IL DON CHISCIOTTE Numero
Il Don Chisciotte - Periodico dell’Associazione Culturale Don Chisciotte Via Zanone, 3 - Autorizzazione n°1105 della Segreteria di Stato agli Affari Interni della Repubblica di San Marino del 26/03/2004 Direttore Responsabile Roberto Ciavatta Copia depositata presso il Tribunale della Repubblica di San Marino 19
Maggio 2009
Aiuti ai terremotati
Il 14 aprile, con Radio Love. fm (Mhz 98.9) abbiamo portato due camion di aiuti alle popolazioni colpite dal sisma in provincia dell’Aquila, nella frazione di San Panfilo d’Ocre. Ora si continua a pag.
L’Ippogrifo
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Sopra di noi niente
Cesare Padovani
Taxi driver + Q uelle Avere o essere? Democrazie . 10 orfane del Es...cogitando «demos» Funzioni L’attuale governo
Nel nome di chi?
La gerarchia delle nostre attitudini per la ricerca della felicità
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Verità create
Nichilismo gorgiano e arte della manipolazione pag.
commentato da Platone
Vi
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Psicoterapia individuale pag.
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Campagna di finanziamento
preghiamo, compilando la dichiarazione dei redditi, di finanziarci indicando come beneficiario del 3‰ (quota sociale comunque trattenuta) l’“Ass. Culturale Don Chisciotte”. Chi voglia contribuire ulteriormente può farlo contattandoci via mail, o versando la quota che desidera su apposito form nel nostro sito. Le nostre attività dipendono dai finanziamenti che ci invierete. Grazie di cuore per l’affetto!
Oasiverde
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Appunti di psicologia
pag
dell’anima
pag.
La psicoterapia attuale, modellata sui principi tecnici della psicoanalisi classica, viene sovente definita in molte differenti maniere: espressiva, dinamica, a orientamento psicoanalitico, orientata all’insight, esplorativa, svelante o intensiva. Codesta forma di trattamento, tesa all’analisi delle difese e allo svelamento del materiale dinamicamente rimosso nell’inconscio, è stata pag.
Pagina autogestita. Questo mese: “L’importanza della biodiversità” + “In fondo al pozzo”
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Pagg. 6/7
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Quelle Democrazie orfane del «demos»
L’attuale governo commentato da Platone
Platone con il “Timeo” sottobraccio
Il mese scorso ho pubblicato un articolo dal titolo “Platone cattivo maestro?”. Successivamente, discutendo assieme a Cesare Padovani, mi ha fatto notare che a suo avviso in quell’articolo il pensiero di Platone non era sufficientemente situato storicamente, e non avevo ribadito con il giusto peso la presa di distanza dall’interpretazione di Popper (si veda l’art. in questione nel numero del mese scorso). “è come - mi ha detto Cesare - se avessi ricevuto un fax da Platone sui pericoli di questa nostra «Democrazia»: se trovo il tempo approfondisco il tema con un mio articolo, perché l’importanza delle tue osservazioni è tale da richiedere una continuazione”. Detto fatto, ecco qua a fianco l’articolo di Padovani, che continua e chiarisce le osservazioni da me abbozzate il mese scorso. R.C.
Aprendo la Repubblica a quell’ottavo libro, pare quasi che Platone ci voglia metter in guardia: tratta dei pericoli che portava con sé quella nascente «democrazia» quando, in nome del fatto che tutto è possibile per tutti (compreso quello di governare), concede a chi già può le libertà più sfrenate con il diritto datogli dalla elezione. Alcuni passi risultano di un’attualità sorprendente come se il Filosofo fosse presente alle nostre attuali discussioni sulla democrazia e su chi ci rappresenta. Già nell’Atene di 2300 anni fa (poco prima che Alessandro Magno incaricasse Aristotele di redigere la prima Carta Costituzionale), appunto Platone con amara ironia si chiede chi possa essere “degno di governare”, proprio allora quando, caduta finalmente la Tirannide, l’intero popolo (scontento) invocava la democrazia come il nuovo potere che meglio l’avrebbe rappresentato. Ma ben presto ci si accorse quanto fosse facile, da quel nuovo governo così “libertario” nell’incentivare gli interessi individuali e corporativi, cadere facilmente in una nuova monocrazia (una sorta di “dittatura morbida” potremmo oggi definirla), o “potere dei capricci di uno”, oppure in altre forme di monopoli oligarchici, con in-
teressi faziosi, tanto vicine a nuove tirannie sebbene mascherate. E si chiede, infatti, il nostro Filosofo se, in questo clima di sfrenato liberismo dove tutto è lecito, non sia un bel vivere il fatto che non vi sia nessun obbligo per chi si assume il governo, neanche quello che stabilisce se il candidato sia adatto a esercitarlo, e neppure quello di lasciarsi governare nel modo in cui tu non lo voglia, né di stare in pace o in conflitto quando altri ci stanno, e dove non vi siano delle regole che impediscano a costui di governare e giudicare e che abbia la possibilità non di meno di governare e di giudicare come gli salta il grillo per la testa (VIII: 557, e). Le sue perplessità e il suo disappunto sono più che legittimi, se ripensiamo quanto quella prima immatura forma di democrazia, nata sulla ceneri di una oppressiva tirannide, fosse così scombinata e litigiosa e schierata in consorterie vendicative (tanto che Socrate fu condannato a morte al sorgere di quel regime “democratico”!). Perché, la nuova forma di governo avrebbe dovuto rappresentare il «potere di chi è stretto da un patto comune», come vorrebbe il suo nome (democrazia appunto da «dèmos», che significa “legame” e «kratos»
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“potere”, vale a dire una socìetas preparata ad agire per il bene pubblico). Al che certamente non somigliava affatto. In effetti di lì a poco rivelò il suo vero volto: quello dell’individualismo più sfrenato che degenerò precipitosamente in una sorta di laocrazia e per di più anarcoide (una pratica politica anarchica e variopinta, la definisce Platone), perché ognuno si faceva largo a gomitate, ognuno aspirava ad un grande o medio o piccolo potere unicamente in vista di vantaggi personali. Appunto, assecondare in tutto e per tutto gli appetiti del popolo indifferenziato (di quel «làos» amorfo che darebbe origine alla laocrazia), spesso consapevole di averne un tornaconto, e spesso impreparato e diseducato ai principi dell’etica, valeva dire incitare alla sopraffazione, ai privilegi più sfacciati, e persino ad addomesticare le regole secondo “i grilli” dei potenti e dei loro seguaci. E noi, dopo più di due millenni, ereditiamo quei nobili ideali, insiti nei princìpi della democrazia (neonata già orfana del demos), mescolati alle pecche, ai pericoli e ai trabocchetti di cui era impastato quel nuovo governo popolare. Il punto cruciale si trova allora nella domanda: In che cosa consiste l’attuale nostra «democrazia»? Perché non si può dire ancora “matura”, e tantomeno “compiuta” rispetto a quella di ventitré secoli fa? Anche oggi come allora, dobbiamo chiederci, infatti, se chi ci governa sia colui che ci rappresenta: rappresenta tutti o la sola ristretta maggioranza dei suoi seguaci, oppure unicamente se stesso? E perché lo si elegge comunque? Potrebbe accadere che il futuro Cocchiere si mostrasse inizialmente un «democratico doc», ma, una volta assunto il governo, potrebbe rivelarsi lontano mille miglia dall’essere orientato verso il Bene Pubblico invocato da Platone? In tal caso, il leader (un qualsiasi Berlusconi di turno) diventa despota
