principio di solidarietà familiare, riconosciuto dalla Costituzione, assegnando ai legittimari una disciplina compiuta ed analitica, a salvaguardia dei diritti che vantano sull’eredità. Il particolare regime normativo volto a tutelare la categoria dei legittimari è la cd. successione necessaria. I legittimari si identificano con il coniuge, i figli e gli ascendenti (art. 536 c.c.)2; se vi sono dei discendenti, gli ascendenti sono automaticamente esclusi. Nel nostro ordinamento, la quota di legittima o di riserva è protetta da un principio di intangibilità, da intendersi in senso non qualitativo, ma quantitativo: in altri termini, il disponente è tenuto a rispettare il valore astratto della quota riservata al legittimario, ma resta libero di determinare i beni specifici da ascrivere ad essa3. Se la legittima corrisponde a quella porzione di eredità della quale il de cuius quando era ancora in vita non poteva disporre a beneficio altrui, né a titolo di liberalità né mortis causa, poiché riservata ai soggetti sopra indicati, qualora egli, mediante donazione o testamento, abbia superato il limite della quota disponibile, i legittimari possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti lesi4. Ebbene, si ipotizzi il decesso di un genitore: due fratelli risultano quali legittimari, ma qualora uno dei due sia premorto al genitore, la quota di riserva di sua spettanza verrebbe automaticamente trasmessa ai suoi discendenti, per rappresentazione, in ossequio alla previsione dell’art. 536, co. 3, c.c. («A favore dei discendenti dei figli, i quali vengono alla successione in luogo di questi, la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli»), che richiama gli artt. 467 e 468 c.c. Il primo recita: «La rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l’eredità o il legato», mentre il secondo indica i soggetti coinvolti: «La rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli anche adottivi, del defunto...». Tra i casi di impossibilità contemplati dall’art. 467 c.c. vi è, in primis, la premorienza rispetto al de cuius. Qualora in vita il genitore dei due fratelli abbia elargito al figlio superstite un immobile, si pone la questione di una eventuale lesione prodotta sulla quota legittima originaria-

1

C.M. Bianca, La famiglia e le successioni, II, Milano, 2005, 669. In virtù delle novità introdotte dalla L. n. 76/2016, la quale ha riconosciuto alla parte dell’unione civile i medesimi diritti successori del coniuge, ad oggi quest’ultima si unisce al novero dei legittimari. 3 Cass., 09.02.2005, n. 2617, in CED; Cass., sez. II, 12.09.2002, n.13310, in Nuova Giur. civ. comm., 2003, 4, 644; Cass. 28.06.1968, n. 2202, in Il Foro Pad., 1969, I, 1000. G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 4ª ed., Torino, 2014, 180-182. Valorizza, invece, la lesione qualitativa G. Bartolini, Effetti dell’azione di riduzione nei confronti dei terzi acquirenti degli eredi o legatari, in Studi su argomenti di interesse notarile, Roma, 1970, 7ª ed., 101. 4 M. Ramponi, Gli accordi di reintegrazione della legittima, http://www.eclegal.it/gli-accordi-reintegrazione-della-legittima/. 2

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mente spettante a quello premorto e, conseguentemente, ai suoi figli (nipoti del de cuius), nelle rispettive proporzioni. Ciò perché, mediante quell’atto di liberalità a favore del primo figlio, il genitore potrebbe aver corso il rischio di sottrarre al proprio patrimonio (e futura massa ereditaria) una quantità di beni eccedente quella consentita, la quale, invece, avrebbe dovuto essere considerata intangibile, in quanto integrante la quota di riserva spettante al fratello premorto.

2. Tutela del legittimario leso: azione di riduzione e azione di restituzione.

Il primo strumento predisposto dall’ordinamento per la tutela dei diritti dei legittimari è la cd. azione di riduzione, contemplata dagli artt. 553 ss. c.c. Tale tutela è accordata dalla legge affinché i riservatari non siano pregiudicati da atti dispositivi posti in essere dal defunto quando era ancora in vita: tali atti sono perfettamente validi e produttivi di effetti, per questa ragione i legittimari interessati dovranno attivarsi per far valere il proprio diritto, onde evitare che le attribuzioni operate dal defunto si consolidino definitivamente. L’azione di riduzione è stata definita dalla migliore dottrina come il mezzo concesso al riservatario per far dichiarare l’inefficacia, totale o parziale, degli atti dispositivi che eccedano la quota di cui il dante causa poteva disporre5. In ordine alla sua natura giuridica, si sono sviluppati svariati orientamenti: dai filoni che la inserivano nell’alveo delle impugnative negoziali6 o la definivano una particolare forma di risoluzione o rescissione7, sino al tentativo di accostarla alla revocatoria ordinaria8. A scapito delle dubbie classificazioni di cui sopra, l’azione di riduzione si caratterizza per la sua specialità9. In tal senso, è da escludersi che sia un’azione di nullità, poiché le disposizioni lesive della legittima restano valide ed efficaci, così come non è un’azione di rescissione o di risoluzione, poiché non tocca le disposizioni lesive, ma si limita a renderle inoperanti nei confronti dei legittimari10. È, piuttosto, da definirsi quale azione di accertamento costitutivo, atteso che va ad accertare, appunto, l’esistenza della lesione11.

5

G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009, 529. L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte Speciale. Successione necessaria, 4ª ed., in Tratt. Cicu, Messineo, Milano, 2000. 7 L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, 280. 8 F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, 263. 9 F. Moncalvo, Sulla natura giuridica dell’azione di riduzione, in Familia, 2004, 177 ss. 10 L. Mengoni, op. cit., 230. 11 G. Capozzi, op. cit., 531; L. Mengoni, op. loc. cit. 6

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È da considerarsi, altresì, azione d’inefficacia relativa: la sentenza di riduzione fa sì che il trasferimento lesivo di beni, voluto dal de cuius, si consideri non avvenuto nei confronti del legittimario, nei limiti di quanto necessario a reintegrare la riserva12. È questa la prospettiva scelta, peraltro, dalla Corte di Cassazione, la quale, in occasione di vari arresti sul punto, ha confermato che «Gli atti di liberalità soggetti a riduzione non sono nulli o annullabili, ma validi, anche se suscettibili di essere resi inoperanti, in tutto o in parte, e cioè nei limiti in cui ciò sia reso necessario per l’integrazione della quota di riserva, attraverso l’esercizio del diritto potestativo dell’erede legittimario di chiederne la restituzione»13. Circa l’ulteriore profilo concernente la natura personale o reale dell’azione de qua, malgrado il tentativo, posto in essere da minoritaria dottrina, di sostenerne la natura reale14, è consolidato che trattasi di azione personale, poiché diretta solo contro l’erede, il legatario o il donatario, destinatari delle disposizioni lesive15. Gli orientamenti dottrinali facenti luce sulla natura dell’azione di riduzione, nei termini testé spiegati, risultano in linea con le pronunce dei Giudici di Piazza Cavour, i quali hanno chiaramente affermato che l’azione di riduzione delle disposizioni lesive della legittima ha natura personale16. In ogni caso, tale azione è produttiva di effetti reali che retroagiscono al momento dell’apertura della successione, sia nei confronti del beneficiario della disposizione lesiva che dei suoi aventi causa17, attestato, anche ciò, dalla Suprema Corte la quale, a Sezioni semplici ed Unite, ha affermato che, nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, si deve avere riguardo al momento di apertura della successione per calcolare il valore dell’asse ereditario, stabilire l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonché determinare il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso18. L’esperimento, con esito vittorioso, dell’azione di riduzione determina il riconoscimento di una quota astratta del patrimonio ereditario, in capo al legittimario, e funge da presupposto per l’instaurazione di una successiva fase, in cui egli può proporre, contro colui che ha beneficiato della disposizione lesiva, la cd. azione di restituzione, per ottenere la dazione di uno o più beni specifici (artt. 561 e ss. c.c.).

12

G. Capozzi, op.loc. cit. Cass., Sez. II, 27.10.2008, n. 25834 in Riv. not., 2009, 2, 1625, con nota C. Ungari Trasatti, La natura delle disposizioni lesive della legittima; Cass., Sez. II, 19.06.1981, n. 4024, in Giust. civ. Mass., 1981, 1424. 14 L. Ferri, Dei legittimari, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna, 1982, 202. 15 G. Capozzi, op. cit., 532. 16 Cass., Sez. II, 25.01.2017, n. 1884 in www.osservatoriofamiglia.it. 17 G. Capozzi, op. loc. cit. 18 Cass., Sez. II, 25.01.2017, n. 1884 in www.osservatoriofamiglia.it; Cass., S.U., 12.06.2006, n. 13524, in Guida al dir., 2006, 28, 65; Cass., S.U., 09.06.2006, n. 13429, in Foro it., 2006, I, 2727, che specifica: «In tema di successione necessaria, l’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari». 13

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Meccanismo, quest’ultimo, convalidato dagli Ermellini quando hanno statuito che «fra l’azione di restituzione di un immobile che l’attore assume essergli pervenuto per donazione e quella di reintegrazione della legittima attinente allo stesso immobile non esiste continenza [...] in quanto l’azione di riduzione non conduce alla dichiarazione di nullità del negozio giuridico, ma solo alla ricostruzione della quota di riserva nel suo valore economico con le modalità indicate dall’art. 560 c.c.»19. Ebbene, nel giudizio promosso per la riduzione della donazione di immobile, l’art. 560 c.c. vuole che si separi dall’immobile medesimo la parte necessaria ad integrare la quota riservata, se ciò può avvenire comodamente. Viene così sancito il diritto del legittimario ad ottenere i beni in natura (per pervenire alla reintegrazione della quota di legittima), affermato dalla Cassazione nel 2015, in base al principio per cui la legittima è una quota di eredità, cosicché la riduzione delle donazioni poste in essere dal de cuius attribuisce al legittimario la qualità di erede e il diritto di ricevere la sua quota in natura, senza essere obbligato a riceverla in denaro20. Ma sono fatti salvi i casi eccezionalmente previsti dall’art. 560, 2° e 3° co., c.c., per cui la restituzione dell’intero immobile può essere imposta al convenuto alla duplice condizione che non sia possibile separare, senza pregiudizio, una porzione di detto immobile, e che il medesimo convenuto abbia su di esso un’eccedenza superiore al quarto della disponibile. Inoltre, se il donatario è anche legittimario, può ritenere tutto l’immobile, purché il suo valore non superi l’importo della quota che gli spetta21. Insomma, il legittimario che veda lesa la propria quota di legittima dispone delle azioni di riduzione e restituzione quali strumenti di tutela dei propri diritti.

