L’INK® NUMERO 11 | 2010

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3 editoriale 6 un poliaccoppiato. interamente biodegradabile 8 vivi verde Coop scelte per natura 12 Depero da bere 14 chimica vivente per la qualitĂ della vita 18 un nido di cartone 20 Nord Est Packaging insieme per competere 24 una rivoluzione sostenibile? 26 scrigno di bellezza 28 dacci oggi il nostro pack quotidiano 30 aroma brevettato 32 eleganza prĂŞt-Ă -porter 35 dinamici e pensanti 38 o la borsa, o la vita 40 riciclaggio radical chic 42 carne in scatola 44 la colla di gusto 46 mirabili resti 48 Leonia 50 Linux. Un nuovo segno per la libertĂ 51 orientamento in rete. Narrare esperienze formative



ELOQUENTI SILENZI

mariella rossi

Li chiamano silent sellers, perché dagli scaffali della grande distribuzione catturano la nostra curiosità e forniscono tutte le informazioni, utili o suggestive, che inducono a scegliere e ad acquistare. Sono i packaging: involucri protettivi, sempre più specializzati come agenti di vendita e come intermediari fra produttori e clienti. Taciti ma loquaci. Espressivi nelle forme, nella grafica e nei colori; descrittivi e persuasivi quando illustrano le qualità dei prodotti e indicano il modo di usarli.

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on le grandi Esposizioni Universali, è cominciata la loro evoluzione da semplici e anonimi involti a complessi apparati per la messa in scena delle merci. Londra nel 1851 e Parigi nel 1867 attirano i primi pellegrinaggi verso le vetrine delle produzioni industriali. Proposte come evento e spettacolo, le cose non si evidenziano solo per il valore d’uso – la funzione per cui sono state concepite – ma soprattutto per il valore di scambio – il fascino e il piacere che suscitano in chi guarda. Nel momento in cui diventa decisivo “farsi vedere”, la forma di un prodotto – osserva Baudrillard – si trasforma nel «primo grande medium del mondo moderno». La storia e lo sviluppo dei confezionamenti sono infatti orientati dalla costante e crescente esigenza di conferire al contenuto un’identità riconoscibile in contesti sempre più affollati di offerte, tutte sostanzialmente simili. Naturalmente l’obiettivo di dare un aspetto seducente alle cose non può pre-

scindere dall’idoneità dell’imballaggio a proteggere e a conservare, né dalla sua indeformabilità e resistenza quando viene trasportato e immagazzinato. Il duplice compito assolto dalla confezione è chiarito da una sottile, anche se raramente rispettata, distinzione terminologica: emballage definisce l’involucro come soluzione tecnica e logistica, mentre packaging indica l’involucro come dispositivo grafico e cromatico che intercetta l’interesse del consumatore. Alla già complessa armonizzazione di istanze funzionali ed estetiche, si aggiungono altre due questioni di grande rilevanza. Una volta uscite dal set di vetrine, espositori e scaffali, le confezioni dovrebbero entrare con altrettanta disinvoltura nello spazio domestico, assicurando un agevole e totale godimento dei prodotti. Sono dunque adeguati i contenitori che si ripongono comodamente, che si aprono e si richiudono con facilità, che rilasciano fino in fondo il loro contenuto. Continua

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Last but not least, ultimo ma nient’affatto trascurabile, lo spinossimo problema dell’eliminazione. Ogni imballaggio è – fin dall’inizio – un rifiuto, che andrà a sommarsi ai molti scarti della nostra attuale società iperconsumistica. Per questo il destino finale degli involucri si sta imponendo come premessa fondamentale per il design del confezionamento. La nuova regola aurea si sintetizza in 3 R: risparmiare, riutilizzare, riciclare. In concreto, raccomanda la riduzione delle quantità di materiale usato, la scelta di soluzioni riutilizzabili e l’impiego di risorse riciclabili o di seconda generazione. Compatibilità e sostenibilità s’impongono come imperativi categorici se vogliamo evitare che l’ambiente, intossicato da carichi indigesti, non ci rivomiti addosso la nostra immondizia.

L’INK sceglie quest’anno di raccontare il packaging. L’obiettivo non è di affrontare sistematicamente tutte le questioni, gli approcci disciplinari e i processi industriali coinvolti nel confezionamento. È piuttosto quello di rendere percepibili l’ampiezza e la complessità del tema, attraverso testimonianze commerciali e aziendali, che ne mettono a fuoco uno o più aspetti. Partiamo dalla realtà, a noi più familiare, dell’imballaggio nel punto vendita. Abbiamo scelto la linea vivi verde Coop, che armonizza in un unico marchio alimentari biologici e non alimentari ecologici e sceglie in molti casi anche packaging più leggeri e riciclabili. Passiamo al tema delle materie prime, focalizzandolo su quelle di origine vegetale, biodegradabili e compostabili, con cui è possibile realizzare molti prodotti di largo consumo a basso impatto ambientale. Arriviamo al Nord Est Packaging, il distretto industriale che – in Veneto – riuni-

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sce più di cento aziende: piccole e medie imprese, che producono macchinari o materiali per il confezionamento e si concentrano soprattutto nell’Alto Vicentino. Dal loro accordo programmatico nascono strategie comuni di crescita e di sviluppo. Ci concediamo anche un’incursione ludica nel campo minato dell’usabilità. Diamo infine uno sguardo agli scenari futuribili, ma non troppo, di packaging sempre più sofisticati nel proteggere il contenuto e nel dialogare con il cliente. Fra una tappa e l’altra, inseriamo brevi storie di pack memorabili. Pochissimi

esempi, fra i tanti possibili, e scelti in modo da evidenziare le differenti esigenze che una confezione dovrebbe soddisfare. Teniamo conto dei “suggerimenti” naturali per la perfetta «coerenza tra forma, funzione, consumo». Ciò che Bruno Munari sosteneva nella sua significativa descrizione dell’arancia: «L’oggetto è costituito da una serie di contenitori modulati a forma di spicchio, disposti circolarmente attorno a un asse centrale verticale al quale ogni spicchio appoggia il suo lato rettilineo, mentre tutti i lati curvi volti verso l’esterno dan-


no nell’insieme come forma globale una specie di sfera. L’insieme di questi spicchi è raccolto in un imballaggio ben caratterizzato sia come materia che come colore: abbastanza duro alla superficie esterna e rivestito con una imbottitura morbida interna di protezione tra l’esterno e l’insieme dei contenitori. [...] Ogni contenitore è a sua volta formato da una pellicola plastica, sufficiente per contenere il succo, ma naturalmente abbastanza manovrabile. Un debolissimo adesivo tiene uniti gli spicchi fra loro per cui è facile scomporre l’oggetto nelle sue varie parti tutte uguali. L’imballaggio, come si usa oggi, non è da ritornare al fabbricante ma si può gettare». (Good Design, 1963) Scegliamo poi invenzioni tecnologiche, che hanno cambiato la vita dei prodotti e le nostre abitudini di consumo: il semplice e geniale contenitore di cartone pressato per proteggere le uova; il rivoluzionario e oggi discusso Tetra Pak, per ritardare la deperibilità degli alimenti; il bidoncino brevettato e salva aroma del caffè Illy. Presentiamo soluzioni comunicative, che hanno determinato il successo, il gradimento e la longevità di un pack: la mitica intramontabile Coccoina; i confetti Liberty Ferrero insigniti nel 2009 dell’Oscar per l’imballaggio; gli eco-shopper che, rimpiazzando le bandite sporte di polietilene, si offrono come nuovi e in molti casi duraturi supporti promozionali. Ci avventuriamo infine nell’universo dell’arte, per ricordare Depero e la bottiglietta a tronco di cono che ancor oggi rende inconfondibile il Campari Soda. Segnaliamo scultori e design che suggeriscono insoliti e provocatori riciclaggi degli imballaggi dismessi. Infine riserviamo un omaggio a Calvino, che ne Le Città Invisibili descrive l’ambiente urbano progressivamente assediato da discariche e immondezzai. Rileggiamo le sue pagine, scegliendole fra le tante in cui scrittori come Tournier, De Lillo, McCarthy ve-

dono negli scarti il grottesco o il tragico rovescio di società ed esistenze dedite al consumo. Svelano insomma il paradosso fra qualcosa che sembra esaurito e in realtà persiste fino a contendere il nostro stesso spazio di sopravvivenza. La pertinenza di ogni episodio, rispetto ai vari versanti considerati (l’ambito naturale, l’innovazione tecnologia, l’impatto comunicativo o la rielaborazione artistica), viene segnalata da un diverso codice a barre, la simbologia a cui ci hanno abituato le interfacce grafiche dei packaging. L’idea di personalizzare i bar-code è partita dai giapponesi ed ha incontrato subito interesse e gradimento. Concede infatti un’ulteriore opportunità per diversificare gli imballaggi sui gremitissimi palcoscenici in cui si raccontano i prodotti. La nostra rielaborazione, oltre a fornire un orientamento di lettura, rappresenta anche un esempio di ciò che a breve comparirà su molte delle confezioni che acquistiamo: interventi grafici e cromatici, che senza interferire con la funzione primaria del codice, lo sottraggano all’anonimato e lo mettano a servizio della marca.

