37 minute read

e rapporto di lavoro .......................................................................................................................... »

Corte di Cassazione, sentenza 9 febbraio 2021, n. 3116; Pres. Balestrieri – Est. Cinque – Air Italy

Spa (avv.ti C. B. Niutta, E. B. Niutta, A. Armentano) c. R. R. (avv.ti M. Giovannini e A. Bordone).

Cassa con rinvio App. Milano, sent. n. 400/2018

Lavoro (rapporto) – Retribuzione – Cassa integrazione guadagni – Integrazione salariale – Svolgimento di attività lavorativa – Nozione – Omessa comunicazione all’INPS – Conseguenze – Decadenza dal diritto – Fattispecie.

In tema di decadenza dal diritto al trattamento di integrazione salariale, l’art. 8, comma 5, del d.l. n. 86 del 1988, conv. dalla l. n. 160 del 1988, ratione temporis vigente, che individua le attività lavorative soggette a comunicazione preventiva (o ad autocertificazione in caso di personale di volo) all’INPS, va inteso nel suo significato più ampio, come riferito all’insieme di condotte umane caratterizzate dall’utilizzo di cognizioni tecniche, del più vario genere, senza che assuma alcun rilievo la loro effettiva remunerazione, rilevando la sola potenziale redditività, perché lo scopo della norma è quello di consentire all’Inps la verifica circa la compatibilità dell’attività da svolgere con il perdurare del lavoro presupposto dell’integrazione salariale.

(Omissis)

Fatti di Causa 1. Con lettera del 21.1.2016 la Meridiana Fly spa contestò al proprio dipendente, R.R., Comandante posto in Cassa Integrazione straordinaria a rotazione, il seguente addebito: “Lei, dipendente della nostra azienda con qualifica di Comandante, sospeso dallo svolgimento di attività lavorativa e collocato in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria ai sensi della L. n. 291 del 2004, art. 1 bis, ha percepito dal 13 aprile 2012 e sino al 31 dicembre 2014 trattamenti di sostegno al reddito erogati dall’INPS, integrati dallo speciale Fondo del trasporto aereo sino all’80% della Sua retribuzione fissa e variabile, trattamenti che Le sono stati anticipati dalla nostra azienda. In data 11 gennaio 2016 ci è stato notificato il verbale di accertamento dell’INPS n. (Omissis), redatto il 26 novembre 2015 (...), dal quale abbiamo appreso che, durante il suddetto periodo di fruizione dei predetti trattamenti di sostegno al reddito, Lei ha svolto attività lavorativa remunerata a favore di altro vettore aereo, la società Saudi Arabia Airlines, dal 14 aprile 2013. Risulta quindi che Lei, in violazione dei più elementari principi di lealtà e correttezza, in assoluto dispregio degli obblighi che Le fanno carico, sia in relazione all’esistente rapporto di lavoro subordinato con la nostra Azienda, sia con riferimento alla Sua posizione di soggetto percettore di indennità di sostegno al reddito, ha omesso di comunicare tempestivamente, sia alla nostra Azienda sia all’istituto previdenziale, di svolgere attività lavorativa regolarmente remunerata ed ha continuato ad incassare, senza nulla rilevare, le somme che mensilmente le sono state erogate a titolo di sostegno al reddito, ponendo in tal modo in essere un comportamento truffaldino chiaramente finalizzato ad indurci in inganno al chiaro scopo di percepire illegittimamente somme alle quali non aveva diritto, somme tra l’altro poste a carico della collettività allo scopo di garantire il sostentamento di coloro che vengono a trovarsi privati del loro reddito da lavoro. Tale Suo comportamento, anche a prescindere dalla Sua qualificazione in sede penale e dalla idoneità a costituire reato, è di estrema gravità e configura una gravissima ed oggettiva lesione dell’elemento fiduciario posto a base di qualsivoglia rapporto intersoggettivo ed in particolare del Suo rapporto di lavoro, anche in considerazione della natura delle mansioni a lei affidate, alle quali è connesso l’esercizio di rilevanti e delicatissimi poteri e l’assunzione di grandi responsabilità”. 2. Rese le giustificazioni da parte del lavoratore, la società con lettera del 12.2.2016, risolse il rapporto per giusta causa. 3. Impugnato il licenziamento, il Tribunale di Busto Arsizio, in riforma della pregressa ordinanza del 30.1.2017, con sentenza n. 420/2017, annullò il recesso intimato al R. condannò la società a reintegrarlo nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno subito quantificato nella misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre alla regolarizzazione contributiva previdenziale ed assistenziale. Il R. rinunciò alla reintegra e optò per le 15 mensilità di risarcimento. 4. La Corte di appello di Milano rigettò il reclamo, proposto dalla società, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58. 5. I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, rilevarono che le giustificazioni addotte dal R. – il quale aveva sostenuto di non avere mai svolto attività lavorativa in favore della Saudi Arabian Airlines,

nè di avere sottoscritto alcun contratto con la stessa compagnia, ma di avere solo partecipato, su richiesta della compagnia saudita, a “processi di tirocinio teorici in aula, visite mediche, esami di inglese e disbrigo pratiche burocratiche” recandosi più volte a (Omissis) nel periodo compreso tra il (Omissis) e che a tale percorso teorico non aveva fatto seguito alcuna assunzione, non avendo conseguito la licenza di volo araba (Omissis) – avevano trovato pieno riscontro nella documentazione in atti. Specificarono, quindi, che il fatto contestato (l’avere svolto attività lavorativa remunerata) non era stato dimostrato e che il periodo di tempo trascorso presso la Compagnia aerea estera doveva e poteva qualificarsi come “periodo neutro” in quanto unicamente finalizzato al mantenimento delle licenze e abilitazioni al volo, richiamando sul punto le argomentazioni di un precedente, su analoga fattispecie, della Corte di appello di Milano. Precisarono, infine, che proprio la natura di tale periodo consentiva la cumulabilità del trattamento in CIGS con il reddito percepito dal dipendente durante il periodo addestrativo e che questi, in una situazione anche di incertezza nella interpretazione della circolare INPS in materia, non era tenuto ad effettuare alcuna preventiva comunicazione alla società datrice di lavoro in assenza di un “cambiamento di status”. 6. Avverso la decisione della Corte di merito ha proposto ricorso per cassazione Air Italy spa (già Meridiana Fly spa), affidato ad un solo articolato motivo. 7. R.R. ha resistito con controricorso, insistendo per l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del gravame. 8. Le parti hanno depositato memorie.

