Intro Redazione Matteo Casari Daniele Guasco Simone Madrau Matteo Marsano Giulio Olivieri Cesare Pezzoni Anna Positano Collaboratori El Pelandro Marco Giorcelli Carlotta Queirazza Grafica e Impaginazione Matteo Casari sito internet http://compost.disorderdrama.org email compost@disorderdrama.org snailmail Compost c/o Matteo Casari C.P.1009 16121 Genova Pubblicazione NON periodica, amatoriale, destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza. Questa pubblicazione è una produzione Disorder Drama. Un sincero ringraziamento al collettivo del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui. Se interessati a collaborare, con parole o disegni, scrivete a ddrama@disorderdrama.org Il prossimo numero lo troverete in giro a metà Ottobre 2007 Arrivederci a CMPST #5 - [10.2007] 2 CMPST #4[09.2007]
Questo quarto numero di CMPST esce in occasione della terza edizione del Rural Indie Camp, adeguato suggello all’estate concertistica e che sarà probabilmente nel suo pieno svolgimento nell’ora in cui leggerete queste righe – almeno per quelli tra voi che avranno fatto la cosa giusta e deciso di esserci. Per tutti gli altri: i “doh!” a posteriori di matgroeninghiana memoria sono sempre disponibili, e vero, ma una citazione da cultura pop non salverà le vostre anime dal rimorso e dall’abiezione per esservi persi un evento così. Tornando seri, e con tutto il rispetto per le cover band di cui siamo capaci, noi di CMPST siamo tra quelli convinti che Genova (e il suo entroterra) abbia ancora qualcosa di autenticamente originale da dire e da far ascoltare, qualcosa per sua natura distante dalla riproposizione preconfezionata dei canoni e delle idee altrui. Qualcosa che origini veramente dal cuore e dalla mente di chi gli strumenti li ha presi in mano per vera urgenza espressiva, e non solo per piacere ad un pubblico troppo spesso apaticamente generalista o facile vittima del trend del momento. Se quella dell’editoriale CMPST #3 era una lancia spezzata a favore della Genova delle salette e degli strumenti al collo, questa vuole essere una piccola apologia del pubblico attivo, senza paraocchi né pregiudizi di sorta, che decide con coscienza critica di supportare tutte quelle realtà più o meno piccole e più o meno informali che hanno a cuore l’humus creativo di questa città, e che questo terreno cercano di coltivare, con amore e dedizione, in barba all’indifferenza (e diffidenza) così diffusamente associata allo spirito dei genovesi
e dei liguri tutti. Sperando che non sia così vero, dopo tutto. La possibilità di scelta fra quelle che saranno le proposte musicali di questa città in futuro, fra il grado di visibilità di quelle che avrete premiato con la vostra partecipazione, e la sopravvivenza o meno delle iniziative che le sostengono passa anche per le vostre mani. Insomma, non dimenticate che il pubblico –come il consumatore– può fare la differenza. O almeno provarci. Non fate i disfattisti. In questo senso, noi “ci battiamo” anche per evitare che che le due figure –quella dell’ascoltatore di musica e quella del consumatore acritico- si sovrappongano in un meccanismo perverso che sa più di imposizione che di democrazia – strumento imperfettissimo responsabile, tra l’altro, per queste righe. Esercitate i vostri diritti, insomma. Anche quello di non essere d’accordo con noi. Ma venitecelo a dire, rompeteci le scatole, confrontatevi. I risultati potrebbero essere insospettabilmente costruttivi, per tutti. Nessuno sfogo retorico sarebbe completo senza una bella metafora, e l’augurio è perciò quello di una ricca vendemmia musicale, ricordando che è inutile imbottigliare dell’ottimo vino se nessuno lo berrà. E con la speranza, gigiona, che le iniziative come questa inizino a “spuntare come funghi”. Matteo Marsano
Le foto di copertina di questo numero sono di Andrea Bosio. Quelle del numero scorso di Anna Positano. Quelle dei primi due di Matteo Casari
Produzioni “La nostra storia è cominciata a Staglieno in una Saletta. Suonavamo per divertirci; cerchiamo ancora oggi di mantenere quello spirito anche se siamo cambiati musicalmente.“ Green Fog / Meganoidi Intervista con Riccardo Armeni di Cesare Pezzoni
TUT TO È CAM BIATO Genova vista da uno dei gruppi musicali più attivi e dinamici della nostra scena. I Meganoidi di oggi visti da una Genova diversa. Tutto è cambiato. Siamo cambiati noi, sono cambiati loro. è cambiata Genova e sono cambiati i Meganoidi. Forse non è casuale che questo mutamento sia venuto in maniera quasi completamente sincrona, visto che i Meganoidi sembrano avere una capacità speciale nel tenere il polso della situazione: ska-core quando Genova era una delle capitali italiane del genere, oggi qualcosa di meno definito e ghettizzante, sicuramente meno solare e spensierato, ma più scuro e pensato, proprio mentre Genova vede il fiorire di un sacco di gruppi altrettanto pensati e underground, pronti a uscire dalle Mura del Barbarossa. Meganoidi, poi, vuol dire anche GreenFog e tutti i gruppi, per lo più genovesi, del loro catalogo. Tutti progetti nati grossi, forse con qualche responsabilità più degli altri, o almeno con un credito di fiducia da parte degli addetti ai lavori italiani, che altre realtà non hanno. La fine dell’estate, l’inizio di una nuova stagio-
ne autunnale che speriamo ricca di concerti, una riflessione su “GreenStorm”…sono l’occasione da noi colta per fare parlare i Meganoidi, di loro e di noi, di come siamo tutti cambiati e di come sotto sotto non siamo poi tanto diversi. Come è Genova vista da chi ha la fortuna di girare per tutta l’Italia musicale? Genova credo sia rinata agli occhi di tutti negli ultimi anni. Noi abbiamo avuto la fortuna di fare una scommessa, di autoprodurci e di riuscire a fare ciò che volevamo, anche se solo 5-6 anni fa dischi se ne vendevano molti di più a prescindere se suonavi “SUPEREROI vs MUNICIPALE” o meno. Spesso mi capita di parlare con amici che suonano e che sono affascinati dal movimento musicale e creativo della Città. E parlo con persone di Torino, Milano, Bologna, centri importanti per quanto riguarda i concerti e tutto ciò che circonda l’ambiente musicale.
Penso che Genova stia vivendo un periodo di rinascita e spero si possa evolvere e non rimanere statica come in passato. E questa responsabilità ce l’ha soprattutto chi a Genova Suona e organizza eventi.
In un dibattito organizzato da Audiocoop e altri alla festa dell’unità dello scorso anno – il giorno prima della prima GreenFest – uno di voi (Mattia) ha parlato dei problemi di logistica per i locali genovesi, evidenziando come manchino spazi intermedi per gruppi come voi, che ancora non riempiono il mazda palace ma che riempiono di 3 o 4 volte i classici locali da concerti della scena. Ad un anno di distanza la situazione non sembra cambiata. Quale è il problema, come affrontarlo? Il problema è sempre il solito mancano gli spazi e locali che possano portare proposte musicali anche di un certo rilievo mediatico. Mancano come dici te locali da 5001000 persone. Mi piace partecipare alle serate organizzate da Disorder Drama al Buridda oppure Lo stesso Milk e L’Arci che 3 CMPST #4[09.2007]
Produzioni propongono serate Live e dj set interessanti, di recente al New Ghost di Staglieno si stanno organizzando serate Punk e Metal. Ma la gente che partecipa è sempre la stessa, in crescita ma non abbastanza numerosa, e mi dispiace molto. La Soluzione è che la provincia, il comune e le istituzioni che si occupano di cultura a Genova e in Liguria investano sulla città (Le strutture non mancano “Blue Moon” di Marassi, Ex Sgt. Pepper di Via Walter Fillak sono solo 2 esempi) stanziare fondi e budget per portare nomi nuovi e soprattutto per fare interagire le varie realta di Club e organizzazione concerti. Vorrei portare i Clutch a Genova dove Farli Suonare? Si dice spesso che la visione imprenditoriale genovese è troppo statica e statalista. Voi avete avuto il coraggio di investire su Genova, sia come studio sia come etichetta, producendo un bel po’ di realtà più o meno consolidate. E’ una fiducia che
paga? I Meganoidi sono ricchi? Genova è la nostra città, siamo tutti nati qui e sicuramente c’è un legame unico. E’ un rapporto di amore e odio forse perché qui fai più fatica e devi sempre scommettere sulle tue azioni. Noi abbiamo investito su etichetta e Studio perché ci abbiamo sempre creduto anche se di certo i Meganoidi non sono diventati ricchi. Dopo più di 4 anni di sacrifici cominciamo ad essere riconosciuti anche come etichetta e Studio di registrazione e questo non può che farci stare bene, almeno a livello mentale….. Pensate di entrare anche nel settore concerti-serate? Abbiamo per il secondo anno organizzato il nostro Festival, quest’anno chiamato GreenStorm all’interno della 2 Giorni di Festival al Parco della Lanterna. Saltuariamente abbiamo organizzato concerti in collaborazione col Milk. Non abbiamo una visione imprenditoriale sull’organizzazione di concerti o serate, semplicemente ci piace farlo e se ci fosse affidata la direzione artistica di un locale saremmo ben felici. Vedendo le vostre diverse attività nel settore si deduce come i Meganoidi ormai siano una fabbrica con sforzi e impieghi differenti rispetto a un semplice gruppo che si occupa delle sue cose. Quanto tempo vi porta via alla vita di “artista puro” che tutti sognano quando scrivono canzoni? Lavorate più spesso per GreenFog o per voi stessi? I vari lavori che svolgiamo per studio ed etichetta sono parte fondamentali della nostra giornata. Io personalmente sono un po’allergico alla definizione di “Artista Puro”.
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“Genova credo sia rinata agli occhi di tutti negli ultimi anni. Ma la gente che partecipa è sempre la stessa, in crescita ma non abbastanza numerosa, e mi dispiace molto.“
Credo che avere più interessi e impegni tolga del tempo fisico alla pura composizione o scrittura della musica, ma nel nostro caso in particolare, poter produrre dischi, registrare album nel nostro studio e entrare in contatto con chi si occupa di concerti ed iniziative culturali sia un grandissimo stimolo anche per quando imbracci il basso e devi suonare.. Con studio ed etichetta abbiamo trovato una dimensione congeniale che Ci permette di fare esperienza su moltissimi aspetti. Questa di essere insieme produttori, fonici e musicisti è una scelta etica o una necessità economica? Non posso certo dire che sono tranquillo a livello economico...La scelta di investire sullo Studio e sull’etichetta è stata necessaria inizialmente per sviluppare al meglio la nostra crescita da gruppo indipendente. Poter decidere su tutto è una grande soddisfazione ma è un impegno enorme a volte quasi frustrante per le grandi responsabilità che ti prendi…inizialmente Sia etichetta che studio funzionavano come prolungamento della Band. GreenFog marchiava i nostri dischi che venivano registrati nel nostro studio. Tutto è andato avanti ed è cresciuto per passi sacrificandoci quando lo studio necessitava di aggiornamenti o bisognava comprare il furgone. Ora sia studio che etichetta riescono ad avere una loro autono-
Produzioni “Con il successo del primo disco sono arrivate anche moltissime proposte valide anche da parte di Major. Potevamo scegliere e in quel momento abbiamo scommesso su un secondo Disco diverso e forse più difficile.“ mia e una loro natura pur rimanendo gestiti dalle solite persone (NOI). Vi siete sempre vantati, anche nel momento del grande successo mainstream di “supereroi”, di essere stati indipendenti. Cos’è per voi l’indipendenza? Una scelta etica o una scelta pratica? Quanto dell’uno e quanto dell’altro? Entrambe. Per i nostri tempi essere indipendenti è fondamentale. All’epoca del primo disco spesso dovevamo spiegare a giornalisti molto poco informati che non eravamo il prodotto di nessuna Major. Lo abbiamo sempre sottolineato perché in fin dei conti le carte giocate erano solo le nostre. Poi qualcosa è cambiato, con il successo del primo disco sono arrivate anche moltissime proposte valide anche da parte di Major. Potevamo scegliere e in quel momento abbiamo scommesso su un secondo disco diverso e forse più difficile. Grazie alle vendite abbiamo potuto reinvestire subito sullo studio e sull’etichetta. Non volevamo spendere neanche un euro altrove. Era l’unica occasione per costruirci un nostro “Quartier Generale” dove poter crescere e sperimentare i nostri interessi. E così abbiamo deciso di rimanere indipendenti fondare la GreenFog records e mettere in piedi il GreenFog Studio affidandoci esternamente solo per la distribuzione a VENUS.
Un EP (A.T.W.M.I) e un altro disco (Granvanoeli) hanno consolidato ancor di più le nostre scelte. Abbiamo avuto (noi cartavetro) la fortuna di trovarci per caso a suonare prima di voi in un concerto a Pisa, pensato come (e di conseguenza chiamato) “una due giorni di sapere liberato”. Si parlava in sostanza di libera diffusione della cultura e del sapere, al dilà dei vincoli del copyright. Pur essendo i vostri pezzi tutelati con licenze tradizionali, siete sembrati molto in sintonia con il pubblico dell’evento per quanto riguarda le politiche del diritto d’autore. Avete mai pensato a licenziare i vostri dischi sotto Creative Commons o altre licenze copyleft? Non Sono abbastanza informato su questo. Siamo per la Liberazione della musica. Comunque. L’errore che spesso si fa è di usare però la tecnologia in maniera aggressiva distruggendo di fatto la vendita di dischi. Ci si è troppo abituati a considerare la musica sotto forma di file mp3-. Non c’è più la curiosità di aprire un disco, sfogliarlo leggere i testi e osservare il lavoro grafico, leggere da chi è stato prodotto e in quali studi, entrare un po’più intimamente dentro la storia di un disco. E questo è triste. Vorrei avere più dischi perché non sono mai riuscito ad abituarmi alla Masterizzazione o tanto più al Downloadaggio da Internet. Comprarli originali spesso è dispendioso. E’ importante la libera diffusione della Cultura e del Sapere e per questo bisognerebbe dar valore al prodotto originale, sostenendolo. Noi nel nostro piccolo cerchiamo rispetto agli investimenti fatti di tenere un prezzo politico dei dischi e di diffondere un idea di etichetta libera da schemi o genere.
Meganoidi - foto di Anna Positano Quando 2 anni fa ho sentito aprire il vostro concerto a Play festival con un muro molto scuro di chitarre e sintetizzatori mi sono reso conto di quanto avrei preso per folle una persona che me lo avesse raccontato 2 anni prima. Tutto è cambiato, per quanto mi riguarda molto in meglio. Eviterò di chiedervi quanto vi pesa il vostro passato nei concerti in giro per l’Italia e piuttosto mi chiedo: come è maturata la decisione? Quando avete capito che lo ska era una 5 CMPST #4[09.2007]
Produzioni dimensione per voi limitativa? E come è avvenuto il passaggio? E’ tutto avvenuto in maniera abbastanza spontanea anche se repentina. Pensare al passato non ci crea nessun problema, i Meganoidi hanno continuato a suonare in giro per l’Italia, come prima. Non nascondo che le prime date del tour di ATWMI sono state particolarmente emozionanti e tese. Ricordo che le prime date di quel tour Suonavamo tutto l’EP consecutivamente, non era facile far arrivare così improvvisamente una musica tanto diversa dai pezzi che ci avevano resi conosciuti. Ma grazie alla credibilità che credo esca soprattutto sul palco siamo riusciti a comunicare la nostra sincera voglia di suonare ed emozionarci, nulla di più, niente di meno. Torniamo su Genova. Si dice spesso che sia una città difficile dove cose che funzionano molto bene a 50 km da qui, faticano non poco. L’impressione tutto sommato si è registrata anche in occasione dell’ultima GreenStorm, e si ripete spesso nei festival cittadini. Come mai siamo così difficili? È una questione culturale? Manca informazione? Come fanno nelle altre città? E cosa fanno tutti i corrispondenti genovesi di quelle persone che riempiono i concerti nel resto d’Italia? Il problema secondo me è che tutta la programmazione culturale viene sempre lasciata nelle stesse mani e che soprattutto mancano le sinergie necessarie per far funzionare gli eventi. Io credo piuttosto che al GreenStorm di quest’estate si sia creata l’atmosfera e la situazione giusta per poter affermare che il Festival Rock può ancora funzionare. 1500 paganti il 27 luglio a Ge6 CMPST #4[09.2007]
Riccardo Armeni - foto di Anna Positano nova credo sia un successo. Ma penso positivamente, quest’estate ci sono stati altri Festival Cittadini da ricordare come il Santo Rock e il Festival delle Periferie che sicuramente cresceranno e contribuiranno ad un positivo cambiamento di tendenza. GreenFog produce sostanzialmente gruppi genovesi. E’ una cosa pianificata o c’è una componente casuale? E’ una visione programmatica? Le prime nostre produzioni sono Tutte provenienti da Genova. i We Were On Off è il primo progetto extra Genovese (di Venezia) che uscirà per GreenFog. Vivendo a stretto
contatto con chi suona a genova è stato naturale voler Produrre progetti che conoscevamo bene. In programma abbiamo l’uscita del prossimo disco dei We Were On Off e il terzo disco degli Enroco e Numero6 oltre al quarto Meganoidi che si sta preparando. Non ci pianifichiamo troppe produzioni. Cerchiamo di limitarne il numero per avere la possibilità di lavorarci al meglio. Per le vostre collaborazioni nelle compilation e nei diversi festival, si direbbe che i Meganoidi hanno un ottimo rapporto con l’Arci locale. Ora il nuovo assessore alla cul-
Poduzioni to in una città dove spesso anche gli Eventi di Livello finiscono col divertire poco e creare mugugno. Non ci precludiamo collaborazioni anche con altre realtà genovesi. Insomma per noi è soprattutto importante poter mettere in piedi idee con chi ci dà la possibilità di farlo. L’assessore della cultura proviene dall’Arci; negli ultimi anni l’Arci ha sviluppato moltissimi progetti a Genova e si è ritagliata sicuramente uno spazio importante e privilegiato per organizzare eventi di un certo rilievo. Credo sia un opportunità da non sottovalutare per l’assessorato stesso capire però che la forza di una città come Genova, piccola e mentalmente poco ricettiva, sta nella complicità tra le varie realtà autonome o Arci che siano. Manca un canale indipendente e libero riconosciuto a livello istituzionale che faccia conoscere meglio ciò che avviene in città.
