Compost 06

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Intro Redazione Matteo Casari Daniele Guasco Simone Madrau Matteo Marsano Giulio Olivieri Cesare Pezzoni Anna Positano Collaboratori El Pelandro Marco Giorcelli Davide Chicco Alessandro Lentini Carlotta Queirazza Grafica e Impaginazione Matteo Casari Contatti http://compost.disorderdrama.org compost@disorderdrama.org Compost c/o Matteo Casari C.P.1009 16121 Genova Pubblicazione NON periodica, amatoriale, destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza. Questa pubblicazione è una produzione Disorder Drama. Un sincero ringraziamento al collettivo del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui. Se interessati a collaborare, con parole o disegni, contattateci Arrivederci a CMPST #7 - [03.2008] 2 CMPST #6[01.2008]

E così siamo arrivati al primo giro di boa degli editoriali. Chi di noi ha voluto ha avuto l’occasione di dire la sua su quel che ci succedeva intorno, con le ovvie differenze di vedute e di punti focali. Nel giro di un paio di mesi ci sarà una specie di compleanno: 365 giorni dalla progettazione del marzo scorso. Un giro non da poco per un progetto “che se dura veramente tre numeri è tanto”, come ci dicemmo all’epoca. Abbiamo già imbarcato altri passeggeri e marinai e ci stiamo traghettando nell’ultima parte di questo decennio di cui sicuramente non mancheranno le tracce in futuro. Scampati al millennium bug i dati inseriti nei grandi database del web ci ricorderanno sempre quello che stiamo combinando. E non sarà forse poi così dura rimettere insieme le testimonianze su questo periodo, anche solo leggendo le nostre interviste. Sarà sicuramente più facile di quanto sta toccando oggi a noi, vostri umili ricercatori. Riuscire a mettere insieme le nozioni sui due decenni precedenti a questo sembra a volte impresa ardua. Nel gro di sei numeri abbiamo certamente scoperchiato qualche sarcofago incustodito, ma mai come in questo numero qualcuno aveva aperto bocca e fatto nomi e cognomi. Il Carrarone era certa fonte di info, date e nomi. Così è stato. Ce lo siamo cucinati a fuoco lento, non sparandocelo subito, così come il combattivo donchisciottesco Tristan, memoria storica degli anni novanta, e la crociata di Zuffanti per unire suoni e generazioni. Ancora non abbiamo approfittato, tanto quanto vorrebbero loro, di molti illustri desaparecidos, che smaniano all’idea di essere finalmente riconosciuti profeti in patria. Questi quasi nervosismi da prime donne mi hanno fatto fin qui formare un pensiero sul quale

mi prometto di arrovellarmi ancora su queste pagine: e se la colpa di tutti nostri guai, delle lacune della scena, della carenza di pubblico e spazi fosse solo e semplicemente il risultato dei comportamenti della vecchia scuola genovese? Il cronico disinteresse verso il costruire insieme strutture utili a tutti, il cinismo e l’egoismo, il narcisismo di chi ci ha preceduti a volte mi scoraggia. Scrivo queste righe perchè, se fra dieci anni avrò occasione, prossimo ai quaranta come lo sono ora ai trenta, di rileggerle io abbia il coraggio di analizzare quello che starò facendo con obiettività: se sarò ancora in questo campo non voglio che i ventenni di poi abbiano ancora le stesse nostre problematiche e possano anche solo formulare dubbi su chi li ha preceduti come sto facendo io ora. Non è una questione di lasciare il mondo meglio di come lo si è trovato (ah, il retaggio scout!) ma una solida questione di principio atta a costruire solide strutture comunitarie, utili a tutti più che ai singoli. Più mi interfaccio con “professionisti” della musica più leggo nelle loro parole menefreghismo nei confronti della città e delle sue sorti: musicisti pseudoindipendenti completamente digiuni di chi fa cosa e dove; baroni che hanno ottenuto il contrattino simbolico e che non mollano il colpo e la poltrona. Noi continueremo a scavare e a parlare anche con loro. Mi sono ripromesso di dedurne un elenco delle cose da non fare per non danneggiare le future generazioni, non solo dal punto di vista ambientale ma anche musicale. Matteo Casari Le foto di copertina di questo numero sono di Stefano Coviello - ENCORE GRPHCS http://www.flickr.com/photos/encore_grphcs


Questo numero è stato reso possibile dai contributi del Benefit del 24/01/08 al Laboratorio Buridda con Port-Royal, Contesti Scomodi feat. Bobby Soul, Fabio Zuffanti e Hipurforderai, oltrechè dalle offerte raccolte dalle seguenti realtà:

DISORDERDRAMA Le date del mese

Tutti i Giovedì al Laboratorio Sociale Buridda. Dalle 2130 avrete la possibilità di vedere: 31/01 Dadamatto (ITA) + Pull (FRA) + :Self (ITA) 7/02 Dejligt (ITA) + Karmatest (ITA) + Acid Yellow Three (ITA) 14/02 I Camillas (ITA) + X-Mary (ITA) + Rocktone Rebel (ITA) 21/02 Kobenhavn Store (ITA) + Japanese Gum (ITA) + Still Leven (ITA) 28/02 Valina (AUSTRIA) + 2novembre (ITA) + Gandhi’s Gunn (ITA) Inoltre in collaborazione con eMpTV ci sono le eMpTV Nights al Checkmate, ingresso libero con tessera ARCI, Via Trebisonda 27r. 26/01 Sea Dweller (ROMA) + Japanese Gum (GE) 23/02 Farmer Sea (TO) + Armstrong (TO) 29/03 Ten Thousand Bees (PD) tbc + MangeTout (GE) tbc 19/04 Arbdesastr (VR) + Fabio Zuffanti (GE) Altre date, last minute, locandine, link, info, radio e altro li trovate su http://www.disorderdrama.org

News

GRRRZETIC Comunicazioni ed eventi

Giovedì 31 Gennaio 2008, dalle otto a mezzanotte in Vico Valoria Quaranta Rosso, ci sarà Condometic second chance, Condominium + Grrrzetic. Cristiano B. (già ospite di Compost!) + Paolo T. presenteranno il loro nuovo libro scritto e illustrato, edito da Grrrzetic. Libro + Fotografie + Tavole Originali + Quadri + Aperitivo! D.J.E.A.R. - sounds your eyes can follow i.d.m. electro minimal techno 4 art. Video Set AKA B News

E’ Pericoloso Sporgersi - Immagini di luoghi ed architetture di Luigi Massolo e Roberto Saba La mostra (terza della serie curata da Alberto Terrile per il Centro Sivori) inaugurerà giovedì 24 Gennaio alle 18,30 e terminerà il 21 febbraio 2008 e sarà visitabile negli orari cinema dalle 15,30 alle 23. Centro Polivalente Sivori – Salita Santa Caterina 12r – Genova - www.percorsimagici.net Ancora uscite per Marsiglia Records, i genovesi Rice On The Record, i veronesi Arbdesastr e i padovani Speedy Peones pubblicano in Creative Commons le loro nuove fatiche, disponibili in CDR ai concerti dDRAMA e/o scaricabili gratuitamente dal sito! http://www.marsigliarecords.it Le proprietà elastiche di Filippo. Esce il disco di Q! Ex leader degli ormai discolti indolenti indiepoppers Topi Muschiati, già in alcune formazioni dei Numero6 e remixer, a nome suo o Tesla B, per altri progetti, Filippo Quaglia aka Q è riuscito finalmente a pubblicare la sua nuova opera. Le 10 tracce de “Le proprietà elastiche del vetro” sono edite da Micropop e le potete trovare in tutti i negozi di dischi.

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Cronache Vere “In genere non avevamo la minima idea di cosa cazzo fare, e così ogni settimana ci mettevamo in saletta prove e inventavamo un gruppo nuovo“ Supersonic Refrigerecords / Watergate Ind. Intervista con Andrea Carraro di Matteo Marsano

CARRARONEISMYCOPILOT Andrea Carraro e la musica a Genova, ma non solo di Genova, a cavallo tra i primi anni novanta e gli albori del nuovo millennio. L’immediatezza del punk più melodico e festaiolo, l’amore per le classiche vibrazioni del rock, i suoi articoli per il Rolling Stone Italia. L’esistenza di una continuità, per quanto fortuita (ma sono anche le casualità a fare la storia, no?), tra chi animava le serate di 10 e più anni fa e quelli che lo fanno adesso. Le righe stampate qui sotto hanno il merito -qualcuno mi ha detto- di gettare una luce sugli anni bui della musica a Genova. Se anche voi come me ne eravate in parte all’oscuro continuate a leggere. Perché spegnendo il registratore ho avuto la sensazione che il mio colpo d’occhio sugli anni e i sui concerti della mia adolescenza ne uscisse arricchito; e ci auguriamo che attraverso le parole e le rimembranze di Carraro Senior anche voi possiate fare lo stesso. Per cominciare una piccola presentazione a beneficio dei lettori. Ammetto che prima di essere incaricato di quest’intervista non sapevo neppure chi fossi (è grave?), ma d’altronde CMPST serve anche a noi che lo scriviamo e che abbiamo qualche anno di meno. Matteo, nel metterti in lista tra i possibili per questo numero, ti ha presentato come ‘collaboratore di Rolling Stone Italia’. Gironzolando la rete in cerca di info mi sono poi imbattuto nel tuo website e nel tuo blog, ma al di là degli articoli e di tutto il resto ciò che mi ha colpito di più è stata la tua biografia. Nella quale si legge della BlackBird Productions, e di come abbia 4 CMPST #6[01.2008]

‘rivoluzionato la movida genovese’ a partire dal 1992. Io all’epoca avevo 10 anni, eppure pochi mesi dopo avrei comprato la mia prima copia del Metal Shock della gestione Pascoletti. Troppo piccolo per andare ai concerti, dunque, ma abbastanza grande per interessarmi di quella musica che faceva inorridire la mia catechista al giovedì pomeriggio. Ti va di parlare un po’ di quel periodo, dei concerti che hai organizzato, dei locali, della scena e delle persone? E perché il giovedì era un giorno buono per uscire, a Genova, come del resto sembra essere rimasto ancora oggi, a più di dieci anni di distanza? E la BlackBird che

fine ha fatto, dopo la tua defezione? Nel 1992 a Genova c’era una scena molto più attiva di quella che c’è oggi. Questa è l’impressione che ne ho, pur non frequentando più come in passato i club. Di certo forme come quella dei concerti in casa, di cui ho sentito parlare da Federico Tixi e dallo stesso Matteo Casari, al tempo non erano contemplate. La scena era ugualmente molto bella, con un sacco di gruppi validi come il Circo della Fame, gli Eczema (il cui tizio adesso cura il festival di poesia a Genova), c’erano anche i tizi di Ondestorte, che avevano un altro gruppo… Era molto più divertente, e a mio parere c’era anche un ambiente molto più sano. All’epoca eravamo io e altri quattro ragazzi: Max Tedde, che adesso fa installazioni, Fabrizio Soletta, Enrico Penello che fa il desinger per la Speedo e Checco Novella. C’eravamo conosciuti alle superiori: loro bazzicavano intorno a vari gruppi, tra i quali i Funky Tranky della loro scuola - il Paul Klee - gruppo dove suonava Luca Pagnotta, adesso dei Marti; io invece ero al King e suonavo con i Power Trip: suonavamo in locali come il Quaalude, il Lucrezia, il Coccodrillo… Così, conoscendoci, abbiamo deciso - nell’estate del 92, l’anno della Festa nazionale dell’Unità a Genova - di organizzare concerti. O meglio: decidemmo che avremmo voluto farlo. Io sono poi andato in America, dove ho visto come si muovevano i ragazzi per la promozione della musica dal vivo ad Hollywood: vere e proprie ‘battaglie dei manifestini’, con gente che appiccicava il proprio flyer sopra a quello di un altro, e che


Cronache Vere quasi si menava in strada per questo – cose che in seguito avrei visto anche a Genova durante gli anni successivi. I ragazzi di cui ti dicevo lavoravano per il service di impianti audio di Walter Vasapollo, che doveva riscattare un credito da Gimigniani, padrone dell’Agua e del Makò, e così, sentendo che volevamo organizzare concerti, lui ci ingaggiò tutti e cinque per gestire una serata all’Agua di Nervi con la quale avrebbe recuperato il suo credito. Il discorso del giovedì sera nasce nel momento in cui siamo andati a prendere accordi con Gimignani per avere la serata: noi avevamo chiesto il sabato, lui ci dette il giovedì. Ricordo che lì per lì ci siamo un po’ cagati addosso, poi ci siamo detti: bene, arrangiamoci con quello che abbiamo. Iniziammo perciò a fare volantinaggio ‘pesante’, ed ingaggiammo Bob ‘Doc’ Quadrelli, Mister Puma e il Circo della Fame, che allora era il gruppo più grosso che c’era a Genova, sia come qualità che come interesse del pubblico. La prima serata registrò 1.200 paganti. E da lì siamo andati avanti. Abbastanza celebre divenne il nostro slogan, nato a casa mia, dei ‘cinque sacchi per entrare’: pur non essendoci nulla di realmente ‘politico’ dietro, il prezzo era un tentativo di avvicinare il costo d’ingresso dei nostri live a quello dei centri sociali che frequentavamo allora, cioè l’Officina e il Lothlorien. Una cosa curiosa è il timbro che usavamo per i ragazzi che uscivano dal locale: non avendone uno, usammo un timbro commerciale con la scritta ‘non trasferibile’. La sociologa genovese Maria Teresa Torti, compianta autrice del libro ‘L’Officina dei Sogni’ sulla scena di Genova di quegli anni, in seguito m’intervistò chiedendomi se quel timbro avesse un significato più profondo – per come la leggeva lei, la scritta ‘non trasferibile’ avrebbe rappresentato una nostra visione del pubblico, inteso non come un mero oggetto o una merce anonima, bensì come parte integrante, unica ed irripetibile dello spettacolo. Ovviamente le risposi di no: era semplicemente il primo timbro che avevamo trovato per strada, senza alcun significato ‘occulto’ od ‘esoterico’ dietro. Io sono poi stato espulso dalla Blackbird nel settembre ’93, dopo che avevamo lavorato anche al Nessundorma e alla Polveriera, per gravi problemi interpersonali tra di noi: passammo un’estate

intera a litigare di brutto. Gli altri hanno continuato per un anno o due, e poi smesso per varie ragioni: professione, trasferimenti fuori Genova ecc. Un’altra cosa che ha influito è che, quando i miei ex-soci hanno iniziato a perdere colpi, Rufus, il proprietario del Nessundorma, ha affiancato loro Paolo Ficai, che veniva dal mondo delle discoteche e che è ancora, a mio giudizio, il più grosso promoter di date in clubs a Genova. E che in breve tempo li ha soppiantati, grazie alla sua professionalità nel campo. Ok: dopo la Blackbird apri la Watergate Ind., che, a tua detta, ti apre le porte dell’industria discografica statunitense. L’anno prima negli U.S.A. eri già stato, esperienza che immagino sia stata parecchio formativa; in quelli seguenti raccoglierai i frutti facendo da agente europeo, tra gli altri, per i Queers, e più là in qualità di persona di riferimento per Lookout! Records. Intanto avevi già aperto i battenti della tua Supersonic RefrigeRecords, che dal 1995 ad oggi ha pubblicato svariati singoli e split in formato 7’’ di gruppi punk rock italiani, statunitensi e canadesi. Ti va di parlare un po’ delle tue esperienze con la Watergate e con la tua label? La Watergate nasce come uno scherzo. Quando sono stato fatto fuori dalla Blackbird avevo un forte senso di rivalsa nei confronti dei miei soci e, dato che loro erano orientati prevalentemente sul reggae, ragamuffin e ska, mentre io sono per natura più rockettaro e punk, formai con mio fratello ed alcuni amici e compagni di scuola molto impallati con il garage due gruppi beat, i Crockers (nei quali militava Matteo Bocci) e i Meanbyrds, dove suonavamo io, mio fratello Sandro e Marcello Pastonesi – che adesso lavora come direttore di produzione a TRL. Chiamavamo vari gruppi garage ad esibirsi a Genova, organizzando serate concomitanti a quelle della Blackbird, ancora una volta all’Agua, nei giorni che il locale dedicava al surf. Non sapendo come chiamare la cosa, ed avendo tutti un senso dell’umorismo abbastanza perverso e cinico, optammo per ‘Watergate’: Il logo era Nixon con la bandiera statunitense dietro. Non ave-

vamo contratto fisso con il locale, e andavamo avanti pian piano, con un paio di serate al mese. Poi il Senhor do Bonfim ci chiese di lavorare con loro, dandoci un’altra volta il giovedì sera. In genere non avevamo la minima idea di cosa cazzo fare, e così ogni settimana ci mettevamo in saletta prove e inventavamo un gruppo nuovo – le persone erano sempre le stesse, ma di volta in volta diventavano ‘Gli Immorali’ o chissà quale altro gruppo, decidendo via via un diverso repertorio e tutto il resto. Una volta, con Annalisa dei Ramoni, formammo ‘Gli Iguanas’, ispirati appunto agli Stooges. Ricordo che suonammo di supporto ai Sybil, gruppo in cui suonava mio fratello, all’epoca forte di un disco molto ben recensito anche sul Mucchio Selvaggio, che veniva presentato in quell’occasione. Salimmo sul palco: io vestito da nazista, con elmetto e frusta, alla Ron Ashton, e Matteo Bocci a torso nudo e capelli stirati stile Iggy Pop, riuscendo nell’impresa di svuotare il Bonfim in 15 secondi netti. Avevamo un approccio sicuramente molto punk (risate). E in quelle serate facevamo la cosiddetta ‘discomerda’, che era poi Silvia Barisione, ora una delle curatrici della collezione Wolfson a Genova, al tempo uno dei precursori al femminile della riscoperta della moda dei Sixties e della grafica pop - al giorno d’oggi ormai trita e ritrita, vedi Victoria su MTV- cosa che all’epoca non faceva veramente nessuno, almeno a Genova. Era un pacchetto piuttosto anomalo per la città, ed infatti non riscosse molto successo. Nei manifesti poi sfruttavamo tutta l’iconografia del caso: dagli smiles alle grafiche naziste, a trovate veramente sessiste o a qualsiasi altra cosa avesse a che fare con la cultura pop degli anni 60. Il tutto ovviamente a nostro rischio e pericolo. La svolta punk che ha poi portato a Supersonic RefrigeRecords nasce essenzialmente da due cose: da me che avevo cominciato a lavorare, e da mio fratello che aveva fondato i Beat-Offs, gruppo pop-punk della ‘nuova scena’ genovese (parliamo del ‘94-’95). Al mio primo stipendio producemmo uno split dei Deh Pills e The Chromosomes di Livorno, che andò piuttosto bene, con una tiratura di mille copie. Da questo siamo entrati in contatto con la Lookout! Records, e facemmo per la prima volta a Genova i Pansy Division, gruppo gay di S.Francisco: concerto allo Zapata per il quale rischiammo 5 CMPST #6[01.2008]


Cronache Vere “Ciò che manca sono appunto gli spazi per suonare e, di riflesso, la possibilità per i nuovi gruppi di farsi un po’ le ossa.“ quasi il linciaggio, con gente di Forza Nuova che ci cercava, anche per via dei manifesti piuttosto ‘forti’ che avevamo fatto. Dopo i 400 paganti del lunedì sera con i Mr. T Experience al Nessundorma, Rufus ci diede l’ok per andare avanti, fino ai Queers nell’ottobre del ’97, un successo allucinante (prima data del tour in Italia, realizzata in collaborazione con Ficai, tutto esaurito) che fece sì che io e Joe King diventassimo molto amici. E da cosa nasce cosa: i gruppi americani hanno iniziato ad incidere per noi, anche perché avevamo un approccio diverso, da collezionista, con vinili colorati e copertine patinate, scelte che le bands apprezzavano molto. Come convivono e hanno convissuto la tua anima punk e quella più classicamente rock che si legge tra le righe per i tuoi articoli nel Rolling Stone? E a proposito di questa storicissima testata, vera e propria icona culturale (di cui ammetto di non aver letto nemmeno un numero in vita mia): come sei diventato writer free-lance? La seguivi e/o ne apprezzavi la linea anche prima? Che ne pensi di ‘Fear And Loathing in Las Vegas’? Ti chiedo poi un piccolo commento/interpretazione di questa strofa di Lou Barlow in ‘Just Gimme Indie Rock’ dei Sebadoh: “Rock and roll genius / Ride the middle of the road / Milk that sound / Blow your load / Shoot it further than you ever said it go / Four stars in the Rolling Stone”. Diciamo che io ho sempre ascoltato un po’ di tutto. Quando ho iniziato a comprare dischi a 13-14 anni, nell’86, ho iniziato, sarò sincero, con l’heavy metal. Van Halen, ad esempio, ma sopratutto Iron Maiden. Che sono stati il mio gruppo preferito per anni, e del quale avevo una collezione sterminata -qualcosa come 400 dischi- venduta tutta l’indomani dell’uscita di “No Prayer For The Dying”. Il bello è che quella collezione è adesso su un libro per collezionisti a cura di un giornalista italiano, per6 CMPST #6[01.2008]

ché era veramente completissima. Io ho avuto la fortuna di cominciare a skateare nell’86: eravamo una decina a Genova. La roba che si ascoltava non era quella che ascoltavo io a casa. Ho scoperto i Suicidal Tendencies, l’hip-hop, i Beastie Boys, gli Agent Orange… La mia formazione si deve a tutte quelle forme musica ‘alternativa’ dell’epoca, incluso l’heavy metal, che nell’86 era effettivamente “alternativo”, piaccia o meno, al pari dell’hiphop. Ho sempre avuto perciò un approccio ”misto”. A me personalmente il rock classico americano piace non solo per la musica ma anche per tutta ciò che rappresenta, cioè una certa cultura americana legata alla birra, al baseball ecc. Per quanto riguarda Rolling Stone, sono stato abbonato fin da quando avevo 14 anni: ho imparato l’inglese leggendo un sacco. L’occasione di scrivere per loro si è presentata nel 97 quando Carlo Antonelli, adesso direttore di Rolling Stone Italia, e Fabio De Luca, di Genova, che lavorava come writer per la testata ed è anche un dj piuttosto famoso, mi fecero un’intervista per il libro “Fuori Tutti” uscito per la Einaudi, che era dedicato a quei ragazzi che nella loro stanza avevano creato qualcosa di artistico. Ci siamo tenuti in contatto finché un giorno, dall’ufficio, leggo rockol.it che titola: “Carlo Antonelli designato a direttore di Rolling Stone Italia”. Dopo giorni di telefonate e attraverso una riga di amici miei che conoscevano personalmente Carlo, ricevo una sua telefonata del tipo: “Carraro, ma che cazzo vuoi? C’è mezza Milano che dice che mi cerchi e che vuoi scrivere” (risate). All’epoca io avevo scritto solo per una fanzine olandese. Buttai giù cinque idee come mi aveva chiesto e ci incontrammo da Mangini (pagai io) per discuterne. Appresi da Antonelli che delle cinque, quattro idee facevano cagare ed una andava bene (risate), e fu da quella che nacque l’articolo sull’hair metal, pubblicato alla prima. E così andai avanti. Adesso è un po’ che non scrivo per loro, un po’ per le mie vicende personali e un po’ perché hanno cambiato capo redattore e di conseguenza linea editoriale: c’è meno rock adesso nel Rolling Stone. Su Hunter S. Thompson c’è da dire che è stata una vera illuminazione quando l’ho scoperto, perché lo conoscevo da tantissimo e non sapevo che fosse lui. Io sempre letto Doonesbury da piccolo, dove il