Diskos ha programmato un biennio postdiploma di Pack design, dedicato alla progettazione e alla realizzazione di imballaggi industriali funzionali, usabili, sostenibili e in grado di svolgere efficacemente il ruolo di venditori silenziosi. Il corso affianca la specializzazione in Grafica Multimediale, che dal 1997 forma professionisti per l’editoria digitale e il web. Un’esperienza didattica premiata da un consistente successo occupazionale e che, come ogni anno, si presenta attraverso l’ideazione di L’INK. ■

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UN POLIACCOPPIATO. INTERAMENTE BIODEGRADABILE Simbolo di abbondanza e fecondità, la noce è un chiaro esempio di come la natura, confezionando i suoi prodotti, privilegi sempre la funzionalità della forma e dei materiali. Il frutto presenta tre involucri che proteggono in modi e tempi diversi. Il mallo ripara dai raggi del sole finché non si consolida il guscio. Allora scurisce e si screpola. All’interno i setti legnosi garantiscono l’integrità del seme carnoso.

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elettra ettorre, giulia segalla, michela floriani


Nell’antichità, con il suo gheriglio che ricorda il cervello umano, la noce era consigliata per i disagi mentali e le ferite d’amore, nella convinzione che il simile curi il simile. Cibo degli dei, come rammenta il suo nome botanico (Juglans: Jovis glans), è stata largamente usata in riti magici e propiziatori. Con le sue 45 calorie è considerata un frutto nutriente e afrodisiaco. Still-life with oranges and walnuts – 1772 – Luis Meléndez – National Gallery – London Il nocino, liquore prodotto in molti paesi europei, viene distillato dal mallo, diviso in 4 parti e messo in infusione con alcol, zucchero e aromi.

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VIVI VERDE COOP SCELTE PER NATURA

mariella rossi e giulia segalla

Un marchio che unisce i prodotti già presenti nelle linee bio–logici ed eco-logici Coop, ne propone e ne proporrà molti altri di nuovi. Circa 400 referenze, di diversi settori merceologici, per suggerire consumi sani e sostenibili. Packaging ed etichette, che esprimono con chiarezza come tutelare la nostra salute e difendere l’ambiente in cui viviamo. Una storia, che possiamo raccontare grazie a Fabrizio Ceccarelli, brand manager di Coop Italia, che ci ha fornito tutte le immagini e le informazioni necessarie.

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cegliamo volutamente il termine storia, perché il marchio dovrebbe essere l’incipit di una narrazione, che viene sviluppata dai prodotti e dalle loro confezioni. Soprattutto quando gli uni e le altre sono destinati agli scaffali della grande distribuzione. È fondamentale che i contenuti narrativi siano credibili, ma non basta. Devono diventare memorabili, cioè capaci di farsi ricordare e di persistere nel tempo. Solo così possono diffondersi ed ampliarsi, attraverso le opinioni e le raccomandazioni dei consumatori.

non è propriamente una storia inedita, ma la sintesi e l’evoluzione di altri intrecci narrativi. Lo spunto iniziale resta la private label Coop, declinata in linee di prodotto che da diversi anni godono della fiducia e dell’apprezzamento dei clienti. Una garanzia incorporata nel nuovo logo, che assimila la forma del marchio all’interno della foglia e la tinge

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con un verde chiaro, con la sfumatura del germoglio e del momento generativo. è l’armonizzazione dei prodotti delle linee Bio-logici ed Eco-logici. Un racconto già avviato che si arricchisce di nuovi personaggi e soprattutto coinvolge direttamente il lettore. Suggerisce infatti un punto di vista di cui non tutti e non sempre siamo consapevoli: le scelte a vantaggio della nostra salute e quelle a tutela dell’ambiente sono complementari. Il concetto di sostenibilità, prima espresso in due diverse tonalità, diventa ora un solo e corale appello a “difendere l’unico pianeta che abbiamo”. A tutelarlo in ogni modo, anche con piccoli contributi di attenzione e rispetto, “anche semplicemente facendo la spesa”. è un’esortazione che, nella sua apparente semplicità, eleva a potenza il senso della vita. In latino, vivere e virere (essere verde) sono molto vicini e si


trovano a poca distanza da vigere (essere vigoroso) e vegere (essere florido). Le antiche assonanze continuano nel nostro dire quotidiano e, se anche non ce ne rendessimo conto, siamo da secoli persuasi che tutto ciò che è vivo e vegeto non può che essere verde. Il verde che simboleggia la vivacità, la freschezza, la naturalità viene sottolineato dalla foglia cosparsa di rugiada. L’acqua è l’elemento indispensabile per ogni forma di vita conosciuta, «il principio di tutte le cose», come Talete intuiva migliaia di anni fa. L’acqua rimanda a una lunga teoria di miti e ai tanti riti di rinascita e purificazione, celebrati in ogni epoca, cultura e religione. Il racconto, condensato nella foglia, si sviluppa e si precisa nei packaging. Tutte le confezioni hanno un fondo avorio, scelto da FutureBrand – l’agenzia a cui si deve il progetto della linea – perché ricorda i sacchetti di carta di una volta. Una tradizione riattualizzata dalla direttiva europea che vieta, dal 1° gennaio 2010, la produzione e la commercializzazione di shopper di polietilene. Il governo italiano ha ottenuto di rinviarne l’applicazione al 2011, ma alle casse dei punti vendita Coop si trovano già oggi solo sporte di amido di mais, che – una volta usate – sono idonee a raccogliere la frazione umida dei rifiuti domestici. Lo sfondo neutro dei pack presenta anche un vantaggio percettivo. Sugli scaffali saturi di colori, imprevedibili accostamenti cromatici spesso dissolvono i profili dei prodotti, li mescolano e li ricombinano in forme inattese e disorientanti. Una sfumatura chiara si evidenzia nel flusso colorato, mentre concede alla visione un istante di pausa. Immagini e testi, risultando più nitidi, invitano a proseguire nella narrazione enunciata dal logo e ribadita nel leit motiv di tutti i packaging: «La linea Coop comprende i prodotti da agricoltura biologica, sani e genuini grazie a un siste-

ma di produzione che rispetta gli animali e l’ambiente, e prodotti non alimentari ecologici, realizzati con criteri sostenibili e di compatibilità ambientale». Questi temi sono approfonditi in un pieghevole, a disposizione nei punti vendita, che illustra come l’agricoltura biologica consente di nutrirsi in modo sano e insieme rispetta gli animali e la terra. Senza organismi geneticamente modificati, fitofarmaci e fertilizzanti chimici e attraverso la rotazione delle colture, si preservano la biodiversità, il suolo, le falde acquifere e l’aria. Senza antibiotici e farmaci nei mangimi e garantendo condizioni naturali di allevamento, si tutela il benessere degli animali. Senza trattamenti di conservazione dopo la raccolta, si salvaguarda la genuina freschezza dei cibi. Un metodo fortemente innovativo, che impone una conoscenza profonda dell’ecosistema e tecniche so-

fisticate, come per esempio lo studio e le applicazioni di antiparassitari naturali. La stessa linea include generi non alimentari concepiti per “la massima sostenibilità e compatibilità ambientale”. Un’ampia gamma di referenze che va dalle stoviglie monouso biodegradabili, alle pile ricaricabili, ai detersivi sfusi, agli Ecolabel, come i detergenti per la casa e le lampade a basso consumo energetico. Il marchio europeo Ecolabel contrassegna i prodotti di elevato standard prestazionale, che risultano a basso impatto ambientale durante tutto il loro ciclo di vita. Materiali naturali e compostabili come le bioplastiche e la cellulosa, materiali come il PET di seconda generazione, contenitori per usi reiterati tengono conto del criterio delle 3 R (ridurre, riutilizzare, riciclare) e del fatto che l’imballaggio è destinato a trasformarsi in rifiuto. Continua