Mattia Cominotto - foto di Anna Positano tura proviene proprio dall’Arci. E’ un bene per Genova? Un’opportunità? O piuttosto un rischio vista l’importanza già sostanziale che ha l’Arci nella programmazione di eventi della nostra città? La compilation Milk In My Cup è uscita in collaborazione Con Arci, Milk Club, Disorder Drama, Marsiglia Records. Abbiamo collaborato con l’Arci per il nostro Festival (GreenStorm 27 luglio) della Lanterna di quest’estate. Abbiamo avuto la possibilità di mettere su un Festival nuovo e ben riusci-
Se la vostra è l’epopea di ragazzi che hanno saputo come coltivare e mettere a frutto la loro passione, magari avete qualche consiglio da dare a chi si mette a suonare oggi…lo avete? E’ difficile dare consigli, credo che ognuno debba scrivere la propria storia a modo proprio. Credo che la passione ti guidi più di ogni cosa verso la strada giusta, ma non sto parlando necessariamente del successo in senso assoluto. Non è un periodo felice per chi suona e chi produce o crea le proprie idee. Tanto più non vale la pena farsi troppi pensieri per la testa o frustrarsi per seguire certi modelli propinati da MTV e simili. La nostra storia è cominciata a Staglieno in una saletta. Suonavamo per divertirci; cerchiamo ancora oggi di mantenere quello spirito anche se siamo cambiati mu-
sicalmente. Penso che sia giusto suonare soprattutto per se stessi poi viene il resto. E questo non è un atto di egoismo ma di sincera passione. Pensate che la vostra storia sia legata a un periodo molto diverso da questo o è ancora una storia ripetibile? Non saprei ma sicuramente in 6 anni è cambiato tutto e non solo per noi… Pur essendo l’etichetta nata più di recente tra le varie genovesi, GreenFog dà l’impressione di essere su un livello tutto diverso, impressione rafforzata dalla diversa esperienza di voi, ossia delle persone che ci stanno dietro. Questo comporta delle responsabilità per chi da voi si aspetta più qualità e cose più in grande. E’ un’impressione o volete davvero fare le cose più in grande rispetto a una “indie” comune? GreenFog è una piccola etichetta indipendente che cerca di produrre dischi di qualità. Penso sia lo scopo di moltissime altre etichette poter far al meglio ciò in cui si crede. La nostra esperienza come persone e gruppo è tutta qui: uno studio di registrazione professionale che ci dà la possibilità di produrre autonomamente i master e un ufficio stampa e booking gestito da noi stessi. Oltre a questo mettiamo a disposizione la nostra esperienza di gruppo che sicuramente ci aiuta.
Più info sulle attività dei Meganoidi su ht t p ://w w w. m e g a n o i d i.co m http://www.greenfogrecords.com 7 CMPST #4[09.2007]
Produzioni “Quando un giudizio è viziato alla base e diventa pregiudizio, meglio non curarsene.“ Port-Royal Intervista con Attilio Bruzzone di Simone Madrau
P O S T- DANC E Il nome Port-Royal, dopo la pubblicazione dell’ultimo ‘Afraid To Dance’, si riconferma uno dei più importanti usciti dalla scena genovese: tra tour europei, opening-act di lusso e una valanga di uscite per la prossima stagione i ragazzi sembrano sempre più quotati all’interno di quel filone che muove dall’ambient per incrociare elettronica, shoegaze e scuola Morr. Così non è certo un problema misurarsi con il sottoscritto in un confronto dai toni morbidi su Genova; in cui sono finalmente gli interessati a smentire o confermare le voci rimbalzatesi di recente in quella città che diede loro i natali. Iniziamo facendo un po’ il punto su ciò che sono Port- Royal nel 20 07. Inevitabile quindi partire da ‘Afraid To Dance’. Di cosa ne pensi il sottoscritto, già sapete: ci siamo sentiti su MySpace e pure su eMpT V ho tessuto lodi in più occasioni, difendendovi per giunta nei commenti. Per quanto riguarda i pareri esterni, secondo molti il nuovo album suona come una cosa meno ‘coraggiosa’ o ‘personale’ rispetto a ‘Flares’, altri invece apprezzano il fatto che si corregga il tiro rispetto a quest’ultimo riducendo il minutaggio complessivo a un’ora e rendendo l’ascolto più fruibile. Cosa ne pensano i Port- Royal col senno di poi? A diversi 8 CMPST #4[09.2007]
mesi di distanza siete convinti del prodotto finale? Prima di tut to grazie per il tuo sup por to che ci fa più che piacere. I pa reri esterni vanno sempre presi con le pinze. Al di là di questo ti possiamo dire che ‘Afraid To Dance’ ha comunque ricevuto approvazioni pressoché ovunque e anzi è stato giudicato ben più personale di ‘Flares ’, in quanto - a det ta dei vari recensori ma anche dei vari utenti di blog, chat e quant’altro - risulta un album in cui i Port-Royal hanno preso la loro strada creando uno stile tut to loro. Come sempre la verità sta nel mez zo, ma a grandi linee concordiamo con questo giudizio. Poi
ov viamente è naturale che il postrocker radicale possa risultare deluso da ‘Afraid To Dance’ dopo un disco come ‘Flares ’ (che per noi comunque non può essere semplicisticamen te incasellato nella categoria postrock) , ma alle nostre orecchie questa gente un po’ fanatica lascia il tempo che trova... Abbiamo let to proprio sul tuo blog un commento ‘geniale’ di una ragaz za che invece di of fenderci (come probablimente pensava) ci ha fat to gran piacere, sul serio ! Ma da l ì si vede bene l’aper tura mentale e musicale di cer ta gente che è me glio perdere che trovare... Quando un giudizio è viziato alla base e diventa pregiudizio, meglio non curarsene. In definitiva, i Port-Royal sono sempre gli stessi e più motivati che mai ad andare avanti. Infat ti stiamo già da tempo lavorando al ter zo disco. Caspita, già al lavoro?! Allora urge chiedere anticipazioni. Altro cambiamento di rotta rispetto ad ‘Afraid To Dance’ o un lavoro più su questa falsariga, quale che sia? E’ ancora impossibile rispondere per adesso. Abbiamo but tato giù quasi tut ti i pez zi, ma gli arrangiamenti sono ancora da fare, quindi non si sa anco -
Produzioni
Attilio Bruzzone - foto di Anna Positano ra. Sicuramente la vena dance/estra niante verrà por tata avanti, essendo nel nostro dna (in realtà già in ‘Kraken’ e ‘Flares ’ si potevano notare cer ti pro dromi dance) ... Ma naturalmente ci sarà grande spazio per l’ambient e forse, per la gioia degli aficionados di ‘Flares ’, potrebbe addirit tura com parire una nuova trilogia... Per ora è tut to ! Allora spostiamo le lancette dal prossimo futuro al passato prossimo :
prima di ‘Afraid To Dance’ è uscito anche un EP, un po’ in sordina, e non per la Resonant bensì per la Chat Blanc. Essendo la label in questione canadese, sorge spontaneo chiedervi come siete entrati in contatto : banalmente su MySpace? E se sì, chi si è interessato a chi : voi o loro? Il ragaz zo che gestisce la Chat Blanc è il musicista Pascal Asselin aka Millimetrik (proget to solista) nonchè bat terista dei Below The Sea. Siamo diventati buoni amici grazie ad un comune amico, Jon At t wood aka Yellow6. Già prima ci conoscevamo come ‘ar tisti’ e ciascuno apprez zava il lavoro dell’altro, tanto che ci siamo remixati delle canzoni a vicenda (lui la nostra ‘Zobione Pt.2 ’ e noi la sua ‘Les Protagonistes Du Rien’) e ora ab biamo appena finito una canzone a 4 mani. Così l’anno scorso Pascal ci ha det to che intendeva pubblicare un EP per Chat Blanc e noi, ben felici, ab biamo accet tato. In autunno uscirà una compilation dell’etichet ta dove ci sarà anche un nostro pez zo inedito (un remix di ‘Deca- Dance’ dell’ot timo musicista anglo - svedese The Heavenly Music Corporation) e infine a gennaio pubblicheremo un altro EP per la Chat Blanc : l’ ‘Anya: Sehnsucht EP ’. Questa etichet ta è dav vero fantastica. Tut to gestito con reale e profondo amo re per la musica. Hanno anche una grafica che realiz za ogni coper tina a mano; per questo motivo ogni loro uscita è rigorosamente limited edition. Le tipiche chicche per collezionisti.
Il quadro generale per voi mi sembra tanto roseo in termini di gratificazioni quanto incerto per quanto riguarda la line-up. Da cinque membri che eravate, ora vi ritrovate in tre. Anche questo aspetto ha colpito molte persone in città conducendo anche ad alcune critiche per quanto riguarda l’impatto dal vivo, considerato inferiore al passato sia in termini tecnici che di coinvolgimento emotivo. Forse è un pregiudizio post - effetto sorpresa, forse è venuta meno la tendenza di considerare Por t - Royal come un’importante band cittadina a fronte del vostro essere ‘usciti’ da Genova ; ma forse (e dico ‘forse’ perché non ho avuto modo di constatare di persona) un fondo di verità in queste critiche c’è. Che ne dite? Soffrite questa riduzione di organico sul palco e cercate comunque di fare del vostro meglio o vi sentite invece più a vostro agio nella vostra formazione attuale? Anche qui si parla più di leggende e di supposizioni che di fat ti, e stupisce par ticolarmente che ciò av venga nel la nostra cit tà natale. O meglio, forse non stupisce poi così tanto... In realtà siamo sempre in quat tro (At tilio, Et to re: i fondatori, Emilio e Giulio) . Solo il bat terista, Michele, è andato via, pur continuando a collaborare con noi anche se non come membro uf ficiale (siamo in ot timi rappor ti, l’unico fat to è che noi non usiamo bat teria vera, da sempre in registrazione e ormai da due anni dal vivo) . Noi accet tiamo tut te le critiche purché siano fat te con spirito costrut tivo e cognizione di causa. ma 9 CMPST #4[09.2007]
Produzioni “Addirittura c’è già qualcuno all’estero che scrive che i Port-Royal sono il primo gruppo post- dance ! “ non possiamo accet tare critiche pre giudiziali rivolte alla cieca. Ad esem pio, quanti tra coloro che parlano a Genova hanno visto il tour di ‘Afraid To Dance’ che stiamo por tando in giro in Europa e in Italia ma non ancora nella nostra cit tà (anche ‘Il Secolo XIX’ ha dedicato in merito un grosso ar ticolo)? Anzi abbiamo pure un nuovo membro, il cineasta Sieva Diamantakos che fa i visuals per i nostri concer ti e si esibi sce sempre con noi in pianta stabile dall’inizio del tour di ‘Afraid To Dance’ (già più di 30 date) . Naturalmente un concer to elet tronico è più freddo di uno rock tout cour t. Naturalmente vedere un concer to ‘tradizionale’ può dare più ‘soddisfazione’ in termini emotivi (ma assolutamente non tecni ci – anzi da questo punto di vista l’ese cuzione e la qualità sono net tamente superiori a quelle di un qualsiasi concer to ‘rock’!) . Lo capiamo benissimo, anche se personalmente non sopportiamo più di 5 minuti dal vivo di qual siasi gruppo stret tamente post- rock ! Ma questi sono gusti ed ognuno ha i suoi ed è giusto che sia così. Solo che parlare di cose che non si conoscono più di tanto e giudicare non ci pia ce poi molto. In ogni caso noi siamo molto contenti di questo set (laptop, synths, visuals) in cui presentiamo nuo ve versioni dei pez zi di ‘Flares ’, ‘Afraid To Dance’ e degli inediti, accompa 10 CMPST #4[09.2007]
gnate dagli splendidi visuals di Sieva. Naturalmente ci sarà chi rimpiange i Port-Royal più ‘rocket tari’ (!) , ok. Ma dal momento che continuano a chia marci un po’ dapper tut to, pensiamo che in fondo questo tour stia anche ot tenendo un buon successo. Anche i ragaz zi di DNA (che ormai sono la no stra agenzia qui in Italia) preferiscono questo set ‘ridot to’ (At tilio, Sieva, in italia Et tore e all’estero Alexandr Va tagin, un musicista austriaco nostro amico - quindi non più di 3 persone) a, diciamo, una band sul palco. E poi, per concludere, almeno in una prima fase questa è stata una scelta logistica obbligata : col gruppo non pote vamo contenere le spese di furgone e varie per spostarci, mentre così si va dovunque comodamente. Ma questo è comunque il motivo minore. A proposito di gratificazioni e a proposito di date dal vivo, un altro evento direi importante è stato il tour italiano dei Blonde Redhead. Un po’ mi ha fatto strano, se devo essere sincero, sapervi di spalla a un gruppo così diverso da voi : se non sul piano dell’attitudine, certamente sul piano dei suoni.. D’altro canto mi ha pure fatto piacere apprendere che la richiesta è partita dagli stessi Blonde Redhead e non da voi. Come vi hanno scoperto? E come è andata? Aneddoti? E’ stata una bella esperienza, ma dav vero stressante. Nonostante ciò siamo felici di averlo fat to: ci ha permesso di suonare in posti bellissimi e di fronte a tantissima gente ! Ed è anche
andata bene. Specialmente a Roma, a Villa Ada, è stato fantastico... E’ successo che il loro tour manager ha fatto ascoltare i nostri album e loro li han no molto apprez zati. Così, complice il fat to che preferivano avere di spalla un gruppo elet tronico con poca roba sul palco visto che già loro ne hanno moltissima, ci hanno contat tato e noi abbiamo accet tato al volo. Siamo stati anche felici di conoscerli e vivere dall’interno cer te realtà e dinamiche (sia positive che negative) normal mente un po’ lontane da noi. Per i po chi aneddoti, meglio parlarne privata mente che in veste uf ficiale ora ! Ok, mi terrò tutto per me. Ai lettori più curiosi ricordo che comunque tutti abbiamo un prezzo, me compreso. A parte questo, mi viene da farvi una tipica domanda che si fa ai gruppi pop che suonano in tutto il mondo e che però si può tranquillamente girare anche a voi, tanto più che ne venite da un serie di date fuori dall’Italia : come reagisce il pubblico europeo di fronte ai Por t - Royal? C’è affluenza, curiosità? Quali sono le performances che ricordate più volentieri di questo tour? In Europa possiamo dire di avere avuto un’ot tima accoglienza. Alla pri ma del tour di ‘Afraid To Dance’ a Pa rigi c’erano 60 0 persone e il locale era strapieno. Abbiamo venduto moltissimi dischi e tut ti hanno seguito il con cer to con grande interesse e calore. La Francia è sicuramente una nazione che ci ama. Altro posto fantastico è stato la Polonia. La gente conosceva
Produzioni
Emilio Pozzolini - foto di Anna Positano tut te le nuove canzoni e quelle su MySpace e applaudiva appena iniazia vamo pez zi come ‘Anya: Sehnsucht ’, ‘Putin Vs Valery ’, ‘Deca- Dance’ e ‘Zobione Pt. 2 ’... Questo ci è sembrato incredibile, perché ricorda dav vero il genere di accoglienza riser vato ai gruppi pop ! A Vienna (in cui abbiamo già suonato due volte in quat tro mesi) ci siamo di nuovo trovati benissimo, ma anche a Roma e a Modena, città dove sembra che la gente ci ami par ticolarmente. Così come anche ad
Atene ed in Slovenia. Il Belgio è stato molto bello, ma diciamo meno caldo degli altri posti sopracitati. Ora ci pre pariamo per l’autunno ad andare in Russia e Ucraina (se tut to va bene con i documenti) e di nuovo in Francia, Po lonia e Italia. E presto, se gli impegni lo permet tono, potrebbe arrivare un tour in Gran Bretagna. Ancora parlando di date, devo toccare un tasto dolente. Che tocco non perché imbeccato, sia chiaro, né per