in nome del potere che gli concede la massima libertà d’azione: rappresentando se stesso, può anche dire impunemente che ciò che la legge non gl’impedisce, gli è concesso. In altre parole: faccio quello che voglio!, perché sono io stesso delegato a manovrare la legge. E se, per caso, alcune regole costituzionali gli sono d’inciampo, basta poco perché non siano più d’ostacolo: basta ritoccarle qua e là, togliere qualche reato, far scivolare certi crimini in “negligenze”... svuotando così la Costituzione dal di dentro, come osserva Giovanni Sartori. Ma se, per caso, come può ac-
cadere in un regime democratico più maturo, qualche organismo super partes (per esempio, la Magistratura) dovesse criticare il Premier, o peggio condannarlo, salvati o cielo!, quest’organismo diventa un avversario da distruggere. Sì, d’accordo in un regime “democratico” (com’è stabilito) qualsiasi ha la libertà di opporsi a chi ci governa, mentre non è detto esplicitamente che possiede ancor “più libertà” il potere che criminalizza chi si oppone o che gli impedisce di opporsi. Proprio perché ora, quasi come allora, ...quando una città democratica, assetata di libertà, viene ad avere ai vertici dei cat-
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tivi coppieri, costoro si inebbriano di quella libertà mera oltre il dovuto, tanto che anche i magistrati, se non siano del tutto remissivi e non largiscano in ampia dose la libertà, vengono puniti e accusati di scelleratezze (VIII: 562, d). Come è stato fatto per Mani Pulite! Ma allora, dove si sono imboscate tutte quelle potenzialità (famiglie, partiti, associazioni, scuole...) che, con passione, avrebbero dovuto coltivare i nuovi cittadini, e che dovrebbero orientare i giovani con l’esempio, per aiutare a traghettare le goffaggini del laos alla coscienza del demos? Cesare Padovani
La canzone del mese Paleobarattolo (Renato Zero) Chiuso dentro ad un barattolo... sono stato chiuso in un barattolo! Per vent’anni e trentamila secoli; di qua, di là... di qua, di là. Preso a calci dentro a quel barattolo, mentre il mondo fuori andava a rotoli, per vent’anni e trentamila secoli; Di qua, di là... di qua, di là. Ehi amico dammi l’apriscatole, sono stanco d’essere un giocattolo! Per vent’anni e trentamila secoli; Di qua, di là... di qua, di là... Perché ti nascondi, dai vieni qui: giochiamo un po’! Impariamo ancora, se tu lo vuoi, A ridere! Sai cos’è, che non va? Chiudere in scatola la libertà. Non ci sto, vado via. Cerchiamo scampo nella fantasia! Ora passo tutto il giorno a ridere. C’è la gente chiusa nei barattoli! Si lamentano ma sono secoli, che vanno su, che vanno giù. Mi diverto se li sento piangere, sono chiusi tutti nei barattoli, non capiscono ma sono secoli, Che vanno su che vanno giù Perché ti nascondi, dai vieni qui: giochiamo un po’! Impariamo ancora, se tu lo vuoi, a ridere! Sai cos’è, che non va? Chiudere in scatola la libertà. Non ci sto, vado via. Cerchiamo scampo nella fantasia! Chiuso dentro ad un barattolo! Sono stato chiuso in un barattolo, per vent’anni e trentamila secoli... Di qua, di là... di qua di là... Su e giù, su e giù, su e giù, su e giù...
«Quando l’originalità, diciamo anche l’eccentricità, è talento, allora diventa alternativa. Quando qualcuno è stato, come scrive in questo suo pezzo, “per vent’anni chiuso in un barattolo”, vent’anni suoi, della sua vita, e trentamila secoli della nostra, come razza umana, in un barattolo di conformismo della cosiddetta “civiltà”, si stanca, rompe il barattolo, e decide di vivere come vuole, come è! Una verità che manca a quasi tutto il genere umano: nessuno ha il coraggio di essere quello che è... ha il coraggio qualche artista, qualche raro artista che sa vivere la sua arte, la sua poesia, la sua musica. Ed è il caso di Renato Zero». Introduzione della canzone nell’album: “No Mamma No” (1973)
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Sopra di noi niente Rubrica a cura di Andrea Mina
Nel nome di chi?
“Nel nome di Dio Amen” – Così, per antica tradizione, devono iniziare gli atti pubblici sammarinesi. Qualche anno fa un’Istanza d’Arengo, presentata da un consigliere cattolico, propose di rimuovere questa locuzione dagli atti pubblici in quanto anacronistica ed ormai poco adatta ad uno Stato che voglia definirsi laico. Il consiglio si divise in due fazioni trasversali. C’erano quelli che, facendo notare che Dio è già stato il testimonial inconsapevole (ops! dimenticavo, è onnisciente) di operazioni ben poco divine, sostenevano che fosse il momento di tenere la divinità fuori da vicende umane come i divorzi o le compravendite di immobili. Dall’altra parte c’era chi berciava retoricamente
Adunata dell’Arengo 25 marzo 1906
Insediamento dei Reggenti nella Pieve contro il relativismo e chi si appellava alle radici cristiane ma tutti concludevano con il richiamo alle antiche tradizioni del nostro Stato. Qualsiasi persona dotata di un minimo di buonsenso faticherebbe a credere che l’istanza fu bocciata. Molti di noi sono così assuefatti alle tradizioni che non si accorgono di quanto sia stridente il fatto che la messa in Pieve sia un momento costituente della cerimonia di insediamento dei capi della Repubblica, che ricordo essere laica. È evidente che le cosiddette antiche tradizioni godono di un rispetto incondizionato in nome del quale non
è possibile metterle in discussione. Ma quanto vale la tradizione? La nostra identità deriva solamente dalla tradizione? La tradizione, in un certo senso, si può paragonare al racconto di un caro nonno, pieno di emozioni, passione, nostalgia ed un bagaglio di esperienza che però spesso, per quanto interessante, non è più di alcun aiuto per la società in cui viviamo. Il mondo è cambiato in fretta: può essere ancora divertente usare il piccione viaggiatore ma è certamente meno pratico di un cellulare. Spesso la tradizione diventa il baluardo di chi non ha argomenti convincenti che, nella maggior par-