personagio di Uncle Duke è ispirato a lui. Io forse sono stato più influenzato da Andrew Loog Oldham, il manager degli Stones, per come scriveva i comunicati stampa; poi però, leggendo Thompson, ho trovato in lui il riferimento perfetto. Thompson è figo per vari motivi: è un americano del Sud, e perciò ha un approccio piuttosto immorale al giornalismo – sul Rolling Stone non ha scritto tanto di musica quanto di cultura americana: i teenagers, la droga, il Kentucky derby- e forse ha avuto un approccio alla vita, anche, molto più rock di tanti altri. Venendo alla strofa di Lou Barlow, sebbene il Rolling Stone americano sia stato per anni veicolo di un certo giornalismo illluminato, il tipo di rock cui si fa riferimento in quella canzone purtroppo non esiste più: Alice Cooper, Aerosmith, G’N’R, quell’approccio fiero, ingenuo e senza compromessi. C’è qualcuno – come Pierpaolo dei Lo-Fi Sucks - che per sfottermi mi fa notare quanto la mia visione del rock si avvicini ad una scena tipo “sere d’estate, stereo, frullati alla vaniglia e pompini”, perché ho un’idea gioiosa, libera e giovanilistica di questa musica, lontana dalla tendenza alla depressione di molto rock dei giorni nostri. Parliamo degli Stati Uniti. Ho il letto il tuo l’articolo apparso sul Foglio di Giuliano Ferrara, forse il più antipatico, insieme a Feltri, fra i sostenitori ad oltranza del modello americano. Scrivi su una rivista storicamente liberal come il Rolling Stone – ai suoi albori addirittura vicina al movimento hippie. Tuttavia, in Italia e in altre parti d’Europa, l’americanismo ha trovato radici nella destra conservatrice – per ovvie ragioni ideologiche, tra l’altro, visto che se parliamo di americanismo dobbiamo parlare anche di capitalismo. A mio parere, a fronte di numerose caratteristiche positive nella cultura civica, quello statunitense mi pare un modello eccessivamente fagocitante, sia per chi decide di risiedervi sia per chi vive da altre parti ma è continuamente esposto a dei ‘residui’ culturali che sanno, nella peggiore ipotesi, di colonialismo dei cervelli. Per non parlare del consumismo e degli angoli più oscuri dell’amercan way of life. Che ne pensi? Avevi molti stereotipi che ti sono stati disconfermati durante il tuo


Cronache Vere soggiorno là? E gli shock culturali, se mi passi il termine, sono stati tutti positivi o anche negativi? E’ importante dire che la mia è una famiglia che si è persa tutti gli anni del dopoguerra, avendo vissuto in Africa dagli inizi del 20° secolo fino agli anni ’70 nel Congo Belga, che era un paese di influenza americana durante la guerra fredda. In casa mia non si è mai respirata perciò una cultura italiana, ma americana: mio nonno guidava una Oldsmobile, suo fratello una Ford Thunderbid, mia madre ascoltava rock’n’roll, in casa lo sport era il baseball e non il calcio e così via. Perciò fin da piccolo non mi sono mai rapportato tanto con l’Italia a livello di riferimenti culturali, pur essendo nato qui e sentendomi completamente italiano. E’ ovvio che per buona parte della mia adolescenza, giocando a baseball, andando in skate ed ascoltando solo musica americana, ho avuto un po’ il mito dell’America: non quello dell’Harley Davidson che ha Ligabue, per dire (risate), ma piuttosto di quell’America che si vedeva anche al cinema, quella di Rocky, dei Ramones, dei Guerrieri della Notte, dei Beastie Boys, di Run DMC, di Los Angeles. Compiuti 18 anni sono andato più volte in America, e per quanto fossi imbevuto di cultura americana – come sono tuttora, e avendone anzi approfondito alcuni aspetti che da ragazzino si fa fatica a comprendere - mi sono reso conto che non avrei mai potuto e mai potrei essere americano, mio malgrado. Perché il loro sistema ha delle caratteristiche e delle peculiarità del tutto diverse dal nostro: è un sistema spietato, prima di tutto. Spietato ma giusto. Per chi legge, due libri importanti che ho letto quest’anno: la biografia di Rockfeller, e una storia del Sud degli Stati Uniti. C’è da dire che è insita nel DNA dell’americano medio una tendenza forte alla meritocrazia e la volontà di essere utile ad una causa comune – cose positive che in Italia suonano inaudite. La mentalità americana premia innanzitutto l’intraprendenza e la volontà di fare. Sull’altro lato della bilancia, l’America è forse l’unica nazione che, estremizzando il concetto tratto dal puritanesimo per cui “se lavori vai in paradiso”, si fonda su un vero apparato teocratico: l’unica insieme all’Iran, forse. “Dio è con noi”, l’ideale americano si fonda proprio su que-

sta presunzione di rettitudine e conseguente pretesa di redenzione del mondo intero. Sugli shock culturali: io non sono rimasto particolarmente scioccato dagli USA, in parte perché era un concetto che la mia famiglia aveva già subito e metabolizzato, se pensi che mio nonno, andando in Africa, ha dovuto pagare una cauzione per entrare e dichiarare di non essere mai stato iscritto al partito comunista. Trovo che l’America per certi versi sia spietata, ma che sia necessario approfondirne la conoscenza, rifuggendo certi stereotipi imperanti su di essa. Pensa che gli stessi componenti dei Queers affermano di essere orgogliosi di essere americani, pur non condividendo le scelte politiche dell’attuale amministrazione; e quando chiesi agli MC5 perché nei live mettessero una bandiera americana sugli strumenti addirittura mi risposero: perché siamo dei patrioti e vogliamo cambiare in meglio il sistema americano! Torniamo invece alla città di Cristoforo Colombo. Come vedi – se continui ad interessartene - la Genova musicale ‘sotterranea’ degli ultimi anni? Genova può davvero stare al passo con altre città italiane da questo punto di vista? Il problema degli spazi per suonare è la prima cosa che mi viene in mente, seguito da quello del pubblico, spesso vittima di un apatia mugugnona ma restio a partecipazione e propositività. A tuo parere vale la pena inseguire una folla di fun-seekers più o meno acritici o conviene accontentarsi di guadagnare un paio di persona al mese ma realmente interessate? Non so cosa giri ora in città a livello di gruppi, ma ti posso dire questo: io ho smesso di organizzare concerti il 12 febbraio 2001. Ero in tour con i Queers in America e sono tornato da Nashville a Genova per un concerto degli Smugglers che avevo organizzato al Fitzcarraldo, gruppo che aveva fatto 1.000 paganti la prima volta che era passato di qui. Quella sera lì mi sono attraversato mezzo mondo per venire, e al concerto c’erano 40 persone. E quella sera ho veramente detto “vaffanculo”. Sempre le solite facce, gente che stava fuori con le mani conserte a fare il figo, scene che mi aspetto di vedere –e ho visto- al CBGB’s di

Andrea - Foto di Anna Positano NY, non a Genova dove ci sarebbe da baciare per terra se c’è qualcuno che sacrifica il suo tempo per darti qualcosa da fare, da vedere e da gustare. Ciò che manca sono appunto gli spazi per suonare e, di riflesso, la possibilità per i nuovi gruppi di farsi un po’ le ossa. D’altra parte capisco anche quelli che non se la sentono di imbarcarsi nella gestione di un locale, vista la difficoltà e la poca ricettività del pubblico. Sempre a proposito di Genova e genovesità: Andrea Carraro è anche Dria Ramone, voce dei riformati Ramoni, storica tribute band del gruppo newyorkese in dialetto ligure. La scelta di cantare in zeneize è, per un gruppo, generalmente legata all’effetto goliardico e 7 CMPST #6[01.2008]


Cronache Vere comico che questa garantisce. Personalmente, e pur non essendo poi così un cultore del dialetto, sono incline a riconoscere un valore culturale superiore al genovese di quanto non si faccia in genere – penso al brutto esempio dei miei concittadini Buio Pesto, il cui genovese è ridotto a mero viatico di scurrilità altrimenti irripetibili. Prima di parlarci un po’ dei Ramoni, chiamiamoli così, 2.0 ti va di stemperare questa mia catastrofica (e provocatoria) antiutopia: e se in un futuro più o meno remoto il destino dell’italiano risultasse essere lo stesso del genovese ai nostri giorni, quest’ultimo storicamente soppiantanto dalla lingua di Dante e il primo, magari, dall’inglese? Io sono sicuramente uno che parla molto, a cui piace proprio ‘la parola’. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia in cui si parlava italiano, francese e swahili, che è un dialetto africano, e questo mi ha aiutato ad imparare bene l’inglese, lingua che a me piace molto e che trovo più calzante dell’italiano per molte cose che mi interessano. Ovviamente l’italiano, se parlato bene, è una lingua bellissima – m’infastidisce ad esempio il vizio genovese di usare la preposizione ‘gli’ anche quando si parla di una donna. Quindi sta anche un po’ a noi italiani avere la giusta padronanza della lingua. Come pure mi incazzo quando sento parlare male il dialetto genovese, pur non essendo certo il sottoscritto un’autorità in materia. Non vedo un pericolo dell’inglese che soppianti l’italiano in primo luogo perché la gente in Italia l’inglese lo parla davvero male. Inglese che rimane una lingua molto immediata, che ti permette l’espressione di certi concetti in maniere impossibili da rendere nella nostra: pensa alle prime canzoni che più o meno tutti hanno scritto da pivelli, e alle facilità di scriverne i testi in inglese. Per il discorso sui Ramoni, devo dire che non sono io il padre dell’idea, che fu di Annalisa, Franco Zaio e Marco Menduni - responsabile della cronaca nera del Secolo XIX - perché io e mio fratello siamo entrati più tardi. I primi Ramoni avevano alcuni testi in genovese, ma spesso cantavano in italiano e si rifacevano soprattutto ai primi due dischi: io e Sandro abbiamo introdotto pezzi da altri albums, come “Bonzo goes to Beatburg” o “I 8 CMPST #6[01.2008]

believe in miracles” – pezzi che avevano liriche più evolute già nella versione dei Ramones, e che perciò si prestavano meglio ad una rivisitazione testuale. Io ero ispirato da certe svolte nella mia vita privata, e provai a scrivere testi che fossero sì buffi, ma che affrontassero anche argomenti seri, e che conservassero quel sano cinismo che contraddistingue il nostro humour dialettale. I Buio Pesto sono dei megalomani, se devo dirlo: è un gruppo che fa della goliardia da quattro soldi e che approccia la notizia in maniera sensazionalistica (vedi anche il pessimo film sugli Alieni in liguria), e che ha anche un approccio malsano alla genovesità. Mi fanno un po’ pena. Se penso che loro sono la massima espressione culturale esportata da Genova negli ultimi 10 anni, beh, mi vengono i brividi. Ho aperto alludendo al tuo sito e al tuo blog. Qui a CMPST la domanda classica rimane la polemica contro il cosiddetto Web 2.0, vale ad dire la crescente popolarità dei social network e dei siti contenitore come YouTube, che tendono ad accentrare in maniera massiva la fruizione del web. Memore del tuo interesse per il web design di cui ho letto ancora una volta sul tuo sito, ti voglio chiedere: come si figura una persona di dieci anni più grande di me questa presunta nuova rivoluzione telematica? Se internet era già quasi indispensabile alla fine degli anni ’90 (sbaglio?), come pensi che la sua diffusione ancora più spinta impatterà nel futuro prossimo il modo di promovere e di fare la musica? Si parla già di una tecnologia in grado di emulare perfettamente un browser da pc sui cellulari in programma per la seconda metà del 2008, con cui magari andare a rovistare, paradossalmente, in un myspacetributo ad un gruppo degli anni ’70… Da buon fanatico della Apple inizio dicendoti che il browser esiste già: sull’iPhone è possibile utilizzare Safari, il browser che si trova sui Machintosh. Detto questo devo però ammettere di non essermi accorto subito di questo nuovo approccio alla musica e ai gruppi. Quando esordì MySpace, lo considerai come un mezzo per ritrovare amici che avevo per-

“Io sono sicuramente uno che parla molto, a cui piace proprio ‘la parola’.“ so e che non vedevo da tempo. A me questo metodo non piace: il fatto che la musica delle band sia disponibile su internet porta a sclerotizzare il problema di cui parlavamo prima, quello della fruizione dei concerti. Un tempo per sentire un gruppo dovevi andarlo a sentire suonare. Myspace è in fondo un po’ come MTV negli anni ‘80: adesso un gruppo lo ascolti lì, scarichi quei pezzi dalla rete, magari il gruppo diventa famoso ma non ha i mezzi. Quando abbiamo iniziato a produrre dischi non c’era nemmeno internet. Io l’ho usato per la prima volta nell’87-88, perché alcuni punk con cui giravamo erano già collegati al mondo ‘cyber’; ma all’epoca era ovviamente molto diverso e più sotterraneo (c’erano ancora i nodi e cose così). Il WWW l’ho usato per la prima volta a Londra nel ’95 e in Italia nel ’97. Una vera manna dal cielo. Potevamo produrre dischi in un attimo, con le grafiche che ci arrivavano da Sacramento come attachment invece di aspettare una settimana di poste. Io sono un convinto sostenitore di internet, nel senso che è un mezzo di un’utilità estesissima, è sbagliato semmai limitare il campo solo a quello. Il fatto di vedere, ultimamente, concerti sponsorizzati da MySpace e gruppi senza la minima esperienza dal vivo che diventano popolari grazie a produzioni da studio pubblicate in rete è illuminante in questo senso. E’ perciò facile che i concerti si rivelino fiaschi totali: io sono andato a vedere i Kaiser Chief 2 anni fa, ed hanno suonato davvero di merda, senza essere minimamente in grado di tenere il palco. Anche questo è importante. La musica rock deve avere una certa dose di showmanship dal vivo, secondo me. Quando la discrepanza tra produzione casalinga o da studio e performance live è così ampia, è davvero un disastro. Ed è una situazione che vedo comunemente nella musica di oggi. Spero ovviamente di essere contraddetto da qualcuno. Segui Andrea sul suo blog http://andreacarraro.blogspot.com http://www.myspace.com/dunhill_ge


Import “Un mio amico piuttosto marcio dice che Genova è la droga più forte che abbia mai provato: comincio a capire il suo punto.“ Tristan Intervista con Tristan di Matteo Casari

NON FARE IL TRISTAN! Presentarlo è una cosa che mi fa già ridere in partenza. Pensare di dover introdurre a qualcuno quella specie di relitto ambulante colorato e chiassoso, impellicciato e stivalettato, figlio degli anni 70, mi fa specie. Eppure pare che non tutti abbiano ancora avuto a sentire i suoi sproloqui e molti non riescono più ad apprezzare le sue comparsate, diradate negli ultimi anni. Ecco una buona occasione per seguirlo. La storia degli ultimi 10/15 anni dell’underground a Genova si è confrontata spesso con un personaggio così genovese da non esserlo. Tristan, parlaci di te: cosa facevi a Torino, cosa ti ha portato qui, cosa ti ha trattenuto. Bè, a torino facevo il giovane: mi sono trasferito a genova a 23 anni, quindi prima ho fatto tutte le cose che puoi aspettarti da un giovanetristan; forse la cosa che mi ha formato di più è stata l’esperienza di Radio Blackout, la radio delle case occupate di torino, una cosa tipo microfono senza filtro. Leggevamo i necrologi dalla stampa del giorno con sotto “Don’t worry be happy”, roba del genere. Che poi se vai a vedere quelli pagavano per mettere il necrologio sul giornale e noi gli rendevamo solo un servizio analogo, per di più agratis. E con una base musicale, che in radio ci può stare. Una volta ci ha telefonato un tipo incazzatissimo che voleva

ucciderci ed è ovviamente finito in diretta, ma in diretta ci finivano sopratutto quelli che si riunivano per ascoltare il programma, che infatti a un certo punto era fatto da una sorta di comunità telefonica. Siamo andati avanti così per anni, completamente a vanvera, e intanto ci improvvisavamo tutti digei nelle serate per sostenerne, della radio, i costi. Un tre o quattro anni di estatedellamore torinese, feste epiche con maratone digeistiche da dodici ore, i primi rave illegali nei capannoni. A capodanno il rave della radio era ed è un’istituzione a torino. Noi mescolavamo i nostri dischi del cuore con quel che costa meno alle bancarelle, dunque trash, ma anche tanta wave e vecchio rock. A Genova ci sono venuto nei uichend in quegli stessi anni (93-95), mi ero innamorato di una di qui, e piano piano il virus dei caruggi mi dev’essere entrato. Mi piace questo centro storico ad esempio perchè sono nato nella città a

misura d’automobile ma non ho la patente. Perchè sono nato in una città basata su ortogonale romana pianta, e mi son perso negli squarci escheriani di questo medioevo. E ho scoperto che il vicolo può essere anche un po’ ragnatela, quindi forse ora la sfida sta diventando fuggire da Genova. Un mio amico piuttosto marcio dice che Genova è la droga più forte che abbia mai provato: comincio a capire il suo punto.

Partiamo da te, per poi spostarci a parlare del resto della città. Cosa sei? Dj? Musicista? Attore? Ho fatto quelle tre cose, però quando mamma mi chiedeva cosafaraidagrande io rispondevo: “il tristan”, per cui non sono l’attore che può interpretare la vecchina e il dinosauro, so fare solo il tristan, e quando mi viene bene funziona, su un palco. Quando sono venuto a vivere a Genova ho dovuto fare dei soldi, così mi è sembrato naturale cercare di mettere dei dischi. E quell’anno i giovedì del Quaalude (o come cazzo si scrive)chi c’era se li ricorda. Ma tutta ‘sta storia del digei è decisamente sopravvalutata: se hai un po’ di dischi, li conosci e sai contare fino a quattro sei un digei. Ah, anche la 9 CMPST #6[01.2008]


Import faccia come il culo aiuta. Ho spiegato come si accende un mixer a gente che due ore dopo ha incendiato la pista, quindi direi che digei tristan si può tradurre in tristan che cerca di fare soldi facili senza sbattersi troppo. Sono un pigro, questo è certo, ma mettere dischi è più semplice che essere un pianista di alto livello, e soddisfa ugualmente il mio bisogno di palco. Perchè, questo è certo, sono un egocentrico esibizionista. Ricordiamo la comparsata a Capodanno 04/05 al Banano Tsunami dove hai irriso tutti i dj e artisti ivi raccolti con più di mezzora di genio assoluto nel bastard pop. Classe tanto cristallina da far pensare che l’avessi inventato tu il trucco di mixare dischi di generi tanto diversi da esaltare il cerebrale segaiolo collezionista tanto quanto il genuino passante casuale. Lì ho veramente pensato tu avessi tutte le potenzialità per salvarci. Eh, anch’io pensavo di salvarvi, sono venuto a vivere qui con uno spirito molto positivo, mi dicevo: anche Torino negli anni Ottanta era eroina e bar chiusi all’ora di cena, poi la città si è mossa, succederà anche qui. Lo penso ancora, ma sto ancora aspettando... Pensa allo Tsunami che chiude d’in-

Tristan - foto di Anna Positano 10 CMPST #6[01.2008]

verno perchè “la gente quando fa freddo non esce dai vicoli”: poi vedi foto di dehors pieni di notte d’inverno in Svezia e pensi che forse qui c’è davvero qualcosa che non va. Quando abitavo insieme a Tommi (Calomito, Aparecidos, Stoni) e Fede (Vic Larsen, dj Kata)abbiamo passato un anno molto propositivo, avevamo preso in gestione gli aperitivi del Fitzcarraldo, organizzavamo feste e cene per strada (sulla falsariga della “bellavita” degli squatters), cercavamo nel nostro piccolo di creare un po’ di movimento in città. Poi ci siamo scoglionati, e ognuno è andato un po’ per la sua strada... Ecco forse il rischio più grande è proprio che, in un ambiente generalmente ostile come Genova, le energie, all’ennesima facciata, vadano perdute. Perchè le energie ci sono, e infatti non stiamo qui a domandarci perchè non ci siano gruppi, ma perchè non c’è un posto che li faccia suonare e un pubblico che li voglia ascoltare. Il primo anno che ero qui mi ricordo Praux che mi dice”se ce la fai qui, poi puoi spaccare ovunque”, vorrei aggiungere che se però ci resti il massacro quotidiano dell’entusiasmo può anche essere deleterio. Portiamo a conoscenza di tutti un altro episodio tipico. Invitato a mettere i dischi, presente sul volantino, addirittura con un reminder, avvertiti TUTTI i tuoi conoscenti di instradarti verso lo spazio ove si teneva il concerto, nel caso ti avessero incontrato quella sera per strada. Ovviamente non ti sei presentato. Sei solo sbadato? Sei emotivo? Bisogna legarti e portati di forza davanti alle consolle? O riesci a farlo solo da imbucato non invitato, a rischio insomma, tipo la coppia italiana in “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai avuto il coraggio di chiedere” Woody Allen?