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La “digestione” diventa l’elemento di raccordo fra la nostra salute e quella del pianeta. Il messaggio si esplicita in un’innovativa etichettatura dei prodotti e si percepisce soprattutto in quelli alimentari. Accanto alla tabella nutrizionale, che orienta verso diete equilibrate, si trova la tabella che evita intossicazioni dell’ambiente. In essa sono chiaramente indicati la dicitura tecnica del materiale usato per il packaging, il suo nome comune e le modalità di smaltimento secondo le norme della raccolta differenziata. L’attenzione ambientale si traduce anche in un contributo all’usabilità delle confe-

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zioni, perché il consumatore individua facilmente la soluzione corretta e non è, come troppo spesso accade, disorientato da informazioni lacunose, complesse o confuse. Coop – nel 2009 La linea alla 21^ edizione di SANA, il Salone Internazionale del Naturale – si è aggiudicata il premio “Bio. Fare e Comunicare” proprio «per aver saputo dialogare con il pubblico attraverso un’immagine coordinata che presenta e rappresenta tutta la gamma di prodotti biologici distribuiti, come scelte di consumo consapevoli, orientate alla sostenibilità». ■


La qualità è la miglior ricetta. Ingredienti selezionati. Preparazione rapida. Sapere intenso.


DEPERO DA BERE

La bottiglietta a tronco di cono, concepita nel 1932, fu ed è tuttora – come recitano i testi promozionali – icona di stile e gusto, segno inconfondibile della Campari. Disegnato da Fortunato Depero, il singolare contenitore s’ispira al vulcano e al-

la resistenza della lampadina. Incandescenza naturale o artificiale per alludere all’aperitivo, moderatamente alcolico e frizzante, che “la gioia salta e vermiglia … l’ha chiusa in bottiglia”. Solo vetro, nessuna etichetta e il marchio

impresso a rilievo, affinché il rosso della bevanda diventi vernice per il pack. L’intuizione, davvero pionieristica, di un imballaggio-vetrina che esalta la visibilità e il protagonismo al prodotto.

Fortunato Depero, 1892 – 1960

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fabiola sella, giulia pietrobelli, matteo pozzi, silvia briata



CHIMICA VIVENTE PER LA QUALITÀ DELLA VITA È la mission della Novamont di Novara, fin dal suo esordio impegnata a sviluppare prodotti con materie prime rinnovabili di origine agricola.

Il suo Mater-Bi® è il biopolimero più noto al grande pubblico, che quanto meno lo riconosce nei sacchetti per raccogliere i rifiuti organici destinati al compostaggio. Il marchio si riferisce però ad un’ampia famiglia di materiali termoplastici biodegrabili, che si lavorano con le stesse tecnologie delle plastiche tradizionali e trovano svariate applicazioni. Abbiamo chiesto ad Armido Marana, general manager di Fabbrica Pinze Schio, di approfondire l’argomento.

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Una breve premessa per conoscere chi e perché vi informa sul tema. Dal 2000 sono l’amministratore delegato di questa piccola azienda, attiva da un centinaio di anni e che ha il suo core business nella produzione di mollette. Prima sono stato direttore commerciale di una grossa impresa, sempre della zona, che produceva e tuttora produce shopper, sacchi per pattumiera e raccolta differenziata, sacchi per la conservazione di alimenti, custodie per abiti... All’epoca, i materiali biologici e biodegradabili erano ancora sperimentali.

La mia esperienza nella produzione di sacchetti in Mater-Bi ® risale al tempo della prima raccolta differenziata in Italia. Nel 1995, dopo che il comitato intercomunale di Cerro Maggiore e di Rescaldina blocca la discarica che serve il capoluogo lombardo, Milano si trova ad affrontare un’emergenza rifiuti e reagisce organizzando procedure di smaltimento differenziato. L’impresa è tutt’altro che facile in una metropoli di quasi due milioni di persone. Comincia così la richiesta di imballaggi che rendano più agevole la separazione e il recupero. Nel 1997, esce il decreto Ronchi che for-

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nisce i criteri attuativi delle direttive europee in tema di gestione e trattamento dei rifiuti e fissa le percentuali di scarti differenziati da raggiungere di anno in anno. Con la separazione della frazione organica, del vetro e della carta è già possibile superare il 37%. L’umido, conferito in discariche, è paradossalmente la componente più pericolosa della nostra immondizia, perché genera il percolato, una miscela di acque meteoriche e di liquidi, rilasciati dagli scarti, che può inquinare le falde acquifere. Vietando il conferimento dell’umido in discarica si fece un primo e notevole passo avanti nella tutela della salute e dell’ambiente. Il passo successivo fu la separazione di carta e vetro, due materiali facilmente identificabili e riciclabili. Dopo queste precisazioni, torno al 2000, quando decido di sperimentare il MaterBi® per lo sviluppo di prodotti rigidi. Va chiarito che la plastica si declina in moltissimi polimeri, che hanno caratteristiche diverse e provengono da differenti processi tecnologici. Gli imballaggi flessibili si generano per estrusione a bolla, cioè spingendo un po-


limero attraverso un ugello anulare e deformandolo con una bolla d’aria. Quelli rigidi si ottengono invece per stampaggio ad iniezione, cioè immettendo il materiale fuso in forme prestampate. Con quest’ultima procedura, realizziamo posate in Mater-Bi®. Stoviglie e altre linee di prodotto, commercializzate con il marchio EcoZema®, godono della certificazione EN13432 – che determina le caratteristiche dei manufatti idonei al compostaggio – e sono state per esempio adottate da tutte le mense delle scuole scledensi». Come nasce e si concretizza il progetto Mater-Bi®? «Novamont trova radici in Montedison e nello sviluppo del polipropilene, scoperto dal premio Nobel Giulio Natta. Nasce nel 1990, con l’obiettivo di sviluppare e commercializzare i prodotti realizzati da Fertec, una società Montedison concepita per armonizzare la cultura chimica di Montecatini con quella agroindustriale del gruppo Ferruzzi. Nonostante il progressivo smembramento e dissolvimento di Montedison, gli investitori hanno creduto nel futuro delle bioplastiche e Novamont ha potuto continuare a sperimentare e produrre materiali di origine vegetale, guadagnandosi un cospicuo portafoglio di brevetti. Il suo prodotto principale è appunto il Mater-Bi®, derivato da amido di mais non geneticamente modificato.

complessato con sostanze naturali o sintetiche che ne aumentino la resistenza. È il caso della Goodyear che, con l’impiego di biofiller Mater-Bi®, ottiene pneumatici più performanti e meno inquinanti. Questa in breve la storia, tutta made in Italy, di un’azienda che è attualmente il più grande produttore del mondo di plastiche biodegradabili e, nonostante la crisi, non mostra segni di affaticamento. Accanto a Novamont, tutte le imprese che, come la nostra, acquistano la materia prima e la trasformano in prodotti per uso domestico, per la ristorazione, per l’agricoltura e l’industria». Si usano altri materiali biodegradabili? «Prima di tutto bisogna intendersi sul concetto di biodegradabilità. Lavoisier diceva: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Il che significa che ogni cosa, in tempi e modi diversi, si modifica e si degrada.