te dei casi, è anche colui che non capisce che i valori sono tali in relazione al periodo storico e pertanto hanno una scadenza. Il 25 marzo 1906 i nostri nonni e bisnonni capirono perfettamente che l’oligarchia si basava su valori ormai stantii ed ebbero il coraggio di cambiare, di evolvere verso la democrazia. Spesso si dimentica che l’identità di un paese, così come quella di ogni persona, non risiede esclusivamente nel proprio passato ma è determinata anche dal modo in cui si vive il presente ovvero dalla capacità con la quale si risponde, ci si adatta e si partecipa al perenne mutamento dello spirito del tempo. Non sto dicendo che tutto debba essere rinnegato ma che bisogna sapere scegliere consapevolmente tra ciò che può essere attuale od attualizzato e ciò che ormai è desueto; esattamente come si fa con i vestiti di un vecchio baule: si possono trovare la cravatta ed il maglione che ancora vanno bene ma anche la giacca mangiucchiata dalle tarme che va eliminata. In fondo si tratta di rinunciare solo a due tradizioni: la demagogia e l’ipocrisia. Andrea Mina
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Con Radio Love.fm (Mhz 98.9) a San Panfilo d’Ocre
Aiuti ai
terremotati
Il 14 aprile, con Love.fm abbiamo portato due camion di aiuti alle popolazioni colpite dal sisma in provincia dell’Aquila Martedì 14 aprile, dopo una settimana di raccolta di donazioni per le popolazioni terremotate dell’Abruzzo, una carovana di due camion è partita verso una piccola frazione in provincia dell’Aquila (San Panfilo d’Ocre). Facevano parte della carovana i responsabili di Love.fm, organizzatori, menti ed “eroi” (mi sa che stiamo esagerando!) dell’iniziativa, cioè Andrea Olimpi e Daniela Malpeli, e un’equipaggio di 4 volontari: Roberto Ciavatta, Luca Serafini, Mattia Guidi e Danilo D’Angelo (tutti 6 presenti nella foto di copertina). Ai due camion si è aggiunto un camper (foto in alto) con cui i due responsabili di radio Love.fm sono rimasti qualche giorno in Abruzzo a prendere contatti preziosi per la pianificazione delle prossime consegne. Un ringraziamento particolare va a Francesco De Biagi e Sarah Baldiserra che hanno caricato un camion. L’iniziativa di Love.fm, che nasce in seno alla società civile sammarinese, ha avuto un otimo successo: sia per il numero di persone che hanno dato il loro contributo per risollevare le sorti di una popolazione messa in ginocchio da un evento che, per quanto imprevedibile, è stato sicuramente sottovalutato; sia per il calore umano con cui siamo stati ricevuti all’accampamento di destinazione (nella foto in basso vedete la catena umana per lo scarico del materiale raccolto). Purtroppo si deve registrare,
ancora una volta, l’assenza delle istituzioni sammarinesi, sia politico/rappresentative, che mediatiche: le istituzioni sammarinesi non hanno inteso dare il propprio contributo (nemmeno simbolico - ad es. la copertura delle spese di benzina, autostradali e di noleggio dei furgoni), e i media non hanno divulgato più di tanto l’iniziativa di Love.fm. Nella pagina del nostro sito dedicata a quesa “missione” (nella sezione “galleria eventi”), potete reperire diverso materiale: molte foto di L’Aquila e dintorni, e diversi video. In uno di questi video c’è l’intervista ad Alfonso Salvatore (nel centro della foto di copertina), un aquilano con cui Andrea Olimpi si era messo in contatto per farci da tramite nelle operazioni logistiche, il quale ha perduto casa e studio la sera del terremoto, e ci ha spiegato i problemi della ricostruzione e i rischi di speculazione per i prossimi tempi. Sabato 25 aprile un altro camion, con a bordo Roberto Ciavatta, ha portato allo stesso campo i beni che erano stati richiesti dal sindaco di Ocre Giamatteo Riocci. Ora la raccolta continua, nonostante la Protezione Civile chieda di convogliare tutti gli aiuti presso essa: continua perché la protezione civile non arriva ovunque c’è bisogno, e non può offrire tutto quello di cui una popolazione stremata necessita. C’è bisogno, sono le stesse popolazioni a confermarcelo, sia
dell’una che dell’altra cosa, sia di aiuti istituzionali che di aiuti di altro tipo, anche un sostegno morale, anche il poter parlare con persone comuni e non solo con rappresentanti di enti. Ora stiamo calibrando gli aiuti in base alle necessità prioritarie della popolazione locale, in base alle indicazioni che i contatti presi all’Aquila ci indicano volta per volta. Secondo noi sono gli abitanti della zona, e non la protezione civile o qualsiasi altro ente, a decidere di che cosa abbiano bisogno, perché in modo strano la protezione ci-
vile chiede solo soldi, mentre la gente che abita la zona chiede anche tutt’altro! Per contribuire potete chiamare lo 0549/802080 oppure inviare una mail a andrea. olimpi@gmail.com. Per chi ha Facebook, nel gruppo “LOVE FM SAN MARINO PER L’ABRUZZO” c’è sempre l’elenco dei beni di prima necessità che, volta per volta, servono. Facciamo la nostra parte per un disastro che, in ogni momento, potrebbe capitare anche a noi. ACDC
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La pagina di Oasiverde
L’importanza della biodiversità
Semi antichi e semi ibridi: i rischi degli OGM Provate a chiedere ad un bimbo quanti frutti conosca, ve ne citerà meno di dieci: mela, pera, ciliegia, prugna, albicocca, pesca, banana, uva e (se è particolarmente creativo) kiwi. Se poi chiedete ad un adolescente di dirvi quale varietà di mela sta addentando (ammesso che la addenti, tra un hamburger e l’altro), vi guarderà smarrito. Per lui parole come “renetta”, “stark”, “granny” sono praticamente sconosciute. E purtroppo lo saranno sempre di più. Con uno spropositato aumento demografico e lo sviluppo del mercato globale stiamo assistendo ad uno sfruttamento intensivo delle campagne, con effetti disastrosi sull’ambiente e con grandi cambiamenti della percezione che abbiamo nel rapporto col cibo. Oggi arriva frutta da tutto il mondo e anche d’inverno possiamo mangiare uva e pesche, perdendo il senso della stagionalità e del collegamento tra prodotto e luogo. L’agricoltura intensiva infatti sfrutta solo una piccola vaColtura di mais transgenico
rietà di specie. Per l’alimentazione umana ci si avvale di 150 specie principali e solo 29 di queste forniscono il 90% del cibo prodotto! Si presume che siano scomparse circa 40 mila specie agricole tradizionali. Come spesso succede, alla base di tutto questo c’è una ragione economica, che si basa sul concetto della dipendenza dell’agricoltura (e quindi del cibo) dai semi. Da una parte troviamo il metodo tradizionale di recupero dei semi, selezionati in millenni di esperienze in campo agricolo, i quali hanno una caratteristica fondamentale: hanno genitori della stessa specie ed una stabilità che gli permette di trasmettere integralmente il loro patrimonio genetico. Sono perciò ‘perenni’, i loro semi si possono raccogliere ogni anno rendendo praticamente autonomo l’agricoltore, che non sarà costretto ad acquistare semi ibridi dalle ditte sementiere. I contadini hanno da sempre attuato questa forma di selezione attenta alle qualità dei semi più adatte ad un’agricoltura compatibile con l’ambiente, in base alla resistenza alle malattie, ai principi nutritivi e al sapore. Le piante che nascono sono più forti e non richiedono pesticidi e fertilizzanti perché sono in perfetto equilibrio con il territorio in cui sono cresciute. Ecco l’importanza della biodiversità: la diversificazione
