ANTIRICICLAGGIO & COMPLIANCE RIVISTA ITALIANA DELL’ANTIRICICLAGGIO Direttore Ranieri Razzante
IN EVIDENZA
COMMENTI
GIURISPRUDENZA
NORMATIVA
Prime considerazioni in merito alla normativa AML/CFT adottata dalla Banca d’Italia per gli istituti di vigilanza privata che trattano il contante Normativa antiriciclaggio e Organismo di Vigilanza: focus sugli adempimenti dei componenti di OdV iscritti all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, alla luce delle regole tecniche del CNDCEC La tempesta perfetta del Coronavirus: una opportunità per cambiare il nostro approccio alla gestione del rischio
N. 1 2020 Gennaio/Marzo Rivista trimestrale
COMITATO SCIENTIFICO Dott. Roberto Alfonso – Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano; Gen. D. Pasquale Angelosanto – Comandante Ros Carabinieri; Prof. Avv. Stefano A. Cerrato – Ordinario di Diritto Commerciale – Università di Torino; Cons. Maria Vittoria De Simone – Procuratore Nazionale Aggiunto DNA; Dott. Annalisa De Vivo – Consulente Antiriciclaggio Ufficio di Presidenza CNDCEC; Dott. Davide Diamare – Funzionario Area Giochi- Agenzia Dogane e Monopoli; Dott. Roberto Fanelli – Dirigente Generale Area Giochi- Agenzia Dogane e Monopoli; Prof. Massimiliano Ferrara – Professore Ordinario di Teoria dei Giochi e Matematica per l’Economia presso Università Mediterranea di Reggio Calabria; Prefetto Bruno Frattasi – Direttore Agenzia Beni Confiscati e Sequestrati; Notaio Cesare Felice Giuliani – Presidente CNN; Cons. Alfredo Guardiano – Magistrato V Sez. Penale della Corte di Cassazione; Gen. B. Massimo Ignesti – Esperto di Security Internazionale; Cons. Antonio Laudati – Sostituto Procutatore DNA; Prof. Notaio Giancarlo Laurini – Presidente Corte Nazionale Arbitrale; Dott. Giuseppe Leotta – Sostituto Procuratore Militare presso Procura di Roma; Dott. Giuseppe Lombardo – Procuratore Aggiunto DDA Reggio Calabria; Prof.ssa Antonella Marandola – Ordinario Procedura Penale Università del Sannio- Benevento; Gen. B. Vincenzo Molinese – Comandante Istituto Superiore Tecniche Investigative- Arma dei Carabinieri; On. Dott. Alberto Pagani – Commissione Difesa Camera dei Deputati; Avv. Alessandro Parrotta – Penalista in Torino, esperto in Reati Finanziari; Prof. Avv. Alessandra Rossi – Ordinario di Diritto Penale – Università di Torino; Cons. Giovanni Russo – Procuratore Nazionale Aggiunto DNA; Dott. Ciro Santoriello – Sostituto Procuratore- Procura di Torino; Gen. B. Gaetano Scazzeri – Comandante Nucleo AntiCorruzione Gdf; Prof. Avv. Giorgio Spangher – Professore Emerito Università La Sapienza di Roma; Prof. Notaio Giuseppe Trimarchi – Associato Diritto commerciale Università Pegaso; Prof. Notaio Camillo Verde – Ordinario di Diritto Privato – Università di Cassino COMITATO DI REDAZIONE Avv. Antonio Arrotino – Giurista d’Impresa e MLRO; Dott.ssa Marilisa De Nigris – Esperta in programmi di assistenza tecnica in materia di giustizia e sicurezza; Dott. Benedetto Palombo – Esperto in Antiterrorismo; Avv. Marta Patacchiola – Consulente Antiriciclaggio (Coordinatore); Dott.sa Francesca Romana Tubili – Esperta di social media relations; Dott.sa Francesca Urbani – Consulente Privacy e Antiriciclaggio Segreteria di redazione Gloria Giacomelli ggiacomelli@pacinieditore.it Phone +39 050 31 30 243 - Fax +39 050 31 30 300 Amministrazione Pacini Editore Srl, via Gherardesca 1, 56121 Pisa Tel. 050 313011 • Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • abbonamenti_giuridica@pacinieditore.it I contributi pubblicati su questa rivista potranno essere riprodotti dall’Editore su altre, proprie pubblicazioni, in qualunque forma. In corso di registrazione presso il Tribunale di Pisa Direttore responsabile Patrizia Alma Pacini
INDICE
Editoriale del Direttore
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Giampaolo Estrafallaces, Prime considerazioni in merito alla normativa AML/CFT adottata dalla Banca d’Italia per gli istituti di vigilanza privata che trattano il contante
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Filippo Bosi, Europol: una strategia europea contro il riciclaggio
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Annalisa De Vivo, Normativa antiriciclaggio e Organismo di Vigilanza: focus sugli adempimenti dei componenti di OdV iscritti all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, alla luce delle regole tecniche del CNDCEC
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Dimitri Barberini, Follow the money. Il passato, il presente e il futuro del riciclaggio di denaro
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Filippo Bosi, Profili di illegittimità euro-costituzionale dell’art. 6, lett. A) d.lgs. 231/2001, con riferimento all’attribuzione alla società dell’onere della prova quanto all’idoneità del modello
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Massimo Ignesti, La tempesta perfetta del Coronavirus: una opportunità per cambiare il nostro approccio alla gestione del rischio »
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Valentina Ciappina, Mafia Nigeriana e Secret cults
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Sabrina Familiari, Studio Criminologico delle Segnalazioni di Operazioni Sospette
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Osservatorio normativo
Approfondimenti Ranieri Razzante, Limitazione all’uso del contante: una ricostruzione metodologica
INDICE
Andrea Bernabale, Il “Mondo di mezzo”: analisi de iure condito intorno all’applicazione dell’art. 416-bis c.p. al caso “mafia capitale”
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Lo scudo fiscale non esclude la configurabilità del reato di riciclaggio, Cassazione pen. sez. II – 13/11/2019, n. 7257, (con nota di Francesca Urbani)
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Accertamento del dolo nel reato di riciclaggio di un imprenditore esperto, Cassazione penale sez. II – 30/01/2020, n. 10638
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Sequestro, sommatoria dei profitti per la determinazione del quantum in caso di concorso tra dichiarazione fraudolenta e riciclaggio, Cassazione penale sez. II – 30/01/2020, n. 10649
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Comunicato stampa Banca d’Italia Proroga dei termini e altre misure temporanee per mitigare l’impatto del Covid-19 sul sistema bancario e finanziario italiano
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Comunicato UIF Emergenza epidemiologica da Covid-19 Misure temporanee e avvertenze per mitigare l’impatto sui soggetti tenuti alla trasmissione di dati e informazioni nei confronti della UIF
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Direttive Operative della Guardia di Finanza per Emergenza epidemiologica da Covid-19 »
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Giurisprudenza
Documentazione
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Disposizioni Banca d’Italia per la conservazione e la messa a disposizione dei documenti, dei dati e delle informazioni per il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo Emergenza Covid-19
Editoriale
Ranieri Razzante
Gentili Lettori, è con vivo orgoglio che Vi annunciamo l’inizio dell’attività editoriale della Rivista scientifica online “Antiriciclaggio&Compliance”, con connesso portale web. La globalizzazione dei mercati, ormai realtà in atto, offre agli imprenditori un accesso facilito a nuovi scenari, ai consumatori la disponibilità di prodotti e servizi a prezzi più favorevoli. Tuttavia, l’integrazione economica internazionale consente anche ad “altri attori” – primi fra tutti, alle organizzazioni criminali – inedite e innumerevoli opportunità di occultamento e trasferimento dei proventi delle attività illecite, facilitate dalle lacune presenti nel sistema delle regole e dei controlli dei singoli Stati. Emergono, in tal modo, forme sempre più “raffinate” e “fantasiose” di riciclaggio dell’origine illecita delle risorse.
Le nuove strategie dei sodalizi criminali sono indirizzate, infatti, non solo a rafforzare la propria influenza sul territorio di appartenenza, ma sempre più ad intensificare la collaborazione con altri gruppi criminali appartenenti a contesti continentali affatto differenti. Ciò avviene, in particolar modo, attraverso accordi di scambio per traffico di sostanze stupefacenti e di armi, tratta degli esseri umani e, in ultimo, non per impatto ed importanza, finanziamento degli eventi terroristici. Bisogna, ad onor del vero, registrare un forte impegno della comunità internazionale nella promozione della criminalizzazione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo in tutti i Paesi, dell’armonizzazione delle discipline amministrative nazio-
EDITORIALE
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nali di prevenzione e della cooperazione fra le Autorità dei diversi ordinamenti. Purtroppo, però, le diversificazioni tra le risposte normative interne nel recepimento delle misure sovranazionali hanno inciso, ed incidono, sulle scelte di localizzazione degli operatori, onesti o meno, spingendoli a insediarsi in Paesi caratterizzati da legislazioni più permissive e da controlli meno intensi. Con particolare riguardo all’ambito europeo, il principio dell’armonizzazione, pur rappresentando un innegabile traguardo nel processo di integrazione, ha altresì comportato situazioni di svantaggio competitivo all’interno dell’area dell’Unione per gli Stati, Italia in primis, che adottano presidi antiriciclaggio più rigorosi, regole severe e presidi capillari. Aspetti controversi nella prassi applicativa sono, d’altra parte, connaturati alla stessa normativa antiriciclaggio, disseminata di concetti sovente non inquadrabili in modo oggettivo, come ad esempio quello cardine di “approccio basato sul rischio”. Tali profili di particolare complessità, per la presenza di norme che non sempre brillano per qualità di tecnica legislativa e un intricato apparato di autorità e soggetti coinvolti, rendono particolarmente utili uno studio ed un’analisi continui. L’emersione di queste esigenze e, soprattutto, una malcelata passione per la materia, ci hanno
spinto a cogliere la presente sfida. Intendiamo, in buona sostanza, fornire un supporto aggiornato agli operatori ed agli studiosi, ma anche una base “scientifica” di analisi utile a incoraggiare il confronto ed il dibattito sulle azioni da intraprendere per superare lacune e criticità del sistema di contrasto e prevenzione. Nel primo numero della Rivista segnaliamo contributi inerenti alla prevenzione e repressione del fenomeno del riciclaggio, alle nuove sfide di compliance poste dalla pandemia Covid-19, al contrasto delle organizzazioni criminali, all’approfondimento della delicata tematica della limitazione al contante, alle problematiche connesse all’applicazione dei presidi AML alla categoria dei professionisti. Sul portale online intendiamo offrire contenuti e notizie su temi relativi alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo, della corruzione, dei reati societari, delle frodi comunitarie e su argomenti collegati alla compliance tout court. Il nostro impegno è quello di aggiornare il portale con cadenza quotidiana grazie anche alla collaborazione di chi vorrà proporre nuovi spunti di approfondimento. Un sentito ringraziamento porgiamo a tutti coloro i quali, a vario titolo, hanno contribuito, fin dalle prime fasi, al nostro progetto.
OSSERVATORIO NORMATIVO
Prime considerazioni in merito alla normativa AML/ CFT adottata dalla Banca d’Italia per gli istituti di vigilanza privata che trattano il contante Giampaolo Estrafallaces
Consigliere senior della Banca d’Italia*
In occasione del recepimento della Direttiva (UE) 2015/849 è stato rafforzato l’apparato amministrativo antiriciclaggio con il conferimento alla Banca d’Italia del ruolo di Autorità di vigilanza di settore sugli operatori che trattano il contante. In relazione a ciò, l’Istituto di emissione ha provveduto recentemente ad adottare alcune disposizioni volte a regolare i profili organizzativi e di customer due diligence di tali destinatari. I provvedimenti contengono alcune disposizioni innovative potenzialmente in grado di migliorare la conoscenza di fenomeni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo legati all’utilizzo del contante. Sommario: 1. Premessa. – 2. Il Provvedimento organizzativo: aspetti di carattere generale. – 3. Disposizioni in materia di iscrizione nell’elenco. – 3.1. Requisiti degli esponenti aziendali, degli altri profili aziendali e dei partecipanti al capitale: articoli 6, 7 e 8. – 3.2. Decadenza e sospensione dalle cariche: articoli 9 e 10. – 4. Disposizioni in materia di organizzazione, procedure e controlli AML/CFT per gli operatori iscritti nell’elenco. – 4.1. Principio di proporzionalità e approccio basato sul rischio. – 4.2. Organi e funzioni del sistema di gestione e controllo del rischio di riciclaggio degli istituti di vigilanza privata. – 4.3. L’organo di gestione: articolo 15. – 4.4. L’organo di controllo e la funzione di revisione interna (internal audit): articoli 16 e 24. – 4.5. Il responsabile antiriciclaggio. – 4.6. il responsabile delle segnalazioni di operazioni sospette. – 5. Le segnalazioni periodiche antiriciclaggio. – 6. Il Provvedimento in materia di adeguata verifica. – 6.1. Il concetto di “soggetto servito”. – 6.2. Ulteriori considerazioni. – 6.3. Punti di forza del Provvedimento in materia di adeguata verifica.
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Le opinioni espresse non impegnano l’Istituto di appartenenza.
OSSERVATORIO NORMATIVO
1. Premessa
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Il 4 febbraio 2020, ad esito della consultazione pubblica che si è svolta dal 19 settembre al 18 novembre 2019, la Banca d’Italia ha pubblicato sul proprio sito internet il Provvedimento recante “Disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela e di conservazione dei dati e delle informazioni per gli operatori non finanziari iscritti nell’elenco di cui all’articolo 8 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350”1 (d’ora innanzi “Provvedimento in materia di adeguata verifica”). La pubblicazione in parola segue di circa nove mesi quella del Provvedimento del 23 aprile 2019 recante “Disposizioni per l’iscrizione e la gestione dell’elenco di cui all’articolo 8 del decretolegge 25 settembre 2001, n. 350, convertito con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, nonché su organizzazione, procedure e controlli in materia antiriciclaggio per gli operatori non finanziari iscritti nell’elenco”2 (d’ora innanzi “Provvedimento organizzativo”). Si tratta di due atti normativi emanati dall’Istituto di emissione in seguito all’attribuzione allo stesso del ruolo di Autorità di vigilanza di settore “nei confronti degli operatori non finanziari che esercitano le attività di custodia e trasporto di denaro contante e di titoli o valori a mezzo di guar-
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In G.U. n. 38 del 15 febbraio 2020. In G.U. n. 103 del 4 maggio 2019.
die particolari giurate, in presenza della licenza di cui all’articolo 134 TULPS”3. Come si è già avuto modo di precisare4, i destinatari di entrambi i provvedimenti sono gli istituti di vigilanza privata (d’ora innanzi indicati anche come “operatori”) che, oltre a svolgere la tradizionale attività di vigilanza, si occupano anche della gestione del contante5 in seguito ad accordi di esternalizzazione conclusi, nella maggior parte dei casi, con le banche di cui sono partner importanti nell’attività di cash management.
3 Cfr. articolo 1, comma 2, lett. c, Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231, “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione”. 4 Cfr. “Antiriciclaggio e denaro contante: gli istituti di vigilanza privata outsourcer nel processo di esternalizzazione del trattamento del contante e la normativa di contrasto del riciclaggio” di Giampaolo Estrafallaces, Diritto Bancario on line, Approfondimenti, gennaio 2019. 5 Entrambi i provvedimenti definiscono l’attività di gestione del contante (o trattamento del contante) come l’attività svolta attraverso le due fasi di: a) individuazione delle banconote sospette di falsità, con l’accertamento delle caratteristiche distintive e di sicurezza (controlli di autenticità); b) verifica delle banconote che, per il loro stato di conservazione, sono idonee a essere reimmesse in circolazione sia in operazioni di sportello sia con l’alimentazione di dispositivi automatici di distribuzione del contante (controlli di idoneità).
Prime considerazioni in merito alla normativa AML/CFT adottata dalla Banca d’Italia
Le disposizioni citate, unitamente al documento intitolato “Manuale operativo per le segnalazioni periodiche a fini antiriciclaggio” pubblicato il 16 agosto 2019, sempre dalla Banca d’Italia, contribuiscono alla definizione di un framework normativo in materia di contrasto del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo (di seguito AML/CFT)6 specificamente dedicato a tali operatori, che troverà la sua completa configurazione quando la Banca d’Italia provvederà ad indicare, ai sensi dell’articolo 15, comma 1 del d.lgs 231/2007 (d’ora innanzi “decreto antiriciclaggio”), i criteri e le metodologie per l’analisi e la valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo cui tali operatori sono esposti nell’esercizio della loro attività. Quanto alle ragioni di fondo di tali provvedimenti e, più in generale, alle finalità perseguite dal legislatore ampliando mediante il d.lgs 90/2017 le competenze della Banca d’Italia con l’attribuzione del ruolo di Autorità antiriciclaggio su tali operatori, va richiamato il rilievo mosso dal Financial Action Task Force (FATF) in occasione della redazione del Mutual evaluation report sul sistema italiano AML/CFT laddove si sottolinea che la già ridotta sensibilità degli operatori non finanziari su tale tema è aggravata dall’assen6 Anti-money laundering (AML) and combating the financing of terrorism (CFT).
GIAMPAOLO ESTRAFALLACES
za di una dettagliata legislazione secondaria7. Tra l’altro, considerato il ruolo che generalmente si annette al contante in relazione ad alcune tipologie di comportamenti illeciti – circostanza sulla quale, similmente al FATF8, si è soffermato da ultimo anche il Comitato di Sicurezza Finanziaria9 – l’adozione di norme dedicate al settore degli istituti di vigilanza privata assume particolare importanza in quanto tali operatori, svolgendo sul territorio attività di cash management per conto di più soggetti del comparto finanziario e non, dispongono di un patrimonio informativo più che unico in termini di conoscenza di flussi di denaro contante. 7 “The nonfinancial sector, with some exceptions, is far less attuned to ML/TF risk, and is hampered by the absence of detailed secondary legislation”, FATF, Anti-money laundering and counter-terrorist financing measures. Italy. Mutual Evaluation Report, February 2016, p. 5. 8 “The high use of cash and relatively large informal economy very significantly increases the risk that illicit proceeds may be rechanneled into the regulated formal economy”, FATF, cit., p. 6. 9 In argomento, si richiamano le riflessioni svolte dal Comitato in occasione della pubblicazione, avvenuta a giugno 2019, dei risultati della “Seconda analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo”. In tale ambito il Comitato chiarisce che in Italia il rischio di riciclaggio è ancora molto significativo a causa di alcuni “fattori di contesto” che permeano il sistema economico fra i quali viene indicato l’uso ancora molto diffuso del contante circostanza che amplifica la minaccia che proventi di reato siano reinseriti nel circuito economico-finanziario. 7
OSSERVATORIO NORMATIVO
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Con riferimento a quest’ultima espressione (“denaro contante”) va, infine, precisato che, sebbene nel decreto sia utilizzata con riferimento tanto alle banconote quanto alle monete metalliche aventi corso legale, sia in euro che in valuta estera10, la competenza antiriciclaggio della Banca d’Italia su tali soggetti è limitata alle sole attività di trattamento delle banconote in euro, restando escluso da tale ambito tanto le attività di trattamento delle monete metalliche quanto tutte le altre attività svolte dagli istituti di vigilanza privata, ivi comprese quelle di custodia e trasporto di valori, attività che, dunque, non sono precluse dalla mancata iscrizione all’elenco su cui ci si soffermerà in dettaglio al successivo paragrafo 3.
2. Il Provvedimento organizzativo: aspetti di carattere generale Il Provvedimento organizzativo del 23 aprile 2019, contrariamente a quello emanato il 26 marzo 2019 per gli intermediari bancari e finanziari, è strutturato in capi e articoli, e può dividersi, in due parti: a) dal capo II al capo IV, articoli da 2 a 12, finalizzati a disciplinare i requisiti e il procedimento per l’iscrizione nello specifico elenco tenuto dalla Banca d’Italia, condizione essenziale Cfr. articolo 1, comma 2, lett. o, Decreto antiriciclaggio.
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per lo svolgimento dell’attività di trattamento del contante da parte degli istituti di vigilanza privata; b) dal capo V al capo VI, articoli da 13 al 31, finalizzati a dettare disposizioni in materia di organizzazione, procedure e controlli AML/CFT e descrivere i relativi poteri di controllo, d’intervento e sanzionatori della Banca d’Italia. A parte va considerato il contenuto dell’articolo 1 “Definizioni” che esaurisce da solo il capo I, nonché le norme del capo VII dedicato alle “Disposizioni transitorie e finali” (articoli 32, 33 e 34). Ai sensi dell’articolo 34, le disposizioni contenute nel Provvedimento sono entrate in vigore già dal giorno successivo a quello di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana avvenuto il 4 maggio 2019. L’articolo 32 ha previsto, tuttavia, che gli operatori che al 31 dicembre 2018 stessero già svolgendo l’attività di trattamento del contante11 avrebbero potuto in ogni caso continuare a operare Tale circostanza sarebbe dovuta risultare dall’accreditamento dell’operatore al “Portale del contante (CASH-IT)” che è il sistema informatico per l’acquisizione delle segnalazioni statistiche cui sono tenuti tutti i gestori del contante (non solo gli operatori oggetto della presente relazione). Esso è costituito da un portale su rete internet raggiungibile secondo una logica user-to-application. In argomento si veda il Provvedimento della Banca d’Italia del 5 giugno 2019, Disposizioni per l’attività di gestione del contante, allegato 1, Capitolo VII – segnalazioni statistiche dei gestori del contante.
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Prime considerazioni in merito alla normativa AML/CFT adottata dalla Banca d’Italia
nei nove mesi successivi alla data di entrata in vigore del Provvedimento organizzativo, cioè fino al 5 febbraio 2020. Sempre secondo l’articolo 32 gli operatori che entro il predetto termine avessero presentato la domanda di iscrizione avrebbero goduto di un ulteriore regime di prorogatio fino alla data di conclusione del procedimento d’iscrizione, la cui durata – ai sensi dall’articolo 4, comma 2 del Provvedimento organizzativo – è stata fissata in centoventi giorni a decorrere da quello di ricevimento della domanda.
3. Disposizioni in materia di iscrizione nell’elenco. L’attività di gestione del contante, detta anche di “trattamento del contante”, è riservata ai sensi del decreto legge 350/2001 esclusivamente ai soggetti elencati nell’articolo 8, comma 2 del medesimo decreto legge12. 12 Tale articolo stabilisce che “Agli effetti della presente sezione, per gestori del contante si intendono le banche e, nei limiti della loro attività di pagamento, le Poste Italiane S.p.A., gli altri intermediari finanziari e prestatori di servizi di pagamento nonché gli operatori economici che partecipano alla gestione e alla distribuzione al pubblico di banconote e monete metalliche, compresi: a) i soggetti la cui attività consiste nel cambiare banconote o monete metalliche di altre valute; b) gli operatori non finanziari che svolgono professionalmente attività di custodia e trasporto ai sensi dell’articolo 134 del TULPS, limitatamente all’attività di tratta-
GIAMPAOLO ESTRAFALLACES
Questi ultimi, ivi compresi gli istituti di vigilanza privata, fino all’emanazione del Provvedimento organizzativo, erano tenuti – ai fini dell’avvio dell’attività di trattamento del contante – a trasmettere alla Banca d’Italia una mera comunicazione preventiva contenente la descrizione del proprio assetto e della tipologia di apparecchiature da utilizzare per lo svolgimento di tale attività. Tanto era previsto da un Provvedimento della Banca d’Italia del 22 giugno 201613, comunemente noto come “Provvedimento sul ricircolo”14. mento del denaro contante; c) gli operatori economici, quali i commercianti e i casinò, che partecipano a titolo accessorio alla gestione e distribuzione al pubblico di banconote mediante distributori automatici di banconote nei limiti di dette attività accessorie”. 13 Cfr. Provvedimento della Banca d’Italia del 22 giugno 2016, “Disposizioni relative al controllo dell’autenticità e idoneità delle banconote in euro e al loro ricircolo”, allegato 1, Capitolo I, pagina 8. Anche questo Provvedimento, è stato emendato per adeguarlo alle modifiche intervenute negli assetti organizzativi della Banca d’Italia in seguito all’attribuzioni delle nuove competenze antiriciclaggio sugli operatori. La nuova versione è stata pubblicata il 5 giugno 2019 ed è disponibile sul sito della Banca d’Italia all’indirizzo https://www. bancaditalia.it/media/notizia/provvedimento-della-banca-d-italia-del-5-giugno2019-disposizioni-per-l-attivit-di-gestione-del-contante/. 14 Per ricircolo si intende la reimmissione in circolazione, ad esempio allo sportello (in questo caso ricircolo di prossimità) o mediante dispositivi di distribuzione automatica, delle banconote che i gestori del contante hanno ricevuto dal pubblico (come pagamento o come deposito) o da altro soggetto che opera con il contante.
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OSSERVATORIO NORMATIVO
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A far data dal 4 luglio 2017 il d.lgs. 90/2017 ha modificato il citato articolo 8 con l’aggiunta del comma 2-bis specificamente dedicato agli istituti di vigilanza privata15: per questi ultimi, e solo per questi, lo svolgimento professionale dell’attività di trattamento delle banconote in euro è condizionata all’iscrizione in un apposito elenco tenuto dalla Banca d’Italia, mentre le banche e gli altri soggetti rientranti nel novero dei gestori del contante continueranno ad essere sottoposti, ai fini dell’inizio dell’attività, solo ad un obbligo di comunicazione preventiva16. La novella dell’articolo 8 del decreto 350/2001 è stata, inoltre, completata con l’aggiunta del comma 2 ter che prevede il potere della Banca d’Italia di disciplinare i requisiti per l’iscrizione nell’elenco nonché i casi di cancellazione e di decadenza dallo stesso. A tal fine, il Provvedimento organizzativo del 23 aprile 2019 ha subordinato l’iscrizione al ricorre Cfr. articolo 8, comma 9, lettera b), Decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90, Attuazione della Direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e recante modifica delle direttive 2005/60/CE e 2006/70/ CE e attuazione del regolamento (UE) n. 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006. 16 Cfr. Banca d’Italia, Circolare 279, “Guida per l’attività di controllo dei gestori del contante”, capitolo I “Avvio dell’attività di ricircolo, Premessa, p. 3. 15
re di una serie di condizioni, fra le quali spiccano, oltre al possesso di requisiti di professionalità e onorabilità da parte degli esponenti aziendali e solo di onorabilità da parte di altre figure aziendali e dei soci rilevanti, anche la presenza di un assetto organizzativo e di un sistema dei controlli interni coerenti con le disposizioni antiriciclaggio di cui al Capo V del Provvedimento stesso e con quelle più generali in materia di ricircolo del contante. 3.1. Requisiti degli esponenti aziendali, degli “altri profili aziendali” e dei partecipanti al capitale: articoli 6, 7 e 8
Una prima riflessione meritano le disposizioni contenute nell’articolo 6 del Provvedimento organizzativo dettato in tema di “Requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali”17. L’articolo in parola introduce solo in parte elementi di novità in quanto al comma 1, in tema di requisiti di onorabilità per tre figure chiave – i componenti dell’organo di gestione, il direttore generale e il direttore tecnico – si limita a richiamare i requisiti già previ-
L’espressione “esponente aziendale, in tale contesto, comprende: a) i componenti dell’organo di gestione, ivi incluso il titolare dell’impresa nel caso in cui l’attività venga svolta nella forma di impresa individuale; b) i componenti dell’organo di controllo; c) il direttore generale e il direttore tecnico (cfr. Provvedimento organizzativo, Capo I, articolo 1 “Definizioni”).
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Prime considerazioni in merito alla normativa AML/CFT adottata dalla Banca d’Italia
sti dall’articolo 134 del T.U.L.P.S.18 (cioè il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza di cui al Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773) e dalle relative disposizioni di attuazione19 e, dunque, requisiti che sono già sottoposti a verifica da parte dell’autorità prefettizia competente al rilascio della licenza per lo svolgimento dell’attività di vigilanza privata, licenza tra l’altro che la Banca d’Italia ritiene, comunque, di dover acquisire in
Articolo 134 T.U.L.P.S.: “Senza licenza del Prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opera di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati… Il regolamento di esecuzione individua gli altri soggetti, ivi compreso l’institore, o chiunque eserciti poteri di direzione, amministrazione o gestione anche parziale dell’istituto o delle sue articolazioni, nei confronti dei quali sono accertati l’assenza di condanne per delitto non colposo e gli altri requisiti previsti dall’articolo 11 del presente testo unico, nonché dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575…”. 19 Queste ultime sono sostanzialmente rappresentate dal Regolamento per l’esecuzione del Testo Unico 18 giugno 1931, n. 773, delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con il RD 6 maggio 1940, n. 635 (d’ora innanzi “Regolamento di attuazione del TULPS”) nonché dal Decreto ministeriale 1° dicembre 2010, n. 269, “Regolamento recante disciplina delle caratteristiche minime del progetto organizzativo e dei requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi di cui agli articoli 256-bis e 257-bis del Regolamento di esecuzione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonché dei requisiti professionali e di capacità tecnica richiesti per la direzione dei medesimi istituti e per lo svolgimento di incarichi organizzativi nell’ambito” (d’ora innanzi DM 269/2010), modificato con il Decreto Ministeriale 25 febbraio 2015, n. 56. 18
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copia autentica al momento della presentazione della domanda di iscrizione (cfr. Provvedimento organizzativo, allegato 7, lett. a). Al contrario, risulta innovativa la previsione, sempre al comma 1 dell’articolo 6, di specifici requisiti di onorabilità per i componenti dell’organo di controllo, nonché di disposizioni procedurali per le verifiche interne in ordine alla sussistenza dei requisiti prescritti per gli esponenti aziendali. Infatti, nei commi da 3 a 7 è disciplinato un preciso iter di verifica demandato, per il direttore generale e il direttore tecnico, all’organo di gestione e, per gli altri esponenti, all’organo di appartenenza dell’esponente20. In occasione della propria nomina o del rinnovo nella carica, l’esponente dovrà attestare la propria onorabilità mediante la presentazione di una serie di documenti indicati dall’allegato 3 del Provvedimento organizzativo21. Nel caso di organi monocratici, ai sensi del comma 4, è sufficiente la conferma della sussistenza dei requisiti mediante la presentazio-
20 Organo di gestione o organo di controllo. 21 Ad esempio, nel caso l’esponente sia in possesso della cittadinanza italiana o, comunque, di uno Stato dell’UE, per attestare il possesso della onorabilità, sono richiesti: il certificato generale del casellario giudiziale, il certificato dei carichi pendenti e una dichiarazione sostitutiva del soggetto interessato attestante l’insussistenza dell’applicazione, anche provvisoria, di una misura di prevenzione prevista dal decreto Legislativo 6 settembre 2011, n, 159, e successive modificazioni.
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ne di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in merito alla cui veridicità il Provvedimento organizzativo non prevede alcuna verifica da parte di organi o strutture interne dell’operatore. Tra l’altro ai sensi dell’articolo 6, comma 6 gli operatori sono tenuti a trasmettere alla Banca d’Italia, entro trenta giorni dalla nomina, copia del verbale della riunione dell’organo collegiale nel corso della quale è stata condotta la verifica22 con la previsione ulteriore del potere della stessa Banca d’Italia di chiedere l’esibizione della documentazione esaminata. Poiché l’obbligo di inoltro alla Banca d’Italia è previsto anche per la dichiarazione sostitutiva resa dall’organo monocratico si presume che in tale caso la verifica debba essere condotta dall’Autorità ricevente acquisendo, eventualmente da parte dell’organo monocratico o con altre modalità consentite dai poteri di controllo, documentazione analoga a quella prevista dall’allegato 3 del Provvedimento organizzativo per
i componenti degli organi collegiali. Sempre con riferimento al contenuto dell’articolo 6, fra le innovazioni introdotte dal Provvedimento organizzativo figura l’obbligo – in capo ai componenti dell’organo di gestione con deleghe al trattamento del contante, al direttore generale e al direttore tecnico – di possedere, requisiti di professionalità ulteriori rispetto a quelli previsti dal T.U.L.P.S. per il rilascio della licenza23. La scelta di prevedere i requisiti di professionalità, in ogni caso per il direttore generale e per il direttore tecnico, ma di limitarli ai soli membri dell’organo di gestione con deleghe al trattamento del contante, scaturisce dalla considerazione che la “professionalità” dovrebbe essere richiesta in relazione all’area che i singoli amministratori gestiscono in concreto24. Si tratta, di fatto, di requisiti di carattere esperenziale, mentre non è previsto il conseguimento di specifici titoli di studio: viene, infatti, chiesto di attestare, me-
A maggior precisione si sottolinea che l’organo collegiale, ai sensi dell’articolo 6, comma 5, deve procedere all’accertamento dei requisiti nell’ambito di un’apposita riunione e quindi con l’esclusione della previsione di qualsiasi altro argomento all’ordine del giorno. La verifica dovrà avere carattere “individuale” cioè si dovrà procedere nominativo per nominativo con l’astensione, di volta in volta, del soggetto cui la documentazione si riferisce. Nella prassi utilizzata dagli intermediari bancari e finanziari l’astensione è resa più evidente dal volontario allontanamento dell’esponente interessato dal luogo dove è in corso la riunione.
23 In realtà, per l’individuazione dei requisiti di professionalità ai fini del rilascio della licenza si deve fare riferimento al DM 269/2010, che tuttavia prevede all’allegato B “Requisiti professionali minimi” limitatamente al titolare della licenza, all’institore e al direttore tecnico e non per i componenti dell’organo di gestione. 24 Cfr. Resoconto della consultazione p. 4, disponibile sul sito internet della Banca d’Italia all’indirizzo https://www.bancaditalia.it/compiti/emissione-euro/consultazioni/attivita-gestione-contante/Resoconto-consultazione.pdf.
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diante la presentazione di un curriculum e di dichiarazioni rilasciate da precedenti datori di lavoro, lo svolgimento, per un arco temporale di almeno un anno, di “attività di amministrazione o controllo ovvero compiti direttivi presso imprese di dimensioni almeno equivalenti (a quella presso cui si è chiamati a ricoprire l’incarico) tenuto conto del volume d’affari e del numero degli addetti”25. In alternativa, la norma ritiene sufficiente, affinché ricorra il requisito di professionalità, l’aver ricoperto “incarichi di responsabilità almeno nei controlli di secondo livello in imprese che svolgono attività di trattamento delle banconote” senza che in questo caso si faccia riferimento allo svolgimento di tali attività presso imprese di dimensioni analoghe come nel punto precedente26. Per il soggetto chiamato a presiedere l’organo di gestione, per l’amministratore unico o per il titolare dell’impresa individuale, l’esperienza è richiesta attraverso lo svolgimento delle attività sopracitate per un arco temporale di almeno due anni, ma soltanto Cfr. allegato 2 del Provvedimento in commento. 26 I controlli di secondo livello sono controlli periodici, affidati a personale non direttamente coinvolto nelle attività operative, sulle materialità in giacenza e sulla conformità del processo di lavorazione con le procedure adottate e con gli impegni contrattuali assunti. Cfr. Provvedimento della Banca d’Italia del 5 giugno 2019, Disposizioni per l’attività di gestione del contante, Capitolo II (Requisiti di organizzazione), 1.4 (Assetto dei controlli interni), p. 13. 25
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nell’ipotesi in cui siano in possesso di deleghe al trattamento delle banconote. Altra novità introdotta dal Provvedimento organizzativo è rappresentata dal contenuto dell’articolo 7 che richiede il possesso di specifici requisiti di onorabilità27 per i responsabili della funzione antiriciclaggio, delle segnalazioni di operazioni sospette e della funzione di revisione interna, individuati dal testo come “altri profili aziendali”. La previsione di requisiti di onorabilità per i responsabili di queste tre funzioni rappresenta una particolarità degli istituti di vigilanza privata che trattano il contante considerata l’assenza di disposizioni analoghe nel provvedimento adottato dalla Banca d’Italia il 26 marzo 2019 per gli intermediari bancari e finanziari e persegue la finalità di presidiare il rischio AML/CFT mediante figure aziendali adeguate non solo sotto il profilo professionale ma anche della condotta penalmente rilevante. In tale ambito risulta di rilievo, più per il carattere icastico/simbolico che per l’aspetto pratico, il riferimento ai reati previsti dal Titolo V del decreto antiriciclaggio, la cui perpetrazione accertata con sentenza definitiva determina la carenza dei requisiti e, quindi, l’impossibilità di essere nominati o, comunque, di continuare a svolgere gli incarichi di responsa Cfr. allegato 4 del Provvedimento in commento.
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bile antiriciclaggio, delle segnalazioni di operazioni sospette e della funzione di revisione interna28. Per ciò che attiene alla verifica dei requisiti di onorabilità previsti per gli “altri profili aziendali”, la competenza è demandata dall’articolo 7 all’organo di gestione: al riguardo – sebbene il comma 2 dell’articolo 7 richiami il comma 4 dell’articolo 6 contenente la previsione che nel caso di organi monocratici il possesso dei requisiti sia “attestato da una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà…con la quale il soggetto interessato conferma la sussistenza dei requisiti richiesti” – la Banca d’Italia in sede di consultazione avviata prima dell’adozione del Provvedimento organizzativo, ha chiarito con riferimento agli “altri 28 Va rilevato, a mero titolo di osservazione, che nella versione posta in consultazione dal 17 dicembre 2018 al 18 febbraio 2019, figuravano nel novero degli “altri profili aziendali” anche il responsabile delle segnalazioni periodiche, il responsabile dei controlli di secondo livello e il responsabile di sala conta. Tuttavia, su richiesta dei rispondenti la disposizione è stata modificata confermando la necessità di requisiti di onorabilità solo in capo ai soggetti ritenuti “strategici” per il funzionamento dell’impianto antiriciclaggio mentre tali requisiti non sono stati estesi ad altre figure definite “prettamente “operative”. Va inoltre considerato come allo stato risulti superfluo che la norma (cfr. allegato 4, lett. a, n. 1) precisi che la carenza dei requisiti è determinata da una condanna alla reclusione “per un tempo non inferiore a sei mesi” considerato che le fattispecie incriminatrici cui si fa riferimento prevedono tutte come pena minima quella di sei mesi (cfr. articolo 55 del decreto antiriciclaggio).
profili aziendali” che “La possibilità di accertare mediante autodichiarazione il possesso dei requisiti di onorabilità ha carattere eccezionale ed è accordata per necessità ai soli organi monocratici” soggiungendo, inoltre, che “Di regola, la verifica deve essere condotta dall’organo di gestione, cui è attribuita la responsabilità dell’accertamento del possesso dei predetti requisiti sulla base della documentazione prodotta dall’interessato”. Pertanto, si desume che – pur legittima in virtù del richiamo al comma 4 dell’articolo 6 – l’autocertificazione nel caso degli “altri profili aziendali” dovrebbe rivestire carattere di eccezionalità. Sul punto va, inoltre, precisato che, in assenza di previsioni specifiche, l’organo di gestione non dovrà procedere ad alcun invio di documentazione alla Banca d’Italia per attestare l’adempimento della verifica come è invece stabilito dall’articolo 6 comma 6 per i requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali. Vero è che la documentazione utilizzata per le verifiche riguardanti gli “altri profili aziendali” dovrebbe essere conservata presso l’operatore per un periodo di dieci anni e la Banca d’Italia, non solo potrà chiederne copia ma, in ogni caso, va sottolineato come sia stabilito che in sede ispettiva sarà oggetto di accertamento la sussistenza dei requisiti per l’iscrizione
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nell’elenco29 ivi incluso, pertanto, anche l’effettivo adempimento dell’obbligo ex articolo 7, comma 2. Con riferimento ai partecipanti al capitale, il Provvedimento (cfr. articolo 8) prevede requisiti di onorabilità descritti nell’allegato 1, in capo a tutti i soci se l’operatore ha forma di società di persone, mentre, nel caso di società di capitali i requisiti sono prescritti solo per i soci che detengano partecipazioni rilevanti, cioè in caso di partecipazioni superiori al 25 per cento del capitale, sia che si tratti di partecipazione diretta sia indiretta (cioè detenuta mediante società controllate30, fiduciarie o per interposta persona). Se la partecipazione rilevante è detenuta da soggetto diverso da persona fisica, l’articolo 8 al comma 4 prevede solo due ipotesi: quella in cui la partecipazione sia detenuta da una società di capitali, stabilendo in tal caso che i requisiti devono sussistere in capo a tutti i componenti dell’organo di gestione e al direttore generale, e quella in cui la partecipazione sia detenuta da una società di persone, nel qual caso i requisiti sono obbligatori per tutti i soci. Non si contemplano altre ipotesi, sia pure meramente teoriche, come ad esempio la possibilità che la partecipazione sia dete In tal senso Circolare 279, “Guida per l’attività di controllo dei gestori del contante”, Capitolo III, “Attività ispettiva”, Premessa, p. 13. 30 Si applica la definizione di controllo prevista dall’articolo 23 del T.U.B. 29
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nuta da una fondazione o da un trust31. Inoltre, l’articolo 8, demandando la verifica della sussistenza dei requisiti di onorabilità dei soci all’organo di gestione, stabilisce che la documentazione utilizzata per tale accertamento debba risultare dal verbale dell’organo verificante o da una dichiarazione dell’amministratore unico senza, tuttavia, individuare, neanche in modo esemplificativo, quali documenti acquisire per la verifica. Se in generale è possibile fare ricorso a tal fine alla documentazione indicata nell’allegato 3, dedicato ai requisiti degli “esponenti aziendali”, l’operatore potrebbe incontrare qualche difficoltà per acquisire la documentazione finalizzata ad escludere “il verificarsi di una delle condizioni previste dall’articolo 2382 del codice civile”32 potendosi prevedere, al riguardo, l’ampio ricorso alla pratica dell’autocertificazione, modalità che si sarebbe già potuta indicare come soluzione nello stesso Provvedimento. Inoltre, con riferimento ai soci il Provvedimento organizzativo impone all’operatore una serie di obblighi di “comunicazione” alla Banca d’Italia: Una soluzione percorribile sarebbe stata quella di stabilire che, nei casi diversi da quelli espressamente previsti, i requisiti di onorabilità sarebbero dovuti sussistere in capo ai titolari effettivi dell’entità partecipante ai sensi delle disposizioni contenute nel decreto antiriciclaggio. 32 Cfr. allegato 1 lett. c) del Provvedimento in commento. 31
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a. l’articolo 8, comma 3, prevede che l’organo di gestione comunichi tempestivamente i nominativi dei “titolari di partecipazioni rilevanti” che si trovino privi dei requisiti di onorabilità prescritti33; b. ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lett. d), l’operatore deve comunicare l’assunzione di partecipazioni rilevanti nel capitale con i dati del soggetto che ha acquisito la partecipazione rilevante34 .
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33 In proposito, poiché la nozione di “partecipazione rilevante” è limitata dal Provvedimento organizzativo alle sole partecipazioni in società di capitali, ci si chiede come dovrebbe comportarsi l’operatore nel caso si tratti, invece, di società di persone. 34 Anche in questo caso poiché la norma fa riferimento al concetto di partecipazione rilevante e quindi a una società di capitali ci si chiede cosa dovrà comunicare l’operatore che sia una società di persone nell’ipotesi di modifiche del proprio assetto proprietario. Inoltre, in sede di consultazione in seguito a una specifica richiesta diretta a verificare, nella sostanza se il Provvedimento introducesse un obbligo per i soci di informare l’organo di gestione prima del compimento di atti di disposizione della propria quota, la Banca d’Italia ha fornito una risposta sostanzialmente negativa, ma ha altresì soggiunto che “L’organo di gestione si avvale degli strumenti previsti dalla legge per conoscere gli eventi che attengono alla composizione del capitale sociale e/o comunque al titolare delle partecipazioni sociali (ad es., in occasione dell’assemblea di approvazione del bilancio). Rientra, pertanto, nell’autonomia decisionale degli operatori valutare l’opportunità di imporre o meno specifici obblighi informativi”. Cfr. Resoconto cit. p. 6.
Infine, il testo in consultazione prevedeva anche che fossero oggetto di comunicazione le variazioni in aumento o in diminuzione delle partecipazioni in essere pari o superiori al 10 per cento del capitale, ma tale previsione è stata eliminata a seguito alle richieste dei “rispondenti” alla consultazione. 3.2. Decadenza e sospensione dalle cariche: articoli 9 e 10
Secondo quanto disposto dall’articolo 9 “gli esponenti che vengono a trovarsi in situazioni che, ai sensi del presente provvedimento comportano la decadenza dalla carica, comunicano tali circostanze all’organo di appartenenza”. La norma pone in primo luogo due questioni interpretative: la prima è relativa al significato da attribuire all’espressione “situazioni che…comportano la decadenza dalla carica”, la seconda in merito alla portata dell’espressione “ai sensi del presente provvedimento”. Va tenuto preliminarmente presente che le disposizioni emanate dalla Banca d’Italia in materia organizzativa prevedono esplicitamente, con riferimento agli esponenti aziendali, l’ipotesi di decadenza solo per i componenti dell’organo di controllo: l’articolo 6, comma 1, stabilisce infatti che “Non possono far parte dell’organo di controllo, e se già in carica decadono, i soggetti nei cui confronti ricorrono le circostanze indicate nell’allegato 1”.
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Al riguardo, va tenuto altresì presente che l’allegato in parola non contiene riferimenti agli “esponenti aziendali” in generale ma è intitolato “Circostanze che determinano l’assenza dei requisiti di onorabilità per i componenti dell’organo di controllo e per i partecipanti al capitale”. In sostanza, per i membri dell’organo di gestione, per il direttore generale e il direttore tecnico manca un preciso elenco di circostanze al verificarsi delle quali vi è l’obbligo per l’operatore di rimuovere l’esponente, come invece previsto in tema di “Sospensione” dall’articolo 10 (v. infra). Per individuare “le situazioni” cui si riferisce il Provvedimento nell’articolo 9 soccorre la Relazione pubblicata dalla Banca d’Italia in sede di avvio della consultazione: si legge in tale contesto che “…la proposta di provvedimento prevede che siano richiesti ai componenti dell’organo di gestione, al direttore generale e al direttore tecnico i medesimi requisiti di onorabilità previsti dal T.U.L.P.S. per il rilascio della licenza prefettizia. I predetti requisiti sono stati estesi ai componenti dell’organo di controllo…”35. Pertanto, in questo contesto i requisiti cui si fa riferimento non possono che essere quelli di ono Relazione per la consultazione, 17 dicembre 2018, p. 3. Il documento in parola è disponibile sul sito internet della Banca d’Italia all’indirizzo https://www.bancaditalia. it/compiti/emissione-euro/consultazioni/ attivita-gestione-contante/index.html.
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rabilità, sia per espresso riferimento in fase di consultazione sia perché risulta illogica l’ipotesi di perdita di requisiti di professionalità già acquisiti. Se, tuttavia, risulta di facile constatazione che per i componenti dell’organo di controllo, il presupposto della decadenza sussiste dal momento in cui si verifica anche una sola delle circostanze indicate nell’allegato 1 del Provvedimento organizzativo, ci si chiede quali siano i requisiti di onorabilità cui fa riferimento la Banca d’Italia per gli altri esponenti. Al riguardo, va considerato che le indicazioni fornite dalla Banca d’Italia in sede di consultazione sono state trasfuse nell’articolo 6, comma 1 del Provvedimento laddove si stabilisce che “I componenti dell’organo di gestione, il direttore generale e il direttore tecnico devono essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 134 T.U.L.P.S. e dalle relative disposizioni di attuazione”. Fra queste figura l’articolo 257 quater del Regolamento di attuazione secondo il quale la licenza viene negata e, se già rilasciata, revocata qualora venga “esercitata l’azione penale per uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, ovvero formulata la proposta per l’applicazione di una misura di prevenzione”. A ciò va aggiunto che, il DM 269/2010 (cfr. nota 19), contenente altre disposizioni per il settore degli istituti di vigilanza privata, richiama, ai fini del rilascio della
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licenza, i requisiti del Regolamento di attuazione: in particolare, il decreto citato (cfr. articolo 2, comma 1 e cfr. anche l’allegato A) ribadisce la necessità dei requisiti previsti dalla legge e dal Regolamento di esecuzione “per la direzione dell’istituto e per lo svolgimento degli incarichi organizzativi” e in particolare per “il titolare di licenza, per altri soggetti muniti della legale rappresentanza, per ciascuno dei componenti del consiglio di amministrazione o soci accomandatari, per ciascuno degli institori, per ciascuno dei direttori tecnici”. Il decreto prevede, inoltre, che il legale rappresentante, i membri dell’organo di gestione e i soci accomandatari non devono aver rivestito tali ruoli in una società che sia fallita ovvero che sia stata sottoposta a liquidazione coatta negli ultimi 5 anni o sia, all’atto della domanda sottoposta ad amministrazione controllata36. Pertanto, l’espressione “ai sensi del presente provvedimento” che ricorre nel comma 1 dell’articolo 9 deve essere intesa tenendo presente il richiamo che l’articolo 6 contiene alla disciplina del T.U.L.P.S. e, dunque, per quanto riguarda i componenti dell’organo di gestione, il direttore generale e il direttore tecnico, i requisiti di onorabilità sono quelli indicati dall’articolo 257 quater del regolamento di attuazione del T.U.L.P.S.37. Cfr. DM 269/2010, allegato A, 3.1. Non trova applicazione invece la di-
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Mentre, dunque, i membri dell’organo di controllo dovranno comunicare all’azienda l’eventuale verificarsi delle circostanze indicate nell’allegato 1, per gli altri esponenti aziendali tale obbligo sorgerà nei casi in cui vengano meno i requisiti di onorabilità previsti dal T.U.L.P.S. e dalle norme di attuazione. Più precisamente, la comunicazione dell’evento che determina la decadenza deve essere indirizzata all’organo di appartenenza o, nel caso di organo monocratico, all’assemblea dei soci nelle società di capitali e agli altri soci nelle società di persone38. La norma contenuta nell’articolo 9, comma 3, prevede in argomento che la comunicazione venga effettuata “senza indugio e comunque non oltre trenta giorni dalla pubblicazione della sentenza ovvero dall’emissione del provvedimento che applica una misura di prevenzione”39. Se ne desume che ai casi previsti dall’articolo 257 quater, in quanto antecedenti la sentenza e l’applicazione della misura di prevenzione, si applica semplicemente la regola del “senza indugio”. sposizione dell’articolo 11 del T.U.L.P.S. che è dedicata all’intestatario della licenza (che è sempre una persona fisica) e non ai membri dell’organo di gestione. 38 Il direttore generale e il direttore tecnico devono indirizzare la comunicazione che li riguardi all’organo di gestione. 39 Si tratta delle misure di prevenzione previste dal d.lgs. 159/2011 meglio noto come “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”.
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Tra l’altro, l’articolo 9 prevede che gli organi destinatari della comunicazione non possano pronunciare la decadenza sulla base della semplice notizia ricevuta dall’esponente ma dovranno verificarla e, solo successivamente, darne immediata informativa alla Banca d’Italia. Sul lato pratico si rileva che la Banca d’Italia – rispondendo ad una specifica richiesta di chiarimenti in ordine all’eventuale obbligo degli operatori di acquisire dichiarazioni di impegno alle dimissioni da parte degli esponenti per i casi in cui si verifichino le ipotesi previste dalla disciplina della decadenza – ha, nella sostanza, evidenziato la piena autonomia degli operatori stessi ai quali è rimessa la responsabilità di individuare “le modalità più opportune per assicurare il rispetto degli obblighi previsti dal Provvedimento”40. A margine, va rilevato che il Provvedimento organizzativo non prevede norme analoghe per gli “altri profili aziendali” ed è quindi legittimo interrogarsi in merito alla procedura che l’operatore dovrà seguire nel caso in cui la perdita dei requisiti riguardi una o più di tali figure. L’articolo 7 del Provvedimento stabilisce, infatti, che il ricorrere delle circostanze indicate nell’allegato 4 sia causa di decadenza, ma non prevede specifiche verifiche da parte dell’organo di gestione né comunicazioni alla Ban Resoconto cit., p. 6.
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ca d’Italia, specie se la decadenza per carenza dei requisiti di onorabilità abbia riguardato il responsabile delle operazioni sospette o il responsabile della funzione di revisione41. Di più facile applicazione risulta la disciplina dettata dall’articolo 10 in materia di “Sospensione degli esponenti aziendali dalle cariche”42 in quanto tale norma fa rinvio a un preciso elenco di circostanze contenute nell’allegato 543 che trovano sicuramente ap La sostituzione del responsabile antiriciclaggio è invece una delle informazioni che deve essere obbligatoriamente fornita alla Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lett. c) del Provvedimento organizzativo. 42 A differenza della “decadenza dalle cariche” che si sostanzia nella rimozione dell’esponente, “la sospensione” determina un obbligo di astensione dell’esponente dallo svolgimento delle funzioni e il contestuale obbligo di comunicarne la causa all’azienda. Con riferimento a quest’ultimo obbligo il Provvedimento contiene un sostanziale incongruenza in quanto indica fra le circostanze che determinano la sospensione “l’avvio del procedimento per l’applicazione di una delle misure…” di prevenzione ai sensi del d.lgs 159/2011 (cfr. allegato 5) stabilendo che l’esponente debba darne comunicazione all’azienda non oltre trenta giorni “dalla emissione del provvedimento che applica una misura di prevenzione” (cfr. articolo 10, comma 2). In sostanza, si stabilisce che il soggetto destinatario della misura di prevenzione debba astenersi dal momento dell’avvio del procedimento ma ha tempo per comunicarlo all’azienda fin dopo l’effettiva applicazione della misura. 43 Le circostanze che costituiscono cause di sospensione sono le seguenti: 1) condanna con sentenza non definitiva per uno dei reati previsti dall’allegato 1, lettera a) del Provvedimento; 2) applicazione con sentenza non definiti41
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plicazione nei confronti di tutti gli esponenti aziendali in ragione del fatto che esso è intitolato “Circostanze che determinano la sospensione degli esponenti aziendali dalle cariche” e quindi non contiene riferimenti a specifiche tipologie come nel caso dell’allegato 1, applicabile, fra gli esponenti, ai soli membri dell’organo di controllo. Resta, in ordine alla “sospensione”, il dubbio che la norma contenga una lieve incongruenza con riferimento ai componenti dell’organo di gestione: per questi ultimi, infatti, la decadenza sarebbe determinata (ai sensi dell’articolo 257-quater del T.U.L.P.S.) già dalla semplice proposta di applicazione di una misura preventiva, laddove invece l’allegato 5 (cfr. n. 3) prevede che l’avvio del procedimento determinerebbe la sospensione dalla carica. Ne deriverebbe che il soggetto nei cui confronti è proposta la misura preventiva sarebbe prima decaduto (dal momento della proposta della misura) e poi sospeso (all’avvio del procedimento).
va su richiesta delle parti di una delle pene previste dall’allegato 1, lettera a); 3) avvio del procedimento per l’applicazione di una dalle misure previste dall’allegato 1, lettera b).
4. Disposizioni in materia di organizzazione, procedure e controlli AML/CFT per gli operatori iscritti nell’elenco
4.1. Principio di proporzionalità e approccio basato sul rischio
Nell’introdurre le disposizioni in materia AML/CFT il Provvedimento organizzativo richiama due principi cui dovrà essere informata l’azione dei destinatari e cioè quello di proporzionalità e quello dell’approccio al rischio (cfr. articolo 13). In base al primo, ciascun operatore dovrà applicare le disposizioni avendo presenti le proprie caratteristiche in termini di: a. forma giuridica; b. dimensione; c. complessità operativa. Su un piano meramente teorico si può rilevare come il principio di proporzionalità fa sì che “il regolatore” rimetta all’autonomia organizzativa del soggetto vigilato l’individuazione e l’attuazione delle soluzioni concrete: in sostanza, al “regolatore” spetta fissare principi di carattere generale integrati da eventuali linee guida applicative (best practices), restando a carico del soggetto vigilato il ruolo di determinare, in funzione del proprio modello di business e della propria dimensione operativa, le soluzioni più idonee per rispettare la normativa e conseguire gli obiettivi attribuitigli dalla stessa.
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Il senso e la finalità di tale principio, che attiene alla complessità morfologica del soggetto vigilato, vengono bene rappresentati dal secondo considerando della Direttiva 849/2015 laddove si auspica la ricerca di “un equilibrio tra il conseguimento degli obiettivi di protezione della società dalla criminalità e la salvaguardia della stabilità e integrità del sistema finanziario dell’Unione e la necessità di creare un ambiente normativo che consenta alle società di sviluppare la propria attività senza incorrere in costi sproporzionati di adeguamento alla normativa”44. Sul piano concreto, il Provvedimento organizzativo destinato agli operatori delinea regole più semplici rispetto all’analogo provvedimento emanato per gli intermediari bancari e finanziari: quest’ultimo esplicita molteplici parametri per la valutazione della “proporzionalità”45 mentre quello
44 Direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione. 45 Cfr. Disposizioni in materia di organizzazione, procedure e controlli interni volti a prevenire l’utilizzo degli intermediari a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, Parte prima, Principi generali, sezione 1, nota 5 : “Al fine di applicare le presenti disposizioni coerentemente con il principio di proporzionalità, i destinatari considerano almeno: il totale di bilancio,
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dedicato agli operatori chiarisce già nelle definizioni (articolo 1) il senso delle espressioni “dimensioni” e “complessità operativa” dovendosi intendere, con riferimento alle prime, il “processato”46 e, alla seconda, il numero di sale conta utilizzate dall’operatore. Sono, dunque, questi i parametri di cui si dovrà tenere conto per l’applicazione “proporzionale” delle disposizioni AML/CFT. Lo stesso Provvedimento all’articolo 26 contiene una concreta applicazione del principio di proporzionalità, prevedendo per gli “operatori di minori dimensioni e complessità operativa” la possibilità di soluzioni organizzative idonee a favorire una riduzione dei costi (ad esempio, l’effettuazione dell’esercizio di autovalutazione con cadenza biennale) Quanto al parametro della “forma giuridica”, pur esso richiamato dall’articolo 13 del Provvedimento organizzativo, va considerata la particolarità di tali operatori che,
eventualmente consolidato; la presenza geografica e il volume di attività in ciascuna area, la forma giuridica adottata e l’eventuale appartenenza a un gruppo, i tipi di attività esercitate nonché la loro natura e complessità, il modello di business scelto e le strategie adottate; il tipo di struttura organizzativa; la strategia complessiva predisposta per l’efficace gestione dei rischi; gli assetti proprietari e le modalità di finanziamento; la tipologia dei clienti e la complessità dei prodotti e dei contratti; le attività e i canali di distribuzione utilizzati”. 46 Per processato si intende il numero complessivo di banconote trattate mediante apparecchiature conformi di autenticazione e selezione. Cfr. Disposizioni per l’iscrizione cit., articolo 1, “Definizioni”.
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al contrario di quanto stabilito per gli intermediari bancari e finanziari, potranno assumere sia forma societaria (tanto società di capitali che di persone) sia quella di impresa individuale. Secondo quanto rappresentato dalla Banca d’Italia nella “Relazione per la consultazione”, non è stata chiesta l’adozione di particolari forme giuridiche e di limiti minimi di capitale “al fine di non introdurre eccessivi oneri per gli operatori…compiendo una scelta che si pone in linea di continuità con la normativa di pubblica sicurezza”47. Sebbene tale finalità sia condivisibile, la possibilità di svolgere l’attività di trattamento del contante pur privi di un organo di controllo non solo determina una sostanziale sperequazione in termini di costi48, ma anche un più elevato “rischio inerente”49 per
Relazione cit., p. 2. Al riguardo una soluzione poteva essere rappresentata dalla attribuzione delle competenze di cui all’articolo 16 del Provvedimento organizzativo: • nel caso di società in nome collettivo collegialmente ai soci diversi da quelli individuati come amministratori o, nel caso in cui tutti i soci fossero amministratori, a personale, anche non dipendente, specificamente designato dalla maggioranza dei soci; • nelle società in accomandita semplice, collegialmente ai soci accomandanti; • nel caso di impresa individuale a personale, anche non dipendente, specificamente designato dal titolare dell’impresa per lo svolgimento delle attività previste per l’organo di controllo 49 Il rischio inerente è il rischio che una attività incorpora prima di considerare i 47
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quegli operatori che sceglieranno di svolgere tale attività in forma di impresa individuale o di società di persone. Questo aspetto (forma giuridica), sebbene richiamato con riferimento al principio di proporzionalità delle misure organizzative, dovrebbe avere un peso determinante nell’ambito dell’applicazione del principio dell’approccio al rischio pur esso richiamato dal comma 2 del citato articolo 13: se, infatti, da un lato ciascun operatore nelle proprie concrete scelte organizzative dovrà tener conto della quantità di banconote processate e della numerosità e dislocazione delle proprie sale conta, dall’altro, la forma giuridica adottata è destinata sicuramente a incidere sulla sua esposizione al rischio, considerato il rilievo delle attività demandate dall’articolo 16 del Provvedimento organizzativo all’organo di controllo, previsto, tuttavia, solo per gli operatori che adottano la forma di società di capitali. Tra l’altro, l’eventuale scelta della Banca d’Italia di escludere dall’esercizio di tale attività le imprese individuali e le società di persone – oltre a essere pienamente giustificata dall’ampiezza stessa della delega conferita dall’articolo 8, comma 2 ter del decreto legge 25 settembre 2001, n. 35050 – avrebbe determinato controlli o altri fattori di mitigazione che sono stati posti in essere. 50 “La Banca d’Italia disciplina con proprio regolamento i requisiti per l’iscrizione all’elenco…”.
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una volta per tutte, una maggiore omogeneità del comparto senza entrare in conflitto con le più generali disposizioni di pubblica sicurezza destinate, queste ultime, a tutti gli istituti di vigilanza privata, mentre quelle della Banca d’Italia solo ai gestori del contante. Va tra l’altro evidenziato che le imprese del comparto hanno, di fatto, già superato tale problematica in quanto – salvo pochissimi casi di operatività sotto forma di società di persone – l’attività di trattamento del contante viene svolta prevalentemente sotto forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, mentre sono assenti imprese individuali, pur non potendosi escludere in futuro la presentazione di domande di iscrizione all’elenco da parte di tali soggetti. Il principio dell’approccio al rischio trova specifica applicazione nel Provvedimento per gli operatori in due distinte disposizioni. Esse sono, in ordine logico: • l’articolo 19, che prevede lo svolgimento da parte dell’operatore di un esercizio di “autovalutazione” annuale, cioè di valutazione della propria esposizione al rischio sulla base di “criteri e metodologie indicati dalla Banca d’Italia anche con apposite comunicazioni”; • l’articolo 15, lettera a), che stabilisce in capo all’organo di gestione l’obbligo di tener conto nelle proprie scelte organizzative “dei risultati dell’esercizio di autovalutazione”. Va rilevato come, fra le definizioni del Provvedimento, manchi
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quella di “rischio di riciclaggio” che invece figura nell’analogo Provvedimento emanato dalla Banca d’Italia per gli intermediari bancari e finanziari: quest’ultimo qualifica, infatti, tale rischio come “il rischio derivante dalla violazione di previsioni di legge, regolamentari e di autoregolamentazione funzionali alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario per finalità di riciclaggio, di finanziamento del terrorismo o di finanziamento dei programmi di sviluppo delle armi di distruzione di massa, nonché il rischio di coinvolgimento in episodi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo o di finanziamento dei programmi di sviluppo delle armi di distruzione di massa”. Una definizione del genere non è priva di impatto in quanto implica un esercizio di autovalutazione che tenga conto non solo del rischio di coinvolgimento in episodi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ma anche dei rischi connessi ad aspetti di non conformità. Al riguardo, va considerato che il Provvedimento organizzativo, ad esempio con riferimento alla definizione da parte dell’organo di gestione delle strategie aziendali, contiene espliciti richiami al solo “rischio di coinvolgimento” (cfr. articolo 15, comma 1). L’esercizio di autovalutazione che, salvo che per gli “operatori di minori dimensioni e complessità operativa”, dovrà avere cadenza annuale, deve svolgersi attraverso il compimento di quattro “macroattività”:
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• identificazione quantificazione e qualificazione (riciclaggio, finanziamento del terrorismo o entrambi) del rischio inerente, cioè in sostanza del rischio da fronteggiare; • valutazione dell’adeguatezza/ capacità/attitudine dell’assetto organizzativo preordinato a fronteggiare il rischio; • quantificazione del rischio che residua a valle del concreto funzionamento dei presidi aziendali; • individuazione di misure correttive idonee a fronteggiare eventuali criticità individuate. La prima fase, la cui accuratezza è destinata a influenzare più delle altre l’esito del processo valutativo, si svolge tenendo conto, in primo luogo, di tre “fattori oggettivi”: 1) dimensione e complessità operativa; 2) tipologia della clientela; 3) area geografica di operatività. Il giudizio che scaturisce tenendo presenti i “fattori oggettivi” dovrebbe essere affinato alla luce di “ogni altra informazione conosciuta riguardo a fatti o persone che possano incidere” sull’esposizione al rischio. Per quanto più dettagliatamente riguarda i “fattori oggettivi”, l’operatore nello svolgimento della autovalutazione dovrebbe tener conto delle seguenti variabili: • modello di governance e modello organizzativo adottato, e dunque, presenza o meno dell’organo di controllo e, eventualmente, dell’organismo di vigilanza previsto dal d.lgs
231/2001, nonché l’attribuzione al responsabile della funzione antiriciclaggio anche del compito di responsabile delle segnalazioni di operazioni sospette, l’istituzione o meno della funzione di revisione interna. • numero di sale conta e numero di clienti per ciascuna sala conta (dimensione e complessità operativa); • dislocazione territoriale delle sale conta e/o della clientela e dei soggetti serviti, al fine di verificare se sussistano ipotesi di operatività posta in essere in ambiti territoriali caratterizzati da rischio elevato. A tal fine, l’operatore potrebbe tener conto della eventuale localizzazione della sala conta e/o della clientela e dei soggetti serviti “in territori appartenenti a enti sciolti per fenomeni di infiltrazione mafiosa o caratterizzati da fenomeni di economia sommersa o noti per il grado di infiltrazione della criminalità economica”51.
Tale espressione è mutuata dallo stesso Provvedimento in materia di adeguata verifica, cfr. Parte prima “Criteri generali per la valutazione dei fattori di rischio”, paragrafo 2.1, IV, p. 9. Al riguardo, lo stesso Provvedimento indica una serie di fonti utili per la individuazione di tali contesti e di settori di attività connotati da livelli di rischio più marcato: “relazioni semestrali del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia, le relazioni annuali del Ministero dell’Interno sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica 51
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• tipologia dei clienti e dei “soggetti serviti”. Ciò implica, attingendo a fonti robuste e alle indicazioni presenti nel Provvedimento di adeguata verifica, l’individuazione di settori di attività da considerare a rischio elevato e, conseguentemente, valutarne l’incidenza sulla complessiva operatività di contazione52. Fra le altre circostanze di cui tener conto andranno considerati: i giudizi formulati e le eventuali sanzioni comminate all’operatore in seguito all’attività ispettiva svolta dall’Unità di informazione finanziaria, dalla Banca d’Italia e dalla Guardia di finanza; altri eventuali richieste e interventi da parte delle Autorità (ad esempio, richieste di specifici interventi organizzativi); la numerosità e la rilevanza dei rilievi presenti nei
e sulla criminalità organizzata, le relazioni annuali sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, le sintesi pubblicate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sui risultati del National risk assessment, le relazioni annuali del Comitato di sicurezza finanziaria al Ministro dell’Economia e delle Finanze sulla ‘Valutazione delle attività di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo’, eventuali pubblicazioni in tema di criminalità diffuse da fonti giornalistiche autorevoli, dall’ISTAT e dalla UIF con riferimento alla localizzazione dei fenomeni criminali”. 52 A titolo di esempio l’operatore dovrebbe valutare in percentuale quanto della propria attività si svolge nei confronti degli intermediari bancari e finanziari, quanto nei confronti della grande distribuzione organizzata e quanto in settori da considerarsi a rischio.
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report redatti dalla funzione di revisione interna; gli eventuali riferimenti dell’organo di controllo indirizzati all’organo di gestione ai sensi dell’articolo 16 del Provvedimento organizzativo; eventuale possesso del rating di legalità, pubblicato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato53; numero e ammontare delle segnalazioni di operazioni sospette inoltrate; riscontri ottenuti al riguardo dall’Unità di informazione finanziaria attraverso il flusso di ritorno previsto dall’articolo 41 del decreto antiriciclaggio; l’intensità, lo spessore e l’estensione dell’attività formativa svolta in materia AML/CFT. 4.2. Organi e funzioni del sistema di gestione e controllo del rischio di riciclaggio degli istituti di vigilanza privata
Il Provvedimento della Banca d’Italia attribuisce, con adeguato livello di dettaglio, compiti in materia di AML/CFT a: • due organi, organo di gestione e organo di controllo; • due funzioni, funzione antiriciclaggio e funzione di revisione interna; • due soggetti, il responsabile delle segnalazioni di operazio-
Tale rating “è un indicatore sintetico del rispetto di elevati standard di legalità da parte delle imprese che ne abbiano fatto richiesta”. Per maggiori informazioni al riguardo cfr. il sito internet dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato all’indirizzo https://www.agcm.it/competenze/rating-di-legalita/.