RaGioni della deCisione 1. Con l’unico articolato motivo la ricorrente denunzia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 86 del 1988, art. 8, commi 4 e 5 (riprodotto integralmente del D.Lgs. n. 148 del 2015, commi 2 e 3) convertito nella L. n. 160 del 1988; la violazione dell’art. 1 delle disposizioni di legge in generale approvate preliminarmente al codice civile con R.D. 16 marzo 1943, n. 262, nonchè degli artt. 1362 e 1363 c.c., nella interpretazione della circolare INPS n. 94 dell’8.7.2011 ed infine dell’art. 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Deduce la società che erroneamente la Corte di appello di Milano aveva ritenuto che il comportamento del dipendente, il quale dal mese di maggio al giugno 2013 (per due mesi) aveva cumulato alla cassa integrazione percepita dall’INPS e dal Fondo speciale per il trasporto aereo, il compenso ricevuto dalla Saudi Arabian Airlines per l’attività svolta, senza avere peraltro proceduto alle comunicazioni relative all’INPS e al datore di lavoro, non costituisse giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c.. Sostiene, poi, che la Corte di merito si era attardata ad evidenziare l’inesistenza di un contratto di lavoro, ignorando però la circostanza di fatto decisiva tra le parti che il R. aveva comunque percepito un reddito per la sua attività; inoltre, evidenzia che la Corte territoriale aveva violato il disposto dell’art. 1 preleggi, attribuendo alla circolare INPS n. 94 del 2011, il potere di dettare una normativa derogatoria del richiamato art. 8, predetti commi 4 e 5. 2. Il ricorso è fondato per quanto di ragione. 3. La comparazione tra infrazione addebitata dalla compagnia aerea e sanzione espulsiva intimata richiede la preventiva disamina della normativa vigente in materia di attività svolta presso terzi durante il periodo di cassa integrazione guadagni. 4. Il D.L. n. 86 del 1988, art. 8, commi 4 e 5 (convertito in L. n. 160 del 1988) recita: “4. Il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate. 5. Il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede provinciale dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dello svolgimento della predetta attività”. 5. E’ pacifico, poi, che le circolari non possono contenere disposizioni derogative di norme di legge, nè essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie, essendo dotate di efficacia esclusivamente interna nell’ambito della amministrazione all’interno della quale sono emesse (Cass. 23032 del 2007; Cass. n. 6699 del 2014). 6. Orbene, il D.L. n. 86 del 1988, art. 8, commi 4 e 5, sancisce, dunque, il principio della parziale cumulabilità tra integrazione salariale e altre attività remunerate nel senso che lo svolgimento di attività lavorativa remunerata durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale comporta non la perdita del diritto all’integrazione per l’intero periodo predetto ma una riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai proventi dell’altra attività lavorativa, sempre che l’ente previdenziale sia informato preventivamente (ovvero, entro 30 giorni dal rinnovo/mancato rinnovo delle abilitazioni, nel caso di cd. “periodo neutro” ossia esclusivamente devoluto all’addestramento, come previsto dalle circolari INPS nella specifica materia) dell’avvio dell’attività lavorativa presso altro datore di lavoro, pena la decadenza dal diritto all’integrazione salariale. 7. Le circolari dell’ente previdenziale (n. 94 del 2011, n. 130 del 2010), poi, nelle parti riportate in ricorso e rilevanti in questa sede, in coerenza con la previsione legislativa, prevedono il divieto di cumulabilità di retribuzione e integrazione salariale, divieto che, per l’appunto, non è assoluto, essendo parametrato a “giornata di lavoro effettuata” e consentendo, quindi, l’integrazione tra le due provvidenze economiche fino alla concorrenza tra le somme integrabili corrisposte dall’Inps, sussistendo una incompatibilità assoluta