Esempio di “arancia/kiwi” transgenica favorisce un naturale adattamento della specie ad un luogo specifico, determinando un equilibrio eco-sistemico che ne fortifica le difese naturali abbassando la necessità di ricorrere agli antiparassitari. Il recupero e la coltivazione di queste varietà, richiede di saper aspettare con pazienza che ogni varietà giunga naturalmente a maturazione, produce frutti non uguali e meno belli esteticamente ma non ricorre all’impiego di agenti chimici, genera una produzione dalle quantità limitate ma dall’altissima qualità biologica. Le varietà che si trovano normalmente sul mercato invece sono nate da semi ibridi (cioè creati incrociando le caratteristiche desiderate da piante genitrici di diverse varietà). Sono incroci fatti seguendo criteri estetici (frutti tutti uguali), di convenienza economica (forme che favoriscano l’impacchettamento e il trasporto) e in base al grado di sopportazione dei trattamenti chimici. Esse danno varietà uniformi, con lo stesso peso, tempo di maturazione e resistenza alle malattie, rendendoli perciò più deboli e soggetti ai contagi. La presenza sul mercato di una gamma limitatissima di varietà di frutta (ma questo vale anche per ortaggi e cereali), comporta un rischio biologico molto elevato: perdendo il patrimonio genetico naturale che caratterizza ogni pianta, si indeboliscono
sempre più le poche razze presenti, consentendo a pochi parassiti di danneggiare interi raccolti ed obbligando gli agricoltori a trattamenti chimici sempre più intensi. Si parla di erosione genetica, un fenomeno di degrado gravissimo che colpisce le risorse genetiche delle piante alimentari da cui dipende la sopravvivenza dell’uomo. Al contrario una grande varietà di piante diverse consentirebbe un’estrema diversificazione di colori, sapori, resistenze e contenuti nutrizionali, con minor utilizzo di prodotti chimici e un immenso vantaggio per la comunità e per ogni singolo individuo. Ma non finisce qui. Accade oggi che molte multinazionali produttrici di prodotti chimici per l’agricoltura,
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Associazione Oasiverde www.oasiverdersm.org info@oasiverdersm.org
come ad esempio Bayer, Syngenta, Dupont e Monsanto (che ha creato tra l’altro l’Agente Arancio, il famoso defogliante usato nel Vietnam), si stiano occupando anche di produzione sementiera. Addirittura si sta studiando una tipologia di semi resi volutamente sterili e contenenti al loro interno l’agente chimico di uno specifico diserbante prodotto dalla stessa multinazionale. Tutto questo per eliminare la tradizione generazionale della raccolta dei semi, brevettando dei “pacchetti OGM-pesticida” che fanno guadagnare le ditte in tre passaggi diversi: la vendita del pesticida, della coltura transgenica resistente a quel pesticida e l’applicazione dei diritti sul brevetto. Il tutto si concretizza in un sovrapprezzo a volte quintuplicato che rende gli agricoltori dipendenti all’acquisto annuale del “pacchetto”. In India questi semi sono già stati testati, creando debiti tra gli agricoltori che spinti alla disperazione sono persino giunti al suicidio. In pratica queste multinazionali, attraverso
l’OGM tentano di monopolizzare l’agricoltura, primo anello della catena del cibo in tutto il mondo. Le stesse ditte hanno oggi permesso la diffusione anche in Europa degli OGM (L’UE ha approvato l’importazione della Soia ogm, stabilendo che sulle etichette dei prodotti non compaia se la merce sia modificata geneticamente oppure naturale). In molti ci chiedono perché Oasiverde si sta occupando dei frutti antichi. Salvare dei semi potrà sembrare una lotta da don Chisciotte della natura, un’azione da romantici idealisti che vogliono sfidare il progresso mentre il mondo intorno ha già imparato a clonare pecore e vitelli, a produrre con transgenico e OGM. Ma a noi piace pensare che un seme è anche l’ambiente dove cresce. Perciò salvarlo significa anche ricostruire l’ecosistema di un pezzetto di campagna che rischia di sparire. La biodiversità è la ricchezza della natura, non solo di quella che sta al di là dell’Oceano, nelle foreste tropicali. Anche quella che abbiamo sotto i nostri occhi, nelle nostre campagne, nelle aie delle fattorie, ad un livello più locale. Preziosa ed importante tanto quanto la salvezza del Panda. E anche questa ricchezza sta per scomparire. Riscoprire frutti come il corbezzolo, il pero cotogno, l’azzeruolo…significa per noi anche rinsaldare un contatto con un passato fatto di lavoro nei campi, un lavoro duro ed umile ma depositario di conoscenze arcaiche, di rispetto per la terra e dei cicli naturali ai quali siamo indissolubilmente legati, del senso ormai da noi scomparso in cui ogni cosa veniva guadagnata col merito del proprio lavoro.
La curiosità
In fondo al pozzo
Piccola storiella sull’asino e ralativa morale Un giorno l’asino di un mercante cadde in un pozzo. Non si era fatto male, ma non poteva uscire e continuava a ragliare, mentre il proprietario pensava a cosa era meglio fare. Finalmente il mercante prese una decisione crudele: concluse che l’asino era ormai molto vecchio e che non serviva più a nulla, che il pozzo era ormai secco e in qualche modo bisognava chiuderlo. Non valeva pertanto la pena di sforzarsi per tirare fuori l’animale dal pozzo. Al contrario, chiamò i suoi vicini perchè lo aiutassero a seppellire vivo l’animale. Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare palate di terra dentro al pozzo. L’asino non tardò a rendersi conto di quello che gli stavano facendo e pianse disperatamente. Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l’asino rimase quieto. Il mercante alla fine guardò verso il fondo del pozzo e rimase sorpreso da quello che vide: ad ogni palata di terra che gli cadeva addosso, l’asino se ne liberava, scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e salendoci sopra. In questo modo, in poco tempo, tutti videro come l’asino riuscì ad arrivare fino all’imboccatura del pozzo, oltrepassare il bordo e uscirne trotterellando. Morale: La vita ti butterà addosso molta terra, ogni tipo di terra. Soprattutto se sarai dentro un pozzo. Il segreto per uscire dal pozzo consiste semplicemente nello scuotersi di dosso la terra che si riceve e nel salirci sopra.