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ni sospette e il responsabile delle segnalazioni periodiche antiriciclaggio. La struttura organizzativa delineata si sviluppa senza sostanziali novità, ad eccezione della previsione del responsabile delle segnalazioni periodiche connessa al relativo obbligo segnaletico che rappresenta, allo stato, un unicum (v. infra paragrafo 5). 4.3. Organo di gestione: articolo 15
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Il centro del sistema di gestione e controllo del rischio è rappresentato, anche per gli istituti di vigilanza privata, dall’organo di gestione al quale sono attribuiti compiti decisionali e di assurance, cioè di sostanziale e concreta garanzia circa il funzionamento del sistema antiriciclaggio aziendale nei confronti dell’autorità di vigilanza di settore e degli stakeholder. Fra i compiti decisionali si annoverano: la scelta dell’assetto organizzativo del sistema antiriciclaggio (chi fa cosa); la nomina e la revoca del responsabile antiriciclaggio; l’approvazione del risultato dell’autovalutazione, del regolamento antiriciclaggio e dei programmi di formazione. Quanto ai profili di assurance, l’organo di gestione ha il compito di assicurare/assicurarsi che le procedure e i sistemi informativi funzionino correttamente e che, in generale, l’assetto organizzativo e il sistema dei controlli conservi la sua efficacia nel tempo.
Risulta prodromico all’adozione di ogni decisione la definizione da parte di tale organo di strategie aziendali idonee a contenere il rischio di riciclaggio (cfr. articolo 15, comma 1). Ciò significa predisporre, attraverso l’analisi dei punti di forza e di debolezza dell’azienda, un piano di lavoro che realizzi, in un orizzonte temporale di lungo termine, l’obiettivo di mitigare il rischio di riciclaggio54. L’azione dell’organo di gestione ha inizio quindi con la definizione del risk appetite dell’azienda, cioè della propensione al rischio, che si traduce, sul piano pratico, nella identificazione/consapevolezza di quanto l’operatore vuole rischiare (ovviamente tenendo presente il concetto di rischio di riciclaggio) nello svolgimento dell’attività diretta al perseguimento dell’obiettivo aziendale primario che è, presumibilmente, ancora quello di produrre profitti. In linea di principio per gli istituti di vigilanza privata il rischio di riciclaggio è influenzato, sia pure in misura differente, da quattro principali fattori: tipologia dei servizi offerti, caratteristiche del-
Ciò deve tradursi nella redazione di un documento di policy contenente le scelte motivate che si intendono compiere sui profili rilevanti in tema di assetti organizzativi, procedure e controlli interni, adeguata verifica e conservazione dati nonché la redazione di un Regolamento antiriciclaggio nel quale sia descritto l’assetto organizzativo di cui l’azienda si sia dotata conseguentemente, i sistemi e le procedure adottate specificando compiti, responsabilità e modalità operative concrete.
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la clientela servita, localizzazione delle prestazioni fornite, schema contrattuale utilizzato per lo svolgimento del rapporto55. Per assumere consapevolmente le proprie scelte l’organo di gestione deve disporre di informazioni aggiornate che consentano una visione completa sia del livello di rischio cui l’istituto di vigilanza è esposto sia della funzionalità dei presidi adottati. A tal fine, analizza e approva i risultati della “autovalutazione” condotta dalla funzione antiriciclaggio (articolo 15, comma 1, lettera d) provvedendo a inviarne copia alla Banca d’Italia entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento (articolo 19, comma 1). L’attività conoscitiva dell’organo di gestione si realizza anche tramite l’analisi: a. dei flussi informativi periodici predisposti nei suoi confronti dalla funzione antiriciclaggio56; b. del contenuto della relazione annuale predisposta ai sensi
Ciò significa che occorre valutare se si tratta di prestazioni rese a clienti diretti (bancari e non), o a soggetti serviti e se la prestazione viene effettuata tramite altri operatori o per conto di altri operatori (cfr. Provvedimento in materia di adeguata verifica, allegato 2 che contiene una casistica a carattere esemplificativo degli schemi contrattuali più ricorrenti). 56 Ai sensi dell’articolo articolo 15, comma 2, lo stesso organo di gestione assicura che, in generale, “venga approntato un idoneo sistema di flussi informativi verso gli organi aziendali e tra le funzioni di controllo”. L’articolo 18, comma 1, lett. d) sembrerebbe affidare il compito di realizzare tale sistema di flussi prevalentemente alla funzione antiriciclaggio. 55
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dell’articolo 18, comma 2 del Provvedimento organizzativo dalla funzione antiriciclaggio; c. del contenuto delle segnalazioni periodiche antiriciclaggio (v. infra paragrafo 5)57 d. degli esiti delle segnalazioni di operazioni sospette comunicati dalla Uif ai sensi dell’art. 41, comma 2, del decreto antiriciclaggio; e. dei risultati delle verifiche effettuate ai sensi dell’articolo 16, comma 2, lett. b del decreto antiriciclaggio dalla funzione di revisione interna in ordine all’idoneità delle politiche adottate, del sistema dei controlli e delle procedure58. 4.4. L’organo di controllo e la funzione di revisione interna (internal audit): articoli 16 e 24
La disciplina dettata dal Provvedimento organizzativo per l’organo di controllo parafrasa, sostanzialmente, il contenuto dell’articolo 2403 del Codice civile, prevedendo che l’azione di vigilanza di tale organo riguardi non solo il rispetto della legge (con specifico richiamo alle disposizioni di attuazione del de L’articolo 23, comma 10, stabilisce che “il responsabile delle segnalazioni periodiche antiriciclaggio predispone appositi report contenenti i dati più significativi fra quelli oggetto di segnalazione da portare a conoscenza dell’organo di gestione…”. 58 A tal fine, ai sensi dell’articolo 24, comma 3 del Provvedimento organizzativo i risultati delle verifiche di audit “…sono portati tempestivamente conoscenza dell’organo di gestione e di quello di controllo”. 57
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creto antiriciclaggio), ma anche la funzionalità e l’adeguatezza dell’assetto organizzativo. Per lo svolgimento della propria attività in tale ambito è previsto che l’organo di controllo possa avvalersi di strutture interne all’operatore, ivi incluso l’organismo di vigilanza di cui all’articolo 6, comma 1, lett. b) d.lgs. 231/2001. Nell’ambito dei compiti che l’organo è chiamato a svolgere quello che risulta, almeno all’apparenza, di maggiore complessità è rappresentato dalla valutazione dell’idoneità delle procedure aziendali ad adempiere agli obblighi previsti dal decreto antiriciclaggio59. Si richiama in proposito la circostanza che l’articolo 24 del Provvedimento organizzativo affida la verifica della funzionalità e dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo aziendale anche alla funzione di revisione interna e ciò pone, dunque, il problema di una possibile duplicazione di attività. In proposito, va rilevato che l’articolo 24 del Provvedimento organizzativo prevede che la funzione di audit svolga tale compito “in modo continuativo”, rispetto all’assenza di una cadenza tem Al riguardo nel documento posto in consultazione era previsto che si procedesse alla redazione di una “Relazione di sintesi dell’attività svolta nell’anno in materia, con particolare riguardo alla valutazione di idoneità delle procedure aziendali ad adempiere agli obblighi previsti dal decreto antiriciclaggio”, ma tale riferimento è stato eliminato nella versione finale del Provvedimento. 59
porale indicata in tale specifico ambito per l’organo di controllo60. E tuttavia, non si ritiene che ciò sia ancora sufficiente a distinguerne i compiti rispetto a quelli dell’organo di controllo, il quale, almeno in linea teorica, dovrebbe rappresentare il primo punto di riferimento per l’azione di vigilanza delle Autorità, tanto che il Provvedimento organizzativo ribadisce l’obbligo, già previsto nel decreto antiriciclaggio, che l’organo di controllo comunichi senza ritardo alla Banca d’Italia tutti gli atti o i fatti, di cui venga a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire violazione degli obblighi previsti in materia di contrasto del riciclaggio. In particolare, l’attività della funzione di audit dovrebbe essere indirizzata, mediante controlli di tipo ispettivo e cartolare, ad elevare i livelli di efficacia dei presidi antiriciclaggio laddove l’organo di controllo dovrebbe privilegiare gli aspetti di conformità alla normativa mediante controlli periodici (anche trimestrali) per lo più a campione. Al contrario, come detto la funzione di revisione interna, mediante l’utilizzo di chek list dovrebbe effettuare controlli in modo continuativo: l’espressione non va interpretata come l’inoltro di richieste di informazioni continue nei confronti delle strutture azien Resta ferma, ovviamente, la norma ex articolo 2404 del Codice civile ai sensi del quale il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni novanta giorni.
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dali, ma come la necessità che l’attività di audit copra l’intera fase di lavorazione senza lassi temporali privi di attività controllo. Ciò avviene, ad esempio, esaminando entro un ragionevole lasso temporale (e non di volta involta) le anagrafiche della clientela per verificare l’esatta identificazione del titolare effettivo e la completezza dei dati raccolti. In ogni caso, è importante un’azione di collaborazione fra l’organo di controllo e la funzione di internal audit: in particolare quest’ultima dovrebbe supportare l’organo di controllo anche attraverso la previsione di opportuni flussi informativi. Inoltre, il regolamento antiriciclaggio dovrebbe definire con esattezza il perimetro delle verifiche della funzione di audit e della funzione antiriciclaggio dal momento che su taluni ambiti e materie (ad esempio, verifiche che attengono l’assetto organizzativo per i profili di efficacia, adeguatezza e funzionalità) potrebbero generarsi rischi di sovrapposizione e duplicazione. Va, in ogni caso, tenuto presente che, ai sensi dell’articolo 18, comma 1 del Provvedimento organizzativo, la funzione antiriciclaggio rappresenta, con i propri compiti di controllo di efficacia, il punto di riferimento aziendale specializzato in materia di contrasto del riciclaggio, laddove la funzione di revisione interna, in quanto specializzata nella gestione dei processi di controllo, è chiamata a rendere consulenza all’organo di gestione, ma anche alla stessa
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funzione antiriciclaggio, riguardo al tema della efficacia e funzionalità del complessivo sistema dei controlli interni. Si rileva, inoltre, che – sebbene il comma 1 dell’articolo 24 attribuisca una competenza ampia alla funzione di revisione interna – il successivo comma 2 pone in risalto quattro linee di intervento evidentemente da ritenersi, secondo la Banca d’Italia, prioritarie nell’azione di audit: l’attività della funzione antiriciclaggio; l’obbligo di adeguata verifica; le segnalazioni di operazioni sospette; la conservazione di dati e informazioni. Desta perplessità, con riferimento alla disciplina dettata in tema di internal audit, l’assenza di una norma che stabilisca a chi spetti la competenza per la nomina del responsabile della funzione. Tale competenza, atteso il rilievo dell’attività svolta dall’audit, dovrebbe spettare all’organo di gestione di cui l’internal audit rappresenta il punto di riferimento nell’ambito dei controlli aziendali, tanto che lo stesso articolo 24 del Provvedimento organizzativo indica, come destinatario delle proposte di correttivi da adottare circa l’assetto organizzativo, l’organo di gestione: la Banca d’Italia in sede di consultazione ha specificato, invece, che il Provvedimento organizzativo rimette all’organo di gestione esclusivamente la nomina del responsabile della funzione antiriciclaggio e delle segnalazioni periodiche antiriciclaggio, mentre rientra nell’autonomia degli ope-
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ratori l’individuazione dell’organo (o altro soggetto) competente a nominare le altre figure61. Va, tra l’altro, rilevato che anche nel provvedimento emanato il 26 marzo 2019 per gli intermediari bancari e finanziari risulta assente una disposizione specifica circa il potere di nomina del responsabile della funzione di revisione interna ma ciò solo perché già le disposizioni di carattere generale emanate in tema governo societario attribuiscono tale potere all’organo con funzione di supervisione strategica, escludendo tra l’altro che ciò possa formare oggetto di delega62, sanzionando in tal modo l’importanza di tale nomina. 4.5. La funzione antiriciclaggio 30
Tra le novità introdotte dal provvedimento vi è l’obbligo di istituire la funzione antiriciclaggio. Tale funzione si inquadra nel più generale sistema dei controlli interni e, in particolare, nell’ambito dei controlli di “secondo livello”. L’articolo 17, comma 1, prevede in primo luogo il carattere di indipendenza della funzione collocandola in posizione “apicale” nell’organigramma aziendale. In concreto, l’elemento della “indi-
Resoconto cit., p. 5. Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, Parte Prima, Titolo IV – Governo societario, controlli interni, gestione dei rischi Capitolo 1 - Governo societario Sezione III – Compiti e poteri degli organi sociali. In generale nelle banche 61
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pendenza” va declinato attraverso quattro concreti presidi rappresentati: a) dall’obbligo di riferire direttamente all’organo di gestione e a quello di controllo senza passaggi intermedi; b) dalla possibilità di accesso diretto a qualsiasi informazione rilevante per lo svolgimento dei propri compiti; c) dalla disponibilità di risorse umane e tecnologiche, qualitativamente e quantitativamente adeguate; d) dalla circostanza che il responsabile della funzione non debba avere responsabilità dirette in aree operative coinvolte nell’attività di trattamento delle banconote (inclusa la gestione dei rapporti con i clienti) o essere gerarchicamente dipendente dai responsabili di dette aree (cfr. articolo 20). Per quanto attiene ai compiti attribuiti alla funzione, da quanto emerge dal Provvedimento - come anche da quello per gli intermediari bancari e finanziari - essa non rappresenta solamente il punto di riferimento aziendale specializzato a garanzia della conformità alle norme antiriciclaggio, ma per effetto di un approccio basato sull’analisi “nel continuo” dell’efficacia dei processi (cfr. articolo 18, comma 1) deve assolvere al ruolo di advisor per il management aziendale mediante l’utilizzo di metodologie per la valutazione dell’esposizione al rischio finalizzate a graduare, coerentemente alla policy aziendale e all’assetto organizzativo con-
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cretamente adottato, l’estensione e la frequenza degli adempimenti. Oltre a ciò, fra i compiti attribuiti figura quello, senz’altro di rilievo, di collaborare (rectius: “delineare, progettare, realizzare e far approvare”) con l’organo di gestione alla definizione “delle strategie, dell’assetto organizzativo e delle procedure in materia antiriciclaggio”. Il Provvedimento organizzativo prevede, inoltre, che, almeno annualmente a cura della funzione sia redatta e trasmessa agli organi aziendali una relazione da sottoporre all’approvazione dell’organo di gestione63. Sebbene l’articolo 18, comma 2, preveda che la relazione in discorso debba indicare le “iniziative intraprese, le eventuali disfunzioni accertate e i correttivi da intraprendere…” la norma va letta unitamente alle disposizioni contenute nella lettera a) dell’articolo 18, laddove si stabilisce l’obbligo per la funzione antiriciclaggio di informare “tempestivamente gli organi aziendali di violazioni o carenze rilevanti riscontrate…”. Pur considerando la complessità dei compiti attribuiti alla funzione, il Provvedimento non
Sebbene non sia esplicitamente stabilito, la relazione va redatta e inviata all’organo di gestione sicuramente prima del il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento: tanto si desume dalla circostanza che la relazione annuale dovrà essere trasmessa alla Banca d’Italia unitamente ai risultati dell’attività di autovalutazione per la quale è esplicitamente fissato il termine del 30 aprile (cfr. articolo 19, comma 1).
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prevede specifici requisiti di professionalità per il responsabile della stessa, laddove l’analogo Provvedimento emanato per gli intermediari bancari e finanziari contiene almeno il richiamo generico a “adeguati requisiti di professionalità”64. Infine, va tenuta presente l’apparente incongruenza fra il contenuto del comma 1, lett a) e il comma 2 dell’articolo 18: se infatti, il primo prevede che la funzione antiriciclaggio informi “tempestivamente gli organi aziendali di violazioni e carenze rilevanti riscontrate nell’esercizio dei propri compiti”, il secondo stabilisce che le eventuali disfunzioni accertate e i correttivi da intraprendere siano comunicati mediante la predetta relazione annuale. La norma pone, pertanto, a carico della funzione l’onere di valutare i casi classificabili come “carenze rilevanti” rispetto a quelli riconducibili alla categoria delle “disfunzioni accertate”. 4.6. Il responsabile delle segnalazioni di operazioni sospette
Fra gli “altri profili aziendali” l’articolo 22 del Provvedimento organizzativo individua il “responsabile delle segnalazioni di operazioni sospette” (d’ora innanzi “responsabile SOS”), cioè il soggetto incaricato di esprimere la decisione in ordine alla sussi-
Cfr. nell’analogo provvedimento per gli intermediari bancari e finanziari, Parte Terza, paragrafo 1.3, p. 11. 64
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stenza o meno dei presupposti per l’inoltro di una segnalazione di operazioni sospette alla Uif. Il Provvedimento stabilisce che la nomina e la revoca dell’incarico di responsabile SOS venga comunicato tempestivamente alla Uif, mentre, di regola, nessuna comunicazione è dovuta al riguardo alla Banca d’Italia65. L’articolo 22 stabilisce che il responsabile SOS è il legale rappresentante dell’operatore ovvero un suo delegato. Dalla lettura del comma 1 dell’articolo in discorso emerge, tuttavia, una discrasia: se infatti la decisione di conferire o meno tale delega e la conseguente scelta del relativo destinatario è demandata al legale rappresentante (tanto si desume dall’utilizzo dell’aggettivo possessivo “suo”), risulta di difficile valutazione la portata della successiva previsione secondo cui “il conferimento della delega è deliberato dall’or-
Il nominativo del responsabile SOS è di esclusiva competenza della Uif, al punto che tale informazione non deve essere fornita alla Banca d’Italia neanche in occasione dell’iscrizione all’elenco, mentre in tale fase dovranno essere comunicate alla Banca d’Italia le generalità del responsabile della funzione antiriciclaggio e del responsabile delle segnalazioni periodiche antiriciclaggio in quanto ruoli strettamente connessi con le competenze dell’Autorità di vigilanza di settore (Banca d’Italia), cfr. Provvedimento 23 aprile 2019 cit., Allegato 7 (Documentazione da allegare alla domanda di iscrizione), lett. g). Al riguardo si veda anche l’articolo 11, comma 1, lettera c), del citato Provvedimento, che in tema di “Comunicazioni alla Banca d’Italia” non menziona il responsabile SOS.
gano di gestione”, salvo che ciò non debba essere letto come una mera presa d’atto da parte di quest’ultimo66. L’articolo 22, comma 1, del Provvedimento prevede che la delega possa essere conferita al “responsabile della funzione antiriciclaggio o ad altro soggetto dotato dei medesimi requisiti67 previsti per quest’ultimo”. Pertanto, come stabilito nell’articolo 20 per il responsabile della funzione antiriciclaggio, anche il delegato alle SOS deve essere posto “in posizione gerarchico funzionale adeguata e non deve avere responsabilità dirette in aree operative o essere gerarchicamente dipendente dai responsabili di dette aree”. Quanto invece ai requisiti di professionalità, l’articolo 22, comma 5, del Provvedimento organizzativo impone al responsabile SOS (legale rappresentante o soggetto delegato) la conoscenza e la capacità di applicare istru-
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66 Al contrario risulta di più facile lettura la formula utilizzata dalla Banca d’Italia nell’analogo provvedimento per gli intermediari bancari e finanziari. Qui, parafrasando l’articolo 36 del decreto antiriciclaggio, si sottolinea infatti che “il responsabile delle segnalazioni di operazioni sospette è il legale rappresentante del destinatario ovvero un delegato del destinatario” e non del legale rappresentante. 67 Al riguardo va favorevolmente valutato l’utilizzo nel testo definitivo del Provvedimento del termine “requisiti” in luogo del meno chiaro “prerogative” presente nella versione posta in consultazione a dicembre 2018.
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zioni, schemi e indicatori emanati dalla Uif68. Va tra, l’altro, ribadita la centralità del tema delle competenze professionali del responsabile SOS, la cui carenza potrebbe essere causa indiretta di effetti patrimoniali negativi, anche rilevanti, per l’operatore: al riguardo, infatti, l’articolo 58 del decreto antiriciclaggio prevede per l’“inosservanza delle disposizioni relative all’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette” – accanto alla “sanzione pecuniaria base” nella misura di 3.000 euro, da applicarsi alle condotte che non sono caratterizzate da ulteriori elementi – una fattispecie “qualificata” nei casi in cui la violazione abbia carattere “grave”, “ripetuto”, “sistematico”, “plurimo”, alla quale applicare la san-
Per completezza va tenuto presente che il Provvedimento per gli intermediari bancari e finanziari utilizza una formula più ampia di quella utilizzata nel Provvedimento del 23 aprile 2019 per gli operatori iscritti all’elenco. Nel primo dei provvedimenti in discorso è infatti stabilito che «I destinatari assicurano che il responsabile delle SOS sia in possesso di adeguati requisiti di indipendenza, autorevolezza e professionalità e svolga la propria attività con autonomia di giudizio e nel rispetto degli obblighi di riservatezza», senza limitare il requisito della conoscenza professionale ad aspetti meramente connessi a «istruzioni, schemi e indicatori emanati dalla Uif», pure richiamati. Cfr. Provvedimento pubblicato il 26 marzo 2019, cit., Parte terza (L’assetto dei presidi antiriciclaggio), Sezione II (Il responsabile delle segnalazioni di operazioni sospette), p. 13. 68
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zione pecuniaria da 30.000 euro a 300.000 euro69. In proposito, il decreto antiriciclaggio stabilisce che ai fini della determinazione del carattere “grave” della violazione riscontrata si debba, tra l’altro, tener conto “dell’intensità e del grado dell’elemento soggettivo, anche avuto riguardo all’ascrivibilità, in tutto o in parte, della violazione alla carenza, all’incompletezza o alla non adeguata diffusione di prassi operative e procedure di controllo interno” (cfr. articolo 58, comma 2, lettera a), norma che è stata interpretata dal MEF, nei procedimenti per l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie per l’inosservanza dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta, imputabile al personale e ai titolari di funzioni di amministrazione, direzione e controllo di intermediari bancari e finanziare, come un riferimento alle ipotesi in cui si abbia “diretto riscontro dell’insufficiente grado di diligenza rilevato nella condotta tenuta dal soggetto obbligato”. A tal fine il MEF ha stabilito che “si procede sulla base di una valutazione complessiva riguardante il grado di diligenza, di attenzione e di perizia esigibile dal soggetto obbligato in relazione, tra l’altro: alle competenze e alle qualifiche professionali possedute, con particolare riferimento alle conoscenze e alla qualità e grado di esperienza
Ai fini del verificarsi della fattispecie “qualificata” è sufficiente che si riscontri anche uno solo di tali elementi qualificanti.
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maturati nello specifico settore di attività o con riferimento alla specifica tipologia di operazioni la cui omessa segnalazione è contestata”70. In tale contesto, quindi, si deve ritenere che il parere dell’organo di controllo sul conferimento della delega previsto dall’articolo 22 del Provvedimento organizzativo debba essere formulato dopo una valutazione (anche mediante l’acquisizione di curricula, attestati di partecipazione a corsi qualificanti, eventuali pubblicazioni in materia, ecc.) dell’adeguatezza del soggetto da delegare, sotto il profilo delle conoscenze e delle esperienze in materia antiriciclaggio, e sullo specifico tema dell’individuazione e lavorazione delle SOS, nonché dopo aver considerato la posizione del soggetto stesso nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale, per accertarne l’estraneità rispetto alle citate aree operative71.
Circolare DT 54071 del 6 luglio 2017, “Istruzioni operative relative al procedimento sanzionatorio di cui all’articolo 65 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, per come modificato all’articolo 5 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90, recente disposizioni per il recepimento della direttiva (UE) 2015/849 (cd direttiva antiriciclaggio)”, p. 6. La circolare è disponibile all’indirizzo http://www.dt.tesoro.it/modules/documenti_it/prevenzione_reati_finanziari/ normativa/circolare_d.lgs._90_17_6_luglio_ore_15.pdf. 71 Resta in dubbio se l’organo di controllo debba esprimere il proprio parere anche sulle competenze professionali del legale rappresentante nell’ipotesi in cui quest’ultimo, non intendendo delegare l’incarico, 70
Per quanto riguarda la posizione da riservare nell’organigramma aziendale va tenuto presente che l’incarico di responsabile SOS non può in nessun caso essere esternalizzato. Tale divieto, sancito dall’articolo 22, comma 1, del Provvedimento organizzativo, ha per gli operatori iscritti nell’elenco carattere assoluto, senza alcuna deroga neanche nei confronti di società appartenenti al medesimo gruppo. Risulta infatti assente nel citato articolo 22 la formula “salvo quanto previsto per i gruppi”, utilizzata invece nel provvedimento dedicato agli intermediari bancari e finanziari, i quali infatti possono conferire l’incarico di responsabile SOS alla capogruppo o a altra società del gruppo purché con sede in Italia72. Che l’operatore, stante l’attuale assetto normativo, non possa procedere a esternalizzare l’incarico lo si desume anche dalla lettura dell’articolo 39, comma 3, del decreto antiriciclaggio: quest’ultimo infatti, prevede che il “divieto di comunicazioni inerenti le segnalazioni di operazioni sospette” possa essere derogato fra soggetti appartenenti al medesimo gruppo, ma la norma limita tale facoltà alla sola categoria degli intermediari bancari e finanziari e non la estende anche agli
conservi il ruolo di responsabile SOS. 72 Cfr. Provvedimento pubblicato il 26 marzo 2019 cit., Parte terza (L’assetto dei presidi antiriciclaggio), Sezione II (Il responsabile delle segnalazioni di operazioni sospette), p.13.
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operatori iscritti nell’elenco, con la conseguenza che per questi ultimi il divieto sancito dall’articolo 39 del decreto antiriciclaggio ha carattere assoluto, con l’esclusione quindi della possibilità di dare comunicazione a terzi (compresi altri operatori appartenenti al medesimo gruppo) non solo dell’eventuale avvenuta segnalazione ma anche della richiesta di ulteriori informazioni da parte della Uif, nonché dell’esistenza o della probabilità di indagini o approfondimenti in materia di riciclaggio nei confronti di un cliente. Tra l’altro il citato articolo 39 prevede che il divieto di fornire a terzi informazioni in ordine all’avvenuta segnalazione non operi nel caso in cui questa abbia ad oggetto un cliente comune o un’operazione che coinvolga due o più destinatari: tale deroga, tuttavia, è limitata allo scambio di informazioni tra intermediari bancari e finanziari (anche non appartenenti al medesimo gruppo) o tra professionisti e non si estende, inspiegabilmente, agli operatori iscritti all’elenco per i quali, quindi deve ritenersi vietato tale scambio di informazioni. La prassi finora osservata nelle società è comunque quella di attribuire il ruolo di responsabile SOS a un membro dell’organo di gestione che, tuttavia, ricopre analoga carica anche in altri operatori. Circa i rapporti fra il responsabile SOS e gli altri profili aziendali, poiché l’articolo 22 del Provvedimento organizzativo si limita unicamente a rimarcare che la
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delega può essere conferita al responsabile della funzione antiriciclaggio senza individuare ipotesi di incompatibilità (salvo, come in precedenza accennato, nel caso di coinvolgimento in “aree operative”) sorgono perplessità in relazione alla possibilità che l’incarico di responsabile SOS possa essere conferito al soggetto che svolge le attività demandate alla funzione di revisione interna, cui è, appunto, attribuito anche il compito di verificare “l’efficacia dell’assetto preordinato alla individuazione e alla segnalazione delle operazioni sospette” (cfr. articolo 24, comma 2). Tale specifico compito di controllo suggerirebbe, infatti, una prudente separatezza tra il soggetto cui è attribuito il ruolo di responsabile SOS e quello del/dei soggetto/i incaricato/i di svolgere i controlli di competenza della funzione di revisione interna per assicurare l’imparzialità delle verifiche, come tra l’altro previsto per il responsabile per le segnalazioni periodiche antiriciclaggio, in ordine al quale il Provvedimento stabilisce la condivisibile regola secondo cui “l’incarico non può essere conferito alla funzione di revisione interna” (cfr. articolo 23, comma 7, del Provvedimento). Per le stesse ragioni (imparzialità delle verifiche) sarebbe opportuno escludere che la delega alle SOS possa essere conferita a uno dei componenti dell’organo di controllo o dell’organismo di vi-
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gilanza di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), del d.lgs. 231/200173. Nulla osta invece al conferimento dell’incarico di responsabile SOS a uno dei componenti dell’organo di gestione, purché privo di deleghe operative, o al responsabile delle segnalazioni periodiche antiriciclaggio (salvo, ovviamente, l’ipotesi di esternalizzazione di quest’ultimo incarico), o al responsabile dei controlli di secondo livello in tema di trattamento del contante. Fra i compiti specificamente attribuiti al responsabile SOS, l’articolo 22, comma 6, del Provvedimento prevede quello di redigere una relazione annuale74 nella quale devono essere sintetizzate le attività svolte con riferimento alla quantità di segnalazioni di primo livello ricevute e analizzate, al loro valore, nonché al numero di quel-
L’organismo ha, infatti, il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello di organizzazione per prevenire una serie di reati elencati nello stesso D.lgs. 231/2001 alla cui individuazione può concorrere anche l’attività di inoltro delle segnalazioni di operazioni sospette. La commistione dei due ruoli risulterebbe, pertanto, inopportuna. 74 Al riguardo, si deve ritenere che, anche quando l’incarico di responsabile SOS sia attribuito al responsabile della funzione antiriciclaggio, la relazione annuale redatta da quest’ultimo ai sensi dell’articolo 18, comma 2, del Provvedimento debba essere tenuta distinta da quella prevista in ordine alle SOS dall’articolo 22, comma 6, dello stesso Provvedimento. Ciò, per quanto ovvio, in assenza di disposizioni specifiche da parte dell’autorità di vigilanza di settore: le due relazioni hanno infatti finalità e destinatari diversi.
le effettivamente inoltrate all’Uif con l’indicazione di ulteriori fatti di rilievo per l’attività svolta in tale ambito75. L’articolo 22 del Provvedimento non contiene, tuttavia, alcuna indicazione in ordine al termine per la redazione di tale relazione, limitandosi a prevedere che venga stilata annualmente, né all’utilizzo da farsi, e cioè se la stessa, ad esempio, debba essere trasmessa all’organo di gestione come previsto per la relazione annuale del responsabile antiriciclaggio o all’autorità di vigilanza di settore per eventuali valutazioni sull’efficacia dell’assetto organizzativo, ovvero se debba essere intesa quale mera verbalizzazione dell’attività svolta e, quindi, una volta redatta sia da conservare presso lo stesso responsabile SOS.
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A seconda dell’utilizzo che si intenda farne, è opportuno che la relazione sia arricchita da ulteriori dettagli, ad esempio con informazioni sulle casistiche più ricorrenti, eventuali archiviazioni comunicate dalla Uif in ordine alle segnalazioni già trasmesse, richieste di approfondimenti pervenute dalla stessa Uif o dagli organi investigativi, provvedimenti di sospensione ricevuti, distribuzione territoriale delle segnalazioni di primo livello, tempi intercorrenti fra la ricezione della segnalazione di primo livello e l’inoltro della SOS (tempistica delle segnalazioni), rating attribuito alle segnalazioni inoltrate, ecc. In ogni caso, salvo che non sia chiesto dall’organo di gestione, è opportuno che nella relazione sia omesso ogni riferimento ai nominativi menzionati sia nelle segnalazioni di primo livello sia in quelle trasmesse alla Uif.
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5. Le segnalazioni periodiche antiriciclaggio Fra le novità introdotte dal Provvedimento organizzativo spicca la previsione dell’obbligo per gli operatori di inoltrare alla Banca d’Italia segnalazioni antiriciclaggio trimestrali76. Tale previsione ha il suo fondamento normativo nel disposto dell’articolo 7, comma 2, lettera b) del decreto antiriciclaggio, nella parte in cui prevede che le Autorità di vigilanza di settore possano chiedere l’invio di segnalazioni periodiche rilevanti per finalità di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. In proposito, va considerato che gli operatori, al pari degli altri gestori del contante (ad esempio le banche), sono già da tempo obbligati a effettuare, con cadenza semestrale, segnalazioni statistiche alla Banca d’Italia: ciò avviene ai sensi delle disposizioni in materia di ricircolo del contante e, quindi, per soddisfare finalità sostanzialmente diverse da quelle di AML/CFT e cioè per fornire una base informativa utile a contrastare la messa in ricircolo di banconote contraffatte. Tali segnalazioni sono, tuttavia, inadeguate ai fini del contrasto del riciclaggio, tanto per la lo-
76 Secondo la nota n. 1001401 del 16 agosto 2019 inviata alle associazioni di categoria degli operatori, i soggetti obbligati dovranno trasmettere le segnalazioni periodiche a partire dal trimestre successivo a quello in cui è stata perfezionata l’iscrizione nell’elenco.
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ro frequenza77 quanto per il loro contenuto78. Per ovviare a tali carenze è stato previsto, ai sensi dell’articolo 23 del Provvedimento, l’obbligo degli operatori di trasmettere trimestralmente una serie di dati secondo uno schema segnaletico di tipo matriciale (tabella a doppia entrata) che consentirà alla
La cadenza semestrale infatti non consentirebbe, almeno in tale contesto, di isolare nell’analisi dei dati gli effetti delle componenti stagionali, né di cogliere tempestivamente eventuali repentine variazioni nella serie dei dati né, tantomeno, la costruzione di serie storiche robuste. 78 In estrema sintesi, le segnalazioni semestrali rassegnate alla Banca d’Italia in materia di ricircolo sono di due tipi: dati di sistema e dati operativi. Con riferimento ai primi, l’istituto di vigilanza privata che tratta il contante deve segnalare – per ciascun luogo dove svolge tale attività (c.d. luogo di contazione o “sala conta”) – le dotazioni tecnologiche di cui si avvale per il trattamento delle banconote da ricircolare, comunicando il numero di apparecchiature distinte per modello. Quanto ai dati operativi, essi consistono nel numero di banconote trattate mediante apparecchiature conformi, distintamente per taglio (processato), con indicazione dei quantitativi di banconote riscontrate non più idonee alla circolazione (banconote logore) e di quelle ricircolate (che convenzionalmente sono pari alla differenza fra il “processato” e il “numero delle banconote versate in Banca d’Italia”). Sebbene, ciascun dato vada distinto per luogo di contazione e, nell’ambito di questo, per ente proprietario delle banconote trattate, le segnalazioni sul ricircolo contengono dati meramente quantitativi. Infatti, l’indicazione del luogo di contazione, cioè di quello in cui il contante viene trattato, non è indicativo del luogo di origine delle banconote, potendo le stesse provenire da province diverse. 77
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Banca d’Italia di acquisire informazioni qualitative, in particolare, sulla distribuzione territoriale del contante lavorato dagli istituti di vigilanza. Per comprendere le potenzialità di tale sistema segnaletico occorre preliminarmente tener presente che una parte consistente dell’attività di tali istituti consiste nel ritiro del contante dalla clientela (bancaria e non), nella sua lavorazione e ordinata custodia79 e nell’utilizzo di tali giacenze secondo le indicazioni del cliente proprietario80. Ciò premesso, la Banca d’Italia ha inteso sfruttare le informazioni sia con riferimento ai flussi in entrata che a quelli in uscita: pertanto, a differenza delle segnalazioni trasmesse in materia di ricircolo, quelle antiriciclaggio riguardano non solo le banconote che l’operatore abbia ritirato dalla clientela (RIT) per trattarle nei propri locali di contazione ma anche quelle che su disposizione della clientela abbia sovvenzionato (SOV) prelevandole dalle giacenze (cfr. Manuale operativo per le segnalazioni periodiche a fini antiriciclaggio”). 79 In sostanza le banconote devono essere lavorate e custodite in modo da assicurare in ogni istante la riconducibilità al soggetto proprietario delle stesse. 80 Ad esempio, nel caso di clientela bancaria, istituto di vigilanza che in una giornata ha ritirato banconote presso una determinata filiale della banca cliente, potrà ricevere da quest’ultima l’incarico di rifornire una qualsiasi propria filiale utilizzando le banconote in giacenza che siano già state trattate.
Le informazioni dovranno essere fornite con riferimento a quattro tipologie di “punti serviti”81: a. dipendenze bancarie e postali; b. sale conta del medesimo operatore o di altri operatori; c. punti serviti della “grande distribuzione organizzata” (c.d. “GDO”); d. punti serviti di clienti non rientranti fra quelli di cui ai punti precedenti (cc.dd. “altri soggetti”). Il livello di dettaglio richiesto differisce a seconda della tipologia del punto servito: esso è maggiore con riferimento alle dipendenze bancarie e postali e si riduce a un set minimale di informazioni per gli “altri soggetti”. Ad esempio, con riferimento alle dipendenze bancarie, l’operatore dovrà comunicare dati distinti non solo per codice ABI (cioè per ogni singola banca cliente) ma anche per comune: ciò consentirà di conoscere, taglio per taglio, il numero di banconote che l’operatore ha consegnato (cosiddette “sovvenzioni”) alle filiali di una data banca in un determinato comune nel trimestre di riferimento e il numero delle banconote che l’operatore ha ritirato (cosiddetti “ritiri) da quella stessa banca in quel dato comune nel medesimo arco temporale. Per “punto servito” si intende il luogo fisico dal quale viene effettuata l’attività di ritiro o verso il quale viene effettuata l’attività di sovvenzione delle banconote. 81
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Inoltre, sempre con riferimento a ritiri e sovvenzioni effettuate nei confronti di dipendenze bancarie e postali, il dato dovrà essere ulteriormente disaggregato mediante la specifica per taglio del numero di banconote che provengono o siano destinate da/a sportelli della dipendenza (variabile: SP) o da cash dispenser (variabile: CD)82. Le segnalazioni periodiche relative alle dipendenze bancarie e postali non contengono, tuttavia, il dettaglio per singola dipendenza83. Ciò nonostante, i dati segnalati dovranno essere generati con modalità tali da consentirne la puntuale ricostruzione84. La segnalazione relativa all’operatività con le dipendenze bancarie e postali è corredata da una serie di ulteriori attributi (“flusso massimo”, “numero punti/dipendenze servite”, “numero operazioni”) finalizzati a aumentarne
Nel modello matriciale predisposto dalla Banca d’Italia queste variabili sono indicate come “TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ”. 83 Se ciò risponde, presumibilmente, al criterio di non gravare in maniera eccessiva sui soggetti segnalanti, considerata la numerosità dei punti da questi serviti, il sistema informativo potrebbe risultare fortemente depotenziato, specie con riferimento a comuni come Roma, Milano, Napoli, Torino e Palermo caratterizzati dalla presenza di numerosissime filiali appartenenti alla medesima banca. 84 Tali informazioni potranno, infatti, dover essere approfondite dalla Banca d’Italia sia per lo svolgimento del proprio ruolo di Autorità di vigilanza di settore, sia in ossequio ai doveri di collaborazione e di scambio di informazioni sanciti dall’articolo 12 del decreto antiriciclaggio. 82
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l’attitudine a produrre informazioni utili all’individuazione di fenomeni da approfondire: a titolo di esempio, fra gli attributi spiccano le informazioni riguardanti il “flusso massimo” definito nel Manuale operativo come “il numero massimo, per ciascun taglio, di banconote ritirate/sovvenzionate in un’unica operazione”. L’utilità dell’informazione fornita dall’attributo “flusso massimo” si può evincere dall’esempio che segue. Immaginiamo che nel trimestre l’operatore abbia effettuato nel comune di Viterbo, per conto della banca X, due sovvenzioni agli sportelli (SP) di due distinte dipendenze (Y e Z):
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PRIMA SOVVENZIONE
SECONDA ZIONE
SOVVEN-
5 euro – 0 pezzi
5 euro – 200 pezzi
10 euro – 0 pezzi
10 euro – 100 pezzi
20 euro – 20 euro – 1000 pezzi 1000 pezzi 50 euro – 1000 pezzi 100 euro 100 pezzi
50 euro – 2000 pezzi
– 100 euro – 100 pezzi
200 euro – 200 euro – 0 pezzi 200 pezzi 500 euro – 500 euro – 50 pezzi 1000 pezzi
Dunque la segnalazione dovrebbe essere la seguente: Comune di Viterbo ABI xxxxx
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TIPOLOGIA ATTIVITÀ: SP TOTALE QUANTI- FLUSSO MAX TÀ BANCONOTE DEL TRIMESTRE M O V I M E N TAT E NEL TRIMESTRE M O V I M E N TAT E NEL TRIMESTRE
DEL TRIMESTRE
5 euro – 200 pezzi
5 euro – 200 pezzi
10 euro – 100 pezzi 10 euro – 100 pezzi 20 euro – 2000 pezzi
20 euro – 1000 pezzi
50 euro – 3000 pezzi
50 euro – 2000 pezzi
100 euro – 200 pezzi
100 euro – 100 pezzi
200 euro – 200 pezzi
200 euro – 200 pezzi
500 euro – 1050 pezzi
500 euro – 1000 pezzi
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NUMERO PUNTI SERVITI/DIPENDENZE SERVITE: 2 NUMERO OPERAZIONI: 2 In sostanza, l’attributo “flusso massimo” consente di cogliere eventuali operazioni outlier che altrimenti non potrebbero essere rilevate con l’utilizzo dei soli attribuiti “numero punti serviti” e “numero operazioni”, idonei di per sé a evidenziare solo andamenti medi. L’attributo “flusso massimo”, oltre che nel caso di ritiri e sovvenzioni che interessano dipendenze bancarie e postali, è previsto anche nel caso di operatività svolta nei confronti di soggetti diversi da questi ultimi, cioè esercizi della “grande distribuzione organizzata” ma solo se detta operatività superi nel trimestre una so-
glia fissata dalla Banca d’Italia85, altrimenti la segnalazione deve seguire il tracciato dedicato nello “schema segnaletico” agli “altri soggetti”. Inoltre, il superamento della soglia determina l’ulteriore obbligo di comunicare alla Banca d’Italia il dato disaggregato per codice ATECO del soggetto al quale le banconote vengono sovvenzionate o dal quale vengono ritirate. Tale codice è richiesto su sei posizioni in modo da avere il massimo dettaglio – fino al livello della “sottocategoria” di appartenenza – delle attività economiche sovvenzionate o dalle quali viene ritirato il contante. L’articolo 23 del Provvedimento organizzativo prevede che l’obbligo segnaletico venga presidiato da uno specifico responsabile nominato dall’organo di gestione, il cui nominativo deve essere comunicato alla Banca d’Italia.
In argomento, con nota inviata ai service il 29 aprile 2020, la Banca d’Italia ha comunicato che “è stato per ora deciso di non fissare un limite”: pertanto, tutta l’operatività riferibile ai soggetti non bancari, anche quelli in nessun modo riconducibili alla categoria della GDO, dovrà essere considerata, ai fini dell’inoltro delle segnalazioni trimestrali, come se si trattasse di GDO.
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6. Il Provvedimento in materia di adeguata verifica
6.1. Il concetto di “soggetto servito”
In tema di adeguata verifica, le disposizioni emanate dalla Banca d’Italia per gli operatori il 4 febbraio 2020 ricalcano in parte quelle già emanate nel luglio 2019 per gli intermediari bancari e finanziari. Esse, tuttavia, tenendo conto delle peculiarità degli istituti di vigilanza privata autorizzati al trattamento del contante, contengono specifici richiami alle modalità operative di questi ultimi. Si fa riferimento, in particolare, all’introduzione del concetto di “soggetto servito” definito nel Provvedimento in discorso come “soggetto terzo rispetto al cliente e al titolare effettivo, nei confronti del quale l’operatore effettua in concreto l’operazione (grande distribuzione organizzata, money transfer, compro oro, cambiavalute)”86. Tale espressione è finalizzata a consentire lo svolgimento del processo di adeguata verifica nell’ambito di una delle più ricorrenti modalità operative proprie degli istituti di vigilanza privata che trattano il contante. In linea di principio, infatti, l’attività di questi ultimi consiste nella lavorazione di contante ritirato Provvedimento in materia di adeguata verifica, Disposizioni preliminari, Definizioni, p. 7. 86
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(anche eventualmente per il tramite di altri operatori) presso: a. dipendenze bancarie o uffici postali dove lo stesso è stato versato dalla clientela. In questa fattispecie il rapporto contrattuale si instaura fra l’operatore e l’intermediario bancario che conferisce l’incarico, al quale va, pertanto, riconosciuto, ai sensi del decreto antiriciclaggio, il ruolo di cliente (c.d. “banca cliente”)87. Allo stesso modo, nell’ambito di tale relazione, il titolare effettivo va individuato applicando le regole ex articolo 20 del decreto antiriciclaggio alla “banca cliente”; b. soggetti diversi da banche, per lo più appartenenti a comparti del commercio, in larga parte riconducibili, dal punto di vista dimensionale, alla grande distribuzione organizzata, con cui l’istituto di vigilanza privata ha stipulato un contratto per il trattamento del contante88. Usualmente si utilizza l’espressione “banca cliente” anche quando il contratto è stipulato con Poste Italiane spa, che, come noto, rientra nel novero degli intermediari bancari e finanziari ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto antiriciclaggio. 88 In questi casi è possibile che il rapporto contrattuale si svolga secondo diverse modalità: può, ad esempio, avvenire che il contante una volta trattato, venga semplicemente custodito nel caveau dell’istituto di vigilanza a nome del cliente, che ne potrà chiedere la disponibilità in qualsiasi momento successivo; oppure il denaro, dopo essere stato trattato, verrà unito (in gergo si usa il termine “fuso”) alle disponibilità di una banca cliente dell’istituto di vigilanza individuata sempre nel contratto. Sarà cura dell’istituto di vigilanza che ha 87
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Pertanto, il ruolo di cliente va riconosciuto al soggetto non bancario, di cui l’istituto di vigilanza dovrà individuare e verificare il titolare effettivo; c. soggetti con i quali l’istituto di vigilanza privata non intrattiene alcun rapporto contrattuale ma nei confronti dei quali svolge il proprio servizio su richiesta di una “banca cliente”. In sostanza, in quest’ultimo caso l’operatore invece di ritirare presso una dipendenza bancaria il contante versato dal cliente di quest’ultima, si reca direttamente presso il cliente della banca con la periodicità fissata dalla stessa, senza che fra l’istituto di vigilanza privata e il cliente della banca intercorra alcun rapporto contrattuale89. In quest’ultima fattispecie operativa, applicando le categotrattato il contante comunicare alla banca il versamento del cliente. 89 Si realizza in questo caso quella che nella relazione illustrativa del documento posto in consultazione a settembre 2019 viene definita “relazione di tipo trilaterale”: “Dette relazioni vedono, di norma, coinvolti gli operatori (soggetti cui sono indirizzate le disposizioni), i loro clienti (principalmente, intermediari bancari e finanziari che hanno esternalizzato l’attività di trattamento del contante) e il soggetto nei confronti del quale l’operatore effettua in concreto la prestazione (c.d. soggetto servito, ad esempio, operatori della grande distribuzione, money transfer ecc.) per lo più cliente dell’intermediario”. Relazione illustrativa per la consultazione, settembre 2019, disponibile sul sito internet della Banca d’Italia all’indirizzo https://www. bancaditalia.it/compiti/emissione-euro/ consultazioni/adeguata-verifica/Relazione_illustrativa_per_la_consultazione.pdf.
rie generali, il ruolo di “cliente” è da riconoscere alla banca che ha conferito l’incarico90, ma giusta la definizione di titolare effettivo contenuta nel decreto antiriciclaggio – cioè “la persona fisica o le persone fisiche, diverse dal cliente, nell’interesse della quale o delle quali, in ultima istanza, il rapporto continuativo è istaurato, la prestazione professionale è resa o l’operazione è eseguita” – a chi si dovrà fare riferimento per individuare il titolare effettivo? Alla “banca cliente” (come nella fattispecie di cui alla lettera a), o al reale destinatario finale della prestazione? La scelta del regolatore è stata evidentemente quella di considerare di scarsa utilità ai fini degli obblighi di adeguata verifica la sola individuazione della titolarità effettiva riferita alla “banca cliente”, tra l’altro soggetto rientrante nella tipologia di clienti a basso rischio91, mentre è stata, di fatto 90 Infatti ai sensi del decreto antiriciclaggio il cliente “è il soggetto che instaura rapporti continuativi, compie operazioni ovvero richiede o ottiene una prestazione professionale a seguito del conferimento di un incarico”. 91 “…può essere ritenuto un fattore di potenziale ‘basso rischio’ lo status di intermediario bancario e finanziario di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto antiriciclaggio – a eccezione di quelli di cui alle lettere i), o) s) e v) – e di intermediario bancario e finanziario comunitario o con sede in un Paese terzo con un efficace regime di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo”. Provvedimento in materia di adeguata verifica, Parte terza “Obblighi semplificati di adeguata verifica”, Principi generali, p. 17.
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ritenuta, in linea con le finalità del decreto antiriciclaggio la verifica dell’effettivo beneficiario ultimo della prestazione, individuato nella nuova categoria del “soggetto servito”. A corroborare le ragioni di tale scelta il regolatore ha formulato due criteri: quello della “concretezza” e quello della “efficacia”, evocati entrambi nel Provvedi-
Consentendo agli operatori di valutare le banche clienti come soggetti a basso rischio la Banca d’Italia ha esercitato il potere riconosciuto alle Autorità di vigilanza di settore dall’articolo 23, comma 3, del decreto antiriciclaggio. In generale infatti, il citato articolo 23 prevede che i soggetti obbligati tengano conto, ai fini della individuazione del basso rischio del cliente, di una serie di fattori specificamente elencati nel comma 2 e che, tuttavia, tale elenco possa essere integrato o modificato dalle Autorità di vigilanza di settore. Tale scelta risulta, tra l’altro, coerente con gli Orientamenti emanati congiuntamente dalle Autorità di Vigilanza europee (EBA, ESMA e EIOPA) sulle misure semplificate e rafforzate di adeguata verifica della clientela e sui fattori di rischio, pubblicati il 4 gennaio 2018. Con riferimento a tale documento si fa presente, ad ogni buon conto, che il 5 febbraio 2020 l’Autorità Bancaria Europea (EBA) ha pubblicato un Consultation paper volto a modificare gli Orientamenti congiunti per tener conto dell’entrata in vigore della direttiva (UE) 2018/843 (V Direttiva Antiriciclaggio), con particolare riferimento agli obblighi di adeguata verifica rafforzata nel caso di coinvolgimento di Paesi Terzi ad alto rischio, nonché a seguito dell’individuazione di nuove tipologie di rischio emerse a seguito dell’evoluzione del settore finanziario. Ad esito del processo di consultazione, la cui conclusione è stata fissata al 5 maggio 2020, verrà emanata una nuova versione degli Orientamenti.
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mento in materia di adeguata verifica nel caso di prestazioni rese a soggetto diverso dal cliente92. Descrivendo il criterio della “concretezza” si fa, infatti, riferimento alla dovuta attività di monitoraggio da porre nei confronti “dell’effettivo destinatario della prestazione”. Quanto al criterio di “efficacia”, la Banca d’Italia prescrive all’operatore che su incarico di una “banca cliente” effettua il trattamento del contante ritirato presso un terzo soggetto (cliente della banca stessa), di adempiere ai propri obblighi di adeguata verifica mediante l’acquisizione di informazioni che consentano di valutare la coerenza fra l’operatività posta in essere dal terzo e il profilo soggettivo dello stesso. A tal fine, il Provvedimento prevede che l’operatore svolga una azione conoscitiva progressiva a seconda del ricorrere delle circostanze. Il punto di partenza di tale azione è rappresentato dall’acquisizione, oltre che dei dati identificativi del soggetto servito, anche di informazioni in merito alla tipologia dell’attività economica prevalentemente svolta da quest’ultimo e all’area geografica ove risiede e/o ha sede. Al riguardo, non tragga in inganno il lettore la circostanza che il Provvedimento in materia di ade-
Provvedimento in materia di adeguata verifica, Parte sesta, “Prestazioni nei confronti di un soggetto diverso dal cliente”, p. 21.
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guata verifica contenga, laddove si descrive il “criterio di efficacia”, riferimenti unicamente all’acquisizione di informazioni sulla “tipologia della prevalente attività economica del soggetto servito”. Infatti, la disciplina applicabile a tale fattispecie operativa si trova in più luoghi del Provvedimento, a seconda degli argomenti trattati: si veda in proposito il paragrafo 4 della Parte prima (p. 11) e il paragrafo 7 della Parte seconda (p. 16) entrambi intitolati “Soggetti serviti”. Il primo (paragrafo 4), che segue il paragrafo dedicato alla disciplina della profilatura della clientela, ha la sostanziale funzione di chiarire che in presenza di un soggetto servito la profilatura deve avere ad oggetto anche quest’ultimo o che, comunque, nell’attribuzione del profilo di rischio alla banca cliente, la rischiosità intrinseca del soggetto servito ha un peso significativo a tal punto da poter determinare la modifica della classe di rischio cui la banca è associata (normalmente, come detto, rischio basso). Il secondo (paragrafo 7), collocato immediatamente dopo il paragrafo in materia di controllo costante del rapporto intrattenuto con il cliente, è sostanzialmente diretto a ribadire che l’obbligo di monitoraggio non può avere ad oggetto solo il comportamento del cliente (cioè la banca che ha conferito l’incarico) ma anche quello del “soggetto servito” prevedendo a tal fine la necessità di acquisire, in merito a quest’ultimo, oltre alle informazioni sulla preva-
lente attività svolta, anche i dati identificativi e quelli relativi all’area geografica di residenza/sede. Tra l’altro, stante l’assenza di qualunque rapporto contrattuale fra l’operatore e il soggetto servito, tali informazioni dovranno essere fornite dalla “banca cliente”. Riguardo alla progressiva azione conoscitiva nei confronti del “soggetto servito”, sempre in base al “criterio di efficacia” il Provvedimento in materia di adeguata verifica prevede che l’operatore non possa limitarsi ad acquisire gli elementi informativi sopra descritti ma “deve considerare l’opportunità di chiedere al cliente ulteriori informazioni sul soggetto servito”93 tenendo presenti due ulteriori elementi: la frequenza e il volume delle operazioni. Ne discende che l’operatore dovrà individuare soglie di frequenza e volume con riferimento all’operatività del soggetto servito, superate le quali il patrimonio informativo va, comunque, arricchito rispetto ai dati iniziali94. Provvedimento in materia di adeguata verifica, Parte seconda “Obblighi di adeguata verifica”, paragrafo 7, p.16. Identico concetto ribadito anche a p. 21. 94 A tal fine risulta essenziale che nel momento della instaurazione del rapporto continuativo venga effettuata, interloquendo con il cliente, una stima dell’operatività attesa e che tale informazione venga registrata nel “fascicolo di adeguata verifica” previsto dal paragrafo 8, p. 16, Parte seconda del Provvedimento in materia di adeguata verifica. È consigliabile che l’operatore nel momento in cui viene formulata la “valutazione conclusiva di adeguata verifica” inserisca l’indicazione delle soglie di frequenza e volume al superamento del93
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Ciò in sostanza si traduce nella previsione del rafforzamento delle misure di adeguata verifica, mediante l’acquisizione di informazioni, ad esempio, riguardo “origine delle banconote trattate, situazione economica e patrimoniale”95 del soggetto servito. Desta tuttavia perplessità la circostanza che le disposizioni dettate dalla Banca d’Italia nel Provvedimento in commento, prescrivano agli operatori di acquisire, a prescindere da ogni soglia di frequenza e volume delle operazioni, “ulteriori informazioni sul soggetto servito” qualora quest’ultimo operi in settori di attività specificamente indicati ai punti 6 e 7 dell’allegato 1 del Provvedimento stesso. Riguardo al citato punto 6, si deve notare che lo stesso contiene due asserzioni: la prima di carattere generale e la seconda con una valenza, di fatto, interpretativa della prima. Secondo la prima delle due asserzioni, il rafforzamento del processo di adeguata verifica dovrebbe obbligatoriamente essere realizzato dall’operatore nel caso in cui il soggetto servito svolga un “tipo di attività economica caratterizzata da elevato utilizzo di contante”. Al riguardo deve considerarsi che larga parte dei soggetti che
le quali verrebbero chieste ulteriori e specifiche informazioni. 95 Esempi formulati dallo stesso “Provvedimento in materia di adeguata verifica”, Parte seconda “Obblighi di adeguata verifica”, paragrafo 7, p. 16.
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direttamente o per il tramite di una banca si avvalgono delle prestazioni di un operatore svolgono la loro attività in comparti fisiologicamente caratterizzati da “elevato utilizzo di contante” e, pertanto, la norma avrebbe l’effetto di imporre agli operatori un’applicazione generalizzata delle misure di rafforzamento. Ne discende, pertanto, che il riferimento all’“attività economica caratterizzata da elevato utilizzo di contante” debba essere interpretato alla luce della seconda asserzione contenuta al punto 6, secondo cui “Rileva la riconducibilità delle attività economiche svolte dal cliente a tipologie particolarmente esposte ai rischi di riciclaggio quali il settore dei compro oro, di cambio valuta, del gioco o delle scommesse, casinò e money transfer”, precisazione che evidentemente vale a circoscrivere – nel caso di “elevato utilizzo di contante” – l’obbligo di rafforzamento del processo di adeguata verifica a determinate tipologie di soggetti serviti. Tra l’altro, si deve presumere che in assenza dell’inciso “ad esempio” il regolatore abbia voluto individuare in modo tassativo, escludendo una libera interpretazione da parte dell’operatore, le categorie di “soggetti serviti” cui applicare in ogni caso modalità di adeguata verifica rafforzata (per l’appunto compro oro, cambio valuta, operatori del comparto giochi e scommesse, casinò e money transfer). Al contrario, in virtù del rinvio che in tema di “soggetti serviti”
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si fa al punto 7 dell’allegato 1 del Provvedimento in tema di adeguata verifica, l’operatore è chiamato egli stesso ad un’attività interpretativa in quanto è previsto che si applichino misure di adeguata verifica rafforzata al soggetto servito che svolga tipi di “attività economica riconducibili a settori particolarmente esposti a rischi di riciclaggio e/o di corruzione”. In questo contesto, la circostanza che, a un’indicazione tanto ampia segua un elenco meramente esemplificativo96 (tanto si desume dal fatto che al punto 7 dell’allegato, a differenza di quanto avviene al precedente punto 6, è stato utilizzato l’inciso “ad esempio”) senza l’indicazione di fonti robuste cui attingere ai fini della valutazione, espone l’operatore a rischi di difficile quantificazione e mitigazione.
“…commercio di metalli preziosi e di rottami, ferrosi, ovvero di settori economici interessati dall’erogazione di fondi pubblici, anche di origine comunitaria, quali ad esempio commercio di armi e dual use, raccolta e smaltimento di rifiuti, produzione di energie rinnovabili”. Va sottolineato che fra i settori interessati alla erogazione di fondi pubblici gli operatori dovrebbero porre particolare attenzione ai flussi di contante cui sono interessati clienti e soggetti serviti attivi nei comparti della sanità e degli appalti, tra l’altro richiamati per le valutazioni antiriciclaggio delle Pubbliche amministrazioni dal Decreto del Ministro dell’Interno del 25 settembre 2015 (“Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo da parte degli uffici della pubblica amministrazione”). 96
Tra l’altro va rilevato che l’orientamento metodologico adottato dal regolatore per le fattispecie che prevedono l’operatività nei confronti di un “soggetto servito” differisce rispetto a quello scelto nell’analogo Provvedimento dettato per gli intermediari bancari e finanziari, laddove si tratta la tematica, sostanzialmente simile, dell’offerta da parte di un intermediario (c.d. “destinatario controparte”) di servizi e attività di investimento o di gestione collettiva del risparmio per il tramite di un altro intermediario bancario o finanziario (c.d. “committente”) che opera nell’interesse di propri clienti97. In questi casi, nell’ipotesi in cui un intermediario “committente” agisca in nome proprio, sia pure per conto di un cliente, ponendosi come controparte diretta di un altro intermediario (c.d. destinatario controparte”), quest’ultimo “…può limitarsi ad acquisire i soli dati identificativi dell’investitore per conto del quale l’intermediario committente agisce (e del suo titolare effettivo sub 2, laddove non sia una persona fisica” (adeguata verifica semplificata) al ricorrere, ovviamente, di una serie di condizioni che tuttavia non riguardano il cliente dell’intermediario committente (mutatis mutandis,
Provvedimento della Banca d’Italia del 30 luglio 2019, Disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela per il per il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, Parte sesta, Disposizioni specifiche per particolari tipologie operative, p. 29.
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anch’egli un soggetto servito) ma proprio quest’ultimo. Ad esempio, l’intermediario controparte potrà applicare le citate misure semplificate qualora l’intermediario committente rientri fra quelli a basso rischio. Inoltre l’intermediario controparte dovrà “assicurarsi che il rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo connesso al rapporto continuativo con l’intermediario committente sia basso, considerando, tra l’altro, l’attività del committente, la tipologia di clientela servita e i paesi nei quali esso offre i propri servizi”. Al contrario, nell’ipotesi in cui l’intermediario committente operi non solo per conto ma anche in nome del proprio cliente, è esclusa in linea di principio la semplificazione delle misure di adeguata verifica e, quindi, l’intermediario controparte sottoporrà l’investitore a misure di adeguata verifica graduate in funzione del rischio. Risulta pertanto evidente la differente prospettiva: nel Provvedimento in tema di adeguata verifica per gli intermediari bancari e finanziari la circostanza che il servizio venga reso a un soggetto tramite un intermediario garantisce la semplificazione degli adempimenti (acquisizione dei soli dati identificativi), mentre nell’analogo Provvedimento destinato agli operatori, in ogni caso, occorre la raccolta di un set informativo più ampio e un’attività di monitoraggio più capillare da parte dell’operatore stesso.
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6.2. Ulteriori considerazioni
Oltre a quanto evidenziato, il testo del Provvedimento presenta alcuni aspetti, invero di minor rilevanza, comunque suscettibili di un successivo auspicabile intervento modificativo. I. In primo luogo, non si comprendono le ragioni che hanno indotto gli estensori a richiamare nelle “definizioni” concetti che non ricorrono nel testo del Provvedimento. Si fa ad esempio riferimento alla definizione di “operatori di minori dimensioni e complessità operativa” che, almeno all’apparenza, non ha alcuna utilità ai fini dell’applicazione delle norme di adeguata verifica. Un altro esempio è rappresentato dalla definizione di “organo di controllo”, al quale il Provvedimento in materia di adeguata verifica non sembrerebbe attribuire alcuna ulteriore funzione rispetto a quelle già previste dal Provvedimento organizzativo. Come pure fra le definizioni ricorre quella di “processato” senza che tale concetto abbia poi seguito nel testo. II. Altro punto è rappresentato dal titolo della Parte prima del Provvedimento in materia di adeguata verifica, “Criteri generali per la valutazione dei fattori di rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo”. Al riguardo occorre precisare che esiste una sostanziale differenza fra i cc.dd. “criteri generali” e i “fattori di rischio”.
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Infatti, l’espressione “criteri generali” viene utilizzata dal legislatore nel decreto antiriciclaggio per indicare all’articolo 17, comma 3, gli elementi da prendere in considerazione per “graduare” le misure di adeguata verifica, distinguendo fra quelli riferibili al “cliente”98 e quelli riferibili “all’operazione, rapporto continuativo o prestazione professionale”99. Altro sono i “fattori di rischio”, espressione utilizzata nel decreto antiriciclaggio all’articolo 23 in tema di adeguata verifica semplificata100 e all’articolo 24 in tema di adeguata verifica rafforzata. In sostanza i “fattori di rischio” rappresentano la trasposizione
dei concetti e delle tipologie descritti negli allegati II101 e III102 della Direttiva (UE) 2015/849 e possono essere definiti come variabili, che ricorrendo singolarmente o in combinazione, sono suscettibili di accrescere o ridurre il rischio di ML/TF. In sostanza, i “criteri generali” non sono finalizzati alla valutazione dei “fattori di rischio” (come potrebbe desumersi dal titolo della Parte prima del Provvedimento), ma viceversa, nel senso che sono i “fattori di rischio” gli strumenti interpretativi dei “criteri generali”: infatti il punto di partenza dovrebbe essere rappresentato dall’attribuzione al cliente, secondo la policy aziendale, di un punteggio indicativo del suo livello di rischio che è frutto della somma dei punteggi attribuiti per ciascuno dei “criteri generali”. Successivamente tale punteggio che potremmo definire “di base” andrebbe affinato attraverso l’applicazione dei fattori di “basso rischio” elencati dall’articolo 23, comma 2 e di quelli di “rischio elevato” elencati dall’articolo 24 del decreto antiriciclaggio, questi ultimi esemplificati nell’allegato 1 del Provvedimento in materia di adeguata verifica.
48 1) la natura giuridica; 2) la prevalente attività svolta; 3) il comportamento tenuto al momento del compimento dell’operazione o dell’instaurazione del rapporto continuativo o della prestazione professionale; 4) l’area geografica di residenza o sede del cliente o della controparte. 99 1) la tipologia dell’operazione, del rapporto continuativo o della prestazione professionale posti in essere; 2) le modalità di svolgimento dell’operazione, del rapporto continuativo o della prestazione professionale; 3) l’ammontare dell’operazione; 4) la frequenza e il volume delle operazioni e la durata del rapporto continuativo o della prestazione professionale; 5) la ragionevolezza dell’operazione, del rapporto continuativo o della prestazione professionale, in rapporto all’attività svolta dal cliente e all’entità delle risorse economiche nella sua disponibilità; 6) l’area geografica di destinazione del prodotto e l’oggetto dell’operazione, del rapporto continuativo o della prestazione professionale. 100 L’articolo 23 utilizza pressoché indifferentemente i termini di “indici” e “fattori”. 98
“…elenco non esaustivo di fattori e tipologie indicative di situazioni potenzialmente a basso rischio”. 102 “…elenco non esaustivo di fattori e tipologie indicative di situazioni potenzialmente ad alto rischio”. 101
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III. Ulteriore punto di perplessità è rappresentato dalla mancata previsione per gli istituti di vigilanza privata che trattano il contante di disposizioni specifiche in materia di operatività a distanza. Va infatti considerato che all’Autorità di vigilanza di settore, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera a), n. 5, del decreto antiriciclaggio, è attribuito il potere di individuare forme e modalità idonee di acquisizione a distanza dei dati identificativi della clientela ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di identificazione, tanto che tale disposizione è stata declinata dalla Banca d’Italia nella sezione VIII della Parte seconda nel Provvedimento di adeguata verifica dedicato agli intermediari bancari e finanziari del 30 luglio 2020103.