il gusto di provocare ma per sincera curiosità di uno (uno, ma spero di non essere solo io) che cerca di comprendere i rapporti che intercorrono tra gruppi genovesi (soprattutto quelli più esposti) e quanti (non sono pochi) si sbattono per dare esposizione a questi ultimi. Vengo al dunque: nell’intervista che anche tu citavi, quella sul ‘Secolo XIX’, avete dichiarato che il motivo per cui non suonate a Genova è che nessuno vi fa suonare. Anche qui azzardo ipotesi. Forse per esigenze di spazio il ‘Secolo’ vi ha tagliato, sintetizzando e semplificando la vostra risposta. Forse il vostro non era un puntare l’indice verso chi vi sostiene da sempre ma – visto anche il contesto diciamo ‘importante’ di un quotidiano – verso chi avrebbe possibilità economiche per fare ma non fa. Sta di fatto che, a quanto ne so, qualche proposta vi era arrivata e riguardava la possibilità di tentare la strada del teatro come location per promuovere a Genova il vostro tour e il vostro nuovo disco. Molto Sigur Ròs, ma anche molto PortRoyal secondo me. Eppure niente. Che è successo? Non preoccupar ti ! Sappiamo bene che tu non sei un provocatore ! [ sic, NdSimo]. E hai det to molto bene, purtroppo ‘Il Secolo XIX’ ha tagliato mol to per esigenze editoriali e la risposta così come è stata pubblicata non rendeva completamente giustizia né a noi né appunto alle persone che qui a Genova ci sostengono. Infat ti siamo rimasti un po’ delusi dalla forma definitiva di quella risposta, anche se l’es 11 CMPST #4[09.2007]
Produzioni senza di quest’ultima rimane vera pur nella sua forma... Vediamo di chiarire il punto. Ef fet tivamente a Genova non abbiamo ricevuto proposte CON CRETE per suonare negli ultimi mesi, a par te qualche eccezione lo scorso anno e una data all’ultimo Play Festival che pur troppo non abbiamo potuto accet tare perché già impegnati da prima con un altro festival a Catania. Questa, ci spiace dirlo, è la verità. La cosiddet ta ‘proposta’ del concer to in teatro (cosa che ci avrebbe fat to pia cerissimo !) era solo una voce più che una vera e propria proposta (fu Emilio a presentarcela, appunto, come una voce di corridoio) , tant’è vero che infat ti il tut to si è risolto in una bolla di sapone. Anzi abbiamo cercato noi alcuni locali ad aprile anche perché volevamo far suonare a Genova i Tupolev (il gruppo austriaco con cui sia mo stati in tour in Austria, Slovenia e Italia) : ricerca fallita… Ora si parla di un’altra proposta al Por to Antico. Noi ov viamente saremmo felici di suonare ancora a Genova, che nel bene e nel male è pur sempre la nostra cit tà na tale (anche se alcuni di noi ora stanno fuori) ; ma qualora ciò non fosse pos sibile, non ci roderebbe di cer to il fe gato. Per quanto riguarda la scena al di fuori dei Port- Royal, tocca chiedere anche a voi come la vediate. Rispetto a quando siete usciti, alcuni nomi hanno abbandonato, altri hanno cambiato nome, altri nuovi hanno fatto capolino. Mi sembra che i rapporti con gli 12 CMPST #4[09.2007]
altri gruppi non siano malvagi, penso in particolare a Japanese Gum e al loro remix di ‘Paul Leni ’. Come vedete questa città in prospettiva? Siete pessimisti o credete che ci sia possibilità di affermare Genova come città e non solo come quei pochi, singoli gruppi che ce la fanno? Infat ti : nessun cat tivo rappor to, ci mancherebbe altro ! Onestamente non abbiamo mai vissuto veramente la scena genovese pur conoscendo più o meno tut ti. E ciò non per snobi smo come forse qualche benpensan te potrebbe sostenere. At tilio è in Germania spesso per motivi di studio (ora è l ì in pianta stabile da più di 6 mesi, ma anche prima ci andava spesso per periodi più brevi) , Sieva vive a Berli no, Giulio andrà in Erasmus a Parigi... Apprez ziamo i Japanese Gum che sono prima di tut to amici (At tilio ha anche suonato con loro in 2 o 3 con cer ti che fecero lo scorso autunno) e poi dav vero un bel proget to. Sicu ramente in questa cit tà ci sono delle altre valide proposte (gli En Roco che ci piacciono molto, i sempre più lan ciati Ex- Otago, proposta originale e simpatica, i validi Hermitage...) , ma ci sembra che non ci sia poi una vera scena nel senso di ‘collante che uni sca tut ti’. Onestamente pare proprio che si parli di qualcosa che non esi ste poi in realtà, almeno nei termini in cui viene presentata la ‘scena’ geno vese. Sappiamo che ci sono persone che ci ignorano volutamente perché diciamo di non sentirci appunto par te di questa ‘scena’, ma ciò francamen -
te non ci tocca minimamente e poi è frut to di un malinteso e/o di invidia. La cit tà ha comunque ot time potenzialità che potrebbero essere espresse meglio se si riuscisse ad andare oltre cer te logiche. Un mio amico di Milano, estimatore vostro quanto dell’intero catalogo Re sonant, ha comprato online il vostro nuovo album prima di me. E’ rimasto piuttosto sorpreso (e divertito) di trovare il primo piano di un Power Ranger nell’artwork interno. Una cosa in effetti difficilmente prevedibile ripensando alla copertina di ‘Flares ’ e in generale al vostro suono tutt’altro che giocoso : ma il sottoscritto è più puntiglioso dell’amico in questione e spulciando i credits del cd ha appreso che l’intero artwork è parte di un progetto chiamato ‘The Distance To The Sun’. Di che si tratta? ‘The Distance To The Sun’ è un pro get to dell’ar tista romano Andrea Dojmi. Oltre all’ar t work di ‘Afraid To Dance’ con Andrea abbiamo già pre sentato in alcuni impor tanti festival in Italia e in Grecia il proget to comune ‘Education And Protection Of Our Children # 2 ”. Questo ar t work è, diciamo, un passo successivo nella collabora zione tra noi e questo valido ar tista. In quanto al significato preciso del lavo ro, dovresti chiedere diret tamente a Dojmi. Possiamo però dir ti che riflet te bene le sue tematiche por tanti di no stalgia e sguardo rivolto all’infanzia come luogo di esperienze fondamen tali.
Produzioni Abbiamo fatto un bel po’ di chiacchiere, ed è inevitabile ora chiedervi qualche indiscrezione su ciò che sarà prossimamente dei Por t - Royal. Abbiamo già detto del nuovo album, che però presumo richiederà ancora qualche tempo. Nel frattempo? Vacanze? Altre date? Le nostre vacanze hanno coinciso con il tour, a par te qualche piccola parentesi per alcuni di noi (ad esempio At tilio in Slovacchia dalla sua ragazza) . Il prossimo futuro vedrà l’intensifi carsi dei live in autunno (Russia, Ucrai na, Francia, Polonia e Italia) e delle registrazioni del suddet to ter zo album che stanno procedendo bene. Poi ci sarà l’uscita di alcuni nostri pez zi in al cune prestigiose compilations come quella della Darla (storica etichet ta americana) , quella della 9.12 Records (con Boards Of Canada, Jatun e il nostro amico Dedo fra gli altri) , quella dell’Elettronik Festival di Rennes (con Apparat, Murcof...) , l’uscita del nostro album di remix dei pez zi di ‘Flares ’ in edizione limitata sempre per Resonant e, come ti dicevamo, dell’’Anya: Sehnsucht EP ’ per Chat Blanc. Tre piccole curiosità per chiudere. Qual è il vostro gruppo preferito nel roster della Resonant? Qual è il gruppo genovese che più di ogni altro vorreste portarvi in giro per l’Europa? Qual è il gruppo, in Italia o nel mondo, a cui vorreste fare da supporter? Nel catalogo Resonant ci piaccio -
Port-Royal Live a Villa Croce - foto di Anna Positano no par ticolarmente Dialect (che però ha pubblicato sino ad ora solo un ep) e Stafraenn Hakon (pur facendo un genere piut tosto diverso dal nostro) . Genovesi di spalla ai nostri concer ti : riciteremmo i Japanese Gum, anche perchè sono quelli maggiormente af fi ni alla nostra musica. Quanto ai grup pi da suppor tare: più che fare da sup por ter ci farebbe piacere suonare con gruppi più o meno del nostro livello (di fama intendo !) come Ulrich Schnauss (con cui suonammo già l’anno scorso
insieme in Francia al La Route Du Rock) e altri nostri amici su MySpace. Ma se proprio dobbiamo suppor tare allora vorremmo suonare con le Tatu, Nelly Fur tado e Rihanna !
Più info sulle attività dei Port-Royal su http://www.myspace.com/uptheroyals 13 CMPST #4[09.2007]
Fanzine “Credo di essere la dimostrazione vivente del fatto che se si crede in qualcosa, realizzarlo non è impossibile.“ Genovatune / Ceanne Mc Kee Intervista con Chiara Ragnini di Matteo Casari
METTIAMOCI IN GIOCO Darsi una mano invece che accoltellarsi alle spalle. Che bella idea. Incredibile come, invece, una sì tale brillante pensata non ci baleni in mente come imperativa necessità. Per fortuna ogni tanto a qualcuno viene in mente che, forse, investire delle energie in progetti di utilità comune può essere cosa buona e giusta, e fonte di promozione e salvezza. Chiara è una di quelle persone che, parallelamente ad un personale percorso musicale, hanno intrapreso l’impervia via di costituire un organismo attivo e propositivo. Il risultato è un portale, Genovatune che informa su tutti gli eventi in città e regione che hanno per tema principale la musica. Senza guardare in faccia a nessuno il sito veleggia oltre vette di visite inimmaginabili, tanto che è impossibile ormai pensare di parlare della città senza prima avervi fatto un giro. E non dimenticatevi il forum! Iniziamo subito con un po’ di biografia. quanti anni tu abbia non si può chiedere, ma quante cose hai combinato si. Parlaci un po’ del tuo percorso di musicista. Hai fatto tutta la trafila di insegnanti tra i più quotati in città e, al tempo stesso, ti sei trovata a confrontarti con il sostrato underground guidato da atteggiamenti opposti di intransigenza musicale. Un piccolo bilancio? Dai, sarò clemente e vi svelerò anche l’età! Classe 1983, fate due conti et voilà :-) Se dovessi fare un bilancio di Chiara come musicista, potrei soltanto dire che non mi sento assolutamente arrivata da nessuna parte. Ho avuto esperienze con il mondo della discografia - poche e non del tutto buone - e ciò, dopo quasi tre anni, mi ha spinto ad ab14 CMPST #4[09.2007]
bandonare quella strada per tornare indietro sui miei passi: ho sentito l’immenso bisogno di ritrovare me stessa, la mia vera vena artisticomusicale, fatta di non troppo studio e tecnica ma di tanta, tantissima passione e voglia di creare e divertirmi. Come musicista, non ho particolari obiettivi al momento: essere serena, suonare e cantare ciò che sento davvero mio e riuscire a trasmettere le stesse emozioni al pubblico che mi ascolta. In tutto questo, ossia nella voglia di “purezza” e poche contaminazioni, diciamo così, mi è stato di grande aiuto potermi confrontare anche come persona con l’underground della nostra città: credo di aver finalmente capito che solo chi ha qualcosa da dire arriva davvero da qualche parte. Non sono sicura di avere molto da
dire musicalmente, in questo momento, ma, personalmente, va bene così!
Quando hai sentito la necessità, se tale è stata, di pensare in grande e, invece di promuovere semplicemente le tue doti suonando, hai deciso di fondare un portale musicale? Nel momento in cui ho scoperto di voler fare qualcosa di costruttivo per me e per chi, come me, aveva bisogno di un punto di riferimento in una città che sino a quel momento (inverno 2003) di punti non ne aveva mai offerti: volevo un luogo di incontro di tutte le realtà musicali della città, un posto in cui scambiarsi idee, pensieri, parole fra musicisti e semplici ascoltatori; un posto in cui sentirsi parte di un movimento, di un qualcosa di sotterraneo che aveva tutto il diritto di emergere in superficie e che da anni ribolliva sotto le strade di Genova. Più o meno, ce l’ho - ce l’abbiamo - fatta. Genovatune è nato già con questa idea di grande database di date e gruppi locali o il progetto iniziale era diverso? Inizialmente nacque solo con l’intento di raccogliere più informazioni possibili sugli eventi musicali e di dare spazio a tutti gli artisti della città: mi sembrava un’idea straordinaria avere un censimento di tutti, ma proprio tutti, i musicisti, gruppi e solisti di Genova. Volevo
Fanzine conoscerli tutti! E fare in modo che tutti si conoscessero fra loro. All’inizio ero da sola e Genovatune un piccolo sito con neanche una decina di pagine - inclusa quella dei contatti. Con il passare del tempo, il progetto cominciava ad incuriosire e aumentava sempre di più la quantità di artisti che volevano uno spazio al suo interno e di informazioni che mi venivano inviate, così da poterlo aggiornare quasi settimanalmente. Piano piano altre persone si sono unite ad esso: prima amici, poi volenterosi che sono diventati col tempo amici, ed oggi Genovatune è quella che potete vedere - un portale di rilevanza nazionale, da pochissimo divenuto Associazione Culturale. Credo di essere la dimostrazione vivente del fatto che se si crede in qualcosa, realizzarlo non è impossibile. Un pò come lo spot della Adidas : Impossible is Nothing. E’ interessante domandarsi quali siano le reazioni al tuo sito. A livello istituzionale? A livello di base dei gruppi? A livello di addetti ai lavori? Partiamo dai gruppi/artisti: spero ottima! Attualmente Genovatune conta 573 fra artisti e gruppi iscritti nel famoso censimento, provenienti da tutta la Liguria. Ho sempre il sentore, però, che, nonostante queste cifre - e le visite quotidiane di accesso al sito, molto elevate - gli artisti non colgano appieno l’importanza di un punto di aggregazione come questo. Mi riferisco al fatto che moltissimi artisti si iscrivono al portale, molti inviano il loro materiale per ottenere una recensione o intervista, pochi si iscrivono al forum, pochissimi partecipano alle discussioni. Ah, scusate: e moltissimi si fanno pubblicità sul forum :) Mi chiedo perchè: se avessi io ora l’età che avevo quando Genovatune venne al mondo, non vedrei l’ora di conoscere altri coetanei con la mia stessa passione - la Musica! In una città che non offre spazi per questo tipo di espressioni artistiche, un luogo anche virtuale di confronto ed incontro è una manna,
secondo me. Ma molti non vogliono - o non sanno - sfruttarla ed utilizzarla a proprio vantaggio, non solo per farsi pubblicità. Ci tengo a sottolineare che il tutto è senza scopo di lucro: si, Genovatune è gratis. Tutto gratis. Anche noi, che scriviamo gli articoli. Quindi, perchè non approfittarne? A livello di addetti ai lavori: moltissimi frequentano il portale ed il forum e ciò è meraviglioso! Potersi confrontare con le realtà che operano musicalmente in città. Un’ottima occasione per chi fa musica e per altri addetti ai lavori, che possono incontrarsi e dialogare per cercare di risolvere insieme eventuali problemi. Livello istituzionale: so che qualche persona (soprattutto della stampa locale) frequenta il portale. Pochissimi anche il forum. Genovatune ha bisogno di più spazio e più consensi, in questo senso. Non solo a livello economico. Ma non preoccupatevi: ora che siamo Associazione, ci saranno molte sorprese. Graficamente, ebbi già a dirlo in passato, è un portale curatissimo; anche l’ultima versione di Genovatune mischia colori e chiarezza comunicativa. Ma, a livello di contenuti, come siamo messi? Molto bene! Anche se questo giudizio va lasciato ai nostri lettori :-) I contenuti prettamente informativi sono tantissimi, troppi. Trasbordano da ogni dove. Informazioni delle più varie, dal comunicato stampa del concerto del big di turno a quello degli emergenti; dalla scheda del locale a quella della scuola di musica; dalla scheda dell’artista e gruppo, e via dicendo. Fatevi un giro su Genovatune per scoprire tutte le sezioni che lo compongono. Vi è poi l’ampia parte redazionale, quella curata personalmente da me e i miei redattori: recensioni di dischi, sia liguri che internazionali (in Redazione arriva materiale anche da Giappone e Canada), recensioni di concerti, interviste agli artisti che suonano in città, articoli legati alla scena musicale genovese e alla cultura in città.