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Appunti di psicologia Rubrica di Davide Tagliasacchi
Psicoterapia individuale
Nel continuum espressivosupportivo tradizionalmente considera- que modo superiori o più duta completamente diversa revoli di quelli raggiunti dalla da un’altra entità conosciuta psicoterapia supportiva. con il nome di psicoterapia Al termine di un monumensupportiva, o di sostegno. tale studio condotto su quaQuest’ultima, maggiormente rantadue pazienti trattati nel orientata a reprimere il con- corso del Menninger Foundaflitto inconscio e a rafforzare tion Psychoterapy Research le difese, è stata per anni project, Wallerstein (1986) considerata come avente ha stabilito che tutte le forun minor impatto sul pazien- me di psicoterapia contente, rispetto alla psicoterapia gono un misto di elementi espressiva. Questa tenden- espressivi e supportivi e che za si riflette nella massima i cambiamenti ottenuti tramiclinica che sovente accom- te gli elementi supportivi non pagna gli psicoterapeuti: sono in alcun modo inferiori “sii espressivo quanto puoi a quelli ottenuti mediante gli e supportivo quanto devi” elementi espressivi. Piutto(Wallerstein, 1986). sto che vedere le due forme Attualmente sembra essersi di psicoterapia come distinte aperto un dibattito in merito, modalità di trattamento, ocin cui numerosi autori hanno correrebbe piuttosto consiespresso la loro perplessità derare la psicoterapia come riguardo a questa tradizio- un metodo che si attua in un nale dicotomia. Nella pratica continuum espressivo-supclinica, la psicoterapia sup- portivo, prospettiva, questa, portiva viene guidata ad ogni molto più vicina alla realtà passo da una comprensione della pratica clinica e della psicoanaliricerca emtica. Inoltre, pirica. Perla dicotomia Insight (lett. “visione tanto il vero tende a dieuta interna”) è un termi- tae r a porienpingere la psicoterane di origine inglese t a m e n t o pia espresdinamico usato in psicologia, o s c i l l e r à siva e la psicoteralessibile definisce il con- fmente pia supporavancetto di “intuizione”, ti e indietro, tiva come fossero tale nella forma imme- lungo entità altacontinuum, mente difdiata ed improvvisa in relazione ferenziate, ai bisogni mentre, in eventuali effetti, è asdel paziensai raro che esse si possano te in un dato momento nel riscontrare in forma pura. In corso del processo psicoteogni caso, non è stato mai rapeutico stesso. provato che i cambiamenti Il fine ultimo dei processi teraottenuti dalla psicoterapia peutici a orientamento dinaespressiva siano in qualun- mico, viene quindi ad essere
l’acquisizione dell’insight da parte del paziente, che può essere definito come la capacità di comprendere le origini e i significati inconsci dei propri sintomi e del proprio comportamento, in altre parole rendere conscio ciò che solitamente resta nascosto nell’inconscio. Definito anche dallo stesso Freud come lo scopo principe di ogni trattamento psicoanalitico, in terapia, risulta assai raro ottenere un insight attraverso la catarsi: generalmente viene raggiunto in maniera graduale man mano che le esistenze vengono sistematicamente erose attraverso gli interventi del terapeuta. Intimamente connesso all’insight è l’obbiettivo della risoluzione del conflitto, che solitamente si afferma risolto quando la natura delle difese e del desiderio sottostante viene compresa, e il desiderio stesso viene abbandonato, o almeno attenuato, così da non rendere più necessaria la difesa. Un aspetto distintivo delle psicoterapie altamente espressive, riguarda soprattutto la mancanza di un intenso investimento a curare i pazienti nella loro sintomatologia. Sovente, invece, è il terapeuta stesso a fornire insight, con l’obbiettivo di dare ai pazienti una maggiore libertà di scelta. Il terapeuta cerca di ampliare le possibilità, ma anche di mantenere un profondo rispetto per la libertà e l’autonomia dei pazienti, considerando sempre che in una terapia “non bisognerebbe cercare di curare al di là del suo bisogno, e
delle sue risorse psichiche per sostenersi e vivere grazie a quella cura” (Khan, 1987). Dal punto di vista delle relazioni oggettuali, un obbiettivo della psicoterapia vuole essere il miglioramento della qualità delle proprie relazioni, indipendentemente che ciò sia orientato verso il polo supportivo o quello espressivo del continuum. Al procedere della psicoterapia, le relazioni oggettuali interne cambiano, si diventa maggiormente in grado di percepirsi nella propria totalità, e questo inevitabilmente apporta dei benefici nella capacità di rapportarsi alle persone. Nella pratica clinica attuale, capita con maggior frequenza che i pazienti richiedano una psicoterapia, lamentandosi per la qualità delle loro relazioni, piuttosto che per una precisa sintomatologia, come avveniva invece ai tempi di Freud. Pertanto l’importanza di questo obbiettivo risulta evidente. Nella psicoterapia orientata secondo le psicologia del sé, quindi polarizzata verso il continuum espressivo, tendenzialmente, si vuole indirizzare le proprie mire soprattutto verso la possibilità di rafforzare la coesione del sé, ed aiutare il paziente nella scelta di oggetti-sé maggiormente maturi. Se-
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Tutti i lunedì e martedi di maggio: “Riccione Cinema d’autore”, ore 21, Planet Multicinema. www.comune.riccione.rn.it/Riccione Fino al 24 maggio: “Dalla terra al cielo”, l’osservazione scientifica attraverso gli strumenti. Museo della Città, Rimini. www.comune.rimini.it (pagina museo) Dal 10 al 30 maggio: “Turismo nel mondo”, 25° concorso internazionale di fotografia. Museo Pinacoteca S.Francesco (RSM). http://www.visitsanmarino.com Lunedì 4 maggio: “Transappenninica”, V.Roma, Cervia. Auto d’epoca (pre 1940). www.riminibeach.it/eventi/ transappenninica-cervia Venerdì 8 maggio: “E pur si muove - l’eredita di Galilei”, conferenza di E.Bellone, ore 18, Auditorium liceo Scientifico “A.Volta”, Riccione. www.riccione.it
Immanuel Wallerstein condo Kohut (1984) “l’essenza della guarigione risiede nella nuova capacità del paziente di identificare e trovare oggetti-sé appropriati, quando essi si presentano nel loro ambiente reale, e di essere sostenuti da essi”. In altre parole, l’obbiettivo di tutte le psicoterapie orientate secondo la psicologia del sé, è quello di aiutare i pazienti ad abbandonare oggetti-sé arcaici e irrealistici, per oggetti-sé maggiormente maturi ed appropriati. Diversamente, l’obbiettivo della psicoterapia nel polo supportivo del continuum, mostra tendenze rivolte ad aiutare il paziente ad aumentare le proprie capacità di adattamento di fronte alle frustrazioni, evitando apertamente l’insight, per quanto riguarda le difese e i desideri inconsci. Il terapeuta opera per rafforzare le difese, facilitando così la capacità adattiva del paziente nel riuscire a gestire agevolmente le difficoltà affrontate nella propria vita quotidiana. Sono casi in cui i pazienti devono essere reintegrati ad un livello precedente il funzionamento, e siccome le tecniche supportive vengono spesso utilizzate nel trattamento di pazienti con gravi fragilità dell’io, la costruzione dell’io è l’aspetto più importante delle psicoterapie di sostegno.