Questa limitazione, cioè la sostanziale necessità per gli istituti di vigilanza privata di adempiere all’obbligo di identificazione del cliente richiedendone la presenza fisica, si aggiunge alla mancata inclusione di tali destinatari tra i soggetti ai quali, ai sensi dell’art. 26 del decreto antiriciclaggio è possibile ricorrere per l’assolvimento di taluni obblighi di adeguata verifica. Al riguardo, tuttavia, è stata recentemente introdotta con il d.lgs. 4 ottobre 2019, n. 125, la possibilità di esternalizzare gli obblighi di adeguata verifica di cui all’articolo 18, lett. a) e b) anche ricorrendo a soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 26 del decreto antiriciclaggio ma solo in presenza di specifici presidi individuati dall’Autorità di vigilanza di settore (cfr. articolo 30, comma 1-bis del decreto antiriciclaggio). 103
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6.3. Punti di forza del Provvedimento
Fra i punti di forza va segnalata la disciplina dettata in merito alla “Profilatura del cliente”, in particolare il novero degli esempi di eventi e circostanze al ricorrere dei quali l’operatore è chiamato a verificare, senza ritardo, a prescindere da qualsiasi termine prestabilito, la congruità della classe di rischio già assegnata104. Inoltre, la disciplina dettata in tema di “Profilatura del cliente” “In ogni caso, gli operatori devono verificare senza ritardo la congruità della classe di rischio già assegnata quando giungano a conoscenza di eventi o circostanze suscettibili di incidere sul profilo di rischio del cliente, anche se riferibili al suo titolare effettivo, come ad esempio: a. la presenza nella compagine societaria di nominativi che abbiano acquisito, dopo l’avvio delle relazioni, la qualifica di PEP o l’assunzione di tale qualifica da parte del cliente o del titolare effettivo laddove siano persone fisiche; b. modifiche rilevanti, per volumi o tipologia, dell’operatività del cliente; c. avvio di procedure concorsuali; d. irrogazioni di sanzioni amministrative per la violazione degli obblighi previsti dal decreto antiriciclaggio o dalla normativa di attuazione; e. procedimenti penali, procedimenti per danno erariale o ai sensi del decreto legislativo n. 231/2001; f. operatività caratterizzata da un numero consistente di banconote sospette di falsità o danneggiate; g. ritardi nella trasmissione di informazioni chieste in merito a operazioni sottoposte ad approfondimento; h. richieste di informazioni da parte dell’Autorità Giudiziaria, degli Organi investigativi e della UIF”. Provvedimento in materia di adeguata verifica, Parte prima, paragrafo 3, p. 10. 104
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rimarca molto opportunamente la competenza del Responsabile antiriciclaggio quale soggetto chiamato a verificare non solo l’attribuzione della classe di rischio ma anche la coerenza della stessa con le informazioni raccolte mediante percorsi di analisi strutturati e questionari sottoscritti dal cliente. Tale attività di verifica può essere delegata dal Responsabile antiriciclaggio ad altri soggetti da lui formalmente incaricati ma in ogni caso viene, comunque, sottolineato l’obbligo del delegante di intervenire confermando o modificando la valutazione del delegato105. Allo stesso modo il Responsabile antiriciclaggio viene indicato come punto di riferimento per la valutazione delle proposte di transizione di un cliente da una classe di rischio più elevata a un’altra connotata da un rischio più contenuto. Inoltre, nel caso in cui il Responsabile antiriciclaggio ritenga motivatamente di aderire a tale richiesta di abbassamento del livello di rischio, la decisione è sottoposta, comunque, al vaglio del componente dell’organo di gestione con delega al trattamento del
La mancata indicazione di un termine entro il quale il Responsabile antiriciclaggio debba procedere alla conferma o modifica delle valutazioni del delegato dovrebbe indurre gli operatori a fissare tale termine nel Regolamento antiriciclaggio previsto dal Provvedimento organizzativo, articolo 18, comma 1, lett. c, il quale – sottoposto obbligatoriamente all’Autorità di vigilanza di settore – porrebbe l’operatore al riparo da eventuali contestazioni di ritardi nell’azione del Responsabile antiriciclaggio in tale ambito. 105
contante che potrà confermare le valutazioni del Responsabile antiriciclaggio o chiedere il ripristino della precedente classe di rischio. La norma in parola, in sostanza, ha la valenza di coinvolgere l’organo di gestione dell’operatore, attraverso un suo rappresentante, nella concreta gestione del rischio, laddove invece l’analogo provvedimento emanato per gli intermediari bancari e finanziari prevede che l’abbassamento del livello di rischio o dei controlli debba “essere circoscritto a casi eccezionali e va dettagliatamente motivato per iscritto” senza, tuttavia, prevedere esplicitamente il coinvolgimento dell’organo di gestione. Altro punto di forza del Provvedimento in materia di adeguata verifica è rappresentato dalla specifica indicazione organizzativa in ordine alla predisposizione del “Fascicolo di adeguata verifica” per ciascun cliente106.
È previsto che il fascicolo contenga, anche in formato elettronico: “a. tutte le informazioni fornite dal cliente, di propria iniziativa o su richiesta dell’operatore, in sede di adeguata verifica, ivi inclusa la copia in formato cartaceo o elettronico, purché non modificabile, del documento d’identità o altro documento di riconoscimento equipollente ai sensi della normativa vigente utilizzato per la identificazione del cliente e dell’esecutore; b. l’indicazione delle verifiche condotte ai sensi del paragrafo 4, della presente Parte e delle fonti a tal fine esaminate; c. la documentazione relativa all’attività di controllo costante condotta, nonché le valutazioni effettuate, anche al fine di dimostrare alle Autorità che le misure adottate sono adeguate al rischio rilevato; 106
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Le prescrizioni normative al riguardo, sebbene come naturale abbiano carattere generale, consentono un ordinato svolgimento del processo di adeguata verifica, in particolare della fase di monitoraggio, e, uniformando i comportamenti degli operatori, dovrebbero agevolare le attività di controllo delle Autorità.
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d. copia delle eventuali richieste di informazioni pervenute dall’Autorità Giudiziaria, dagli Organi investigativi o dalla UIF con riferimento al cliente, al titolare effettivo, all’esecutore, al soggetto servito o a nominativi cui gli stessi risultino, da informazioni note, collegati da rapporti d’affari o di coniugio, di unione civile, di convivenza, anche di fatto, o da legami di parentela o affinità, entrambi fino al quarto grado; e. tutte le informazioni acquisite sul soggetto servito e la documentazione relativa all’attività di monitoraggio effettuata sullo stesso”. Provvedimento in materia di adeguata verifica, Parte seconda, paragrafo 8, p. 16.
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Europol: una strategia europea contro il riciclaggio
Filippo Bosi
Commissario della Polizia di Stato
Il presente contributo è volto a evidenziare alcuni aspetti dell’attività di antiriciclaggio svolta da Europol. Dopo aver individuato i profili organizzativi e funzionali dell’Agenzia europea di law enforcement, l’autore effettua un’analisi degli organismi specializzati nella lotta al riciclaggio, evidenziando gli strumenti di coordinamento e di informazione offerti da Europol a beneficio delle autorità degli Stati membri. In tal senso, risultano degne di nota le piattaforme telematiche, tra le quali spicca FIU.net. Osservando i rilevanti risultati ottenuti in alcune operazioni coadiuvate dall’Agenzia, in conclusione, verranno espresse delle riflessioni quanto all’importanza delle indagini in materia di riciclaggio. Esse, infatti, costituiscono un mezzo particolarmente efficace per scoprire fenomeni criminali complessi ed estremamente pericolosi. Sommario: 1. L’Agenzia europea di law enforcement. – 2. Il ruolo di Europol in materia di antiriciclaggio. – 3. La piattaforma FIU.net. – 4. Alcuni esempi di recenti operazioni antiriciclaggio. – 5. Conclusioni.
1. L’Agenzia europea di law enforcement Europol “è l’agenzia dell’Unione europea incaricata dell’applicazione della legge, il cui obiettivo principale è quello di contribuire a realizzare un’Europa più sicura a beneficio di tutti i cittadini”1. Con sede a L’Aia, nei Paesi Bassi, Europol coadiuva i 27 Stati membri dell’Unione europea nella
Definizione tratta da https://www.europol.europa.eu/it/about-europol.
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lotta contro la criminalità internazionale e il terrorismo. Il suo ruolo nella gestione della sicurezza europea le consente di offrire una serie di servizi e di operare come: – centro di coordinamento per le operazioni di contrasto alla criminalità; – centro di gestione e analisi delle informazioni sulle attività criminali; – centro di competenze specializzate in tema di law enforcement.
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L’analisi dei dati costituisce il core business dell’azione di Europol. L’Agenzia impiega circa 100 analisti criminali, tra i migliori formati in Europa, utilizzando tecnologie all’avanguardia per sostenere, efficacemente e tempestivamente, le indagini svolte dalle autorità nazionali degli Stati membri. Quanto all’attuale compagine delle risorse umane delle quali dispone l’Agenzia, essa vanta un organico di più di 1.000 persone, tra cui 220 ufficiali di collegamento Europol e circa 100 analisti del crimine. Attraverso tali risorse, questa è in grado di fornire sostegno a più di 40.000 indagini internazionali ogni anno2. È interessante osservare come gli operatori italiani rappresentino la terza comunità più numerosa al suo interno, dopo quella olandese e spagnola, con ben 91 membri. Ciò vale quantomeno a evidenziare l’importanza del contributo dato dai nostri connazionali in un ente tanto rilevante. A livello europeo, Europol riferisce al Consiglio dei Ministri della Giustizia e degli Affari Interni. Alla guida di Europol vi è un direttore esecutivo, che ne è il rappresentante legale, nominato dal Consiglio dell’Unione europea. Dal maggio 2018 Catherine De Bolle ne è la direttrice esecutiva, è assistita da tre vicedirettori esecutivi: Wil van Gemert, dipartimento Operativo; Jürgen Ebner, dipartimento
I dati sono tratti dalla seguente fonte: https://www.europol.europa.eu.
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Governance; Luis de Eusebio Ramos, dipartimento Capacità. Quanto al quadro normativo di riferimento, v’è da dire che Europol è stata istituita con la decisione 2009/371/GAI del Consiglio3 come entità dell’Unione (peraltro finanziata dal bilancio generale dell’UE), allo scopo di sostenere e potenziare l’azione delle autorità competenti degli Stati membri per prevenire e combattere la criminalità organizzata, il terrorismo e le altre forme gravi di criminalità che interessano due o più Stati membri4. La decisione 2009/371/ GAI ha sostituito la Convenzione basata sull’articolo K.3 del trattato sull’Unione europea, istitutiva dell’Ufficio europeo di polizia (convenzione Europol)5. L’articolo 88 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)6 prevede che la di Decisione 2009/371/GAI 6 aprile 2009, che istituisce l’Ufficio europeo di polizia (Europol) (GU L 121 del 15.5.2009, p. 37). 4 Regolamento (UE) 2016/794 11 maggio 2016, che istituisce l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione nell’attività di contrasto (Europol) e sostituisce e abroga le precedenti decisioni del Consiglio 2009/371/GAI, 2009/934/GAI, 2009/935/ GAI, 2009/936/GAI e 2009/968/GAI. 5 GU C 316 del 27.11.1995, p. 1. 6 Articolo 88 (ex articolo 30 del TUE) 1. Europol ha il compito di sostenere e potenziare l’azione delle autorità di polizia e degli altri servizi incaricati dell’applicazione della legge degli Stati membri e la reciproca collaborazione nella prevenzione e lotta contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri, il terrorismo e le forme di criminalità che ledono un interesse comune oggetto di una politica dell’Unione. 2. Il Parlamento europeo e il Consiglio, de3
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sciplina applicabile a Europol sia stabilita mediante regolamento da adottarsi secondo la procedura legislativa ordinaria. Dispone altresì che siano fissate le modalità di controllo delle sue attività da parte del Parlamento europeo, controllo a cui sono associati i parlamenti nazionali, alle condizioni di cui all’articolo 12, lettera c), del Trattato sull’Unione europea (TUE) e all’articolo 9 del Protocollo n. 1 sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea, allegato al TUE e al TFUE, al fine di rafforzare la legittimità democratica e la responsabilità di Europol di fronte ai cittadini dell’Unione.
liberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, determinano la struttura, il funzionamento, la sfera d’azione e i compiti di Europol. Tali compiti possono comprendere: a) la raccolta, l’archiviazione, il trattamento, l’analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse, in particolare dalle autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi; b) il coordinamento, l’organizzazione e lo svolgimento di indagini e di azioni operative, condotte congiuntamente con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative comuni, eventualmente in collegamento con Eurojust. Tali regolamenti fissano inoltre le modalità di controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo, controllo cui sono associati i parlamenti nazionali. 3. Qualsiasi azione operativa di Europol deve essere condotta in collegamento e d’intesa con le autorità dello Stato membro o degli Stati membri di cui interessa il territorio. L’applicazione di misure coercitive è di competenza esclusiva delle pertinenti autorità nazionali.
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Il «Programma di Stoccolma — Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini»7 ha invitato Europol a evolversi per diventare il punto nodale dello scambio di informazioni tra le autorità di contrasto degli Stati membri, nonché fornitore di servizi e piattaforma per le attività di law enforcement. Il 1° gennaio 2010 Europol è divenuta un’agenzia dell’UE a tutti gli effetti ed è stata denominata ufficialmente «Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione nell’attività di contrasto» il 1° maggio 2017, dopo l’entrata in vigore del suo nuovo regolamento. Europol ha degli uffici periferici per favorire il dialogo e l’integrazione tra gli Stati membri nell’ambito della cooperazione di law enforcement. Le Unità nazionali sono state introdotte dall’articolo 4 della Convenzione Europol (come aggiornato dall’art. 7 del Regolamento Ue 2016/794), dov’è disposto che ciascuno Stato membro crei o designi una Unità nazionale (UNE) come organo di collegamento tra Europol e i e Servizi nazionali. È inoltre disposto che le relazioni tra tali unità e le autorità competenti siano assoggettate alle norme previste dagli ordinamenti statali8. In Italia è il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Po-
GU C 115 del 4.5.2010, p. 1. L. Scognamillo, M. Valeri, Per un Continente più sicuro Europol, Eurojust e Olaf, in Poliziamoderna, ottobre 2018. 7
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OSSERVATORIO NORMATIVO
lizia (SCIP), istituito nel 2000 all’interno della Direzione Centrale della Polizia criminale, a rappresentare (nella IV divisione) l’Unità Nazionale Europol9.
2. Il ruolo di Europol in materia di antiriciclaggio
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La repressione del riciclaggio di denaro è una delle EMPACT priorities nel ciclo delle politiche UE 2018-202110. Le attività criminali, tendenzialmente, generano ingenti profitti, spesso sotto forma di denaro contante, che i criminali cercano di riciclare attraverso vari canali. Il riciclaggio di denaro è un reato a sé stante, ma strettamente correlato ad altre forme di criminalità grave e organizzata, nonché sovente al finanziamento del terrorismo11.
Sul punto, si rinvia al sito https://www. poliziadistato.it/articolo/40489. 10 EMPACT è una realtà gestionale ad hoc per lo sviluppo delle attività finalizzate al raggiungimento di obiettivi prestabiliti. Si tratta di una piattaforma strutturata di cooperazione multidisciplinare tra gli Stati membri, le istituzioni e le agenzie dell’UE, anche con paesi terzi, organizzazioni internazionali e altri partner (pubblici e privati) per affrontare le minacce relative a fenomeni di criminalità organizzata e grave. V. https://www.europol.europa.eu/crime-areas-and-trends/eu-policy-cycle-empact. 11 In via esemplificativa, si consideri l’arresto di quattro persone accusate di trasferire in Siria del denaro proveniente dai proventi generati dal traffico di migranti dal Medio Oriente al Nord Europa. Parte del denaro in questione doveva essere utilizzato per finanziare un’organizzazione 9
Oltre che in funzione di complici dei gruppi criminali organizzati, i professionisti del riciclaggio di denaro svolgono come attività principale servizi di money laundering per conto di terzi. La portata reale del fenomeno è difficile da cogliere, ma è valutata dalle organizzazioni internazionali come particolarmente pericolosa e significativa. L’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), per esempio, stima che tra il 2 e il 5% del PIL globale venga riciclato ogni anno. Il che si sostanzia in una somma che si aggira tra i 715 miliardi e 1,87 trilioni di euro all’anno12. I gruppi criminali organizzati aumentano i loro profitti e li iniettano nel mercato attraverso diversi schemi di riciclaggio, infettando il circuito dell’economia legale. Tracciare queste risorse significa, innanzitutto, individuare le reti che legano le varie realtà illecite. Europol ha un ampio mandato da parte dell’UE nella lotta al riciclaggio di denaro e offre agli Stati membri informazioni e supporto tecnico per prevenire e reprimere i flussi illeciti di denaro a livello transazionale.
terroristica affiliata ad Al-Qaeda e operante in Siria. V. TE-STAT 2019, p. 17, su https:// www.europol.europa.eu/activities-services/main-reports/terrorism-situation-andtrend-report-2019-te-sat. 12 Tali dati sono reperibili sul sito https:// www.unodc.org/unodc/en/money-laundering/globalization.html.
Europol: una strategia europea contro il riciclaggio
L’Europol Criminal Assets Bureau (ECAB)13 assiste gli investigatori finanziari degli Stati membri nel tracciare i proventi del crimine in tutto il mondo, in particolare nei casi in cui i beni interessati siano stati nascosti al di fuori della loro giurisdizione. L’ECAB ospita il segretariato della rete interagenzie Camden Asset Recovery (CARIN)14, che si occupa di tutti gli aspetti inerenti alla confisca dei profitti derivanti da reato. Il CARIN è composto da professionisti di 54 giurisdizioni e 9 organizzazioni internazionali, fornisce assistenza in merito a indagini, reperimento, sequestro, gestione e confisca di proventi criminali o di altri beni appartenenti a un sospettato. Europol ospita inoltre, all’interno di FIU.net15 (v. infra), la segreteria permanente della rete informale operativa antiriciclaggio (Anti-Money Laundering Operational Informal Network – AMON16), istituita nel 2012 co-
Si riporta il sito istituzionale dell’ente: https://www.europol.europa.eu/abouteuropol/europol-criminal-assets-bureauecab#fndtn-tabs-0-bottom-1. 14 Si riporta il sito istituzionale dell’ente: https://www.europol.europa.eu/publications-documents/camden-asset-recoveryinter-agency-network-carin-manual. 15 Link completo: https://www.europol. europa.eu/about-europol/financial-intelligence-units-fiu-net. 16 Si riporta il sito istituzionale dell’ente: https://www.europol.europa.eu/organisations/anti-money-laundering-operationalnetwork-amon. 13
FILIPPO BOSI
me gruppo per gli investigatori specializzati nella materia. Con operatori appartenenti a 21 giurisdizioni e a 3 organizzazioni internazionali, AMON migliora l’efficacia delle indagini transfrontaliere sul riciclaggio di denaro, fornendo risposte rapide e offrendo degli strumenti conoscitivi e investigativi comuni. Il Financial Crime Information Center (FCIC)17, poi, è una piattaforma internet sicura per gli appartenenti alle forze dell’ordine che si occupano di riciclaggio di denaro, recupero di risorse e informazioni finanziarie. Consente ai suoi 1.200 membri (nel 2015)18 di condividere e recuperare conoscenze, best practice e dati di intelligence finanziaria. Funge anche da piattaforma di comunicazione per CARIN, AMON e per gli altri progetti coordinati dagli uffici di Europol. L’Agenzia, peraltro, fornisce alla Commissione europea i dati necessari per stilare l’elenco UE dei paesi terzi ad alto rischio19. In virtù della quarta e della quinta direttiva antiriciclaggio
Si riporta il sito istituzionale dell’ente: https://www.europol.europa.eu/about-europol/financial-crime-information-centrefcic. 18 Dati tratti da https://www.europol. europa.eu/crime-areas-and-trends/crimeareas/economic-crime/money-laundering. 19 Sul punto v. Antiriciclaggio: domande e risposte sull’elenco UE dei paesi terzi ad alto rischio, Strasburgo, 13 febbraio 2019, su https://ec.europa.eu/commission/ presscorner/detail/it/MEMO_19_782. 17
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OSSERVATORIO NORMATIVO
(n. 2018/843 e n. 2015/849), infatti, l’Unione deve realizzare un siffatto documento per prevenire eventuali rischi di commissione dei reati di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. L’obiettivo è quello di proteggere l’integrità del sistema finanziario dell’UE dai flussi finanziari illeciti che coinvolgono paesi caratterizzati da carenze strategiche nel regime di prevenzione di tali forme di illeciti.
3. La piattaforma FIU.net
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Le FIUs (Financial Intelligence Units of the European Union Member States) sono le unità di informazione finanziaria degli Stati membri dell’Unione europea20. Il mercato unico ha favorito il libero scambio, il che ha creato le condizioni per favorire la circolazione dei proventi illeciti e dei fondi utilizzati per finanziare il terrorismo. Le FIUs hanno il compito di combattere questi fenomeni. Per internazionalizzare questa lotta è stata creata FIU.net che assiste le unità presenti negli Stati membri dell’UE, con il sostegno
finanziario, logistico e informativo della Commissione europea. Il progetto FIU.net, divenuto operativo nel 2002 (ai sensi della decisione 2000/642 / GAI), è stato attribuito a Europol per realizzare la più ampia cooperazione operativa tra le FIUs e le forze dell’ordine21. Qualsiasi soggetto coinvolto nella gestione di denaro o merci di valore è tenuto a segnalare le transazioni insolite o anomale (STRs – Suspicious Transaction Reports) alla FIU nel proprio Stato membro, la quale analizzerà il materiale ricevuto. Se vi è il sospetto che si stiano verificando dei fenomeni di riciclaggio, l’unità nazionale trasmette, per gli opportuni seguiti, i dati raccolti all’autorità locale competente a perseguire tali reati. Nel corso dello svolgimento dell’istruttoria, una FIU può avere la necessità di richiedere delle informazioni alle sue controparti in altri stati. FIU.net è progettato proprio per facilitare, in sicurezza, lo scambio di dati tra le diverse unità nazionali.
4. Alcuni esempi di recenti operazioni antiriciclaggio 20 Per un approfondimento, v. Global anti-money laundering framework – Europol report reveals poor success rate and offers ways to improve, Europol Press, 05 settembre 2017, su https://www.europol. europa.eu/newsroom/news/global-antimoney-laundering-framework-–-europolreport-reveals-poor-success-rate-and-offers-ways-to-improve.
L’efficacia dell’azione di Europol nella lotta al riciclaggio è testimoniata dai risultati conseguiti
Per una completa disamina del tema v. M. Carbone, P. Bianchi, V.Vallefuoco, Le nuove regole antiriciclaggio, IPSOA, 2019. 21
Europol: una strategia europea contro il riciclaggio
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in numerose operazioni di polizia che si sono susseguite nel tempo. Il 2019 si è chiuso con un’indagine che ha portato all’arresto di 228 persone in 31 paesi diversi. Gli indagati sono in tutto 386, accusati di aver reclutato più di 3mila persone per aprire conti bancari in cui depositare grosse somme di denaro ricavato illecitamente. L’operazione è stata realizzata in collaborazione con più di 650 banche, 17 associazioni bancarie e altri istituti finanziari, che hanno denunciato 7.520 transazioni di denaro fraudolente22. Durante l’operazione, che si è svolta tra Settembre e Novembre 2019, Europol ha supportato le autorità nazionali con analisi e controlli incrociati nelle varie banche dati, mentre Eurojust ha contribuito a velocizzare la trasmissione e l’esecuzione degli ordini di indagine europei.
me, in Belgio e Francia, che hanno subito perdite per circa 6 milioni di euro23. All’inizio del 2019, quattro sospettati sono stati arrestati in Francia, mentre alla fine dello stesso anno, altri cinque sono stati fermati e interrogati in Israele con il sostegno di una Task Force internazionale istituita da Europol, che riuniva investigatori belgi, francesi e israeliani. Più di un milione di euro sono stati sequestrati dai conti dei truffatori. L’organizzazione criminale era riuscita a creare un sistema sofisticato che prometteva ingenti guadagni sugli investimenti in bitcoin, oro e diamanti. Ciò conferma come la tematica del riciclaggio sia sovente legata a doppio filo alle irregolarità nella gestione delle nuove criptovalute, come dimostrato da altre indagini svolte da Europol24.
A Gennaio 2020, Europol ha comunicato che la Gendarmeria nazionale francese, in collaborazione con la Polizia giudiziaria federale belga e la Polizia israeliana, tramite il coordinamento dell’Agenzia, ha smantellato una vasta rete di truffe in materia di investimenti. Il gruppo criminale realizzava un sistema di riciclaggio di denaro in danno di più di 85 vitti-
A febbraio 2020, l’Agenzia ha reso noto25 che la Guardia civile
22 Sul punto v. 228 arrests and over 3800 money mules identified in global action against money laundering, Europol Press, 4 dicembre 2019, su https://www.europol. europa.eu/newsroom/news/228-arrestsand-over-3800-money-mules-identified-inglobal-action-against-money-laundering.
23 Sul punto v. Fake investors busted in Belgium and France, Europol Press, 29 gennaio 2020, su https://www.europol.europa.eu/newsroom/news/fake-investorsbusted-in-belgium-and-france. 24 In via esemplificativa, l’operazione “Tulipano bianco”, v. Illegal network used cryptocurrencies and credit cards to launder more than eur 8 million from drug trafficking, Europol Press, 9 aprile 2018, su https://www.europol.europa.eu/newsroom/news/illegal-network-used-cryptocurrencies-and-credit-cards-to-laundermore-eur-8-million-drug-trafficking. 25 In merito all’operazione, v. 42 arrested for trafficking stolen waste from Spain to Asia, Europol Press, 7 febbraio 2020, su https://www.europol.europa.eu/newsro-
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spagnola, coadiuvata da Europol, ha represso una vasta rete criminale coinvolta in reati ambientali e in riciclaggio di denaro. Il gruppo rubava rifiuti per trattarli nel sudest asiatico. Dal 2015 l’azienda organizzava la raccolta illegale di carta e cartone a Madrid. Tali rifiuti venivano miscelati con altri, in violazione del quadro normativo, prima di essere spediti principalmente in Cina, India, Indonesia e Corea del Sud. L’indagine ha portato alla scoperta di 278 spedizioni illegali, relative a 67.000 tonnellate di rifiuti, per un valore complessivo di 10 milioni di euro. L’operazione ha portato all’arresto di 42 persone sospettate di far parte dell’associazione. Sempre nel febbraio 2020, Europol ha comunicato26 di aver coordinato le unità narcotici e antiriciclaggio della Polizia regionale catalana per ottenere l’arresto di 14 membri di un’organizzazione criminale internazionale dedita al traffico cocaina e al riciclaggio di denaro. L’inchiesta è iniziata nel dicembre 2018 quando 1.413 kg di cocaina sono stati trovati in una società
om/news/42-arrested-for-trafficking-stolen-waste-spain-to-asia. 26 In merito all’operazione, v. “14 arrests in Spain after cocaine found in boxes of A4 paper”, Europol Press, 10 febbraio 2020, su https://www.europol.europa.eu/ newsroom/news/14-arrests-in-spain-aftercocaine-found-in-boxes-of-a4-paper.
vicino a Barcellona. La droga era nascosta in 800 scatole di carta A4 provenienti dal Brasile. Per riciclare i soldi guadagnati dal traffico di stupefacenti, i sospettati avevano creato una struttura commerciale articolata in diverse società, che operavano nel settore immobiliare e della moda. A marzo 2020, infine, l’Agenzia ha dichiarato di aver coordinato le indagini della Guardia repubblicana nazionale portoghese per smantellare una rete criminale internazionale che traeva vantaggi indebiti, attraverso una frode basata su dei circuiti di fatturazione fittizi. I sospettati hanno tentato di eludere gli obblighi in materia di IVA e di percepire indebitamente dei fondi UE. Gli investigatori hanno scoperto una rete che operava in Portogallo, Germania, Lettonia e Regno Unito. L’organizzazione criminale è riuscita a ottenere un vantaggio patrimoniale illegittimo di almeno 5 milioni di euro. A seguito dell’operazione, 16 società commerciali e 33 cittadini portoghesi sono stati incriminati, 11 persone sono state arrestate ed è stato disposto il sequestro di 139 auto, 5 navi e altri beni, per un valore complessivo di circa € 2.600.000.
5. Conclusioni Dall’analisi svolta emerge che per vigilare efficacemente su un
Europol: una strategia europea contro il riciclaggio
mercato internazionale e sempre più liberalizzato sia necessario che le autorità di law enforcement operino in un dialogo costante e dinamico. I mezzi telematici di comunicazione devono essere accentrati a livello europeo ed Europol costituisce la sede naturale per far sì che forze dell’ordine diverse possano condividere informazioni e strategie. Un elemento fondamentale, in un tale progetto, è la piattaforma FIU.net, che si è dimostrata un valido mezzo per poter cogliere la natura delle opacità che possono caratterizzare certi flussi di denaro. L’azione europea di lotta alla criminalità va nel verso giusto, ma è necessario incentrare sempre più l’attenzione degli investigatori sugli illeciti economici, i quali costituiscono le tracce e, talvolta, i presupposti per la commissione di reati contro la persona particolarmente rilevanti, come gli attentati terroristici o il traffico di esseri umani. Come direbbe efficacemente uno degli investigatori più famosi della letteratura americana27 “Follow the money, find the target.” A conferma della centralità delle investigazioni economiche, Pedro Felício, capo dell’unità del crimine economico e patrimoniale di Europol, ha di recente sottolineato che “Europol sta ripor-
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tando la criminalità economica e finanziaria al centro delle sue priorità investigative28”. Ciò proprio per evidenziare come l’azione repressiva dell’Agenzia di fenomeni come il terrorismo e la criminalità organizzata non possa prescindere da un solido apparato di intelligence in materia di antiriciclaggio.
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Come riportato su https://www.europol.europa.eu/newsroom/news/networkdefrauding-least-€5-million-dismantledin-portugal.
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Il riferimento è a Jack Ryan celebre personaggio della saga dello scrittore americano Tom Clancy.
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Normativa antiriciclaggio e Organismo di Vigilanza: focus sugli adempimenti dei componenti di OdV iscritti all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili alla luce delle regole tecniche del CNDCEC Annalisa De Vivo
Con riferimento agli obblighi antiriciclaggio imposti dal D.Lgs. 231/2007, la posizione dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. 231/2001 è mutata profondamente per effetto del recepimento, nel 2017, della quarta direttiva antiriciclaggio. Nel presente contributo, attraverso il confronto tra la normativa attuale e quella previgente, si tenta di individuare sotto il profilo operativo le incombenze dell’Organismo di Vigilanza sia nei soggetti obbligati che in quelli non destinatari degli obblighi antiriciclaggio. Particolare attenzione è posta all’ipotesi in cui i componenti dell’Organismo di Vigilanza siano iscritti all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dal momento che le regole tecniche del CNDCEC attuative degli obblighi di valutazione del rischio, adeguata verifica della clientela e conservazione dei dati previste dall’art. 11, co. 2, del D.Lgs. 231/2007, ad essi rivolte, contengono specifiche prescrizioni al riguardo.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Gli obblighi antiriciclaggio dell’OdV nei soggetti destinatari delle disposizioni antiriciclaggio. – 3. Gli obblighi antiriciclaggio dell’OdV negli altri soggetti. – 4. L’OdV nelle regole tecniche del CNDCEC. – 5. Obblighi di segnalazione e comunicazione dell’OdV. – 6. Organismo di Vigilanza e persone politicamente esposte.
Il presente contributo è estratto, con gli opportuni aggiornamenti, da AA.VV., Modello organizzativo Dlgs. 231 e organismo di vigilanza, seconda edizione, a cura di P. Vernero, M. Boidi, R. Frascinelli, Eutekne, 2019. *
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1. Premessa
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Si è discusso a lungo della posizione dell’Organismo di Vigilanza con riferimento agli obblighi antiriciclaggio imposti dal D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, come novellato dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90, di recepimento della quarta direttiva antiriciclaggio1. Invero, la norma primaria non contiene alcuna indicazione specifica in merito all’OdV; anzi, la novella del 2017 ha abrogato il previgente art. 12, co. 3-bis2, che esonerava espressamente i componenti degli organi di controllo “comunque denominati” dagli obblighi di adeguata verifica, registrazione e segnalazione di operazioni sospette, fermo restando quanto stabilito per i componenti degli organi di controllo di soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio. Con riferimento a questi ultimi, inoltre, nell’art. 46 del testo vigente – dedicato agli obblighi di comunicazione degli organi di controllo dei soggetti obbligati – è scomparso il riferimento specifico all’Organismo di Vigilanza contenuto nella disposizione previgente, che invece
1 Direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione. 2 Norma introdotta dal D.Lgs. 25 settembre 2009, n. 151.
lo coinvolgeva direttamente nel processo di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo3. In effetti, tale mancato richiamo mal si concilia con il ruolo fondamentale che l’OdV riveste ai fini della verifica dell’efficacia e del corretto funzionamento di modelli organizzativi che sovente contemplano, tra i reati presupposto mappati e qualificati “sensibili”, anche la ricettazione, il riciclaggio, l’impiego di denaro di provenienza illecita e l’autoriciclaggio (art. 25-octies del D.Lgs. 231/2001, che richiama gli artt. 648, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p.). All’indomani del recepimento della quarta direttiva la situazione si presentava, dunque, profondamente modificata e tale permane a tutt’oggi, atteso che il D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125, attuativo della quinta direttiva antiriciclaggio4, non ha introdotto ulteriori modifiche sull’argomento. Per maggiore chiarezza, gli obblighi antiriciclaggio dell’OdV di società ed enti destinatari della normativa antiriciclaggio saranno trattati nel prosieguo in modo distinto da quelli dell’OdV di altre società ed enti, operanti tipica-
Si tratta dell’art. 52 del testo del D.Lgs. 231/2007 in vigore fino al 4 luglio 2017 (vd. infra). 4 Direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE. 3
Normativa antiriciclaggio e Organismo di Vigilanza
mente nei comparti industriali e commerciali.
2. Gli obblighi antiriciclaggio dell’OdV nei soggetti destinatari delle disposizioni antiriciclaggio Varrà in primo luogo evidenziare che l’art. 3 del D.Lgs. 231/2007 suddivide i destinatari della normativa antiriciclaggio in cinque categorie: intermediari bancari e finanziari, altri operatori finanziari, professionisti, altri operatori non finanziari e prestatori di servizi di gioco. Nell’ambito di tali categorie rilevano, ai fini indagati in questa sede, le società e gli enti, con o senza personalità giuridica, rientranti nel perimetro applicativo del D.Lgs. 231/2001: si pensi, a titolo esemplificativo, a banche, Poste Italiane Spa, SIM, SICAV, SGR, intermediari finanziari iscritti all’albo previsto dall’art. 106 TUB, o ancora alle società fiduciarie, alle società di revisione legale e, infine, ai soggetti che gestiscono case da gioco. Gli organi di controllo che svolgono le proprie funzioni nell’ambito dei predetti enti sono gravati da specifici obblighi di comunicazione, disciplinati dall’art. 46 del D.Lgs. 231/2007. Quest’ultima disposizione è espressamente rivolta ai componenti del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione presso i soggetti obbligati, ai quali impone l’obbligo di vigilare sull’osservanza delle nor-
ANNALISA DE VIVO
me di cui al D.Lgs. 231/2007 e di comunicare senza ritardo: a) al legale rappresentante o a un suo delegato le operazioni potenzialmente sospette di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni; b) alle autorità di vigilanza di settore (ad esempio Banca d’Italia per gli intermediari finanziari, IVASS per le imprese di assicurazione) e alle amministrazioni e organismi interessati, in ragione delle rispettive attribuzioni (ad esempio il Ministero dell’economia e delle finanze per le società di revisione con incarichi su enti di interesse pubblico), i fatti che possono integrare violazioni gravi o ripetute o sistematiche o plurime delle disposizioni aventi ad oggetto gli obblighi di adeguata verifica, di conservazione dei dati e delle informazioni e di segnalazione delle operazioni sospette, di cui vengano a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni. Il secondo comma dell’art. 46 specifica che, fermi restando tali obblighi di comunicazione, i componenti degli organi di controllo presso i soggetti destinatari della normativa sono esonerati dall’adempimento in proprio degli obblighi antiriciclaggio sopra elencati. Nel motivare la ratio di tale esonero, la Relazione illustrativa del D.Lgs. 90/2017 spiega che la stessa risiede nell’esigenza di precisare che i singoli componenti degli organi di controllo presso i soggetti obbligati sono tenuti unicamente alle comunicazioni pre-
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viste dall’art. 46; diversamente, si verificherebbe una onerosa duplicazione degli adempimenti a cui i componenti degli organi di controllo sarebbero tenuti in quanto essi stessi soggetti obbligati ex art 3 del Decreto. Ciò posto, siccome il soggetto controllato è a sua volta tenuto all’adempimento degli obblighi di adeguata verifica, conservazione e segnalazione di operazioni sospette, i medesimi obblighi sarebbero inutilmente replicati. La Relazione precisa altresì che, non sussistendo le medesime esigenze di razionalizzazione e semplificazione degli adempimenti per i professionisti componenti di organi di controllo di soggetti non obbligati, questi ultimi sono invece tenuti al rispetto degli obblighi antiriciclaggio. Con particolare riferimento all’Organismo di Vigilanza, come già accennato, lo stesso non è menzionato espressamente tra gli organi di controllo destinatari della disposizione in commento: ne discende che, diversamente dal passato, non ricade più su di esso alcun obbligo di comunicazione5. Più precisamente, gli obblighi dell’OdV decadono a partire dal 4 luglio 2017, data di entrata in vigore del D.Lgs. 90/2017, che ha inserito nel D.Lgs. 231/2007 l’art.
Sul punto L. De Angelis, Gli obblighi antiriciclaggio degli organi di controllo, AA.VV., Antiriciclaggio, in Guida Giuridica Italia Oggi, 13 giugno 2017, p. 76; M. Meoli, Il collegio sindacale e gli obblighi antiriciclaggio, AA.VV., I nuovi obblighi antiriciclaggio per i professionisti, in Quaderni Eutekne, 135, Eutekne, 2017, p. 155. 5
46 in luogo del precedente art. 52. Quest’ultimo stabiliva che il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza, il comitato di controllo di gestione, nonché l’organismo di vigilanza di cui all’art. 6, co. 1, lett. b), D.Lgs. n. 231/2001 e, in generale, tutti i soggetti incaricati del controllo di gestione, comunque denominati, presso i soggetti destinatari del Decreto dovessero vigilare, ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze6, sull’osservanza delle norme in esso contenute, ponendo a loro carico – in caso fossero riscontrate violazioni – specifici obblighi di comunicazione nei confronti delle autorità di vigilanza di settore, del rappresentante legale dell’ente vigilato, del Ministero dell’economia e delle finanze7.
Quest’ultimo inciso era stato inserito dall’art. 30, co. 1, lett. a) del D.Lgs. 151/2009 con l’intento di chiarire che l’obbligo di comunicazione avrebbe dovuto essere assolto dal soggetto che aveva acquisito la notizia della violazione (sull’argomento vd. Santacroce B., Volo I., Cadono i doveri per revisori e sindaci, in Il Sole – 24 Ore, 28 settembre 2009, p. 3; e, sui contenuti del Decreto correttivo n. 151/2009, sia consentito di rinviare a De Vivo A., Antiriciclaggio: il decreto correttivo e le novità di maggiore interesse per i professionisti, in Il fisco, 42, 2009, 2, p. 7025 e ss.). 7 Sugli obblighi antiriciclaggio dell’OdV prima del recepimento della quarta direttiva comunitaria si vedano, ex multis, M. Arena, R. Razzante, Normativa antiriciclaggio e responsabilità da reato delle società, Simone Editore, 2012, seconda edizione; S. Silvestri, Normativa antiriciclaggio ex d.lgs. 231/2007 e obblighi dell’organismo di vigilanza, in Rivista 231, 3, 2015, p. 83 e ss.; AODV 231, Ruolo dell’Organismo di Vigilanza nell’ambito della normativa an6
Normativa antiriciclaggio e Organismo di Vigilanza
Tanto appurato, resta da chiarire se su ciascuno dei componenti (in caso di organismo plurisoggettivo), ovvero sull’unico componente (in caso di organismo unipersonale) dell’OdV nei soggetti destinatari della normativa antiriciclaggio, in assenza di obblighi di comunicazione, gravino gli adempimenti di adeguata verifica della clientela, conservazione dei dati e segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio/finanziamento del terrorismo previsti dal D.Lgs. 231/2007. In effetti, a rigor di logica deve escludersi che l’esenzione di cui all’art. 46, co. 2, trovi applicazione anche nei confronti dell’OdV, non essendo quest’ultimo specificamente menzionato nel comma precedente8. Ne discende che, nell’ipotesi in cui il soggetto componente dell’OdV rientri tra i professionisti destinatari della normativa antiriciclaggio, ai sensi dell’art. 3, co.
tiriciclaggio (d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231), in Position Paper, 2 marzo 2015, www. aodv231.it. 8 Contra AODV231, Antiriciclaggio. Il ruolo dell’Organismo di Vigilanza, in Position Paper, 22 gennaio 2020, www.aodv231. it, p. 24, ove genericamente si riporta che il secondo comma dell’art. 46 del D.lgs. 231/2007 ha confermato per i componenti degli organi di controllo presso i soli soggetti obbligati la clausola di esonero dagli obblighi antiriciclaggio propri del soggetto controllato; si veda anche p. 29, ove si osserva che il mancato riferimento all’OdV nell’elenco degli organi di controllo di cui all’art. 46 del D.Lgs. 231/2007 sottrae l’OdV agli obblighi della normativa antiriciclaggio (anche se non lo priva delle funzioni connesse alla prevenzione dei reati di cui all’art. 25-octies del DLgs. 231/2001).
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4, del D.Lgs. 231/20079, nei suoi confronti gli obblighi antiriciclaggio troveranno applicazione secondo le modalità declinate dal medesimo Decreto, nonché dalle regole tecniche di riferimento, laddove emanate (vd. infra).
La norma citata recita testualmente: “Rientrano nella categoria dei professionisti, nell’esercizio della professione in forma individuale, associata o societaria: a) i soggetti iscritti nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e nell’albo dei consulenti del lavoro; b) ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da periti, consulenti e altri soggetti che svolgono in maniera professionale, anche nei confronti dei propri associati o iscritti, attività in materia di contabilità e tributi, ivi compresi associazioni di categoria di imprenditori e commercianti, CAF e patronati; c) i notai e gli avvocati quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti: 1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche; 2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni; 3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli; 4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società; 5) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi; d) i revisori legali e le società di revisione legale con incarichi di revisione legale su enti di interesse pubblico o su enti sottoposti a regimi intermedio; e) i revisori legali e le società di revisione senza incarichi di revisione su enti di interesse pubblico o su enti sottoposti a regimi intermedio.” 9
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3. Gli obblighi antiriciclaggio dell’OdV negli altri soggetti
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Il discorso è diverso in relazione agli organi di controllo delle società e degli enti non destinatari del D.Lgs. 231/2007 (per lo più di natura industriale e commerciale). Come accennato, non essendo stato confermato l’esonero previsto dal previgente art. 12, co. 3-bis, nel silenzio della legge si ritiene che gli obblighi antiriciclaggio debbano applicarsi agli organi di controllo societario sia nel caso in cui questi siano incaricati anche della revisione legale (revisori legali, società di revisione, sindaci revisori), sia nel caso in cui essi siano privi di tale incarico10. E, non essendo l’organo collegiale espressamente citato nel testo normativo, i relativi adempimenti graveranno non già sul medesimo, bensì sui singoli componenti, generando inevitabilmente anomalie sul piano applicativo. Nel corso dell’iter di approvazione del D.Lgs. 90/2017, tale circostanza è stata osservata con riferimento al collegio sindacale, come noto composto da 3 o 5 membri, di cui uno scelto tra i revisori legali e gli altri tra gli iscritti negli albi professionali individuati con decreto del Ministro della Giustizia (avvocati, dottori commercialisti e consulenti del lavoro) o fra i professori universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche. Ebbene, non tutti questi soggetti sono de-
Cfr. L. De Angelis, Gli obblighi antiriciclaggio, cit., p. 80-81.
10
stinatari degli adempimenti antiriciclaggio: non lo sono i professori universitari, mentre gli avvocati sono destinatari della normativa solo per le specifiche prestazioni indicate alla lettera c) del comma 4 dell’art. 3, tra le quali non rientra quella di componente del collegio sindacale. Sul piano applicativo ciò determina “una ingiusta discriminazione tra componenti di uno stesso organo collegiale, con possibili esiti di scarsa trasparenza tra i componenti”11. In altre parole, essendo gli adempimenti antiriciclaggio richiesti ai componenti dell’organo di controllo e non a quest’ultimo inteso col-
È quanto si legge nel documento “Proposte emendative all’Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare, n. 389 recante “Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e recante modifica delle direttive 2005/60/ CE e 2006/70/CE e l’attuazione del regolamento (UE) n. 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006”, presentato nel corso dell’audizione congiunta CNDCECCNN-CNF presso le Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera dei deputati, www.commercialisti.it, 27 marzo 2017. Nello stesso documento si rimarca la circostanza che la Direttiva prevede gli adempimenti in funzione delle attività svolte e non della qualifica professionale dei soggetti che le svolgono (dottore commercialista o avvocato o professore universitario). Cfr. L. De Angelis, Nei collegi sindacali antiriciclaggio solo per i membri professionisti, in Il Quotidiano del Commercialista, www. eutekne.info, 4 luglio 2017; M. Meoli, Il collegio sindacale, cit., p. 145. 11
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legialmente, essi devono essere espletati o meno a seconda della posizione soggettiva del singolo membro12. Analoghe considerazioni possono essere formulate per l’Organismo di Vigilanza: anche in tal caso gli adempimenti antiriciclaggio dell’adeguata verifica della clientela, della conservazione dei dati e delle informazioni e della segnalazione di operazioni sospette trovano applicazione non già nei confronti dell’organo collegiale, bensì dei suoi singoli componenti, sempre che i medesimi rientrino tra i professionisti destinatari della normativa ai sensi del citato art. 3, co. 4, del D.Lgs. 231/200713, secondo le modalità declinate dal medesimo Decreto, nonché dalle regole tecniche di riferimento, laddove emanate (vd. infra).
4. L’OdV nelle regole tecniche del CNDCEC L’art. 11, co. 2, del D.Lgs. 231/2007 demanda ai c.d. “organismi di autoregolamentazione”14 Con riferimento ai Commercialisti il tema è affrontato nell’ambito delle regole tecniche ex art. 11, co. 2, D.Lgs. 231/2007 (vd. infra). 13 Si rinvia al contenuto della nota n. 9. 14 L’art. 1, co. 1, lett. aa), del D.Lgs. 231/2007 definisce l’organismo di autoregolamentazione quale “l’ente esponenziale, rappresentativo di una categoria professionale, ivi comprese le sue articolazioni territoriali e i consigli di disciplina cui l’ordinamento vigente attribuisce poteri di regolamentazione, di controllo della cate12
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il compito di elaborare e aggiornare - previo parere del Comitato di sicurezza finanziaria - le regole tecniche attuative del Decreto in materia di procedure e metodologie relativamente: – all’analisi e valutazione del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo cui i professionisti sono esposti nell’esercizio della propria attività; – ai controlli interni; – agli obblighi di adeguata verifica (anche semplificata) della clientela; – agli obblighi di conservazione. Ciò significa che a carico degli organismi di autoregolamentazione è stato posto l’onere di elaborare i regolamenti attuativi del nuovo D.Lgs. 231/2007 per il comparto dei professionisti soggetti agli obblighi antiriciclaggio15. goria, di verifica del rispetto delle norme che disciplinano l’esercizio della professione e di irrogazione, attraverso gli organi all’uopo predisposti, delle sanzioni previste per la loro violazione”. Sull’argomento sia consentito di rinviare a A. De Vivo, Gli organismi di autoregolamentazione, AA.VV., I nuovi obblighi antiriciclaggio per i commercialisti, in Quaderni Eutekne, 150, Eutekne, 2019, pp. 35-47. 15 Cfr. L. Starola, Semplificazioni e nuovi adempimenti dalla normativa antiriciclaggio, in Corriere Tributario, 30/2017, p. 2409, a parere della quale il supporto degli ordini professionali è fondamentale per la corretta applicazione della normativa da parte dei professionisti. Sull’argomento, inoltre, sia consentito rinviare a A. De Vivo, Il nuovo ruolo degli organismi di autoregolamentazione, in AA.VV. Antiriciclaggio. Le nuove regole per professionisti e intermediari finanziari, a cura di M. Longoni, in Italia Oggi, Serie speciale, n. 9, 13.6.2017, pp. 17-
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La natura delle regole tecniche è quella di norme di autoregolamentazione e pertanto la loro inosservanza comporta l’applicazione delle sanzioni disciplinari previste per la violazione delle norme e dei principi di deontologia professionale16: proprio per questo il secondo comma dell’art. 11 impone agli organismi di autoregolamentazione di garantire, anche attraverso le proprie articolazioni territoriali, l’adozione di misure idonee a sanzionarne l’inosservanza. La disposizione deve ritenersi rivolta ai consigli di disciplina, chiamati ad affiancare le altre autorità preposte ai controlli (Ministero dell’economia e delle finanze, Autorità di vigilanza di settore, Unità di informazione finanziaria per l’Italia, Direzione investigativa antimafia, Guardia di finanza attraverso il Nucleo Speciale di Polizia Valuta20. 16 Cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Le regole tecniche elaborate dagli organismi di autoregolamentazione nella rete delle fonti del diritto, Studio 1_2018 B, www.notariato.it, novembre 2018, ove si argomenta che le regole tecniche costituiscono fonti normative integrative della norma primaria e non norme regolamentari subordinate, né tanto meno esempi di soft law. Nel caso delle regole tecniche, infatti, è proprio la legge primaria che demanda a tali fonti il proprio completamento, configurando un rinvio in assenza del quale la stessa legge sarebbe inapplicabile. Da qui il paradosso in virtù del quale l’organismo di autoregolamentazione, che secondo la logica gerarchica dovrebbe svolgere una funzione meramente passiva di recepimento, contribuisce invece in modo attivo alla creazione della norma.
ria), pur nel rispetto dei reciproci ruoli. In tal senso depone il terzo comma dell’art. 11, che attribuisce agli organismi di autoregolamentazione, “attraverso propri organi all’uopo predisposti”, il potere di applicare sanzioni disciplinari a fronte di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime degli obblighi cui i propri iscritti sono assoggettati e delle relative regole tecniche attuative. Recependo le istanze delle professioni economico-giuridiche, il secondo comma dell’art. 11 dispone, inoltre, a carico dell’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (UIF) l’obbligo di sentire gli organismi di autoregolamentazione ai fini dell’adozione e dell’aggiornamento degli indicatori di anomalia di cui all’art. 6, co. 4, lett. e), D.Lgs. 231/2007 che li riguardino17. Infine, la norma in commento assegna agli organismi di autoregolamentazione e alle loro articolazioni territoriali i compiti inerenti alla formazione e all’aggiornamento professionale degli iscritti in materia di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, nonché dei relativi strumenti di prevenzione.
La norma citata dispone che, al fine di agevolare l’individuazione delle operazioni sospette, la UIF “emana e aggiorna periodicamente, previa presentazione al Comitato di sicurezza finanziaria, indicatori di anomalia, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e in apposita sezione del proprio sito istituzionale”. 17
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Per quanto riguarda i Commercialisti, nell’ambito delle regole tecniche recentemente emanate18, il CNDCEC ha provveduto ad effettuare l’analisi e la valutazione del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo inerente alle attività professionali, nel rispetto dell’approccio basato sul rischio normativamente previsto19. All’esito della mappatura e classificazione delle prestazioni professionali, sono state individuate alcune attività il cui “rischio inerente”, inteso quale rischio relativo alle attività svolte dal professionista considerate per categorie omogenee e in termini oggettivi e astratti, è risultato non significativo. Tra queste, oltre alle prestazioni espressamente escluse per legge20, sono state evidenzia CNDCEC, Obblighi di valutazione del rischio, adeguata verifica della clientela, conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni: regole tecniche ai sensi dell’art. 11, co. 2, del d.lgs. 231/2007 come modificato dal d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90, in www.commercialisti.it, gennaio 2019. 19 Sul tema dell’approccio basato sul rischio nel D.Lgs. 90/2017 si veda L. Starola, L’analisi del rischio, cit., pp. 21-25; A. De Vivo, Autovalutazione del rischio riciclaggio obbligatoria anche per i professionisti”, in Il Quotidiano del Commercialista, www.eutekne.info, 18 febbraio 2019; Id., Valutazione del rischio di riciclaggio con procedure adeguate, in Il Quotidiano del Commercialista, www.eutekne.info, 19 giugno 2017. 20 Ci si riferisce all’art. 17, co. 7, D.Lgs. 231/07 che dispone testualmente: “Gli obblighi di adeguata verifica della clientela non si osservano in relazione allo svolgimento dell’attività di mera redazione e trasmissione ovvero di sola trasmissione delle 18
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te anche quelle operazioni che non mostrano aspetti finanziari o economico-patrimoniali e non consentono la possibilità di valutare l’ambito operativo del cliente in relazione alla tipologia di prestazione resa. Ciò pare coerente con le finalità della norma, dovendo l’adeguata verifica riguardare situazioni in cui il professionista sia messo nelle condizioni di poter valutare gli aspetti giuridici, nonché le scelte imprenditoriali, economiche, finanziarie e patrimoniali del cliente. Con riferimento a tali prestazioni, le regole tecniche specificano che la rilevazione di un rischio non significativo “si pone a valle di un processo di valutazione che, seppur non formalizzato, deve comunque essere svolto dal professionista”, dal momento che la normativa vigente esclude la possibilità di individuare in via automatica e preventiva fattispecie rispetto alle quali possa operare una presunzione di assenza di rischio di riciclaggio (art. 17, co. 3, D.Lgs. 231/2007). Tra le prestazioni professionali a rischio non significativo le regole tecniche individuano anche quelle svolte dai componenti di Organismi di Vigilanza ex D.Lgs. 231/200121. Al fine di motivare tale scelta, le regole tecniche evidenziano, in primo luogo, che l’OdV
dichiarazioni derivanti da obblighi fiscali e degli adempimenti in materia di amministrazione del personale di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 11 gennaio 1979, n. 12”. 21 CNDCEC, Obblighi di valutazione del rischio, cit., regola tecnica n. 2, p. 10.
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costituisce un elemento essenziale del modello organizzativo, deputato a verificare la corretta attuazione del medesimo al fine di prevenire la commissione dei reati e le relative responsabilità dettate dalla disciplina di cui al D.Lgs. 231/2001, evitando, da un lato, possibili contestazioni della c.d. “colpa da organizzazione” e dimostrando, dall’altro, l’interesse dell’ente al controllo sulla regolarità e sulla legalità del proprio operato. Muovendo da tali considerazioni, le regole tecniche argomentano che le funzioni svolte dal componente dell’OdV non danno luogo ad una prestazione professionale con risvolti economico-finanziari-patrimoniali e, dunque, non vi è ragione per ritenere fondata in capo a quest’ultimo la sussistenza di obblighi antiriciclaggio. Con riferimento agli OdV, peraltro, si ripropone la questione già evidenziata per il collegio sindacale: la loro composizione è variabile, con componenti esterni o interni agli enti e possono farne parte tanto professionisti quanto soggetti non iscritti in albi, purché in possesso di specifiche competenze tecniche (esperti in materia di sicurezza, qualità, ambiente, ecc.). Possono essere nominati quali componenti degli organismi anche funzioni interne delle società (internal Audit, compliance). Di conseguenza, parrebbe incoerente e non conforme alla disciplina vigente ipotizzare che, nell’ambito di un medesimo OdV, possano esservi componenti soggetti agli obblighi antiriciclaggio (rectius: i
commercialisti) e altri esclusi, come ad esempio gli avvocati, la cui prestazione non rientrerebbe tra quelle indicate all’art. 3, co. 4, lett. c), del D.Lgs. 231/2007 e, quindi, non darebbe luogo ai relativi adempimenti. Per i motivi descritti, le regole tecniche inquadrano la prestazione del componente dell’OdV tra quelle a rischio “non significativo” e minimizzano gli adempimenti richiedendo, quale regola di condotta ai fini della adeguata verifica e della conservazione: – l’acquisizione di una copia della delibera del CdA/determina dell’amministratore unico, ovvero del verbale assembleare di nomina; – la conservazione della medesima nel fascicolo intestato all’ente che ne ha deliberato la nomina. Per quanto sin qui argomentato, si ritiene che la regola tecnica trovi sempre applicazione per gli OdV, sia negli enti destinatari della normativa antiriciclaggio sia in tutti gli altri.
5. Obblighi di segnalazione e comunicazione dell’OdV Quanto alla segnalazione di operazioni sospette ex art. 35 del D.Lgs. 231/2007, l’integrale applicazione degli obblighi antiriciclaggio nei confronti degli organi di controllo, ferma restando la classificazione delle relative prestazioni professionali nell’ambito di quelle a rischio “non
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significativo”22, implica l’assoggettamento di questi ultimi al relativo adempimento. Se ne desume, con specifico riferimento all’OdV, che i suoi componenti, laddove destinatari della normativa antiriciclaggio ai sensi dell’art. 3, co. 4, del D.Lgs. 231/2007, saranno tenuti alla segnalazione di operazioni sospette secondo le modalità previste dall’art. 37, co. 1, del Decreto, vale a dire laddove sappiano, sospettino o abbiano motivi ragionevoli per sospettare che “siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa”23. Ai fini della qualificazione del sospetto rileveranno le caratteristiche, l’entità, la natura delle operazioni, nonché il loro collegamento o frazionamento, o qualsiasi altra circostanza conosciuta “in ragione delle funzioni esercitate”, considerando altresì la capacità economica e l’attività svolta dal soggetto cui è riferita. La delimitazione al perimetro delle funzioni esercitate restringe l’ambito conoscitivo dell’OdV ai flussi informativi acquisiti in ragione dell’attività di sorveglianza sul modello organizzativo, quindi sui processi ritenuti a “rischio
231” nell’ambito dei quali, come accennato in premessa, tra i reati mappati sovente sono compresi anche quelli di riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio. Particolare attenzione, dunque, dovrà essere posta al rispetto delle procedure poste in essere dall’ente con riferimento sia alla gestione dei flussi finanziari in entrata e in uscita, sia alle diverse fasi relative all’approvvigionamento di beni e servizi (ricerca, selezione e acquisizione dei fornitori)24. Laddove nel corso delle attività di verifica, brevemente descritte, dovessero essere individuate operazioni sospette, o comunque dovesse insorgere un sospetto in merito alla provenienza dei fondi utilizzati dall’ente per lo svolgimento delle proprie attività, sui componenti dell’OdV destinatari della normativa antiriciclaggio insorgerà un obbligo di segnalazione. Anche in tal caso non può omettersi di rimarcare l’incongruità derivante dalla circostanza che, nell’ambito di un medesimo organo, alcuni professionisti potrebbero ritrovarsi gravati dall’obbligo di segnalazione e altri (ad esempio ingegneri, avvocati), invece, esonerati dal medesimo. Sul punto, giova solo parzialmente ricordare che il divieto di comunicazione inerente alle segnalazioni di operazioni sospette,
22 Classificazione operata dalla citata regola tecnica n. 2 del CNDCEC. 23 L’art. 1, co. 1, lett. b), del D.Lgs. 231/2001 definisce quale attività criminosa “la realizzazione o il coinvolgimento nella realizzazione di un delitto non colposo”.
Per un’ampia disamina della mappatura dei processi a rischio riciclaggio e per l’individuazione dei relativi presidi di controllo si veda AODV231, Antiriciclaggio. Il ruolo dell’Organismo di Vigilanza, cit., p. 38-49. 24
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in virtù del quale i soggetti che hanno effettuato una segnalazione non possono darne comunicazione al cliente interessato né a terzi, subisce una deroga nei casi relativi allo stesso cliente o alla stessa operazione che coinvolgano due o più professionisti, fermo restando quanto stabilito in materia di protezione dei dati personali25. Ciò significa che in un OdV composto da più professionisti soggetti all’obbligo di segnalazione, il professionista che dovesse procedere all’invio di una SOS potrà darne comunicazione agli altri, consentendogli di segnalare a loro volta ed evitandogli di esporsi al rischio di una contestazione di omessa segnalazione26.
Infine, per quanto ampiamente considerato in merito all’assoggettabilità tout court dell’OdV agli obblighi antiriciclaggio, dovrebbe in astratto ritenersi che sul medesimo incomba anche l’obbligo di comunicazione delle violazioni dei limiti all’utilizzo del denaro contante di cui all’art. 51 del D.Lgs. 231/2007. Quest’ultimo, infatti, impone genericamente ai “soggetti obbligati” che “nell’esercizio delle proprie funzioni” oppure che “nell’espletamento della propria attività” abbiano notizia di infrazioni al divieto posto dagli artt. 49 (co. 1, 5, 6, 7 e 12) e 50, di comunicarlo entro 30 giorni al Ministero dell’economia e delle finanze27.
Ci si riferisce all’art. 39 del D.Lgs. 231/2007 e, specificamente, alla deroga contenuta nel quarto comma. Da notare che le sanzioni previste per la violazione del divieto di comunicazione sono di natura penale: l’art. 55, co. 4, del Decreto prevede infatti l’arresto da sei mesi a un anno e l’ammenda da 5.000 euro a 30.000 euro. 26 L’art. 58 del D.Lgs. 231/2007 sanziona pesantemente le violazioni connesse all’omessa segnalazione di operazioni sospette, individuando una sanzione amministrativa pecuniaria di natura formale pari a 3.000 euro e, nelle ipotesi di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime, disponendo l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 euro a 300.000 euro. Ancora, nel caso in cui le violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime producano un vantaggio economico, il predetto importo massimo della sanzione: a) è elevato fino al doppio dell’ammontare del vantaggio medesimo, qualora detto vantaggio sia determinato o determinabile e, comunque, non sia inferiore a 450.000 euro; b) è elevato fino ad un milione di euro, qualora il predetto
vantaggio non sia determinato o determinabile. 27 L’art. 49, co. 1, vieta il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano esse persone fisiche o giuridiche, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 3.000 euro. Il trasferimento superiore al predetto limite, quale che ne sia la causa o il titolo, è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati e può essere eseguito esclusivamente per il tramite di banche, Poste italiane S.p.a., istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento. Ai commi 5, 6 e 7 l’art. 49 dispone inoltre che: gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 1.000 euro devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità; gli assegni bancari e postali emessi all’ordine del traente possono essere girati unicamente per l’incasso a una banca o a Poste Italiane S.p.A.; gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari
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Purtuttavia, nell’ultimo periodo dell’art. 51, il legislatore ritiene di dover precisare che “la medesima comunicazione è dovuta dai componenti del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza, del comitato per il controllo sulla gestione presso i soggetti obbligati, quando riscontrano la violazione delle suddette disposizioni nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo e vigilanza”. Tra i soggetti menzionati non appare l’organismo di vigilanza che, peraltro, attese le funzioni esercitate e i flussi informativi a disposizione, difficilmente potrebbe rilevare violazioni del tipo in commento. Nonostante il riferimento generico ai soggetti obbligati, pertanto, si ritiene di poter escludere – quanto meno in via interpretativa – la sussistenza in capo all’OdV dell’obbligo di comunicazione in commento28. sono emessi con l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Al comma 12 l’art. 49 precisa che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 90/2017 (4 luglio 2017), è ammessa esclusivamente l’emissione di libretti di deposito, bancari o postali, nominativi ed è vietato il trasferimento di libretti di deposito bancari o postali al portatore che, ove esistenti, avrebbero dovuto essere estinti dal portatore entro il 31 dicembre 2018. L’art. 50 vieta l’apertura in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia, nonché l’utilizzo, in qualunque forma, di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia, aperti presso Stati esteri. 28 Cfr. M. Meoli, Il collegio sindacale e gli obblighi antiriciclaggio, cit., p. 147, il quale,
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6. Organismo di Vigilanza e persone politicamente esposte Nell’elenco delle “persone politicamente esposte”, nei confronti delle quali la normativa antiriciclaggio richiede ai soggetti obbligati di effettuare l’adeguata verifica in modalità rafforzata29, sono compresi anche i componenti degli organi di amministrazione, direzione o controllo delle imprese controllate, anche indirettamente, dallo Stato italiano o da uno Stato estero ovvero partecipate, in misura prevalente o totalitaria, dalle Regioni, da comuni capoluoghi di provincia e città metropolitane e da comuni con popolazione complessivamente non inferiore a 15.000 abitanti (art. 1, co. 2, lett. dd) D.Lgs. 231/2007). Sul punto, le Linee Guida recentemente emanate dal CNDCEC per la corretta attuazione delle regole tecniche forniscono un orientamento interpretativo ben preciso, includendo tra le persone politicamente esposte esclusivamente l’amministratore unico, i componenti del consiglio di amministrazione, il direttore generale, i componenti del collegio sindacale e i componenti del consiglio di sorveglianza seppur con riferimento al collegio sindacale non incaricato della revisione contabile, ritiene che il riferimento a tutti i “soggetti obbligati” contenuto nell’art. 51 cristallizzi una situazione priva di novità rispetto alla previgente disciplina, nell’ambito della quale si era affermata la sussistenza dell’obbligo de quo. 29 Così è stabilito dall’art. 24, co. 5, lett. c), D.Lgs. 231/2007.
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(non vi rientrerebbero, invece, i componenti dell’organismo di vigilanza ex D.Lgs. 231/2001 e il revisore esterno)30.
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CNDCEC, Linee guida per la valutazione del rischio, adeguata verifica della clientela, conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni ai sensi del d.lgs. 231/2007 (come modificato dal d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90), in www.commercialisti.it, maggio 2019, p. 45. 30
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Follow the money. Il passato, il presente e il futuro del riciclaggio di denaro*
Dimitri Barberini
Questo breve articolo è destinato a lettori, a professionisti, a esperti sia del mondo economico, in particolare, a chi è chiamato ad operare nella vigilanza economica, sia nel settore pubblico e privato, nazionale e internazionale; con lo scopo di informare su metodi e prevenzioni di contrasto al riciclaggio di denaro. Il contrasto al riciclaggio di denaro è, però solo una “faccia” della stessa moneta, l’altra, è il finanziamento al terrorismo, realtà, che con diverse sfaccettature, crea timore e disastri. Vorrei, inoltre, ringraziare coloro che attraverso un contributo, redazionale e scientifico, hanno collaborato per la realizzazione di questo breve articolo.
Sommario: Introduzione. – 1. Statistiche sul fenomeno del riciclaggio nazionale e analisi dei rischi del finanziamento al terrorismo. – 2. Alcuni metodi di riciclaggio di denaro. – 3. Misure di prevenzione al riciclaggio di denaro. – 4. L’attuale normativa antiriciclaggio: il D.lgs. 4 ottobre 2019, n. 125.
Introduzione Negli anni ’80 del secolo scorso, in Italia, ove l’economia “pulita” si andava velocemente globalizzando – di pari passo con il crimine organizzato – nelle inchieste giudiziarie era in voga il motto “Follow the money” (seguiamo il denaro), per indicare la strada che i magistrati italiani del pool antimafia e i loro colleghi statunitensi avrebbero dovuto intraprendere per entra-
re nel mondo dei “colletti bianchi”1, operanti nei cc.dd. paradisi fiscali e nei canali bancari internazionali. Note sono le indagini dell’FBI (Federation Boreau Investigation) e della DEA (Drug Enforcement Administration) denominate “Pizza Connection” e “Pecunia non olet”.
Estratto della Tesi di Laurea, Tecniche di riciclaggio di denaro e misure di contrasto, Università Roma Tre, a.a. 2018/2019. 1 E.H. Sutherland, White Collar Crime (1949),trad. it. Il Crimine dei Colletti Bianchi, Giuffrè, 1987. *
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La prima espressione faceva riferimento al fatto che alcuni narcotrafficanti siciliani emigrati in America, utilizzavano le loro pizzerie per raccogliere i soldi sporchi degli spacciatori: l’immagine delle scatole per la pizza da asporto con le mazzette di banconote che vanno a farsi “lavare” è così divenuta l’emblema stesso del riciclaggio e, in generale, di tutte le attività economiche “sporche”. Con la seconda, “pecunia non olet”, ovvero “il denaro non ha odore”, si voleva indicare la mentalità e la condotta colpevole dei “colletti bianchi” accusati di riciclare e nascondere gli utili della mafia2.
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1. Statistiche sul fenomeno del riciclaggio nazionale e analisi dei rischi del finanziamento al terrorismo Il Comitato di sicurezza finanziaria nel 2018 ha pubblicato la relazione annuale sul fenomeno del riciclaggio, con lo scopo di individuare le minacce che costituirebbero un rischio e di svolgere le valutazioni migliori per affrontare tale problematica, considerando sia i profili nazionali che quelli internazionali del fenomeno. Si è visto che uno dei principali pericoli legati al riciclaggio è il finanziamento di attività criminali, in AA.VV. Capaci e via d’Amelio 25 anni dopo una riflessione sulla lotta alla mafia nel difficile equilibrio tra doppio binario e giusto processo, Atti del convegno organizzato dalla Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, Venezia, 2017. 2
particolare del terrorismo internazionale. In particolare, l’analisi iniziata nel 2014 e finita nel 2018 ha monitorato sia a livello nazionale che internazionale il fenomeno del riciclaggio di denaro. Gli esiti di questo monitoraggio sono stati allarmanti, poiché l’economia dei Paesi UE si trova sul livello 3, ossia rischio abbastanza significativo, mentre quella nazionale è posta al livello 4, ovvero rischio molto significativo (il criterio per la valutazione dei rischi si basa su una scala numerata, dal livello 1 al 4, corrispondenti ognuno ad un valore più o meno alto di rischio: 1= rischio non significativo, 2 = rischio poco significativo, 3 = rischio abbastanza significativo, 4 = rischio molto significativo). La valutazione ricevuta dall’Italia è prevalentemente dovuta a due fattori; il primo fattore è quello dell’elevato utilizzo del denaro contante, riguardo al quale si sta giungendo a un progressivo cambiamento attraverso l’incentivazione dei sistemi di pagamento elettronico. Il secondo fattore è quello dell’incremento della criminalità organizzata diffusasi purtroppo su tutto il territorio nazionale; laddove la condotta di riciclaggio risulta non essere più esclusiva delle sole organizzazioni mafiose, ma è diventata ormai una comune pratica realizzata da organizzazioni criminali di stampo internazionale, le quali praticano sistematicamente: corruzione, estorsione, reati societari, reati tributari, usura, traffico di droga, sfruttamento della prostituzione.