Spendo una lancia in favore dei redattori e dei numerosi collaboratori che scrivono per Genovatune: si tratta di persone molto competenti, ciascune nel suo ambito, laureati e non, appassionati di musica e con grande spirito critico. I quali, come detto in precedenza, si prestano a tenere vivi i contenuti redazionali del portale a titolo assolutamente gratuito. Ed un appello ai lettori di Compost: se vi piace scrivere di musica e sentite di avere le competenze giuste per lanciarvi in questa impresa, Genovatune accoglie sempre a braccia aperte potenziali collaboratori. Scriveteci inviando uno scritto di vostra creazione - recensione di disco o di un concerto - indicando la vostra età, nome, cognome,
Chiara - foto di Simone Lezzi 15 CMPST #4[09.2007]
Fanzine indirizzo MSN e l’elenco dei generi per i quali vi sentite maggiormente competenti. Mandate tutto a redazione@genovatune.net e saremo lieti di potervi dare spazio. Occupandovi principalmente di una scena provinciale, per quanto di ampio respiro sul tutta la regione e non solo, non c’è il rischio reale di cantarsela e suonarsela da soli? Il rischio c’è: per questo da un anno a questa parte abbiamo deciso di ampliare lo spazio dedicato alle recensioni di dischi anche a lavori di respiro nazionale ed internazionale. Paradossalmente, ultimamente arriva più materiale da fuori Liguria che non dalla nostra regione. E’ vero che attualmente Genovatune agisce solo a livello regionale: chissà che un domani non si tenti un’espansione? TorinoTune, MilanoTune... MondoTune! A parte gli scherzi, Genovatune riesce a rispecchiare - non so e non voglio dirvi se in maniera fittizia o meno - una Genova diversa da quella che a molti appare superficialmente. Chi ci guarda da fuori e vede Genovatune intravede una vitalità ed una ricchezza di contenuti e di iniziative che spesso mi chiedo se esista realmente - o non sia solo uno specchio d’acqua alterato dai riflessi del sole. L’immagine che voglio dare all’esterno della mia città con questo progetto è, però, di una città viva - anche se lei stessa non lo sa: una città che stiamo tutti cercando di cambiare, di far crescere, di migliorare. Veniamo, quindi, a Genova. Come sta? Malata, moribonda, febbricitante, sveglia, reattiva, in gran salute? Qual’è il tuo punto di vista di musicista/organizzatrice/promotrice? Eccoci al punto dolente :-) Genova è una città strana. Ne parlavo giusto un paio di giorni fa con amici e conoscenti. Non voglio ricadere nella solita spirale infernale dei mugugni (“Genova è una città di vecchi”, “Non c’è mai niente da fare”, “Mancano gli spazi”, 16 CMPST #4[09.2007]
e così via), perciò sarò breve. Genova non è una città in gran salute, in generale. Non solo per quanto riguarda i giovani e la musica. Trovo che la nostra città pecchi spesso di presunzione. E’ come se a Genova andassero bene le cose così come sono. Che non ci fosse voglia di migliorarsi, di evolversi, di essere produttivi e costruttivi. Penso subito a Milano - la stracitata Milano - dove l’aria che respiri, oltre che ad avere uno strano retrogusto acidognolo, frutto delle polveri sottili e dello smog, è però pervasa di quel senso di progresso e voglia di fare che qui a Genova manca. A Genova come da altre parti, sia chiaro. E questo strampalato discorso vale per tutte le cose - per la musica, per il lavoro, per i trasporti pubblici. Manca la volontà di rischiare e mettersi in gioco per un possibile miglioramento della situazione. C’è da dire che negli anni la situazione si è evoluta - più del previsto. Sono nate diverse realtà (noi, Disorderdrama, Metrodora, e molte altre) che piano piano hanno unito le forze, nel loro piccolo, e sono riuscite a dare una svegliata al torpore generale che aleggiava sino ad una decina di anni fa. Con l’avvento di internet e dei nuovi media c’è spazio per tutti e molti riescono a sfruttarlo adeguatamente: parlo del nuovo modo di promuovere le serate, gli eventi, di dare spazio a voci che altrimenti sarebbero rimaste nell’ombra. Penso a myspace, a quanti contatti abbiamo stretto in maniera molto più facile rispetto a prima. I genovesi, forse, piano piano stanno cambiando, la notte bianca di ieri sera ne è l’esempio: tutta la città è rimasta in giro per le strade e le piazze sino all’alba, ad ascoltare musica e a divertirsi. Genova ha bisogno di eventi collettivi per smuovere gli animi: non solo di “grandi concerti”, ma di occasioni di aggregazione, artistica e culturale. Forse sono solo parole al vento, ma non credo che ora come ora l’apertura di un Rolling Stone o un Alcatraz basterebbe a migliorare la situazione musicale in città. Ciò che va fatto è
educare le persone, farle uscire di casa, metterle in condizione di non poter più dire “Ah, ma io non lo sapevo che..”. Questo, naturalmente, non possiamo farlo da soli. Ci vuole il supporto e l’unione sì delle piccole grandi realtà cittadine, ma soprattutto delle Istituzioni e dei Media. In questo senso, il Secolo XIX ci sta supportando molto, ma non è ancora abbastanza. Oltre alla carta stampata, c’è bisogno dell’aiuto di tutto il resto: radio e televisioni, fra tutte. Hai a che fare con tutti, ma proprio tutti, gli operatori musicali e culturali cittadini. Vuoi provare a trarre qualche deduzione dalle logiche che li muovono? Grazie a Inferno siete passati dall’altra parte della barricata, impressioni? Mah, azzarderei a dire che la logica è quella del “tirare avanti”. La logica del “e anche oggi ce l’abbiamo fatta”. Come ho detto prima, anche in questo senso ci vorrebbe più voglia di rischiare. Di mettersi in gioco. Di investire. Tempo e denaro. A Milano ed altrove come hanno fatto? Così. Investendo e rischiando. Naturalmente dipende in cosa investi: bisogna avere delle idee e svilupparle, idee sensate e fruttifere. Io credo nel ricambio generazionale. Può darsi che fra dieci o vent’anni gli operatori del settore raccolgano dove altri hanno seminato e la situazione cambi. Speriamo. Si parla sempre di media deviati. Nel senso che hanno tutti intrapreso una strada che, purtroppo spesso, corre parallela, se non in direzione contraria, al bene comune della creatività giovanile. C’è una evidente mancanza di comunicazione tra chi produce e chi diffonde. Ti trovi d’accordo? Cosa si potrebbe fare per migliorare il rapporto? Non è mai chiaro se i contatti fra chi produce e chi diffonde manchino per ignoranza, per uno scarso contatto con la realtà underground. O ci sia, invece, al di sotto di tutto
Fanzine questo una ben precisa volontà di ignorare. Ciò che possiamo fare noi, come piccole e medie realtà locali, è unire le forze e le energie per guadagnare, col tempo, sempre più spazio ed attenzione. Chi la dura la vince! Un grande classico ormai di Compost. La battaglia al web 2.0. Vorrei chiudere quest’intervista chiedendoti, in qualità anche di esperta informatica, se e come abbia senso il nuovo mondo on line. Seconde vite e racconti presi per buoni, curiose amicizie a richiesta, geni e capolavori che spuntano come funghi. Che ne pensi? Oltre al forum, Genovatune è aggiornato ai nuovi standard di partecipazione popolare? Naturalmente si :-) Genovatune ha un suo myspace (www.myspace.com/genovatune) e più di 10.400 amici. Non mi pronuncio su Second Life - che trovo aberrante ed alienante -perciò mi limiterò a dire la mia sul mio spazio. E’ davvero così importante? Dipende. I nuovi luoghi di aggregazione virtuale sono importanti e di facile uso per promuovere le proprie iniziative. Per una realtà come la nostra, un luogo così fruibile come myspace ci ha permesso di venire a contatto in maniera molto diretta sia con artisti internazionali (i famosi artisti da Giappone e Canada, ed altre parti del mondo, come vi ho raccontato prima, che hanno richiesto recensioni ed interviste), sia con etichette discografiche ed agenzie di promozione, mediante le quali riceviamo costantemente nuovo materiale nazionale da recensire. Sono tutti contatti che un domani potrebbero tornare utili ancheper i “nostri” artisti: penso ad Inferno, il concorso musicale che organizziamo, fra i cui premi vi è proprio la possibilità di entrare in contatto con alcune etichette discografiche - alcune delle quali ci hanno conosciuto proprio grazie a myspace. Come artista e musicista, credo che myspace sia un gigantesco specchio per le allodole: fatto di utenti che si scambiano pacche sulle spalle virtuali, che lasciano
commenti positivi sulla tua musica con la speranza di riceverne altrettanti, che ti fanno i complimenti anche senza aver ascoltato un solo secondo delle tue canzoni. Ed è molto difficile distinguere chi ti fa un apprezzamento sincero da chi invece lascia un commento solo per inerzia. Perciò, per chi si propone in questi termini, myspace va preso con le pinze: senza montarsi troppo la testa se si hanno migliaia di “amici” e si ricevono complimenti da sconosciuti quotidianamente. E lo stesso vale per i profili personali: ho visto persone “brutte” diventare belle, persone sole avere migliaia di amici. Alienarsi per una realtà che è solo virtuale e che sparisce appena spegni lo schermo del pc. A queste persone dico: uscite di casa. Andate in palestra. Andate a ballare. Ad un concerto. Miglioratevi nella vita vera, non con un ritocco su Photoshop,
e siate voi stessi. Perchè ciò che conta è avere amici veri, non virtuali. Ribadisco, però, l’importanza di questi nuovi mezzi per farsi pubblicità e stringere contatti: cito sempre come esempio la nostra Marcella Garuzzo, la quale è riuscita a costruirsi un vero e proprio tour grazie a scambi date con altri cantautori conosciuti tramite myspace. Va assolutamente presa ad esempio. In conclusione: viva myspace, se usato con metodo e consapevolezza - e un pizzico di autocritica. Un po’ come per tutti gli strumenti informatici. Ps. Ricordatevi di addarci! :-) Più info e immagini su http://www.genovatune.net http://www.myspace.com/ceannemckee
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Smesciarsi “A diciotto anni si commettono errori a trenta si impara a sbagliare meglio, se hai una storia prova a raccontarla e mai credere a quello che gli altri pensano tu sia” Marti / Broncobilly Intervista con Andrea Bruschi di Marco Giorcelli
DA LEXINGTON A SAN FRUTTUOSO Marti, Veermer, Broncobilly e quanti ancora ne verranno. Andrea Bruschi, in oltre vent’anni di onorata carriera, ormai prossimo ai quaranta, può vantare un curriculum musicale e cinematografico che quasi lo assurge al titolo di Nick Cave del Tigullio (o della Foce). Tra Buster Pointedexter e Buster Keaton, tra compromessi e dura realtà, ecco l’immagine di un vero gigione d’altri tempi, un crooner nella concezione più classica, eccentrica, genuina. Da George Michael a Nick Cave passando attraverso Kurt Cobain e, perché no, anche Gian Maria Volontè (almeno nella fisiognomica, me lo concederai). Un percorso difficile di cui non è sempre facile seguire le tappe. Puoi fare una concisa mappa su come dai Broncobilly tu sia arrivato a Marti? Ha! Ha! Difficile sintetizzare, partiamo cosi: mio fratello Aldo suonava e sentiva (e sente ancora) tanta buona musica ne 18 CMPST #4[09.2007]
sono stato influenzato moltissimo specialmente sulla libertà di creare una proprio forma di espressione facendo una band, il cinema l’ ho scoperto più da solo e lo ho approfondito a livello esistenziale. Ho avuto una piccola band punk a 14 anni primo liceo e mi hanno bocciato nel frattempo il techopop e la new wave mi sono entrate nel sangue e a 18 anni ho conosciuto un ragazzo (ricco) (Andrea Linke N.d.R.) che aveva tutti gli strumenti
musicali ed io (povero) tutte le canzoni. Volevo fare una band dark-wave e mi hanno fatto fare del pop con i Broncobilly. Ci stava.. Avevo 18 anni. La cosa snaturata funzionò a stenti perché non potevo fare quello che volevo. Qualche band di passaggio e confusione postadolescenziale. Poi tanta fatica, fantasmi, lutti, pianti e sorrisi. Ho imparato in maniera discreta e personale nel frattempo anche a fare l’attore nel cinema ( perché le cose si imparano facendole) e a 30 anni suonati ho ripreso in mano la musica mai dimenticata (avevo un repertorio di 100 canzoni o più) e ho iniziato a fare come volevo io su tutto: musica, estetica , ecc, con collaboratori efficaci e perfetti. Così, dalla necessità esistenziale e direi autentica di raccontare storie è nato Marti. concludendo a diciotto anni si commettono errori a trenta si impara a sbagliare meglio, se hai una storia prova a raccontarla e mai credere a quello che gli altri pensano tu sia.