Sabato 9 maggio: - “Giornata Ecologica”. Raccolta rifiuti nei boschi di Borgo e Città. Ritrovo 8,30 piazzale Baldasserrona, pranzo ore 12,45. Prenotazione entro il 5/5 al 0549.882466 - “Marco Travaglio - Promemoria”, al 105 stadium di Rimini. www.riminibeach.it/eventi/ marco-travaglio Sabato 9 e domenica 10 maggio: “GustoPolis”, Gabicce. Manifestazione eno-gastronomica di promozione e degustazione dei prodotti locali. www.comune.gabicce-mare.ps.it Domenica 10 maggio: “Vespa Day” il raduno di Igea Marina del mitico scooter piaggio. www.riminibeach.it/eventi/ vespa-day Venerdì 15 maggio: “1000 Miglia”, passaggio a San Marino della più famosa sfilata d’auto d’epoca. www.visitsanmarino.com Sabato 16 maggio: Per il ciclo “La formazione è sovversiva - collettivo Krisis”, conferenza di E.Quadrelli dal titolo “Autonomia Operaia”. Libreria Interno 4, Via di Duccio, 26 Rimini. www.riotfactory.org/category/eventi/ Mercoledì 20 maggio: “Lydia Lunch Live”, Locomotiv Club, Bologna. www.goth.it/event/33094 Dal 23 al 24 maggio: “25° esposizione internazionale canina”, Stand della Murata (Ex tiro a volo) RSM. Organizzatore Kennel Club RSM. www.canitalia.it/kcsm/index.htm# Dal 28 al 31 maggio: “Crema del Pensiero”, festival di filosofia, titolo “Non Dire Falsa Testimonianza”, CremArena, Museo Civico S.Agostino, Crema (CR). www.cremadelpensiero.it/ Dal 29 maggio al 2 giugno: “Artisti in piazza”, nel centro di Pennabilli, il più famoso raduno di artisti di strada d’Italia. www.artistiinpiazza.com Sabato 30 e domenica 31 maggio: “East Coast Festival”, Rimini. Raduno di auto e moto d’epoca della East Coast americana. www.riminibeach.it/eventi/east-coast-festival Da venerdì 5 a domenica 7 giugno: “Bestfighter KIckboxing”, 105 Stadium, Rimini. Campionato di kickboxing. www.riminibeach.it/eventi/bestfighter Imperdibili al cinema: “Il canto di Paloma”, di C.Llosa. Il terrore nei confronti dell’altro sesso nel Perù del dopoterrorismo. Dal 8 maggio
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L’ippogrifo: Rubrica a cura di Angelica Bezziccari
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Taxi driver
«Io ho sempre sentito il bisogno di avere uno scopo nella vita. e non credo che uno possa dedicarsi solo a se stesso, al proprio benessere; secondo me uno deve cercare di avvicinarsi alle altre persone» Travis Bickle Taxi driver è un film esistenzialista. Non è semplicemente il ritratto di un’America post-Vietnam ormai priva di valori, ma è anche il ritratto di un uomo e più in generale della condizione che in misura grande o piccola tocca tutti gli esseri umani: la solitudine. Girato negli Stati Uniti nel 1976 da Martin Scorsese, narra la storia di Travis Bickle (Robert De Niro) che inizia a fare il tassista in una New York sporca, buia e fumosa. Non sappiamo quasi nulla di lui, se non che è giovane e in cerca di un lavoro notturno perché soffre d’insonnia. Attraverso il suo sguardo entriamo nelle viscere notturne della città, brulicanti di vita, ma soprattutto di malavita. La metropoli trasmette fascino, ma non tarderà a mostrare la sua vera natura di luogo lugubre e violento. Travis vuole ripulire le strade dallo schifo, dallo sporco, ma si capisce immediatamente che lo sporco a cui si riferisce è morale, e quello ‘fisico’ è solo una sua derivazione concreta. Un giorno Travis decide di passare all’azione e di trasformarsi in giustiziere, eroe cattivo che ha un obiettivo ben preciso: uccidere il simbolo di quell’America individualista, ipocrita ed egoista: il candidato democratico alle elezioni presidenziali, Palantine. L’inaspettato esito di questo piano lo porterà in qualche modo alla salvezza, anche grazie ad Iris (Jodie Foster), la ragazzina prostituta che lui cercherà di salvare. Taxi driver è un “anti-american dream”: rispetto a tante opere cinematografiche che mostrano come l’America sia il paese delle opportunità e della felicità, questo film ne pone in rilievo il volto oscuro, realistico, dove in fondo l’american dream – in quanto sogno – nella maggior parte dei casi è un’illusione, come ha spiegato meglio la letteratura (ad esempio “Il grande Gatsby” di Fitzgerald o “Morte di un commesso viaggiatore” di Miller); e in questi mesi di crisi economica mondiale tutto il mondo se ne sta accorgendo. Travis è ognuno di noi; è l’uomo che chiede consiglio agli amici che fanno finta di ascoltarlo, è il cittadino disgustato dalla società, è il ragazzino che ha voglia di buttarsi verso la vita e verso l’amore, anche se questi lo respingono. Alla fine è sempre la volontà dell’uomo di cambiare che può riuscire a ribaltare qualsiasi situazione, e qui questa volontà viene mostrata da Scorsese in tutto il suo parossismo. «La solitudine non deriva dal fatto di non avere nessuno intorno, ma dalla incapacità di comunicare le cose che ci sembrano importanti, o dal dare valore a certi pensieri che gli altri giudicano inammissibili» C.G.Jung
De Niro in una famosa
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Avere o
essere?