È biodegradabile la materia che, decomponendosi, si converte in sostanze non inquinanti. Ad una degradabilità sostenibile, si aggiunge il criterio della compostabilità, che determina l’arco temporale di dissoluzione di un materiale. La normativa EN13432, cui ho accennato in precedenza, definisce compostabile un prodotto, che, in un ambiente a giusto grado di umidità e temperatura, viene aggredito da microorganismi e, in novanta giorni, trasformato in compost. Gli imballaggi, conferibili nel rifiuto umido, devono possedere queste caratteristiche. È idoneo al compostaggio anche il P.L.A., un biopolimero sempre generato da amido di mais, ma ottenuto con un procedimento chimico diverso dal Mater-Bi®. Prodotto dalla multinazionale statunitense Cargill, il poly lactide acid si estrae

Va precisato che la molecola di amido, usata per le bioplastiche, non proviene solo dal mais, che è semplicemente più reperibile sul mercato, ma può essere ricavata da svariate coltivazioni agricole, come per esempio arachidi, barbabietole e patate. La molecola, destrutturata e ricomposta può essere declinata in diverse gradazioni. Per grado di polimerizzazione s’intende la maggiore o minore densità della plastica. In base alla fluidità, il materiale viene lavorato per estrusione, per iniezione o Continua

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sottraendo la parte zuccherina dell’amido e polimerizzando l’acido lattico derivato. Il che significa, attraverso il riscaldamento e la pressione, portarlo dallo stato liquido ad una consistenza solida e lavorabile. La scarsa resistenza a temperature che superino i 40° rende il P.L.A. inadeguato a contenitori alimentari per cibi caldi. Se ne fa un uso molto ampio in ambito tessile, perché si può trattare come qualsiasi altra fibra tradizionale. Un’altra opportunità, presente in natura, è la cellulosa, biodegradabile e compostabile per eccellenza. Può essere utilizzata in forma fibrosa per produrre carta, rayon, cellophane… Oppure in polpa, per ottenere, come per esempio facciamo noi, piatti, coppette e vaschette per alimenti. La polpa, che si ottiene dagli scarti di lavorazioni agricole, giunge prevalentemente dalla Cina, dove si usa lo sfrido della canna da zucchero, che dopo la spremitura rilascia la bagassa. Con un procedimento molto semplice, lo scarto viene emulsionato nell’acqua e poi inserito in stampi, che filtrano l’umidità e conferiscono la forma. Pressata ad elevata temperatura, la polpa di cellulosa consente la realizzazione di prodotti rigidi. Insieme al Mater-Bi®, questi sono attualmente i materiali trattabili con processi industriali e coerenti con la normativa EN13432». Una riflessione sui materiali accoppiati. «Una “maledizione” che in Italia non riusciamo a superare. Quando si concepisce un packaging sarebbe indispensabile valutare anche le implicazioni del suo esito finale, quando cioè diventa rifiuto da smaltire. Un pack di cellulosa può essere associato alla carta e riciclato oppure inserito nell’umido e compostato. Ma se quell’imballaggio è accoppiato a materiali plastici, per aumentarne la lucentezza e migliorarne la stampabilità, non sappiamo come separare le sue

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componenti e optiamo tendenzialmente per il conferimento nel secco. D’altro canto, l’appeal del confezionamento è ancora decisivo nelle scelte di acquisto della “casalinga di Voghera” – che secondo Nielsen, la grande società americana di ricerche di mercato – identifica il tipico consumatore italiano. Negli ultimi tempi, tuttavia, sta crescendo l’attenzione verso le tematiche ecologiche e s’intensifica l’apprezzamento di imballaggi sostenibili, anche se meno appariscenti, perché trattati con colori ad acqua e senza solventi, e soprattutto più costosi. Un apparente minus che diventa un plus, se consideriamo prioritarie la salute nostra e dell’ambiente». Esistono altri criteri da adottare per migliorare l’impatto di prodotti e packaging? «Il Life Cycle Assessment (LCA) è lo strumento che valuta l’intero ciclo di vita di un prodotto, dall’acquisizione delle materie prime al suo smaltimento. I parametri sono i costi energetici e il tasso d’inquinamento. La metodologia LCA è ancora poco praticata in Italia e sicuramente sconosciuta al grande pubblico. Per comprenderne la rilevanza, possiamo mettere a confronto i processi produttivi di posate in Mater-Bi® e in polistirolo. Ad ogni 6 particelle di CO2 rilasciate dalla lavorazione del polistirolo ne corrisponde una sola emessa dalla lavorazione di bioplastica». C’è un vantaggio economico che incentiva a proseguire in questa direzione? La decisione di produrre prodotti compostabili è stato un atto di fede. Ovviamente abbiamo investito risorse auspicando che ci fosse un ritorno, ma ci sono voluti tempo e tenacia per centrare l’obiettivo.

Come ho detto, eravamo nel 2000 e molti dei nostri progetti sembravano sogni. Oggi siamo alla seconda generazione di stampi e, grazie al marchio EcoZema, il fatturato dell’azienda è raddoppiato. È comunque evidente che l’espansione del mercato dipende molto dagli indirizzi politici. Il nostro è un prodotto dal costo elevato e il consumatore può essere convinto a sceglierlo se consapevole dei suoi vantaggi ambientali. È quindi necessario incentivarne l’uso con adeguate campagne informative. In ogni caso, in un anno critico come il 2009, siamo riusciti ad investire e ad assumere. Come a dire, che la produzione ecosostenibile è in controtendenza rispetto alla flessione di altri settori industriali». ■



UN NIDO DI CARTONE

Dobbiamo a Francis Sherman la soluzione per non rompere le uova.

Aspirando polpa di legno e infeltrendone le fibre, modellò un contenitore ad alveare che, per la sua affidabile struttura e il materiale ecologico impiegato, si è garantito un successo duraturo. Anche se declinato in svariate versioni, l’originale imballaggio di cellulosa rimane sostanzialmente immutato.

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jessica tomasetto, paolo scolaro, stefania danese


Con le pareti inclinate verso l’esterno, ogni alveolo trattiene il guscio sospeso dal fondo e intensifica l’assorbimento degli urti. La polpa di legno isola la superficie porosa dell’uovo ed evita che catturi o rilasci odori sgradevoli.

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INSIEME PER COMPETERE Che cos’è? Chi partecipa e come funziona? Lo spiega Simone Franzolin, ingegnere gestionale che rappresenta il Distretto NEP, un sistema di aziende venete che producono principalmente materiali e macchinari per l’imballaggio.

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Il NEP – Nord Est Packaging – è un distretto produttivo, cioè una rete organizzata di imprese venete della stessa filiera produttiva, che condividono un accordo programmatico per concepire e realizzare insieme strategie di sviluppo del settore. Con la legge 8/2003, la Regione Veneto ha fissato i criteri per la costituzione e il riconoscimento dei distretti e per il sostegno finanziario ai loro progetti. L’obiettivo è di incentivare l’aggregazione delle aziende di una stessa filiera, affinché sia potenziata la capacità produttiva e commerciale del territorio. Ogni tre anni, la Regione decide se riconfermare o meno i distretti, sulla base del documento che programma le iniziative di crescita e di sviluppo e relaziona su quelle realizzate. Il NEP, riconosciuto nel 2003, ha ottenuto il rinnovo del patto nel 2006 e nel 2009. Fin dall’inizio, ha deciso di dotarsi di una struttura organizzativa, il Consorzio Nord Est Packaging, per essere efficace nel progettare le attività di interesse comune ed accedere ai contributi previsti dalla legislazione sui distretti. Il consorzio si è poi evoluto non solo per supportare le imprese nell’accesso ai fondi della