“Ecco forse il rischio più grande è proprio che, in un ambiente generalmente ostile come Genova, le energie, all’ennesima facciata, vadano perdute.“ Avevo litigato con la tipa. Avrei ammorbato la vita a tutti con comportamenti antisociali e autodistruttivi o anche solo molesti e patetici. Poi magari ne usciva un set di dolore straziante, francamente ne dubito. Non sono un cardiochirurgo, nessuno è morto perchè non ho messo i dischi quella sera: credo che sia meglio dare buca quando non ho voglia di suonare piuttosto che suonare quando sarebbe meglio di no. Tutto il discorso del professionismo si basa sulla capacità di erogare una prestazione a comando, sempre. Io sono un romantico, se vuoi un insicuro, ma il diritto di non fare la cosa quando non è cosa io me lo rivendico. non c’è niente di più drammatico del clown triste, e un digei triste non fa ballare. La mia teoria? il tuo ego e il tuo talento fanno costantemente la spola tra Genova e Torino. Quando è via uno sei posseduto dall’altro. Poi ci sono momenti in cui sei privo di entrambi. E altri, i più rari, in cui trovi la quadratura del cerchio. In quei momenti sei il più grosso cazzo di fottuto genio in questo emisfero. La dolce euchessina per un po’ di regolarità? Sai quelli che non hanno voglia di studiare lo strumento e dicono che la tecnica uccide la spontaneità? È quasi sempre vero, ma ciò non toglie che siano dei pigri bastardi che non hanno voglia di studiare. Non so se questa è una risposta, ma so che mi sono fatto una ragione del fatto che a volte sento di avere il controllo, e altre volte proprio no.


Import “Quante volte mi hai visto in piedi su una macchina? Bè, quella volta invece di rischiare mazzate mi hanno pagato per farlo, che è un po’ il discorso del fare “il tristan” per lavoro. “ Questo, se vogliamo guardare il lato positivo, mi rende ingestibile, inaffidabile, in sostanza mi impedisce di condurre uno show su Canale 5, che è già qualcosa. Non vorrei mai dover scoprire che era il genio di un Fiorello, non quello di un Barrett o d’un Beefheart, il mio! Tra i tuoi talenti quello di musicista. Con tuo fratello Deian ne avrai combinate tante. Ma ultimamente il cabaret tra Rino Gaetano, Bugo e spruzzate di Classic Rock de L’Orso Glabro pare aver finalmente trovato una sua dimensione. Evoluzioni in vista? Amo molto le canzoni di Deian. Intorno a loro è cresciuta questa cosa chiamata lorsoglabro, e le abbiamo chiesto di poterla registrare. Non c’è un intento revivalistico, sono solo canzoni, se vestirle di semplici panni, un pianoforte, una chitarra è classic rock, allora mi va bene, ma non mi sento di indossare una finta barba 1973 sulla mia vera barba 2007 quando suono con l’orso. Ora stiamo micsando il capolavoro con Cristiano Lo Mele (Perturbazione)nel suo studio a Collegno, poi gli troveremo una casa e se tutto va bene per la primavera dell’anno prossimo sarà nei negozi. Dove, è ovvio, resterà. Dal vivo stiamo ancora cercando la quadra, vorrei ottenere più spesso una paga dignitosa per girare con la sezione fiati... Già vedo lo spettro della E-Street Band sul tuo volto inorridito! Poi ci sono dei pezzi che hanno preso un’altra direzione, per cui usciranno in una cosa separata dal disco. Niente di noi-

Tristan - foto di Anna Positano se-avant-art-attack, per carità, ma meno legati alla strumentazione di “Harvest”. Altro evento memorabile. La rinascita della città di Genova nella sua intima immagine spiattellata tra cinema, televisione e pubblicità. Non si può definirti protagonista di tutto questo. Ma hai avuto un ruolo che, ancora una volta, ti riconnette a Torino. Sei l’arringatore di folle e predicatore della pubblicità della Fiat in Piazza De Ferrari. Un ruolo che ti si addice? Altrochè! Che c’è di più bello dell’arringar folle? Quante volte mi hai visto in piedi

su una macchina? Bè, quella volta invece di rischiare mazzate mi hanno pagato per farlo, che è un po’ il discorso del fare “il tristan” per lavoro. Però dovevano lasciarmi il vestito. Ad un certo punto ‘sti due registi continuavano a dirmi di far muovere la gente ma la gente ce ne aveva anche un po’ i coglioni pieni di fingere street riot, non ho trovato niente di meglio che farli inveire contro il fontanone al grido di “fontana puttana ò-ò-ò”(sull’aria di “No Tengo Dinero”). E ora ti ricordo che per cotanto esprit d’altissimo intelletto hai scomodato due domande più su il termine “genio”! Certo che un po’ di conflitto c’è sta11 CMPST #6[01.2008]


Import to, dopo tutte quelle manifestazioni anti-fiat anti-petrolio anti-automobile, le biciclettate nel centro di Torino... Però poi bisogna tirare la fine del mese, la coerenza non si mangia, eccetera, così mi sono detto che tanto quei soldi li avrebbero dati a qualcun altro, e me li sono messi in tasca. Per insultare della gente dal tetto di una macchina. Predica bene e razzola meglio. Cosa c’è a Genova oltre l’immagine da cartolina, firmata Renzo Piano? La focaccia col formaggio. La finestra della stanza del mio primo amore, da cui si vede il mare(che, si sa, per noi che stiamo in fondo alla campagna...). Le copertine dei Joy Division a Staglieno. il Quaalude (o come cazzo si scrive). C’è un tessuto di solidarietà antica, da paese, che lotta per resistere alla nuova strada all’americana. Ci sono due bar con le puttane e i vecchi che giocano a carte che non hanno ancora milanesizzato. Si lo so che questa è roba da cartolina, purtroppo non riesco a darti risposte inerenti le tematiche compostiane: locali, investimenti, coraggio, quello non c’è. Hai vissuto la Torino HC e, anche se lievemente da fuori, la Renaissance in salsa Casa Sonica che ha portato al Traffic e a tutti i connessi e annessi (scusa l’estrema sintesi ma This Is Genova not Torino e, soprattutto, Torino Non è La Mia Città). Vedremo mai qualcosa di simile qui? O ci siamo già passati e ce la siamo fumata per manifesta incapacità? Alle feste puoi fare due cose divertenti: portarti una tipa in qualche stanza appartata, o rovinare i tentativi di un tuo amico di fare altrettanto. Che è un po’ il gioco che si fa da queste parti. Non ci riuscirebbe nean12 CMPST #6[01.2008]

che la stampa inglese a creare una scena, qui. Io quello che vedo è che ora c’è meno di quel che c’era quando sono arrivato. Allora c’era un torpido fermento, ora è lo stagno: chi dieci anni fa, anche per scombinare le carte, faceva cultura è diventato una delle carte. Non mi aspetto da Ficai e Miggiano più sorprese che da Spera. Poi, intendiamoci, Mike Bongiorno vende prosciutti perchè sa cosa vuole la gente. Se vogliamo ostinarci a vendere indierock non è colpa sua. Cosa manca in città? Qualche nuova leva che torni a rimescolare le carte nel mazzo... Mascherona, Madeleine, bye bye, è stato bello, ma dobbiamo rassegnarci al minestrone internazional-popolare che viene spacciato per dj-set ovunque? Una tana, un covo, oggi manca, e un posto fisico è fondamentale per incontrarsi, contarsi, tramare... Forse il problema è che siamo così abituati ad incontrarci sotto qualche palco a Milano o a Torino da non pensare neanche più che, se Paolo Conte riempie il Carlo Felice e Vasco Marassi, allora Devendra Banhart potrebbe riempire il Milk. Perchè no? Secondo me perchè non c’è la voglia di creare un pubblico nuovo, visto che c’è già quello vecchio che, quando si tratta di pagare, è uguale. E poi tanto già lo so dove vuoi andare a parare, quindi ti dico: UNA RADIO! Una radio? Nel caso tu riuscissi a trovare continuità, quella che depennerebbe il termine sregolatezza dal tuo curriculum, saresti in grado di affrontarne la sfida? Mah, visto che non mi hai fatto la solita domanda sul web 2.0 ti dirò che forse i tempi sono maturi per la radio in streaming. Senza stare per una volta a mugugnare che non ci

Ospite degli Ex-Otago - foto di Anna Positano sono i soldi nè le frequenze, ti rimando questa palla, vediamo chi ci può stare. Anche se vuoi mettere una radio vera... Però si può fare, la gente la radio dal computer effettivamente l’ascolta. Ho avuto molto a cuore la Radio pirata del Buridda, purtroppo è durata poco. Forse una radio sul web, purchè in diretta potrebbe essere il centro che andiamo cercando. E, già che ci siamo, il termine sregolatezza me lo depennerà la morte, mi sa. Però per la radio ci sono. Come promesso, fatti una domanda, datti una risposta e poi tutti a casa. Q: digei tristan, ma se sei tanto bravo, com’è che non hai uno straccio di serata in città? A: perchè sono un arrogante borioso cazzone, con marcata tendenza all’alcoolismo e al consumo d’ogni genere di altre sostanze intossicanti. Più info sulle attività di Tristan ht tp ://w w w.mys pace. com/ninodangerous http://www.myspace.com/deiansong


Produzioni “Secondo me la prima fonte di scambio dovrebbero essere i musicista a te affini che magari operano nella tua stessa zona per avere informazioni, scambi di opinione, collaborazioni e quant’altro “ Finisterre - La Maschera di Cera - Spirals rec Intervista con Fabio Zuffanti di Cesare Pezzoni

ESEGENOVANONFOSSEMAI STATATANTO“PROGRESSIVA”? Valga anche come provocazione. Però a sentire le parole di Fabio Zuffanti la “radice prog” della nostra città sta nelle riflessioni musicali (e non nelle seghe solistiche o negli intellettualismi) che trasversalmente dagli anni 70 sono giunte ad ora. E allora se c’è tanta riflessiva qualità nelle nostre produzioni (nostre: so che è un azzardo ma sentiamole un po’ come opera collettiva, via…) forse il progressismo musicale sta passando da qui, come prima o magari di più. Pensaci. Il prog genovese è stato genovese per davvero, con band che abitavano vicine e si scambiavano lezioni. Quel tessuto sociale ora si è un po’disperso, l’era della cameretta ha portato nuove sensibilità espressive ma forse ci ha un po’ isolati, mettendoci di fronte ai nostri miti musicali. Mi sono detto che forse a mancare è proprio questo, e mi sono chiesto un sacco di cose. Poi le ho chieste a Fabio. Dopo magari chiedetele a voi stessi… In 5 righe la tua storia musicale Nasco nel 1968 a Genova, a 15 anni imparo il basso e a 17 inizio a suonare cover degli U2 con i compagni di scuola. (ri)Scopro il cosiddetto progrock e sulle ceneri dei Calce & Compasso, gruppo blues/cantautorale che

ebbe vita dal ‘90 al ’92, forniamo i Finisterre nel 1993. Negli anni partecipo ad una miriade di progetti che spaziano dal prog all’elettronica, dal postrock al folk, etc…Suono in Italia, Europa e continente americano, scrivo un musical e compongo jingles per pubblicità,

colonne sonore e altre cose del genere. Nel 2006 decido di diventare solista.

Il catalogo Marsiglia, pur nella sua varietà di stili, è un catalogo di musicisti in gran parte più giovani di te e con un chiaro riferimento al retroterra “indie”: musicalmente parlando, ma anche socialmente, a livello di ritualità collettive, simbologie, immaginario comune, culti e ambizioni, che immagino tu condivida solo in parte. Ti trovi a tuo agio? Sinceramente non mi sono posto il problema. Conosco Matteo Casari da qualche anno e condivido con lui la passione per un certo genere di musica, chiamiamolo indie se vuoi, che dal mio punto di vista è sempre andato di pari passo con l’amore verso altri generi. In più, anche se ho quasi sempre suonato prog, non ho mai avuto l’atteggiamento da musicista virtuoso (anche perché non lo sono) e mi sono sempre sentito più a mio agio con una mentalità, tra vorgolette, punk, diy, indie e chi più ne ha più ne metta, dove 13 CMPST #6[01.2008]


Produzioni che fin’ora non hanno comunicato molto.

Fabio Zuffanti viene prima di tutto la passione e la voglia di comunicare qualcosa e solo dopo (ma molto dopo) la tecnica. Combatto però da anni una sorta di battaglia con la situazione che ha portato a creare un grande muro tra le tendenze prog (che per me, lo spiegherò dopo, non rappresenta il genere scontato che molti dipingono) e quelle indie, due generi che, secondo una mia personalissima visione delle cose, hanno molte più cose in comune di quello che si pensa e più passa il tempo più queste somiglianze si fanno ma14 CMPST #6[01.2008]

nifeste. Non pensando ad età, simbologie e ritualità ho accettato quindi con gioia la proposta di Matteo quando mi ha invitato a realizzare un ep per Marsiglia, in primis perché la musica che faccio da solo mi sembra perfetta per tale etichetta e in secondo luogo perché sono forse il primo proggarolo ‘doc’ a passare dall’altra parte della barricata per vedere come si sta. Ed io ci sto decisamente bene (meglio che in certi ambienti di musicisti pipparoli) e inoltre lo trovo un gesto importante per fare avvicinare, spero , due mondi

Cosa rimane in te e nella musica di oggi del prog? In me rimane una passione che mi ha spinto e che mi spinge a suonarlo senza farmi troppe seghe mentali e senza farne una questione di ‘o stai di qua o stai di là’. E comunque devo dire che credo di avere composto e suonato sempre prog in maniera molto particolare, sia da solo sia in compagnia degli altri musicisti con cui ho collaborato. Mi spiego: sono a conoscenza del fatto che esistono decine di gruppi Genesis-clone piuttosto che Yes-clone o King Crimson-clone, etc etc... Ecco, io ho sempre cercato di non cadere in questa trappola mortale. Con i Finisterre abbiamo realizzato quattro cd in cui il prog in senso stretto (cioè inteso, come si fa comunemente, come rock sinfonico) è solo una delle tante componenti; le restanti sono classica contemporanea, minimalismo, elettronica, certo cantautorato, jazz, etc… In questo senso credo che i Finisterre siano stati uno dei primi gruppi ad operare una sintesi molto vicina al postrock in Italia già dal 1994. Purtroppo però essendo catalogati ‘PROG’ (etichetta che porta assai sfiga a dire il vero) molta gente non se n’è mai accorta o non ha nemmeno provato a dare un’ascoltata ai nostri dischi per sentire senza paraorecchie cosa contenevano. Negli anni, con gli altri progetti, ho e abbiamo mischiato il prog con il folk, con la sperimentazione, fatto un ibrido prog-post con laZona e un sacco d’altri esperimenti. Dico questo non per tirarmela o prendere le distanze dal mio passato ma semplicemente perché non basta dire ‘fai prog’ ed essere etichettato, per me fare prog ha sempre significato esplorare mondi diversi, a volte antitetici. L’unico progetto con cui ho fatto e faccio prog nudo e crudo è La Maschera Di Cera che prende spunto da gente tipo Van Der Graaf Generator o Biglietto Per l’Inferno. E ho detto tutto. Poi con la mia roba da solo


Produzioni mi rifaccio a cose elettroniche attuali ma anche al Battiato anni ‘70, a Sorrenti, Camisasca… Insomma sono un curioso e per me prog è molte cose molto diverse da come le si intende di solito. Per quello che riguarda la musica di oggi penso che il prog sia presente spesso e volentieri tutte le volte che gli artisti decidono di far musica esplorando e contaminando e non per far saponette da supermercato. Il fascino del prog volente o nolente lo subisce anche chi dice di odiarlo (i Giardini Di Mirò, belli fieri, scrivono nel retro di un loro cd ‘This is NOT Italian prog rock!’). Pur essendo in sé un genere volto all’eterodossia, spesso si ha uno sguardo molto ristretto verso il genere, dall’esterno; tuttavia anche la concezione e gli stilemi si sono fatti nel prog a volte rigidi e, appunto, ortodossi. E’ un po’ il problema delle definizioni che se prese in senso troppo lato smettono di funzionare (non distinguono più) e se prese in senso stretto creano vincoli e tensioni nocive alla creatività. In questo senso nella tua musica sembra esserci un equilibrio, dove lo hai trovato? Se parli delle mie cose da solista lì di prog come lo si intende comunemente ce n’è proprio poco, ma non perché abbia deciso di voltar faccia al genere o di sputare nel piatto in cui ho mangiato per anni ma semplicemente perché cercavo per il mio percorso solista un mondo tutto mio, intimo e svincolato dalla roboante situazione di gruppo e mi sono venute fuori delle cose così, fatte in casa, tutte suonate da me e anche un po’ strampalate. Il prog e la tecnica sembrano due concetti inseparabili nella testa di molte persone. D’altra parte in una tua breve Bio ti definisci “nonmusicista”. Un altro muro abbattuto? Belin! L’equazione di prog = tecnica è secondo me una grandissima cazzata! Ci sono stati sicuramente dei gran masturbatori di

strumenti in questo genere che a volte hanno anche prodotto delle emerite boiate ma ci sono stati anche dei musicisti calibrati e raffinati oppure anche personaggi quasi a digiuno di tecnica che però hanno spaccato. Il problema è che a causa di quattro giornalistucoli di rivistucole c’è stata una campagna mediatica contro il prog che è andata avanti per anni - e che solo ora sembra stia lentamente terminando - per cui prog = Rick Wakeman col mantello, Peter Gabriel col fiore in testa e Keith Emerson col coltello. Punto. Un po’ riduttivo, no? Sarebbe come dire che tutta la scena indie americana fa schifo perché è fatta di buffoni vestiti come Bobby Conn. Possibile che tutta sta gente non si sia resa conto dell’ironia che stava dietro certi atteggiamenti? Nel prog ci sono stati fior di gruppi e di dischi che non c’entrano nulla con mantelli, coltelli e fiori e sarebbe ora che qualcuno lo dicesse chiaramente. Secondo me inoltre si è fatta una gran confusione tra il prog e la fusion, lì si che c’erano e ci sono dischi costruiti su assoli plastificati che secondo me poco senso hanno, a meno che tu non sia un chitarrista che vuole fare le scianche a chi va più veloce. Io mi definisco molto candidamente ‘non-musicista’ perché è quello che sono, non conosco la musica, non so leggere uno spartito e non so nulla di teoria. Ho imparato tutto da solo, suono il basso ad orecchio e so a malapena dove stanno le note sul manico. Strimpello la chitarra e il piano e so metter mano in maniera appena sufficiente a programmi e software musicali vari. Però mi industrio più che posso e cerco di mettere tutta la passione pur di creare la mia musica. Quali sono i gruppi genovesi di oggi con cui ti senti affine? E i classici? Ultimamente ho gradito molto Japanese Gum e Hermitage, spero che il loro cammino sia solo all’inizio perché hanno molto fa dire. In particolare di questi ultimi mi piace il fatto

che citino tra i vari Mogwai, Gy!be anche i Genesis come loro influenza. E nella loro musica il prog si sente, un prog fatto in maniera particolare, nuova se vuoi, ma fatto senza vergogna. Da menti fresche e senza preconcetti. In generale penso che sia un ottimo momento per i gruppi genovesi, c’è molta creatività e la compilation LSOA Buridda! ha messo alla luce secondo me tante positive realtà come non accadeva da anni. Per i gruppi del passato genovesi, boh…ci sono i classiconi del prog (New Trolls, Delirium...) ma non mi hanno mai fatto impazzire, a parte rare cose. Uno forte che ho scoperto recentemente è tal Francesco Currà, calabrese trapiantato a Genova e operaio dell’Italsider. ‘Rapsodia meccanica’ del 1976 è una vera figata! Prog + cantautorato militante e schizzato + rumori di fabbrica. Chi lo trova si fa un gran regalo. La scuola cantautorale non mi piace molto, non sono influenzato da De Andrè e tutti i tributi lui dedicati mi hanno alquanto frantumato. Sembra esserci un ottimo equilibrio nelle tue composizioni che permette di evitare slanci di nuovismo preso e messo lì, ma anche (e soprattutto) le pesanti nostalgie del passato. Come vivi il rapporto tra classici e novità? Faccio un mix, mi tengo molto aggiornato su quello che esce, sopratutto a livello indie, elettronica, postrock, etc…Tutto quello che ascolto e mi piace entra nel mio dna, rielaboro e organizzo le mie cose. Adoro l’azzardo. Ho ascoltato recentemente Fovea Hex (anche lei ex-proggettara), Supersilent e un bel po’ di roba Jewelled Antler… Provo a mixarla con Battiato anni ‘70 (la mia più grande influenza credo) e ci metto un mellotron alla Rick Wakeman. Frullo tutto e ritorno ad una sensazione tutta mia. Se non sembra esserci nostalgia musicale, possiamo invece dire che una forma di ma15 CMPST #6[01.2008]


Produzioni “Per quello che riguarda la musica di oggi penso che il prog sia presente spesso e volentieri tutte le volte che gli artisti decidono di far musicaesplorandoecontaminandoenon per far saponette da supermercato. “ linconia è presente nelle tue composizioni. Perché tra tutte questa rimane la più gettonata tra le emozioni proprie della musica “impagnata”? Forse perché è più semplice tirarla fuori. E’ uno stato d’animo profondo ma anche molto facile da elaborare in musica. Se hai una chitarra in mano e ti senti malinconico è facile buttar fuori un paio di accordi tristi e crogiolarsi nella beatitudine del dolce struggimento. Molto più difficile tirare fuori qualcosa di solare e non banale. Detto ciò anche se è più semplice non mi importa, amo la malinconia di certi paesaggi e giornate, di certa musica e cinema e me ne sento attratto come se fosse un mondo ‘altro’ a cui vorrei tornare. Cerco quindi di fare una musica che raccolga stati d’animo particolari e che sia malinconicamente profonda, ma non solo. Amo anche le storie paradossali e surreali e mi piace creare una sorta di ‘malinconia metafisica’ . Recentemente, gruppi come i Sigur Ròs ma anche il post-rock da chitarra arpeggiata à la Mogwai che tanto si è andato diffondendo, hanno riportato l’attenzione di larghe fascie ragazzi più o meno adolescenti sulla musica ambientale, spesso strumentale, genericamente messa a margine da sonorità più fisiche e irruente. Volendo leggerla in chiave sociologica, che ruolo trova la musica ambientale in questa società? La ascoltano gli animi un po’ più sensibili, chi non si sente attratto dalla massa vociante ed è alla ricerca di cose più particolari. E meno male che persone del genere e situazioni così ancora ci sono. Peccato però che 16 CMPST #6[01.2008]

a volte queste situazioni, che dorrebbero essere una sorta di trampolino di lancio verso la scoperta di altri generi magari simili oppure anche più particolari, diventino un muro e non si esca da lì. Vedi il mio discorso su prog e indie. Perché chi si appassiona ad architetture sghembe à la Battles non può godere ascoltando i Gentle Giant che facevano le medesime cose già nel 1973? Perché la tal rivista gli ha dette che questi ultimi avevano il cantante che si vestiva da fiore e allora fanno cacare. Sembra una cazzata ma è così e quindi tanti potenziali ascoltatori di roba particolare che potrebbe espandere il giro, il mercato e la conoscenza restano lì, fermi ai loro Battles (grandi! senza dubbio) e più in là non vanno.

gruppi musicali con coordinate sonore affini a questo paradigma: perché Genova? Ha a che fare con qualche aspetto della città o di come ci si vive? Non è strano che succeda proprio qui, la Genova dei carruggi e delle strade fitte, visto che di solito questa musica è partorita dal Nord e dai suoi grandi spazi? Sono paesaggi diversi ma con le stesse caratteristiche malinconiche. Al nord hanno la pianura e la nebbia, noi abbiamo il mare e le colline. E il porto che nelle giornate di pioggia e quelle rarissime di neve con le gru sul mare grigio non possono non evocare certi scenari musicali molto molto post. No, non mi stupisce che a Genova si stia sviluppando questa positiva scena e sono molto contento di farne parte, in qualche modo.