3. Alienazione del bene ricevuto in donazione e azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente.

Potrebbe verificarsi che il soggetto beneficiario di un atto lesivo della legittima altrui abbia alienato il bene ricevuto: a chi dovrà rivolgersi, in tale evenienza, il legittimario per la reintegrazione della propria quota intangibile? Autorevole dottrina ha ritenuto che chi ha subito una pronuncia di riduzione ed ha alienato a terzi i beni oggetto della disposizione ridotta, non può opporre ai terzi acquirenti la sentenza di riduzione: è il legittimario a dover proporre nei loro confronti un’ulteriore domanda, per ottenere la restituzione dei beni22.

19

Cass., Sez. II, 10.02.1983, n. 1069 in C. Ruperto, La giurisprudenza sul codice civile. Coordinata con la dottrina. Libro II: Delle successioni. Artt. 456-586, 2011, 666. 20 Cass., Sez. II, 04.12.2015, n. 24755 in Dir. e Giustizia, 2015. 21 La produzione giurisprudenziale (Cass., sez. II, 20.01.1986, n. 360 in MGI, 1986) coincide col dato normativo integrato dall’art. 560 c.c. 22 C. M. Bianca, Diritto civile, II, 3ª ed., Milano, 2001, 621 ss.; in argomento cfr. anche Drago, Effetti dell’esperimento dell’azione di

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Risulta in tal senso calzante la previsione dell’art. 563, co. 1, c.c., che recita: «Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa l’escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell’ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili». Emerge che l’azione di restituzione segue il bene, produce cioè effetti nei confronti di chiunque lo abbia acquistato, più precisamente nei confronti dell’attuale proprietario (da ciò si evince la sua natura reale)23. Ne consegue che legittimati passivi dell’azione di restituzione sono coloro che, nell’eventuale sequenza dei trasferimenti dell’immobile, sono proprietari al momento dell’esercizio dell’azione medesima24. A tal proposito, la stessa Cassazione ha rammentato che «legittimato passivo dell’azione di riduzione, a differenza dell’azione di restituzione, è soltanto il beneficiario della disposizione lesiva della legittima; solo la diversa azione di restituzione, conseguente all’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione, va rivolta contro gli acquirenti dei beni con i quali la legittima deve essere reintegrata»25. Dunque, il legittimario che ha visto depauperata la propria quota intangibile dispone di un ulteriore strumento giuridico che gli consente di recuperare il bene o i beni oggetto della stessa quota, anche se sono stati venduti: l’azione di restituzione è esperibile altresì contro l’avente causa dal beneficiario. Alla luce delle tesi sin qui esposte e tornando all’ipotesi di premorienza di cui al paragrafo 1, è pacifico che, perfezionatasi il trasferimento della proprietà immobiliare del fratello superstite, i figli del riservatario premorto (divenuti riservatari a loro volta) ben potrebbero determinarsi ad agire nei confronti del terzo acquirente, al fine di vedere reintegrata la propria quota (previo accertamento di una effettiva lesione di legittima). Preme menzionare l’ulteriore condizione di procedibilità da soddisfare per poter chiedere la restituzione ai terzi acquirenti: sempre ai sensi dell’art. 563 c.c., il legittimario deve aver preventivamente ed infruttuosamente escusso il patrimonio del donatario. La preventiva escussione del donatario postula l’effettiva esistenza di beni nel patrimonio di quest’ultimo26, pertanto, si ritiene di escluderla quando tale consistenza patrimoniale manchi totalmente27.

riduzione della donazione per lesione di legittima nei confronti del terzo acquirente, in VN, 1983, 732 ss. G. Capozzi, op. cit., 2ª ed., I, Milano, 2002, 317 ss. 24 Cass. 19.10.1960, n. 2824, in Carnevale (a cura di), La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Libro II delle Successioni, I (artt. 456-586), 629. 25 Cass., Sez. II, 17.5.1980, n. 3243, in Foro it., 1980, 101. 26 Cass., sez II, 01.03.2011, n. 5042, in CED, ha precisato che «l’azione di riduzione proposta dal legittimario nei confronti del terzo acquirente dal donatario richiede la preventiva escussione dei beni del donatario medesimo, ma solo a condizione dell’effettiva esistenza di una situazione di possidenza in quest’ultimo, trattandosi non di una formalità procedurale, ma di un adempimento che, per la finalità ad esso connessa, in tanto è richiesto in quanto vi sia un patrimonio sul quale si possa esplicare». 27 Cass. 18 marzo 1961, n. 613, in Foro It. Mass., 1961, 140; Cass. 19 ottobre 1960, n. 2824, in Carnevale (a cura di), op. loc. cit. 23

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Certo è che, pur avendo la facoltà di scegliere se restituire le cose in natura ovvero pagare l’equivalente in danaro (art. 563, 3° co, c.c.)28, il terzo rimarrebbe comunque gravato dall’obbligo di reintegrazione della legittima (ossia di restituzione).

4. Tutela del terzo acquirente dal donatario. Se esiste la possibilità di esercitare l’azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente, si pone il problema, per quest’ultimo, di scongiurare che in futuro i legittimari possano agire nei suoi confronti, nei modi sopra descritti. La prima strada per addivenire alla tutela del terzo, consta della rinuncia all’azione di riduzione da parte dei legittimati attivi: costituendo l’azione de qua presupposto per l’esercizio della successiva e separata azione di restituzione, automaticamente anche quest’ultima risulterebbe preclusa. A tal proposito, va rammentato il dettato dell’art. 557 c.c. che, al 2° co., sancisce il divieto di rinunciare all’azione di riduzione finché non sopraggiunga la morte del donante. Esso si fonda sulla ratio per cui ciò infrangerebbe il divieto di patti successori ex art. 458 c.c., previsto a pena di nullità nel nostro ordinamento. Ratio sulla quale non mostra esitazione alcuna neppure la Suprema Corte, la quale, anzi, rammenta che «La dichiarazione del legittimario, fatta in vita del donante, di essere stato soddisfatto della sua quota di riserva [...] che la si configuri come rinuncia preventiva all’esperimento delle azioni di riduzione della donazione e delle disposizioni lesive della porzione di legittima, impinge nel divieto posto rispettivamente dagli artt. 458 e 557, in quanto la determinazione del valore dei beni ereditari e di quelli di cui sia stato disposto a titolo di donazione, ai fini dell’accertamento della quota spettante al legittimario e dell’entità dell’eventuale lesione, va riferita in ogni caso al tempo dell’apertura della successione»29. Ad arricchire il novero delle strategie risolutive di fattispecie esigenti la tutela del terzo avente causa dal donatario, sembra affiorare una tesi alternativa. Il suggerimento giunge da un recente orientamento della giurisprudenza di merito, sostenuto da autorevole dottrina30 e volto ad agevolare la circolazione degli immobili di pro-

28

Il valore va determinato al momento della sentenza di riduzione (Cass. 24 maggio 1979, n. 2997, in CED). la ricostruzione di una parte della dottrina (L. Mengoni, op. cit, 308), la facoltà di pagare l’equivalente in denaro integra un diritto di riscatto; secondo altra tesi (F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, 484), si tratta invece di una facoltà alternativa all’obbligo restitutorio. In quest’ultimo senso è orientata anche la Corte di Cassazione, la quale, in Cass., 12.09.1970, n. 1392, in Foro it., 1970, I, 2403, ha affermato che l’obbligazione di restituzione si configura come facoltativa o con facultas solutionis alternativa ex lege («una res in obligatione, duae autem in facultate solutionis») e non come un’obbligazione alternativa (con la conseguenza, propria dell’obbligazione facoltativa, dell’estinzione della stessa, qualora divenga impossibile senza colpa del debitore l’unica prestazione costituente l’oggetto dell’obbligazione stessa). 29 Cass., 17.8.1963, n. 2327. 30 G. Iaccarino, Rinuncia all’azione di restituzione, prima della morte del donante: soluzioni operative, in Notariato, 2012, IV, 395.