Smesciarsi “Il movimento della Zero Budget ha permesso a molte persone di fare cose e tanta strada.“
Credi possa essere impossibile mantenere tanta indipendenza artistica, o una tale apertura di vedute rimanendo in una città come Genova? Con Genova ho un rapporto strano come tutti penso: amore folle e incazzatura. Provo a capirla ma è dura. Sono stato 7 anni a Roma comunque e ho viaggiato molto. Forse, adesso che il mio ciclo a Genova è finito la vivo in maniera tutta mia, anche come paese esotico e malinconico in cui creare. Aggiungerei che Brooklyn è la san fruttuoso di New York. Non trovi che Roma, con tutte le sue agenzie, i suoi casting, la sua eternità e i suoi miti di cartone, tenda ad appiattire e schiacciare un attore (o un musicista) alle prime armi che la prenda come punto di riferimento per farsi le ossa? In duemila anni Roma non è cambiata per niente. Le persone ci vanno per chiedere qualcosa e questo ti mette in una situazione di svantaggio sempre. Chi è li ed ha potere, lo sa e ti aspetta per farsi due risate su di te. Se ci riesci ad andare come spettatore senza tanta ansia ti puoi ancora divertire perché la dinamiche sono sempre le stesse. Chi ha fatto l’attore o il musicista negli anni 60 si è divertito come una bestia da quanto mi hanno detto i miei amici o maestri, ma che ci piaccia o no, le cose cambiano e se ci vuoi andare adesso devi farti molta forza e coraggio perché non gliene frega niente a nessuno e non hanno biso-
Marti Live in Piazza dei Truogoli di Santa Brigida - foto di Anna Positano gno di te. Simple like that. Cosa pensi della progressiva diffusione ed espansione delle location genovesi per film e serial televisivi? E’ un aiuto per la città e per le sue risorse umane? Ma posso solo pensarne bene. Da una parte, con la vecchia Zero Budget abbiamo anche dato il nostro contributo profondo. Se non sbaglio quando abbiamo fatto il corto in super 35 “Senza Piombo”, erano anni che non si faceva una cosa così se non veniva da Roma. Il movimento della Zero Budget ha permesso a mol-
te persone di fare cose e tanta strada. Magari qualcuno adesso fa finta di niente, ma è cosi. Sarebbe l’ora comunque che facessero degli Studios in città. Ricordo una vecchia canzone dei Veermer che parlava di Liza Deeleuw (una ormai misconosciuta pornostar americana anni ottanta,scomparsa di AIDS nel 1993). Che rapporto ha Andrea Bruschi con le donne? Non pensi sia ora di metter su famiglia e moltiplicarsi? Ha! Ha! Ma la domanda la fai stai facendo a te stesso?!! Povera Lisa, non lo 19 CMPST #4[09.2007]
Smesciarsi sapevo. Comunque penso sia ora di diventare immortale, sposarmi e fare due figli e...Oppure stare cosi.. Chissà, mi sembra che la nostra generazione sia in forte crisi su questo. Che rapporto ho con le donne?? Ottimo. Per una risposta più approfondita in tal caso interessasse a qualcuno rimanderei ad uno special su Compost #100. Da un certo punto di vista, tu hai saltato, o meglio, hai seguito un percorso diverso rispetto a tanti giovani attori che, dopo una buona scuola di recitazione, sono passati alle assi del palcoscenico (spesso con ruoli striminziti e mal pagati) accanendosi al contempo in casting massacranti ed inconcludenti. Qual è stato il tuo percorso per arrivare ad oggi? Bravo. Io non ho saltato niente perché non esiste una sola strada per fare e per esprimersi. Semmai ho approfondito alla mia maniera perché ho un carattere cosi. Per quanto riguarda il mio percorso è stato esistenziale e tenace perché queste cose mi interessano veramente quindi con le mie forze ho cercato di essere anche attivo e di spingere la mia azione creando realtà anche se ho anni di esperienza in giri inconcludenti perché azionati da persone senza alcuna volontà creativa e costruttiva. Sia come musicista che come attore le cose che non ho appreso in un conservatorio o in una accademia me le sono cercate e assimilate in vari altri modi, sia formali facendo corsi o imparando facendo il mestiere, oppure semplicemente perché la vita mi ha preso a schiaffi con morte e tragedie e mi anche spesso accarezzato 20 CMPST #4[09.2007]
con tante gioie che ho incamerato e assimilato e cercato di raccontare nel limiti del mio strumento. In che rapporti sei rimasto con i tuoi vecchi compagni d’avventura della Zero Budget? Mi riferisco per esempio ad Andrea Linke, Lorenzo Vignolo e Matteo Bonifazio. Andrea Linke dopo una grande e romantica amicizia nessun rapporto. L’ultima volta che ci siamo incontrati mi ha chiamato per cognome e mi dispiace. Lorenzo Vignolo è il mio caro amico fraterno con cui condivido tanto. Matteo Bonifazio non è mai stato nella Zero Budget, fondata da me e Vignolo. Quali sono gli artisti genovesi che rispetti di più? Tutti quelli che mi piacciono sia vivi che morti. Tanti musicisti, attori, pittori e creativi. Non posso citarne uno in particolare. Diciamo da Bernardo Strozzi ai Meganoidi. E quelli che rispetti di meno? Non saprei non spendo tempo a pensarci. Ma perché a Genova l’eroina spopola sempre così tanto? Siamo nel 2007 e Jimi Hendrix è morto da quasi quarant’anni. Tu ti sei mai fatto? Perché la vita è una dura lotta. Io non l ho mai usata, principalmente perché non me ne fregava tanto e non mi piaceva la faccia che ti veniva quando ti bucavi, quindi l’edonismo aiuta. Ha! Ha! A livello di inconscio collettivo la immagino mol-
Andrea Bruschi - foto di Angelo Trani to bene, perché l’ ho avuta molto vicino perché sono di san fruttuoso e ne ricordo tanta. Uno dei miei cari amici d’infanzia è morto di overdose. Forse avere avuto vere passioni mi ha tenuto lontano. Comunque direi che sono un addicted da sette e mezzo in generale. Se ti dico Ex-Otago, Andrea Ceccon, Mass Prod e Beppe Gambetta, tu che mi dici?
Smesciarsi “Volevo anche dire che per la musica, in Italia, non si è più fatto niente dal ’48.“ Genovesi- artisti- persone che rischiano. Hanno tutto il mio rispetto = grandissimi. E se ti dico Maurizio Crozza, Antonio Zavatteri e Luca Bizzarri ? Uguale sopra = grandissimi. Con Zavatteri ci ho lavorato ed è un grande davvero. Non credi che se a Genova venisse una giunta di destra forse la città potrebbe finalmente esporsi ad un nuovo rinnovamento culturale fino ad ora sconosciuto? Ma non è già di destra?!! Ha! Ha! Più che la destra ci vorrebbe la giunta di San Francisco. Il Partigiano Johnny, Guido Rossa, Zora la Vampira, ma non è che niente niente sei un comunista?! Ci vuole ancora un film su Pavese e divento comunista a tutti gli effetti. Il teatro ciba la mente (o almeno dovrebbe), ma non lo stomaco. Lo schermo grande/piccolo ciba lo stomaco (o almeno dovrebbe), ma poco la mente. Soffiare e aspirare non si può si dice da queste parti. E’ vero, o hai affinato qualche tecnica fino ad ora sconosciuta? So che collezioni da sempre Big Jim e i vecchi Gi Joe della Harbert. Ultimi acquisti? Rispondo a queste due domande as-
Andrea Bruschi - foto di Simona Ulloa sieme Ho venduto tutta la collezione per ragioni di sopravvivenza ad un dealer di Padova (stile Waiting For My Man, ma gli ho venduto i giocattoli). In questo momento né musica né cinema né teatro pagano abbastanza ma i giocattoli vintage sì e così, il mio secondo lavoro di recuperare vintage toys, mi ha dato l’ossigeno quest’anno. Ps: Gi Joe era della Baravelli e la Harbert distribuiva i super eroi della Mego. In definitiva, per Genova, sarebbe meglio uno Tzunami o ci bastano i cheap cocktail del Banano? I cocktail del Banano non sono cheap e l’Italia è sotto uno tsunami dagli anni
80’ sembrerebbe. Volevo anche dire che per la musica, in Italia, non si è più fatto niente dal ’48. E’ assurdo non ci siano locali adatti per suonare. E’ una vergogna. A Genova dove si suona?! A Zena adesso non penso più, la vivo e basta finché non mi ritrasferisco. Finisco dicendo che sono stato tre mesi a Los Angeles ed è una grossa Sestri levante. Belle domande, cari saluti. Più info su Marti su http://www.myspace.com/martimusic
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Cronache Vere “Ricordo positivamente la grande carica creativa che si materializzava mediante la creazione di fanzines, l’autoproduzione di demotape e dischi“
Lanterna Records Intervista con Fabrizio Barile di Matteo Marsano
DENTRO LA PERIFERIA, FUORI DAL CONTROLLO La storia di oltre vent’anni di ideali e passione che bruciano ancora. Fabrizio Barile, in arte Fritz: personaggio eclettico che ha partecipato in prima persona ai fermenti della subcultura punk, skin e Oi! degli anni ’80 e che lo spirito di quei momenti ha catturato - anche a distanza di tempo - nei suoi ricordi e nelle sue fotografie. Un vero portabandiera dell’indipendenza musicale (la sua label punk-OI! “Lanterna Records”) ma anche individuale e culturale che sta alla base di ogni proposito antagonista, di ribellione al conformismo e all’ideologia dominante. E vero e proprio “discomaniaco”, attaccato ai propri memorabilia – dischi, manifesti, flyer e quant’altro – come a preziose testimonianze e tangibili documenti - quali che sono - degli sforzi, della passione e dell’impegno di una “generazione fuori controllo” che c’è stata, che speriamo ci sia oggi e che ci auguriamo avrà la forza per esserci in futuro. Ciao Fabrizio. Volevo iniziare parlando un po’ dei tuoi “anni di formazione”, facendo poi un po’ il paragone con questo “nostro” 2007, talmente diverso per mille aspetti Nella tua biografia in rete (http://linus.media.unisi.it/start/03barile. html) racconti che “Nel 1980 ho sentito la necessita’ di fare parte di quei movimenti antagonisti giovanili, che stavano nascendo (…) non 22 CMPST #4[09.2007]
avevo coscienza politica, non mi interessava la guerra né il pacifismo, ero una bomba ad orologeria in libera circolazione.“ E’ certo che gli anni ’80 hanno rappresentato molto per il concetto di “Do It Yourself”. Se negli anni ’70 l’influenza delle major, delle grandi produzioni, dell’industria del consumo di massa si è fatto sentire – e questo probabilmente a discapito,
più o meno (in)consapevole, dei giovani che seguivano quegli ideali di (utopico?) progresso, purtroppo così palesemente mercificati e resi di tendenza dall’industria dei media e dell’intrattenimento, negli anni ’80 si è assistito invece ad un fiorire individualità critiche e autoproduzioni, spesso aggregate a movimenti ben più ristretti, con identità forti e talvolta in contrasto tra loro.
Cronache Vere
Fabrizio Barile Insomma, volendo fare un po’ di sociologia spicciola, dalla “massa” la criticità si è spostata verso l’individuo e i piccoli gruppi, forse anche come reazione più o meno nichilista alle disillusioni dei ’70. Io – che sono nato nell’82 – queste cose le ho solo viste documentate e riportate dai testimoni; ma tu che c’eri forse puoi farci un resoconto di certo più illuminante di quegli anni, dell’atmosfera, dei fermenti della Genova dei punk e dei concerti… Negli anni 1978–1980 ho contribuito alla nascita delle prime radio libere a Genova, dove è iniziato il mio interesse per la musica. Trasmettevo programmi musicali e proponevo dischi inusuali per l’epoca (per esempio Joy Division, Cure, Cabaret Voltaire, T.G.) e fra una trasmissione in genovese e un’altra di “richieste con dedica“ riuscivamo a portare lo scompiglio via etere. Nello stesso periodo frequentando lo “Psyco”, storico locale genovese, fucina di idee, concerti, incontri, sono entrato in contatto con i nascenti movimenti antagonisti; si era divisi in
gruppi abbastanza chiusi, non c’era molta tolleranza rispetto agli altri e spesso c’erano zuffe per motivi apparentemente futili. Ho sentito la necessità di diventare uno skinhead perché all’interno del nostro gruppo mi sentivo protetto e mi relazionavo con ragazzi che amavano le mie stesse cose; la musica, l’abbigliamento, l’essere sempre contro, all’inizio non avevo nessuna conoscenza di cosa stessero facendo gli skinheads inglesi e sinceramente non mi impegnavo molto per allargare le mie nozioni in seno all’argomento, eravamo un gruppo di 67 skinheads particolarmente aggressivo e per questo eravamo rispettati e temuti. Non amavo i punks anarchici perché la loro organizzazione e coscienza politica non era in sintonia con la mia voglia disordinata di fare casino, non amavo i darks con i loro capelli cotonati e le loro menate sulla tristezza, non mi piacevano i mods perché i loro vestiti sempre perfetti li rendevano dei manichini, non mi piacevano i metallari, non mi piacevano i paninari, non mi piaceva il ciuffo dei rockabilly, non mi interessava la politica. Come skinheads a Genova, non avevamo molti posti dove andare, spesso nei locali non eravamo ammessi e in qualche bar potevamo entrare solo dopo aver tolto le stringhe ai nostri scarponi, se poi consideri che eravamo sotto costante monitoraggio delle forze di polizia puoi immaginare che non era per nulla semplice realizzare le nostre “ bravate”. Del primo periodo ricordo positivamente la grande carica creativa che si materializzava mediante la creazione di fanzines, l’autoproduzione di demotape e dischi; i posti dove potevi organizzare dei concerti erano pochissimi, e spesso le serate terminavano al pronto soccorso dell’ospedale Galliera. Trascorso il periodo di massima ribellione, mi sono concentrato maggiormente sulla scoperta delle origini del
movimento, e ne ho acquisito una maggiore coscienza. Verso il 1984-85, in concomitanza con una degenerazione politicizzata del movimento skinhead , trovavo a me più congeniale iniziare una seconda fase “piu’ matura” ; avevo stretto rapporti di amicizia con punk anarchici , cominciavo ad ascoltare qualche disco dei Crass ( che fino a quel momento avevo bandito dalla mia collezione ), ricercavo dischi di musica ska degli anni sessanta e ho iniziato a coltivare la passione per la fotografia e per ogni movimento antagonista Se è vero che dagli anni ’90 in poi la parola chiave è stata “individuo” – con tutti gli annessi e connessi - in questo primissimo scorcio di ventunesimo secolo assistiamo ad uno strano fenomeno, con questa spinta all’individualismo ancora più marcata (penso anche a come molte aziende offrano servizi modellati sull’esigenza del singolo “consumatore”), e al contempo il diffondersi a macchia d’olio delle tecnologie informatiche, del cosiddetto Web 2.0, di tutti quelle possibilità che dovrebbe aiutare le persone a fare network, a scambiarsi i pareri e i frutti
Il Porto di Voltri - foto di Fabrizio Barile 23 CMPST #4[09.2007]
Cronache Vere “Le generazioni fuori controllo sono esistite in passato e sono destinate ad esserci anche nel futuro. “
del proprio operato: insomma ad aggregarsi in nome di un idea o di un progetto comune. Eppure, anche così, si fatica – e stiamo parlando ovviamente di Genova – a respirare quell’aria di effervescenza, di forte motivazione “dal basso” che caratterizzava, probabilmente, le iniziative e i movimenti che ti hanno visto partecipe due buoni decenni fa. Sei d’accordo? Come vedi la questione dell’ ‘internet networking’ (tu che mi hai detto di fare largo uso di questo mezzo), le sue luci e le sue eventuali ombre? Nei primi anni ottanta non era neppure lontanamente immaginabile lo sviluppo dei mezzi di comunicazione che da lì a qualche anno si sarebbe attuato. Eravamo abituati a lunghe attese prima di ricevere il disco acquistato o la lettera dell’amico inglese, ma non per questo eravamo meno attivi e creativi delle nuove generazioni; certo le attuali “possibilità’“ hanno accorciato i tempi morti e hanno reso possibile una comunicazione in tempo reale. Fantastico! La mia preoccupazione e’ che anche Internet venga sottoposto a controllo eccessivo; in tal caso occorrerà cercare nuovi sistemi per comunicare. In linea di massima sono comunque favorevole allo sfruttamento di ogni mezzo tecnologico che semplifichi la vita. Tu ti autodefinisci “foto/discomaniaco”. Per te che significato ha – al di là di testimoniare la tua passione per il “nostro” mondo, quello di cui anche Compost si occupa e di cui è (o ci auguriamo che sarà) parte - il collezionismo di flyer, fanzine, dischi e tutto il resto? In che modo giustifichi (se mai che ne fosse bisogno) una passione così forte come la tua? Innanzitutto penso che una passione, in 24 CMPST #4[09.2007]
quanto tale, non debba essere giustificata. La definizione sopracitata mi e’ stata richiesta dall’organizzatore di un dibattito dal titolo “ DI/VERSI DI/SEGNI DI/SUONI “ che si e’ tenuto nel corso delle manifestazioni di “Marea 2007” a Fucecchio in Toscana; insieme a Freak Antoni degli “Skiantos” e a Davide Toffolo dei “Tre Allegri Ragazzi Morti”, si e’ dibattuto sul tema generale del rifiuto, inteso come atto volontario di diversificazione rispetto all’ordine precostituito. Nel pannello di presentazione del dibattito c’era la necessita’ di riassumermi in “una battuta” e così mi sono definito un foto/discomaniaco, e penso che sia molto vicina alla realtà dato che dedico molto del mio pochissimo tempo libero alla ricerca (maniacale) di dischi stampati nel mondo nel periodo 1976–1985, di poster di concerti, di flyer, di badges, fanzines e di ogni altro oggetto inerente. Nei primissimi anni ottanta ero troppo impegnato a pogare sotto i palchi e nonostante fossi già un accanito compratore di dischi, non avevo ancora completamente sviluppato questo interesse. Nei successivi venti anni e’ stato un crescendo che mi ha travolto e che ormai e’ parte di me. Nel 2005 hai curato nell’ambito della manifestazione “Magliette Strappate” a Savona, la mostra fotografica “Skin & Punks: Una Generazione Fuori Controllo (presentata originariamente due anni prima presso la Feltrinelli di Genova). Vuoi parlacene un po’? Nella presentazione scrivi che “(…) casualmente la mia Generazione Fuori Controllo ha coinciso con quella di punks e skinheads. Ma è solo casualità. Avrei potuto fotografare i teddy boys, i greesers, i rappers, gli skaters o chissà chi altro.” Secondo te c’è ancora spazio nell’era della globalizzazione (economica ma anche culturale, linguistica, ecc.) per una “generazione fuori controllo”? E
Nabat - foto di Fabrizio Barile se sì, da chi è rappresentata, a tuo avviso? A questo proposito, ho visto di recente una t-shirt ironica ‘figlia di questo tempo’ che mi ha fatto riflettere: c’era stampato: “Sono punk e pago con il bancomat”. Adesso che anche le istanze più estremistiche di ribellione all’industria culturale (e non) sembrano essere inglobate in un sistema teso a renderle accettabili ed inoffensive, adesso che tutti i taboo sembrano essere stati infranti, ora che la disillusione e il cinismo, fomentate dal consumismo ormai saldamente radicato nel mondo occidentale, sembrano uccidere sul nascere ogni proposito di costruire di alternative, in che modo è possibile “essere contro”?