A un orecchio distratto, a volte, sentire della musica ambientale come la tua o quella dei gruppi citati, e paragonarla al corrispettivo “funzionalizzato” New Age come quei dischi tipo “musica per le cascate” o “il suono della foresta”, può sembrare la stessa cosa (chiedete ai miei genitori…). C’è davvero qualcosa che secondo te accomuna le mode dell’ “era dell’Acquario” al nuovo stimolo che hanno ricevuto i generi d’atmosfera in questi anni? No, pietà! Spero che mai succeda, soprattutto nella mia musica. Secondo me si tratta proprio di mondi molto distanti. Distanti soprattutto come approccio e come sensibilità. La new age parte da una situazione di stampo prettamente americano, tutta essenze profumate e case arredate col feng shui. Tastierine di plastica e cinguettii. Per quanto possa essere ambientale la musica dei Sigur ros o altre formazioni ha finalità diverse e serve solo in parte a rilassare. In realtà dà una carica pazzesca e fanno tutto meno che ammosciarti.

Cos’è Genova oggi? Cos’era ieri, e come la ricordi? Quando ho cominciato a suonare seriamente (intorno al ‘90) per suonare c’erano un po’ di locali carini (Panteka, Mister Do, Quaalude, Charlie Christian…), la Festa dell’Unità e ‘Oltre il juke box’, il Circolo Arte e Musica e robe del genere. E c’era una particolarità: si suonava poco ma quando si suonava, qualunque cazzata si mettesse su, c’era sempre molta gente, non solo amici e parenti. Certo, all’epoca non potevo ritenermi soddisfatto di quello che facevo e vorrei oggi che ci fosse ancora qual fermento, ora che avrei molte più cose da dire nella mia città. Ma la gente dorme. E’ la gente che non ne ha più voglia. Relativamente poco tempo fa c’era ancora una certa fame di musica, la voglia di scoprire chi aveva talento e chi no, il fatto di uscire la sera e andare ad ascoltare un gruppo che faceva roba propria per il gusto di vedere e se era bravo o no. Penso fossero gli ultimi retaggi di una certa cultura anni ‘70 che è ben presto finita. Ora sono solo gli irriducibili ad andare a vedere un concerto dal vivo di un gruppo underground e di conseguenza i locali chiudono e tutti si lamentano.

Genova in particolare ha visto negli ultimi 5 anni la nascita e lo sviluppo di diversi


Produzioni Dov’erano però tutti quelli che si lamentano quando era il momento di andare nel tal locale ad ascoltare qualcuno e a sostenere la causa? Boh..ma qui, si sa, siamo nella terra del mugugno. I locali chiudono perché c’è disinteresse, punto! Non perché siamo sfigati o è cattivo il governo. E questo è molto triste e non so come la situazione potrebbe cambiare. Chi c’è dentro però non deve darsi per vinto e deve continuare, penso che certe cose non bisogna farle per avere un riscontro immediato, bisogna fare e basta, senza porsi troppe domande se è giusto o meno perché se crollano anche questi ultimi irriducibili saremo veramente nella bratta in questa città. In questo momento a Genova c’è una scena musicale che secondo me non ha paragoni in Italia a livello di qualità e inventiva, una roba così non la vedo dai tempi che furono e spero che se son rose fioriscano bene e che non vada tutto a puttane. Cosa pensi che ci manchi per avere la credibilità che la città aveva negli anni 70 con il suo prog? A noi niente, sono i tempi che sono cambiati in peggio, una cecità dilagante, la non voglia di novità e tutto il resto. Ripeto la scena c’è, chi si sbatte c’è pure e pure i luoghi ci sono. Ci vorrebbe solo una bella scrollata alla gente. Se a quei tempi i musicisti scambiavano tra di loro informazione in maniera orizzontale i nuovi gruppi musicali di oggi sembrano, anche grazie alla tecnologie, bypassare le lezioni che possono ricevere dai gruppi più o meno del loro livello, per andare a dialogare direttamente con la fonte straniera del loro suono di riferimento. Quanto questo è un bene e quanto questo è un limite? C’è ancora spazio per un rapporto con il territorio e la società di nascita, nella musica per come si fa oggi? Dipende dal singolo, secondo me la prima fonte di scambio dovrebbero essere i musici-

sta a te affini che magari operano nella tua stessa zona per avere informazioni, scambi di opinione, collaborazioni e quant’altro. Così cresce e si rafforza una scena altrimenti ci sono tanti cani sciolti che guardano ognuno da parti diverse. E’ possibile secondo te che ci sia meno affezione verso l’underground locale da parte del “(relativamente) grande pubblico”, proprio perché questo è più scisso dalla sua realtà territoriale? Non so se dipenda da questo…ripeto, secondo me in giro c’è una gran noia e non voglia di mettersi in gioco, scoprire cose nuove e quant’altro. Al ‘grande’ pubblico basta la tv oppure la movida con tutti gli annessi e connessi. Vuoi mettere lo sbattimento di andare in un locale apposta per vedere un gruppo che fa musica sua magari nemmeno molto orecchiabile e che magari ti apre nuovi orizzonti? Sia mai! In questo senso ‘ai miei tempi’ vedevo stimoli diversi (e che ancora ritrovo quando suono all’estero). La movida non era solo ‘andiamo a fare il giro dei locali cercando il posto più fighetto del momento’ ma ‘andiamo alla ricerca di qualcosa, vediamo se in quel tal tugurio fanno musica interessante, se c’è roba nuova da scoprire.’ Poi non credo tutti facessero così, c’era anche chi se ne sbatteva bellamente e pensava bere e stop però chi ci pensava era in numero molto maggiore rispetto ad oggi, non c’è dubbio. Ricordo seratine al Charlie Christian dove facevano jazz o venivano gruppi sperimentali ed erano concerti interessanti senza puzza sotto il naso con dentro un sacco di gente che veniva incuriosita. O le sfide tra bands al Mister Do, certe sere non si riusciva ad entrare dal casino. I tempi sono molto cambiati a livello sociale, in molto peggio, e cosa ci riserva in il futuro assolutamente io non sono in grado di prevederlo. Un po’ di gente che si muove ancora c’è (vedi le serate al Buridda), basandosi su queste bisogna costruire.

“In generale penso che sia un ottimo momento per i gruppi genovesi, c’è molta creatività.” Sperando solo non sia l’ultima fiamma prima dell’estinzione totale. La tua attività comprende diversi progetti, a cui ti interfacci sempre, mi sembra, come “individuo”, portatore della tua visione della musica. Il fatto che tu non abbia cercato un nome accattivante per il tuo progetto solista è in qualche modo in sottile controtendenza. Quanto conta l’individualità nella musica di oggi ? Beh, ho già messo su o suonato in diversi gruppi o progetti (Finisterre, la Maschera Di Cera, Hostsonaten, Aries, laZona, Quadraphonic…) nella maggior parte dei casi in compagnia di altri musicisti. Per quello che è il mio lato solitario invece volevo uscire a mio nome perché realmente le cose che faccio da solo sono un qualcosa di così intimo da tutti i punti di vista che mi sarebbe sembrato strano uscire con uno pseudonimo o con un nome di gruppo. Sono io, nudo e crudo, e quindi non posso che uscire a mio nome. Cosa cerchi nei progetti a cui partecipi? L’emozione di trovarmi ad affrontare prospettive diverse in musica. Ascolto molte cose differenti, molte cose mi influenzano e a livello compositivo mi piace spaziare. Se ascolto un qualcosa che mi appassiona mi viene il desiderio di provare a misurarmi anche io con un linguaggio del genere e allora da lì nascono i progetti. Null’altro, semplice curiosità e una gran voglia di provare e comunicare belle sensazioni. Più info sulle pubblicazioni di Fabio Zuffanti su ht t p ://w w w. zuf fa nt i p roj ect s . com 17 CMPST #6[01.2008]


Sul Palco “Oh anche io sono molto snob e quando ero più giovane ero tremendo, se non condividevo gli altrui gusti partivo con la mia stucchevole prosopopea che infarcivo di informazioni approssimative e distorte. “ Bobby Soul Intervista con Roberto De Benedetti di Marco Giorcelli

MASCHIO NUMERO 1

Ammetto di essermici avvicinato quasi per caso. Nel modo più tipico poi: dal momento che qualcuno lo criticava, oltrettutto per il singolo del momento, immediatamente ha attirato la mia attenzione. Malcom Mc Laren si farebbe un mezzo sorriso. E francamente dopo tutta questa indie-noia fatta di forma, formine e formaggi, direi che un sano, anzi sanissimo, ritorno alla tradizione più classica e genuina delineata dallo stesso hit single, è quanto di meglio auspicabile per la musica italiana. Bobby Soul quindi, genovese, genoano e con alle spalle un curriculum vitae di tutto rispetto infarcito di collaborazioni illustri: Sensasciou, Blindosbarra, Roy Paci, Voci Atroci e altri tra i più importanti rappresentanti del rock indipendente italiano. Sul singolo Maschio #1 cosa c’è da aggiungere? Un titolo che non scandalizza certamente nessuno e che, per quanto mi riguarda, fa venir voglia di correre in edicola a comprare Men’s Health piuttosto che le solite riviste musicali. Bobby Soul, ma chi è il Maschio #1 ? Esiste? E se esiste è rossoblu oppure blucerchiato? Eluderò la prima domanda dicendo che ho letto il blog a me relativo su Sodapop e la prima cosa che vorrei dire è che sono molto fiero di essere stato paragonato al mago Perseo, che al secolo fa Spagiari ed è stato mio compagno di giochi a San Giacomo di Roburent, luogo di vacanza dove i miei genitori mi portavano da bambino. Dovrò comunque necessariamente deludere l’intervistatore dicendo che il maschio numero uno è Genoano, non solo, direi Genoano-Zoroastriano, cioè iscritto al Genoa Club Zarathustra, i cui motti sono “E’ la stella che vogliamo” e “Lottare su ogni 18 CMPST #6[01.2008]

pallone come fosse l’ultimo” (Sigh! La prima picconata al mito N.d.R.). E’ stato un caso che io sentissi il pezzo. E’ partito tutto da un post nel forum di Sodapop dove un amico esecrava te, il video e il pezzo (almeno credo). Ma io, appena ho visto il clip su You Tube me ne sono follemente innamorato. Non so perché mi piace così tanto: chissà, forse vorrei essere io il maschio numero uno o forse ho scoperto il funky (mai apprezzato prima) direttamente da te. Qual è il tuo percorso musicale, in ambito funky e non? Ho iniziato facendo lo speaker in piccole radio rionali, poi il deejay nei club del centro

storico a fine anni ‘80 (Lucrezia, Do It etc.) infine reclutato nello sfavillante mondo della musica underground genovese, Bob Quadrelli e Andrea Ceccon fra gli altri. L’amore per la black music nasce però molto prima e per cause che potrei spiegare così. Un giorno il mio professore di Italiano delle medie ci spiegò tutta la storia degli schiavi e del blues e io, che all’epoca ero molto sensibile, mi identificai così tanto con la loro sofferenza da diventare, prima un ascoltatore maniacale di tutta la loro musica, a partire dal blues del delta fino all’hip hop contemporaneo e, poi, della loro letteratura (in particolare i libri di Toni Morrison). Finchè qualcosa si è mosso in me e


Sul Palco “Ho vissuto un intenso periodo lì dentro, ero circondato da gruppi metal, ci sono molti più gruppi metal di quanto uno si possa immaginare. La cosa strana è che io sono stato cacciato e i gruppi metal no.“

ho cominciato a cantare le loro canzoni, facilitato dal mio timbro vocale che è in qualche modo riconducibile a quello di un negro. Sono molto contento che tramite me tu abbia scoperto il Funk (sostantivo, funky è un attributo edulcorativo), una musica molto importante per la cultura nera che negli anni ‘70 si liberava del vittimismo del Blues e del devozionalismo del Soul per approdare al malcolmiano Black Is Beautiful creando così un esplosione liberatoria e dionisiaca. Gli esponenti più importanti sono stati, oltre ovviamente a James Brown, soprattutto Sly And The Family Stone, gli psichedelici Funkadelic e il Curtis Mayfield di Superfly. Sul tuo sito, mi sono letto quello che chiami il bunker. Non sapevo della ragnatela di corridoi sotto Piazza della Vittoria, a Genova. Mi sono immaginato un mondo sotterraneo di band (il vero underground) sotto l’enorme piazza. Ma è davvero così? E’ una bella immagine ma ti devo nuovamente deludere. E’ vero, ci sono molti bunker dai muri molto spessi ma l’habitat decisamente borghese della piazza è assai diffidente nei confronti dei musicisti e quindi ci saranno al massimo tre-quattro sale prove. Io stesso, che pure mi presento come affidabile, pur non essendolo, ultimamente sono stato allontanato e ora ho trovato ospitalità presso i miei amici di Oltreilsuono, nel Porto Antico. Ho vissuto un intenso periodo lì dentro, ero circondato da gruppi metal, ci sono molti più gruppi metal di quanto uno si possa immaginare. La cosa strana è che io sono stato cacciato e i gruppi metal no. (Giusto! Metal come gramigna! N.d.R.)

Ma Bobby Soul ascolta solo soul? Questo è un sito di indie rock. Hai band favorite in questo ambito? Occhio a ciò che dici perchè ci sono un sacco di snob pronti a stoccarti. Oh anche io sono molto snob e quando ero più giovane ero tremendo, se non condividevo gli altrui gusti partivo con la mia stucchevole prosopopea che infarcivo di informazioni approssimative e distorte. Io ascolto un po’ di tutto, ultimamente soprattutto il primo blues, Blind Lemon Jefferson e Robert Johnson, un po’ di elettronica e molta roba sconosciuta dai paesi più improbabili che trovo su Myspace (capisci quanto sono snob io, no?) Riguardo all’indie dirò due nomi molto banali (pronto ad essere nuovamente esecrato): Soulwax (specialmente i remix) e Stereophonics (che forse più che indie sono brit?). Tre figli, due mogli. Un povero ricco o un ricco povero? Io mi auguro con tutto il cuore che Maschio #1 venda un milione di copie e le possibilità ci sono. Come prevedi e com’è l’impatto con il pubblico? Airplay radiofonico ce n’è già su scala nazionale? Ti ringrazio molto per l’augurio, spero mi porti culo, ne ho bisogno. Preciso, una moglie dalla quale sono separato e da cui ho avuto due figli ed una ex-compagna dalla quale ho avuto il mio terzo figlio. Non ho molti soldi, la mia ex-compagna però ne ha, la prima moglie è figlia di un minatore irlandese ed è quindi povera. Io lavoro molto e in qualche maniera me la cavo, ho mille risorse, sai… La canzone Maschio #1 è un atto di auto-accusa per non essere riuscito a tenere in piedi i miei rapporti con le donne ed è un monito al mio comportamento futuro, così ti ho spiegato come è nata… Poi le canzoni hanno una vita tutta loro e ognuno può interpretarla come meglio crede, il video ne da’ una visione da commedia all’italiana, io interpreto il ruolo di un impiegato frustrato che a un certo punto prende la scossa e diventa quella specie di imbecille vestito

Con Bob Quadrelli - foto di A.Positano color crema. Quando l’ho visto la prima volta volevo denunciare il regista, Paolo Pisoni. Ho messo un mese a digerirlo, poi l’ho sistemato in rete e adesso mi piace molto, tanto più che ha suscitato reazioni da una parte entusiastiche e dall’altra indignate. Per quanto riguarda le radio ho avuto durante tutto il 2007 un notevole riconoscimento dalle radio indipendenti, dove sono stato nella top ten della IndieMusicLike, praticamente tutto l’anno con Dammi Un Brivido, con Sull’Onda Buona che ha vinto la classifica a Luglio e con Maschio #1 che è appena entrato nell’ultima classifica. 19 CMPST #6[01.2008]


Sul Palco Ma nessuno/a ti ha ancora accusato apertamente di divulgare uno sfrenato inno al maschilismo? Sul mio sito qualcuno sostiene che sia la canzone più femminista che sia stata mai scritta in Italia. Io spero vivamente che mi si accusi di maschilismo, anzi forse pagherò qualcuno per farlo, tipo sarebbe perfetto se lo facesse Natalia Aspesi stimolata da una mia finta lettera sul Venerdì di Repubblica o la Pivetti in un qualche orrendo talk show televisivo, potrei sfruttare così l’onda montante contro il Political Correct (quest’onda è diventata ormai puro mainstream), vendere qualche disco in più e mantenere le mie famiglie con più agio, oltre naturalmente a sfruttare la mia visibilità con le donne. Come vedi attualmente la scena indipendente genovese? Che ne pensi di band ormai popolari nell’ambito come Ex-Otago, Port-Royal e En Roco? Port-Royal hanno fatto un buon disco e li ho visti dal vivo, anche gli En Roco mi piacciono, loro trasudano Genova. Non so molto degli Ex-Otago, anche se sono seguiti da Totò Miggiano che conosco bene. A me piacciono in particolare Vanessa Van Basten (che antipatico però che è lui) e Cut Of Mica. Stimo il mio amico Andrea Bruschi (vero Maschio #1) con i suoi Marti, decadentoni romantici che non sono altro, nell’elettronica occhio a Luca Tudisco e ai suoi moltelplici progetti e poi c’è tutto il giro hip-hop ragga che ruota attorno a Nio Siddharta, un tipo molto sveglio. Tra le tue infinite collaborazioni (Roy Paci, Bob Quadrelli, BlindoSbarra, Voci Atroci) quale ti piacerebbe ancora realizzare in futuro?

“Io spero vivamente che mi si accusi di maschilismo, anzi forse pagherò qualcuno per farlo“ 20 CMPST #6[01.2008]

Alla presentazione di Zenatron 1 con Praux - foto di Anna Positano Ultimamente ho collaborato anche con Vedi io scrivo molto dei miei quattro peli per Johnny dei Dirty Actions che, per chi non lo non dire dei miei casini. Quando ho cominciasapesse, è stato il primo gruppo punk genove- to a concepire l’idea di fare un album mi trose e uno dei primi in Italia (impreparati di funk, vavo veramente nella merda e scrivere canma sullo sterrato non ci insegni l’ABC, Bobby zoni è stata l’unica cosa che mi ha veramente caro N.d.R). Il mio sogno nel cassetto è fare salvato dai miei fantasmi (questo fa molto un duetto con quella splendida icona gay iconografia rock’n’roll). Comunque, questi palestrata che è Rais, l’ex cantante degli Al- fantasmi sono draghi rossi quando partono maMegretta, un perfetto sequel di Maschio #1 dalla mia epidermide e vanno verso l’esterno sarebbe una nostra versione, chessò, di Mala- e buchi neri quando dall’esterno vanno fino al femmena, per esempio, no? centro della mia psiche. Quindi in definitiva è un album molto eterogeneo che descrive le Cosa rappresentano i Draghi Rossi, ma mie palesi contraddizioni. E’ un privilegio sasoprattutto i Buchi Neri? Non credi si possa pere che c’è gente che si interessa di questo. generare un equivoco (forse voluto) alla La metafora sessuale capisco sia evidente per Elio E Le Storie Tese?


Sul Palco quanto non voluta, d’altra parte tutto, se vogliamo, può essere una metafora sessuale se si ha una cultura materialista-freudiana come la mia (con però contemporanee ansie metafisiche catto e quel che è peggio catto-comuniste e - come ulteriore elemento di destabilizzazione - si è in più fan sfegatati di Abel Ferrara). Cosa ne pensi delle varie iniziative cittadine degli ultimi anni? Mi riferisco a Goa Boa, MuMu, Disorderdrama, Milk e Buridda. Conosco bene Totò Miggiano, dicevo, Genova è assai punitiva, ogni volta che ha tirato fuori dal cilindro qualche nome difficile è andato a bagno, ma è un uomo che rischia e ha tutto il mio sostegno. Quest’anno necessariamente il Goa Boa è stato molto soft (peraltro c’ero anche io con il mio gruppo Les Gastones) e forse non potevano fare più di quello che hanno fatto finora. Mumu ricordo di avere visto gli Zu e i Port-Royal, bella location Villa Croce, c’era anche il mio amico Deejay Capasoul e Howie B. Disorderdrama chi sono? Il giro dei Blown Paper Bags? Bravi loro anche se non so se gli sono simpatico. Milk è un bel buco nero e Buridda poco lo frequento, chiaramente perché non mi interessa la politica, essendo un piccolo borghese qualunquista e narcisista. Sto scherzando dai, direi che si danno molto da fare al Buridda, ci credono, vedo sempre programmazioni coraggiose. Io non voglio fare il solito genovese che si lamenta. Ci sono molte persone in città che fanno del loro meglio e io penso di essere fra loro. Un amico ha definito Maschio #1 come un “instant classic”. Ti piace come definizione? Non posso che ringraziare il tuo amico. Ma tu ti senti un sex symbol? Affatto. Direi che mi sento un filosofo, anzi un teologo delle relazioni sessuali fra uomo e donna e delle relazioni sessuali in genere…

Viste le tue evidenti doti vocali, non hai mai pensato di abbbandonare definitivamente Genova, in virtù di qualche scalo, magari internazionale, più ricettivo verso la tua musica? L’avrei fatto ma da quando sono felicemente diventato padre non posso permettermelo. Vado spesso a Milano e a Torino e tutto sommato a Genova non sto male. Ti ringrazio per l’apprezzamento per la mia voce, ci ho messo anni io ad accettarla. Non hai mai conosciuto Bobby Solo? Lui sa che esisti come cantante? No, gli manderò una mail, chissà se fa come tutte le star e non caga, lui era l’Elvis italiano… Piuttosto esistono altri due Bobby Soul, uno è l’ex cantante dei Platters (te li ricordi: Only You e Smoke Gets In Your Eyes), l’altro è il tastierista di un gruppo ska italiano. Ho mandato ad entrambi una mail proponendo di fare un gruppo, THE BOBBYSOULS, ma non mi hanno risposto, peccato… Se mai mi citassero per utilizzare il nome altrui passerei al più raffinato Luigi (o Louis) TeKno, una miscela di funK, esistenzialismo e minimal, che ne dici? Riesci e vivere esclusivamente delle tua musica? No, riesco ancora a fare molta musica ma lavoro anche come educatore, traduttore e ho pure un part-time di 6 giorni al mese molto figo in un call-center assai chic di Milano per il 70% pieno di belle ragazze e per il restante composto da gay dichiarati. Siamo solo due eterosessuali, di cui uno felicemente sposato e fedelissimo. Così chiudo in maniera direi discretamente paracula, sia per le ragazze del call-center che saranno lusingate (o disgustate?) e quindi più disponibili (o assolutamente inavvicinabili?) quando farò leggere loro questa intervista, sia per accreditarmi maggiormente come maschio #1 che, devo dire, ha i suoi lati positivi. Continuate ad esecrarmi.