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«Oggi, l’accento cade sul consumo, non sulla conservazione, e l’acquisto viene fatto non per conservare, ma per gettare» «La modalità dell’esistenza secondo l’avere non è stabilita da un processo vivente, produttivo, tra soggetto e oggetto; essa rende cose sia il soggetto sia l’oggetto. Il rapporto è di morte, non di vita»
«Tra i giovani sono reperibili moduli di consumo che, lungi dall’essere forme mascherate di acquisizione e possesso, esprimono la sincera gioia che deriva dal fare ciò che si desidera, senza aspettarsi, in cambio, nulla di “duraturo”. I giovani in questione affrontano lunghi viaggi, sovente in condizioni disagevoli, per ascoltare la musica che amano, per vedere un luogo che desiderano, per incontrarsi con la gente che preferiscono. E qui sarebbe fuori luogo porsi il problema se le loro mete sono valide quanto essi credono; ma, anche se mancano di sufficiente serietà, preparazione o concentrazione, questi giovani hanno il coraggio di essere, e non sono interessati a ciò che possono ottenere in cambio [...] non sono continuamente intenti ad abbellire il proprio io per farne un “oggetto” desiderabile, da offrire sul mercato; non proteggono la propria immagine mentendo di continuo più o meno consciamente; non sprecano le proprie energie nel reprimere la verità» Erich Fromm Erich Fromm L’Avere e l’Essere sono due modalità esistenziali che caratterizzano ogni persona: la prima è improntata sulla materialità e il possesso, sul consumo, sulla passività; la seconda sul rinnovamento, sulla crescita, sull’attività (qui “attività” è intesa non nel significato di essere indaffarati, ma nel senso di dare espressione alle proprie facoltà e capacità). Lo psicanalista Erich Fromm, rifacendosi a pensatori quali Karl Marx, Baruch Spinoza, Sigmund Freud, spiega in modo semplice e chiaro come la prevalenza dell’avere sia dannosa per l’uomo, perché la “nuova religione del progresso” e del possesso pare non abbia mantenuto la promessa di felicità che aveva fatto agli uomini (secondo dati dell’OMS – L’Organizzazione Mondiale della Sanità, n.d.r. – 121 milioni di persone soffrono di depressione nel mondo, e questo dato è destinato a crescere). Non solo, sta mettendo a rischio la sopravvivenza di tutti gli esseri umani e del pianeta stesso, tramite lo sfrenato consumo di risorse e la violenza messa in atto per accaparrarsele. Fromm analizza le manifestazioni delle due modalità in alcuni aspetti della vita umana, come l’apprendimento, il ricordo, l’amore, l’autorità, la fede. Fa notare che la modalità esistenziale viene espressa anche tramite il linguaggio: sempre più di frequente accade che un’attività dell’essere venga espressa in termini di avere (ho un problema, ho un’idea, ho un amico, ho un corpo); quando invece molte lingue non hanno un termine per indicare lo stato di possesso. Abbandonare la modalità dell’avere non significa non possedere nulla, ma non essere legati materialmente a ciò che si ha, seguire un individualismo in senso positivo, cioè liberarsi dalle pesanti catene sociali. Fromm non si limita a erigere una critica totalitaria, ma aiuta a comprendere i problemi in questione e fornisce possibili vie d’uscita per non nutrire questa impasse esistenziale che prima o poi porterà all’autodistruzione dell’uomo. Una nuova società si potrà creare se ci sarà un cambiamento di grande portata nella struttura caratteriale dell’uomo contemporaneo: “d’altro canto – scrive Fromm –, una trasformazione del cuore umano è possibile solo a patto che si verifichino mutamenti economici e sociali di drastica entità, tali da offrire ad esso l’occasione per mutare e il coraggio e l’ampiezza di prospettive necessarie per farlo”. In quest’epoca di grandi e rapide metamorfosi socioeconomiche, ci si chiede se finalmente l’umanità sia pronta per questo grande passo. immagine di “Taxi Driver”
«Meno si è, e meno si esprime la propria vita; più si ha, e più è alienata la propria vita» Karl Marx
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Es...cogitando: Rubrica a cura di Roberto Ciavatta
Funzioni dell’anima
La gerarchia delle nostre attitudini per la ricerca della felicità Secondo Aristotele (semplificando per via del poco spazio) l’anima è divisa in tre parti/funzioni. 1) nutritiva, serve per nutrirsi, e ce l’hanno tutti gli esseri viventi; 2) sensitiva che hanno tutti gli animali (è il possesso di sensi che mettono in contatto col mondo); 3) razionale, che ha solo l’uomo. L’anima Razionale è a sua volta divisa in facoltà scientifica e calcolativa. La virtù cui può giungere la facoltà scientifica è la Sapienza, sotto forma di scienza e intelletto, la virtù propria della facoltà calcolativa è la virtù dianoetica, che si esplica in arte e saggezza (lo schema riportato chiarisce le categorizzazioni Aristoteliche). Ora, per Aristotele la felicità umana coincide con lo sviluppo e il dominio delle caratteristiche che sono proprie dell’uomo. Siccome è la sola anima razionale a distinguere l’uomo dal resto degli esseri viventi, il sommo bene (e la felicità) risiede nella capacità di agire secondo ragione, dunque la conoscenza è per Aristotele addirittura il senso finale del nostro vivere. Eppure per Aristotele c’è una gerarchia anche all’interno delle facoltà razionali: secondo lui (e secondo la Grecia dell’epoca) il valore supremo va attribuito alla sapienza, puramente teoretica e quindi disinteressata. La sapienza, quindi la scienza e l’intelligenza, sono il massimo tramite verso la felicità, perché sono le facoltà che ci permettono di individuare quali siano i fini verso cui la nostra vita deve tendere, mentre invece la saggezza è la parte della ragione che ci guida intuitivamente nell’azione individuando i mezzi più idonei per conseguire il fine (che quindi la sapienza deve già aver individuato), e l’arte (che in Aristotele è anche
la tecnica, cioè, ad esempio, l’architettura, la poesia ecc) non è che l’applicazione pratica delle conoscenze che si ha nella costruzione di qualcosa. Questa breve e semplicistica descrizione della partizione Aristotelica dell’anima, dà un’idea di come nell’Atene antica la tecnologia fosse considerata ad un livello inferiore rispetto alla speculazione teoretica. Il «come» aveva meno valore del «perché». Il saper fare era meno degno del sapere, e per un motivo semplice: saper fare non garantisce la felicità, mentre invece può farlo una conoscenza equilibrata. Anche la ricchezza, non era altro che un mezzo buono per poter essere felici, ma non certo un fine. Oggi, se si volesse ancora considerare valida la partizione Aristotelica, dovremmo riconosce-
Il Don Chisciotte numero 19, maggio 2009 re che l’anima razionale, quella propriamente umana, si è atrofizzata, si è ridotta alla sola facoltà tecnica, e che quindi l’uomo contemporaneo scambia i mezzi per fini, il danaro e il potere per scopi… l’uomo stesso diviene un mezzo, il cui lavoro serve solo per alimentare il processo di costruzione tecnologica… ma in questo modo perde anche la possibilità di “essere felice”, preferendo poter essere semplicemente “benestante”, perché oramai non si persegue più la felicità ma la maggiore assenza di dolore possibile. L’uomo, perdendo la sapienza, perde la sua umanità, la sua integrità, diviene scisso, un animale che si differenzia dagli altri per la sola capacità di fare (e distruggere) parti di natura. Per questo, per tornare alla nostra umanità e cercare di nuovo la felicità, ciò che serve non sono riforme, non sono politiche di mantenimento. Non è la politica (cioè la tèchne) a poterlo fare, ma una nuova filosofia, un nuovo “disegno” in cui credere, un disegno che non si possa più permettere il lusso di postulare “Dei” o redenzioni ultraterrene, ma una nuova sapienza verso la quale dirigere ogni nostro sforzo, che allora tornerà ad essere riconosciuto come un mezzo: il mezzo per la nostra felicità, unico scopo degno dell’uomo!