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Le rappresentazioni grafiche che seguono evidenziano quanto accennato: l’UIF pubblica ogni semestre dei dati di statistica con lo scopo di evidenziare l’evoluzione del fenomeno e l’efficacia delle azioni a contrasto ad esso: nel 1996 il valore dei proventi degli illeciti mondiali toccava i 500 miliardi di dollari l’anno, pari al 2% del PIL mondiale; in Italia tra il 1995 e il 1997 si sono toccati 115 miliardi, a causa del post periodo d’oro dello sviluppo economico, pari al 10-15% del PIL nazionale. Recentemente, nel 2015, si è arrivati con le attività mafiose a 130 miliardi di euro3. I valori ISTAT, pubblicati nel 2018, che vanno dal 2013-2016, definiscono l’ammontare del valore delle attività illegali a 210 Miliardi di euro, corrispondente al 12,4% del PIL nazionale, e quello dell’economia sommersa a poco meno di 192 miliardi. Il Comitato di Sicurezza Finanziaria e la Banca Centrale Europea (quest’ultima nel novembre 2017, ha pubblicato uno studio intitolato “Study on the use of cash by house holds”), sono concordi nel sostenere che in Italia vi è una circolazione di denaro contante molto più elevata che in altri Paesi Europei, con conseguente aumento del rischio di riciclaggio del denaro. In particolare, solo in Italia, l’86 % delle transazioni è avvenuta con banconota, comparato al 76 % delle transazioni in tutta la zona Euro. Nello specifico, in Italia
3 Carbone M. - Tolla M., Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, Cacucci Editore, Bari, 2010.
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si tende ad utilizzare il contante maggiormente al centro e al sud; Calabria 94 %, Abruzzo, Molise e Campagna (91%). Di meno invece in Lombardia, Sardegna e Toscana (82%), valori comunque notevoli4. Il CSF in collaborazione con l’UIF, ha registrato negli anni 20182019 un incremento di segnalazioni per operazioni sospette al centro-nord, come riprodotto nel seguente grafico5.
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AA.VV., L’esposizione ai rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo in Italia, in Diritto Bancario Approfondimenti, luglio, 2019, pp. 2-3. 5 Figura 1: MEF – Analisi Nazionale dei rischi di riciclaggio di denaro e di finanziamento al terrorismo elaborate dal comitato di sicurezza finanziaria – UIF aggiornata al 2018, pp. 8-9; Figura 2: Banca D’Italia, Quaderni dell’antiriciclaggio dell’Unità di Informazione Finanziaria, Dati statistici, II semestre, 2018, Vol. 2, Marzo 2019, p. 5 4
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Dalla condizione di molta significatività, giudizio sul rischio che il CSF ha attribuito all’Italia, deriva anche il rischio legato ad un altro fenomeno: quello della minaccia del finanziamento dal terrorismo. È necessario premettere che non ogni operazione anomala, rilevata dagli organi di vigilanza come a rischio riciclaggio, è finalizzata a finanziare il terrorismo; tuttavia viene evidenziata come possibile vettore per finanziare il terrorismo. Sempre il CSF individua due macrocategorie di terrorismo: la prima, definita interna o domestica, che vede attive le organizzazioni criminali nazionali, e la seconda, definita esterna, attuata da organizzazioni internazionali, talora di matrice c.d. confessionale6. La nozione di finanziamento al terrorismo lo fornisce il D.lgs. n. 231 del 2007 all’art. 2, comma 6, ove specifica che s’intende per finanziamento del terrorismo qualsiasi attività diretta, con ogni mezzo, alla fornitura, alla raccolta, alla provvista, all’intermediazione, al deposito, alla custodia o all’erogazione, in qualunque modo realizzate, di fondi e risorse economiche, direttamente o indirettamente, in tutto o in parte, utilizzabili per il compimento di una o più condotte, con finalità di ter-
6 AA.VV., L’esposizione ai rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo in Italia, in Diritto Bancario Approfondimenti, luglio 2019. p. 5.
rorismo secondo quanto previsto dalle leggi penali ciò indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione delle condotte anzidette7.
2. Alcuni metodi di riciclaggio di denaro I metodi del riciclaggio di denaro si evolvono continuamente, diventano sempre più elaborati, volti a rendere più difficile la rintracciabilità dei proventi degli illeciti agli organi di vigilanza economica nazionali e internazionali, e dei trasferimenti di somme di denaro da un paese ad un altro. Il punto cardine per il contrasto del riciclaggio è riuscire a individuare le somme e i soggetti che eseguono queste operazioni, e ciò si realizza attraverso attività investigative, che si basano su uno schema, una sorta di “mappa”, che evidenzia le fasi di un processo, quale quello volto a realizzare la condotta illecita di riciclaggio8. Tutti i metodi per riciclare il denaro hanno in comune tre fasi: La prima fase è definita immersion: consiste nell’introdurre nel mercato il bene proveniente da
A. Rossi, Prevenzione del riciclaggio e finanziamento del terrorismo: finalità e novità normative. Commento a D.lg. 25 maggio 2017, n. 90, in Diritto penale e processo, 2018, fasc. 1, pp. 29-30. 8 Mugavero R., Razzante R. (a cura di), Terrorismo e nuove tecnologie, Pacini Giuridica, 2016. 7
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una originaria attività delittuosa, per lo più servendosi del sistema bancario tramite operazioni di deposito, cambio, trasferimento di denaro contante o con l’acquisto di strumenti finanziari. Ad esempio, la tecnica principale è quella di trasformare il bene da materiale ad immateriale, come avviene per il denaro contante trasformato in moneta elettronica. La seconda fase è definita layering: consiste nel trasferire il denaro attraverso più operazioni commerciali e finanziarie, così ostacolando la tracciabilità dello stesso e quindi impendo di cogliere il legame tra il denaro e la sua origine delittuosa. La terza fase è l’integration: consiste nell’integrare il bene o il denaro nel sistema legale, ma con mezzi leciti, come compravendite immobiliari, acquisto di veicoli, azioni in borsa, etc., con lo scopo di “ripulire” il denaro immettendolo nel sistema lecito9. Oggigiorno esistono molteplici tecniche per riciclare il denaro e finanziare il terrorismo, peculiari nei loro modi e nei campi di applicazione; le principali sono i metodi Hawala, Smurfing e scatola cinese. Il metodo Hawala consiste in una rete di persone che assumono il ruolo di intermediari economici, con il compito di trasferire da un paese ad un altro il dena R. Razzante, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia: aggiornato alla delibera della Banca d’Italia 10 marzo 2011 sui controlli antiriciclaggio, prefazione di Piero Luigi Vigna, Giapichelli. 2011. 9
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ro. Questa operazione richiede la collaborazione di almeno quattro soggetti: la prima persona, denominata ordinante, è colui che ha l’interesse di far arrivare la cosa o il contante in un altro paese, e si reca da un Hawaladar (è il nome con il quale vengono chiamati i “banchieri di strada”) il quale, con la complicità della rete fiduciaria, contatta un successivo soggetto definito anch’esso Hawaladar del paese dove si vuole che arrivi la merce, e quest’ultimo si occupa di far avere al soggetto beneficiario ciò che si è inviato. A volte gli Hawaladar si affidano a canali ufficiali, se non vi sono difficoltà di invio, attuando la procedura nel modo classico con l’utilizzo degli intermediari finanziari comuni; se invece l’invio presenta delle difficoltà, si utilizzano strutture con attività commerciali che rendono agevole occultare denaro, di frequente negozi di alimentari, bazar e phone-center. Tale servizio, offerto da questi banchieri di strada, presenta degli oneri di transazione variabili, a volte molto gravosi, e ciò dipende dalla tipologia di merci (talora è necessaria anche la corruzione dei dipendenti delle dogane) e del numero di passaggi che si dovranno realizzare, dal rischio che si corre e dal tempo che si vuole che impieghi la merce per arrivare al destinatario. Tale metodo, si caratterizza per due elementi: la fiducia e la sicurezza delle transazioni; in molti paesi che adottano questa modalità di trasferimenti, si prevedono regole ben precise e tali
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operazioni non possono essere commissionate da chiunque, ma è necessario uno stretto legame fiduciario intercorrente tra committente e Hawaladar10. Il metodo Smurfing consiste nel frazionare una somma da riciclare in piccole parti, ad esempio: si inviano 50.000,00 mila euro in 50 operazioni frazionate da 1.000,00 euro l’una; l’operazione è realizzata da più soggetti (anche se a richiedere l’invio è un solo ordinante), le somme vengono destinate ad ulteriori soggetti collegati a quest’ultimo o ad un altro soggetto che, attraverso dei prestanome, effettua il ritiro. Se si inviasse tutto l’importo si supererebbe il limite massimo di 3.000,00 euro previsto dall’ ordinamento italiano per ogni singola transazione in contanti. Queste somme frazionate vengono inviate attraverso banche o intermediari non bancari da un Paese ad un altro e successivamente versate su più conti di strutture finanziarie diverse tra loro, ma in luoghi vicini, così da rendere più
10 G.B. Palumbo, Hawala e Finanza, Le vie segrete del denaro nell’era dell’economia globale in Centro Universitario di Studi Strategici internazionale e imprenditoriali, 2010, pp. 118-120. Cfr. F. Migliozzi, I sistemi bancari informatici: il caso Hawala, in Norme, regole e prassi nell’economia dell’antiriciclaggio internazionale, a cura di B. Quattrociocchi, Giappichelli Editore, 2017. Cfr. anche Bonucci L., Le vulnerabilità del sistema finanziario come minacce alla sicurezza nazionale: studio sulle tipologie di finanziamento al terrorismo e analisi del sistema Money Transfer, in CSSII, gennaio 2017, pp. 22-25.
semplice la riunione dell’intero capitale; inoltre si mandano soggetti diversi a recuperare queste somme, che devono essere al di sotto degli importi massimi previste dalle legislazioni interne nazionali per non attrarre l’attenzione delle autorità di vigilanza che potrebbero procedere a verifiche. Altra tecnica molto conosciuta nell’ambito dei reati societari per trasferire, riciclare e occultare denaro è definita scatola cinese: l’origine del nome di questa tecnica risale alla cultura cinese, e consiste nell’avere una grande scatola e porre dentro di essa tante scatole più piccole; tanto più la scatola iniziale è grande tante più scatole sarà possibile farvi entrare. Per realizzare tale metodo è necessaria una società holding, che si definisce madre, alla quale si legano società più piccole, definite figlie: la holding ha una partecipazione di maggioranza in una società, la quale, a sua volta, ne controlla un’altra, la quale ultima, a sua volta ancora, avrà una partecipazione di controllo in un’altra società, e tale catena di partecipazioni può proseguire potenzialmente all’infinito; attraverso questa tecnica la holding potrà servirsi di tale catena per trasferire somme da una società ad un’altra; spesso queste società “figlie” sono sparse in vari paesi nel mondo, e talora si trovano in cc.dd. paradisi fiscali11; cosicché, a
G. Biasetti, Riciclaggio di denaro; nascondere la sua natura “delittuosa”, in BancheItalia, sez. Economia e finanza, marzo
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valle dei trasferimenti di denaro, risulterà difficoltoso risalire la catena delle transazioni per arrivare alla holding, e così verrà occultata l’origine illecita del danaro.
3. Misure di prevenzione al riciclaggio di denaro Per quanto riguarda la prevenzione, questa attività può essere posta in essere anche su base spontanea da parte delle persone fisiche e giuridiche, ad esempio attraverso una policy aziendale, che provvedano a individuare un pericolo e a segnalarlo; le possibili soluzioni possono essere di carattere oggettivo, come porre dei limiti sul trasferimento di somme, ovvero di carattere soggettivo, come analizzare e valutare le caratteristiche del soggetto che pone in essere l’operazione. La BCE ha posto delle misure preventive regolando la circolazione, sia in forma elettronica sia in contante, del denaro; in particolare per il contante sono state attuate delle riforme, ultima delle quali il ritiro dal mercato della banconota da 500 euro, che semplificava il trasferimento di quantità di denaro molto elevate rispetto alle banconote di piccolo taglio, risultando particolarmente 2019. Si veda anche L. Colucci, Smurfing e Money Transfer: «come ti faccio a pezzi il capitale», B. Quattrociocchi, Norme, regole e prassi nell’economia dell’antiriciclaggio internazionale, collana economia, finanza e diritto dell’impresa, Giappichelli Editore, 2017, pp. 387 e 388.
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indicata per le finalità di riciclaggio; tuttavia tale misura può essere elusa convertendo le somme in altra valuta, ad esempio il franco svizzero, che ha una banconota del valore, altissimo, di 1000 franchi; inoltre vi sono novità per la produzione di nuove banconote da 5 €, 10 €, 20 €, 50 €, 100 € e 200 € per il contrasto all’attività dei falsari: le caratteristiche di queste banconote sono previste nel progetto della BCE definito PERICLE 2020, progetto nell’ambito della lotta alla contraffazione dell’euro avviato nel 2014: a partire dal 2020, le banconote emesse dalla BCE saranno più difficili da riprodurre, oltre che antistrappo, anti-accartocciamento ed impermeabili. Nella disciplina bancaria, come visto nei precedenti paragrafi, si prevedono degli obblighi di scrupolosa verifica della clientela, imposti ad un primo livello direttamente ai dipendenti di banca che, attraverso il loro computer di postazione col software Gianos (Generatore Indici di Anomalia per Operazioni Sospette e rischi di riciclaggio), per ciascun cliente della banca elaborano e attribuiscono un grado di rischio di riciclaggio, ed in caso di operazioni “inattese” rispetto al profilo provvedono ad avviare una tempestiva segnalazione all’istituto di credito. Molte attività di carattere preventivo sono disposte dall’autorità giudiziaria, come ad esempio il congelamento di fondi. Per quanto riguarda i soggetti che gestiscono conversione e trasferimento di denaro, sono
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state adottate disposizioni molto stringenti, in particolare alle attività di compro oro, transfer money e change money, nonché per gli operatori di valuta virtuale, è previsto un limite di trasferimento di 999,00 euro, e proprio a transfer money e cambia valute l’ordinamento chiede una grande collaborazione nella registrazione dei profili oggettivi e soggettivi delle operazioni poste in essere, in quanto sono i settori con maggiore rischio. Normativa analoga è stata adottata per il trasferimento del contante superiore o pari a euro 10.000, cioè se una transazione supera la suddetta somma scatta una prima segnalazione all’UIF, indipendentemente dall’operatore che realizza l’operazione, ciò che ha la finalità di accertare che la transazione non sia un frammento di un’operazione avente ad oggetto una maggior somma con finalità di realizzare una procedura di c.d. smurfing12.
R. Imparato, Guerra ai contanti: al via controlli e sanzioni per chi supera la soglia di 10.000 euro. Uso dei contanti, al via i controlli della UIF su prelievi e versamenti. Dal 1° settembre 2019 le banche dovranno segnalare chi supera il limite mensile di 10.000 euro, anche con movimenti singoli di importo unitario fino a 1.000 euro, in Fisco e Tasse, Money.it, 25 settembre, 2019. 12
4. L’attuale normativa antiriciclaggio: il D.lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 Con la riforma antiriciclaggio del 2007 era già stato palesato l’intento del legislatore di predisporre una normativa unitaria e aggiornata che si occupasse di reprimere le condotte riciclaggio di denaro e quelle di finanziamento del terrorismo in tutte le sue forme, e tale era l’intento di base del successivo decreto legislativo n. 90 del 201713. L’Italia, con comunicato stampa del 1° luglio 2019 del Consiglio dei Ministri, ha dato notizia di aver approvato una bozza preliminare, su istanza del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’Economia e delle Finanze, recante le modifiche e le integrazioni al decreto legislativo n. 90 /2017 imposte dalla V direttiva europea antiriciclaggio. Il termine per l’Italia per il recepimento di tale direttiva era fissato per il 1° gennaio 202014. Dopo che in data 30 Luglio 2019, la Banca d’Italia ha pubblicato le “Disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela per il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrori A. Pezzuto, Profili evolutivi della legislazione in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo, in Diritto Bancario Approfondimenti, aprile 2017. 14 N. Mainieri, Cosa cambia con la quinta Direttiva europea antiriciclaggio e antiterrorismo, in Diritto e Giustizia, Giuffrè Francis Lefebvre, 2018. 13
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smo”, il 3 ottobre 2019 si è riunito il Consiglio dei Ministri, che ha approvato il testo definitivo del decreto legislativo 4 ottobre 2019, n. 125, recante modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi 25 maggio 2017, n. 90 e n. 92, recanti attuazione della direttiva (UE) 2015/849, nonché attuazione della direttiva (UE) 2018/843 che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE. Siffatto decreto, in linea con la quinta direttiva antiriciclaggio, regolamenta le specifiche modalità attraverso le quali deve essere svolta l’attività di vigilanza e le attività ad essa connesse e strumentali, come la registrazione e la conservazione di dati riguardanti le operazioni sospette attraverso metodi informatici 15, ed introduce alcuni elementi di novità, come il divieto di emissione e di utilizzo di prodotti di moneta elettronica anonimi, anche se emessi presso Stati esteri, divieto che si affianca a quello di apertura e utilizzo, in qualunque forma, di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia, anche se aperti presso Stati esteri. In particolare, si segnala come il nuovo decreto abbia esteso
I. Frisoni, C. Saba, Il via libera del Governo per il recepimento della V Direttiva Antiriciclaggio, in Iusletter, ottobre, Studio La Scala Società tra Avvocati, 2019. 15
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l’ambito soggettivo di applicazione della normativa antiriciclaggio, includendo tra gli operatori economici assoggettati ai controlli anche: a) i soggetti che esercitano attività di commercio di cose antiche, i soggetti che esercitano il commercio di opere d’arte o che agiscono in qualità di intermediari nel commercio delle medesime opere, anche quando tale attività è effettuata da gallerie d’arte o case d’asta qualora il valore dell’operazione, anche se frazionata o di operazioni collegate sia pari o superiore a 10.000 euro; b) i soggetti che conservano o commerciano opere d’arte ovvero che agiscono da intermediari nel commercio delle stesse, qualora tale attività è effettuata all’interno di porti franchi e il valore dell’operazione, anche se frazionata, o di operazioni collegate sia pari o superiore a 10.000 euro; c) i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, facendo riferimento con quest’ultima espressione ad ogni persona fisica o giuridica che fornisca a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da, ovvero in, valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio delle medesime valute; e d) i prestatori di servizi di portafoglio
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digitale, intendendosi tale ogni persona fisica o giuridica che fornisca, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali; con tali ultime disposizioni fa il suo ingresso nell’ordinamento italiano, per la prima volta, una disciplina che espressamente contempla il settore dei pagamenti elettronici per mezzo delle c.d. “criptovalute”, segnatamente dei Bitcoin, attraverso l’utilizzo della tecnologia blockchain16, e tale disciplina si focalizza, in particolare, sul controllo delle fasi di acquisizione, trasformazione e vendita di criptovaluta, strumento, quest’ultimo, di cui si usufruisce per l’acquisto di beni e servizi attraverso l’utilizzo dei cc.dd. portafogli digitali, o wallet17. Le criptovalute, o “monete virtuali”, sono accomunate da un’unica struttura informatica, definita block (il c.d. blocco o cubo); per creare una criptovaluta che possa operare nel mercato su piattaforme elettroniche attraverso la tecnologia blockchain, è necessaria la presenza dei seguenti elementi: una block size, un block header, E. Bracciali, Cripto valute: la Banca Centrale Europea è chiamata a prendere misure concrete verso l’emissione della propria valuta digitale, in dirittobancario.it, 2 dicembre 2019. 17 Per un approfondimento del tema, v. G.J. Sicignano, Bitcoin e riciclaggio, in Collana Leggi Penali tra regole e prassi, Giappichelli Editore, 2019. 16
una transaction counter e un transactions; il soggetto emittente la moneta virtuale ha lo scopo di creare e di proteggere la propria moneta attraverso dei codici seriali specifici collegati intrinsecamente tra di loro18. Un elemento che accomuna tutte le criptovalute è quello della loro immaterialità, ed infatti le monete virtuali sono considerate beni immateriali, intangibili, ed hanno caratteristiche similari a questo o quel prodotto finanziario, e perciò v’è chi considera la criptovaluta a tutti gli effetti una particolare specie di strumento finanziario. Altro fondamentale elemento caratterizzante le criptovalute, al quale si deve molto del loro successo e della loro diffusione, è rappresentato dalla decentralizzazione, in quanto non vi è nessun organo, pubblico o privato, nessuna autorità centrale che si occupi di controllare, a monte, la distribuzione delle informazione o di proteggere il valore della criptovaluta; le transazioni avvengono attraverso connessioni su server peer-to-peer (P2P) per mezzo di piattaforme connesse ad indirizzi IP collegati a dei wallet, accessibili da qualsiasi computer se in possesso di una chiave crittografica privata posseduta dal singolo utente. A. Sinibaldi, Criptovalute cosa sono e come usarle al meglio. Agenzia per l’Italia Digitale – AgID in CERT – PA, https://www. cert-pa.it/wp-content/uploads/2018/10/ criptovalute-finale.pdf.
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L’inserimento nella normativa oggetto d’esame di previsioni dedicate ai servizi effettuati con criptovaluta testimonia sia la crescente importanza, in termini economici, che stanno progressivamente assumendo tali recenti manifestazioni tecnologiche, sia la sempre più sentita esigenza di assorbirle nell’ambito di applicazione della disciplina antiriciclaggio, a fronte della crescente diffusione di casi di riciclaggio realizzati servendosi di queste tecnologie; infatti, è agevole immaginare come questi mezzi di pagamento, le transazioni che hanno ad oggetto i quali sono conoscibili unicamente da parte dei soggetti coinvolti e non da un’autorità centrale, si prestino ad essere utilizzati con lo scopo di riciclare denaro di provenienza illecita. La modalità più comune di compimento del reato di riciclaggio attraverso l’utilizzo di criptovalute consiste nel comprare delle monete virtuali, come ad esempio dei bitcoin, e venderle su piattaforme internet a ciò dedicate: l’utilizzo di queste criptovalute è rischioso perché attraverso alcuni programmi informatici l’utente può agire in rete in modo occulto, come per esempio quando ci si serva di specifici browser operanti nel DarkWeb o di programmi che agiscono su reti VPN19. Oltre alla commissione di riciclaggio, col suddetto modus di compravendi Rapuano S., Cardillo M., Le criptovalute: tra evasione fiscale e reati internazionali, in Diritto e pratica tributaria, n. 1/2019. 19
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ta anonima di moneta virtuale si possono perseguire anche finalità di finanziamento del terrorismo20. In tema di cooperazione internazionale, il decreto in discorso prevede che le autorità di vigilanza nazionali cooperano con le autorità competenti degli altri Stati membri, al fine di assicurare che lo scambio di informazioni e l’assistenza, necessari al perseguimento delle finalità del decreto stesso, non siano impediti dall’attinenza dell’informazione o dell’assistenza alla materia fiscale, dalla diversa natura giuridica o dal diverso status dell’omologa autorità competente richiedente ovvero dall’esistenza di un accertamento investigativo, di un’indagine o di un procedimento penale, fatto salvo il caso in cui lo scambio o l’assistenza possano ostacolare la predetta indagine o il predetto accertamento investigativo o procedimento penale. Inoltre, si prevede che per l’esercizio delle rispettive attribuzioni, il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, la Direzione investigativa antimafia, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e la UIF collaborano nell’ambito della cooperazione internazionale e scambiano le informazioni ottenute nell’ambito della predetta cooperazione. A tal fine, la Guardia di Per Approfondimenti si veda: G.J. SiciBitcoin e riciclaggio, in Collana Leggi Penali tra regole e prassi, Giappicchelli Editore, 2019, pp. 107-202. S. Capaccioli, Riciclaggio, Antiriciclaggio e bitcoin, in Il Fisco”, n. 46/2014 edito da Il Fisco, WKI Ipsoa pp. 4561-4569. 20
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finanza, la Direzione investigativa antimafia, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e la UIF stipulano appositi protocolli d’intesa, volti a disciplinare il processo di tempestiva condivisione delle predette informazioni; infine, per facilitare le attività comunque connesse all’approfondimento investigativo delle segnalazioni di operazioni sospette, il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza e la Direzione investigativa antimafia potranno scambiare, anche direttamente, ed anche a prescindere dalla segnalazione di operazioni sospette, a condizioni di reciprocità ed in deroga all’obbligo del segreto d’ufficio, dati ed informazioni di polizia con omologhi organismi esteri e internazionali. Infine, dando seguito a quanto previsto dal D.lgs. n. 90/2017, che, nel recepire la quarta direttiva, aveva previsto l’istituzione del registro nazionale dei titolari effettivi di società e trust, il decreto in discorso – nel tener fermo l’obbligo di comunicazione, in via telematica, da parte delle società dotate di personalità giuridica e
persone giuridiche private al Registro delle imprese di cui al D.P.R. 10 febbraio 2000 n. 361, delle informazioni relative ai propri titolari effettivi, per la conservazione di esse in apposita sua sezione – al fine di garantire la massima trasparenza ed accessibilità alle informazioni sui titolari effettivi, ha di molto ampliato la possibilità di accesso ai dati contenuti nel registro, prevedendo che, di norma l’accesso abbia ad oggetto il nome, il cognome, il mese e l’anno di nascita, il paese di residenza e la cittadinanza del titolare effettivo e le condizioni in forza delle quali il titolare effettivo è tale; solo in circostanze eccezionali, l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva può essere escluso, in tutto o in parte, qualora l’accesso esponga il titolare effettivo a un rischio sproporzionato di frode, rapimento, ricatto, estorsione, molestia, violenza o intimidazione ovvero qualora il titolare effettivo sia una persona incapace o minore d’età, secondo un approccio caso per caso e previa dettagliata valutazione della natura eccezionale delle circostanze.
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Profili di illegittimità euro-costituzionale dell’art. 6, lett. A) D.lgs. 231/2001, con riferimento all’attribuzione alla società dell’onere della prova quanto all’idoneità del modello Filippo Bosi
Il presente contributo è volto ad analizzare quale sia la natura e la funzione dei modelli organizzativi degli enti nell’ambito della disciplina delineata dal d.lgs. 231/2001. A tal fine, dopo aver ricostruito le caratteristiche delle varie cause di non punibilità (scriminanti, scusanti e c.d. cause di non punibilità in senso stretto) si valuterà la sussumibilità dell’istituto sotto una di tali categorie, soffermandosi anche sulle condizioni obiettive di punibilità e sulle cause di esclusione del tipo. Dopo aver optato per la riconducibilità del modello a quest’ultima categoria dogmatica, si evidenzieranno le possibili frizioni dell’impianto normativo con taluni principi costituzionali e sovranazionali, valutando i possibili rimedi esperibili. Sommario: Una possibile ricostruzione quanto alla natura dei modelli. – 2. Il rapporto con la presunzione di non colpevolezza. – 3. Il principio di eguaglianza e il diritto di difesa. – 4. I rimedi offerti dal diritto europeo.
1. Una possibile ricostruzione quanto alla natura dei modelli. L’art. 6 del D.lgs 231/20011 ha Art. 6. Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente 1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che: a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro 1
aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b). 2. In relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a
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dato luogo a un acceso dibattito quanto alle ricadute applicative della sua disciplina, con particolare riferimento a taluni profili di possibile incostituzionalità prospettati dagli interpreti2.
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programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. 3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati. 4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente. 4-bis. Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b). (1) 5. È comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente. 2 G. De Vero, Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato. Luci ed ombre nell’attuazione della delega legislativa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, pp. 1126 ss.; C.E. Paliero, Responsabilità dell’ente e cause di esclusione della colpevolezza: decisione “lassista” o interpretazione costituzionalmente orientata?, in Le Società, 2010, pp. 476 ss.; Id.,
Uno degli aspetti maggiormente controversi riguarda l’inversione dell’onere probatorio che, ad avviso di taluni dei commentatori, caratterizzerebbe la norma, ponendosi questa in frizione con il principio di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost. In particolare, sarebbe costituzionalmente illegittimo richiedere che sia l’ente a fornire la prova dell’efficacia dei modelli organizzativi adottati, laddove invece un simile compito dovrebbe essere prerogativa dell’accusa, onerata dal fornire la prova della complessiva illeceità del fatto contestato. Una simile ricostruzione, invero, nonostante trovi ampio riscontro nella dottrina, appare sostanzialmente stata smentita dalle S.U. ThyssenKrupp3 laddove queste affermano che: “La condivisa pronunzia considera altresì che militano a favore dell’ente, con effetti liberatori, le previsioni probatorie di segno contrario di cui al D.lgs. n. 231, art. 6, afferenti alla dimostrazione di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Nessuna inversione dell’onere della prova è, pertanto, ravvisabile nella disciplina che regola la responsabilità
Responsabilità degli enti e principio di colpevolezza al vaglio della Cassazione: occasione mancata o definitivo de prufundis?, in Le Società, 2014, pp. 474 ss. 3 Cassazione penale, sez. un., 24/04/2014, (ud. 24/04/2014, dep.18/09/2014), n. 38343.
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da reato dell’ente, gravando comunque sull’accusa la dimostrazione della commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui al D.lgs. n. 231, art. 5, e la carente regolamentazione interna dell’ente, che ha ampia facoltà di offrire prova liberatoria”. La conclusione, anche solo in considerazione dell’autorevolezza del proponente, sembra pienamente convincente sotto un profilo formale. L’onere della prova gravante sull’accusa sarebbe limitato al fatto di reato in sé: la disciplina dell’art. 6, invece, prevedendo ad avviso degli esegeti una forma di esimente, opererebbe a beneficio dell’ente ove questi provi la sussistenza delle condizioni in essa indicate. Così qualificato l’istituto, infatti, in ossequio al principio di vicinanza alla fonte di prova e considerata la collocazione, anche dogmatica, delle esimenti nella struttura del reato, l’allegazione dei motivi a fondamento della stessa grava su chi le invoca. Una simile ricostruzione non sembrerebbe variare significativamente nemmeno qualora si ritenesse che la norma preveda una sorta di scriminante, considerato come, sotto il profilo esclusivamente dell’onere istruttorio, la distinzione tra le due cause di non punibilità sia priva di significato. Ebbene, ad avviso di chi scrive, l’indicata disposizione non dovrebbe essere qualificata in nessuno dei termini rappresentati.
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Prima di entrare nel vivo dell’esposizione, sia permessa una breve precisazione: è sicuramente un dato di fatto che la norma preveda espressamente che sia l’ente a dover fornire la prova; ciononostante, il dato testuale appare coerente con l’impianto normativo solo fintantoché l’art. 6 possa qualificarsi, appunto, come scusante o scriminante, aprendosi al contrario differenti scenari, anche de iure condendo, qualora alla disposizione si riconosca una diversa natura. Ciò premesso, giova richiamare, schematicamente, le varie categorie dogmatiche capaci di determinare la non sanzionabilità di una condotta illecita: a. scriminanti: con esse l’ordinamento opera un bilanciamento tra interessi in gioco, in forza del principio di non contraddizione, tale per cui un certo comportamento non può essere ritenuto – contemporaneamente – lecito ed illecito. – Categoria dogmatica di riferimento: antigiuridicità. b. scusanti: fanno capo ad esse le situazioni in cui la condotta richiesta dalla legge è inesigibile per il soggetto, attese le sue caratteristiche soggettive e le sue condizioni interpersonali. – Categoria dogmatica di riferimento: colpevolezza. c. cause di non punibilità: di fronte ad un fatto tipico, colpevole e antigiuridico, il legislatore ritiene ciò nonostante di non punire per ragioni di politica criminale.
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– Categoria dogmatica di riferimento: punibilità. d. condizioni oggettive di non punibilità: determinano la non punibilità qualora si verifichi un determinato evento esterno al reato. – Categoria dogmatica di riferimento: punibilità. e. cause di esclusione del tipo: espressione che indica i casi in cui, in assenza di taluni connotati, il fatto è ritenuto privo di una reale offensività e quindi della consequenziale meritevolezza sanzionatoria. In alcune fattispecie, infatti, il legislatore opera delle puntualizzazioni normative volte a contenere il tipo “originario”, qualora ricorrano determinate circostanze, ciò per limitarne l’ampiezza applicativa. – Categoria dogmatica di riferimento: offensività4.
Occorre evidenziare come l’offensività rappresenti un principio che riguarda prevalentemente la tipicità e solo indirettamente la punibilità. A fini di meglio comprendere l’indicata distinzione, in via esemplificativa, può darsi atto del recente dibattito che ha riguardato l’individuazione della diversa operatività e ratio degli artt. 49 e 131-bis c.p., ossia il reato impossibile e la particolare tenuità del fatto. Se i primi commentatori hanno ritenuto tali norme costituissero due previsioni rappresentanti il fondamento positivo del principio di offensività, la dottrina più recente, al contrario, ha condivisibilmente disatteso una simile ricostruzione. L’art. 131-bis c.p., infatti, attiene alla punibilità ma, soprattutto, alla proporzionalità della reazione repressiva. Esso riguarda un fatto, tipico, antigiuridico e colpevole, va4
Ciò posto, si tratta di verificare a quale di tali categorie sia effettivamente riconducibile il meccanismo normativo di cui all’art. 6 del D.lgs. 231/2001, a prescindere da quanto può ricavarsi dal mero dato testuale. È evidente, infatti, che soltanto la corretta collocazione dogmatica dell’istituto previsto dal predetto art. 6 – e non già l’eventualmente erroneo dictum del legislatore – può determinare, sul fronte processuale, la legittima disciplina dell’onere probatorio. L’esclusione di responsabilità concepita dalla disposizione, in effetti, non sembra essere propriamente inquadrabile tra le cause di giustificazione, poiché, all’evidenza, non emerge alcun controinteresse omogeneo da opporre a quello offeso dalla
lutato di tenuità tale da far ritenere che sia sproporzionato ricorrere alla sanzione penale, lasciando salva la possibilità di ristoro in sede civile. L’art. 49 c.p., al contrario, esclude radicalmente l’esistenza del fatto, giudicato del tutto inoffensivo. Mentre nella precedente ipotesi l’offesa è tenue, in questo caso è del tutto assente qualora ricorrano le condizioni previste dalla norma. Offensività e proporzionalità, quindi, si concretizzano in diverse formule decisionali: assoluzione perché il fatto non sussiste, per l’art. 49 c.p., e proscioglimento per particolare tenuità, con tutti gli effetti di cui all’art. 651-bis c.p.p., nel caso dell’art. 131-bis c.p. Tali rilevi permettono di osservare come l’offensività incida in modo determinante sulla tipicità del fatto e non sulla sua tenuità e punibilità. In altre parole, il giudizio di offensività è una questione di “esistenza” e non di “consistenza” del reato.
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condotta descritta, in modo da determinare una situazione di potenziale “contraddizione”. Non pare, cioè, che la ratio della norma possa rinvenirsi nella volontà del legislatore di bilanciare interessi tra di loro contrapposti o diritti in potenziale conflitto. Né, tampoco, la previsione normativa in esame pare qualificabile come una scusante. Queste trovano il loro substrato comune in una valutazione dell’elemento psichico del reato, ovverosia del processo motivazionale dell’agente, e determinano l’astensione dell’ordinamento da un giudizio di colpevolezza nei confronti dell’autore per via della particolare situazione che si trova a vivere (es. 384 c.p., non punibilità per delitti contro l’amministrazione della giustizia commessi per tutelare il prossimo congiunto). Proprio in ragione di ciò, l’ente, per quanto possa considerarsi “persona (giuridica)”, non può essere ritenuto capace di subire quel costringimento psicologico, alterante il foro interno, capace di giustificare l’operatività di una scusante. Non è un caso, in effetti, che la stessa relazione ministeriale faccia riferimento alla categoria della colpevolezza in senso “normativo”5.
5 Il § 3.3., intitolato “Segue. I criteri di imputazione sul piano soggettivo”, prevede infatti che “…, in passato, la principale controindicazione all’ingresso di forme di responsabilità penale dell’ente fosse ravvisata nell’art. 27, comma 1, Cost., inteso nella
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Ciò nonostante, pur dovendo ritenersi pacifico che il legislatore abbia voluto ascrivere il modello alla sfera della colpevolezza, esso non si esaurirebbe in una mera scusante, ma sembrerebbe identificare lo stesso elemento soggettivo dell’illecito6.
sua accezione di principio di colpevolezza in senso ‘psicologico’, e cioè come legame psichico tra fatto ed autore. Si è anche già detto che una rinnovata concezione della colpevolezza in senso normativo (riprovevolezza) consente oggi di adattare comodamente tale categoria alle realtà collettive. (…) Da ciò l’esigenza, fortemente avvertita, di creare un sistema che, per la sua evidente affinità con il diritto penale, di cui condivide la stessa caratterizzazione afflittiva, si dimostri rispettoso dei principi che informano il secondo: primo tra tutti, appunto, la colpevolezza. Ai fini della responsabilità dell’ente occorrerà, dunque, non soltanto che il reato sia ad esso ricollegabile sul piano oggettivo (le condizioni alle quali ciò si verifica, come si è visto, sono disciplinate dall’art. 5); di più, il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o quanto meno derivare da una colpa di organizzazione. (…) All’ente viene in pratica richiesta l’adozione di modelli comportamentali specificamente calibrati sul rischio-reato, e cioè volti ad impedire, attraverso la fissazione di regole di condotta, la commissione di determinati reati. Requisito indispensabile perché dall’adozione del modello derivi l’esenzione da responsabilità dell’ente è che esso venga anche efficacemente attuato: l’effettività rappresenta, dunque, un punto qualificante ed irrinunciabile del nuovo sistema di responsabilità”. 6 Cass. pen., sez. I, 2 luglio 2015, n. 35818 “l’illecito addebitabile all’ente ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, non consiste in una responsabilità sussidiaria per il fatto altrui, sulla falsariga della responsabilità civile
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Così opinando, tuttavia, non si esclude che la rilevanza del modello nella struttura dell’illecito esaurisca la sua portata nel solo elemento soggettivo del fatto tipico, come meglio si dirà in seguito.
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Tornando all’analisi delle categorie dogmatiche, non pare che l’art. 6 D.lgs. 231/01 possa configurare neppure una causa di non punibilità in senso stretto, poiché rispetto a un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, non affiora soltanto una mera “esterna” opportunità del non punire: qui piuttosto il legislatore, dopo aver descritto compiutamente le condizioni di operatività della responsabilità amministrativa dell’ente, ne elimina una parte, riducendo la portata del tipo legale: “se si
ordinaria da reato del dipendente o proposto, ovvero di quella delineata dall’art. 197 cod. pen. L’ente è punito per il fatto proprio, e a radicare la personalità della sua responsabilità, sta la necessità di poter muovere (come sottolinea la Dottrina, ai fini dell’art. 27 Cost.) ‘(direttamente) all’ente un rimprovero fondato sul fatto che il reato possa considerarsi espressione di una politica aziendale deviante o comunque frutto di una colpa d’organizzazione’. Come efficacemente osserva Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261113 (sent. ThyssenKrupp), la responsabilità dell’ente si fonda, dunque, su una colpa connotata in senso normativo in ragione dell’obbligo imposto a tali organismi di adottare le cautele necessarie a prevenire la commissione di alcuni reati, adottando iniziative di carattere organizzativo e gestionale in base a un ‘modello’ che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli. E la colpa dell’ente consiste nel non aver ottemperato a tale obbligo”.
vuole, il legislatore per così dire ‘si autocorregge’, concludendo che il reato, se mantenesse la ‘primitiva’ estensione risulterebbe troppo ampio”7. Conformemente, dovrebbe escludersi anche la possibilità di considerare la previsione normativa come condizione oggettiva di non punibilità. Anziché un fattore di oggettività estraneo al fatto, la norma indica un meccanismo (il modello) che, se non adeguatamente strutturato, determina il possibile insorgere di una situazione pericolosa nell’ambito della quale potrebbero realizzarsi comportamenti illeciti: questo è esattamente ciò che il D.lgs. 231/2001 vuole reprimere. In altre parole, lungi dal rappresentare un condizionamento esterno della punibilità, l’adozione di validi modelli organizzativi individua la presenza di un virtuoso assetto gestionale che, secondo il legislatore, incide direttamente sulla sussistenza dell’illecito dell’ente. In particolare, se l’adozione del modello in sé non esclude l’offensività reale della condotta, indubbiamente influisce sull’offensività potenziale, intesa come incapacità dell’organizzazione a contenere eventuali condotte illecite.
7 M. Romano, Teoria del reato, punibilità, soglie espresse di offensività (e cause di esclusione del tipo), in Studi in onore di Giorgio Marinucci, Giuffrè Editore, 2006, pp. 1721-1741.
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I modelli individuano, specificamente, la “misura” del disvalore reale del fatto attribuibile all’ente. In sostanza, l’adozione di un modello, che delinei un paradigma di legalità aziendale capace di impedire la commissione di reati, è proprio il comportamento conforme che l’ordinamento vuole ottenere. Come accennato, la relazione ministeriale di accompagnamento ascrive il modello alla colpa. La giurisprudenza, dal canto suo, pur legando l’adozione del modello a una funzione esimente rispetto al fatto di reato, sembra fare aperture verso una concezione più ampia del ruolo del predetto modello, facendolo pressoché coincidere con la colpa organizzativa addebitabile all’ente. Il che è, del resto, coerente con la dichiarata natura autonoma della responsabilità delle società: “il titolo di responsabilità dell’ente, anche se presuppone la commissione di un reato, è autonomo rispetto a quello penale di natura personale” (Cass. pen., sez. V, 4 aprile 2013, n. 20060); ciò significa che “l’ente è punito per il fatto proprio” (Cass. pen., sez. I, 2 luglio 2015, n. 35818). Orbene, chiarito che l’illecito societario rappresenta una fattispecie autonoma, come per ogni ipotesi di illecito, deve individuarsi quale sia l’elemento soggettivo e quale quello oggettivo. È appena il caso di evidenziare come persino il diritto civile risponda a questo binomio di struttura, difatti, è diffusamente
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ritenuto che solo in presenza di un’espressa previsione di legge possa configurarsi un’eccezionale ipotesi di responsabilità oggettiva8. Si sono già individuati quali siano gli elementi tali da lasciar desumere che l’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo di cui al D.lgs. 231/2001 sia dato dall’adozione del modello di cui all’art. 6. Le stesse SS.UU. Thyssenkrupp, del resto, hanno evidenziato, come poc’anzi rilevato, che l’elemento soggettivo dell’illecito societario è descritto dall’art. 6, mentre l’elemento oggettivo dall’art. 5. Tale ultima norma9, tuttavia, non sembra, da sola, identificare tecnicamente la condotta dell’ente. In effetti, i comportamenti descritti nell’indicata disposizione sono posti in essere non dal soggetto societario, bensì da individui qualificati operanti al suo interno. Vd. Cassazione civile, sez. III, 13/12/2010, (ud. 17/11/2010, dep.13/12/2010), n. 25127. 9 Art. 5. Responsabilità dell’ente. 1. L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2. L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi. 8
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Ma se è vero, com’è vero, che la responsabilità di cui al D.lgs. 231 è per fatto proprio, e non per fatto altrui, qual è il comportamento autonomo posto in essere dall’ente? La tesi della “immedesimazione organica” declina ineluttabilmente sul terreno della responsabilità di mera posizione, perché il fatto materiale contestato rimarrebbe, sotto il profilo appunto oggettivo, “altrui”. D’altronde, il solo criterio dell’interesse e/o vantaggio, inerendo un aspetto finalistico della fattispecie, non sarebbe idoneo a porsi come valido elemento di tipizzazione di un’autonoma condotta dell’ente. Pertanto, a parere di chi scrive, quest’ultima deve essere necessariamente ricavata dal combinato disposto degli artt. 5 e 6 del D.lgs. In effetti, alla società viene esattamente rimproverato di non aver adottato dei validi modelli organizzativi, tali da impedire che venissero posti in essere, dai suoi operatori, dei comportamenti illeciti a suo interesse o vantaggio. L’art. 6, seguendo una siffatta esegesi, assumerebbe una funzione per così dire “anfibologica”, tale da connotare, contestualmente, sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo dell’illecito per fatto proprio imputabile all’ente. Una siffatta operatività, invero, non è un’anomalia nel nostro ordinamento. A tal proposito si consideri, in via esemplificativa, quanto previsto dall’art. 142 del Codice della
strada (D.Lgs. n. 285/1992), norma che disciplina le sanzioni in materia di eccesso di velocità. Non vi è dubbio che detta disposizione individui quale sia la condotta punita dalla fattispecie amministrativa, ossia il superamento in una certa misura delle soglie tachimetriche indicate dalla legge. Ma è altrettanto pacifico che tali vincoli identifichino, contestualmente, la colpa specifica10 imputabile all’autore del comportamento illecito. Ebbene, può ritenersi che la disciplina amministrativa di cui al D.lgs. 231/2001 operi secondo un meccanismo analogo. L’art. 6, come l’art. 142 del Codice della Strada, identifica contestualmente la condotta sanzionata, ai sensi degli artt. 5 e 6 D.lgs. 231/2001, e la colpa specifica imputabile all’ente, ex art. 6 D.lgs. 231/2001. La condotta dell’ente, in definitiva, è proprio la mancata predisposizione del modello organizzativo, ovvero la predisposizione di un modello organizzativo ini Cass. 1501/1990 secondo cui “in tema di colpa specifica, ad integrare la norma medesima basta l’inosservanza della regola cautelare, imposta dalla legge, regolamento, ordine o disciplina, purché, beninteso, l’evento verificatosi sia riconducibile al tipo di evento che tale regola intende prevenire, per cui non vale invocare la mancanza del requisito della prevedibilità, essendo questa insita nello stesso precetto normativo violato, nel senso che è stato l’autore di questo a prefigurarsi una volta per tutte la pericolosità di certe situazioni tanto da dettare precise regola precauzionali per ovviarvi”. 10
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doneo. Solo questa soluzione può garantire una effettiva tipizzazione della condotta dell’ente e, in uno con il profilo dell’interesse e/o vantaggio, determinare la rilevanza dell’immedesimazione organica, consentendo di attribuire all’ente il fatto materiale commesso dal suo affiliato. Un simile approdo interpretativo appare confermato e non smentito da ulteriori disposizioni presenti nel D.lgs. 231/2001. Ci si riferisce all’art. 12, riguardante i casi di riduzione della sanzione pecuniaria11, e all’art. 17, relativo alla riparazione delle conseguenze del reato12. Casi di riduzione della sanzione pecuniaria 1. La sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può comunque essere superiore a lire duecento milioni se: a) l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo; b) il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità; 2. La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado: a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. 3. Nel caso in cui concorrono entrambe le condizioni previste dalle lettere del precedente comma, la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi. 4. In ogni caso, la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a lire venti milioni. 12 Riparazione delle conseguenze del reato 11
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Le norme evidenziano in modo plastico il legame inscindibile che vincola l’offensività (in termini di prospettiva) al modello. L’art. 17, nel prevedere la possibile non applicazione della misura interdittiva, che costituisce il principale strumento capace di neutralizzare il perdurare del comportamento illecito, pone quale condizione, accanto all’eliminazione delle conseguenze dannose, l’adozione del modello. In tal modo vuole evidenziarsi come, per ritenere l’attività futura dell’ente conforme all’ordinamento, sia necessaria la presenza del modello. Esso, infatti, costituisce esattamente il valore che l’ordinamento intende perseguire: senza il modello vi è il pericolo che possano reiterarsi comportamenti illeciti in seno all’ente. In altre parole, il legislatore sancisce espressamente che la futura conformità all’ordinamento dell’ente passa attraverso la necessaria adozione del modello.
1. Ferma l’applicazione delle sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni: a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; c) l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.
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Procedere in tal senso, ad avviso della normativa, rappresenta un presupposto necessario affinché possa ritenersi che la società si sia munita di un impianto organizzativo capace di imbrigliarne l’attività nel rispetto di un canone di legalità gestionale. L’art. 12 chiarisce in modo ancor più inequivocabile come il paradigma organizzativo attenga al tipo di condotta voluta dal sistema 231. La disposizione prevede infatti una riduzione della pena pecuniaria, qualora ricorra una delle due condizioni già indicate con riferimento all’art. 17, e una compressione sanzionatoria ancora più marcata laddove entrambe concorrano. Ciò proprio in considerazione del fatto che, nel caso in cui dovesse palesarsi una simile eventualità, verrà meno l’offensività potenziale delle future condotte e quindi la ragion d’essere di una parte della reazione punitiva. Ovviamente, in entrambi i casi, venendo in rilievo una situazione in cui, al verificarsi del fatto, non vi erano dei validi modelli, non potrà andarsi indenni da conseguenze. L’art.17, difatti, richiede anche la messa a disposizione del profitto conseguito ai fini della confisca e l’art. 12 dispone una riduzione della sanzione pecuniaria, non anche una sua decadenza. La successiva adozione di un valido modello organizzativo, quindi, non opera in riferimento all’offensività reale dell’illecito già avvenuto, essendo al contrario misura volta a prevenirne la futu-
ra commissione, neutralizzando l’offensività potenziale presente in un contesto operativo già ritenuto incapace di contenere eventuali condotte pregiudizievoli. Una simile strategia repressiva, del resto, si pone in perfetta coerenza con i connotati teleologici del nostro sistema repressivo che, com’è noto, tende principalmente, anche se non esclusivamente, alla prevenzione speciale dei futuri illeciti13. Orbene, tanto osservato quanto alla futura organizzazione della società al fatto oggetto del procedimento penale, non può non ritenersi che, qualora sia già presente un modello organizzativo, la prova della sua inidoneità, al pari della prova della sua mancata adozione, costituisca l’oggetto specifico della responsabilità dell’ente attenendo alla prova della sua condotta causalmente incidente sul fatto di reato commesso. Il modello, infatti, è lo strumento con il quale la società è chiamata a contenere le condotte illecite astrattamente realizzabili dai suoi vertici o dai suoi dipendenti, essendo capace di rendere del tutto inesistente la responsabilità dell’ente che si sia compiutamente adoperato per prevenire ed evitare comportamenti illegittimi al suo interno.
Corte costituzionale n. 313, 1990, adozione del modello additivo-dialettico quanto alla sinergia tra le funzioni della pena.
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Solo l’omessa adozione o l’adozione di un modello inidoneo, infatti, renderà possibile l’individuazione del nesso causale tra il reato commesso dal consociato e la persona giuridica. Appare allora evidente come la predisposizione del modello imponga direttamente nel disvalore del fatto, perché attiene in via immediata al giudizio sulla conformità o meno all’ordinamento della condotta tenuta dall’ente (mancata adozione o adozione di un modello non idoneo), in tal modo ripercuotendosi sulla tipicità del fatto.
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Giova, a questo punto, inquadrare meglio quali siano i connotati propri di tali cause14. Alcune figure di illecito, introdotte nell’ordinamento con una loro peculiare struttura, subiscono, subito dopo, una riduzione ad
opera di un’apposita precisazione normativa. Denominate talora limiti esegetici15 o restrizioni del genere (espressioni come “la disposizione non si applica…”, “non si considera”, ma anche “non è punibile…”), sembrano meglio sistematizzate quali cause di esclusione del tipo, poiché la puntualizzazione normativa sopravviene appunto a escludere il tipo “originario”, delimitandone l’ampiezza. Volendo individuare un paio di risalenti esempi di tali cause, possono indicarsi le seguenti norme: 1. l’art. 361 c.p. punisce il pubblico ufficiale che “omette o ritarda di denunciare all’autorità giudiziaria… un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni…” (comma 1), prevedendo una pena più elevata “se il colpevole è un ufficiale o agente di polizia giudiziaria” (comma 2). Ma per il comma 3, “le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto perseguibile a querela della persona offesa”; 2. l’art. 627, comma 1, c.p. punisce come sottrazione di cose comuni “il comproprietario, socio o coerede che si impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene”, precisando però che “non è punibile chi commette il fatto su cose fungibili, se il valore di
La sopracitata opera di M. Romano costituisce il principale riferimento per le osservazioni che di seguito si esporranno.
15 P. Nuvolone, I limiti taciti della norma penale, G. Priulla, 1947, p. 22; F. Bricola, Limite esegetico, elementi normativi e dolo nel delitto di pubblicazioni e spettacoli osceni, in Riv. it. dir. proc. pen., 1960, p. 752.
Tali osservazioni permettono di prendere atto di come l’elemento del reato al quale riferire i modelli organizzativi sia anche quello oggettivo e che, conseguentemente, la relativa categoria dogmatica sia quella dell’offensività. Immediato precipitato di una simile conclusione è la riconduzione di tali paradigmi gestionali alle cause di esclusione del tipo e a nessun’altra delle ipotesi sopra elencate.
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esse non eccede la quota a lui spettante”.
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Ecco, a parere di chi scrive, la disciplina di cui all’art. 6 dovrebbe più coerentemente essere ricondotta a tali cause, con conseguente diversa soluzione del problema del riparto dell’onere probatorio. Com’è noto, infatti, alla luce del principio di non colpevolezza e di vicinanza alla fonte di prova, la sussistenza del fatto tipico, nei suoi elementi soggettivi e oggettivi, positivi e negativi, deve essere provata dall’accusa, mentre i motivi a fondamento delle cause di non punibilità (in senso ampio) devono essere allegati dall’imputato. Ciò posto, risulta allora evidente come individuare i modelli ex art. 6 D.lgs. 231/2001 quali condizioni di esistenza del fatto tipico, renda compito dell’accusa provare la loro mancata adozione ovvero, laddove adottati, la loro inidoneità, altrimenti non potendosi ritenere sussistente il fatto addebitabile all’ente. L’opzione interpretativa, del resto, è stata condivisa dalla dottrina con riferimento a numerose fattispecie, anche di recente riformulazione o introduzione, in settori di sovente contigui alla responsabilità degli enti. A. La non punibilità che era prevista dagli artt. 2621 e 2622 c.c., in virtù dell’adozione del sistema delle “soglie”, è stata ritenuta una causa di esclusione del tipo.
B. Così come la clausola di esonero dalla responsabilità contemplata dalla fattispecie di infedeltà patrimoniale nell’ambito dei gruppi di società16; C. Anche il “godimento personale” di cui al quarto comma dell’art. 648-ter 1 c.p., che incrimina l’autoriciclaggio17; D. E, infine, le “prassi di mercato ammesse” per l’illecito di cui all’art. 187-ter TUF, manipolazione del mercato18. Tra le ipotesi appena indicate, particolare rilevo assume l’ultima disposizione riportata, atteso il carattere amministrativo della fattispecie. Com’è noto, infatti, nonostante un non sopito dibattito sul punto, la giurisprudenza prevalente, anche sovranazionale19, ha sancito la natura squisitamente amministrativa della responsabilità degli enti di cui al D.lgs. 231/2001.
C. Benussi, Vantaggi compensativi e infedeltà patrimoniale nei gruppi di società: limite scriminante o esegetico?, in Studi in onere di G. Marinucci, III, a cura di E. Dolcini, C.E. Paliero, Giuffrè Editore, 2006, p. 2207. 17 F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Diritto penale contemporaneo, n. 1/2015, p. 120. 18 F. D’Alessandro, Regolatori del mercato, enforcement e sistema penale, G Giappichelli Editore, 11 novembre 2014, p. 247 ss. L.D. Cerqua, G. Canzio, L. Luparia, Diritto penale delle società: Accertamento delle responsabilità individuali e processo alla persona giuridica, CEDAM, 2016, pp. 785 ss. 19 Corte di Giustizia UE, sez. II, sent. 12 luglio 2012, Giovanardi, C-79/11. 16
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In ogni caso, il nesso operativo che lega tale responsabilità al diritto penale, attesi i caratteri propri della disciplina del decreto, rende evidente la compenetrazione tra principi penali e amministrativi in detto contesto. Proprio in forza di tali rilievi, particolarmente preziosa risulta l’elaborazione dottrinale relativa all’art. 187-ter TUF20.
La norma prevede che non possa essere assoggettato a sanzione amministrativa, per gli illeciti indicati nelle lett. a) e b) del comma 3, “chi dimostri di avere agito per motivi legittimi e in conformità alle prassi di mercato ammesse nel mercato interessato”. Le prassi in questione svolgono un’importante funzione di riequilibrio della portata dell’illecito
Art. 187-ter (Manipolazione del mercato). 1. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro cinque milioni chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari. 2. Per i giornalisti che operano nello svolgimento della loro attività professionale la diffusione delle informazioni va valutata tenendo conto delle norme di autoregolamentazione proprie di detta professione, salvo che tali soggetti traggano, direttamente o indirettamente, un vantaggio o un profitto dalla diffusione delle informazioni. 3. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 1 chiunque pone in essere: a) operazioni od ordini di compravendita che forniscano o siano idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari; b) operazioni od ordini di compravendita che consentono, tramite l’azione di una o di più persone che agiscono di concerto, di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti finanziari ad un livello anomalo o artificiale; c) operazioni od ordini di compravendita che utilizzano artifizi od ogni altro tipo di inganno o di espediente;
d) altri artifizi idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari. 4. Per gli illeciti indicati al comma 3, lettere a) e b), non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi dimostri di avere agito per motivi legittimi e in conformità alle prassi di mercato ammesse nel mercato interessato. 5. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dai commi precedenti sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall’illecito quando, per le qualità personali del colpevole, per l’entità del prodotto o del profitto conseguito dall’illecito ovvero per gli effetti prodotti sul mercato, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo. 6. Il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Consob ovvero su proposta della medesima, può individuare, con proprio regolamento, in conformità alle disposizioni di attuazione della direttiva 2003/6/ CE adottate dalla Commissione europea, secondo la procedura di cui all’articolo 17, paragrafo 2, della stessa direttiva, le fattispecie, anche ulteriori rispetto a quelle previste nei commi precedenti, rilevanti ai fini dell’applicazione del presente articolo. 7. La Consob rende noti, con proprie disposizioni, gli elementi e le circostanze da prendere in considerazione per la valutazione dei comportamenti idonei a costituire manipolazioni di mercato, ai sensi della direttiva 2003/6/CE e delle disposizioni di attuazione della stessa.
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amministrativo, conferendo alla norma un margine di flessibilità necessario in sede operativa. Esse non possono essere qualificate come una causa di giustificazione; queste ultime, come detto, esprimono un giudizio circa la complessiva contrarietà all’ordinamento di un comportamento di cui sia già accertata la corrispondenza a una fattispecie tipica, consentendo di escludere, in seguito a bilanciamento, l’antigiuridicità del fatto. Ciò che viene meno, invece, è proprio la riconducibilità del comportamento al paradigma tipico21. La previsione dell’art. 187-ter TUF sembra sussumibile, attraverso il richiamo alla formula “non può essere assoggettato a sanzione amministrativa” alla categoria delle cause di esclusione del tipo. È interessante osservare come, anche in tale disposizione, come nell’art. 6 D.lgs. 231/2001, si richieda all’accusato di provare di aver agito in modo lecito. Ebbene tale precisazione appare come una forma di excusatio non petita da parte del legislatore che, conscio del fatto che in assenza di una previsione in tal senso avrebbe operato il normale riparto dell’onere della prova,
D. Fondaroli, Cap. VI. L’illecito amministrativo di manipolazione del mercato, in F. Sgubbi, D. Fondaroli, A.F. Tripodi, Diritto penale del mercato finanziario. Abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni di vigilanza della Consob, falso in prospetto. Lezioni, CEDAM, 2013. 21
nell’art. 187-ter come nell’art. 6, è intervenuto con una previsione positiva che si pone in collisione con il sistema. Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità22, nella sua massima composizione (seppur in sede civile), il normale riparto dell’onere, quantomeno in sede amministrativa, dovrebbe strutturarsi, infatti, nei seguenti termini: “Nell’ambito del procedimento di opposizione avverso la sanzione amministrativa irrogata per la violazione di norme in materia di intermediazione finanziaria (nella specie, delle regole sui servizi di investimento), incombe sull’amministrazione convenuta in giudizio l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria vantata; una volta dimostrata la ricorrenza della fattispecie tipica dell’illecito, spetta all’opponente che voglia andare esente da responsabilità dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza”. La non idoneità dei modelli, infatti, non può essere considerata alla stregua di un fatto impeditivo della sanzione (“ti dico che ero ben organizzato”), ma come elemento costitutivo dell’eventuale responsabilità amministrativa (“ti punisco perché i tuoi modelli non erano idonei atteso che…”). Invero, il paradigma argomentativo da ultimo esposto pare es-
Cassazione civile, sez. un., 30/09/2009, n. 20930.
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sere stato condiviso dal legislatore in altri settori dell’ordinamento. Si consideri, a tal proposito23, il co. V dell’art. 30 D.lgs. 81/200824 (T.U. in materia di sicurezza sul lavoro), che individua una presunzione di idoneità del modello adottato dalla singola azienda nel caso in cui sia conforme alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007. Questa rappresenta una presunzione relativa di conformità che, ad avviso della dottrina25, è
23 M. Colacurci, L’idoneità del modello nel sistema 231, tra difficoltà operative e possibili correttivi, in Diritto penale contemporaneo, http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1473976685COLACURCI_ 2016a.pdf. 24 “In sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNIINAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al presente articolo per le parti corrispondenti. Agli stessi fini ulteriori modelli di organizzazione e gestione aziendale possono essere indicati dalla Commissione di cui all’articolo 6”. 25 F. Giunta, I modelli di organizzazione e gestione nel settore antinfortunistico, in Modelli organizzativi ai sensi del D.lgs. n. 231/2001 e tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, a cura di D. Fondaroli, C. Zoli, Giappichelli, 2014, 1 ss.; O. Di Giovine, Sicurezza sul lavoro, malattie professionali e responsabilità degli enti, in Cass. pen., 2009, da 1333 a 1335., 1325 ss.; R. Guerrini, Le modifiche al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in F. Giunta – D. Micheletti (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Giuffrè Editore, 2010, 131 ss.
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vincibile solo da una prova contraria fornita dall’accusa. Si vede come, in questo singolo esempio, l’ordinamento, ritenuto irragionevole porre a carico dell’accusato la prova dell’idoneità del modello, presuma la stessa in presenza di talune condizioni, senza richiedere alcuno sforzo probatorio all’accusato. Ebbene, se il legislatore procede in tal senso in un settore come la sicurezza sul lavoro che, com’è noto, si caratterizza per una forte responsabilizzazione del datore, appare davvero singolare l’omessa predisposizione di un meccanismo di tal guisa anche in seno all’art. 6 del D.lgs. 231/2001. Ciò, a maggior ragione, se si considera il fatto che tra i reati presupposto della responsabilità ex D.lgs. 231/2001 ricorrono sovente fatti connessi a violazioni della normativa in materia di sicurezza negli ambienti di lavoro (lesioni colpose, omicidio colposo). Può osservarsi, in definitiva, come l’operatività della categoria dogmatica delle cause di esclusione del tipo riguardi ogni forma di sanzione, penale o amministrativa, essendo perciò passibile di applicazione anche nell’ambito della responsabilità giuridica degli enti. Seguendo tale ragionamento, la qualificazione in tal senso dei modelli di cui all’art. 6 D.lgs. 231/2001, oltre a risolvere gli indicati dubbi di legittimità quanto al riparto dell’onere probatorio, risulti più coerente con l’ontologia dogmatica della fattispecie.
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2. Il rapporto con la presunzione di non colpevolezza.
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Tutto ciò premesso, può ora rilevarsi come l’attuale formulazione dell’art. 6 del D.lgs. 231/2001, laddove prevede che “l’ente non risponde se prova che”, sembrerebbe porsi in contrasto con il principio di presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 co. II Cost. Tuttavia, non sfugge che l’operatività dell’indicata disposizione costituzionale risulti, in virtù di taluni indici testuali individuati nella norma, come la rieducazione, il divieto di pena di morte e il divieto di trattamenti inumani, riferibile alla sola persona fisica, riportandosi altrimenti in auge il superato dibattito quanto al principio del societas delinquere non potest. Ecco allora che l’art. 27 Cost. sembrerebbe inidoneo, di per sé, a sanzionare la legittimità dell’art. 6 del D.lgs. Il riferimento costituzionale da assumere, allora, deve più correttamente individuarsi nell’art. 117 Cost. quale punto di innesto della Convenzione EDU nel nostro ordinamento26. La Corte di Strasburgo, infatti, nell’interpretare l’art. 6 § II della Convenzione27 ne ha ritenuto l’applicabilità a ogni tipo di sanzione
Corte Costituzionale 22 ottobre 2007, n. 348 e n. 349. 27 “Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente no a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”. 26
statuale, seppur non squisitamente penale. Appare opportuno precisare che, seguendo tale percorso interpretativo, non si intende invocare la giurisprudenza convenzionale successiva alla nota sentenza “Engel”28, relativa alla concezione c.d. “autonomista” del reato e delle pene. È risaputo, come accennato, che la stessa Corte di Giustizia29 ha graniticamente ribadito la natura amministrativa, e non latamente penale, della responsabilità degli enti prevista dalla disciplina italiana. Tanto osservato, deve comunque evidenziarsi come anche in riferimento alle sanzioni autenticamente amministrative operi l’art. 6 § II CEDU30.
CEDU, 8 giugno 1976 Engel ed altri contro Paesi Bassi, serie A n. 22, par. 82. 29 Corte di Giustizia UE, sez. II, sent. 12 luglio 2012, Giovanardi, C-79/11. 30 Bibliografia, nota 398, in Lezioni di diritto penale europeo, a cura di G. Grasso, R. Sicurella, Giuffrè Editore, 2007: Cfr. CEDU, Barberà, Messegué et Jabrdo, Série A, vol. 146, 33; cfr. 10 febbraio 1995, Allenet de Ribemont v. France, ivi, vol. 308, 16, § 35 e 21 marzo 2000, Asan Rushiti v. Austria, n. 28389/95, in ECHR 106. sulla ratio della presunzione d’innocenza volta a proteggere l’accusato contro ogni decisione giudiziaria o altra dichiarazione da parte di agenti dello Stato che corrispondano ad una dichiarazione di colpevolezza, prima che una persona sia stata giudicata e riconosciuta colpevole di un reato (si ritiene sufficiente anche una motivazione, nell’ambito di un’assoluzione, che lasci pensare che il giudice considera l’interessato colpevole); conformi per tutte CEDU 10 ottobre 2002, Daktaras c. Lituania, 42095/98, § 41, in CEDH 2000-X; 28 28
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Sulla scorta di un simile rilievo è possibile ritenere che l’art. 6 del D.lgs. 231/2001, nella parte in cui pone a carico dell’ente l’onere della prova circa l’idoneità del modello adottato, sia in contrasto con l’art. 117 Cost., collegato all’art. 6 § II della Convezione EDU, richiedendo all’accusato di provare la non integrazione del fatto tipico illecito. Come si è visto, infatti, non si tratta né di causa di giustificazione, né di causa di non colpevolezza, né di non punibilità, né tantomeno di una condizione obiettiva di punibilità: l’adozione del modello idoneo costituisce una causa di esclusione del tipo, e perciò un elemento del fatto tipico, la cui eventuale insussistenza deve essere provata dall’accusa. Il dato positivo appare insuperabile per l’interprete, in quanto viene espressamente prevista l’apposizione dell’onere a carico dell’accusato e da ciò deriva la necessità di rimettere la questione alla Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 134 Cost., art. 1 legge cost. 1/1948 e artt. 23 e ss. legge 87/1953.
novembre 2002, X c. Italia; 28 aprile 2005, A.L. v. Germany, 72758/01, ivi, 264, § 31; 17 ottobre 2002, Vostic v. Austria, 38549/97, ivi, 682, § 19 ss.; 7 marzo 2006, Yassar Hussain v. The United Kingdom, 8866/04, § 45; 12 febbraio 2007, Panteleyenko v. Ucraine, n. 11901/02, § 63 ss.