Cronache Vere
Staglieno - foto di Fabrizio Barile La Manifestazione “Magliette Strappate“ si e’ sviluppata nel corso del pomeriggio e della sera ed e’ stata divisa in vari appuntamenti. Nelle ore pomeridiane era possibile visitare una interessante esposizione di magliette italiane e straniere, principalmente dedicate a soggetti di gruppi musicali punk e skin anni ’70 - ‘80, in aderenza allo spirito di quel periodo, molte era state autoprodotte e confezionate artigianalmente. Nelle ore serali, in un altro locale ho esposto le mie foto e i Klasse Kriminale hanno suonato per il pubblico presente. La mostra del 2003 presso la libreria Feltrinelli e’ stata molto importante perché con essa ho autoprodotto in mille copie il libro/catalogo. Nella seconda
parte della domanda mi chiedi se c’è ancora spazio per una generazione fuori controllo. Non ho nessun dubbio in proposito, le generazioni fuori controllo sono esistite in passato e sono destinate ad esserci anche nel futuro. Ritengo che la globalizzazione economica e culturale non possa cancellare l’intelligenza degli individui e la loro attitudine ad essere parte del concetto espresso dalla frase “una generazione fuori controllo“; certamente e’ il periodo storico che influenza le scelte generazionali , rendendole uniche. E’ insensato l’ottuso tentativo di rivivere ai giorni nostri la stessa ispirazione dei punks della prima ora, e per lo stesso motivo è irragionevole il continuo “incensamento” dei
tempi che furono a discapito di quanto di positivo avviene ai giorni nostri. Inoltre, l’aneddoto della maglietta, che tu hai riportato, è l’esempio tangibile di una commercializzazione del punk avventa nel corso di questi ultimi anni, che lo ha depurato di ogni contento originale riducendolo ad un fenomeno da baraccone. Decine di gruppuscoli che si autodefiniscono punk, possono contare su continui “passaggi“ su televisioni compiacenti, ma in realtà non hanno nulla a che fare con alcun movimento antagonista. Questa mancanza di contenuti e di progetti ha indotto un generale senso di ammorbidimento con conseguente rilassatezza di una parte delle generazioni più giovani, che, estremizzando, dovrebbero cominciare a scrivere meno email e a rompere più teste. Penso infine che la vostra decisione di creare una fanzine come questa sia un segno tangibile della vostra appartenenza alla generazione fuori controllo cui fate riferimento, la vostra creatività vi ha portato lontano dai canali tradizionali di comunicazione e avete sentito la necessita’ di lavorare ad un progetto comune. Voi siete già parte della odierna “generazione fuori controllo“. So che hai tenuto un seminario sulla fotografia all’Università di Siena. Leggo che ha iniziato a occuparti di fotografia nel 1989, che hai allestito le prime mostre tra il 1992 e il 1995 – inclusa una mostra fotografica sui monumenti cimiteriali di Staglieno, e che uno dei tuoi obiettivi è “suscitare imbarazzo e fastidio nello spettatore”. Ti va di approfondire un po’ questi temi, parlandoci del tuo personale rapporto con la fotografia, di quelle che ritieni essere le potenzialità e le caratteristiche di questo mezzo, e infine del tuo rapporto con la Genova dei quartieri popolari e dei suoi abitanti, forse il soggetto più caratteri25 CMPST #4[09.2007]
Cronache Vere stico della tua fotografia? Nel marzo 2007 ho tenuto un convegno dal titolo “Elementi Essenziali di Fotografia Creativa“ presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena, che era stato inserito in un ciclo di seminari dal titolo “Tecnologie applicate alle arti“. E’ stata una esperienza interessantissima ed e’ stata la prima volta che ho condotto una lezione universitaria. Oltre alle foto di punks e skinheads ho lavorato ad una mostra sui monumenti cimiteriali di Staglieno. Ho scattato anche molte foto di vita notturna, nei sottopassi genovesi, e in generale nelle periferie urbane, dove mi trovo a mio agio. Per quanto riguarda le foto provocatorie a cui fai riferimento nella domanda, fanno parte di un lavoro che ho iniziato e interrotto più volte. L’intento e’ quello di presentare immagini dal contenuto fortemente provocatorio con lo scopo di imbarazzare/infastidire l’osservatore. Non so se in futuro terminerò la mostra di queste immagini che fino ad oggi sono rimaste inedite. Ho iniziato a fotografare verso la fine degli anni ottanta, frequentando un circolo fotografico genovese , dove ho appreso le tecniche di stampa e di ripresa, ho anche approfondito gli argomenti comprando alcuni volumi di tecnica fotografica e manuali di camera oscura. Inizialmente, come tutti i fotoamatori inesperti, scattavo disordinatamente centinaia di fotogrammi con differenti soggetti e situazioni; poi ho avvertito la necessità di procedere seguendo un sistema più’ razionale. Scelto un soggetto sviluppavo una “ storia fotografica” composta da una decina di scatti e successivamente li montavo su pannelli per ottenere l’effetto finale. Il passo successivo e’ stato quello di scegliere argomenti più complessi e comporli con una sessantina di immagini. I soggetti che prediligo sono effettivamente rappresentati dalle peri26 CMPST #4[09.2007]
ferie urbane dove l’uomo e’ compresso dalle gettate di cemento, dalla disoccupazione e dal disagio sociale . Chiudo quest’intervista ringraziandoti per la disponibilità e chiedendoti di parlarci un po’ dei tuoi progetti per il futuro. So che stavi organizzando una mostra sulla Street Art (di cui sei anche vorace collezionista), e immagino che sarai impegnato con la realizzazione di altri progetti, inclusi quelli con la tua label… In occasione del trentennale della nascita del punk, nel giugno 2007 ho allestito una mostra presso la libreria genovese “Books in the Casba“ dal titolo “No Beatles , Elvis or Rolling Stones In The Years of Anarchy and Chaos“, curando una esposizione di dischi e memorabilia dell’epoca che ne valorizzasse l’autoproduzione caratteristica del periodo. Dato il buon successo di visitatori, ho deciso, insieme agli organizzatori, di prolungare l’esposizione fino ai giorni nostri; anzi , colgo l’occasione per invitare i vostri lettori, che non l’avessero ancora vista, a recarsi presso la succitata libreria. In questo momento sto lavorando , insieme ad un amico alla realizzazione di un fumetto ispirato a brevi racconti che scrivo saltuariamente. Sono storie urbane di persone che perdono il contatto con la realtà , vivendo in un mondo parallelo , talvolta violento altre solitario. La parte grafica e’ ancora in fase di esecuzione e mi auguro di poterlo stampare nei prossimi mesi. Ho anche ripreso l’attività’ con la mia label “Lanterna Records” e dopo il singolo dei Gangland, una storica band skinhead degli anni 80, sto producendo un disco dei Dangerous Chickens, un interessantissimo duo spezzino che suona un abrasivo rock’n’roll che non lascia prigionieri sul campo! In futuro vorrei realizzare anche un altro libro fotografico ma non ho ancora deciso
Centro Storico - foto di Fabrizio Barile se dedicarlo nuovamente a punks e skins o se includere altre immagini realizzate con skaters e altre realtà giovanili. Proprio in questo contesto vorrei intensificare i rapporti con gli artisti che hanno fatto della “street art “ la loro missione. Possiedo centinaia di foto dei loro messaggi murali ma vorrei conoscere meglio i loro progetti e motivazioni. Sono io che ringrazio Voi , per lo spazio che mi avete concesso e per la vostra decisione di realizzare questa fanzine. Per contatti: fabrizio.barile@libero.it
Import “Nei primi tempi in cui vivevamo qua le nostre canzoni erano molto malinconiche per la nostalgia di casa, ma anche perché questa città tende a creare quella atmosfera“ Aparecidos Intervista con Santiago, Facondo e Tommaso. di Daniele Guasco
AZZARDI SPONTANEI Gli Aparecidos, con il loro miscuglio tra musiche sudamericane, folk e influenze jazz, sono sicuramente uno dei gruppi genovesi che più mi hanno impressionato quest’anno tra quelli che ho avuto modo di sentire. Freschi di realizzazione di un ottimo cd abbiamo fatto questa chiacchierata sulla loro storia, la loro musica i loro progetti anche diversi dalla band. Mi incontro con gli Aparecidos in piazza Caricamento in un fresco pomeriggio di inizio settembre, proprio davanti a quella scritta “Bruno dacci i soldi” che fa quasi da cartello d’ingresso a Piazza Banchi e che ormai è diventata un inno per questo gruppo genovese. Mentre con Santiago è Facondo Moreno, i due chitarristi argentini della band, aspettiamo il contrabbassista Tommaso Rolando è proprio il primo di questi due a tirare in ballo quella frase “Prima o poi scopriremo chi è questo Bruno, il pezzo nacque per caso ma ormai è diventato un nostro simbolo”. Con l’arrivo di Tommaso ci dirigiamo verso i tavolini di un bar chiuso per iniziare questa chiacchierata sulla musica degli Aparecidos, sulla loro storia e sulle esperienze personali di questi tre musicisti. Partiamo dalla storia del gruppo. Qual è il percorso degli aparecidos? Facundo: Nostro padre ci aveva iscritto a un
concerto per gruppi emergenti e ha messo lui il nome. Santiago: L’ha preso dal nome con cui chiamavo gli gnomi che facevo e vendevo alle bancarelle di artigianato di Sestri Levante. Anzi, a dirla tutta siamo arrivati in Italia tra il 2001 e il 2002 proprio facendo questi mercatini. F.: In quel periodo facevamo le scuole serali qua a Genova, e lì conoscemmo Mattia Tommasini, il violinista del gruppo. Decidemmo di suonare assieme un paio di canzoni, pensa che già allora facevamo il tre “Lagrimas de tierra” che poi è finita anche nel cd. Iniziammo così a provare all’ultimo piano della scuola. S.: Noi suonavamo già spesso per strada e ogni tanto Mattia veniva con noi. Iniziammo come trio chitarre e violino suonando ogni tanto nei bar e intanto provavamo vari musicisti, finchè un giorno mentre suonavamo in Piazza Lavagna conoscemmo Tommaso tramite la sua ragazza
e iniziammo a provare in quattro a casa nostra. Tommaso: La prima volta però vi avevo visti a San Lorenzo, ricordo che il sassofonista dei Calomito venne a parlare con voi, poi un’altra volta vi avevo sentito suonare a una manifestazione a Caricamento. Comunque poco dopo chiamai Santo Florelli a suonare la batteria e lì iniziammo a creare un po’ di canzoni fino al nostro primo concerto a Bogliasco. F.: Oltretutto avevamo già fatto una registrazione io, Santiago e Mattia in presa diretta con Mattia Cominotto dei Meganoidi. T.: In quel periodo, nel 2004, i tempi erano molto dilatati e capitava anche di suonare in trio senza Mattia al violino. S.: Le cose però sono cambiate con l’inizio della collaborazione con il teatro della Tosse. Un giorno stavamo suonando per strada e ci ha sentito Marina Petrillo, la responsabile degli spettacoli, ci ha fatto ascoltare al regista Sergio Maifredi e lui ci ha inserito in uno spettacolo, “Froken Julie” di August Strindberg.
Direi che la collaborazione con il teatro della Tosse è andata più che bene. Mi incuriosisce molto il vostro spettacolo: “Malevo, il vento ti spinge a terre strane”, come è nato questo pro27 CMPST #4[09.2007]
Import getto? S.: Lo spettacolo nacque proprio a seguito delle esperienze lavorative con il teatro. T.: La cosa bellissima ma che al tempo stesso ci spiace ancora fu che la sala era talmente piena che fummo costretti a malincuore a lasciare fuori molta gente. Non ho visto lo spettacolo purtroppo, ma da quel che ho letto era caratterizzato da un fortissimo messaggio politico e sociale. S.: L’intenzione era proprio quella di sfruttare questa opportunità che ci aveva dato il teatro della Tosse per dire qualcosa. Il malevo è un tipico personaggio immigrato in Argentina che si ritrova escluso dalla società, è un uomo che vive per strada arrangiandosi come può ma con dei principi molto forti, molto dignitoso nonostante sia un perdente. Nel nostro spettacolo questa figura era rivissuta qua in Italia, dove molte persone emigrano per ragioni politiche od economiche, una esperienza che abbiamo vissuto anche noi così come molti altri. Siamo così riusciti a parlare di dittatura, di desaparecidos. T.: Abbiamo anche chiamato Daniel, il padre di Santiago e Facundo, che quando stava in Argentina era un attore, e Antonio Tancredi (attore e regista teatrale. nda.) a cui è piaciuta subito l’idea. Insieme hanno preparato una specie di dialogo con delle letture il quale si svolgeva durante il concerto, un discorso molto ironico ma al tempo stesso molto cattivo nel puntare il dito sulle colpe della Chiesa o sull’atteggiamento menefreghista dei politici occidentali, comunisti compresi, nei confronti della grave situazione argentina durante la dittatura.Alcune persone
“Alcune persone durante questi dialoghi sono arrivate al punto di alzarsi e andarsene.“
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durante questi dialoghi sono arrivate al punto di alzarsi e andarsene… La vostra attività live però non si è fermata certamente a Genova, ho visto che avete fatto un buon numero di date in giro per l’Italia in questi anni e persino una tuornè in Russia. T.: Le date italiane sono nate per passaparola, nella maggior parte dei casi grazie all’aiuto di altri ragazzi argentini, sia a Roma che nelle bellissime esperienza dei festival di teatro di strada come quello di Ghironda a Martina Franca. F.: Nei concerti in Russia invece eravamo solo io e Santiago, accompagnavamo la cantante Tatiana Zakharova. Torniamo sulla musica degli Aparecidos. La caratteristica che mi piace di più delle vostre canzoni è l’incredibile coesione che riuscite a creare tra le diverse contaminazioni, nelle vostre note vivono benissimo insieme la musica per chitarra argentina, il jazz e il folk, creando un suono praticamente inedito nella sua composizione. Come siete riusciti a raggiungere in così poco tempo una unione così precisa e al tempo stesso originale? S.: Penso che questa unione sia nata in maniera molto naturale. T.: Nella prima fase degli Aparecidos io e Santo ci adattavamo più che altro. Dopo un certo periodo però pur venendo la maggior parte delle prime idee da Santiago e Facundo le canzoni hanno iniziato a nascere in maniera più corale e spontanea. Non abbiamo neanche dei modelli di riferimento unici, ognuno ha il suo bagaglio musicale e i suoi gusti, tanto che se ti capita di finire in macchina con Mattia non c’è da stupirsi se dall’autoradio escono le canzoni della compilation del festivalbar. Per quanto queste basi siano realmente diverse per ognuno di noi siamo
Tommaso Rolando - foto di Anna Positano comunque riusciti a unirle spontaneamente in una buona convivenza. S.: Trovo difficile parlarne. Nel disco ci sono parti folk, assimilabili alla musica popolare che si punto in bianco vedono esplosioni alla Calomito per mano di Tommaso. F.: Si alla fine non cediamo a nessun genere in particolare. T.: Ci ha aiutato molto anche il fatto che ormai in questi anni siamo diventati realmente amici anche al di fuori della sola esperienza musicale, tanto che poco tempo fa sono andato in
Import “Queste collaborazioni ci stanno facendo crescere molto, così come la possibilità di suonare sia in due che in dieci. Non so se queste cose sarebbero potute succedere in altre città.“ Argentina con loro conoscendo anche la loro famiglia. Volevo chiedere a Santiago e Facundo com’è la situazione musicale in Argentina dato che oltre a esserci nati e cresciuti ci tornano spesso. S.: Noi veniamo da un piccolo paese totalmente privo di influenze straniere, non solamente nella musica, non c’erano immigrati di altri posti dalle nostre parti. F.: La musica come molte altre cose è vista in maniera molto tradizionale e nazionalista quindi è ben difficile se non impossibile ascoltare in Argentina musica americana o europea. S.: In Argentina può capitare persino di trovare gruppi di ragazzi che definiresti punk ma che suonano tango. Anche il gruppo metal tamarro Alma fuerte inserisce spessissimo musica del folklore argentino nei suoi pezzi. T.: Quando sono andato in Argentina con loro sono rimasto veramente colpito da come nella spiaggia del campeggio dove stavamo i ragazzi invece di suonare canzoni tipo quelle che si sentono dalle nostre parti suonavano dei tanghi splendidi. Genova invece come ha segnato la vostra musica? F.: Nei primi tempi in cui vivevamo qua le nostre canzoni erano molto malinconiche per la nostalgia di casa, ma anche perché questa città tende a creare quella atmosfera. Più che altro ci ha aiutato tantissimo suonare con altri musicisti di queste parti.
Infatti volevo chiedervi anche cosa ne pensate del panorama musicale cittadino. S.: Io trovo che ci sia una bella solidarietà tra i musicisti che possono essere più o meno vicini tra loro, non solo come genere. T.: Genova alla fine è un piccolo paese che sembra una città, ci si conosce tutti fra chi suona un certo tipo di musica ed è anche molto facile collaborare. Noi con gli Aparecidos abbiamo creato una specie di gruppo aperto, pronto ad accogliere spesso e volentieri la partecipazione di altri musicisti cittadini come Marco Ravera che ci ha insegnato come una chitarra elettrica possa non stonare per niente sulla nostra musica, queste collaborazioni ci stanno facendo crescere molto, così come la possibilità di suonare sia in due che in dieci. Non so se queste cose sarebbero potute succedere in altre città. S.: Ad esempio un gruppo a cui dobbiamo tantissimo sono gli En roco, ci hanno aiutato a trovare delle date fuori da Genova e ci hanno nominato spesso nelle interviste. Abbiamo anche suonato insieme qualche volta e sono state esperienze splendide. F.: Sono queste le cose che ci fanno apprezzare tantissimo Genova e il suo panorama musicale.
le, mi è capitato di andare a sentire degli ottimi gruppi rock e non vedere nessuno ballare o anche solo muoversi intorno a me, mentre magari con la musica popolare la gente inizia a saltare e a danzare. T.: Io suono anche con l’Orchestra Bailam che è tipicamente folk e quando suoniamo dal vivo i giovani, particolarmente nel sud Italia, sono caldissimi per questo tipo di musica. Basta pensare anche alla riscoperta delle tarantelle. F.: Oppure anche alle orchestre di immigrati che suonano la musica dei loro paesi d’origine come quella di piazza Vittorio a Roma, ne è nata una anche qua a Genova. S.: Si creano dei bei miscugli e ogni tanto ne nascono anche delle cose nuove e interessanti. T.: Secondo me comunque più che altro si tratta di un ritorno alle origini, alle proprie radici. A me manca totalmente la musica folkloristica del mio paese e probabilmente quando troviamo un legame con questa ne andiamo matti. La mia ragazza sta prendendo lezioni di fisarmonica con un maestro anziano che le sta insegnando a suonare i pezzi classici della tradizione italiana. Mia madre che mi guardava perplessa quando le facevo ascoltare i Calomito sentendola mentre si esercitava mi ha detto di conoscerle quelle canzoni.
In questi ultimi anni a livello sia internazionale che nazionale sta avvenendo una riscoperta della musica folk del proprio paese e non solo. Basta pensare a Beirut o agli A Hawk and a hacksaw con cui avete diviso il palco del Buridda la primavera scorsa, o restando più vicini ai nostrani Ronin. Avendo gli Aparecidos una forte caratterizzazione folk nella loro musica cosa ne pensate di questo fenomeno? F.: Secondo me sono dei cicli che si completano e continuo. Trovo strano il pubblico attua-
Vorrei approfittare della presenza di Tommaso per chiedergli due cose anche sui suoi altri progetti. Particolarmente i Calomito: è un po’ che non sento parlare del gruppo, che fine ha fatto? T.: I Calomito sono il progetto nasce con i compagni di scuola, che cresce come unico pensiero per tutta l’adolescenza, ma che poi trova le sue difficoltà per più motivi. Quelle che componiamo non sono canzoni è musica ostica, e in più ora siamo cresciuti e magari alcuni membri originari si sono anche allontanati da Genova, 29 CMPST #4[09.2007]
Import “vorrei portare la nostra musica anche fuori città in maniera meno sporadica di come abbiamo fatto finora.“ come il sassofonista che ora vive a New York, o il batterista che vive a Roma e lavora come fonico. Mancano le occasioni ma siamo in fase di rigenerazione con nuovi membri come Nicola Magri (già nei K.c.Milian, nei Sensasciou e con me nei Soyuz). Sta cambiando il modo di elaborare i brani dato il poco tempo a disposizione, ora arriviamo ognuno con gli spartiti già pronti e con l’idea di quello che vogliamo fare come scheletro dei pezzi, pur essendo sempre stati molto lenti però stiamo già preparando i brani per un nuovo disco. Secondo me è sempre stato impossibile dare una definizione unica di jazz, ognuno ha il suo modo di suonarlo e per me i Calomito ne avevano uno a mio vedere incentrato sul giocare con la serietà che normalmente caratterizza questa musica. T.: Si esatto, con i Calomito l’aspetto ludico è sempre stato indispensabile anche se non penso che si tratti effettivamente di un gruppo jazz pur essendoci avvicinabile. Io ho sempre odiato l’ambiente da jam session competitiva così come la marchetta da turnista, pur avendone fatte diverse, pensavo di poterne imparare qualcosa, invece si impara molto di più suonando il più possibile con diversi progetti, facendo più esperienze in cui però puoi dire la tua sulla musica che si suona. Coi Calomito eravamo arrivati a un incrocio tra scrittura e improvvisazione, succedeva di andare a fare concerti senza stabilire neanche una tonalità precedentemente, ci piaceva stupire e prendere in giro allo stesso momento l’asocltatore. 30 CMPST #4[09.2007]
Come possono essere collegati i Calomito e gli Aparecidos? T.: Entrambi i gruppi si basano sulla spontaneità, sugli azzardi. Del tuo progetto solista Stoni invece cosa puoi raccontarci? Ci sono anche con lui collegamenti con gli Aparecidos? T.: Stoni è un progetto acerbo, in divenire. Probabilmente molti assoli degli Aparecidos possono essere avvicinabili, il giocare con i rumori, con le stoppature e gli sfregamenti delle corde. Nelle parti più improvvisate degli Aparecidos questo succede spesso. Stoni comunque alla fine è una mia valvola di sfogo che tengo sempre aperta. Non è un ascolto semplice ma mi sembra che in Italia ultimamente questo modo di fare musica stia prendendo molto piede. Io non faccio però niente di nuovo, sono quasi più legato a musiche sperimentali degli anni settanta. Per finire questa intervista, avete appena finito un cd autoprodotto, quali saranno i prossimi passi degli Aparecidos: S.: Ora vogliamo trovare un’etichetta per il disco prima di tutto. Ora più che mai vorrei uscire da Genova, qua ci troviamo molto bene anche con l’innesto di Manuel, il nuovo percussionista e il pubblico cittadino è fantastico ai nostri concerti, ma vorrei portare la nostra musica anche fuori città in maniera meno sporadica di come abbiamo fatto finora. T.: Il disco è nato comunque in anticipo sui tempi che sarebbero serviti. Non eravamo pronti secondo me, ma Santiago doveva andare per otto mesi in Argentina quindi avevamo fretta. Ci andò veramente di fortuna con i soldi per realizzarlo. Volevamo fare un lavoro professionale con Federico “Bandiani” Lagomarsino nel suo studio ma non avevamo i fondi. Successe che Marina
Aparecidos - foto di Anna Positano Petrillo, come una cosa caduta dal cielo, come se fosse destino, ci chiamò per suonare a Imperia a Grock festival con come compenso proprio la cifra esatta che ci serviva. Ovviamente ne abbiamo felicemente approfittato. S.: Comunque le priorità ora sono far girare questo disco il più possibile e come sempre suonare tantissimo. Più info sugli Aparecidos su http://www.myspace.com/aparecidos
Columns Indie Maphia For Dummies di Daniele Guasco Proprio un bel ginepraio quello in cui mi sono cacciato dando questo titolo alla mia column, ma ormai la frittata è fatta e quelle quattro parole insieme mi piacciono ancora. Ciò non toglie che arrivato alla scadenza per la consegna del mio quarto intervento mi sono trovato privo di idee su cosa scrivere, o meglio, su cosa avevo effettivamente voglia di scrivere. Come chiunque si trovi in questa situazione ho quindi deciso di fare un giretto su internet e tra qualche mp3 in anteprima trovato girando sui blog e un paio di dichiarazioni da brividi sono finito sul sito di Repubblica nel quale mi sono imbattuto in un paio di foto che mi hanno fatto capire che c’è una cosa che manca fin troppo spesso nel mondo indie più o meno duro e puro: le storie. Le foto erano quelle dell’esibizione di Britney Spears agli Mtv music awards americani, una diva impacciata e soprappeso che si umilia davanti a milioni di spettatori per la gioia del gossip. Britney Spears è la Barry Lyndon della musica mainstream moderna, la sua è una parabola discendente entusiasmante ed avvincente. Ormai una decina di anni fa appare uscendo dal nulla questa ragazzina acqua e sapone che tra ritornelli facili e balletti adolescenziali si fa subito riconoscere per dichiarazioni pro-verginità degne di Don Giussani e per l’atteggiamento innocente, la figlia che tutte le mamme d’america avrebbero voluto avere. Non sono un biografo, e non posso negare che le vicende della carriera di Britney avvenute in quegli anni a cavallo della fine del millennio mi sono abbastanza oscure, quello che so per certo è che qualche anno dopo, magari sentendo che la minestra che serviva iniziava a diventare fredda, decise di tirare fuori il suo lato da maiala, shockando mamme, bambine, bambini e coniglietti. L’apice di quel momento resta il bacio saffico con Madonna, una trovata a dir poco geniale. Poi si è sposata, ha avuto un figlio (credo solo uno) ed è iniziato un tracollo degno di Scarface il cui primo passo (vado a memoria) credo sia il
divorzio dal marito accompagnato dalla splendida gara a chi minacciava meglio di mettere i filmini zozzi casalinghi della coppia in rete. Il resto è pura magia hollywoodiana: serate di autodistruzione in un turine di eccessi con le amichette dello showbusiness, foto voyeristiche di inguardabili upskirt, fino ad arrivare al capolavoro, al tocco di genio: la pazzia con tanto di rasatura e 666 scritto sulla fronte. Questo è semplicemente l’evento più rock avvenuto dagli anni ’80 a oggi, e chi se ne frega della musica (che come avrete capito in questa storia è un’attrice non protagonista, se non una comparsa). Lo ammetto, il deprimente e tragicomico ritorno sulle scene di ieri sera va un po’ a rovinare quel finale travolgente visto nella clinica di disintossicazione, ma anche questo è spettacolo. Pensateci a questa storia, perché è una bella storia, e nelle mani di un abile regista da biografie sarebbe un film splendido, alla faccia delle chitarre, delle spillette, delle giacche con le converse, ma anche della sperimentazione e dell’avanguardia. Nothing To Shout About di Matteo Marsano Quarto numero di CMPST, issue settembrina – un mese generalmente fioccante di buoni propositi. Un mese buono per trovarsi un titolo definitivo da dare alla column. Un mese buono, almeno quanto e più degli altri, per riflettere. Riflettere su quanto spesso la musica di oggi (e non solo questa) sia asservita all’ideologia dominante, priva com’è di contenuti forti, e talvolta –spesso, e purtroppo- non altro che un veicolo per l’affermazione personale degli individui. Una perentorietà, la mia, che molti dei nostri (innumerevoli, va da sé) lettori non esiteranno a fare propria pensando all’entità tentacolata e cancerogena che risponde al nome di “industria discografica”. Con il rischio, calcolato, di trovarsi di fronte al più classico caso di scoperta dell’acqua calda. Ma che dire invece della nostra beneamata “musica indipendente”? Quasi un anno fa la CNN pubblicava uno
“Special Report” sulla scena indie americana (http://edition.cnn.com/SPECIALS/2006/indie. scene). Report che vi consiglio ovviamente di andare a spulciare, pieno com’è di spunti di riflessione (vedi incipit). Quel che mi sento di riportare in questa sede sono un paio di frasi di Ryan Schreiberg, editor e fondatore del celebre/famigerato Pitchfork Media (http://www. pitchforkmedia.com), il quale commenta così l’avanzata delle major nel playground indipendente, e l’influenza dello stereotipo “indie” nelle politiche delle grandi etichette “(…)Smaller music labels, eager for financial success on a wider scale, have adopted business practices of major labels once considered anathema in the scene, like hiring PR firms and street teams to market their records and licensing songs to advertising companies. Conversely, major labels and film studios now use the indie tag to market authenticity, often slapping an indie label on a piece of art, even if the label isn’t necessarily accurate, to attract a hipper, younger demographic eager for original and offbeat entertainment.” “Indie”, nell’ottica della cultura di massa, indica un tipo di intrattenimento giovane, cool e dai toni anti-accademici e iconoclasti. Tutto qui. La domanda, che sorge spontanea, è se sia accettabile questa lettura del mondo come di un insieme di diverse fasce di pubblico e di consumatori – tali che siamo, a questo punto, se è vero che nell’era di Internet ”indie” non è che un marketable lifestyle come gli altri. Per questo mi preme rimarcare l’importanza del “messaggio forte” nella musica. Della forma e della sostanza, che questo messaggio dovrebbero rimarcare e rendere ancora più esplicito. Dell’impegno e dell’integrità di chi non accetta che il proprio lavoro sia bollabile come puro intrattenimento, o addirittura non si cura che venga o meno definito cultura/arte (qualsiasi cosa queste parole significhino); e nemmeno si lasci sedurre da elitismi di sorta; ma che abbia veramente qualcosa di importante, urgente e sentito da dire, a tutti quelli che vorranno ascoltare. 31 CMPST #4[09.2007]
Columns This Ain’t No BBQ di Anna Positano September, please, come back! Tanto per citare Albe in una vecchia hit degli Ex-Otago. A essere sincera, in questi ultimi anni il passaggio tra agosto e settembre mi risulta meno doloroso e malinconico; sarà che non ricomincia la scuola, sarà che non sono propriamente iniziate le vacanze, sarà che non vado più in montagna per tutto agosto, sarà che non sono mai stata la figa della spiaggia, sarà che non ci sono più le mezze stagioni. Boh. Sarà che il mezzo litro di tè verde che ho appena tracannato mi sta facendo male e scrivo a vanvera. Comunque settembre rimane il mese che mi frustra di più. Vago tra l’iperattivo e l’essere un catorcio, e penso che dovrei (ri)cominciare a suonare col mio gruppo dal nome slavo (ehi, voi due! Lo so che state leggendo, questo è un invito formale). Ecco che l’odioso spirito di settembre mi fa fare buoni propositi per la nuova stagione, che saranno puntualmente disattesi dal mio lato catorcio. Tipo, tra un quarto d’ora dovrei andare a correre, ma devo finire di scrivere qui... be’... uffa. Insomma, settembre è un gran caos mentale, mille progetti e se va bene ne realizzo uno. Mi sono anche ripromessa di affrontare gli argomenti senza far pesare troppo le mie posizioni da atea-veterofemminista-politicamentescorretta-comunistamangiabambini-vegetariana. Proposito non rispettato almeno dieci volte tra ieri e oggi. No, anche adesso che devo introdurre la ricetta del mese non resisto: qualche tempo fa un quotidiano locale ha più o meno regalato una rivista tipo Donna Moderna versione pisello, del genere “Il tuo salsiccione per farla impazzire a letto”, “Se i tuoi piedi puzzano di camoscio morto è il caso che ti cambi calzini”, “Aydah Staceppadimi***** alla sagra della pannocchia: così non l’avete mai vista”. Tra tutti gli articoli mi ha colpito una rubrichetta di cucina, volta a salvare il povero lettore 32 CMPST #4[09.2007]
export-segaiolo trenasettenne dall’infarto, causato dai quotidiani hamburger cotti nel tristo padellino da uno, nel suo grigio bilocale ikea, periferia di Mi l’ano. Una rivelazione: finalmente qualcosa da prendere quasi sul serio. Una ricetta (non dichiaratamente) vegan! L’ho testata facendo qualche variazione, ottenendo ufficialmente l’approvazione delle Amplifon. Quantità non mi ricordo, e secondo me va bene come piatto unico, regolatevi: pasta (corta) lenticchie (meglio secche, altrimenti in latta) cipolla bietole/spinaci/quellarobaverdechedisolitosiscarta pomodori (veri, non pelati da latta o passata!) aglio peperoncino Per prima cosa mettete a bollire in una pentola le lenticchie secche in acqua salata (circa 30 min.). Se le usate in latta, no. Fate bollire le bietole/spinaci in una pentola che poi userete per cuocere la pasta (quindi conservate l’acqua di cottura delle verdure). Tagliate la cipolla a pezzettini e mettetela a soffriggere in una padella con un po’ d’olio, aglio e un pizzico di sale. Non fatela bruciare e giratela spesso! La padella deve essere sufficientemente capiente. Tagliate i pomodori in piccoli pezzi e aggiungeteli alla cipolla, regolate di sale e fate andare per un po’ a fuoco vivo (NON deve cuocere troppo!). Scolate bene la roba verde e mettetela nella padella, abbassando la fiamma. Aggiungete il peperoncino e le lenticchie (quando sono cotte). Nel frattempo preparate la pasta, e quando l’avrete scolata mettetela nella padella insieme a tutto il resto. Alzate il fuoco per un minuto, mescolando sempre. servite. Per concludere, settembre a genova significa festa dell’unità. alla festa dell’unità servono la coca-cola. ad agosto gigi, noto oste genovese, rispose ad alcuni ragazzi che volevano la coca-cola di farsi pisciare in bocca da bush. che quella era coca-cola. Settembre, per favore, vaffanculo.
