Pomezia Notizie 2022_12

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mensile

(fondato nel 1973)

Direzione editoriale: Via Fratelli Bandiera, 6 Tel. 06/91.12.113 00071 POMEZIA (Roma) Fondatore e Proprietario: DOMENICO DEFELICE e Mail: defelice.d@tiscali.it Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e successive modifiche) Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogniautore siassume la responsabilità dei propri scritti Manoscritti,fotografie ealtro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. Il mensile è disponibile su: http://issuu.com/domenicoww/docs/ Anno30(NuovaSerie) n.12 Dicembre2022

Un martire, un santo in un bel saggio di ANSELMO PALINI

OSCAR ROMERO

di Antonio Crecchia

GIOVEDÌ 1° settembre, a Guardialfiera, in occasione della presentazione del libro di Anselmo Palini: “Juan Gerardi Nunca más Mai più”, Ed. Ave, dicembre 2021), manifestazione culturale accuratamente organizzata da Vincenzo Di Sabato, ho avuto il piacere sia di conoscere personalmente l’illustre Autore, sia di procurami un altro suo libro di grande successo: “Oscar Romero «Ho udito il grido del mio popolo». Una lettura attenta e proficua di un libro di circa trecento pagine richiede come minimo uno spazio di tempo di un paio di settimane, se bene motivato da interesse culturale. Un’impresa non da poco quando hai davanti un testo di Anselmo Palini che affronta minuziosamente la vita, il pensiero, i conflitti interiori, le battaglie senza sosta dell’arcivescovo Oscar Romero, in un clima avverso e pericoloso, per favorire civilmente la promozione della dignità umana e sociale del popolo salvadoregno, “povero e violentato nei suoi diritti fondamentali”. → (a pag. 3)

ISSN 2611-0954
N°23dellaSerieonline
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All’interno:

Traguardi della critica letteraria, di Emerico Giachery, pag. 7

Sogno di fine estate: Arrigoni e Frangione, di Giuseppe Leone, pag. 9

Resurrectio di Domenico Defelice, di Gianni Antonio Palumbo, pag. 12

Imperia Tognacci: La meta è partire, di Tito Cauchi, pag. 14

Rachele Zaza Padula: Come Pierrot, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 18

Il dono dell’amicizia, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 29 Premio editoriale Il Croco (II edizione), pag. 24

Notizie, pag. 40

Libri ricevuti, pag. 43

Tra le riviste, pag. 45

RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Una corona di latta, di Franca Alaimo, pag. 26); Tito Cauchi (Paolo Sommaripa pittore dell’arte immaginaria, di Manuela Mazzola, pag. 27); Tito Cauchi (E la luna bussò alla mia porta, di Isabella Michela Affinito, pag. 29); Domenico Defelice (La meta è partire, di Imperia Tognacci, pag. 30); Manuela Mazzola (Myosotis, di Gabriella Frenna, pag. 31); Manuela Mazzola (Suttes di fine anno, di Roberto Maggi, pag. 31); Manuela Mazzola (Antonio Angelone Pastorello sognatore nel riscatto sociale, di Tito Cauchi, pag. 32); Liliana Porro Andriuoli (Le parole a comprendere, di Domenico Defelice, pag. 33); Lorenzo Spurio (Quando la parola trema di eternità, di Maria Benedetta Cerro, pag. 35).

Inoltre, poesie di: Elio Andriuoli, Mariagina Bonciani, Corrado Calabrò, Irène Clara, Rocco Cambareri, Antonio Crecchia, Rudy De Cadaval, Ada De Judicibus Lisena, Luigi De Rosa, Salvatore D’Ambrosio, Giovanna Li Volti Guzzardi, Wilma Minotti Cerini, Ilia Pedrina, Lucio Zaniboni

Povero, perseguitato e violentato come gli altri popoli dell’America latina, politicamente instabile, economicamente depressa, civilmente ancorata a un feudalesimo colonialista, ove una oligarchia di ricchi proprietari terrieri, affaristi e militari fa sentire, sulla vita quotidiana di popolazioni ridotte in miseria estrema, angariata e sfruttata, il peso del suo strapotere ideologico, armato e oppressivo, incompatibile con la sensibilità cristiana della classe sacerdotale, almeno di quella cheha occhi per vedere e cuore capace di rattristarsi davanti alle palesi e aberranti ingiustizie di una società impantanata nello stagno dell’arretratezza secolare, in cui i vantaggi sono da dividere tra i pochi individui dell’oligarchia nazionale, che fa leva su tutti i poteri offerti alle sue… avide mani.

Oscar Arnulfo Romero nacque a Giudad Barrios, nella provincia di San Miguel, confinante con Honduras, il 15 agosto 1917. Nominato sacerdote il 4 aprile 1942 a Roma presso il Collegio Pio Latinoamericano, celebrò la sua prima messa nella cappella generalizia dei Claretiani.

Tornato in El Salvador nel dicembre del 1943, viene inviato dal vescovo di S. Miguel, Angel Machado, come parroco a Anamorós, piccolo paese di

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montagna, nella provincia di La Unión.

Il 24 aprile 1967 ottiene il titolo di “monsignore” e la nomina a Segretario Generale della Conferenza Episcopale di El Salvador; tre anni dopo, il 21 aprile 1970, è elevato alla carica di Vescovo ausiliare di San Salvador.

Il 15 ottobre 1974 è nominato vescovo di Santiago deMaria, diocesiistituitadaPioXII nel 1954, suffraganea della arcidiocesi di S. Salvador.

Nel febbraio del 1977 assume la carica di Vescovo dell'arcidiocesi, a seguito delle dimissioni, in anticipo, di mons. Luis Chávez Gonzalez. Il Paese vive un momento di crisi politica, a causa delle contestazioni antigovernative e delle implacabili repressioni da parte dei militari.

La sua missione sacerdotale di Oscar Romero si svolgeall’insegnadel magistero cattolico tradizionale, con particolare riguardo “al bene della Chiesa e alla salute delle anime”. “I temi della sua predicazione scrive Palini sono fondamentalmente i novissimi, ovvero le cose ultime dell’uomo: morte, giudizio, inferno e paradiso”. Particolare cura riserva ai “doveri spirituali e liturgici”, alla “disciplina ecclesiastica, al contrasto alla diffusione del protestantesimo, alla lotta contro i massoni”; solerte nella “denuncia del comunismo”, perché vuole allontanate l’uomo da Dio”, e avverso alle ideologie secolari. Per 23 anni, fino al 1967, in lui convivono “ascesi e attivismo, secondo un antico ideale di perfezione cristiana”. L’anno successivo alla sua nomina a monsignorehaluogoaMedellín,inColombia, la Seconda Conferenza Generale dell’Episcopato latino americano, laquale, sullasciadelle indicazioni contenute nei documenti finali approvati dal Concilio Vaticano II, rivolgelasua attenzione“all’uomo”,al suoessere“persona” con i diritti inalienabili alla libertà, al lavoro, al rispetto, alla dignità umana, alla pace e alla giustizia sociale. I vescovi, consapevoli delle gravi violazioni che si perpetuano nell’America latina a danno delle classi deboli, proclamanolaloro“sceltapreferenzialeperipoveri” e si impegnano a lavorare per ridare dignità alle popolazioni indigene, liberandole da una

situazione di servaggio che dura da cinque secoli.

Si affaccia all’orizzonte una nuova primavera dello spirito cristiano in America latina con la formulazione della “Teologia della liberazione”, che vuol essere in primo luogo momento di acculturazioneediriscatto totale delle popolazioni indigene, passate, come dice Rigoberta Menchú, Premio Nobel nel 1992 per la pace, attraverso “il razzismo, la discriminazione, l’emarginazione, l’oppressione” e, aggiungerei, l’incomprensione e lo sfruttamento più abietto che si possa immaginare e l’arroganza caporalesca dei colonizzatori spagnoli.

Il nuovo vescovo Romero, inizialmente, non appare entusiasta delle novità introdotte dalla conferenza di Medellín. La sua posizione appare quella di un conservatore illuminato, moderato, equilibrato, fedele alla linea ufficiale della Curia Romana, la quale “concorda sulla necessità di cambiare le strutture con altre più umane e più giuste”, ma ferma e intransigente sulla linea della “non violenza”. L’intento è sempre quello di mantenere buoni rapporti sia con i detentori del potere sia con le popolazioni di cui è pastore. È al corrente di quanto sta accadendo nel Paese, ma lui è del parere che “tra morte e distruzione compito del cristiano e mantenere viva la speranza”.

Venti giorni dopo essere stato elevato alla guida dell’arcidiocesi di San Salvador, avviene un fatto gravissimo, che mette a nudo il volto brutale e criminale del Potere dittatoriale: padre Rutilio Grande, gesuita figlio di contadini, parroco di Aguillares, paese di 25 mila abitanti, viene vilmente trucidato da uno squadrone della morte insieme ad altre due persone: Manuel Solórzano, di 72 anni, e Nelson Rutilio Lemus, un ragazzo di 15 anni, mentre erano in auto sulla via per Al Paisnal, villaggio dove padre Rutilio avrebbe dovuto celebrarelanovenainonorediSanGiuseppe.

La notizia del massacro viene comunicata a mons. Romero dal presidente della Repubblica Armando Molina. Una notizia sconvolgente che accelererà la “svolta” psicologica e

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pastorale di mons. Romero e lo fa scendere in campo, armato di una voce che farà tremare le mura dei palazzi dei potenti.

Si rende conto che “la parola di Dio” non è separabile dalla “realtà storica in cui si annuncia”.C’èdisordineeconfusione, violenza e sfruttamento in El Salvador e lui, da buon cristiano, si impegna a “illuminare il cammino della storia, i fatti della vita, con la parola eterna del Signore”. Ammonisce che ciascuno “è responsabile davanti a Dio” delle proprie azioni, e che è dovere di tutti praticare il diritto e la giustizia. La liberazione è quella che viene da Cristo, che incarna il volto dei poveri, e seguire il destino dei poveri è un impegno a cui lui, e qualsiasi altro cristiano, non può e non deve sottrarsi, anche se ciò lo dovesse esporre alla persecuzione di coloro che “Dio disprezza”: gli idolatri del potere, del denaro e della ricchezza; i seminatori di odi e divisioni sociali; i difensori delle ingiustizie strutturali; i programmatori di sequestri, omicidi e massacri. La voz del Buen Pastor, le sue vibranti e infuocate omelie vengono diffuse in tutto il paese da radio Ysax, fondata dal suo predecessore, mons. Luis Chávez Gonzalez.

L’argomento finale di ogni omelia domenicale è, preferibilmente, la denuncia delle ingiustizie sociali, la conta dei desaparecidos, morti assassinati e dei massacri durante la settimana, l’impegno della Chiesa nella difesa della libertà di pensiero e d’espressione e di tutti i diritti umani; nella lotta contro la miseria e l’oppressione; nell’auspicio della pace sociale e politica.

Nel conflitto tra il governo e il popolo salvadoregno, la sua voce di rimprovero verso ogni forma di oppressione e violenza lo espone alla critica delle fazioni in lotta: per la destra al potere èun “comunista”,per l’opposizione di sinistra è un simpatizzante della destra capitalista.

La corta vista di entrambe le parti impedisce di scorgere e valutare la portata significativa e costruttiva dei suoi discorsi che invitano al confronto, al dialogo, alla messa in atto delle riforme strutturali per garantire la

riconciliazione e una pace durevole.

Mons. Romero deve far fronte anche alle critiche di vescovi a lui ostili (quattro su sei), cheloaccusanodifarepolitica,disoffiaresul vento della contestazione, e di “benedire la violenza della guerriglia”.

L’assenza di unità all’interno della Chiesa salvadoregna, fa crescere l’offensiva delle Forze di sicurezza e degli squadroni della morte contro la popolazione civile. Nei primi sei mesi del 1979, oltre 400 persone vengono assassinate dalle forze militari e paramilitari, mentre 307 altre vengono arrestate, con lasolita accusa d’essere dei “sovversivi”. L’unico ad avere il coraggio di “denunciare ad alta voce” la sequenza dei crimini di Stato è mons. Romero. E lo fa senza timore, pur sapendo di mettere a rischio la propria vita. E il rischio e grande e si accresce quando egli dal suo pulpito annuncia con gioia la fine della dittatura di Anastasio Somoza Debayle, nel vicino Nicaragua, deposto dai rivoluzionari sandinisti del Fronte di Liberazione Nazionale. Nella sua omelia del 22 luglio 1979, mons. Romero dice ai suoi fedeli: “La gioia che l’inizio della liberazionedel Nicaragua ci dà, ci rende anche preoccupati che quest’alba di libertà non si riveli una frustrazione…”

E la nuova delusione arriva con l’ennesimo golpe militare che, il 15 ottobre, ha deposto il generale Carlo Humberto Romero. La nuova giunta militare composta da militari e da esponenti politici di centro e di sinistra, al di làdellebuoneintenzioni acaratteredemocratico, la promessa di attivare la libertà sindacale, la difesa dei diritti umani, la riforma agraria e altro, procede sulla via della violenza e della repressione: qualsiasi manifestazione popolare, che richiama il governo alle sue responsabilità, viene repressa nel sangue.

L’attaccamento al suo popolo, la determinazione e l’ardimento nel denunciare l’opera di repressione dei Corpi di sicurezza contro la popolazione, i sacerdoti, i catechisti e gli esponenti dellecomunitàdibase,convincono le forze oligarchiche al potere di alzare il tiro e le intimidazioni contro mons. Romero. Il 9

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marzo, nella basilica del Sagrado Corazon viene trovata una bomba inesplosa a causa del timer difettoso; doveva esplodere il giorno precedente durante il rito funebre in onore di Mario Somoza Rivas, esponente di spicco della Democrazia Cristiana salvadoregna, assassinato il 21 febbraio da uno squadrone delle morte. La potenza della bomba, costituita da 72 candelotti di dinamite, doveva provocare la strage dei presenti alla messa e il crollo totale della basilica. Fu, comunque, un ulteriore avvertimento al vescovo che la sua vita era legata a un filo che stava per essere reciso.

Il 18 marzo 1980, un attentato dinamitardo mette a tacere radio Ysax, che diffonde in tutto El Salvador, e all’estero, la voce e le omelie del vescovo “infettato del virus del comunismo” e, sempre secondo i suoi avversari, “plagiato dai suoi consiglieri, specialmente dai gesuiti"; quindi un nemico pericoloso da eliminare.

Dopo gli ultimi avvenimenti, Mons. Romero non ha più dubbi: è nella lista dei duecento individui dichiarati “sovversivi” e sostenitori della guerriglia; quindi soggetto da perseguire e mettere a tacere. Pubblicamente il vescovo ammette di avere paura per la violenza verso la sua persona. “Sono stato avvertito proprio in questa settimana. Temo per la debolezza della carne, ma chiedo al Signore che mi dia serenità e perseveranza”. Da più parti gli arriva il consiglio di mettersi in salvo all’estero, malui,fedeleallasuamissione di pastore di anime, ammette: “Il mio dovere mi obbliga ad andare con il mio popolo; non sarebbe giusto dare una testimonianza di paura. Se la morte verrà, sarà il momento di morire come Dio ha voluto”. Sul volerediDio,però,arrivainanticipoilvolere di chi, nelle stanze del Potere, ha decretato la sua condanna a morte. Il 24 marzo 1980, alle ore 18,25, al termine dell’omelia, viene freddato da un colpo d’arma da fuoco sparato da un cecchino.

Bisogna andare indietro nel tempo per avere notizia di un altro arcivescovo assassinato sull’altare nel corso della celebrazione

di una messa. Si tratta di Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, ucciso il 29 dicembre1170 afil di spadanellacattedraleinglese da quattro sicari, in obbedienza al volere del re Enrico II, infastidito dalla “turbolenza” di quel “prete” che aveva osato scomunicarlo. Thomas Becket fu proclamato Santo nel febbraio del 1173 dal papa Alessandro III e ascritto nel catalogo dei martiri.

Il nostro mons. Oscar Romero, ugualmente vittima e martire dell’intolleranza del potere politico, è stato proclamato Santo il 14 ottobre 2018 da papa Francesco.

Il libro di Anselmo Palini, raro gioiello di spiritualità, storia e cultura, ci consegna con rigore logico e filologico le tappe terrene di ascesa al Regno di Dio dell’intrepido assertore di verità e giustizia, quale fu indubbiamente l’arcivescovo di El Salvador Oscar Romero, tenace combattente per l’affermazione nella sua patria della dignità umana e dei diritti fondamentali dei poveri. In un mondo piegato e asservito alla volontà tirannica di una oligarchia unicamente intenta a cullarsi nei suoi secolari privilegi e fieramente protetta dalle sentinelle armate dei militari golpisti, la sua presenza e voce sono stati semi di speranza per milioni di persone in attesa di mettersi in un cammino nuovo e veramentecristiano dellastoria.Martiredella fedeltà alla sua missione di pastore totalmente convertito allo spirito del Concilio Vaticano II, di Medellín e Puebla, la sua aureola di santità brillerà in perpetuo e sarà stimolo alla conversione per i tristi e guida al cammino dei giusti sui sentieri della Fede e della Risurrezione.

Anselmo Palini: OSCAR ROMERO “Ho udito il grido del mio popolo”, Editrice AVE, maggio 2019

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Antonio
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TRAGUARDI DELLA CRITICA

LETTERARIA

ALLA critica senza condizionamenti ideologici, al suo assiduo scavare e valutare anche con sguardo storico, la cultura italiana deve davvero molto. Penso al deciso quanto autorevole riconoscimento della grande arte di Verga «fatta di bontà e di malinconia», riconoscimento operato da Croce già nel 1903, ossia molti anni prima che l’ancor giovane Luigi Russo, nel lontano 1920, ne fissasse gli aspetti essenziali nell’appassionato saggio verghiano, arricchito poi negli anni dallo stesso studioso, e che resta, a mio parere, tuttora fondamentale.

Un esempio, sul quale si misurò con passione la mia generazione, fu il ripensamento della seconda stagione di Leopardi culminante nella Ginestra, scavalcando la conclusione, ingiustamente riduttiva, di Croce: “Leopardi poeta dell’idillio”, formula che era divenuta il titolo di un libro di Fernando Figurelli edito nel 1941. La cultura italiana ha così potuto arricchirsi di una più motivata fruizione dell’ultimo Leopardi, culminante nel messaggio supremo della Ginestra, finalmente sottratta all’ipoteca del crivello crociano ‘poesia non poesia’, e salutata nella pienezza del suo diritto di affermarsi in unità dialettica di poesia pensante e pensiero poetante; e fu liberazione e stimolo per tutta

la critica italiana. Il fiore «che il deserto consola», e impavido sfida l’assurdo dell’esistenza e la spietatezza della natura destino, è forse anche una pertinente icona, nell’intenzione poeta, della poesia in genere e in particolare della cosiddetta “poesia eroica di Giacomo Leopardi” (magistralmente sintetizzata in uno scritto di Walter Binni con questo titolo, compreso nel volume La protesta di Leopardi).