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3. Il principio di eguaglianza e il diritto di difesa Ritenuto preponderante e assorbente il contrasto con l’art. 117 Cost., può osservarsi come, qualificato il modello come causa di esclusione del tipo, possa configurarsi altresì una violazione degli artt. 3 e 24 Cost. A tal proposito, può riportarsi quanto rilevato dalla Suprema Corte31 che, a fronte di un’eccezione di costituzionalità in ordine al riparto dell’onere probatorio relativamente ai modelli organizzativi, ha ritenuto che non vi fosse alcuna violazione degli artt. 3 e 24 Cost., atteso che “Nessuna inversione dell’onere della prova è, pertanto, ravvisabile nella disciplina che regola la responsabilità da reato dell’ente, gravando comunque sull’Accusa l’onere di dimostrare la commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui al D.Lgs. n. 231, art. 5, e la carente regolamentazione interna dell’ente. Quest’ultimo ha ampia facoltà di fornire prova liberatoria. Non si apprezza, quindi, alcuna violazione dei presidi costituzionali relativi al principio di uguaglianza e all’esercizio del diritto di difesa”. Una simile conclusione, tuttavia, risulta dettata dalla qui censurata interpretazione sulla natura del modello nell’ambito della struttura della fattispecie di rea-
Cass. penale sez. VI, 18/02/2010, n. 27735.
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to, qualificato erroneamente alla stregua di una mera esimente. Una volta ritenuto, invece, che quest’ultimo costituisca una causa di esclusione del tipo, esso non potrà che ricadere nella “carente regolamentazione interna dell’ente” che l’accusa è tenuta a provare in quanto elemento oggettivo dell’illecito tipico ritenuto integrato. Leggendo a contrario quanto argomentato nell’indicata pronuncia dalla Cassazione, appare quindi evidente come l’attuale formulazione dell’art. 6 del D.lgs. 231/2001 non risulti operare un corretto riparto dell’onere probatorio. Da ciò si desume la sussistenza di un contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, nella parte in cui finisce per gravare la parte accusata della prova – in chiave liberatoria – di un elemento oggettivo della fattispecie illecita.
4. I rimedi offerti dal diritto europeo Qualora si ritenesse di non rimettere la questione al vaglio della Consulta può, nondimeno, concludersi nel senso che, alla luce delle osservazioni svolte, il giudice di merito potrà procedere alla disapplicazione diretta dell’art. 6 del D.lgs. 231/2001, nella parte in cui si prevede l’inversione dell’onere della prova.
Com’è noto, a seguito dell’intuizione del Tribunale di Bergamo32, la giurisprudenza nazionale33 ha molto valorizzato la disciplina di cui all’art. 52 § III della c.d. Carta di Nizza, che dispone: “Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa”. Orbene, nel rinviarsi all’indicata giurisprudenza convenzionale di cui all’art. 6 § II CEDU, il referente europeo di tale norma può essere rinvenuto nell’art. 48 CDFUE, rubricato “Presunzione di innocenza e diritti della difesa”, che prevede: “Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato.”
32 Trib. Bergamo, ord. 16 settembre 2015, Giud. Bertoja, commentata da F. Viganò in Diritto penale contemporaneo, http:// www.penalecontemporaneo.it/d/4150-nebis-in-idem-e-omesso-versamento-delliva-la-parola-alla-corte-di-giustizia 33 Cass., sez. VI, sent. 15 novembre 2016 (dep. 21 dicembre 2016), n. 54467, Pres. Rotundo, Rel. Fidelbo, Ric. Resneli, con nota di I. Gittardi in Diritto penale contemporaneo, http://www.penalecontemporaneo. it/d/5333-la-miccia-e-accesa-la-corte-dicassazione-fa-diretta-applicazione-deiprincipi-della-carta-di-nizza
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Il D.lgs. 231/2001, in primo luogo, estende alla società tutte le disposizioni relative all’imputato nel procedimento penale, in quanto compatibili (art. 35), seppur ai fini dell’accertamento dell’illecito amministrativo. Sotto questo profilo, potrebbe già in prima battuta ritenersi applicabile all’ente il principio di diritto europeo appena indicato. Ciò nondimeno, ove si ritenesse, invece, che la nozione di imputato postuli necessariamente una formale “imputazione” inerente a un illecito penale, la conclusione non verrebbe meno. In primo luogo può osservarsi come, ai sensi dell’art. 52 CDFUE, la norma debba interpretarsi come fatto dalla Corte EDU, essendo quindi applicabile anche alla responsabilità amministrativa. Inoltre, alla luce delle traduzioni dell’art. 48 CDFUE nelle altre lingue ufficiali dell’Unione, appare all’evidenza come, in realtà, la normativa intenda fare riferimento all’accusato, piuttosto che all’imputato (si consideri, a tal proposito, che in inglese è indicato “has been charged”, in spagnolo “acusado” e in francese “accusé”). Tanto osservato, può assumersi che l’ente possa considerarsi sostanzialmente quale imputato, quantomeno a fini euro-convenzionali. Ebbene, ritenuto che il rispetto dell’onere delle prove in relazione alle sanzioni amministrative sia tutelato dalla c.d. Carta di Nizza, e rilevato che la stessa ai sensi
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dell’art. 6 § I TUE34 ha lo stesso valore dei trattati, appare evidente come il giudice di merito possa procedere alla disapplicazione di tutte le norme nazionali che operino in senso ad esso contrario35. Condivisa la natura di causa di esclusione del tipo del modello di cui all’art. 6 D.lgs. 231/2001, può ritenersi che la medesima norma preveda un’inversione dell’onere della prova, richiedendo all’accusato di fornire la prova degli elementi del fatto tipico, anche in violazione della normativa euroconvenzionale sovraesposta. Qualora il giudice ritenga di non procedere alla diretta disapplicazione si chiede che, visto l’art. 267 TFUE36, sia rivolta domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, affinché questa si
“L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. 35 Corte costituzionale, sentenza 8 giugno 1984 n. 170 (GRANITAL). 36 “La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione”. 34
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OSSERVATORIO NORMATIVO
pronunci in merito alla seguente questione: “se la previsione dell’art. 48 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 6 § 2 CEDU e della relativa giurisprudenza della Corte
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europea dei diritti dell’uomo, osti alla possibilità che la dimostrazione dell’idoneità del modello di cui all’art. 6 D.lgs. 231/2001, qualificato come causa di esclusione del tipo, sia a carico dell’accusato”.
APPROFONDIMENTI
Limitazione all’uso del contante: una ricostruzione metodologica*
Ranieri Razzante
Sommario: 1. I limiti in vigore. – 2. Infrazioni alla normativa e apparato sanzionatorio. 3 – Un esempio di verbale di contestazione per violazione dell’art. 49, comma 5, D.lgs 231/2007.
1. I limiti in vigore La limitazione all’uso del contante ha radici ben più lontane di quelle della “prima legge antiriciclaggio”, n. 197/1991: era già stata inserita, infatti, nella legge n. 15/1980 e, ancora prima, in un Accordo interbancario del 1978. È la misura che forse più di tutte ha inciso, in maniera più immediata, sulla clientela bancaria e, più in generale, sui fruitori di servizi finanziari o di pagamento. Anche se, in realtà, essa si rivolge a tutti
i soggetti che effettuano trasferimenti di contante in Italia1, quindi
Estratto dal Manuale antiriciclaggio dello stesso autore, in via di pubblicazione per i tipi di Giappichelli. 1 L’Italia, insieme a Malta, Cipro, Grecia e Spagna, secondo i dati pubblicati dalla Banca Centrale Europea (BCE) nel 2017, è tra i Paesi europei in cui si predilige effettuare le transazioni in contanti (86%). Per approfondire si vedano H. Esselink, L. Hernández, The use of cash by households in the euro area, European Central Bank, Occasional Papers, n. 201, 2017; G. Rocco, L’utilizzo del contante in Italia: evidenze dall’indagine della BCE «Study on the use *
APPROFONDIMENTI
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è primariamente indirizzata ai cittadini. Si tratta della norma che riduce fortemente l’utilizzo del contante, oltre che di determinate tipologie di titoli, nell’operatività quotidiana del sistema dei pagamenti2. Oggetto del divieto sono il contante e i titoli al portatore in euro o in valuta estera. Per essi, il comma 1 dell’art. 49 della legge prevede un divieto di circolazione (rectius: di trasferimento) quando il loro importo, unitariamente (o complessivamente), sia pari o superiore a 3.000 euro3.
Tale soglia verrà (inopinatamente4) ridotta a 2.000 euro a partire dal 1° luglio 2020, ed ulteriormente diminuita a 1.000 euro dal 1° gennaio 20225. Per il servizio di rimessa di denaro (c.d. money transfer), invece, il limite fissato è di 1.000 euro; mentre, in deroga alle norme sul limite all’uso del contante, la soglia è di 15.000 euro per l’acquisto di beni e servizi legati al turismo effettuati da cittadini stranieri non residenti in Italia presso operatori economici legati al turismo (d.l. n. 16/2012, art. 3, comma 2, come
of cash by households», Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers), n. 481, gennaio 2019. 2 Cfr. R. Razzante, Antiriciclaggio e limitazioni all’uso del contante, per la collana «Adempimenti», 2013, in Il Sole 24 Ore, p. 5 ss. 3 L’importo, originariamente fissato dal d.lgs. n. 231/2007 in euro 12.500, è stato dapprima modificato da parte dell’art. 20 d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (conv. con modif. dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), che lo ha drasticamente abbassato fino a raggiungere la soglia di 5.000 euro. Successivamente, l’art. 2, comma 4, d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (conv. dalla legge n. 148/2011), ha ulteriormente abbassato la soglia a 2.500 euro. Da ultimo, la soglia era stata ulteriormente ridotta fino a 1.000 euro per effetto del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. decreto salva Italia), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Si veda, inoltre, la circolare del MEF n. 2 del 16 gennaio 2012. Tra le ultime modifiche ricordiamo quelle apportate dal d.lgs. n. 169/2012, il quale ha inserito gli istituti di pagamento tra i soggetti tramite i quali possono effettuarsi operazioni in contante sopra soglia, assimilandoli dunque a banche, Poste italiane S.p.a. ed istituti di moneta elettronica.
Sulla inutilità – a fini di contrasto del riciclaggio e dell’evasione fiscale – di limitazioni al contante troppo basse mi sono più volte espresso in varie sedi. A tale proposito, una preziosa «autorizzazione» a ritenere valide queste nostre ricostruzioni dottrinali e interpretative, è giunta con una (tanto inaspettata quanto agognata da chi scrive) lettera-parere della Banca Centrale Europea (datata 13 dicembre 2019), a censura dei provvedimenti emanati e allo studio del Governo italiano con la legge di stabilità 2019. Ci si riferisce alla riduzione della circolazione del contante, ed alla concessione di benefici fiscali agli utilizzatori di carte di pagamento. La comunicazione enuncia, in via sintetica (ma dottrinalmente enciclopedica) almeno tre principi che qui vanno enfatizzati: 1) il contante costituisce «moneta legale», la regola nei pagamenti, salve le limitazioni per motivi di ordine pubblico; 2) le limitazioni indette sono già contenute nelle norme contro il riciclaggio; 3) laddove si introducano ulteriori divieti, essi vanno motivati (e provati) da effettive ricadute sulla riduzione dell’evasione fiscale. 5 Il Decreto Fiscale 2019 (D.L. 26 ottobre 2019, n. 124), introducendo il comma 3-bis all’art. 49, ha abbassato i limiti alla circolazione del contante 4
Limitazione all’uso del contante: una ricostruzione metodologica
modificato con legge 30 dicembre 2018, n. 145). Il denaro contante è soggetto a precise limitazioni anche qualora lo si voglia portare con sé in viaggio. La norma, che nel 2018 è stata ulteriormente ampliata dal Regolamento UE n. 1672, prevede infatti che qualsiasi cittadino in entrata o in uscita dal territorio europeo debba dichiarare alle autorità doganali la somma di denaro che porta con sé (sia nel bagaglio a mano che in stiva), se questa è pari o superiore a 10.000 euro. Inoltre, se la somma viene inviata con altri mezzi, le Autorità competenti hanno la facoltà di chiedere al mittente o al destinatario di presentare una dichiarazione che ne certifichi lo scopo. Cerchiamo di cogliere la ratio, innanzitutto, di queste misure: canalizzare tutti i flussi di mezzi di pagamento oltre una certa soglia presso gli intermediari abilitati, onde consentirne la tracciabilità, che è (rectius: pare) nemica del riciclaggio, anche se entro certi limiti. Non si dimentichi, infatti, che il riciclatore in ogni caso deve evitare la riconduzione a reato delle somme riciclate, e lo farà rendendo «leciti» il più possibile i passaggi delle medesime. L’argomento è insidioso, ma basta porre mente alle tecniche di riciclaggio più diffuse. Purtroppo, sulla norma in questione, i cui capisaldi sono rimasti pressoché invariati dopo le novelle legislative del 2017 e del 2019, si registra una casistica di violazioni ancora numerosa, quanto inspiegabile, se si pensa che il
RANIERI RAZZANTE
controllo sulle possibili infrazioni passa dapprima per gli intermediari finanziari (o su soggetti, come i liberi professionisti, dotati della necessaria competenza), i quali dovrebbero farle cadere sul nascere. Nel 90% dei casi è tutto frutto, ancora una volta, di gravi lacune professionali e incomprensioni delle norme, che proviamo a chiarire di seguito. Circolazione del contante: si rammenta che tra privati, ci si può dare denaro, a qualsiasi titolo (per transazioni o a titolo gratuito), ma per somme inferiori ai 3.000 euro (a livello comunitario la soglia è di 10.000 euro). Al di sopra, o si va da un intermediario abilitato a far «certificare» il passaggio, o si usano altri mezzi di pagamento. Il limite non si applica ai versamenti-prelevamenti, che sono assoggettati alle regole del conto corrente bancario. I prelievi presso ATM hanno solo limitazioni derivanti dai plafond assegnati a ciascun cliente, così come per le carte di credito. È altresì destituita di ogni fondamento la notizia che bisogna dar conto della provenienza del denaro quando questo si deposita in banca o presso un intermediario, ovvero si preleva dal proprio conto6.
In verità, le Disposizioni della Banca d’Italia del 2019 in tema di adeguata verifica prevedono la possibile richiesta della notizia in discorso come «eventuale», a ben vedere. Molti intermediari l’hanno inserita nei propri moduli per l’adeguata verifica, appunto, in linea con il principio di «autodeterminazione» della policy.
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APPROFONDIMENTI
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Clausola di non trasferibilità: per limitare l’utilizzo di assegni a fini di riciclaggio del denaro proveniente da attività illecite il D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e ss.mm., ha previsto requisiti più stringenti nell’uso degli assegni bancari, e in particolare di quelli al portatore. Attualmente, gli assegni sono emessi con l’indicazione prestampata della clausola «non trasferibile», salvo esplicita richiesta, per iscritto, contraria del cliente (art. 49, comma 4, D.lgs. n. 231/2007), che li riterrà «liberi», ma potrà utilizzarli in tale forma fino a 999 euro, scattando l’onere di apporre a mano la predetta clausola dai 1000 euro facciali in poi (si rimanda all’esempio di verbale di contestazione GdF in fondo all’articolo). Nominatività obbligatoria: il fatto che gli assegni debbano recare, se superano la soglia antiriciclaggio, il «nominativo o la ragione sociale del soggetto beneficiario», unitamente alla clausola sopra descritta, mira proprio ad impedirne qualsiasi circolazione (e così a non renderli al portatore, «manna» dei riciclatori)7. Libretti di risparmio: secondo quanto previsto dall’art. 49, comma 12, a partire dal 4 luglio 2017 è ammessa esclusivamente l’emissione di libretti di deposito, bancari o postali, nominativi,
7 Tali disposizioni non si applicano ai titoli cambiari (v. Parere n. 28 del 9 novembre 1995 del Comitato Antiriciclaggio), e che la clausola della «sbarratura» non è contemplata dalla normativa sul riciclaggio.
ossia intestati ad una specifica persona. Ciò significa che tutti i libretti di deposito al portatore esistenti avrebbero dovuto essere estinti entro il 31 dicembre 20188. Inoltre, con il D.lgs. n. 90/2017 è stato introdotto il divieto di apertura in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia (art. 50 D.lgs. n. 231/2007), ed è stato vietato altresì l’utilizzo di siffatti libretti, che siano stati aperti presso Stati esteri, nel territorio nazionale. Occorre, infine, precisare che il trasferimento di libretti al portatore, titoli al portatore e contante è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori singolarmente a 3.000 euro, ma che appaiano artificiosamente frazionati9. Negli esercizi commerciali, per esempio, non si può effettuare un qualsiasi pagamento per somma pari o superiore a 3.000 euro frazionandola in due
Ai sensi dell’art. 63, comma 2, D.lgs. n. 231/2007, l’inosservanza delle prescrizioni appena citate è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria che oscilla tra i 250 euro e i 500 euro. 9 Si ricorda che, secondo quanto stabilito dalle definizioni riportate nell’articolo 1 del decreto 231, per operazione frazionata s’intende una operazione unitaria sotto il profilo del valore economico, di importo pari o superiore ai limiti stabiliti dal decreto, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni, ferma restando la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale. 8
Limitazione all’uso del contante: una ricostruzione metodologica
o più tranche; tutto ciò, a prescindere dalla considerazione del lasso di tempo dei 7 giorni, proprio perché la definizione di “frazionata” si riferisce anche ad operazioni eseguite in un lasso di tempo più lungo10. Come può vedersi, una grave limitazione all’attività degli intermediari e un grosso rallentamento degli scambi si sarebbero prodotti laddove le prescrizioni dell’art. 49 del D.lgs. n. 231/2007 non fossero, ad esempio, state
10 Anche riguardo a questa ultima affermazione, è d’uopo proporre ulteriori chiarimenti. In un parere (risalente ma ancora fondamentale in subiecta materia) fornito dalla terza sezione del Consiglio di Stato (n. 1504 del 12 dicembre 1995) su quesito posto dall’allora Ministero del Tesoro e riguardante il limite all’uso del contante, nonché la corretta interpretazione dell’avverbio “complessivamente” (riportato, oggi, nel primo comma dell’articolo 49, D.lgs. n. 231/2007), si legge: “[…] Ciò premesso ritiene il Collegio che sia condivisibile l’orientamento assunto (…) dalla commissione cui è demandato (…) il compito di esprimersi sulle infrazioni delle disposizioni in questione, nel senso di considerare separatamente, e quindi non soggetti a cumulo, gli acquisti di merce presso supermercati al minuto ed all’ingrosso, pur se effettuati da un unico soggetto, nell’arco della stessa giornata[…]”. Il Consiglio di Stato, in sostanza, ritiene non soggetti a cumulo gli acquisti di merce, pur se effettuati da un unico soggetto (anche nell’arco della stessa giornata). Ovviamente l’interpretazione proposta deve essere valutata caso per caso. Quello che preme sottolineare è come il parere si attagli perfettamente alla tipologia di operazioni poste in essere da molte società, soprattutto nell’applicazione di contratti di fornitura.
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temperate altresì dalla esenzione per gli intermediari abilitati: infatti, ove i trasferimenti in parola avvenissero attraverso uno di essi, la limitazione cadrebbe11. Queste norme vanno lette in un’ottica non solo antiriciclaggio o contro il finanziamento del terrorismo, ma anche in una prospettiva antievasiva, forse il motivo principale per il quale negli ultimi anni, a più riprese, la soglia è stata abbassata fino a raggiungere i 1.000 euro. Sì, perché l’incentivazione della tracciabilità tramite l’obbligo di utilizzare mezzi di pagamento più evoluti rispetto al contante (vedi le varie tipologie di carte di pagamento) supporta indubbiamente la lotta all’evasione. Detto ciò, non si può ritenere che la lotta all’evasione passi esclusivamente, o in via preferenziale, dall’imporre ai cittadini di utilizzare altri mezzi di pagamento. Si deve infatti considerare che il cittadino resta comunque “proprietario” del suo contante e non lo si può costringere a far incondizionatamente ricorso ad altre modalità di pagamento e, quindi, ad aprire conti bancari o postali, dai quali far transitare anche som-
Le restrizioni di cui si è parlato non si applicano ai trasferimenti in cui figurino uno o più intermediari abilitati, nonché a quelli che essi dispongono tramite vettori specializzati; inoltre, restano fuori dalla normativa i pagamenti allo Stato (IRPEF, IVA, IRES, ecc.) o agli enti pubblici (TASI, IMU, ecc.) e quelli effettuati nelle mani dell’ufficiale giudiziario previsti dall’art. 494 c.p.c.
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me esigue. Ecco perché si dovrà vagliare attentamente l’eventualità, più volte paventata, di far scomparire del tutto il contante o, comunque, di abbassare la soglia molto sotto il limite attuale. Si deve tenere a mente che l’apertura di un conto, una movimentazione telematica ovvero la richiesta di una carta di pagamento hanno sempre un costo, seppur minimo, per l’utente. Non si reputa sinceramente utile imporre ai cittadini queste spese anche per somme di basso ammontare. L’evasione si combatte, ugualmente, attraverso altri canali. Senza dire del riciclaggio: quello rilevante, ormai, non si fa più utilizzando banconote!
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2. Infrazioni alla normativa e apparato sanzionatorio Costituiscono quindi (in via sinottica) infrazioni al decreto, da comunicare al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) per l’applicazione delle sanzioni previste, le seguenti fattispecie: INFRAZIONE
SANZIONE
1)Trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera per importo tra 3.000 euro e 250.000 euro, anche con più operazioni frazionate.
Sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 50.000 euro
2) A decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, la soglia del trasferimento in contanti è diminuita a 2.000 euro
Per le violazioni commesse e contestate dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021 la sanzione minima, è fissata a 2.000 euro.
3) A decorrere dal 1° gennaio 2022, il limite è ulteriormente ridotto a 1.000 euro.
Per le violazioni commesse e contestate a decorrere dal 1° gennaio 2022, il minimo edittale è fissato a 1.000 euro.
4)Emissione di assegni bancari e postali di importo superiore a 1.000 euro privi dell’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e della clausola di non trasferibilità.
Sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 50.000 euro. Se l’infrazione è relativa ad importi inferiori a 30.000 euro, l’entità della sanzione minima è pari al 10 % dell’importo trasferito in violazione (art. 63, comma 1-bis).
5)Emissione di assegni circolari, vaglia postali e cambiari di qualsiasi importo privi dell’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e della clausola di non trasferibilità (quest’ultimo requisito può subire una deroga per importi inferiori a 1.000 euro).
Sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 50.000 euro
Limitazione all’uso del contante: una ricostruzione metodologica
6)Apposizione di girate sugli assegni bancari e postali all’ordine del traente (a me stesso, a me medesimo) qualunque sia l’importo, che devono essere unicamente girati per l’incasso a una banca o a Poste Italiane S.p.A.
Sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 50.000 euro
7)Trasferimenti di cui al punto 1) di importo superiore a 250.000 euro.
La sanzione di cui al punto 1) è quintuplicata nel minimo e nel massimo edittali
8)Apertura in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia
Sanzione amministrativa pecuniaria dal 20% al 40 % del saldo
9)L’utilizzo, in qualunque forma, di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizie di prodotti di moneta elettronica anonimi
Sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 % al 40 % del saldo. Per i prodotti di moneta elettronica il divieto decorre dal 10 giugno 2020.
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10) In casi di negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta svolta da soggetti iscritti nella sezione prevista dall’articolo 17bis del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 (c.d. “cambiavalute”), per somme superiori al limite di 3.000 euro. A decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, la soglia è diminuita a 2.000 euro. A decorrere dal 1° gennaio 2022, il limite è ulteriormente ridotto a 1.000 euro.
Sanzione amministrativa da 3.000 euro a 50.000 euro. Per le violazioni commesse e contestate dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021 la sanzione minima, è fissata a 2.000 euro. Per le violazioni commesse e contestate a decorrere dal 1° gennaio 2022, il minimo edittale è fissato a 1.000 euro
11) Violazioni di cui ai precedenti punti 8) e 9) per importi superiori a 50.000 euro.
Le sanzioni minime e massime sono aumentate del 50%
12) Per il servizio di rimessa di denaro di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), numero 6), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, di importo superiore a 1.000 euro.
Sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 50.000 euro
La comunicazione delle infrazioni riguardanti assegni bancari, assegni circolari, libretti al portatore o titoli similari deve essere fatta dalla banca che li accetta in versamento e dalla banca che ne effettua l’estinzione, salvo che il soggetto tenuto alla comunicazione abbia certezza che la stessa
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APPROFONDIMENTI
sia già stata effettuata dall’altro obbligato. Si sottolinea come, se oggetto dell’infrazione è un’operazione di trasferimento segnalata come operazione sospetta, chi ha effettuato la segnalazione non sia tenuto alla comunicazione dell’infrazione, in quanto “assorbita” dalla segnalazione di operazione sospetta.
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Tutti i destinatari del decreto antiriciclaggio, in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni e attività, hanno l’obbligo di comunicare le infrazioni alle disposizioni dell’art. 49, commi 1), 5), 6), 7), e 12) e dell’art. 50 del decreto, entro 30 giorni dalla data in cui l’operazione è stata effettuata, o se ne è venuti a conoscenza, al MEF – Ministero dell’Economia e delle Finanze per la contestazione e gli altri adempimenti previsti dall’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e per l’immediata comunicazione della infrazione anche alla Guardia di Finanza la quale, ove ravvisi l’utilizzabilità di elementi ai fini dell’attività di accertamento, ne dà tempestiva comunicazione all’Agenzia delle entrate. Si precisa comunque che l’infrazione alla normativa non incide “sull’efficacia degli atti”: la normativa antiriciclaggio non muta la normativa civilistica sui titoli di credito quali gli assegni (ad es.: l’assegno libero di 100.000 euro è pagabile se ci sono i fondi, anche se deve essere comunicata al Mi-
nistero la corrispondente infrazione all’art. 49).
3. Un esempio di verbale di contestazione per violazione dell’art. 49, comma 5, D.lgs 231/2007 Esempio di verbale di contestazione notificato ad uno Studio professionale per acquisizione in tra sferimento della somma di denaro di 1.000 euro a mezzo di assegno postale privo dell’indicazione del beneficiario. Oggetto: Contestazione di infrazioni al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, modificato ed integrato dal decreto legislativo 25.05.2017, n. 90 a carico di: .................................... in qualità di titolare dello Studio professionale .................................................................... ....... La S.V. in qualità di titolare dello Studio professionale in oggetto, si è resa responsabile: – della violazione dell’art. 49, comma 5, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, modificato ed integrato dal decreto legislativo 25.05.2017, n. 90, per aver acquisito in trasferimento la somma EURO 1.000,00 (mille/00) a mezzo di assegno postale privo dell’indicazione del beneficiario (di cui si allega copia); – della violazione dell’art. 51, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, modificato ed integrato dal decreto legislativo 25.05.2017, n. 90, per aver omesso di comunicare al Ministe-
Limitazione all’uso del contante: una ricostruzione metodologica
ro dell’Economia e delle Finanze la suddetta l’operazione finanziaria effettuata dalla S.V. medesima. Tali infrazioni sono punibili, rispettivamente ai sensi dell’art. 63, comma 1, e dell’art. 63, comma 5 del predetto decreto legislativo n. 231/2007, con l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 15.000 euro e da 3.000 euro a 50.000 euro. Ai sensi dell’art. 65, comma 9 del predetto decreto legislativo n. 231/2007 la parte potrà definire il procedimento amministrativo esistente nei suoi confronti con il versamento dell’importo di euro 6.000,00 e di euro 5.000,00 oltre a complessivi euro 5,00 per spese del procedimento, per un totale di euro 11.050,00. Ove decida di aderire all’oblazione, la parte dovrà provvedere al pagamento della citata somma improrogabilmente entro 60 giorni dalla notifica del presente atto di contestazione. Il predetto pagamento in misura ridotta, disciplinato dall’art. 16 della legge n. 689/81 non potrà essere esercitato qualora la parte si sia già avvalsa di tale facoltà per altra violazione dell’art. 49, commi 1, 2, 5, 6 e 7, e dell’art. 51, del decreto legislativo n. 231/2007, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90, il cui atto di contestazione sia stato ricevuto nei 365 giorni precedenti la ricezione del presente atto. L’oblazione non è rateizzabile (cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione generale per l’Attività Ispettiva: Interpello 8
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marzo 2006, prot. 25/1/0002226; Interpello n. 4/2011, 2 febbraio 2011, prot. 25/1/0001398) né modificabile. L’art 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, non consente, infatti, all’Amministrazione alcun margine di discrezionalità in merito alle modalità ed all’entità della somma da versare a titolo di oblazione, stabilendo il termine in 60 giorni e la somma da versare nell’importo più favorevole tra il terzo del massimo il doppio del minimo editale, per cui è sufficiente un mero calcolo matematico per determinare il quantum dovuto dal trasgressore. In merito, il TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 4 aprile 2002, n. 1330, affermato: “il pagamento in misura ridotta, costituente, secondo la giurisprudenza, esercizio di un diritto soggettivo dell’interessato, che non lascia spazio a discrezionalità dell’Amministrazione, sia in ordine e ordine alle modalità ed al procedimento attuabile, che all’entità della somma da pagare, produce ipso iure l’effetto estintivo dell’infrazione […] (cfr. Cass. civ. sez. 1, 24 dicembre 1994, n. 11139; Cass. civ., sez. 1, 10 agosto 1990, n. 8136; v. anche Cass. civ., sez. un., 8 luglio 1993, n. 7475)”. Suggerimento per la difesa: Richiedere all’Autorità procedente di riformulare l’ipotesi sanzionatoria nei confronti del professionista, in ragione della inesatta individuazione della norma applicabile al caso di specie (art. 63 comma 1) in luogo dell’art. 63, comma 1-bis, d.lgs. 231/2007 (con
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APPROFONDIMENTI
sanzione pari al 10% dell’importo trasferito in violazione).
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APPROFONDIMENTI
La tempesta perfetta del Coronavirus: una opportunità per cambiare il nostro approccio alla gestione del rischio
Massimo Ignesti
Sommario: 1. Il cigno nero. – 2. L’evoluzione della normativa e la sua interpretazione nella società. – 3. La gestione integrata del rischio: l’approccio futuro.
1. Il cigno nero Se non fosse tutto vero, ciò che è accaduto in Italia negli ultimi mesi potrebbe entrare di diritto nella sceneggiatura di un film e potrebbe cominciare con il tipico “C’era una volta un Paese che aveva appena finito di festeggiare Natale, Capodanno ed Epifania quando…”. Invece, purtroppo, ciò che è accaduto non solo è vero, sfiorando l’inimmaginabile, ma lo stiamo ancora vivendo! Tutto comincia il 6 febbraio 2020 a Livraga (LO) con un grup-
po di operai che sta effettuando delle manutenzioni di routine sull’asse principale del trasporto ferroviario italiano, la spina dorsale del Paese. Per ragioni ancora all’esame degli inquirenti, accade qualcosa per cui vengono meno dei sistemi di controllo centralizzato e ciò fa sì che il primo Frecciarossa che passa quella mattina a 300 km/h imbocchi un binario morto e si schianti contro un piccolo edificio che si trova a fianco della linea causando la morte di due ferrovieri ed il ferimento di molti passeggeri.
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L’incidente provoca danni gravissimi agli impianti ferroviari e di conseguenza l’immediato blocco della linea ad alta velocità con deviazione di tutti convogli sulla linea lenta “tradizionale” che corre parallela a quella ormai fuori uso. Mentre il Paese va in quasi asfissia per i ritardi epocali e le cancellazioni che ovviamente si accumulano in tutto il traffico ferroviario anche in zone lontanissime dal luogo dell’incidente, in Cina sta dilagando un virus che, segnalato come attivo in un primo focolaio a Wuhan sin dal 31 dicembre 2019, provoca morti e spinge il Governo di Pechino a prendere iniziative sanitarie straordinarie e l’Oms a dichiarare il 31 gennaio 2020 “ Emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”. Apparentemente non esiste nessun nesso fra questi eventi ma... mentre questi eventi scorrono e impattano in Italia sulle attività della Protezione Civile e del Governo, il diavolo ci mette la coda (o Lupo Alberto con la sua nota teoria sulla “sfortuna”) ed il 24 febbraio costringe le Ferrovie Italiane a deviare ulteriormente i Frecciarossa addirittura su percorsi alternativi a quello secondario già in uso (via Bologna, Padova, Verona, Brescia). La causa del nuovo provvedimento va ricercata nella improvvisa chiusura per disinfezione e bonifica della stazione di Casalpusterlengo, che si temeva essere stata infettata da coronavirus (proprio quel virus che, intanto, dalla Cina era arrivato chissà come nel Lodigiano),
e che controllava la tratta ora interessata da tutto il traffico della dorsale nord/sud. Lo stesso demone si divertiva poi a complicare la situazione facendo incendiare il 3 marzo una centralina nella stazione di Settebagni, a nord di Roma, costringendo i treni ad alta velocità ad una ulteriore deviazione su linea lenta e, per non far mancare i fuochi d’artificio, faceva eruttare lo Stromboli l’8 marzo e dal 10 marzo scuoteva la Calabria con uno sciame sismico. Ovviamente questa catena di eventi concatenati aveva provocato l’intervento di Trenitalia, di Rete Ferroviaria Italiana, della Protezione Civile, del Governo, che si era attivato emanando normativa d’urgenza e con iniziative forti tese a tutelare al massimo le vite umane e prevenire ulteriori situazioni critiche di vario genere indotte da quanto accaduto. Ma l’oggetto di queste mie righe non è la valutazione di quanto fatto bensì l’osservazione di quanto è avvenuto, di come è avvenuto, di quale sia il contesto normativo e organizzativo in cui è avvenuto e di come si era preparati ad affrontare un “cigno nero” di tali proporzioni per trarne insegnamento. Infatti, quanto accaduto offre l’occasione per una disamina e studio (si tratta di una sorta di “esercitazione” vissuta purtroppo dal vivo) per affrontare nel futuro la gestione del rischio1 secondo
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Rischio:
secondo
la
norma
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un approccio nuovo, più aperto e più produttivo, che, vedremo, si può riassumere in una parola, “integrato”. Innanzitutto chiariamo cosa si intende per “cigno nero”: si tratta di una teoria, o meglio di una metafora, sviluppata dal filosofo, saggista e matematico libanese Nassim Nicholas Taieb che con essa affronta la problematica di alcuni avvenimenti rari e imprevedibili e la tendenza umana a trovare retrospettivamente spiegazioni semplicistiche di questi eventi giudicandoli prevedibili2.
2. L’evoluzione della normativa e la sua interpretazione nella società Sinora la tendenza corrente nella maggior parte degli Enti3 è stata quella di affrontare i rischi assegnandoli, sia nel pubblico che nel privato, alle specifiche competenze delle Unità, Dipartimenti, Uffici dedicati a ciascun tipo di rischio: Safety, Security, Finance etc., secondo strutture cresciute quasi sempre con riferimento a 31000:2009 “Risk management”, si definisce il “rischio” come “l’effetto dell’incertezza sugli obiettivi” essendo un “effetto” una deviazione rispetto a ciò che ci si aspetta, positivo e/o negativo e “incertezza” lo stato, anche parziale, di insufficienza di informazioni relative alla comprensione o alla conoscenza di un evento, alle sue conseguenze o alla sua probabilità. 2 Sull’argomento si veda: Nassim Nicholas Taleb, Il Cigno nero (2007). 3 Ente: è inteso nella accezione di cui al Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
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due aspetti: il “core business” ossia l’attività principale, la ragion d’essere, di cui si occupa l’Ente e, fattore guida, gli adempimenti richiesti dalle norme obbligatorie in vigore. Purtroppo, però, in Italia, sebbene la normativa abbia iniziato ad occuparsi della problematica della gestione dei rischi sin dal lontanissimo (nel tempo) art. 2087 del Codice Civile4, non si è mai registrata una adeguata cultura sull’argomento che è stato sminuito o considerato solo parzialmente per varie presumibili ragioni : perché l’articolo in questione è “in bianco” non prevedendo alcuna sanzione in caso di inadempimento e perché con la collocazione nel Codice Civile, ha spinto a risolvere i conflitti eventualmente creati da comportamenti non in linea con quanto richiesto attraverso soluzioni “civilistiche” consistenti in risarcimenti talvolta assolti da apposite polizza assicurative. Inoltre, il legislatore, palesemente orientato a redigere una norma di vasta portata, e di ampia applicazione, utilizzò la dizione “integrità fisica” che probabilmente aprì lo spazio ad una interpretazione parziale tutt’oggi molto comune che comprende solo una visione “sanitaria” della
Art. 2087 c.c.: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
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tutela del lavoratore dalle malattie. Dopo alcune decadi di silenzio, il riferimento normativo temporalmente successivo di maggior rilievo è stato il Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 che nacque con il meritorio obiettivo di fare chiarezza ed abrogare le leggi precedenti recependo tutte le normative europee riguardanti la salute e la sicurezza dei lavoratori5 facendo peraltro dei distinguo molto rilevanti nei confronti dei lavoratori appartenenti ad Enti pubblici con esigenze specifiche quali le Forze Armate e le Forze di Polizia. L’interpretazione di questa norma fondamentale ed innovativa, in linea con quanto già avveniva in precedenza, venne orientata in modo specifico alla tutela della “salute” del lavoratore e della sua “sicurezza” seguendo i due principi già presenti nel Diritto Romano di “sanitas” e “securitas”. Purtroppo, nella applicazione e nel linguaggio corrente rimase solo la parola “sicurezza” ma il dettato normativo venne comunemente declinato nel senso di una attenzione a adottare tutte le misure necessarie per lo svolgimento del lavoro in condizioni sicure nei confronti di quei rischi che potevano incidere sulla salute del lavoratore e derivanti diretta-
5 Vds. D.lgs. 626/94, art. 1 “Il presente decreto legislativo prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività privati o pubblici”.
mente dallo svolgimento della attività lavorative. Da qui nacque tutta la vasta panoplia di misure di prevenzione degli incidenti sul lavoro consistente in procedure, mezzi materiali di protezione e formazione dei lavoratori. Questa particolare attenzione dedicata, giustamente, dal legislatore alla salute del lavoratore fece sì che si sviluppasse una cultura della gestione del rischio orientata soprattutto agli aspetti “sanitari” ed alla prevenzione dello stato di “malattia” che ha portato alla nascita di unità di “Safety” mirate alla protezione dai rischi endogeni e/o tipici molto ben strutturate all’interno degli Enti a discapito delle unità di “Security”, destinate alla protezione dai rischi esogeni e/o atipici meno strutturate e nate, più che dalla corretta interpretazione della norma, dalla necessità di reagire alla emergenza del terrorismo negli anni 70/80 soprattutto nei grandi Enti. Lo sbilanciamento nella valutazione dei rischi, si consolidò in una cultura che riteneva preminente e maggiormente dominante la gestione del rischio di Safety piuttosto che quello di Security ritenuto meno probabile e dunque inutilmente costoso da gestire e non destinatario di una adeguata valorizzazione da parte del legislatore. La confusione interpretativa fu peraltro favorita da una particolarità del linguaggio comune utilizzato nel nostro Paese laddove la parola “sicurezza” assume un significato omnicomprensivo
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che abbraccia tutti gli aspetti di questo argomento a differenza di quanto avviene in altre lingue dove si trovano, a titolo di esempio, per l’inglese, le due parole “security” e “safety” e altrettanto in francese “sureté” e “sécurité”. Questo “unico” lemma della nostra lingua ha peraltro strane ed incomprensibili origini visto che nella lingua madre si trovavano sia sanitas che securitas oltre che salus. Ma evidentemente la lingua “parlata” è evoluta e semplificata in tal senso e dunque va accettato il fatto compiuto. Ma questa interpretazione riduttiva, tanto si andò consolidando che, quando il legislatore scrisse il Dlgs. 81/2011 con una visione estremamente moderna e omnicomprensiva quale quella prevista dall’art. 17 che parla testualmente di “valutazione di tutti i rischi”, moltissimi continuarono a valutare solo i rischi di “Safety” alla cui mitigazione erano abituati e preparati dalla attuazione del D.lgs. 626. Pochi, quasi nessuno, ampliò l’orizzonte a “tutti i rischi” come dimostrato dalla assenza della citazione dei rischi di Security in molti DVR ritenendo che essi non fossero compresi dal dettato del D.lgs. 81. L’errato convincimento venne poi spesso rafforzato da quanto previsto dal D.lgs. 81 all’art. 18 che cita più volte solo i rischi “sanitari” omettendo di citare “altri rischi” e soprattutto citando solo il Medico competente dimenticando di nominare il Responsabile della
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Security (c.d. Security Manager6) talché molti Datori di Lavoro si sentirono autorizzati a tralasciare tale Funzione e di conseguenza a gestire i rischi di sua competenza. Ulteriore elemento di dubbio fu generato dalla riforma attuata con D.Lgs. 149/20157 istitutore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che, nel riordinare e armo-
Incarico da attribuirsi in via di principio, non sempre rispettato, a Professionista della Security così definito dalla norma UNI 10459/2015. 7 In seguito alla riforma, la competenza dell’Ispettorato in materia di vigilanza non è divenuta generale, in quanto, per ciò che attiene la sicurezza del lavoro essa fu limitata a quei settori che comportano rischi particolarmente elevati, ossia nel caso di attività nel settore delle costruzioni edili o del genio civile, di lavori effettuati mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei, nonché di ulteriori attività individuate con apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero del lavoro, adottato sentito il Comitato per la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Dunque, analogamente a quanto accadeva in passato, in via generale, la vigilanza sull’applicazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro è rimasta alle Aziende sanitarie locali competenti per territorio, mentre una competenza residuale è rimasta in capo alle Autorità marittime a bordo delle navi ed in ambito portuale, agli Uffici di sanità aerea e marittima, alle Autorità portuali e aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori a bordo di navi e di aeromobili ed in ambito portuale ed aeroportuale, nonché ai servizi sanitari e tecnici istituiti per le Forze armate, le Forze di polizia ed i Vigili del fuoco. 6
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nizzare meglio le competenze sino a quel momento distribuite fra vari Enti di diverso livello, confermò alle Asl una funzione centrale nella attività di vigilanza sulla applicazione delle norme relative alla sicurezza sul lavoro lasciando che, nella percezione diffusa, si potesse privilegiare la salute (direttamente connessa alla safety) rispetto alla security. Le Asl, peraltro, normalmente non possiedono competenze in tema di security, talché non sembra poter trovare, almeno ad un primo esame dei dati pubblicamente disponibili, interventi di verifica sulle misure di mitigazione dei rischi di security a fronte della abbondante quantità di controlli relativi a quelle relative ai rischi di safety. Dunque, anche in ragione di questi nuovi fattori, nella maggior parte degli Enti, a prescindere dalla loro natura o attività, di fatto è stata sviluppata una gestione del rischio soltanto parziale. Ma non è tutto, laddove le due funzioni di Security e Safety sono state create, spesso sono state poste in condizione se non conflittuale, almeno di difficile coordinamento con evidenti ricadute negative nella gestione degli incidenti o delle crisi. Nel frattempo, qualcuno cominciava a domandarsi se la gestione dei rischi fine a sé stessa (li identifico, li mitigo e li mantengo entro limiti accettabili) fosse sufficiente ed ha posto la questione se si fosse preparati a garantire la continuità operativa dell’Ente an-
che in presenza di un malaugurato verificarsi dell’evento critico. Nasceva così la questione della “business continuity”8 che, poco conosciuta ai più, trovava una difficoltà a svilupparsi correttamente per un ulteriore fattore di problematicità: la diffusione dei sistemi informatici e la loro crescente rilevanza per lo svolgimento delle attività dell’Ente li ha posti giustamente al centro dell’attenzione della Dirigenza che ha investito cospicue risorse umane ed economiche per garantirne l’efficacia, l’efficienza ed in particolare la “continuità operativa” (eccola !) sino al punto in cui la cosiddetta “Business Continuity” è stata completamente assorbita ed identificata nella Funzioni di ICT (o denominazioni paritetiche). È stata quindi dimenticata o data minore importanza in questa ottica così rilevante alla gestione dei rischi di Safety e Security dai quali possono certamente derivare gravi interruzioni della continuità operativa. In buona sostanza e semplificando molto, mentre si pensa-
Business Continuity: secondo la norma ISO 22301 è la capacità di un’organizzazione di continuare a svolgere il proprio business a fronte di eventi avversi che possono colpirla. L’attività si realizza attraverso l’analisi dell’impatto sul business (Business Impact Analysis) di un potenziale evento critico e la predisposizione di un piano di continuità operativa (Business Continuity Plan) che contiene informazioni sulle azioni da intraprendere in caso di crisi, su chi è coinvolto nell’attività di ripristino e sui relativi flussi di informazione.
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va a come garantire la costante efficienza dei sistemi informatici anche in presenza di incidente o crisi che coinvolgesse gli stessi, modesta rilevanza si dava a progettare la continuità operativa dopo un evento “emergenza” o “crisi” di Safety o di Security.
3. La gestione integrata del rischio: l’approccio futuro So bene di aver fatto una sorta di “gouache storica” con i mille colori di queste vicende e problematiche connesse: il cigno nero, la gestione dei rischi, la Safety, la Security e per finire la Business Continuity ma, richiamare tutte queste componenti è necessario per provare, senza avere la presunzione di essere depositario di soluzioni finali, a ragionare su come si possa, partendo dall’ imparare dagli eventi trascorsi e dalla esperienza fatta nella gestione parzializzata del rischio, e strutturare una risposta moderna ed efficace al problema-cardine: garantire la continuità operativa di un Ente anche in presenza o dopo di emergenze o crisi. Credo che l’approccio corretto sia quello che comincia proprio dalla fine: la continuità operativa deve essere l’obiettivo finale della gestione del rischio e quindi occorre ragionare sempre tenendo la nostra bussola orientata verso questa specie di Nord magnetico professionale. Non ha alcun senso gestire i rischi di Safety o di Security o fi-
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nanziari etc. in maniera autonoma per ciascuno di essi: se anche riuscissimo con una magia (ed è notoriamente impossibile) ad annullarli, le connessioni e le ricadute degli effetti dell’uno deborderebbero verso l’altro che, una volta gestito in modo scoordinato dagli altri, riattiverebbe certamente un altro tipo di rischio in una girandola senza fine. È opportuno quindi che si cominci a parlare di gestione INTEGRATA ED ARMONICA dei rischi (sarebbe meglio dire di TUTTI i rischi) che, prendendo spunto dalla norma ISO 4500019 potrebbe essere costituita da una struttura piramidale nella quale ogni “tipo” di rischio viene “trattato” solo parzialmente dai rispettivi specialisti che seguono il classico schema: valutazione della minaccia, misurazione della vulnerabilità (compresa l’appetibilità che ne costituisce un aspetto) e assegnazione di un valore di esposizione a quel tipo di rischio con la proposta di possibili misure di mitigazione10. ISO45001 : “Sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro – Requisiti e guida per l’uso”, è una norma internazionale applicabile a qualsiasi organizzazione indipendentemente dalle sue dimensioni, tipo e attività che specifica i requisiti per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro e fornisce indicazioni per il suo utilizzo, per consentire alle organizzazioni di fornire posti di lavoro sicuri e salubri prevenendo infortuni sul lavoro e problemi di salute, nonché migliorando la salute e sicurezza sul lavoro (SSL) in modo proattivo. 10 Un interessante accenno alla gestione integrata del rischio, che peraltro costituisce un “unicum” fra la normativa nazionale 9
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Tutti questi dati vengono fatti confluire su un unico focus che, avendo particolare riguardo agli aspetti di Business Continuity riferiti all’oggetto della analisi (Ente, sito, persona, processo), determina un unico piano coordinato di mitigazione modulato sulla rilevanza dal punto di vista della continuità operativa di quanto si sta proteggendo. Insomma, concettualmente, invece di avere vari piani per la gestione dei differenti rischi, questo tipo di approccio mira a redigere un unico piano che armonizzi le mitigazioni in una ottica di continuità operativa. Si tratta, e qui sta la difficoltà, nel gestire in un unico piano tutte le “interferenze”11 126 è costituito dalla cosiddetta “Circolare Gabrielli” (n. 555/OP/0001991/2017/1 datata 7 giugno 2017 del Ministero dell’Interno, Dipartimento P.S – Uff. Ordine Pubblico) che, trattando di governo e gestione delle pubbliche manifestazioni utilizza le dizioni safety e security asserendo che alle richieste condizioni di “Safety dovrà corrisponde la pianificazione di adeguati servizi security a tutela dell’Ordine e della Sicurezza pubblica”. Appare evidente nel testo l’indirizzo dato dal Capo della Polizia verso una visione integrata e armonizzata delle misure di mitigazione. 11 Dizione ben nota ai professionisti della gestione dei rischi poiché costituisce l’elemento di distinguo fra il Documento Valutazione dei Rischi (DVR) e il DUVRI (Documento Unico di Valutazione dai rischi di Interferenze) entrambi previsti dal D.Lgs. 81/2001. In particolare, il DVR è un documento che individua i possibili rischi presenti in un luogo di lavoro e serve ad analizzare, valutare e mitigare le situazioni di rischio per i lavoratori. Il DUVRI è un documento scritto con il quale sono va-
Questo sistema, semplice, ma necessitante di professionalità molto ben preparate lungo tutta la catena di gestione dei vari rischi e soprattutto a livello di coordinamento, consente in caso di evento negativo di gestire la situazione con un unico centro di comando e controllo che dispone di tutte le informazioni necessarie per guidare l’Ente fuori dalla situazione critica e nella direzione della continuità operativa. Certamente l’attività che richiede maggior dispendio di energie per attuare questo sistema è costituita dalla fase di valutazione delle minacce e di misurazione delle vulnerabilità che va svolta con continuità periodica e mantenuta aggiornata ma che certamente può, anzi deve, essere supportata da un adeguato sistema gestionale sul quale va appoggiato tutto il processo sopradescritto e che può garantire massima efficacia con il minimo dispendio di energia necessario. Torniamo indietro: perché ho cominciato con il dramma dell’incidente del Frecciarossa ed il Coronavirus? Perché quanto accaduto ci dimostra che non potremo mai più, a meno di essere improvvidi
lutati i rischi e nel quale sono indicate le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze fra le attività affidate ad appaltatori e lavoratori autonomi, e loro eventuali subcontraenti, e le attività svolte nello stesso luogo di lavoro dal Committente.
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e di corta memoria, pronunciare le terribili e fatidiche frasi “non è mai successo” o “bisogna fare saving e quindi riduco ciò che non è corebusiness (la gestione dei rischi)”: bisogna avere il coraggio di affermare che sono prese di posizione poco professionali e simili a quelle di colui che anziché guardare la luna guarda il dito. Nel concreto, la realtà supera di gran lunga le previsioni fondate solo sulle serie storiche non integrate da una profonda analisi costante della situazione intesa nel senso più “lato” possibile. L’impatto di un sistema di gestione integrata ed armonica del rischio/Business Continuity è positivamente elevato e indubbiamente potrà influire sul livello di sostenibilità dell’Ente e sul valore anche in termini economici di quest’ultimo oltre che rispondere ai nuovi orientamenti della giurisprudenza non solo nazionale che, da ultimo in Italia, con il D.lgs. 14 del 12 gennaio 2019 preme verso una applicazione intelligente della continuità operativa traguardando ai risvolti etici che in essa sono insiti. Per concludere, la grave crisi che stiamo vivendo e le sue
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varie sfaccettature stanno incrinando i principi sinora presi in considerazione per garantire efficacia, efficienza e redditività alle aziende: delocalizzazione, terzializzazione, esternalizzazione e globalizzazione forse andranno rivisti in una ottica opposta o quanto meno rivista nelle strategie. Probabilmente, se potremo disporre di procedure di gestione del rischio integrate potremo mitigare le conseguenze dirette e quindi saremo in grado di riprenderci con maggior rapidità dalle crisi seguendo una utilissima traccia già predisposta, certamente costosa ed apparentemente inutile nella fase di preparazione ma essenziale e di forte impatto sui costi post-crisi. La gestione del rischio integrata ed armonica svolge la funzione che in guerra è svolta dalle riserve senza le quali non si vince nessuna battaglia e soprattutto, persino in caso di vittoria, non si sfrutta il momento del successo. È una garanzia, un’assicurazione che va pagata anche in assenza di evento negativo e forse, con una nota scherzosa, chissà? Può addirittura costituire una sorta di oggetto scaramantico di cui non si può fare a meno.
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Mafia Nigeriana e Secret cults
Valentina Ciappina
Sommario: Premessa. – 1. Black Axe. – 2. EIYE. – 3. Maphite. – 4. Vikings. – 5. Elementi comuni dei Cult. – 6. I riti voodoo e la tratta di esseri umani. – 7. Cult nigeriani e terrorismo islamico?
Premessa La prima organizzazione di culto1 studentesca in Nigeria fu registrata nel 1952 come un club socio-culturale con il nome di National Association of Sea Dogs (Pyrates Confraternity – Confraternita dei Pirati). Uno dei co-fondatori fu il professor Wole Soyinka, premio No-
Nella presente trattazione il termine “culto” – cult –, usato con la stessa accezione in Nigeria, si riferisce a gruppi organizzati, anche e non solo di stampo religioso, nei quali permane un carattere di segretezza su membri, riunioni e attività. 1
bel per la letteratura nel 1986, insieme a sei studenti, che rappresentavano al meglio gli ideali sociali e culturali per i quali anche i loro compagni lottavano. Questi nobili ideali si concentravano prevalentemente sull’eradicazione del colonialismo in tutte le sue forme, sulla promozione del rispetto della dignità umana, delle attività umanitarie, nonché sull’eliminazione dell’elitarismo e del tribalismo nella società2.
I.M.D., Mafia nigeriana. Tra animismo e neo-schiavismo: come i secret cult nigeriani operano in Italia, con prefazione Prof. R.
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I primi venticinque anni circa dell’esistenza dell’Università di Ibadan, nel cuore dello Yorubaland, furono testimoni di una vigorosa ricerca degli ideali per i quali fu fondata la Confraternita dei Pirati3, l’unica associazione di culto studentesca nel paese a quel tempo. All’epoca, la Confraternita era già in qualche modo temuta, sebbene il suo ruolo non fosse né violento né distruttivo. L’emergere di un gruppo frammentato dalla Confraternita dei Pirati nei primi anni ’70, segnò poi l’inizio di un nuovo orientamento per le future generazioni di “Pirati”, preannunciando l’inizio di una proliferazione di associazioni segrete di culto, non solo nelle istituzioni superiori di apprendimento, ma anche in alcune scuole secondarie in tutto il paese, che si distinsero da quella originaria per l’uso della violenza e delle atrocità commesse nei confronti di altri cultisti rivali. Il cambiamento negli anni fu sistematico e progressivamente militante, con un uso crescente della violenza in conformità con il rapido deterioramento della politica e la decadenza della società. Uno dei motivi per cui i culti ebbero successo a livello studentesco fu maggiormente per la necessità di protezione personale. Appartenere a un culto significava essere in grado di assicurarsi
un lavoro dopo la laurea, avere potere e prestigio; essere favoriti nei contatti o avere connessioni importanti; sfuggire alla legge nel caso si commettessero reati e infine poter accedere a poteri soprannaturali e magici4. Le organizzazioni di culto reclutavano i loro membri attraverso l’incentivo, la coercizione, la pubblicità, l’invito diretto, l’inganno e l’influenza dei pari. In origine per appartenere a una confraternita, i giovani venivano abbandonati per un giorno ed una notte intera nella foresta, in balia di intemperie e animali feroci. Se sopravvivevano al rituale, potevano essere degni di entrarne a far parte. Con il passare del tempo e la crescita delle città e delle università, il rituale venne modificato e sostituito con le percosse inflitte al giovane dagli appartenenti del Cult. Pugni, calci, canzoni e preghiere, bruciature e umiliazioni e tanto alcool. Come detto, per diversi anni la confraternita dei Pirati fu l’unica di tutta la Nigeria, tuttavia negli anni ’80 le confraternite si erano già diffuse in tutte le trecento istituzioni di istruzione superiore del paese. La prima scissione portò alla creazione dei Sea Dogs (i Pyrates originali) e i Buccaneers (Bucanieri). Da questi ultimi, dopo qualche anno si formò il Movimento Neo-Black dell’Afri Office Français de Protection des Réfugiés et Apatrides, Sociétés secrètes traditionnelles et confraternités étudiantes au Nigeria, febbraio 2015, disponibile sul sito dell’Organizzazione.
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Razzante, Dario Flaccovio editore, 2019. 3 B. Wellington, Nigeria’s Cults and their Role in the Niger Delta Insurgency, in Terrorism Monitor, 2007, Vol. 5.
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ca, chiamato anche confraternita dei Black Axe, che si impadronì dell’Università di Benin, nell’ Edo State. Infine dopo la sua creazione, un’altra confraternita, la Eiye Confraternity, si staccò dai Black Axe. Sempre durante gli anni ’80, soprattutto dopo il colpo di stato del 1983 che causò grandi tensioni politiche, le attività delle confraternite diventarono più violente. I leader militari iniziarono a vedere le confraternite come una forza che si opponeva ai sindacati studenteschi e al personale dell’università, ovvero gli unici gruppi organizzati che si opponevano al regime militare5. Alle confraternite venne di conseguenza dato denaro e armi che venivano spesso utilizzate in scontri mortali tra di loro. Durante questo periodo, all’inizio di ogni attività, le confraternite introdussero nuovi rituali nell’eseguire le tradizionali pratiche religiose, inclusi rituali vodoo. Gli inizi degli anni ’90 segnarono l’aumento esponenziale di lotte sanguinarie per la supremazia, soprattutto nella regione del Delta del Niger. Tra tutte emerse la Family confraternity6 la qua5 S. Ellis, ‘Campus Cults’ in Nigeria: The development of an anti-social movement, in (a cura di) S. Ellis, I. V.K., Movers and Shakers: Social Movements in Africa, Brill, 2009, pp. 230 ss. 6 B. Bergman, From Fraternal Brotherhood to Murderous Cult: The Origins and Mutations of Southern Nigeria’s Confraternities from 1953 Onwards, in The Journal of Undergraduate Research at the University of Tennessee, 2016, Vol. 7, pp. 11-23.
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le iniziò ad espellere gli studenti accusati di praticare attività di cultismo atte a minare le confraternite che eseguivano pratiche di vodoo. Questo segnò l’inizio del trasferimento delle attività delle confraternite al di fuori dei campus universitari e l’intromissione del governo democratico, anch’esso desideroso di eliminare le pratiche di cultismo. L’escalation di violenze tra le confraternite portò a diversi episodi di brutalità, tra cui gli omicidi della Obafemi Awolowo University. Dopo che un membro di un cult fu ucciso a colpi di arma da fuoco durante un tentato rapimento nel 1991, sembrava che le confraternite avessero deciso di stare al di fuori dell’università. Nel febbraio del 1999, tuttavia, alcuni leader studenteschi organizzarono una ricerca all’interno di tutto il campus, che condusse all’identificazione di otto membri di cult segreti che stavano immagazzinando mitragliatrici e altre armi nei loro dormitori. Pertanto la confraternita dei Black Axe formò una squadra armata che uccise brutalmente nel suo letto il segretario generale del sindacato studentesco e prese di mira altri leader. A oggi gli ex membri delle confraternite accedono ancora ai campus universitari ma prevalentemente per reclutare nuovi membri e agire con più forza all’esterno. Iniziando a operare maggiormente fuori dal mondo universitario e infiltrandosi nel mondo economico, politico e sociale na-
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zionale, utilizzando metodi sempre più violenti, le confraternite hanno indotto il legislatore nigeriano a vietarne la costituzione. Grazie anche alle pressioni internazionali, nel 2001 il Governo Federale della Nigeria emanò il “Secret cult and Secret Society Prohibition Bill”7, che introdusse il “reato” di creazione o partecipazione a qualsiasi attività dei secret cults. Nonostante il divieto, essi continuarono però a radicarsi e crescere in Nigeria; inoltre il fenomeno migratorio del popolo nigeriano verso molti paesi europei e del Nord America comportò la diffusione oltre che di usi e costumi locali anche dei secret cults all’estero e in particolare in Canada, dove risiede una rilevante comunità di nigeriani, e in Italia. Dalle prime indagini effettuate dalla polizia italiana è emerso che esistono anche in Italia gruppi con la stessa denominazione dei cults esistenti in Nigeria: Black Axe, Eiye, Maphite, Vikings, ecc. Da queste attività degli organi di polizia è stato poi possibile risalire alla distinzione e differenze tra i vari gruppi. Di seguito vengono riportati alcuni di questi.
7 Canada Research Directorate, Immigration and Refugee Board – Ottawa, Nigeria: Societal and government reaction to student cult activities (20022004), Response to Information Request NGA43278.E, 23 febbraio 2005, disponibile all’indirizzo https://www.justice.gov/ sites/default/files/eoir/legacy/2013/12/18/ NGA43278.E.pdf.
1. Black Axe La Black Axe, viene chiamata anche AYE, da non confondere con il Cult degli EIYE, che è un’altra confraternita nemica. La Black Axe8, ovvero l’ascia nera, si distingue per lo spaccio di droga e lo sfruttamento della prostituzione. La struttura9 della Black Axe può, sinteticamente, essere così delineata. Vi è un Head o Capo nazionale chiamato anche Shaka. Sotto il capo vi è il Charman detto anche Gioko, che presiede il Consiglio Esecutivo formato da sette membri. Vi è il CP che conduce le preghiere ed è il Bucher o Ministro della Difesa, che si preoccupa d’infliggere le punizioni ai membri che hanno sbagliato, oltre che difendere il Cult dai pericoli esterni. Tutti i membri si chiamano axe man oppure lord. Annualmente vengono svolte delle riunioni tra i membri del gruppo ed esiste una figura specifica (cryer) che ha il compito di comunicare ai lord il luogo e la data del meeting. Quando bisogna punire qualcuno i lord parlano di fare un Match. È stata provata l’assoluta identità tra Black Axe e NBM. Le diverse denominazioni nascono dall’esigenza per il Cult di rimanere segreto e avere una “facciata” le-
D. Offiong, Secret Cults in Nigerian Tertiary, Fourth Dimension Publishing Co., 2003. 9 I.M.D, Mafia Nigeriana, cit. 8
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gale, con funzioni “solidaristiche”. Così è accaduto in Nigeria e si è ripetuto anche negli altri Paesi del mondo in cui si è istituita una zone del Secret Cult. Al di là di questa apparente “pubblicità” il Cult è caratterizzato da segretezza, da riunioni riservate solo ad alcuni membri, in luoghi non conosciuti a tutti, in date prestabilite e inviate in segreto da un’apposita figura. Esiste un servizio d’ordine interno, con un proprio organo che amministra la giustizia e stabilisce e irrora punizioni. Le indagini hanno evidenziato la transnazionalità dell’organizzazione che è insediata in Italia ma ha contatti con la madre patria e con gli altri gruppi stanziati nei diversi paesi del mondo. L’organizzazione ha una cassa comune con cui gestisce ad esempio le spese legali per gli associati in carcere o per sostenere le loro famiglie, similarmente a come fanno le mafie. Fanno attività di proselitismo al fine di reclutare i soggetti migliori per il raggiungimento degli scopi del Cult. Più forti si è, maggiori sono le probabilità di sopravvivere e fare carriera all’interno del gruppo. Il colore predominante della Black Axe è il nero, l’oro e il giallo. Il simbolo del Cult è rappresentato da due asce che si incrociano, a cui si ispira il saluto, che avviene sovrapponendo gli avambracci. Altri elementi simbolo adoperati sono: l’ascia che rompe le catene dell’Africa vittima del colonialismo, l’uso del basco nero come
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segno identificativo10, il numero 7 stampato nei berretti o nelle camicie, un linguaggio criptico comprensibile soltanto ai membri del Cult. La violenza sta alla base del rituale associativo. Il nuovo adepto viene tenuto prigioniero e picchiato per un intero giorno, sino al superamento della prova, che gli consentirà di diventare un axe man e bere una bevanda rituale insieme agli altri confratelli. I Black Axe usano come armi asce e bottiglie di vetro, spesso nei confronti di altri nigeriani, raramente nei confronti di italiani, per evitare di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine.
2. EIYE EIYE, chiamata anche HBK, o SEC (Suprema Confraternita degli EIYE11). A differenza della Black Axe, l’organizzazione del gruppo è meno strutturata e non possiedono una facciata pubblica pari all’associazione NBM. Non in tutte le città esiste un “nest” (nido) degli EIYE, e vi possono essere re I baschi vengono usati durante i meeting, dove l’abbigliamento è sempre di colore nero e giallo. 11 Canada: Immigration and Refugee Board of Canada, Nigeria: The Eiye confraternity, including origin, purpose, structure, membership, recruitment methods, activities and areas of operation; state response (2014-March 2016), 8 aprile 2016, NGA105490.E, disponile all’indirizzo https://www.refworld.org/ docid/5843fa644.html 10
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sponsabili di tipo regionale, oltre che nazionale. Questi prendono il nome di Ebaka o Ibaka. Si riuniscono periodicamente e come nella Black Axe, i capi vengono eletti ogni due, tre anni, in base a una votazione a cui partecipano i membri più importanti del Cult (gli ex ebaka e ostrich). Gli uomini più forti, quelli con un seguito maggiore, che hanno traffici più estesi, sono quelli che poi assumeranno le cariche più alte e prestigiose del Cult. Il colore predominante è il blu dell’aria e il rosso dell’iride dell’occhio dell’aquila, the “Eagle”, il simbolo del Cult. Anche gli EIYE utilizzano codici linguistici particolari e segreti, conosciuti soltanto dai loro membri. Esiste un rito d’iniziazione, e una procedura, chiamata “orientamento” in cui l’iniziato “Bird” viene addestrato per diventare un membro effettivo del gruppo, così da diventare un “strong man”, un “airlord”. Una volta entrati, non si potrà uscire dal proprio nido, pena la morte. Sono sette le cariche più importanti all’interno del Cult, ed ognuna di queste ha un suo specifico ruolo. Ogni nido ha un Ebaka che dà le direttive al gruppo. Il suo vice è lo struzzo, l’ostrich, con compiti di gestione dei membri e degli affari criminali. Il Parrot (pappagallo) è colui che dovrà informare tutti i “bird” delle riunioni dell’Esxo, cioè l’assemblea generale di tutti i membri del nido; oppure del gruppo direttivo, composto solo dai sette.
Come armi gli appartenenti a questo cult usano prevalentemente bottiglie e machete. Sfruttano la prostituzione, si occupano della tratta dei loro connazionali, commerciano stupefacenti, tipo crak e alcune droghe derivate dagli scarti dell’eroina.
3. Maphite Il Cult dei Maphite, nasce l’11 maggio del 1978 in Nigeria, e nella sua evoluzione criminale si ispira alla mafia italo americana. I suoi capi vengono chiamati come il padrino, Don, e la sua struttura è gerarchica e verticistica come in Cosa nostra siciliana. Esistono famiglie in tutto il mondo, ma fanno capo alla famiglia madre che si trova in Nigeria, retta da un leader, che è l’ultimo ancora in vita dei tre fondatori originari del cult. Come gli altri gruppi, hanno registrato un’associazione apparentemente legale con scopi filantropici e benefici. Ma tutti i nigeriani che entrano nella Greem Circuit Association sono consapevoli di entrare a far parte di un Cult, quello dei Manphite o Maphite. Il cult affilia solamente persone di sesso maschile, senza discriminazioni religiose. La sua festa viene celebrata ogni anno, l’11 maggio, giorno in cui si ricordano i defunti caduti “in azione”. Nell’occasione i Maphite sono soliti indossare un cappello di colore verde, mentre il loro simbolo è costituito da due palmi della ma-
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no, uniti e rivolti verso l’alto, e una fiamma nel mezzo che arde. Le indagini degli ultimi anni hanno evidenziato la diffusione dei Maphite soprattutto in Emilia Romagna e in Piemonte12. Le indagini dirette dalla DDA di Torino, hanno registrato la presenza di ben quattro famiglie di questo Cult, che si sono divise il territorio italiano: una chiamata “famiglia vaticana”, che ha diramazioni principalmente in Emilia Romagna; a Torino e in Piemonte comanda la “famiglia latino”, nel Lazio la famiglia chiamata “Roma Empire, e in Sicilia e Sardegna la famiglia chiamata “light house of Sicily”. Vi sono strutture nazionali e sovranazionali: il business principale è quello del traffico di droga, prevalentemente cocaina che dal Sud America giunge in Nigeria o nel Benin nella città di Cotonou. Da lì i corrieri ripartono, ingerendo anche sino ad una settantina di ovuli per volta, trasportando quantitativi che, in euro, oscillano tra il milione/milione e mezzo per volta.
4. Vikings Il cult dei Vikings è stato costituito nel 1984, presso l’Università di Port Harcourt (Nigeria), da un fuoriuscito dei Buccaneers,
DIA, Relazione al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia, I semestre 2019, pp. 454 ss.
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che creò una nuova confraternita chiamandola Supreme Vikings Confraternity (conosciuta anche come Arobaga o Adventures o, in alternativa, De Norsemen Club Of Nigeria). Una volta approdato in Italia, il cult ha ulteriormente abbreviato il suo nome semplificandolo in Vikings13. Esattamente come accaduto per le altre confraternite, anche quest’ultima era nata con finalità e scopi sociali, ben presto accantonati, caratterizzandosi, rispetto alle altre, per la massiccia presenza di soggetti maschili molto giovani e particolarmente aggressivi. Al pari di altre confraternite anche i Vikings sono stati oggetto di contrasto da parte delle Autorità nigeriane, le quali, per cercare di arginare il fenomeno, sono talvolta intervenute durante la celebrazione di alcuni cruenti riti di affiliazione. Nel nostro Paese la presenza dei Vikings è in chiara contrapposizione agli Eye e ai Black Axe, riscontrata in misura più consistente in Piemonte, Marche, Emilia Romagna (a Ferrara e a Reggio Emilia, in particolare), nella provincia di Bari, in Sicilia e in Sardegna. Taluni contatti con connazionali stanziati in altri Paesi europei sono risultati funzionali all’importazione di stupefacenti anche mediante l’impiego di corrieri reclutati tra giovani nigeriani anche di sesso femminile. Tra le attività illecite d’interesse figurano lo spaccio di sostanze stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione
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Ibidem.
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clandestina, lo sfruttamento della prostituzione, i cui proventi è verosimile che vengano trasferiti in madrepatria. Proprio la gestione delle attività illecite sul territorio costituisce l’occasione per azioni violente foriere di allarme sociale, come rilevato soprattutto nella città di Torino e Ferrara. Come gli altri cult, i Vikings sfruttano i flussi migratori utilizzando spesso i centri di accoglienza come luoghi di primo insediamento e, a volte, di vero e proprio arruolamento.
5. Elementi comuni dei Cult
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Nel corso delle numerose indagini, è emerso un elemento comune a tutti i Cult: una volta prestato il giuramento e fatto ingresso nella confraternita non è più possibile uscirne. I motivi sono evidenti: conosciuti i dettagli dei Secret Cults, questi per rimanere tali non possono tollerare defezioni. L’unico modo per uscirne: morire (naturalmente o per “incidente”) o in alternativa provare a fuggire scomparendo. I Secret Cult presentano strutture organizzate in modo verticistico, che sono state ricostruite nell’ambito delle numerose indagini svolte dalle diverse Procure, in particolare quella di Torino e Palermo. Le confraternite della Black Axe o AYE e degli EIYE o S.E.C. sono due tra quelle più analizzate e contrastate dalle forze di polizia italiane. I motivi che hanno attira-
to su di loro l’attenzione delle forze dell’ordine sono: la loro forza in termini numerici, l’articolazione nel territorio, la violenza utilizzata per imporsi sulla comunità nigeriana e i continui conflitti antagonisti, anche armati, sfociati in omicidi e tentati omicidi. Attenzione che ha portato a diverse indagini, concluse con processi e sentenze, alcune delle quali già passate in giudicato e che ne hanno acclarato la pericolosità sociale e lo “stampo mafioso”. Nonostante siano state sottolineate alcune similitudini tra le mafie endogene ed i gruppi cultisti, al fine di contestare a questi il reato previsto dall’art. 416-bis C.P., la giurisprudenza ha sottolineato come questi elementi siano insufficienti. Tuttavia, al contrario, si può ritenere che le caratteristiche criminali dei secret cult nigeriani siano piuttosto caratterizzanti e rientrino nella fattispecie astratta di cui all’art. 416-bis. La forza intimidatrice, il vincolo associativo, l’organizzazione gerarchica con il conseguente assoggettamento e comportamento omertoso della comunità nigeriana, connotano senza ombra di dubbio i gruppi cultisti, come includibili nell’alveo previsto dal predetto art. 416-bis. Da tutte le dichiarazioni provenienti da persone interne ai sodali (collaboratori e non), o esterne a essi (giornalisti, scrittori, o le stesse vittime) che sono venuti in contatto con gli EIYE e con i Black Axe, emerge in modo ine-
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quivocabile come le due associazioni manifestino tutti gli elementi caratterizzanti il metodo mafioso. Segreta è l’associazione, l’affiliazione, i rituali, il simbolismo che ne contraddistingue i membri. L’uso della violenza ne caratterizza le modalità, tanto da ingenerare timore nella comunità e comportamenti omertosi. Non è necessario sapere che un soggetto appartiene al Cult, lo si desume chiaramente da come si comporta e, di conseguenza, gli altri lo temono. Se viene fatto uno sgarro a un membro del Cult, questo interverrà con i suoi consociati attraverso spedizioni punitive. Inoltre, non vi sono vincoli territoriali, visto che i Nest o i Forum sono sparsi per tutta la Penisola e sono in contatto tra loro. Il potere degli EIYE e della Black Axe sui nigeriani in Italia non si esplica solo con minacce e violenza esercitate su di loro, ma anche e soprattutto dal potere che i sodali dei Cult hanno in Nigeria: decine sono le testimonianze di gente che dice di temere non per sé, ma per i propri parenti rimasti in Nigeria, dove i Cult sono potenti e infiltrati all’interno delle forze di Polizia e Governo. Il legame con l’organizzazione presente in patria, infatti, è inscindibile, e da ciò i Cult distribuiti nei vari paesi, ne traggono linfa in termini di uomini e mezzi. Inoltre, mantenendo il rapporto con il gruppo in patria, esercitano un controllo totale sulla comunità nigeriana, in tutto il mondo. Per questo motivo, le collaborazioni e le testimonianze so-
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no davvero limitate. Il “prestigio criminale” dei Secret Cult, rende questi ultimi estremamente incisivi e pericolosi. Vi è, infine, una caratteristica dei Cult nigeriani del tutto simile a quella delle mafie locali: il controllo del territorio (zone o nest). Le indagini condotte a Torino, come quelle svolte a Palermo, hanno dimostrato come il controllo delle piazze di spaccio o delle aree di prostituzione non soltanto risponde a una logica economica, ma è l’unico modo per esercitare una pressione costante e continua nei confronti della comunità. Per questo motivo, spesso, vi sono vere e proprie guerre tra Cult per l’accaparramento di nuove o vecchie risorse territoriali. Guerre che sono da intendersi come un vero e proprio esercizio di controllo del territorio, finalizzato ad accrescere la forza del gruppo, e il suo potere nei confronti della comunità straniera e locale. Le estorsioni imposte alle piccole imprese commerciali, il controllo dei parcheggiatori abusivi e delle elemosine, al contempo, offrono risorse economiche al Cult e consentono a quest’ultimo di esercitare in modo capillare il controllo sulla propria area d’influenza, analogamente a come fanno Ndrangheta e Cosa nostra siciliana. Sulla base di quanto sopra affermato, rimangono pochi dubbi circa la configurabilità dei Cult nigeriani come associazioni a delinquere di stampo mafioso.
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6. I riti voodoo e la tratta di esseri umani
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Una componente essenziale della forza intimidatrice delle confraternite criminali non è legata all’uso della violenza fisica, esercitata dai gruppi di picchiatori presenti in ognuno di esse, ma a qualcosa di altrettanto permeante, terrorizzante e funzionale alle esigenze del gruppo: lo spiritismo, che in Nigeria si chiama JuJu o voodoo. Le religioni sincretiche si sono evolute a partire dalle religioni africane e variano a seconda delle aree geografiche in cui sono nate. Il sincretismo religioso viene adoperato dalle organizzazioni criminali nigeriane attuali per legare le vittime ai propri sfruttatori, così che questi, in qualunque parte del mondo vadano, non possano mai sentirsi al sicuro. Ognuno di questi rituali fa ricorso alla magia, nera o bianca, al sacrificio di animali e alla minaccia di morte, qualora il patto con lo spirito invocato venga infranto. Le pratiche del JuJu sono officiate per lo più da sacerdoti maschi (detti Houngan) che in Nigeria prendono il nome di Baba-Loa14 (letteralmente guida spirituale), se si tratta di magia bianca. Se si tratta di magia nera, l’officiante viene chiamato Bokors. Gli spiriti adorati nelle cerimonie sono molteplici, ad esem-
pio Ogou è uno spirito guerriero che lotta contro la condizione di povertà e miseria. È quello che il Baba-Loa invoca durante il patto tra la maman e la sua vittima: “Se tu non restituirai i 30 mila euro pattuiti per raggiungere l’Europa, Ogou ti darà la caccia, tu e i tuoi familiari impazzirete e morirete”15. La vittima non può sfuggire alla sua maman, da cui è legata con un patto spirituale oltre che “legale”. Quando la giovane giunge in Italia, ormai è troppo tardi. Solo dopo la sua partenza ha compreso quale sia il suo destino e con rassegnazione e paura lo dovrà accettare. Lavorerà come una schiava per anni per restituire la cifra che, durante il rito voodoo, ha promesso avrebbe restituito. Non importa che la maman le stia lontano, non è necessario esercitare un controllo fisico della ragazza, lei è schiava fisicamente e spiritualmente. Se non dovesse rispettare gli accordi, la maman si rivolgerebbe al Baba-Loa che libererebbe lo spirito contro la spergiura e porterebbe nel tribunale voodoo i parenti di questa rimasti in Nigeria e garanti del contratto. Nel 2018, accadeva una cosa senza precedenti. Il 9 marzo, infatti, in Nigeria, l’Oba Ewuare II di Benin city, “re sacerdote” dello Stato dell’Edo, dava una speranza alle migliaia e migliaia di giovani
Così recita, ad esempio, uno dei giuramenti fatti da una giovane dello stato del Benin che ha lasciato il suo paese per raggiungere le strade di Palermo, dove prostituirsi.
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A. Marconi, Il cantiere delle competenze. Formazione e lavoro nella società della conoscenza, Armando Editore, 2008. 14
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vittime della tratta delle prostitute nigeriane. Con un editto16, l’Oba liberava da ogni vincolo contratto con rito voodoo le giovani donne nigeriane cadute vittime di sfruttamento. Le pressioni internazionali e, verosimilmente, un buon quantitativo di denaro, hanno convinto l’ex ambasciatore nigeriano a praticare questo “esorcismo” collettivo che ha liberato tutte le ragazze che avevano giurato con i BabaLoa, ribaltando la maledizione contro le maman. L’efficacia di tale azione, se pur inizialmente apprezzabile, ha perso via via d’intensità. Se infatti dopo l’esorcismo collettivo si è registrato un sensibile aumento del numero di denunce da parte di donne vittime di tratta, ormai non più terrorizzate dalla loro morte in conseguenza della rottura del patto, con il passare del tempo, il dato si è nuovamente normalizzato. Il traffico di esseri umani e della prostituzione infatti continua a rappresentare il primo collettore di ricavi illegali da destinare al più lucroso traffico degli stupefacenti dell’attività criminosa nigeriana. Nella tratta, collegata al racket della prostituzione e allo sfruttamento della manodopera in nero, i sodalizi nigeriani hanno raggiunto elevati standard organizzativi e gestionali, curando interamen16 C f r. w w w. i l f a t t o q u o t i d i a n o . it/2018/03/25/liberate-dalla-magianera-e-dalla-superstizione-ora-le-donne-nigeriane-sono-libere-di-scegliere/4250951/.
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te ogni fase, dal ‘reclutamento’ in patria (ingaggio per debito) alla fornitura di documenti falsi per l’espatrio, dal trasferimento nei Paesi di arrivo per tappe successive, sino allo smistamento nei vari settori di impiego illecito. La maggior parte delle vittime proviene dagli Stati del sud, soprattutto Edo, ma anche Delta e Lagos. Nel traffico i cittadini dello Stato di Edo monopolizzano la tratta verso i Paesi Schengen, gli Yoruba e gli Igbo, invece, preferiscono Gran Bretagna e Usa. Le principali rotte per il trasferimento in Italia delle clandestine si sviluppano per via aerea diretta o in tratte successive oppure via terra, attraverso una serie di soste effettuate in vari Stati africani in attesa si verifichino le condizioni di sicurezza necessarie alla prosecuzione del viaggio, fino all’attraversamento del Sahara con successivo arrivo in Algeria, Libia o in Marocco. I profitti delittuosi alimentano diversi traffici illegali, anche in considerazione del rapporto spesso organico tra i gruppi operanti che, partecipando a un fitto network transnazionale, possono agevolmente orientare i proventi nei settori più remunerativi. I soldi ricavati dalla tratta degli esseri umani e dalla prostituzione vengono spesso investiti nel traffico di droga, sfruttando la fitta rete intercontinentale nigeriana per selezionare corrieri di varia nazionalità e provenienza, anche tra microcriminali delle diverse realtà ospiti. I proventi vengono riciclati in attività commerciali, soprattut-
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APPROFONDIMENTI
to negozi di alimentari etnici, nei phone-center o in strutture finanziarie di trasferimento di denaro, ad esempio money-transfer, attraverso cui controllano i circuiti delle rimesse in patria e supportano le filiere illegali all’estero.
7. Cult nigeriani e terrorismo islamico?
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Secondo una relazione di Gnosis del 2005 emerge: “[…] L’elevata capacità di alimentare la rete clientelare-lobbista-criminale consente ai gruppi nigeriani di interpretare fedelmente le opportunità offerte dalla transnazionalità. La poliedricità degli interessi illegali coltivati e la capillarità delle presenze nigeriane a livello mondiale garantiscono potenzialità competitive e rapida possibilità di convertire lo strumento illegale a favore degli affari congiunturalmente più remunerativi. La morfologia organizzativa della criminalità nigeriana presenta, infatti, una duttilità che consente di aderire alle più remunerative logiche del mercato globale e di sfruttare la vulnerabilità del Paese ospite. Inoltre, la complessità sociale ed etnica e le tensioni centrifughe presenti in Nigeria assicurano pericolosi canali di comunicazione e trasferimento delle criticità anche in Europa ed in Italia. Sotto l’aspetto squisitamente criminale, nella comunità nigeriana in Italia sta emergendo un contrasto competitivo tra le organizzazioni più dotate, che operano
all’interno di sistemi impermeabili, autoreferenziati, esclusivi ed inabissati, e il banditismo di raggruppamenti violenti, ipertrofici, più diretti ed ‘esternalizzati’. La maggiore visibilità delle bande finisce per nascondere il più subdolo sistema relazionale delle criminalità lobbiste, offrendo a queste ultime un maggiore agio evolutivo. Non si esclude, quindi, che proprio la criminalità lobbista e consociativa per la sua capacità di mimetizzarsi, possa offrire uno spazio sempre maggiore alle istanze di natura estremistico-religiosa, peraltro richiamate anche nelle citate ‘comunicazioni progettuali’ di Bin Laden. Il network, quindi, avrebbe le possibilità di interconnettere affari diversi, di veicolare rischi differenziati e di ‘confondere’ le matrici originarie della minaccia…”17. La relazione, presentata dalla rivista italiana di intelligence, ha annunciato quello che le forze di polizia hanno riscontrano circa dieci anni dopo nel corso delle indagini sulla Black Axe, confermando la presenza sul territorio italiano di un’organizzazione criminale pericolosa, assimilabile alle mafie, tanto da poterla definire mafia nigeriana, implicata nella gestione di molteplici traffici illeciti con caratteristiche di transnazionalità. Ad oggi, tuttavia, non sono ancora stati confermati, in via ufficiale, legami tra mafia nigeriana ed esponenti islamisti, ma
17 AA.VV, La mafia nigeriana fra voodoo e computer, in Gnosis – Rivista italiana di intelligence, n. 2, 2005.
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non è da escludere che vi siano state delle connessioni o vi saranno in futuro. Basti pensare a Boko Haram, letteralmente “l’istruzione occidentale è proibita”, un’organizzazione terroristica jihadista, fondata da Mohammed Yusuf nel 2002 a Maiduguri, capitale dello Stato nigeriano settentrionale di Borno. Come inizialmente per i cult, l’organizzazione nacque per far fronte alla povertà dilagante nel paese, per dar sostegno e accogliere le esigenze dei figli di quelle famiglie musulmane povere. Yusuf protestava contro la corruzione dello Stato, che riteneva illegittimo in quanto non islamico, e chiedeva a gran voce ai musulmani di non partecipare alla vita politica. Ma nel 2009, ci fu la svolta, quando i Yusuffiya (seguaci di Yusuf) decisero di non obbedire a una nuova legge che imponeva di portare il casco in moto nella città settentrionale di Bauchi, vicina allo Stato di Borno. Nei tre giorni successivi seguirono scontri violentissimi in tutto il nord del paese, tra Boko Haram e l’esercito, che si conclusero con l’uccisione di circa 700 membri del gruppo e l’assassinio del leader, Mohammed Yusuf, per mano della polizia. L’esercito, dopo aver mostrato in televisione il corpo morto dell’imam il 30 luglio, dichiarò che i Boko Haram erano ormai stati debellati. La violenza dell’esercito però non fece che radicalizzare ancora di più i membri di Boko Haram, che più numerosi di prima si riunirono sotto una nuova leadership.
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Ad oggi viene considerata tra le più sanguinarie organizzazioni nella storia dell’eversione contemporanea, seconda solo ai talebani afghani e pari a quell’Al Qaeda in Iraq di Al Zarqawi a cui, nel marzo 2015, Boko Haram si è autoaffiliata con atto di sottomissione (bay’a)18. Negli ultimi mesi Boko Haram ha intensificato i suoi attacchi. Una fazione del gruppo jihadista si è recentemente insediata nel bacino del lago Ciad, un territorio che interessa gli Stati di Ciad, Nigeria, Niger e Camerun. In particolare, dall’inizio del 2020, nelle zone semi-insulari e paludose della provincia del lago Ciad, l’organizzazione ha raddoppiato i suoi attacchi contro le locali forze di sicurezza. Ciò che potrebbe portare a unire le forze tra le confraternite nigeriane e Boko Haram è il predominio del territorio e l’aumento del business economico dettato dal possibile gemellaggio, in un terreno internazionale sempre più vasto. L’Africa è considerata ad oggi tra i Continenti più ricchi di risorse, ma al contempo con il più alto tasso registrato di povertà. E come è emerso dall’analisi fin qui presentata, la povertà è il terreno fertile in cui crescono e proliferano gruppi criminali e terroristici.
G. Tappero Merlo, Se il radicalismo islamico cavalca l’Africa nera, in Gnosis – Rivista italiana di intelligence, n. 1, 2017, pp. 91-97.
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Studio Criminologico delle Segnalazioni di Operazioni Sospette
Sabrina Familiari
Sommario: Premessa. – 1. L’obbligo di Segnalazione Sospetta. – 1.1. Il processo di analisi dei flussi finanziari. – 1.2. La metodologia di analisi dei flussi finanziari. – 1.3. Le Segnalazioni AntiRiciclaggio Aggregate. – 1.3.1. Le Operazioni in Contanti. – 1.3.2. Le Operazioni in Criptovalute. – 2. Conclusioni.
Premessa Negli ultimi anni il fenomeno del riciclaggio del denaro sporco e del reinvestimento dei proventi derivanti da attività illecite si è sviluppato in modo considerevole, sia a livello nazionale che internazionale. Il riciclaggio non è un reato riconducibile ad un singolo atto, ma è il risultato di un processo che prevede diversi passaggi e molteplici responsabili. Spesso è lo stesso sistema ad alimentarlo senza saperlo e quasi mai è facilmente riconoscibile, perché il problema è saper distinguere il denaro puli-
to da quello sporco, costituito dai proventi illeciti del crimine nelle sue tante declinazioni. I modelli organizzativi della holding del riciclaggio rispecchiano quelli di aziende dinamiche, capaci di soluzioni ingegnose, rapide e in costante evoluzione per occultare il denaro e muoverlo verso investimenti apparentemente legali. Il riciclaggio valica i confini nazionali e anche la più efficace delle indagini è costretta a scontrarsi con le realtà di quegli Stati che, nell’intento di proteggere la privacy degli investitori, offrono uno
APPROFONDIMENTI
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scudo dietro al quale si annidano i riciclatori. Solo un sistema integrato di controlli consente di ottenere dei risultati concreti intercettando i numerosi volti del riciclaggio. I risultati delle analisi in campo criminologico dimostrano che le attività di riciclaggio e di reinvestimento incidono sensibilmente sul sistema economico nel suo complesso e soprattutto sul sistema finanziario, utilizzato dal crimine organizzato per occultare più efficacemente le risorse patrimoniali illecitamente conseguite. A fronte di capitali che si spostano continuamente, l’arma in più per contrastare tale fenomeno è quella della cooperazione e dello scambio di informazioni a livello sia nazionale sia transnazionale. Il fulcro della normativa antiriciclaggio è infatti rappresentato dalle segnalazioni di operazioni sospette (nel seguito, SOS), funzionali ad avviare controlli, approfondimenti e indagini da parte della Unità di Informazione Finanziaria1 (nel seguito, UIF) e delle Autorità competenti. Il presente lavoro tratta lo studio, anche a livello statistico, dell’obbligo di segnalazione di operazioni
Unità di Informazione Finanziaria (UIF), operativa dal 2008, è stata istituita presso la Banca d’Italia in seguito alla soppressione dell’Ufficio Italiano Cambi dal D.Lgs. 231/2007. L’Unità di Informazione Finanziaria è un ordinamento di natura amministrativa, non dotato di personalità giuridica autonoma, preordinato all’approfondimento finanziario delle SOS al fine di svolgere un’azione di prevenzione. 1
sospette, disciplinato dal Capo III del D.Lgs. 231/2007, come modificato dal D.Lgs. 90/20172.
1. L’obbligo Sospetta
di
Segnalazione
In base ai Rapporti annuali emessi dalla UIF, relativamente al periodo 2009 – 2019, è stato compiuto uno studio sulle modalità di adempimento all’obbligo di segnalazione sospetta con un particolare focus sulle segnalazioni pervenute e trasmesse agli Organi di Investigazione, sulle segnalazioni ritenute non fondate e sui provvedimenti di sospensione emessi dalla UIF. Lo studio si è esteso anche alle Segnalazioni AntiRiciclaggio Aggregate3 (nel seguito, SARA), con un approfondimento sulle segna-
Il D.Lgs. 90/2017 è stato emanato in attuazione della Direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e recante modifica delle direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE e in attuazione del Regolamento (UE) n. 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il Regolamento (CE) n. 1781/2006. 3 Le Segnalazioni Antiriciclaggio Aggregate (SARA) devono essere trasmesse con cadenza mensile alla UIF da parte degli intermediari finanziari e bancari. Trattasi di “(…) dati aggregati concernenti la propria operatività, al fine di consentire l’effettuazione di analisi mirate a far emergere eventuali fenomeni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo nell’ambito di determinate zone territoriali (…)”, così come cita l’art. 40 del D.Lgs. 231/2007. 2
Studio Criminologico delle Segnalazioni di Operazioni Sospette
lazioni concernenti l’utilizzo del contante e delle operazioni con criptovalute. L’obbligo di segnalazione di operazione sospetta costituisce il fulcro della normativa antiriciclaggio e deve essere adempiuto quando intermediari finanziari (e altri esercenti attività finanziaria), professionisti, revisori e altri operatori non finanziari “(…) sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa4”. Le segnalazioni di operazioni sospette si distinguono in: • segnalazione originaria, elaborata per la prima volta da un soggetto obbligato il quale, in fase di trasmissione, ne assegna un numero progressivo che poi muta in un numero identificativo univoco una volta acquisita dalla UIF; • segnalazione sostitutiva, elaborata da un soggetto obbligato su propria iniziativa o su richiesta della UIF per rettificare i dati contenuti in una segnalazione originaria. La segnalazione di operazione sospetta deve riportare tutte le
4 Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto anche conto della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti.
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informazioni necessarie affinché la UIF possa avviare gli opportuni approfondimenti e valutarne l’effettiva natura sospetta5. 1.1. Il processo di analisi dei flussi finanziari
La UIF è istituzionalmente deputata a ricevere e analizzare le segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo che intermediari finanziari, professionisti e altri operatori qualificati hanno l’obbligo di individuare e comunicare tempestivamente, secondo il principio di collaborazione attiva. L’analisi dei flussi informativi è funzionale a: • cogliere collegamenti oggettivi e soggettivi; • tracciare i flussi finanziari anche oltre i confini nazionali; • ricostruire modalità innovative di realizzazione del riciclaggio; • selezionare casi meritevoli di analisi finanziaria approfondita; • elaborare indicatori e schemi di anomalia utili per orientare
Il modello segnaletico prevede una netta separazione tra i dati informativi di dettaglio, da fornire in forma strutturata, e gli elementi descrittivi, da fornire in forma libera. Il segnalante è tenuto a indicare: • l’evento o l’attività all’origine del sospetto; • il tipo di fenomeno individuato; • se l’operatività segnalata sia identificabile con uno schema rappresentativo di comportamento anomalo diffuso dalla UIF; • un giudizio sul possibile rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo secondo il proprio prudente apprezzamento. 5
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APPROFONDIMENTI
i soggetti obbligati nell’individuazione di operatività sospette. I risultati delle analisi effettuate vengono poi trasmessi al Nucleo Speciale della Polizia Valutaria (nel seguito, NSPV) e alla Direzione Investigativa Antimafia (nel seguito, DIA) competenti per gli accertamenti investigativi, nonché all’Autorità Giudiziaria solo qualora emergessero notizie di reato ovvero su sua richiesta. 1.2. La metodologia di analisi dei flussi finanziari
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Una volta che le SOS sono state trasmesse alla UIF, quest’ultima procede ad effettuare una valutazione di tipo finanziario al fine di analizzare la fondatezza delle segnalazioni ricevute, per proseguire poi con l’approfondimento delle stesse al fine di valutarne il grado di rischio e definirne il trattamento. L’analisi appena illustrata rappresenta il momento centrale dell’attività di intelligence svolta dalla UIF per ottenere spunti investigativi e d’indagine da trasmettere alle Autorità preposte all’accertamento del riciclaggio, dei reati presupposto e del finanziamento del terrorismo, nonché per individuare e definire tipologie e schemi di comportamento anomalo da diffondere ai soggetti obbligati. La UIF ha a disposizione una pluralità di fonti informative quali, a titolo esemplificativo, archivi, dati e documentazione richiesti ai segnalanti, fonti informative pubbliche, richieste di collaborazione con le Financial Intelligence Unit
(nel seguito, FIU) estere e sistemi informatizzati. Tra i sistemi informatizzati, è da segnalare il sistema denominato Segnalazioni Operazioni Sospette per la Raccolta e Analisi Dati per AntiRiciclaggio6 (nel seguito, RADAR), che acquisisce le segnalazioni inserite e ne individua quelle con elevato rischio alla luce degli importi movimentati, delle caratteristiche dei soggetti coinvolti o di altre circostanze ritenute rilevanti e che, pertanto, richiedono una valutazione prioritaria. Tale sistema si avvale di un algoritmo strutturato su variabili quantitative per assegnare un livello di rischio su una scala di cinque livelli, denominato rating, fortemente influenzato dalla corretta compilazione dello schema segnaletico da parte del segnalante. Trattandosi di una valutazione del rischio che esclude la componente qualitativa, al termine dell’analisi finanziaria, l’analista è tenuto a confermare oppure modificare il livello di rischio calcolato dall’algoritmo, emettendo così un rating finale con il quale la segnalazione è trasmessa agli Organi investigativi per la valutazione della rilevanza investigativa. L’Unità ha anche la possibilità di avere un riscontro da parte del Nucleo Speciale Polizia Valutaria (NSPV), il quale elabora e trasmette alla UIF in forma sintetica, sulla Tale sistema informatizzato ha introdotto un unico modello di segnalazione per tutte le categorie di soggetti obbligati. Il sistema utilizza gli archivi della UIF per incrociare i dati strutturati della segnalazione.
6
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base dei precedenti giudiziari e di polizia dei soggetti coinvolti, i livelli di pregiudizio investigativo relativi a ciascuna segnalazione. A partire dal 1° gennaio 2016, qualora una segnalazione presenti dei collegamenti con paesi esteri, essa viene selezionata per attivare, in modo rapido e mirato, il canale della collaborazione internazionale attraverso la rete informatica FIU. NET. L’esito delle analisi eseguite dalla UIF può essere: • di SOS non ritenute rilevanti, trasmesse sistematicamente agli Organi investigativi per assicurare il rispetto della previsione normativa che assicura la consultazione delle stesse a fini investigativi7; • di sospensione per un massimo di cinque giorni lavorativi su richiesta del NSPV e/o della DIA e/o dell’Autorità giudiziaria; • di trasmissione della SOS agli Organi investigativi che ne comunicano l’interesse investigativo. Nella successiva Tabella 1 sono riepilogate le SOS ricevute, analizzate, non ritenute fondate e sospese nell’arco temporale 2009
– 2019, desumibili dai Rapporti Annuali emessi dalla UIF. Dalla Tabella 1 emerge che, rispetto all’incremento costante dal 2009 al 2012, nel 2013 si è verificata una riduzione delle SOS pervenute alla UIF del 3,6% rispetto all’anno precedente. Secondo il Rapporto Annuale della UIF emesso nel 2013, tale contrazione è associata a una riduzione delle segnalazioni pervenute da Banche e Poste, che hanno inoltrato comunque la maggior parte delle segnalazioni. La contrazione è stata compensata da un aumento delle segnalazioni pervenute da altre categorie di segnalanti, con un incremento delle segnalazioni del 40% rispetto all’anno 2012. Le segnalazioni pervenute dal 2015 in poi hanno subìto un notevole incremento, presumibilmente a causa dell’avvio delle procedure di voluntary disclosure che hanno portato, nel 2016, ad un incremento delle SOS del 150% da parte dei professionisti. Nello specifico, l’incremento si è registrato relativamente alle società fiduciarie (che nel 2016 hanno trasmesso 1.700 segnalazioni rispetto alle
Tabella 1 – SOS ricevute, analizzate, non fondate e sospese dal 2009 al 2019
SOS Ricevute Analizzate Non Fondate Sospese
2009 21.066 18.838 4.024 14
2010 37.321 26.963 3.560 34
2011 49.075 30.596 1.271 45
2012 67.047 60.078 3.271 40
2013 64.601 92.415 7.494 64
2014 71.758 75.857 16.263 41
2015 82.428 84.627 14.668 29
2016 101.065 103.995 10.899 31
2017 93.820 94.018 16.042 38
2018 98.030 98.117 15.952 47
2019 106.318 90.254 16.064 43
Si precisa che "Il flusso di segnalazioni lavorate e inviate è leggermente superiore a quello delle SOS ricevute nello stesso periodo, in quanto è stato adeguato ad assorbire l’aumento delle segnalazioni ricevute e a ridimensionare ulteriormente lo stock delle segnalazioni in lavorazione .".
Fonte: Rapporti Annuali della UIF dal 2009 al 2019
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APPROFONDIMENTI
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859 del 2015) e alle imprese di assicurazione (che nel 2016 hanno trasmesso 2.185 segnalazioni contro le 1.201 del 2015). Il numero di provvedimenti di sospensione, invece, ha sempre mantenuto un andamento disomogeneo durante tutto il decennio esaminato, raggiungendo il minimo storico nel 2009, con sole 14 sospensioni, ed un picco di massimo nel 2013, durante il quale sono stati sospesi ben 64 provvedimenti. È inoltre interessante notare che, nell’intero decennio 2009-2019, gli enti che hanno registrato il maggior numero di segnalazioni sono risultati essere le Poste e gli istituti di credito. Nella successiva Tabella 2 sono riepilogate le categorie delle segnalazioni trasmesse dal 2009 al 2019 in base alla ripartizione tra i reati di riciclaggio (con un approfondimento delle SOS per Voluntary Disclosure), di finanziamento del terrorismo e di finanziamento dei programmi di proliferazione delle armi di massa. I fenomeni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo sono
difficilmente distinguibili da parte dei segnalanti in quanto presentano zone di sovrapposizione. L’obbligo di segnalazione a carico degli intermediari relativamente al reato di finanziamento dei programmi di proliferazione delle armi di distruzione di massa è stato introdotto con il Provvedimento del 13 novembre 2009 della Banca d’Italia, in recepimento del Regolamento CE 1100/2008, “recante indicazioni operative per l’esercizio di controlli rafforzati contro il finanziamento dei programmi di proliferazione di armi di distruzione di massa”. Esaminando i dati sulla provenienza geografica delle segnalazioni contenuti nei Rapporti analizzati, emerge come dal 2009 al 2019 le regioni da cui pervengono il maggior numero di segnalazioni sono: • la Lombardia, con una percentuale compresa tra il 18% e il 25%; • il Lazio, con una percentuale compresa tra il 9% e il 14%; • la Campania, con una percentuale compresa tra l’8% e il 12%, presumibilmente a causa del
Tabella 2 – Ripartizione delle SOS ricevute dal 2009 al 2019
Categorie di Reato
2009 20.660 -
2010 37.047 -
2011 48.836 -
2012 66.855 -
2013 64.415 -
2014 71.661 -
2015 82.142 6.782
2016 100.435 21.098
2017 92.824 6.112
Finanziamento del terrorismo
406
222
205
171
131
93
273
619
981
1.066
770
Finanziamento dei Programmi di proliferazione delle armi di distruzione di massa
40
52
34
21
55
4
13
11
15
18
86
Riciclaggio Voluntary Disclosure
Fonte: Rapporti Annuali della UIF dal 2009 al 2019
2018 2019 96.946 103.972 2.154 961
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contesto economico-sociale e dello spessore del settore finanziario del luogo di origine della segnalazione. 1.3. Le Segnalazioni AntiRiciclaggio Aggregate
Parallelamente all’analisi operativa diretta all’approfondimento dei singoli casi di sospetto di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, tra le funzioni istituzionali della UIF rientra l’attività di analisi strategica. Per compiere tale analisi, la UIF si avvale dell’intero patrimonio informativo acquisito nell’ambito dell’attività operativa, nonché delle collaborazioni con le autorità nazionali ed internazionali, ricorrendo inoltre alle Segnalazioni AntiRiciclaggio Aggregate. I flussi SARA devono essere trasmessi dagli intermediari finanziari con cadenza mensile, secondo quanto disciplinato dall’art. 40 del D.Lgs. 231/2007. Le segnalazioni SARA riguardano tutte le operazioni registrate nell’Archivio Unico Informatico8 (nel seguito, AUI), disposte dalla clientela per importi, anche frazionati, superiori alla soglia di € 15.000. I dati SARA hanno carattere anonimo e aggregato e coprono tutta la gamma di opera-
La disciplina sull’Archivio Unico Informatico (AUI) è prevista dal Provvedimento recante Disposizioni Attuative per la tenuta dell’Archivio Unico Informatico e per le modalità semplificate di registrazione di cui all’art. 37 comma 7 e 8 del D.Lgs. 231/2007.
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SABRINA FAMILIARI
zioni finanziarie e degli strumenti di pagamento. I metodi utilizzati per l’analisi sono di carattere quantitativo e si basano su tecniche econometriche e strumenti di data mining scelti a seconda del fenomeno esaminato, dei dati disponibili e degli obiettivi prefissati, al fine di identificare tendenze e anomalie su base statistica. La UIF analizza sia le operazioni in entrata, sia quelle in uscita (specificando se le operazioni sospette sono state effettuate in contanti), e definisce i criteri di aggregazione, che includono: • il tipo di mezzo di pagamento utilizzato; • l’ubicazione dell’intermediario segnalante e la residenza del segnalante; • il settore di attività economica; • l’ubicazione del soggetto controparte e del suo intermediario. Nei Paragrafi successivi saranno approfondite le operazioni in contanti e in criptovalute che destano la maggior preoccupazione dal punto di vista di rischio elevato di riciclaggio. 1.3.1. Le Operazioni in Contanti
La UIF rivolge particolare attenzione alle transazioni regolate in contanti, le cui informazioni sono considerate significative in un’ottica di prevenzione del riciclaggio. Dall’analisi dei Rapporti annuali redatti dalla UIF dal 2008 al 2018, è emerso che le segnalazioni concernenti l’utilizzo di
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APPROFONDIMENTI
denaro contante sono state numericamente in aumento, oltre ad essere il canale più utilizzato insieme al bonifico bancario. Nella successiva Tabella 3 è rappresentata in percentuale l’incidenza delle operazioni in contanti oggetto di SOS.
ziamento del Terrorismo emessa dalla Banca d’Italia nel 20149, l’uso del contante caratterizza numerosi fenomeni quali l’usura, il traffico illecito di rifiuti e armi, le truffe, nonché i reati di sfruttamento sessuale, di spaccio di stupefacenti, i reati tributari ed
Tabella 3 – Percentuale di operazioni in contanti dal 2008 al 2018 Tipologia di operazione segnalata Operazioni in contanti
2008
2009 2010
2011
2012
Anno 2013 2014 2015 2016
2017
2018
44,3% 38,7% 38,5% 37,2% 39,1% 38,5% 29,9% 26,3% 31,0% 34,0% 20,8%
Fonte: Rapporti Annuali della UIF dal 2008 al 2018
150
i riguardanti operazioni realizzate in contanti riportano, oltre all’ammontare dei prelievi e dei versamenti su conti correnti, anche altre tipologie di transazioni regolate in contanti. È stato riscontrato che le operazioni di prelevamento, rispetto a quelle di versamento, sono state sempre frammentate nell’arco degli anni, tanto da collocarsi spesso al di sotto della soglia di rilevanza. Di conseguenza emerge un forte divario tra gli importi versati e quelli prelevati rilevati nei flussi SARA. Nonostante la crescente diffusione di strumenti alternativi di pagamento e l’efficacia del monitoraggio sui possibili utilizzi illeciti degli stessi posto in essere dagli intermediari finanziari e dalle autorità di controllo, il ricorso al contante è particolarmente elevato in Italia. Secondo l’Analisi Nazionale dei Rischi di Riciclaggio e Finan-
infine ai reati a scopo estorsivo e corruttivo. Sulla base di informazioni riferite dall’Agenzia delle Dogane, a partire dal 2017 si registrano versamenti di contante in euro di importo molto rilevante (oltre 1 miliardo di euro nel biennio 20172018) su conti correnti di alcune società ungheresi, mediante movimentazione transfrontaliera in violazione della normativa valutaria.
Tale analisi, a carattere sperimentale, è stata effettuata per la prima volta nel 2014 con l’obiettivo di identificare, analizzare e valutare le più rilevanti minacce di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Tale analisi, compiuta da un gruppo di lavoro composto dalle Autorità partecipanti al Comitato di Sicurezza Finanziaria (CSF), da Rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e da altre amministrazioni con competenze specifiche su temi di interesse, è preordinata all’elaborazione di linee di intervento per la mitigazione dei rischi.
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Tali flussi finanziari anomali tra Italia e Ungheria sono strettamente connessi ad altrettanti flussi finanziari anomali tra Italia e Cina. Risulta infatti un notevole incremento delle quantità di prodotti tessili di origine cinese sdoganate in Ungheria e successivamente trasferite in paesi europei ove sono situate le società destinatarie delle merci. Per continuare così a perpetrare fenomeni di sotto-fatturazione delle merci importate dalla Cina e per poter corrispondere ai fornitori cinesi la differenza tra il valore fatturato e quello reale dei beni scambiati, le società italiane (soprattutto delle province di Prato e Roma) ricorrono a versamenti di ingenti somme di denaro contante su conti intestati alle società ungheresi riconducibili ai fornitori cinesi. La predilezione per l’uso del contante è giustificata dal fatto che tale soluzione impedisce la tracciabilità e garantisce l’anonimato degli scambi. Con il D.Lgs. 90/2017, la normativa antiriciclaggio ha introdotto una nuova componente informativa già presente in molti paesi: l’obbligo di trasmettere alla UIF, con cadenza periodica, dati e informazioni individuati in base a criteri oggettivi, concernenti operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Le cd. “comunicazioni oggettive”, introdotte in data 28 marzo 2019, devono contenere i dati relativi alle operazioni in contante di importo pari o superiore a € 10.000 eseguite nel corso del
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mese solare a valere su rapporti ovvero mediante operazioni occasionali, anche se realizzate attraverso più operazioni che singolarmente sono pari o superiori a € 1.000. Devono essere considerate tutte le movimentazioni di denaro effettuate dal medesimo soggetto, in qualità di cliente o di esecutore. Le comunicazioni oggettive relative ai primi otto mesi rilevati (aprile-novembre 2019) hanno riguardato 33,5 milioni di operazioni per un importo complessivamente pari a 178 miliardi di euro, di cui: • 2,6 milioni di operazioni sono riferite a prelievi di contanti; • circa 30,9 milioni di operazioni sono riferite a versamenti di contanti che vedono coinvolti oltre 3 milioni di soggetti. Nell’immagine che segue è riportato un dettaglio delle operazioni per classi di importo:
Nel dettaglio, l’86% dei prelievi e il 98% dei versamenti di contante hanno riguardato movimentazioni di conti. Sono stati inoltre registrati prelievi fuori conto: poco più del 20% delle operazioni è associa-
151
APPROFONDIMENTI
to ad assegni circolari, lo 0,3% a bonifici nazionali e il 6,1% a operazioni effettuate presso money transfer. Parimenti, sono stati registrati versamenti fuori conto connessi a bonifici nazionali che coprono il 10% delle operazioni. La distribuzione territoriale del valore delle operazioni in contanti, rapportato al PIL regionale del 2019, evidenzia una maggiore intensità dell’utilizzo del contante in Veneto, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. 1.3.2. Le Operazioni in Criptovalute
152
Il D.Lgs. 90/2017 definisce le valute virtuali quali “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. Le cd. “valute virtuali”, di cui la tipologia più diffusa è il Bitcoin, vengono utilizzate come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi. Le operazioni di negoziazione e di trasferimento vengono effettuate prevalentemente online, fra soggetti che possono operare in Stati diversi, anche se considerati Paesi a rischio. A causa della diffusione delle valute virtuali, la UIF, nel corso del 2018, ha avviato una ricognizione su circa n. 900 SOS a partire dal
2013, aventi ad oggetto l’operatività in virtual asset. Alcune di queste segnalazioni, connesse all’acquisto di criptovalute, hanno evidenziato un’operatività finanziaria caratterizzata da: • frequenti e rilevanti versamenti e prelievi di contante non giustificati dalle attività svolte; • numerosi bonifici da e verso società estere specializzate nella compravendita di criptovalute, che hanno visto coinvolte le FIU dei paesi interessati dai flussi di capitali. L’analisi ha riportato una crescita del fenomeno contestuale alla progressiva diffusione dello strumento. Il maggior numero di SOS esaminate è stato trasmesso da banche e Poste (per il 95,5%), e una parte residuale dagli istituti di pagamento (per il 2,3%) e dagli istituti di moneta elettronica (per l’1,3%). Le tipologie di operazioni segnalate riguardano bonifici da/ verso exchangers10 finalizzati all’acquisto o alla vendita di virtual asset o a più articolate attività di trading, con presumibili intenti di investimento o speculazione. L’importo complessivo delle operazioni in valuta virtuale segnalate è di circa 96 milioni di euro. Per contrastare il rischio di riciclaggio, i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale,
Un exchanger è un mercato dove è possibile negoziare diversi strumenti finanziari, fornendo ogni mezzo necessario per negoziare coppie di strumenti finanziari, come Bitcoin per Altcoin o qualsiasi valuta legale.
10
Studio Criminologico delle Segnalazioni di Operazioni Sospette
limitatamente allo svolgimento dell’attività di conversione di valute virtuali da/in valute aventi corso forzoso, sono stati annoverati nella categoria di altri operatori non finanziari dal D.Lgs. 90/2017. Parimenti, ulteriori novità sono state introdotte dal D.Lgs. 125/2019, in ossequio al dovere di recepimento dell’Italia della Direttiva (UE) 2018/843, c.d. “V Direttiva”. Nel dettaglio: • è stata data una puntuale definizione dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali quali soggetti che, oltre a fornire a terzi servizi atti all’utilizzo, scambio, conservazione e conversione di criptovalute, offrono anche servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio delle medesime valute; • è stata definita la valuta virtuale come una valuta che detiene un valore digitale che, nonostante non sia né emessa né garantita da una Banca centrale o da un ente pubblico, non è legata necessariamente ad una valuta avente corso legale attuale; • è stato riconosciuto lo status di mezzo di scambio che può essere trasferito, memorizzato e scambiato per mezzo elettronico ovvero può essere utilizzato ai fini di investimento. Oltre ai prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali, destinatari dell’obbligo di colla-
SABRINA FAMILIARI
borazione attiva sono anche i prestatori di portafoglio digitali, ovvero quei soggetti fisici o giuridici che professionalmente, ed anche online, forniscono a terzi servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti utili a detenere e trasferire criptovalute.
2. Conclusioni Le interrelazioni fra criminalità e affari sono sempre più strette e organiche ed è spesso difficile scindere le attività illecite da quelle apparentemente legittime ma effettuate da imprese inquinate. Il riciclaggio è uno strumento rilevante per la criminalità, in quanto contribuisce a rafforzarne il controllo su un territorio, a creare relazioni con il mondo economico, finanziario, politico, amministrativo e ad accrescerne la capacità di intimidazione. Ha quindi un potere inquinante oltre misura e condiziona negativamente la vita economica e sociale di interi Paesi, soprattutto a fronte di patti di mutua collaborazione tra organizzazioni criminali e organizzazioni terroristiche. Nonostante una maggiore consapevolezza dei rischi di compromissione del riciclaggio e, nonostante negli anni presi in esame il numero di segnalazioni di operazioni sospette sia aumentato a dismisura, esiste una zona grigia in cui i soggetti continuano a celare pratiche di riciclaggio e
153
APPROFONDIMENTI
esistono settori economici in cui facilmente si infiltrano le organizzazioni criminali. Tali pratiche, nell’arco degli anni, non sono mutate, bensì si sono assottigliate, non solo a livello nazionale ma anche a livello mondiale. Seppur all’interno di differenti contesti economici, finanziari e sociali, il riciclaggio si avvale di escamotage, modalità e strumenti finanziari che risultano essere sempre i medesimi a livello internazionale. Alla luce delle nuove minacce terroristiche globali, si rimarca la necessità di intensificare gli sforzi per migliorare la capacità di prevenire e combattere il terrorismo, colpendo proprio i canali del suo finanziamento. 154
Bibliografia Razzante R., (a cura di), Antiriciclaggio. Normativa e operatività, Lezione presentata al Master Interfacoltà di II livello in Scienze Forensi tenuto presso l’Università La Sapienza di Roma, 2016 Razzante R., Codice della normativa antiriciclaggio, Maggioli Editori, Santarcangelo di Romagna, 2013
Razzante R., La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Giappichelli Editore, Torino, 2011
Sitografia https://coinlist.me/it/altcoins/ bitcoin/exchanges/ https://uif.bancaditalia.it https://uif.bancaditalia.it/ a d e m p i m e n t i - o p e ra to r i /co municazioni-oggettive/index. html?com.dotmarketing.htmlpage.language=102 https://www.bancaditalia.it/ compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/disposizioni/disposizioni-110413/index.html. https://uif.bancaditalia.it/pubblicazioni/newsletter/2020/newsletter-2020-1/newsletter-20-1. pdf https://uif.bancaditalia.it/pubblicazioni/newsletter/2020/newsletter-2020-2/newsletter-20-2. pdf https://uif.bancaditalia.it/pubblicazioni/rapporto-annuale/index.html www.mef.gov.it, “Prima analisi nazionale sui rischi riciclaggio e finanziamento del terrorismo”
APPROFONDIMENTI
Il “mondo di mezzo”: analisi de iure condito attorno l’applicazione dell’art. 416-bis c.p. a mafia capitale
Andrea Bernabale
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Dalla Banda della Magliana a Mafia Capitale: transizione del crimine organizzato a Roma. – 3. L’art. 416-bis c.p. e i parametri caratterizzanti del metodo mafioso. – 4. Il metodo mafioso nel “mondo di sopra” e nel “mondo di sotto”. – 5. Mafia Capitale al vaglio della giurisprudenza e valutazioni conclusive.
1. Introduzione La recente pronuncia della Corte di Cassazione del 22 ottobre 2019 ha chiuso la parabola giudiziaria dell’inchiesta “Mondo di Mezzo” – ancorché siano da riformulare le pene spogliate dell’aggravante mafiosa – che ebbe origine nel settembre 2011, quando la Guardia di Finanza intercettò una barca nei pressi di Alghero con a bordo circa 500 chili di cocaina che avrebbero fruttato oltre 200 milioni di euro. Fu l’inizio di un iter giudiziario che scoperchiava un vaso di Pandora,
ipotizzando l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso riconducibile al fenomeno delle c.d. “mafie atipiche” e che configurava la punibilità dei responsabili secondo l’art. 416-bis c.p., generalmente applicato ad una ben precisa geografia del crimine organizzato1. Sebbene per decenni la mafia sia stata considerata indissolu-
1 Sull’argomento cfr. Mafie al Nord. L’interpretazione dell’art. 416-bis c.p. e l’efficacia degli strumenti di contrasto, di A. Balsamo, S. Recchione, in Diritto Penale Contemporaneo, 2013.
APPROFONDIMENTI
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bilmente legata a una certa “cultura meridionale” che la tenesse incatenata all’interno di una circoscritta area geografica della penisola italica, è altresì vero che l’espansione delle mafie al di là di un certo confine geografico sia un fatto assodato, destinato a far cadere la tesi che alcuni territori siano immuni al “contagio” mafioso. È un fatto noto come già a partire dagli anni ’70, la criminalità organizzata abbia sviluppato i suoi tentacoli nella zona settentrionale, favorita dall’importanza assunta dal traffico di stupefacenti che ha spinto le famiglie mafiose meridionali – in parallela crescita dei loro ingenti capitali accumulati – a trovare occasioni di investimento nell’Italia del Nord. La vicenda nota come “Mafia capitale”, che negli ultimi anni ha conquistato una roboante notorietà mediatica, si è pertanto posta dinnanzi ai giudici come un banco di prova per l’accertamento dell’esistenza di una mafia al di fuori dei propri confini tradizionali, e quindi punibile alla luce dell’art. 416-bis, condizione che la Cassazione, diversamente dal giudizio espresso in Appello, ha ritenuto non conforme alla realtà. Tuttavia, proprio in virtù del fatto che la questione sia passata da res iudicanda a res iudicata, ovvero secondo la Cassazione Mafia Capitale non è mafia, occorre considerare le caratteristiche della mafia romana emerse dalle indagini e chiedersi se la penalistica preposta al contrasto del fenomeno mafioso ben si applichi alla sua mutazione, evoluzione
ed espansione. A tale scopo, si procederà alla disamina fattuale e connotativa di una supposta “mafia capitale” e una successiva interpretazione dell’art. 416-bis e della sua applicabilità a contesti mafiosi non ortodossi, e quindi di una sua possibile estensività interpretativa che invece era stata accolta in Appello.
2. Dalla Banda della Magliana a Mafia Capitale: transizione del crimine organizzato a Roma È opinione diffusa, tra la popolazione romana, che la Banda della Magliana non sia mai realmente “morta”, ma che sia ancora attiva, seppure con personaggi diversi a comandarla. È un’opinione che effettivamente trova una certa fondatezza proprio alla luce del recente caso di Mafia Capitale che, seppure non sia strettamente riconducibile alla Banda della Magliana, appare come una sua riformulazione, se non “evoluzione”. Tuttavia, grazie alla figura nucleare di Carminati, Mafia Capitale sembra aver recepito, senonché ereditato, alcuni tratti peculiari che caratterizzavano la Banda della Magliana, dal suo legame ad ambienti affini all’estrema destra (nel frattempo evoluta anch’essa), alle personalità già membri della Banda e ora confluite nella nuova organizzazione, fino alla protezione derivante da legami occulti con apparati istituzionali e il legame perdurante con la
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micro-criminalità romana, anche detta “malavita di strada”. Tralasciando una ricostruzione storica volta a stabilire se vi sia una vera e propria continuità tra le due organizzazioni o individuare un qualsivoglia rapporto di derivazione, bisogna prendere atto che l’attuale organizzazione facente capo a Carminati presenti una struttura del tutto genuina e, per certi versi, “avanzata” rispetto a quella verosimilmente originaria. Mafia Capitale ha infatti geneticamente sviluppato tratti connotativi che legano il mondo del crimine, quello dell’alta finanza e quello della politica, configurandosi come un “mondo di mezzo” (dalle stesse parole di Carminati)2, intesa come quella sfera che fa da ponte tra diversi ceti per finalità illecite. Non stupisce che la “teoria del mondo di mezzo” sia stata formulata dallo stesso Carminati, posto che la sua storia criminale racconti come, già all’epoca della militanza nei NAR, spiccasse la sua capacità di far interagire le diverse realtà e porle nel “concerto” armonico del crimine organizzato. Tant’è che la stessa funzione di collegamento tra la Banda della Magliana e i NAR era proprio ricoperta da Carminati, ritenuto tra le
Nell’intercettazione telefonica del 13/12/2012, Carminati descrive le sue finalità con le seguenti parole: “...allora nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno”, delineando implicitamente la funzione connettiva del “mondo di mezzo”.
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parti l’uomo più giusto a svolgere tale ruolo per via della sua brillante trasversalità. In particolare, il Carminati ha mutuato da Maurizio Abbatino – all’epoca esponente di spicco della Banda della Magliana – la tattica di compartimentazione operativa, ovvero l’idea di dare all’esterno l’impressione di un frazionamento di gruppi tra loro scollegati3, peculiarità che ha caratterizzato anche Mafia Capitale e di importanza giuridica non indifferente, dal momento che questo che all’apparenza sembra costituire un mero elemento inquadrabile sul piano modale, ha determinato invero le ragioni per le quali la Cassazione non ha ritenuto l’organizzazione di Carminati qualificabile ai sensi del delitto di associazione mafiosa, ma bensì come organizzazione criminale semplice, distinta da quella avente a capo Salvatore Buzzi. Occorre infatti constatare – al fine di ricostruire sinteticamente la vicenda di Mafia Capitale e la sua struttura organizzativa – che proprio l’incontro tra Carminati e Buzzi, del quale non ripercorriamo in questa sede la sua storia criminale4, aveva indotto l’attività investigativa a ritenere che le due organizzazioni si fossero unite in
2
3 Cfr. interrogatorio di Maurizio Abbatino dell’11/12/1992. 4 Per un utile ed esaustivo approfondimento sul passato criminale di Salvatore Buzzi e l’incontro con Carminati si legga I Re di Roma. Destra e sinistra agli ordini di mafia Capitale, di M. Lillo, L. Abbate, Chiarelettere, 2015.
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un’unica consorteria operativa in tre diversi settori: nel settore criminale in senso stretto, ove l’attività si esplicava in evidenti azioni illecite di estorsione e usura; nel settore imprenditoriale e degli appalti pubblici; infine, nel settore della promozione e della cura dei rapporti con la Pubblica Amministrazione, al fine di orientare illecitamente appalti e commesse pubbliche5. Gli inquirenti hanno infatti ritenuto che l’associazione fosse ormai dotata di una “carica intimidatoria autonoma”, esercitata nel c.d. “mondo di sotto”, quello della malavita di strada, e che fosse quindi configurabile il reato di associazione di tipo mafioso previsto dall’art. 416-bis c.p., di cui vale la pena illustrarne i caratteri fondativi.
3. L’art. 416-bis c.p. e i parametri caratterizzanti del metodo mafioso L’art. 416-bis venne introdotto dal Legislatore nel 1982 con la legge n. 646, allo scopo di fornire un’adeguata risposta penale a condotte antisociali particolarmente sofisticate, distinte dalla semplice associazione a delinquere (art. 416 c.p.). In partico-
“Per il Tribunale di Roma ‘Mafia Capitale’ non è mafia: ovvero, della controversa applicabilità dell’art. 416-bis c.p. ad associazioni criminali diverse dalle mafie storiche”, di E. Zuffada, in Diritto Penale Contemporaneo, 2017. 5
lare, il terzo comma6 stabilisce in modo capillare cosa debba intendersi per associazione di tipo mafioso, elencandone tre elementi distintivi: forza di intimidazione, condizione di assoggettamento e condizione di omertà. Risultano tre elementi “concatenati” tra loro, dal momento che la condizione di omertà non è altro che una condizione di assoggettamento, e quest’ultima è una derivazione della forza intimidatrice. Sono elementi necessari in uno stesso momento purché si possa configurare il reato di associazione mafiosa, seppure siano difficilmente dimostrabili in sede probatoria. Infine, questi tre elementi caratterizzanti del reato devono poi ricondursi alla realizzazione delle finalità proprie dell’organizzazione, definite come programma criminoso del quale vi dev’essere adesione da parte degli associati. Riguardo alla forza di intimidazione, è da considerarsi un elemento strumentale, poiché si configura come mezzo per realizzare un fine dell’associazione. Sicché presenta una natura strumentale, l’intimidazione non è ragione sufficiente a dimostrare
“L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri.”, art. 416-bis c.p., comma 3. 6
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il reato di associazione, ovvero il sodalizio mafioso non è desumibile dal mero atto intimidatorio, ma è certamente un elemento necessario. Di conseguenza, non è indispensabile che gli associati mettano in atto comportamenti volti ad intimidire, che può sì verificarsi e si configurerebbe anche il reato di minaccia. Come ha più volte affermato la giurisprudenza al riguardo, molto spesso l’atto intimidatorio deriva non dalla condotta in sé, ma è un effetto del prestigio criminale dell’associazione capace di incutere una condizione di assoggettamento e omertà nella popolazione e negli associati stessi, attraverso la sua fama negativa e per la capacità di lanciare avvertimenti, anche simbolici o indiretti7. In altre parole, si tratta di un clima di paura percepito all’esterno dell’organizzazione, magari per le sue condotte passate e quindi per consuetudine, in grado di assoggettare l’individuo, o lo stesso associato, che venga a contatto con l’organizzazione. Questo non intende tanto configurare l’atto intimidatorio solo come atto potenziale e non effettivo, quanto intendere l’intimidazione di tipo mafioso come prettamente allusiva, sottile e indiretta, ovvero che può fare a meno dell’uso della minaccia e della violenza (tipici comportamenti volti ad intimidire), ma che comunque trattasi di un’intimidazione concreta. È un’intimidazione frutto di un’elaborazione sociologica e le-
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Cass., Sez. V, 16 marzo 2000, n. 4893.
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gata quasi indissolubilmente alla “pubblica memoria”. Quindi, l’assenza di prove dirette di minacce non esclude a priori la sussistenza della dedotta violenza, poiché si dovrà procedere al collegamento logico degli indizi acquisiti e sulla base del costume ambientale8. Quando un’organizzazione riesce ad acquisire una tale fama negativa, derivante da comportamenti pregressi – spesso efferati – dei singoli associati, si dice che ha raggiunto una “carica intimidatoria autonoma”, frutto di una delinquenza storica (mafia e camorra sono casi paradigmatici) e per la quale l’atto intimidatorio si verifica anche in modo indiretto, come descritto poc’anzi. Si possono individuare, allora, due profili della forza di intimidazione: uno “statico”, nel quale l’intimidazione non è solo potenziale ma dev’essere anche attuale ed è il momento che forgia la carica intimidatoria autonoma per via consuetudinaria; vi è poi un profilo “dinamico”, per il quale si sfrutta la carica intimidatoria, già formata in precedenza, e in tal caso l’intimidazione può avere carattere anche solo potenziale9. Una volta accertata la presenza di una carica intimidatoria autonoma, tale da generare un alone di paura coattiva nei vari ambienti di attività dell’organizzazione, si può facilmente dedurre che es-
8 Trib. civ. Palermo, 7 marzo 1972, Puleo vs. Nicolosi. 9 Sull’argomento, A. Ingroia, L’associazione, Giuffrè, 1993.
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sa produca sempre assoggettamento e omertà, che sono gli altri due elementi caratterizzanti l’art. 416-bis. Questi due elementi, si riferiscono a condizioni passive di timore, o meglio, alla condizione di paura in cui versano i non associati di fronte all’associazione, ed ai vantaggi che quest’ultima può trarre da questa condizione10. Di conseguenza, l’atteggiamento remissivo dei non associati nasce dal timore di ritorsioni nei loro confronti da parte dell’organizzazione e dei suoi singoli associati. Quasi inscindibile dall’assoggettamento è l’omertà, in quanto quest’ultima è conseguenza della prima, ma che può essere sintetizzata nel rifiuto incondizionato di collaborare con gli organi statali11. In termini di diritto, infatti, l’omertà deriva da una condizione di paura nei confronti dell’associazione e per la quale si rinuncia a collaborare con la giustizia rife-
G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, Giuffrè, 2008, p. 151. 11 Secondo la definizione della Treccani di “omertà”: “In origine, la consuetudine vigente nella malavita meridionale (mafia, camorra), detta anche legge del silenzio, per cui si doveva mantenere il silenzio sul nome dell’autore di un delitto affinché questi non fosse colpito dalle leggi dello stato, ma soltanto dalla vendetta dell’offeso. Più genericamente, nell’uso odierno, la solidarietà diretta a celare l’identità dell’autore di un reato e, con senso ancora più estens., quella solidarietà che, dettata da interessi pratici o di consorteria (oppure imposta da timore di rappresaglie), consiste nell’astenersi volutamente da accuse, denunce, testimonianze, o anche da qualsiasi giudizio nei confronti di una determinata persona o situazione”. 10
rendo ciò che si sa, ritenendo la giustizia incapace poi di impedire ritorsioni dannose. Si consideri che l’omertà può anche essere interna all’organizzazione, essendo essa gerarchica e potendo instillare una ragionevole paura nell’associato meno autorevole rispetto ad uno meglio gerarchizzato. Si consideri poi, oltre ai parametri caratterizzanti dell’art. 416bis già esposti, i precetti relativi al cosiddetto “programma criminoso” dell’organizzazione mafiosa. Se prendiamo atto che l’art. 416-bis è naturalmente una specificazione dell’art. 416 c.p. – che sanziona la comune associazione a delinquere – allora si può cogliere una specificazione anche in relazione al programma criminoso, che trova nel contesto mafioso una particolarizzazione normativa molto più ampia e complessa, tale da ritenere l’art. 416 c.p. inadeguato a sanzionare tali condotte. Il programma criminoso, da quel che se ne ricava dall’art. 416-bis, non si limita ad una pianificazione di delitti, ma si riferisce ad un polivalente programma generale, tanto che la giurisprudenza ha individuato in questa “eterogeneità di scopi” e nell’impiego del metodo mafioso le due fondamentali distinzioni tra associazione di tipo mafioso e associazione per delinquere. In buona sostanza, la norma vuole configurare la punibilità anche in mancanza di una effettiva attuazione del programma, ritenendo sufficiente la sua esistenza. La scelta del Legislatore si ricollega argutamente al fatto che un’associazione mafiosa
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può realizzare il suo programma criminoso in virtù della sua acquisita “carica intimidatoria autonoma” prima descritta, e quindi senza esercitare concretamente il delitto. È forse questo il punto di forza dell’art. 416-bis c.p. rispetto all’art. 416 c.p., dal momento che riesce meglio a contrastare fenomeni mafiosi ormai diffusi nell’imprenditoria o nelle gare di appalto, ove la mafia può far leva sulla sola “carica intimidatoria autonoma”, ovvero può permettersi il lusso di perseguire un arricchimento ingiusto facendo a meno di atti concreti di minaccia. Ne consegue che, quanto più sarà intensa la “carica intimidatoria autonoma”, tanto più sarà virtuale il programma criminoso12. Come vedremo meglio nel prosieguo della trattazione, un fenomeno criminoso così ben radicato nell’imprenditoria romana come quello di Mafia Capitale, ovvero in quello che Carminati ha inteso come “mondo di sopra”, può trovare un’adeguata repressione solo mediante le specificazioni introdotte nel 1982, ovvero con l’art. 416-bis c.p.
4. Il metodo mafioso nel “mondo di sopra” e nel “mondo di sotto” Rispetto alle mafie tradizionali, Mafia Capitale presenta delle caratteristiche proprie dal punto di vista organizzativo e di auto G. Turone, op. cit, p.283
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nomia rispetto alle mafie del Sud, ovvero non ne è una loro articolazione su un territorio diverso dalla “casa madre” e, allo stesso tempo, non è neppure un’associazione a delinquere semplice. Trattasi di un’organizzazione criminale riconducibile al paradigma del più volte citato art. 416-bis c.p., ovvero alla fattispecie criminale mafiosa. Come emerge dalle indagini condotte in questi anni, essa trae la sua carica intimidatoria dal “mondo di sotto” e, in parte, dal passato criminale della Banda della Magliana13, alla quale viene spesso accomunata, e dai NAR, nonché dal passato criminale dello stesso Carminati. Tutti elementi di cui l’organizzazione odierna si avvale nel “mondo di sopra”, per intessere rapporti istituzionali volti a favorire la gestione e il controllo di attività economiche, di appalti e di servizi pubblici. A ben vedere, non è una forza di intimidazione avente un preciso territorio fisico – come invece accade nelle mafie tradizionali, come in Sicilia, dove il rapporto tra organizzazione mafiosa e territorio è netta – ma è immediatamente percepita da chiunque venga a contatto con essa nell’ambiente romano. Ciò che però caratterizza veramente Mafia Capitale è il suo
Come sostiene buona parte della dottrina e come ha confermato la Corte di Cassazione, “ogni associazione di tipo mafioso ha alle spalle un precedente sodalizio-matrice” (Cass. Sez.V, 13 marzo 2007, n. 15595) che, nel caso di Mafia Capitale, è costituito proprio dall’eredità criminale della Banda della Magliana. 13
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essere “mondo di mezzo”, un luogo dove si realizzano sinergie criminali e si compongono equilibri illeciti tra il “mondo di sopra”, fatto di colletti bianchi, imprenditoria e istituzioni, e il “mondo di sotto”, nel quale rientrano batterie di rapinatori, trafficanti di droga, gruppi che operano illecitamente e con l’uso delle armi. Da questa sinergia nasce la mafia romana, la c.d. Mafia Capitale. Sebbene il “mondo di sopra” e la concessione di appalti siano il campo d’azione prediletto, Mafia Capitale non rinuncia – per ovvi motivi funzionali all’organizzazione e al suo rafforzamento di prestigio criminale – ai suoi legami nel “mondo di sotto”, dove si realizzano condotte violente comprendenti attività di estorsione, usura e recupero crediti. Ne è dimostrazione la figura, all’interno del sodalizio, di Matteo Calvio, reclutato al fine di provvedere al recupero attraverso l’uso di minacce e violenza fisica, condotte capaci di generare la tipica condizione di assoggettamento e omertà. Emerge, infatti, che nessuno dei soggetti passivi risultava denunciare alle Autorità competenti quanto subìto, dal momento che riconoscevano nel Calvio la sua appartenenza al sodalizio14. In vari casi emergeranno
Paradigmatico il caso dell’imprenditore Riccardo Manattini, debitore di un’ingente somma di denaro nei confronti di Giovanni Lacopo, sodale del Carminati. Manattini sarà più volte minacciato e subirà violente fisiche per il mancato pagamento. Più avanti emergerà che il debito di Manatti-
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metodi violenti messi in atto dai singoli associati nel recupero crediti nei confronti di imprenditori insolventi, oppure casi di usura, dove per Carminati la riscossione del credito era da intendersi più come un fatto legato alla reputazione criminale dell’associazione che per una questione di denaro, trattandosi talvolta di cifre relativamente irrisorie. La non riscossione del denaro, il gergale “farla passare liscia”, avrebbe significato far perdere parte della carica intimidatoria del sodalizio. Anche l’estorsione è sovente esercitata da Carminati e Riccardo Brugia – suo sodale – nell’acquisto di beni patrimoniali nei confronti di controparti non consenzienti alla vendita, facendo ricorso a pesanti minacce15. L’art. 416-bis c.p., al terzo comma, prevede anche la finalità di “commettere delitti, per acquisi-
ni era estraneo agli interessi del sodalizio, della cui forza intimidatoria si erano però avvalsi Roberto Lacopo, figlio di Giovanni, e Matteo Calvio per ottenere quanto dovuto dal Manattini. 15 Emblematico, alla luce del contenuto dell’art. 416-bis c.p., il tentativo di estorsione nei confronti dell’imprenditore Luigi Seccaroni, dal quale i due volevano acquistare un terreno, senza tuttavia il suo assenso e convincimento. Come emerge dalle indagini, lo stesso Carminati, al fine di intimidire il Seccaroni, avrebbe detto: “… allora devi dì o sì o no. Se e sì o no, se è no tu sai che c’hai un nemico, preparati”. Le minacce provocano un perfetto stato di assoggettamento nell’imprenditore, come dirà in una telefonata ad un suo confidente: “quando vengono sotto io soffro in un modo impressionante: zagaglio, non riesco a di’ due parole”.