solamente con riguardo a nuove attività lavorative a tempo pieno e senza prefissione di termine di durata. La espressa previsione di comunicazioni preventive è indispensabile per consentire all’Inps di verificare che l’attività di lavoro svolta sia compatibile con il perdurare della riscossione dell’integrazione salariale. 8. Nel caso della categoria peculiare del personale pilota, destinataria di specifici controlli concernenti la validità delle licenze e delle abilitazioni di volo che richiedono la periodica partecipazione a fasi di addestramento, sempre secondo le circolari vigenti in materia, la comunicazione preventiva è sostituita con l’autocertificazione, pur sempre necessaria per verificare la compatibilità con l’integrazione salariale sia sotto il punto di vista della durata (minima) dell’addestramento (che non trasmodi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato) sia sotto quello della natura dei proventi ricossi. Invero, posto che l’attività vietata dal D.L. n. 86 del 1988, art. 8, è quella che, fonte di proventi economici, effettivamente si sostituisce alla prestazione di lavoro sospesa, rendendo così ingiustificata la permanenza del trattamento, nel caso dell’attività resa ai fini del rinnovo delle abilitazioni di volo l’obbligo di inoltro dell’autocertificazione consente all’Inps di verificare se l’attività prestata sia stata esclusivamente finalizzata al mantenimento delle predette abilitazioni e se i compensi percepiti avevano natura retributiva. 9. La ratio delle disposizioni, sia di quelli di fonte normativa (del D.L. n. 86 del 1988, art. 8, comma 4) che di quelli di mera attuazione interna all’ente previdenziale, è chiara: poichè la cassa integrazione guadagni costituisce una forma di assicurazione sociale a mezzo della quale il legislatore vuole garantire, in presenza di particolari vicende dell’impresa, un sostegno al reddito dei lavoratori (altrimenti irrimediabilmente compromesso), al contempo lo stesso legislatore vuole evitare indebiti arricchimenti a scapito delle finanze dello Stato. E, infatti, la percezione della c.i.g. da parte del lavoratore che percepisca anche altro reddito può integrare gli estremi del reato di truffa aggravata (cfr. Cass. nn. 6753 e 11186 del 1987, Cass. n. 9773 del 2009). 10. L’istituto è, invero, preordinato, secondo quanto prescritto dall’art. 38 Cost., ad eliminare la situazione di bisogno, socialmente rilevante, in cui si vengano a trovare i lavoratori in ipotesi in cui essi perdano in tutto o in parte il lavoro. E’ in tale prospettiva che, in questa ed in altre discipline analoghe (come l’indennità di disoccupazione e l’indennità di mobilità), si collocano quelle specifiche disposizioni normative che sono dirette a fissare i limiti entro cui i beneficiari di tali forme assistenziali possano svolgere attività di lavoro produttive di reddito, al fine di non sottrarre all’intervento previdenziale la sua giustificazione sociale. 11. In questo contesto si inserisce, dunque, l’obbligo della comunicazione (o della c.d. autocertificazione) di cui del D.L. n. 86 del 1988, art. 8, comma 5: il legislatore ha previsto l’obbligo di comunicazione preventiva per evitare il cumulo delle provvidenze economiche. Nello stesso senso, l’autocertificazione prevista dalla circolare Inps per il personale di volo soggetto a periodici rinnovi delle abilitazioni, persegue lo scopo di consentire all’ente previdenziale la verifica del periodo di attività lavorativa e formativa svolta e la natura dei compensi. 12. La ratio della disposizione normativa è quella di consentire all’Inps la tempestiva verifica della compatibilità tra l’integrazione salariale e la prestazione lavorativa che il lavoratore si appresta a svolgere, ma non va sottaciuta anche l’ulteriore finalità di responsabilizzazione del percipiente, soprattutto nell’attuale momento storico che ha visto, come autorevole dottrina ha segnalato, un progressivo “aumento a pioggia” degli interventi di tipo assistenziale, con conseguente rilevante aggravio per la finanze pubbliche. 13. La suddetta interpretazione trova conferma negli orientamenti giurisprudenziali. 14. Il giudice delle leggi, invero – verificando la questione di legittimità costituzionale della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 118, in relazione al parametro costituzionale di cui all’art. 3 Cost., sollevata per aver trascurato, il legislatore, l’identità di condizioni tra il lavoratore disoccupato e il lavoratore in cassa integrazione guadagni straordinaria – ha precisato (Corte Cost 5.12.2019 n. 256, che richiama, altresì, Corte Cost. 184 del 2000) che anche in caso di fruizione di trattamento straordinario di integrazione salariale “a zero ore”, il rapporto di lavoro, ancorchè sospeso nei suoi principali obblighi sinallagmatici, concernenti la prestazione lavorativa e la retribuzione, sostituita dalla prescritta indennità a carico dell’INPS, continua a produrre altri effetti ed obblighi, quali: la computabilità, ai sensi dell’art. 2120 c.c., comma 3, nella retribuzione utile ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto dell’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro; il riconoscimento della valenza previdenziale del periodo di sospensione dal lavoro tramite l’istituto della contribuzione figurativa, calcolata sulla base della retribuzione globale cui è riferita l’integrazione salariale; il mantenimento degli obblighi di fedeltà, correttezza e buona fede (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 5 marzo 2008, n. 5929 e 5 agosto 2004, n. 15129). La Corte Costituzionale ha, inoltre, evidenziato la funzione svolta dalla c.i.g.s., che presuppone la prospettiva della ripresa dell’attività lavorativa, e il mantenimento a questo fine del rapporto di lavoro. 15. Questa Corte (Cass. n. 6712 del 1995) ha affermato che del D.L. n. 86 del 1988, art. 8, comma 4 – letto in combinato disposto con il D.Lgs. n. 788 del 1945, art. 3, comma 2, in virtù del quale la c.i.g. non può essere “ corrisposta a quei lavoratori che durante le giornate di riduzione del lavoro si dedichino ad altre attività remunerate” – consente di affermare che