Debbo comunque ricordare che a Walter Binni, sostenitore intransigente della nozione di un “ultimo Leopardi” anti idillico, dava fastidio, quasi fosse indebito ritorno all’idillio proprio alla fine della vita, la presenza del Tramonto della luna, definito momento «debole dell’ispirazione leopardiana e scarsamente animato», con «una musica stanca». Eppure quel testo esiste, ed esiste proprio in quel momento supremo dell’esistenza di Leopardi, ed è uno splendido testo poetico, molto caro a Ungaretti, che non si può certo dire che non si intendesse di poesia, e che tra l’altro, per anni, aveva dedicato a Leopardi gran parte delle sue lezioni nell’Ateneo romano. Estraneo a teoremi critici preconcetti, Ungaretti partecipava con emozione alla «grande pausa cosmica»prodottadallascomparsadellaluna ed evocata in quella che egli definiva addirittura, in un momento d’entusiasmo, «la più bella poesia di Leopardi».

La proposta critica di Binni, peraltro motivata e comunque stimolante, in quel caso sfiorava il rischio di irrigidirsi in ideologia.

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Rischio presente, equanto, nel saggio leopardiano, senza dubbio coerente e rigoroso, di Croce in Poesia e non poesia. Quando si confrontava con Leopardi, Croce era soltanto il critico che giudica e distingue, e in quell’occasione era lontana da lui la sintonia, chehopoc’anzi salutato musadell’interprete, sintonia invece generosamente presente nel saggio crociano su Ariosto.

Torniamo ora a ricordare, con gioia e compiacimento, alcuni meriti e doni della critica nostrana. Sottratto alla fruizione quasi casereccia dei simpatici “romanisti”, Giuseppe Gioachino Belli,unodei miei poeti prediletti, entra a pieno titolo nel Parnaso dei grandi soprattutto per merito di Giorgio Vigolo, che fu anche notevolepoeta e critico musicale, e poi di Carlo Muscetta e della sua scuola. Senza dimenticare che già Sainte Beuve, nei Nouveaux lundis, aveva definito Belli «un véritable poète», dopo che Gogol’ gli aveva parlato con entusiasmo delle letture che il poeta faceva dei propri sonetti nel salotto romano dellaPrincipessaWolkonskaia. Inoltre, a quanto pare, D’Annunzio considerava Belli il miglior artefice di sonetti dopo Petrarca e negli anni del soggiorno al Vittoriale ne teneval’operasul comodino. OraBelli, dopo la memorabile edizione commentata di Giorgio Vigolo (1952), appare in una monumentale edizione critica e commentata, a cura di Pietro Gibellini, Lucio Felici e Edoardo Ripari, consacrandolo, come merita, tra i maggiori classici d’ogni tempo. Acquisizioni come queste appartengono come un dono a tutti noi; sono accolte a pieno titolo anche nelle scuole; sono integrate nella coscienza culturaleitaliana, enonsoltantoitaliana. Vergaormai si studia nelle scuole almeno si spera anche fuori dello schema limitante dell’appartenenza al realismo europeo, che rappresentò per lo scrittore, nel momento della nodale della metà della vita, un incentivo maieutico più che un condizionamento: la “spinta liberatrice” felicemente intuita e segnalata da Croce. Nella cara e fervida stagione “verghiana”, stagione ancora felicemente giovanile, del mio lungo cammino

d’interprete, dietro quella ricerca del vero avvertivo la ricerca dell’“autentico”, nell’accezione esistenzialistica del termine. Avvertivo l’implicita ricerca, anche etica, del senso della vita (e forse indirettamente anche della ‘propria’ vita).

IL TRENO DELLA FANTASIA

Sto aspettando il treno della fantasia, mi crogiolo al pensiero che non arriva. Da tempo i miei pensieri non hanno senso, sono sempre chiusi in un labirinto, non trovano la via d’uscita, ed io sono triste, non ho più la mia vita.

Avevo una mente attiva dalla sera alla mattina, anche la notte la fantasia straripava e come un fiume in piena riempiva fogli e fogli di pura e splendida magia.

Il treno della fantasia era sempre con me, non mi lasciava mai, non aveva un altro luogo dove andare, ed io tanto felice lo potevo abbracciare, e insieme con tanto amore, creare e fantasticare. Ora le rotaie si son rotte, il treno non c’è più, è sparito con Lui lassù. Io sono qui e non mi posso rassegnare, non ho più voglia neanche di respirare! 29 10 2022

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Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)

SOGNO

DI UN POMERIGGIO DI FINE ESTATE di MASSIMO ARRIGONI E NICOLA FRANGIONE

stata una performance nel segno del teatro della voce quella del 18 settembre 2022, alle ore 18, nella sala Esposizioni dell’ex convento Santa Maria la Vite a Olginate, dal titolo Confessioni analogiche, che Massimo Arrigoni e Nicola Frangione,

“entrambi poeti sonori caduti l'uno senza senso, l'altro senza voce”, hanno inscenato con cinque documenti d'archivio in una audioinstallazione composta da cinque registratori a cassetta distanziati tra loro in cinque punti dello spazio a disposizione.

Uno stupefacente ablativo assoluto, svincolato da qualunque legame, senza testo e senza autori, nonché senza attori sulla scena, semplicemente reso possibile dalla tecnologia e dall’ascolto del pubblico. Nessuna trama o intreccio se non quello che le parole, tra storie e memorie, evocano da un passato analogico ormai lontano.

Questi i documenti in scena: Una segreteria telefonica, contenente 21

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È

audio cassette che documentano l'intera messaggeria registrata nell'arco di un decennio. Una sorta di lungo diario sonoro, narrato in viva voce, nell’assenza di Arrigoni.

Confessioni di Antonius Block, tratto dalla sceneggiatura Il Settimo Sigillo di Ingmar Bergman, qui adagiato nel Silentium di Arvo Part.

Voce cevovoce, nel 1980 Frangione taglia e cuce il fonema “voce” trasportandolo in azione ritmica, in gioco linguistico e di parola.

L’intervista, la voce robotizzata è di Rocco Agostino registrata nel 1984, una narrazione drammatica svela la sua dolorosa esperienza.

Incorporalità, interazione fonetica a due voci (Frangione Arrigoni) una sperimentazione sui rapporti testo musica voce corpo scenico.

Parole, indistinte e confuse, che ora si sovrappongono, ora si precisano, a seconda che chi ascoltasi avvicini osi allontani dallefonti sonore, in questo teatro della voce, dove quel che conta non è più il dire, ciò che quel dire significa, ma l’ascolto di parole che sembrano fluire libere, come da copione futurista; e di Ungaretti, per il quale la parola poetica è “tremante”, è “foglia appena nata”, come se nascesse nel momento in cui il poeta la pronuncia.

E non solo, anche come da lezione del Gruppo ’63 e dello strutturalismo, che sul finire degli anni ’60, finirà per investire tutti i campi del sapere umano: dalla biologia alla

linguistica, dalla sociologia alla filosofia, dall’antropologia all’etnologia, dalla psicanalisi al marxismo, dalla letteratura al teatro e all’arte in generale.

E proprio come gli strutturalisti, che amavano commentare le opere d’arte senza tener in alcun conto i rispettivi autori, ritenendo l’opera d’arte figlia solo delle proprie regole e della propria struttura, anche Arrigoni e Frangionepropongono un teatrosenzaautori, dove il testo viene sostituito da una vera partitura di voci, le cui variazioni suggeriscono un andamento di ritmo musicale.

Come in questa loro performance, frutto di un’interazione di generi che ben si contaminano e si amalgamano in un gioco che ha valenza comparatista, avendo all’attivo “una vera storia delle correnti letterarie comuni, di prestiti e di anticipi, di restituzioni, di mediazioni, di immagini, secondo lecategorie della storia, della letteratura, dell’estetica, della filologia, della psicologia individuale.

E non solo, Massimo e Nicola, con questa loro azione scenica, finiscono per far mutare pelle anche al pubblico, tanto che il suo profilo non sarà più così voluminoso come al tempo del teatro di corte o dello spettacolo di massa, esso è ridotto a pochi intimi che si muovono attorno all’attore o agli oggetti in scena, mandando in soffitta l’abitudine di starsene in disparte di qua dal sipario.

Uno spettacolo, o altrimenti detto teatro da camera che, anziché fare della scena e della sala due mondi chiusi, senza comunicazioni, diffonde i suoi bagliori visivi e sonori, su tutto il pubblico, fino a fare uno spettacolo totale.

Ora, chiamare semplicemente con il nome di attori artisti come Massimo Arrigoni, che si definisce poeta sonoro e noto ignoto commediante, interprete di un teatro come poesia, musica, istallazione, editoria; e Nicola Frangione, chesidichiaraartistainterdisciplinare, dalle arti visive alla grafica editoriale, dalla perfor-

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mance art alla poesia sonora e visiva, è davvero rimpicciolirne la figura. Non si rende davvero giustizia né a loro, né alla causa per cui si battono nel tentativo ideale di ricreare l’emozione e la partecipazione proprie dell’antica ritualitàdellaliturgiadrammatica, ormai dimenticata e assente da secoli nella vita del teatro europeo del Novecento.

Certo, sono nobili le tematiche di questo teatro di Arrigoni e Frangione, ma ancora più nobili quei loro fini di recuperare un’idea del teatro che si è perduta, come preconizzava Artaud che lo voleva legato alla vita spiritualeeculturalediunpopolocomequello balinese, non adulterato dalla tradizione accademica, né umiliato dalle ragioni commerciali, come è da tempo quello europeo.

questo concetto superiore del teatro.

O forse un sogno. Anche. Un sogno di un pomeriggio di fineestate, con dueartisti, anzi solo uno, perché Frangione non è potuto essere presente per problemi di salute, e altri pochi intimi in ascolto.

Giuseppe Leone Pag. 9: Foto spettacolo. Ex convento Santa Maria la Vite, Olginate Lecco), 18 settembre 2022. Pag. 10: Massimo Arrigoni Pag. 11: Nicola Frangione

LA PARETE DI ROCCIA

La parete di roccia splende al sole accecante nell’ora mattutina. Mostra al cielo le innumeri ferite infertele dal tempo: fenditure, crepe, dirupi e qualche nicchia dove sola e libera l’aquila fa il nido. Ciò che serba nel suo cuore profondo la parete di roccia non rivela: forse serba il segreto arduo del mondo; di ere primordiali ormai remote il misterioso abbaglio e l’avventura. Passano bianche nuvole nell’alto, mosse da un vento che seco le porta veloce, all’assalto delle cime.

Da qui, l’urgenza di un teatro che non sia al di qua degli avvenimenti, la cui risonanza in noi sia profonda, e domini l’instabilità dei tempi, perché la lunga abitudine agli spettacoli di evasione ci ha fatto dimenticare l’idea di un teatro serio, che, sconvolgendo tutti i nostri preconcetti, ci trasmetta l’ardente magnetismo delle immagini e agisca su di noi come una terapeutica spirituale la cui azione lasci per sempre la sua impronta.

Un’idea di teatro senza dubbio forte, salvifica, questa di Arrigoni e Frangione, drammatica, in un mondo che decade e che si avvia senza accorgersene al declino; un’idea, che essi lanciano come una scommessa, coscienti che non sia poi così facile arruolare per quest’impresa uomini capaci di imporre

La parete di roccia le contempla e a tratti un’ombra svaria sul suo volto ammaliato da un sublime incanto. Pare stupire, tesa nell’ascolto di una voce lontana che a lei sale tra la fuga dei pini e degli abeti. Rotola un masso. Per aeree scale. Si moltiplica l’eco del rimbombo, alla corsa che a valle lo conduce in un fiume di schegge. Nel mattino, legata al suo immutabile destino, come ravvolta da un aereo manto, inseguendo il miraggio che la tiene (sono i ruscelli le sue bianche vene) la parete di roccia è tutta luce.

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Noterelle su “RESURRECTIO (VIAGGIONELDOLORE)”

DI DOMENICO DEFELICE

una raccolta interessante e intensa questa Resurrectio di Domenico Defelice (Genesi, 2004), Viaggio nel dolore come recita il sottotitolo declinato nelle articolazioni di una modernaVia Crucis in XIII stazioni, nel corso delle quali l’uomo ammalato e dolente sperimenta uno stato di progressiva alienazione. Condizione che espone al rischio di perdere le insegne distintive dell’umanità medesima.

L’opera è accompagnata dalle valide pagine introduttive di Vittoriano Esposito e di Maria Grazia Lenisa, scrittrice ch’è tra l’altro evocata in un testo che fonde e confonde letteraturaevita nellaVIIStazione,insieme a Novella Casadei, Pasquale Matrone e Giorgio Barberi Squarotti. Il nucleo fondante dei

testi di Resurrectio è seguito da un’Antologia minima di poesie di Defelice, tutte già precedentemente pubblicate, che appaiono in linea con l’allure della raccolta, sino al bel Canto a Dio chechiudelasilloge. “Chenon siabuio pesto. / Altro non chiedo” è un explicit di lapidaria bellezza, degno suggello di un testo nonprivodi echi danteschi (“Lasciami al pie’ del colle”, per cui cfr. Dante, If., I, 13 “Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,” ma anche Petrarca, RVF, 8 “A pie’ de’ colli ove la bella vesta”) e incentrato su una ‘fame di luce’ (“non accecarmi con le tenebre”) in cui tanti potranno riconoscersi.

La costruzione della sezione Resurrectio è intriganteecaratterizzatadaun esile fil rouge narrativo. Il primo testo è già fortemente indicativo delle caratteristiche della raccolta. Esso è incentrato sulla scoperta del male, in seguito a una visita ospedaliera. L’Ospedale sarà poi nell’intera silloge trasfigurato nell’“Officina Santa Fragola”. Emerge subito il contrasto tra una figura femminile morbida ma in netta stonatura con il contesto (“la segretaria di Peynet / minigonna e bei glutei / sorride tra clienti / che narrano dolori”), nel finalesoggettaaun processo di assimilazione meccanica, e un “dottore (…) irraggiungibile”. Quest’ultimo risulta subito decisamente privo di empatia; ciò si coglie da un dettaglio che poi sarà tipico delle figure di medici della raccolta. Ci riferiamo alla negazione dello sguardo: gli occhi fissi sui computer finiscono con l’impedire qualunque possibile apertura alla contemplazione del “volto umano” dei pazienti.

Ne consegue che il lessico di questo come degli altri medici e non di rado dei loro assistenti e infermieri finisce con l’essere espressionisticamente, esurrealmente, crudo. Come se fossero addetti a un mattatoio, essi sirivolgono alpaziente eagli altri ammalati con un linguaggio plebeo, volgare: “Mostrami il ventre / dalla cintola in giù, fino al pisello”. E questo è solo un caso fra i tanti. Il turpiloquio concorre a pennellare un’atmosfera concentrazionaria. Al lettore non

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È

sfugge il riferimento, che diviene un Leitmotiv di Resurrectio, a Dante, If., X, 33; esso finisce tuttavia con il risultare decisamente straniante, perché nel contesto della Commedia era allusivo a una figura Farinata degli Uberti che si ergeva statuaria tra gli eresiarchi; le parole in questione erano tra l’altro affidate a Virgilio. Qui l’ossessione citazionale cade sulle labbra di medici e assistenti, equivalenti dei demoni e delle creature mitiche tormentatrici dei dannati. Essa finisce, lungi dall’innalzarnelastaturatragica, con ildeprimere ulteriormente la condizione degli ammalati,riducendoliaunasortadiinformeammasso di carne, a una nuda fisicità priva di connotati dignificanti. A completare l’atmosferail trionfodellemacchine, ipcdei medici e i macchinari sanitari, di cui Defelice riproduce i suoni onomatopeici, anche qui allo scopo di rievocare il frastuono dell’Inferno dantesco e suggerire la disumanizzazione.

Molti gli elementi simbolici degni di interesse. Affiora spesso il motivo del tunnel: “L’Ufficio Accettazione / è un budello lungo” (II Stazione); “Siamo in un tunnel gelido e spettrale” (III Stazione); “Siamo in un altro tunnel verdastro / dalle luci limbali” (VII Stazione); “Un lungo tunnel, ancora un ascensore” (XI Stazione). Spesso al fondo di questi labirintici corridoi si scorge una luce, ma si tratta sempre di un’illuminazione artificiale, che non lenisce, ma acuisce il senso di sgomento. Questi luoghi sono sempre connotati dal freddo, altro motivo ricorrente nella silloge, sino al testo eponimo, il quale non a caso si apre con il bell’incipit “La rosa di luci gelide / s’è chiusa”.

Questi dedali, riecheggianti di suoni meccanici e connotati da luminescenze e colori spettrali,sonoilteatrodiapparizionidifigure di medici e operatori sanitari (soprattutto operatrici) dai lineamenti deformati, nell’innesto di componenti letterarie, mitiche, mostruoseo teriomorfe. Voltiinquietantidi Gorgone connotano l’ambientazione della I stazione; Elisa, guida nei labirinti dell’ospedale è una “virago bionda” dalle “labbra tumide”;

nella IV Stazione si ammicca a Balzac; il medicodellaVèassimilato aunVampiro;iltecnico dell’ottava stazione ammicca all’iconografia di Mosé (“cornuti capelli alla Mosé / con in mano le Tavole fumanti”). E poi ancora sono evocati Yul Brinner, levalchirie, la musica di Rossini, i Giganti delle tradizioni popolari; affiorano talora riferimenti alchemici, ricorre la presenza del legno dell’acero… Numerosi sono gli elementi dotti che puntellano la raccolta, ben curata dal punto di vista linguistico e stilistico, in un virare continuo dal sostenuto al plebeo, con aperture ai linguaggi tecnici, al lessico medico (il catalogo della II Stazione ammicca a suggestioni jacoponiche), al latino come all’anglismo.

Un percorso intenso e dolente, pervaso d’amara ironia, in cui l’uomo attraversa la sua “via Crucis con anestesia” per poi risvegliarsi, circondato finalmente dall’amore dei propri cari (“Clelia e i nostri figli han gli occhi lucidi”) e aurato da una luce salvifica, dolce elargizione di una Natura tornata benevola: “Dalla persiana / entra uno sciabordio di luce / filigranata dagli aghi dei pini”.

LE PAROLE

Vale, mille volte vale l'attimo sospeso. Ancora una volta, le parole sole, povere e disadorne a significare. Piange il fanciullo delle favelas, nella discarica non ha trovato nulla; piange il bimbo nero sulle onde di un mare in tempesta come la sua vita. (sua madre l'ha affidato agli scafisti, sperando vanamente abbiano un cuore). Piange il bambino ucraino, non ha più casa, le bombe l'hanno costretto sulla strada,' alla fame e al gelo... Piange il bambino divino nella culla. È Natale! Forse quel pianto sarà lavacro di questo nostro mondo.

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IMPERIA TOGNACCI LA META È PARTIRE

IMPERIA Tognacci, autrice romagnola di San Mauro Pascoli, in questa ultima sua impresa, La meta è partire, mette a frutto buona parte del suo patrimonio letterario finora adoperato; quanto al titolo esso ricalca un verso di Giuseppe Ungaretti: “Qui la meta è partire”, come indicato nell’esergo. Fonde insieme arte versificatoria e vena narrativa, costituendo un poema. In copertina Psiche apre al sogno di John William Waterhouse, una fanciulla con scrigno in mano. Chi ne abbia contezza sa che le opere della Nostra, improntate sulla sua vasta cultura, anche per formazione, sono intrise del mito classico rivisitato nella realtà quotidianità; coerentemente le note critiche, che qui seguono, rispondono a queste caratteristiche.