An inconvenient truth ovvero anche COMPOST dà il suo contributo per rallentare il cambiamento climatico di Carlotta Queirazza Il principio delle 3R Lo dice anche quel glam/musicista/surfista/ regista di Jack Johnson ‘We’ve got to learn to Reduce, Reuse, Recycle’, è il principio delle 3R per la gestione dei rifiuti: R-idurre, R-iutilizzare, R-iciclare. Per risparmiare risorse naturali e prevenire l’inquinamento è necessario prima di tutto R-idurre la quantità di rifiuti prodotta.. come? Comprando meno. Chiaramente non si chiede di rinunciare proprio a quegli acquisti che vi riempono di immensa gioia.. e neanche si chiede di tenervi a stecchetto.. magari però quella dozzina di magliette di H&M tutte uguali.. ‘and if your brother or your sister’s got some cool clothes You could try them on before you buy some more’. Quindi R di riutilizzo: se non riusciamo proprio a ridurre quello che compriamo, almeno prima di gettarlo, vediamo se qualche amico lo vuole. Reclaim your cloths! Io e le mie amiche facciamo così. Poi si e’ parlato diverse volte di organizzare una domenica di fine stagione, ad esempio di fine estate, in cui si svuotano gli armadi e si tira fuori tutto quello che non si vuole più. Una sola regola: la merce si scambia e solo se lo scambio non riesce proprio allora si passa ai soldi. Poi la terza ed ultima R: riciclo. Ecco, il dilemma più comune tra chi fa già o vorrebbe fare la raccolta differenziata è ‘cosa si può riciclare? Devo lavare la bottiglia prima di buttarla? E il tappo? E il contenitore delle uova?’.. Non c’e’ una risposta univoca a queste domande, dipende dal comune in cui si abita, nel senso che, a seconda dell’impianto in cui vengono portati i materiali separati, si possono o meno buttare determinati prodotti. Per fare un esempio, di solito sono gli oggetti in plastica quelli più dibattuti. Qui a Vicenza fino al mese scorso si potevano buttare solo le plastiche marchiate con la sigla PET, PVC oppure PE (a volte anche sostituite da numeri all’interno di un triangolo di frecce), che tipicamente sono le bottiglie dell’acqua, vaschette di plastica, contenitori
Columns per yogurt, ecc. Ora la municipalizzata ha deciso di riciclare la plastica in un nuovo impianto dotato di un sistema per la separazione dei diversi materiali ed ha quindi mandato un volantino a casa in cui si elencano i prodotti plastici che da questo mese si possono riciclare: bottiglie e flaconi, recipienti e scatole in plastica, sacchetti, polistirolo espanso, ecc. Se abitate a Genova invece, nel sito dell’AMIU (www.amiu.genova.it) precisamente seguendo il link ‘raccolta differenziata’ della colonna di sinistra, trovate svelato il mistero di cosa si può buttare e cosa no. Ad esempio nella campana della plastica non si possono buttare i materiali in plastica sporchi di cibo o contenenti sostanze pericolose come vernici e colle. Quindi, per concludere, ricordate: R-idurre, R-iutilizzare, R-iciclare, in pratica tirate fuori con fierezza il lato genovese e creativo che c’e’ in voi. Viva il principio del polpettone! Non Sono Un Poeta di El Pelandro Non amo visceralmente l’estate. Non la attendo trepidando durante l’anno; non mi dispero quando, come in questi giorni, termina. Dei mesi passati ricordo nostalgico le ore trascorse a rinfrescarmi con l’aria condizionata. Come me la pensano in tanti, ma non tutti. Una mia conoscente ad esempio d’ estate si trasforma. Dimessa e virginale nella consuetudine invernale, con la canicola invece suòle trasmigrare nei panni di pantera sorniona dell’arenile. Prendendo colore al sole, si tatua con l’hennè, selvaggia, ammaliando i vicini d’ombrellone con sguardi voluttuosi ed erudite dissertazioni su filosofie orientali, meditazione, oroscopi indiani e Reiki. Voci le attribuiscono persino competenze radicate nella teoria e nella pratica del dirty sanchez, altra sublime disciplina new age.
A Steady Diet Of Mat di Matteo Casari Parto di nuovo da uno spunto altrui per questa column: Daniele Assereto della redazione di Genovatune, scrive sul forum un’interessante paragone. La faccio breve: i concerti sono come gli incidenti, se son grossi vai a vederli apposta, se son piccoli ti fermi a guardarli mentre passi ma poi tiri dritto e ti dimentichi. Mai similitudine fu più calzante, e vorrei scagliarmi in queste righe contro tutti quelli che sono stati a vedere un concerto di un loro amico. Magari divertendosi. Magari entusiasmandosi. E poi mai più niente. Ma perchè non riuscite a capire che ciò che vi ha divertito è ripetibile, che potete mettere in agenda di tornare ad entusiasmarvi, con uno sbattimento minimo? Se avessi fidelizzato anche solo un centesimo delle persone che son passate ai concerti oggi riempirei un palazzetto. Per carità, non che non mi piaccia vedere facce nuove ogni sera, nuove espressioni di scandalo negli occhi di un pubblico spesso ignaro come quello casuale, però dai, non potete negarmi che riuscire ad andare in un posto e aver la possibilità di socializzare sia un qualcosa da deplorare. Un appello, quindi, agli umarelli da incidenti, tornate sul luogo del delitto, avete solo che da divertirvi. Un minuto di storia di Marco Giorcelli Brigate Rosse. L’unico rimpianto per questa città. Non aver quei cinquant’anni necessari, quelli dello stesso Torlai, per capirci, per capire, per sentir scorrere il cortocircuito che nessuno vuol ricordare, nemmeno chi lo ha provocato, e chi lo evoca, lo fa in maniera piuttosto superficiale e soprattutto partigiana, in teatro come nel cinema. Ho un conoscente che ne faceva parte, nella fase degli anni ottanta, quando era un tutti dentro prima della bevuta defini-
tiva. Quando lo incontro non sono mai sazio, mai satollo e lui, bravissima persona, mai pentito, da ventitre anni a trent’anni a Porto Azzurro, praticamente tutta la vita da vivere, mi inonda di ricordi, ma più che altro di emozioni, di sensazioni, di palpitazioni. Non è politica questa. Non è apologia né revisionismo. E’ altro. E’ un io non c’ero. E conta tanto quanto i Doria o gli Embriaci. Testi ce ne sono a bizzeffe, cittadini e nazionali. Io ne caldeggio uno minore, più in sordina, ma splendido. Memorie dalla Clandestinità - Un terrorista non pentito si racconta. Era stato pubblicato nel 1980, ristampato ora non ricordo da quale casa editrice, ma si trova comunque. L’autore è anonimo. Valide Allternative al Bricolage Culturale DIYC 2.0 risponde il Dott. Cesare Pezzoni Bla Bla Bla dal primo numero. Quale è la differenza tra no copyright e copyleft? Vincenzino, 33 (pesci) , Ischia. Caro Vincenzino, ti porto nel cuore. Se foste dei bravi figliuoli avreste fatto prima questa domanda. Prima di tutto immaginatevi un continuum che va da “copyright” e finisce in “pubblico dominio”. In Copyleft è a metà. Mentre il Copyright dice “tutti i diritti sono riservati” il Copyleft dice “qualche diritto è riservato”. Questa cosa l’ho copiata dal sito di Creative Commons (www.creativecommons.org). La cosa può non sembrare molto innovativa per il tono moderato della definizione ma la portata rivoluzionaria del concetto si intuisce riflettendo sul sottile giuoco di parole delle due definizioni. Copyright è come sapete “diritto di copia” ma right è anche “destra”. Copyleft apparentemente ribalta semplicemente da destra a sinistra (cosa suggerita anche dalla C dentro il cerchio ribaltata del logo del copyleft), in realtà come saprete left è anche il participio passato di to leave, lasciare. La traduzione di Copyleft diventa anche qualcosa di simile a “concessione di copia”. Ed ecco la rivoluzione. Là dove la legge ti dice che 33 CMPST #4[09.2007]
Columns il diritto di copia è esclusivo, il copyleft si traduce in una serie di concessioni gratuite, deroghe, a questo diritto esclusivo. Utilizzando la massima tutela per concedere degli spazi. Un po’come se io mi comprassi casa e poi concedessi a voialtri alcuni vani: posso farlo proprio perché è mia. No Copyright è qualcosa di diverso. In quel continuum si pone in corrispondenza del Pubblico Dominio, o forse ancora più in là. In pratica si tratta di una posizione che non considera legittimo il quadro legislativo del copyright, e quindi si pone al di fuori della legge, quando non esplicitamente contro, per rivendicare il proprio diritto al possesso della conoscenza. Può sembrare una teoria ingenua ma ha illustri teorici alle spalle. L’assunto comune è che in arte e in cultura, come in fisica, nulla si crea e nulla si distrugge. La genesi della conoscenza è derivativa e sociale e quindi privare la gente del diritto a un sapere (o a un’opera d’arte) vuole dire espropriarla del risultato di una somma di saperi diffusi e condivisi. L’approccio è radicale e da qualcuno viene definito “socialista”, in realtà a me pare derivare direttamente dal pensiero liberale di fine 700. Viene tacciato di socialismo perché qualora diventasse pensiero comune, il pensiero no copy saboterebbe (ma forse no…) l’idea di mercato. Sta di fatto che la musica popolare è stata no copy fin dalle sue origini eppure si tirava a campare anche prima del boom discografico. Permettetemi qualche righa poi per parlare della terza via, italo-brasiliana, del copyfree. La definizione è coniata da noi all’interno di Anomolo in seguito ad alcuni incontri con il governo brasiliano sperimentatore di un nuovo modello di ripartizione dei diritti d’autore detto “flat”. In quel famoso continuum prima descritto il copyfree si pone appena prima del pubblico dominio. L’autore chiede la paternità dell’opera e vuole che sia gratuita. L’ottica è quella di fare girare la cultura e il sapere rapidamente, nel rispetto dell’autore. E’ simile all’approccio no copy per via della visione anti-mercato, ma ha una diversa carica politica, meno aggressiva nei confronti delle leggi esistenti. Inoltre l’approccio è spesso 34 CMPST #4[09.2007]
legato a una visione un po’ statalista (in questo senso forse, più propriamente socialista), in cui si ritiene che l’unica eventuale forma di guadagno degli artisti in copyfree per la fruizione della musica, debba venire da una ripartizione dei proventi dalla tassazione sui supporti e i locali e le trasmissioni che lo stato applica. In pratica, come sapete, ogni volta che una canzone passa in radio la radio paga un tot di diritto d’autore alla Siae (cosa ne facciano loro è poco chiaro). Il modello Flat, sostenuto dai sostenitori del Copyfree è il modello in cui quella piccola imposta va direttamente a indennizzare l’artista. La cosa è logicamente piuttosto sensata: puoi fare quello che vuoi del mio pezzo ma se trai profitto dall’emissione o dalla trasmissione del mio pezzo, una parte di quel profitto mi viene in tasca. Se invece te la vuoi solo ascoltare siamo contenti che tu possa farlo gratis. A pensarci bene questo approccio è quello virtualmente vigente: è l’approccio del buon senso comune. In realtà la burocrazia (italiana ma non solo) da un lato complica le cose e dall’altro succhia via soldi e distribuisce malamente quello che rimane, con l’effetto che il principio di buon senso condiviso, viene ampiamente tradito e ribaltato. A questo il copyfree aggiunge la tendenza no copy a non riconoscere come legittimo il profitto dalla vendita del disco. Ma non tanto per il supporto, al contrario, è pagare per fruire l’idea che non va bene, nell’ottica dell’arte e del sapere come effetto di una genesi sociale. Come vedete la realtà è multisfaccettata. Il filo rosso che collega le realtà e le tiene comunque unite è la convinzione che la diffusione di un’idea arricchisca. Le idee e le altre forme di conoscenza come l’arte sono l’unica cosa che più ne regali, più ti arricchisce. Sembra buonismo ma non fate gli stronzi e pensateci. Screamazenica di Simone Madrau Screamazenica is sponsored by: Martinucci. Più che un gelato, uno stato mentale.
Meglio gli spacciatori: almeno mi lasciano dormire. [Ormai un classico: Alfredo dopo l’interruzione del set di Marcella Garuzzo ai Truogoli di Santa Brigida, con la Notte Bianca delle Tall Ships in pieno svolgimento. E non ditemi che non sapete chi è Alfredo.] Bè bè, le Suicide Girls sono... Burlesque. [Joe Ignorant etichetta le Suicide Girls dopo l’improbabile performance tenutasi al Milkout] Allora vuole la guerra. E l’avrà! [Ancora al Green Storm, è in corso il dj set di Tarick1. Dopo l’ennesimo pezzo ‘maranza’ Tristan, incocciato per la prima volta dal sottoscritto in quel del banchetto di Compost, parte in quarta verso la console dell’ancora ignaro Andreone.] E tuuuutti quei ragazziiii… come te non hanno nienteee… [Rocco degli En Roco, complice il clima vacanziero gentilmente offerto dalle spiagge salentine, si lancia in insospettabili cover a cappella.] Chi cavolo è arrivato qui cercando “sturalavandino in tedesco”? [la perplessità di Matteo Casari aka mazzola sulla home page di disorderdrama.org] Infine, un piccolo omaggio agli estimatori di questa improbabile column. Make a noise for.. The Bob Quadrelli Show 1. Live @ Gigi’s, featuring: Matteo Casari. [in sottofondo un pezzo dei Clash] Mat: ‘ah i Clash! Bob cosa ne dici? Il concerto dei Clash a Genova, Bob, cosa mi racconti? Bob: ‘il concerto dei Clash? Lo abbiamo interrotto.’ Mat: ‘come lo avete interrotto?!?!’ Bob: ‘sì, lo abbiamo fermato.’ Mat: ‘ma no dai, perché avete interrotto il concerto dei Clash?!’ Bob: ‘perché eravamo loro fan.’ 2. Presentazione di Zenatron #2, featuring: il pubblico. Bob: ‘voglio sentirvi urlare, per Gesù Cristo!’ il pubblico: ‘per Gesù Cristo!’ [thanks to: Matteo Casari, Giulio Olivieri.]