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legge sui distretti, ma anche per agevolare la collaborazione tra i propri membri e promuovere il NEP e le sue aziende presso i loro clienti. Al Distretto NEP aderiscono circa 125 imprese venete e in prevalenza piccole e medie. Il distretto, a valenza regionale, è presente in tutte e sette le province del Veneto, ma la maggior concentrazione è nell’Alto Vicentino, fra Schio, Thiene e Malo. Questo spiega la presenza nel NEP del Comune di Schio, tradizionalmente sensibile alla cultura industriale e interessato al consolidamento di aziende che operano nell’area cittadina. Sono attivi sostenitori del distretto anche APINDUSTRIA VICENZA (Associazione Piccole e Medie Industrie della provincia), presso la quale si trova la sede del NEP e l’Associazione Industriali di Vicenza. La Camera di Commercio di Vicenza inoltre ha valutato positivamente la costituzione e la programmazione triennale del distretto Nord-Est Packaging». «La composizione del distretto – ci informa Franzolin – è molto articolata. In termini di prodotto realizzato possiamo distinguere per grandi categorie i produt-


tori di materiali per l’imballo, i produttori di macchinari per il confezionamento e le aziende che sviluppano servizi a supporto. Per quanto riguarda i mercati di sbocco, sono i più vari: l’alimentare, quello delle bevande, il chimico e petrolchimico, il farmaceutico, il cosmetico, il profumiero e altri ancora». Quali sono le finalità del NEP? « Il consorzio persegue l’obiettivo generale di invogliare e agevolare le imprese del NEP a collaborare tra loro, sviluppando, sempre su attività precise e molto concrete, delle progettualità condivise. Questo elemento fondamentale della strategia del distretto caratterizza e permea tutte le iniziative che vengono ideate e realizzate. Gli obiettivi specifici per il triennio 20092012 riguardano tre aree tematiche: l’internazionalizzazione, l’innovazione e l’informazione/formazione. Il primo obiettivo, l’innovazione, punta al miglioramento dei processi produttivi e dei prodotti delle aziende e tra le aziende del NEP per elevare la competitività. La concorrenza con i mercati emergenti è infatti possibile solo a patto di innalzare costantemente la qualità di prodotti e servizi. A tal fine, il NEP collabora con Istituti Universitari e Centri di Ricerca perché possano stimolare e supportare tecnicamente i progetti di innovazione nel distretto e trasferire alle imprese tecnologie all’avanguardia sviluppate in campo accademico o in altri settori ». Comprendiamo che il NEP opera in nome di aziende che hanno rapporti commerciali con altre aziende, ma da consumatori siamo particolarmente interessati al vostro studio sui materiali ecocompatibili per imballaggi alimentari. «L’indagine è stata affidata a NanoFAB, centro di ricerca sulle nanotecnologie, nato all’interno dell’accordo tra Regione Ve-

neto e Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica. NanoFAB è finalizzato a lavorare su commessa per aziende specifiche e a trasferire innovazione, offrendo le nanotecnologie come strumento per migliorare la qualità e la performance dei prodotti ed aumentare la competitività nel mercato nazionale e internazionale. Lo studio, rivolto alle imprese del consorzio, aveva l’obiettivo di fotografare lo stato dell’arte nello sviluppo di materiali flessibili ecocompatibili per il confezionamento alimentare, di segnalare possibili evoluzioni e stimolare progetti. È indubbio che in futuro non si potrà prescindere dal ripensare radicalmente le modalità e i sistemi di imballaggio odierni nell’ottica di una maggiore sostenibilità ambientale. Molto più difficile è capire come si evolverà tale mercato, quali materiali e quali tecnologie si affermeranno. Sarebbe utopistico pensare di poter contribuire a determinare tale evoluzione – anche se questa dovrebbe essere probabilmente la strategia da perseguire – poiché il cambiamento non dipende solo da fattori tecnologici e di mercato, ma anche e soprattutto da fattori di tipo politico e legati all’apporto dato da governi di diverse nazioni.

Limitando l’analisi agli aspetti tecnici, anche se potenzialmente gli imballaggi di derivazione naturale sono molto interessanti, non è trascurabile il loro effetto sui processi di riciclaggio: non essendosi imposti dei materiali ecocompatibili standard, non è stato infatti possibile concepire un sistema adeguato di recupero e riutilizzo, che sia compatibile con quanto oggi si sta già facendo nel campo del riciclo. È chiaro che il sostegno ai biopolimeri dipenderà dagli orientamenti politici ed economici nazionali ed internazionali, dalla volontà degli organismi governativi di promuoverne l’uso, attraverso incentivi alle imprese e un adeguato coinvolgimento dei cittadini». Il secondo obiettivo riguarda il miglioramento della capacità delle nostre PMI ad affrontare il mercato globale. Entrare in un mercato nuovo o consolidare la propria presenza in un mercato estero può essere difficile da raggiungere in termini economico-finanziari o anche semplicemente operativi. In questo ambito siamo stati vicini alle imprese del consorzio attraverso l’organizzazione e la realizzazione di una missione commerciale in India, che è stata molto apprezzata dagli aderenContinua

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ti al NEP e che per alcune aziende si è concretamente tradotta in contratti di licenza e in accordi per la creazione di joint-venture. Anche la partecipazione ad importanti fiere di settore è stata più agevole ed efficace, perché risolta in forma collettiva o coordinata. Ai principali appuntamenti fieristici di respiro internazionale del settore – Dusseldorf, Milano e Mosca – nella vetrina comune del distretto hanno trovato spazio e visibilità le imprese del consorzio interessate e i loro prodotti».

come evolve il mercato globale, le competenze e professionalità dei loro operatori. È inoltre fondamentale per le nostre imprese confrontarsi per continuare a svilupparsi ed offrire al cliente finale, sfruttando le sinergie produttive e commerciali del distretto, linee complete e sistemi “chiavi in mano”. La partnership fra piccole e medie realtà industriali, rispetto alle grandi aziende o alle multinazionali, consente di concepire una grande varietà di soluzioni e garantisce la flessibilità necessaria ad assecondare esigenze sempre più personalizzate».

Il terzo obiettivo? «È legato all’informazione e alla formazione, per valorizzare le eccellenze, stimolare la complementarietà fra le imprese e promuovere l’aggiornamento delle competenze. Abbiamo puntato molto sull’informazione circa le opportunità che l’ambiente offre e sulla formazione delle risorse interne all’azienda. L’informazione è infatti fondamentale per garantire che alle nostre imprese, tradizionalmente impegnate più sul quotidiano che nel medio-lungo periodo, non sfuggano progettualità e occasioni di vario tipo, treni che passano e che non bisogna mancare. La formazione continua è inoltre determinante per consentire alle aziende di adeguare dinamicamente, a seconda di

Come si superano eventuali competizioni interne? «Quella del distretto, considerata l’indole individualista dei veneti, è stata una scommessa. Si sapeva che nel NEP sarebbero confluite aziende con attività e interessi simili e sovrapposti. Ma l’idea e gli oggettivi vantaggi di operare in squadra hanno consentito di creare molte sottofiliere di imprese complementari. Naturalmente non mancano diffidenze e disaccordi, ma la scelta di stimolare con progetti concreti permette di superare gli elementi di criticità». Per quanto riguarda la comunicazione? «Abbiamo realizzato un portale (www. nepackaging.it), che è stato studiato per veicolare informazioni per le imprese che

aderiscono al distretto e sono interessate ad accedere ai contributi regionali, a conoscere ricerche, progetti, opportunità commerciali, informative e formative. Il portale è inoltre utile a diffondere, fra le aziende venete della filiera dell’imballaggio, lo spirito e le attività che il NEP realizza. Il sito vuole anche promuovere le imprese NEP presso i potenziali clienti e in questo senso è stata implementata una sezione che contiene un catalogo virtuale delle aziende associate. Il prossimo intervento, già in fase di realizzazione, è la versione in inglese, che renda i contenuti spendibili all’esterno, e una strategia di promozione in rete che dia al NEP visibilità anche sui mercati esteri». L’insieme delle iniziative promosse dal distretto ha determinato ricadute commerciali per le imprese aderenti? «È molto difficile fornire una risposta precisa, anche perché il NEP non è un osservatorio economico e non ha, fra i suoi compiti istituzionali, quello di monitorare l’andamento economico-finanziario delle aziende. Il contatto quasi quotidiano con le imprese permette comunque di farsi un’idea sulla situazione. La crisi ha toccato nel vivo anche le aziende del distretto all’inizio del 2009, con un’inversione di tendenza nella seconda metà dell’anno che si sta confermando anche in questa prima parte del 2010. Nonostante le difficoltà, la tendenza generale è quindi rassicurante, sia sul fronte occupazionale che su quello delle esportazioni; meno positiva sembra invece essere al momento la situazione nel mercato nazionale».