il divieto di cumulo tra il beneficio della integrazione salariale e emolumenti retributivi seppur non forma oggetto di espressa statuizione, è desumibile dalla “ratio” della vigente normativa. Tale ratio è stata più volte ribadita da pronunce di questa Corte Suprema (ex multis Cass. n. 4419 del 1993; Cass. n. 12487 del 1992; Cass. n. 3901 del 1991) nel senso del divieto di cumulo fino alla concorrenza tra le somme integrabili corrisposte dall’INPS e proventi di altre attività, in concreto espletate e remunerate, sia subordinate che autonome (con conseguente compatibilità di un rapporto di lavoro a tempo parziale con altri rapporti di lavoro parimenti a tempo parziale; cfr. altresì sul punto Cass. n. 11150 del 1992, dovendosi far riferimento alla “giornata di lavoro effettivo”). 16. Nello stesso senso, Cass. n. 10755 del 1990, ha precisato che dette norme debbono essere interpretate in conformità ai principi dettati dagli artt. 36 e 38 Cost., “nel senso che lo svolgimento di attività lavorativa remunerata, sia essa subordinata od autonoma, durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale comporta non la perdita del diritto all’integrazione per l’intero periodo predetto ma solo una riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai proventi di quell’altra attività lavorativa”. 17. Più recentemente, Cass. n. 26520 del 2013 (nonchè Cass. n. 13577 del 2011; Cass. n. 14196 de 2010; Cass. n. 5720 del 2009; Cass. n. 4004 del 2007; Cass. n. 173 del 2006; Cass. n. 11679 del 2005; Cass. nn. 15890 e 5019 del 2004) ha ribadito l’orientamento in materia di decadenza del lavoratore dal trattamento di cassa integrazione, nel caso in cui si ometta di comunicare preventivamente all’Inps lo svolgimento di attività lavorativa, rilevando che il D.L. n. 86 del 1988, art. 8, ammette la possibilità per il lavoratore in cassa integrazione di svolgere attività di lavoro autonomo o subordinato, senza però mantenere per le giornate remunerate il diritto a tale trattamento, ma lo obbliga a comunicare preventivamente all’INPS lo svolgimento di tali attività, pena, appunto, la decadenza dal trattamento stesso. 18. In particolare, questa Corte – ponendo attenzione alla finalità della decadenza, ossia di consentire all’INPS la corretta gestione dell’integrazione salariale prevenendone l’indebita erogazione e favorendo i necessari controlli per ridurre l’area del lavoro nero – ha precisato: che l’obbligo di comunicazione preventiva a carico del lavoratore interessato sussiste anche se la nuova occupazione dia luogo ad un reddito compatibile con il godimento del trattamento di integrazione salariale (Cass. n. 5019, del 2004); che essa riguarda ogni attività di lavoro autonomo (oltre che subordinato), anche non riconducibile allo schema contrattuale di cui agli art. 2222 c.c. e segg. e artt. 2230 c.c. e segg. (Cass. n. 11679 del 2005) e anche se svolta nell’ambito della partecipazione ad un’impresa, e ancora, più in generale, qualunque attività potenzialmente remunerativa, pur se in concreto non abbia prodotto alcun reddito e pur se l’ente previdenziale ne abbia avuto comunque tempestiva notizia da parte del nuovo datore di lavoro, o aliunde (Cass. n. 2788 del 2001). 19. L’ulteriore attività svolta non deve avere il carattere della “prevalenza”, in quanto tale requisito non è previsto dalla norma, con la conseguenza che va esclusa la necessità di ogni indagine giudiziale in ordine all’impegno temporale del lavoratore nell’attività svolta nei periodi di cassa integrazione, ovvero all’apporto economico di tale attività rispetto al totale dei redditi percepiti nel periodo (Cass. n. 8490 del 2003; Cass. n. 15890 del 2004), e neppure rileva che essa non sia soggetta a contribuzione (Cass. n. 2788 del 2001). 20. Insomma, l’ambito delle attività soggette alla comunicazione preventiva è individuato da questa Corte nel suo significato più ampio: l’attività lavorativa è intesa come insieme di condotte umane caratterizzate dall’utilizzo di cognizioni tecniche (anche se del genere più vario e della più diversa complessità), che siano obiettivamente idonee a produrre reddito. Vi rientrano, pertanto, tutte le attività qualificabili come lavorative nel senso sopra precisato (implicanti l’impiego di una professionalità, per quanto minima, e potenzialmente redditizie), senza che assuma rilievo la forma negoziale nella quale esse siano svolte (Cass. n. 2788 del 2001, che richiama il generico riferimento della legge all’attività lavorativa, come dato sostanziale, piuttosto che al dato formale del contratto di lavoro) o la loro effettiva remunerazione, rilevandone la sola potenziale “redditività”. 21. Ebbene, così inquadrato il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, nel caso di specie la Corte territoriale ha rilevato che il lavoratore non aveva inoltrato, al datore di lavoro e all’Inps, alcuna comunicazione preventiva nè alcuna autocertificazione. Ha esaminato l’offerta di lavoro ricevuta dal R. e funzionale ad un periodo di addestramento ai fini del conseguimento di una diversa abilitazione di volo (licenza di volo araba (Omissis), rispetto a quella posseduta, cui doveva fare seguito presso la compagnia aerea saudita l’assunzione, che però non era avvenuta per non essere stata conseguita la licenza richiesta; la Corte ha sottolineato, inoltre, che non era stata effettuata alcuna attività di volo; ha concluso che, anche considerando “periodo neutro” l’attività espletata a favore della diversa compagnia aerea, del pari nessuna comunicazione preventiva era dovuta al datore di lavoro, mancando un mutamento di status così come richiesto dalla direttiva aziendale del 16.4.2013, mentre per ciò che concerneva la comunicazione all’INPS, il lavoratore non poteva essere licenziato per una errata interpretazione della circolare. 22. La sentenza impugnata non si è conformata, però, in relazione alla contestazione disciplinare che ha incentrato l’addebito disciplinare (anche) sulla omessa comunicazione tempestiva dello svolgimento di attività

lavorativa regolarmente remunerata, ai principi espressi da questa Corte, che – come ampiamente riassunto – interpreta in maniera rigorosa gli obblighi informativi previsti dal D.L. n. 86 del 1988, art. 8, comma 5 e individua l’ambito delle attività soggette alla comunicazione preventiva nel suo significato più ampio quale attività lavorativa intesa come insieme di condotte umane caratterizzate dall’utilizzo di cognizioni tecniche (anche se del genere più vario e della più diversa complessità) che siano obiettivamente idonee a produrre reddito. 23. Sotto tale profilo, la Corte territoriale ha dato atto della esecuzione, da parte del lavoratore: a) della proposta contrattuale di lavoro ricevuta dalla compagnia aerea della Saudi Arabian Airlines; b) della riscossione di emolumenti retributivi (di cui non ha approfondito le relative componenti, nonostante questa Corte abbia elaborato precisi criteri di distinzione tra retribuzione e rimborsi spese, cfr. Cass. n. 12138 del 2011 e Cass. n. 15360 del 2002, ove si precisa che quando l’erogazione di denaro è connessa all’espletamento di attività funzionale alla vera e propria prestazione essa ha natura retributiva), senza la sospensione degli strumenti di sostegno al reddito erogati dallo Stato italiano; c) della previsione della necessità di una comunicazione a datore di lavoro ed ente previdenziale (quantomeno in forma di autocertificazione, a sua volta sottoposta ad un preciso termine di inoltro, anche in caso di esito negativo dell’addestramento); d) della espressa previsione, nella disposizione aziendale 16.4.2013, dell’obbligo di comunicazione di cambiamenti di status. Ha, però, poi in sostanza, ritenuto insussistente (nell’accezione di giuridicamente irrilevante) la condotta omissiva tenuta dal lavoratore, con ciò non conformandosi all’orientamento di questa Corte che rinviene la “insussistenza del fatto contestato” solamente ove lo stesso (pur materialmente sussistente) sia privo del carattere di illiceità (cfr. Cass. n. 3655 del 2019, Cass. n. 13383 del 2017, Cass. n. 20540 del 2015), restando estranea alla fattispecie la diversa questione della proporzione tra fatto sussistente e di illiceità modesta, come nel caso di specie, ove – ferma la sussistenza del fatto contestato – è stata ravvisata, per concedere la tutela reintegratoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, una errata interpretazione della circolare INPS, in ordine alla eventuale indebita percezione dell’indennità di integrazione salariale in presenza di altri redditi e ove è stato ritenuto assente l’obbligo informativo, nei confronti del datore di lavoro, sulla base di una errata nozione di attività lavorativa, quando, invece, era necessario operare, in ogni caso, anche in assenza di giusta causa, una valutazione di proporzionalità tra la sanzione ed il comportamento dimostrato: accertamento che, in caso negativo, avrebbe dovuto indurre a ravvisare, se del caso, le “altre ipotesi” di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, per le quali è prevista la tutela indennitaria forte (Cass. n. 31529 del 2019). 24. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso va accolto per quanto di ragione in relazione alla denunciata violazione del D.L. n. 86 del 1988, art. 8, commi 4 e 5, convertito nella L. n. 160 del 1988; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Milano, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame, attendendosi ai principi sopra esposti e provvederà altresì alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano (Omissis)