Secondo

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venienza donativa. Esso propone la rinuncia all’azione di restituzione contro terzi acquirenti dal donatario, senza preliminare rinuncia all’azione di riduzione verso il donatario. In effetti, come spiegato, nel nostro ordinamento, la particolare disciplina della successione necessaria può limitare la possibilità di rivendere il bene ricevuto per donazione, proprio in previsione della facoltà, in capo ai legittimari del donante, di esercitare l’azione di riduzione nei confronti del donatario, qualora non sia stata loro conferita la quota minima garantita dalla legge. Inoltre, il legittimario leso può agire anche nei confronti del terzo acquirente dal donatario per ottenere la restituzione del bene, se la successione si apre entro vent’anni dalla trascrizione della donazione31. È evidente, quindi, che il timore dei potenziali acquirenti, di vederseli sottratti in seguito all’esercizio dell’azione di restituzione da parte dei legittimari, disincentivi l’acquisto dei beni di provenienza donativa. Inoltre, a causa della perdita di efficacia, in seguito al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, di pesi e ipoteche di cui il donatario può aver gravato l’immobile32, nessun istituto bancario concederebbe mutui per il suo acquisto. Facendo fronte alla descritta barriera normativa, il Tribunale di Pescara, con decreto del 25.05.2017, n. 250, sulla scia del tribunale di Torino33, che aveva fatto da apripista sul punto, ha preliminarmente operato un esame comparativo tra l’azione di riduzione e quella di restituzione, evidenziandone le differenze nonché l’inapplicabilità alla seconda delle norme dedicate alla prima. In particolare, il giudice abruzzese rammentava la diversità di causa petendi, in ragione della quale l’azione di riduzione ha carattere personale (di accertamento costitutivo) ed è un’azione di impugnativa, mentre l’azione di restituzione ha carattere reale ed è un’azione di condanna, che presuppone il passaggio in giudicato della prima. Ancora, precisava che trattasi di due azioni autonome e recanti diverso petitum: il vittorioso esperimento della prima determina l’inefficacia delle donazioni o disposizioni testamentarie lesive, l’esperimento positivo della seconda comporta il recupero della res fuoriuscita dal patrimonio del donante e passata indebitamente a quello altrui. Ulteriore riflessione rinvenibile nel provvedimento di cui si tratta concerneva il distinguo tra i legittimati passivi, identificati nell’uno e nell’altro caso: nell’azione di riduzione si

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Condizione dell’apertura della successione entro i vent’anni dalla trascrizione (e quindi morte del donante entro i vent’anni) non contestata sino agli arresti giurisprudenziali che ci si appresta ad illustrare. 32 Ai sensi dell’art. 561 c.c., i pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso l’obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni, purché la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura della successione. Secondo la dottrina assolutamente prevalente (L. Mengoni, op. cit., 304), con il termine «pesi» il legislatore ha inteso comprendere non solo «i pesi in senso tecnico, quali le servitù e gli oneri reali» ma anche «i diritti, reali o personali, di godimento o di garanzia, anche se costituiti senza la volontà del legatario o del donatario (sequestro, pignoramento, ecc. …)». 33 Trib. Pescara, decreto 25.05.2017, n. 250; Trib. Torino, decreto 26.09.2014, n. 2298 in Giur. it., 2015; in Notariato, 2015; in www. federnotizie.it.

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agisce contro i beneficiari di disposizioni lesive, mentre nell’azione di restituzione contro gli attuali proprietari dei beni sottratti alla quota di riserva. Va detto che la dottrina dominante34 e la Corte di Cassazione35 da tempo sottolineano la profonda diversità delle due azioni. Sulla scorta delle differenze descritte, il relatore del decreto pescarese affermava che il divieto di rinunciare prima della morte del donante ex art. 557 c.c. si riferisce espressamente ed esclusivamente all’azione di riduzione36, perché, stante il suo carattere di norma eccezionale, non è suscettibile di applicazione analogica all’azione di restituzione, ma va interpretata in modo letterale e restrittivo37. Né la rinuncia all’azione di restituzione violerebbe i principi generali in tema di tutela dei legittimari38. In altri termini, l’azione di restituzione diverrebbe rinunciabile anche quando il futuro de cuius è ancora in vita, conseguentemente, ammettere una rinuncia alla restituzione in costanza di vita significava ammetterla prescindendo dalla rinuncia all’azione di riduzione, la quale, invece, postula il decesso del donante. L’analisi che precede troverebbe conferma nello stesso Codice civile che, in base al dettato dell’art. 563 (come novellato nel 2005), slega il diritto di agire in restituzione dall’evento morte del donante, subordinandolo unicamente al termine di prescrizione ventennale. Il fatto che il legittimario decada, dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, dal diritto di agire in restituzione, sta a significare che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi (tutela dei legittimari, da un lato, e libera commerciabilità dei beni donati, dall’altro), il legislatore del 2005 ha parzialmente sacrificato il primo in favore del secondo. Se, quindi, il legittimario può scegliere di lasciar decorrere il ventennio e perdere il diritto di agire in restituzione (mentre il donante è ancora in vita), non si percepisce un motivo logico per cui egli non possa anticipare gli effetti del decorso del ventennio, rinunziando espressamente alla azione di restituzione39: in entrambi i casi il legittimario non potrebbe più chiedere ed ottenere dal terzo la restituzione dell’immobile. Vi è chi definisce addirittura irragionevole la soluzione contraria40. Secondo questa linea, l’evento morte non può fungere da discrimen per designare o no la rinuncia alla restituzione come patto successorio. E, per proprietà transitiva, sganciare

34

Mengoni, Capozzi, Tamburrino. Cass., 22.03.2001, n. 2261, in Rivista Notarile, 2001, 1503. 36 E all’azione di restituzione contro lo stesso beneficiario, perché altrimenti il legittimario non potrebbe recuperare neanche il valore della quota. 37 F. Magliulo, L’acquisto da donatario tra rischi ed esigenze di tutela, in Notariato 2002, I,105 ss.; G. Iaccarino, op. cit., 404 ss. 38 R. Caprioli, Le modificazioni apportate agli artt. 561 e 563 cod. civ. Conseguenze sulla circolazione dei beni immobili donati, in Riv. not., 2005, 1034. 39 C. De Rosa, Sull’ammissibilità della rinuncia all’azione di restituzione, in Legal Euroconference, 10.10.2017 (http://www.eclegal.it/ sullammissibilita-della-rinuncia-allazione-restituzione/). 40 G. D’Amico, I limiti di indisponibilità della tutela del legittimario, Atti del Convegno Esiste ancora la donazione?, Torino, 26.10.2012, in www.consiglionotariletorino.it/system/files/D AMICO.pdf, 21 35

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l’azione di restituzione dall’evento morte equivale a sganciarla dal momento di apertura della successione (il legittimario che non agisca, trascorsi vent’anni dalla trascrizione della donazione, perde il diritto all’azione di restituzione anche se il donante è ancora in vita e, quindi, la successione non si è ancora aperta)41. D’altronde, il Tribunale di Torino, nel 2014, non aveva fatto altro che la seguente riflessione: «La disponibilità dell’azione di restituzione, e quindi la sua espressa rinunciabilità prima del decorso del ventennio dalla trascrizione della donazione, sembra avvalorata dal fatto che l’inerzia del legittimario fa perire l’azione una volta decorso tale periodo anche laddove il donante sia ancora in vita»42. L’analisi del Tribunale di Pescara proseguiva focalizzando il binomio costituito dal principio di nullità dei patti successori ex art. 458 c.c., da un lato, e la rinuncia all’azione di restituzione, dall’altro. Affermava che la rinuncia all’azione di restituzione non integra patto successorio rinunciativo e quindi non viola il relativo divieto, per vari ordini di ragioni. In primis, perché essa ha ad oggetto un bene o dei beni che sono fuoriusciti dal patrimonio del donante, futuro de cuius, e quindi non fanno parte del futuro compendio ereditario. Ancora, sembrerebbe non esservi un problema di prodigalità, dal momento che la rinuncia concerne solo il bene o i beni oggetto di una determinata donazione, pertanto non impedirebbe al legittimario di agire in riduzione verso il donatario relativamente ad altri beni (o di agire in riduzione verso il donatario per recuperare la res «sottratta», se di essa il donatario è ancora titolare). Infine la rinuncia de qua non gli precluderebbe di agire in riduzione verso il donatario per ottenere l’equivalente in denaro dei beni alienati. È plausibile, quindi, pensare che proprio la rinuncia del legittimario induca il terzo ad acquistare il bene, originando un legittimo affidamento di tale soggetto sulla sicurezza dell’attribuzione43. In virtù dell’orientamento illustrato, il presunto legittimario potrebbe, prima della morte del donante (ed entro il decorso del ventennio), rinunciare all’azione di restituzione del bene nei confronti dei terzi, con la conseguenza che, a seguito di tale rinuncia, in caso di lesione, potrebbe far valere le proprie pretese solo nei confronti del donatario. In altri termini, la rinuncia all’azione di restituzione paralizzerebbe solo la richiesta contro il terzo acquirente, ma non priverebbe il legittimario dei suoi diritti di legittima, poiché resterebbe vivo il rapporto con colui che, in origine, era stato il beneficiario della disposizione ridotta.

41

R. Caprioli, op. cit., 1034: «… il legislatore, dettando la disciplina specifica del profilo di tutela dei legittimari qui considerata, che prescinde dalla disciplina propria della successione mortis causa del donante, ha tracciato il solco nel quale può inserirsi l’accordo tra legittimario e terzo volto alla regolamentazione dei loro configgenti interessi, senza ledere i diritti che potranno spettare al coniuge o ai parenti in linea retta del donante sulla successione di quest’ultimo. Tale accordo, infatti, non riguarderà i diritti che potranno spettare al legittimario su una successione non ancora aperta, ma avrà ad oggetto il diritto eventualmente esercitabile dal legittimario nei confronti del terzo. E non infrangerà quindi i divieti posti dagli artt. 458 e 557, comma 2, cod. civ.». 42 Trib. Torino, decreto 26.09. 2014, n. 2298, in Notariato, 2015, 2, con commento di G. Iaccarino, La rinuncia anticipata alla azione di restituzione. 43 A. Gianola, A. Di Sapio, La rinuncia alla restituzione dell’immobile donato dall’avente causa del donatario, in Giur. It., 2015, 833.