Probabilmente, come ammonivano i latini, “Nella concordia crescono le piccole cose, nella discordia anche le grandi crollano”. ■

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Chiave di Successo


UNA RIVOLUZIONE SOSTENIBILE?

Un poliaccoppiato riciclabile? Abile strategia di marketing o concreta sensibilità ambientale?

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Nella storia degli imballaggi, una protezione indiscutibilmente geniale per cibi e bevande. Concepita in Svezia, nel 1952, permise di lavorare insieme, in un unico e innovativo processo, contenitore e contenuto, evitando contaminazioni e garantendo agli alimenti tempi più lunghi di conservazione.

Un pack di carta, polietilene ed alluminio, che risulta ingombrante nell’epoca del recupero e del riuso. Perciò la Tetra Pak investe notevoli risorse per “dire a tutti” che i suoi imballaggi sono interamente riciclabili. Rinnova anche il marchio e rafforza l’immagine dell’azienda che, in tutto il modo, “protegge la bontà”.


SCRIGNO DI BELLEZZA Il «mollusco emana il proprio guscio» e «distilla a misura la sua meravigliosa copertura». (Paul Valéry, Les Coquillages) Un’architettura in carbonato di calcio che protegge e sostiene esseri invertebrati.


Nascita di venere – 1483/1485 – Sandro Botticelli Se quest’intimità è violata da un parassita o da un frammento minerale, si neutralizza il corpo estraneo con strati concentrici di madreperla. Un gioiello di difesa immunitaria, che ha sempre solleticato la vanità femminile. Afrodite, dea della bellezza, è generata dalla schiuma marina e arriva a Cipro adagiata in una conchiglia. Botticelli e Bourguereau dipingono la sua nascita come l’affascinante svelamento di una perla.

CONCHIGLIA MARINA O conchiglia marina, figlia della pietra e del mare biancheggiante, tu meravigli la mente dei fanciulli. Alceo (traduzione di Salvatore Quasimodo) Nascita di venere – 1879 – William Bouguereau elettra ettorre, giulia segalla, michela floriani

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DACCI OGGI IL NOSTRO PACK QUOTIDIANO Che cos’è un packaging. Nella vita quotidiana, intendo. È

per esempio il tubo del dentifricio, perversamente incline a rovinare l’inizio delle nostre giornate. Che già cominciano con i suoni poco concilianti di sveglie più o meno tecnologiche, più o meno e inutilmente personalizzate. In rete – sul tubo e sulla sua malizia – fioriscono innumerevoli e multidisciplinari teorizzazioni. Spiegazioni scientifiche e suggerimenti tecnici arrivano da un “percorso innovativo sull’idrostatica”: «Molte persone hanno l’abitudine di schiacciare il tubo della pasta dentifricia presso il suo sbocco anziché dalla base. È un’azione spesso

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inconscia, determinata forse dalla praticità di tenere il tubo saldo con una sola mano, oppure dall’errata credenza di compiere meno “fatica” essendo più vicini all’uscita. Ebbene la fisica ci insegna che la fatica che compiamo a premere il dentifricio alla base o all’inizio del tubo è proprio la stessa, con l’unica differenza che premendo alla base abbiamo la possibilità di arrotolare il tubo man mano che lo utilizziamo, mentre schiacciando al centro spingeremo sì la pasta verso lo sbocco, ma non solo, parte di essa retrocederà verso il fondo, avendo i liquidi in pressione la tendenza ad occupare gli spazi in cui non trovano resistenza».

ma.ma

Ma è difficile accettare che ci vogliano competenze fisiche per svolgere un compito elementare come lavarsi i denti. Quindi, accanto al pacato rigore accademico, si susseguono testimonianze che esprimono un semplice irrazionale risentimento: «Quando stai spremendo l’ultimissima parte del dentifricio, finalmente ne esce un pezzetto, ma appena levi un pollice per prendere lo spazzolino il pezzetto di dentifricio rientra dentro. Quando apri il tubetto nuovo, ma lo premi troppo energicamente e te ne esce un etto e mezzo». Poiché come si diceva siamo poco propensi a studiare un metodo garantito da cognizioni scientifiche, è sempre in ag-


quelli che pigiano al centro, e lasciano così. Infine coloro che si accaniscono sul tubo, torcendolo come uno straccio bagnato». Indizi che rivelano – ci pare di cogliere – tratti ossessivi, comportamenti impulsivi e persino sintomi di allarmante aggressività.

guato il contenzioso fra spremitori bricoleur. Ognuno con il suo stile, ognuno con le sue ragioni, ognuno con un legittimo accanimento nel sostenerle. C’è chi intuisce quanto il tubo possa pesare su un rapporto coniugale. Trattandosi di un religioso e quindi di un difensore dell’eternità dei connubi, si rivolge ai mariti (chissà perché ritenuti più esperti nella manipolazione del dentifricio) e li interroga: «Quanto ti fa arrabbiare tua moglie quando spreme il tubo del dentifricio nel mezzo invece che dal fondo?» Ebbene, suggerisce l’uomo di fede: «Le cose più difficili da perdonare non sono i grandi errori o i pesanti difetti, ma le piccole irritazioni, i fastidi insignificanti del giorno dopo giorno, le piccole cose». Che i consorti mostrino quindi cristiana rassegnazione verso le donne che, fin dai tempi di Eva, non ne combinano mai una di giusta. La psicologia si rivolge invece a tutti, credenti, laici ed agnostici, senza ricorrere a colpe e a virtù, ma delineando profili di personalità per i differenti spremitori di dentrificio. «C’è chi meticolosamente preme e poi, dal basso, inizia a pigiare verso l’alto fino a rendere pieno in maniera omogenea il pezzo di erogatore che va fino al tappo. Ci sono

Insomma, da qualunque punto di vista, il tubo dimostra perché esistano studi e ricerche sulla cosiddetta usability, cioè sulla maneggevolezza delle confezioni che proteggono i prodotti. Gli esperti spiegano che un packaging non va considerato solo per la sua efficienza protettiva e per la sua capacità di ingolosire il consumatore. Deve, una volta portato a casa, rilasciare facilmente il contenuto. Il tubo non è il solo ad essere riluttante nel concederci il godimento delle meraviglie che custodisce. Anche la pur genialissima lattina a strappo delle nostre tante scatolette si trasforma spesso in un’arma impropria. Nonostante le molte cautele riesce, prima o poi, a ferirci le dita. E quando siamo particolarmente concentrati per evitare non gravi, ma copiossime emorragie, ci schizza addosso l’olio del tonno o il liquido di governo delle verdure in scatola. Già che lo si chiami così la dice lunga sul nostro disappunto quando ci ritroviamo inzaccherati.

vetro, banda stagnata o plastica non fa differenza – impediscono il completo godimento del contenuto. Sarebbe troppo lungo elencare tutti i genialissimi accorgimenti adottati da ciascuno di noi per recuperare il fondo di salse, bagnoschiuma, creme cosmetiche o farmaceutiche, detersivi e via discorrendo. Da ultimo, sempre per spiegarci sull’usabilità, meritano un po’ di attenzione le etichette. Per quanto riguarda cibi e farmaci, l’informazione più rilevante è la data di scadenza. Introvabile o illeggibile, perché collocata in posti impensabili o inidonei, come superfici zigrinate o gremiti di immagini. Oppure stampigliata con inchiostri che si decolorano facilmente. E ammesso che la nostra caccia alla data si risolva felicemente, dobbiamo spesso desistere dal leggere altro perché i testi sono microscopici, vere e proprie provocazioni alla miopia, alla presbiopia, all’astigmatismo. E pensare che gli studi sull’etichettatura usabile già prevedono l’uso del Braille per rendere le informazioni disponibili anche ai non vedenti. ■

Adesso però, decantatissimo da Bonduelle, è arrivato il Tetra Recart™. In teoria ha «una pratica apertura a strappo, sicura perché non tagliente e fruibile senza la necessità di utilizzare forbici o apriscatole. Per aprirla è sufficiente sollevarne i lembi e strapparli in corrispondenza del bordo perforato». Posso garantire che, malgrado intense sedute sperimentali, non è possibile scassinare questo fantastico poliaccoppiato con le mani e nemmeno con i denti. Come tutti i più tradizionali e vituperati tetrapack richiede le solite cesoie da cucina. E comunque moltissimi involucri – di

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AROMA BREVETTATO

Consapevole che degustiamo il caffé soprattutto con l’olfatto, Francesco Illy nel 1934 concepisce e brevetta un innovativo sistema per conservare ed esaltare il profumo dell’espresso. Con la pressurizzazione, si toglie l’ossigeno del barattolo metallico e s’introduce azoto ad una pressione più elevata di quella atmosferica. Non solo l’aroma viene catturato, ma si determina l’ambiente ideale perché continui a maturare. Una vera e propria stagionatura, come per i vini di pregio.