Attività di lavoro durante la Cassa integrazione fra regole previdenziali e rapporto di lavoro

Sommario: 1. Il caso. – 2. Le argomentazioni della sentenza. – 3. Gli obblighi del lavoratore nell’ambito del rapporto previdenziale di integrazione salariale e quelli nell’ambito del rapporto di lavoro. – 4. Le conclusioni sulla (il)legittimità del licenziamento.

Sinossi. La sentenza in commento riguarda la legittimità del licenziamento di un lavoratore (pilota dipendente da compagnia aerea) che aveva omesso di informare sia l’Istituto previdenziale sia il datore di lavoro dello svolgimento, presso altra compagnia aerea, di attività remunerata di tirocinio e addestramento. La sentenza, senza considerare espressamente il problema del rapporto fra obblighi di carattere previdenziale e obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, considera illecita la mancata informazione, e dunque sussistente il fatto contestato, demandando al giudice di rinvio l’accertamento della proporzionalità fra comportamento illecito e sanzione.

Abstract. This ruling concerns the legitimacy of the dismissal of an employee (a pilot employed by an airline company) who had failed to inform both the Social Security Institution and the employer of the fact that he was carrying out paid internship and training activities at another airline company. The ruling, without expressly considering the problem of the relationship between social security obligations and obligations deriving from the employment relationship, considers the failure to inform unlawful, and therefore the contested fact existed, leaving it to the referring judge to ascertain the proportionality between the unlawful conduct and the sanction.

1. Il caso.

Il caso deciso dalla Corte di Cassazione riguarda un pilota di una compagnia aerea italiana che, nel periodo in cui lo stesso era stato collocato in Cassa integrazione (si trattava di Cassa straordinaria a rotazione) aveva partecipato – senza darne notizia né all’INPS, né al proprio datore di lavoro – ad un processo di addestramento, di carattere esclusivamente teorico e tuttavia remunerato, a favore di una compagnia aerea araba, in vista di una possibile assunzione presso quest’ultima, che peraltro non aveva avuto seguito, non avendo il pilota conseguito la licenza di volo araba. La compagnia datrice di lavoro, venuta a conoscenza del fatto in virtù del verbale di accertamento con il quale l’INPS aveva rilevato la irregolarità ai fini del diritto alla prestazione previdenziale (erogata dall’INPS medesimo e dal Fondo speciale per il trasporto aereo), aveva proceduto ad una contestazione disciplinare, il cui tenore è riportato per intero dalla sentenza in commento. Risulta perciò che

al pilota era stata contestata – tanto con riferimento al rapporto di lavoro in essere e agli obblighi dallo stesso derivanti, quanto con riferimento alla posizione di soggetto percettore di indennità di sostegno al reddito – da un lato la mancata, tempestiva comunicazione dello svolgimento di attività lavorativa durante il periodo di Cassa integrazione, e dall’altro lato il continuato incasso del trattamento integrativo di sostegno al reddito, così da porre in essere un comportamento truffaldino finalizzato ad indurre in inganno il datore di lavoro e a percepire somme cui il lavoratore stesso non aveva diritto. La compagnia, respinte le giustificazioni, aveva intimato il licenziamento per giusta causa.

Nell’impugnare giudizialmente il licenziamento, il lavoratore aveva posto l’accento: sul fatto che quella da lui svolta non poteva considerarsi come attività lavorativa in senso proprio (tale da far scattare gli obblighi e le preclusioni della disciplina previdenziale), sul fatto che si era trattato di un mero tirocinio teorico, e che nessuna assunzione era poi seguita presso la compagnia aerea araba. Argomenti, questi, che entrambi i giudici di merito avevano in sostanza accolto, da un lato escludendo che fosse stato provato il fatto contestato (cioè lo svolgimento di attività lavorativa preclusa), dall’altro lato qualificando come “neutro” il periodo in questione, in quanto finalizzato esclusivamente al mantenimento delle licenze e dell’abilitazione al volo, donde l’insussistenza di obblighi di preventiva comunicazione e la cumulabilità del trattamento di integrazione con quanto percepito durante il periodo di addestramento.

La compagnia aerea ha proposto ricorso per cassazione denunciando essenzialmente la violazione della normativa concernente gli obblighi di comunicazione circa lo svolgimento di attività lavorativa durante la Cassa integrazione, e la violazione dell’art. 2119 c.c., essendo a suo avviso rilevante, ai fini della presenza di giusta causa, la oggettiva percezione, nel periodo di sospensione, di altro reddito, a prescindere dalla sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro che quel reddito giustifichi.

2. Le argomentazioni della sentenza.

La sentenza in commento accoglie il ricorso della compagnia aerea. Lo fa con una serie di argomentazioni articolate e puntuali circa la disciplina relativa alla Cassa integrazione e agli obblighi di comunicazione circa lo svolgimento di attività lavorative diverse. Meno chiara mi sembra la reciproca relazione fra obblighi sul fronte previdenziale e obblighi concernenti il rapporto di lavoro, questi ultimi decisivi ai fini dell’accertamento della giusta causa di licenziamento. Ma procediamo con ordine.

La ricostruzione della disciplina previdenziale è, come detto, articolata e puntuale, e ad essa si può fare rinvio.