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Seguendo il medesimo criterio, anche i legittimari per rappresentazione potrebbero rinunciare all’azione di restituzione nei confronti di colui che assumerà le vesti di avente causa dal donatario, per mezzo della compravendita immobiliare. Non va tralasciato che l’opzione interpretativa largamente illustrata e che contempla la possibilità, per i legittimari, di rinunciare all’azione di restituzione contro l’avente causa dal donatario, senza incorrere nel divieto di cui all’art. 557 c.c. (fermo restando il divieto di rinunciare all’azione di riduzione finché vive il donante), era stata adombrata dalla dottrina, già prima della riforma del 2005. Si era argomentato come la rinunzia all’azione di restituzione nei confronti dell’avente causa non contrastasse con il divieto di patti successori rinunciativi44. Si propendeva per la non violazione dell’art. 557 c.c., in virtù dell’assunto che la rinunzia all’azione di restituzione contro il terzo acquirente, in primo luogo, non implicava rinunzia all’azione di riduzione (il rinunziante non perdeva il diritto di far accertare la lesione della sua legittima e di ottenere la porzione di eredità dovutagli) e, in secondo luogo, non veniva alterato il quid debendum che il legittimario poteva comunque recuperare in denaro.

5. Problema della rinunziabilità da parte del minore:

requisito della evidente utilità, autorizzazione del Giudice tutelare.

Va rammentato che il legittimario potrebbe essere maggiorenne e, quindi, agire autonomamente, ovvero potrebbe non aver raggiunto la maggiore età (si prenda ancora una volta ad esempio il caso del minore che sia subentrato nella quota di legittima del genitore per rappresentazione). Pertanto, se si considera pacifica l’ammissibilità delle rinunce di cui si è ampiamente enunciato sopra, si pone il problema della rinunziabilità da parte del minorenne, il quale non è titolare della capacità di agire e potrebbe essere quindi rappresentato dal genitore superstite, unico esercente la responsabilità genitoriale. Non si può che invocare, in tale circostanza, la previsione dell’art. 320 c.c., rubricato «Rappresentanza e amministrazione». Al 1° comma, esso pone la regola generale per cui i genitori di un minore congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, rappresentano i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni.

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L. Scordo, La tutela giuridica dell’acquirente di un bene proveniente da donazione. Una proposta interpretativa, in Vita not., 2002, III, 133 ss.

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Snodo fondamentale nella disamina del caso è rappresentato dal dettato del 3° co. dell’articolo in esame: «I genitori non possono alienare, ipotecare o dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte, accettare o rinunziare ad eredità o legati, accettare donazioni, procedere allo scioglimento di comunioni, contrarre mutui o locazioni o compiere altri atti eccedenti la ordinaria amministrazione né promuovere, transigere o compromettere in arbitri giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare». Rievocando il distinguo tra atti di ordinaria ed atti di straordinaria amministrazione, la disposizione testé enunciata introduce la figura del giudice tutelare, autorità giudiziaria competente ad autorizzare la rinuncia de qua. La classificazione richiamata, tra ordinaria e straordinaria amministrazione, deve essere effettuata tenendo conto degli effetti prodotti dall’atto sul patrimonio del figlio: rientrano tra gli atti di ordinaria amministrazione quelli volti alla conservazione e all’incremento del patrimonio su cui incidono, senza implicare l’assunzione di un rischio finanziario, i quali, pertanto, possono compiersi liberamente e anche disgiuntamente da ciascun genitore. Classificazione, quella degli atti compiuti in tema di amministrazione dei beni dei figli ex art. 320 c.c., desumibile altresì dall’accurato contributo della giurisprudenza di legittimità, con la precisazione che «al di fuori dei casi specificamente individuati ed inquadrati nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione dal legislatore, vanno considerati di ordinaria amministrazione gli atti che presentino tutte e tre le seguenti caratteristiche: 1) siano oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio in questione; 2) abbiano un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in relazione al valore totale del patrimonio medesimo; 3) comportino un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio predetto»45. Eccedono, invece, l’ordinaria amministrazione quegli atti che alterano la consistenza del patrimonio del minore o che, comunque, recano un rischio di depauperamento e/o pregiudizio, in ragione del quale non è ammesso l’esercizio disgiunto46. In ordine a quest’ultima categoria, si rende necessaria anche una valutazione di merito da parte del giudice tutelare, al fine di riconoscere, in seno all’atto da compiersi nell’interesse del figlio, la sussistenza della necessità o evidente utilità del minore stesso. La necessità o evidente utilità del figlio, richiesta dall’art. 320 c.c., integra requisito imprescindibile per il perfezionamento dell’atto da parte del genitore, in assenza del quale il giudice tutelare non concederà la relativa autorizzazione.

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Cass. 15.05.2003, n. 7546, in Fam. e dir., 2003, 614; Cass., Sez. III, 13.04.2010, n. 8720, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 4. Cass., Sez. II, 19.01.2012, n. 743 in Dir. it.: «l’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. è necessaria per promuovere giudizi relativi ad atti di amministrazione straordinaria, che possono cioè arrecare pregiudizio o diminuzione del patrimonio e non anche per gli atti diretti al miglioramento e alla conservazione dei beni che fanno già parte del patrimonio del soggetto incapace».

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È pacifico, quindi, che potrà essere il soggetto che esercita la responsabilità genitoriale a porre in essere, in nome e per conto del minore, quell’atto di straordinaria amministrazione, consistente nella rinuncia ad una delle due azioni di cui ai paragrafi precedenti, previa autorizzazione del giudice tutelare. La tangibile necessità o evidente utilità per il figlio, quale elemento intrinseco dell’atto da compiersi, rappresenta una superiore esigenza sancita dalla norma di legge e percepita, già in un momento ormai risalente nel tempo, in sede giurisprudenziale47. La nozione di evidente utilità o necessità, però, non è scolpita in alcuna norma del codice, spetta pertanto all’interprete farne una stima, tenendo a mente quel principio cardine dell’ordinamento che antepone la salvaguardia dell’interesse del minore rispetto a qualsiasi richiesta proveniente dai genitori, dal minore stesso o dall’esterno. D’altronde, il soggetto in età evolutiva non è «una proprietà dei genitori», ma essere umano avente autonoma personalità, le cui giuste aspettative e attitudini devono essere rispettate e valorizzate48, riecheggiando la portata costituzionale della norma che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2 Cost.). L’interesse del minore può intendersi nel senso della convenienza economica dell’affare da autorizzare ovvero può avere un contenuto che si allontana da quello meramente economico, così come può attuarsi una confusione tra interesse morale ed interesse materiale. Si pensi, ad esempio, all’art. 337 ter c.c., il quale prevede che, affinché il figlio possa mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale, il giudice adotterà i relativi provvedimenti con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole. Il silenzio del codice ha reso scettici in passato vari autori sulla possibilità di profilare il concetto di interesse del fanciullo, ritenendo estremamente arduo se non impossibile individuare criteri generali ed accettabili per definire quale esso sia concretamente49. Tale scetticismo viene svilito dalla circostanza che, invece, la legge consente al giudice di aiutarsi valutando il caso concreto, laddove non sia possibile definire quell’interesse con una norma di dettaglio50. Pertanto, si può ritenere che la nozione di interesse del minore sia partorita dalla combinazione tra valutazioni di matrice diversa: ciò che il minore ritiene essere il proprio interesse («la sua domanda di vita»51); ciò che il genitore interpreta come interesse del figlio;

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Cass., Sez. III, 03.07.1952, n. 1952 in www.italgiure.giustizia.it: «Per il compimento degli atti previsti dall’art. 320 cod. civ., la legge richiede, nell’interesse del minore, l’accertamento della necessità o della utilità evidente del figlio soggetto alla patria potestà». 48 Cfr. G. Sicchiero, La nozione di interesse del minore, in Famiglia e diritto, 2015, I. 49 M. Dogliotti, Che cosa è l’interesse del minore, in Dir. fam.,1992, 1094, 1098. 50 G. Sicchiero, op. cit., 73. Cfr. M. Giorgianni, La “parte generale” delle obbligazioni a 50 anni dall’entrata in vigore del codice civile, in Contr. impr., 1993, 491. 51 Moro, op. cit., 42.

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ciò che secondo un soggetto esterno al rapporto familiare, in primis il giudice (ovvero il consulente tecnico, l’assistente sociale, etc.), sia di interesse del minore52. Ai medesimi criteri si è ispirato il legislatore quando ha contemplato «la partecipazione al processo, in modo diretto ed autonomo, del bambino capace di discernimento, realizzando la sua dignità anche nel rapporto asimmetrico con il giudice»53, con ovvio riferimento all’audizione del minore. Sulla scorta di quanto anzidetto, la valutazione del giudice non seguirà un criterio meramente giuridico, ma ispirato altresì ai sentimenti, agli impulsi, agli affetti54. Pertanto, si pone il problema, per il genitore, di persuadere il giudice. al fine di vedersi concessa l’autorizzazione a porre in essere l’atto di rinuncia. Ebbene, è possibile presentare al giudice tutelare una istanza di autorizzazione ad agire in nome e per conto del figlio minore, ed in particolare a rinunciare all’azione di riduzione (ovvero all’azione di restituzione), elevando ad epicentro della domanda la tutela del minore cui ci orienta l’art. 320 c.c. (seppure il fine ultimo perseguito consista nell’agevolare la compravendita di un immobile di provenienza donativa, garantendo l’acquisto del terzo acquirente). Il fulcro della questione sta nella circostanza che le operazioni in ordine alle quali il genitore del minore dovrebbe avanzare l’istanza de qua, sono subordinate alla sussistenza di quel presupposto imprescindibile, prescritto dall’art. 320 c.c.; pertanto, dovrà spiegare che l’atto da porre in essere in nome e per conto del figlio riserva, a favore di quest’ultimo, il requisito della evidente utilità. Ad esempio, si potrà dare dimostrazione della circostanza che il defunto genitore del minore aveva ricevuto in vita quanto di sua spettanza, considerato che anche le sostanze avute vita natural durante vanno imputate alla legittima, secondo il disposto dell’art. 564 c.c., 2° co («In ogni caso il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti...»). Ciò con la risultanza che la donazione di immobile elargita dall’originario de cuius (nonno del minore) a beneficio del figlio superstite (zio del minore) avrebbe rispettato le proporzioni di una equa ripartizione di beni tra fratelli, scongiurando la lesione di legittima in danno del defunto e, conseguentemente, del minore subentrato nella titolarità della quota di riserva o di una parte di essa. Inoltre, indicare il corrispettivo per il quale l’immobile sarebbe venduto e/o almeno precisare che esso è tutt’altro che cospicuo farebbe emergere agevolmente che, anche nella remota ipotesi di lesione di legittima, la quota di essa spettante al minore sarebbe