Francesco D’Episcopo intitola la propria prefazione “Poema cosmologico”, avendo ri-

levato nell’attività professionale e nella produzione di opere di Imperia Tognacci, il suo senso della vita. Centrale diventano l’Amore e la Poesia, fra le quali lei agisce come moderna sacerdotessa, attingendo alla “memoria” in cui i soggetti dialogano nel segno del confronto e del bene verso l’umanità.

Marina Caracciolo, nell’introduzione, confermando quanto su esposto, spiega che protagonisti deldialogo sonoilPoeta,Psicheche fa da guida, ed Eva, ai quali si aggiungono la Ragione, Calliope e divinità e personaggi dell’Oltretomba. Il tutto finalizzato al trionfo della vita sulla morte, al superamento dei limiti del tempo; mirando, la poesia, a indicarci la via del Bello e del Vero. Infine conclude assicurando che è “Una fede che non può che albergare in sommo grado proprio nell’animo e nel pensiero dei veri poeti.”

L’opera si sviluppa in undici capitoli dei quali il primo e l’ultimo sono anticipati da un esergo, rispettivamente di Apuleio, riguardante Orfeo e Psiche; e di Euripide, sulla morte. Le due note critiche di cui sopra, focalizzano esaurientemente il nucleo centrale del poema. Al lettore è lasciato il piacere di godere dei versi sciolti e scorrevoli, in una misura ordinata, ora piani, ora alati, a volte sognanti nel giardino lussureggiante; contenuti sempre legati alla realtà e perciò l’opera ci invita a stazionare su alcuni momenti topici, per riflettere. Il tutto è legato e quasi avulso da ogni dimensione temporale e spaziale, sebbene vi siano inseriti temi reali sociali, senza forzature, quale quello molto serio delle migrazioni; come pure della memoria e dell’ansia che prende gli scrittori (donne e uomini). ***

Il poema prelude un Eden fin dall’inizio. Forse commetterò qualche forzatura. Ho avuto l’impressione di trovarmi dinanzi alla “Primavera” del Botticelli, dove Imperia Tognacci si sdoppia: in una voce esterna narrante e una interna in cui prende corpo il sogno. Anzi, la Nostra si moltiplica in più voci. Dirò fin da subito che il transfert, conseguente in ciascun autore, qui pare riflettersi

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in un gioco di specchi, dove a mutare è solo il nome. “Io sono sogno che grida all’onda: / ‘Accarezzami, avvolgimi’. / Resta spenta, mitica lampada. / Senza fine sia il mio sogno!”

Per esempio, la figura dello scoglio, da una parte rappresenta una barriera, un frangiflutti; insomma metaforicamente si mostra come uno scudo; nondimeno può suggerire un connubio continuo, segno del desiderio di una tenera carezza e di una sferzata insieme. D’altronde il mare per sua natura non resta immobile. In unasortadi dialogoserrato, serrato come il battito del cuore durante una corsa, di alta tensione, si appalesa Calliope, la musa della poesia, che chiarisce al Poeta, il senso di cosa debba intendersi per poesia nei tempi in cui viviamo. Con un salto temporale la Nostra si muove entro il suo ambito quotidiano descrivendo gli oggetti in casa, come un “pennino spuntato”, un quadro in cui è rappresentato il teatro di Taormina; le sembra di avvertire un boato dell’Etna insieme all’aroma del caffè del mattino come se rinascesse, simile alla mitica Araba Fenice.

L’Eden sirisveglia, dopo lo smarrimento in cui tutto taceva, e Zefiro soffia dolcemente ridestando Eva: “Eros, nascosto / tra le nebbie dell’Olimpo, / ora è nel sole.”Nell’incantevole giardino il Poeta le confessa: “Con te voglio naufragare/ nell’universo e rinascere/ ascoltando di Liszt le note”. Osserviamo qui la commistione del mito e del biblico, con il moderno. E per tutta risposta la donna gli si abbandona.

Si presagisce un viaggio nelle parole che indicano movimento. Imperia Tognacci affidaal Poetal’interrogativo riguardanteil mistero che, forse, sta “Nel primo vagito del mondo”; e Psiche lo sollecita a lasciarsi andare al sogno insieme con Eva, poiché ci portiamo tutta l’interiorità dai millenni trascorsi. Siamo tormentati nella ricerca “di armonizzare i battiti dei cuori” e sebbene ne siamo coscienti, vorremmo trarre un conforto ai nostri fremiti. Il Poeta decide di prendere il “treno”, mentre Eva lo invita a stare con lei: “non cambieremo la rotta/ per il canto delle

sirene.” Anche in questo caso abbiamo una commistione tra moderno e classico.

È come constatare che Eva è in ciascuna donna e che Eros è volubile perché si comporta come un Narciso. Eva dice di volersi liberare dai catenacci, ma perde la rotta, alla maniera di come Ulisse ha ritardato il ritorno a Itaca. Psiche spiega ancora una volta che l’Eva che il poeta cerca è già in lui. Sembra vivere un bel sogno, ma “La luce fredda dei lampioni/ ti porta dentro sentore di solitudine.” (p. 39), in un alternarsi di sogni e realtà, ma ai sogni non bisogna rinunciare. Sembra che la voce narrante, come corifeo, intervenga quale sibilla o quale Pizia dall’oracolo ambiguo, spiegandoal Poetache “Psiche non segue il tuo passo. / La tua anima è sepolta, poeta, / sotto la terra di sospiri/ e di vane parole. / (…) / Presagio di sventura il morso/ nel frutto della superbia.” Riferendosi a Proserpina nel regno dei morti, si commenta il dissolversi degli umani che siano “senza ancoraggio”.

Imperia Tognacci sembra avvertire che il serpente biblico continua a esistere sotto varie sembianze, circostanze e illusioni. Versi drammatici, strazianti, si presentano quando viene narrata la circostanza in cui si ode, in mezzo alla folla, una voce venuta a mancare che pare riconoscere e non si vuole dubitare che non sia essa (a pag. 48). Si ha la consapevolezza della propria sofferenza che si tenta di spegnere abbracciati al cuscino, con il sacrificio di avereperduto l’Eden. Nellasolitudine e nel silenzio della notte, le evocazioni sono maggiormente pressanti. Così: “ricerchi, poeta, / le tracce di orme sepolte” che sembra riconoscere nei luoghi vissuti; riconoscereleimprontedellemani sul portone. Così: “Galeotto fu l’oscurarsi della luce, / nella stanza del primo valzer. / Si spalancava la porta interiore/ al frenetico vibrare del cuore.” (p. 52). Sono troppe le lacrime versate per le proprie pene e soffriamo per le ingiustizie odierne verso i nuovi schiavi dalle “schiene curve”.

Abbiamo perduto il senno, siamo accecati, disorientati dalle masse che acclamano i

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nuovi Barabba; così tu poeta: “Come onda di mare/ che stenta a trovare la sua meta, / avanzi tra solitarie folle, / ammaliate dal miraggio dei social” (p. 56). Nel labirinto della vita non abbiamo il filo che seguì invece Teseo. Siamo frastornati da voci indistinte che reclamano il proprio imperio, così il “cellulare”, così l’evocazione della “notte del Getsemani”: siamo catturati da enigmi. Il poeta smarrito, senza ispirazione, viene esortato a riprendersi, dopo essere stato ridotto come “stoppie incenerite”, come un campo incenerito (ristuccia, comediconoinSicilia).Psiche osserva l’abbandono del poeta alla “noia mortale”, o come barca ha “le cime legate alla bitta”, o fa l’inutile fatica del mitico Sisifo, lo invita a liberarsi della zavorra per rivedere la sua Eva. “Salvami, Psiche, / cammino, ma non sono miei/ questi passi: mi portano/ dove io non sono.” (p. 64). Mentre “Bacco s’inebria/ in concerti di voci stonate”, speriamo nel prodigio che i semi riprendano a germogliare, nella poesia e nell’amore.

Tornando alla realtà si prende coscienza di una casa desolata, segnata da un orologio a pendolo che non oscilla più, ove Eva invita il Poeta a starle accanto. Desolazione anche per i nuovi “schiavi bruni” sfruttati dal lavoro. Psiche mette in guardia dalla tecnologia telematica, dalle convenienze sociali. Anche la vocenarrantemettein guardiadallevaneglorie, nonché dalle tante lacrime versate, ricordando che ciò che cerchiamo l’abbiamo già con noi, ma non ce ne rendiamo conto. Dobbiamo prendere coscienza che siamo solo “frammenti d’infinito”, parte dell’armonia universale.

Il Poeta non è ancora partito, è rimasto “nudo e solo”. In un gioco di parole dal doppio senso, abbiamo le mitiche Moire che sopraintendono alle morti e ci chiediamo quando sarà il nostro turno. Vediamo sotto i nostri occhi il regno dei morti con il fiume Acheronte, il suo traghettatore Caronte, il Cerbero cane con tre teste, una visione dell’Inferno dantesco. “Né Psiche, né Caronte, / né la ragione, / che alza il suo scettro,

/ riescono a cancellare/ le orme del passato/ dal cuore non spento.” (p. 80). Il poeta, grazie ai suoi versi, riesce a moderare il traghettatore il quale consente così di avvicinare le due sponde, della morte e della vita, cioè il Poeta e la sua Eva: la meta è raggiunta! ***

Ho indugiato alcune volte sulle metafore presenti, tratte di frequente dalla letteratura classica (greca e romana), biblica (il morso alla mela, Barabba acclamato dalle folle), tratte dal moderno (il biancospino, l’urlo di Munch), altresì dalle cronache sugli immigrati; altri lettori troveranno spazio per ulteriori approfondimenti. Rileviamo che la meta, e quindi il viaggio, si avverte nei verbi e nelle parole indicanti movimento, come scritto in precedenza (onda, fiume, vento, pioggia, salto; anche albe e tramonti). Abbiamo assistito ad alcuni quadretti, come quando ci si affacci dal finestrino del treno o da un oblò di nave. Abbiamo incontrato Psiche e Amore, abbinamento tramandatoci dalle rappresentazioni artistiche; abbiamo in-

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contrato Orfeo, il poeta e musico generalmente abbinato al nome della sua sposa Euridice e qui mi sembra la grande assente (almeno nel nome).

La meta si può declinare sia come il fine che sta per scopo, sia come la fine della vita, che ugualmente riguarda il viaggio: un viaggio interiore, oltre il tempo e oltre il luogo. Man mano che procede il poema, avvertiamo chepuòtrattarsi di unaintimaconfessioneindirizzata da Imperia Tognacci a chi sa lei. Cosìil“penninospuntato”puòstarecomesegno dello sconforto per la mancanza di ispirazione e considerazioni sui mutati modelli creativi; così la pelle scura ci ricorda l’immigrazione di questi tempi. Ho provato a esporre le sequenze narrate, ed è poca cosa. Non vorrei essermi fatto prendere la mano dalla mia conoscenza delle opere precedenti su cui ho avuto modo di sostare (TITO CAUCHI, Imperia Tognacci, Memoria e Mito, Editore Totem, Lavinio Lido RM 2022). Quest’opera, La meta è partire, aggiunge un tassello che arricchisce meritatamente la produzione creativa della Nostra.

Tito Cauchi Imperia Tognacci: La meta è partire, Genesi Editrice, Torino 2022,Pagg. 92, € 15,00.

GUERRA IN UCRAINA DOPO OTTO MESI

Passano i giorni, le settimane, i mesi e la guerra continua senza tregua nella terra insanguina e sinistrata dell’Ucraina, contesa tra forze opposte, d’aggressione e di difesa. Catene di assurde pretese, minacce, ricatti, torture, morti ad usura, distruzioni che non hanno più una misura; sorrisi di serpenti con il veleno nei denti, bocche aperte di coccodrilli vogliosi di sbranare pesci e… anguille, sono strepiti e sordidezze quotidiane, che portano tristezza e sconsolanza in chi aborre la guerra e gli dèi armati. All’orizzonte spettri d’armi nucleari.

Spaventosa la messa in scena dei tristi, per dialogare sul come e dove spadroneggiare in forza di diritti aberranti, fertili nei prepotenti dalle menti torbide, scaltre, che alla gloria del crimine aspirano, come tristi esseri inumani, malfattori a tempo indeterminato, despoti di oggi, terroristi di domani. Nelle oscure e atroci stanze della storia i loro nomi sono già scritti col sangue, ad abominio di vita e imprese nefande, consumate come orridi pasti di sciacalli. La sofferenza della Terra, vittima umiliata e offesa da impositori di leggi maniacali, da spaventare giganti e nani, si manifesta con alzate di mani al cielo e preghiere alla Divina Potestate affinché la soccorra e allontani i mali che la rendono misera e depredata, regno di tenebre nell’ordine del creato.

Antonio Crecchia Termoli, 25 ottobre 2022

MUSA DORMIENTE

Dormire, per assurdo, con la certezza del risveglio, sognare la notte stellata al di là di nubi opache travalicare confini alla ricerca dell’amata nascosta da cortine di veli per ammirare i contorni dell’inaccessibile Dea che s’offre solo a tratti all’abbraccio rigenerante.

Misteriosa Musa che aliti tra respiri e sospiri e riemergi immemore di tempi lassi e grigi e germogli improvvisa tra profumi di mammole e laceranti dolori con occhi velati.

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Wilma Minotti Cerini Pallanza, Verbania

RACHELE ZAZA PADULA: COME PIERROT

COME Pierrot è il titolo del nuovo libro di poesie di Rachele Zaza Padula;un titolo con il quale, traendo lo spunto dalla prima di queste liriche, dove si legge: «Sarò come Pierrot / che piangeeride», l’autriceparevoler significare la duplicità della disposizione d’animo che trasparedaquestitesti,neiqualiserenitàetristezza compiutamente si fondono.

È, questo che la Padula ci dona, un diario in versi, nel quale ella annota i pensieri e gli eventi che le nascono dalla sua quotidiana esperienza di vita, traducendoli in poesia. Così accade per una visita medica (Dal medico), che le offre l’occasione per scherzare sul ritmo talvolta un po’ pazzo del proprio cuore; così è del ritorno del «nipote amato»

da Torino; un ritorno che la riempie di gioia e l’induce a sorridere a causa del suo precario equilibrio fisico (Swing); così è di un grave lutto che l’ha colpita, qual è quello della morte della sorella Rosalba, che rivede «bambina nella casa del padre» e della quale ella si prendeva cura, magari riparandole una bambola rotta (3 maggio 2017).

Ma anche l’osservazione attenta della natura fornisce l’ispirazione a queste poesie, comeaccadeper Il grillo smeraldo,dove«Un grillo smeraldo / sotto il cappuccio rugoso / di un fungo marrone / si ripara dalla pioggia / che cade insistente», mentre «Il sole s’apre un esile varco / tra due nubi gugliate».

Né manca in questi versi la meditazione di tipo scientifico, come avviene in L’universo, che così inizia: «Miliardi di anni ci dividono / dalla nascita dell’universo / che continua a dilatarsi»; edovelo stuporenascentedall’immensità del Creato porta la nostra poetessa a riflettere sul mistero in cui siamo immersi.

Si può scoprire in questi testi anche un richiamo mitologico (Le Nereidi) nonché la notazione paesistica (Castelmezzano). Ciò che più conta è però il rapporto umano, che emerge da poesie quali Un alunno di Lagopesole, da cui s’affaccia la figura di questo ragazzo che «non si univaai giochi / dei compagni», ma che in un mattino di marzo va incontro alla sua professoressa per offrirle «un mazzetto di giunchiglie. Si legga anche A Maria Teresa, dalla quale affiora l’immagine di questa donna che «con l’ironiadel suo sorriso / spesso ha consolato la sua tristezza».

Quanto alla forma, le poesie qui raccolte assumono quella del verso libero, non senza tuttavia qualche fioritura di versi classici emergenti dal contesto, quali «Non c’è passione che consoli il cuore»(Atarassia); «Non potrò più inseguire le parole»(La fine); «Una vampa di sole che risplende» (Noè); «Il cielo si colora di pervinca» (Chissà dove).

Sempre è comunque ben scandito il verso, dal ritmo suadente e armonioso; sempre ben pausato e felicemente compiuto, come avviene nella chiusa di Il mago pietoso: «Ahimè! Non per tutti / tornerà l’equinozio

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di primavera, / che la notte fa pari al giorno / e le rondini hanno sulle ali / la sabbia d’oro di paesi lontani». E come avviene anche in Trasmigrazione: «Perché non finirla qui. / Trasmigrare / prima che le ombre nere / tolgano lo splendore al giorno».

Feste paesane, come quella in onore di San Gerardo (29 maggio) emergono pure da questo libro, così come emergono «i Cavalieri della Tavola Rotonda», «avvolti nei loro mantelli rosso carminio» (Re Artù) e i trionfi della primavera che «ogni anno ci riporta / i mandorli in fiore», così come emergono «i barattoli di caramelle / [situati] nella drogheria della signorina Satriani».

Assidua è pure in questo libro la meditazione sul dolore e sulla morte, che un po’ dovunque si riaffaccia, ma che più frequente si fa verso la sua fine, nei testi di Fragmenta. Il tutto è poi permeato dal sentimento profondo della solitudine che per la nostra poetessa domina i giorni e lo scorrere lento del tempo. Così è di Illusione: «Sono sola nella mia casa / e mi fingo voci amate» e così è di Fedeltà: «La solitudine è una compagna / fedele dall’alba al tramonto» o di Dove sei? «Giulio, oggi il vento / m’ha portato le tue parole. / Ma tu dove sei?» ecc.

Per quanto riguarda poi l’avanzare dell’età e l’approssimarsi della morte, si legga Il girasole: «La malevolevecchiaia/mi èrotolata addosso» e Il tarlo: «Non c’è ruga del mio viso / che io non conosca».

Un libro vario, dunque, questo Come Pierrot di Rachele Zaza Padula, nato dal vario succedersi dei giorni e permeato da quella profonda saggezza del vivere che nobilita il verso e rende più profondi i pensieri.

RACHELE ZAZA PADULA: COME PIERROT, (Osanna Editore, Venosa, 2022)

CONCLUSIONE

In una notte tersa di novembre lento percorrerò le ultime scale col cuore freddo, vuoto più che mai e con la corda in mano. Poi aprirò il balcone, e legherò ben saldo un capo della corda alla ringhiera: e muto scruterò il frusciare della notte con l’altro estremo in pugno. Davanti intorno e sotto vedrò il buio, sereno e nero il cielo riempirà i miei occhi. Poi nella luce nera del silenzio saluterò il giardino solitario, i noccioli, il ciliegio, la pergola d’edera dove i ghiri camminano veloci, che farà ombra al mio corpo l’indomani. Mi volterò poi un attimo soltanto e vedrò la luce delle scale come sempre, e giù nella stanza che ho lasciato spierò Alex che legge Topolino; mi passerà un sorriso sulle labbra. Poi senza fare rumore annoderò un cappio come per un amo e me lo passerò intorno al collo; mi siederò un istante sulla balaustrata, chiuderò gli occhi e respirando fondo ascolterò lo sciacquio del torrente e la brezza che scivola sulla Valpolicella; ed i sussurri dolci della sera nasconderanno il tonfo del mio corpo.

Rudy De Cadaval Da: Rudy De Cadaval una vita per la poesia, di Domenico Defelice, Istituto Editoriale Moderno, 2005.