In sintesi, l’art. 8, commi 4 e 5 del d.l. n. 86/1988, convertito nella l. n. 160/1988 stabilisce il principio della cumulabilità solo parziale tra integrazione salariale e altre attività lavorative remunerate. Non vi è dunque una incompatibilità assoluta fra il trattamento di integrazione e la remunerazione di altre attività, posto che queste ultime determinano – salvo che non siano a tempo pieno e indeterminato – non la perdita del trattamento previdenziale, ma una semplice riduzione dello stesso con riguardo alle giornate di lavoro effettivamente svolte, e fino a concorrenza della relativa remunerazione Anche ove

vi sia astratta compatibilità, peraltro, è necessaria una preventiva comunicazione all’ente previdenziale circa l’inizio delle diverse attività lavorative, onde consentire all’ente stesso di svolgere i necessari controlli proprio sulla parziale compatibilità. Nella specifica disciplina del personale pilota, poi, occorre tener conto degli obblighi, ben comprensibili, di periodica partecipazione a fasi di addestramento al fine di conservare le prescritte abilitazioni al volo. Partecipazione che, se non richiede la preventiva comunicazione all’INPS, impone tuttavia una specifica autocertificazione (come previsto dalle circolari INPS per il personale di volo n. 94/2011 e n. 130/2010), anch’essa in funzione di una verifica circa la finalizzazione o meno dell’attività prestata al mantenimento delle abilitazioni per il volo o invece circa il suo carattere di vera e propria prestazione corrispettiva.

Non è difficile, pertanto, l’individuazione, fatta dalla Cassazione, della ratio di questa disciplina: quella di evitare indebiti arricchimenti a vantaggio di chi goda di trattamenti pubblici di sostegno al reddito, arricchimenti che potrebbero addirittura integrare il reato di truffa. Tanto la preventiva comunicazione, quanto l’autocertificazione propria della disciplina specifica per i piloti, hanno dunque la finalità di consentire i controlli, oltre che, aggiunge la Corte, quella di responsabilizzare il percipiente.

La Cassazione, dopo un inciso (il par. 14) sul quale si ritornerà più avanti circa il permanere dell’obbligo di fedeltà durante il periodo di integrazione salariale, ripercorre in modo esaustivo e convincente la propria precedente giurisprudenza sull’ambito di applicazione dell’obbligo di preventiva comunicazione (e, mutatis mutandis, su quello di preventiva autocertificazione). Un ambito individuato in modo assai ampio, avendo esso riguardo ad ogni attività lavorativa – non necessariamente legata ad un contratto di lavoro – che sia produttiva di un reddito, ancorché compatibile con il trattamento di integrazione salariale (secondo quella cumulabilità parziale sopra ricordata); di più: ad ogni attività lavorativa anche solo potenzialmente remunerativa, ancorché in concreto non produttiva di reddito. La conclusione è che sono oggetto di comunicazione preventiva (e di autocertificazione) le «condotte umane caratterizzate dall’utilizzo di cognizioni tecniche (anche se del genere più vario e della più diversa complessità) che siano obiettivamente idonee a produrre reddito».

Alla luce di questa condivisibile nozione assai ampia di attività lavorativa con obbligo di comunicazione (e di autocertificazione), la Cassazione giudica irrilevanti le giustificazioni, accolte dal giudice d’appello, circa la insussistenza di un nuovo rapporto di lavoro, sia durante lo svolgimento dell’addestramento, sia in esito ad esso, con conseguente esclusione della rilevanza della disposizione aziendale che prevedeva l’obbligo di comunicazione dei soli cambiamenti di status in senso proprio. Dopodiché, passando – forse un po’ bruscamente – alla questione della legittimità del licenziamento, essa imputa al giudice d’appello di avere erroneamente ritenuto insussistente il fatto contestato, laddove invece, il fatto medesimo (l’omessa comunicazione) era da considerarsi come materialmente sussistente e semmai da valutare sul piano della proporzionalità, con applicazione delle «altre ipotesi» di cui al comma 5 dell’art. 18 St.: ciò anche ove fosse stata accertata, come il lavoratore aveva sostenuto, una erronea interpretazione della circolare INPS (circa i redditi incompatibili con l’integrazione salariale) e una altrettanto erronea interpretazione della disciplina aziendale circa l’ambito di applicazione dell’obbligo di comunicazione.

Da ciò l’accoglimento del ricorso con rinvio, per la possibile applicazione del comma 5 dell’art. 18 St. e della tutela indennitaria ivi prevista.

3. Gli obblighi del lavoratore nell’ambito del rapporto previdenziale di integrazione salariale e quelli nell’ambito del rapporto di lavoro.

La sentenza in commento, come visto, argomenta in modo esaustivo circa le condizioni alle quali è ammesso il (parziale) cumulo fra integrazione salariale e compensi acquisiti in base ad altre attività lato sensu di lavoro. Lascia invece un po’ in ombra il problema del rapporto fra obblighi del lavoratore nell’ambito del rapporto previdenziale e obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, dando forse per scontata la reciproca interferenza, né sembra tenere nel dovuto conto il tenore della contestazione disciplinare (pur riportata per esteso), cioè dell’atto che, in tema di licenziamento disciplinare, delimita la materia oggetto del contendere, fissando immutabilmente gli addebiti sui quali poi si basa il provvedimento espulsivo e la sua successiva valutazione da parte del giudice.