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Un packaging in cui il buono e il bello si fondono in un’eleganza funzionale. La lucentezza dell’alluminio, l’essenzialità di diciture e colori suggeriscono un gusto equilibrato e rotondo.

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ELEGANZA PRÊT-À-PORTER

Una scatolina di latta, sottile, tascabile e raffinata come i portapillole di pregio. Venticinque confetti avvolti da una pergamena, in cui si sottolinea il “perfetto” equilibrio di forma e contenuto, di sapore e design.

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Oscar dell’Imballaggio 2009 per la Comunicazione: il premio che segnala confezioni particolarmente visibili e attraenti. La Ferrero se lo aggiudica, mescolando fascino, attenzione alla salute e rispetto dell’ambiente. Le compresse sono senza zucchero e declinate in tre gusti diversi. Il pack è riciclabile oppure disponibile per nuovi utilizzi.

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DINAMICI E PENSANTI

γλυκιπικρον

Nel 1956 John McCarty, matematico statunitense, usò per primo l’espressione artificial intelligence, durante un seminario al Dartmouth College nel New Hampshire. Il termine – comunemente contratto nell’acronimo AI – è stato applicato a tutte le macchine che funzionano imitando i processi della mente umana. Riguarda, quindi, soprattutto computer e robot. Poiché si riferisce alla capacità di elaborare informazioni, l’aggettivo intelligente si è però esteso a molte altre invenzioni.

Anche le confezioni hanno sviluppato una loro forma di intelligenza. L’ingegno dei cosiddetti functional packaging consiste nell’intensificare la relazione con il contenuto oppure il dialogo con il consumatore, cioè nell’elevare le performance protettive o informative dell’imballaggio.

G

li active pack rappresentano un’ulteriore evoluzione nel confezionamento dei prodotti deperibili, già apprezzabilmente migliorato con le tecnologie “sotto vuoto” o in atmosfera modificata e con i “film barriera”, pellicole plastiche che garantiscono un’elevata protezione contro i gas e l’umidità e assicurano saldature ermetiche. Nonostante questi accorgimenti difendano dalla polvere, dalla luce e dall’ossidazione, non impediscono la formazione interna di vapore acqueo. Il fenomeno, oltre a rendere meno appetibile la presentazione commerciale del cibo, può innescare la proliferazione di microrganismi come le muffe. La ricerca e la sperimentazione hanno individuato processi, materiali e sostanze

che, intensificando le difese da intrusioni esterne, permettano di regolare le condizioni interne, di sottrarre ossigeno o di liberare progressivamente gas stabilizzanti. Sul fondo delle vaschette o su fogli assorbenti vengono ricavate piccole celle in cui inserire composti chimici che si attivano a contatto con l’umidità generata dall’alimento. Eliminano per esempio l’etilene, rilasciato dal metabolismo vegetale, che accumulandosi finirebbe per alterare sapore e freschezza di frutta e verdura. Gli inglesi li hanno chiamati scavengers, perché come spazzini sgombrano la confezione da gas indesiderabili. L’assunto fondamentale è che la conservazione richiede una diversa e precisa atmosfera per ogni genere di alimento.

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La carne, il latte e in generale le sostanze ricche di grassi, per non irrancidire, necessitano di un ambiente a ridottissimo contenuto di ossigeno. Al contrario, la sua bassa concentrazione è deleteria per le verdure, che solo trovandone continuamente ritardano avvizzimento e marcescenza. Gli active pack, oltre a creare le condizioni ottimali per allungare la vita dei prodotti, sono particolarmente idonei per cibi trattati in modo leggero (minimally processed), senza ricorrere ad additivi che possono alterarne le caratteristiche organolettiche e le proprietà nutrizionali.

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Un’altra forma d’intelligenza migliora il dialogo fra packaging ed acquirente. Sulle confezioni viene indicata la data di scadenza. Il termine, entro cui è consigliato il consumo, si fonda sul presupposto che cibi e bevande siano sempre conservati in condizioni ottimali. Non tiene conto che, nelle fasi di stoccaggio, trasporto o vendita, possano subire sbalzi termici che ne accelerano il degrado. Si stanno perciò sviluppando gli Integratori Tempo-Temperatura (TTI), dispositivi che monitorano la storia termi-

ca di un prodotto e informano sul suo effettivo stato di conservazione. Il meccanismo di allerta consiste in variazioni cromatiche che si verificano alla stessa velocità della perdita di freschezza dell’alimento confezionato. Sulla stessa linea, la puce fraîcheur, un’etichetta digitale che indica con parole o colori il progressivo avvicinamento alla scadenza e che, fra non molto, potrebbe segnalare la sua presenza ad un frigorifero capace di controllare quantità e qualità delle scorte e di cooperare all’organizzazione della spesa. ■


Soluzione a pagina 52


O LA BORSA, O LA VITA

Il 2010 ha visto un’apertura in negativo per gli shopper di plastica. Sebbene dal 1° Gennaio sia vietata la diffusione di sacchetti in materiale non degradabile (normativa EN 13432), in Italia non si registrano cambiamenti.

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In soli 30 anni di esistenza le borsette in plastica hanno causato gravi danni ambientali in tutto il mondo. Ma evitare un crack ecologico è possibile attraverso azioni a basso rischio che (ri)portino all’uso di materiali eco-compatibili fatti di fibre naturali e riutilizzabili come tela, juta, pelle o quanto meno plastiche resistenti. Sul mercato spiccano due brevetti italiani: Mater-Bi® e Mould paper®, ottime opzioni di origine vegetale nelle quali investire.

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Riciclaggio Radical Chic È riciclata e colorata. Odora di strada. È unica. È Freitag. Foto www.freitag.ch Freitag in cifre Anno di fondazione 1993 Circa 60 collaboratori tra Zurigo, Davos e Amburgo 4 flagship store Freitag 350 punti vendita in tutto il mondo 2 shop online 200 tonnellate di teloni di camion (l’equivalente di una fila di camion lunga 50 km) 75.000 camere d’aria di biciclette 25.000 cinture di sicurezza

F76 LEO Borsa per MacBook 13” e MacBook Pro 13”