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ILDONODELL’AMICIZIA AUTENTICA

ECCOcari amici lettori di Pomezia Notizie, questa volta voglio, devo parlare di un uomo che mi è stato amico da subito senza pensarci, senza tentennamenti: Domenico Defelice, il direttore e il geniale inventore della nostra amatissima rivista.

Un giorno un grande amico appena scomparso Brandisio Andolfi mi passò il numero di una rivista che non conoscevo, invitandomi a mandargli dei miei scritti.

E aggiunse che potevo farlo tranquillamente, poiché il direttore era persona interessata essenzialmente a fare una rivista aperta a tutti, non disdegnando ovviamente la qualità.

Io lo feci da subito e da subito fui accolto nella grande casa che Domenico Defelice aveva tirato su per accogliere tutti quelli che avevano piacere di entrarci.

La sua casa letteraria la fonda nel 1973: anni complessi, difficili politicamente, ma vivi, innovativi, ricchi di nuove esperienze artistiche e letterarie.

Casa che era il suo punto di approdo, ma anche quello d’inizio. La rivista gli dava la possibilità di scrivere, di esprimere i suoi convincimenti senza sottomissioni, con grande trasparenza e libertà.

Scrive nel luglio del 2013, per i primi 40 anni della rivista: «una testata mai appiattita su un solo tema …, coraggiosa, senza peli, che i potenti non li ha certo lisciati, anzi!»

Si comprende che siamo di fronte a un uomo libero, chenon cerca compromessi, ma amicizie le quali lo devono arricchire e nel contempo far crescere, anche in riferimento alla sua creatura letteraria. E così avviene.

Cerca, negli annidellagiovinezza, quasidisperatamente di conoscere Francesco Pedrina,suo mito; ciriesceedalgrandemaestro trae grandi insegnamenti per sé e la sua rivista.

Ma non sarà il solo dal quale apprenderà. Necito soloqualcuno comeMaria Grazia Lenisa, Solange De Bressieux, Giorgio Barberi Squarotti, Peter Russell. Preziosissimi collaboratori e consiglieri che hanno portato prestigio e nome alla testata da lui diretta. Gli altri, tantissimi e non meno importanti, per

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chi volesse approfondire, sono citati con precisione e dovizia di particolari in alcuni saggi scritti in questi ultimi tempi su di lui. Come quello di Tito Cauchi, di Aurora De Luca, di Claudia Trimarchi. Queste ultime due ne hanno fatto, del suo impegno letterario, studio approfondito fino a farne materia di tesi di laurea.

Ma io non voglio fare in questo spazio che mi viene concesso ogni mese, ciò che altri hanno già fatto molto bene e con grande professionalità.

Voglio parlare dell’uomo Defelice, che lascia consapevolmente la sua amata Calabria: aspra, atratti inospitale, difficileper un uomo che è attratto fortemente dalla voglia di dire, di fare, di mettere alle sue azioni future, poi lo si comprenderà nel tempo, l’etichetta di una terra che lo ha generato.

Per potere realizzare i suoi desideri non fa altro che assecondare la sua natura di uomo del sud: caloroso, intelligente, per nulla perditempo, come spesso ancora oggi una certa

mentalità nordista etichetta il sud e i suoi figli.

Parte coraggiosamente alla volta della Capitale d’Italia con un programma già ben definito in mente, che con pazienza e dedizione concretizza, perché è in questo modo che sentedi realizzaresestesso. Lasuanaturagenerosa, curiosa, non ne fa un uomo limitato nel genere.

Infatti la sua penna non si limita a scrivere versi, saggi, articoli per la testata Pomezia che inizialmente è un giornale di cronaca locale, come si usa dire di certa stampa. La sua penna traccia anche profili, linee, alberi, cose, volti. L’arte che è in lui irrompe e si deve manifestare. Conosciamo tutti i sui lavori a penna che impreziosiscono ogni numero della rivista. Si nota subito in questi lavori il legame alle sue origini. Perché i temi principali sono la natura: disegna spesso infatti alberi, e in modo particolare le radici. Che dell’albero è la parte forte, legata, immersa nella terra alla quale si vincola, in modo che ciò che cresce sopra alla generosa natura sia in perfetta interdipendenza con quello che c’è sotto.

Ma spesso appaiono tra tronchi e rami presenze femminili, lequali come gli alberi sono le artefici della sconfitta della morte, essendo continue creatrici di vita. Ecco il suo ben vedere sulla preziosità del genere umano femminile. Ecco quello che mi è sempre piaciuto in lui: l’uomo chenon famisteri di sentimenti eaffetti. Maanchel’uomo dallaforteesottile vena sarcastica, quando è rivolta soprattutto alla classe dirigente di questo nostro stupendo paese, che spessissimo deve accontentarsi di mediocri intrallazzatori di parole, dette ogni giorno e per di più anche in modo sconnesso e sconclusionato.

Però anche di fronte alla certezza che sta denunciando grandi verità, non perde di vista la cristallinità del suo animo scrivendo: Bassa ombra e sole alto/Prima che mi aggredisca/decapito l’orgoglio appena nato.

All’apparenza pochi semplici versi della poesia Aforisma, presente nella raccolta ”Le parole a comprendere”, che ci parlano della

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sua umiltà, della consapevolezza di sé, della sua natura umana che non è infallibile, ma che cerca di perseguire la ricerca di quel soffio divino che esiste in ognuno di noi, rifiutando la vanità nella ricerca della verità.

Il desiderio di Dio che è bellezza e che non desidera altro che fondersi con essa, lo pongono su un piano di ricerca di «armoniosi presagi che ci incantano e ci fanno sognare», come nota sapientemente Sandro Gros Pietro nella prefazione a Le parole a comprendere.

Un’altra cosa presente in Defelice, è la natura generosa, che come ogni figlio del sud possiede. Se avesse difettato in questo, non mi avrebbe subito accettato con i miei scritti.

E la stessa cosa probabilmente sarebbe accaduta anche agli altri poeti, scrittori e artisti ospitati nel mensile Pomezia Notizie.

Le alte vette da lui raggiunte sono frutto di grandi sacrifici di uomo che si è fatto da solo. Di uomo che sa cosa vuole dire avere fame, ma che non molla mai. Anzi quella sua precondizione lo rendono uomo di grande impegno civile. Per questo mi piace la sua voce

che si alza forte contro le sopraffazioni.

Adesso che la sua creatura è diventata grande la lascia andare da sola, mentre lui finalmente a riposo su di una comoda poltrona la guarda procedere con le sue gambe. Di ciò neèorgoglioso efelice, macometutti ipadri, anche se anziani, si riserva la prerogativa di consigliare, di indicare quale è la strada da seguire. Che poi non può che essere sempre la stessa. Non si può deragliare da ciò che si è imparato lavorando con lui. Il percorso “i figli”, anche se in autonomia e con le proprie gambe, devono continuarlo seguendo la traccia che il padre ha segnato. Per questo quando mi ha detto: io lascio perché l’età mi rende adesso tutto più faticoso, mi si è raccomandato affinchénon facessi mancareancora il mio supporto alla sua creatura. In quel momento mi sono sentito solo, perso come in una grande piazza nella quale all’improvviso ti vengono a mancare riferimenti.

Poi invece ho compreso che è così che il buon padre agisce, affinché ai posteri si lasci qualcosachefacciacapireil valoreel’importanza di un percorso di vita.

Nonperdeancheinquestaoccasioneilcontatto con la realtà che è certamente mutata, ma fa appello a chi rimane raccomandandolo di non dimenticare che il suo è stato un servizio di interprete delle cose del mondo, e che per questo chi continua il suo percorso deve essere una penna a disposizione di tutti.

Domenico fin da bambino sa che per portare avanti le cose del mondo deve sporcarsi le mani, sudare, alzarsi all’alba, abituarsi all’odore e alla cura degli animali che hanno bisogno dell’uomo come egli di loro.

Un vissuto che lascia maturare in lui un’etica sociale, una intolleranza verso chi emargina, chi umilia, chi si pone con indifferenza verso i propri fratelli, fino alla derisione.

E raccomanda, per questo suo vissuto, di seguire purezza di linguaggio, onestà, sincerità, coraggio, amore essenzialmente, e umiltà senza la quale anche il più bello degli hortus non darà nessun frutto: seccherà.

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La promessa che gli ho fatto, avendo il demone della scrittura in me fin da tenerissima età: ricordo che già a 10 11 anni scrivevo raccontini che passavo sotto banco ai miei compagni per farglieli leggere, è che fino a quando Iddio me lo consentirà scriverò e soprattutto lo farò anche per Pomezia Notizie.

Perché un padre non abbandona mai suo figlio, e io come gli altri, ne sono sicuro, sentiamo di esseretutti padri dellarivista:perché questo è stato il suo insegnamento, la sua volontà.

Spesso mi haripetuto chesenzalefirmedei suoi amici collaboratori, la rivista non avrebbe avuto il riscontro certificato e premiato che nel tempo gli è stato riconosciuto.

L’alto profilo che ha sempre ricercato nella realizzazionedellesueidee,nonsonorimaste mai assolutamente sue avendole condivise e cercate in tutti coloro che sono stati a lui vicino: cominciando dalla sua bella famiglia.

L’età avanza e con essa qualche acciacco, ma come tu ci hai insegnato, caro Domenico, l’orto del poeta è pieno di spini e di tratti di terra che hanno sempre bisogno di essere dissodati.

La cosa importante, quando non ce la faremo più, è però quella di sapere in quali mani dobbiamo lasciare la zappa, per essere certi che ci sarà la continuità necessaria per fare sempre un ottimo lavoro.

Un grazie di cuore ti faccio: sincero non di facciata, sentito, come piace a te. Ma quello che ti dico, stanne certo, è che non sarà mai abbastanza.

CON PAZIENZA ASPETTANDO

Mia madre mi diceva di sorridere sempre e di essere paziente nella vita. E poi …, che anche se la strada scelta è quella giusta, si può sapere quello che si lascia dietro mai quello che si troverà davanti. Potresti incontrare, aggiungeva, un bel prato verde con i gambi d’erba che ti avvolgono, mentre lei ti fa impazzire col suo profumo intanto che disteso guardi il cielo e conti solo le piccole rare nuvole bianche. Ti serve però la pazienza per i suoi cambi improvvisi, e il sorriso alle cose della vita, aspettando sempre che qualche volta sorrida anche lei a te.

SONO ENTRATO

Sono entrato nel tuo silenzio ed ho ascoltato i pensieri che ti agitavano. Era azzurra la loro voce. Correvano verso la foce del tempo, ma non avevano impazienza né attese. Tutte avevano apprese le sofferte fatiche dei giorni che fuggono senza ritorni, ciascuno con la sua croce.

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II Edizione

PREMIO EDITORIALE IL CROCO

L’Editrice POMEZIA NOTIZIE via Catilina 6 00071 Pomezia (RM) Tel. 3494175191 E mail: pomezianotizie22@gmail.com organizza, per l’anno 2023, la II Edizione del Premio Editoriale Letterario IL CROCO, suddiviso nelle seguenti sezioni:

Raccolta di poesie (in lingua o in vernacolo, max 500 vv.);

Poesia singola (in linguao vernacolo,max35 vv.); Racconto, o novella, o fiaba (max 8 cartelle. Per cartella s’intende un foglio battuto a macchina o computer da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1800 battute); Saggio critico (max 8 cartelle, c. s.).

Le opere, assolutamente inedite (con titolo, firma, indirizzo chiaro dell’autore, breve curriculum e dichiarazione di autenticità) devono pervenire, in unica copia, per posta ordinaria o per piego di libri (non si accettano e, quindi, non si ritirano raccomandate) a: Pomezia Notizie presso Manuela Mazzola via Catilina 6 00071 Pomezia (RM), oppure ed è il mezzo migliore, che consigliamo tramite e mail a: pomezianotizie22@gmail.com entro e non oltre il 31 maggio 2023.

Le opere straniere e quelle in vernacolo devono essere accompagnate da una traduzione in lingua italiana.

Nessuna tassa di lettura.

Essendo Premio Editoriale, non è prevista cerimonia di premiazione (se si dovesse decidere di tenerla, gli Autori partecipanti saranno avvisati in tempo tramite e mail) e l’operato della Commissione di Lettura di Pomezia Notizie è insindacabile. I Premi consistono nella sola pubblicazione dei lavori.

All’unico vincitore della Sezione Raccolta di poesie verranno consegnate20 copiedel Quaderno Letterario Il Croco sul quale sarà pubblicata gratuitamente la sua opera lo stesso Quaderno verrà allegato al mensile Pomezia Notizie (presumibilmente a un numero tra agosto e ottobre 2023) e sui numeri successivi saranno ospitate le eventuali note critiche e le recensioni. Gli altri Autori selezionati della Sezione riceveranno offerte vantaggiose per l’eventuale pubblicazione delle loro opere in altri Quaderni Il Croco

Ai primi, ai secondi eai terzi classificati delle sezioni Poesia singola, Racconto (o novella, o fiaba) e Saggio critico, sarà inviata gratuitamente copia

del mensile o del Quaderno Letterario Il Croco che conterrà il loro lavoro. Pomezia Notizie, comunque,puòsempreessereletta, sfogliata eccetera su: http://issuu.com/domenicoww/docs/ (il cartaceo è, in genere, riservato agli abbonati e ai collaboratori).

Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero scadenti, la Commissione di Lettura può decidere la non assegnazione del premio.

La mancata osservazione, anche parziale, del presente regolamento comporta l’automatica esclusione.

Manuela Mazzola Direttrice responsabile di Pomezia Notizie e Organizzatrice del Premio

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IL CROCO i Quaderni Letterari di POMEZIA-NOTIZIE il mezzo più semplice ed economico per divulgare le vostre opere. PRENOTATELO!

NUVOLE DI FINE ESTATE

Si fanno e sfanno le nuvole da cui il sole sbircia o splende con l’azzurro: fervore di commiati anche lassù. Giocoliere sul capo un cumulo bigio: pare un cammello e si dissolve in cirri, isole chiare che vanno… Oltre naufraga un fiocco nella luce: è un angelo e già s’è rarefatto. Altre nuvolette leste si mutano in profili di paesi, in sagome di volti familiari, in barche per remare.

Come queste nuvole la vita è cangiante cosa, ora più nera ora quasi rosa.

Rocco Cambareri Da: Versi scelti, Guido Miano Editore, 1983.

QUANTI PAESAGGI

Quanti paesaggi ho visto nei miei viaggi, quante cattedrali, quanti palazzi, quanti fiumi e quanti laghi! Ma di visioni nuove e cose belle gli occhi miei mai non son sazi, e quanti ancora paesaggi, quanti palazzi e quante cattedrali, e fiumi e laghi, e cose belle ancora restano al mio desiderio di vedere! Una speranza ancora mi rimane: se queste belle cose, questo mondo, l’uomo futuro non distruggerà, io so che un dì dall’alto di un altro mondo, eterno, l’occhio mio le rimirerà.

31 luglio 2022

EN HAUT

En haut au dessus du velux la course effrénée des nuages en bas la ligne d’arrivée a encore reculé

LA SMORFIA

La notte fa la smorfia al mio vissuto.

In storie latitanti il mio alter ego resta impaniato in involuti enigmi che incubano apprensioni perturbanti.

E ogni sogno è l’isotopo d’un altro.

La non vita attanaglia la mia vita. Corrado Calabrò Da: Quinta dimensione, Mondadori, 2021.

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Recensioni

FRANCA ALAIMO

UNA CORONA DI LATTA

e book n° 42, a cura della redazione di www.larecherche.it (scaricabile dal sito www.ebook larecherche.it), Maggio 2010, pagg. 42.

Se si parla di corona di conseguenza deve esserci anche un regno e se non stiamo parlando del regno

d’altri tempi, di quelli esistenti solo nelle fiabe, allora,inquestocasotrattasidelreamefattodiparole ben accordate fra esse grazie alla relativa loro ‘regina’: la poetessa critico letterario scrittrice siciliana, Franca Alaimo.

Maleihavolutochefosse Una corona di latta,materiale semplice perlopiù fatto di stagno, nell’ambito d’un florilegio di poco più di trenta sue liriche dove il protagonismo ha lasciato il posto alla presenza di soggetti che non hanno ambito a ruoli importanti, al voler stare nel mezzo della scena. Sarebbe come un regnante visto in giro con panni dismessi, o meglio al ‘re nudo’ della novella di Hans Christian Andersen (1805 1875),quelpersonaggio oramai convinto per suggestione d’indossare l’abito più prezioso per lui composto fantomaticamente al telaio dei telai.

«Mi posero sul capo una corona di latta/ Per celare le ferite delle tempie,/ Poi mi appellarono la regina matta/ E mi rivestirono di parole empie./ Mi sono giocata ai dadi carne ed ossa/ E del mio amore è stato fatto scempio/ Ma resterà sull’orlo della fossa/ La mia poesia come una rosa rossa.» (Pag. 21).

La poetessa Alaimo ama descriversi verso dopo verso come in una dichiarazione infinita d’affetto verso labellezzaversificatoriaesisente,s’èsentita perlomeno “sovrana” nell’attraversare il verdeggiante prato del reame da lei stessa edificato con spontaneità innanzitutto.

Anche se compaiono soggetti di poche pretese in effetti è sempre lei, Franca Alaimo, che si mostra sotto mentitespoglieesi racconta, ovvero racconta l’ambiente in cui vive e lavora (scrivendo), i suoi limiti, lesuedebolezze, il suo sentirsi A mani nude «A mani nude, a cuore nudo, andai/ Ed era la città un vascello di vento,/ Nuvole, vele fra la terra e il cielo./ Alla mia anima la coronata/ La consacrata la sacrificata, gli dei/ Mostrarono sé stessi doppiando immagini/ Negli specchi traslucidi degli occhi./ E gli angeli tremarono posando/ Su me le dita diafane, mormorarono/ Parole di tristezza, un fato strano e sublime./ Ed io, prima che dal mescolio furioso/ La divisione fosse con la luce,/ Volando negli spazi folli e neri,/ Gridai forte il rosso,/ Gridai forte il giallo,/ Cantai deliri di parole blu.» (Pag. 28).

Il rosso, il giallo e il blu sono i colori primari dalla cui unione, a due a due, scaturiscono i colori secondarielerelativegradazioni.Itreprimarifurono i pigmenti scelti dai seguaci del movimento pittorico francese fauvisme della prima metà del Novecento, con a capo Henri Matisse (1869 1954, che stesero su telanon mescolandoli fradiessi in modo da acquistare la valenza selvaggia della tinta nella

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sua versione pura. Quindi, venne espletata la libertà del primitivo cromatismo nell’adoperare i tre colori fondamentali senza alterarli fra essi, perché la semplicità in fondo rende meglio qualsiasi cosa, qualsiasi concetto, così come una corona di latta posta sulla testa di chiunque può dare l’idea d’un regnante, d’una regina, d’un impero… «Quando nacqui, presso la mia culla/ Come in una fiaba vennero tre fate/ E una disse: “Povertà, bocca affamata,/ Bambina senza nenie. Nulla!”./ E l’altra: “Vento di tramontana!/ Ragazza barcollante e solitaria!”,/ E mi punse con una spina il cuore./ La terza così parlò premendo la bocca/ Sull’orecchio: “Brace! Filo d’oro!/ O tutta fiori, bella donna d’amore,/ I tuoi versi di nettari e colori/ Arderanno sotto la cenere del mondo”.»(Pag. 6).