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M. Dogliotti, op. cit., 1098: «Sulla necessità del loro ausilio concorda anche chi è scettico». G. Sergio, Peculiarità processuali della tutela civile dei diritti processuali e relazionali nei rapporti familiari, in AA.VV., Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia, a cura di L. Lenti, nel Tratt. Zatti di diritto di famiglia, Milano, 2012, 158. 54 P. Dusi, Tutela della giurisdizione, tutela nella giurisdizione, in Tutela della famiglia o famiglia sotto tutela a cura di F. Mazza Galanti, Milano, 1993, 5. 53

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così irrisoria da rendere una eventuale azione di riduzione ben più dispendiosa rispetto al valore della quota stessa di legittima. Dunque, l’evidente utilità per il minore (quale presupposto, si ribadisce, per la concessione dell’autorizzazione da parte del giudice tutelare), derivata dalla rinuncia all’azione di riduzione o di restituzione, sarebbe in primis di carattere materiale: ciò perché la somma ricavata da un eventuale vittorioso esperimento dell’azione si mostrerebbe di gran lunga inferiore ai costi legali da sostenere per intraprendere l’azione stessa. L’evidente utilità di cui si discute recherebbe, altresì, un risvolto umano, poiché una eventuale azione giudiziaria calerebbe certamente il minore in una atmosfera di disarmonia o, addirittura, attrito familiare, la quale, invece, mediante la rinuncia verrebbe elusa.

6. Conclusioni. Alla luce della disamina che precede e delle tesi illustrate, il problema della tutela del terzo potrebbe risolversi in una rinuncia all’azione di riduzione o all’azione di restituzione, posta in essere dal genitore (superstite) in nome e per conto del figlio minore. Con la prima rinuncia, il minore perderebbe in assoluto il proprio diritto di legittima, vedendosi preclusa ogni possibilità di reintegrazione della stessa, qualora essa risultasse lesa dall’atto donativo posto in essere dai nonni. La seconda rinuncia, invece, paralizzerebbe unicamente la domanda nei confronti del terzo che abbia acquistato l’immobile, conservando il diritto di agire in riduzione verso il donatario. Essendo permeati da un’alea di pregiudizio, entrambi gli atti di rinuncia confluiscono nella categoria della straordinaria amministrazione, postulando la preventiva autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c., in assenza della quale un genitore non potrebbe «toccare» il patrimonio del figlio. In tal guisa, il giudice tutelare fa ingresso nella disamina del caso, in qualità di autorità giudiziaria competente ad autorizzare la rinuncia. Dunque, per venire al profilo procedurale, il genitore potrà presentare all’ufficio del giudice tutelare del luogo di residenza del minore un’istanza di autorizzazione a rinunciare, in nome e per conto del figlio, all’azione di riduzione nei confronti del donatario (o di restituzione nei confronti del terzo), sotto forma di ricorso. La nomina ed assistenza di un difensore è facoltativa nel deposito dell’istanza de qua, pertanto Tizia ben potrà scegliere di avanzarla personalmente. Solo qualora il giudice tutelare orienti il proprio convincimento nel senso della sussistenza di una necessità o evidente utilità del minore, pronuncerà un decreto con cui autorizzerà Tizia a compiere l’attività richiesta. Sebbene si siano registrate sul punto posizioni più flessibili a favore di una rinuncia per facta concludentia (“il diritto del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della sua quota di riserva, dopo l’apertura della successione, è

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rinunciabile anche tacitamente, sempre che detta rinuncia sia inequivocabile, occorrendo a tal fine un comportamento concludente del soggetto interessato che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione” – Cass., sez. II, 05.01.2018, n. 168; Cassazione, sez. II, 03.09.2013, n. 2014355), si ritiene opportuno che la rinuncia di cui si è discusso venga posta in essere nelle forme dell’atto notarile, per garantire l’affidabilità e l’inequivocabilità delle dichiarazioni in esso contenute. Ciò in considerazione del fatto che la rinuncia tacita non risulta plausibile in siffatta ipotesi (il requisito del comportamento concludente, evidente e compatibile con la volontà, non sarebbe agevolmente individuabile in un soggetto di giovane età nelle circostanze descritte).

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Cass., sez. II, 05.01.2018, n. 168; Cass., sez. II, 03.09.2013, n. 20143, in www.altalex.com.

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Giurisprudenza Cass. civ., sez. II, ord., 24 ottobre 2018, n. 26981; Manna Presidente - Grasso Relatore Regime patrimoniale dei coniugi – Comunione legale – Acquisto di un bene con denaro di provenienza non tracciabile L’interpretazione degli artt. 177 e 179, comma 1°, lett. f), c.c. consente di ritenere che nell’ipotesi in cui un coniuge in regime di comunione legale dei beni utilizzi denaro di provenienza non tracciabile per il pagamento del prezzo di un suo acquisto, il bene oggetto di tale acquisto è assoggettato al regime di comunione legale dei beni, anche se all’atto di acquisto interviene l’altro coniuge il quale dichiari l’appartenenza personale al coniuge acquirente del denaro utilizzato al fine di consentire l’esclusione di tale acquisto dal regime di comunione legale.

(Omissis) Fatto

e diritto.

successiva causa di accertamento negativo; Ritenuto che la Corte d’ap-

– nel caso di specie la M. con l’espressione rac-

pello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe,

colta nell’atto pubblico [“i denari occorsi per

in parziale accoglimento dell’appello proposto

(l’acquisto) provengono dal proprio (dell’ A.)

da A.R. nei confronti di M.A. e in parziale riforma

patrimonio personale”] non aveva fatto pun-

della sentenza di primo grado dichiarò l’appellan-

tuale riferimento al fatto costitutivo del pre-

te comproprietario di tutti i beni mobili esisten-

teso diritto esclusivo dell’A. sul denaro utiliz-

ti nella casa coniugale, nonchè comproprietario

zato per il pagamento: e cioè ad una delle

dell’immobile sito in (Omissis), riconoscendo il

tipologie di beni personali descritte nelle lett.

“diritto di credito a favore di esso appellante del

a), b), c), d) ed e) – testualmente richiamate

ricavato della vendita effettuata dalla comunista

nella fattispecie di cui all’art. 179 c.c., lett. f),

M.A., in difetto delle condizioni di legge”;

pertinente al caso in esame – dalla cui vendita

ritenuto che A.R. propone ricorso avverso la sentenza d’appello di cui sopra sulla base di uni-

permuta abbia tratto origine la provvista utilizzata per l’acquisto esclusivo;

taria censura e che M.A. resiste con controricorso;

ritenuto che il ricorrente denunzia violazione e/o

ritenuto opportuno, al fine di una migliore

falsa applicazione dell’art. 179 c.c., in relazio-

comprensione della vicenda ricordare che la Cor-

ne all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè “omessa od

te d’appello aveva statuito come sopra sulla base,

insufficiente motivazione su punto decisivo

in sintesi, del seguente ragionamento:

della causa”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n.

– il Giudice dell’appello, richiamata giurispru-

5, assumendo che:

denza di legittimità sopravvenuta, conferma la

– la sentenza n. 22755/2009 di questa Corte as-

decisione di primo grado (la riforma attiene

segna alla dichiarazione del coniuge non ac-

esclusivamente ai beni mobili, che qui non

quirente la natura di atto ricognitivo o confes-

rilevano), precisando che la circostanza che

sorio, privo di natura negoziale, con efficacia

il coniuge non acquirente renda la dichiara-

“iuris et de iure di esclusione della contitola-

zione di cui all’art. 179 c.c., comma 2, lett.

rità dell’acquisto e, quindi, rimovibile solo per

f), presuppone l’effettiva natura personale del

errore di fatto o violenza”;

bene, con la conseguenza che, ove non sussi-

– viene operata netta distinzione “tra l’acquisto

sta nessuna delle cause di esclusione dalla co-

di beni da destinare a uso personale o profes-

munione, ciò potrà essere conclamato in una

sionale di cui all’art. 179 c.c., comma 2, lett.