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el 1993 Markus e Daniel Freitag, grafici e amanti della bicicletta, vivevano e lavoravano vicino al ponte Hardbrücke, in un appartamento affacciato sulla trafficatissima autostrada per Zurigo, che attraversa la Svizzera da nord a sud. Inizia lì la loro storia. Un giorno, mentre dalla finestra della cucina osservano il transito degli autotreni, ai nostri fratelli si presenta l’idea di confezionare una tracolla con i vecchi teloni dei camion, belli sporchi e usurati per le migliaia di chilometri macinati sulle strade d’Europa. Vede così la luce una borsa unica: realizzata con materiali riciclati, resistente e impermeabile al 100%, come le coperture per veicoli industriali da cui proviene. All’inizio i due creativi tagliano e cuciono solo ad uso personale. Poi estendono il servizio agli amici, ai negozi e infine al circuito dei più importanti musei internazionali. I prodotti Freitag – anche se la produzione è massicciamente aumentata e ha raggiunto ogni angolo nel mondo – vengono tutt’ora confezionati a mano, accanto all’asse autostradale che li ha ispirati e sempre con i soliti materiali dismessi: teloni da camion, camere d’aria di bicicletta, cinture di sicurezza e airbag di automobili rottamate. Freitag è attualmente un marchio di moda apprezzato ben oltre i confini della Svizzera, con più di 50 modelli commercializzati in oltre 350 paesi. Dal 2006 il simbolo dei fratelli Freitag è una torre com-

milena zanotelli

posta da 17 container, spazio espositivo e di vendita nel quartiere In di Zurigo. Per i campionati europei di calcio del 2008, i due talentuosi imprenditori hanno realizzato quattro modelli di pallone con teloni usati colorati. Il successo dell’azienda elvetica non è sostenuto da campagne pubblicitarie convenzionali. L’oggetto e la sua filosofia si autopromuovono: il riciclaggio creativo (ecosostenibilità), la moda personalizzata (radical chic) e l’oggetto unico (emotive design). Inoltre, di ogni prodotto viene scattata una foto, acclusa alla borsa, con una nota sulla sua provenienza e sul suo confezionamento. Sul sito Freitag si possono scegliere più di 1.000 modelli diversi: tracolle, zaini, portafogli, ma anche custodie per iPod e McBook. E si è assolutamente certi di non incontrare sulla faccia del pianeta mai nessuno che abbia una Freitag uguale. Tanto più se si decide di concepirla a proprio gusto, selezionando pezzo per pezzo fra i campioni di telone disponibili in quel momento. Nell’arco di due settimane, tagliata e cucita rigorosamente a mano, la Freitag personalizzata arriva direttamente a casa. L’unica nota dolente è il prezzo che si aggira tra i 100 e i 200 euro. Non poco. Ma come spiegano i fratelli Freitag: “ le produciamo in Svizzera, dove la manodopera costa di più e compriamo la materia prima in Europa, dove è più cara che in Asia. Inoltre i teloni usati costano come nuovi. Vanno lavati e selezionati”. ■


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CARNE IN SCATOLA Un astuccio vegetale che ripara dal vento, dalla pioggia e dagli insetti. CosĂŹ i legumi trasformano alcune foglie in valve allungate e custodiscono i semi che, giunti a maturazione, vengono liberati per generare nuove piante. I semi sono ospitati in culle convesse e spesso un peduncolo li trattiene come un cordone ombelicale.


Non a caso gli antichi, li assimilavano alla carne umana e animale, talvolta sconsigliandone o vietandone il consumo. Ansie cannibaliche in cui sembra adombrata l’intuizione dell’alto contenuto proteico di piselli, fagioli, lenticchie e fave. Un potere nutriente che spinge a definirli “carne dei poveri”. E il loro baccello, saldato da una sutura fibrosa, si apre molto più facilmente di qualsiasi lattina a strappo.

Il mangiatore di fagioli – 1580/1590 – Annibale Carracci – Galleria Colonna – Roma

Pillole alimentari di diversi diametri, confezionati in astucci bivalve molto eleganti per forma, colore, materia, semitrasparanza e semplicità di apertura. (Bruno Munari, Good Design 1963)

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LA COLLA DI GUSTO

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Dal 1927, sempre nello stesso barattolo argentato. Un pack insolito, che ha attraversato con disinvoltura gli anni e le mode. La colla, dedicata all’ufficio, con il look e il profumo di un cosmetico. Ottenuta con ingredienti semplici e commestibili: amido di patate sciolto in acqua e olio di mandorle.

www.coccoina.it

Un pack innovativo, funzionale e sostenibile. In alluminio riciclabile, con il coperchio avvitabile e un comparto centrale che ospita un piccolo pennello. L’INK®_numero 11, anno 2010

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MIRABILI RESTI

Gli artisti inglesi Tim Noble (1966) e Sue Webster (1967), con la loro shadow art, offrono una visione davvero inquietante della nostra società, sempre più dominata dai consumi.

Manipolano e modellano materiali di scarto in modo da proiettare ombre impreviste e sorprendenti. La luce trasforma cumuli di rifiuti, apparentemente assemblati a caso, in creature umane ed anima-

li, affascinanti o grottesche. Un espediente suggestivo per narrare di vita e di morte, a partire da un provocatorio richiamo sulle molte spoglie che la nostra esistenza ci lascia alle spalle.

Real life is rubbish – 2002 – exhibition @ P.S.1 – Contemporary Art Center 48

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matteo pozzi


“Divinità lacere che si trascinavano coi loro stracci attraverso quella terra desolata. Sul fondo asciutto di un oceano minerale, crepato e spaccato come un piatto caduto a terra. Tracce di fiamme funeste tra le sabbie coagulate”. Corman McCharty, La strada

Frame dal video dell’esibizione Statuephilia al British Museum

Falling Apart – 2001– Arken Museum

A pair of dirty fucking rats – 2005 – London

Dark Stuff – 2008 – British Museum L’INK®_numero 11, anno 2010

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LEONIA da Le città invisibili di Italo Calvino

La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi dì plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni,

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enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato d’un rispetto silenzioso, come un rito che

ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare. Ove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a


fermentazioni e combustioni. È una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri. ll pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero

premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano. Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spaglia-

to rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai. ■


LINUX Un nuovo segno per la libertà

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istilizzare o eventualmente ideare il logo per Linux Italia: un incarico complesso, ma entusiasmante. Molto vicino alla sensibilità di chi‚ come noi‚ utilizza ogni giorno computer e software. Linux è il sistema operativo, concepito dal finlandese Linus Torvald e sviluppato dai tanti programmatori che hanno accolto e accolgono l’idea di tecnologie disponibili per tutti. Diversamente dagli altri sistemi, che perseguono fini commerciali, la comunità di Linux si propone di rendere accessibili e condivisibili sia i saperi che gli strumenti per acquisirli e scambiarli. Un progetto appassionato sviluppato online, attraverso l’assistenza gratuita e continua di blog e forum, e off-line, con gruppi di volontari che si incontrano periodicamente, aggiornano e scambiano informazioni. Il nuovo logo dovrà quindi identificare non tanto una piattaforma informativa, ma la scelta filosofica di democratizzare la conoscenza, di renderla – come dev’essere – un patrimonio a cui ognuno può liberamente attingere e che ciascuno di noi può collaborare ad accrescere. ■

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Diskos realizzerà anche l’immagine coordinata del Linux Day che come ogni anno è programmato in moltissime città italiane – Schio compresa – il 23 ottobre 2010. Per ulteriori informazioni: www.linuxday.it


ORIENTAMENTO IN RETE Narrare esperienze formative Diskos ha offerto le sue competenze ai ragazzi degli Istituti Superiori del Campus. L’obiettivo era la presentazione delle diverse opportunità scolastiche agli studenti che, dopo la scuola media, devono scegliere come proseguire il percorso d’istruzione.

L

’idea di un workshop, in cui familiarizzare con i temi e le strategie di comunicazione, è nata per concepire “testimonianze” chiare ed efficaci, davvero utili a togliere dall’imbarazzo e dall’incertezza chi si trova a decidere. Il primo passo è consistito in una riflessione sulle caratteristiche salienti di ogni indirizzo di studio, le prospettive d’inserimento professionale o di prosecuzione formativa, le attitudini e le inclinazioni richieste.

Ogni protagonista ha raccontato la sua “storia”: un intreccio narrativo fra l’autobiografia di studente e il profilo di contenuti, metodologie didattiche, strutture e opportunità offerto dall’Istituto che frequenta. Dopo aver messo a confronto i vari racconti, è stato possibile individuare gli elementi caratterizzanti e distintivi che avrebbero permesso di esporre le differenti identità scolastiche in modo preciso e riconoscibile.

L’efficacia del laboratorio è stata apprezzata durante il Forum dell’Orientamento, nell’ambito del quale i giovani comunicatori hanno dato prova delle competenze acquisite. Ma prima ancora della soddisfacente performance, i ragazzi hanno potuto scambiare i rispettivi punti di vista, condividere differenti saperi e scoprirne di nuovi. Vivere insomma lo spirito del Campus. ■

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soluzione rebus pag. 37: Quindici talenti formati per lavorare




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