Nel mentre s’è descritta Franca Alaimo ha azzardato un raffronto tra lei e la poetessa del movimento acmeista, Anna Achmatova (1889 1966), che ha attraversato la Rivoluzione d’Ottobre e le due guerre mondiali, ebbe tre mariti e un figlio, Lev, deportatoin Siberiaper penacommutatadopo ch’era stato condannato a morte e nell’arco di diciassette lunghi mesi l’Achmatova, in attesa della sentenza finale, stette in fila per ore con tutti gli altri parenti dei detenuti pur di avere notizie o di consegnare qualcosa al figlio. Esperienza che diede come sofferto frutto il poemetto Requiem vergato da lei (Anna Achmatova) tra il 1939 e il 1940.

«Anche da me venne lo stralunato/ Iddio dicendo: poiché hai avuto/ Più di un grammo di follia/ Prova a scrivere poesia/ Così come fece Anna dalla/ Prigione del sacrificio eterno,/ Tutti i mesi e giorni in attesa,/ d’inverno,/ E a primavera, sotto il muto/ Ordine degli anni e del fato./ Prova oltre il tempo fermo della vita/ E le sue sponde di liquido mortale/ Ad alzare i tuoi aquiloni di carta/ Dal cielo che ti inghiotte/ All’altro dove un’enorme stella/ Ti guarda dritta negli occhi.» (Pag. 14).

Isabella Michela Affinito

Sommaripa pittore dell’Arte Immaginaria; entrambi residenti a Pomezia (Roma). Il volume si presenta di ottima fattura e contiene trentasei illustrazionia colori commentate. Claudio Vannuccini nella prefazione giudica scorrevole il saggio, “capace di far comprendere in modo chiaro gli stati d’animo dell’artista nel confezionamento delle sue opere”. Sintetizzo l’esergo di Ludwig Van Beethoven sulla creazione d’arte, nella seguente formula, che mi sembra funzionale al testo: espressione divina.

Chi conosce il pittore illustratore ne tronca il nome in Sommarì, che lui ben volentieri gradisce come segno facilitatore di comunicazione, tant’è che concepisce la sua arte come trasfigurazione in libertà,intendendoconciòche“ilpensierosifonda con la fantasia creando dipinti che prendono spunto dalla realtà”. Con ciò ritengo che, essendo il pensiero impalpabile, quello che noi produciamo,non appartiene più solo a noi eogni fruitore l’intende a modo suo. Quel momento fa da perno poiché “passato, presente e futuro vengono avvertiti nel medesimo istante”, si fondono; mi viene da dire che il “tempo” si comporta come una cosiddetta vite senza fine. Confesso che l’approccio argomentativo sull’arte immaginativa mi lascia perplesso.

Paolo Sommaripa, nella sua nota introduttiva, dichiara di essere rimasto affascinato da giovanissimodalle opere di Vincent Van Gogh edi Giorgio

MANUELA MAZZOLA PAOLO SOMMARIPA

PITTORE DELL’ARTE IMMAGINARIA

Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia (CT) 2022, Pagg. 160, € 20,00

Manuela Mazzola è romana (nata nel 1972), di formazione letteraria con indirizzo antropologico, appassionata di arti figurative, è alla sua sesta pubblicazione e dedica il presente saggio al concittadino (nato nel 1959), di cui al titolo stesso, Paolo

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De Chirico, di non seguire alcun modello e che per spirito libero agisce d’impulso; nel suo Modello dell’Immaginario, Egli dice “fuoriescono ricordi lontani di pagliai ad essiccare al sole nella campagna romana, al paese dove sono cresciuto” (in Mazzano Romano). Aggiungiamo che si tratta di una usanza che si tramanda da molto tempo e che resiste tuttora. Egli è un organizzatore molto attivo di mostre, di conferenze, di laboratori d’arte, tanto che dal 1998 è Presidente dell’Associazione Asso PleiadiArte. Dichiara che è mosso dalla convinzione che l’arte deve veicolare la comunicazione. Nell’immediatezza della lettura avevo pensato a luoghi fisici, perciò quanto sopra mi è sembrato propedeutico alla comprensione dell’Arte Immaginaria. Difatti la nostra Autrice, per formazione specialistica, inquadra l’argomento sotto l’aspetto della antropologia culturale, considerato che il pensareel’agiredell’essereumanosonoilrisultato complesso delle molteplici interrelazioni, dell’ambiente e delle esperienze vissute, di cui tutti siamo impastati, così pure il nostro pittore. E, perciò, le azioni delle persone non sono riconducibili a schemi rigidi, bensì sono fluttuanti, direi che lo sono come lo è lo “spazio tempo”; o, capovolgendoquantodiceval’anticofilosofo Eraclito,cioè che ‘tutto scorre’, direi invece, che nell’arte del Sommarì ‘tutto si ripresenta’.

Nel caso specifico Manuela Mazzola si limita a passareal vaglio soltanto dipinti cheriguardano tre temi, nell’ordine: il Sacro, l’Umano e la Natura. Credo comunque che Paolo Sommaripa nelle sue opere voglia comunicare la sua “visione del mondo”, il suo mondo interiore; in altre parole, Egli si identifica con le sue opere. Ebbene, credo che questo atteggiamento sia comune agli ideatori in ogni specifica attuazione d’arte e di pensiero.

Senza volere stravolgere il testo, penso che il “luogo di marginalità”, riferito dalla Nostra, vada inteso non come spazio fisico, bensì come luogo interiore ritrovato attraverso le opere su cui l’Artista imprima le proprie impronte digitali o in senso più ampio il modo di essere del pittore trasferito al fruitore. Parimenti intendo il “museo dell’arte immaginaria” come enunciazione di prodotti metafisici, pensieri tra il reale e lo spirituale, cioè tra il suolo terreno e il cielo divino. Concetti entrambi affidati alla libera interpretazione, alla fantasia di ciascuno, che prescindono dai supporti e dai mezzi rappresentativi (tela, foglio, tavolette di legno, cartaecartoncino eperfino lareteweb; cosìacquerello, pastello, tempera,acrilico,gessetto,olio, matite,carboncino,ecc.).Invitareifruitoriadaffidarsi alla sensibilità propria, significa trasformarli in visionari, nuovi dei. Non so quanto questo aiuti alla

comprensione dell’arte immaginaria.

Credo che il pensiero fondante dell’insegnamento del Maestro stia qui: nel momento della ricerca si è assaliti da ansia, ma nel momento della creazione o dell’invenzione o della scoperta, le persone si illuminano di spiritualità, sprigionano quel briciolo di divinità che si portano fin dall’origine. Allo stesso tempo nelle opere di ingegno o artistiche anche di rappresentazioni del divino o della natura si rivelano l’essere umano, il creatore e il creato. “Io sono un esploratore, un’anima in viaggio alla ricerca di un linguaggio, alla ricerca delle miserie umane” (Sommaripa, p. 37). In questo pensiero è possibile assimilare l’essere umano a una membrana osmotica, cioè che si lasci attraversare nei due sensi, materiale e spirituale, umano e divino. Ancora: l’essere umano in quanto senziente ha sentimenti, in quanto fornito di ragione ha intelletto; tuttavia, niente è intelligibile in modo assoluto.

In altri termini nella comunicazione, fondamentale è il linguaggio e come le parole si leggono conoscendone le lettere, così il logos si comprende conoscendo lesingoleparole, la grammatica epurela simbologia. Senza dimenticare il coacervo delle emozioni e delle conoscenze, nonché il loro sedimento e il crivello o il filtro che ne operano la selezione. Insistiamoancora,perlacomprensionedel mondo è basilare la concezione del tempo, nelle sue varianti interpretative. Paolo Sommaripa rappresenta il tempo negli umani e nei soggetti sacri, attraverso il corpo e cioè la postura del soggetto, l’atteggiamento, le pieghe, le sue parti, le angolazioni, le ombre; mentre la natura si lascia leggere più agevolmente attraverso le stagioni.

Ci troviamo difronte a stati d’animo, a sommovimenti interiori, ad analisi psicologiche e altro, difficili da decodificare, che liquidiamo, direi, con formule come ‘mondo surreale’, ‘linguaggi onirici’, ‘dimensionemetafisica’,‘altrove’,chevoglionodire tanto, ma che sono poco palpabili. Poiché l’argomento richiede specifiche conoscenze, e anche per non avvitarmi, ho preferito sorvolare sulle citazioni facenticapoastudiosicomeEdwardBurnettTaylor, Ulf Hannerz, Bauman, Alfred Gell e Giuseppe Pucci, Alessandro Mancuso, P. Cabin e Gilbert Durand, Jacques Lacan, Edgar Morin, Mariella Combi, Marcel Mauss, e altri, nonché lo stesso Sommaripa.

Manuela Mazzola commenta le immagini rilevandone l’essenza. La Madonna è rappresentata in una serie di dipinti con il capo reclinato, unitamente ad alcuni particolari dove, praticamente, la variante è affidata ai colori del velo che la ricoprono; nelle varie versioni, i dipinti esprimono malinconia (blu), dolore (rosso), serenità (celeste),

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sofferenza (nella pelle ambrata), forza (segnata dal giallo che contorna Maria). E così legge Cristo attribuendo particolari stati fisici per associazione di colori e ombre, occhi aperti o chiusi, occhi sgranati o sguardo magnetico, ora con una goccia di sangue sulla fronte, ora con l’intera corona di spine. Mentre nelle rappresentazioni del corpo umano, il soggetto è visto ora di spalla, per significare che il messaggio vale indifferentemente per tutti; ora senza volto che è un modo per rimarcarne la universalità; ora nel corpo intero e nel corpo del solo busto. Quanto alla natura, ripetiamo, essa è rappresentata soprattutto dai pagliai lasciati a essiccare e i colori del paesaggio determinano le stagioni e quindi il tempo.

Ciò detto mi sembra che le due figure sacre (Madonna e Cristo) ricalchino la iconografia tramandata e che pure il corpo umano, vengano affidati a una lettura fisiognomica; mentre i pagliai rientrano nella tradizione contadina. In altri termini disponiamo di una chiave di lettura delle immagini. In ogni caso l’Autrice, con il saggio “Paolo Sommaripa pittore dell’Arte Immaginaria”, si unisce ai tanti estimatori che si sono espressi in appendice e rende omaggio ad un suo illustre concittadino diffondendone la conoscenza: promotore di incontri, propulsore per artisti giovani e meno giovani, e la Torre Civica di Pomezia è diventata polo culturale aperto al dialogo. L’opera meriterebbe di più, ma per quanto hopotuto spero sia statoutile, al pittore, all’autrice e ai lettori.

ISABELLA MICHELA AFFINITO E LA LUNA BUSSÒ ALLA MIA PORTA

Genesi Editrice, Torino 2022, Pagg. 152, € 12,500

Isabella Michela Affinito è pittrice e scrittrice prolifica, dando prova, in questo caso, con la copertina della sua raccolta poetica E la luna bussò alla mia porta. Una costante delle opere della Frusinate è quella di cogliere occasione per intrattenersi eintrattenercisu argomenti culturali a lei particolarmente cari dell’Arte e della Classicità, essendo critica letteraria e d’arte. Si compiace di sostare per il gusto della compagnia e della gioia della conversazione, virtuale, facendo informazione. Si esalta, è il caso di dirlo, quando scopre di potersi accostare a grandi personaggi per via dello stesso suo segno zodiacale, il Cancro, a novembre.

La silloge letta in superficie può sembrare ovvia, ma in profondità rivela il suo reale spirito serio e, quando se ne presenti la circostanza, pure giocoso;

un aspetto, questo, della propria biografia raccontata in modo piacevole ed elegante. Naturalmente questorichiedeunaconoscenzadi basedapartedei lettori, alla stessa maniera di chi, per leggere le parole, ha bisogno di conoscere le lettere dell’alfabeto.

La raccolta è scorrevole e di piacevole lettura, di quasi sessanta poesie e due recensioni cinematografiche, è preceduta dall’introduzione dell’Autrice, costituitadaun saggiobrevesu MarcChagall “al tempo della luna”, pittore sovietico nativo della Bielorussia (1887 1985), che nella sua vita quasi centennale, la luna è presenza costante delle sue rappresentazioni, quale “suo archetipo interiore”. Ebreo di famiglia povera, ha sempre voluto rivendicare la sua libertà di pensiero; nato sotto il segno del Cancro governato dalla Luna, èstato visionario e ha respinto ogni etichettatura.

Isabella Michela Affinito ricorda la conquista della Luna con la missione americana Apollo 11 del 20 luglio 1969, resa palpabile con il bel libro intervista ai tre astronauti (Edwin Aldrin, Mike Collins, Neil Armstrong) fatta nel 1970 da Oriana Fallaci, della quale sottolinea il segno zodiacale d’appartenenza al Cancro, appunto come il suo. La luna è naturalmente l’elemento ispiratore per molti poeti e scrittori, cantanti e artisti, in parte citati. Un

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nome per tutti è quello di Dante, ma anche del grandeGiacomoLeopardi. In chiusuradel suo prologo, sottolinea un pensiero: “colui che scrive versi, apparentemente chiuso nel suo volontario estraniamento, in realtà è guidato dalla luna”.

Desidero anticipare qui il riferimento alle due recensioni cinematografiche per lasciare il meglio a seguire. Una critica riguarda il film di Stanley Kubrick “2001: Odissea nello spazio” (GB 1968, Genere fantascienza, minuti 160) in cui in estrema sintesi iniziando dagli uomini scimmia si giunge, dopo milioni di anni, ad una astronave in cui l’equipaggio si deve difendere dal computer di bordo che ne prendeva il controllo. L’altra critica riguarda il film di Gore Verbinski “La maledizione della prima luna” (USA 2003, Genere azione/avventura, minuti 143) riguardante storie di pirati, attore protagonista è Jonny Depp al quale valse vari riconoscimenti come l’Oscar.

Ebbene torniamo alla silloge. La luna mostra solo una facciaanoi terrestri, ma èpresentein ogni componimento a dimostrazione dei suoi molteplici profili. La luna “bussò” alla porta della Nostra mentre nasceva instaurando un solido rapporto con lei, anche se di “soliloquio”. La Poetessa ha preferito allontanarsi dai “grattacieli” della sua città natale per scegliere un luogo più appartato immerso nella natura; ciò che le permette di sognare, di rievocare la Beatrice dantesca che il Poeta vide poco più che bambina e poi incontra quando il Poeta aveva diciotto anni rimanendone folgorato. Si chiede se “Beatrice fu del/ Sagittario? Come dire/ che opposto alla casa/ terza c’è la nona!” (p. 38); qui abbiamo un minimo giocoso (basta osservare le lancette dell’orologio: a quella che indica le tre, l’opposta indica le nove).

Isabella Michela Affinito ricuce vari riferimenti culturali, che poi sono il suo nutrimento, la sua ricchezza. Così man mano ci svela il suo mondo interiorerichiamandoartisticomePicasso,Kandinskij, Modigliani, come Raffaello con la sua Scuola di Atene, oppure rievoca l’antico Egitto e personaggi mitologici come Iside e Osiride, Horus e Seth quando “le donne/ innamorate del Nilo si/ immaginavano nereidi/ immortali fino alla/ riva del regno Superiore.” (p. 44). Richiama anche Rousseau e Ligabue; così pure lo scultore Brȃncuşi. La Nostra, appassionata di astrologia, si bea nella visione cosmica delle costellazioni immaginando di vedersi tra Castore e Polluce; oppure attingendo alla classicitàassumelesembianzedellalunatrasportatada Chirone, il mitico cavallo dal busto di uomo; o anche, attingendo a un famosissimo romanzo, dice “la mente scavalcando/ sogni tempestosi come/ le ‘Cime’ di Emily Brontë.” (p. 47). Così parlando di

coscienza, per associazione o per paronomasia, la accostaa Zeno,sulcalcodi un titolo di Italo Svevo. Isabella Michela Affinito, dalla molteplice sfaccettatura culturale, offre una visione di universalità in cui si rivolge a Giulietta, a Ofelia, ad Amleto. L’astro è anche la luna interiore di altri eroi leggendari della Grecia e così pure della Fenicia. “Io come la luna/ mostro i miei tanti/ profili fino a/ scomparire dietro/ un panneggio scuro” (p. 62); stabilisce la passione nell’alternanza tra Sole e Luna, Helio e Selene. Possiamo affermare che la poesia della Nostra è una elegia, è una esaltazione che la trasfonde, per esempio in Eleonora Duse, la divina attrice teatrale che visse a cavallo tra Ottocento e Novecento; oppure nella luna cantata da Leopardi e da altri poeti. E naturalmente nella luna di Chagall che fa sognare come fece sognare Domenico Modugno; la luna ammirata dal violinista sul tetto, rappresentato dal pittore bielorusso. La luna misteriosa, arcana, dai mille profili come si è detto, è rivestita con un abito che sa di “personaggio tra Romanticismo/ e il Barocco dalle linee/ serpeggianti e gigantismo interno”(p.117)che,forse, allude all’immagine femminile raffigurata in copertina.Apprezzo ilsuo mododicongedarsi, ecosì fa pure il sottoscritto: “ci chiamano poeti/ ma siamo persone che/ vogliamo dare alle cose/ altri nomi. / (…) / diventiamo poeti in/ silenzio voltando le/ spalle persino a noi stessi.” (pp. 128 129).

IMPERIA TOGNACCI LA META È PARTIRE

Prefazione di Francesco D’Episcopo, Introduzione diMarina Caracciolo, in secondabandella notacritica di Sandro Gros Pietro Genesi Editrice, 2022, pagg. 94, € 15.

Poemetto di undici capitoletti, con personaggi principali il Poeta e Psiche.

Potrebbe sembrare anacronistico, un’autentica contraddizione, in questo nostro tempo dominato dalla tecnologia e dalla velocità dei cambiamenti, rivolgersi al passato e continuare a trovare ispirazione nei miti, partire da essi per risalire alle nostre problematiche, farli rivivere coinvolgendoli nel vissuto nostro, nel nostro contesto. Invece è coerenza, giacchéi miti sonoallabasedella nostracultura. Non solo noi Italiani, ma tutta l’Europa è impastatadiclassicità;laculturagreco romana,innoi e negli europei è il sangue che ci scorre nelle vene e ci tiene in vita; perfino il Cristianesimo ne è condizionato a tal punto da apparire, in certi suoitratti, quasi una sovrapposizione del passato, con Dio al

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posto di Giove e i Santi al posto degli Dei, ad ognunodei qualiassegniamo prerogativeecompiti come i Greci e i Romani facevano con Minerva, con Apollo, Venere, Marte. Noi cristiani, per esempio, non invochiamo Santa Lucia per la vista, SanRoccoper certi mali?Non riteniamo SantaCecilia patrona della musica? Il nostro Paradiso assomiglia quasi all’antico Olimpo.

Nessun stupore, allora, se Imperia Tognacci facciaparlareeagire,oggi,personaggicomeCalliope, seppure abbassata e impoverita per certi aspetti, resa vecchia e “mendicante,/col viso solcato da rughe”; Proserpina, che ritorna “al germogliar delle gemme”; Psiche, “la vestale notturna” (p. 29); Orfeo; Cloto; Atropo; l’arcigno “Caronte/dai fiammeggianti occhi”, al quale, però, “l’ultimo libro di poesie”delPoetaprotagonistafadistendereilineamenti, lo commuove, riesce quasi a farlo sorridere, “schiarisce il suo viso”.Tutti,più omeno,vengono fatti partecipare al nostro presente di luci artificiali sfolgoranti più del sole, ma schiavizzato da una tecnologia sofisticata, da computer e da telefonini.

A un narrato del genere, non si confà l’elaborato breve, stiracchiato, traslucido, e la Tognacci, infatti,ricorrealpoemetto,chelepermettedidilatare le immagini entro la cornice di una Natura fascinosa, dalle “dita di acque e di fronde”, “l’estatico volo di farfalle”, la luna che si riposa “sul tenero cuscino di nuvole”. La poetessa, però, ci ricorda anche come noi, la Natura, la stiamo violentando e come, pertanto, essa vadaperdendo,a poco a poco, il suo fascino ancestrale, verginale, con i drammi dei “viadotti crollati”, “il diamante di rugiada/che presto si fa opaco”,“il profumo della ginestra”che si confonde con la sterilità dell’ambiente stravolto.

In questo poemetto, insomma, passato e presente si mescolano e immagini quasi primordiali si legano al nostro quotidiano: alle vecchie e “le nuove trame”, per esempio; al perenne, inquietante “urlo di Munch”, che attraversa “la terra, le galassie e gli universi”; all’opera ancora da finire sul cavalletto; alla tovaglia istoriata del tavolo in cucina; a “L’aroma del caffè”; allo spartito “sulla tastiera del pianoforte”; alla “telematica rete” Domenico Defelice

GABRIELLA FRENNA MYOSOTIS

Magis Edizioni, 2021, Pagg 84, 10,00 €

Il volume Myosotis di Gabriella Frenna nasce in occasione del 190º anniversario della pubblicazione de Il sabato del villaggio.

Il myosotis è un fiore, il cui nome deriva dal greco e vuol dire “orecchio di topo”, infatti le sue corolle assomigliano proprio alle orecchie di questo animale. In Italia è conosciuto con il termine Nontiscordardime.

Nella presentazione Luigi Ruggieri scrive: “Nel suo incessante poetare, Ella si è occupatadi analizzare il rapporto dell'uomo con la Natura e quindi con Dio. E, giorno dopo giorno, come Leopardi, prendendo coscienza del fatto che, a volte, il destino sembrainfaustoeingiusto,nonha mai ceduto mai allo sconforto accettando le perdite di affetti con le quali deve convivere facendo sì chepossano diventare occasioni di luce.”

E' presente la biografia del grande poeta, il pensiero filosofico, l'evoluzione poetica, ventiquattro mosaici di Michele Frenna, padre di Gabriella e quarantasei poesie.

Anche nei versi di Gabriella il notturno è vissuto qualemomentodiriconoscimentodellaveritànella condizioneumana:“Con mirabilecanzone/ilpoeta recanatese/ svela amabile visione/ d'atmosfera serotina/del suo borgo natale/ raccontando la vita,/ attese sul dì festivo”.

“Come Leopardi, la Frenna continua Ruggieri nutre la stessa convinzione che non ci possa essere vita senza poesia. La poesia è l'erede della festa arcaica, cioè del momento in cui l'uomo respira al di sopra dell'oppressione del dolore della vita”.

La poesia e l'arte musiva rappresenta la costruzione di un percorso di pace e l'arte in generale riesce a far comunicare culture diverse grazie al rispetto e all'amore risvegliando una coscienza civile, sociale e culturale.

Chiude il volume la recensione di Giuseppe Pietroni che definisce lo studio di Ruggieri prolifico e stimolante, insieme a quello poetico di Gabriella e musivo di Michele: “ciò che scrivono ha senso e fa capire come i poeti e gli artisti siano votati al bene e cerchino i messaggi più importanti”.

ROBERTO MAGGI SUITES DI FINE ANNO

Florestano edizioni, 2019, Pagg 131, € 10,00

È la ricerca personale di un senso che sfugge, la ricerca del motivo per il quale alcune cose accadonoproprioindeterminatimomenti,comenell'ultimo giorno dell'anno, giorno carico di aspettative, che dovrebbe essere spensierato e leggero, eppure costringe il protagonista a un difficile confronto con se stesso.

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“È un viaggio nell'interiorità, scrive Sabino Caronia nell'introduzione nei fantasmi della mente, quello a cui si assiste qui: un costante confronto con le fragilità del proprio essere, assiduamente manifestato da soliloqui dissonanti e nobilitato da preziosi slanci poetici”.

Suites di fine anno di Roberto Maggi è composto da: Preludio: Toccata, Primo movimento: Allemanda (Andante), Secondo movimento: Capriccio (Allegro), Terzo movimento: Sarabanda (Scherzo), Quarto movimento: Finale.

Esiste un forte legame tra i racconti e le forme musicali che danno il titolo all'opera e ai singoli episodi, non a caso definiti movimenti. Suites di fine anno, infatti, è un insieme di brani musical narrativi correlati e pensati per essere “suonati” in sequenza: l'opera scritta daMaggidiventa così metafora dello strumento solista che racconta le quattro storie una dopo l'altra seguendo un movimento crescente come in musica: andante, allegro, scherzo e finale. Dunque, da un movimento intermedio si arriva a un climax che si conclude abbandonando la punteggiatura classica. La velocità della narrazione aumenta, così come la libertà espressiva. Un continuo colloquio con se stesso attraverso eventi che possono accadere a qualsiasi persona, ma anche pensieri e stati d'animo che spesso si vivono nell'ultimo giorno dell'anno e che qui vengono spesso svelati con un dirompente flusso di coscienza: “Le fantasticherie ci fregano,

le aspettative ci ingannano, però ti dò ragione. certi giorni fanno più male di altri, ti cadono addosso come tegole spaccate. Eccome. Scrosci di lacrime e grandine”.

Roberto Maggi, laureato in scienze biologiche, iniziaacomporrepoesiedurantel'adolescenza.Nel 2014 pubblica la sua prima silloge Schegge liquide (Aletti Editore); nel 2015 pubblica il racconto breve Irish blues nell'antologia 1000 parole (2015, Ed. Montecovello).

TITO CAUCHI

ANTONIOANGELONE

Pastorello sognatore nel riscatto sociale Editrice Totem, 2022, Pagg. 133, € 20,00

Antonio Angelone pastorello sognatore nel riscatto sociale diTito Cauchi analizza dodici opere, due saggi critici di Leonardo Selvaggi e Mario Landolfi e una presentazione dello scrittore avvenuta nel Chiostro del Comune di Forlì del Sannio il 2 agosto 2013.

L'autore era pittore, poeta in lingua e in dialetto, commediografo dialettale, studioso storiografo e narratore ed è stato candidato al Premio Nobel di Svezia per la letteratura nel 2018 e 2019.

“Senz'altro Angelone scrive nella prefazione Cauchi si sarà nutrito di tutti gli autori letti anche per via della sua formazione professionale e degli ambienti vissuti. Sono i semi che hanno dato i loro frutti. Perciò tutte le opere sono costruite secondo un substrato di base comune e di un registro lessicale che si conforma alle circostanze;[...] in esse si avverte un anelito di libertà e di giustizia. Antonio Angelone si erge a difesa della società disumanizzata, diventata insensibile a questi richiami. La sua biografiaèun romanzo chehameritato l'attenzione di molti estimatori ai quali si è aggiunto lo scrivente”.

Mentre Isabella Michela Affinito nella seconda prefazione afferma: “Essendo stato Egli una stupenda persona lineare, a modo, laboriosa e riservata, Antonio Angelone non poteva non meritarsi un'esistenza altrettanto bilanciata, seppure faticosissima maggiormentenei primidecenni di vitanascendo, appunto, in una famiglia dal ceto più basso del suo paese e nel periodo in cui stava per divampare il fuoco della Seconda guerra mondiale”. Purtroppo il poeta muore prima che Cauchi finisca il lavoro e secondo il saggista l'artista si è portato per tutta la vita un rammarico pesante e una tristezza struggente.

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Ha vissuto un'esistenza difficile che, però, è riuscito a vivere pienamente grazie all'amore per sua moglie e a tutti i sogni che ha potuto realizzare. Si è dedicato, inoltre, con tutto se stesso alla scuola e alla cultura.

L'opera del prof. Cauchi va, come avevo già dichiarato, evidenziata poiché interessarsi di questi autori è un lavoro che richiede energie, fondi, tanta passione e amore verso la letteratura, ma direi anche verso il genere umano.

Lo stile è sempre preciso, chiaro e si riconosce la delicatezza d'animoquando sisofferma nei suoi ragionamenti: “Quello che poeti e scrittori scrivono, credo che non debba ritenersi solo evasione, o solo

DOMENICO DEFELICE

LE PAROLE

A COMPRENDERE

(Genesi Editrice, Torino, 2019, € 14,50)

Poeta di molteplice vena Defelice sa toccare sia la nota lirica che quella satirica, con risultati di tutto rilievo, come dimostra ampiamente tutta la sua vasta produzione. E non va nemmeno dimenticato che da lunghi anni ha portato avanti una Rivista letteraria, “Pomezia Notizie”, di vasto seguito. Degne di nota sono specialmente di lui le poesie raccolte in un recente libro (Le parole a comprendere, Genesi, Torino), ricche di calda umanità, che ripercorrono le vicende di una vita spesa fruttuosamentenelcultodelleLettereedelleproprieorigini; una vita sempre dedita ad un proficuo operare, come appare nelle poesie contenute nella prima parte del volume. Nella seconda parte invece troviamo poesie di sdegno e d’ira, talora percorse da un moto di feroce satira, generato dal comportamento di tanti che dapprima appaiono onesti e poi si rivelano corrotti e sfruttatori del prossimo, come quelle delle tre sezioni successive.

Tutto ciò emerge subito da testi quali Dormi serena, che Defelice dedica alla madre e che ha questo immediato incipit: «Alto, sul noce dell’orto, / s’era schiuso un nido di fringuelli. / L’annunciava il pigolio degli implumi, / della madre il frenetico svolìo» o L’allegrezza di mio padre: «Da lontano, neppure in sogno / potevo accarezzarti, verde terra / dono dell’amore di mio padre».

sfogo, ma può e deve ritenersi funzionale, tanto al dilettevole, quanto all'arricchimento interiore. Noi contemporanei, inquinati nei sentimenti, siamo portatia contrapporreiduestatid'animo, senza volerci sforzare di trovare un equilibrio, che invece il Poeta è riuscito a fare”.

L’amoredella casa edella famiglia è pertanto ciò chesubitoemergedaquestepoesie;diunafamiglia certo non agiata, ma molto unita, legata da forti sentimenti di affetto e di solidarietà, alla quale sempre torna il pensiero del poeta, come avviene in Ricordi d’infanzia: «A cena, pane e cicoria / cotti in acqua di fiume / per le nostre bocche avide. // Ognuno con la sua ciotola grigia / seduti in cerchio sotto il fico moro». Ma il forte sentire di Defelice investe anche le altrui vite, come accade nel caso della morte della piccola Elena Petrizzi, dimenticata dal padre in macchina al sole o quella dell’amico Giorgio Iannitto, grande amante della natura.

50 ANNI DI VITA E DI SUCCESSI. POMEZIA NOTIZIE DAL PROSSIMO GENNAIO RIPRENDE IL CARTACEO. RINNOVATE L’ABBONAMENTO! Pag. 46

Ci sono poi le poesie preghiera, come quella rivolta alla Vergine, Oggi che avrei bisogno di certezze, o quella rivolta a Dio, Dal panico mi salvi la Tua voce; e ci sono le poesie che celebrano fausti eventi familiari, come quella dedicata al figlio Luca e alla nuora Annachiara nel giorno del loro matrimonio (Oggi, nella mia casa è festa grande). Ci sono inoltre le poesie nelle quali più fortemente si manifesta l’amoredi Defeliceper lanatura,quali Veliero fiorito, che così inizia: «Veliero fiorito il

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mio balcone. / Chiudo gli occhi e mi stendo / sopra una fetta di sole / nel viola delle pervinche» o Aria tutta sorriso, che ha questo incipit: «Lungo il sentiero di trifoglio e gramigna / ho raddrizzato una lumaca rovesciata» e così termina: «Sole improvvisamente dolce, / aria tutta sorriso / e tra le canne di bambù / salmodiante l’usignolo in preghiera».

Si legga anche a tale proposito Padre da padre a padre,nellaqualelavistadellapropriaimmagine allo specchio offre al poeta l’occasione per una profonda meditazione sul succedersi delle generazioni e sul rapporto tra padre e figlio, che bene esprimono i seguenti versi: «Senti come ribisbigliano ilnoce e l’olmo, / come confabula il pioppo. / Forse, fra noi, riprenderà l’intesa».

Né mancano in questo libro dai vari contenuti i ricordi di guerra, come quello che emerge da Ridevo allo spettacolo, dove leggiamo: «Arrivarono da dietro la collina / gli aerei come falchi / in picchiata sull’allodola. // E fu l’Apocalisse».

Una poesia di stampo sociale è invece, Solo la primavera le consola,dovecompaiono lestradelasciate nell’incuria e nell’abbandono, per le quali il poeta dice: «Solo la primavera le consola / con qualche fiore effimero / che sempre indossa splendidi velluti / e leggera la brezza le percorre / come una carezza».

Tutto ciò è compreso nella prima parte del libro, intitolata Le parole a comprendere, dove si trova la poesia eponima, dove si legge: «Singolarmente o in prosa / sempre inadeguate sono / le parole a comprendere / il senso della vita e delle cose».

Comesipuò facilmenteconstataredallecitazioni precedentemente riportate, nella prima sezione di questo libro predomina la poesia di carattere intimistico meditativo, nella quale la voce del poeta si fa sovente più lieve e commossa si fa la sua parola. Completamente differente è invece il tono del verso delle tre parti successive, nelle quali, abbandonato l’andamento lirico e a volte nostalgico, si passa a quello mordace e sferzante, dove predominano l’ironia e lo sberleffo.

Nelle poesie di Defelice infatti, come dice lo stesso autore, compaiono addirittura «quintali di sarcasmo e d’ironia». Ed è ciò che troviamo nella seconda sezione del libro, Ridere (per non piangere), che rappresenta, come dice Emerico Giachery nella sua illuminante postfazione, «il rovescio della medaglia, sia nei temi d’attualità sia nel linguaggio, che è lontano come più non si potrebbe da quello della prima parte», essenzialmente effusiva». Giachery poi così prosegue: «Facit indignatio versum, diceva Giovenale, e la sua affermazione si attaglia a queste pagine in cui il poeta affronta polemicamente e con viva partecipazione, nel corso degli anni, temi di politica quotidiana».

Proseguendo il nostro discorso vorrei citare, a tale proposito, qualche verso dalla seconda parte del libro, a titolo di esemplificazione: «Il Ministro della Pubblica Istruzione / ci ha dato una lezione / in merito al «Quizzone». / La prova disse / “strutturata nazionale” / dev’esser maniacale, / possibilmente demente …».

Nelle altre parti della raccolta: Epigrammi e Recensioni proseguelapoesiasatirica,comead esempio avviene con A un borioso, che suona: «Tutta la tua sostanza è una targhetta / appiccicata sopra il tuo portone; / una carta intestata; un’etichetta / che un giorno finiranno in un bidone».

Per ciò che concerne le Recensioni (quarta parte) si veda invece Ti leggo e ti rileggo, dedicata ad un uomo di Lettere, che termina con questi versi: «Ti leggo e ti rileggo / nella perplessità più vuota / ed or ne scrivo. / L’aria mi si assottiglia / e si dirada. / Sento insistente un maglio / che prende a pugni e schiaffi il congiuntivo».

Questo recentemente apparso di Domenico Defelice è indubbiamente un libro dai molteplici spunti edalla variaispirazione, ma sempreimprontato da un linguaggio netto e da un verseggiare sicuro e franco che costituiscono da sempre le caratteristiche proprie del nostro autore.

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Il libro è preceduto dauna puntuale prefazione di Sandro Gros Pietro.

MARIA BENEDETTA CERRO QUANDO LA PAROLA TREMA DI ETERNITÀ

a cura di Bonifacio Vincenzi, Macabor Editore, Francavilla Marittima (CS), 2022.

“Abbiamo creduto di essere vivi / […] / Eppure vivemmo / ma inconsapevolmente” (poesia “Perfezione dell’incontro” in Lo sguardo inverso, 2018; 102)

Da qualche anno l’editore Bonifacio Vincenzi ha raccolto, in seno al marchio editoriale Macabor, una collana di pubblicazioni poetico saggistiche dedicate ai “poeti del sud” e ai “poeti del centro Italia”1. Volumi di particolare pregio, ben strutturati nelle loro componenti che vedono, dopo una presentazione biografica dell’autore del quale ci si occupa, delle testimonianze critiche di scrittori, saggisti e giornalisti sull’opera del dato poeta e, a continuazione, una sostanziosa scelta di liriche da quasi tutte le pubblicazioni che costituiscono la produzione poetica dell’autore preso in esame. Tra di essi ma invito ad approfondire la conoscenza mediante il sito della casa editrice ricordo quelli dedicati al poeta in lingua e in dialetto Pietro Civitareale, al poeta partenopeo Antonio Spagnuolo nonché alla poetessa romana Anna Cascella Luciani. Nel volume dedicato alla poetessa laziale Maria Benedetta Cerro sul quale mi accingo a dire qualcosa ritroviamo Spagnuolo citato nella folta produzione critica sull’opera della Cerro. Su di lei, che esordì in poesia nell’ormai non così vicino 1982 hanno scritto nel tempo alcune tra le penne più insigni della critica nostrana. Voci che hanno letto, apprezzato e fatto oggetto di analisi, studi e approfondimenti la sua pregevole produzione lirica. Tra loro ma invito a ricercare e ad appropriarsi del libro per una conoscenza che non sia lacunosa come quella che, per motivi di spazio, sono obbligato a “rischiare” cito Elena Clementelli, Daniele Giancane, Ubaldo Giacomucci, Dante Maffia, Giorgio Bàrberi Squarotti, France-

sco De Napoli, Vito Riviello, Plinio Perilli, Giuliano Ladolfi, Amerigo Iannacone, Anna Maria Curci, Rosa Elisa Giangoia, Giuseppe Napolitano e, appunto, Antonio Spagnuolo. Nomi ai quali con una rilassatezza che mi proviene da una convinzione piuttosto unanime non c’è senz’altro da aggiungere altro.

Il volume dedicato alla Cerro2 poetessa nata a Pontecorvo nel 1951 ma residente a Castrocielo, nel Frusinate, dal1975 porta quale titolo Quando la parola trema di eternità. Tema, questo dell’eternità, che, aggrovigliato a numerosi fili indistinti a quelli del tormento esistenziale, dell’assenza e del pensiero ricorrente della morte, fanno in qualche modo da padroni nel percorso creativo della Nostra. “Sarà di vuoto irreparabile / e fredda / l’eternità” ha scritto la Cerro in “Dimore delle altezze” (2) da “Ledimoresonore” in La congiura degli opposti (2012), p. 96 del testo.

Le testimonianze critiche che Vincenzi ha raccolto nel volume sulla Cerro sono state prodotte da Anna Maria Curci, Marta Celio, Francesco De Napoli, Marcello Carlino, Antonia Ventrone, Domenico Adriano, Tommaso Di Brango, Luca Lorenzini, Riccardo Scrivano e Alfonso Cardamone. A Castrocielo nel 1975 la Cerro vinse il concorso magistrale ed entrò ordinaria nell’attività di insegnamento che ha esercitato per un quarantennio.

La poesia, presente sin da giovane tra i principali interessi e quale naturale vocazione, è stata una felicecostantenelcorso della sua vita.Con Ipotesi di vita nel 1982 vinselapubblicazionealnoto Premio “Carducci Pietrasanta”el’operasarebbestatapubblicata in volume solo qualche anno dopo, nel 1987, con la preziosa postfazione di Raffaele Pellecchia per i tipi di Lacaita Editore. Nel frattempo era uscita la plaquette Licenza di viaggio, nel 1984 con Edizioni Dioscuri di Sora.

Da quel momento in poi non mancarono nuovi lavori che citiamo a continuazione: Nel sigillo della parola (1991), Lettera a una pietra (1992, contenente scritti di, tra gli altri, Ferruccio Ulivi e Giorgio Bàrberi Squarotti), Il segno del gelo (1997), Allegorie d’inverno (2003, risultata nella ternadei finalisti alrinomato Premio “Frascati Antonio Seccareccia”), Regalità della luce (2009) sino alle opere più recenti: La congiura degli opposti (2012, vincitrice del Premio “Città di Arce”), Lo sguardo inverso (2018) e La soglia e l’incontro

2

Per esattezza la prima parte del volume, quella monografica, dal momento che nella seconda parte c’è una sezione dedicata a poeti scomparsi e una terza che si occupa di vari autori contemporanei, secondo le linee organizzative della collana editoriale di Bonifacio Vincenzi.

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1 I volumi che Macabor ha dedicato ai poeti del centro Italia vedono monografie attorno ai poeti (nell’ordine) Rodolfo Di Biasio, Dario Bellezza, Mariella Bettarini, Franca Maria Catri, Margherita Guidacci e Maria Benedetta Cerro.

(2018).

Da Ipotesi di vita cito dalla poesia “Penombra” dove, nell’incipit, si legge: “Tu non tornare. / Ha un assetto la vita anche dopo la morte. / Qualcuno manca ma ignare restano le cose / […] / Tu non infrangere / la forzata quiete che m’impongo”(81). Parole che evidenziano un ampio scavo nella materia e un lavorio di cesello negli illimitati spazi della coscienza personale. Il pensiero tormento della morte, quale tema presente e non eludibile, si conserverà in modi e forme diverse nelle produzioni successive, unito spesso aquello dell’assenza e della difficoltà del ricordo.

La visione di minute e sparute luci nel denso oceano della nottedella poesia “Lucciole” èforiera di versi di un miscuglio dipassioneeriflessione, di acuta osservazione e scandaglio nell’interiorità: “La notte è intenta a sospendere / nel buio piccole luci di passaggio / e tutta se ne allieta la via / in uno scialle avvolta di segreti. // […] / Potesse così frivolo il pensiero / farsi d’un tratto. // […] / Non vuole intendere / che non è spiacevole morire. / È come riposare da un gioco che non stanca” (da “Lucciole” in Lettera a una pietra, 1992; 85).

Particolarmente pregno di attenzione per lo scrivente è il nesso semantico dei concetti e parole chiave di “assenza”, “vuoto” e “nulla”, terminologie che troviamo con assidua frequenza nell’opera della Nostra e che testimoniano l’atteggiamento

speculativo caratteristico di una poetica di alta levatura e che, seppur non abbraccia direttamente i moniti del mondo civile, rigetta il solipsismo per offriretentatividiletturadelmondoediformesperimentali di sopravvivenza a dilemmi e angosce esistenziali.

L’isotopia della mancanza della Cerro ha a che vedere con una circumnavigazione dell’indicibile che non ha pretese di facili soluzioni (“E ripenso che ciò che esiste da sempre / di te è invece la tua assenza”, dalla poesia “Alba sull’Autosole” da Ipotesi di vita, 1987; 82) ed è vissuta non con la desolazione del rimpianto e l’accecata sofferenza dellasolitudinema,alcontrario,èmetabolizzatada forme del ricordo e dall’esperienza indelebile e totalizzante del sentimento che c’è stato e che, se c’è stato, c’è ancora come nella poesia “Variazioni sull’assenza”: “Qui non fa male l’amore che manca” (in Allegorie d’inverno, 2003; 91).

L’assenza presuppone la consapevolezza dell’avvenuta realizzazione di uno stato di mancanza, per sottrazione, allontanamento o negazione. Si tratta di una sorta di atto epifanico nel quale l’io realizza la compiutezza di un cambiamento che s’è introdotto, pur senza volerlo. C’è, però, traccia dell’antecedenteconiugato a un’età in cui l’assenza era impronunciabile, incredibile o ritenuta lontana e inconcepibile: “Poiché sono sola e l’assenza / lascia un buco a forma di vento” (poesia da “L’orologio di Dalì” in Allegorie d’inverno, 2003; 90). La Cerro ci parla di un qualcosa che manca e, pertanto, non dovrebbe essere connotato perché difficilmente configurabile eppure non ne definisce i tratti nelle immagini fosche del baratro, dell’ombra, della perdizione in una verticalità che sprofonda. “Il vuoto è dolce” annota in “La torre di Scardanelli” a cui fa seguire “Sa d’immenso” (in La congiura degli opposti, 2012; 98). Nel medesimo libro, la riflessione sull’assenza o l’impossibilità di dire è esperita dalla Nostra come possibilità e diversione, occasione e nuova forma creativa coniugata a un animo resiliente che potrà traghettarla verso una nuova significazione: “Il nulla è. / Ma tu puoi colmarlo / e l’incompiuto si fa spinoso dono” (poesia “Dimore delle altezze” (1) da “Le dimoresonore”in La congiura degli opposti,2012; 96).

23/10/2022

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A gennaio 2023 ritorna il CARTACEO. RINNOVATE L’ABBONAMENTO! Pag. 46

Ausländer

Santiago reißt die Augen und ein Lichtblitz steigt auf.

Aber ich bin woanders, wach, dort, bei den Funken des Herdes, eine Sirene, die mich im Dunkeln ruft.

Da ist, das schlaflose Herz, im klaren Eingeborenen, der wie ein Glühwürmchen auftaucht.

Endlich schlafe ich, segelnd mit dem Mond von Kalabrien.

Rocco Cambareri Straniero (da Assonanze e dissonanze, Pellegrini ed., 2004). Pomezia Notizie, novembre 2022; p. 4. Traduzionein tedesco diMarina Caracciolo

SOLO QUEL AFFIDARSI

Ripercorrere i sentieri nei quali trovarono ristoro, dove i boschi decaddero e l'anima ancora respira l'orma metafisica.

Risorge la traccia del tempo, e non è vano pensare, anime che seguono "perché" irrisolti, certezze vaghe, e il pensiero filosofico. che ci mantiene vitali, ci consola appena.

Il mondo s'annulla nella concretezza di una ricerca solitaria che si fa palese e ci appartiene.

Noi stringiamo tra le mani solo: quell' affidarsi.

LA LINEA DELLA VITA

Guardo la mano; cerco inutilmente di leggere la linea della vita. L’andamento ne seguo, le spezzate, sino all’ultimo tratto che s’arresta perduto e indecifrabile. Il segreto non rivela della sua oscura corsa. Resta l’ansia, l’attesa che mi morde nel fondo e quel reticolo di segni ov’è inciso il destino. E son frammenti di un viaggio lungo ormai, che mi conduce verso una meta sempre più vicina. Ogni segno è un evento e del cammino una tappa. Ritornano stagioni a evocare visioni che vaniscono nel firmamento acceso dell’esistere (dal suo cielo mi fissa la grand’Orsa) ed è portento, è luce essere stati. Vengono cari volti dagli andati anni per sussurrarmi dentro un vento di voci, strepitose profezie. Io le accolgo all’incrocio delle vie d’una vicenda che parve infinita.

Parole misteriose, senza tempo, mi ripete la vita.

LE NOSTRE PESCHE

Le nostre piccole pesche ferite dagli uccelli gialle come l’arsura, mai viaggeranno con ali di carta dorata. A volte cadono a svuotarsi nell’afa, miniere di formiche in file nere. Ma se vincono la lotta col sole rubano la sua essenza, sono gocce dolcissime d’estate. E un poco, mia terra, ti somigliano, tenerezza guerriera.

Ada De Judicibus Lisena Da: Omaggio a Molfetta, Edizioni Nuova Mezzina, 2017.

POMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2022 Pag. 37

A VOLTE

A volte, mentre solo con me stesso l’ora attendo del sonno, mi si fanno incontro i vecchi amici di una volta, con i volti sereni e sorridenti. Quante storie mi narrano! Io le ascolto, il cuore gonfio d’allegrezza, attento a tutto ricordare: uomini, eventi, avventure. Trascorre lieve il tempo e la notte mi coglie col suo velo dolce e leggero che su me si china a far men triste il volgere degli anni. Quando alfine mi scuoto è giunta l’ora del sonno e della quiete. Le mie ossa raccolgo e cerco piano il mio riposo, forse più assorto per ciò che ho veduto.

Ma quello che più amavo è ancora là che mi lega con l’ultimo saluto.

SERA IN MONTAGNA

Per tutto il giorno si sono rincorsi fiocchi di nuvole bianche, abbaglianti, in un profondo cielo inazzurrato, nell’aroma dei boschi verdi e gialli dell’Appennino ligure, culla di sogni e di memorie per la mia anima ormai autunnale che solo quassù trova conforto ai graffi della vita cittadina.

Verso sera, da una bianca cappelletta su una balza tintinna il campanino delle ore. I paesetti adagiati nelle valli si addormentano in pace, a poco a poco, lievemente, senza inutili rumori.

Luigi De Rosa

Da: Fuga del tempo, Genesi Editrice, 2013.

EN BAS

En bas les pluies acides s’attaquent aux arbres roulent de Ponce à Pilate des pierres polies à San Pietro del Vaticano la Pietà n’est pas de marbre c’est une vraie femme et mère dont on a tué le fils qui le dit

LA MANO DI DIO

La mano di Dio disegna percorsi per noi incomprensibili o solamente comprensibili se osservati nel tempo. Solo un giudizio dall’alto dei mesi o degli anni o delle ere ci mostra la vera ragione d’ogni cosa, solo un giudizio dall’alto può spiegare le ragioni che l’Altissimo conosceva quando mosse la Sua mano.

22 agosto 2022

Un

ricevuto or ora,

vero spasso dall'ultima alla prima, In questa singolar tenzone stretta Fra parole ed immagini giocose, Pagina schietta, verbo che non mente, Là dove l'Amicizia fa cemento

POMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2022 Pag. 38
RINNOVATE L’ABBONAMENTO! Pag. 46
UNVOLUMETTO RICEVUTOORORA..... Versi endecasillabi sciolti intornoall'Opera 'ALLELUIAIN SALAD'ARMI PARATAE RISPOSTA'
Mariagina Bonciani Milano
volumetto
Un

E lega a sé pareri e discussioni. È tradizione italica far versi In rima sciolta, in armonia baciata E Dante insegna a trovarvi rifugio, Quando le avversità non son più blande. Il nostro Eroe, il Mimmo calabrese, che dalle nove Muse è coccolato E che Calliopé alquanto ispira, Ha trovato in Onàn giusto frangente, Ove porre gli accenti d'ironia, Onde serene ispirate alla Vita, Ma fuoco sacro contro ogni sopruso. Il viaggio di Rossano in Israele M'ha dato la misura del suo mondo, fatto d'Amor, di nostalgie mai stanche Di riproporsi in fremiti e desiri. Ora che ho visto il volto ed il sorriso, Lo posso immaginare innamorato Che implora distaccato nuove nozze Acolei che non vuole cerimonie! 'Ma dove avran dormito...', mi domando, 'Lor due, l'Onàn e l'Emy sua diletta? Divisi? Separati da lenzuola? Nudi come gli Amanti del Canova, Ove la pelle sfida i rai del Sole? O forse sotto appositi indumenti Atener testa al tempo in divenire?'

La mia immaginazione qui si blocca E lascio tutto interno a nebulosa, Ma mi sovviene tosto altro percorso, Che ha subìto scossone senza pari. Andavo a dire al nostro Eroe di penna, Dopo lo sforzo di un notturno invio Di materiale per la sua Rivista, Come qualmente lo pensavo stretto Nel talamo ed al fianco di sua Clelia, La cui dolcezza non sto qui a cantare. Mi arriva per e mail rimbrotto amaro: 'Ma qual Morfeo? Ma quali dolci labbra, Le languide carezze a risanare I travagli del giorno ormai concluso?

Io mi dibatto a chiudere i battenti, Afar quadrar bilanci e riflessioni E scritti e poemetti e confessioni, Tutti che voglion vedere il loro nome stampato ad arte e poco o nulla dare? Quale attesa di caldo e amen ristoro? Ma no, non è così!', si sfoga il Mimmo

E fa buon viso a sorte parentale Che lo vede dormire sul divano Con la piccola tana sottosopra, Libri stipati, spazio stretto ovunque! Allora gli rammento in gran segreto Che il poetar fa perder cognizione Del tempo, degli acciacchi, dei malori, T'immette a ben guardar in quei tremori Che d'Eros già segnalan la presenza Onde squassar la mente ed altri loci Preposti al godimento di Bellezza! Ma quando mai la carne è debolezza? Chi sostien ciò non sa che il predatore Scandaglia il campo, ha fame di gustare Quanto Natura gli regala innanzi E si prepara tosto a delibare I doni della vita e dell'altare. E nella menteAmor ha forza piena, Fa vivere gli spazi e le lor forme Compiutamente e senza falsi accenti Ove vital tensione ardente tende. Quanti gli endecasillabi fior fiore D'ispirazion che non ammette pari In questo volumetto in canto schietto! Perché l'Eroe, geloso di sue Muse, Segretamente le vuole compensare Amodo suo, noi lo sappiam, è chiaro! Ecco qui esempi a miracol mostrare: “L'Italia e il mondo, immensa tartufaia, Di tuberosi e funghi ipocrisia. Buoni i primi a condir molte vivande; Mèntori gli altri di bacchettoneria. E son questi, purtroppo, caro Onano, Ch'hanno coperto ormai monti e pantano....” Questo ed altro troviam specularmente: Mentre l'Onan in prosa mette in guardia Contro quel malcostume che dilaga, Don Mimmo in versi sciolti si protende Amenare fendenti a destra e a manca! Ci sarebbe da dir molt'altro ancora, Ma adesso andiam, ho pronte le ginocchia Apercorrer le strade della Vita, Munita come son di certi mezzi E l'Amicizia vostra ben m'aita! Di paterna saggezza ho qualche goccia, Nel mangiare risparmio fino all'osso Pur di partir per Verità cercare: Siatemi di sostegno voi Poeti,

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Due voci schiette, senza ipocrisia, Senza stare a guardar, sia quel che sia! Un doveroso grazie v'indirizzo, In attesa di dir molt'altro ancora.

Ilia Pedrina Vicenza

voce”; 4° Premio a Claudia Degli Innocenti per “Avanzi”; 5° Premio a Franco Franconi per “Oblio”.

Per il Libro edito di poesia sono i seguenti: 2° Premio ad Alessandro Izzi per il libro “Requiem dal buio e dal frastuono”, Giovane Holden Edizione, 2020; 3° Premio a Silvana Ceruti per il libro “Come un filo di seta”, La Vita felice, 2020; 4° Premio a Roberto Casati per il libro “Appunti e carte ritrovate”, Guido Miano Editore, 2022; 5° Premio a Patrizia Fazzi per il libro “Il tempo che trasforma”, Prometheus, 2020.

NOTIZIE

ACCADEMIACOLLEGIODE’ NOBILI, Istituzione storico culturale fondata nel 1623 Esito 14a Edizioni “DANILO MASINI” Dopo attenta lettura ed esame degli elaborati e libri ricevuti, la Giuria della 14a Edizione del Premio Internazionale di Poesia “Danilo Masini” dal tema Poesia e relazioni civili e morali nel nostro secolo e Tema libero, riunitasi a Montevarchi (AR), ha decretato che il 1° Premio per la Poesia Inedita andasse a Mauro BATTINI per la poesia “Chiudo gli occhi”, il 1° Premio per il Libro Edito di Poesia a Manuela MAZZOLA per il libro “Parolesospese”, Il Convivio Editore, 2021.

Per la sezione Poesia Inedita giovani sotto i 18 anni, il 1° Premio è andato a Claudia MELE per la poesia “Al contrario”. Gli altri premi assegnati per la sezione Poesia inedita sono i seguenti: 2° Premio a Giuliana Gilli per “Notte di San Lorenzo”; 3° Premio ad Alessandro Inghilterra per “L’amore senza

Per la sezione Poesia inedita giovani sotto i 18 anni i seguenti: 2° Premio a Scuola primaria 1a classe per “25 Haiku”; 3° Premio a Giorgia Volta per “Burattino”; 4° Premio a Silvia Attianese per “Il calore natalizio”; 5° Premio a Ginevra Puccetti per “Tutto ora è poesia”. Sono stati, inoltre, segnalati i seguenti poeti per la sezione Poesia Inedita: 6° classificato Vittorio Di Ruocco per la poesia “Nel buio profondo che mi rassomiglia”; 7° classificato ex aequo Maurizio Bacconi per la poesia “Al dilàdeltempo”;7°cl.exaequoElisabettaLiberatore per la poesia “Cosa resta dell’estate”; 7° cl. ex aequo Aurora Coppolino per la poesia “Riflessi”; 8° classificato ex aequoDinoValentinoMoroperlapoesia“… E per l’ultimo viaggio”; 8° cl. ex aequo OrazioMilazzoperlapoesia“Tracuoreemente”; 9° classificato Isabella Michela Affinito per la poesia “Ad inchiostro di china”; 10° cl. Aurora Soranzo per la poesia “Il buio di stelle”. I seguenti per la Sezione Libro edito di poesia: 6° cl. ex aequo Gabriella Paci per il libro “Sfogliando il tempo”, Edizioni Helicon, 2021; 6° cl. ex aequo Giovanni Di Lena per il libro “Piccole faville”, Villani Editore, 2022; 7° cl. ex aequo Alfredo Alessio Conti per il libro “Sulla soglia dell’infinito”, Biblioteca dei Leoni, 2021; 7° cl. ex aequo AnnaMariaOlitoper il libro “Un’emozione all’angolo del cuore”, Porto Seguro, 2017; 8° cl. Luca Bacilieri per il libro “Il respiro dei sogni”, Edizioni Artestampa, 2018; 9° cl. Dario Gallo per il libro “Il giardino dentro”,

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D. Defelice: Il microfono (1960)

Europa Edizioni, 2022; 10° cl. Adalpina Fabra Bignardelli per il libro “Pensieri e parole”, Carta e Penna, 2021. Sono stati, inoltre, segnalati i seguenti poeti per le Sezioni: Premio speciale “in memoria di Giovanna Ceccarelli (n. 24.6.1978 m. 9.1.2018)” assegnato a Fabiola Confortini per il volume “Profumo di vita”, Anscarichae Domus Accademia Collegio de’ Nobili, 2020.

Premio speciale “in memoria di Tiziana Pacchi (n. 24.1.1970 m. 27.1.2009)” assegnato a Luciano Fani per il volume “Penombra del crepuscolo”, Aletti editore, 2020. Premio speciale della Giuria assegnato ad Alessandra Arcoraci per la poesia “Cornice rossa”. Premio speciale Accademia Collegio de’ Nobili ad Aldo Ripert per il volume “Pria che sera a notte ceda”, Anscarichae Domus Accademia Collegio de’ Nobili, 2022.

Menzione d’onore ad Angelo Manitta per il volume “Tamar”, Edizioni EIKON Bucarest (Romania), 2022.

La Cerimonia di Premiazione ha avuto luogo sabato 26 novembre 2022 alle ore 16.30 presso il Circolo Ricreativo “StanzeUlivieri” in Piazza Garibaldi, 1 a Montevarchi (Arezzo). A chiusura, concerto di musica.

Il Segretario del Premio Claudio Falletti di Villafalletto Corrispondenza: C. P. 39 via G. da Verrazzano, 7 50018 Scandicci, Firenze/Italy Tel. 339 1604400 329.7235669; Cod. Fiscale: 94058800486 Indirizzo E.Mail: accademia_de_nobili@libero.it ***

POMEZIA-NOTIZIE, novembre 2022. Tra i tanti echi, eccone uno dalla Francia Nous venons de recevoir le dernier numéro de la revue italienne Pomezia Notizie accessible en ligne où notre ami Domenico Defelice rend un hommage élogieux à Florilège. À notre tour, nous lui rendons cet hommage, d’autant plus que nous y apprenons que c’est le dernier numéro qu’il signe en tant que directeur. C’est un truisme de noter que notre tête alourdie de savoirs et d’expériences multiples, a tendance à pencher en avant, et

qu’avec les années, notre corps commence à ne plus suivre la même cadence. Le moment lui semblait propice pour désigner son successeur qui reprendra le flambeau en janvier. Et c’est une femme, Manuela Mazzola, qui outre ses publications dansdifférentes revues et ses propres livres de poésie, partage les mêmes valeurs que Domenico Delfelice défend depuis cinquante ans. Le dessin p.41 de notre éditeur et poète est une illustration picturale de ce passage de la vie. Fidèle rédactrice, Isabella Michela Affinito revient sur l’exposition consacrée à Giacomo Balla à l’occasion des 150 ans de sa naissance, Balla dont lenomest étroitement liéaumouvement futuriste auquel appartenaient Umberto Boccioni et le poète Marinetti. L’exposition est visibleàRomejusqu’àlafindel’année2022.

Irène CLARA irene.clara51@gmail.com ***

IL RE MANGIA SOLO ALLA BIBLIOTECA CIVICA DI CASTELLANZA Il 29 ottobre, alle ore undici, presso la Biblioteca Civica di Castellanza, è stato presentato, con Sandro Gros Pietro di Genesi che lo ha stampato, l'inedito di Livio Cerini di Castegnate "Il Re mangia solo e altri racconti", a cura di Wilma Minotti Cerini. Apertura della Autorità del luogo: Sindaca Mirella Cerini, Assessore alla Cultura Davide Tarlazzi. Partecipanti, tra gli altri, Delegato Accademia della cucina Italiana Dino Betti Van der Noot Milano centro dove Livio era socio onorario; Fiammetta Fadda, accademica e televisiva. Il volume, di grande formato, di 264 pagine,

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sapientemente illustrato da immagini a colori, si legge con grande godimento, sia per il contenuto, che per il linguaggio.

Livio Cerini (1918 2012), come si legge nel primo risvolto di copertina, è <<Personaggio di indubbio fascino e spessore culturale, (…) ha pubblicato con Sonzogno, Salani, Longanesi e Idea Libri volumi di grande interesse e successo sulla gastronomia e sulla storia della cucina (…). Collezionista di testi storici di cucina fra 1500 e 1800, fine gourmand e appassionato cuoco ai fornelli, Cerini nel 2007havenduto all’AccademiaBarillalasua ricca collezione di circa 5 mila menù storici.

Inoltre, 1400 volumi antichi sono stati acquistati dallaBibliotecaInternazionaleLaVigna di Vicenza costituendo il “Fondo Cerini di Castegnate”>>. <<Questo libro inedito di Livio Cerini di Castegnate leggiamo a pag. 9 viene stampato postumo in memoria dell’amato marito dalla moglie Wilma Minotti Cerini. Un ringraziamento a Roberta Cerini Baj per l’aiuto dato nella composizione del manoscritto. Un ringraziamento particolare all’amico di famiglia Carmelito Disalvo per l’aiuto fondamentale nella ricerca del quadro ideale in copertina>> (Jean Hégésippe Vetter, Molière et Louis XIV, 1864 circa).

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ALLA BIBLIOTECA COMUNALE DI POMEZIA Presentazione del saggio antropologico di Manuela Mazzola PAOLO SOMMARIPA PITTORE DELL'ARTE IMMAGINARIA Ha raccolto un notevole successo lapresentazionedel saggio antropologico, Paolo Sommaripa pittore dell'Arte Immaginaria di ManuelaMazzola, editodaIl Convivio Editore, avvenuta il 28 ottobre 2022 presso la biblioteca comunale Ugo Tognazzi di Pomezia, ma anche un riscontro sulla stampa locale. Erano presenti, oltre all'autrice, Paolo Sommaripa, il prefatore Claudio Vannuccini e la moderatrice prof.ssa Ingrid Lazzarini. Nel volume viene proposta una lettura del tutto particolare delle trentasei opere che riguardano il Sacro, l'Umano e la Natura, mettendo in risalto soprattutto il messaggio celato in esse.

Su Il Messaggero, quotidiano di Roma, del 2 novembre la giornalista Moira Di Mario scrive: “L'artista pometino, molto conosciuto anche oltre i confini pometini con il nome di Sommarì, ha fatto della divulgazione del bello e dell'arte la sua ragione di vita”.

Su Il Pontino Nuovo del 1/15 novembre Sabatino Mele afferma: “L'arte di Paolo Sommaripa, si è sviluppata nel corso degli ultimi trent'anni, rappresentando sicuramente un punto fermo della cultura e dell'arte”.

La moderatrice ha coinvolto gli spettatori,

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mediante la proiezione dei dipinti e gli artisti presenti (Eleonora Liuzzi, Enzo Andreoli, Rita Ceccanti, Rossana Urbani, Maria AntoniettaMosele,RobertoDeLucaeRosariaPaduano) hanno partecipato con domande e interventi personali.

La Redazione ***

XI EDIZIONE PREMIO I MURAZZI

2023 EDITI: Sezione A Poesia edita Premi in denaro per 2.600 €; Sezione B Poesia edita femminile opera prima. Premi in denaro per 1.200 €; Sezione C Prosa edita Premi in denaro per 2.600 €; Sezione D Saggistica edita Premi in denaro per 2.600 €.

INEDITI: Sezione E Poesia singola Pubblicazione nell’antologia Voci dai Murazzi; Sezione F Silloge inedita Primo premio pubblicazione gratuita; Sezione G Prosa inedita Primo premio pubblicazione gratuita; Sezione H Saggistica inedita Primo premio pubblicazione gratuita. Quota d’iscrizione per ogni sezione e per ogni opera inviata: € 20,00. Per info e regolamento visitare il sito https://www.elogiodellapoesia.it/Bando_2023.html info@elogiodellapoesia.it RINNOVATE L’ABBONAMENTO! Grazie! Pag. 46 →

LIBRI RICEVUTI

LIVIO CERINI DI CASTEGNATE Il re mangia solo e altri racconti, a cura di Wlma Minotti Cerini In copertina, a colori, “Molièreet LouisXIV”di Jean HégésippeVetter; numeroseillustrazioni acolori neltesto Genesi Editrice, 2022, pagg. 264, € 20,00. Livio CERINIdi CASTEGNATE ènato aCastellanza (Va) nel 1918 ed è morto a 94 anni, a Pallanza (VB) nel 2012, lasciando un immenso patrimonio tematico alla moglie Wilma Minotti. Ha pubblicato con Sonzogno, Salani, Longanesi, Idea Libri, Mondadori; tra le sue opere: Il cuoco gentiluomo (1980), Il gentiluomo in cucina (1983), Il libro del baccalà (1986), Il libro delle padrone di casa (1986), Il menu tra storia e arte (1990), Ertè e il Cognac (1991), A tavola per amare(2000), Ilgourmet vegetarianopercarnivori (2002), Il grande libro del baccalà con aggiunta delle Confraternite (2008). **

GABRIELLA FRENNA Amata terra Mosaici di Michele Frenna (all’interno, 15 immagini in bianco e nero; in prima e quarta di copertina, a colori: “Tempio della Concordia” 1980 e “Natura morta” 1999), Prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2021, pagg. 72, € 15,00. Gabriella FRENNA è nata a Messina e risiede, fin dall’infanzia, a Palermo. È sempre stata affascinata dai narratori, dal modo di scrivere e di trasportare il lettore all’interno delle loro creazioni. Dalla dipartita dal mondo terreno della sua amata sorella maggiore, si è interessata alle opere che proiettano l’animo umano versoil misterodeldivino.Esternaconpoesie, racconti e scritti critici, il suo desiderio di addentrarsi nell’essenza conosciuta, di proiettarsi verso il mondo trascendentale e di evidenziarlo insieme con la propria visione realistica. Collabora con riviste nazionali e straniere e fa parte della scuola critica del Prof. Vincenzo Rossi. Ha pubblicato: “La serie dello zodiaco nell’elaborazione musiva” (2002); “Il fascino della valle” (2003);

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“L’Eremo Italico di Carmine Manzi” (2004); “La rosa” (2005); “L’anima lirica e storica di Brandisio Andolfi” (2007); “Generosa Natura” (2008); “Arcano splendore Arcane splendour” (2008); “L’anelito spirituale di Ernesto Papandrea” (2009); “Il Croco” (2010), “La ragione e il sentimento nelle opere di Leonardo Selvaggi” (2011); Mosaico di San Calogero di Naro” (2012); “A mio padre para meu pai” (2018); “Sguardo d’amore” (2018); “Come voli d’aironi. Omaggio a Michele Frenna e a Leonardo da Vinci nel cinquecentenario della sua morte” (2019); “Sguardo d’artista Omaggio a Michele Frenna e a Raffaello Sanzio nel 500° anniversario della morte” (2020); “L’immensità Omaggio a Giovanni Pascoli nel 165° anniversario della nascita” (2020); “Luminosità arcana. In omaggio a Dante Alighieri nel 700° della morte” (2021); “Amata terra” (2021), “Myosotis” (2021). Nel 2006 è stata edita “La critica di Leonardo Selvaggi sull’arte e sulla letteratura frenniana” e, nel 2009, il saggio di Leonardo Selvaggi “Dai mosaici alla poesia”. Sito internet: www.literary.it

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GABRIELLA FRENNA GIOVANNI CAMPISI ALTHEA ROMEO MARK

Terra mia My Land Poesie bilingue, traduzionidiGiovanniCampisi All’interno,in bianco e nero, 14 mosaici di Michele Frenna e 2 a colori in prima e in quarta di copertina Edizioni Universum, 2022, pagg. 78, € 15,90.

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ISABELLA MICHELA AFFINITO E la luna bussò alla mia porta In copertina, a colori, illustrazionedell’Autrice Genesi Editrice, 2022, pagg. 148, € 12,50. Isabella Michela AFFINITO è nata in Ciociaria nel 1967 esi sentedonnadel Sud. Hafrequentato e completato scuole artistiche anche a livello universitario, quale l’Accademia di Costume e di Moda a Roma negli anni 1987 1991, al termine della quale si è specializzata in Graphic Designer. Ha proseguito, poi, per suo conto, approfondendo la storia e la critica

d’arte, letterariaecinematografica, l’antiquariato, l’astrologia, la storia del teatro, la filosofia, l’egittologia, la storia in generale, la poesia e la saggistica. Nel 1997 ha iniziato a prendere parte ai concorsi artistico-letterari dellevarieregioni italianeein seguitohapartecipato anche a quelli fuori dei confini d’Italia, tra cui il Premio A.L.I.A.S. dell’Accademia Letteraria Italo Australiana Scrittori di Melbourne. Ha reso edite quasi60 raccolte di poesie e volumi di critiche letterarie, dove ha preso in esame opere di autori del nostro panorama contemporaneo culturale e sovente si è soffermata sul tema della donna, del suo ruolonellasocietàodiernaedelpassato,delle problematiche legate alla sua travagliata emancipazione. Con “Da Cassandra a Dora Maar” (2006) ripropone le infinite donne da lei ritratte nei versi per continuare un omaggio ad esse e a lei stessa. Inserita in moltissime antologie, tra cui l’ “Enciclopedia degli Autori Italiani”(2003), “Cristàlia”(2003), “8 Marzo” (2004), “Felicità di parole...” (2004), “Cluvium” (2004), “Il suono del silenzio” (2005), Vittorio Martin: Storia di un pittore del nostro tempo (2005) eccetera. Sempre sul tema della donna ha scritto un saggio sulla poetessa Emily Dickinson. Pluriaccademica, Senatrice dell’Accademia Internazionale dei Micenei di Reggio Calabria, collaboratrice di molte riviste, è presente in Internet con sue vetrine poetiche. Tra le sue recenti opere: “Insolite composizioni” - vol. VIII (2015), “Viaggio interiore” (2015), “Dalle radici alle foglie alla poesia” (2015), Una raccolta di stili (15° volume, 2015), “Percorsi di critica moderna Autori contemporanei” (2016), Mi interrogarono le muse… (2018), “Luoghi Personali e Impersonali” (2018), “Autori contemporanei nella critica (Percorsi di critica moderna)” (2019), “Una raccolta di stili” (17° volume, 2019), “Una raccolta di stili (18° volume, 2020), “Lettera a…” (2020), Autori contemporanei nella critica di Isabella Michela Affinito (Percorsi di critica moderna, IV volume) 2020), Venezia è un vestito di sale (2020), Dalla Sicilia alla Francia nell’Ars poetica di Pietro Nigro (2021),

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Amici di ieri, amici di oggi… (2022). **

BONIFACIO VINCENZI (a cura di) SUD i Poeti. Volume Dodicesimo. Gianni Rescigno: “siamo anime senza nomi che brillano nel silenzio dell’attesa” Testimonianze di Franca Alaimo, Luca Benassi, Silvano Trevisani, Marina Caracciolo, Marta Celio, Fabio Dainotti, Dario Talarico, Francesco D’Episcopo, Pasquale Matrone, Antonio Vitolo. Nella seconda parte del volume: VOCI DAL SILENZIO, Poeti del Sud scomparsi da non dimenticare: Giovanna Sicari (con testimonianza di Pino Corbo), Umberto Cerio (testimonianza di Massimo Pamio), Marina Mariani (testimonianza di Bonifacio Vincenzi), Clemente di Leo (testimonianza di Bonifacio Vincenzi), Nerio Tebano (testimonianza di Silvano Trevisani). Parte terza: Antologie dei poeti del Sud, con Rocco Taliano Grasso (testimonianza Bonifacio Vincenzi), Nicola Fornabaio (testimonianza Marta Celio), Anna Ruotolo (testimonianza Bonifacio Vincenzi), Enzo Cordasco (testimonianza Antonia Vetrone), Antonio Trucillo (testimonianza Bonifacio Vincenzi). Macabor Editore, 2022, pagg. 230, € 20,00. Bonifacio VINCENZI ènato aCerchiaradi Calabrianel 1960 e vive a Francavilla Marittima (CS). Ha curatodiverseantologieecollaboratoconquotidianieriviste.Havintomoltipremiehapubblicato molti libri per l’infanzia. Ha diretto la rivista “La colpa di scrivere” e il quadrimestrale di letteratura “Il Fiacre N. 9”. Attualmente dirige il bimestrale di poesia “Il sarto di Ulm” e il trimestrale di narrativa “Il sogno di Orez”. Cura per Macabor, di cui è direttore editoriale, “Secolo Donna. Almanacco di poesia italiana”, “Sud I poeti” (20 volumi), “I poeti del centro Italia” (20 volumi), “Italia insulare I poeti” (10 volumi), “Nord I poeti” (con Marta Celio, 20 volumi). Tra le sue tante opere si ricordano: Arrivederci, Letizia! (romanzo, 2000), La tempesta perfetta (poesia, 2009), La bambina di Carrol (poesia, 2015), Testimone un cane (romanzo, 2015), Bataclan (poesia, 2016), Il raduno (romanzo, 2018), La vita della parola (poesia, 2020).

TRA LE RIVISTE

IL CONVIVIO Trimestrale fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza Conti via Pietramarina Verzella 66 95012 Castiglione di Sicilia (CT) e mail: angelo.manitta@tin.it; enzaconti@ilcovivio.org Riceviamo il n. 91, ottobre dicembre 2022. Tra le molte firme segnaliamo: Edoardo Barghini, Angelo Manitta, Francesco Casuscelli, Stefano Cazzato, Giuseppe Moscati, Fabio Dainotti, Giuseppe Piazza, Giuseppe Manitta, NicoletaSilviaIoana,GiuseppeRocco,Giovanni DiGirolamo,UmbertoCavallin,FiorellaGobbini, Calogero Cangelosi, Antonella Lumini, Adalgisa Licastro, Carmela Tuccari, Francesco Celi, Fiorella Brasili, Giuliana Di Gaetano Capizzi, Adriana Repaci, Enza Conti, Maristella Dilettoso, Michele De Luca, Antonio Martorana, Pina Ardita, Tito Cauchi, Francesca Luzzio, Ornella Mallo, Marcella Laudicina, Lucia Paternò, Teresa Riccobono, Pasqualina Cammarano, Luciana Raggi, Dorothea Matranga, Antonino Causi, Mario Inglese, Fabia Baldi, Antonio Crecchia. Numerosi i poeti, italiani e stranieri (tradotti da Angelo Manitta), tra cui Antonia Izzi Rufo. *

LA TOSCANANUOVA periodico di attualità, arte e cultura, direttrice responsabile Daniela Pronestì via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze e-mail: lanuovatoscanaedizioni@gmail.com. Riceviamoiln. 10,novembre 2022.

Domenico Defelice: Animale fantastico, legno.

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AI COLLABORATORI

Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi discritturaeNONsottopostiadimpaginazione o altro) a: Manuela Mazzola via Catilina 6 00071 Pomezia, Roma, preferibilmente attraverso E Mail: pomezianotizie22@gmail.com. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute); per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. Si ricorda che Pomezia Notizie si mantienesoloattraversoicontributideilettori. Per ogni ed eventuale versamento di sostegno, assolutamente volontario: IBAN IT44M3608105138230560730640

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Pubblicazione privata Direttore editoriale e proprietario: Domenico Defelice Direttrice responsabile: Manuela Mazzola

POMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2022 Pag. 46
BUON NATALE 2022 ! e... FELICE ANNO 2023 !
D. Defelice: Il serpente, radice,
37,5
cm.

D. Defelice: Animale fantastico, legno su fungo.

Domenico Defelice: Il drago, legno

POMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2022 Pag. 47
POMEZIA-NOTIZIE Dicembre 2022 Pag. 48
Domenico Defelice: Il drago, legno

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