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Giurisprudenza

c) e d), dall’ipotesi prevista dalla lett. f) e solo in questa ultima ipotesi (...) la dichiarazione assume portata confessoria in quanto descrittiva di una situazione di fatto” e proprio a tal ultimo proposito la sentenza d’appello era incorsa in errore; – inoltre, il denaro, in quanto tale, che si rovi nella disponibilità del coniuge da prima del matrimonio, deve considerarsi bene personale agli affetti di cui all’art. 179 c.c., lett. f); – la Cassazione con la sentenza n. 10885/2010 aveva affermato la non necessità della dichiarazione del coniuge non acquirente, ove risulti obiettivamente “certa la personalità di quanto trasferito a titolo di corrispettivo”; considerato che la esposta censura non è condivisa dal Collegio per le ragioni di cui appresso: a) le S.U. con la sentenza n. 22755 del 28/10/2009, che il Collegio pienamente condivide, afferma, in particolare: “Dalla stessa lettera dell’art. 179 c.c., comma 2 risulta peraltro che l’intervento adesivo del coniuge non acquirente non è di per sè sufficiente a escludere dalla comunione il bene che non sia effettivamente personale. La norma prevede infatti che i beni acquistati risultano esclusi dalla comunione ‘ai sensi delle lett. e), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge’. Sicchè dall’atto deve risultare alcuna delle cause di esclusione della comunione tassativamente indicate nello stesso art. 179 c.c., comma 1; e l’effetto limitativo della comunione si produce solo ai sensi delle lett. e), d) ed f) del precedente comma”, vale a dire solo se i beni sono effettivamente personali. L’intervento adesivo del coniuge non acquirente può dunque rilevare solo come prova dei presupposti di tale effetto limitativo, quando, come s’è detto, assuma il significato di un’attestazione di fatti. Ma non rileva come atto negoziale di rinuncia alla comunione. E quando la natura personale del bene che viene acquistato sia di-

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chiarata solo in ragione di una sua futura destinazione, sarà l’effettività di tale destinazione a determinarne l’esclusione dalla comunione, non certo la pur condivisa dichiarazione di intenti dei coniugi sulla sua futura destinazione. Secondo il sistema definito dall’art. 177 c.c. e dall’art. 179 c.c., comma 1 infatti, l’inclusione nella comunione legale è un effetto automatico dell’acquisto di un bene non personale da parte di alcuno dei coniugi in costanza di matrimonio. Ed è solo la natura effettivamente personale del bene a poterne determinare l’esclusione dalla comunione. Se il legislatore avesse voluto riconoscere ai coniugi la facoltà di escludere ad libitum determinati beni dalla comunione, lo avrebbe fatto prescindendo dal riferimento alla natura personale dei beni, che condiziona invece gli effetti previsti dall’art. 179 c.c., comma 2. Certo, potrebbe anche ritenersi che una tale facoltà debba essere riconosciuta ai coniugi per ragioni sistematiche, indipendentemente da un’espressa previsione legislativa. Come potrebbe ritenersi che, dopo C. cost., n. 91/1973, non possa negarsi a e ciascun coniuge il diritto di donare anche indirettamente all’altro la proprietà esclusiva di beni non personali. Tuttavia tali facoltà non potrebbero affatto desumersi dall’art. 179 c.c., comma 2 che condiziona comunque l’effetto limitativo della comunione alla natura realmente personale del bene; e attribuisce all’intervento adesivo del coniuge non acquirente la sola funzione di riconoscimento dei presupposti di quella limitazione, ove effettivamente già esistenti. Deve nondimeno ritenersi che l’intervento adesivo del coniuge non acquirente sia condizione necessaria dell’esclusione dalla comunione del bene acquistato dall’altro coniuge. L’art. 179 c.c., comma 2 prevede infatti che l’esclusione della comunione ai sensi dell’art. 179 c.c., comma, lett. e) d) e f) si abbia solo se la natura personale del bene sia dichiarata dall’acquirente con l’adesione dell’altro coniuge. Sicchè nei caso indicati la natura personale del bene


Raffaele Picaro

non è sufficiente a escludere di per sè l’esclusione dalla comunione, se non risulti concordemente riconosciuta dai coniugi. E tuttavia l’intervento adesivo del coniuge non acquirente è richiesto solo in funzione di necessaria documentazione della natura personale del bene, unico presupposto sostanziale della sua esclusione dalla comunione. Sicchè l’eventuale inesistenza di quel presupposto potrà essere comunque oggetto di una successiva azione di accertamento, pur nei limiti dell’efficacia probatoria che l’intervento adesivo avrà in concreto assunto. (...) pertanto, il coniuge non acquirente può successivamente proporre domanda di accertamento della comunione legale anche rispetto a beni che siano stati acquistati come personali dall’altro coniuge, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente fosse intervenuto nel contratto per aderirvi. Tuttavia, se l’intervento adesivo ex art. 179 c.c., comma 2 assunse il significato di riconoscimento dei già esistenti presupposti di fatto dell’esclusione del bene dalla comunione, l’azione di accertamento presupporrà la revoca di quella confessione stragiudiziale, nei limiti in cui è ammessa dall’art. 2732 c.c. Se invece, come nel caso in esame, l’intervento adesivo ex art. 179 c.c., comma 2 assunse il significato di mera manifestazione dei comuni intenti dei coniugi circa la destinazione del bene, occorrerà accertare quale destinazione il bene ebbe effettivamente, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità degli intenti così manifestati (...); –........................................................................ ove la dichiarazione del coniuge non acquirente confermi un fatto riscontrabile (ad es. utilizzo di denaro proveniente dalla vendita di determinati beni personali) alla stessa potrebbe assegnarsi natura confessoria, ma ove, come nel caso in esame, si tratti di un mero generico asserto qualificatorio (il denaro utilizzato era personale) si è al di fuori della dichiarazione a scopo confessorio, difatti “definire sic et simpliciter personale il de-

naro con cui si è adempiuta l’obbligazione del prezzo non identifica un fatto, bensì esprime una qualificazione giuridica: come tale, insuscettibile di confessione, oltre che non vincolante per l’interprete, potendo anche discendere da un errore di diritto del dichiarante” (Sez. 1, n. 18114, 4/8/2010); b) deve inoltre affermarsi il seguente principio: l’art. 179, comma 2, lett. f) attribuisce la natura di beni personali ai “beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio”: il riferimento ai “beni sopraelencati”, cioè quelli specificati alle lett. a)-e), non consente di annoverare fra gli stessi il denaro contante, che si trovi nella disponibilità del coniuge acquirente, senza che dello stesso possa tracciarsene la provenienza, la quale deve essere, per legge, dipendente dalla vendita o permuta (significativo, infatti, che la norma parli di “scambio”, non potendosi ipotizzare un tal fenomeno per il possesso del denaro tout court) di uno dei beni di cui alle lettere da a) a e), diversamente, infatti, lo scopo della norma (impedire elusioni del regime della comunione, assicurando, ad un tempo, l’esclusività dei beni che siano effettivamente personali, nel rispetto della griglia di ipotesi di cui alle lett. a) – c) del comma 2 dell’articolo in esame) resterebbe irrimediabilmente frustrato; considerato che spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate; considerato che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al

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Giurisprudenza

pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dallaL. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei pre-

supposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, il 28 giugno 2018. Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2018. (Omissis)

Beni personali dei coniugi ed acquisti per surrogazione. La Suprema Corte al cospetto dell’utilizzo del denaro non tracciato Sommario:

1. Premessa. – 2. L’abbrivio di Cass. civ., sez. un., 28 ottobre 2009, n. 22755. – 3. La soluzione accolta da Cass. civ, sez. II, (ord.), 24 ottobre 2018, n. 26981. – 4. Conclusioni.

Muovendosi nel solco argomentativo espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 22755/2009, la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 26981/2018, si cimenta con la questione, sovente ricorrente nella pratica, rappresentata dall’utilizzo del denaro non tracciato, appartenente ad uno solo dei coniugi in regime di comunione legale, al fine di pagare il prezzo di un suo acquisto. In maniera significativa in termini di impatto ermeneutico, i giudici di legittimità non attribuiscono rilevanza alla dichiarazione del coniuge non acquirente circa la natura personale del denaro utilizzato per il pagamento del prezzo dell’acquisto da parte del coniuge acquirente, poiché tale dichiarazione non può ritenersi identificativa di un fatto né può qualificarsi come vincolante per l’interprete.

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1. Premessa. Con l’ordinanza del 24 ottobre 2018, n. 269811, la Suprema Corte ha affrontato una questione sovente ricorrente nella pratica, ancorché pervenuta per la prima volta all’esame dei giudici di legittimità, rappresentata dall’utilizzo del denaro appartenente ad uno solo dei coniugi al fine di pagare il prezzo di un suo acquisto. La pronuncia si apprezza quale ulteriore contributo alla antica questione che si incentra sulla definizione o delimitazione dell’oggetto della comunione legale dei coniugi2, proponendosi come soluzione ermeneutica ad una tematica, la quale, tuttavia, evoca ulteriori spunti di riflessione in relazione agli approdi, non sempre sicuri, cui la giurisprudenza, anche di legittimità, è pervenuta sul tema. In via preliminare, preme sottolineare che l’animato confronto emerso in dottrina e in giurisprudenza in subiecta materia, pur avendo dato luogo a soluzioni interpretative diversamente orientate, ha avuto il pregio di fare chiarezza in merito alla possibilità di annoverare un bene nell’alveo di quelli personali secondo la previsione di cui all’art. 179 c.c., evocando nondimeno dubbi circa la possibilità di ricorrere al disposto del comma 1° piuttosto che al comma 2° di tale disposizione3. Com’è noto, dal combinato disposto degli artt. 177 e 179, comma 1°, c.c. si evince che l’inclusione nella comunione legale consegue automaticamente all’acquisto di un bene non personale da parte di uno dei coniugi in costanza di matrimonio, per cui solo la natura effettivamente personale del bene ne determina l’esclusione, secondo le previsioni tassativamente indicate dalla legge4. Dal canto suo, l’art. 179 c.c., nell’elencare i beni personali, fornisce una sistemazione non omogenea, impossibile da ricondurre ad un inquadramento unitario. Il comma 2° della disposizione, a sua volta, ponendosi in un rapporto di specialità unilaterale con il comma 1°, stabilisce che l’acquisto di beni immobili o mobili indicati nell’art. 2683 c.c., effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lett. c), d) ed f) del comma 1°, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto nel quale sia stato parte anche l’altro coniuge5. Una dizione, certamente poco felice,

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Cass. civ, sez. II, (ord.), 24 ottobre 2018, n. 26981 in IlSole24ore, 25 ottobre 2018, con nota di A. Busani, Fondi non tracciabili, scatta la comunione. 2 In materia cfr. F. Bocchini, Rapporto coniugale e circolazione dei beni2, Napoli, 1995, passim; Id., Il regime patrimoniale della famiglia, in Id., Saggi di diritto privato2, Napoli, 1999, 93 ss.; Id., Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, in Riv. dir. civ., 2001, 446 ss.; Id., Diritto di famiglia. Le grandi questioni, Torino, 2013, 88 ss., con ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza; T. Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2018, 108 ed il ragionato corredo bibliografico indicato a 428-437; M. Costanza, Rapporti patrimoniali e autonomia privata, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II, Rapporti personali e patrimoniali, Bologna, 2008, 255 ss. In maniera risalente F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Tratt. Cicu Messineo, I, Milano, 1979, 95-119. 3 P. Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro-Oppo-Trabucchi, I, Padova, 1977, 393 ss.; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, 987 ss. 4 In generale, sulla problematica degli acquisti personali nella comunione legale, ex plurimis, L. Barbiera, La comunione legale, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, III, 2, Torino, 1982, 421-435; F. Santosuosso, Delle persone e della famiglia, Il regime patrimoniale della famiglia2, in Comm. cod. civ., I, 1, III, Torino, 1983, 203-225. 5 All’indomani della Riforma del ’75 cfr. C. Nivarra, L’intervento dell’altro coniuge negli acquisti di beni personali immobili o mobili

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che non ha mancato di suscitare un acceso confronto incentrato sulla natura giuridica dell’intervento adesivo del coniuge non acquirente all’atto di acquisto di un bene6. Mentre un orientamento, ormai minoritario, ha ritenuto sufficiente la dichiarazione del coniuge non acquirente per escludere un bene dal regime della comunione, indipendentemente dalla effettiva natura personale dello stesso7, altro indirizzo, all’uopo sedimentatosi, milita nella direzione di negare che l’esclusione di un bene dalla comunione possa dipendere esclusivamente da un atto discrezionale dei coniugi, nonostante il loro intervento sia necessario a tal fine8. In realtà, l’individuazione della esatta natura da attribuire all’intervento adesivo non può prescindere dalla considerazione della ratio ispiratrice dell’art. 179 c.c., la quale va ricercata nella esigenza di contemperare due opposti interessi, la libertà negoziale ed il regime della comunione legale9, senza mancare di considerare le rilevanti problematiche che si connettono alla circolazione dei beni in questione10. Attribuire natura negoziale11 alla partecipazione del coniuge non acquirente significherebbe, infatti, far dipendere la facoltà del coniuge acquirente di effettuare un acquisto personale dalla volontà del primo, comprimendone così ogni autonomia. Ciò implicherebbe il riconoscere al coniuge non acquirente la possibilità di impedire ad libitum l’acquisto, anche qualora sussistano i requisiti sostanziali previsti dalla disposizione codicistica.

2. L’abbrivio di Cass. civ., sez. un., 28 ottobre 2009, n. 22755.

La questione è stata oggetto nella sua complessità di un approfondito intervento delle Sezioni Unite, con la pronuncia del 28 ottobre 2009, n. 2275512, dal cui sviluppo argo-

registrati, in Riv. not., 1977, 1061 ss. Sul tema C. Rimini, L’acquisto di un bene immobile con denaro fornito da un terzo e l’ambito di applicazione dell’art. 179, lett. b), c.c., in Corr. giur., 2001, 5, 645. 6 F. Bocchini, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 95 ss. Per un inquadramento generale delle problematiche riguardanti l’art. 179 c.c., E. Al Mureden, La comunione legale, in Diritto civile, a cura di Amadio e Macario, II, Bologna, 2014, 518-519. 7 Cass. civ., sez. I, 2 giugno 1989, n. 2688, in Giur. it., 1990, I, 1, 1307, con nota di F. Galletta, Estromissione di beni dalla comunione legale e consenso del coniuge. 8 Cass. civ., sez. I, 24 settembre 2004, n. 19250, in Vita notar., 2005, 119, con nota di E. Russo, La circolazione dei beni personali. In materia cfr. F. Patti, Acquisti in comunione legale e circolazione dei beni di provenienza donativa, in Quaderni notariato, 26, Milano, 2011, passim. 9 P. Pitrone, La natura giuridica della partecipazione del coniuge all’acquisto di un bene personale, in Rass. dir. civ., 1989, 818 ss.; G. Lo Sardo, Acquisto di beni con il prezzo del trasferimento di beni personali o con il loro scambio e dichiarazione di esclusione dalla comunione legale, in Riv. not., 1995, 827; V. De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, 1996, Milano, 496. 10 F. Bocchini, Rapporto coniugale e circolazione dei beni2, cit., passim. 11 La tesi della natura negoziale è tuttora minoritaria nella dottrina: in questo senso, A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, cit., 1022; G. Rubino, Il sistema dei beni personali e la convenzione che esclude un acquisto dalla comunione legale (art. 179 comma 2, c.c.), in Rass. dir. civ., 1992, 595. 12 Cass. civ., sez. un., 28 ottobre 2009, n. 22755, in Giur. it., 2010, 1567 ss.; in Fam. pers. succ., 2010, 96 ss., con nota di M. Paladini; in Fam. dir., 2010, 122 ss., con nota di D. Rando; in Giust. civ., 2010, I, 2529 ss., con nota di E. Timpano. Sul tema cfr. A. Frabasile, Valore

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Raffaele Picaro

mentativo si evince che l’intervento adesivo del coniuge non acquirente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione dalla comunione dei beni di cui alle lettere c), d) ed f) dell’art. 179, comma 1°, c.c., essendo ineludibile la presenza del requisito sostanziale – previsto nel contesto della medesima previsione – della natura personale del bene. Di converso, il Supremo Consesso ha contestualmente escluso la natura negoziale della dichiarazione resa dal coniuge non acquirente13, riconoscendo ad essa, invece, valore ricognitivo e con valenza di confessione stragiudiziale, pur nel solo caso in cui la stessa sia descrittiva di una situazione di fatto, come di regola accade nell’ipotesi prevista dalla lett. f), relativa ai cd. acquisti per surrogazione. Sicché la partecipazione del coniuge non acquirente assume qualifica ricognitiva, ossia rileva come mera attestazione dell’esistenza dei presupposti sostanziali di cui all’art. 179 c.c. al momento dell’acquisto, quando si limiti a riconoscere che il bene sia stato acquistato con denaro ricavato dal trasferimento o dallo scambio di beni già personali14. Nei casi diversi da quello contemplato dalla lett. f), ovvero nella diversa ipotesi in cui si dichiari di condividere l’intenzione di destinare il bene acquistato all’attività professionale o personale del proprio coniuge (lett. c e d), l’intervento adesivo del coniuge non acquirente è, invece, espressivo di una manifestazione di intenti15. La conseguenza pratica di tale distinguo emerge nitidamente in caso di successiva azione di accertamento negativo della natura personale dell’acquisto. Infatti, qualora la dichiarazione abbia valore ricognitivo, il coniuge sarà tenuto a revocarla nei limiti stabiliti per la confessione stragiudiziale16; diversamente, nel caso in cui la stessa assuma la natura di mera manifestazione di comune intento dei coniugi circa la futura utilizzazione del bene, sarà necessario accertare la reale destinazione ricevuta dallo stesso17.

della dichiarazione del coniuge non acquirente in regime di comunione legale dei beni ed effettività della destinazione d’uso, in C.M. Nanna (a cura di), Diritto vivente e sensibilità dell’interprete, Bari, 2010, 191-243. 13 Per un tentativo di ricostruzione della natura “contrattuale” dell’accordo di esclusione del bene dalla comunione legale, cfr. M. Paladini, Il “contratto” di esclusione dei beni personali dalla comunione legale, in Familia, 2006, 449 ss. Le difficoltà interpretative e sistematiche della tesi della natura ricognitivo-confessoria inducono a riflettere se non possa essere indagata una soluzione alternativa in grado di valorizzare, da un lato, i requisiti obiettivi indicati dal legislatore e, dall’altro, l’autonomia negoziale dei coniugi relativamente alla formazione della massa patrimoniale comune. In tal senso, si potrebbe ritenere che l’esclusione dei beni previsti nell’art. 179, comma 2, c.c., derivi da un “accordo” tra i coniugi, al quale, in considerazione del carattere patrimoniale, debba essere riconosciuta natura contrattuale. Nondimeno, una tale ricostruzione, pur nella coerenza che la connota, andrebbe calata, siccome avvinta, nello spettro della cornice del regime della comunione legale, in quanto espressione del regime primario della famiglia voluto dal legislatore del ’75. 14 G. Gabrielli e M. Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, 90-91. 15 La soluzione è ispirata, in parte, alla tesi di E. Del Prato, L’esclusione dell’acquisto dalla comunione ex art. 179, 2º co., c.c., in Studi in onore di Piero Schlesinger, I, Milano, 2004, 453 ss., ove si sostiene che, quando la personalità dell’acquisto deriva non dalla cosa in sè, ma dalla sua destinazione – art. 179, lett. c) e d) c.c. – la dichiarazione del coniuge non acquirente assume valore conformativo di «accordo sull’indirizzo della vita familiare». 16 In giurisprudenza, v. Cass. civ., sez. un., 26 maggio 1965, n.1038, in Mass. Giur. it., 1965, 378, secondo la quale la confessione ha per oggetto un fatto obiettivo, non la qualificazione giuridica di un rapporto o di una situazione di fatto, né può riflettere un’opinione o un giudizio. 17 Sulle difficoltà dell’accertamento di merito riguardante l’attuazione della destinazione del bene ad uso strettamente personale (lett. c) o all’esercizio della professione del coniuge acquirente (lett. d), M. Paladini, Nota a Cass., sez. un., 28 ottobre 2009, n. 22755, cit., 94 ss.

