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della giurisprudenza di merito ......................................................................................................... »
from Labor4/21
tribunale di bresCia, sentenza 17 aprile 2018; G.L. S. Mossi – V. N. (avv. M. Piccinelli e R. Ferrara) c. Istituti
Ospedalieri Bresciani S.p.A. (avv. M. Lascioli).
Licenziamenti – impugnativa di licenziamento – trasmissione via pec – validità
La trasmissione a mezzo p.e.c. da parte del difensore del lavoratore della copia della impugnativa del licenziamento mediante scansione del documento cartaceo, ricevuta regolarmente dal datore di lavoro, integra il requisito della forma scritta richiesto dall’art. 6 della legge 604/66.
svolGiMento del proCesso.
Con ricorso depositato il 16 marzo 2017 V. N. ha proposto opposizione avverso l’ordinanza con cui il tribunale decidendo sul ricorso ex art. 1 co 47 legge 92/2012 proposto dallo stesso per l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli con lettera del 30.05.2015 dalla società convenuta, susseguente a contestazione disciplinare del 27.04.2015, ne aveva dichiarato l’inammissibilità. (Omissis)
Motivi della deCisione.
La convenuta ha eccepito in via preliminare la decadenza dall’impugnativa del licenziamento ex art 6 l.604/1966 per la carenza di una valida impugnazione da parte del lavoratore.
In proposito, risulta dalla documentazione in atti che il difensore del lavoratore ha provveduto a inoltrare a mezzo pec la scansione della copia cartacea dell’atto di impugnativa del licenziamento sottoscritta dal lavoratore all’indirizzo di posta elettronica certificata del datore di lavoro.
La società convenuta ha sostenuto che l’atto di impugnativa stragiudiziale del licenziamento, quando posto in essere con modalità tradizionali (id est analogiche = cartacee), deve esserlo – a pena di nullità – nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata e che quando, invece, venga posto in essere con modalità digitali, trova applicazione l’art. 21, comma 2-bis, del ca. che prescrive: (Omissis) le scritture private di cui all’articolo 1350, primo comma, numeri da 1 a 12, del codice civile, se fatte con documento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullità, con firma elettronica qualificata o con firma digitale.
Gli atti di cui all’articolo 1350, numero 13), del codice civile soddisfano comunque il requisito della forma scritta se sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale.’
Tale impostazione, peraltro, non è condivisibile.
In primo luogo, va osservato come l’art. 6 della legge 604 del 1966 che stabilisce l’onere della impugnativa del licenziamento entro il termine perentorio di 60 giorni a pena di decadenza preveda che l’impugnativa stragiudiziale possa essere effettuata con qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore senza l’adozione di formule sacramentali.
Alla luce dei principi generali che regolano l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore, dunque, vi è piena libertà di forma nella predisposizione della impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore purché sia osservato il requisito della forma scritta; non è invece previsto da alcuna disposizione normativa che l’impugnazione del licenziamento debba avvenire nella forma solenne dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, forma che richiederebbe, ogni volta che il lavoratore provvede a contestare per iscritto il licenziamento che la sottoscrizione apposta alla lettera di licenziamento sia quantomeno autenticata da un pubblico ufficiale ovvero altro soggetto pubblico autorizzato.
Risulta, dunque, non conferente con il caso concreto il richiamo effettuato dalla difesa della parte convenuta alle norme della legge n. 82 del 2005 capo ii in tema di documenti informatici e di firme elettroniche (art. 21 e art. 22), espressamente applicabili anche ai rapporti tra privati, atteso che, come detto, non è affatto necessario che l’impugnazione del licenziamento del lavoratore avvenga a mezzo di un atto avente piena efficacia a norma dell’art. 2702 c.c. e seguenti. Come noto, infatti, il d.lgs. 82 del 2005, nell’operare un distinguo tra la valenza probatoria dei ‘documenti informatici’ e delle ‘copie informatiche di documenti analogici’ (art. 21,22 e 23) detta le condizioni e i presupposti giuridici in presenza dei quali i documenti informatici trasmessi a mezzo pec rivestono piena efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2702 c.c. ovvero le copie informatiche di documenti analogici acquistano piena efficacia ai sensi degli art.li 2714 e 2715 c.c..
Per di più, la norma richiamata dalla difesa della convenuta (art. 21) attiene a fattispecie del tutto dif-
ferente da quella oggetto del presente giudizio atteso che
Essa si riferisce al ‘documento informatico’ che nasce come tale e che è sottoscritto con firma elettronica laddove nel caso in esame è pacifico che di informatico vi è stata soltanto la comunicazione a mezzo pec da parte del difensore della copia informatica della lettera di impugnazione del licenziamento precedentemente emessa in forma cartacea e recante la sottoscrizione del lavoratore. Del resto, nessuna contestazione risulta sollevata da parte della società convenuta in ordine alla ricezione della comunicazione pec del difensore del lavoratore e del relativo allegato mentre la perplessità manifestata in merito alla mancanza di certezza in ordine alla conformità della copia ricevuta della lettera di contestazione del licenziamento all’originale e all’autenticità della firma del lavoratore appare priva di rilievo e superata dal fatto che mai il lavoratore, unico soggetto che poteva avervi interesse siccome autore di quella dichiarazione, ha effettuato il disconoscimento della propria sottoscrizione o della paternità dell’atto che, anzi, ha provveduto personalmente a produrre in giudizio.
In sintesi, è corretto affermare, per quanto esposto, che la trasmissione a pezzo posta elettronica certificata da parte del difensore del lavoratore della copia della impugnativa del licenziamento mediante scansione del documento cartaceo, ricevuta regolarmente dal datore di lavoro, integri pienamente il requisito della forma scritta richiesto dall’art. 6 della legge 604/’66 con conseguente rigetto della eccezione di parte convenuta. (Omissis)
tribunale di Monza, ordinanza 29 gennaio 2020; G.L. L. Rotolo – (Omissis)
Licenziamenti – impugnativa di licenziamento – trasmissione via pec – validità.
La trasmissione a mezzo p.e.c. dell’impugnativa di licenziamento certifica l’avvenuta spedizione e ricezione della comunicazione, ma non può certificare la conformità degli atti allegati, che dovranno necessariamente essere sottoscritti digitalmente per assumere il valore di atto scritto.
svolGiMento del proCesso 1)
Il ricorrente (Omissis) – dipendente della resistente (Omissis) dal 2/4/07 ed addetto all’ufficio logistica – contesta la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato con comunicazione del 15/4/2019, in quanto tra l’altro il fatto è manifestamente insussistente e vi è stata violazione dei criteri di scelta.
Conclude il predetto chiedendo dichiararsi l’illegittimità del licenziamento, con conseguente applicazione in via gradata delle sanzioni di cui all’art. 18 L. 300/1970, così come meglio indicato nel ricorso.
La resistente (Omissis) contesta le avverse deduzioni e domande, chiedendone il rigetto. In via preliminare la predetta eccepisce tra l’altro la decadenza dal diritto di agire in giudizio a causa della carenza dell’impugnativa di licenziamento. 2)
In particolare la resistente evidenzia di aver ricevuto il 14/5/19 a mezzo PEC la scansione dell’impugnativa del licenziamento, sottoscritta solo dal lavoratore. Tale comunicazione è priva della sottoscrizione autografa e digitale del lavoratore, nonché della sottoscrizione digitale del difensore (doc. 11 ric.). Evidenzia la convenuta che tale lettera è inidonea a far salvo il termine di decadenza di 60 giorni (art. 6 L. 604/66), perché priva dei requisiti di forma di cui all’art. 2702 c.c., in subordine perché priva della sottoscrizione del lavoratore.
Motivi della deCisione.
L’eccezione di decadenza dall’impugnativa del licenziamento appare fondata.
L’art. 6 L. 604/66 conferisce al lavoratore personalmente – o anche per il tramite dell’organizzazione sindacale – la legittimazione ad impugnare il licenziamento.
La giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto valida (sin da Cass. n. 2179/87 e fino alla recente sentenza n. 3139/2019) l’impugnativa del licenziamento fatta da un rappresentante del lavoratore investito del relativo potere mediante procura rilasciata in forma
scritta, avente data certa anteriore alla scadenza del termine di decadenza.
L’impugnazione richiesta è atto unilaterale a contenuto patrimoniale, per il quale la forma scritta vincolata è richiesta per mere esigenze di certezza. Naturalmente il soggetto impugnante è tenuto a rispettare la disciplina prevista per la modalità di impugnazione che ritiene liberamente di scegliere. Qualora si avvalga della scrittura privata, quest’ultima deve necessariamente recare la firma autografa prescritta dall’art. 2702 c.c. ai fini dell’efficacia della scrittura privata.
La formazione e la trasmissione di documenti informatici e di copie informatiche di documenti analogici è disciplinata, per quanto qui interessa, dal D.L.vo 82/2005 (c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD, il cui testo vigente è il risultato di numerosi interventi di modifica: D.Lvo 179/16, D.Lvo 217/17).
Sulla base della normativa di settore il “documento informatico” è definito dall’art. 1, co. 1, lett. p), del citato decreto, come «il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti», mentre la «copia per immagine su supporto informatico di documento analogico» è definita dalla lett. i-ter) del menzionato comma quale il «documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto».
Si tratta, dunque, di fattispecie diverse per le quali il D.L.vo 82/05 detta regole distinte ai fini dell’efficacia sostanziale e probatoria.
Il documento informatico (in senso stretto) soddisfa il requisito della forma scritta e possiede l’efficacia di cui all’art. 2702 c.c. «quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualifica o una firma elettronica avanzata o, comunque, quando è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AGID … con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore» (art. 20, co. 1-bis, primo periodo). In assenza di tali caratteristiche, invece, l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio possono solo essere liberamente valutati in giudizio.
Nessun dubbio circa la validità ed efficacia ai sensi dell’art. 6, L. 604/66 della trasmissione via pec della scansione di un’impugnativa cartacea se la scansione sia stata firmata digitalmente dal lavoratore e/o dal legale. In tal caso, infatti, la scansione non ha semplicemente il carattere di copia elettronica di documento analogico, ma presenta i caratteri del documento informatico, contenendo la rappresentazione informatica dell’impugnazione del licenziamento, che assume tale rilievo in virtù della sottoscrizione digitale. Sulla base della normativa citata è la sottoscrizione digitale che attribuisce ai segni grafici riprodotti nella scansione il significato stesso di dichiarazione, collegando la sua emissione al sottoscrittore digitale.
Nell’ipotesi in cui la scansione dell’impugnazione cartacea non sia stata sottoscritta digitalmente, essa conserva la natura di mera «copia per immagine su supporto informatico di documento analogico», la cui efficacia probatoria ex art. 22 D.L.vo 82/05 sussiste solo in due ipotesi: ai sensi del co. 2, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato in virtù della vigente normativa; oppure, ai sensi del co. 3, se siano state formate nel rispetto delle Linee guida AGID (fino all’adozione di quest’ultime nel rispetto delle regole tecniche contenute nel D.P.C.M. 13/11/14 e relativi allegati) e la loro conformità all’originale non sia espressamente disconosciuta.
In conclusione la scansione di impugnativa cartacea di licenziamento, che come detto di per sé costituisce una mera copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico, per poter avere la validità e l’efficacia della scrittura privata ai sensi dell’art. 2702 c.c., sembra necessariamente dover possedere, alternativamente, le seguenti caratteristiche: a) essere sottoscritta dal lavoratore e/o dal difensore con firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata; in tal caso la scansione acquista natura di documento informatico (art. 1, co. 1, lett. p), ed è dotata dell’efficacia della scrittura privata (art. 20, co. 1-bis), b) essere accompagnata da (valida) attestazione di conformità da parte di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 22, co. 2).
Nella fattispecie che ci occupa l’atto cartaceo scansionato contiene la sola sottoscrizione non digitale del legale.
La procedura di trasmissione mediante PEC da parte del difensore certifica l’avvenuta spedizione e ricezione della comunicazione, con conseguente individuazione con certezza sia del mittente che del destinatario, ma non può certificare la conformità degli atti allegati, i quali necessariamente dovranno essere sottoscritti digitalmente per assumere il valore di atto scritto.
In conclusione la trasmissione al datore, tramite la pec del difensore, della scansione di una comunicazione cartacea di impugnativa di licenziamento redatta e sottoscritta in modo non digitale sembra inidonea ad impedire la decadenza ex art. 6, L. 604/66.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
tribunale di roMa, ordinanza 20 ottobre 2020; G.L. L. Redavid – M. F. (Omissis) c. RTL 102.5 HIT RADIO s.r.l. (Omissis)
Licenziamenti – impugnativa di licenziamento – trasmissione via pec – validità.
L’impugnativa del licenziamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, sia mediante una copia per immagine su supporto informatico di documento in originale cartaceo.
Motivi della deCisione. (Omissis)
Deve, poi, rigettarsi l’eccezione di invalidità dell’impugnativa del recesso in quanto inviata in allegato alla comunicazione via PEC non sottoscritta digitalmente dalla ricorrente o dal suo difensore con conseguente decadenza ex art. 32 c. 4 lett. d) della L.n. 183/10: nella specie l’impugnazione stragiudiziale è stata trasmessa via PEC dal difensore come allegato contenente la scansione dell’atto cartaceo che risulta sottoscritto dal difensore e dalla parte ma che non sottoscritto digitalmente né dalla ricorrente né dal difensore ed il messaggio della PEC reca l’indicazione “si veda l’allegata comunicazione… Avv. Valerio Mauro”; peraltro la ricevuta di avvenuta consegna reca la locuzione “Il giorno 13/05/2020 alle ore 11:20:54 (+0200) il messaggio “Impugnazione licenziamento Sig.ra (Omissis) diffida di pagamento e messa in mora” proveniente da (Omissis)@pec.legaletributario.net”.
In tema di licenziamento individuale, l’art. 6 della Legge n. 604/1966 prevede che l’impugnazione del licenziamento debba essere proposta dal lavoratore, a pena di decadenza, entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione o dalla notifica della lettera di licenziamento.
Si tratta, nello specifico, di un termine decadenziale che si differenzia dal più lungo termine prescrizionale di centottanta giorni previsto per l’esercizio in giudizio della relativa azione.
Sul punto, il citato art. 6, primo comma, precisa, inoltre, che l’impugnazione può essere compiuta “… con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore …”.
In tal contesto si pone il problema del valore ed efficacia della scansione dell’originale cartaceo dell’impugnativa, trasmesso tramite posta elettronica certificata (“PEC”) al datore di lavoro che sarebbe, secondo parte ricorrente, inidonea a contrastare le decadenze di cui all’art. 6 della Legge n. 604/66, poiché priva dei requisiti previsti dall’art. 2702 c.c., tra cui la sottoscrizione autografa e digitale del lavoratore e del difensore. Secondo la giurisprudenza di merito citata da parte ricorrente a sostegno del suo assunto, se l’impugnazione del licenziamento è un atto unilaterale a contenuto patrimoniale, vincolata alla forma scritta per mere esigenze di certezza e precisa e se, in ogni caso, “… il soggetto impugnante è tenuto a rispettare la disciplina prevista per la modalità di impugnazione che ritiene liberamente di scegliere”, tale atto, ai fini della sua validità sostanziale e probatoria, deve necessariamente possedere la forma di cui all’art. 2702 c.c., sia che la stessa avvenga con modalità cartacee che con modalità digitali: nel caso in cui, dunque, il lavoratore decida di avvalersi della scrittura privata sarà necessario che quest’ultima rechi la firma autografa del lavoratore e/o del difensore, mentre nel caso del documento informatico (di cui all’art. all’art. 1, c. 1, lett. p, del D.Lgs n. 82/2005 “Codice dell’ Amministrazione Digitale”, di seguito CAD) o della copia informatica di documenti analogici (la cd. “scansione”, di cui all’art. all’art. 1, c. 1, lett. i-ter, CAD) sarà, invece, necessaria la presenza dei requisiti di cui, rispettivamente, agli artt. 20 e 22 CAD. Fattispecie, quest’ultime, tra loro diverse ed in ordine alle quali, ai fini della loro efficacia probatoria e sostanziale, sono previste regole distinte dal CAD: mentre, infatti, il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta di cui all’art. 2702 c.c. solo in presenza di “una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, quando è formato, previa identificazione elettronica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID …”, la copia per immagine su supporto informatico di documento analogico possiede l’efficacia probatoria di cui al citato articolo del codice civile, solo in due occasioni e, nello specifico: – se formata nel rispetto delle linee guida AgID e non espressamente disconosciuta (art. 22, c. 3, CAD) – oppure, in presenza di un’attestazione di conformità resa da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 22, c. 2, CAD).
Nell’applicare le sopra riferite disposizioni normative alla fattispecie la giurisprudenza citata da parte ricorrente rileva l’assenza della sottoscrizione digitale del lavoratore e/o del difensore dell’impugnativa trasmessa in allegato al messaggio di PEC e che, in assenza di tale requisito, detto documento non presenterebbe i caratteri del “documento informatico”.
Per quanto riguarda, poi, la copia per immagine su supporto informatico la giurisprudenza citata afferma che “… per poter quest’ultima avere la validità ed ef-
ficacia della scrittura privata ai sensi dell’art. 2702 c.c. sembra necessariamente dover possedere, alternativamente, le seguenti caratteristiche: a) essere sottoscritta dal lavoratore e/o difensore con firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata; in tal caso la scansione acquista natura di documento informatico (art. 1, co. 1, lett. p) ed è dotato dell’efficacia della scrittura privata (art. 20, co. 1-bis); b) essere accompagnata da (valida) attestazione di conformità da parte di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 22, co. 2)”.
Circa quest’ultima, viene tuttavia rilevato da parte della sentenza citata che il documento trasmesso dal ricorrente “contiene la sola sottoscrizione non digitale del legale” e che, in ogni caso, la procedura di trasmissione mediante PEC “non può certificare la conformità degli atti allegati, i quali necessariamente dovranno essere sottoscritti digitalmente per assumere il valore di atto scritto”: anche in questo caso l’atto sembrerebbe, dunque, privo dei requisiti richiesti dal CAD. In ragione di quanto sopra esposto “la scansione della comunicazione cartacea di impugnativa di licenziamento redatta e sottoscritta in modo non digitale” viene, pertanto, considerata inidonea ad impedire la decadenza di cui all’art. 6 della Legge 604/66 ed il ricorso è stato, conseguentemente, dichiarato inammissibile.
Ora, ritiene il Giudice che tale giurisprudenza non sia condivisibile, sulla scorta delle osservazioni svolte da alcuni commentatori, innanzitutto perché limita eccessivamente la libertà di forma dell’atto di impugnazione del recesso stragiudiziale riconosciuta dall’art. 6 Legge n. 604/66, non rinvenendosi alcuna disposizione normativa che prescriva l’adozione di specifiche forme nè che detto atto debba essere redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, quale sarebbe da intendersi la scansione, ovvero, la “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico”, munita di attestazione di conformità resa dal notaio o da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Di contro ciò che risulta previsto è il solo requisito della forma scritta inteso in senso generico e, quindi, non necessariamente riferibile alle sole previsioni di cui agli artt. 2702, 2714 o 2715 c.c.: ne discende che affinché l’impugnativa possa considerarsi valida è sufficiente che il lavoratore manifesti al datore di lavoro, per iscritto, la volontà di contestare la validità ed efficacia del licenziamento e ciò indipendentemente dalla terminologia utilizzata e senza la necessità di formule sacramentali o rituali. Infatti in ragione della genericità della previsione di cui al citato art. 6 deve ritenersi idoneo a tal fine non solo il documento sottoscritto ma anche quello che, pur carente di sottoscrizione, risulta comunque riferibile al lavoratore e con accertata provenienza, come in caso di impugnativa trasmessa tramite telefax o telegramma. E’ noto, a tal proposito, l’orientamento della giurisprudenza che riconosce, ai sensi dell’art. 2705, c. 1, c.c., all’impugnativa trasmessa tramite telegramma la stessa efficacia probatoria della scrittura privata : “… la forma scritta richiesta per il licenziamento e la sua impugnazione stragiudiziale può essere integrata da un telegramma, nella concorrenza del requisito della sottoscrizione da parte del mittente dell’originale consegnato all’ufficio postale oppure della consegna del medesimo da parte del mittente o per suo incarico, con l’ulteriore precisazione che alle stesse conclusioni deve pervenirsi in caso di telegramma dettato per mezzo dell’apposito servizio telefonico, qualora, in caso di contestazione, sia provato anche per mezzo di testimoni o presunzioni, la effettiva provenienza del telegramma dall’apparente autore della dichiarazione” (cfr. Cass., 23 dicembre 2003, n. 19689, Cass.,18 giugno 2003, n. 9790, Cass., 5 giugno 2001, n. 7620, Cass., 30 ottobre 2000, n. 14297, Cass., 23 ottobre 2000, n. 13959): in assenza di contestazioni, dunque, il telegramma fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni dall’apparente autore.