Come sopra anticipato, al par. 14 la sentenza, dopo aver richiamato due pronunce della Corte costituzionale sul significato del permanere del rapporto di lavoro in costanza di sospensione per Cassa integrazione, non manca di precisare che quel rapporto, pur sospeso nei suoi principali obblighi sinallagmatici (di lavorare e di retribuire), continua a produrre effetti, fra i quali, oltre al computo del periodo di integrazione ai fini del trattamento di fine rapporto e all’utilizzazione del parametro retributivo ai fini della contribuzione figurativa, si segnala il permanere dell’obbligo di fedeltà. Una conclusione, questa, assolutamente corretta, che fa giustizia di una espressione – quella della sospensione tout court del rapporto – talora usata in modo improprio, posto che taluni obblighi permangono intatti. Ma al giusto richiamo all’obbligo di fedeltà come ad uno di questi obblighi, che non viene meno in caso di intervento della Cassa integrazione, la Cassazione non sembra far derivare specifiche conseguenze. In particolare, non sembra imputare alla sua violazione la legittimità del licenziamento. Sia chiaro: il giudizio di cassazione è un giudizio che viaggia su binari rigidi, e se certi profili di censura della sentenza impugnata non si traducono in specifici motivi di ricorso, la Corte non se ne può occupare. Ma, con tutte le cautele del caso (legate alla mancata conoscenza degli atti processuali), la possibile rilevanza della violazione dell’art. 2105 c.c., seppure in modo indiretto, avrebbe potuto essere considerata se non altro al fine di perimetrare gli obblighi sul piano previdenziale rispetto a quelli derivanti dal rapporto di lavoro, e al fine di convalidare o meno – nel prisma dell’art. 2119 c.c. – la lettura che i giudici di merito avevano dato della stessa contestazione di addebito. Contestazione nella quale lo svolgimento di «attività lavorativa remunerata a favore di altro vettore aereo» era stato ben dedotto, anche se quasi a premessa dei comportamenti, poi specificatamente descritti, di omessa, tempestiva comunicazione e di perdurante fruizione del trattamento di integrazione salariale nonostante lo svolgimento di altra attività lavorativa remunerata.

La precisazione di cui sopra avrebbe potuto portare a separare la sfera dell’illecito previdenziale da quella dell’illecito disciplinare: il primo fondato sullo svolgimento, in

costanza di trattamento previdenziale, di una attività remunerata, dove quel che conta non è la tipologia contrattuale ma la remunerazione in sé (che non può cumularsi con l’integrazione salariale); il secondo fondato su un’attività anch’essa non specificata quanto a tipologia negoziale, ma avente come caratteristica finalità quella della concorrenza al datore di lavoro, che come tale viene inibita. D’altra parte, non sembra si debbano mobilitare particolari argomenti per rilevare come una cosa è l’obbligo (previdenziale) di non procurarsi, in costanza di trattamento integrativo, altre remunerazioni, altra cosa è il vincolo a non svolgere attività in concorrenza. Il primo è fondato sull’interesse pubblico a destinare risorse per la garanzia di tutele adeguate alle esigenze di vita in caso di bisogno (art, 38 Cost., comma 2). Il secondo soddisfa l’interesse privato del datore di lavoro a non subire attività in concorrenza da parte di chi sia al tempo stesso suo dipendente. Sembra perciò difficile non riconoscere che gli obblighi di preventiva comunicazione (o autocertificazione) siano finalizzati, come sopra visto, ad un meccanismo di controllo a tutela, essenzialmente, dei primi fra gli interessi di cui sopra, cioè a quelli pubblici rappresentati dall’ente previdenziale.

Il fatto è, peraltro, che nella controversia specifica, era stato lo stesso datore di lavoro a mescolare i due piani. Pur premettendo, nella contestazione (come visto), il riferimento allo svolgimento di attività lavorativa a favore di altro vettore aereo (donde la possibile, ancorché non dettagliata, violazione dell’art. 2105 c.c.), egli aveva dapprima imputato al lavoratore la mancata comunicazione (anche nei confronti dell’INPS) dello svolgimento di altra attività lavorativa, per poi addirittura atteggiarsi a difensore, in luogo dell’istituto previdenziale, degli interessi pubblici a non corrispondere trattamenti non dovuti. Il richiamo al comportamento truffaldino, infatti, non mi pare potesse avere particolare significato dal punto di vista del datore di lavoro che, anche in caso di anticipo da parte sua del trattamento di integrazione (come sembra fosse nel caso di specie, pur trattandosi di Cassa integrazione straordinaria), non avrebbe subìto danni, almeno in linea di principio, ove il trattamento si fosse in seguito rivelato indebito. E suona un poco strano che il datore di lavoro potesse per suo conto qualificare come illegittime le somme percepite, posto che un tale giudizio sarebbe stato di competenza dell’ente previdenziale (nell’ambito del relativo rapporto giuridico), in esito alla verifica affidata solo a quest’ultimo. Senza contare che nel caso specifico dei piloti di aereo, la disciplina speciale ben ammette lo svolgimento di attività di addestramento (anche retribuita), al fine di mantenere la licenza: il che avrebbe forse spostato la questione sulle caratteristiche dell’attività svolta in concreto, da confermarsi, in ipotesi, come illecita perché indirizzata non a mantenere la licenza nonostante la sospensione dell’attività di lavoro, ma a conseguirne una di nuova, da utilizzare poi con il nuovo vettore aereo, epperò da collocare, proprio per questo, nel cono della violazione dell’obbligo di fedeltà.

Se dunque, in astratto, i due profili – quello previdenziale e quello del rapporto – vanno tenuti distinti, non si può negare, tuttavia, che possano profilarsi delle interferenze: in concreto e in astratto.

La prima (in concreto) la si può ricavare da un passaggio della sentenza (par. 23) nel quale, riportando un’affermazione della pronuncia di appello, la Cassazione fa cenno ad una «disposizione aziendale 16.4.2013» concernente l’obbligo di comunicazione anche al datore di lavoro dei «cambiamenti di status». Non è dato capire quale rilevanza sia stata

assegnata nel corso del processo (e in particolare in sede di giudizio di legittimità) a questo obbligo (contrattuale), certamente disatteso dal lavoratore. Ma, al di là dei problemi e delle preclusioni processuali, mi pare si possa affermare che un simile obbligo, se previsto (come nel caso di specie in un regolamento aziendale) costituisce un punto di contatto fra la sfera previdenziale e quella del rapporto. Nel momento in cui all’obbligo di comunicazione all’INPS (a tutela di interessi pubblici) si affianca l’obbligo di comunicazione al datore di lavoro circa lo svolgimento di altra attività lavorativa in corso di integrazione salariale, si deve ammettere che la violazione anche di quest’ultimo possa produrre conseguenze sul piano del rapporto. Nel caso di specie, peraltro, con il limite stabilito dalla stessa disposizione aziendale, e cioè in presenza non di una qualsivoglia attività lavorativa (com’è per l’obbligo informativo nei confronti dell’INPS), ma di quell’attività che comporti un mutamento di status, e dunque con carattere tendenzialmente stabile ed esclusivo.