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3. La soluzione accolta da Cass. civ, sez. II, (ord.), 24 ottobre 2018, n. 26981.

Nell’affrontare la questione circa l’esigenza dell’intervento adesivo del coniuge non acquirente nell’atto di acquisto di un bene da considerarsi nella titolarità esclusiva del coniuge acquirente e, dunque, escluso dalla comunione, la pronuncia del 2009 fa espressamente riferimento all’utilizzo del «prezzo del trasferimento dei beni personali o al loro scambio» ai sensi dell’art. 179, comma 1°, lett. f), c.c. Tale indicazione assume una portata problematica nel caso sia impossibile tracciare la provenienza del denaro usato per l’acquisto del bene da considerarsi personale. Proprio in questa querelle si inserisce il disposto dell’ordinanza n. 26981/2018 della Suprema Corte che, nell’itinerario argomentativo, mostra di condividere gli esiti della pronuncia del 2009 e richiamando, inoltre, Cass. civ., n. 18114/201018, non attribuisce rilevanza – nel caso in esame – alla dichiarazione del coniuge non acquirente circa la natura personale del denaro utilizzato per il pagamento del prezzo dell’acquisto da parte del coniuge acquirente, poiché la stessa dichiarazione non può ritenersi identificativa di un fatto né considerarsi vincolante per l’interprete, potendo anche discendere da un errore di diritto del dichiarante. Il riferimento della lett. f) ai beni personali di cui alle lett. a) – e), non consentirebbe, a parere dei giudici di legittimità, di annoverare tra gli stessi anche il denaro contante di cui il coniuge disponga senza che possa esserne tracciata la provenienza. Lo sviluppo ermeneutico seguito dal Supremo Collegio muove nel solco dell’orientamento sedimentatosi a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite, ricalcandone i tratti essenziali, pur nella diversità di soluzioni19. La provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto di un bene personale deve, dunque, dipendere dalla vendita o dallo scambio (e non dal mero possesso di denaro) di beni di cui il coniuge abbia già la esclusiva titolarità20. Pertanto, nel caso in cui vengano utilizzati fondi non tracciabili, il bene oggetto dell’acquisto, alla cui realizzazione tali fondi siano stati destinati, si ritiene irreversibilmente caduto in comunione immediata, non rilevando neppure l’intervento dell’altro coniuge, il quale dichiari di acconsentire all’esclusione di ta-

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Cass. civ., sez. I, 4 agosto 2010, n. 18114, in Fam. dir., 2011, 5, 475 ss. Secondo la medesima pronunzia, la dichiarazione resa dal coniuge non acquirente ai sensi dell’art. 179, comma 2°, c.c. può assumere valore di confessione, come tale revocabile successivamente unicamente per errore di fatto o violenza, solo ove abbia ad oggetto un fatto storico, costitutivo del diritto esclusivo del coniuge acquirente sul denaro utilizzato per l’acquisto, ossia una delle tipologie di beni personali indicate dalle lett. a), b), c), d) ed e) dell’art. 179, comma 1°, c.c., dalla cui vendita o dal cui scambio abbia tratto origine la provvista utilizzata per l’acquisto esclusivo. Definire semplicemente personale il denaro con cui si è adempiuta l’obbligazione del prezzo non identifica un fatto storico, bensì esprime una qualificazione giuridica che, come tale, non è suscettibile di confessione né appare vincolante per l’interprete, potendo anche discendere da un errore di diritto del dichiarante. 19 Il riferimento è a Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2016, n. 2642, in Fam. dir., 2017, 3, 244 ss., con commento di M. Paladini, Comunione legale, dichiarazione ricognitiva del coniuge non acquirente e contenuto della confessione, secondo cui per l’acquisto ai sensi dell’art.179, comma 2°, c.c., con riferimento all’ipotesi prevista dal comma 1°, lett. f), c.c., occorre la partecipazione all’atto del coniuge non acquirente e la dichiarazione espressa che il coniuge acquirente si è avvalso del corrispettivo di beni immobili e mobili alienati precedentemente, ma non è necessaria, l’indicazione specifica dei beni cosiddetti surrogati. 20 Così F. Bocchini, Diritto di famiglia. Le grandi questioni, cit., 91 ss.

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Raffaele Picaro

le acquisto dal regime della comunione. Difatti, applicando gli insegnamenti della sentenza n. 22755/2009, in difetto del requisito sostanziale della personalità del bene utilizzato per l’acquisto, il nuovo bene non potrebbe non ricadere che nel regime della comunione immediata. Lo scopo della restrizione è evidentemente quello di impedire elusioni del regime legale, garantendo l’esclusività solo di quei beni personali del singolo coniuge, in relazione alla previsione di cui all’art. 179 c.c.21. Ammettendo, del resto, la derogabilità ancorché occasionale del regime della comunione legale, la regola stabilita per gli acquisti dei coniugi, che abbiano optato per tale regime patrimoniale22, rischierebbe di perdere ogni effettivo contenuto precettivo e la stessa nozione di «regime patrimoniale» verrebbe ad affievolirsi fino al rango di generico accordo programmatico, suscettibile di non ricevere concreta applicazione in sede di effettivo arricchimento patrimoniale della comunità familiare23. Sicché – e non senza critiche – anche dopo l’ordinanza n. 26981/2018, l’unica possibilità per i coniugi di evitare l’inclusione nel patrimonio comune di un bene, che non rientri nelle ipotesi contemplate dall’art. 179 c.c., è rappresentata dalla discussa facoltà di un coniuge di donare all’altro la proprietà esclusiva di beni personali24.

4. Conclusioni. Lo sviluppo delle argomentazioni siccome sedimentate nel contesto dell’ordinanza in commento, si mostra coerente con l’itinerario ermeneutico seguito dalle Sezioni Unite nella miliare sentenza del 2009. Anche in relazione alle attuali trame ricostruttive dei beni personali, la comunione legale, laddove assunta come regime patrimoniale, afferma la sua inderogabilità, proponendosi come corollario di un sistema familiare conformato ad una dimensione comunitaria e solidale. La soluzione accolta merita una chiosa diacronica25. L’indirizzo enunciato conferma la prevalenza del regime della comunione legale, conformandosi ad una lettura dei rapporti tra i coniugi siccome emergente e conformata alla interpretazione seguita alla Riforma

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Invero, la prospettiva del cd. «rifiuto al coacquisto» – accolta da Cass. n. 2688/1989 – nella misura in cui consente ai coniugi di derogare di volta in volta alla regola della comunione degli acquisti, trasforma la comunione legale in un mero regime di amministrazione dei beni per il quale i coniugi possono optare, a seconda delle contingenti convenienze, al momento di ogni singolo acquisto. 22 A. Jannarelli, Comunione, acquisto “ex lege”, autonomia privata, in Foro it., 1990, I, 617 ss. 23 Sia consentito rinviare sul punto a M. Paladini, Scioglimento della comunione legale e divisione dei beni, in Tratt. Bessone, IV, II, a cura di Auletta-Bruscuglia-Dogliotti-Figone, Torino, 1999, 436. 24 Sulle donazioni tra coniugi, C. Granelli, Donazione e rapporto coniugale, in La donazione, Trattato diretto da Bonilini, Torino, 2001, 408 ss. Sul tema L. Gatt, Beni personali dei coniugi e liberalità, in Familia, 2001, 91 ss. 25 In materia cfr. P. Grossi, Della interpretazione come invenzione (La riscoperta pos-moderna del ruolo inventivo della interpretazione), in Quaderni fiorentini, 47, 2018, 9, dove afferma che «l’interpretazione della legge, che è un pilastro nodale per ogni ordinamento a base legislativa, può essere còlta nella sua reale dimensione odierna se osservata e valutata in un confronto diacronico, utilissimo per accentuare la sua singolare caratterizzazione nell’oggi».

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Giurisprudenza

del ’75, in cui era avvertito il condizionamento di una temperie volta a rendere effettiva la comunione materiale e spirituale tra i coniugi, in evidente reazione alla condizione subalterna della donna nel contesto della famiglia patriarcale disegnata dal codice del ’4226. L’attuale configurazione dell’assetto familiare consegna una diversa trama delle relazioni instaurate tra i coniugi, in cui sono ormai capillarmente radicati i fermenti della parità di trattamento, con riflessi che si riverberano anche sotto il profilo patrimoniale. Probabilmente, da tale visuale, anche la storia futura dei beni personali merita una riflessione avanzata che, pur nel rispetto del regime primario della famiglia, non si mostri ignara degli intrecci stagnanti nella bassa corte dei fatti, con sussulti che militano nella direzione di un ampliamento della classe di beni personali e, per converso, dell’autonomia negoziale dei coniugi, pur nella conservazione del disegno riformatore della famiglia del ’75, così come avvinto nel contesto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi. In questa cornice, ispirata da rinnovate dinamiche relazionali, in cui, nell’esclusiva accezione orizzontale, si assiste alla frantumazione della solennità del negozio matrimoniale con riguardo alla dissoluzione del rapporto27, si inscrive la possibilità, condivisa dalla Suprema Corte, di considerare come personale il bene che un coniuge acquista dall’altro separatamente, pur non ricorrendo alcuna delle ipotesi menzionate dalla legge, in considerazione della provenienza del bene28. Raffaele Picaro

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F. Bocchini, Diritto di famiglia. Le grandi questioni, cit., 35 ss. Cfr. art. 6, l. 10 novembre 2014, n. 162, che ha introdotto l’accordo risolutivo amministrativo del matrimonio. 28 Cass. civ., sez. II, 6 marzo 2008, n. 6120, in Fam. dir., 2008, 876. 27

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