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re in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri”, che, in un certo senso, prefigura quanto l’organizzazione ha messo in atto nel “mondo di sopra”. Se nel mondo di sotto quasi tutte le condotte messe in atto hanno una base violenta, il modus operandi nel mondo di sopra appare piuttosto polimorfico, traducendosi in atteggiamenti e comportamenti di vario tipo, pur di penetrare nello spazio della PA, al fine precipuo di ottenere il controllo di lavori pubblici. In questo spazio, intimidazione e corruzione si intrecciano tra loro. Un caso rilevante è la vicenda relativa a Riccardo Mancini – A.d. di Eur SPA tra il 2008 e il 2012 – e l’organizzazione di Carminati e Buzzi. Mancini, all’epoca espressione dell’amministrazione e della gestione pubblica per via della sua carica, era costantemente vittima di pressioni, minacce e intimidazioni da parte di Carminati e dei suoi sodali, al fine di vedere assegnati lavori pubblici per le imprese di riferimento riconducibili a Buzzi, instaurando quindi un rapporto corruttivo tra le due parti, quella pubblica e quella criminale16. Tale rapporto, una volta
Mancini divenne, de facto, un membro esterno al servizio dell’organizzazione, dal momento che anch’egli riceveva una cospicua ricompensa di natura pecuniaria (la c.d. “stecca”) da parte del Carminati in cambio dell’ottenimento dei lavori pubblici. 16
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interrotto unilateralmente da parte del Mancini, scatena la reazione violenta di Carminati che, in una telefonata intercettata con Brugia, afferma di aver aggredito e malmenato Mancini. L’atto, oltre ad essere grave per l’uso della violenza, sta a significare anche l’impossibilità di sottrarsi alle illecite pattuizioni, pena una sanguinosa ritorsione, tipicamente mafiosa. Altra attività importante nel mondo di sopra è la permeazione degli enti pubblici e delle loro controllate, attraverso la nomina di uomini – che rispondono direttamente al sodalizio – in ruoli decisionali della PA. In particolar modo, target primario di Carminati era il controllo di Ama S.p.A., società posseduta dal comune, incaricata di pubblico servizio ed ente aggiudicatore di appalti. In ogni caso, e senza ricostruire minuziosamente i rapporti tra Mafia Capitale e PA, che non si esauriscono negli esempi citati ma che sarebbero poco utili ai fini di un’indagine di natura giuridica (fatti utili invece se riportati a caratteri generali e quindi in grado di far comprendere la natura dell’associazione, della quale si spera se ne sia dato un quadro sufficientemente esaustivo in questa trattazione), appare chiaro il grado di permeazione di Mafia Capitale nell’amministrazione romana, fino ad arrivare ai suoi vertici. Ma soprattutto appare chiaro come, operando nel mondo di sopra, Mafia Capitale abbia contribuito all’inquinamento del
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tessuto democratico locale, della sua legalità e trasparenza.
5. Mafia Capitale al vaglio della giurisprudenza e valutazioni conclusive
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A chiudere il cerchio analitico sulla liceità applicativa dell’art. 416-bis alle vicende riassunte in Mafia Capitale, occorre senz’altro considerare il giudizio che la giurisprudenza penale ha elaborato. Dopo un iter giudiziario “rocambolesco”, la Corte di Cassazione ha definito recentemente l’organizzazione di Buzzi e Carminati come una non-mafia, eppure vale la pena considerare le valutazioni svolte dalla giurisprudenza nel corso dei vari gradi di giudizio. Che vi fossero i presupposti per la valutazione del caso alla luce dell’art. 416-bis è stato chiaro sin dall’inizio del procedimento giudiziario ed è ciò che i pubblici ministeri hanno presentato in accusa ai giudici, che tuttavia hanno escluso la configurabilità di un sodalizio mafioso sulla scia di una via già percorsa in passato in sede giurisprudenziale, ferma nel ritenere “mafia” solo organizzazioni riconducibili a quelle “storiche”, escludendo la possibilità esistenziale di mafie autonome o “non tradizionali”. Ciononostante, la relazione del Tribunale di Roma nel primo grado di giudizio è estremamente preziosa in prospettiva de iure condendo, dal momento che indirettamente permette di scorgere
i difetti dell’art. 416-bis riguardo la sua applicabilità alle mafie “non tradizionali”. Rilevanti sono tuttavia anche le due sentenze deposte dalla Corte di Cassazione intervenuta per ricorso (art. 311 c.p.p.) e in stato antecedente alla sentenza di primo grado. In queste sentenze, la Cassazione accoglie quasi integralmente le istanze presentate dai pubblici ministeri, affermando che la connotazione mafiosa di un’associazione dev’essere valutata non tanto in base al locus mafioso, ma quanto più al modus mafioso. In altre parole, significa abbandonare il paradigma – di elaborazione sociologica – secondo il quale la mafia sia configurabile solo in un determinato contesto geografico. Per di più, dopo aver precisato che la forza intimidatrice rappresenta una componente strutturale necessaria di ogni sodalizio mafioso17, i giudici di merito, facendo riferimento alla “vicenda Teardo”, hanno ricordato che non sono da ritenersi “mafiosi” i soli sodalizi che contano un alto numero di appartenenti, ma che possono configurarsi come tali anche piccole organizzazioni criminali che assoggettano un limitato territorio o un determinato settore di attività, purché siano in grado di generare condizioni di pieno assoggettamento e omertà. Il Tribunale di Roma, però, in sede di giudizio, ha mosso obiezioni all’accusa derubricando l’as-
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E. Zuffada, op. cit., p. 5.
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sociazione a delinquere di stampo mafioso a semplice associazione a delinquere, dal momento che ha ritenuto più conforme ai fatti qualificare le entità criminose di Buzzi e Carminati come due entità distinte e “semplici”, e quindi punibili con l’art. 416 c.p. La chiave di analisi interpretativa è la già citata distinzione tra mafie “storiche” e “non tradizionali”, in relazione all’acquisizione della loro carica intimidatoria. Per quanto riguarda le mafie storiche, si ritiene che la carica intimidatoria autonoma sia il risultato di una pregressa pratica criminale in un determinato territorio, che funge da campo d’azione dell’organizzazione. Per le associazioni non riconducibili alle mafie storiche, invece, il beneficio della “riserva di violenza” può realizzarsi “solo in quelle associazioni criminali che siano derivate da altre associazioni, già individuate come mafiose per il metodo praticato”, escludendo quindi che la carica intimidatoria autonoma di Mafia Capitale possa essere derivata da quella della c.d. Banda della Magliana o quella dei NAR. Questo, sia perché nessuna delle due organizzazioni fu riconosciuta come “mafiosa” e sia perché, rispettivamente, la prima è ritenuta dal Tribunale un “gruppo ormai estinto”, mentre la seconda è definita come una formazione politica ormai “cancellata dalla storia”. Inoltre, il Tribunale ha escluso che le due consorterie, quella del Carminati e quella del Buzzi, si siano fuse in un unico consorzio criminoso, ritenendole operanti in
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settori diversi: quella di Carminati nel recupero crediti e quella di Buzzi negli appalti pubblici. Nessuna delle due organizzazioni criminali è stata ritenuta qualificabile ai sensi dell’art. 416-bis, e quindi alla fattispecie mafiosa. Per quella di Carminati, sebbene sia innegabile il compimento di gravi atti di intimidazione, si ritiene altresì che questi fatti siano circoscritti a un contesto relazionale e territoriale troppo delimitato, non tale da generare un alone intimidatorio diffuso né a Roma, né nel quartiere di Corso Francia – dove il gruppo operava –, considerato semplicemente un luogo funzionale all’attività del gruppo, nel quale però si percepiva un clima tipicamente “mafioso”. Tantomeno l’organizzazione di Buzzi può essere configurata di stampo mafioso, dal momento che viene rilevata la sporadicità degli episodi di violenza in danno degli imprenditori estranei al sodalizio mafioso. In buona sostanza, il Tribunale ha concluso che non esiste una mafia a Roma, ma solo un’aggressiva criminalità organizzata da profitto che, pur di non rinunciare ai vantaggi economici derivanti da appalti e commesse pubbliche, non esita a ricorrere a metodi violenti ed intimidatori18. La Corte d’Appello di Roma, nel dicembre 2018, ha invece abbracciato i principi di diritto espressi dalla Cassazione nelle due sentenze emesse in sede cautelare, rilevando anch’essa che
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Ibidem, p. 12.
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l’art. 416-bis non richiede espressamente né vincoli territoriali, né un numero indefinito di affiliati. Rileva, peraltro, il patrimonio di violenza che Carminati apporta all’associazione, il quale si combina con un sistema di relazioni e di infiltrazioni all’interno della PA, ideato da Buzzi e ulteriormente rafforzato dalla nascita e dal rafforzamento dell’organizzazione19. Riguardo l’esercizio intimidatorio, i giudici di merito considerano che esso non dev’essere necessariamente orientato alla minaccia o alla violenza fisica, ma può trovare applicazione anche negando la libertà economica dei singoli soggetti operanti in determinati settori (ad es. la rinuncia di un imprenditore a partecipare a una gara di appalti), riformulando così i connotati tradizionali della forza intimidatoria. La Corte ha poi rigettato la scissione operata dal Tribunale, secondo il quale le organizzazioni di Buzzi e Carminati fossero due associazioni a delinquere semplici e distinte, ritenendo invece che le due consorterie si fossero avvinte in un unicum. Da un lato, Carminati aveva interesse ad entrare nei circuiti dell’imprenditoria romana, senza però potersi esporre in tali ambienti per via della sua rinomata fama criminale. Dall’altro lato, Buzzi era portatore di due esigenze: ristabilire il primato delle “La pronuncia della Corte d’Appello di Roma nel processo c.d. Mafia Capitale: la questione dell’applicabilità dell’art. 416-bis c.p. “alle mafie atipiche”, di E. Cipani, in Diritto Penale Contemporaneo, 2019.
proprie cooperative, che a causa della neo-eletta giunta comunale di destra capeggiata da Gianni Alemanno si andava indebolendo; scongiurare sempre di più la concorrenza di altri operatori nell’assegnazione di commesse pubbliche, avvalendosi quindi della forza intimidatoria di Carminati nel “mondo di sotto”. Quello di Carminati e Buzzi è un pactum sceleris, per il quale Carminati offre la sua forza criminale che gli deriva dal suo passato e dalle vicende di Corso Francia, mentre Buzzi mette a disposizione la conoscenza di collaudate pratiche corruttive grazie alle quali le sue cooperative avevano in passato dominato il mondo degli appalti romani20. Con l’unione delle due realtà criminali, è da ritenersi che il metodo del sodalizio non sia più semplicemente corruttivo, come lo era stato fino ad allora quello facente capo a Buzzi, ma è ora chiaramente intimidatorio e quindi di tipo mafioso. Non stupisce che, grazie all’apporto di Carminati e del “mondo di sotto”, il fatturato delle cooperative di Buzzi raddoppi tra il 2012 e il 2013. A sostegno della propria tesi, la Corte considera – sotto il profilo fattuale – come non sia necessaria la conoscenza reciproca di tutti i membri associati, ma ciò che appare fondamentale è l’esistenza di un’unità di vertice, poi-
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20 C. Greco, Mafia Capitale: il banco di prova dell’art. 416-bis c.p., in Dir. pen. Cont, fasc. 6/2019, p. 110.
Il “mondo di mezzo”: analisi de iure condito attorno l’applicazione dell’art. 416-bis c.p. a mafia capitale
ché possono esistere all’interno di una stessa associazione diverse compartimentazioni interne, al fine di rafforzarne la segretezza. Tale compartimentazione interna, a detta della Corte, non deve escludere la natura mafiosa dell’organizzazione. Interessante, poi, la riflessione della Corte nel prendere le distanze dal Tribunale riguardo l’esteriorizzazione del metodo mafioso. Nel primo grado era risultato non sussistente in sede probatoria, non avendo derivazione di antecedenti sodalizi mafiosi e non presentando l’elemento di condotte violente attuali e continuate. La Corte invece, riprendendo la sentenza Garcea21, afferma che “richiedere ancora oggi la prova di un’effettiva estrinsecazione del metodo mafioso potrebbe tradursi nel configurare la mafia solo all’interno di realtà territoriali storicamente o culturalmente permeabili dal metodo mafioso o ignorare la mutazione genetica delle associazioni mafiose che tendono a vivere e prosperare anche sott’acqua, cioè mimetizzandosi nel momento stesso in cui si infiltrano nei gangli dell’economia produttiva e finanziaria e negli appalti di opere e servizi pubblici”. Tuttavia, nella sezione “principi di diritto”, la stessa Corte afferma la sua piena adesione al dettame secondo il quale la capacità di intimidazione non può essere “soltanto potenziale, ma attua-
le, effettiva ed obbiettivamente riscontrabile”22, rilevando una certa incoerenza poiché, o è anacronistica la dimostrazione esterna intimidatoria oppure è fondamentale. Per tale impasse è stato pertanto più volte sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite. Ad oggi, in attesa delle motivazioni della sentenza di terzo grado della VI sezione penale della Cassazione, nel dispositivo del 23 ottobre 2019, la Corte ha reso nota l’escludibilità applicativa dell’art. 416-bis c.p., ribaltando la sentenza di secondo grado e disconoscendo che Mafia Capitale sia un unico sodalizio, riprendendo invece l’idea del Tribunale di Roma che riscontrava l’esistenza di due diverse associazioni a delinquere (art. 416 c.p.). Eppure a Roma una mafia c’è, e appare particolarmente chiaro anche in luce della recentissima e storica sentenza della Corte di Cassazione del 16 marzo 2020 che ha riconosciuto il Clan Fasciani come “mafia di Roma”. La II sezione penale della Corte, in merito alla vicenda Fasciani, ha infatti concluso che “si può affermare che anche la città di Roma ha conosciuto l’esistenza di una presenza ‘mafiosa’, sebbene in modo diverso da altre città del Sud, ma non per questo meno pericolosa o inquinante il tessuto economico-sociale di riferimento”23.
C. Greco, op. cit., p. 113. Cass. pen, Sez. II, n. 10255, 16 marzo 2020. 22
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Cass. sent. n. 24851 del 2017.
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ANDREA BERNABALE
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Se quanto aveva reso noto in principio un articolo de L’Espresso, dal titolo I quattro Re di Roma24, appare oggi piuttosto verosimile alla realtà fenomenologica romana, allora si hanno forse tutte le ragioni in causa per riserbare dello scetticismo nel non ritenere Mafia Capitale una mafia.
24 Il 7 dicembre 2012, il settimanale L’Espresso pubblicava alcuni articoli riguardanti la criminalità organizzata a Roma, dal titolo “I quattro Re di Roma”, con in copertina le foto raffiguranti Massimo Carminati, Michele Senese, Giuseppe Fasciani e Giuseppe Casamonica, ritenuti i soggetti che si sarebbero divisi Roma in zone d’influenza secondo metodi mafiosi.
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Cassazione penale, sez. II, ud. 13/11/2019, n. 7257, dep. 24/02/2020 Presidente Dott. De Crescienzo, Relatore Dott. Saraco Riciclaggio - Scudo fiscale – Capitali all’estero – Voluntary disclosure – Reato a forma libera
La forma libera del reato di riciclaggio implica che quell’effetto di oscuramento, tipico della fattispecie, possa essere astrattamente realizzato con i singoli atti leciti, ma anche con una pluralità di distinti atti leciti, anche realizzati a distanza di tempo, purchè siano ricondotti a unità dall’obiettivo comune cui essi sono finalizzati, ossia l’occultamento della provenienza delittuosa del denaro che costituisce il loro oggetto (come nel caso di specie il ricorso al c.d. scudo fiscale).
(Omissis) Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 8 luglio 2019 (dep. il 10/7/2019), il Tribunale di Genova in funzione di giudice dell’impugnazione, in sede di riesame, ha confermato il decreto del G.i.p. del Tribunale di Genova, che ha disposto, nei confronti di B.E., il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaro e titoli per un importo complessivo pari a Euro 1.871.184,14 o, in via subordinata, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni mobili o immobili e di qualsiasi altro bene fino alla concorrenza dell’importo già indicato, in relazione al reato di riciclaggio avente quali reati presupposti la truffa e la violazione della L. 7 agosto 1982, n. 516, ossia la violazione della normativa in materia di repressione dell’evasione dell’imposta sui redditi; reati che si as-
sume siano stati commessi da B.G., P.D. e Ba.Gu., ossia padre, madre e fratello dell’odierno ricorrente. Va precisato che l’ordinanza del G.i.p. confermata dal Tribunale oggi impugnata escludeva dal sequestro le somme indicate come profitto del reato di appropriazione indebita pure contestato come reato presupposto. 2. Secondo l’ipotesi d’accusa, la condotta di riciclaggio si è articolata in una pluralità di atti concretizzati in un arco temporale di circa quindici anni e ha a oggetto le somme provento dei reati in materia di violazioni tributarie, contrabbando e truffa riguardante l’importazione della carne bovina congelata (GATT), commessi negli anni 1994 e 1995 e che, come premesso, ha visto coinvolti B.G., P.D. e Ba.Gu., congiunti del ricorrente. Tale vicenda si concludeva con sentenza di patteggiamento,
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depositata il 5/5/1998 e irrevocabile dal 20/06/1998. 2.1. Il primo atto della condotta di riciclaggio oggi in contestazione sarebbe stata commessa da B.E. nel 2000, quando accettò di vestire la qualità di socio della società T. Invest & Trade e in tale veste (il 24.8.2000) rinnovava il mandato alla fiduciaria svizzera F. s.a. di gestire i fondi depositati sul conto corrente n. (Omissis) acceso presso la banca UBS di ... e alimentato dalle somme provento dei delitti già indicati, commessi dai propri famigliari e precedentemente custoditi presso altri conti cifrati (denominati “(Omissis)”, “(Omissis)”, “(Omissis)”, “(Omissis)”). Secondo tale ricostruzione, B.E. alla data del 30/08/2000, nella sua qualità di socio della società T. Invest & Trade s.a. era il beneficiario economico del conto corrente sopra menzionato. 2.2. In virtù di ciò, l’odierno ricorrente nel 2003 realizzava il secondo atto della complessa condotta di riciclaggio descritta dall’accusa, aderendo alla procedura di emersione di capitali detenuti all’estero ai sensi della L. 21 febbraio 2003, n. 27 (cd. – Scudo Fiscale) e faceva rientrare in Italia, – su conti correnti a lui intestati, la somma complessiva di Euro 6.827.918,00, attraverso un duplice passaggio: la somma, infatti, in un primo momento veniva trasferita dal già menzionato conto intestato alla T. Invest & Trade s.a. al conto n. (Omissis) della UBS di Zugo, acceso a tale scopo e intestato a B.E. e – in un secondo momento – veniva nuovamente trasferita da questo conto corrente ad altri conti correnti italiani sempre intestati a B.E. accesi presso banca Esperia e MeliorBAnca. 2.3. Il terzo atto individuato dalla pubblica accusa si concretizzava il 2.2.2010, con il conferimento a B.G. della delega a operare a firma disgiunta
sul conto corrente n. (Omissis) acceso presso Banca Esperia, dove si trovava depositata parte delle già menzionate somme. 2.4. Analogamente e ancora, nel 2013, B.E. trasferiva il denaro ritenuto di provenienza delittuosa sul conto corrente n. (Omissis) di Banca Esperia, a lui intestato ma sul quale aveva conferito a B.G. delega a operare a firma disgiunta, con atto del 7.11.2012. 2.5. Infine, in data 14.9.2015 stipulava atto notarile di donazione per la somma di Euro 4.700.000,00 in favore di Ba.Gu. La somma in questione veniva di fatto trasferita a quest’ultimo con una serie di operazioni bancarie e finanziarie in favore di conti correnti a lui intestati. L’ultimo di tali atti veniva registrato il 23.9.2015. 3. B.E., a mezzo dei propri difensori, deduce i seguenti vizi: 3.1. Inosservanza della legge penale e della legge processuale e difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus boni luris del contestato reato di riciclaggio. A tal riguardo si sostiene che l’ordinanza impugnata fa rientrare la pluralità di atti compiuti dal 2000 al 2015 in un’unica ipotesi del reato di riciclaggio facendo ricorso alla figura del reato istantaneo a formazione progressiva, pur in assenza dei presupposti a tal fine essenziali, individuabili nella necessità che gli atti successivi a una primigenia e fondamentale condotta decettiva volta a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di una determinata provvista, siano immediatamente esecutivi del medesimo progetto iniziale. Si puntualizza che “ciò che consente la riconduzione di una pluralità di atti o di comportamenti a un medesimo reato è (...) un compatto vincolo di
Lo scudo fiscale non esclude la configurabilità del reato di riciclaggio
unità cronologica, spaziale, teleologica e, soprattutto, di titolo giuridico tra i differenti atti”. Si sottolinea anche che, in mancanza della “stretta interrelazione fra la condotta di riciclaggio e le successive condotte, di per sè atipiche, ma esecutive del medesimo progetto, lo schema del reato a formazione progressiva è giuridicamente fallace perchè contrasta o con l’istituto della continuazione ovvero con il principio fondamentale della non punibilità dei post facta non punibili privi di un’autonoma tipicità delittuosa”. Secondo la difesa l’enunciato requisito della stretta correlazione manca nel caso concreto, atteso che gli atti compiuti nel 2003, 2010, 2013 e nel 2015 sono slegati dalla condotta originaria di riciclaggio eventualmente commessa nel 2000, sia perchè sono muniti di specifiche e autonome cause giuridiche, sia perchè non hanno un’intrinseca funzione decettiva, così che non possono neanche costituire autonome condotte di riciclaggio eventualmente da riunirsi tra loro con il vincolo della continuazione. A sostegno dell’assunto si illustrano le ragioni per cui ciascun atto non poteva essere ritenuto collegato e funzionale alla condotta del 2000, osservandosi che: A) con riguardo all’atto del 2003, B. esercitò un diritto riconosciutogli dalla legge aderendo al cd. “scudo fiscale”, ossia uno strumento non prevedibile nel 2000 e strutturalmente incompatibile con una condotta decettiva, attesane la natura pubblica a trasparente, autorizzata da una legge dello Stato. B) Con riguardo alle deleghe del 2010 in favore del padre, esse erano giustificate dalla sua lontananza da Genova e dalla conseguente impossibilità a operare sui conti correnti e rese possibili dal miglioramento dello
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stato di salute di B.G., imprevedibile nel 2000. C) Per quanto riguarda l’atto del 2013, ossia la desecratazione di un conto cifrato e il successivo trasferimento del denaro in un conto corrente presso banca Esperia a sè intestato e sul quale aveva la delega a operare anche il padre, si rimarca come in tal caso erano state rispettate le indicazioni della circolare 29/E dell’Agenzia delle Entrate del 5 luglio 2012, così compiendo un atto ontologicamente opposta alla condotta di riciclaggio. D) Quanto alla donazione della somma di denaro in favore del fratello nel 2015, osserva che essa fu ostesa con atto pubblico e, dunque, con una procedura che rivela la perfetta buona fede del ricorrente, al solo considerare la indefettibile destinazione dell’atto all’Agenzia delle Entrate, dove andava trasmesso per la sua registrazione. A tale ultimo proposito si aggiunge che “a prescindere dal tema del dolo, che non è qui oggetto di trattazione, è la struttura intrinseca dell’atto a rivelarsi, di per sè, siccome destinata alla pubblica ostensione, incompatibile con una oggettiva funzione decettiva”. Si deduce, dunque, l’erroneità dell’ordinanza impugnata che, senza motivazione riconduce a unità gli atti compiuti dal 2010 al 2015, nonostante siano svincolati tra loro e corrispondenti ciascuno a un’autonoma e specifica ragione fattuale. 3.2. Inosservanza della legge processuale e difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus boni iuris: erronea individuazione del reato di appropriazione indebita quale delitto presupposto del riciclaggio (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c). A tal riguardo si lamenta la totale assenza di un fatto storico capace di costituire il presupposto del riciclaggio
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e, a sostegno di tale assunto, si osserva che non è stato individuato un soggetto passivo, mancando indicazioni circa il fatto che le somme di denaro depositate nei conti esteri e mai registrate nel territorio italiano fossero di diretta spettanza della B. s.r.l. e, dunque, siano state effettivamente distratte dalla cassa delle società; che non vengono indicate le operazioni societarie che avrebbero costituito i titoli per l’ingresso del denaro nel patrimonio della B. s.r.l.; che nessun documento o testimonianza è stata addotta in ordine agli importi oggetto di appropriazione; che non è stata fornita alcuna indicazione circa il tempo in cui sarebbe avvenuta l’appropriazione; che non è stata data alcuna indicazione circa la persona o le persone che avrebbero alimentato la provvista dei conti correnti svizzeri. Si aggiunge che il tribunale ha omesso di confutare gli elementi probatori estremamente rilevanti forniti dalla difesa in ordine alla provenienza della grandissima parte del denaro dalla ricchezza del nonno materno, P.F. e, quindi, pervenuto per via ereditaria a B.E. 3.3. Inosservanza della legge processuale e difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus boni iuris degli asseriti delitti presupposti del contestato reato di riciclaggio, quale titolo per l’emissione del sequestro preventivo: illogicità e mancanza assoluta di motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e). In questo caso ci si lamenta della sostanziale mancanza di motivazione nel provvedimento impugnato, in ragione della tecnica di redazione, meramente riproduttiva di altra separata ordinanza (pronunciata a seguito di appello del PM) che, a sua volta, risulta viziata a causa del difetto di autosufficienza rispetto a quanto rappresentato
dall’accusa, giacchè – si sostiene – si limita a mutuare le presunte ragioni contenute nell’appello cautelare proposto dal PM, senza dare prova di adeguata e autonoma valutazione. Sulla base di tale osservazione si deduce l’apparenza della motivazione che, in ragione della descritta tecnica di motivazione, non può aver dato risposta ai motivi di riesame rassegnati dalla difesa. Vengono altresì dedotti ulteriori vizi della motivazione, con particolare riguardo alla possibilità di estendere l’area del profitto “al di là di quanto emergente – dagli atti del procedimento ormai conclusosi per l’asserito delitto presupposto” e alla impossibilità di considerare i reati fiscali di cui alla L. n. 516 del 1982, art. 1, comma 2, lett. a), quale presupposto del riciclaggio, attesa la loro natura di reati contravvenzionali. A tal proposito si sostiene che il tribunale con una mera petizione di principio, ipotetica e in assenza di alcun elemento di prova afferma che “l’irrevocabilità di sentenza su alcuni dei reati presupposto non esclude la configurabilità di ulteriori fatti delittuosi (anche eventualmente coevi ed antecedenti), emersi dalle ulteriori indagini aventi diverso e più ampio oggetto”. In sostanza si sostiene che il Tribunale aggira la difficoltà di collegare le somme di denaro a un reato presupposto attraverso l’affermazione secondo cui la mera ipotizzabilità in astratto di una qualunque fattispecie delittuosa tiene in piedi provvisoriamente la fattispecie incriminatrice preliminare a fini cautelari, anche se priva di riscontro fattuale e di adeguato fondamento giuridico e che in forza di tale assunto si avalla – in via del tutto ipotetica – la ricostruibilità della vicenda in termini di frode fiscale.
Lo scudo fiscale non esclude la configurabilità del reato di riciclaggio
Si aggiunge che – sempre in violazione di legge – si tenta di colmare il vuoto probatorio circa la possibilità di ricondurre alla cd truffa GATT l’intera somma trasferita con lo scudo fiscale (ossia circa 7.000.000,00 di Euro) con una illegittima inversione dell’onere della prova, attuata nella parte della motivazione in cui si afferma che B.E. si è avvalso della facoltà di non rispondere e che non vi sono state produzioni documentali dimostrative di una fonte alternativa di provenienza legittima dei cespiti, così che poteva essere ritenuta corretta “la parametrazione delle somme da ritenersi provento dei delitti di truffa e di appropriazione indebita continuata a quella fatta rientrare in Italia del 2003”. Si conclude il motivo sostenendosi che il Tribunale non ha svolto il ruolo di controllo e garanzia attribuitogli dal legislatore, per come precisato dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimità. 3.4. Inosservanza della legge processuale e difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta insussistenza del fumus boni iuris ai fini del sequestro preventivo per essere intervenuta la prescrizione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e). Sotto tale profilo si evidenzia che – fatte salve le riserve difensive sul punto – l’unica condotta eventualmente inquadrabile nel reato di riciclaggio secondo la prospettazione accusatoria, potrebbe essere quella tenuta da B.E. nel 2000 e che ormai dovrebbe considerarsi prescritta già prima dell’esercizio dell’azione penale, con la conseguente illegittimità del sequestro preventivo, alla luce del principio di diritto affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 24162 del 6 aprile 2011 (Rv. 250641).
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3.5. Inosservanza della legge penale sostanziale e difetto di motivazione in ordine alla prova del nesso di pertinenzialità fra le somme sequestrate e il reato oggetto dell’imputazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c). Si sostiene l’assenza di un’adeguata motivazione quanto al rapporto di pertinenzialità tra le somme di denaro in sequestro e il reato, mancando la prova che quello costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo di questo. Si precisa che il Tribunale, in accoglimento dell’appello del PM, ha ordinato il sequestro preventivo di somme ulteriori rispetto a quelle considerate provento dei reati accertati con sentenza di patteggiamento n. 275/9 del Tribunale di Genova, mentre il G.i.p. lo aveva limitato a tali somme, ritenendo non sufficientemente provata la loro provenienza delittuosa. “Il tutto – si aggiunge – nel difetto di qualsiasi adeguato collegamento e senza fornire alcuna adeguata spiegazione circa la sussistenza di un rapporto di derivazione fra il quantum sequestrato, considerato apoditticamente profitto, ed il reato-presupposto del delitto di riciclaggio per cui si procede nei confronti dell’odierno impugnante. (...) Nè, d’altronde, si fornisce alcuna giustificazione circa un eventuale riutilizzo o reinvestimento di quelle somme, tale da accrescerne il valore e giustificare così il vincolo reale”. Si precisa, infine, che l’importo da considerarsi provento delle truffe GATT non può essere superiore a quello quantificato dal giudicante della sentenza di patteggiamento e individuata in 58.898,55 marchi tedeschi alla quale va aggiunta l’ulteriore somma pari a Lire 334.169.735. 3.6. Violazione di legge processuale e difetto di motivazione in ordine all’omesso confronto con le deduzioni di-
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fensive (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c). Ci si duole dell’omesso confronto del Tribunale con le deduzioni difensive esposte nel corso delle indagini preliminari e in sede di appello cautelare, corredate da produzione documentale in ordine a quanto a conoscenza di B.E. circa la provenienza delle somme detenute all’estero dalla famiglia, con particolare riferimento alla disponibilità di un importo complessivo pari a circa Euro 2.475.612,37 presso i conti “(Omissis)” e “(Omissis)” oltre che su un conto della Banca Svizzera SBS, già prima che si aprisse la vicenda delle false licenze GATT, in quanto provenienti dall’ingente patrimonio e ricevuti in via ereditaria dal de cuius P.F., suocero di B.G. e padre di P.D.. Secondo la difesa, il Tribunale ha cercato di colmare il vuoto di elementi colto dal G.i.p., che ha limitato il sequestro alle somme che a suo avviso – e fatte salve le riserve difensive – erano il profitto derivante dalle truffe GATT e in relazione alle quali è stata emessa la sentenza di patteggiamento a carico di B.G. e Ba.Gu. e di P.D. La difesa segnala che il G.i.p. aveva rigettato la richiesta di sequestro delle somme ulteriori osservando che dalle dichiarazioni rese da Ba.Gu. e B.G. nel procedimento che diede luogo alla sentenza di patteggiamento quanto ai versamenti effettuati nei conti correnti denominati “(Omissis)”, “(Omissis)”, “(Omissis)” e “(Omissis)” e avendo riguardo alla documentazione versata in atti dagli indagati a dimostrazione della provenienza delle somme di denaro, non era possibile ritenere che sui menzionati conti correnti cifrati fossero confluiti anche i proventi di attività illecite ulteriori, poste in essere da B.G. e consistenti in atti di evasione fiscale e
in attività di appropriazione indebita in danno della B. s.r.l. Si nega l’esistenza di indizi che possano confortare l’accusa circa l’ipotizzata appropriazione indebita e si osserva che il Tribunale ha superato la motivazione di rigetto del Tribunale sulla base di mere postulazioni e con un provvedimento che si assume non congruamente motivato. 3.7. Violazione di legge ed illegittimità di un sequestro funzionale alla confisca per equivalente, in forza dell’art. 648-quater c.p. (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). Si osserva che il sequestro per equivalente previsto dall’art. 648-quater c.p., non può essere applicato alle condotte commesse in data antecedente alla sua entrata in vigore, attesane la natura sanzionatoria. Da ciò si fa discendere l’inapplicabilità di tale strumento ablatorio al caso in esame, atteso che le uniche condotte astrattamente riconducibili al paradigma del riciclaggio sono risalenti al 2000 e, perciò, antecedenti all’introduzione dell’art. 648-quater c.p., con il D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 63, comma 4. 3.8. “Con particolare riferimento al provvedimento del G.i.p. del 4.06.2019 che aveva limitato l’oggetto del sequestro all’importo di Euro 1.871.184,14 (...) e al provvedimento del Tribunale del riesame dell’8.7.2019” si denuncia la violazione di legge e l’illegittimità di un sequestro determinato in funzione dell’errata individuazione del profitto del reato (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B), e C). Premessi i risultati dell’appello del PM e la tecnica di redazione dalla motivazione, la difesa sostiene che nel provvedimento del Tribunale del riesame si ha un accoglimento implicito del motivo con cui la difesa lamentava
Lo scudo fiscale non esclude la configurabilità del reato di riciclaggio
– in sede di riesame – l’individuazione della contravvenzione ex L. n. 516 del 1982, art. 1, comma 2, lett. a), quale reato presupposto del riciclaggio, con la conseguenza che – in caso di rigetto del motivo sub 1 e dell’accoglimento del motivo sub 2 – dovrà essere comunque ridotto l’importo oggetto del sequestro disposto dal G.i.p. anzitutto e quanto meno nella misura di Euro 361.610,11 pari al provento dei reati contravvenzionali di presunta evasione fiscale, contestata dal 1991 al 1994. Si aggiunge che gli importi relativi alle truffe GATT andavano quantomeno ridimensionati, in quanto nella somma complessiva pari a Euro 1.509.574,03 erano state illegittimamente ricomprese anche le utilità ritratte dalla società GESPA di C.G., totalmente estranea alla famiglia B. Si osserva ancora che lo stesso Giudice della sentenza di patteggiamento spiegava che la società B. s.r.l. era una sorta di tramite tra la società Gespa s.l. e le persone offese e che per tale ruolo percepiva una sorta di provvigione che costituiva il profitto del reato. Secondo la difesa, pertanto, l’importo da considerarsi provento delle truffe GATT non può essere superiore a quello quantificato dal giudicante della sentenza di patteggiamento e individuata in 58.898,55 marchi tedeschi alla quale va aggiunta l’ulteriore somma pari a Lire 334.169.735. 4. Con memoria depositata in Cancelleria il 28.10.2019, sono stati proposti motivi nuovi con i quali vengono ulteriormente illustrate le ragioni a sostegno del primo motivo di ricorso, con il quale si nega la possibilità di far rientrare il caso concreto nello schema del reato a formazione progressiva o a consumazione prolungata, ponendo ulteriormente l’accento sulla violazione del principio di legalità e di determina-
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tezza configurabile allorquando venga attribuita rilevanza penale a condotte prive del requisito della tipicità. A sostegno dell’assunto, vengono passati in rassegna una serie di casi giurisprudenziali in cui è stata riconosciuta la configurazione del reato di riciclaggio a formazione progressiva e si rimarcano le differenze rispetto al caso in giudizio, con particolare riguardo alla mancanza del requisito della intrinseca tipicità illecita di ogni condotta, in tutti i suoi elementi costituitivi. Si aggiunge che la configurazione del reato a formazione progressiva, così come ritenuto dal Tribunale, comporta la violazione della disciplina della prescrizione, con riguardo alla quale non possono essere considerate le condotte successive a quella compiuta nel 2000, in quanto prive di tipicità normativa. Si ribadisce, quindi, che il reato deve considerarsi ampiamente prescritto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 1.1. Bisogna anzitutto tracciare il perimetro dell’odierna impugnazione, al fine di individuare i motivi che vi rientrano e quelli che, invece, sono estranei a essa. Tale operazione è resa necessaria in quanto il ricorso in esame – in alcuni tratti – impinge il provvedimento emesso dal Tribunale in – accoglimento dell’appello del PM e in riforma della parte della decisione del G.i.p. che rigettava la richiesta di sequestro preventivo, ritenendo l’insussistenza – tra l’altro – del reato di appropriazione indebita quale presupposto del reato di riciclaggio. L’ordinanza del Tribunale qui impugnata, invece, è quella che ha rigettato l’istanza di riesame avanzata dall’indagato e che ha confermato la parte della
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decisione del G.i.p. che accoglieva la richiesta di sequestro preventivo inoltrata dal P.M. Da ciò discende che non sono riferibili all’odierno esame i motivi sopra sintetizzati ai p.p. 3.2, 3.3., 3.5., 3.6. in quanto riferiti alla (diversa) ordinanza del Tribunale che ha accolto l’appello del PM, per come si evince dal contenuto delle censure, principalmente riferite alla configurabilità del delitto di appropriazione indebita quale reato presupposto, ossia un tema affatto estraneo al provvedimento qui impugnato e oggi in esame, confermativo dell’ordinanza del G.i.p. che aveva escluso la configurabilità di condotte di indebita appropriazione. Tale mancanza di correlazione emerge in tutta la sua evidenza con riguardo ai motivi sintetizzati ai p.p. 3.2. e 3.6., visto che il primo è specificamente intitolato alla non configurabilità dell’appropriazione indebita come reato presupposto e il secondo si duole della mancata considerazione delle deduzioni difensive esposte in sede di “appello cautelare” e, dunque, necessariamente in relazione alla diversa ordinanza pronunciata all’esito dell’impugnazione del PM. Con specifico riguardo ai p. 3.3., 3.4. e 3.5. si registra una promiscuità dei motivi, in quanto indistintamente rivolti all’intera vicenda, ma con argomentazioni sempre intese a esporre rilievi critici all’ordinanza impugnata quanto all’estensione del sequestro oltre i limiti delineati dal G.i.p. e, quindi, orientate all’impugnazione dell’ordinanza emessa in accoglimento dell’appello del PM. Tale puntualizzazione viene confortata e confermata dall’intitolazione del motivo sunteggiato al p. 3.8., che così recita: “Con particolare riferimento al provvedimento del G.i.p. del 4.06.2019 che aveva limitato l’oggetto del seque-
stro all’importo di Euro 1.871.184,14 (...) e al provvedimento del Tribunale del riesame dell’8.7.2019”. Tale intitolazione chiarisce che il motivo sintetizzato al p. 3.8. è riferito all’ordinanza qui impugnata e, al contempo, lo differenzia dai precedenti motivi che, in assenza della specifica riferibilità all’ordinanza oggetto della presente impugnazione, risultano privi della necessaria correlazione tra ricorso e provvedimento impugnato. Da quanto esposto consegue che non vengono esaminati i motivi indicati ai p. 3.2., 3.3., 3.4., 3.5., 3.6. e 3.7., in quanto estranei ai temi attinenti al provvedimento del G.i.p. del 4.06.2019 – che aveva limitato l’oggetto del sequestro all’importo di Euro 1.871.184,14 – e al provvedimento del Tribunale del riesame dell’8.7.2019 che lo confermava rigettando la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di B.E. 1.1.1. Il primo motivo di ricorso (sintetizzato al p. 3.1.) è infondato. Con esso non si dubita della possibilità astratta di configurare il reato di riciclaggio come reato a formazione progressiva ovvero a consumazione prolungata o con condotte frazionate, ma si sostiene che tale schema non può ritenersi configurato nel caso concreto, in ragione dell’autonomia dei singoli atti, della loro autonomia e della loro liceità. Si sostiene che – a tal fine – è necessario che ogni singolo atto compiuto successivamente alla prima consumazione deve essere conforme alla fattispecie incriminatrice astratta, contenendo in sè tutti gli elementi strutturali necessari alla configurazione tipica del reato. Si aggiunge che “la giurisprudenza è tassativa nel richiedere la reiterazione in ogni caso degli elementi costitutivi del reato, nonchè la sua progettazione
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o esecuzione con modalità frammentarie e progressive nel medesimo contesto fattuale”. Si eccepisce, quindi, la violazione del principio di legalità e di determinatezza della fattispecie nel caso in cui i singoli atti non abbiano tutti gli elementi costitutivi della fattispecie. L’assunto è infondato perchè si scontra con le caratteristiche del riciclaggio che, come la stessa difesa ha sottolineato, è un reato a forma libera, con la conseguente impossibilità di una preventiva tipizzazione delle condotte che – in concreto – vengono strumentalizzate o possono essere strumentalizzate al perseguimento della finalità di occultare la provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità. Proprio l’impossibilità di una preventiva tipizzazione delle condotte astrattamente orientabili verso lo scopo di occultare la provenienza delittuosa del denaro (o dei beni o delle altre utilità) impedisce l’accesso all’assunto difensivo secondo cui il reato di riciclaggio non può essere commesso con atti di disposizione leciti (come il ricorso al cd scudo fiscale ovvero il rispetto del regolamento) ovvero pubblici (come la donazione). In realtà, ciò che fa ricadere una condotta nel tipo del reato di riciclaggio non è la liceità o l’illiceità in sè dell’atto compiuto, quanto la direzione finalistica che a questo viene impressa dal soggetto agente, che lo usa per schermare la provenienza delittuosa del denaro (del bene o dell’utilità) oggetto dell’atto medesimo. La forma libera del reato di riciclaggio, nei termini ora evidenziati, implica che quell’effetto di oscuramento – possa essere astrattamente realizzato con i singoli atti leciti, ma anche con una pluralità di distinti atti leciti, anche realizzati a distanza di tempo, purchè
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siano ricondotti a unità dall’obiettivo comune cui essi sono finalizzati, ossia l’occultamento della provenienza delittuosa del denaro che costituisce il loro oggetto. Non è essenziale, inoltre, che l’agente individui e preveda fin dall’inizio del proprio progetto delittuoso i singoli atti che andrà a compiere per perseguire la finalità di occultamento, ben potendo accadere che i singoli atti siano individuati nel corso della sua attuazione, in base alle eventuali sopravvenienze ovvero in base allo sviluppo concreto degli eventi che rendono preferibile un atto piuttosto che un altro ovvero mettono a disposizione atti precedentemente non previsti dall’ordinamento giuridico, che possono rendere più efficace l’azione nella prospettiva di rendere definitiva e/o di consolidare l’acquisizione del provento del delitto. Risultano infondate, perciò, le obiezioni difensive che lamentano l’impossibilità di configurare il riciclaggio in ragione dell’autonomia delle singole condotte, della loro liceità e in quanto non previste e non prevedibili al momento del compimento della primigenia condotta di riciclaggio. 1.1.2. Il secondo e il terzo motivo di ricorso (sintetizzati, rispettivamente, ai p.p. 3.4. e 3.6.) sono infondati. Tali motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono entrambi alla collocazione temporale del reato, con specifico riferimento al tempo della sua commissione. Il tema è rilevante in quanto dalla sua soluzione discendono conseguenze in punto di prescrizione e di applicabilità della confisca così come disciplinata dall’art. 648-quater c.p., in quanto norma sanzionatoria sfavorevole e, in quanto tale, soggetta alla disciplina al divieto di irretroattività.
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Le censure difensive suppongono che il reato si sia consumato nel 2000, ossia al tempo in cui veniva realizzata la prima condotta di riciclaggio. Tale assunto è, però, infondato per le ragioni esposte al precedente paragrafo. Infatti, una volta stabilito che l’ipotesi concreta si è sviluppata lungo più atti compiuti nel tempo, si deve far riferimento all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, là dove chiarisce che “in tema di riciclaggio, ove più siano le condotte consumative del reato, attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento ad un medesimo oggetto, si configura un unico reato a formazione progressiva, che viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere” (Sez. 2, Sentenza n. 29869 del 23/06/2016; Rv. 267856; Sez. 2, Sentenza n. 52645 del 20/11/2014, Rv. 261624). In tale ipotesi, dunque, il delitto di riciclaggio, si atteggia a reato permanente (Sez. 2, Sentenza n. 29611 del 27/04/2016, Rv. 267511; Sez. 2, Sentenza n. 34511 del 29/04/2009) e, conseguentemente, deve considerarsi con-
sumato con il compimento dell’ultimo della sequenza di atti incriminata. Nel caso concreto, tale ultimo atto viene individuato nell’atto di donazione del 14 settembre 2015, con la duplice conseguenza che il reato non è prescritto e che esso deve considerarsi commesso nello spazio di vigenza temporale dell’art. 648-quater c.p. 1.1.4. Il quarto motivo di ricorso (sintetizzato al p. 3.8.) attiene alla quantificazione delle somme sequestrabili e implica esclusivamente valutazioni di mero fatto non consentite in sede di legittimità. Da qui la sua inammissibilità in questa sede. 2. Da quanto esposto consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019. Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020
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Lo scudo fiscale non esclude la configurabilità del reato di riciclaggio Francesca Urbani
Sommario: Premessa. – 1. Il fatto. – 2. Una ricostruzione giurisprudenziale.
Premessa La Suprema Corte ha recentemente confermato il sequestro sui beni di un imprenditore coinvolto in un’importante evasione fiscale, decretando così che lo scudo fiscale non esclude la configurabilità del reato di riciclaggio. Con la sentenza n. 7257 del 24 Febbraio 2020, la Cassazione ha infatti confermato la commissione del reato di riciclaggio, anche nei casi in cui le somme di denaro, frutto di evasione, rientrino in Italia mediante l’utilizzo di istituti leciti, quale appunto lo scudo fiscale. Quest’ultimo è stato più volte oggetto di discussione per quanto concerne la sua compatibilità e la sua applicazione alle fattispecie disciplinate dalla normativa vigente in materia di antiriciclaggio1. Consentendo la regolarizza1 M. Draghi, Governatore della Banca d’Italia – Roma – ACRI – Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa, relazione 29 ottobre 2009; P. Ielo, Reati tributari e riciclaggio: spunti di riflessione
zione di attività finanziarie e patrimoniali illegalmente esportate o detenute all’estero e inibendo determinate azioni di accertamento tributario e penale, è senza dubbio un istituto di cui è stato fatto ampio uso nel trascorso decennio. Dibattiti politici e dottrinali, nonché numerose pronunce giurisprudenziali, hanno chiarito nel corso del tempo i termini di applicabilità dello scudo e hanno fornito chiarimenti in ordine agli aspetti particolarmente controversi di tale istituto2. La rigorosa recente pronuncia della Corte di Cassazione è un altro dei passi importanti per il conseguimento delle finalità suddette: consente infatti di far luce sugli elementi che conducono alla qualificazione di una condotta illecialla luce del decreto sullo scudo fiscale, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2010. 2 Ministero dell’Economia e delle Finanze, circolare 16 Febbraio 2010; R. Razzante, Capitali scudati ed adempimenti antiriciclaggio, in Guida ai Controlli Fiscali del Sole 24 Ore, ottobre 2009; Agenzia delle Entrate, Circolare 43/E/2009.
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ta come rientrante nello schema delittuoso del reato di riciclaggio. Per comprendere esaurientemente la decisione degli Ermellini e la ratio alla base della stessa è utile contestualizzare la fattispecie oggetto dell’esame della Corte.
1. Il fatto
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L’imprenditore indagato, socio di un’impresa elvetica, ha depositato somme provento di delitti, quali la truffa, il contrabbando e l’evasione fiscale, in un conto corrente svizzero; successivamente, attraverso l’istituto dello scudo fiscale, ha trasferito tali somme in Italia, depositandole presso conti correnti italiani e conferendo a un terzo soggetto la delega ad operare sugli stessi. Infine ha trasferito le somme di natura illecita a un altro soggetto tramite l’istituto donativo. L’approfondimento dell’impianto accusatorio, tramite l’analisi delle singole condotte illecite oggetto dello stesso, consente di cogliere lo sviluppo dei ragionamenti effettuati dalla Suprema Corte. Secondo l’ipotesi d’accusa la condotta di riciclaggio si è infatti articolata in una pluralità di atti realizzata in un arco temporale di circa quindici anni e ha a oggetto le somme provento dei reati surriferiti, la cui relativa vicenda giudiziaria si è conclusa con sentenza di patteggiamento.
Il primo atto della condotta di riciclaggio in contestazione è stato commesso dall’indagato nel 2000, quando, in qualità di socio di una società elvetica, rinnovava il mandato a una fiduciaria svizzera di gestire i fondi depositati su un conto corrente alimentato dalle somme provento dei delitti già indicati; fondi precedentemente custoditi presso altri conti cifrati. Sulla base di tale ricostruzione l’accusa asserisce che l’indagato non poteva non essere il beneficiario economico di tale conto corrente. Il secondo atto è stato realizzato dall’imputato nel 2003 con l’adesione allo scudo fiscale, utilizzato per far rientrare in Italia, attraverso un duplice trasferimento bancario, una cospicua somma di denaro su propri conti corrente. La pubblica accusa individua poi il terzo atto della condotta di riciclaggio nell’anno 2010, quando il ricorrente conferiva al padre la delega a operare a firma disgiunta sul conto sopra menzionato. Nell’anno 2013 seguiva un ulteriore trasferimento di denaro, su un altro conto intestato all’indagato con delega a firma disgiunta attribuita al padre nel 2012. A conclusione della condotta di riciclaggio contestata, nel 2015 il ricorrente donava, tramite atto notarile, una considerevole somma di denaro in favore del fratello, a mezzo di plurime operazioni bancarie e finanziarie in favore di conti correnti a lui intestati. Il Tribunale di Genova, in sede di riesame, confermava il decreto
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con cui il G.i.p. aveva disposto nei confronti dell’indagato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaro in relazione al delitto di riciclaggio, aventi quali reati presupposti la truffa e la violazione della normativa inerente alla repressione dell’evasione dell’imposta sui redditi. La difesa dell’indagato proponeva ricorso per Cassazione contro l’anzidetta pronuncia, asserendo la legittimità delle condotte contestate e l’inverosimiglianza del perfezionamento in circa 15 anni della fattispecie contestata. Nello specifico la difesa deduceva, tra gli altri motivi, violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti del reato di riciclaggio. L’ordinanza impugnata faceva infatti rientrare la pluralità di atti compiuti dal 2000 al 2015 in un’unica ipotesi di reato di riciclaggio, quale reato istantaneo a formazione progressiva. Secondo la difesa dell’indagato nelle fattispecie in esame mancava “il compatto vincolo di unità cronologica, spaziale, teleologica e, soprattutto, di titolo giuridico”3 necessario alla riconduzione di una pluralità di atti a un medesimo reato; il legale dell’imprenditore affermava quindi che gli atti compiuti successivamente all’anno 2000 fossero slegati dalla condotta di riciclag Cass. Penale sez. II, 24 Febbraio 2020, n. 7257/2020.
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gio eventualmente commessa in tale anno, in quanto muniti di specifiche e autonome cause giuridiche e privi di un’intrinseca funzione decettiva, che non consentiva l’ipotesi di autonome condotte di riciclaggio. La Suprema Corte, nella decisione in commento, riteneva infondato il ricorso ed esprimeva il principio di diritto secondo cui ciò che rileva, ai fini dell’attribuzione di una condotta allo schema delittuoso del reato di riciclaggio, non è il carattere illecito dell’atto compiuto quanto la direzione finalistica stabilita dal soggetto che compie l’operazione: è infatti la finalità di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni ciò che consente di configurare il reato in esame, anche se le operazioni poste in essere costituiscano atti leciti e realizzati a distanza di tempo.
2. Una ricostruzione giurisprudenziale Gli Ermellini affermano che “il reato di riciclaggio è un reato a forma libera, con la conseguente impossibilità di una preventiva tipizzazione delle condotte che – in concreto – vengono strumentalizzate o possono essere strumentalizzate al perseguimento delle finalità di occultare la provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità. Proprio l’impossibilità di una preventiva tipizzazione delle condotte
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astrattamente orientabili verso lo scopo di occultare la provenienza delittuosa del denaro (o dei beni o delle altre utilità) impedisce l’accesso all’assunto difensivo secondo cui il reato di riciclaggio non può essere commesso con atti di disposizione leciti (come il ricorso al cd. scudo fiscale ovvero il rispetto del regolamento) ovvero pubblici (come la donazione). In realtà ciò che fa ricadere una condotta nel tipo di reato di riciclaggio non è la liceità o l’illiceità in sé dell’atto compiuto, quanto la direzione finalistica impressa dal soggetto agente, che lo usa per schermare la provenienza delittuosa del denaro (o dei beni o delle altre utilità) oggetto dell’atto medesimo. La forma libera del reato di riciclaggio, nei termini ora evidenziati, implica che quell’effetto di oscuramento possa essere astrattamente realizzato con singoli atti leciti, ma anche con una pluralità di distinti atti leciti, anche realizzati a distanza di tempo, purché siano ricondotti a unità dall’obiettivo comune cui essi sono finalizzati, ossia l’occultamento della provenienza delittuosa del denaro che costituisce il loro oggetto. Non è essenziale, inoltre, che l’agente individui e preveda fin dall’inizio del proprio progetto delittuoso i singoli atti che andrà a compiere per perseguire la finalità di occultamento, ben potendo accadere che i singoli atti siano individuati nel corso della sua attuazione, in base alle eventuali sopravvenien-
ze ovvero in base allo sviluppo concreto degli eventi che rendono preferibile un atto piuttosto che un altro ovvero mettono a disposizione atti precedentemente non previsti dall’ordinamento giuridico, che possono rendere più efficace l’azione nella prospettiva di rendere definitiva e/o di consolidare l’acquisizione del provento del delitto”4. Il passaggio appena esposto, estratto dal compendio motivazionale della Corte, consente di comprendere pienamente i motivi per cui la stessa ritenga infondate le obiezioni difensive sollevate dal legale dell’imprenditore, ossia l’impossibilità di configurare il reato di riciclaggio in ragione dell’autonomia delle singole condotte messe in atto dall’indagato, della liceità e della non prevedibilità delle stesse al momento della primigenia condotta di riciclaggio. Infatti, provato che l’ipotesi in esame si sia sviluppata tramite il compimento di più atti nel corso di un determinato intervallo di tempo, si può e si deve far riferimento a quanto già chiarito dalla Cassazione Penale in precedenti pronunce: in tema di riciclaggio, qualora vi siano più condotte consumative del reato, attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento a un medesimo oggetto, si configura un unico reato a formazione progressiva e consumazione prolungata, che
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viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere5. Nell’ipotesi qui in esame, dunque, il reato di riciclaggio si atteggia a reato permanente, caratterizzato da una fase persistente, di durata non preventivamente individuata, che segue il momento della perfezione del reato e si protrae per un tempo apprezzabile. Nel corso di tale intervallo di tempo perdura la condotta volontaria dell’agente, il quale è in grado di interrompere in qualsiasi momento la situazione antigiuridica. Pertanto il reato in esame si considera consumato con il compimento dell’ultimo atto della catena di atti oggetto di incriminazione6. Per quanto concerne la forma libera del reato di riciclaggio e a sostegno dei ragionamenti appena esposti, è utile segnalare anche una pronuncia della Corte di Cassazione penale risalente all’anno 2014, in cui i giudici di legittimità asseriscono che “…integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio, essendo il reato di cui all’art. 648-bis c.p. a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti ed anche il mero trasferimento di de5 Cass. Penale sez. II, 20 Novembre 2014, n. 52645; Cass. Penale sez. II, 23 Giugno 2016, n. 29869. 6 Cass. Penale sez. II, 20 Novembre 2014, n. 52645; Cass. Penale sez. II, 23 Giugno 2016, n. 29869.
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naro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario a un altro diversamente intestato e acceso presso un differente istituto di credito”7. È utile e doveroso sottolineare la dura posizione presa dalla Suprema Corte nell’affermare, adducendo una non poco severa motivazione, la non essenzialità da parte dell’agente dell’individuazione e della previsione fin dall’inizio del progetto delittuoso dei singoli atti, che costituiranno lo stesso e tramite cui si realizzerà la finalità di occultamento. Gli Ermellini infatti, nella stesura delle motivazioni alla base del rigetto del ricorso, riservavano una breve ma attenta analisi alla previsione e all’individuazione dei suddetti atti, concludendo che sia possibile individuare differenti condotte che rendano maggiormente efficace l’azione dissimulatoria in base all’evoluzione degli eventi o in base al verificarsi di particolari avvenimenti. Ciò che rileva ai fini della configurazione del reato di riciclaggio è, per la Suprema Corte, sempre la direzione finalistica, ovvero la volontà di occultare la provenienza illecita del denaro per garantire l’efficacia definitiva dell’acquisizione dei frutti del delitto. In ultima analisi, allo scopo di far luce sugli elementi che conducono alla qualificazione di una Cass. Penale sez. II, 9 Ottobre 2014, n. 43881.
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condotta illecita come rientrante negli schemi delittuosi delineati dal legislatore ai fini del contrasto del riciclaggio, è opportuno segnalare una recente pronuncia tramite cui la Corte ha nuovamente sentenziato in tale ambito8; nel mese di Febbraio del corrente anno la stessa ha infatti reputato configurabile il concorso tra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte9 e il reato di autoriciclaggio10. Alla base di tale assunto c’è la considerazione che il provento derivante dal reato presupposto, nel caso in esame quello di sottrazione fraudolenta, possa consistere tanto in un incremento del patrimonio dell’agente quanto in un risparmio, poiché lo stesso ne riceve comunque un vantaggio economicamente apprezzabile. Il dato giuridico fondamentale per la configurabilità del reato di autoriciclaggio è infatti la circostanza che dal reato presupposto derivi, come effetto diretto della condotta criminosa, un vantaggio patrimoniale apprezzabile e idoneo a essere riciclato, per evitare che sia riconducibile al reato commesso11. Laddove, invece, da quest’ultimo delitto l’agente non tragga vantaggio patrimoniale alcuno, non potrà essere ravvisata la sussistenza del reato di autoriciclaggio.
Cass. Penale sez. II, 24 Febbraio 2020, n. 7259. 9 Art. 11, D.lgs. n. 74/2000. 10 Art. 648-ter 1, c.p. 11 Cass. Penale sez. II, 1 Aprile 2019, n. 14101. 8
Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, alla luce del principio appena esposto, l’utilità derivante dal reato di sottrazione fraudolenta è data dal risparmio di spesa, costituito non dall’imposta evasa bensì dal valore dei beni sottratti alla garanzia patrimoniale generica.
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Cassazione penale sez. II, ud. 30/01/2020, dep. 25/03/2020, n. 10638 Presidente Dott. Gallo, Relatore Dott. Filippini Riciclaggio – Elemento soggettivo – Dolo eventuale – Imprenditore esperto – Appello
Il giudice di appello, nel riformare la condanna pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, dovrà confrontarsi con tutte le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte.
(Omissis) Considerato in fatto 1. La CORTE di APPELLO di MILANO, con sentenza in data 21/05/2019, in totale riforma della sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di MILANO, in data 30/05/2018, nei confronti di E.D.D., assolveva il medesimo dai reati ascritti (associazione a delinquere, capo 1, e riciclaggio, capo 6), “perchè il fatto non costituisce reato”, ritenendo carente la dimostrazione dell’esistenza del dolo per entrambe le fattispecie; già in primo grado, invece, era stato dichiarato il non doversi procedere per prescrizione, nei confronti dell’E., rispetto ad un ulteriore addebito di riciclaggio (quello contestato al capo 7), avendo il Tribunale milanese riqualificato detta condotta quale concorso in un episodio di truffa (il capo 3), originariamente ascritto solo ad altri imputati.
1.1. Tutti i fatti ora in esame si iscrivono all’interno di un complesso procedimento relativo a plurimi episodi di truffa e/o appropriazione indebita posti in essere ai danni della banca CARIGE spa, di CARIGE VITA NUOVA spa e CARIGE R.D. spa. Gli addebiti rivolti all’E. costituiscono solo uno stralcio del ben più ampio procedimento svoltosi dinanzi alle autorità giudiziarie di Genova che ha coinvolto un gruppo di persone (tra le quali, per quanto di interesse in questa sede, oltre all’E., figurano B.G., M.F., C.S.M., C.E., V.A. e A.F., tutti giudicati separatamente a Genova) accusate anch’esse (capo 1) di aver fatto parte a vario titolo di una associazione a delinquere finalizzata a compiere, tra il 2005 e il 2014, più delitti di appropriazione indebita e/o truffa ai danni della banca CARIGE spa e delle controllate società assicuratrici
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CARIGE VITA NUOVA spa e CARIGE R.D. spa, nonchè il successivo riciclaggio e reinvestimento di proventi illeciti; in particolare, B. e M., titolari di ruoli apicali nelle citate spa (il primo presso l’istituto di credito, il secondo presso le compagnie assicuratrici), sono stati accusati di aver orientato le scelte strategiche delle stesse società, inducendole ad effettuare le operazioni di acquisto a prezzi gonfiati degli immobili e delle quote sociali meglio indicati ai capi 2 e 3 dell’imputazione (si tratta delle truffe da cui è derivato il profitto che E. avrebbe riciclato), per poi canalizzare buona parte del relativo profitto in favore di se stessi mediante circuiti internazionali; all’attuale ricorrente è stato invece attribuito il ruolo associativo di riciclatore, avendo cooperato, personalmente e tramite società da lui amministrate, nella circolazione dei profitti illeciti tratti dai predetti B. e M. dalla commissione delle truffe/ appropriazioni indebite ai danni della società amministrate. 1.1.1. Come accennato, ad E. è stato anche contestato (riportando condanna in primo grado) l’addebito di riciclaggio di cui al capo 6, per avere, avvalendosi del contributo del gruppo organizzato di cui al capo 1, effettuato nel settembre 2006 trasferimenti all’estero di denaro finalizzati a riciclare il profitto di una delle truffe contestate ad alcuni associati (quella di cui al capo 2, ascritta a B., M. e C., consistente nell’aver i primi due fatto acquistare a prezzi gonfiati, nel 2006, a Carige Vita Nuova spa e Carige spa, due immobili di proprietà di IHC srl, gestita dal C.). 1.1.2. Invece, quanto all’ulteriore originario addebito di riciclaggio a carico di E. (il capo 7), relativo ai proventi di altra truffa (quella ascritta al capo 3 dell’imputazione ai soli associati B. e V., posta in essere nell’ambito dell’ac-
quisto, effettuato il (omissis) da parte di Carige Vita Nuova spa e Carige spa, al prezzo gonfiato risultante dalla stima redatta dal V., della partecipazione societaria in Assi 90 srl venduta dalla società elvetica Balitas SA), già il Tribunale di Milano, rilevando che la venditrice Balitas SA risultava dal giugno 2009 amministrata dall’E., aveva escluso la configurabilità del riciclaggio sussistendo piuttosto il concorso dell’attuale ricorrente nel reato presupposto, che tuttavia veniva dichiarato estinto per prescrizione. 1.2. Il giudizio milanese, come accennato, è frutto dello stralcio operato dall’autorità genovese della posizione dell’E., mentre i giudici liguri hanno proceduto per il reato associativo a carico dei restanti partecipi dell’associazione nonchè per i capi (le citate truffe di cui ai capi 2 e 3) costituenti il reato presupposto dei due fatti di riciclaggio ascritti all’E. (i capi 6 e 7). 1.2.1. Per quanto di rilievo nella presente sede, deve pure evidenziarsi che, il Tribunale di Genova, prima, e la Corte di appello di Genova, poi, erano pervenuti alla condanna di B., M., C. e C. per il reato di cui all’art. 416 c.p., mentre avevano dichiarato l’intervenuta prescrizione, nei confronti dei soggetti colà giudicati, dei reati di truffa di cui ai capi 2 (ascritta a B., M. e C.) e 3 (ascritta a V. e B.); tuttavia, occorre sin d’ora evidenziare che, con sentenza di questa Sezione in data 16.10.2019 (la n. 44678/19), la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, tutte le decisioni di merito pronunciate dai giudici genovesi a carico degli imputati colà giudicati (e, in particolare, la sentenza d’appello del 6.7.2018, quella di primo grado emessa dal Tribunale di Genova il 22.2.2017 nonchè il decreto
Accertamento del dolo nel reato di riciclaggio di un imprenditore esperto
che dispone il giudizio), essendo stata ritenuta la competenza per territorio dell’autorità giudiziaria lombarda. 2. Avverso la sentenza assolutoria pronunciata nel presente giudizio dalla Corte di appello di Milano propongono separati ricorsi per cassazione il PG presso la Corte di appello di Milano nonchè le parti civili AMISSIMA ASSICURAZIONI S.P.A, GIÀ CARIGE ASSICURAZIONI S.P.A., e AMISSIMA VITA S.P.A., GIÀ CARIGE VITA NUOVA S.P.A., deducendo i motivi che partitamente di seguito si espongono. 2.1. Con il ricorso della pubblica accusa si lamenta: - violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 648bis c.p.; premessa la ricostruzione del ragionamento seguito dalla Corte territoriale milanese, si evidenzia l’erroneità della esclusione della sussistenza del dolo in capo all’imputato, anche nella forma eventuale, dal momento che ad integrarlo è sufficiente una conoscenza pure approssimativa della provenienza illecita del denaro riciclato. E, nella vicenda processuale, plurimi elementi (quali alcune conversazioni criptiche con l’imputato C. e le risultanze della CTU disposta dal Tribunale di Genova) depongono per la riconoscibilità della originaria opacità delle operazioni da cui è derivata la provvista riciclata; aspetti pure valorizzati dal Tribunale di Milano (cfr. pp. 16-17 della relativa sentenza) per fondare la sussistenza del dolo eventuale, come contraddittoriamente rilevato anche dalla Corte d’appello milanese per concordare sulla sussistenza degli elementi oggettivi del riciclaggio, ma illogicamente ignorati allorchè si è esaminato il profilo soggettivo del reato. Errata è anche la ritenuta irrilevanza della consapevolezza dolosa che pare rinvenirsi in capo all’imputato a partire dal 2010, essen-
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do il riciclaggio reato a condotta anche progressiva. - contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 648-bis c.p., con riferimento al ritenuto concorso nella truffa di cui al capo 3; illogica è la pretermissione del dato relativo alla ritenuta condotta concorsuale nella truffa in parola operata dai medesimi soggetti ai danni di Carige Vita Nuova spa indicativa di rapporti tra gli imputati coevi rispetto alle condotte sub 6 e dunque funzionali a sorreggere l’affermazione della presenza della necessaria consapevolezza, in capo all’imputato, circa la provenienza illecita del denaro trasferito e investito all’estero. - vizio della motivazione in relazione all’art. 416 c.p., essendo illogicamente stata desunta la carenza del dolo rispetto al reato associativo dalla ritenuta carenza del dolo rispetto ad un reato fine; del tutto pretermesse sono le risultanze della rogatoria svizzera quanto ai rapporti con C. (l’anello di congiunzione con gli altri imputati), emblematiche di consolidata collaborazione. 2.2. Con il ricorso congiunto proposto dalle parti civili AMISSIMA ASSICURAZIONI S.P.A, GIÀ CARIGE ASSICURAZIONI S.P.A, e AMISSIMA VITA S.P.A., GIÀ CARIGE VITA NUOVA S.P.A., si deduce: - violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 648bis c.p., avendo la Corte territoriale illogicamente escluso la ricorrenza del dolo di reato in capo all’imputato; la fattispecie di riciclaggio richiede dolo generico (con riferimento alla provenienza delittuosa dell’oggetto del riciclaggio e alla volontà di occultamento) ed è compatibile con il dolo eventuale, nella fattispecie dimostrato dalle stesse considerazioni che hanno portato la Corte milanese ad affermare la pre-
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senza di un contributo materiale dell’E., rispetto al riciclaggio, sotto il profilo oggettivo. Del tutto ignorati nella sentenza impugnata sono plurimi aspetti sintomatici del dolo, puntualmente valorizzati sia dal Tribunale di Milano che da quello di Genova nella sentenza acquisita agli atti. Manifestamente illogica è poi l’affermazione che una consapevolezza acquisita nel 2010 della natura illecita della provvista riciclata non sia indicativa anche dell’esistenza di una precedente conoscenza al riguardo sin dalla commissione dei primi atti decettivi; del resto, il riciclaggio ben può consistere in operazioni frammentate e progressive. Del tutto contraddittoria e illogica è la considerazione del definitivo accertamento di un concorso dell’E. nella truffa di cui al capo 3 operata nel 2009 da B. e M. mediante la sopravvalutazione delle quote societarie della Assi 90 srl; se tale accertamento è risultato preclusivo rispetto alla configurabilità del riciclaggio contestato al capo 7, non di meno deve considerarsi che i detti correi sono i medesimi che hanno beneficiato anche della truffa di cui al capo 2 e del riciclaggio di cui al capo 6, fatti risalenti solo a pochi anni prima (il 2006). - violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta carenza del dolo del reato associativo, desunta apoditticamente dalla esclusione del reato fine sub 6, senza adeguata considerazione degli elementi indizianti desumibili dalla materiale commissione di operazioni decettive in accordo con altri appartenenti al sodalizio sub 1. 3. Con memoria depositata in data 18.11.2019 la difesa dell’imputato E.D.D. ha eccepito la tardività del ricorso del PG, depositato il 4.9.2019, in quanto la sentenza di appello del 21.5.2019, con motivazione riservata ai sensi dell’art.
544 c.p.p., comma 3, è stata depositata nei termini in data 10.6.2019; il termine per impugnare ha dunque avuto decorrenza dal 20.6.2019, data di scadenza del termine per il deposito. Conseguentemente, il termine di 45 giorni per impugnare deve considerarsi scaduto il 3.9.2019, dovendosi in questa ipotesi computare anche il dies a quo. 3.1. La difesa dell’imputato ha anche eccepito l’inammissibilità, per carenza di interesse, del ricorso della parte civile avverso la sentenza di assoluzione “perchè il fatto non costituisce reato”, non avendo tale pronuncia efficacia nel giudizio civile di danno; si segnala che la relativa questione giuridica, oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità, è stata rimessa nel marzo 2019 all’esame delle SS.UU. di questa Corte. 3.2. Con memoria difensiva depositata il 21.1.2020 la difesa E. ha prodotto la documentazione ivi indicata, comprensiva di copia della richiamata pronuncia di questa Corte relativa al filone processuale genovese (la sentenza n. 44678/19 di questa Sezione, resa all’udienza del 16.10.2019 e depositata il 4.11.2019). Ritenuto in diritto I ricorsi sono fondati. 1. Occorre in principalità affrontare le questioni sollevate dalla difesa dell’imputato con la memoria depositata in data 18.11.2019 e integrate con quella successiva del 21.1.2020. 1.1. In merito al tema della tempestività del ricorso proposto dal PG preso la Corte milanese, l’eccezione è infondata. Come sopra accennato, il ricorso della pubblica accusa è stato depositato il 4.9.2019, a fronte di sentenza di appello pronunciata in data 21.5.2019, per la cui motivazione, tempestiva-
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mente depositata in data 10.6.2019, il Collegio d’appello aveva riservato il termine di 30 giorni ai sensi dell’art. 544 c.p.p., comma 3. Secondo la difesa dell’imputato, il termine di 45 giorni per proporre il ricorso per cassazione avverso detta pronuncia deve considerarsi (considerando la sospensione feriale) scadente il 3.9.2019, dovendosi in questa particolare ipotesi computare anche il dies a quo (e cioè il 20.6.2019). Infatti, dal momento che il termine di quarantacinque giorni previsto dall’art. 585 c.p.p., comma 2, lett. C), decorre dal giorno della scadenza di quello previsto per il deposito delle motivazioni, il ricorso potrebbe dirsi depositato tempestivamente, il quarantacinquesimo giorno dalla data di scadenza del termine per il deposito delle motivazioni, soltanto ove trovasse applicazione la regola generale enunciata dall’art. 172 c.p.p., comma 4, secondo cui il termine processuale per l’impugnazione decorrerebbe dal giorno successivo a quello della scadenza del termine per il deposito delle motivazioni. Una regola generale che, secondo la difesa dell’imputato, la più recente giurisprudenza avrebbe, tuttavia, escluso che possa applicarsi al termine previsto dal citato art. 585 c.p.p., comma 2, lett. C), (cfr. Sez. 3, n. 17416 del 23/02/2016, Rv. 266982). Ciò in base alla “implicita” indicazione tratta dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali avrebbero affermato testualmente che “il giorno iniziale di decorrenza del secondo termine”, previsto per la presentazione dell’impugnazione, “coincide con quello in cui cade il primo termine” (così Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, Rossi e altri, Rv. 251495). Ad avviso del Collegio, tale ricostruzione non convince e deve invece ribadirsi il maggioritario orientamento giurisprudenziale secondo il quale
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il termine per il deposito del gravame inizia a decorrere dal primo giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza, in virtù del principio generale di cui all’art. 172 c.p.p., comma 4, (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 54333 del 20/07/2018, Rv. 275657). Secondo l’orientamento qui accolto, quest’ultimo principio generale non risulta derogato dalla previsione di cui all’art. 585 c.p.p., comma 2, lett. c). L’art. 172 c.p.p., comma 4, prevede, testualmente, la regola generale secondo cui “salvo che la legge disponga altrimenti, nel termine non si computa l’ora o il giorno in cui ne è iniziata la decorrenza”. Ora, secondo la tesi della difesa dell’imputato, la previsione, da parte della disposizione citata, di una possibilità di deroga espressa, avrebbe consentito all’art. 585, comma 2, lett. C), stesso codice, di individuare la decorrenza “dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza”, in tal modo individuando, come eccezione alla regola generale, il dies a quo del termine per l’impugnazione nel giorno stesso della scadenza del termine per il deposito e non in quello successivo. Come già detto, il Collegio condivide invece il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale, ai fini della tempestività della proposizione dell’impugnazione – nel caso in cui la sentenza sia emessa con la sola lettura del dispositivo e vi sia riserva del deposito della motivazione della sentenza – il termine per il deposito di quest’ultima, previsto dall’art. 544 c.p.p., inizia a decorrere, in virtù del principio generale ex art. 172 c.p.p., comma 4, dal giorno successivo alla data della lettura del dispositivo, mentre quello per il deposito del ricorso inizia a decorrere, in base al medesimo principio generale, dal primo giorno, compreso, successi-
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vo alla scadenza del termine di deposito della motivazione (Sez. 5, n. 32690 del 23/02/2018, Rv. 273711; Sez. 3, n. 1191 del 8/11/2007, Rv. 239272; Sez. 4, n. 11499 del 13/02/2003, Rv. 223927; Sez. 6, n. 9010 del 12/08/1997, Rv. 209123). Ciò in quanto una deroga del menzionato principio generale avrebbe dovuto essere espressamente enunciata dalla disposizione dettata dall’art. 585 c.p.p., comma 2, lett. C), la cui formulazione, invero, facendo riferimento alla decorrenza “dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza”, non è affatto incompatibile, sul piano testuale, con l’applicazione della regola posta dall’art. 172, comma 4 del codice di rito. Nè è di ostacolo a una siffatta ipotesi interpretativa il concetto di “coincidenza” temporale, indicato nel menzionato obiter della pronuncia delle Sezioni unite, potendo esso ritenersi indicativo non già della necessità di una assoluta sovrapponibilità tra i due termini, quanto piuttosto di una semplice loro contiguità, nel senso che quello “mobile” di proposizione dell’impugnazione deve iniziare subito dopo la scadenza del primo. La questione dedotta è dunque infondata. 1.2. Quanto poi al tema della pretesa carenza, in capo alla parte civile, dell’interesse a ricorrere (considerando che l’imputato è stato assolto dai reati ascritti, ritenendosi carente la dimostrazione dell’esistenza dei dolo, con la formula, “perchè il fatto non costituisce reato”), deve ancora concludersi nel senso dell’infondatezza. Ad avviso del Collegio come anche recentemente ribadito anche da questa Sezione (cfr. Sez. 2, n. 41784 del 18/07/2018, Rv. 275416), sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare la decisione assolutoria pronuncia-
ta con la formula “perchè il fatto non costituisce reato”, in quanto le limitazioni all’efficacia del giudicato previste dall’art. 652 c.p.p., non incidono sull’estensione del diritto all’impugnazione ad essa riconosciuto in termini generali nel processo penale dall’art. 576 c.p.p., imponendosi altrimenti alla stessa di rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto nel processo penale e a riavviare “ab initio” l’accertamento in sede civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali (nello stesso senso, Sez. 5, n. 10369 del 06/02/2019, Rv. 276344). È ben vero, come segnalato anche dalla difesa dell’imputato, che questa Sezione, con ordinanza n. 14080/2019, resa all’udienza del 15.3.2019, ravvisando contrasto giurisprudenziale sul punto (registrandosi più arresti favorevoli al rilievo della carenza di interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione con la formula “perchè il fatto non costituisce reato”; cfr. Sez. 4, n. 33255 del 09/07/2019, Rv. 276598; massime precedenti conformi: n. 25141 del 2019 Rv. 276338, n. 18781 del 2019 Rv. 275761, n. 24589 del 2017 Rv. 270053, n. 42460 del 2018 Rv. 2743671, n. 41462 del 2016 Rv. 267976), ha espressamente rimesso alle Sezioni Unite la questione in parola. Tuttavia, con provvedimento del 10/05/2019, il Presidente Aggiunto della Suprema Corte ha disposto la restituzione degli atti, ai sensi dell’art. 172 disp. att. c.p.p., evidenziando che le Sezioni Unite (sentenza n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815) hanno già risolto positivamente il quesito dell’impugnabilità della sentenza con la predetta formula, anche se priva di effetti preclusivi (“perché chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua con-
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troparte si giova di tale accertamento e si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall’inizio”: cfr. p. 13 della sentenza Guerra), sollecitando la Sezione rimettente ad un nuovo esame della questione, in quanto il principio del precedente relativamente vincolante, introdotto all’art. 618 c.p.p., comma 1-bis dalla L. n. 103 del 2017, deve trovare applicazione anche con riferimento alla decisioni delle Sezioni Unite anteriori alla novella. Sulla base di tale invito, il Collegio rimettente (cfr. Sez. 2, n. 39698 del 2019) ha ritenuto di non doversi discostare dal principio a suo tempo affermato dalle Sezioni Unite Guerra, sia perchè funzionale alle esigenze di contenimento dei tempi dell’accertamento giurisdizionale, valorizzate anche da recenti pronunce aderenti a tale indirizzo (cfr. Sez. 2, n. 36930 del 04/07/2018, in motivazione), sia perché un recentissimo ulteriore intervento del Supremo Consesso sembra confermare una prospettiva ispirata al favor impugnationis: si allude a Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953, secondo la quale nei confronti della sentenza di primo grado che abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come nei confronti della sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammissibile l’impugnazione della parte civile ove con la stessa si contesti l’erroneità di detta dichiarazione. Anche questo Collegio intende aderire all’insegnamento promanante dalle SS.UU. Guerra; infatti, la legittimazione della parte civile ad impugnare deve ritenersi derivare direttamente dalla previsione dell’art. 576 c.p.p., comma 1, mentre l’interesse concreto deve individuarsi nella finalità di ottenere, in caso di appello, il ribaltamento della prima pronuncia e l’affermazione di re-
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sponsabilità dell’imputato, sia pure ai soli fini delle statuizioni civili, e, in caso di ricorso in cassazione, l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile in grado di appello, ex art. 622 c.p.p., senza la necessità di iniziare ex novo il giudizio civile. E dunque, anche la seconda questione preliminare deve essere disattesa. 2. Passando al merito dell’impugnazione, giova ricordare che, come già segnalato, fondati appaiono i ricorsi proposti dal PG e dalle parti civili che, attesa la sostanziale analogia degli argomenti, possono essere trattati congiuntamente. La Corte territoriale, nella stringata motivazione assolutoria offerta alle pp. 13 e ss. della sentenza impugnata, dopo aver affermato la ricorrenza dell’elemento oggettivo del reato di riciclaggio (avente ad oggetto i proventi derivati dalla truffa di cui al capo 2 della complessiva impugnazione; vedi sopra p. 2), ha ravvisato sussistere insuperabile incertezza a proposito della consapevolezza, in capo ad E., della provenienza delittuosa del denaro che ha impiegato nelle operazioni estere ascritte al capo 6; invero, non adeguatamente dimostrativa della ricorrenza del dolo, anche nella forma eventuale, è stata giudicata la sola partecipazione alla dispersione del denaro tratto dalla truffa, potendo trovare la relativa motivazione anche in ragioni fiscali. E ciò con riferimento all’epoca delle prime dispersioni, risalenti al 2006, poiché fatti successivi (riferibili al 2010-2011; cfr. p. 15 della sentenza impugnata), effettivamente sintomatici della ricorrenza del dolo di riciclaggio, sono stati considerati incapaci di illuminare la ricorrenza dell’elemento soggettivo nella fase iniziale delle condotte incriminate.
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E, in considerazione dell’esclusione del reato di riciclaggio, costituente il principale collegamento tra E. e l’associazione di cui al capo 1, è stata affermata la carenza di prova anche in relazione al contributo dallo stesso offerto in favor dell’associazione (cfr. pag. 16). 2.1. Tanto premesso, osserva il Collegio che, secondo il condiviso insegnamento offerto da S.U., n. 14800 del 21/12/2017, Rv. 272430, se è vero che il giudice d’appello il quale riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, è però necessario che lo stesso fornisca comunque una motivazione puntuale e adeguata, capace di fornire una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva. Nella motivazione della richiamata pronuncia il Supremo consesso chiarisce che il giudice d’appello, nel ribaltare una precedente affermazione di condanna, ben può arrestarsi di fronte al rilievo della presenza di un insuperabile dubbio, ma a tanto deve giungere prospettando la sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto che siano non solo astrattamente ipotizzabili in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo. Movendo da tali postulati va dunque sottolineato come, all’assenza di un obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in
caso di ribaltamento assolutorio, debba affiancarsi l’esigenza che il giudice d’appello strutturi la motivazione della decisione assolutoria in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte. La tesi favorevole alla necessità di una puntuale motivazione anche in caso di riforma della condanna in assoluzione costituisca un orientamento largamente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, anche prima della sentenza Dasgupta, sul rilievo che il giudice di appello, quando riforma in senso radicale la condanna di primo grado pronunciando sentenza di assoluzione, ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le precedenti argomentazioni, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova. Tale principio affonda le sue radici in una risalente elaborazione giurisprudenziale di questa Corte (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229), che ha stabilito, in linea generale, l’obbligo di una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte. Ne discende che il giudice di appello, nel riformare la condanna pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, dovrà confrontarsi con tutte le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che
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dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte. Tanto premesso, dalla disamina della sentenza impugnata emerge che la stessa, dopo aver sommariamente ripercorso la ricostruzione della complessa vicenda e le principali ragioni poste a sostegno della condanna (cfr. pp. 6-9), nonchè illustrato i motivi di appello (pp. 9-13), ha valorizzato in senso assolutorio il richiamato profilo di (ritenuta) insuperabile incertezza che è parso dirimente. Pare tuttavia al Collegio che, nella valutazione delle risultanze istruttorie relative al profilo del dolo, immotivatamente svalutata, o del tutto omessa, risulta la disamina di numerosi profili oggettivamente sintomatici del dolo, ben valorizzati sia dal Tribunale di Milano, che da quello genovese, quali: - il ruolo dell’E. nelle società Lascafive e G.A.A.1 e gli obblighi connessi alla carica circa la conoscenza dell’origine delle somme gestite e in materia di antiriciclaggio; - l’elevata competenza tecnica posseduta dall’imputato e la completa signoria dimostrata rispetto alle varie operazioni di riciclaggio; - l’ingente importo delle somme investite, che rende scarsamente verosimile l’assenza di accurate verifiche sulla provenienza delle stesse; - la particolare accuratezza e complessità delle operazioni di riciclaggio, sintomatica di intento decettivo; - la destinazione finale (in favore di B. e M.) degli importi inizialmente trasferiti a Lascafive e G.A.A.I; - la successiva veloce liquidazione di Lascafive, su richiesta di C.; - il contenuto criptico delle conversazioni e l’uso di nomignoli; - la complessa operazione relativa all’Albergo Admiral e alla Darien Holding, ben ricostruita dal Tribunale (cfr.
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p. 11), che segnala pure il diretto interesse dell’imputato all’ingresso nella società Albergo Admiral Sagl; - l’inverosimiglianza dell’ipotesi, formulata dalla Corte territoriale, circa una possibile acquisizione solo successiva di consapevolezza, in capo all’E., della provenienza da delitto delle somme riciclate, atteso che ad essa non si è accompagnata alcuna significativa reazione dell’E. in relazione a condotte altrui capaci di arrecargli ingente danno professionale; anzi, la vicenda del ritenuto concorso dell’E. nella truffa di cui al capo 3 (operata nel 2009 da B. e M. mediante la sopravvalutazione delle quote societarie della Assi 90 srl) dimostra semmai la saldatura dei rapporti tra questi ultimi e l’imputato dal momento che i detti correi sono i medesimi che hanno beneficiato anche della truffa di cui al capo 2 e del riciclaggio di cui al capo 6. Evidenti, dunque, appaiono le illogicità manifeste che affliggono la sentenza impugnata che, lungi dal costituire il richiesto approfondimento delle risultanze del primo grado, si connota per la solo parziale disamina del materiale istruttorio e per la mancata valorizzazione di aspetti pesantemente indizianti. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. In relazione alle spese sostenute dalle parti civili in questa fase di giudizio, appare opportuno rimetterne la regolamentazione al giudice di rinvio, sulla base dell’esito di quel giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano
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anche con riferimento alle spese delle parti civili. Spese al definitivo. Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020. Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2020
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Nell’accertamento del dolo nel reato di riciclaggio (nel caso di specie di un manager esperto), il Giudice deve compiere un’indagine approfondita sui profili sintomatici dell’elemento soggettivo, quali ad esempio: - il ruolo dell’imputato nell’ente e gli obblighi connessi alla carica circa la conoscenza dell’origine delle somme gestite e in materia di antiriciclaggio; - l’elevata competenza tecnica posseduta dall’imputato e la “signoria” dimostrata rispetto alle varie operazioni di riciclaggio;
- gli importi delle somme investite, laddove sia scarsamente verosimile l’assenza di accurate verifiche sulla provenienza delle stesse; - la particolare accuratezza e complessità delle operazioni di riciclaggio, sintomatica di intento decettivo; - la destinazione degli importi trasferiti. Tutti aspetti indizianti che, analizzati complessivamente, insieme ad altri relativi alla fattispecie concreta, devono essere debitamente valorizzati dal Giudice nelle motivazioni della sentenza.
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Cassazione penale sez. II, ud. 30/01/2020, dep. 25/03/2020, n. 10649 Presidente Dott. Gallo, Relatore Dott. Filippini Sequestro – Quantum – Sommatoria dei profitti – Concorso tra dichiarazione fraudolenta e riciclaggio
La confisca per equivalente ha ad oggetto il valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall’autore del reato, assolvendo in tal modo ad una sostanziale funzione ripristinatoria della situazione economica, modificata a seguito della commissione del reato medesimo.
(Omissis) Considerato in fatto 1. Il Tribunale di Asti, provvedendo in sede di appello in materia cautelare reale, con ordinanza in data 8-9 ottobre 2019, accoglieva solo parzialmente il gravame avverso il provvedimento del GIP di quel Tribunale, datato 26.8.2019, con il quale era stata integralmente respinta la richiesta di riduzione del valore del sequestro preventivo per equivalente disposto ai danni di R.V. (indagata – capi J e K della provvisoria imputazione – per i reati di reimpiego e riciclaggio di somme provenienti dalla commissione di altri reati – le fraudolente dichiarazioni fiscali ascritte al coniuge L.V.G.S. –) e avente ad oggetto gli immobili formalmente conferiti nel Trust R.V., considerato essere una struttura solamente simulata dal momento che i beni risultavano permanere nella piena disponibilità di entrambi i coniugi
L.V. e R.; in particolare, secondo il TDL, se poteva effettivamente convenirsi con la R. circa il reale valore economico da attribuire al compendio immobiliare in sequestro (da individuare in circa 3 milioni di Euro, non già nel più contenuto valore catastale considerato dal GIP), comunque la portata del vincolo reale poteva essere ridotta solamente per un valore fino a Euro 1.290.341,56, posto che, al fine della determinazione del “quantum” confiscabile per equivalente, occorreva tenere conto – trattandosi di beni che risultano essere nella piena disponibilità di entrambi i coniugi L. – R. – sia dei profitti derivanti dalla commissione dei reati presupposto ascritti al coindagato L.V.G.S. (illeciti tributari di dichiarazione fraudolenta per l’ammontare di Euro 857.993,57), sia di quelli derivanti dal riciclaggio attribuito alla ricorrente (indicati in un ammontare pari a circa Euro 860.069,87). E
GIURISPRUDENZA
196
dunque, a fronte di un valore del compendio in sequestro stimato dal TDL in Euro 3.008.405,00 e di un importo complessivamente sequestrabile pari ad Euro 1.718.063,44, il TDL, in parziale accoglimento dell’appello, ha disposto la restituzione nei confronti del Trust R.V. di parte del compendio immobiliare in sequestro, limitatamente cioè ad immobili di valore complessivo non superiore ad Euro 1.290.341,56. 2. Propone ricorso per cassazione l’indagata, tramite difensore, lamentando: - violazione di legge in relazione all’art. 648-quater c.p., dal momento che il profitto confiscabile alla ricorrente ai sensi di detta previsione non può considerarsi pari all’intero valore del profitto derivante dalla commissione del reato presupposto, ma solamente al vantaggio economico ottenuto attraverso le condotte di sostituzione, trasferimento o impiego in attività economiche o finanziarie. Ritenuto in fatto Il ricorso è infondato laddove non inammissibile. 1. A quest’ultimo proposito occorre invero considerare che la specifica questione ora proposta – inerente alla determinazione dell’entità del profitto riconducibile al reato di riciclaggio ascritto alla R. – non pare essere stata dedotta con adeguata specificità nel giudizio di appello, come emerge dalla disamina del testo del provvedimento impugnato, non puntualmente censurato dal ricorrente laddove incompleto nella parte riassuntiva dei motivi di gravame ivi sollevati. Infatti, se dall’ordinanza in esame emerge come il provvedimento di sequestro del GIP abbia interessato i beni del Trust sia con riferimento al profitto conseguito dall’indagato per il reato
fiscale presupposto ( L.V.G.S.), sia con riferimento al profitto conseguito dalla ricorrente tramite le condotte di riciclaggio, e che tale impostazione sia poi stata confermata dal TDL in sede di riesame, non altrettanto può dirsi per la questione, ora specificamente sollevata, della eventuale identità/unicità del profitto dei due reati e, quindi, della pretesa duplicazione del valore del sequestro. Argomento, quest’ultimo, che pare dunque precluso ex art. 606 c.p.p., comma 3. 2. E comunque, anche a voler ritenere che detta questione sia in questa sede deducibile, dal momento che il tema della sommatoria dei profitti – al fine di individuare il quantum del sequestro – è stato comunque posto, da parte del giudice dell’appello, a fondamento della decisione impugnata, il motivo è infondato. 2.1. Invero, non dubita il Collegio sul fatto che la confisca per equivalente abbia ad oggetto il valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall’autore del reato, assolvendo in tal modo ad una sostanziale funzione ripristinatoria della situazione economica, modificata a seguito della commissione del reato medesimo (cfr. Sez. 2, n. 50982 del 20/09/2016, Rv. 268729); nè può dubitarsi del fatto che la confisca di valore, avendo natura sanzionatoria, partecipa del regime delle sanzioni penali e quindi non può essere applicata per un valore superiore al profitto del reato, travalicando, in caso contrario, il confine della pena illegale (cfr. Sez. 2, n. 37590 del 30/04/2019, Rv. 277083). 2.2. Tuttavia, dal provvedimento impugnato emerge con chiarezza che il profitto dei reati presupposto (le dichiarazioni fraudolente) deve individuarsi nelle somme di denaro che il coindagato L.V.G.S. ha sottratto all’Era-
Sequestro, sommatoria dei profitti per la determinazione del quantum in caso di concorso tra dichiarazione fraudolenta e riciclaggio
rio e distratto dalle imprese L. F. Group srl e L. F. srl in favore della moglie R.V.; e che, il profitto del riciclaggio a quest’ultima ascritto, consiste invece in quanto alla stessa derivato dall’impiego delle somme predette nelle proprie attività economiche. Evidente è dunque il profilo dell’esistenza di duplici profitti confiscabili e, dunque, della piena legittimità della sommatoria operata dal TDL. 2.3. Invece, il tema specifico della composizione di questi ultimi profitti non risulta devoluto con adeguata puntualità al giudice dell’appello reale, e comunque non può esserlo dinanzi
GIURISPRUDENZA
alla Suprema Corte, implicando accertamenti in fatto non consentiti in questa sede. 3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020. Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2020
Sequestro, sommatoria
dei profitti
per la determinazione del quantum in caso di concorso tra dichiarazione fraudolenta e riciclaggio 197
Per l’individuazione del quantum del sequestro, in caso di concorso tra reato di dichiarazione fraudolenta (reato presupposto) e reato di riciclaggio, è legittima la sommatoria dei profitti da parte del Giudice. Nel caso di specie, il profitto dei reati presupposto (le dichiarazioni fraudolente) consisteva nelle somme di denaro che il coindagato (marito dell’indagata per riciclaggio) aveva sottratto all’Erario e distratto dalle imprese di sua proprietà in favore della moglie; mentre, il profitto del reato a quest’ultima ascritto, consisteva nel ricavato dell’impiego delle somme predette nelle proprie attività economiche. Duplice, quindi, il profilo attribuibile ai profitti confiscabili, tale da ren-
dere legittima la sommatoria operata dal Tribunale del riesame. La S.C., comunque, non dimentica di sottolineare che la confisca per equivalente ha ad oggetto il valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall’autore del reato, assolvendo in tal modo ad una sostanziale funzione ripristinatoria della situazione economica, modificata a seguito della commissione del reato medesimo. Altro profilo rilevante, da non trascurare, è la natura sanzionatoria della confisca di valore che, in quanto rientrante nel regime delle sanzioni penali non può essere applicata per un valore superiore al profitto del reato, travalicando, in caso contrario, il confine della pena illegale.
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DISPOSIZIONI PER LA CONSERVAZIONE E LA MESSA A DISPOSIZIONE DEI DOCUMENTI, DEI DATI E DELLE INFORMAZIONI PER IL CONTRASTO DEL RICICLAGGIO E DEL FINANZIAMENTO DEL TERRORISMO
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DISPOSIZIONI PER LA CONSERVAZIONE E LA MESSA A DISPOSIZIONE DEI DOCUMENTI , DEI DATI E DELLE INFORMAZIONI PER IL CONTRASTO DEL RICICLAGGIO E DEL FINANZIAMENTO DEL TERRORISMO
Fonti normative La materia è disciplinata dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90 e dal decreto legislativo 4 ottobre 2019, n. 125 e, in particolare:
dall’articolo 31, relativo all’obbligo di conservare i documenti, i dati e le informazioni utili a prevenire, individuare o accertare eventuali attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo;
dall’articolo 32, che prevede le modalità con le quali i documenti, i dati e le informazioni devono essere conservati al fine, tra l’altro, di consentirne l’accessibilità completa e tempestiva da parte delle autorità competenti;
dall’articolo 34, comma 3, che attribuisce alle autorità di vigilanza di settore il potere di adottare disposizioni specifiche per la conservazione e l’utilizzo dei dati e delle informazioni relativi ai clienti, contenuti in archivi informatizzati, ivi compresi quelli già istituiti presso i soggetti rispettivamente vigilati.
Vengono inoltre in rilievo: – la direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, come modificata dalla direttiva (UE) 2018/843, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo; – le disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela per il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, adottate dalla Banca d’Italia con provvedimento del 30 luglio 2019; – le disposizioni in materia di organizzazione, procedure e controlli interni volti a prevenire l’utilizzo degli intermediari a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, adottate dalla Banca d’Italia con provvedimento del 26 marzo 2019. Articolo 1 (Destinatari) 1.
Le presenti disposizioni si applicano a:
a)
le banche;
b)
le società di intermediazione mobiliare (SIM); 2
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c)
le società di gestione del risparmio (SGR);
d)
le società di investimento a capitale variabile (SICAV);
e)
le società di investimento a capitale fisso, mobiliare e immobiliare (SICAF);
f)
gli intermediari iscritti nell'albo previsto dall’articolo 106 del TUB;
g)
gli istituti di moneta elettronica;
h)
gli istituti di pagamento;
i)
le succursali insediate in Italia di intermediari bancari e finanziari aventi sede legale e amministrazione centrale in un altro paese comunitario o in un paese terzo;
j)
le banche, gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica aventi sede legale e amministrazione centrale in un altro paese comunitario tenuti a designare un punto di contatto centrale in Italia ai sensi dell’articolo 43, comma 3, del decreto antiriciclaggio;
k)
le società fiduciarie iscritte nell’albo previsto ai sensi dell’articolo 106 del TUB;
l)
i confidi (1);
m)
i soggetti eroganti micro-credito, ai sensi dell’articolo 111 del TUB;
n)
Poste Italiane S.p.A., per l’attività di bancoposta;
o)
Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.
Nelle operazioni di cartolarizzazione di crediti disciplinate dalla legge 30 aprile 1999, n. 2. 130, gli obblighi di cui alle presenti disposizioni sono assolti dai soggetti di cui all’articolo 2, comma 6, della medesima legge. Articolo 2 (Definizioni) 1.
Ai fini delle presenti disposizioni si intendono per: 1. “agenti in attività finanziaria”: gli agenti iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 128quater, commi 2 e 6, del TUB; 2. “archivi standardizzati”: archivi mediante i quali sono resi disponibili i dati e le informazioni previsti dalle presenti disposizioni, secondo gli standard tecnici indicati nell’allegato n. 2 e le causali analitiche di cui all’allegato n. 3. Essi includono gli archivi unici informatici già istituiti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90;
(1) Il riferimento è da intendersi ai confidi previsti dall’articolo 155 del TUB, nel testo precedente all’entrata in vigore del Titolo III del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141. 3
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DOCUMENTAZIONE
3. “attività istituzionale”: l’attività per la quale i destinatari hanno ottenuto l’iscrizione ovvero l’autorizzazione da parte dell’autorità pubblica; 4. “autorità competenti”: le autorità indicate all’articolo 32, comma 2, lettera a), del decreto antiriciclaggio; 5. “cliente”: il soggetto che instaura rapporti continuativi o compie operazioni con i “destinatari” (2); in caso di rapporti continuativi o operazioni cointestati a più soggetti, si considera cliente ciascuno dei cointestatari; 6. “dati identificativi”: il nome e il cognome, il luogo e la data di nascita, la residenza anagrafica e il domicilio, ove diverso dalla residenza anagrafica, gli estremi del documento di identificazione e, ove assegnato, il codice fiscale o, nel caso di soggetti diversi da persona fisica, la denominazione, la sede legale e, ove assegnato, il codice fiscale; 7. “decreto antiriciclaggio”: il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90, recante l’attuazione della “quarta direttiva”, e dal decreto legislativo 4 ottobre 2019, n. 125; 8. “denaro contante” o “contanti”: le banconote e le monete metalliche, in euro o in valute estere, aventi corso legale; 9. “destinatari”: i soggetti indicati nell’articolo 1 delle presenti Disposizioni; 10. “documento di policy antiriciclaggio”: il documento definito dall’organo con funzione di gestione e approvato dall’organo con funzione di supervisione strategica ai sensi delle disposizioni in materia di organizzazione, procedure e controlli interni volti a prevenire l’utilizzo degli intermediari a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, adottate dalla Banca d’Italia con provvedimento del 26 marzo 2019 (cfr. Parte Prima, Sezioni II e III); 11. “esecutore”: il soggetto delegato a operare in nome e per conto del cliente o a cui siano comunque conferiti poteri di rappresentanza che gli consentano di operare in nome e per conto del cliente (3); 12. “estrazioni”: rilevazioni di dati e informazioni dai “sistemi di conservazione informatizzati”, eseguite su base periodica o su richiesta specifica da parte della Banca d’Italia, della UIF o di altra autorità competente, mediante una specifica procedura informativa, in conformità con gli standard tecnici di cui all’allegato n. 1 e con le causali analitiche di cui all’allegato n. 3; 13. “finanziamento del terrorismo”: in conformità con l’articolo 1, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109: “qualsiasi attività diretta, con ogni mezzo, alla fornitura, alla raccolta, alla provvista, all'intermediazione, al deposito, alla (2) Nelle operazioni di cessione dei crediti, quando i crediti ceduti hanno origine da rapporti non soggetti alle presenti disposizioni, i debitori ceduti non sono considerati clienti, nemmeno occasionali, delle società cessionarie. Il debitore ceduto acquista la qualifica di cliente dell’intermediario cessionario se interviene un nuovo accordo tra l’intermediario cessionario e il debitore ceduto, anche in forma di dilazione di pagamento (salvo che quest’ultima non sia a titolo gratuito). (3) I soggetti incaricati da un’autorità pubblica dell’amministrazione dei beni e dei rapporti del cliente o della sua rappresentanza (quali, ad esempio, i curatori fallimentari) sono considerati esecutori. 4
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custodia o all'erogazione di fondi e risorse economiche, in qualunque modo realizzata, destinati ad essere, direttamente o indirettamente, in tutto o in parte, utilizzati per il compimento di una o più condotte con finalità di terrorismo, secondo quanto previsto dalle leggi penali, ciò indipendentemente dall'effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione delle condotte anzidette”; 14. “gruppo”: il gruppo bancario di cui all’articolo 60 TUB e disposizioni applicative, il gruppo finanziario di cui all’articolo 109 TUB e disposizioni applicative, il gruppo di cui all’articolo 11 TUF e disposizioni applicative nonché, fuori da questi casi e se destinatarie delle presenti disposizioni, le società controllate e controllanti ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile e le relative controllanti; 15. “intermediari bancari e finanziari comunitari”: i soggetti di cui all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della “quarta direttiva” aventi sede in un paese comunitario; 16. “mezzi di pagamento”: il denaro contante, gli assegni bancari e postali, gli assegni circolari e gli altri assegni a essi assimilabili o equiparabili, quali gli assegni di traenza, i vaglia postali, gli ordini di accreditamento o di pagamento, le carte di credito e le altre carte di pagamento, le polizze assicurative trasferibili, le polizze di pegno e ogni altro strumento che permetta di trasferire, movimentare o acquisire, anche per via telematica, fondi, valori o disponibilità finanziarie; 204
17. “operazione”: la movimentazione, il trasferimento o la trasmissione di mezzi di pagamento o il compimento di atti negoziali a contenuto patrimoniale; 18. “operazione occasionale”: un’operazione non riconducibile a un rapporto continuativo in essere; 19. “paesi comunitari”: paesi appartenenti allo Spazio economico europeo; 20. “paesi terzi”: paesi non appartenenti allo Spazio economico europeo; 21. “punto di contatto centrale”: il soggetto o la struttura, stabilito nel territorio della Repubblica, designato dagli istituti di moneta elettronica, quali definiti all’articolo 2, primo paragrafo, punto 3), della direttiva (CE) 2009/110, o dai prestatori di servizi di pagamento, quali definiti all’articolo 4, punto 11), della direttiva (UE) 2015/2366, con sede legale e amministrazione centrale in un altro paese comunitario, che operano, senza succursale, sul territorio della Repubblica tramite “soggetti convenzionati e agenti”; 22. “quarta direttiva”: la direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, come modificata dalla direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018; 23. “rapporto continuativo”: un rapporto contrattuale di durata, che non si esaurisce in un’unica operazione, rientrante nell’esercizio dell’attività istituzionale dei destinatari; 24. “riciclaggio”: ai sensi dell’articolo 2, comma 4, del decreto antiriciclaggio, s’intende per riciclaggio:
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a. la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b. l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; c. l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; d. la partecipazione a uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione; 25. “settore di attività economica della clientela”: è costituito dal sottogruppo di attività economica (SAE) e dalla classificazione delle attività economiche (ATECO 2007) pubblicata dall’Istat, secondo quanto indicato dalla circolare n. 140 dell’11 febbraio 1991 della Banca d’Italia; 26. “sistemi di conservazione informatizzati”: archivi informatizzati, quali i sistemi contabili, anagrafici e gestionali in uso presso i destinatari, nei quali sono conservati i documenti, i dati e le informazioni riguardanti i rapporti continuativi e le operazioni, previsti nel decreto antiriciclaggio e nelle presenti disposizioni; 27. “soggetti convenzionati e agenti”: gli operatori, comunque denominati, diversi dagli agenti in attività finanziaria, di cui i prestatori di servizi di pagamento e gli istituti emittenti moneta elettronica, ivi compresi quelli aventi sede legale e amministrazione centrale in altro paese comunitario, si avvalgono per l’esercizio della propria attività sul territorio della Repubblica; 28. “tasso di cambio”: il cambio comunicato a titolo indicativo dalla Banca Centrale Europea per le valute da quest’ultima considerate ovvero, per le altre divise, quello comunicato dalla Banca d’Italia; 29. “titolare effettivo”: la persona fisica o le persone fisiche individuate secondo quanto previsto dalle disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela per il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo adottate dalla Banca d’Italia con provvedimento del 30 luglio 2019; 30. “TUB”: il decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; 31. “TUF”: il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria;
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32. “UIF”: l’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia istituita presso la Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 6 del decreto antiriciclaggio. Articolo 3 (Documenti, dati e informazioni da conservare ai sensi del decreto antiriciclaggio) 1. Ai sensi dell’articolo 31, comma 2, del decreto antiriciclaggio, i destinatari conservano copia dei documenti acquisiti in occasione dell’adeguata verifica del cliente, dell’esecutore e del titolare effettivo.
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2.
I destinatari conservano altresì le informazioni relative a:
a)
con riferimento ai rapporti continuativi: il punto operativo di instaurazione del rapporto, la data di instaurazione e la data di chiusura del rapporto;
b)
con riferimento alle operazioni occasionali da sottoporre ad adeguata verifica e alle operazioni a valere sui rapporti continuativi: la data di effettuazione; l’importo; il segno monetario; la causale dell’operazione e il mezzo di pagamento utilizzato.
3. Con riferimento alle operazioni occasionali per le quali l’adeguata verifica non è dovuta, i destinatari conservano, oltre a quanto previsto dal comma 2, lettera b), i dati e le informazioni idonei a identificare in modo univoco il cliente e l’esecutore, nonché, ove noti, il settore di attività economica e i dati e le informazioni idonei a identificare in modo univoco il titolare effettivo. Articolo 4 (Modalità di conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni) 1. Ai sensi dell’articolo 31 del decreto antiriciclaggio i destinatari conservano i documenti, i dati e le informazioni utili a prevenire, individuare o accertare eventuali attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo e a consentire lo svolgimento delle attività di analisi effettuate dalle autorità competenti. 2. I destinatari assolvono agli obblighi di conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni previsti dal decreto antiriciclaggio attraverso sistemi di conservazione informatizzati che devono assicurare, tra l’altro: a)
l’accessibilità completa e tempestiva ai documenti, ai dati e alle informazioni da parte della Banca d'Italia, della UIF o di altra autorità competente;
b)
l’acquisizione tempestiva, da parte dei destinatari, dei documenti, dei dati e delle informazioni, con indicazione della relativa data;
c)
l’integrità dei documenti, dei dati e delle informazioni e la non alterabilità dei medesimi successivamente alla loro acquisizione;
d)
l’adozione di idonee misure finalizzate a prevenire qualsiasi perdita dei documenti, dei dati e delle informazioni;
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e)
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la trasparenza, la completezza e la chiarezza dei documenti, dei dati e delle informazioni nonché il mantenimento della storicità dei medesimi.
3. I destinatari completano l’acquisizione dei documenti, dei dati e delle informazioni nei sistemi di conservazione informatizzati tempestivamente e, in ogni caso, non oltre il trentesimo giorno dall’instaurazione del rapporto continuativo, dall’esecuzione dell’operazione, dalla variazione e dalla chiusura del rapporto continuativo. 4. I destinatari adempiono agli obblighi di cui al comma 1 in relazione ai rapporti continuativi e alle operazioni che rientrano nella propria attività istituzionale (4). Articolo 5 (Dati e informazioni da rendere disponibili alle autorità) 1. I destinatari rendono disponibili alla Banca d’Italia e alla UIF, secondo gli standard di cui agli allegati 1 e 2, i seguenti dati e informazioni: a)
con riferimento ai rapporti continuativi, oltre a quanto previsto dall’articolo 3, comma 1 e comma 2, lettera a): il numero del rapporto e il settore di attività economica. Le eventuali variazioni dei dati e delle informazioni riferiti ai rapporti sono altresì rese disponibili, mantenendone la storicità;
b)
con riferimento alle operazioni di importo pari o superiore a euro 5.000, oltre ai dati e alle informazioni alternativamente previsti dall’articolo 3, comma 1 e comma 2, lettera b), ovvero dall’articolo 3, comma 3: la causale che codifica la tipologia dell’operazione secondo quanto previsto nell’allegato n. 3; l’importo espresso in euro, con l’indicazione della valuta utilizzata e l’evidenza della parte eseguita in contanti; la codifica interna, il Comune e il CAB del punto operativo dell’intermediario presso il quale è stata disposta l’operazione; il numero dell’eventuale rapporto continuativo interessato e il settore di attività economica del cliente intestatario dell’eventuale rapporto.
2. Oltre a quanto indicato al comma 1, lettera b), e fermo il limite di importo ivi previsto, nelle operazioni eseguite sulla base di ordini di pagamento i destinatari rendono disponibili i dati e le informazioni relativi a: cognome e nome o ragione sociale del beneficiario; il numero del rapporto del beneficiario o l’IBAN; ove noto, il CAB, ovvero in caso di sede o residenza all’estero, il codice paese del beneficiario; il codice identificativo dell’intermediario del beneficiario o, in assenza, la denominazione dell’intermediario del beneficiario; il CAB e il Comune dell’intermediario della controparte o, in caso di intermediario con sede all’estero, il codice paese. 3. Oltre a quanto indicato al comma 1, lettera b), e fermo il limite di importo ivi previsto, nelle operazioni eseguite sulla base di ordini di accreditamento i destinatari rendono disponibili i dati e le informazioni relativi a: cognome e nome o ragione sociale dell’ordinante; il numero del rapporto dell’ordinante o l’IBAN; ove noto, il CAB, ovvero in caso di sede o residenza all’estero, il codice paese dell’ordinante; il codice identificativo dell’intermediario dell’ordinante o, in assenza, la denominazione
(4) Nell’individuazione del perimetro dell’attività istituzionale i destinatari tengono conto dei criteri forniti nella Parte Seconda, Sezione II (“Ambito di applicazione”) delle disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela. 8
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dell’intermediario dell’ordinante; il CAB e il Comune dell’intermediario della controparte o, in caso di intermediario con sede all’estero, il codice paese. Nelle ipotesi di cui all’articolo 17, comma 6 del decreto antiriciclaggio, i dati e le 4. informazioni indicati dal comma 2, lettera b), sono resi disponibili alla Banca d’Italia e alla UIF senza limiti di importo (5). Resta ferma la deroga prevista dall’articolo 44, comma 3, del decreto antiriciclaggio. 5. Ai fini dell’individuazione delle operazioni di importo pari o superiore a euro 5.000 di cui al comma 1, lettera b), non è ammessa la compensazione di operazioni di segno contrario poste in essere dallo stesso cliente. Articolo 6 (Modalità per rendere disponibili i dati e le informazioni) Per garantire la ricostruibilità dell’operatività della clientela e per agevolare lo 1. svolgimento delle funzioni di controllo, anche ispettivo, della Banca d’Italia e della UIF, i destinatari rendono disponibili alle medesime autorità i dati e le informazioni previsti dalle presenti disposizioni. A tal fine essi ricorrono alternativamente a una delle seguenti modalità:
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a)
apposite estrazioni dai sistemi di conservazione informatizzati eseguite in conformità con gli standard tecnici indicati all’allegato n. 1;
b)
archivi standardizzati conformi all’allegato n. 2.
2. I destinatari indicano la modalità con cui rendono disponibili le informazioni alla Banca d’Italia e alla UIF nel documento di policy antiriciclaggio. 3. L’eventuale variazione della modalità adottata è comunicata alla Banca d’Italia entro 30 giorni a decorrere dalla data in cui la modalità prescelta diventa operativa, specificando: a)
la data di decorrenza della variazione;
b)
i dettagli tecnici della variazione, con particolare riferimento alla modalità con cui si intendono fornire i dati e le informazioni relativi al periodo precedente alla variazione e alla gestione delle correzioni relative agli eventuali archivi standardizzati detenuti precedentemente alla variazione.
4. Fermi restando gli obblighi di conservazione previsti dal decreto antiriciclaggio, i dati e le informazioni di cui all’articolo 5 sono resi disponibili alle autorità per i dieci anni successivi alla chiusura del rapporto o al compimento dell’operazione. Articolo 7 (Disposizioni particolari)
(5) I prestatori di servizi di pagamento e gli emittenti di moneta elettronica, anche se non si avvalgono di agenti o soggetti convenzionati, possono decidere di fornire i dati e le informazioni relativi a tutte le operazioni occasionali, anche se di importo inferiore a 5.000 euro, purché si attengano a questa scelta in maniera uniforme e costante nel tempo. 9
Disposizioni BI per la conservazione
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1. I dati e le informazioni sulle operazioni eseguite su rapporti continuativi intestati a più soggetti vanno riferiti a tutti gli intestatari. 2. I documenti, i dati e le informazioni di cui agli articoli 3 e 5 sono conservati e resi disponibili alla Banca d’Italia e alla UIF dal destinatario presso il quale è incardinato il relativo rapporto continuativo anche nel caso in cui le operazioni siano state effettuate per il tramite di altri destinatari, di agenti in attività finanziaria, di soggetti convenzionati e agenti ovvero di altro soggetto esterno. 3. Alla conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni relativi alle operazioni eseguite in base ad ordini di pagamento o accreditamento provvedono i destinatari cui l’ordine del cliente è rivolto. 4. Qualora un’operazione sia disposta con un ordine di pagamento o di accreditamento avvalendosi di conti, depositi o altri rapporti continuativi esistenti all’estero, gli obblighi di cui agli articoli 3 e 5 sono assolti dal destinatario con sede in Italia intervenuto nell’operazione. 5. Al di fuori dei casi di cui ai commi 2, 3 e 4, la conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni sull’operazione è effettuata dal destinatario che entra in contatto con il cliente. 6. I destinatari possono rendere disponibili tramite archivi standardizzati i soli dati e le informazioni inerenti alle operazioni e ricorrere alle estrazioni di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a) per i dati e le informazioni relativi ai rapporti continuativi. 7. Nel caso di rapporti di corrispondenza transfrontalieri con intermediari bancari o finanziari rispondenti di paesi terzi (6), il destinatario che ritenga necessario, ai fini dell’assolvimento degli obblighi di adeguata verifica e di segnalazione di operazioni sospette, acquisire i dati e le informazioni sul soggetto per conto del quale l’intermediario rispondente svolge l’operatività, li conserva e li rende disponibili alla Banca d’Italia e alla UIF. Articolo 8 (Esenzioni) 1. I destinatari possono non applicare le previsioni di cui agli articoli 5 e 6 in relazione ai rapporti continuativi o alle operazioni posti in essere con: a)
intermediari bancari e finanziari di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto antiriciclaggio, esclusi quelli di cui alle lettere i), o), s) e v), aventi sede in Italia o in un altro Stato membro;
b)
intermediari bancari e finanziari con sede in un paese terzo caratterizzato da un basso rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, secondo i criteri indicati nell’allegato 1 alle disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela (7);
(6) Cfr. Parte Quarta, Sezione IV delle disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela. (7) Si fa riferimento ai criteri di valutazione del rischio geografico forniti nell’allegato 1, lettera c) delle disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela. 10
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DOCUMENTAZIONE
c)
i soggetti di cui all’articolo 3, comma 8, del decreto antiriciclaggio;
d)
la tesoreria provinciale dello Stato o la Banca d’Italia.
2. I destinatari indicano nel documento di policy antiriciclaggio se si avvalgono di una o più delle esenzioni previste dal comma 1 e si attengono alla scelta effettuata in maniera costante nel tempo. Articolo 9 (Esternalizzazione) 1. L’adempimento degli obblighi di conservazione e di messa a disposizione previsti dal decreto antiriciclaggio e dalle presenti disposizioni può essere affidato a soggetti esterni dotati di idonei requisiti in termini di professionalità e autorevolezza. La responsabilità finale per il corretto adempimento degli obblighi resta, in ogni caso, in capo ai destinatari, tenuti a presidiare i rischi derivanti dalle scelte effettuate e a mantenere le competenze tecniche e gestionali necessarie per monitorare nel continuo le attività affidate a soggetti esterni. I destinatari appartenenti a un gruppo possono avvalersi di un unico centro di servizi di gruppo. 2. I destinatari che intendono avvalersi di soggetti terzi formalizzano un accordo di esternalizzazione che definisca almeno: -
i diritti e gli obblighi delle parti; i livelli di servizio attesi, espressi in termini oggettivi e misurabili, nonché le informazioni necessarie per la verifica del loro rispetto; i livelli di servizio assicurati in caso di emergenza nonché le soluzioni da adottare per garantire la continuità del servizio reso; la durata dell’accordo e le modalità di rinnovo nonché gli impegni reciproci connessi con l’interruzione del rapporto; l’adozione di interventi tempestivi e adeguati in caso di livelli insoddisfacenti delle prestazioni rese, ivi compresa l’applicazione di misure pecuniarie (es. penali) e la risoluzione del rapporto;
-
l’obbligo di corrispondere senza ritardo a qualsiasi richiesta di informazioni e di consulenza;
-
gli obblighi di riservatezza delle informazioni acquisite nell’esercizio dell’attività esternalizzata;
-
la possibilità di rivedere le condizioni del servizio al verificarsi di modifiche normative o nell’operatività e nell’organizzazione dell’impresa esternalizzante;
-
la possibilità per il soggetto destinatario, le autorità di Vigilanza e la UIF di accedere direttamente e con immediatezza alle informazioni utili e ai locali in cui opera il fornitore di servizi per l’attività di monitoraggio, supervisione e controllo.
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3. I destinatari applicano le disposizioni del presente articolo congiuntamente a quelle della Banca d’Italia in materia di esternalizzazione o delega delle funzioni aziendali a cui essi sono soggetti. Articolo 10 (Vicende dei sistemi di conservazione) 11
Disposizioni BI per la conservazione
DOCUMENTAZIONE
1. In caso di cessione di dipendenze o rami di azienda, di scissione o di fusione, gli obblighi in materia di conservazione e messa a disposizione previsti dal decreto antiriciclaggio e dalle presenti disposizioni sono assolti dai destinatari cedenti o che partecipano alla fusione o alla scissione, fino alla data di efficacia delle rispettive operazioni. 2. I soggetti che cessano di svolgere attività soggette agli obblighi previsti dal decreto antiriciclaggio assicurano la disponibilità dei dati e delle informazioni previsti dal decreto antiriciclaggio e dalle presenti disposizioni fino alla scadenza del termine di dieci anni di cui all’articolo 6, comma 4, salve le ipotesi di chiusura della società. 3. Al di fuori delle ipotesi previste nei commi 1 e 2, nei casi di liquidazione, di procedure concorsuali o in qualsiasi altro evento che comporti la chiusura della società, i destinatari applicano gli obblighi di conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni previsti dal decreto antiriciclaggio e dalle presenti disposizioni fino alla data di revoca dell’autorizzazione e della cancellazione dall’albo o elenco. Articolo 11 (Disposizioni finali e transitorie) 1.
I destinatari si adeguano alle presenti disposizioni entro il 31 dicembre 2020.
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ALLEGATI: N. 1. Standard tecnici delle estrazioni di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), delle presenti disposizioni; N. 2. Archivi standardizzati di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), delle presenti disposizioni; N. 3. Causali analitiche; N. 4. Codifica degli intermediari segnalanti.
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Commento
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Nuove modalità di conservazione dei dati a fini antiriciclaggio entro il 31 dicembre 2020. Lo rende noto la Banca d’Italia con un documento pubblicato il 25 marzo 2020 sul sito istituzionale, contenente nuove disposizioni per la conservazione e la messa a disposizione delle informazioni detenute dai soggetti obbligati per contrastare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. Il documento tocca gli articoli 31, 32, 34 del decreto 231/2007, con applicazione agli intermediari finanziari bancari e non bancari, delle categorie ricomprese nell’art. 3, comma 2 e 2-bis del decreto. Innanzitutto, tra i dati da conservare già previsti dall’art. 31, comma 2, si aggiungono quelli relativi al “punto operativo” (in pratica la filiale o l’agenzia dell’intermediario), la data d’instaurazione e chiusura del rapporto continuativo attivato presso il medesimo. Per le operazioni occasionali, oppure quelle generate dai rapporti continuativi, andranno conservate altresì le informazioni sulla data di effettuazione, l’importo e il segno monetario, la causale e i mezzi di pagamento utilizzati. Qui la grossa novità sta nel fatto che si richiede di conservare i medesimi dati anche per operazioni occasionali alle quali l’adeguata verifica non si applica, ossia quelle per importi inferiori ai 15.000 euro. Novità anche nelle modalità di conservazione dei suddetti da-
ti, poiché si dettano gli standard per la conservazione in misura informatica, che consenta accessibilità completa e tempestiva, integrità dei documenti e dati acquisiti, adozione di protocolli che prevengano qualsiasi perdita in questo ambito. Questa conservazione dovrà avvenire tempestivamente (quindi all’atto dell’acquisizione dei documenti e delle informazioni), e non oltre il trentesimo giorno dall’instaurazione o chiusura del rapporto continuativo, nonché dall’esecuzione delle operazioni occasionali. Alle Autorità andranno rese disponibili, ai sensi dell’art. 5 del nuovo Provvedimento, anche il numero del rapporto continuativo e il settore di attività economica del cliente titolare, mentre per le operazioni d’importo pari o superiore a 5.000 euro, andranno aggiunte: la causale UIF di cui all’Allegato 3; l’importo in euro, indicando la valuta eventualmente utilizzata e la parte eseguita in contanti; la codifica interna, il comune e il CAB del punto operativo; il numero del rapporto continuativo interessato e il settore di attività economica del cliente. Vengono in seguito dettagliati anche i dati da conservare a fronte di ordini di pagamento e di accreditamento (bonifici), pari o superiori a 5.000 euro. Anche la soglia delle operazioni occasionali compiute in ambito di prestazione di servizi di pagamento e con moneta elettronica, di cui al comma 6 dell’art. 17 del decreto 231/2007, passa dai 15.000 euro in giù alla non meglio precisata “senza limiti d’importo”,
Disposizioni BI per la conservazione
quindi pure al di sotto dei 5.000 euro. Ciò vale sempre, ricordiamolo, per la parte delle informazioni che in ogni caso devono essere disponibili alla Banca d’Italia e alla UIF, secondo gli standard di cui agli Allegati 1 e 2 del Provvedimento in esame. Si ritorna in pratica, come ampiamente previsto da chi scrive, ad un (rinnovato) Archivio Unico Informatico, che sembrava essere stato abolito dal decreto 90/2017, ma che, per fortuna, gli intermediari finanziari non avevano messo in soffitta. Gli obblighi di conservazione, si precisa poi all’art. 7 della nuova Delibera, restano in capo ai destinatari presso i quali risultano incardinati i rapporti continuativi, anche se le operazioni siano state compiute presso altri soggetti della rete.
DOCUMENTAZIONE
Sono esenti dagli obblighi informativi verso le Autorità i rapporti continuativi tra intermediari bancari e finanziari aventi sede in Italia o nella Ue, nonché quelli tra gli stessi intermediari con sede in Paesi extra-Ue, caratterizzati però da un basso rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Si tratta in sostanza di nuovi adempimenti per le banche e gli intermediari, che dovranno adeguare i propri Archivi Unici alle nuove codifiche e standard previsti nei quattro Allegati al Provvedimento del 25 marzo, con una tempistica di circa nove mesi, sperando che la fase attuale di ridotta presenza di personale presso le strutture bancarie e dell’intermediazione finanziaria non crei ritardi nell’adempimento dell’obbligo.
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DOCUMENTAZIONE
Comunicato Stampa
DIFFUSO A CURA DEL SERVIZIO SEGRETERIA PARTICOLARE DEL DIRETTORIO E COMUNICAZIONE
Roma, 20 marzo 2020
Proroga dei termini e altre misure temporanee per mitigare l’impatto del COVID-19 sul sistema bancario e finanziario italiano La Banca d’Italia annuncia oggi una serie di misure miranti ad agevolare lo svolgimento delle attività delle banche e degli intermediari non bancari vigilati, messo in difficoltà dall’emergenza sanitaria in corso. Per consentire al sistema bancario e finanziario di concentrare tutti gli sforzi in questa direzione, la Banca d’Italia, in linea con le iniziative assunte dall’Autorità Bancaria Europea (EBA) e dalla Banca Centrale Europea (BCE) , ha deciso di concedere alcune dilazioni per i seguenti adempimenti. Esse si applicano anche alle banche significative, in relazione alle materie di competenza della Banca d’Italia. 1. 60 giorni per gli adempimenti in materia di: ICAAP/ILAAP per banche e SIM e ICAAP per Intermediari Finanziari ex art. 106 TUB (IF); Piani di risanamento, Relazioni sulle funzioni esternalizzate per banche e IF; Relazioni sulla struttura organizzativa per SIM, SGR, SICAF, SICAV, IP e IMEL (ove dovuta per interventi organizzativi rilevanti); Autovalutazione della permanenza dei requisiti di idoneità del depositario; Relazione della funzione antiriciclaggio (che include l’esercizio di autovalutazione dei rischi relativa al 2019); Adeguata verifica (recupero dei dati della clientela già acquisita per fini antiriciclaggio); Relazione sul rispetto degli obblighi in materia di deposito e subdeposito degli strumenti della clientela e adempimenti previsti dalla disciplina transitoria del Regolamento del 5.12.2019 di attuazione del TUF (cfr. art. 2, comma 2 e atto di emanazione del Regolamento) da parte degli intermediari che prestano servizi di investimento; 2. 150 giorni per la trasmissione della prima Relazione sui rischi operativi e di sicurezza per le banche; 3. 60 giorni per le risposte da fornire alle consultazioni normative in corso e un allungamento dei termini per l’invio delle osservazioni per le consultazioni che saranno avviate nei prossimi giorni. Il termine per l’invio dell’aggiornamento dei piani di riduzione dei crediti deteriorati da parte delle banche meno significative tenute al relativo invio è posticipato al 30 giugno. I nuovi termini che vengono indicati includono il periodo di sospensione previsto dall’articolo 103 del dl 18/2020, nei casi in cui la documentazione riguardi procedimenti amministrativi della Banca d’Italia.
Divisione Stampa e relazioni esterne - Banca d’Italia e-mail: stampabi@bancaditalia.it tel.: 06.4792.3200
Proroga dei termini e altre misure temporanee DOCUMENTAZIONE per mitigare l’impatto del Covid-19
Commento
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Vengono prorogate dalla Banca d’Italia le scadenze antiriciclaggio per far fronte al forte impegno degli intermediari finanziari, a ranghi ridotti a causa del coronavirus. Essendo qualificato come essenziale il servizio delle banche e poste, soprattutto, alla cittadinanza, alcuni adempimenti periodici imposti dalla normativa primaria e di vigilanza vengono (opportunamente) procrastinati. Tra aprile e giugno si concentrano alcune scadenze: comunicazioni e relazioni, in materia di assemblee, bilanci, report su rischi, sofferenze e crediti deteriorati. Ma una di quelle diventate tra le più impegnative è la relazione che la funzione antiriciclaggio deve presentare alla Banca d’Italia – ma prima o contestualmente agli organi interni – entro il 30 aprile di ogni anno. Non tanto quella, già prevista dalla circolare della Banca d’Italia sui controlli sin dal 2010, in primis destinata al Cda e al collegio sindacale. Ma, ad oggi, rinnovata nelle istruzioni del 26 marzo 2019, sui «Controlli interni, organizzazione e procedure» in materia di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, con l’aggiunta dell’esercizio di «autovalutazione dei rischi». Quest’ultima è prevista da norma primaria (l’articolo 15 del decreto 231/2007) e si traduce in un documento, tabellare e descrittivo, sulla struttura dei presìdi antiriciclaggio dell’intermediario, la loro adeguatezza in relazione
all’attività svolta ed alle dimensioni aziendali, la tipologia di clientela, l’organizzazione distributiva, i prodotti e servizi offerti. L’obbligo è in vigore dal 2018 (per l’anno 2017), e richiede un tempo di effettuazione e predisposizione non breve (le banche iniziano almeno un mese prima del 30 aprile). Per tale motivo l’Autorità, con la circolare, rinvia di 60 giorni (quindi al 30 giugno), la consegna dei documenti. Così come viene rinviato di 60 giorni il recupero dei dati della clientela acquisita (di recente) per completare la cosiddetta adeguata verifica della medesima. Ciò significa che se ci si trova nella situazione descritta all’articolo 18, comma 3, che prevede la possibilità di posticipare di 30 giorni dall’acquisizione del nuovo cliente. la raccolta di dati e informazioni richieste dalla legge sempre al medesimo articolo, ove ci si trovi però in una situazione «a basso rischio» di riciclaggio, si hanno ulteriori 60 giorni per farlo. Ciò a motivo del fatto, si ritiene, che la frequentazione degli sportelli bancari è inesorabilmente meno possibile in questo periodo, e che, dall’altro versante, le forze lavoro sono (come accennato) ridotte per governare tali procedure. Esemplificando, quindi, essendo in vigore, la proroga, dallo scorso 20 marzo, si deve ritenere che essa valga per i clienti che siano stati acquisiti nei trenta giorni antecedenti, non ancora scaduti in tale data. Anche qui, una questione giuridica si potrebbe porre, in via interpretativa, sul dies a quo
titolo per testatina destra???
del beneficio. Se il periodo “di grazia” per un cliente è scaduto il 19 del mese di marzo, si deve ritenere che per detto cliente non valga la proroga? Oppure si deve pensare al fatto che essa decorra solo per i clienti acquisiti nei trenta giorni antecedenti, in uno qualsiasi di essi siano stati conclusi i relativi contratti con l’intermediario? Altra questione si pone, ma su questa la valutazione sembra più agevole, considerando fatto che detta facilitazione non vale
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però per tutti i soggetti “obbligati” dal D.lgs. 231/2007, dato che la Banca d’Italia, come noto, vigila solo sugli intermediari bancari e finanziari, e non può disporre per gli altri soggetti, primi fra tutti i liberi professionisti. Si spera in tal caso di poter opporre la «forza maggiore» nell’eventualità di ispezione degli organi competenti, dato che comunque gli accertamenti sono ora comunque sospesi per motivi sanitari.
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COMUNICATO Roma, 27 marzo 2020 Emergenza epidemiologica da COVID-19 Misure temporanee e avvertenze per mitigare l’impatto sui soggetti tenuti alla trasmissione di dati e informazioni nei confronti della UIF In considerazione dell’impatto dell’emergenza sanitaria in corso sull’operatività e sugli adempimenti dei soggetti tenuti alla trasmissione di dati e informazioni alla UIF, si è ritenuto di adottare le misure temporanee e fornire le avvertenze di seguito indicate. Viene concessa una dilazione di 30 giorni rispetto alle ordinarie scadenze per i seguenti adempimenti: − invio dei dati aggregati previsti dall’art. 33 del d.lgs. 231/2007 e dal provvedimento della UIF del 23 dicembre 2013 1; − trasmissione delle comunicazioni oggettive disciplinate dall’art. 47 del d.lgs. 231/2007 e dalle Istruzioni emanate dalla UIF con provvedimento del 28 marzo 2019; − dichiarazioni delle operazioni in oro, ai sensi della legge 7/2000 e delle disposizioni attuative di cui alla Comunicazione della UIF del 1° agosto 2014. Ai procedimenti amministrativi riguardanti le violazioni di obblighi normativi accertate dall’Unità e a quelli in cui la UIF è titolare di poteri istruttori si applicano la sospensione dei termini prevista dall’articolo 103 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18 (dal 23 febbraio al 15 aprile 2020) e le modalità di svolgimento dei servizi di notificazione a mezzo posta stabilite dall’articolo 108 del medesimo decreto. La UIF ha adottato, per quanto di competenza, misure organizzative volte a salvaguardare i principi di efficienza, efficacia e ragionevole durata dei procedimenti amministrativi, anche con riguardo alle eventuali istanze avanzate da soggetti interessati a tutela dei propri diritti (ad es. per l’accesso a documenti, per lo svolgimento di audizioni in caso di violazioni in materia di oro). Sotto altro profilo, considerato che le restrizioni conseguenti alle vigenti misure governative portano a un incremento delle attività a distanza, in particolare on line, si reputa essenziale che i soggetti obbligati, nell’ambito della propria autonomia organizzativa, valorizzino le procedure informatiche di cui dispongono al fine di individuare e valutare efficacemente le operazioni da segnalare alla UIF come sospette.
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Provvedimento tuttora applicabile sulla base del Comunicato UIF del 4 luglio 2017.
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Con provvedimento pubblicato il 27 marzo 2020 sul proprio sito, l’Uif dispone che le cosiddette “comunicazioni oggettive”, di cui all’art. 47 del d.lgs. 231/2007, che concernono le movimentazioni di conto corrente per importi pari o superiori ai 10.000 euro in contanti, vanno fatte entro il 15 maggio e non il 15 aprile, come prevederebbero le istruzioni dettate dalla stessa Autority con provvedimento del 28 marzo 2019. Essendo, infatti, l’adempimento in parola, da ripetersi ogni quindicesimo giorno del secondo mese che segue quello di riferimento, per cui le movimentazioni (in entrata e in uscita, senza compensazioni) del mese di febbraio 2020 andrebbero inoltrate entro il 15 aprile, la Uif si vede costretta – dall’emergenza Covid – a concedere un termine più lungo, data la difficoltà organizzativa che affligge oggi le strutture bancarie e postali, principalmente, per le carenze di personale. La logica è la stessa contenuta nel provvedimento della Banca d’Italia dello scorso 20 marzo, riguardante i dati sull’adeguata verifica e le relazioni dei responsabili antiriciclaggio (si veda il Sole 24 Ore del 21 marzo). L’adempimento sulle oggettive è partito, lo ricordiamo, con il 15 settembre 2019, per espressa previsione dell’Unità di informazione finanziaria (di cui all’art. 8 della delibera del 28 marzo 2019), per i dati riguardan-
ti i mesi da aprile a giugno 2019 compresi. Il termine non può essere prorogato oltre, data la valenza strategica delle informazioni, che servono a monitorare il rischio contante nel nostro Paese. Esse non sostituiscono, ricordiamolo, le segnalazioni di operazioni sospette, e la Uif stessa, in calce al comunicato di ieri, precisa che – rispetto a queste ultime – particolare attenzione andrà apprestata dagli operatori, proprio in questo periodo, laddove si è verosimilmente intensificata l’operatività on line della clientela. Rinviati di 30 giorni anche i cosiddetti “dati aggregati”, cioè quelli che, ai sensi del provvedimento Uif 23 dicembre del 2013, vengono estratti dagli archivi unici informatici (ora “rivitalizzati” con le disposizioni della Banca d’Italia del 24 marzo scorso; si veda il Sole 24 Ore del 25 marzo). Le informazioni da inviarsi entro il 2 aprile, concernenti le aggregazioni di gennaio 2020, vanno al 2 maggio. Infatti, il Provvedimento del 2013, all’art. 6, prevede il termine del secondo giorno del terzo mese successivo a quello di rifermento; anche qui l’Autorità interviene per dilazionarlo ulteriormente, e per gli stessi motivi. Prorogata anche la scadenza delle comunicazioni relative alle operazioni in oro dei soggetti che a qualsiasi titolo ne trasferiscano la proprietà (in Italia e all’estero), per il tramite delle banche e degli intermediari finanziari. La prossima, invece che il 31 marzo, andrà al 30 aprile, dato che gli inoltri
Emergenza epidemiologica da Covid-19
alla Uif vanno ordinariamente effettuati entro la fine del mese successivo alla data di compimento
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dell’operazione (quindi, per tutte le operazioni di febbraio, sarebbe stato fine marzo).
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Direttive Operative della Guardia di Finanza per Emergenza epidemiologica da Covid-19
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Commento A seguito della grave emergenza epidemiologica da Covid-19, il Comando Generale della Guardia di Finanza, con Circolare 11/03/20, ha reso note nuove disposizioni di vigilanza ai vari reparti operativi. Al fine di sostenere la cittadinanza e garantire l’ordine e la sicurezza pubblica, il personale in uniforme verrà impiegato in pattuglie preposte al controllo del
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territorio, anche marittimo e lacunare. Sono altresì sospese le attività di verifica fiscali e antiriciclaggio, eccetto casi di urgenza e riguardo le condotte più marcatamente illegali, nonché quelle correlate all’emergenza sanitaria in atto. Proseguono, invece, le attività di vigilanza degli spazi doganali. Le disposizioni, con decorrenza immediata, saranno tuttavia passibili di modifica in relazione all’evoluzione del contesto.