Ti auguro il meritato successo su scala nazionale e spero di poterti vedere dal vivo al più presto. Grazie Bobby! E io ti ringrazio di cuore, spero di conoscerti di persona! Q u e s ta i nte r v i s ta è a p p a r s a o r i g i n a r i a m e nte s u ht t p ://w w w. s o d a p o p.i t d a to i l c o nte n u to e l’a u to re c i è s ta to p e r m e s s o d i r i p u b b l i c a r l a q u i. R i n g ra z i a m o E m i l i a n o e M a rco. Più i n fo sulla co m p a gnia di B o b by Soul su ht t p ://w w w. b o b by s o u l . i t h t t p : / / w w w. m y s p a c e . c o m / b o b by s o u l s 21 CMPST #6[01.2008]


Export “ Si può dire che i miei contatti siano ciò che ricostruisce e mantiene davvero vivo il legame con il mio passato.“ Stark Vision Of The Morning Intervista con Simona Barbera di Simone Madrau

VISIONI DEL MATTINO Un percorso complesso ma deciso, fuori da etiche definite e luoghi comuni, strettamente legato ad una contemporaneità che qui ancora spesso coincide col futuro. Nata a Genova ma di base a Oslo, artista nel senso più autentico della parola, Simona Barbera, meglio nota come Shocking Tools, racconta a Compost la sua storia e il suo neonato progetto Stark Vision Of The Morning. Un aka che involontariamente definisce anche la vicenda artistica e la personalità della sua titolare. Come di regola, quando devo intervistare qualcuno che non conosco cerco quante più informazioni possibili in merito. La cosa è tanto più valida nel tuo caso, non essendo tu personaggio troppo visibile qui a Genova. Il fatto è che cercando su Google salta fuori davvero pochissimo materiale: strano, vista la natura internazionale del tuo progetto e il suo legame con la tecnologia. Credo dipenda dal fatto che cambio molto spesso il nome dei progetti, a seconda del contesto musicale in cui mi trovo. Questo apparentemente può essere un problema ma anche no nel senso che, se la gente che mi contattava prima mi ricontatta quando do vita a un progetto nuovo, significa che quest’ultima non mi ha davvero perso di vista. Si può dire che i miei contatti siano ciò che ricostruisce e mantiene davvero vivo il legame con il mio passato.

Tu stai tra Genova e Oslo, anzi più Oslo che Genova. Sei andata a Oslo per motivi vari e da lì hai intrapreso il progetto Shocking Tools o viceversa il 22 CMPST #6[01.2008]

progetto è nato prima e in seguito, per ragioni che puoi dirmi solo tu, hai deciso di esportarlo? In realtà il mio recente progetto musicale, Shocking Tools, non inizia né a Genova né a Oslo ma a Milano, esattamente tre anni fa. Seguendo un master di fine laurea e in quell’ambito ho iniziato a lavorare facendo progetti audiovisivi. La parte musicale era già in evoluzione ma non definita. Già decisamente orientata verso l’elettronica, ovviamente, ma con un approccio supersperimentale. Questo mi ha condotto alla definizione del nome Shocking Tools, che però in quel momento era ancora esclusivamente legato al master. Per finire quest’ultimo, grazie a una borsa di studio, mi sono spostata in Norvegia, nell’unica scuola che aveva un dipartimento legato alla musica elettronica: e da lì, parallelamente al ‘progetto-master’ ho iniziato a lavorare su un discorso musicale vero e proprio. Nel tempo il percorso musicale e scolastico si sono uniti, fino a prendere una forma più nitida che è quella che sto portando avanti

ancora adesso.

Quale passione è nata prima in te: quella per le arti visive o quella per la musica? Non so cosa sia venuto prima perché da sempre ho fatto tutte e due. Ho avuto un background musicale fatto di esperienze diverse e ambiti completamente opposti a volte, coerente con il percorso visivo. Mi piace mantenere questo rapporto sperimentale tra musica e arte visiva, anche se per un certo periodo ho avuto una parentesi molto accademica soprattutto per quanto riguarda la voce e il pianoforte. Ho studiato pianoforte classico. Nel tempo ho cercato di mantenere il percorso classico come un’esperienza di studio formativa. Quali persone, cose e situazioni sono state importanti all’inizio di questo percorso? Riferimenti molto diversi. Quando ho iniziato ad avvicinare la musica elettronica [un approccio abbastanza punk], il primo musicista che mi ha affascinato subito è stato Brian Eno. I miei studi per quanto riguarda la voce sono stati invece sia accademici, come ti dicevo prima, che sperimentali. Per moltissimo tempo ho studiato con musicisti e cantanti orientali, studiando le tecniche estreme della voce, senza nessun tipo di collocazione definita: né pop, né rock, né altro. Il


Export risultato ora potrei vederlo così: ho un approccio molto strumentale nei riguardi della voce, decisamente poco pop sotto questo punto di vista perché.. non credo di riuscire a fare diversamente! [ride] Andando molto in là nel passato, prima di incroci e progetti qua a Genova, mi ricordo di molte intuizioni musicali finora mai sviluppate ma molto vicine ad Antony And The Johnsons. Adoro Bowie, ma anche Vincent Gallo e Paul Kalkbrenner… Per quanto riguarda le mie influenze attuali Oslo ha un panorama ricchissimo per quanto riguarda musica noise, ambient e techno. A proposito di Oslo: come è la situazione in termini di locali, etichette, spazi ecc.? Oslo è una città dove la gente, soprattutto giovani e giovanissimi, arriva per fare delle cose. Non è una città con una storia e una tradizione particolare quindi è continuamente invasa da influenze esterne. Inoltre la principale attività giovanile è la musica. Tutto quel che succede in città è legato alla musica e al fashion. E’ una città molto legata alla moda? Sì, ma in un modo molto interessante e originale. I ragazzi sul piano estetico osano molto. In particolare il contesto in cui vivo la musica a Oslo è spesso legato alle gallerie d’arte, e situazioni dove le esperienze visive e musicali si incrociano. Molto spesso accadono ‘eventi’ appositamente ideati e studiati per lungo tempo, oppure ‘rave’, nelle gallerie. Ne ho organizzati due a Oslo all’interno di altrettante gallerie. E poi Oslo è comunque una città abbastanza piccola e tutti gli eventi sono piuttosto legati! In realtà anche qui a Genova il giro è piccolo e ci si conosce tutti. La differenza con Oslo, oltre a quelle descritte da te, potrebbe essere l’attenzione da parte delle istituzioni. Riconoscono le cose che fate, c’è tolleranza, vi danno spazi, o fanno di

tutto per chiudere locali..? Penso che l’arte sia la risorsa principale in una città come Oslo! Io sono riuscita a sviluppare gli ultimi progetti proprio grazie alle istituzioni! Scappiamo tutti a Oslo! Sì forse Stoccolma è anche più interessante. Penso di vivere qui e là per un po’. Dopo vediamo. Forse Parigi. Per quello che fai anche Parigi potrebbe essere un posto adatto. Anche lì si percepisce un forte legame tra estetica e arte. Assolutamente, sì. Parliamo invece di Genova. All’interno della cosiddetta scena hai legami almeno con chi fa musica elettronica in città? Dai vari Port-Royal e Japanese Gum a Flexible passando per Eves? Prima di partire conoscevo tutti, ti parlo di duetre anni fa. Per il resto ho sempre vissuto molto più a Milano che a Genova quindi le cose che sono successe qui ultimamente sono state sporadiche. Tre anni fa ad esempio lavoravo con i ragazzi de La Madeleine. Ultimamente sono in contatto con Mass_Prod, che tra l’altro verrà a suonare a Oslo prossimamente. E poi con Matteo Casari. Alla fine sì, conosco più o meno tutti.

cinico, un po’ freddo. Ecco, una cosa che non rifarei è questa. E’ stato un percorso per certi versi molto semplice, fatto cioè da studente. E’ importante avere invece un certo tipo di scena alle spalle, mi interessa. Prima mi hai citato Brian Eno, David Bowie ed Antony. E passi. Ma ti dicevo della scarsità di informazioni sul tuo conto, che mi ha portato a visitare certe pagine come una sorta di ‘ultima spiaggia’. Addirittura sono finito dal tuo MySpace al tuo last. fm. Qui tra i tuoi artisti più ascoltati ho trovato Elliott Smith. Ora: è vero che i musicisti elettronici vantano ascolti imprevedibili e molto disparati, ma tu non hai nemmeno un artista elettronico tra la musica che ascolti! Ti ho beccato nella settimana sbagliata oppure..? [ride] Non dovrei mettere certi link su MySpace, è un po’ un’arma a doppio taglio! Ci sono musicisti che ascolto in vinile, in cd, e ‘anche’ su computer. Su last.fm ci capita di tutto, anche se alla fine anche quella è davvero musica che mi piace molto e che in molti casi mi influenza. Cat Power e Vincent Gallo ad esempio sono tra i miei ascolti su last.fm. Poi comunque ci sono artisti che devo necessariamente ascoltare in vinile, tipo Paul Kalkbrenner. Non riesco ad ascoltarlo su computer o su cd.

Dal momento che ci hai lavorato, è inevitabile chiedertelo: commenti sulla chiusura de La Madeleine? Puoi non rispondere se vuoi! No comment! [risate amare] E’ una cosa che.. non capisco.. Quanto è importante secondo te l’esistenza di una scena per la realizzazione di un artista? Te lo chiedo perché effettivamente, conoscenze o no, sei un personaggio che si è ‘fatto da sé’ in termini artistici e di esportazione della sua proposta. La risposta è duplice. Nel senso che, sì, è vero che quel tipo di discorso... Solitario [ride] è un po’

Simona a Crossover07 - foto A.Positano 23 CMPST #6[01.2008]


Export Il vinile ti piace, come formato. Lo stesso The Shivering Cold Continues [ultimo lavoro a firma Shocking Tools, NdSimo] esce come 12”. Sì mi piace molto. E’ il formato che ascolto di più. Metti anche dischi? E solo vinili o anche cd? Sì, metto anche dischi e uso entrambi i formati. Possiamo azzardare legami tra la tua musica e il jazz o è questa cosa del cantato femminile su musica elettronica ad essere fuorviante? Bè direi che legami col jazz ce ne sono pochi per non dire nessuno. La componente dark invece è una cosa legata solo all’estetica di cui parlavamo prima o vieni effettivamente da ascolti di quel tipo? E nel secondo caso, parliamo di classici tipo i soliti Siouxsie, Bauhaus ecc. o anche cose più di culto? Sicuramente ho ascolti di quel tipo, classici e non. L’influenza più forte in questo senso credo sia Diamanda Galas. Ma non solo in questo senso, penso anche all’utilizzo strumentale della voce di cui ti dicevo. E’ una figura interessantissima. Nei live è potente, aggressiva, fredda. Una vera performer. Sì, direi che incarna molto bene il tuo immaginario così fortemente legato a estetica, immagine e via dicendo. A proposito: il prossimo 24 gennaio parteciperai a Netmage… Sì, Netmage è questo festival audiovisivo a Bologna cui prenderò parte con un progetto audio/video che è stato selezionato, e a cui ho lavorato insieme a Jade Boyd, videoartista australiana, trasferitasi a Oslo e ora di nuovo in Australia. Tornerà appunto in occasione di Netmage. Le musiche sono i nuovi pezzi cui ho appena finito di lavorare. Io e Jade abbiamo fatto altri lavori con un taglio anche pop. Sempre per quanto 24 CMPST #6[01.2008]

riguarda le mie influenze visive citerei anche un filmmaker oggi scomparso, Derek Jarman, il cui ‘giardino sensuale’ è stata la prima fonte di ispirazione per ‘The Shivering Cold Continues’. Al di fuori di Oslo hai facilità a trovare date? Hai contatti, conoscenze, ecc.? O sei sempre lì a smanettare per trovare spazi e occasioni? No, non è un grosso problema. Come ti dicevo però sono attratta da situazioni in cui è possibile estendere l’esperienza musicale il più possibile. Non è difficile trovare date in generale, ma è ancora più interessante trovare un contesto o un progetto a cui dedicare molto e sperimentare altrettanto. Per esempio l’album ‘The shivering cold continues’ è nato così! Concentro le mie giornate su progetti precisi e con persone spesso legate ad esperienze disparate. Concretizzati questi ultimi in qualche modo le ‘occasioni’ arrivano sempre. A parte Netmage ho in ballo un progetto con un musicista norvegese che ha influenzato moltissimo il mio percorso attuale, Stian Skagen. L’anno scorso ho fatto pochi concerti appositamente per rodare i brani di ‘The Shivering Cold Continues’ mentre l’anno prima non mi preoccupavo di queste cose, ho suonato molto di più in giro. Dal vivo come funzioni? I pezzi sono coerenti con le relative versioni in studio o sei una maniaca dell’improvvisazione? Improvvisatrice, decisamente. Shocking Tools sul piano estetico non è poi così cupo come sembra. Ricordo un paio di foto sul tuo MySpace che, tra il tuo abbigliamento e la pulizia delle immagini, non avevano davvero niente di così oscuro. Vero. In realtà si tratta per lo più di immagini o poster di eventi e progetti cui ho partecipato in cui è presente anche una componente ironica, pop. E’ una cosa che cerco volontariamente, per

sdrammatizzare un po’ insomma. La parte ‘scura’ del mio progetto musicale è solo un’ atmosfera. Qui a Genova, in occasione di Crossover, ti esibirai [al futuro nel momento di questa intervista, lo scorso 1 dicembre per chi legge, NdSimo] non con il nome Shocking Tools ma con un progetto tutto nuovo… Sì, si tratta ancora di elettronica ma il suono stavolta è molto più aggressivo, ritmico, quasi techno. E’ un progetto che anticiperà la mia collaborazione con questo musicista noise di cui ti dicevo. Stark Vision Of The Morning è il nome del progetto, arrivato dopo alcuni scatti fotografici alle 6 del mattino nelle gallerie, dopo i rave. Con Jade abbiamo cercato di definire questi scatti, ci veniva in mente una cosa tipo Flat Vision, un po’ ruvida. Alla fine è venuto fuori Stark Vision Of The Morning, nella descrizione di quel tipo particolare di luce. E’ un nome paradossalmente quasi solare. Sì anche se poi l’avatar sul MySpace del progetto è un corvo, quindi in realtà non si scappa nemmeno stavolta! [ride] Esaurite le domande sulla Simona-artista mi faccio i cavoli tuoi fino in fondo indagando sulla Simona-persona e ti chiedo: ma tu con questo ambaradan di roba che porti avanti riesci a viverci? E se non riesci, cosa fai per tirare avanti? Si abbastanza, come ti dicevo in questo periodo ho avuto un supporto scolastico piuttosto forte. In questo momento insegno in una scuola che anticipa le varie accademie d’arte, con un corso sulla ‘sound art’. E poi ho uno spazio, in una Galleria Cafè, dove espongo e vendo abiti vintage! Più info su Simona su h t t p : // w w w. m y s p a c e . c o m / starkvisionofthemorning http://www.myspace.com/shockingtools


Ospiti “Sono in gran parte i centri sociali che hanno permesso che l’Italia non morisse culturalmente.” L’Enfance Rouge Intervista con Francois Cambuzat e Chiara Locardi di Davide Chicco

AVANT ROUGE Eccoci qui con gli Enfance Rouge, il nome d’un affascinante trio dentro il quale lavorano Francois Cambuzat (voce, chitarra), Chiara Locardi (voce, basso) e Jacopo Andreini (batteria, ottoni). Scambiamo quattro battute con Chiara e Francois nell’attesa di vederli nuovamente a Genova. Raccontateci qualcosa di voi. Come vi siete conosciuti Chiara e Francois? Come avete iniziato a suonare insieme? Ci siamo incontrati nel 1989 ad Ackerstrasse, Berlino-est. Poi la voglia di viaggiare, di imparare e siamo andati a vivere in Tunisia. Prima avevamo abitato a Londra, New York, Berlino, Amsterdam, Roma, Amburgo, etc. Le nostre basi durano da 1 a 3 anni. Quello che ci interessa e’ vivere con le persone, imparare la loro lingua…abbiamo mangiato di tutto, bevuto di tutto, ascoltato e suonato di tutto dappertutto. La musica e’ legata a questa inquietudine geografica e non sapremmo fare a meno di entrambe. La vostra esperienza e’ partita nell’ormai lontano 1993. Quattordici anni dopo cos’e’ cambiato rispetto agli inizi? Avete conservato lo stesso entusiasmo degli inizi? Com’e’ cambiata la scena indie intorno a voi invece? L’Enfance Rouge e’ un gruppo di cosi detto “avant-rock”, una definizione che non vuol dire altro che un spiccato piacere per la sperimentazione, dalla composizione all’improvvisazione. I nostri concerti sono fisici e rischiosi,

composti come selvaggi. Abbiamo, rispetto all’inizio, sviluppato un certo senso della trance che scorre lungo i pezzi... Quello che ci piace moltissimo del rock e’ l’aspetto shamanico del concerto, del tipo “siamo noi a condurre la danza”. E’ fondamentalmente una musica semplice con un fascino estremamente forte. Dall’inizio, siamo quel che si dice in francese “des enculeurs de mouches” (trad: inculatori di mosche, ndr) , e non abbiamo bisogno di pubblicare qualsiasi cosa per organizzare le nostre tournee o soddisfare il nostro ego. Viviamo totalmente della nostra musica, rimanendo liberi e totalmente padroni delle nostre produzioni. Vendiamo o accordiamo delle licenze, in Italia e all’estero, senza firmare nessun contratto che ci lega a lungo termine senza garanzie. Confessiamo di non comprare più dischi rock da almeno sette anni, anzi l’ultimo e’ forse stato “Spiderland” degli Slint. E questo per vari motivi: o i nostri vari amici europei ci masterizzanno tutto quello che può interessarci, o da musicisti siamo diventati veramente troppo analitici. Per farti capire, ascoltare ora i Sonic Youth e’ per noi come essere fan dei Beatles negli anni 80, ovvero vent’anni dopo. Si può essere affezionati, ma e’ difficile riconoscere loro freschezza

e modernità. Gli unici dischi che compriamo sono quelli difficilmente reperibili, soprattutto in Italia. Hamza el Din, Munir Bachir, Abd el Wahab, Mokhtar al Saïd, Abd el Gadir Salim, Sheikh Ahmad al-Tûni, come la Rembetika o l’incredibile serie “Les Ethiopiques”. Insomma ascoltiamo soprattutto musica che non ha niente a che vedere con quello che suoniamo. Dopo la classica gavetta, il salto di qualità e’ arrivato nel 1998 con l’album Taurisano-Cajarc, uscito per la serie “Taccuini” dei Csi. Com’e’ nata questa collaborazione con il Consorzio Suonatori Indipendenti? Siete ancora in contatto con alcuni di loro? Abbiamo per loro una totale disistima. E’ stata l’esperienza più deprimente, professionalmente parlando, della nostra vita. Ci chiesero di partecipare alla collana, tennero bloccato il disco per un anno, le copie furono vendute in un attimo e si rifiutarono di ristamparle. I Csi, ad esempio, suonavano negli stadi ma non pagarono mai una lira al gruppo spalla che avevano scelto. In compenso promossero i loro gruppi a prezzi esorbitanti e falsarono completamente il mercato “live” in Italia. Potremmo sfornare esempi per ore. Abbiamo per fortuna di meglio da fare. Dopo il primo album di La Republique du Sauvage che avete realizzato con Hurlements d’Leo, su cosa state lavorando in questo periodo? Avete un nuovo album nel cassetto? Qualche anticipazione? Abbiamo appena finito un disco registrato in Tunisia , con musicisti del Conservatorio di Tunisi e con gli arrangiamenti scritti dal grande 25 CMPST #6[01.2008]


Ospiti Mohamed Abid. Niente ethno-minchia, o velleita’ sentimental-turistico-orientali, ma questa vecchia voglia nostra di mescolare la nostra elettricita’ malata occidentale con i quarti di tono della musica orientale. E’ un’ esperienza che ci e’ assai cara. Feedback, larsen e violini maghrebini: un vecchio sogno. Nelle vostre canzoni e nei vostri album e’ sempre evidente la vostra inclinazione verso la multiculturalita’, il multilinguismo ed un vero senso di fratellanza tra i popoli. Una scelta sociale e politica, prima ancora che musicale. Da cosa nasce questa vostra attitudine? E’ solo una naturale predisposizione oppure si tratta d’una conseguenza nata da svariate esperienze d’incontri, viaggi e relazioni con persone incontrate durante la vostra vita? Il Mediterraneo e’ sempre stato una zona che ci ha attratti, per questa formidabile mescolanza e questo largo scambio di idee. Nessuno di noi ha delle radici ben definite, o una famiglia che ci aspetta in un posto preciso se mai volessimo ripararci dai guai. Le cosiddette culture mediterranee di questo lato del Mare Nostrum sono quasi morte o definitivamente travolte (vedi quest’orrore che e’ la pizzica) e l’Occidente europeo e’ troppo arrogante, ignorante e pigro per potere soltanto riflettere oltre il Buddha Bar o Khaled, più lontano da questa visione edonistico-turistica della cultura mediterranea. Per quello che ci riguarda, chiediamo al sud del mondo di salvarci. Oltre all’attivita’ discografica, gli Enfance Rouge organizzano un importante festival, il Trasporti Marittimi Festival, giunto, se non sbaglio, alla sua quarta edizione. L’edizione 2007 si terra’ dal 22 dicembre al 31 dicembre in giro per la Puglia. Com’e’ nata l’idea di questo festival? Ecco una frase che ci piace: « Mettez les arts dans la main du peuple, ils deviendront l’epouvantail des tyrans. » Jules Michelet /// 1848 26 CMPST #6[01.2008]

(Mettete le arti in mano al popolo: diventeranno lo spaventapasseri dei tiranni). Insomma questa Europa e’ l’autostrada dei soldi, ma l’Europa sociale e’ morta e sotterrata. E’ sufficiente dare un’occhiata alle bozze della Costituzione europea : un inno al capitalismo più sordido e selvaggio. Muovere degli artisti da un paese all’altro, rinnovare questi legami, senza superstar. E’ stata questa la sfida dei Trasporti Marittimi. Ed e’ un lusso che paghiamo al nostro idealismo. Nessuno di noi riceve dei soldi dal festival . Quest’anno il festival si terra’ in forte collaborazione con alcune associazioni giovanili bosniache. Come mai questa scelta? In Europa nessuno conosce gli artisti del paese accanto. Individuare quelli che chiamiamo centri di resistenza culturale, fa parte degli scopi che ci siamo dati. Ci sono forse solo 5 club italiani all’altezza dell’ Abrasevic di Mostar, in un paese 50 volte più povero. Condotto da persone massacrate dalla storia che sanno che l’arte serve a vivere bene. Una serata del festival si svolgera’ li’. Gli Enfance Rouge s’esibiranno a Genova giovedi’ 13 dicembre al Laboratorio Buridda (l’intervista è stata fatta ai primi di dicembre ndr). Ho saputo che non si tratta della vostra prima volta a Genova; avevate gia’ suonato da noi una decina d’anni fa. Raccontateci qualcosa di quella volta. Quand’e’ stato? Come ando’ il concerto?’ Abbiamo suonato altre volte a Genova negli ultimi 15 anni. In situazioni sempre diverse. Siamo molto contenti dell’invito del Buridda. Sono in gran parte i centri sociali che hanno permesso che l’Italia non morisse culturalmente. Sul vostro Myspace si possono vedere chiarissimi messaggi anti-Myspace ed antiMurdoch. Perche’ questa scelta? Qual e’ il vostro punto di vista su servizi web 2.0 come Myspace? Un danno alla musica oppure un’opportunita’ in piu’?

“Quello che ci piace moltissimo del rock e’ l’aspetto shamanico del concerto, del tipo “siamo noi a condurre la danza”. E’ fondamentalmente una musica semplice con un fascino estremamente forte. ” Nel 2005 Rupert Murdoch ha comprato My Space. Negli USA Murdoch sostiene attivamente il partito Repubblicano e attraverso i 175 giornali di cui e’ proprietario ha difeso e incoraggiato l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti. Ci sembrano ragioni sufficienti per boicottarlo. Manteniamo, ancora per poco, il nostro sito su My Space per lanciare la campagna e suggerire un’alternativa: http://www. virb.com/enfancerouge Ultimissima: girovagando per l’Europa e per il mondo, avrete sicuramente conosciuto e incontrato un numero svariato di band e musicisti indipendenti. Tra le varie scene nazionali (italiana, francese, spagnola, ecc), quale scena secondo voi e’ la piu’ sottovalutata di tutte? Questa e’ una domanda che chiamerebbe una risposta chilometrica. Per sintetizzare possiamo dire che diversamente dal resto d’Europa, l’Italia e’ il paese dove l’arte non conta. Figuriamoci la musica. Fare il musicista non e’ mai stato considerato un mestiere, ne’ dalla tua nonna ne’ dal governo. I mezzi messi a disposizione negli altri paesi sono enormi in confronto. Ed essere indipendente non si traduce in una vocazione al martirio. L’Italia ha una scena indipendente vivida e disperata, a tratti eroica che vive in un paese governato da spacciatori che si pensa senza futuro. Più info le trovate su http://www. virb.com/enfancerouge altri link li trovate nelle column in fondo a questo numero.


Fanzine “Le fanzine, come le case discografiche indipendenti, eran qualcosa che dovevi costruirti sennò non avevi la tua musica.” Rumore di Carta Intervista con Diego Curcio di Giulio Olivieri

PASSIONI FOTOCOPIATE Diego Curcio, classe 1982. Giornalista (sul “Mercantile” per lavoro, su qualche webzine per passione), blogger (www.husker.splinder.com), punk. Questo è il resoconto più o meno fedele (i poco potenti mezzi a disposizione non han filtrato un bel pò di rumori) di quattro chiacchere in macchina sul suo libro “Rumore di carta - Storia delle fanzine punk e hardcore italiane dal 1977 al 2007” (su Red@zione) e su un mucchio di altre cose... salti logici, contraddizioni, botta e risposta, dubbi sono rimasti, mi sembrava giusto restasse così... Da cosa è partito il tutto? E’ partito dalla tesi di laurea: volevo fare una tesi che parlasse della musica punk, volevo infilarcela a tutti i costi, e poi che parlasse di giornalismo...ho continuato a pensare a “giornalismo e punk”...”giornalismo e punk”... minchia le fanzine! Ho chiesto al relatore se andava bene e lui era contentissimo. inizialmente doveva essere sulle fanzine punk in generale, poi ci siamo resi conto che era un’assurdità di lavoro e siamo rimasti sulle fanzine punk italiane. Da allora è nata la tesi, e mentre stavo finendo il relatore mi ha detto “ho una casa editrice, potremmo farne un libro”. Io ho accettato contentissimo, l’ho un pò cambiata perchè prima aveva un’impostazione da tesi, ho aggiunto e tolto qualcosa, nella tesi dovevo spiegare la materia a della gente che non sapeva neanche cosa volesse dire fanzine o punk, avevo a che fare con professori di sessanta o settanta anni (com’era la commissione di laurea), dovevo spiegare chi fossero i Sex Pistols o i Ramones,

cosa che dal libro ho tolto, spero che chi si avvicini al libro sappia già chi sono. Probabilmente chi si avvicina a un libro sulle fanzine ha già un’idea ben precisa di quello che va ad affrontare. Anche secondo me. Qual’è stata la prima su cui hai messo mano? Diciamo che ci sono arrivato tardi, la maggior parte le sfogliavo...”Kriminal Class” di Marco Balestrino. Per la tesi “Le Silure d’Europe”: aver visto la mostra poco prima di far la tesi - su cui avevo già una mezza idea - dove l’ho vista originale... La gran roba degli anni ‘70 e ‘80 non l’ho toccata con mano, ho trovato estratti su internet mi son fatto spedire dei file dai fanzinari d’epoca (come Johnson Righeira che mi ha spedito zippata tutta la sua collezione di “Sewer”). Ho scritto anche un pò per me: era il lato del punk che avevo conosciuto meno...

Alla fine si scrive sempre per se stessi Si, ho veramente unito l’utile al dilettevole, alla fine avevo tutte le autorizzazioni per comprarmi libri e perdere le mie giornate su ‘sta roba qua, e son riuscito a colmare dei buchi, con questa scusa a contattare delle gente che mi ha spiegato questo mondo. Su cui son stato un pò ritardatario, la prima fanzine vera me la sono portata a casa solo sei o sette anni dopo che mi ero messo ad ascoltare questa roba, è grave... Forse no, ho notato che via via quelle cartacee sparivano dai concerti, prima non era difficile trovare una distro allo Zapata, quello vecchio e quello nuovo (magari quella di Luca 010), in cui trovare delle fanze, ora no... Ma adesso son tornate, secondo me Forse è sparito il canale distributivo Si, o te le andavi a cercare o era sparito. Felipe Records (e Winona Records) ne aveva alcune. Io seguivo tanto le webzine, da quando ho avuto internet (96/97). Forse stanno tornando perchè prima internet era un mezzo che ti permetteva di farti leggere spendendo poco, ora invece con una spesa non eccessiva puoi pubblicare... Se ci pensi stanno ritornando i vinili, nel punk e nell’hardcore non sono mai spariti, ma tra un pò li fanno pure dei Tokyo Hotel... 27 CMPST #6[01.2008]


Fanzine Forse perchè chi segue certa musica ha voglia di qualcosa di più di un semplice file nel p.c. Si, si Forse sia musicalmente che dal punto di vista delle foto, della roba da leggere Su questi argomenti sfondi una porta aperta... comunque c’è un ritorno, ma perchè si possono coniugare entrambe, la fanzine con una webzine d’appoggio. Poi puoi usare i programmi di grafica per fare delle belle fanzine, non è che devi per forza farle con la cartaccia, l’inchiostro che sbava... Beh, fa un pò parte del loro fascino... Si, si, però io letto delle fanzine tipo (non me ne vogliano) “LaReMi” di Miccetta degli Stinking Polecats che era simpatica ma belin c’eran delle pagine che sbavavano via, facevo fatica a leggere, quella poi era scritta a macchina, mi ricordo che era una di quelle fanzine su cui ho perso qualche diottria... C’era però quel fascino del volutamente grezzo, di rozzo...se c’era una cosa che mi rimase impressa era che se le fanzine hardcore erano serissime, in quelle punk c’era una dose di goliardia incredibile, le recensione stesse...non avevano freni, qualunque cosa passasse per l’anticamera del cervello veniva scritta... È una delle tante differenze tra punk e hardcore, l’hardcore ti fa pensare a gente “che ci crede”, il punk a gente che è più “sporca”, che fa casino... l’hardcore ha meno il gusto del provocare, ha più voglia di spiegare... Beh, c’era stata un eccezione come “T.V.O.R.” “T.V.O.R.” è unica, seconde me, era una fanzine fatta con spirito punk da gente hardcore...era rispettata dal giro del “Virus” di Milano, che erano - come si legge e si sente 28 CMPST #6[01.2008]

dire - un po’ dei rompipalle... Erano veramente troppo seri... Forse dopo tutti quegli anni di integralismo era destino che spuntassero i Fichissimi... Fanzine come “Parco Dio”... Ma certo... Rivendico il fatto che c’è una terza differenza: dopo il punk e l’hardcore è arrivato il punk degli anni ‘90, che è un’altra cosa... Prendi ad esempio la Lookout, se negli anni 80 la S.S.T. o la Alternative Tentacles avessero avuto un look fumettoso come quello della Lookout li avrebbero linciati È una reazione: prima i punk, che erano troppo eccessivi, poi gli hardcore, che erano troppi seri, poi dopo basta con questa serietà, ci avete rotto il cazzo, adesso comunque sembra che un pò di serietà stia tornando, un prendersi più sul serio... Una cosa che notavo su fanzine come “Abbestia” è che quando recensivano fanze estere, specie dall’America, recensivano parecchie fanzine personali: forse solo “Abbestia” negli ultimi numeri è stato qualcosa del genere, in Italia non si sono sviluppate... ...anche quella di Andrea Valentini, metteva pure i suoi collocqui di lavoro! “Abbestia” era quasi un proto-blog... “Blog ante litteram”, l’ho definita, perchè aveva tutte le caratteristiche del blog, parlava di qualcosa che andava al di là della musica, specie sugli ultimi due numeri...

Forse perché la fanzine è sempre stata vista come una cosa corale, fatta da tanta gente assieme, tanti collaboratori... Pomini, con rispetto parlando, era una “primadonna”, uno che aveva tantissimo da dire. Alla fine gli unici collaboratori eran quelli che gli davano una mano con le recensioni Nell’intervista che gli avevo fatto mi disse che fondamentalmente la scriveva lui, ed era il suo pensiero, e infatti ci metteva tanto a scriverla...”T.V.O.R.” sembrava fatta da due persone ma erano molte di più. [nel frattempo - tra un disturbo sonoro e l’altro, che fa si che il dialogo a tratti non sia più udibile - il discorso si sposta sulla qualità della scrittura, specie in quelle anni ‘90] ...il contenuto era importante e bello, ma ho notato una maggiore attenzione al lessico, anche nelle webzine: leggi Monnezza (ora Dedication), per esempio, ti rendi conto che a tutti i collaboratori facciano un minimo di prova... Beh, succede anche in quelle extra-punk, come Rockit... ...come Sodapop, cioè è gente che scrive molto bene, oltre ad avere delle idee, in modo coinvolgente, in modo “rock”, ben fatto.

...che puntavano soprattutto sullo scritto... ...lui (Andrea Pomini, musicista e giornalista musicale n.d.r.) li ritiene i migliori, è un misto tra un blog, un libro, una rivista, un racconto...

Però - su internet - con le webzine e le blogzine è emerso un pò di pressapochismo, nel senso che in tanti han provato a scrivere... Ma anche con le fanzine succedeva, se pensi che tra l’82 e l’85 che ne erano censite 400 fanzine, la quantità è tanta e la qualità ne risente... nelle webzine... ho trovato anche quelle scritte non alla grande... ma le webzine... possono permettersi di esser scritte meno bene... la fanzine è approfondimento

Comunque il fenomeno delle “personal zine” cartacee non è mai esploso

Ma infatti! In un certo senso ci mettevi talmente tanto a scriverle, a prepararle, eccete-


Fanzine ra che l’argomento ormai era stato mangiato, digerito e a quel punto è parte di te. La webzine invece... ...è l’immediato... ...parla di quello che accade in giornata... ...è la news! Qualcuno però prova a trattare degli approfondimenti, Dedication ma anche Troublezine provano a fare degli approfondimenti, però sono diversi. Il web è l’immediatezza, l’urgenza... l’urgenza c’è anche sulla carta, ma la webzine è meno pensata... Nella fanzine c’è anche meno la possibilità di prendere degli abbagli clamorosi, c’è meno il rischio di entusiasmarsi alla follia per un gruppo e per una scena ci meditavi Un aspetto sia negativo che positivo del web è che davvero si concentrano troppo sulle news, che è bello, perchè con mezzora al giorno sai tutto quello che accade; alla fanzine non interessava essere sulla notizia, interessava approfondire le cose, dare una visione, parlare di qualcosa... Sai qual’è una cosa che si è persa? La territorialità. A parte rarissimi casi (ovviamente “Compost”, e sul web Genovatune, a Genova) c’è più la tendenza a parlare di quello che accade musicalmente -chessò- in Canada piuttosto che quello che accade sotto casa tua. Secondo me la territorialità si è persa anche... Prima tu leggevi una fanza di Torino e capivi che era di Torino, perchè partiva dal contesto.. Prendi il caso di “Granducato Hardcore”: è vero che aveva dietro una scena enorme, leggendaria, ma ne era la voce a tutti gli effetti. Esatto, dicevano “noi siamo questi” e testimoniavano se stessi e altre cose. La webzine ha la base a Milano, il collaboratore a Genova, l’altro in Sicilia...ognuno poi porta

un pezzo, ma diventa più spuria, più vasta. La webzine finisce per ricalcare un pò la rivista, e prende il posta della rivista, la fanzine era... una volta si diceva “le riviste non ci cagano, allora ci facciamo noi la rivista”, adesso che le riviste ci cagano, persino il defunto “Tutto Musica” parlava di punk, “XL”... ...dove si raggiunge il caso limite, con la pagine dei fumetti che pubblicano autori che ai tempi sarebbero mai uscite dalle fanzine. Professor Bad Trip ci ha passato gli anni confinato in quel mondo, mentre oggi farebbe le copertine di “XL”. Beh, le webzine han rovinato la vita alle riviste, sono apparse “vecchie”, esattamente come i giornali dopo il telegiornale e internet Beh, però una certa estetica ha vinto Perchè molti fanzinari son diventati giornalisti, o comunque tanti giornalisti han capito che i fanzinari dettavano tendenza, come accadde negli anni ‘50 quando i fanzinari di fantascienza e pulp magazine dettavano legge, perchè alla fine gli addetti ai lavori le leggono, le guardano, cioè non sono estranei a questo mondo: o ne provengono o sanno che le devono utilizzare. Però nel momento stesso in cui vincono imponendo un’estetica perdono, perchè si ritrovano senza più quella specificità che le rendevano diverse...insomma, le varie Rockerilla/MucchioSelvaggio/Buscadero degli anni d’oro avevano anche ottimi articoli ma c’era un mondo tra loro e una fanzine, c’erano interi generi musicali, un’intera estetica grafica Se tu scrivi su una fanzine tu usi il linguaggio che vuoi, perchè non hai schemi. Se tu leggi le riviste musicali leggi recensioni tutte uguali, ti dicono cosa fanno, la canzone più bella è questa e il voto è questo (e le fanzine comunque stan rischiando quella fine li perchè vogliono emulare le riviste), però la fan-

Storia delle Fanzine zine invece ha sempre avuto un linguaggio più brioso, la recensione poteva essere di tre parole (“è un gran bel disco, compratevelo e andate affanculo”)... ...o magari la recensione era incorporata in una column, che diventava una cosa tipo “oggi ho letto un bel libro che mi ha fatto pensare a questo disco”, alla fine sapevi che il disco era bello perchè era citato da un column che ti piaceva... Ti invogliava veramente! anch’io ho fatto delle recensioni sulle webzine(quando ho tempo e volentieri) e mi sono accorto che anch’io ero canonizzato. Dopo aver letto il libro di Lester Bangs, che per fare la recensio29 CMPST #6[01.2008]


Fanzine

ne di “Funhouse” degli Stooges ci ha messo due puntate su “Creem” e venti pagine, ho capito che tu in una recensione puoi parlare dei cazzi tuoi (“quel giorni lì ho comprato quel disco... ho fatto quella cosa...”), la recensione può andare un pò oltre, alla fine c’è anche il piacere della lettura, non solo l’informazione...

film, recensivano pure i porno.

E qui si rientra di nuovo nella differenza tra fanzine hardcore e punk: in quelle hardcore c’era sempre un certo tentativo di inserire il disco nel messaggio che cercava di dare, di mettere forse magari esagerando, il messaggio davanti al disco, in quelle punk c’era anche il gusto dell’insulto gratuito, il “niente assoli da froci”, lo stile “aggressivo” alla Luca Goti... Anche ad esempio quelle fanzine che recensivano i dischi senza sentirli (come faceva - poi ammettendolo - “Sewer”) , quelle cose erano assurde, mentre la fanzine hardcore ti metteva sempre i testi del gruppo, e metteva il tutto in un ottica politica... c’erano alcune fanzine che ti dicevano “è uscito questo e quest’altro e va bene” ma dicevano poi se il gruppo era vegetariano, se aveva un certo tipo di etica...

...di rottura... ...si, son riusciti a prendere un suono (Screeching Weasel, Ramones, Queers) a italianizzarlo, con dei testi ben fatti, e in più son riusciti nel ‘95 a far da spartiacque tra gli ‘80 -che forse non erano ancora finiti- e il punk dei ‘90, che poi è sfociato nel “flower punk rock” e in tutto il resto...c’eran già i Senzabenza, ma i Fichissimi lo facevano in italiano...

...cioè, era un classico leggere sulla fanzine hardcore la domanda “siete vegani?”... Si! Un po come dicevano Pandin e Giaccone nel libro “Nel Cuore Della Bestia”! A proposito delle fanzine punk: furono un pò precursori - nel lato più goliardico - del recupero dell’estetica trash musicale, estetica, del cinema di serie-b alla Tarantino. In quelle anni 90, però. Prima se c’era era involontario, erano contemporanee Invece nel punk revival c’era. Li c’era propio, c’eran delle fanzine specializzate su questo, addirittura “Blast” e “Dynamo” (riviste da edicola fatte praticamente da fanzinari. n.d.r.) avevano rubriche su quei 30 CMPST #6[01.2008]

In quelle degli anni ‘90 c’era anche la gioia di dire “siamo cresciuti guardando Bombolo” Beh, pensa ai Fichissimi! Beh, alla fine si torna sempre su di loro; al di là di tutto son stati un gruppo simbolo...

...diciamo che i Senzabenza erano gli Hard-Ons italiani, ma non un gruppo “italiano”... Si, i Senzabenza erano un’isola, mentre i Fichissimi hanno aperto molte più strade: è più facile che un gruppo sia stato più influenzato da loro che non dai Senzabenza, che pure han fatto molti più dischi e qualitativamente più belli da un certo punto di vista... mentre quel fottutissimo 7” - farà inorridire molti - ma è uno dei dischi più importanti del punk italiano, o almeno del revival punk italiano... Un pò come i Negazione: nessuno avrebbe mai detto che erano i Black Flag italiani, erano un gruppo italiano che suonava anche come i Black Flag... qualcosa di diverso dal resto del mondo... [segue discorso sulla scena italica anni ‘90 sommerso dal rumore del traffico, che prosegue così:] Negli anni ‘90 c’è stata un pò tabula rasa, il punk, gli anni ‘70 sembravano lontani anni luce, adesso sembrano molto più vicini, c’è più revival, allora invece c’era tutto da reinventare, i gruppi (tranne i Kina) si erano tutti sciolti, c’erano meno ristampe, mentre ora

ritornano con le ristampe i gruppi degli anni ‘70, ritornano con le ristampe i gruppi degli anni ‘80, addirittura ritornano con le ristampe i gruppi degli anni ‘90, è un gran calderone, allora invece bisognava rifare tutto. Per concludere, tra tutte le evoluzioni del punk/hardocre, l’ultima dei ‘90 è stata il mondo emo: è strano che non si sia formato un circuito di fanzine legato a quel mondo...ovviamente emo non inteso come i Finley Si certo! Diciamo emo più come gli Affranti. Ho questa idea qua (e già il germe nasce nei ‘90): alla fine quello dei ragazzi di adesso o della mia età partono da un discorso musicale, non politico, ed è quello politico che ti spinge a scrivere: tu sei nella “scena”, devi dare il tuo contributo alla “scena”, devi divulgare. Adesso innanzi tutti hai tutto a portata di mano, hai internet, scarichi, ma affronti il discorso da un punto di vista musicale, ed è vero che c’è la fanzine del fan musicale che diffonde, ma hai meno stimoli a fare qualcosa, sei uno che compra della gran quantità di musica dai megastore, ma non ti frega tanto di costruire qualcosa. Le fanzine, come le case discografiche indipendenti, eran qualcosa che dovevi costruirti sennò non avevi la tua musica. In quel giro però sono emersi dei gran fumetti, Tuono Pettinato dei Laghetto, le cose del tipo degli Altro... Si, è vero, però li ha pesato di più la questione webzine, più pratiche... Tralaltro quella è la generazione che avrebbe dovuto buttarsi sulle fanzine personali di cui parlavamo prima... Ma forse dicendo una banalità è la gente che poi si è buttata sui blog... ...le foto di Flicker... ...Myspace...è brutto dirlo, ma forse Myspace potrebbe essere quasi la loro fanzine, in fondo lo scopo è comunicare...


Fanzine ...però il problema è che quando hai così tanta roba a tua disposizione... ...non scegli più... ...preferisci farti una bella estetica di contorno... ...ora puoi farti la fanzine con pochi soldi , puoi produrti un disco con pochi soldi, puoi fare una webzine, ma non fanno niente, prima invece, che non potevi fare niente, cercavi di fare il più possibile e qualcosa saltava fuori, adesso fai ben poco...è tutto più professionale ma paradossalmente c’è meno voglia di fare le cose, forse perchè c’è qualcuno che fa per te, forse perchè ti accontenti di quello che c’è, ti accontenti delle riviste, ti accontenti di MTV che bene o male può passare qualcosa che sia vicina alle tue corde... non lo so. Li vedo più gente che va a suonare, suona e poi basta...mi da un’idea di una scena che non c’è, di gruppi singoli molto validi, di gruppi singoli che fanno...non individualisti ma quasi, gente che si organizza i tour, che va, ma che non condivide troppe le cose... Non parlo dei casi specifici, mi da un’idea così generale...ma comunque è una scena che conosco e frequento poco... [seguono discorsi su dischi dell’anno, su ristampe che finiscono - per entrambi, peraltro - per essere i “veri” dischi dell’anno e così via...andate pure a vedere i suoi sul sito di Metrodora!!!] Tu hai dedicato il libro alle fanzine punk e hardcore: hai dedicato un pò di tempo a quelle di altri generi? e che impressione ti hanno fatto? Poco. Per gli anni ‘70 ho dato un’occhiata a qualche “Re Nudo” e cose così... Nooooooooooo, mi riferivo più a cose come “Amen”(fanzine del giro goth milanese. n.d.r.) “Amen” l’ho inserita nel libro, perchè era

del giro del cosiddetto “collettivo creature affini” (i fiancheggiatori del giro h.c. Milanese del “Virus”)... Beh, anche nel giro goth era diffusa la cultura della fanzine, mi ricordo che fino a metà dei ‘90 se ne vedevano ancora due o tre che circolavano... Io avevo letto un paio di fanzine di quel periodo, ma non ricordo il nome... “Petali Viola”? Ricordo che doveva esserci una fanza con un nome simile... Andrò a ricontrollare a casa sugli annunci dei primi numeri di “Rumore”... Ah, ecco: una cosa che ha un pò fregato le fanzine, mi ricordo che una volta su “Rumore” e su “Dynamo” c’erano i “piccoli annunci” dove potevi pubblicizzare la tua fanzine (anzi, metà eran del proprio “è uscito il nuovo numero di...”), quando è sparito quello è crollato un altro canale di distribuzione... Un pò l’aveva fatto Rocksound con i primi numeri di “Speciale Punk”, poi anche loro avevano mollato... paradossalmente le uniche a farlo sono le Webzine: su “Punkadeca” puntualmente appaiono post sulle fanze con le info su come reperirle, su Troublezine c’è “God save the fanza”, curato da Max Rozzo, che analizza le fanzine più interessanti...però il fatto che prima apparisse su una rivista da edicola era una cosa che dava un senso di rispetto verso quel mondo. Se ne vedono molte meno di fanzine, nonostante siano una cosa della madonna...”Bam Bam Magazine” è quasi una rivista, ha il cd, interviste a gente da tutto il mondo...poi esce quando cacchio vuole, ma è più una rivista, denominarla fanzine è quasi riduttivo... Diciamo che è più vicina a certe fanze americane “storiche” tipo “Gearhead”... ...si, quasi alla “Flipside” anche...”Maximum Rock’n’Roll” invece è sempre rimasta la stessa...

La copertina di Felipe Got Shot zine È sempre rimasta la stessa, rozza e con l’inchiostro che ti rimane sulle dita... Invece “Flipside” è cambiata, e diventata più patinata... Basta così? Basta così! Il libro è reperibile da http://www.e-redazione.it Husker, il blog di Diego http://husker.splinder.com 31 CMPST #6[01.2008]


Fanzine “È come se Genova dicesse “Mamma chissà come sono ansiosi tutti di venire a Genova”, si siede e aspetta.”

Blow-Up Intervista con Marco Sideri di Daniele Guasco

SCRIVERE COI PUGNI Sono sempre stato molto curioso di scoprire, da debole recensore internettiano, le dinamiche e le storie che stanno dietro al giornalismo musicale su carta, quello che possiamo trovare nelle nostre edicole. L’occasione per colmare queste mie domande mi arriva da un genovese in prestito a Milano ma già profondamente colpito nel suo accento: Marco Sideri, una delle prolifiche penne di Blow-Up. Si possono dire tante cose di Genova nel periodo natalizio, normalmente la regina delle lamentele riguarda la marea di gente che investe i negozi in cerca dell’inarrivabile santo graal del regalo perfetto; a me quello che colpisce di più è il freddo siderale mentre aspetto Marco in pieno centro. Ringrazio più divinità per la sua puntualità, ci infiliamo subito nel bar più vicino e possiamo iniziare la nostra chiacchierata. Partirei da “Blow-Up”. Sei una delle colonne della redazione di una delle più note riviste musicali italiane. Venendo da una webzine peraltro dall’organizzazione molto anarchica mi han sempre incuriosito le dinamiche con cui si muove una rivista simile. Cosa puoi raccontare al riguardo? Il funzionamento di “Blow-Up” passa sostanzialmente attraverso le scadenze, sarebbe bellissimo avere una redazione fisica dove incontrarsi, invece il tutto si muove grazie a email e a telefonate. Con il tempo, almeno a me è successo così, riesci a gestirti con più efficacia: ti arrivano i dischi, selezioni quelli buoni, pensi su quali potresti scrivere un articolo, man32 CMPST #6[01.2008]

di una mail al direttore e se va bene contatti il distributore e gli dici “vorrei fare un articolo su...”, e fai l’intervista o la non-intervista o la monografia. La cosa che tiene su il tutto, è brutto da dire, ma è geometricamente la scadenza, sai che un giorno devi consegnare gli articoli un altro le recensioni e trovi il modo di organizzarti. Parlandoti della mia esperienza, noi troviamo a volte problemi nel non avere una vera e propria linea editoriale, sono curioso di sapere come cambia il metodo di lavoro a un livello come quello di “Blow-Up”. Conosco solo “Blow-Up” dal di dentro, non posso parlare di altri giornali, e posso come funziona per noi. I gusti musicali stanno al fondo di quello di cui ti occupi, devi conoscere quello di cui scrivi. A me magari può anche piacere un disco di elettronica, ma conoscendo poco il genere il primo lettore che invece ne capisce può scrivermi dandomi del cretino. La prima grossa scrematura avviene prima di iniziare a scrivere, è la musica che scegli per te stesso. Mano a mano crei il tuo “settore”. Poi è ovvio si arriva anche a scavalcare queste barriere, sarebbe una palla terrificante scrivere sempre di cose simili, al decimo disco affine che ascolti rischi di

odiarlo anche nel caso fosse un capolavoro.

Mi succede la stessa identica cosa. Esattamente, più vai avanti più diversifichi, ma l’importante resta sapere quello di cui stai scrivendo. Questo discorso lo conoscerai anche tu, la gran parte delle webzine sono fatte molto bene; la sfida per una rivista è saper dare qualcosa in più. Infatti volevo anche chiederti del confronto tra stampa e rete, sulle differenze nelle loro logiche. Le logiche della stampa sono diverse nel senso che c’è sempre chi bene o male legge articoli e recensioni e vaglia la qualità. Scrivere in rete di fatto è come incidersi il proprio disco: uno può essere il nuovo Nick Drake quanto un incompetente assoluto, allo stesso modo le webzine hanno talenti pazzeschi che scrivono benissimo e hanno culture musicali mastodontiche così come altri più scarsi. Nelle riviste c’è sicuramente più controllo, anche se questo non vuol dire che se scrivi su una rivista sei per forza bravo. Le riviste son tante e ognuna con le sue caratteristiche, io personalmente leggo ancora ma il pubblico si restringe. Molte persone abbandonano la carta stampata perché dicono che in rete possono trovare tutto quello che gli serve. Così come per la stampa anche per i dischi secondo me la rete ha avuto tanti lati positivi ma anche tanti effetti negativi, sulle column di


Fanzine “Compost” sto insistendo molto sul fatto che la gente ricorrendo ai peer to peer non ascolta più gli album con la cura che magari meriterebbero, sta venendo a mancare quell’attaccamento all’album che ti sei scelto e comprato, come se si andasse verso una musica usa e getta. Sono vere due cose, prima di tutto che certi dischi non meritano anche se magari li hai comprati. Si vuole trattare come fenomeno sociologico una cosa personale, ad esempio io non ho mai scaricato canzoni da internet e anche masterizzare un disco mi scoccia ma non per ragioni etiche, se vuoi venire a casa mia domani e copiarti tutti i miei dischi, vieni pure, ma poi son fatti tuoi, secondo me non ne avrai nessun godimento. È chiaro che il ventenne di oggi, magari nato con questo modo di ascolto, non ha quello che per me è il piacere del LP, e per come la vedo io ci perde. Anche da un punto di vista artistico per questo sistema vanno anche a crearsi i fin troppi nuovi “fenomeni musicali”. La persona che si legge tre recensioni positive, si scarica il disco, lo ascolta una volta e pensa subito che è un capolavoro ma poi lo abbandona per passare al “fenomeno” successivo. Son d’accordo ma è il mega-dilemma del “capolavoro” che, diciamolo, un po’ ci caschiamo tutti. Ad esempio mi compro “Mojo” o “Uncut”, leggo del super-discone, mi viene quel prurito e me lo prendo subito, poi magari dopo dieci giorni in casa smetto totalmente di ascoltarlo. D’altro canto però i dischi non vendono più, creare fenomeni è l’unico modo per provare a vendere e quindi sia chi li fa che chi li commenta è interessato a giocare a questo gioco; un disco ormai sta sugli scaffali un mese, poi non se ne parla più. Infatti secondo me si sta perdendo anche la longevità dei dischi. Si, poi magari riscopri dischi che non ascolti da anni, hai una quantità enorme di plastica orrenda in casa e può succedere che ti svegli una mattina d’estate in mutande metti uno di

“Creare fenomeni è l’unico modo per provare a vendere e quindi sia chi li fa che chi li commenta è interessato a giocare a questo gioco.“

questi capolavori dimenticati nello stereo, ed è un’epifania quando sa ridarti certe sensazioni. Tornando al tuo lavoro qual’è secondo te una buona recensione? Io sono sempre stato nella mia confutabile posizione in cui preferisco recensioni più personali che tecniche o eccessivamente per generi. Non sono molto d’accordo: o meglio, la recensione “personale” è il massimo, ma devi essere veramente bravo, e non capita spesso. Io non so suonare niente quindi e non posso parlare di tecnica in senso stretto. La prima cosa importante è pensare sempre che hai un lettore davanti e devi metterti anche nei suoi panni, poi devi scrivere bene e li è un casino, parlando di me tante volte non scrivo bene, non come vorrei, e invece una recensione la devi saper scrivere. L’inquadramento in genere per me è importantissimo, se è fatto bene, ma si torna sul discorso dello scrivere. Quello che importa è il punto d’arrivo, il far trasparire il punto tecnico dalla recensione personale parlando in via generale. Anche il fare i nomi di altri artisti in una recensione per me è importante, se ad esempio ascolto un disco che si rifà tantissimo ai Jam lo scrivo, magari trovo il lettore che non conosce i Jam e va a scoprirli. Si corre poi un grosso rischio: magari scrivendo trovi la giusta metafora e solo su quella riesci a fare la recensione, ma poi può succedere che quanto hai scritto faccia la fine di troppi, che la recensione duri un minuto. Se una persona è brava realmente a scrivere però non recensisce dischi fa ben altro. Restando su “Blow-Up” la sua notorietà la rende anche molto discussa, cosa pensi delle critiche spesso feroci al vostro lavoro? Alla faccia. Le critiche da un lato sono molto divertenti perché opposte e contrarie, “BlowUp” o lo scavalchi a destra o lo scavalchi a sinistra, bene non va mai: o trovi chi dice “si sono sputtanati, sono commercialissimi, mamma mia un tempo si che erano pazzeschi (oltretutto quando non ci scrivevo io erano i tempi d’oro)” oppure dall’altra parte le accuse sono “mamma mia come scrivono, non si capisce niente di quel che scrivono, tutto complicatissimo, questi dischi non li ascolta mai nessuno, figurati dieci pagine sull’avanguardia” che rottura di palle. Il pubblico da coccolare per

noi è quello specialistico perché son quelli che gliene importa, magari se vuoi leggerti la non-intervista a Bruce Springsteen non vai sicuramente a comprarti “Blow-Up”, però secondo me è una rivista onesta fatta da persone oneste ognuna coi suoi gusti, ti affezioni alle penne, o almeno io da lettore funziono così “Blow-Up” compreso, ma non solo parlando di musica. Per me “Blow-Up” il suo lavoro ancora lo fa, non vedo questo crollo qualitativo pazzesco. Capita di trovare sia il gruppo o l’artista famosissimo o comunque ben noto quanto in copertina il musicista che nemmeno io che ci scrivo ho idea di chi sia. La rivista è fatta da gente che secondo me ha provato sulla sua pelle cosa vuol dire amare quel gruppo o quel disco, e è questo l’importante. Per chiudere il discorso “Blow-Up” ho visto che da un paio di mesi la redazione si è messa a fare dei podcast ma per ora te non sei ancora presente in questa iniziativa. Guarda, ho anche fatto un numero zero. Io so spedire e-mail velocissimo e cavalco world come una tigre ma ho un handicap tecnico grandissimo, da solo non sono in grado. Mi sono appoggiato a un amico, Giovannino, ma lui è di Genova e quindi salta fuori il problema del tempo. Potessi farei podcast tutto il giorno, lo farei ma per ora non sono riuscito a finire neanche il numero zero, mi piacerebbe farli e mi piace l’idea, ma non ce la faccio. Andiamo su territori più locali, te vieni da Genova ma ormai vivi a Milano, quali sono le differenze principali dal punto di vista della vita di tutti i giorni e anche da quello musicale tra le due città secondo te? Intanto a Milano la vita di tutti i giorni si riassume così: c’è più lavoro per tanti lavori e in tanti ci vanno, ci sono così finito anch’io da un anno proprio per questo e non per quello di giornalista musicale ma per quell’altro. Sulla musica è una questione dimensionale e di pubblico, a Milano c’è tantissima roba, sempre, chi passa dall’Italia a suonare passa a Milano, i gruppi italiani passano a Milano, questo anche perché c’è un pubblico determinato per ogni cosa, quindi se tu fai la serata gothic con solo revival di un gruppo che ha fatto un 45 giri nel 1983 a Bristol ci sono trenta persone che ci vanno, questo a Genova è già più difficile. 33 CMPST #6[01.2008]


Fanzine “Se ai primi tre concerti non viene nessuno si rinuncia alla continuità.“ Secondo te cosa manca a Genova per diventare anch’essa un centro importante per la musica in Italia? A me Genova piace tantissimo come città e di sicuro esteticamente è più bella di Milano. Genova però ha un po’ un’opinione che tutto le sia dovuto perché è una strafiga, cosa non vera perché le cose devi andartele a cercare e non solo in musica, guarda l’aeroporto che perde voli tutti i giorni mentre Pisa ti collega con Osaka in Giappone, questa mentalità si applica anche alla musica, soprattutto a livelli più mainstream, è come se Genova dicesse “Mamma chissà come sono ansiosi tutti di venire a Genova”, si siede e aspetta. Oltretutto ogni cosa che fa è sempre importantissima, deve diventare invece prima di tutto normale, non importante. Certamente c’è un problema di pubblico. Ancora più che di pubblico per me e anche per tanti altri il problema risiede in una mancanza di coraggio sia istituzionale che imprenditoriale. Beh ma a Nonantola io non credo che quando aprì il Vox ci andasse tutta sta gente, col passare degli anni è successo spesso anche a me di prendere la macchina e andare li a un concerto, a Genova questa cosa non si fa. Se ai primi tre concerti non viene nessuno si rinuncia alla continuità. Del panorama musicale genovese invece cosa ne pensi? Mi piace, anche se devo ammettere che lo conosco solo mediamente, conosco tante persone, ottime persone, che sono bravissime. Io la conoscevo più dall’interno alcuni anni fa quando pur non sapendo suonare mi attaccavo agli amici che suonavano per far parte della cosiddetta scena. Per come la conosci ti sembra sia cambiato qualcosa da quegli anni? Secondo me no, i problemi sono sempre gli stessi, anche se appunto non sono proprio dentro i meccanismi del panorama adesso. Ci 34 CMPST #6[01.2008]

sono comunque anche ora tante persone in gamba che si impegnano, gente che suona molto bene così come dei cagnacci che però convivono. Purtroppo molti locali han chiuso, il Lucrezia, il Fitzcarraldo, ma io dico questa cosa e molti potrebbero rispondermi che non è che mi si veda tanto nei locali, e avrebbero ragione. Io sono piuttosto pigro e mi prendo le mie buone colpe ma vedo che comunque oggi ci sono cose molto belle, basta pensare al Buridda. Secondo te i gruppi genovesi hanno difficoltà a uscire dai confini cittadini? Tutti han difficoltà ad uscire anche fuori Genova, al di là della collocazione geografica. Se guardi c’è stato un momento che il Veneto sembrava la New York degli anni settanta, ne saran rimasti tre gruppi. È una questione di investimenti che non ci sono, né a Genova né altrove. Restando su Genova collabori attivamente con il negozio Disco club, come nasce questo sodalizio? Ecco, come sono pigro per i locali non lo sono assolutamente per i negozi di dischi. Ci sono cresciuto, prima da Pink Moon poi da Disco club, mi trovo benissimo e i dischi me li continuo a comprare se mi piacciono e umanamente la collaborazione è solo un’estrinsecazione pratica, quindi si arriva alla pagina sul “Corriere mercantile”. È una cosa importante così come le amicizie, o come chi va assieme allo stadio o come cose che non ho mai capito cosa ci provi la gente come il nuoto, io vado nel negozio di dischi dove ci si incontra, certo ora la collaborazione stando a Milano è principalmente telematica, però secondo me è importante che ci siano esercizi simili e anche il collaborare per me è importante. In quell’ambito sono molto più attivo. Poi di fatto i negozi di dischi così a Genova vanno esaurendosi, Pink Moon, riposi in pace, è chiuso da tantissimi anni, Felipe ha chiuso, ne restano pochissimi e quindi mi piace l’idea che sia come in quei film inglesi in cui si difende il mercato di quartiere. Quand’è che ti troveremo a scrivere sulle pagine di “Compost”? Quando mi farete entrare nella crew. Esigo

“È una questione di investimenti che non ci sono, né a Genova né altrove.“ di entrare nella crew come precondizione. Beh prendi questa domanda come invito ufficiale a far parte della cricca. Comunque “Compost” mi piace molto, oltre che per i contenuti anche per il fatto che è difficile trovare oggi qualcuno che si prenda il disturbo di fare una fanzine cartacea, è come per il discorso sui dischi che facevamo prima, per me è un merito gigante se poi vedi anche la gente che risponde è ancora meglio. Cercando notizie su di te mi ha incuriosito molto la tua partecipazione alle manifestazioni di “Pugilato Letterario”, mi sembra un’iniziativa splendida. Una cosa bellissima, io l’ho fatto come “pugile”, non come organizzatore. L’ha inventato una persona che lavora nel sistema bibliotecario di Vimercate e dintorni e con la scuola Holden di Torino. Consiste in questa formula inventata per i libri, c’è un attore che fa l’arbitro e intrattiene, vestito letteralmente da arbitro da pugilato, e due sfidanti che difendono e attaccano una cosa, normalmente un mostro sacro. Mi ha fatto un effetto strano leggere di un genovese che attacca De Andrè infatti. Quando ho fatto “pro e contro i Beatles” sono stato ancora più agguerrito, De Andrè mi piace moltissimo ma al cuore non si comanda quindi stavo dalla parte di Guccini. Comunque è una iniziativa veramente molto bella, oltretutto funziona benissimo, viene tanta gente e si diverte tantissimo. La formula è mettere un nome famoso e uno meno noto come pugili, io ovviamente faccio sempre quello non famoso, il tutto poi si svolge in sei round. Una domanda che mi sono fatto è stata proprio “A Genova funzionerebbe una cosa simile”? Non lo so ma per ora nei due incontri che ho fatto mi sono divertito tantissimo e lo rifarei subito. Leggi le recensioni di Marco su http://www.discoclub65.it/


Columns Indie Maphia For Dummies di Daniele Guasco Una delle caratteristiche ricorrenti nel mondo indie più modaiolo, una delle sue sfaccettature più criticate, è sicuramente il puntare sulla nostalgia degli ascoltatori andando a toccare idoli dell’infanzia, status symbol del periodo pre-adolescenziale, canzoni e colori che erano ormai quasi dimenticati, e più si cala sul trash più si va a vincere la diffidenza del pubblico. Inutile prendersi in giro e girarci attorno, in questo trabocchetto artistico ci caschiamo tutti, volenti o nolenti. Io immune? Mi fai vedere qualche puttanata da cartoni animati anni ottanta o due spari a “Duck hunt” e non capisco più niente, gongolo come un bambino a Gardaland. Difficile che cammini per la mia città, Rapallo, al di là di quelle solite tre o quattro vie, ma qualche giorno fa mi sono ritrovato nella zona in cui mia madre aveva in suo negozio di lane e filati quando ero piccolo e vi posso assicurare che ne sono cambiate a bizzeffe di cose da quando ha cessato l’attività più di dieci anni fa. Al posto dell’occorrente per la maglieria ben disposto in vetrina oggi ci sono le enigmatiche tavole di un progettista di interni, o almeno credo, vedere quei vetri un tempo simbolo di caldo e colore ridotte così mi avrebbe fatto malissimo, meno male che a qualche decina di metri di distanza resiste come un dinosauro distratto l’elettrauto di Italo. Andando avanti però ho ritrovate altre sorprese più o meno spiacevoli. Il bar di Ennio avrebbe fatto impazzire Stefano Benni, e con le monetine spese giocando a “Capitan commando” oggi probabilmente potrei comprarmi uno yacht, maledizione alla Capcom, al suo posto però ora c’è una asettica agenzia immobiliare, un incubo bianco in uno spazio sproporzionato per tre seggiole e una scrivania. Dove un tempo trovavo il negozio di animali dove andare a guardare le bestiole nelle gabbie oggi potrei telefonare a tutto il mondo a prezzi convenienti in mezzo a un minestrone etnico. In mezzo a questa overdose di mutazioni commerciali e sociali quello che mi ha colpito di più era uno spazio vuoto, un fondo

inutilizzato, e proprio li in tempi non sospetti risiedeva il maggior colpevole della mia passione per la musica: il noleggio dei cd. Non so quanto fosse legale già all’epoca, ma per poco più di un anno sono andati avanti. Una coppia di ragazzi aveva messo in piedi questa attività dove per un paio di mille lire potevi affittarti un cd per tre giorni, e io dodicenne passavo intere giornate a scegliere cosa avrei ascoltato nella settimana che veniva, se poi il cd mi piaceva facevo finta di niente e prima di rendere il cd me lo mettevo su musicassetta. La cosa che mi ha fatto riflettere è che quei cd li consumavo letteralmente quando arrivavo a caso e li mettevo nello stereo, ormai satollo da vere e proprie indigestioni di grunge, saturo della malinconia dei cantautori italiani e stanco di sbelicarsi con i primi album degli Elio e le storie tese (il gestore del negozio era un loro fan della prima ora). Tornare in quella zona della città mai presa in considerazione per molti anni mi ha messo addosso molta malinconia, ma allo stesso tempo mi ha ricordato un posto che avevo praticamente rimosso dalla mia memoria e che invece è stato relativamente importante per me, un posto che mi ha dato tanta musica e che rimpiango, alla faccia dei mezzi di internet e di tutte le chiacchiere che si fanno e che faccio oggi, alla facciaccia dell’indie e della nostalgia pilotata. Valutazioni Di Impatto Ambientale di Alessandro Lentini Il 18 ottobre del 2006 con una affollatissima assemblea nella palestra del dopolavoro ferroviario di via porro (sampierdarena) nasce il comitato spontaneo antigronda valpolcevera.“gli appartenenti al nostro comitato non sono né politici di professione né barricaderi per vocazione, ma persone normali che hanno sentito l’esigenza di unirsi per difendere le proprie case e le proprie radici cercando di proporre soluzioni alternative a un opera fortemente penalizzante, difendendo beni primari come la casa e la salute”; cosi si autodefiniscono in una lettera inviata qualche mese fa al secolo xix. Questo comitato è sorto spontaneamente dalle preoccupazioni

dei cittadini sulla sorte delle proprie abitazioni che dovranno essere demolite nell’ambito del progetto della gronda di ponente, che prevede la costruzione di un nuovo ponte sul polcevera ed il successivo abbattimento del Ponte Morandi. Per semplicità quello che molti chiamano di brooklin. La gronda è una mega-opera che starà tutta sul territorio del comune di Genova e non è altro che un’altra autostrada a pedaggio, che andrà ad affiancarsi e non a sostituirsi a quella attuale, che rimarrà anch’essa a pedaggio. La costruzione di questa mostruosità richiederà anni durante i quali da Voltri a Sampierdarena migliaia di persone vedranno transitare sotto le loro finestre centinaia di camion pieni di terra, betoniere, mezzi di sollevamento, ecc., che si sommeranno al traffico cittadino e ai TIR che già ci sono e che diventeranno sempre di più. Alla fine di questo calvario troveremo una città più inquinata, un ambiente più devastato e forse avremo la soddisfazione di vedere sul nuovo Ponte una coda di mezzi su quattro corsie anzichè su due!!! Nella zona della bassa valpolcevera (via fillak, via porro, campasso) e nelle vallate voltresi prevede la demolizione di molte abitazioni e il conseguente allontanamento di centinaia e centinaia di famiglie. Sono proprio loro i protagonisti e gli animatori di questi comitati riuniti in un coordinamento trasversale. Certo molti posono pensare chesia l’ennesimo comitato in una città come Genova, che soprattutto nel suo ponente, ha la più alta concentrazione di comitati spontanei di tutta italia, ma qualcosa vorrà dire? La voglia di partecipazione della gente ormai ha fatto si che questo comitato diventasse un vero interlocutore per movimenti partiti e istituzioni. ciò avviene perchè il progetto gronda e strategico per l’idea di città che hanno lobbies economiche e politiche del capoluogo ligure. senza lo smarino della gronda come si potrebbe riempire il mare per ospitare milioni di container, senza questi come sarebbe giustificabile l’altra inutile opera: il terzo valico? per info: antigronda.splinder.com sampierdarena.splinder.com 35 CMPST #6[01.2008]


Columns An inconvenient truth ovvero anche COMPOST dà il suo contributo per rallentare il cambiamento climatico di Carlotta Queirazza Rock verde e compost da appartamento Durante uno dei mille tragitti in treno leggevo un articolo di Internazionale sul rock verde, ovvero le iniziative a tutela dell’ambiente dei festival musicali e dei gruppi. Sembra che le iniziative si stiano moltiplicando come funghi. Anche nella scena iniziale del film dei Simpson i Green Day cercano di sensibilizzare il pubblico sul lago inquinato di Springfield (tentativo che fallisce miseramente). Quindi cd biodegradabili, copertine di carta riciclata. ..la copertina del cd come ‘vuoto a rendere’, porti la custodia vuota e ti viene scalato un euro sull’acquisto del cd nuovo.. oppure locandine e flyer di carta riciclata.. loghi stampati su magliette e cappellini usati.. e eco-mascotte.. A proposito (o quasi) di eco-mascotte.. i lombrichi.. la scorsa settimana sono andata a trovare la mia amica esperta di compost da appartamento e ho provato a farlo anch’io. Il compost da appartamento si distingue da quello tradizionale innanzitutto per le dimensioni poi per la presenza appunto di simpatici lombrichi rosso/bianchi. Se decideste di cimentarvi in questa magica esperienza, ecco alcune indicazioni su come procedere: fornitevi di un contenitore in legno o plastica le cui dimensioni saranno proporzionali alla quantità di rifiuti organici che producete. Potete raccoglierli per una settimana, pesarli e poi scegliere un contenitore di circa 20 per 30 centimetri (alto circa 15) per ogni mezzo chilo di rifiuti organici prodotti. A questo punto forate il coperchio e il fondo in più punti per ventilare e drenare il vostro compost e ponetevi sotto una bacinella nella quale il contenitore dovrà essere posto leggermente sollevato, magari utilizzando dei piedini, per permettere il drenaggio (la parte liquida che verrà prodotta sarà una vera manna per le vostre piante!). Po36 CMPST #6[01.2008]

nete alcune strisce di giornale accartocciate e delle foglie secche mischiate ai rifiuti organici che formeranno le condizioni ottimali per i lombrichi. Questi utilissimi esserini possono essere trovati nel terreno dei parchi, in primavera ed estate anche a piccole profondità, in inverno però si rifugiamo nelle parti più riparate e quindi più profonde del suolo. In alternativa possono essere acquistati nei negozi di materiale da pesca, occhio che il negoziante non ve li dia dal frigo perché in questo caso sarà facile che i poverelli siano già morti e stecchiti. I lombrichi si moltiplicheranno poi piuttosto velocemente (tranquilli, non abbastanza da invadere la casa) e saranno quindi sufficienti circa 6 o 7 per iniziare. Bucce di frutta, gusci d’uovo, bustine di tè o caffé sono tra i rifiuti organici più adatti (sconsiglio di mettere avanzi di carne e rifiuti eccessivamente oleosi). Quando i rifiuti saranno sostituiti da un terriccio marrone che occuperà meno spazio dei materiali di partenza, questo potrà essere prelevato e diventare ottimo nutrimento per le vostre piante. A questo punto sarà necessario ricreare il substrato di partenza (giornale+foglie+rifiuiti organici) per evitare la morte dei vostri ormai amici lombrichi. Il modo migliore è accumulare su un lato del contenitore il terriccio che si è formato, ricreare il substrato dal lato opposto ed aspettare che i lombrichi migrino dal terriccio al substrato. Nelle prime settimane il mio compost mi ha fatto un effetto estremamente salutare, molto simile ad un acquario che cattura l’attenzione per ore e allontana dalla mente stress e preoccupazioni.. insomma, non siate schizzinosi e provate. This Ain’t No BBQ di Anna Positano Per prima cosa questa volta voglio ringraziare Ivan dei Dresda, per tutto l’aiuto che mi dà in cucina, un po’ in stile Cenerentola. Si, perché si trova a compiere le mansioni più noiose (non che il resto risulti particolarmente entusiasmante!), e nonostante tutto non si è mai lamentato: si mette lì in compagnia di una birretta e lava

insalata, pentole, verdure, taglia le cipolle con conseguenti lacrime, porta la spesa pesante... Però a casa sua, a quanto emerge da fonti piuttosto sicure, risulta essere un po’ meno volenteroso, ed è la sua coinquilina a rivestire il ruolo di Cenerentola. Ora, questa non è una rubrica di economia domestica, e non sono nemmeno la nonnetta del settimanale tv che dà consigli su come pulire la macchia di sugo dalla camicia di vostro marito, utilizzando un kit da Macgyver. Quindi non è questa la sede idonea per spiegarvi che ogni tanto bisogna pulire il pavimento e lavare i piatti di tre giorni fa. Passo subito alla ricetta, perché ho pochissimo tempo. Questa è una specie di insalata piuttosto facile e veloce, da fare d’inverno. un pezzo di cavolo viola (va bene anche bianco) un po’ di sedano-rapa (il fruttivendolo sa cos’è, non preoccupatevi) parmigiano (non grattuggiato) aceto olio sale Affettate molto sottili le verdure e il parmigiano e conditele in un piatto con aceto, olio e sale. il cavolo viola farà diventare rosa il sedano-rapa e il parmigiano. è normale, non preoccupatevi! A Steady Diet Of Mat di Matteo Casari Che poi se Compost ce l’ha su col web 2.0 è un po’ colpa mia. È giusto che me la pigli in toto. E poi sono il primo che ci è cascato come una pera cotta. Ora. Myspace sucks, facile dirlo, leggete l’intervista e i link suggeriti da Francois Cambuzat per rendervi conto di un po’ di cose. Ma tant’è avere tanti amici ti dà quell’aria di esserti occupato a modino dei tuoi fantastici rapporti interpersonali e di aver adempiuto a tutte le necessità ed esigenze di un gruppo. E proprio ora se ne spunta fuori questo virb. com. Ammetto che devo ancora provarlo, se non erro Fabio Zuffanti, attento conoscitore dei


Columns trend, ci è già dentro fino al collo. Poi grazie a Stumble e al suo plugin su Firefox riesco a cazzeggiare amabilmente con il solo scotto di un click col mouse. E mi vengono propinati decine e decine di social engines atti a unire i peggio reconditi desideri dei peggio emarginati. Già si fa fatica a mettere su e tenere in piedi un gruppo, ora puoi scambiarti in real time materiale musicale, lavorare sulle basi fatte da altri e collaborare e addirittura fare uscire un disco. Mi sento vecchio. E, non me ne voglia. lo dica nell’accezione migliore del termine, uno dei miei più vecchi amici che mi indirizza su Anobii. com. Social networking basato sulla biblioteca personale. Ordine ed export file in csv e excel della lista dei libri, suggerimenti e un’utile funzione di lista dei desiderata. I libri fanno vecchio non fanno punk, i consigli degli amici però si. E seguire i consigli di Intortetor ti mette voglia di leggere ancora di più. E a quel punto, mentre smanetti i codici ISBN dei tuoi tanto sudati libri, vuoi perder tempo a scegliere i cd? Dai oh, che scemo sei? Fatti una radio personalizzata! C’è anche quella di Marsiglia e quella di Disorder Drama, su last.fm che ti monitora ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette. Dai tuoi gusti. Risale al tuo umore. Dai tuoi gusti risale al tuo umore. Dai tuoi gusti. Dai tuoi gusti. Gusti. De Gustibus. Che tutto ciò sia fatto solo e unicamente per saggiare, pubblicitariamente parlando, i tuoi gusti e per plagiarteli violentemente neanche ti balza all’orecchio? Qui è dove mi piglia peggio. Dove tutto questo suona male, stonato. Ho recentemente accettato di farmi scandagliare i gusti e farmi suggerire gli amici su molti dei detti portali. Fin qui tutto bene, ma si sa che il problema non sta nella caduta ma nell’atterraggio. Non Sono Un Poeta di El Pelandro Soggettivo e opinabile quanto si vuole, ma ritengo sia molto meglio avere una botta di culo che una botta nel culo.

Link consigliati da Francois Cambuzat Per chi volesse saperne di più ecco qualche sito per informarsi: ht tp://w w w.sourcewatch.org/index. php?title=Rupert_Murdoch http://en.wikipedia.org/wiki/Rupert_Murdoch http://www.davduf.net/rupert-murdoch-ometre-news-corp-a.html?var_recherche=rup ert%20murdoch http://www.monde-diplomatique.fr/recher che?s=rupert+murdoch ht tp://w w w.acrimed.org/recherche. php3?recherche=murdoch http://www.economist.com/search/search. cfm?area=5&cb=46&qr=Rupert%20Murdoc h&rv=2&keywords=1 http://www.transnationale.org/companies/ murdoch_kenneth_rupert.php http://www.opensecrets.org/ http://www.local.attac.org/paris11/groupe/ medias/articles/article8.htm http://www.newscorp.com Valide Allternative al Bricolage Culturale DIYC 2.0 risponde il Dott. Cesare Pezzoni Caro Dottore, sono spaventato a morte. Ho speso una vita a studiare regolette di marketing culturale, ho fatto due master di specializzazione in discografia e ho svolto la mansione di carta igienica per un importante impresario libico per 3 anni. Ora lei mi dice che ci sono dei musicisti che si mettono all’esterno del mercato discografico, che ci sono etichette non-profit e che la curva della domanda e dell’offerta ha una coda lunghissima. Tutta la mia vita è stata inutile? Cosa devo fare? Quale è il ruolo dell’etichetta oggi? Dobbiamo rinunciare a vivere di questo settore?

Ogni qual volta la musica sia in crisi la risposta è sempre la stessa: fantasia. Vale anche per tutto ciò che fa da contorno alla musica in senso stretto perché manager e impresari pur con i loro Bignami dell’economia quantitativa sempre sotto braccio, lavorano a contatto con una materia e un ambiente che è fatto di fantasia stessa. Quindi, così come dalla calma piatta ogni tanto nascono fermenti e poi capolavori, allo stesso modo in questo mondo di immateriale che rompe le regole tradizionali, c’è sempre spazio per chi ha coraggio e idee…e sa come realizzarle. Il marketing poi è una delle cose più elastiche che esistano e state sicuri che in quel campo si casca sempre in piedi. Ogni battaglia fa i suoi morti e i suoi eroi, ma i dopoguerra si assomigliano un po’ tutti. E’ importante avere le idee chiare su come le cose stanno cambiando per affrontare questo cambiamento utilizzando le categorie giuste. Cercate di ascoltare il cambiamento. Il marketing in Italia ha sempre questa reputazione terribile come se fosse l’arma del nemico. Quello che spesso dimentichiamo è che è l’unica tra le scienze che ascolta i desideri e i bisogni della gente nell’ottica di risolverli. Se l’azione sul mercato è peculiare a ogni pratica economica, solo il marketing include forme di ascolto preventivo. Chiaramente può essere usato male o bene come succederebbe per un machete o un martello, ma dove c’è un mercato, c’è bisogno di marketing. Non solo nel mercato dei grandi capitali, ma anche nel piccolo mercato di sussistenza della musica indipendente. Quindi ascolto e fantasia come strumenti: cercare nuovi formati e chiedersi cosa la gente è ancora disposta a pagare, con quei soldi che ha risparmiato scaricando mp3 a costo 0. Ibridare le esperienze per creare nuovi contenuti, e “piazzare” contenuti più o meno nuovi a un pubblico decisamente nuovo, per anagrafe, interessi ed esigenze. In un’industria che ha visto calare le sue vendite sensibilmente, rompere il monopolio delle radio e tv commerciali per promuovere la musica, che ha visto crescere 37 CMPST #6[01.2008]


Columns il numero di download di brani musicali anno per anno nonostante in quasi tutti i paesi sia un atto notoriamente illegale, che ha visto nascere sempre più alla svelta e morire sempre più alla svelta piccole stelle, a volte di nicchia, che ha visto decollare il mercato dei lettori mp3 e che ha visto il sorpasso da parte delle suonerie polifoniche a danno dei dischi…l’unica cosa che davvero non possiamo pretendere è che il modo di fare soldi rimanga lo stesso. Non sono io che posso dire quale sarà il ruolo delle etichette domani, certo non possiamo pretendere che sia lo stesso di ieri, né di stabilirlo ora, e a tavolino. Le net-label, ad esempio, sono in larga crescita e rappresentano un tentativo di prendere atto di questi cambiamenti. Quando ho avuto i primi approcci con Anomolo non si parlava molto del fenomeno e anzi eravamo un po’ considerati dei pionieri, cosa di cui ci siamo beati fino a che non ci siamo resi conto che attorno a noi era cresciuta una vasta fauna di etichette basate sulla sola rete. Se tutto questo basti io non lo posso sapere: penso, a naso, che forse le net-label siano state più un’evoluzione delle etichette amatoriali, che un ripensamento di un ruolo dell’etichetta. Meglio: che l’occasione di internet sia stata interpretata come un modo per abbattere i costi e migliorare le prestazioni, in etichette che comunque non sarebbero state capaci di produrre reddito. Ma si sa che a volte è così che nascono le rivoluzioni, da nuove soluzioni a vecchi problemi. In ogni caso il problema dell’approvigionamento economico dei giovani artisti resta tutt’altro che secondario, e forse oggi più che mai servono competenze visto che serve destrezza per muoversi. E’ vero che tecnicamente si può fare a meno di quasi tutte le figure di mediazione, però proprio perché tutti si possono muovere nell’ambiente musicale, è importante sapersi muovere bene.La gente non ci pensa mai ma lo spostamento del settore verso la necessità di “soft skills” non diventa un lasciapassare per chi si improvvisa. “Soft skills”, non “no skills”. E in oltre permane una buona quantità di sapere tecni38 CMPST #6[01.2008]

co, nemmeno tanto soft. In fin dei conti, poi, se è vero che è più facile improvvisarsi vuole dire che è ancora più necessario distinguersi da quelli che semplicemente si improvvisano. Per studio e per vocazione mi trovo a trattare con la comunicazione, materia di uso comune, e non immaginate quanto sia difficile levare dalla testa della gente l’idea comune che, in fondo in fondo, siamo tutti degli scienziati della comunicazione. Se tutti fossimo davvero scienziati della comunicazione, questa diminuzione delle barriere d’accesso al settore musicale sarebbe probabilmente il tramonto dell’era musicale come la conosciamo: niente etichette, niente informazione mediata, niente booking, niente agenzie, niente di niente. Solo musicisti e il loro pubblico. Però non è così. Non è così che è andata…e dove va così si recuperano intermediari in altri settori, pensate al ruolo che la grafica ha oggi come non mai, o a quanto gli eventi siano diventati entità complesse più di un semplice concerto. La differenza l’hanno fatta quelli che hanno fatto il mio lavoro prima e meglio di me, progettando nuovi percorsi nella musica e nell’arte. Serve ascolto e coraggio, oggi come non mai, e serve professionalità, oggi come ieri. Una professionalità più aperta e meno tecnica rispetto al passato, ma sempre più indispensabile. La tua vita non è stata inutile, caro lettore, ora però non lagnarti e dacci dentro. Screamazenica di Simone Madrau (Screamazenica omaggia la next big thing dell’elettronica genovese coverizzando Madonna. Canta anche tu con Screamazenica. ‘Hey DJ Itler Put the west coast on I wanna dance with my baby And when the cassa starts I’m never gonna stop

It’s gonna drive me crazy Itler makes the people come together.’) The Bob Quadrelli Show 1. Cena al Buridda. Qualcuno: ‘Bob, dai, mangia la pasta.’ Bob: ‘Io non vivo di pasta, vivo di idee.’ 2. Buridda, concerto di Q, featuring: Q. Q [al microfono]: ‘buonasera a tutti, io sono Q..’ Bob: ‘Q sono io! Ladro!’ Q: ‘O_O’ Io: ‘Ivan tu non hai un blog?’ Ivan: ‘Il mio blog è la strada.’ (I Dresda sono tornati. E si vede.) ‘L’altro giorno ho cercato su Google ‘allungamento del pene’’ (Le scottanti dichiarazioni di Rocktone Rebel durante la cena pre-eMpTV Night al Checkmate.) ‘Bellissima questa, chi sono? Gli Hives?’ (Anonima al nostro Giulio durante un dj set di quest’ultimo. La canzone era ‘Raw Power’ degli Stooges. Buon per te che non sappiamo come ti chiami.) ‘Il calco del tuo pene!’ ‘Le stigmate del tuo pene!’ (Soddisfatti apprezzamenti del pubblico genovese all’indirizzo di Les Enfance Rouge, titolari di un’evidentemente buona performance in quel del Buridda.) Rocktone Rebel: ‘Il mio disco lo produrrà Timbaland’. Mat: ‘Sì, vabbè. Se vuoi te lo produciamo io e Martino con le Timberland.’ (thanks to: Matteo Casari, Giulio Olivieri.)


Arte

Mario Benvenuto Nel 1961 nasce a Genova, il primo di maggio. Dopo un’infanzia trascorsa in riva al mare (a Recco), frequenta il liceo artistico, dopodiche’ l’Accademia Ligustica di Belle Arti a Genova. Nel 1979/80 canta in un gruppo surreal-punk, i Dirty Actions. Nel 1983 tiene la sua prima personale di pittura. Nel 1984/85 collabora con la rivista di fumetti ed altro “Frigidaire”. Dal 1986 e’ a Milano dove lavora come illustratore e grafico freelance. Dopo una (terribile) parentesi in un’agenzia di pubblicita’ in qualita’ di art director, nel 1993 si rimette in gioco e ritorna alla libera professione. Fa nascere e pubblica Fausto Bambino sul Mensile “Il Clandestino”, una strip comica. Nel 2003 si riavvicina all’arte, creando questi grandi quadri colorati dagli strani titoli. Ora, tra le altre cose, è lieto di esser docente di Grafica all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. http://www.myspace.com/benve_

39 CMPST #6[01.2008]



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