L’impugnazione può, inoltre, avvenire con fax od anche con telefax o telegramma a mezzo telex e, quanto al primo strumento, il documento trasmesso rientra tra le riproduzioni meccaniche disciplinate dall’art. 2712 c.c. che formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti od alle cose medesime. Il lavoratore potrebbe, ancora, utilizzare l’e-mail con l’onere di prova in caso di contestazioni da parte del datore di lavoro: secondo la Cassazione il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) o lo “short message service” (“SMS”) costituiscono documenti elettronici che contengono la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privi di firma, rientrano tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale vengono prodotti non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (Cass. n. 19155/19).
Inoltre se il documento trasmesso deve essere qualificato quale “documento informatico” privo del requisito della firma digitale, deve osservarsi che l’art. 20, c. 1 bis, CAD prevede che, in assenza della “firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata” …. “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità”. E l’art. 1, c. 1, lett. p) CAD definisce “documento informatico: il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”, mentre la lett. i-ter) del medesimo articolo, nel definire la “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico”, parla di “documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto”.
Alla luce di tale disciplina l’impugnativa di licenziamento potrebbe avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico (il c.d. “atto nativo digitale”) sia mediante una copia per immagine su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica” o “scansione”), come è avvenuto pacificamente nel caso in esame, ove il difensore del ricorrente ha provveduto ad inserire nel messaggio PEC un documento informatico realizzato in precedenza costituito dalla copia per immagine dell’impugnativa composta e sottoscritta in origine su carta sia dal difensore che dalla parte.
E se la giurisprudenza di merito citata da parte ricorrente ha escluso l’idoneità del documento notificato tramite PEC, poiché privo sia della sottoscrizione del lavoratore e/o del difensore con firma digitale o di altro tipo di firma qualificata o firma elettrica avanzata, così come previsto dall’art. 20 CAD, sia dell’attestazione di conformità da parte di un notaio o di un altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato come previsto dall’art. 22, c. 1, CAD, deve anche rilevarsi che il “documento informatico” (ex art. 1, c. 1, lett. p, CAD) e la “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” (ex art. 1, c. 1, di cui alla lettera. i-ter del predetto articolo), non sono tra loro equivalenti. Inoltre, come osservato da alcuni commentatori, il “documento informatico” privo del requisito della firma digitale non si tramuta, automaticamente, nella “copia per immagine” atteso che tali documenti differiscono e sono soggetti a regole diverse: mentre il documento informatico (il c.d. “atto nativo digitale”) risulta regolato dall’art. 20 CAD ed è quel documento che viene normalmente generato attraverso il programma di videoscrittura e successivamente trasformato in formato PDF senza scansione, nascendo, quindi, digitale e viene predisposto per essere depositato telematicamente o per essere notificato tramite PEC, la copia per immagine su supporto informatico di documento analogico (o copia informatica di documento analogico o scansione) è prevista dall’art. 22 CAD e consiste nel documento informatico che normalmente viene generato ed ottenuto in formato PDF dopo aver effettuato la scansione di un documento cartaceo (analogico).
Nella fattispecie deve dunque essere applicato il solo art. 22 CAD e, nello specifico, il c. 2 e 3, ove viene previsto che: “2. Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le Linee guida. 3. Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta”.
E tale normativa applicabile al caso in esame non impone la sottoscrizione con firma digitale della copia su supporto informatico che risulta, invero, prevista per il solo “documento informatico” all’art. 20 CAD che, tuttavia, non è il documento informatico trasmesso dal lavoratore; inoltre, sulla scorta del c.3 citato, parte convenuta non risulta aver disconosciuto espressamente la conformità della copia informatica dell’impugnazione del licenziamento allegata alla PEC ricevuta dal datore di lavoro. Atteso che l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità, le considerazioni appena svolte unitamente al fatto che appare sufficientemente provata la riferibilità della comunicazione via PEC alla ricorrente ed al suo difensore nonché il suo oggetto (“Impugnazione licenziamento (Omissis) – diffida di pagamento e messa in mora” proveniente da (Omissis)@pec.legaletributario. net) consentono, secondo questo Giudice, di ritenere la validità ed efficacia dell’impugnativa stragiudiziale del recesso. Ne consegue l’inapplicabilità della decadenza eccepita anche perché l’art. 32 c.4 lett. d) della L. n. 183/10 invocato al riguardo da parte convenuta prevede che le disposizioni di cui all’art. 6 della L. n. 604/66, come modificato dal c. 1 dell’art. 32, si applichino “ in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dall’art. 27 del d.lgs. n. 276/03 si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”, fattispecie che non ricorre nel caso di specie in cui si è impugnato il recesso datoriale previo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, con conseguente applicabilità dell’art. 32 c. 3 lett. a), che fa riferimento ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro e, quindi, ad ipotesi in cui l’estinzione del rapporto è connessa strettamente alla fattispecie contrattuale, come nel caso di rapporto formalmente di lavoro autonomo, potendo il lavoratore contestare tale qualificazione allegando la natura subordinata del rapporto e l’intervenuto illegittimo licenziamento; e tale decadenza non risulta, comunque, maturata nella specie atteso che il recesso è del 7/04/20 e l’impugnazione stragiudiziale è del 13/05/20. (Omissis)
tribunale di palerMo, ordinanza 28 ottobre 2020; G.L. G. Tango – G. S. M. (avv. L. Romano) c. Servizi Ausiliari Sicilia Società Consortile Per Azioni (avv. M. Marinelli).
Licenziamenti – impugnativa di licenziamento – trasmissione via pec – validità.
La trasmissione mediante PEC da parte del difensore dell’impugnativa di licenziamento non è idonea ad interrompere il termine decadenziale di cui all’art. 6 l. n. 604/1966, in quanto certifica l’avvenuta spedizione e ricezione della comunicazione, con conseguente individuazione sia del mittente che del destinatario, ma non può certificare la conformità degli atti allegati.
svolGiMento del proCesso.
Con ricorso depositato in data 13.11.2019 la parte ricorrente in epigrafe – dipendente della società resistente dal 5.11.2012 al 22.7.2019 – ha chiesto dichiararsi la nullità e/o l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole dalla convenuta e, per l’effetto, condannarsi quest’ultima a reintegrarla nel posto di lavoro ed a corrisponderle una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (maggiorata di rivalutazione ed interessi come per legge), oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.
La società convenuta, ritualmente costituitasi in giudizio, ha preliminarmente eccepito l’intervenuta decadenza dell’impugnativa di licenziamento e, nel merito, ha variamente contestato l’infondatezza del ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.
In particolare, la società resistente ha dedotto di aver ricevuto l’impugnativa di licenziamento in data 12.9.2019 unicamente a mezzo di posta elettronica certificata dall’indirizzo del procuratore della parte ricorrente, alla quale veniva allegata una copia scansionata in pdf della lettera di impugnativa. Tale documento non era firmato digitalmente né dal lavoratore né dal procuratore di parte ricorrente. Inoltre alla suddetta pec non veniva allegata né procura alle liti né un’attestazione di conformità degli atti allegati. In virtù delle superiori considerazioni, la società convenuta ha ritenuto il documento in questione inidoneo a far salvo il termine di decadenza di sessanta giorni, perché privo dei requisiti di forma di cui all’art. 2702 c.c. (Omissis)
Motivi della deCisione.
Merita accoglimento la preliminare eccezione di decadenza formulata dalla parte resistente in memoria di costituzione poiché emerge dalla documentazione in atti che l’impugnativa di licenziamento non è stata effettuata entro il termine di sessanta giorni stabilito dall’art. 6 della legge n. 604/1966 (così come modificato dall’art. 32 della l. n. 183/2010).
Anzitutto, giova ricordare che l’art. 6 l. n. 604/1966 stabilisce al comma 1 che “il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”.
Com’è noto, l’atto di impugnazione di licenziamento, quale negozio giuridico unilaterale recettizio, deve giungere a conoscenza del datore di lavoro per produrre i suoi effetti.
Quanto alla forma di tale atto di impugnazione, la Suprema Corte di Cassazione è granitica nel ritenere che il licenziamento può essere impugnato con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, purché idoneo a manifestare al datore di lavoro, indipendentemente dalla terminologia usata e senza necessità di formule sacramentali, la volontà del lavoratore di contestare la validità e l’efficacia del licenziamento (ex plurimis, cfr. Cass. n. 2200/1999; Cass. n. 7405/1994).
Facendo applicazione della menzionata disposizione di legge e dei principi giurisprudenziali sopra illustrati, si può osservare che, a ben vedere, ad essere libero è esclusivamente il contenuto dell’atto di impugnativa di licenziamento ma non il mezzo della rappresentazione documentale, che il legislatore richiede expressis verbis essere quello della scrittura. Ma perché un documento redatto per iscritto possa inequivocabilmente manifestare la volontà da parte del lavoratore di contestare la legittimità del recesso, il prius logico è che con sicurezza possa ricondursi quel documento (che detta manifestazione di volontà contiene) al suo autore (sul punto cfr. anche Cass. n. 7610/1991, secondo cui l’atto scritto deve essere incontrovertibilmente riferibile al lavoratore).
D’altronde, come ebbe ad esprimersi antica e autorevole dottrina, “tutta la teoria del documento è dominata dal problema della sua paternità”.
Le modalità mediante cui può essere individuata la provenienza del documento – il mancato rispetto delle quali comporta l’inidoneità del documento a soddisfare il requisito legale richiesto (con la conseguente impossibilità di attribuzione del documento al suo autore) – sono strettamente disciplinate dalla legge e si differenziano a seconda della “materia” del documento stesso: e se per il documento cartaceo soccorrono sul punto (per lo più) le norme contemplate dal codice civile, per il documento informatico e le copie informatiche di documenti analogici le disposizioni di riferimento sono contenute nel d.lgs. n. 82/2005, così come modificato dal d.lgs. 179/2016 e d.lgs. n. 217/2017 (c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale – c.a.d.).
Specificamente, per quel che in tale sede interessa, la copia per immagine su supporto informatico di un documento in originale cartaceo trova la sua disciplina nell’art. 22 d.lgs. n. 82/2005, rubricato per l’appunto “copie informatiche di documenti analogici”, che recita: “1. I documenti informatici contenenti copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico, spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del codice civile, se sono formati ai sensi dell’articolo 20, comma 1-bis, primo periodo. La loro esibizione e produzione sostituisce quella dell’originale. 1-bis. La copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico è prodotta mediante processi e strumenti che assicurano che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell’originale e della copia. 2. Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71. 3. Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 71 hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta. 4. Le copie formate ai sensi dei commi 1, 1-bis, 2 e 3 sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali formati in origine su supporto analogico, e sono idonee ad assolvere gli obblighi di conservazione previsti dalla legge, salvo quanto stabilito dal comma 5. 5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri possono essere individuate particolari tipologie di documenti analogici originali unici per le quali, in ragione di esigenze di natura pubblicistica, permane l’obbligo della conservazione dell’originale analogico oppure, in caso di conservazione sostitutiva, la loro conformità all’originale deve essere autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato con dichiarazione da questi firmata digitalmente ed allegata al documento informatico.”
Alla luce della superiore disposizione, quindi, la scansione dell’impugnazione cartacea può avere la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui è estratta nei seguenti casi: 1) se ad essa è apposta una firma digitale o elettronica qualificata o elettronica avanzata dal lavoratore e/o dal difensore (giusto il richiamo operato dal comma 1 dell’art. 22 d.lgs. n. 82/2005 all’art. 20 comma 1 bis primo periodo d.lgs. cit.); in tale caso, infatti, l’atto scansionato acquista natura di “documento informatico”; 2) se è accompagnata da valida attestazione di conformità di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le regole stabilite ai sensi dell’art. 71 d.lgs. n. 82/2005 (art. 22, comma 2, d.lgs. n. 82/2005) ; 3) se è stata formata in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all’art. 71 d.lgs. 82/2005 e la sua conformità all’originale non è espressamente disconosciuta (art. 22, comma 3, d.lgs. n. 82/2005).
Nel caso di specie, l’atto cartaceo scansionato non è sottoscritto dal lavoratore e/o difensore né digitalmente né elettronicamente, così come non è dotato di alcuna attestazione di conformità nei termini richiesti dalla legge né è stato formato nel rispetto delle linee guida AGID (richiamate dal citato art. 71 d.lgs. 82/2005). Non ricorrendo neanche uno dei tre elementi testé indicati, non si può che concludere che la trasmissione al datore di lavoro, tramite la pec del difensore, di una siffatta scansione di una comunicazione cartacea di impugnativa di licenziamento non è idonea ad impedire la decadenza ex art. 6 l. n. 604/1966.
Infatti, come correttamente rilevato dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Monza del 29 gennaio 2020), la procedura di trasmissione mediante PEC da parte del difensore si limita a certificare l’avvenuta spedizione e ricezione della comunicazione, con conseguente individuazione sia del mittente che del destinatario, ma non può certificare la conformità degli atti allegati.
Né contrari argomenti possono desumersi da pronunce (anche di legittimità) formatesi in tema di impugnativa di licenziamento mediante “telegramma” (ex multis, Cass. n. 19689/2003; n. 6749/1996) – come sostenuto in udienza dal procuratore di parte ricorrente – stante che quest’ultima fattispecie è disciplinata dalla particolare previsione dell’art. 2705 c.c., che – in assenza di lacuna legislativa (atteso che, come si è detto, è già previsto il c.a.d.) – non può applicarsi analogicamente anche all’atto di impugnativa in questione.
Assorbita ogni altra questione, il ricorso pertanto non può trovare accoglimento. (Omissis)
tribunale di Monza, ordinanza 8 aprile 2021; G.L. L. Rotolo – (Omissis) (avv. M. L. Pozzoli, M. Branchetti) c. «(Omissis) (avv. G. Tranchida, A. Repossi).
Licenziamenti – impugnativa di licenziamento – trasmissione via pec – validità.
La trasmissione a mezzo posta elettronica certificata da parte del difensore del lavoratore della copia della impugnativa del licenziamento mediante scansione del documento cartaceo, ricevuta regolarmente dal datore di lavoro, integra pienamente il requisito della forma scritta richiesto dall’art. 6 l. n. 604/1966.
svolGiMento del proCesso. (Omissis) 1)
La ricorrente (Omissis) – alle dipendenze della resistente (Omissis) dal 31/12/1996 con contratto a tempo indeterminato dapprima a tempo pieno e poi trasformato in part time (75%), inquadramento 3° livello CCNL Metalmeccanici Industria e mansioni di addetta al confezionamento – contesta la legittimità del licenziamento collettivo del 17/9/2019 per violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 L. 223/91, in subordine per violazione delle norme procedurali di cui all’art. 4 L. 223 citata.
In particolare la predetta evidenzia che il licenziamento è privo di indicazioni dei criteri di scelta applicati e soprattutto della ragione per cui è stato indicato il suo nominativo tra la rosa dei dipendenti oggetto del provvedimento espulsivo del 17/9/2019.
Conclude la «– Omissis.» chiedendo in via principale l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento con applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 18, co. 4, L. 300/1970 e in via subordinata l’applicazione del regime sanzionatorio di cui al successivo comma 7, 3° periodo.
2)
Motivi della deCisione.
In via preliminare la resistente eccepisce la decadenza dall’impugnativa del licenziamento, in quanto nella stessa, comunicata mediante PEC, le firme indicate non sono altro che una mera scansione delle relative firme analogiche, con conseguente impossibilità di qualificarle quali firme digitali; non trattandosi di documento informatico l’immagine allegata all’email non può assumere il valore di atto scritto necessario per la corretta impugnazione del licenziamento nei termini previsti dalla legge.
All’udienza del 17/3/2021 la parte ricorrente ha riconosciuto la sottoscrizione apposta nella menzionata lettera di impugnativa. Non risulta che la resistente abbia disconosciuto l’atto d’impugnazione del licenziamento.
In precedente giudizio lo scrivente ha ritenuto la fondatezza di tale eccezione e, dunque, l’inammissibilità del ricorso. Tuttavia, l’attento esame dell’orientamento espresso da commentatori, nonché da sopraggiunti provvedimenti giudiziari (Trib. Roma ord. n. 86577/2020; Trib. Milano ord. n. 391/2020; Trib. Brescia sent. n. 20/2020 e 352/2008), porta questo giudice a rivedere la propria posizione ed a riconoscere idoneità alla scansione dell’impugnazione trasmessa a mezzo PEC ad impedire la decadenza.
L’art. 6 L. 604/66, che stabilisce l’onere dell’impugnativa del licenziamento entro il termine perentorio di 60 giorni a pena di decadenza, prevede che l’impugnativa stragiudiziale possa essere effettuata con qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore senza l’adozione di formule sacramentali. Alla luce dei principi generali che regolano l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore, dunque, vi è piena libertà di forma nella predisposizione dell’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore purché sia osservato il requisito della forma scritta.
Appare, dunque, non conferente il richiamo alle norme della L. 82/05 capo II in tema di documenti informatici e di firme elettroniche (art. 21 e art. 22), espressamente applicabili anche ai rapporti tra privati, atteso che, come detto, non è necessario che l’impugnazione del licenziamento del lavoratore avvenga a mezzo di un atto avente piena efficacia a norma dell’art. 2702 c.c. e seguenti. La normativa citata, infatti, nell’operare un distinguo tra la valenza probatoria dei “documenti informatici” e delle “copie informatiche di documenti analogici” (artt. 21, 22 e 23) detta le condizioni e i presupposti giuridici in presenza dei quali i documenti informatici trasmessi a mezzo PEC rivestono piena efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2702 c.c. ovvero le copie informatiche di documenti analogici acquistano piena efficacia ai sensi degli artt. 2714 e 2715 c.c. Del resto, la società resistente non ha contestato la ricezione della comunicazione PEC e del relativo allegato, mentre la perplessità manifestata in merito alla mancanza di certezza in ordine alla conformità della copia ricevuta della lettera di contestazione del licenziamento all’originale e all’autenticità della firma del lavoratore appare priva di rilievo e superata dal fatto che mai il lavoratore, unico soggetto che poteva avervi interesse siccome autore di quella dichia-
razione, ha effettuato il disconoscimento della propria sottoscrizione o della paternità dell’atto. In sintesi, è corretto affermare, per quanto esposto, che la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata da parte del difensore del lavoratore della copia della impugnativa del licenziamento mediante scansione del documento cartaceo, ricevuta regolarmente dal datore di lavoro, integri pienamente il requisito della forma richiesta dall’art. 6 citato.
L’impugnativa di licenziamento dell’era digitale al vaglio della giurisprudenza di merito
Sommario: 1. Introduzione. – 2. L’impugnativa dei licenziamenti e l’evoluzione tecnologica dei mezzi di comunicazione: la giurisprudenza sui telegrammi e i fax. – 3. Le oscillanti pronunce di merito sulla trasmissione via pec – 4. L’impugnativa di licenziamento: questione di sostanza e non di “formalismo telematico”. – 5. Il principio di libertà di forma e i nuovi mezzi di comunicazione digitale.
Sinossi. Dopo un’analisi della giurisprudenza sulla trasmissione dell’impugnativa di licenziamento via pec e via fax, l’A. si sofferma sulle pronunce di merito che, adottando orientamenti contrastanti, hanno deciso la questione relativa alla validità della trasmissione a mezzo pec, per poi soffermarsi sui caratteri dell’impugnativa stragiudiziale del recesso e sulla utilizzabilità dei più recenti mezzi di comunicazione digitale.
Abstract. After an analysis of the jurisprudence on the transmission of the dismissal challenge by certified e-mail and fax, the A. focuses on the judgements that, adopting conflicting guidelines, decided the question relating to the validity of the transmission by certified e-mail, and then focuses on the characteristics of the out-of-court dismissal challenge and the usability of the most recent means of digital communication.
parole Chiave: Licenziamento – Impugnativa di licenziamento – Trasmissione via pec – Trasmissione via telegramma e via fax – Art. 6 l. n. 604/1966
1. Introduzione.
Le cinque pronunce in commento (tutte di merito, emanate tra aprile 2018 e marzo 2021) offrono lo spunto per riflettere sul tema – di rilevante interesse pratico, ma che prende le mosse da un altrettanto importante dibattito teorico – relativo alle modalità di
trasmissione dell’impugnativa di licenziamento, alla luce del processo di innovazione digitale, che peraltro nel nostro Paese ha subito una indubbia accelerazione a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia da Covid-19.
In particolare, la questione affrontata dalla giurisprudenza di merito attiene alla riconducibilità al lavoratore licenziato della missiva di impugnazione del licenziamento che venga scansionata ed inviata a mezzo pec dal procuratore, firmata in modalità autografa dall’avvocato e/o dal lavoratore, ma non sottoscritta digitalmente.
In effetti, tutte le pronunce in esame prendono le mosse da un identico fatto storico: la lettera di impugnativa veniva sottoscritta in forma cartacea, poi sottoposta a scansione digitale e infine spedita a mezzo pec al datore di lavoro a cura dell’avvocato, ma senza la firma digitale, né del legale né del lavoratore. Sicché, si è posta la necessità di accertare, in via preliminare rispetto all’esame del merito delle differenti vicende che hanno originato i licenziamenti contestati, la riconducibilità del documento così formato al lavoratore licenziato e, più in generale, di vagliare la validità di questa modalità di impugnazione stragiudiziale, ai fini di cui al comma 1 dell’art. 6, l. 15 luglio 1966, n. 604.
La questione riveste particolare interesse in quanto, com’è noto, l’utilizzo di una posta elettronica certificata, che garantisce l’immediatezza della comunicazione oltre che il sostanziale azzeramento dei costi, è equiparato, dall’art. 48 del Codice di amministrazione digitale (d’ora in poi C.A.D.)1, alla notificazione per mezzo della posta, sia pure con la specificazione che l’opponibilità ai terzi della data e dell’ora di trasmissione e ricezione del documento informatico si ha solo se tali attività siano state compiute in conformità alle disposizioni di cui al d.P.R. n. 68/2005 e alle relative regole tecniche, ovvero alle Linee guida di cui all’art. 71 del C.A.D.
Prima di approfondire nel dettaglio le pronunce che si sono ritrovate a decidere sulla validità dell’impugnativa trasmessa a mezzo pec e non sottoscritta digitalmente, fornendo risultati altalenanti, appare il caso di ripercorrere gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul tema della validità dell’impugnazione stragiudiziale – e conseguente idoneità ad impedire la decadenza ai sensi dell’art. 6, l. n. 604/1966 – comunicata con mezzi diversi rispetto al tradizionale servizio postale.
Come si vedrà meglio in seguito, infatti, nel caso di specie alcuni principi giurisprudenziali elaborati nel passato per strumenti di comunicazione che ormai appaiono obsoleti sono molto utili per affrontare gli odierni dilemmi interpretativi. E questo sebbene l’evoluzione tecnologica ponga questioni sempre diverse e renda talvolta poco attuali le solu-
1 D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82.
zioni rinvenute dal legislatore per porre rimedio ai problemi giuridici posti dalle nuove tecnologie2 .
La giurisprudenza, infatti, si è dovuta confrontare da tempo, in parallelo con il progredire della tecnica, con problematiche simili a quelle poste dall’utilizzo della posta elettronica certificata, e che sono state risolte, ora facendo uso delle puntuali disposizioni dettate dall’ordinamento per lo specifico mezzo di trasmissione, ora ricorrendo al principio generale di libertà di forma riveniente dall’art. 6, l. n. 604/1966.
Seguendo diacronicamente l’evoluzione della tecnologia, si può anzitutto segnalare quella giurisprudenza che si è interrogata sulla validità dell’impugnazione del licenziamento trasmessa a mezzo telegramma, di cui il datore di lavoro abbia contestato la provenienza.
In effetti, ai sensi dell’art. 2705 c.c. il telegramma acquista l’efficacia probatoria della scrittura privata se l’originale consegnato all’ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente, ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente medesimo, anche senza sottoscriverlo. Quid iuris, però, se il telegramma non è sottoscritto, ma dettato telefonicamente?
Un primo orientamento3 prendeva le mosse dal principio generale derivante dall’art. 6, l. n. 604/1966 per cui ciò che è necessario, ai fini della validità dell’impugnativa, è l’idoneità dello scritto a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il provvedimento datoriale e la incontrovertibile riferibilità al lavoratore dello scritto medesimo. Secondo tale orientamento, nonostante l’enunciazione di principio della libertà di forma, nel caso di telegramma dettato per telefono, spetta al lavoratore che assume di esserne il mittente dimostrare l’esistenza delle condizioni richieste dall’art. 2705 c.c.4 affinché il documento abbia efficacia probatoria della scrittura privata, che dall’altra parte sia stata contestata.
La rigidità di tale posizione è stata smussata da successive pronunce, in cui la Suprema Corte5 ha sostenuto che, in assenza di sottoscrizione del mittente, il giudice di merito debba verificare – ove lo ritenga opportuno, anche ricorrendo alle presunzioni di cui all’art. 2729 c.c. – la ricorrenza delle ulteriori due ipotesi previste dall’art. 2705 c.c. (aver consegnato personalmente o fatto consegnare l’originale del telegramma all’ufficio postale di partenza), la cui sussistenza comunque legittima l’efficacia probatoria del telegramma ed impedisce la decadenza dall’impugnazione.
L’orientamento originario è stato, in realtà, smentito da un’altra pronuncia6 in cui la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto inidoneo il telegramma
2 Lo nota pasCuzzi, Il diritto nell’era digitale, Il Mulino, 2020, 8. 3 Cass., 10 luglio 1991, n. 7610, in RIDL, 1992, II, 684, con nota di bellè. In termini, v. Cass., 26 luglio 1996, n. 6749, in DL, 1997, II, 347, con nota di ivella. 4 Per i telegrammi, infatti, la norma codicistica espressamente chiarisce che essi assumono l’efficacia probatoria della scrittura privata, se l’originale consegnato all’ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente, ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente medesimo, anche senza sottoscriverlo. 5 Cass., 6 ottobre 2008, n. 24660, in RIDL, 2009, 2, II, 355, con nota di rondo. 6 Cass., 30 ottobre 2000, n. 14297, in RIDL, 2001, II, 371, con nota di palla. La definisce una vera e propria “svolta giurisprudenziale” tebano, L’impugnazione del licenziamento, in bianChi d’urso, de luCa taMajo (a cura di), I licenziamenti individuali e collettivi nella giurisprudenza della Cassazione, Giuffrè, 2006, 360. Conforme a questo orientamento, Cass., 5 giugno 2001, n. 7620, in MGL, 2001,
a costituire una valida impugnazione del licenziamento, in assenza delle condizioni letteralmente previste dall’art. 2705, comma 1, c.c., applicando estensivamente al telegramma dettato per telefono la regola secondo cui il telegramma ha l’efficacia probatoria di una scrittura privata se l’originale, che sia privo di sottoscrizione, sia stato consegnato o fatto consegnare all’ufficio postale dal mittente.
Il lavoratore, in base a quest’ultima posizione giurisprudenziale, ha sì l’onere di fornire la prova della provenienza della dichiarazione da lui medesimo, ma può farlo anche ricorrendo a presunzioni, tra cui, in particolare: l’indicazione dell’autore della dichiarazione contenuta nel testo stesso del telegramma, il possesso della copia del telegramma inviata in base alle vigenti norme postali, la titolarità o l’uso esclusivo dell’utenza telefonica attraverso cui è avvenuta la dettatura del telegramma, l’eventuale pacificità per il destinatario, prima del giudizio, della provenienza del telegramma da parte dell’apparente autore della dichiarazione.
Sulla possibilità, invece, che l’impugnativa stragiudiziale atta ad interrompere il termine decadenziale di cui all’art. 6, comma 1, l. n. 604/1966, possa essere comunicata a mezzo del telex e del telefax non risultano molti precedenti giurisprudenziali7, anche se è stato opportunamente osservato8 che, in linea generale, in giurisprudenza se ne riconosce la natura di scrittura privata ai sensi dell’art. 2712 c.c., il quale assegna alle riproduzioni meccaniche di fatti e cose il valore di piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.
Una più recente pronuncia della Suprema Corte attiene, invece, al secondo termine decadenziale previsto dall’art. 6, comma 2, l. n. 604/19669, ossia quello dei 180 giorni entro cui proporre un tentativo di conciliazione, in alternativa al deposito del ricorso giudiziale.
872, con nota di papaleoni, che ha annullato la sentenza impugnata che aveva attribuito efficacia ostativa, ai fini della imputabilità al lavoratore della dichiarazione a mezzo telegramma, al dato formale dell’invio di quest’ultimo dallo studio del legale dell’interessato;
Cass., 18 giugno 2003, n. 9790, in GC Mass., 2003, 6; Cass., 23 dicembre 2003, n. 19689, in RIDL, 2004, 4, 782, con nota di Covi, che ha ritenuto adeguatamente provata la provenienza del telegramma – a norma dell’art. 2705 c.c. – sulla scorta del « possesso, da parte della lavoratrice, della copia conforme del telegramma, che fa presumere univocamente l’avvenuta consegna del telegramma, da parte della stessa o di un suo incaricato, all’ufficio postale». Favorevole all’impugnativa a mezzo telegramma nella giurisprudenza di merito, invece, Trib. Messina, ord. 15 luglio 1999, in RIDL, 2000, 3, 2, 533-538, con nota di Cattani. 7 Trib. Roma, 7 febbraio 1994, in DL, 1994, II, 44, secondo cui non costituisce valido atto di impugnativa del licenziamento l’invio di un telex da parte di una società concessionaria del servizio all’amministrazione postale con testo da inoltrare a cura di questa al datore di lavoro tramite telegramma, nonostante il fatto che in calce sia indicato il nome del lavoratore, in mancanza di prova e della ricezione del telegramma da parte del datore di lavoro e della incontrovertibile riferibilità di esso al lavoratore ai sensi di quanto disposto dall’art. 2705 c.c; Pret. Lucca, 27 maggio 1994, in MGL, 1994, 605, secondo cui l’impugnativa del licenziamento nel termine di 60 giorni non può essere effettuata tramite telefax perché, a differenza del telegramma o del telex, può offrire una prova solo al destinatario del messaggio, mentre il mittente non può dimostrare l’avvenuta trasmissione. Per una rassegna della giurisprudenza di merito, v. tatarelli, op. cit., 367-368. 8 tiMellini, L’impugnazione del licenziamento via pec alla luce della disciplina del codice dell’amministrazione digitale e del requisito della sottoscrizione da parte del lavoratore, in ADL, 5, 2020, 1260. 9 Il secondo termine decadenziale per il deposito del ricorso o l’instaurazione di un tentativo di conciliazione è stato introdotto dall’art. 32, comma 1, l. 4 novembre 2010, n. 183. Sul nuovo assetto di decadenze conseguente all’intervento normativo in oggetto, v. putaturo donati, Decadenza e posizione del lavoratore, ESI, 2018, 191 ss.
Ebbene, a questo proposito, il Supremo Collegio10 ha ritenuto che la spedizione del tentativo di conciliazione a mezzo fax interrompa il termine decadenziale poiché, atteso che la norma non prevede delle specifiche modalità di comunicazione a pena di validità ed efficacia, la ricezione del fax può considerarsi del tutto equipollente alle modalità di consegna, previste dall’art. 410, comma 5, c.p.c., il quale precisa che la richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall’istante, vada «consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento».
In altri termini, sia pure con riferimento al secondo termine decadenziale previsto dall’art. 6, l. n. 604/1966, è stato riconosciuto che il fax costituisca una modalità di consegna idonea a riferire in maniera incontrovertibile il documento al suo autore. Di conseguenza, non pare che si frappongano ostacoli a ritenere che anche la decadenza dal primo termine di impugnativa stragiudiziale possa essere interrotta con una missiva firmata in modo autografo dal lavoratore ed inviata con questo mezzo.
Peraltro, per quanto attiene alla prova della ricezione del fax inviato, i Giudici amministrativi11 (che più di altri si sono confrontati sulla questione) hanno affermato una presunzione relativa di ricezione del documento, in presenza del rapporto di trasmissione positiva da parte dell’apparecchio, ed una sostanziale equiparazione tra il rapporto del fax recante l’indicazione “OK” e la ricevuta di ritorno della raccomandata postale.
3. Le oscillanti pronunce di merito sulla trasmissione via pec.
Operata questa doverosa premessa sui mezzi di trasmissione dell’impugnativa stragiudiziale diversi dal servizio postale, è ora il caso di approfondire gli oscillanti esiti giurisprudenziali in materia di trasmissione mediante posta elettronica certificata, che per la sua diffusione soprattutto tra i professionisti e l’estrema semplicità di utilizzo ha oggi quasi completamente soppiantato i fax e i telegrammi.
La possibilità di impugnare il licenziamento a mezzo pec non è disciplinata espressamente da alcuna norma e ciò, se da un lato costituisce dimostrazione delle difficoltà per l’ordinamento di stare al passo dell’evoluzione tecnologica, dall’altro ciò appare giustifi-
10 Cass., 23 agosto 2016, n. 17253, in GC Mass., 2016. 11 Tar Lazio, 9 giugno 2008, sez. III-bis, n. 5113, in De jure, che ha chiarito come «non è sufficiente sostenere di non aver ricevuto i documenti via fax», «dal momento che, quando i dati si trasmettono via fax, se il rapporto di trasmissione indica che questa è avvenuta correttamente, si presume che il destinatario ne sia venuto a conoscenza, a meno che non provi l’esistenza di un cattivo funzionamento dell’apparecchio ricevente o di una sua rottura che abbia impedito l’effettiva comunicazione, mentre il mittente non deve fornire alcuna ulteriore prova sull’invio». In un’altra pronuncia (Cons. Stato, 18 agosto 2010, n. 5845, in FA, 2010, 7-8, 1518), è stato ribadito che il rapporto di trasmissione fa presumere la prova dell’avvenuta ricezione, mentre spetta al destinatario la prova contraria concernente la mancata funzionalità dell’apparecchio, in quanto «il fax utilizza un sistema di linee di trasmissione e dati e di apparecchiature che consente di poter documentare sia la partenza del messaggio dall’apparato trasmittente che, attraverso il rapporto di trasmissione, la ricezione da parte di quello ricevente, dando altrettanta certezza rispetto all’avviso di ricevimento della raccomandata della ricezione del messaggio».
cato dalla presenza di una compiuta disciplina dei documenti informatici nel C.A.D., oltre che dall’ampiezza della lettera dell’art. 6 l. n. 604/1966 che, nel dettare le modalità dell’impugnazione, si riferisce a «qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore».
Il coordinamento tra i due testi normativi in questione ha determinato, però, non poche aporie interpretative nelle prime pronunce di merito che si sono occupate della questione.
La validità e l’efficacia probatoria del documento informatico formato digitalmente è regolato dal già citato C.A.D., agli artt. 20 e seguenti, a mente dei quali l’apposizione della firma digitale o di altra firma elettronica avanzata le attribuisce l’efficacia della scrittura privata di cui all’art. 2702 c.c.
In particolare, da una prima lettura del dettato normativo12, emerge che la scansione della missiva non sottoscritta digitalmente conservi la natura di mera «copia per immagine su supporto informatico di documento analogico», la cui efficacia probatoria sussiste unicamente in due ipotesi: ai sensi del comma 2, se la conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le Linee guida, ed ai sensi del comma 3, se la conformità all’originale non sia stata espressamente disconosciuta.
A partire da questa osservazione, il Tribunale di Monza13, nell’ordinanza del 29 gennaio 2020 ha ritenuto inidonea la comunicazione tramite pec della semplice scansione dell’impugnativa ad interrompere il termine decadenziale (con firma autografa, peraltro, del solo legale) ed ha giudicato inammissibile il ricorso del lavoratore.
Secondo il Tribunale brianzolo, infatti, la trasmissione a mezzo pec certifica l’avvenuta consegna della missiva, con conseguente individuazione con certezza del mittente e del destinatario, «ma non può certificare la conformità degli allegati, i quali necessariamente dovranno essere sottoscritti digitalmente per assumere il valore di atto scritto».
Sulla scia di tale orientamento, il Tribunale di Palermo14, nell’ordinanza del 28 ottobre 2020, conclude nel senso della inutilizzabilità della missiva di impugnativa stragiudiziale non sottoscritta digitalmente, in assenza degli elementi previsti dal C.A.D. affinché la scansione abbia la stessa efficacia probatoria dell’originale.
Non volendo ribadire in questa sede i rilievi già formulati da diversi autori, che hanno sottolineato la scarsa attenzione con la quale sono state interpretate le disposizioni del C.A.D.15, non si può non rilevare un’ulteriore contraddizione in cui è incorso il tribunale
12 Art. 22 d.lgs. n. 82/2005. 13 La sentenza è stata ampiamente criticata dai commentatori: cfr. tiMellini, L’impugnazione del licenziamento via pec alla luce della disciplina del codice dell’amministrazione digitale e del requisito della sottoscrizione da parte del lavoratore, in ADL, 5, 2020, 1255 ss.; evola, Sull’efficacia probatoria della “scansione” nell’impugnazione del licenziamento, 11 maggio 2020, in www. processotelematico.it; MenGali, L’impugnazione del licenziamento mediante invio a mezzo pec di copia per immagine della lettera sottoscritta analogicamente dal lavoratore, in www.judicium.it; riCuperati, Decade dall’impugnazione del licenziamento il lavoratore che trasmetta via PEC una copia informatica senza firma digitale della lettera di contestazione?, in www.ilprocessotelematico.it. Per una nota non critica, v. lavizzari, Impugnazione di licenziamento a mezzo pec inidonea se manca la firma digitale, in GLav, 10, 28 febbraio 2020, 17 ss. 14 Dopo aver richiamato il noto motto «tutta la teoria del documento è dominata dal problema della sua paternità», di Carnelutti, Studi sulla sottoscrizione, in RDComm, 1929, I, 509 ss. 15 Ad esempio, opportunamente, riCuperati, op. cit., ha posto in rilievo che la sentenza del Tribunale di Palermo ha negato, in modo apodittico e irragionevole, che la missiva di impugnazione fosse stata confezionata nell’osservanza delle Linee Guida dell’AGID e
siciliano. Per un verso, infatti, la pronuncia richiama l’orientamento più risalente della giurisprudenza di legittimità sull’impugnativa stragiudiziale a mezzo telefax per sottolineare che «l’atto scritto deve essere incontrovertibilmente riferibile al lavoratore»; per l’altro, però, ritiene che non sarebbe possibile desumere dai precedenti formatisi proprio sulle impugnative mediante telegramma argomenti contrari a quelli derivanti dall’analisi del d.lgs. n. 82/2005, «stante che quest’ultima fattispecie è disciplinata dalla particolare previsione dell’art. 2705 c.c., che – in assenza di lacuna legislativa (…) – non può applicarsi analogicamente anche all’atto di impugnativa in questione».
Contrapposto rispetto a quello a cui aderiscono le pronunce sino ad ora passate in rassegna, è invece il diverso orientamento sposato dal Tribunale di Brescia16 (già con sentenza del 17 aprile 2018), dal Tribunale di Roma (con l’ordinanza del 20 ottobre 2020) e, ancora più recentemente, dallo stesso giudice monzese che, nell’arco di pochi mesi, si è reso protagonista di un rapido quanto inaspettato revirement rispetto alla sua precedente posizione.
Il Tribunale lombardo risolve il busillis, anzitutto alla luce dei principi generali che governano l’impugnazione del licenziamento, ricordando la piena libertà di forma nella predisposizione della impugnazione del licenziamento, purché sia osservato il requisito della forma scritta. Al contrario, invece, non è «previsto da alcuna disposizione normativa che l’impugnazione del licenziamento debba avvenire nella forma solenne dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata»: diversamente opinando – continua l’ordinanza in commento – l’impugnazione del licenziamento necessiterebbe sempre della sottoscrizione autenticata da un pubblico ufficiale o da un altro soggetto pubblico autorizzato.
In conseguenza di ciò, il Giudice bresciano ritiene inconferente il richiamo alle norme del d.lgs. n. 82/2005 in tema di documenti informatici e di firme elettroniche (art. 21 e art. 22), e, quanto alle perplessità manifestate dal datore di lavoro in merito alla mancanza di certezza in ordine alla conformità della copia ricevuta della lettera di contestazione del licenziamento all’originale e all’autenticità della firma del lavoratore, rileva che solo il lavoratore poteva avere interesse ad effettuare il disconoscimento di quella sottoscrizione, ma ciò non era mai avvenuto (ed anzi era stato lo stesso ricorrente a produrre personalmente in giudizio il documento contestato).
Ancora più articolata è la motivazione fornita dal Tribunale di Roma che, nel discostarsi dall’orientamento restrittivo citato dalla parte datoriale, fa proprie le critiche svolte da alcuni commentatori, in quanto eccessivamente limitativo della libertà di forma all’impugnativa stragiudiziale riconosciuta dall’art. 6, l. n. 604/1966 «non rinvenendosi alcuna disposizione normativa che prescriva l’adozione di specifiche forme né che detto atto debba essere redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata».
Infatti, il Tribunale di Roma rileva che la disposizione richiede il solo requisito della forma scritta, inteso in senso generico e, quindi, affinché l’impugnativa possa ritenersi valida,
che, in ogni caso, l’apposizione della firma digitale o elettronica qualificata, attribuita a chi estrae la copia per immagine, costituisce una mera facoltà (ai sensi dell’art. 4 del d.p.c.m. 13 novembre 2014), che non incide sul principio dell’equivalenza all’originale della copia per immagine non disconosciuta, sancito dal comma 3 dell’art. 22 C.A.D. e ribadito dal quarto alinea della stessa disposizione. 16 La pronuncia è stata annotata, unitamente alla predetta pronuncia brianzola, da tiMellini, op. cit., 1255 ss.
è sufficiente che il lavoratore manifesti per iscritto la volontà di contestare l’efficacia e la validità del licenziamento, senza la necessità di formule sacramentali o rituali17 .
Il giudice romano, dunque, richiama la giurisprudenza più recente sull’impugnativa a mezzo fonodettatura del telegramma, e ribadisce che va ritenuto idoneo ad interrompere il termine decadenziale anche il documento non sottoscritto, ma comunque riferibile al lavoratore e di cui sia accertata la provenienza, come nel caso dell’impugnativa trasmessa tramite telefax o telegramma.
Peraltro, la pronuncia in commento si spinge anche a ritenere che «il lavoratore potrebbe (…) utilizzare l’e-mail con l’onere di prova in caso di contestazioni da parte del datore di lavoro», visto che «secondo la Cassazione il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) o lo “short message service” (“SMS”) costituiscono documenti elettronici che contengono la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privi di firma, rientrano tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c.» 18 che ne regolamenta il valore probatorio.
La sentenza in commento osserva, inoltre, che se anche il documento scansionato e non firmato digitalmente fosse da qualificarsi come “documento informatico”, andrebbe applicato l’art. 20, c. 1 bis del C.A.D., secondo cui in assenza della «firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata», «l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità».
Pertanto, tale sentenza ritiene che l’impugnativa di licenziamento possa avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico (il c.d. “atto nativo digitale”) sia mediante una copia per immagine su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica” o “scansione”). La copia per immagine, però – evidenzia il giudice romano – è regolata dall’art. 22 C.A.D., che non impone la sottoscrizione con firma digitale della copia su supporto informatico che risulta prevista per il solo “documento informatico” dall’art. 20 C.A.D.
Infatti, il “documento informatico” e la “copia per immagine” sono soggetti a regole diverse: mentre il primo (il c.d. “atto nativo digitale”) è regolato dall’art. 20 C.A.D. ed è quel documento che viene normalmente generato attraverso il programma di videoscrittura e successivamente trasformato in formato “PDF” senza scansione, la copia per immagine su supporto informatico di documento analogico (o copia informatica di documento analogico o scansione) è prevista dall’art. 22 C.A.D. e consiste nel documento informatico che normalmente viene generato ed ottenuto in formato PDF dopo aver effettuato la scansione di un documento cartaceo (analogico). Ma – conclude il giudice di Roma – la normativa applicabile alla copia informatica di documento analogico non impone la sottoscrizione
17 Del resto, in questo senso si è più volte espressa la giurisprudenza: cfr. ex multis Cass., 30 maggio 1991, n. 6102, in NGL, 1991, 845;
Cass., 12 agosto 1994, n. 7405, in DPL, 1995, 4, 309; Cass., 27 febbraio 1998, n. 2200, in GC Mass., 1998, 457. 18 Così, Cass., 17 luglio 2019, n. 19155, in Gdir, 2019, 33, 104. Per un commento, v. Guarriello, Email e SMS come prova in giudizio:
Cassazione sull’efficacia probatoria, in Giuricivile, 2020, 4, reperibile all’indirizzo https://giuricivile.it/email-sms-prova-in-giudizio/;
Galluzzo, Sms e mail: piena prova in sede giudiziale, in www.ilfamiliarista.it.
con firma digitale della copia su supporto informatico, che risulta prevista solo per il “documento informatico” dall’art. 20 C.A.D.
Come anticipato, l’orientamento in questione è stato, infine, recepito dallo stesso giudice di Monza che aveva inaugurato la tesi formalistica. E così, nella pronuncia dell’aprile 2021, il Tribunale brianzolo fa una sintesi delle argomentazioni fornite dal Tribunale di Brescia, dal Tribunale di Roma e dai primi commentatori della sua prima sentenza, accogliendo la differenza sostanziale, quanto alla valenza probatoria, tra “documenti informatici” e “copie informatiche dei documenti analogici” e valorizzando, altresì, il principio di libertà di forma di cui all’art. 6, l. n. 604/1966.
4. L’impugnativa di licenziamento: questione di sostanza e non di “formalismo telematico”.
La repentina resipiscenza del Tribunale di Monza, che aveva inaugurato l’orientamento restrittivo testé descritto, favorisce il consolidamento di un orientamento giurisprudenziale di merito più attento al significato letterale delle disposizioni del C.A.D. e, al contempo, capace di cogliere lo spirito dell’art. 6, l. n. 604/1966.
Appare dirimente, infatti, la considerazione (fatta propria dal Tribunale di Brescia e dalla dottrina più attenta19) che l’impugnazione del licenziamento non deve necessariamente avvenire nelle forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata20 .
Da ciò discende che non è corretto rintracciare il fondamento normativo nel capo II del d.lgs. n. 82 del 2005, il quale, a ben vedere, non disciplina la forma del documento, bensì unicamente la sua efficacia probatoria in giudizio, mentre il requisito della forma scritta richiesto dall’art. 6, l. n. 604/1966 è assolto dal documento analogico di cui la pec costituisce solo il mezzo di trasmissione della relativa copia21 .
Infatti, la nozione di “atto scritto”, ai sensi dell’art. 6, l. n. 604/1966, è ben diversa (ed ha contorni molto più vaghi) rispetto a quella di atto pubblico o di scrittura privata autenticata e, dunque, appare corretto affermare che la mancata sottoscrizione digitale dell’atto allegato alla pec non ne infici in alcun modo la validità. Tale conclusione appare coerente, del resto, con quanto previsto dall’art. 46 del Regolamento (UE) n. 910/2014, secondo cui la forma elettronica di un documento non può costituire l’unico motivo per negarne gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali22 .
19 MenGali, op. cit., 2. 20 Così anche tiMellini, op. cit., 1264. Contra Mutarelli, È valida l’impugnativa di licenziamento inviata come allegato dalla P.e.c. dell’avvocato?, in Il diritto dei lavori, Anno XII, n. 3, dicembre 2018, 21, secondo cui: «Ove si avvalga (…) dello strumento della scrittura privata, tale scrittura deve necessariamente recare la firma autografa prescritta dall’art. 2702 c.c., il quale impone tale requisito ai fini dell’efficacia della scrittura privata». 21 Così, MenGali, op. cit., 2. 22 Il Regolamento abroga la Direttiva 99/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche che, per quanto di qui interesse, già escludeva, all’art. 1, dal proprio campo d’applicazione quegli «aspetti relativi alla conclusione e alla validità dei contratti o altri obblighi giuridici quando esistono requisiti relativi alla forma prescritti dal diritto nazionale o comunitario».
Nel diritto italiano, l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento è un «negozio giuridico unilaterale dispositivo diretto a manifestare la volontà di togliere efficacia e validità al recesso»23 che soggiace, come già più volte ricordato, al principio di libertà di forma.
La dottrina24 ha chiarito che, a differenza della comunicazione di licenziamento, l’onere formale «non è previsto a tutela del destinatario dell’atto unilaterale, ma per una maggiore garanzia del contraente a carico del quale è posto» e l’ampiezza della formula legislativa utilizzata (“qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore”) costituisce un indice del favor nei confronti del lavoratore e del riconoscimento della sua debolezza contrattuale25 .
L’atto scritto, richiesto ad substantiam26, consente al lavoratore di poter provare di aver interrotto il termine decadenziale, il quale, a sua volta, risponde all’esigenza datoriale di certezza giuridica sulla persistenza del rapporto e sulla strutturazione ed organizzazione dell’organico, ed alla necessità di evitare il rischio di riammissioni in servizio di dipendenti licenziati in epoca remota27 .
In effetti, nell’interpretazione che ne ha fornito la Corte costituzionale28, la forma richiesta dalla disposizione garantisce il controllo sull’osservanza del termine stabilito, e la genericità della previsione consente che l’impugnativa sia ricondotta alla parte interessata, non solo per il tramite della sottoscrizione, «ma anche con ogni altro scritto a questa riferibile, con la condizione esplicitamente posta, dell’idoneità a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento».
L’estrema genericità della norma, dunque, non consente di predeterminare delle ipotesi di mezzi di trasmissione dell’impugnativa sicuramente validi a priori, «dovendosi far riferimento alla volontà che sottostà all’atto, piuttosto che al mezzo utilizzato»29. E, coerentemente con quanto affermato dalla Consulta, è stato rilevato30 che la sottoscrizione non costituisce un requisito necessario della validità dell’impugnazione, purché il lavoratore riesca a fornire una prova inequivocabile della provenienza dell’atto da sé medesimo, a differenza della “scrittura privata” di cui all’art. 2702 c.c., per cui la sottoscrizione è, come noto, requisito indefettibile31 .
23 Cass., sez. un., 2 marzo 1987, n. 2180, in GC, 1987, I, 1055. 24 d’onGhia, La forma vincolata nel diritto del lavoro, Giuffrè ed., 2005, 319. 25 V. in tal senso, d’onGhia, op. cit., 320. 26 Trattandosi di atto non negoziale, l’eventuale assenza di forma scritta produce inesistenza dell’atto e non nullità. Così, d’onGhia, op. cit., 322. 27 Cfr. tatarelli, Il licenziamento individuale e collettivo, Cedam, 2000, 351. Secondo napoletano, Il licenziamento dei lavoratori alla stregua della nuova disciplina legislativa, U.T.E.T., 1966, 55, il termine «è giustificato dalla necessità di garantire una rapida soluzione della controversia relativa al licenziamento e di facilitare il ripristino del rapporto ove il licenziamento risulti ingiustificato». 28 C. cost., ord. 13 maggio 1987, n. 161, in MGL, 1987, 319, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale della norma, con riferimento agli artt. 3, 24 e 101 Cost. 29 Così Mazzotta, I licenziamenti. Commentario, Giuffré, 1999, 432. 30 Mazziotti, Forma e procedura dei licenziamenti, in F. CarinCi (a cura di), La disciplina dei licenziamenti. Dopo le leggi 108/1990 e 223/1991, Jovene, 1991, 92; tatarelli, op. cit., 364-365; tiMellini, op. cit., 1260-1261. 31 Cfr. la copiosa giurisprudenza di legittimità sul punto, tra cui ex plurimis Cass., 7 gennaio 1997, n. 34, in GC Mass., 1997, 6; Cass., 9 luglio 2001, n. 9289, in GC Mass., 2001, 1359.
Dunque, l’eccessivo formalismo a cui può condurre una lettura non coordinata e disattenta dei ricordati testi normativi rischia di contraddire la ratio dell’art. 6, l. n. 604/1966, e di produrre, per giunta, un irragionevole disallineamento tra l’estrema libertà di forma, che la giurisprudenza sempre più spesso riconosce all’intimazione del licenziamento, e le rigidità che, invece, si tenta di imporre alla contestazione del recesso.
Appare paradossale, infatti, che secondo i più recenti arresti giurisprudenziali sia considerato legittimo il licenziamento intimato con una lettera allegata ad una e-mail non certificata, o addirittura con un semplice messaggio Whatsapp32, ed invece per la contestazione stragiudiziale di quel licenziamento non basti neanche la posta elettronica certificata, ma si richieda la firma digitale del documento allegato, già sottoscritto in forma autografa.
5. Il principio di libertà di forma e i nuovi mezzi di comunicazione digitale
La sentenza del Tribunale di Roma offre lo spunto, infine, per una breve riflessione sulla possibilità che i più moderni e diffusi mezzi di comunicazione digitale siano considerati “atti scritti” idonei ad interrompere il termine decadenziale per l’impugnativa del licenziamento.
Il riferimento è agli SMS (“short message service”), alle e-mail non certificate, ai messaggi inviati mediante Whatsapp, Telegram e gli altri applicativi di messaggistica istantanea dei social network (Facebook, Instagram, Linkedin, etc.), sul cui valore probatorio si è già esercitata la giurisprudenza, seppure in casi dissimili.
In primo luogo, la giurisprudenza di legittimità33 ha affermato che l’ SMS, di cui va riconosciuta la natura di scrittura privata ai sensi dell’art. 2712 c.c., fa piena prova in sede giudiziale dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime34, mentre una nota pronuncia di merito35 ha riconosciuto la validità del licenziamento intimato a mezzo SMS, nel presupposto della assimilabilità dello strumento al telegramma dettato per telefono.
32 Per un esame della questione, v. lazzari, La comunicazione del licenziamento alla prova delle nuove tecnologie, in ADL, 2017, 179; rota, L’intimazione del licenziamento nell’era digitale: dalla notificazione a mezzo raccomandata all’invio tramite WhatsApp, in LLI, 3, 2, 2017, 27 ss.; avondola, Il licenziamento nella digital society: la nuova frontiera della forma scritta, in VTDL, 1, 2018, 281 ss. 33 Cass., 17 luglio 2019, n. 19155, in GDir, 2019, 33, 104. 34 Tuttavia – chiarisce la Suprema Corte – «il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali, anche di documenti informatici aventi efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2712 c.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta». L’eventuale disconoscimento, dunque, non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215, comma 2, c.p.c., poiché, mentre, in questo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, per i documenti informatici non può escludersi che il giudice accerti la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. 35 App. Firenze, 5 luglio 2016, in ADL, 1, 2017, 189 ss., con nota di lazzari. In precedenza, ritenne l’SMS inidoneo a costituire una valida forma di licenziamento «in quanto non garantisce con certezza l’autore dell’atto, né la data di invio e ricezione» Trib. Monza, 10 giugno 2013, in De jure.
Inoltre, sempre a riguardo dell’intimazione di licenziamento, la Cassazione36 ha valutato che anche il documento allegato alla e-mail, di cui, però, risulti provata in ogni modo la ricezione da parte del datore di lavoro, costituisca un valido “atto scritto”, ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. n. 604/1966.
Analogamente, poi, la giurisprudenza di merito37 è giunta a riconoscere la legittimità del recesso intimato per il tramite dell’applicazione Whatsapp, in quanto ha ritenuto che detto strumento garantisca la inequivocità, la chiarezza e la facile intellegibilità della volontà estintiva del rapporto.
Ciò premesso, però, quanto all’impugnativa del licenziamento, questi strumenti di comunicazione pongono tutti un duplice problema, di ordine non solo pratico, consistente nella inequivocabile individuazione della paternità dei messaggi e nella prova della loro effettiva ricezione.
Infatti, se l’impugnativa del recesso può essere comunicata “con qualsiasi atto scritto”, tale può configurarsi anche il messaggio inviato con uno dei predetti strumenti digitali, anche perché, come anticipato, la sottoscrizione dell’impugnativa non costituisce elemento essenziale per l’esistenza dell’atto38, a condizione che, diversamente, ed anche per presunzioni (come chiarito in giurisprudenza per il caso del telegramma fonodettato), si possa giungere ad associare con certezza il mittente alla persona del lavoratore.
In tal senso, non v’è dubbio che la univoca riconducibilità dell’utenza telefonica al soggetto titolare consenta di assolvere a questa esigenza39. Più dubbia, invece, appare la riconducibilità dei messaggi inviati mediante gli applicativi di messaggistica istantanea dei social network che non prevedano una previa registrazione dell’utente tale da impedire l’utilizzo di profili “fake”, a meno che il mittente non riesca a provare di avere un utilizzo esclusivo e personale del profilo40 .
Quanto, invece, alla e-mail non certificata che rechi in allegato un documento scansionato, il rischio per il lavoratore che abbia contestato la legittimità e la validità del recesso con questo mezzo è che di non riuscire a provare l’effettiva ricezione da parte del datore di lavoro. A meno che (come sostenuto in giurisprudenza per i telefax) non si voglia riconoscere alla notifica di lettura che alcuni servizi di posta elettronica assicurano il significato di una presunzione relativa di ricezione, e sempre che il lavoratore riesca a fornire la prova che l’indirizzo e-mail non certificato a cui l’atto viene inviato costituisce il domicilio informatico del datore. Analogamente a quanto accade per la trasmissione a mezzo pec41, però, resta fermo che, in caso di specifica contestazione, il lavoratore avrà l’onere di produrre l’originale del documento, affinché si possa verificare la conformità della copia scansionata e trasmessa via e-mail all’originale.
36 Cass., 12 dicembre 2017, n. 29753, in LG, 6, 2018, 565 ss., con nota di zilli. 37 Trib. Catania, 27 giugno 2017, in Labor, 2017, 2, con nota di pistore. 38 Così, C. cost., ord. 13 maggio 1987, n. 161, cit. 39 In tal senso, v. pistore, Legittimo il licenziamento intimato mediante Whatsapp, in Labor, 2017, 2. 40 Meno dubbiosa in ordine all’ammissibilità del licenziamento a mezzo messaggio privato su Facebook, rota, op. cit., 41, secondo cui lo strumento risulta assimilabile all’ SMS o ad una e-mail non certificata. 41 Così, MenGali, op. cit., 3.
In definitiva, in attesa di un auspicabile intervento normativo che possa fugare ogni dubbio, il principio di libertà di forma imposto dall’art. 6, l. n. 604/1966 consente di considerare legittimo l’utilizzo di pressoché tutti i moderni mezzi di comunicazione digitale, con l’esclusione unicamente di quelli che sicuramente non formano un “atto scritto”, come i “messaggi vocali” trasmessi su Whatsapp42, su Telegram o su altro strumento di messaggistica istantanea.
Claudio de Martino
42 Analogamente, ritengono che i messaggi vocali su Whatsapp non possano costituire atto scritto ai fini dell’intimazione del licenziamento rota, op. cit., 40 e zili, La comunicazione “scritta” del licenziamento nell’era digitale, in LG, 2018, 6, 570.