La seconda interferenza (in astratto) è di carattere più generale, anche se, a ben vedere, generica. Mi riferisco a quella risalente, e scarsa, giurisprudenza di merito che ha ritenuto la mancata comunicazione all’INPS circa lo svolgimento di attività lavorativa durante il periodo di sospensione come elemento sufficiente per compromettere il vincolo fiduciario costituito con il rapporto di lavoro. La tesi mi sembra forzata. Quanto meno è da escludere ogni automatismo fra violazione di obblighi previdenziali e venir meno della fiducia nell’ambito del rapporto, essendo pur sempre necessaria una valutazione specifica circa la rilevanza dell’obbligo previdenziale e circa il peso della sua violazione nell’ambito del rapporto di lavoro: non a caso la stessa Cassazione, in un caso in qualche modo comparabile, ha recentemente escluso la legittimità del licenziamento intimato per mancato, tempestivo invio all’ente previdenziale del certificato di malattia a fronte di una malattia effettiva (Cass. n. 18858/2016). In questa prospettiva la violazione dell’obbligo previdenziale di informazione assume rilevanza preponderante e finisce per assorbire la questione.

Né sembra che la stessa trovi una sua spiegazione in un diretto interesse del datore di lavoro alla corretta attuazione del rapporto previdenziale derivante dall’essere egli anticipatario del trattamento di Cassa integrazione (come nel caso di specie). Ed infatti, il suo interesse è meramente eventuale e di fatto, per il caso in cui – accertato l’indebito previdenziale – egli sia costretto a recuperare le somme anticipate indebitamente dal lavoratore.

4. Le conclusioni sulla (il)legittimità del licenziamento.

La sentenza in commento non prende espressa posizione sui problemi segnalati circa autonomia e interferenze fra i due piani, previdenziale e del rapporto contrattuale. Ma allorché nelle conclusioni essa rimprovera alla pronuncia d’appello di non aver dato agli obblighi informativi (previdenziali) il più ampio significato possibile – di condotta umana caratterizzata dall’utilizzo di cognizioni tecniche obiettivamente idonee a produrre reddito – sposa la tesi della reciproca interferenza, rectius, la tesi della necessaria ricaduta della violazione dell’obbligo previdenziale sul rapporto di lavoro. La violazione dell’autonomo obbligo (contrattuale) di comunicazione (oltre che all’INPS, anche) al datore di lavoro sfuma del tutto, così come finisce per perdersi la possibile violazione dell’obbligo di fedeltà.

Ma l’adozione di questa prospettiva – la violazione di un obbligo previdenziale che si traduce in un inadempimento anche contrattuale – non porta la Cassazione a rovesciare la sentenza di merito e a giudicare legittimo il licenziamento (o quanto meno a orientare il giudice di rinvio verso un tale esito). L’argomentazione, sopra analizzata, circa l’ampiezza dell’obbligo informativo (sul piano previdenziale, ma con implicita ricaduta sul rapporto di lavoro) serve alla Corte allo scopo di censurare la valutazione, fatta dal giudice d’appello, circa l’insussistenza del fatto contestato (in base alla quale quest’ultimo aveva disposto la tutela reintegratoria), lasciando aperta la soluzione nel giudizio di rinvio. In effetti, il giudice d’appello – per quel che si può capire dalla sentenza di legittimità – era incorso nell’errore, non infrequente nella giurisprudenza di merito, di sovrapporre il nuovo requisito della insussistenza del fatto contestato al vecchio requisito della mera assenza di giustificazione: un’interpretazione, questa, che si rifiuta di metabolizzare la profonda modifica dell’art. 18 St. e la nuova prospettiva della ingiustificatezza c.d. qualificata che, sola, può garantire ancora la reintegrazione nel posto di lavoro. La Cassazione corregge l’errore, esigendo per l’applicazione della tutela reale non la insussistenza del fatto dal punto di vista materiale (tesi dottrinale orami isolata), ma la insussistenza di profili di illiceità del comportamento. Situazione, quest’ultima, non ricorrente nel caso di specie, per tutto quanto argomentato dalla Corte circa l’ampiezza dell’obbligo di informazione violato dal lavoratore sulla base di una nozione ristretta (e perciò errata) di attività lavorativa soggetta all’obbligo informativo di cui alla disciplina previdenziale dell’integrazione salariale.

La questione viene perciò ricondotta al tema della proporzionalità tra il fatto sussistente e la sanzione da applicare, per una illiceità, peraltro, che la Corte si sbilancia a qualificare come «modesta». Non sarà che questa possa essere considerata come una invasione di campo, nel territorio, riservato al giudice di merito, della valutazione di proporzionalità del comportamento inadempiente del lavoratore, ma poco ci manca. D’altra parte, non può non lasciare qualche perplessità la complessa ricostruzione dell’obbligo informativo, fondato sulla tutela di rilevanti interessi pubblici a non erogare trattamenti previdenziali in assenza di reale bisogno (e addirittura con mezzi truffaldini), se poi la lesione di quegli interessi viene degradata a illiceità modesta. A meno che la apparente contraddizione non si spieghi proprio sul piano degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, dove sono in gioco solo interessi privati: è su questo piano, infatti, che la violazione degli obblighi informativi (ove previsti, come nel caso di specie, anche nei confronti del datore di lavoro) potrebbe qualificarsi come illiceità solo modesta. Con il che, però, la sentenza rimarrebbe affetta da una sottile contraddizione interna, con la enfatizzazione dell’obbligo violato e però la minimizzazione delle sue conseguenze sanzionatorie.

Non sarà facilissimo il compito del giudice di rinvio, stretto fra l’accertamento non più revocabile della violazione di un obbligo in capo al lavoratore descritto come “pesante” e l’indicazione di una possibile conseguenza sanzionatoria di notevole favore per il lavoratore medesimo, il quale potrebbe comunque acquisire definitivamente l’accertamento della illegittimità del licenziamento.

Carlo Cester

This article is from: