Intro Redazione Matteo Casari Daniele Guasco Simone Madrau Giulio Olivieri Cesare Pezzoni Anna Positano Collaboratori El Pelandro Giacomo Bagni Davide Chicco Diego Curcio Marco Giorcelli Matteo Marsano Carlotta Queirazza Emiliano Russo Paolo Sala Grafica e Impaginazione Matteo Casari Contatti http://compost.disorderdrama.org compost@disorderdrama.org Compost c/o Matteo Casari C.P.1009 16121 Genova Pubblicazione NON periodica, amatoriale, destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza. Questa pubblicazione è una produzione Disorder Drama. Un sincero ringraziamento al collettivo del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui. Se interessati a collaborare, con parole o disegni, contattateci Arrivederci a CMPST #9 - [01.2009] 2 CMPST #8[12.2008]
Come i ntrod u rre u n nu mero d i Com po s t che per u n motivo o per l’a ltro a s pet ta d i ven i re pubb l ica to da s ei mes i? Volendo d i fat ti e a v ven i menti cu ltu ra l mente i m por ta nti, pos itivi o negativi, a Ge nova ce ne sono s tati vera mente mo lti, ma tut to q ues to va i n s e condo p ia no nel l’era del la cri s i, perché a f u ria d i s enti rmelo ri pe tere a nche q ua ndo va do a com p ra re l e s i ga ret te o a fa re le pa ro l e crociate nel s i lenzio del m io ga b i net to, orma i a nch’io sono s tato tra sci nato i n q ues to i ncubo i n cu i non potremo pi ù s ta re tutto i l g iorno a pa rla re a l cel l u la re, non potremo pi ù u sa re l’a utomo b i l e a nche per fa re trecento me tri, sa remo cos tret ti a orga n iz za re l e s et ti ma ne b ia nche prendendo u n a l bergo con solo d ue s tel le, mentre q uel l i che s i s pa r tiva no le tor te sono pa s sati a raccog l iere a nche l e b riciole (ved i a l la voce sa ccheg g io del l’u n iver s ità) .
La domanda allora è : perchè Compost nell’era della cri s i? Compost cerca di racconta re es perienze culturali legate a Genova in qualche modo, in un set tore che è sempre in cri s i per un motivo o per l’altro, ma che nonostante questo trova il modo di andare avanti. Q uindi, di argomenti con cui riempire queste pagine ne abbiamo ancora in abbondanza, storie di persone che, cri s i o meno, riescono a pro porre la propria mu s ica, i propri libri, la propria es pres s ione ar ti stica, s pes so con non pochi pro blemi. Compost continua, ma gari facendos i at tendere un po’ troppo ma continua, cos ì come continuano ad es serci proposte ed iniziative da conoscere e rac contare. di Daniele Gua sco
News Le foto della copertina sono di Giulia Repetto - http://www.flickr.com/people/giugi Anche questo numero è stato reso possibile dai contributi avanzati dal Benefit del 24/01/08 al Laboratorio Buridda con PortRoyal, Contesti Scomodi feat. Bobby Soul, Fabio Zuffanti e Hipurforderai, oltrechè dalle offerte raccolte. Disponibile anche un Pay Pal sul sito! Supporta COMPOST! News da http://cmpstr.tumblr.com/ - Mike Watt dei Minutemen si è innamorato della musica genovese e nel suo podcast The Watt From Pedro Show ha passato in serie Cartavetro, Japanese Gum, Rice On The Record (alle prese con una cover di Rocktone Rebel) e Varusclis
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- Mutande, strilla e pestonate gratuite nell’album d’esordio degli Eat The Rabbit, finalmente uscito per la Que Suerte! Records in coproduzione con Marsiglia. - Esordio, per ora solo live, anche per le She Said What?!. La metà ritmica delle disciolte Starfish vi stupirà per ignoranza. - Da qualche settimana Pernazza impazza anche nei WAM (a.k.a. Wax Anatomical Models). - 2Novembre in tour in tutta Italia per promuovere il nuovo disco. - In attesa del loro album (in uscita tra un anno!) gli eSMEN regalano dal loro sito il loro primo singolo e vincono il PIVI come miglior video con Sog For Ced.
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Cronache Vere “Ma non sono diventato una persona, un adulto che avrei disprezzato vent’anni fa. E oggi non rifiuto né disprezzo quello che ero e ho fatto allora. E questo è già un bel risultato.” Crapping Dogs / Contrattacco / Sybil (...) Intervista con Franco Zaio di Diego Curcio
DOPOLAVORO PUNK Franco Zaio, classe 1964 e professione libraio, è quel che si può definire senza timor di retorica un eroe dell’underground genovese. Una di quelle persone che hanno lasciato un segno indelebile nella scena musicale di casa nostra e che dopo quasi 30 anni di onorato servizio continuano ancora a suonare e a produrre materiale innovativo. Basti per tutti il recentissimo “Last Blues” uscito a settembre per Devega, un cd in cui il nostro ha cantato e messo in musica alcune delle più belle poesie di Cesare Pavese. Prima di questo progetto (davvero notevole), però, Franco è stato soprattutto uno dei massimi esponenti del punk e dell’hardcore genovese, anche se lui, nella nostra città, c’è arrivato quando era già un adolescente. I Crapping Dogs prima e Contrattacco poi (autori anche di una splendida fanzine omonima uscita nel 1984) sono stati due veri e propri punti di riferimento per i punx di Genova (una ristampa del loro materiale sarebbe doverosa). Anche se, da come potremmo vedere da questa chiacchierata, la vicenda artistica di Franco è molto più varia e complessa. Se mi passi un po’ di cronistoria o di antefatto vorrei partire da come ti ho conosciuto. Avevo letto una tua mini intervista da “reduce” dei furious years su Rocksound Speciale Punk e quando via mail ho chiesto a Stefano Gilardino (redattore della rivista) quale gruppo hardcore degli anni Ottanta genovese mi potesse consigliare, senza indugi mi ha parlato dei Crapping Dogs. “Il loro batterista lavora da Feltrinelli - mi ha detto - si chiama Franco Zaio” e da lì, per quel che mi riguarda, è partito tutto quanto. 4 CMPST #8[12.2008]
Conoscendoti ho scoperto che oltre a quella band e al punk c’era molto di più. Ma per ora vorrei iniziare da qui. Come sei entrato in contatto con questo tipo di musica e quando è nato tutto? Alle medie ho comprato i 45 giri dei Clash, Jam e Sex Pistols, e il primo Lp dei Ramones. Da quel momento la mia vita e anche la mia attitudine è cambiata. Mi chiudevo in garage con “It’s alive” nel walkman a suonare la batteria, ho cominciato così. Poi a 18 anni ho conosciuto Marco Menduni che cercava
Franco un batterista per i Crapping Dogs et cetera. Come dicevo prima le tue esperienze musicali sono state molte e continuano tuttora. Hanno avuto come base quasi sempre Genova, anche se tu non sei nato qui e hai vissuto in giro per l’Italia. Vediamo se me le ricordo tutte e se mi puoi raccontare a grandi linee la storia di ogni gruppo. Crapping Dogs? Batterista con sbattimento di duplicazione e spedizione cassetta in giro, contatti con le fanzine dell’epoca. Due brani su “Raptus negazione e superamento”, Lp della Meccano Records del 1983 e una cassetta riprodotta
Tupelo Twins a pezzi su vari cd-compilation. Da tempo si parla di una riedizione su cd di tutto il materiale (tipo le cose che fanno lovehate80. it e la SOA). Contrattacco? Batterista anche lì. Punk-anarchico tipo Dirt, Crass, Conflict. Lunghi testi in italiano su argomenti molto impegnati tipo guerra, femminismo, nucleare, USA, Chiesa, animalismo. Qualche registrazione dispersa, niente di “ufficiale” tranne una fanzine molto bella (che tu conosci). Lost? I Lost (1986/1990) erano: Riky (ex Zincoblenda), Putro (ex Crapping Dogs), Luca (ex CD e Beat Machine), il Barba e io. Sono nati dalle ceneri dei Crapping Dogs, all’incirca nel 1986, quando avevamo preso un andazzo dark-wave, con la scomparsa dalle scene di Paolo Mileo. Io sono passato dalla batteria alla voce, sostituito da Luca (batterista grandioso). I Lost hanno fatto decine di concerti, alcuni gloriosi topo quelli coi Died Pretty, coi That Petrol Emotion, coi Boohoos, coi Sick Rose, e soprattutto Arezzo Wave 1987, coi CCCP! Avevamo anche inciso un disco coi controcazzi su 24 piste, ma è restato, classico genovese, nei cassetti. Per un breve periodo abbiamo avuto un manager cialtrone, addirittura. Insomma, tutto poi si è risolto in tanti
concerti (e sbronze) al Quaalude e al Coccodrillo (a cui sfondai anche il palco con un salto!), e tanto tanto divertimento rock’n’roll. Non abbiamo “fatto carriera” un po’ perché non ce ne fregava niente (ognuno col suo lavoro), un po’ perché la nostra proposta musicale era troppo eterogenea per essere “incanalata” commercialmente: alla fine dei concerti facevamo cover di Ramones, Husker Du (Sorry somehow), Stooges, Kinks, Bo Diddley, Garland Jeffreys, Springsteen, Patti Smith, Julian Cope... Facevamo quello che ci piaceva fregandocene delle mode e pure coi testi in inglese! Piacevamo a tutti e a nessuno. Puro rock a 360 gradi, senza compromessi. I pochi soldi dei concerti finivano in birra e cibo. La saletta era nei vicoli pieni di merda, vomito e siringhe usate dietro a via Cairoli. C’è stato un momento in cui avevamo la sensazione (ad Arezzo) che stavamo per diventare famosi. Ma ci siamo persi. Lost, appunto. Peccato. Tupelo Twins? I TT erano un grande gruppo di cover che riuscivano a rendere rock’n’roll qualsiasi canzone. Nati inizialmente come tributo al Re del R’n’R, Elvis, nato a Tupelo (il suo gemello morì), i TT iniziarono a spaziare fra pezzi di Bo Diddley, Chuck Berry, Beatles, Stones, Animals, Doors, Hendrix, Dylan, Clash, U2, Soft Cell (Tainted love, ovvio)...il tutto nel nome del rock’n’roll, ossia energia, divertimento, casino, ma con stile. Pi al basso fretless, An alla Fender “Keith Richards”, Ez alla Gibson “free jazz”, At all’armonica a bocca (nonché imbonitore e idolo delle folle, ogni volta) e io alla voce e batteria in piedi alla Stray Cats. Per un po’ ci furono anche The Barba (chitarra) e l’Orco Infricciatore (basso). Quaalude, Mister Do, Coccodrillo, Alassio, Loano...Ogni concerto si trasformava in una festa, a volte delirante: eravamo una vera party-band (feste di laurea degne di Animal house, travolgenti Louie Louie mixate a Vi-
Cronache Vere “Facevamo quello che ci piaceva fregandocene delle mode e pure coi testi in inglese! Piacevamo a tutti e a nessuno. Puro rock a 360 gradi, senza compromessi.“ cious e Wild thing). Solo due pezzi originali: “One gin, three beers and my highway” e “Sunday morning blues”, con cui vincemmo un concorso su Videomusic. Cosa rimane? Tanti bei ricordi, e il Rock’n’roll che, come direbbe il mio amico Wilson, scorre ancora silenziosamente nel sangue e ci fa sentire vivi e migliori, alla faccia del colesterolo e dei fighetti che ci circondano.
Pino e gli Abeti? Prima di avere dei figli (avanti Cristo, direi) passavo i capodanni coi vecchi amici in luoghi sperduti e freddi, tipo il Beigua. Ricordo che un anno andammo a dormire col cappotto: non c’era il riscaldamento! In questi veglioni tragicomici, veri massacri enogastronomici, si materializzava la leggendaria one night band Pino e gli Abeti: 6 o 7 ubriachi col fez in testa e occhialinasobaffi finti che stupravano classici del rock da party con testi pecorecci Ramoni? Qui entriamo nella leggenda. Nati quasi per scherzo a metà anni Novanta in cucina, mentre mia cognata faceva da mangiare canticchiando le canzoni dei Ramones in zeneize e italiano, sono diventati un culto anche fuori Genova, grazie al 7 pollici split coi Beat-Offs. Abbiamo fatto da spalla ai Mummies e nientemeno che a Dee Dee Ramone. Al secondo figlio ho ceduto le bacchette e il microfono, mia cognata è andata a vivere fissa a Londra, e i fratelli Carraro e l’ottimo Francu Ramone hanno proseguito la “tradizione”. Io suonavo la batteria e cantavo con tanto di parrucca alla Ramones (anche Marky ha la parrucca, sai?). 5 CMPST #8[12.2008]
Cronache Vere “Io, comunque, penso di essere punk ancora adesso, almeno “dentro”! Il punk e i punx hanno cambiato la mia vita, travolgendola, forse rovinandola (non ho studiato né fatto carriera alcuna), ma mi hanno lasciato dentro un serbatoio di energia e cultura a cui attingo spesso.” Sybil? I Sybil sono nati da un’idea di Mauro Ghirlanda e Sandro Carraro, che all’epoca (1996) suonavano in gruppi hardcore e punk-rock genovesi e volevano mettere insieme una band “tranquilla” alla Smog. Io ero il batteria e scrivevo qualche pezzo. E a completare il quartetto c’era Laura Ligabue, la nostra cantante. Il mix di tutti noi era magico e anche punk, nel suo essere così non pretenzioso, immediato, volutamente sgangherato. Con accenni emo-core e indie. Il nome era preso a prestito da quello di una Vj di Mtv, Sybil Buck. Abbiamo registrato un mini-cd (“In a small town”) per Candy Apple e Green Records, ma ci siamo sciolti quasi subito Anticorpi? Sono stati il proseguimento del discorso Lost negli anni 90 con tre musicisti diversi (Luca Nocentini basso, Andrea Frascolla e Luca Pagnotta chitarra, Gino Paciello batteria), solo che suonavo anche la chitarra elettrica, con testi in italiano e cover più classiche (Stones, Doors, Velvet, Steppenwolf). Numerosi concerti, un 7” allegato alla rivista Urlo, brani su alcuni cd-compilation, due demo ben recensiti. Poi lavoro e famiglie hanno preso il sopravvento. E così arriviamo ai dischi come Franco Zaio solista fino al bellissimo cd su Pavese 6 CMPST #8[12.2008]
che merita un bel approfondimento visto che è fresco di stampa e sarà, come spero, uno dei regali di Natale più gettonati. Dopo gli Anticorpi ho continuato a scrivere e a registrarmi da solo le mie canzoni, uno strumento alla volta. Non riuscivo più a suonarle con un gruppo (saletta, concerti), non ne avevo più né il tempo né la voglia. E poi così facendo suonavano proprio come volevo, non dovevo discutere con nessuno. Il primo esperimento solista è una cassetta senza titolo del 1996 (mai uscita su cd), “Le canzoni nel cassetto” del 2001 è andato anche nei negozi, benché autoprodotto in toto. Stessa sorte doveva capitare a “Last blues”, ma è giunto alle orecchie della Devega che me lo ha pubblicato, e sta avendo un riscontro impressionante. Ok finita la parte “agiografica” che ne dici se ci buttiamo sul sentimentale. Nel senso che vorrei chiederti cosa ti ricordi degli anni Ottanta e com’era essere un punk a Genova in quel periodo? Non era molto divertente essere punk nei primi anni 80, eri una specie di nemico pubblico, ti davano addosso tutti. Per i fasci eri un freak da sopprimere, per i compagni un nichilista vestito da fascista, per i regolari un insetto schifoso, per i genitori un esaurito/drogato/disperato, per la polizia una specie di terrorista: essere fermati per “controlli” dalla polizia era una prassi quotidiana, un’abitudine pesante. Aggiungi le varie divisioni e incomprensioni fra skin, anarchici, 77, HC… Io comunque penso di essere punk ancora adesso, almeno “dentro”! Il punk e i punx hanno cambiato la mia vita, travolgendola, forse rovinandola (non ho studiato né fatto carriera alcuna), ma mi hanno lasciato dentro un serbatoio di energia e cultura a cui attingo spesso. Una coscienza critica (sarcastica), una visione della vita più libera ed aperta, un’estetica, un senso dell’umorismo e dell’essere in qualche modo sempre “di-
verso” e dalla parte sbagliata. Rimpiango quell’energia quella sensazione un po’ fatua di essere un ribelle-rivoluzionario-antagonista, stemperata negli anni dal cinismo. Ma non sono diventato una persona, un adulto che avrei disprezzato vent’anni fa. E oggi non rifiuto né disprezzo quello che ero e ho fatto allora. E questo è già un bel risultato. Hai visto nascere alcuni centri sociali cittadini ed evolversi la scena musicale underground genovese. Segui ancora le band locali, come è cambiata la città sotto questo punto di vista? Da almeno 10 anni (da quando sono papà) esco e bazzico locali e CSA molto poco. Quello che ho notato è che i locali hanno causato la nascita di troppe coverband, spesso tecnicamente bravissime, ma senza creatività propria. “Ai miei tempi” il livello tecnico strumentale era inferiore ma c’era tanta voglia di fare le proprie cose, di essere originali, e c’era anche più curiosità live del pubblico. Ora la curiosità viaggia su myspace, più che altro (ma ben venga, per carità, è bellissimo: solo che non è musica dal vivo). Anche se forse il mio è un ragionamento da vecchio rincoglionito nostalgico, chiedo venia. Quali sono i tuoi cinque dischi fondamentali e i cinque libri, visto che lavori in una libreria? Domandona, come si fa?! Ti elenco i libri e i dischi che hanno “segnato” alcune fasi della mia vita. - Husker Du, Zen Arcade - Ramones, It’s Alive - Dream Syndicate, Ghost Stories - The Clash, Sandinista - Joy Division, Closer I libri: - Cesare Pavese, Il Mestiere Di Vivere - Emily Dickinson, Tutte Le Poesie - Sartre, La Nausea
Cronache Vere - Nietzsche, Al Di Là Del Bene E Del Male - Pessoa, Il Libro Dell’Inquietudine Questa, invece, la chiedo per me. Scusate l’uso privatistico della fanzina, ma mi puoi raccontare qualcosa del concerto degli Husker Du dell’87 che io mi sono perso per evidenti ragioni anagrafiche (avevo 5 anni…)? Torino, Big Club. Viaggio in auto con Warehouse uscito da poco. Prima del concerto andai a trovare il leggendario Giulio Tedeschi, vecchio amico, nella sede (una specie di garage!) della Toast records. Gli Husker mi lasciarono a bocca aperta per violenza e incisività, uscii sotto shock acustico, dopo una Reoccurring Dreams apocalittica. Unica nota negativa: Bob e Grant non si guardavano neanche in faccia, erano furiosi, la tensione sul palco era palpabile. A parte il bassista che saltava come un grillo. A fine concerto venne fuori a fare le foto-ricordo coi fans solo lui, gli altri due erano belli “cotti”, mi sa. Gli Husker univano in uno stile personale e travolgente i Ramones e Patti Smith, i Buzzcocks e i Sonic Youth, i Beatles e i Black Flag, insomma sono stati uno dei miei massimi. Oltre alla musica la tua produzione spazia anche in campo letterario. Come è partita l’idea del “Fu Mattia Bazar” (il libro sugli strafalcioni di commessi e clienti delle librerie)? “Campo letterario” è una parola esagerata: mi sono limitato a “passare” a un agente letterario le “chicche” sentite sul lavoro, che raccolgo continuamente da anni. Ora sta per uscire il sequel: “Il buio oltre le seppie”, sempre edizioni Orme. Epperò ti confesso che un’ambizione letteraria in effetti la covo, travolta/sommersa dalla quotidianità. Chissà che prima o poi non esca un libro davvero mio. Un mio racconto lo trovate su http://www.leggendoscrivendo.it/AUTORI/DWLA/ZAIOIl%20mio%20primo%20giorno %20di%20scuola.pdf
E la tua attività di blogger (http://zaio.blogspot.com/)? E’ una mia valvola di sfogo, confessione, espressione. Non ha alcuna ambizione giornalistica né letteraria, è un po’ diario, un po’ guestbook, un po’ block notes. Lo faccio soprattutto per me, anche se i commenti mi divertono, e mi fa piacere vedere nello stat che mi leggono un centinaio di persone ogni giorno, mica male. Ho anche un myspace “musicale”, quasi una necessità, oltre che una fonte di contatti e aggiornamento, una figata. Avercelo avuto negli anni 80! Non mi interessano per niente invece facebook o il myspace “personale”. Ultima domanda molto classica: progetti futuri? A dichiararli mi metto nei guai pubblicamente perché sono molti e chissà quando li realizzerò, tra famiglia e lavoro. Già per il disco di Pavese ho impiegato anni! Vabbè, per Compost mi sputtano ed elenco random cosa c’è in pentola (a bagnomaria), ma non garantisco tempistiche: disco su Antonia Pozzi (se ho il permesso degli editori) / disco su Emily Dickinson (possibilmente con Sybil o Anais) / disco di pezzi miei (parole e musica) / romanzo fintoautobiografico / pamphlet su libri, librai e mondo editoriale / pamphlet su Genova e i genovesi visti da un genovese “acquisito” / disco su Tim Burton e le sue filastrocche bislacche (previo permesso ed.) / disco su Joy Division tradotti in italiano e acustici. Questi sono solo i progetti “artistici”, anzi: dopolavoristici. Perché prima/davanti a queste quisquilie ci sono i figli, la moglie, il lavoro, la sussistenza economica. Ne riparliamo fra qualche anno, ok? I miei colleghi mi chiedono: ma dove lo trovi il tempo?! Io dico: c’è chi fa le partite di calcetto, chi va in palestra, chi si riposa. Io scrivo e strimpello, quando ho del tempo libero, tutto lì.
“Che strana città, Genova. Questa è la vetrata della mia fermata della metropolitana (Dinegro). Già, perchè si da il caso che a Genova la metro sia allo stesso livello sul porto: quella che si vede tutta deformata è la sagoma di un traghetto che mi potrebbe portare nella mia amata Sardegna. O chissà dove. Due caratteristiche essenziali della genovesità: una struttura urbana in verticale anzichè in orizzontale, e l’avere sempre negli occhi e nella testa quella idea un po’ visionaria di un mare, di un altrove, di uno spazio libero. Moltissimi genovesi dicono “Non potrei vivere in una città senza mare”. Avere quella visuale fa parte della loro impostazione mentale. Aggiungete un forte vento costante, l’attitudine al lamento vittimista e sarcastico (il famoso mugugno) e capirete che in questa città sono tutti un po’ matti, anche solo per adattarsi all’ambiente.“ dal blog di Franco Trovate ancora info e la possibilità di commentare e scrivere a Franco su http://zaio.blogspot.com/ 7 CMPST #8[12.2008]
Cronache Vere “Sul finire degli anni 90 c’era un bel fermento, si respirava un’atmosfera stimolante e frizzante. Non c’era il demenziale sovraffollamento di oggi.“ Numero6 / Laghisecchi / Nome / Prisoner Intervista con Michele Bitossi di Simone Madrau
VERTICALIZZO E BADO ALSODO Michele Bitossi non è certo persona che abbia bisogno di presentazioni. E se mai ne avesse, bastano due nomi a far dire ‘aaah ma sì’: Laghisecchi e Numero6. Compost ripercorre l’ascesa del nostro, dai concerti al Palace alle pagine di Pitchfork attraverso il turbine di personaggi e comprimari più o meno celebri legati a filo doppio alle sue vicende. Piccolissimi pezzi in un mosaico sempre più importante, che nemmeno l’impegno di una famiglia sembra poter limitare. Ti racconto una storia. Era la seconda metà degli anni 90, andavo in classe in quarta o quinta liceo a Recco e di cosa succedesse a Genova non sapevo nulla. Ricordo a malapena un video dei Blindosbarra su VideoMusic. Però seguivo molto da vicino il rock indipendente, anche italiano. Era un periodo che ero in questo giro di sei o sette persone dove c’era un grande spaccio di cassettine, ciascuno comprava un cd e lo copiava agli altri. Poi un giorno, tra un Rosemary Plexiglas e un Lungo I Bordi, qualcuno in qualche discorso fece sbucare il nome Laghisecchi. Aggiungendo: ‘sono di Genova’. Inevitabilmente rimasi incuriosito ma non riuscii mai a mettere le mani sopra a quel materiale. Cosa mi sono perso? Beh, ti sei perso due album in cui una band di sciammannati poco più che ventenni cercava, a mio avviso con qualche successo, una ‘via italiana’ al suono che band come Pavement, Built To spill, Grandaddy, Sebadoh e altri stavano sviluppando ormai da qualche tem8 CMPST #8[12.2008]
po. Dopo un ep autoprodotto nel 1995, che per quanto ingenuo e assai limitato da molti punti di vista ci ha permesso di arrivare al primo contratto discografico, abbiamo realizzato Radical Kitsch nel 1998 e Très Bien: Piano B nel 2000. Soprattutto il primo ha ricevuto un’accoglienza lusinghiera da parte dei media e del pubblico, che si è dimostrato decisamente recettivo e interessato al progetto. Pensa che abbiamo anche venduto un buon numero di dischi! Si parla di altri tempi. Sul finire degli anni 90 c’era un bel fermento, si respirava un’atmosfera stimolante e frizzante. Non c’era il demenziale sovraffollamento di oggi. Era una dimensione ideale per scrivere, produrre, suonare cose nuove. Hai citato due album di Scisma e Massimo Volume molto importanti ed estremamente rappresentativi di quel momento magico. Quanto ai Laghi si tratta di un’avventura che ricordo con enorme affetto. Ci siamo divertiti alla grande e, cosa significativa, ricevo ancora adesso numerosi attestati di stima di gente che ci seguiva e
aveva apprezzato il nostro lavoro. Con Andrea (Tarick1), Giorgio e Pietro si è anche parlato di una reunion. Chi vivrà vedrà...
Parliamo di questioni molto venali. A quanto ho capito vendevate più dischi allora, dove appunto per fare le cassettine qualcuno doveva comprare l’originale, a dispetto di ora in cui comunque l’annosa questione file-sharing, da un lato una croce per le vendite dei dischi, contribuisce paradossalmente anche alla visibilità di un gruppo indipendente. Pensare di arrivare a campare con queste cose in quel momento aveva più senso rispetto all’oggi? In parte ti ho già risposto prima. In effetti parliamo di 10 anni fa ma sembrano molti più a causa della velocità con cui la tecnologia ha bruciato le tappe. Allora c’era sicuramente maggiore meritocrazia e selezione: se volevi farti produrre un disco in qualche modo dovevi meritartelo, convincendo pienamente l’etichetta (indie o major) di turno. Non essendo per niente sviluppato il concetto di home-recording i costi di produzione erano decisamente più alti rispetto ad oggi e, fatalmente, c’era molta più
Michele - foto di Anna Positano ponderatezza, ragionamento, attenzione di adesso. Non parliamo poi del file-sharing, che come sanno anche le pietre ha rivoluzionato tutto e ha riscritto le regole del gioco. Quanto alle vendite: certamente si vendevano più dischi, e tutta una serie di contingenze alimentava la fiducia che si potesse fare della musica il proprio lavoro. Rimanendo su toni internettiani, e se proprio vogliamo parlare di ‘scena’ di allora, sei d’accordo con quanti affermano che tale definizione avesse più senso in quel periodo, dove
l’assenza del web 2.0 rendeva più autentici i rapporti tra i gruppi, le persone, le associazioni e i locali che animavano la città? Che mazzo ti sei fatto, in termini di comunicazione, per far arrivare i Laghisecchi dalla saletta al buon livello di popolarità che avevate raggiunto? Tocchi un tasto per me piuttosto nevralgico e significativo. Oggi viviamo un momento stranissimo, a tratti assurdo e inquietante a proposito dei rapporti interpersonali, e non mi riferisco solo al campo musicale, che comunque per varie ragioni può tranquillamente essere preso a paradigma di tante altre sfere che implicano i contatti tra le persone. Ogni giorno la gente tende a evitarsi o a mandarsi affanculo nella vita reale per poi diventare disponibilissima, affabile, brillante dietro una tastiera e un monitor, per interminabili sessioni su Facebook. È agghiacciante. Senza internet c’erano miliardi di opportunità in meno, questo è certo. Esistevano però contatti e rapporti più autentici e sentiti fra individui. Ricordo con affetto e orgoglio gli anni 90 quando organizzavo con altri serate incredibili al circolo Giustiniani, al Palace di Quarto e in altri posti ancora. I concerti ‘Laghisecchi-Age’. Regnava una passione sconfinata e le soddisfazioni arrivavano sia in termini di risposta del pubblico che (incredibile a dirsi) sul versante economico. Mi sono sicuramente dato da fare molto per promuovere i miei progetti. Lo faccio da sempre e sempre lo farò, almeno fino a quando crederò in ciò che faccio e a prescindere da etichette e uffici stampa. Chi era Michele in quel periodo? Come ti senti cambiato umanamente ed artisticamente da allora ad oggi? Ero un ‘poco più che ventenne’ alle prese con la Facoltà di Lettere Moderne (poi terminata con non poca forza di volontà) che dedicava molto del suo tempo alla scrittura di canzoni, a tentativi più o meno sensati di produzione delle stesse, a suonarle con i suoi amici, a organizzare concerti, serate danzanti, pazzeggiare parecchio. Sento di essere molto cambiato
Cronache Vere “Sento di essere molto cambiato e trovo che ciò sia assolutamente nell’ordine delle cose.” e trovo che ciò sia assolutamente nell’ordine delle cose. Proprio in questi giorni sto scrivendo un testo di un brano nuovo che parla del fatto che alcuni dei miei amici conducono praticamente la stessa identica vita di 13-14 anni fa; fanno le stesse cose. Alcune le condivido, altre proprio non le capisco: nel dubbio mi faccio i cazzi miei e, se mai, ne parlo in una canzone. Io sono diventato papà di un bambino splendido di un anno e mezzo. Ho priorità diverse da quelle di un tempo, mi piace passare del tempo con lui e con la mia ragazza, scrivere, cose così. Artisticamente spero di aver sviluppato il mio songwriting in una direzione più matura e consapevole. Una cosa che noto con soddisfazione è che, belle o brutte che siano, riesco a scrivere pezzi più diretti, semplici, d’impatto. Un tempo ero intimorito dalla semplicità che confondevo pericolosamente con la banalità, impelagandomi in prolissità disastrose e parlandomi addosso. Tocco una questione magari spinosa, magari no. In quasi due anni che frequento i locali genovesi non ricordo concerti dei Numero6. Se ci sono stati comunque sono stati decisamente pochi. Di mezzo c’è il problema di cui si parlava a suo tempo con Ex-Otago (ovvero quello sacrosanto per cui un gruppo si trova a chiedersi: ‘se il nostro cachet cresce e in tutta Italia suoniamo a una cifra tot perchè dobbiamo suonare gratis o a meno solo perchè siamo di Genova?’)? O ci sono altre questioni di mezzo? In effetti l’ultimo concerto dei Numero6 a Genova risale a circa un anno e mezzo fa. In linea di massima non ho alcun problema concettuale a suonare nella ma città, anzi. Diciamo tranquillamente che il pubblico di Genova non ha mai appoggiato e sostenuto davvero le realtà locali, cosa che al contrario accade regolarmente in tantissime altre città, grandi, 9 CMPST #8[12.2008]
Cronache Vere “Il fatto di regalare un disco gratuitamente on line è ormai qualcosa di piuttosto ordinario.” medie e piccole. Gli stimoli a esibirsi qui non sono quindi immensi. Detto questo i Numero6 dopo il tour di Dovessi mai svegliarmi hanno deciso che i prossimi concerti sarebbero avvenuti dopo il prossimo album. Non erano quindi previste esibizioni live di supporto all’ultimo ep, uscito nel maggio scorso. Ci stiamo prendendo quindi una lunga pausa (riprenderemo a suonare dal vivo non prima dell’estate 2009) anche perché la band si sta riassestando dopo alcuni cambi di organico. Detto questo la questione cachet per quanto ci riguarda andrà intesa in senso lato, e non solamente in relazione a Genova: d’ora in poi o verremo pagati quello che riteniamo il giusto per la nostra ‘prestazione lavorativa’ o ce ne staremo a casa a fare altro. Capisco e condivido pienamente, per altro, il punto di vista degli amici Ex-Otago: anche noi ci siamo trovati in situazioni del genere, sgradevoli e imbarazzanti. Non bastasse ciò, e premesso che la mia memoria visiva è terrificante, non ricordo di avervi mai visto ai concerti altrui qui a Genova (sempre limitandomi ovviamente alle ultime due stagioni). Non frequento molto il Milk, magari siete passati di lì - ma Buridda niente, e Checkmate ancora meno. Ok, siete gente impegnata che fa video e tour in giro per l’Italia. Poi? Famiglia? Rispondo a titolo personale perché non amo farmi troppo i cazzi degli altri... In effetti negli ultimi due anni ho frequentato poco e niente le serate ‘indie’ genovesi nei locali che citi. Questo per una serie di ragioni tra cui la più importante è, come ti ho accennato, che sono diventato papà. La cosa, puoi immaginare, mi ha totalmente rivoluzionato la vita. Esco molto meno di prima la sera perché preferisco stare con mio figlio; quando lo faccio frequento i concerti solo quando c’è qualcosa che realmente mi 10 CMPST #8[12.2008]
Numero6 Live @ Truogoli di Santa Brigida - foto di Anna Positano interessa, diversamente uso il tempo libero che ho per suonare, scrivere, stare con i miei amici. Detto questo al Milk ci sono stato proprio 3 giorni fa a vedere gli eSMEN, un gruppo genovese a mio avviso validissimo, a cui ho anche dato una mano nella promozione del singolo Who Cares?. Numero6 è un progetto che lega a sè nomi piuttosto noti nell’ambiente. Sono coinvolgimenti ben noti a chi vi segue e anche a chi non vi segue da vicino, ma credo siano in pochi a sapere come tu e queste persone siate entrati in contatto ed è su questo punto che vorrei farti soffermare: quali storie, quali incroci più o meno casuali vi hanno portato prima a incontrarvi e
poi a decidere una collaborazione? Partiamo da una mia conoscenza: Filippo Quaglia (Q, intervistato sullo scorso numero di Compost, NdSimo). Con Filippo ci conosciamo ormai da parecchi anni. E’ prima di tutto un carissimo amico, con cui mi trovo perfettamente a mio agio. Abbiamo iniziato a collaborare in occasione del progetto messo in piedi insieme a Enrico Brizzi. Filippo di fatto non fa parte ufficialmente dei Numero6 ma gravita attivamente intorno aila band e ad altri nostri progetti portando ottime idee e buon umore. Altro amico, ma più di vecchia data (Compost#1, NdSimo): Lorenzo Vignolo.
Cronache Vere Con Lorenzo la collaborazione risale al 2003, anno in cui girammo il nostro primo videoclip ‘serio’, ossia La Stabilità, che poi ebbe una fortuna mediatica enorme rispetto alle aspettative. Da lì abbiamo realizzato insieme a lui altre quattro volte lavorando sempre in sintonia e con grande voglia di condividere la creatività per fare dei video che ci rappresentassero davvero e non fossero semplicemente un mero esercizio di stile. Noi siamo impegnati da sempre nella scrittura e nella realizzazione di nostri video, di cui spesso siamo anche produttori esecutivi. Da poco tempo, fra l’altro, abbiamo iniziato a fare video anche per altri artisti. In quest’ottica devo dire che con Lorenzo ci siamo sempre trovati bene, sia per quanto concerne gli aspetti creativi che per quelli più meramente organizzativi. Procedo. Enrico Veronese. Beh, Enver è un mio caro amico. Lo considero uno dei più grandi appassionati di musica ‘indie’ che ci siano in Italia. E’ una persona pura, sincera e vera fino in fondo, senza mezzi termini, a costo di risultare antipatico. Gli voglio un sacco di bene e gli sono molto riconoscente per l’appoggio che ci ha dato fin dall’inizio e che ci continua a dare. Lui di fatto è un ‘agitatore’ della scena indie italiana. Quando ‘sposa’ un progetto lo supporta in tutto e per tutto con una passione e una tenacia incredibili. Penso, per esempio, alla spinta che ha dato agli Offllaga Disco Pax degli inizi. Di Enrico in Enrico: Brizzi. Anche lui un carissimo amico, oltre che uno scrittore che da sempre apprezzo. Lo avevamo contattato per partecipare a Dovessi mai svegliarmi insieme agli altri autori che ci hanno regalato uno scritto inedito da pubblicare sul booklet del cd. In quell’occasione non ha potuto partecipare. Mi ha poi telefonato un giorno di circa due anni fa coprendomi di complimenti per il disco. A quel punto ho colto la palla al balzo chiededendogli un testo per
un inedito: lui ha accettato e, nel giro di 3 giorni, mi ha spedito via mail le liriche di Navi Stanche Di Burrasca. Da lì è nata una collaborazione che ci ha portato a realizzare Il Pellegrino Dalle braccia D’Inchiostrro: Reading In Concerto Per Viandanti Del XXI Secolo, un disco di canzoni inedite con testi tratti da quello che ormai è il suo penultimo romanzo in cui noi suoniamo e cantiamo e lui declama; a mio avviso tale disco, che uscirà nel corso del 2009, stupirà molti. Nel frattempo abbiamo fatto insieme a lui tantissime date dal vivo riscuotendo un successo davvero incoraggiante. E infine, immancabile, Will Oldham. Beh, io sono da sempre un suo fan. Lo considero un grande songwriter e amo il tuo timbro vocale. Un giorno mi è saltato in mente di provare a contattarlo per proporgli una collaborazione con noi; nella fattispecie mi sarebbe piaciuto da matti sentirlo cantare in una nostra canzone. Gli ho scritto e, dopo qualche giorno, mi ha risposto dicendo che avrebbe lavorato volentieri con noi a patto di poter cantare in italiano. La cosa sulle prime mi ha lasciato un tantino perplesso. Poi ho realizzato che potenzialmente poteva trattarsi di una straordinaria figata. Quando mi è arrivato a casa il cd con le sue tracce vocali ho avuto la piena conferma di questa sensazione. E’ stato commovente ascoltare Bonnie Prince Billy cantare e interpretare Da Piccolissimi Pezzi. Fra l’altro si è confrontato con un testo pieno di parole particolari e complicate. Questo featuring ci inorgoglisce tantissimo e ci ha permesso di fare capolino con il nostro ultimo ep (in cui è presente il pezzo cantato da Will) in importanti siti web e radio stranieri. A proposito: aneddoti su Pitchfork? Sapevi che vi avrebbero recensito? In caso negativo, quale è stata la reazione dei Numero6 quando avete aperto quella pagina? In effetti sapevo che sarebbe uscito qualcosa perché un loro giornalista mi ha scritto
Numero 6 chiedendomi il permesso (figurati un po’! ;) ) di pubblicare un articolo a proposito dell’ep e, in particolare, relativamente alla collaborazione con Will Oldham. Ho ovviamente acconsentito. Quando poi ho visto la recensione su quella che da molti è considerata una vera e propria ‘bibbia’ della musica indie mondiale mi sono abbastanza emozionato. E’ stata un’uscita piuttosto importante: i download dell’ep hanno subito un’impennata impressionante da tutto il mondo perché su Pitchfork capitano ogni giorno centinaia di migliaia di navigatori. Una grande soddisfazione per noi, senza alcun dubbio. L’ep in questione, Quando Arriva La Gente Si Sente Meglio, è uscito, ed è tuttora, in download gratuito da www.numero6.com : una scelta motivata da qualcosa in particolare o la semplice voglia di fare un regalo al vostro pubblico? La situazione del mercato discografico è ormai precipitata. Dischi non se ne vendono più. Si continuano a fare perché il supporto continua a essere ancora un biglietto da visita ‘fisico’ importante da presentare ai media oltre che un ‘gadget’ da provare a piazzare ai concerti. Il fatto di regalare un disco gratuitamente on line è ormai qualcosa di piuttosto ordinario; casi eclatanti come quello dei Radiohead hanno provocato un vero e proprio terremoto. Nel nostro piccolo abbiamo optato per questa so11 CMPST #8[12.2008]
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luzione al fine di testarla. I risultati dell’operazione sono ad oggi davvero sorprendenti: si parla di più di 8000 download. Accade talvolta che ascoltando un testo ci ritrovi un pezzetto di vita vissuta. Con i Numero6 mi è capitato ascoltando Automatici. Mi sono allora chiesto quale fosse la storia dietro a quel testo, quella che l’ha ispirata. E ora lo chiedo a te, a patto che questo non ti costringa a scendere troppo nel ‘personale’. Ho scritto quel testo partendo da una situazione effettivamente personale. Ho poi provato a dare alle liriche un taglio universale, dato che si parla di un qualcosa che a mio avviso accade piuttosto spesso nelle dinamiche di coppia. Sono contento che ti sia riconosciuto in quel testo. È successo in effetti a parecchia altra gente che, facendomelo notare, mi ha riempito di gioia. Rimanendo su Dovessi Mai Svegliarmi: in Verso Casa dichiari che ne hai abbastanza ‘di sti trenta stronzi che si osservano tra loro, senza mai 12 CMPST #8[12.2008]
rivolgere uno sguardo a chi per sbaglio questa sera sta sudando sopra il palco’. Una presa di posizione tosta, ma indiscutibilmente sacrosanta. Il dito era puntato su un generico pubblico ‘indie’ oppure, venendo tu da Genova, ti riferivi anche solo minimamente al pubblico locale, tradizionalmente freddino sul piano della partecipazione fisica? Guarda, ho scritto di getto il testo di quella canzone una notte, intorno alle 3. Ero appena rincasato. Ne venivo da uno dei locali genovesi che hai citato prima in cui si era svolto un grande concerto di una grande band. Nel corso della serata ho notato una serie di cose che puntualmente capitano in queste situazioni. Mi riferisco in particolare all’atteggiamento di certo pubblico di area ‘indie’, che si pone spesso in maniera del tutto irritante e che farebbe bene a farsi un esame di coscienza. Devo dirti che parecchio dello scazzo che ho maturato nei confronti delle esibizioni live dipende, oltre che dalle situazioni tecniche piuttosto demenziali che si trovano in giro, dall’atteggiamento distruttivo di certa gente. In quella canzone parlo di Genova e, di conseguenza, del pubblico locale. Inevitabile la domanda su quello che succederà adesso. Filippo mi accennava la scorsa stagione che l’album nuovo dei Numero6 è in cantiere ma che tu stavi ancora scrivendo. Ora che sono passati alcuni mesi, ti senti di poter anticipare qualcosa di più in merito? Nuove collaborazioni, qualche svolta in mente a livello di suono? Attualmente sono impegnato in un progetto parallelo piuttosto misterioso (i Nome, NdSimo) che pare stia funzionando bene. Per ora è uscito un singolo, poi ne uscirà un altro e si sta progettando l’album. Le nuove canzoni dei Numero6 stanno venendo fuori. Non abbiamo fretta, ci prenderemo tutto il tempo di cui abbiamo bisogno per fare le cose bene e, soprattutto, esattamente come vogliamo. Collaborazioni immagino ce ne saranno; ho già qualche idea
“Diciamo tranquillamente che il pubblico di Genova non ha mai appoggia to e sos tenu to dav vero le real tà locali, cosa che al con trario accade regolarmen te in tanti s s ime al tre ci t tà, grandi, medie e piccole.” ma preferisco non anticipare niente. Per quanto riguarda il suono avrei voglia di fare un album veloce, frizzante e rumoroso, per cui uscirà certamente un disco acustico. In questi casi l’imprevedibilità e all’ordine del giorno. In ogni caso sono dell’idea che, al giorno d’oggi, prima di buttare fuori un album bisogna pensarci molto bene. Con tutte le uscite che ci sono il rischio di ‘bruciarlo’ è sempre dietro l’angolo. Credo sia opportuno gestire oculatamente le uscite, magari centellinandole e cercando di creare attenzione progressivamente attorno a un progetto. In questo senso editare dei singoli non è male. Per finire: all’inizio dell’intervista ti ho mentito. Ho un altro ricordo dei Laghisecchi. Se ti dico Help!, Red Ronnie e TMC2 provi ribrezzo, nostalgia o fai spallucce? Red Ronnie e i suoi programmi, discutibilissimi quanto si vuole per una miriade di ragioni, rimangono di fatto gli ultimi in cui progetti più o meno emergenti avevano a disposizione uno spazio per presentare le loro canzoni, dal vivo, in televisione. Attualmente non mi risulta che esistano situazioni di questo tipo. Aggiungo anche che i frangenti in cui andammo ospiti a Help! coincidono con un periodo della mia vita molto sbarazzino, per cui li ricordo con molto piacere. Più info su Michele andate su http://www.numero6.com
Produzioni ”Credimi, quando passo adesso da Cornigliano e vedo la nuova skyline mi fa ancora effetto: un reset della memoria.” Nolider / Bumaye / Bazooka Intervista con Giuseppe Caroleo di Matteo Casari
AMMAZZALO! Spesso parliamo con persone che hanno fatto del gran casino anni e anni prima che noi arrivassimo anche solo a formalizzare l’idea di musica indipendente. In questo numero, dalla gestazione lunga e laboriosa, mi sono scavato e scelto la possibilità di scambiare qualche domanda con uno di quelli che vedevo da sotto il palco anche io. Gli anni ‘90, la loro seconda parte, è un territorio in cui molte delle dinamiche dei decenni precedenti sono andate a farsi benedire, sulla scorta di un miraggio di farcela, come chi arrivava al giro del Consorzio Produttori piuttosto che a chi si mescolava al fermento nazionale più o meno già video-attivo. Si parla dello stesso decennio in cui, però, le meccaniche negative contro cui diamo testate giornalmente, in questa città, si sono consolidate e hanno messo radici tali da risultare inattaccabili. In quello squarcio di fine millennio si inserirono i Nolider e il giro di gruppi quivi citati. In qualche maniera non godettero delle gioie del tutto è possibile, pur credendoci, ma furono le prime vittime sacrificali di questi ultimi anni. Così Giuseppe si è letteralmente forgiato una nuova ragione sociale, Bumaye, che sta producendo materiale di design al confine con l’arte. E, finalmente, ha trovato il tempo per dedicarsi un po’ alla musica col progetto Bazooka. Nolider, un disco solo Ornitorinco del 1999 uscito per Devega. Che fine avete fatto? Nolider... Nel ‘99 stavamo registrando quello che doveva essere il secondo disco, all’epoca lavoravo in Polo nia, navi, piattaforme petrolifere, Leo
era in studio con noi quei giorni, poi succede che dieci anni di band li senti sulla schiena, hai aspettative che ti consumano, non vuoi più suonare per 4 birre medie, non vedevo evoluzione, ma dove cazzo andiamo così? Poi Leo inizia ad ammalarsi, io sentivo di non
aver più granchè da dire davanti a un microfono, e ho mollato il gruppo. Andrea Cussotti, Antonio Bordino e Danilo Rolle fortunatamente stanno bene e gli auguro il meglio. Non eravate metal, non eravate noise, non eravate hiphop... Cosa diavolo cercavate di fare? Oggi il crossover come genere musicale è codificato digerito e fuorimo da...C’era più rock nell’aria, a mezzogiorno vedevi i video dei Nirvana e dei R.A.T.M., e vedevi gente in giro con tshirt dei Primus o dei Fugazi, provavamo a dire la nostra, e cercando di copiare quelli bravi uscivano cose alla fine personali. Dieci anni soltanto dalla registrazione del disco ma le cose sono cambiate radicalmente a livello globale. Quanto era difficile arrivare al cd? Voi foste gli unici di quel giro a produrre qualcosa in pù della cassettina di ordinanza. La preproduzione con Vittorio Dellacasa, ci aprì le porte del giro grosso, il disco fu registrato da Carlo U.Rossi, nei suoi Transeuropa studio di Torino, sacrifici e salvadanai rotti. Mille copie vendute, ma senza una distribuzione seria anche il disco più bello è come non farlo. 13 CMPST #8[12.2008]
Produzioni bi a villa Serra : i primi li ho trovati maturi, belli pastosi, caldi e rumorosi, meritano più attenzione di quella che hanno, gli Stalker hanno scatenato l’apocalisse, fuori dal tendone il diluvio, felpe con i cappucci che ondeggiano, un suono enorme e preciso, marziale, un performer come Alberto Fascetta è un bene cittadino da tutelare, alta scuola H.C.
Sul gasometro di Cornigliano L’anno scorso avete fatto un concerto al Milk, nessuna voglia di tornare? Il concerto al Milk era un omaggio a Leo, a cinque anni dalla sua scomparsa. È stato emozionante, è stato bellissimo rivedere gli altri, fare gli stupidi in sala prove, improvvisare cose nuove: Si dai ! Allora ci rivediamo ! Minchia si ! Hai sentito che pezzone che è uscito? Dai ! La settimana prossima... Poi vince la vita che stai vivendo, il lavoro, il divano, il telecomando, gli altri progetti... Forse è stato bello così, senza programmi. Spesso su myspace mi chiedono dei Nolider, voglio fare la paginetta nostalgica con il video di quel concerto..... Della scena cittadina più pestona attuale segui nessuno? In homepage ho un pezzo dei 2novembre e nel lettore mp3 gli Stalker... Quest’estate li ho visti suonare entram-
“Mille copie vendute, ma senza una distribuzione seria anche il disco più bello è come non farlo.” 14 CMPST #8[12.2008]
Compagni di viaggio di quel periodo? i Bluma? i Voyeur? Che aria tirava? Anche loro si sono cibati dell’illusione di quei momenti, dove sembrava possibile per tutti poter fare i musicisti per davvero. Leonardo Montaruli. Di Leo su Compost non abbiamo mai parlato. Manca a chi lo conosceva appena, posso immaginarmi a chi lo frequentava. L’artista Leonardo Montaruli son sicuro che avrebbe fatto parlare di sè: un grande illustratore, un b -boy con un flow invidiabile, aveva stile da vendere e una testa fresca, aveva le antenne tese. L’amico Leo, posso solo dire che mi manca di brutto, solo oggi riesco ad avere quel minimo di distacco tecnico che mi permette di scriverne. Ho in cantiere una specie di romanzo, che si intitolerà “Leo, è questo che siamo”, la frase è rubata al grande Emidio Clementi. Ci sono io che gli racconto cos’è successo in questi anni, proprio come farei se mi spuntasse davanti, al bar, in fila per un concerto, alla fermata della metro di Brin. il tipo di dialogo e confronto che mi manca.
Bumaye / Anello Con i Topi Muschiati per certi versi ti sei ibridato recentemente... Ho sentito su myspace il progetto Bazooka con Q. Solo un divertissement o ci prenderai gusto? Avete intenzione di proporlo anche live? Bazooka ci stà piacendo sempre di più, con Q abbiamo un’approccio talmente facile che evitiamo tutte le menate da progetto musicale, zero stress...non puzziamo di saletta, lavoriamo nel suo studio casalingo bello e profumato. Vantaggi del’elettronica. C’è fiducia e stima reciproca, non ce lo aspettavamo, ma inizia ad esserci l’interesse di alcune etichette, vedremo. Circa il live stiamo cercando di costruirlo, penso che in primavera si farà qualcosa.
Produzioni “C’era più rock nell’aria, a mezzogiorno vedevi i video dei Nirvana e dei R.A.T.M.” tempeste nel Baltico, Poi pian piano è diventato il mio modo di raccontare i vari immaginari che mi girano in testa, fino a produrre pezzi per l’arredamento e vari elementi di interior design. Il 13 dicembre presenterò presso Violabox (via Trebisonda 56) la nuova collezione “Scars”. Posso dirti che è dura, che ho grandi soddisfazioni ma grande precarietà, dall’America arrivano un sacco di “Wow! Great work! ”, ma con i complimenti ci riempi l’ego, non la pancia... È sempre una vita da stuntman per chi sceglie di vivere con la propria espressione... Dunque cicatrici...
Bumaye / Giuseppe Oggi ti occupi prevalentemente di design e delle tue collezioni di anelli, personali e riconoscibilissimi, nonchè diffusissimi a livello cittadino. Riesci ad uscire da Genova con questo progetto? Com’è nata la questione gioielli fatti di “lavoro” ? Il progetto Bumaye nasce a seguito del vuoto creativo del dopo Nolider. Facevo (e faccio) il carpentiere, lavo ravo il ferro e ho provato a guardare dei tubi in maniera diversa : i primi pezzi sono nati in Polonia per ammortizzare il terrore che avevo durante le
Non riesco più a trovare l’intervista che ti feci giusto nel ‘99 per Marstyle: pare che internet l’abbia fagocitata e distrutta. Ma mi ricordo che finimmo a parlare di boiler da barca. Tra i tanti lavori che hai fatto, hai operato a lungo sui Gasometri di Cornigliano, ormai dismessi e in demolizione. Cosa pensi di tutte le trasformazioni urbane che abbiamo visto in atto in città negli ultimi vent’anni? Che vista dai 107 m di altezza del Gasometro grande ! 150.0 0 0 metri cubi di gas ! Abbiam fatto la guardia ad un’arma di distruzione di massa ! Avendo lavorato in quella specie di penitenziario che è l’Ilva, quel luogo l’ho soprattutto odiato, ma credimi, quando passo adesso da Cornigliano e vedo la nuova skyline mi fa ancora effetto, un reset
Nolider / Antonio della memoria, dove mi trovo? Speravo in interventi che mantenessero almeno il ricordo dell’epopea industriale di Genova.Il fatto è che ciò che altrove si chiama archeologia industriale qui è solo ferro vecchio, da spianare per far posto a pile di container, poi mettiamo due panchine per i vecchi e un bel discount... Chi come me ha lavorato in quel luogo e ha vissuto questa trasformazione è paragonabile ad un esploratore che viene spedito indietro nel tempo, mezz’ora prima dell’estinzione dei dinosauri.
Più v i tà
i n fo sulle di Giuseppe
attisu
ht t p ://w w w.mys pa ce. c o m / b a zo o ka s o u n d ht t p ://w w w.mys pa ce. c o m / b u m a ye d e s i g n h t t p : / / w w w. b u m a y e . e t s y. com ht t p ://w w w.b u m a ye.i t 15 CMPST #8[12.2008]
Esperimenti “Ci siamo trovati e secondo me abbiamo subito iniziato a fare delle belle cose di ricerca, ed è quello che cerchiamo di continuare a fare. “ St.Ride / Mongoholi Nasi / Uomi Intervista con Maurizio Gusmerini e Edoardo Grandi di Daniele Guasco
TERRITORI (NON) COMUNI Non è facile intervistare gli St.Ride, del resto si tratta di una esperienza di musica sperimentale made in Genova tanto conosciuta e rispettata fuori dai confini cittadini quando oscura e poco conosciuta nei suoi contorni esterni ai contenuti dei loro dischi e dei loro concerti. Conoscerli meglio anche come persone è una novità, ed è stato anche un incontro molto piacevole condito da fatti strani come un telefono staccato da anni che inizia a squillare in una scena da film horror giapponese a metà intervista nel loro splendido studio di registrazione. Ecco quindi il resoconto dell’incontro con uno dei progetti più prolifici ma anche meno conosciuti dell’attuale panorama musicale genovese. Partirei chiedendovi cosa c’è stato per voi artisticamente prima degli St.ride. Progettando questo articolo constatavo come non ci fossero notizie su di voi in ambito musicale precedenti al 2000. cosa facevate quindi prima di iniziare questo progetto? Maurizio: Io sono sempre stato un accanito ascoltatore e ho iniziato a fare musica proprio con gli St.Ride. In precedenza ho solo svolto un po’ di attività come dj, nell’ultimo periodo dello Psycho, poi al Lucrezia ed in seguito al Buscavida. Edoardo: Io invece pur non suonando avevo già lo studio, quindi per me la musica era un lavoro prima di tutto. Avevamo 16 CMPST #8[12.2008]
registrato un po’ di gente, magari aiutando, ma come musicista vero e proprio prima degli St.Ride avevo fatto veramente poco e niente. Con lui ci siamo trovati e secondo me abbiamo subito iniziato a fare delle belle cose di ricerca, ed è quello che cerchiamo di continuare a fare. Quindi possiamo dire che gli St.Ride nascono come progetto “vergine”, immune da esperienze precedenti? M.: Si certamente, io non avevo mai suonato nulla prima di iniziare questo progetto. È una partenza da zero che è nata da una voglia di fare. Edo aveva già la sua
professionalità per lo studio, aveva lavorato anche per delle installazioni. E.: Si, ma molti anni fa, materiale per delle installazioni, colonne sonore, lavoretti sporadici però, quello a cui tengo però sono le cose che faccio adesso con lui. Poi lavorando in studio principalmente lavori per gli altri, non per te stesso e per la tua espressione. Andando invece a parlare in maniera diretta del progetto St.Ride partirei da questo concetto di confraternita su cui insistete molto sul vostro sito. M.: Il concetto di confraternita nacque come scherzo, ma neanche troppo. L’idea di gruppo tradizionale, o comunque dei ragazzini che si mettono insieme per beccare della figa suonando, per noi era proprio fuori portata come cosa. Diciamo che abbiamo accentuato molto per avere un contesto in cui non prenderci troppo sul serio, per evitare anche la retorica o un certo tipo di supponenza. Quindi ci piaceva questo concetto di confraternita di cui possono far parte un tot di persone, esistenti o meno, anche perché non ci piace metterci sugli scudi o raccontare
Esperimenti “È molto difficile trovare un modo per definire come io e lui riusciamo a interagire, è un tipo di rapporto artistico in continua evoluzione.“ noi stessi, l’importante è che poi la musica parli per noi. L’intenzione è e resta buttare giù qualcosa che possa essere interessante, non troppo scontato, e da questo nasce anche l’idea della confraternita, dare un’idea delle cose che facciamo senza farle cadere dall’alto. Il progetto St.Ride infatti pur partendo da voi due mi sembra infatti molto aperto come progetto. M.: Abbiamo effettuato delle collaborazioni con altri musicisti (tra cui vorrei citare Dubmaster Spillus, una persona adorabile, con cui c’è un’amicizia di lunga data), ma non hanno avuto ulteriori sviluppi, anche se non è detto che in futuro non riproveremo. Secondo me St.Ride siamo e rimaniamo io e Edo, è già abbastanza difficile per noi due sintonizzarci e trovare un campo su cui andarsi a confrontare. Le collaborazioni sono stati dei tentativi dettati anche dalla voglia di relazionarci di più con l’esterno e per provare approcci diversi con la materia, che però alla fine ci hanno mostrato che i risultati più coerenti con le nostre intenzioni li otteniamo al meglio quando ci confrontiamo solo noi due. È molto difficile trovare un modo per definire come io e lui riusciamo a interagire, è un tipo di rapporto artistico in continua evoluzione. E.: Io ho iniziato a suonare con lui perché musicalmente era molto anarchico. In studio venivano soprattutto giovani per imparare e per avere un punto di riferimento per creare qualcosa di buono anche tecnicamente; il mio socio è un insegnante di musica per cui la maggior parte dei gruppi che entravano qua dentro venivano a cercare la precisione del basso che entra con
la cassa, la voce giusta, clichè già conosciuti. Poi mi sono trovato con lui in una situazione in cui ero l’alieno quando dicevo frasi del tipo “Questa cosa non può tenere, non è nei canoni giusti”, mentre Maurizio riusciva a dare l’irrazionale alle cose che facevamo. Allora ci siamo lasciati andare, lui veniva un po’ verso le mie idee mentre io mi spostavo molto verso di lui, diciamo che lo scambio non è stato pari, io ho fatto una fatica notevole ad abbandonare certi concetti musicali, così come lui ha fatto altrettanta fatica per riuscire a inventarsi alcune cose. Sicuramente la nostra fortuna è avere lo studio a disposizione che ci permette di provare molto spesso, per cui riusciamo a scambiarci tanti dati. Pur essendo però due personalità tanto diverse il risultato finale riesce ad essere ben amalgamato. M. Questo proprio grazie allo sforzo di entrambi di andare verso l’altro, o comunque di trovare un territorio comune di dialogo. Passando a parlare dei vostri dischi, partendo dall’esordio pubblicato da Snowdonia si possono notare molti cambiamenti dal punto di vista sonoro. Ad esempio “Carne al fuoco” è un disco molto rumoroso, pieno di fischi e feedback, mentre “Se sto qui nevica” è già più vicino a un’idea di melodia, più elettronico. Si tratta di un’evoluzione oppure sono i volti diversi del progetto St.Ride? M.: Non so dirti se si tratta di un’evoluzione perché la nostra musica non segue una precisa direzione di crescita, nel senso che man mano che portiamo avanti il nostro lavoro, che impariamo delle cose, arriviamo a un confronto che ci porta sempre più in là in quella che è la nostra capacità di dialogare attraverso la musica. Non cerchiamo un percorso che parta da un punto ed arrivi ad un altro, si tratta piuttosto di sguardi diversi. “Carne al fuoco” è un di-
Maurizio (foto di Anna Positano) sco live quindi deriva da una moltitudine di spunti pensati per essere suonati dal vivo, mentre “Se sto qui nevica” è nato in studio, è un lavoro più meditato. E.: In “Se sto qui nevica” c’è stata una maggior ricerca verso la musicalità, anche spaziando tra possibili generi, un tentativo di avvicinarci a nostro modo a qualcosa di più ascoltabile, ma si tratta comunque di una tappa. Si può quindi dire che pur nella loro diversità ci sia una linea rintracciabile che 17 CMPST #8[12.2008]
Esperimenti unisce tutti questi album? M.: Direi di si, anche se non ti so dire quale. E.: Effettivamente c’è, particolarmente nei primi due o tre lavori, poi abbiamo preso preso una strada più live, più immediata, meno meditata. Il disco su Snowdonia mi piace ancora adesso, ma lo trovo meno personale delle cose che abbiamo fatto in seguito, “St.ride sucks” ad esempio è molto rumoroso ma non abbiamo cercato di condirlo con ritmiche come quelle che componevamo agli esordi. M.: Nei nostri primi lavori ci dedicavamo a un’elettronica vicina al loop e a un certo tipo di ripetitività, col tempo abbiamo cercato di slegarci da quest’ottica che trovavamo un po’ limitante per i nostri obbiettivi, abbandonare il loop, il sample per dirigerci verso una costruzione più libera dei brani. Io ho imparato a usare qualche strumento. Ma quindi mancando una direzione unitaria, se qualcuno che non ha mai ascoltato i vostri brani vi chiedesse che musica fate cosa rispondereste? Io vi trovo molto indefinibili come gruppo, anche parlando di avanguardie musicali. M.: Questa è una cosa a cui teniamo molto, portare avanti il nostro discorso personale e non essere legati a nessun tipo di genere che renderebbe limitante il nostro lavoro. Quello che ci interessa è tirare fuori le nostre urgenze, ciò che peschiamo dalla nostra nostra visione del mondo, nella nostra vita.
“Questa è una cosa a cui teniamo molto, portare avanti il nostro discorso personale e non essere legati a nessun tipo di genere che renderebbe limitante il nostro lavoro.“ 18 CMPST #8[12.2008]
Maurizio e Edo - Live In Buridda 2007 (foto di Anna Positano - theredbird.org) Passiamo alla vostra dimensione live. Dal mio punto di vista la prima volta che vi avevo sentito dal vivo non mi eravate piaciuti niente, vi avevo trovato freddissimi. Invece la seconda volta eravate già più vicini al pubblico, più legati a chi avevate davanti e vi ascoltava. Come affrontate i vostri concerti e come si è evoluto il vostro rapporto con il palco? E.: Adesso Maurizio ha anche la chitarra, mentre prima suonava solamente con dei lettori cd. M.: Si, usavo dei lettori cd anche per la difficoltà di ricreare certi suoni dal vivo. La chitarra mi permette di avere anche un approccio più fisico al concerto. Poi
non è che suoniamo tantissimo dal vivo, agli esordi faceva molto l’inesperienza, a questo aggiungi che siamo genovesi e che l’approccio freddo fa parte proprio del nostro modo di porci rispetto al pubblico. Inoltre credo che facendo elettronica come la facevamo noi si creava una sorta di scollamento percettivo, mentre suonando una strumento, chi ascolta vede quello che sto facendo e quindi si crea una percezione migliore che può portare a un miglioramento del dialogo con chi ascolta. Ho notato anche una notevole distanza tra quello che suonate su disco e quello che suonate dal vivo.
Esperimenti “In certi ambienti però c’è, effettivamente, una eccessiva puzza sotto il naso, quando non l’idea di avere il tesoro in tasca.“ M: Quello che suoniamo su disco è spesso irriproducibile. All’inizio ci interessava relativamente questo fattore, mentre adesso sentiamo l’esigenza di creare musica suonandola live. Al momento registriamo direttamente quello che suoniamo, magari sovraregistrando altre tracce successivamente, mentre prima svolgevamo un lavoro di costruzione che che non era replicabile dal vivo; in questa nuova maniera si evita quello scollamento che c’era tra concerto e disco. Già il prossimo disco che verrà pubblicato da Setola Di Maiale andrà in questa direzione. Hai già accennato alla vostra genovesità. Genova come città quanto influenza il vostro approccio alla musica? M.: Genova ci influenza al mille per mille. Noi siamo genovesi con tutti i difetti dei genovesi, facciamo una musica scoscesa, frastagliata, come il nostro territorio e come il nostro carattere. Non potrebbe uscire diversamente, spigolosa. Non possiamo evitare di essere quello che siamo. Invece dal punto di vista della musica a Genova, cosa ne pensate del suo stato attuale? M.: Se devo essere sincero non ho preferenze per qualche gruppo genovese in particolare. Anche se c’è tanta buona volontà, secondo me ci sono poi troppi prodotti derivativi, strettamente di genere, trovo che ci siano poche idee realmente fresche. Personalmente preferisco chi rischia, magari facendo delle cose brutte cercando la sua strada, rispetto a chi si adagia sulle cose, magari ben fatte, ma precotte.
Quando faccio il vostro nome parlando con musicisti d’avanguardia o comunque legati alla sperimentazione, questi apprezzano sempre tantissimo il vostro lavoro. Cosa ne pensate delle avanguardie italiane? Io le vedo come molto produttive, ma da un lato chiuse un po’ troppo in se stesse, dall’altro giustamente lontane da un pubblico che non sarebbe ricettivo a certe proposte. M.: Anche quando ci si dedica a certe musiche si cerca un riscontro per quello che stai facendo, poi però è facile che il ritorno di pubblico sia scarso. In parte è una conseguenza della poca disponibilità all’ascolto nei confronti di musiche considerate, secondo me a torto, difficili. In più ritengo che la musica in genere non ha più il ruolo importante che aveva fino a qualche tempo fa, non è più il mezzo con cui si veicolano le emergenze, nè un media ritenuto degno di più di tante riflessioni, raramente si va oltre ad un approccio di un consumo stile patatine fritte. Credo però che la poca attenzione del pubblico sia un segnale che vada tenuto in seria considerazione, e dovrebbe indurci a fare delle analisi sull’effettiva attuale capacità di comunicazione della scena. Pensando al mondo dell’avanguardia mi viene prima di tutto da ridere ripensando al pezzo degli Skiantos (Largo All’Avanguardia), che dovrebbe indurci tutti a prenderci un po’ meno sul serio (anche se, guardandoci intorno, i segnali che arrivano dal sociale non sono molto allegri). Per quello che riguarda i gruppi, a partire dagli Starfuckers /Sinistri, che secondo me sono un gruppo di livello mondiale, passando per i Vonneuman, i Jealousy Party, gli Anatrofobia, gli A Spirale e arrivando fino a musicisti come gli Harshcore o a quello che fa Malagnino, o la scena romana, di cose interessanti ce n’è tantissime. In certi ambienti però c’è
Maurizio (foto di Anna Positano) effettivamente una eccessiva puzza sotto il naso quando non l’idea di avere il tesoro in tasca. Per finire con un’ultima domanda, se nei vostri album la musica, i rumori, la fanno da protagonisti, nei titoli dei brani c’è una grande attenzione alle singole parole, tanto che spesso vanno a descrivere sia come sonorità che come immagini la canzone a cui danno il nome. M.: In realtà non è stata una cosa immediata, nel primo disco non avevamo ancora sviluppato questo tipo di idea. In conseguenza del fatto che non usiamo parole cantate, è nata l’esigenza di concentrare il senso e il ruolo di un testo all’interni dei titoli, che possono nascere da una ricerca o da un’idea che scaturisce dal brano stesso. Hanno sempre una stretta relazione con il pezzo, anche se non sempre è direttamente consequenziale. E’ un fattore per noi molto importante perché aumenta la nostra possibilità di comunicare e di creare un’interazione o un cortocircuito con l’ascoltatore. Più info sula confraternita su h t t p : / / w w w. m y s p a c e . c o m / stpuntoride ht tp://w w w.st- ride.it 19 CMPST #8[12.2008]
Produzioni “Io sono uno che crede che il dj, chi fa il dj di professione, sia il cuscinetto che sta tra l’underground e la massa, io ho sempre pensato questo. Cioè, tu sei colui che mette a conoscenza.“ Costreet rec - Ory J Intervista con Orazio Bongiovanni di Emiliano Russo
COSTRETTI A EMERGERE #1
Succedono per caso ma non senza logica, le cose. Per caso, registrando l’account su un magazine on line e scorrendo la lista degli utenti, ritrovo l’amico Orazio, in arte Ory J aka Punknown (www.oryj.it). Che oltre ai saluti mi linka alla sua nuova netlabel e m’invita ad ascoltare le releases, scaricabili gratuitamente. Sorpresa: Costreetrec si presenta in modo superbo (www.costreetrec.com), da far invidia al sito della celeberrima M-nus. E le releases? Sono tre, tutte dannatamente buone. Nasce l’esigenza di rivederci e magari fare una bella chiacchierata per impreziosire Compost, come Mat in tempi non sospetti mi aveva già invitato a fare. Logicamente. Dicevamo: Genova non esiste. Ma forse guardiamo le cose dall’angolo sbagliato: a Genova, semplicemente, le vie della visibilità sono scarsamente conosciute e frequentate. Secondo me, rispetto ad una città come Milano, dove sembra di trovare di tutto, dove generi e trends sono presenti al completo, qui a Genova la stagnazione è vera solo in superficie: c’è un vero e proprio sottobosco di pulsioni artistiche underground, che alla fine però restano sepolte. Non emergono. Ma la cosa incredibile è che Genova in realtà pullula di queste cose, come non ho visto da nessun’altra parte. Ma magari qui si avvantaggiano situazioni molto meno interessanti, che arrivano ad una sovraesposizione immeritata. 20 CMPST #8[12.2008]
Genova pullula di queste “pulsioni artistiche”, quindi. In numero superiore perfino alla succitata metropoli meneghina, ma manca la forza per consacrarle, al momento del dunque non trovano sbocchi. Altrove però paiono esserci, tra quanti operano nello stesso settore, antenne molto più concrete e attente, e non appena qualcosa di valido si agita sotto la superficie non esitano a farsi sotto. Come testimonia il manifesto di pagina 23: Londra un anno fa, il club Aquarium, una serata di culto con artisti del roster Cocoon, della Kompakt, della Border Community e tra questi, tra i nomi a caratteri più grandi, quello di Ory! A questo punto, urge sapere com’è andata. E’ successo che dopo la mia release sull’etichetta di Berlino, la Autist, ho avuto un sacco
Premessa solo per quest’episodio: per gli aficionados della techno, vera e propria comunità trasversale di ravers instancabili e clubbers impenitenti che si ritrovano ovunque, e senza premeditazione, ogni qual volta ha senso esserci, in Italia, nel resto d’Europa, dal Club to Club al Sonar, da sperduti resort in Cornovaglia ai club di Berlino, Genova semplicemente non esiste. Dopo l’età d’oro, la prima metà degli anni ’90, le rotte per un buon technoparty transitano sempre più al largo dalla nostra città. Ultimamente qualche segnale di risveglio c’è, promettenti ma ancora flebili vagiti: sono orgogliosi tentativi di spezzare l’automarginalità, ma anche gli inerziali frutti di una seconda ondata di scene, esplose su scala globale sull’onda del successo della minimal, una marea di tale portata da non poter restare tagliati fuori. Qualcosa doveva muoversi per forza, insomma. Ma nonostante le increspature le nostre acque restano sempre troppo sta-
Produzioni gnanti: le ultime due stagioni di un club come lo 010 (forse giunto ad un nuovo, prematuro capolinea) sono la testa di ponte del rinnovato impulso, una situazione capace di riprendere fili interrotti per la presenza di un nome storico della techno a Genova come Roby J, e di ripristinare una politica di resident djs che abituino il pubblico a ricercare la buona musica con passione (Verrina, Foglino, Baroffio aka SMBP, lo stesso Roby J) e non solo quando a proporla è la guest di grido. Una situazione, quella dello Zerodieci, grazie alla quale la città è diventata tappa sempre meno sporadica per artisti le cui agenzie fino a due/tre anni fa nemmeno ipotizzavano un tour qui da noi: e bene o male i nomi più interessanti che stanno muovendosi underground, quelli potenzialmente capaci di dare un futuro alla techno, alla house, alla musica elettronica, sono stati testati anche da noi. Sono emerse poi giovani realtà nostrane, come Flexible, già apparsa su queste pagine, ma difficoltà impensabili si oppongono continuamente a queste realtà in fin dei conti ancora, e sempre, in emersione. Fine della premessa, valida per tutte le chiacchierate a partire da questa. Dove finiamo per soffermarci su quanto d’interessante esce dalle teste di questi producers di talento che, pur alieni alla luce del sole, in realtà non mancano neanche qui da noi. Tanto che parlando con Ory J aka Punknown (non solo un calembour, un nick molto significativo ai fini di quanto stiamo dicendo.) si fa strada una considerazione di questo tipo…
di visibilità e probabilmente anche il suono particolare di quell’ep, un 4 tracce particolarmente dark, si adattava un pochino di più a quello che era l’ambient londinese, e quindi sono stato contattato dal ragazzo che organizzava questo party per andare su a suonare. Non in dj set, loro erano proprio interessati al prodotto che avevano sentito sulla release. Quindi sono andato su a fare il live e mi hanno accolto bene, nel senso che mi hanno trattato, cosa che mi ha stupito, realmente da artista: non che non lo fossi, però su la visuale è forse un po’ più professionale verso l’artista, nel senso che tu arrivi, ti vengono a prendere e ti portano in albergo, hai tutto quello che ti serve, ti portano nel locale e insomma, vieni trattato proprio da artista al 100%. Grazie soprattutto ad una release su un’etichetta che a livello europeo è tenuta abbastanza in considerazione. Successivamente a questa ovviamente ne ho fatte altre, ma da lì è nato il contatto, l’interessamento verso di me e la mia musica. E com’è andata la serata? La serata è andata bene. Erano due le sale, nella sala principale suonavano i local più importanti tra i quali Phil Kieran e tutti gli altri, nella mia, più piccola, c’era questa situazione di live set e la gente è rimasta contenta, e anch’io sono rimasto stupito dell’attenzione mostrata al prodotto che stavo offrendo in quel momento. Da parte del pubblico? Da parte del pubblico, quindi nel momento in cui tu suoni. In Italia spesso chi si avvicina in consolle, viene anche chi ti fa i complimenti ma il più delle volte viene per chiederti qualcosa del tipo “oh c’hai mica quel disco lì” “c’hai mica quel disco là” “puoi mettere mica questo” e magari non capiscono neanche che tu in quel momento stai suonando un live, e quindi non puoi cambiare nel senso che i pezzi sono tuoi, tu stai suonando la tua musica
Ory J al lavoro e il concetto è totalmente diverso. Lì, invece, c’è un interessamento proprio verso il prodotto che tu offri, quindi vengono e ti chiedono magari “ma questa musica dove la posso trovare?”, ascoltano con interesse e per questo sono anche più critici, però la cosa bella è che sono comunque interessati a quello che fai e sentono la differenza: non sanno di ascoltare un dj set x o un live set x, sanno che stanno ascoltando un live set di quell’artista e sono interessati a capire e a conoscere meglio il tuo prodotto. La cosa bella è stata quella. Ospiti importanti ed artisti emergenti, a contatto: una consuetudine, per quel pubblico. C’erano anche artisti sempre magari locali ma che erano collegati più a situazioni di etichette indipendenti, e magari forse neanche tanto conosciuti da noi. Sicuramente è consueto a Londra entrare in un posto del genere e trovare situazioni di questo tipo. Tra l’altro oltre a me c’era anche un’altra persona che veniva dal Portogallo, che è Zentex e ha fatto il live praticamente a cascata con il mio, anche se di un genere diverso, ed ha avuto lo stesso tipo di feedback. 21 CMPST #8[12.2008]
Produzioni Zentex è un nome che ultimamente è circolato molto nell’underground, non proprio uno sconosciuto... Si, tra l’altro ha fatto molte releases su etichette importanti, vedi la cosa bella è stata arrivare dall’Italia e trovare artisti validi provenienti da altre parti, che so, dal Portogallo. La Autist però non è una netlabel. No, la Autist è un’etichetta a tutti gli effetti, nel senso che ha fatto le prime sei releases esclusivamente in vinile, perché esiste ormai dal 1998 ed era nata proprio come etichetta techno, poi con l’avvento del digitale anche loro ovviamente si sono dati al digitale e praticamente ora fanno solo digitale. Però alla base di una netlabel c’è l’idea di dare la musica free, loro sono una label nel senso che la musica loro la vendono, non la regalano. Una label che a tutt’oggi ha molti consensi. Le netlabels invece permettono di far circolare la musica fuori dalle logiche di mercato, ma soprattutto di aggirare le pastoie in cui per ragioni mai del tutto limpide si fermano le cose che non sono considerate di moda. Tra queste, Costreet! Si, infatti il discorso netlabel che ho voluto mettere in piedi con Costreet è proprio questo, proprio perché iniziando a fare produzioni per altre etichette nel mercato digitale mi sono accorto che sì un sacco di artisti possono far trovare e vendere la propria musica, ma il mercato che si crea diventa... come dire? Perde la qualità. Questo perché, nel momento in cui tu acquisti un vinile lo paghi x e una royalty va all’artista, però ovviamente ci sono le spese di produzione e un margine perché una label le possa sostenere, facendo il digitale invece le etichette non hanno nessuna spesa di produzione, però per guadagnare devono vendere un numero abnorme di mp3, perché tu un mp3 lo puoi vendere a 1e, 1 e 50, calcola che la media è suddivisa a 1/3, cioè un terzo va all’artista, un terzo all’etichetta e un terzo al di22 CMPST #8[12.2008]
stributore digitale, quindi più e.p. riesce a produrre e più un’etichetta, nel numero, guadagna. Solo che così il mercato si satura e perde qualità, perché a questo punto per guadagnare un’etichetta ogni settimana, ogni due settimane deve proporre un artista nuovo con un progetto nuovo, una cosa nuova: questo vuol dire che a volte devi produrre anche in modo forzato. Così non vanno tanto per il sottile, una volta producono x, che garantisce 100 download, la volta dopo y e alla fine dell’anno tirano su una cifra che gli permette di fare altre cose, o con cui comunque l’etichetta e chi la gestisce sopravvivono. Proprio per questo ho voluto fare un discorso contrario, perché questa logica va contro il prodotto stesso: uno che fa musica e magari musica techno non è che fa tutta la vita quel dato genere di techno, magari ci sono momenti della vita in cui ascolti generi più contaminati, o senti più tuo un certo genere musicale piuttosto che un altro e vuoi esprimerti in una maniera diversa, però magari a quel punto non trovi un’etichetta! Per dire, la stessa Autist se prende una certa linea musicale, una certa linea di mercato magari poi non è più interessata ad un prodotto che non corrisponde a quella linea, e il problema è proprio questo, che alla fine per le logiche di mercato tutte le etichette tendono ad accumulare un numero enorme di produzioni sostanzialmente simili. Allora, siccome credo in questi progetti alternativi, che magari, se tu li metti su Beatport o comunque li dai ad un’etichetta, sempre che abbia l’intenzione di pubblicarli, non riscuotono tanto interesse perché… Perchè magari hanno bisogno di maturare con il tempo, senza l’assillo del successo ad ogni costo. Certo, esatto, soprattutto senza questa cosa, senza l’idea che il prodotto che tu dai è valido solo perché potenzialmente può valere x download o x vendite, e allora a quel punto ho preferito creare questo canale dove
l’artista potesse realmente esprimere al 100% quella che era la sua concezione di musica elettronica, di musica techno, di musica house, quello che è. E darla gratuitamente. Però il prodotto non è assolutamente contaminato da nessun tipo di situazione che possa essere economica, o comunque di propaganda di un certo tipo di situazione: è solamente la musica, fine a se stessa. Sapresti dire quanti download hanno avuto le release della Costreet? Anche a spanne, magari a giudicare dai feedback ricevuti (la domanda richiede un controllo del traffico del sito e la risposta arriverà per email, qualche giorno dopo). Sicuramente ogni release supera o rimane poco sotto i 1000 download, per il momento, ma non avendo un dato chiaro potrebbero essere gli stessi utenti a scaricarle quindi, scremando il dato per renderlo più veritiero, direi 500-600. Ma non possono essere dati scientifici. Invece, il nome? Costreet per assonanza mi ha dato l’idea di qualcosa che era ormai costretto ad uscir fuori, e mi ha anche dato l’idea per intitolare questa serie di chiacchierate… ma dimmi, se ho mancato il bersaglio. No no, infatti: Costreet è un po’ l’italianizzazione di quello che voleva essere, un nome nato per gioco. Avevo in mente da tantissimi anni l’idea di fare quest’etichetta. Ovviamente 10 anni fa non era pensabile poter tirare su un discorso di questo tipo, anche per i costi, invece oggi grazie a internet, grazie a cose tipo le licenze creative commons che si sono costituite uno può tirarsi su un’etichetta e dare la sua musica tranquillamente, ed essendo anche tutelato, no? Costreet nasce appunto con un mio amico, stavamo scherzando proprio sul fatto di essere costretti, è un po’ anche l’immagine di una gioventù che abbiamo passato e che probabilmente tanti giovani ancora adesso passano a Genova, no? E’ una
Produzioni La prima release è a mia nome, ho fatto un e.p. di tracce che paradossalmente erano state tutte scartate da altre etichette ma sulle quali volevo puntare, in cui credevo tantissimo, mi dispiaceva proprio tenerle lì. Allora ho voluto fare questa release strana, fondamentalmente strana, strana nel senso che non era adatta come prodotto esclusivamente per il dancefloor, no? Era sicuramente un prodotto dance, però arricchito, più contaminato, diciamo tra virgolette “intelligent”. E infatti l’ho voluta chiamare Tribute proprio per questo motivo, intanto un tributo che facevo a quello che era il mio background, alla musica che ascolto che non è per forza esclusivamente techno, e poi perché credevo tantissimo in alcuni pezzi che avevo fatto e volevo dar loro comunque visibilità.
città che ti costringe a vivere una certa realtà, dalla quale vorresti fuggire ma nella quale sei costretto a rimanere, dove provi un odio-amore, qualcosa che ti mantiene legato a questa realtà. E, senza italianizzare, il nome Co-street richiama comunque l’idea di una street company, no? Una compagnia nata nella strada, vivendo proprio la strada, Genova, con tutte le realtà che potevano esserci underground, nel territorio genovese o ligure, e che sono rimaste vive. Ed è nata Costreet. Una cosa dal basso. Il senso è quello, si. La prima release è a tuo nome giusto?
Si, suona come un biglietto da visita, traccia quelle che sono le tue coordinate sonore. Si, esattamente, a me piace pensare come quando compravo i dischi, non che oggi non li compri più, però quando li compravo come una volta, passando le giornate nei negozi di dischi, mi piaceva pensare che ogni vinile avesse una storia alle spalle, un suo concetto, e nel momento in cui ne prendevi uno, pensandolo come un momento particolare, esclusivo, di una storia più articolata, costruivi mentalmente anche il dj set: mi piaceva pensare subito come sarei riuscito ad incastrare i vari generi che poi, alla fine, nel momento in cui tu suoni, quando crei questa colonna sonora per le persone che vivono il club, danno la sensazione di ascoltare non un suono sempre uguale a se stesso, omogeneo, ma come tante piccole perle tutte collegate da un filo. E come Costreet ho voluto fare esattamente questo, sono voluto partire con questo tipo di prodotto che sicuramente era un prodotto che intanto non si trovava sul mercato, almeno per quanto riguarda il digitale, perché era un prodotto in cui credevo, e da lì ho voluto applicare la stessa logica alle altre releases
che sono state fatte poi su Costreet, e se tu ascolti ogni release ti accorgi che ognuna ha la propria identità ma allo stesso tempo si può trovare un legame tra di loro e costruire magari un set, mixandole. Dici che non sono strettamente orientate al dancefloor, ma mi sembra evidente la ricerca di un equilibrio tra la ricercatezza sonora e la ballabilità, perché poi ballare è il modo in cui alla fine il pubblico viene a contatto con una proposta musicale. Si, sicuramente c’è un buon compromesso tra le due cose. Poi, sai, dire adatto al dancefloor dipende sempre dal contesto, perché tanto tu lo saprai sicuramente meglio di me che altrove il dancefloor è concepito in maniera differente da quello che potrebbe essere il dancefloor concepito qua, quindi magari dire che non sono adatte al dancefloor è…sicuramente non sono adatte ad un certo tipo di dancefloor. Sembrano anche concepite come tracce da live, più che bombe isolate per un dj set fatto di hit. Si sono sicuramente tracce da eseguire live. Ascoltandole, mi sono appuntato un po’ di cose sparse riguardo gli autori delle release. Correggimi se sbaglio: Seba kiodin (http:// www.myspace.com/sebakiodin) mi sembra quello che cerca di più la fuga dall’orecchiabilità, dall’immediatezza sia del ritmo sia anche della melodia, Masta e Faktor (http:// www.myspace.com/mastafaktor) quelli proprio devoti ai suoni del passato, fondanti, che so Detroit o prima Warp, ma sempre comunque attualizzati, Molex (http://www.myspace. com/molex82) quello che invece agisce più sottopelle, il più acido del team. Allora, Seba è un ragazzo di PD che ho conosciuto la scorsa estate quando sono andato a suonare a Bologna. A me piace molto il suo 23 CMPST #8[12.2008]
Produzioni perché è un prodotto di matrice house ma completamente fuori dagli standard in questo momento, in un dj set sentire suonare roba del genere, soprattutto qua, è difficile. Lui stesso ha difficoltà nel proporsi. Tieni presente che questa release è l’unica che ha fatto nella sua vita, ho ascoltato molte cose sue e sono veramente valide, e per me questa cosa ha dell’incredibile. Un po’ andrà anche a fortuna, forse, però mi sembra strano che nessun’etichetta trovi interesse in questo tipo di suoni. Molex invece è il più giovane… Immaginavo. Esatto, è uno di quelli che probabilmente ha subito di più tutta questa ondata di nuova musica techno degli ultimi anni. Secondo me vale anche lui, tra l’altro ha fatto un’uscita in vinile su Leftuum, l’etichetta di Marc Ashken, un pezzo inserito in una compilation di vari artisti, voglio dire, lui, un ligure. Di Genova. Si, di Genova e comunque nel suo essere contemporaneo secondo me ha un tocco originale nelle cose che fa, anche lui è uno che da qui a breve troverà sicuramente una collocazione tra gli artisti emergenti della musica techno contemporanea, minimal o quel genere lì. Mastafaktor invece… Li conosciamo Si, li conosciamo da tempo, loro hanno sicuramente un tocco più maturo nel produrre musica elettronica, tra l’altro è uscito un loro vinile su Mina records, etichetta svizzera, e un loro pezzo è stato appena remixato da gente come Agnes, Dave DK, se cerchi in rete lo trovi (appena avvistato, infatti, tra le novità su juno. co.uk, un terzo remixer è Drei Farben). E’ uscito il 20 agosto. Voglio dire, sono artisti che nel loro genere hanno visibilità anche all’estero, producendo come nel caso di Mastafaktor e Molex anche vinile, tutti e tre fanno parte di Costreet e, come ti dicevo, al’interno di Co24 CMPST #8[12.2008]
street hanno una loro logica. Vi siete trovati seguendo la stessa direzione. Esatto, è stato bello collaborare, perché comunque la release di Mastafaktor è stata fatta in collaborazione, lavorando tutti quanti insieme per cercare di tirar fuori un buon prodotto, poi è subentrata anche Bellotta, che è una ragazza di vent’anni, argentina (http://www. myspace.com/belusalinas), che ha fatto un remix per noi, secondo me bellissimo, e questo link con l’Argentina per noi è stato anche motivo d’orgoglio. Si torna all’abusato discorso per cui, soprattutto a Genova, nemo propheta in patria ma poi quando le cose circolano, magari in rete e a disposizione di tutti, le affinità con altre scene vengono fuori e forse si scorge meglio anche la propria, di identità. La cosa strana è che all’estero non si ha la percezione della vera realtà, di come vivono la loro cosa gli artisti di qua: qua chi fa musica di questo tipo, magari per hobby, riceve come me un sacco di email dall’estero e si rende conto che là hanno un’idea completamente diversa, siccome là ci campano: questi ragazzi che mi hanno chiamato da Londra ci vivono con queste cose, organizzando le serate, vivendo nei club, come scelta di vita. Qua, è molto difficile. E’ molto difficile fare una scelta di questo tipo, quindi quando tu vai lì, e magari hai anche delle release all’attivo, sei un artista che bene o male ha una determinata visibilità, per loro è scontato che tu faccia questo nella vita. Quindi io dall’estero ricevo un sacco di email di gente che, a parte farmi i complimenti per questa o quella release, mi tratta come se fossi non dico come uno arrivato, ma uno che comunque con queste cose ci campa. Da una parte mi spinge a continuare ad andare avanti, dall’altra dico però, possibile che… Un’arma a doppio taglio: da una parte, dici,
La cover della prima uscita strappando tempo di qua e di là sono riuscito a creare qualcosa di competitivo con quello che esce nel resto del mondo, l’altra faccia della medaglia è dire cazzo se potessi dedicarmici a tempo pieno, eliminerei tanti sacrifici supplementari, a volte possibili ma altre volte no. Infatti anche la release con Mastafaktor ha richiesto molto impegno da parte di tutti, comunque, in base agli impegni di tutti, lavoro, cazzi e tutto il resto, vedersi magari la sera, fare, sai, poi pesa la stanchezza, subentra un po’ di svogliatezza, magari c’è gente che comunque ha fatto delle release e vede che non ha ancora dei feedback. Il problema non è all’estero, è in casa tua, fuori io vedo gente che mi manda un sacco di promo pensando di darmi la loro musica perché io la possa suonare e dargli un feedback. Arrivano non solo da ragazzi, anche da etichette, all’estero scatta un meccanismo per cui se vedono che sei un artista di un certo tipo danno per
Produzioni scontato che tu faccia questo nella vita e automaticamente ti arrivano feedback, automaticamente ti arrivano promo, vogliono sapere il tuo parere, ti chiedono di collaborare, ci sono agenzie che curano la distribuzione dei promo di diverse etichette e monetizzano quest’attività in base ai feedback, a quanto se ne parla. In Italia questo non succede. Mi è arrivato un ultimo promo dalla Tuning Spork, di Minimono che è anche un amico mio, remixato da Jay Haze.. mentre il disco che esce di x, y, di un’italiano su etichetta italiana mica te lo mandano, magari ti arriva il comunicato che dice è uscito questo disco e se vuoi te lo vai a comprare, al di là del fatto che tu puoi decidere se suonarlo o no, e se ti piace o no. All’estero ragionano diversamente, se tu fai queste cose sei visto come un professionista: lo fai di mestiere. E ti trattano come tale. Mi hai accennato del clima che si è venuto a creare in occasione della collaborazione con Mastafaktor, ci vuoi svelare qualche segreto su come realizzate i pezzi, se collaborate spesso o lavorate autonomamente, o se ogni disco fa storia a sé... Questo disco in particolare è stato creato in team perché abbiamo voluto che tutto uscisse dallo stesso banco. Ognuno poi fa i dischi a casa propria col proprio studio, la mia release l’ho fatta a casa mia, Molex a casa sua, per quanto riguarda Mastafaktor invece ognuno di noi ha lavorato a casa propria ma poi abbiamo portato le produzioni per fare il master finale da loro, per dargli un suono omogeneo. Quindi abbiamo seguito le stesse regole, diciamo, di suono, per tutta la release. Però di solito ognuno lavora per i cavoli suoi, ognuno ha i propri trucchetti per far uscire il proprio suono. Bolle qualcos’altro in pentola? Intanto uscirà un’altra release su un’etichetta argentina: mi piace sempre collaborare (per la discografia: http://www.discogs.com/
artist/ory+j). Per quanto riguarda Costreet sto ancora decidendo quale sarà la prossima, sto valutando un po’ di cose ma ce ne sarà sicuramente una. Devo ancora decidere, capire di chi. Per quanto riguarda il mio progetto personale è continuare con Costreet, mi piacerebbe farla diventare un’etichetta a tutti gli effetti. So (lo so perché me l’hai detto tu, in un’altra occasione..) che il tuo cruccio è la stampa in vinile. Si, vorrei fare in modo che diventasse un’etichetta a tutti gli effetti e quindi mantenere la netlabel, con i prodotti magari non adatti al vinile ma pur sempre di qualità, e stampare vinili, produrre la nostra musica, fondamentalmente. Personalmente mi piace collaborare quindi più contatti ricevo, più collaborazioni ho meglio è per me, quindi in questo caso ci sarà appunto una release sempre in digitale per la Miniatura che è una label argentina, poi altri progetti, con altre etichette. Notavo la cura con cui è stato realizzato il sito, pur nella sua essenzialità. Si sente quasi la ricerca di un sentire comune non solo tra chi produce la musica, ma anche nello scegliere i collaboratori, magari gli amici, che seguono tutti gli altri aspetti cui voi non potete star dietro direttamente. Si la cosa bella è che ovviamente essendo un’etichetta il cui unico scopo fondamentalmente è quello di autopromuoversi non ci sono fini lucrosi, di conseguenza la gente che ne fa parte lavora per passione, per la voglia di comunicare. Tu non hai visto la prima versione del sito. Ora è stato completamente rifatto da un ragazzo di Imperia, e devo dire che il risultato ci ha soddisfatti enormemente, siamo certi che l’aspetto così curato dal punto di vista grafico predispone molto meglio chi finisce a spulciare le nostre produzioni. Il ragazzo che cura il sito, Dimitri, si fa chiamare DMY ( http://www.myspace.com/welovedimi ) e si
occupa fondamentalmente di visuals, e il sito è nato in una sera: lo conosce bene Sergio dei Mastafaktor, ci siamo visti ed è nato tutto così, praticamente ascoltando in sottofondo la nostra musica che andava, e lui ha dato sfogo, seguendo l’idea che volevamo trasmettere, diciamo che è nato tutto in modo molto naturale. Il logo è stato creato così, non come un lavoro commissionato, lui è comunque coinvolto nella musica elettronica e il lavoro è nato dalla condivisione delle nostre idee, facendogli capire quello che ci interessava, perché ci interessava anche avere un buon biglietto da visita. Nel senso che un sito di buon livello grafico cattura di più l’attenzione e soprattutto se i contenuti sono di buona fattura, non vanno sprecati. Visto che si è parlato di sintonia con le persone, su suggerimento di un amico bolognese vorrei allargare il discorso ad esperienze diverse dalla musica che possono influire su
Un’immagine dello Zerodieci 25 CMPST #8[12.2008]
Produzioni quello che fai: un libro, un film, un’abitudine, un vizio... Libro, ti direi Il piccolo Principe. Non è la prima volta che sento questo titolo in cima alle preferenze di qualcuno che conosco, mi sa che prima o poi dovrò deporre la mia storica diffidenza e leggerlo… Non è un libro pesante, te lo leggi in un pomeriggio e ogni volta che lo leggo svela comunque una visione differente di quello che è il mio essere in quel momento. Film, un film che mi piace e che potrebbe essere anche scontato, ma te lo dico lo stesso è Matrix, perché.. quando era uscito mi ricordo che sono andato a vederlo quattro volte. Al cinema. All’epoca mi aveva proprio flashato, al di là di come è costruito il film e del concetto che lo tiene su, l’avevo sentito un film molto mio e come me probabilmente tante persone. Matrix, il primo episodio, perché poi la trilogia, le cagate uscite dopo mi avevano deluso. Però il concetto dell’essere inconsapevole di vivere una realtà, coincideva un po’ con un mio non dico malessere, ma quella sensazione di essere sempre fuori posto, oppure cose che uno prova, no? Da ragazzo, come tanti. Poi a parlare di musica ci sono tanti movimenti che hanno toccato questa sensazione. Poi, hai detto… vizio, abitudine? A parte fare musica e ascoltarla, direi niente di particolare.. secondo me però tutto il contesto conta, una persona deve trarre ispirazione da ogni cosa, a me non è mai piaciuto essere catalogato in un genere, o in una matrice particolare, quindi è per quello che le cose che faccio sono sempre differenti, rielaborazioni di quello che assorbo, ed ogni cosa può influenzarti in determinati periodi. Torniamo in tema, visto che, anche se non lo ammetterai mai, sei pure un grande dj: spesso chi produce come dj non è molto aperto, viceversa ci sono grandi dj’s che magari non hanno la stessa sensibilità in uno studio però 26 CMPST #8[12.2008]
Punknown e Molex Live @ Castellaccio 15/09/07 (Faktor sullo sfondo) hanno la capacità rara di cogliere al momento giusto quello che si muove in giro, e valorizzarlo. Sono cose che ho sempre fatto e ho sempre sentito mie, anzi non sono nemmeno del tutto soddisfatto delle cose che faccio e di come sto dietro alla ricerca, figurati… ho sempre pensato una cosa, forse te l’ho anche già detta: una volta, quando ho iniziato io, la differenza la faceva la borsa dei dischi, nel senso che una volta non c’era internet, non c’era il download, non c’erano i computer portatili da portarsi
dietro con mille mp3 dentro e la differenza la facevi tu, la tua voglia di spendere, buttare anche via dei soldi perché molto spesso, e questo dipendeva dalle politiche dei vari negozi di dischi, tu ti trovavi ad ascoltare magari 100 dischi ma comunque 100 dischi che ti davano loro a prescindere, a meno che tu già non sapevi cosa acquistare e allora andavi e chiedevi proprio quel prodotto tale, ma una volta la differenza la faceva questo, io son sempre stato uno che crede che il dj non sia uno che mette della musica così, a caso, ma sia uno che
Produzioni “Poi, sai, è importante anche il background. Perché secondo me i ragazzi più giovani devono comunque farsi, ascoltare tanta musica, mettersi lì e conoscere. Il problema è che la cultura non te la fai in due giorni.” costruisce una colonna sonora, che per quella serata costruisce un’emozione, no? Suonando anche dischi che non sono tuoi, alla fine: tu suoni la musica degli altri. E in base a questo io mi sono dedicato totalmente alla ricerca ma perché era qualcosa che a me piaceva proprio, io passavo pomeriggi interi da un negozio all’altro ad ascoltare maree di dischi, e la cosa di cui mi son reso conto e questa probabilmente è sempre stata la costante, è che molto spesso in quest’attività è sempre stato molto difficile riuscire poi a proporre dei set di un certo tipo, però una volta ti ripeto la differenza la faceva la borsa dei dischi, e in base a questo uno suonava. Però il concetto secondo me è che uno dj lo deve essere, non è che lo fa: quindi, essere dj è una cosa che devi avere dentro, è l’espressione di un talento ma prima ancora di un interesse che hai verso la musica. Perché sai, poi è sempre relativo, nel senso che alla fine uno segue un proprio gusto, una ricerca che è sua personale: può anche non essere condivisa da chi sta a sentire, ma non è che per forza chi ascolta deve capire, certo nel momento in cui vai a suonare in un posto e magari sei pagato per fare una cosa il tuo dovere è far ballare le persone, non è che devi andare lì a mettere.. chiaro. Però sotto questo punto di vista io sono uno che crede che il dj, chi fa il dj di professione è il cuscinetto che sta tra l’underground e la massa, io ho sempre pensato questo. Cioè, tu sei colui che mette a conoscenza. Anche se ormai comunque si è molto allargato anche il concetto di underground, vedo che ci sono persone in giro che magari non fanno i disc jockey e conoscono un sacco di musica elettronica, che conoscono un sacco di artisti
e dj, questo sempre per l’esplosione delle comunicazioni e tutto il resto quindi tutto è molto più fruibile da parte di tutti, però c’è ancora una fascia di underground secondo me che è sempre lavoro del dj, in base alla propria sensibilità e ai propri gusti, mettere a contatto con le persone che vanno a ballare. Cioè quando vai a sentire uno bravo è perché ti fa sentire qualcosa che in quel momento lì, per come la mette, per come la miscela, per come cazzo ne so ti sta comunicando un qualcosa di diverso, lo senti proprio diverso. Un classico è sentire un pezzo incredibile da un dj, fare carte false per trovarlo e quando finalmente lo metti tu non fa più lo stesso effetto. Questo purtroppo dipende anche dal dancefloor che trovi… comunque è sempre l’incastro che conta, è sempre trovare l’armonia, la linea armonica che sia originale e fatta con raziocinio, con spirito. Tu da dj genovese stai trovando qualcosa di valido nell’underground di questa città? Così magari mi dai lo spunto per inanellare una catena di articoli… Non voglio fare nomi perché non vorrei pigliarmi dei vaffa, da qualcuno… Che non nomini? Da chi non nomino, da chi nomino, guarda… a Genova manca tutto, soprattutto la cultura da parte del pubblico, però i primi anni che ho cominciato a fare il dj alla fine tutti i dj che andavano a suonare nei club più importanti in quel periodo, dal centro al sud, erano quasi tutti genovesi, nel senso: ce n’erano un sacco. Cos’è successo allora? Eh, è successo che comunque questo è un ambiente difficile, tra gli stessi artisti purtroppo non vive un ambiente di solidarietà, non vive un ambiente di rispetto, probabilmente sarà anche tipico del ligure che in linea di massima è una persona un po’ chiusa…
No, te lo dico perché se vai in giro per parties, ti chiedono di dove sei e rispondi di Genova, produci lo stesso effetto di nominare una città fantasma… Ma siamo una città fantasma! Però vedi secondo me è qualcosa che non ha tanto a che fare con l’essere genovese, piuttosto… lì ci sono un sacco di aspetti che bisognerebbe mettere in fila, al di là dell’artista emergente ligure o genovese o che ne so, poi sai è importante anche il background. Perché secondo me i ragazzi più giovani devono comunque farsi, ascoltare tanta musica, mettersi lì e conoscere, il problema è che la cultura non te la fai in due giorni, io vedo molti ragazzi che oggi sono un po’ più grandi quando gli parlavi di house dicevano no, house, i cantati, che schifo, e oggi si sono rotti le scatole di ascoltare i martelloni e invece apprezzano magari le produzioni che uscivano 15 anni fa di Todd Terry, Frankie Knuckles, di tutta sta gente qua e oggi magari han voglia di suonare quella roba lì. Però tu che l’hai vissuta 15 anni fa oggi tu vedi il contrasto nel proporre quella musica lì, perché dici cazzo io l’ascoltavo 10 anni fa, semmai oggi mi piacerebbe suonare qualcosa che fa riferimento a quel periodo ma magari non tutta quella musica lì. Questo per dirti che se non ascoltano, non fanno conoscenza e non si informano e non si comprano anche dei dischi 70, 80, non so, quelli che sono stati i grandi movimenti musicali, uno deve conoscere per poter anche a un certo punto far bella figura. Non so, oggi nessuno sa chi è Giorgio Moroder, ma tutti suonano I feel love senza sapere che c’è un italiano dietro, che seppure a fatica si è visto riconoscere il suo ruolo nella storia della musica, oggi tutti sanno chi è Richie Hawtin, stanno tutti dietro la Minus e la Plus 8 ma se 10 anni fa te ne uscivi con un disco di Plastikman rischiavi i pomodori. La cultura, uno non se la improvvisa. Più info su Ory J e la Costreet su http://www.myspace.com/punknown http://www.myspace.com/costreetrec 27 CMPST #8[12.2008]
Import “In realtà c’è una competizione incredibile tra gruppi, e non solo, che è assolutamente deleteria per tutti, per chi organizza, per i gruppi e per il pubblico.“
Second Skin Intervista con Claudia e Francesco di Giulio Olivieri
SECONDA PELLE A sfogliare i numeri di Compost usciti sinora si può notare come siano stati sfiorati quasi tutti i generi musicali, tranne - se non di sfuggita - quel magmatico universo che è il metal. Area vastissima - su cui il rischio di generalizzare è, in pratica, ad ogni parola, tanto che già il solo scrivere questo è parlare per luoghi comuni - e su cui scrivere cazzate è abbastanza facile, il metal a Genova ha sempre avuto un seguito non indifferente; un fatto che negli ultimi anni il sottoscritto ha potuto verificare in diversi concerti. Come primo incontro con questo genere non potevamo trovare di meglio che intervistare Claudia e Francesco / Cisco di Second Skin: da qualche anno a questa parte Second Skin si è imposta come l’organizzazione di riferimento genovese per i concerti di area metal, grazie ad una programmazione varia (dal metal-core al death, dallo stoner al grind, ma arrivando persino all’hip hop) e di qualità che è riuscita a convincere non solo chi segue il genere ma anche chi proviene da altre esperienze musicali. L’idea, poi, di organizzare, soprattutto, veri e propri mini-festival tematici rende spesso le loro iniziative tra le più interessanti del panorama cittadino. Noterete che, forse, alla fine, si parla meno di musica e più di quello che uno fa quando lavora con la musica: un’altra occasione per vedere (e capire un po meglio) cosa accade dietro le quinte. 28 CMPST #8[12.2008]
Come nasce “Second Skin”? C’è stato un momento particolare che vi ha fatto dire “ora ci provo anch’io”? Claudia: Second Skin nasce nell’agosto del 2006 davvero per caso. Il periodo era davvero terribile: avevo subito un brutto lutto in famiglia e uscivo messa male da una storiaccia… Un giorno mi scrive su msn un amico chiedendomi se ci poteva essere la possibilità di organizzare un live a Genova per il suo gruppo, i Payback. Senza nemmeno troppi pensieri ho chiesto a quello che era il gestore della Madeleine se potevo organizzare questo live (ignorando in realtà tutto quello che c’era dietro ad un live). Gezio mi disse subito si, e da lì iniziò tutto. Fissammo la data per il 27 ottobre (2006) ed iniziai a guardarmi intorno ed informarmi in merito a cosa dovevo e non dovevo fare. Il nome Second Skin in sé, è il titolo di un pezzo degli Skinlab (Second Skin: The New Flesh), un gruppo thrash metal di San Francisco che ascoltavo ed ascolto tutt’ora. In realtà, visto il periodo mi sembrava il nome più azzeccato per
Import la ”pellaccia” che avevo messo su non per scelta mia ma per situazioni esterne. Nessun momento particolare mi ha portata a dire “ora ci provo anche io” perché in realtà a prescindere dalla scena musicale a Genova, ero davvero alla frutta per i fatti miei e, non avendo nulla da perdere, la vedevo come un’esperienza positiva con la quale potevo solo che maturare ed aiutarmi da sola.
periodo ero totalmente sola salvo Lorenzo (Krin - DSA COMMANDO) che curava le grafiche già dalla prima data e che mi segue tutt’ora. Riccardo si è unito a noi nel febbraio 2007 nella prima data al c.s.o.a Emiliano Zapata e poi definitivamente la stagione successiva come fonico, insieme a Francesco che invece organizza con me, e infine Luca come secondo fonico.
Il primo passo fu -se non erro- la serie di concerti alla Madeleine, che mi par di ricordare pienissima la prima sera... Cosa vi è rimasto come esperienze di quei primi concerti? C: Ero felicissima. Non pensavo potesse interessare a qualcuno ciò che avevo organizzato. La prima data, era stata fatta in collaborazione con Matteo di Rock in Genova, che aveva più esperienza di me. Doveva essere solo un evento “isolato” ma Gezio mi chiese di fissare ancora dei gruppi fino a Dicembre, visto il riscontro che aveva avuto la serata (si pensava ci fossero state 200-250 persone in totale tra dentro e fuori… Alle 23 Via della Maddalena era piena). Così iniziai a cercare gruppi su myspace e a seguire ancora di più i live in giro per l’Italia e da lì, i mesi successivi suonarono: Kernel Zero, Stigma, Asura, Break is Over, Elder Fate, Evil Vikings, Naema, Rumors of Gehenna, Ritual of Rebirth, Last Minute to Jaffna, Sinè etc. Più passava il tempo e più organizzare diventava aria per i polmoni… Ed io iniziavo a riprendermi. L’esperienza Madeleine è stata indubbiamente molto bella, ho imparato a gestire meglio le serate “in piccolo”: tenete conto che quel
Se la memoria non mi inganna avevate già fatto partire la pagina myspace prima di annunciare i primi concerti e da allora è stato uno dei canali principali per comunicare le date: ma allora questo web 2.0 (myspace, facebook e compagnia varia) è utile o no per chi lavora nella musica (specie in una città senza una radio che possa fare da punto di riferimento e in cui la stampa cittadina dedica spesso poco spazio alla musica dal vivo)? E, a proposito di comunicazione, la grafica dei vostri flyer e poster è sempre stata abbastanza riconoscibile e d’impatto: chi si occupa di questo aspetto? C: Si, il profilo myspace di 2nd skin fu aperto pochi giorni dopo aver fissato la prima data. L’idea di Rock in Genova era buona ed immediata, quindi continuai anche io seguendo quella linea aprendo però il myspace musicale, perché la mia intenzione era quella di dare la possibilità di ascoltare gli mp3 dei gruppi prima di ogni concerto: una sorta di “almeno non puoi dire che non ti piacciono finchè non li hai sentiti”. Myspace è stato, ed è ancora oggi il canale principale da noi utilizzato per sponsorizzare le no-
Claudia - Foto di Simone Lezzi stre serate, oltre al mitico attacchinaggio old school! Come già detto prima, il nostro grafico è da sempre Krin. Siamo entrambi della provincia di Savona e lo conoscevo di vista già da anni, ma da buoni Savonesi quali siamo, non ci siamo quasi mai parlati, fino a quando non ci siamo ritrovati per caso nello stesso corso di laurea, ovvero Disegno Industriale. I primi di settembre del 2006 ci siamo visti per caso al Banano Tsunami in condizioni abbastanza “alcoliche”, gli ho racconta29 CMPST #8[12.2008]
Import
Francesco nelle foto promo dei Sin Of Lot - Foto di Simone Lezzi to del progetto e si è offerto di aiutarmi com” ma come “11am”. In generale se con le grafiche (visto che sono palese- la pubblicità è l’anima del commercio, a mente negata nelle composizioni grafi- lui in ogni caso devo molto. che di qualsiasi tipo). Oltre questa collaborazione, che dura da ancora prima Da organizzare date al booking: cosa che iniziasse il progetto 2nd skin, è nata vi ha mosso verso questo nuova situaziosenza dubbio anche una bella amicizia. ne? E, alla luce dei rapporti con locali e Ad oggi lui si occupa di video-motionsituazioni di altre città, come è cambiato graphics, ha realizzato le grafiche del (se è cambiato) il vostro modo di vedere cd dei Klasse Kriminale Strenght & Unity la situazione musicale genovese? (2007) e tutte quelle del suo gruppo rap C: Il salto di qualità è arrivato con Ciunderground, i DSA COMMANDO. Prossi- sco, Ricky e Luca… Nettamente!!! Da mamente potrete riconoscere le sue gra- sola non potevo pensare di fare altro. fiche non più come “krin183@hotmail. Con un valido aiuto e due fonici prepa30 CMPST #8[12.2008]
rati, possiamo permetterci di allargare il nostro target di bands e portarle a Genova. Infatti ci siamo uniti alla United Booking Network (nell’ottobre 2007) che comprende altre quattro città (Padova, Torino, Roma e Pescara), collaboriamo spesso anche singolarmente con queste quattro realtà passandoci tour esteri o semplicemente facendo girare in promozione gruppi italiani con CD appena pubblicati. Abbiamo abbandonato i locali per organizzare solo in centri sociali e collaborare con essi. Un esempio è la realtà Malevoci D.I.Y. con la quale abbiamo organizziamo un paio di live quest’anno. Lorenzo (Malevoci) si sbatte come noi e con noi ed è molto alla mano; ed anche in questo caso è nata un’amicizia. Il nostro modo di vedere la scena Genovese… Preferirei che lo definisse Cisco, nota la mia grande diplomazia… E note le critiche smosse da un anno a questa parte su diversi forum da una persona a mio avviso davvero ignorante. Per quanto mi riguarda mi limiterò a citare Kaos dicendo: “qualcuno parla piano, io vado più lontano”. Francesco: Dal mio punto di vista il panorama musicale genovese non è cambiato tanto, si è completamente stravolto. Mentre prima pensavo che in qualche modo ci fosse una scena con la S maiuscola dove i gruppi si supportano, dopo aver ampliato il target mi sono reso conto che non esiste proprio la cosi detta “scena”. In realtà c’è una competizione incredibile tra gruppi, e non solo, che è assolutamente deleteria per tutti, per chi organizza, per i gruppi e per il pubblico. Ci si trova in situazioni paradossali, dove
Illustrazione di Krin da una locandina chi si lamenta che non ci sono possibilità di suonare, poi non viene ai concerti! Dall’altra parte c’è il pubblico, che vorrebbe non ci fosse un ingresso ai concerti e che non consuma, ma pretende. In più noi affrontiamo anche il problema che molti ascoltatori del metal non vengono allo Zapata, altro paradosso, visto che è uno dei pochi spazi (si parla al massimo di 2-3) dove si può suonare del metal o simili... E forse l’unico (insieme al Pinelli) dove c’è un impianto che permetta di microfonare tutto. Bisogna anche dire che purtroppo non è una situazione che riguarda solo Genova o la Liguria, ma un po’ tutta la penisola, l’affluenza ai concerti è bassa un po’ ovunque... Non rimane che sperare che le cose cambino e continuare a sbattere la testa, prima o poi spero si possa tornare come ai tempi d’oro!
Nei primi vostri concerti cercavate di metter d’accordo tanto chi veniva da un retroterra metal quanto chi veniva dall’hardcore, per poi allargarvi verso altri generi come lo stoner e l’hip hop: cosa vi ha spinto a lavorare in nuovi ambiti? C: Beh, innanzitutto la voglia di cambiare, poi la voglia di sperimentare e quindi di educare anche un Genovese ad ascoltare live diversi da quelli della sua saletta prove. Si è deciso di trattare un genere diverso ogni mese apposta per variare, creare un evento e non un live qualunque, contattare gruppi validi e collaborare il più possibile con la realtà locale. Da semplici live puntiamo a organizzare “mini-fest” in modo da non annoiare nessuno ed andare incontro un po’ a tutti. Cisco e Ricky vorrebbero organizzare una due giorni di live… della serie “ne resterà solo uno”, spero di farcela… E ora l’inevitabile domanda sul pubblico: non vi siete mai preoccupati di esser diplomatici quando si tratta di andare a testa bassa contro alcune deleterie abitudini del pubblico genovese, a partire dall’assurdo vizio di arrivare tardi ai concerti... Vi è mai capitato che qualcuno si incazzasse? F:Certo che fai domande mirate a toccare i tasti dolenti... Anche in questo caso i problemi sono più di uno. Oltre a venire tardi il pubblico va via presto....Questo vuol dire che la maggior parte delle volte bisogna cercare di far suonare ad orari prestabiliti i gruppi, il che andrebbe bene se il lasso di tempo fosse ampio, ma putroppo non è cosi e la cosa deter-
Import “Sièdecisoditrattareungenerediverso ogni mese apposta per variare, creare un evento e non un live qualunque“ mina un numero di gruppi praticamente standard e 30 minuti a testa di live, cosa scandalosa... Sinceramente nessuno si è mai incazzato dopo aver suonato, anzi… Però è capitato a me personalmente di sentirmi un po’ in colpa perché l’ultimo gruppo della scaletta avesse suonato davanti a poche persone... Tra l’altro si tratta dei Cubre, un gruppo che dire “figo” è sminuirlo!!! Quali sono i concerti che vi hanno lasciato maggiormente soddisfatti? e chi vorreste organizzare, ad averne la possibilità? C: Credo di parlare a nome di tutti quando dico Kaos, Dj Trix e Moddi (12 gennaio 08). Tantissime persone, più o meno 70. Live spettacolare, le persone contente e prese benissimo. Era il primo live in cui ha partecipato attivamente Krin con noi. E’ stato uno sbattone allucinante, e di mezzo c’erano soldoni a sto giro, ma la soddisfazione ha superato la stanchezza. Per quanto mi riguarda di live “belli” ce ne sono stati diversi (non cito gruppi per evitare di fare eventuali torti inutili ad altri), posso però dire che le serate Metalcore sono state le meno soddisfacenti dal punto di vista del pubblico e di questo siamo davvero dispiaciuti. Più info su Second Skin su h t t p : // w w w. m y s p a c e . c o m / 2ndskininc 31 CMPST #8[12.2008]
Edizioni “Ci solleticava l’idea di fare qualcosa di diverso qui a Genova. Anche perché se riesci a Genova vuol dire che ce la puoi fare dappertutto.“ Chinaski Edizioni Intervista con Federico Traversa di Davide Chicco
LAMENTI PREVENTIVI Ed eccoci qui con Federico Traversa, capo supremo (!) della Chinaski Edizioni, una casa editrice “indie” presente a Genova dal 2004. Raccontaci com’e’ nata questa esperienza: era un progetto che avevi in mente da molto tempo oppure una mattina, ti sei svegliato, ed hai deciso di fondare una casa editrice? Hai iniziato quest’avventura tutto solo oppure hai avuto dei compagni d’(inizio) avventura? Costoro sono ancora “in affari” con te oppure si sono persi negli anni? Ero da poco tornato dalla Tailandia dove avevo vissuto per un po’. In quel periodo era uscito il mio primo libro che era stato ben promosso, così un casino di scrittori mi mandavano mail per ricevere consigli su come pubblicare i loro libri. Non sapevo cosa rispondere, ero uno scrittore, non un editore. Fu la mia ragazza a dirmi: “Perché non apriamo una casa editrice?”. Decidemmo di tentare, quasi per gioco. Non pensavo allora che sarebbe diventato un lavoro vero. Chiamai Marco Porsia, un amico che si occupava di brevetti e proprietà industriali di giorno ma di notte scriveva e si esibiva in giro con il gruppo poetico dei “Per Certi Versi”. Gli proposi la cosa e anche lui salì a bordo. Non avevamo una lira quindi il primo problema fu recuperare i fondi. Iniziammo a coinvolgere amici musicisti per organizzare serate in giro nei 32 CMPST #8[12.2008]
locali per sovvenzionare il progetto. Un sacco di gente si offrì di suonare gratis. Quando raccogliemmo il minimo necessario per aprire la società e pubblicare un paio di libri partimmo. Fu un periodo incasinato, in Chinaski entravano e uscivano persone di tutti i tipi. Solo io, Marco e Francesca siamo dentro dall’inizio. Come forse saprai, la redazione e l’essenza di Compost si pongono la priorita’ di vedere il capoluogo ligure da diversi punti di vista e percezione. La decisione di creare una casa editrice proprio qui a Genova e’ stata una scelta ragionata oppure una scelta forzata? All’inizio ti sei chiesto se non era magari il caso di far partire quest’avventuta magari a Milano, a Bologna, o a Londra o a Berlino? Ci solleticava l’idea di fare qualcosa di diverso qui a Genova. Anche perché se riesci a Genova vuol dire che ce la puoi fare dappertutto. Quando poi abbiamo trovato un distributore nazionale e i nostri libri sono andati in tutta Italia abbiamo venduto molto più fuori che in Liguria. D’altronde sta città è così: prendere o lasciare. Io prendo perché amo il mare e con dieci minuti di scooter sono in spiaggia. A Milano sai
che palle…
Oltre al lato personale e lavorativo, immagino che nella scelta di fissare a Genova la propria casa base sia dipesa anche da un punto di vista culturale sulla citta’. Come vedi Genova da un punto di vista artistico e culturale? Credi che l’offerta (per amanti di lettura, scrittura, arti visive, musica, ecc) sia tutto sommato soddisfacente oppure sia tutto da buttare via? La scena genovese, intesa come arte, letteratura, musica ecc, è buona, molto buona. Il problema sono i genovesi che vedono tutto quello che esce da qui con sospetto. E’ una sorta di attitudine provinciale ‘all’incontrario’ che non fa bene a nessuno. Ed ora la domanda “d’obbligo” che facciamo a molti intervistati per Compost. Molta gente a Genova si lamenta (strano!, ndr) delle scarse possibilita’ in ambito musicale, culturale, lavorativo, ecc ecc che la citta’ offre, soprattutto in rapporto a livello di popolazione ed espansione che un luogo con 632’000 cervelli pensanti (si fa per dire..., ndr) potrebbe proporre. Limitandoci al contesto musicale-artistico, credi che il problema sia la scarsa partecipazione della cittadinanza alle attivita’ culturali? Oppure il
Edizioni “Il problema sono i genovesi che vedono tutto quello che esce da qui con sospetto. E’ una sorta di attitudine provinciale ‘all’incontrario’ che non fa bene a nessuno.” problema nasce dalla carenza di strutture? Credi che le istituzioni (Comune, Provincia, Regione, Municipi) dovrebbero essere piu’ attente? Oppure sei per una visione piu’ liberal, da “laissez faire”? Bella domanda. Credo che la risposta sia da ricercarsi in una buona miscela delle cose di cui accennavi prima: scarsa partecipazione, carenze di strutture, poco interesse da parte delle istituzioni. Detto questo chi vuole fare faccia, vedo troppa gente che neanche ci prova e questo non va mai bene. Prima provaci poi semmai lamentati. A Genova si tende invece al ‘lamento preventivo’. Indipendentemente dal peso che ognuno puo’ dare al problema, su un punto credo potremo concordare tutti: a Genova si risparmia troppo e s’investe troppo poco. Credi che a Genova le persone abbiano effettivamente troppa paura o scarsa voglia d’investire in nuovi progetti (musicali, culturali, artistici, imprenditoriali)? La mentalita’ dei milanesi, ad esempio, e’ davvero cosi’ diversa? Gli imprenditori genovesi hanno il braccino corto… vedi Garrone che non compra un attaccante alla Sampdoria. Scherzi a parte, c’è da dire che investire in una città con la più bassa natalità d’Italia e con una popolazione composta per la metà da over 50 non è commercialmente molto attraente. Le statistiche internazionali non vedono molto bene l’Italia dal punto di vista dell’incoraggiamento e della spinta verso l’imprenditoria privata, denunciando un sistema italico bloccato da mille burocrazie e
Federico con Tonino Carotone alla presentazione de “il Maestro Dell’Ora Brava” mille regole regoline regolamenti regolucce che frenano lo sviluppo (basti pensare che il tempo medio per aprire un’impresa in Italia, tra permessi e tutto quanto, e’ di 2 anni; mentre in Danimarca 15 giorni, ndr). Com’e’ stato dal punto di vista imprenditoriale / organizzativo l’inizio della Chinaski? Vi siete trovati di fronte a mille ostacoli e mille paletti come si legge sui giornali? Oppure alla fin fine ve la siete cavati senza grosse difficolta’? Un bordello. Hai presente il film “Le Dodici fatiche di Asterix?”. E’ stato proprio come quando Asterix deve superare la prova di ritirare il documento in quell’ ufficio tutto incasinato e lo mandano da un piano all’altro facendolo
impazzire. La burocrazia in Italia è assurda! Per fortuna ho sempre avuto Marco al mio fianco che è molto bravo ad orientarsi fra uffici, documenti e permessi… Nel vostro catalogo ci sono molti titoli che narrano di vicende legate al mondo del rock. Proprio in questo periodo e’ uscito “Rock Conorer” di Episch Porzioni che tratta d’alcune famose storie di decessi nel mondo del rock n roll. Credi che il genere editoriale sulle storie e le biografie di personaggi musicali sia sempre una buona scommessa? Non si rischia di correre il rischio che il libro venga venuto solo ad uno sparuto gruppo di fan(atici)? 33 CMPST #8[12.2008]
Edizioni “Noi cerchiamo sempre di far sì che venga fuori lo stile personale dello scrittore anche quando si parla di musica. Le nostre non sono biografie rock ma letteratura rock. Diamo tutto per far uscire un buon libro.“ Dipende da come fai le cose. Noi cerchiamo sempre di far sì che venga fuori lo stile personale dello scrittore anche quando si parla di musica. Le nostre non sono biografie rock ma letteratura rock. Diamo tutto per far uscire un buon libro. Quando ho scritto “Il Maestro dell’Ora Brava” con il mio amico Tonino Carotone ho passato con lui quasi un anno in tour fra Italia e Spagna e ti assicuro che la vita del buon Tonino non è esattamente facile da seguire… Adesso usciamo con un libro su “Il Caso Cobain” scritto ancora da Episch, che si è sparato un mese in America a rovistare fra la gente più furiosa di Seattle. Il suicidio del cantante della Nirvana è pieno di contraddizioni. Pensavo fosse tutta una bufala la storia dell’omicidio su commissione ma dopo aver letto il libro e tutta la fitta documentazione, beh… Non sono più così sicuro. Tornando alla tua domanda, cerchiamo di dare roba decisamente vissuta a chi ci segue, tutto in stile Chinaski. Credo sia per questo che i nostri libri funzionano. Nel mondo delle biografie, specialmente in quelle legate al rock, spesso chi narra si lascia andare ad “interpretazioni un po’ personali della storia”. Talvolta si rischia d’allontanarsi un po’ dalla realta’ ed arrivare a narrare aneddoti e vicende molto diverse da quelle realmente esistite. Avete sentito anche voi questo problema nell’ideare “Rock coroner”? Avete scelto di rimanere fedeli alla verita’ fino all’ultimo oppure a volte vi siete lasciati sedurre da versioni un po’ romanzate della stessa? 34 CMPST #8[12.2008]
In Rock Coroner, Episch ha romanzato se stesso, non le storie dei musicisti. Quelle sono tutte vere e fatte con un’accurata ricostruzione dei fatti. Poi, se il suo stile lo porta a raccontare un suo aneddoto personale finalizzato alla narrazione ben venga. Episch in questo è bravissimo, mi ricorda molto Hunter Thompson. Sfogliando sempre il vostro catalogo, s’incontrano svariati titoli riguardanti il mitico Don Andrea Gallo, famoso prete della Comunita’ Cristiana di Base di San Benedetto Al Porto che (per fortuna nostra) interpreta la sua missione in maniera molto poco Ratzingeriana. Conosci personalmente Don Andrea Gallo? Com’e’ nata la vostra collaborazione? Don Gallo l’ho conosciuto quando ho accompagnato Tonino Carotone, che voleva incontrarlo, alla comunità San Benedetto. Era stato Manu Chao a parlargliene. Con Andrea si è creato subito un rapporto speciale, tanto che abbiamo scritto insieme un libro: “Io Cammino con gli Ultimi” e girato un Dvd “In Viaggio con Don Gallo” dove collaborano tanti amici come Tonino, Manu, Roy Paci, Cisco, Moni Ovadia, Esmen, Piero Pelù e tanta altra gente che apprezza l’operato del Gallo. Andrea è una persona incredibile, quando lo incontri diventi più possibilista sull’esistenza di un Dio buono e caritatevole. Aver scritto un libro con lui è la cosa più importante che abbia fatto nella mia vita. Oltre a creare e distribuire libri, so che siete la casa editrice di Ergo Sum, rivista giovanile studentesca di Genova (alla quale anch’io collaborai qualche anno fa, ndr). Com’e’ nata l’idea di lavorare con gli ErgoSum-boys? Come vedi il ruolo di Ergo Sum all’interno del (piccolo) mondo delle riviste studentesche genovesi? Ora non siamo più gli editori di Ergo Sum. Lo siamo stati per qualche mese quando l’Università o il Comune, non ricordo di preciso, gli aveva tagliato i fondi a causa della famosa foto
Federico con Don Gallo della statua di Gesù avvolta in un profilattico con scritto sotto “anche io uso il preservativo”. Ci sembrava giusto aiutarli perché la libertà di stampa è fondamentale e la crociata contro di loro fu veramente assurda. L’accordo era che ci saremmo occupati della rivista fin quando loro non sarebbero riusciti ad autoprodursi e così è stato. Sono bravi ragazzi, intelligenti e pieni di entusiasmo. Ergo Sum è davvero un bel giornale. Un’ultima domanda: diceva Woody Allen, “Leggo per legittima difesa”. Federico Traversa per cosa legge? Per emozionarmi e collezionare diversi punti di vista che mi aiutino ad affrontare la mia vita con più strumenti possibili. Sempre avanti e senza paura. Compra i libri Chinaski su http://www.chinaski-edizioni.com
Columns Indie Maphia For Dummies di Daniele Guasco Spesso ci si lamenta dell’aridità dell’educazione culturale in ambito musicale della maggioranza delle perso ne, della cosiddetta massa, ma ahimè questo problema si presenta anche in altri ambiti. Qualche giorno fa mi trovavo privo di libri da leggere, così a casa dei miei genitori ho visto una copia di “La solitudine dei numeri primi ” di Paolo Giordano. “Mamma posso prendermi quel libro? ” “Se vuoi si, ma è una schifezza incredibile.” Non curante degli avvertimenti ho iniziato a leggere questo bestseller che ha fatto urlare al miracolo buona parte dell’Italia letteraria, ed era veramente tanto che non abbandonavo un libro a metà. Tralasciando la trama, storia d’amore tra una storpia viziata che diventa odiosa sin dalle prime pagine e un tizio strambo che si fa dei tagli per il trauma subito causando la morte della sorellina ritardata, quello che mi ha lasciato senza parole è la totale mancanza di spessore dei personaggi, la caratterizzazione tanto forzata quanto inutile nel dare personalità ai protagonisti del romanzo. Appuntandomi mentalmente che anche quando si parla di libri la mamma ha sempre ragione, a buttarmi nello sconforto è come un libro simile venga eretto a baluardo di una nuova letteratura italiana (tanto da vincere il premio Strega).
Sempre Combatte Con Le Ciabatte di Giacomo Bagni Dunque. Detto che il titolo è indicativo solo della mia personale attitudine a restare sempre in casa casa ab bracciato alle mie amate ciabatte di pelo fucsia, che la vera cucina è quella dove abbondano le bestie morte e che a Genova dovrebbe essere bandita qualunque musica che non sia lo ska, posso passare ad illustrarvi quella che è e sarà la prossima moda della indie-scena genovese (cosa per cui sono stato profumatamente pagato da svariegate importanti multinazionali di gadget). Ciò di cui stiamo parlando sono un dei famigerati occhiali da sole rossi e plasticosi delle Tartarughe Ninja. Sfortunatamente per voi sono fuori produzione da metà degli anni ‘90 e io ne posseggo, dopo averlo rubato ai miei cugini seienni, l’unico paio ancora in circolazione. A stretto giro di ragionamento io sono molto fashion e voi non lo sarete mai. Punto. Al Cinema con Hipurforderai SCHERMO NERO Sentite quest’aria di Natale? Le luci, gli addobbi, i prezzi delle vetrine del centro, i barboni col cappellino da babbo natale… e quant’è bello il cinema a Natale? Che oltre a non poter fumare ti becchi solo film cagosi con la sala piena di bambinetti urlanti o di gente che va al cinema una volta all’anno per vedere il nuovo film di De Sica. Nonostante questo io amo il cinema, e ho imparato ad amarlo in
maniera un po’ conflittuale proprio da pischello e proprio sotto natale (so che alcuni di voi avranno già sentito questa storia, ma grazie a Dio Compost non lo leggono solo gli amici di Hipurforderai... almeno spero). Era il 1987, avevo 6 anni, era pochi giorni prima di Natale, e la mia mamma decise di portarmi al cinema per la prima volta, pensando “oh che bello, danno un film coi cagnolini, ai bambini piacciono i cagnolini”. Era Quattro cuccioli da salvare, storia di sta povera bestia di cane sfigatissimo che cade in mare, si trova su un’isola dove causa madre defunta farà da balia a quattro piccoli puma sfigatissimi. Una tristezza di film esasperante, crudelissimo nel modo in cui metteva in crisi quel povero sacco di pulci. La cosa mi depresse un sacco, al mio secondo “mamma, ma il cagnolino…” anche mia madre capì che forse era meglio leggere prima le trame, che negli anni ottanta il cinema era molto più duro di adesso nell’insegnare quanto la vita sia una merda, anche per un cane e per quattro puma. Qualche mese dopo, fomentata da mamme di amichetti e da una campagna pubblicitaria devastante decise di riprovarci, mi portò così a vedere in una sala che ora ospita l’anagrafe di Rapallo Chi ha incastrato Roger Rabbit?, film che un po’ tutti abbiamo visto e quindi non c’è bisogno che stia a raccontarvi la scena di scarpetta e l’effetto che ebbe su di me. Hipurforderai scemo a pensare fino a sei anni che il cinema fosse divertimento! Arrivò il Natale del 1988 e mia madre si disse “non c’è due senza tre”: L’orso ! Splendido film 35 CMPST #8[12.2008]
Columns (questo posso dirlo oggi) di Jean-Jacques Annaud, successone autunnale di quell’anno che veniva replicato per il periodo delle feste, perché “ai bambini piacciono gli animali pelosi, anche gli orsi”. In confronto alla scena della madre dell’orsetto protagonista del film, la scena della madre di Bambi è da cagarsi addosso dal ridere. Io piangevo, mia madre piangeva anche se penso che le sue fossero lacrime di esasperazione. Rispetto all’orsetto di Annaud il cane di Quattro cuccioli da salvare aveva vinto la lotteria. Andammo a casa e ci dedicammo al mondo dell’home video, partendo da… DUMBO”! Mia madre non mi portò più al cinema per un bel pezzo, fino a Indiana Jones e l’ultima crociata l’anno seguente per poi culminare con Die Hard 2 l’anno successivo, una serie di pellicole che mi riappacificarono con il cinema, tra fruste e sparatorie, facendomi sognare di diventare un archeologo che risolve i problemi a frasi ganze e massacri, ma questa è un’altra storia. Un film da vedere? Dovrebbe essere uscito direttamente in dvd Fido, ottimo film del canadese Andrew Currie, in cui gli zombie vengono messi al servizio dell’uomo come schiavi grazie a dei collari di controllo. Ben diretto, ben recitato e soprattutto ben scritto, è uno dei migliori film capitati sottomano nell’ultimo periodo. Un film da evitare? Max Payne, perché se dopo mezz’ora nel videogioco avevo fatto fuori a pistolettate un numero di sgherri pari agli abitanti della Sardegna (d’estate) , nel film dopo mezz’ora cercavo solo un cuscino. 36 CMPST #8[12.2008]
This Ain’t No BBQ di Anna Positano Eccoci a fine anno, quando si fanno i conti con i buoni propositi disattesi e con i “Ma nell’anno che viene...!”. Facendo un bilancio del 2008 posso ritenermi abbastanza soddisfatta: mi sono laureata, ho ricominciato a suonare con la mia batterista (She Said What?!), ho passato l’Esame di Stato e quello d’Inglese, sono stata mantenuta dai miei in attesa di essere una fotografa, sono stata ammessa al London College of Communication e quindi nel 2009 lascerò il Bel Paese (di merda) per un anno. Ah, mi hanno anche scomunicata*.Diciamo che fa tutto parte del piano A. Si, mi fa strano: il piano A presupone l’esistenza di altri piani con conseguente alfabeto, e di solito è il primo a fallire. E invece. Vado a Londra. Bello, ma quello che lascio qui a congelare è più importante. Non mi vengono in mente storielle divertenti questa volta, chiedo scusa. Basta melodramma, però. La settimana scorsa stavo cucinando per i gruppi al Lab.Buridda, in compagnia, tra gli altri, di Davide dei Japanese Gum (ancora grazie!). Ex vegano, è uno dei carnivori più educati nei confronti dei vegetariani che io conosca. Parlando del più e del meno, mi ha passato sotto banco una ricettina niente male, che si confà perfettamente alla piega che sta prendendo la mia vita. Vita da uno in camera da uno con cibo da uno (Matte, vieni a trovarmi! uno diviso due fa due).
una cipolla piccola piccola una fetta di pane integrale un uovo un po’ di burro parmigiano pepe sale Fate fondere in una padella una parte del burro e mettete la fetta di pane ad abbrustolire (non deve carbonizzarsi!) da entrambe le parti. Nel frattempo sminuzzate la cipolla e mettetela a soffriggere in un’altra padella col burro e un pizzico di sale. Mescolate il parmigiano e l’uovo e aggiungeteli alla cipolla, mescolando come per fare le uova strapazzate. Si può aggiungere sale e pepe a piacere a fine cottura. Ora, la parte più complicata di questa ricetta: mettere l’uovo strapazzato sopra la fetta di pane. Senza far cadere nemmeno un pezzettino di uovo. No, non ci potete riuscire. Buon appetito alla faccia del colesterolo e della ciccia. Pare che questa roba vada bene anche per colazione, ma trovo che la sola idea sia rivoltante. Penso che nelle prossime puntate proporrò cose ancora meno sane di questa, visto che il Regno sarà il mio ispiratore. Preparatevi. Dopo diverso tempo dietro a questa rubrica mi sorge qualche dubbio: qualcuno di voi amati lettori di CMPST ha mai provato una di queste ricette? Quanta gente avete avvelenato? Avete conquistato il vostro amore con la cucina? Siete diventati vegetariani grazie a questa rubrica? Fatemi sapere! <anna[at]theredbid.org> *per maggiori informazioni www.uaar.it
Columns A Steady Diet Of Mat di Matteo Casari Che poi uno si fa pure prendere male. E magari non ha tutta quella voglia di confrontarsi. Però beh insomma, dai, pure che si prova a fare qualcosa. Siamo in fondo ad un anno, bisestile, brutto e tutto infarcito di otto, che per i cinesi sarà pur tutta fortuna ma per noi pare, dico pare, sia stata tutta negatività. Liste di fine anno e bilanci in un anno del genere sono come calci nei denti. Gli elenchi delle cose non fatte sono lunghe il triplo di quelle portate a termine. Siamo agli sgoccioli e ancora non abbiamo concluso le pratiche per diventare associazione, dopo nove anni! Abbiamo dimezzato il numero di Compost usciti, solo tre rispetto ai cinque del primo anno. Non siamo riusciti a trovare il coraggio di investire di più sulla stampa e uscire con una rivista più importante. Il progetto CMPSTR è ancora nella sua fase uno, ossia il blog linkato qui accanto da Simone: la fase due, quella fisica, è ancora momentaneamente sospesa. Abbiamo fatto si il quarto Rural Indie Camp e il Maritima Festival durante l’estate, ma anche nei concerti la situazione è sempre al limite. Poca promozione, zero comunicazione. Parliamo, diciamo cose e ci pare di lanciarle al vento. Il pubblico e, soprattutto, gli indirizzari di chi è invitato a partecipare e a portare le proprie esperienze paiono immobili, di una staticità Beckett-iana. Ce la cantiamo e ce la suoniamo da soli, quando possiamo e quando riusciamo. Per quanto possibile noi gli ami li abbiamo lanciati tutti in quello stagno di lacrime che è Genova. Mi rifiuto di credere che i centocinquanta gruppi locali che abbiamo fatto suonare negli anni non conoscano l’esistenza e le proposte di Disorder Drama. E allora, se leggete questo è un appello alle armi, a partecipare, a farci cambiare idea e costruire insieme, nel 2009, quelle strutture che mancano a questa città di morti di sonno ultracentenari.
Non Sono Un Poeta di El Pelandro Come tutti sanno, quest’estate mi è venuto un accidente. Quindi, come ogni miracolato, ho dovuto aprire il mio cuore alla bontà e al dogma. Tra poco celebreremo il Santo Natale. Lo celebrerò anche io, volenterosa pecorella del Signore. Nutrirò il mio spirito di spirito e ravioli, libando e godendo, come tramandato dalla tradizione, nei secoli dei secoli, amen. La festività del Capodanno invece dovrebbe essere abolita perchè non serve a una minchia, come i capelli lunghi che, anzi, talvolta causano persino incidenti molto seri. L’epifania non ho mai ben capito cosa sia, ma la accetto, perchè sviluppa attorno a sè ogni anno, quella particolare aura di malinconica e perversa curiosità che così tanto giova a noi spiriti redenti. Screamazenica di Simone Madrau Screamazenica urla SEDICI! e vi invita a inserire tra i vostri feed rss di http://cmpstr.tumblr.com Iosonocosìhypechefacciounmatrimonioin campagna, domani. Celebra Don Bilivdeaip. (Tristan giustifica la propria assenza all’ultima notte bianca genovese sul myspace di Disorder Drama.)
Ma quello è sangue? (Anna aka The Red Bird @ Notte Bianca 2008 fissando sguarofromginocchiotocaviglia di Matteo Casari.) Sì. E quello è alcol? (Matteo Casari aka Sguarofromginocchiotocaviglia @ Notte Bianca 2008 fissando il cocktail di Intortetor.) Questa si chiama ‘I Want To Be A Nerd’, o ‘I Want To Be eMpTV’. (Eat The Rabbit live @ TagoFest 2008.) Se gli Youth Of Today avessero omesso la loro palese omosessualità oggi suonerebbero così. (Er P recensisce Eat The Rabbit su Rumore.) Sarò io ad essere disattento ma prima di conoscere Matteo e voi non avevo mai percepito Genova come uno dei poli di riferimento per la musica indipendente italiana. (Ehr, ma... Veramente... Oh bè: rendiamo grazie a Onga/BoringMachines @ TagoFest 2008.) La percezione che da fuori si ha dell’universo genovese è latentemente diversa da quella che ne ricavano i suoi protagonisti. [...] Se altrove il capoluogo ligure viene considerato brulicante e fertile, in loco ci si rammarica delle tante occasioni perdute e dei limiti soggettivi che frenano le pur ottime velleità di affermazione. (Amen. Enrico Veronese, Blow Up.) E cosa fa, lancia bigliettini ai croceristi con scritto ‘I Love Boat Very Much’? (Il nostro Intortetor nazionale dopo aver appreso che Denize oggi fa il fonico sulle navi.) Gonzo Dresda olè! Le due facce dell’intrattenimento. (Ivan dei (Gonzo) Dresda si autosponsorizza su Facebook - network che dal prossimo numero di Compost avrà un suo spazio come sottorubrica di Screamazenica.) 37 CMPST #8[12.2008]
Fumetti
Tuono Pettinato Ospitiamo con grandissimo orgoglio uno dei virgulti migliori dell’italica genie di fumettisti attuali. L’avrete visto in lungo e in largo per l’Italia, anche a Genova, come airguitarist dei Laghetto. Nonchè non ve lo sarete certo perso come protagonista, insieme al Dr.Pira, Maicol&Mirco, Ratigher e LRNZ della matta matta matta crew dei Super Amici, responsabili, tra l’altro di Hobby Comics, la nuova rivista prodotta dallla nostra conoscenza Silvana con la sua GRRRZetic editrice. 38 CMPST #8[12.2008]
Arte
Kabuto Massimo Repetto è nato a Genova il 02/08/1976, e ha compiuto i suoi studi al Liceo Artistico e allâ&#x20AC;&#x2122;Accademia di Belle Arti. Si occupa di poster art, packaging, logo design, illustrazione, abbigliamento... Kabuto@email.it
39 CMPST #8[12.2008]