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Verità create
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Nichilismo gorgiano e arte della manipolazione Secondo Gorgia, contro Parmenide, la Verità non è mai conoscibile dall’uomo, perché realtà, pensiero e linguaggio si trovano su piani gnoseologici differenti. La verità quindi non si può cogliere una volta per tutte, ma va creata! Sì, è vero ciò che persuado la maggioranza a credere tale, condizionandone gli affetti, le opinioni e la sfera psicologica. La verità è quindi una credenza generalizzata: gli uomini vivono nell’ignoranza, bravo è chi riesce a fargli credere che la propria spiegazione del mondo, contingente ed opinabile, è quella vera. Verità è quindi “ciò che la maggioranza è stata persuasa a credere”, e non è di poco conto ricordare qui che Gorgia visse nell’Atene del 400, democratica e attraversata da una forte partecipazione degli intellettuali nel dibattito politico. Nell’«Encomio a Elena», uno dei pochi scritti di Gorgia che ci sono giunti, Gorgia dice inoltre che ogni persuasione, pur non parendo tale, è una forma di costrizione: nessuno infatti può resistere alla forza ingannatrice della retorica. È evidente che se stanno così le cose, nessuno, anche il più sanguinoso burocrate nazista, potrebbe essere incriminato di volontarietà delle proprie azioni (in effetti i burocrati nazisti, a Norimberga, professarono tutti l’innocenza avendo solamente “obbedito ad ordini”). Questo pare anche il senso di «La banalità del male» della Arendt. Le previsioni di Gorgia sono addirittura imbarazzanti quando, oltre a ribadire il potere persuasivo e quasi “incantatorio” della parola, affianca ad esso, quale altro grande veicolo di suggestione per l’anima, proprio “la vista”. Così ciò che più può persuadere, ingannare ed incantare fino a farci compiere azioni di cui non siamo ideatori né responsabili, è la parola retorica unita ad immagini: e non è la Televisione, già ipotizzata nel 450 a.c.? L’attualità di Gorgia sta in questo iperrealismo pragmatico, che solo ai giorni nostri può venir applicato (e di fatto così è) nelle sue piene potenzialità alla massificazione delle informazioni operate dai mass media. Che la TV abbia la forza di forgiare gli animi e i convincimenti “politici” di chi la segue è cosa nota. Con una buona campagna mediatica, ipoteticamente (ipoteticamente?), un boss mafioso potrebbe diventare un eroe, un fiancheggiatore della mafia diventare un martire, un insieme di truffatori bancarottieri diventare un partito politico, per di più inteso come l’unica forma di pulizia morale di un paese… tutti sappiamo che chi ha in mano i media e una buona capacità retorica può forgiare gli animi di una maggioranza persuadendola che la sua verità, confezionata a tavolino, è la “verità vera”. La cosa stupefacente è che fosse una questione già conosciuta 2500 anni fa e che ancora oggi non siamo riusciti a costruire argini mentali per limitare il potere del singolo di CHI è GORGIA: soggiogare la mente altrui… ipoteticamente? Nato a Lentini (Sicilia) Forse… a me pare che, in tra il 485 – 480 a.c., ogni caso, la qualità delle la leggenda narra sia persone che ci governano, gente con cui spesso non ci morto a 109 anni (chi fideremmo a giocare a carte si fa i c...i suoi campa al bar per paura che barino, testimoni di un lavaggio del 100 anni!). Molto riccervello che se non ha una co grazie alle lezioni spiegazione di questo tipo, ne richiede un’altra uguala pagamento mente plausibile.
Busto di Gorgia “Villa Gorgia”, Lentini (SR)
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Una scommessa aperta
«Dal nostro primo passo nel mondo dipende il resto dei nostri giorni» (Voltaire)
Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord (1754-1838), detto Talleyrand, è il campione storico del camaleontismo. Ecco un aneddoto: si narra che durante una cena Talleyrand sentì i rumori di uno scontro in piazza, così disse al suo commensale: “Non sente? I nostri stanno vincendo!”. L’altro chiese: “Chi sono i nostri?”, e lui rispose: “Lo sapremo domani, quando ci diranno chi ha vinto!”. Non ci ricorda da vicino certo opportunismo conformista dei giorni nostri? Talleyrand
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Dopo il positivo riscontro della cittadinanza alla serata di presentazione e tesseramento, che si è svolta l’11 Marzo scorso, l’Associazione Pro Bimbi, ha cominciato a lavorare a pieno ritmo. La neonata Associazione, che si propone agli interessati come punto d’incontro per confrontarsi sui temi che riguardano il benessere psico-fisico e sociale dei minori e dialogare con i vari servizi, dando voce ai bisogni più sentiti dai bambini e segnalati dalle famiglie, ha già avviato, all’interno del Direttivo, gruppi di lavoro per portare avanti le tematiche che intende affrontare nei prossimi mesi. Prima tra tutti: la riorganizzazione del servizio pediatrico. Su questo fronte l’Associazione, nata proprio sulla scia di una raccolta firme svoltasi nei mesi scorsi e a questo dedicata, intende continuare ad operare per portare all’attenzione dei dirigenti dei servizi sanitari e della Segreteria alla Sanità quelle che sono le richieste più sentite dalle famiglie: -divisione degli spazi e degli ambulatori; -garanzia del principio di continuità assistenziale; -attivazione di un ‘pronto intervento pediatrico’, con un pediatra presente in ospedale 24/24h; -attivazione di un centralino più accessibile; -visite domiciliari; -assistenza alle neo mamme nel periodo del puerperio. In realtà il confronto con alcuni referenti istituzionali è iniziato fin dai tempi della raccolta firme e il dialogo è già in corso da mesi. I fondatori di Pro Bimbi hanno registrato, da parte di alcuni lungimiranti interlocutori pubblici che hanno favorevolmente accolto la nascita di quest’Associazione rilanciando la volontà di dialogo e collaborazione per un confronto sereno e costruttivo sulle proposte fatte. La strada per il cambiamento risulta ovviamente tutta in salita e va affrontata tenendo inevitabilmente conto dei diversi interessi economici e dei limiti normativi che l’attuale legislazione pone al cambiamento. Altri ambiti di interesse attorno ai quali l’Associazione Pro Bimbi intende adoperarsi nel prossimo futuro, individuati proprio a partire dalle sollecitazioni di genitori e cittadini che hanno aderito all’Associazione, riguardano: - il sistema scolastico e dei servizi che lo completano (es. centri estivi; - i servizi che lavorano per la tutela dei minori in stato di difficoltà o di vero e proprio disagio sociale o psicofisico; - l’implementazione ed il miglioramento delle aree verdi ed attrezzate a disposizione dei bambini. Dalla serata di presentazione ad oggi, sono inoltre giunte ai fondatori di Pro Bimbi richieste da parte di altre associazioni presenti in Repubblica, con le quali sono già state avviate forme di collaborazione su progetti comuni. I fondatori ringraziano fin da ora tutti coloro che hanno aderito all’Associazione o che intenderanno prendere direttamente contatto con Pro Bimbi. L’invito a tutti è per una partecipazione attiva e consapevole per offrire testimonianze, proposte, critiche o spunti per possibili azioni future. La determinazione del Direttivo è forte ma è il notevole appoggio offerto dalla cittadinanza che rinnova motivazioni ed energia per un’azione ancora più incisiva. Per chi volesse tesserarsi o avere informazioni sulle nuove iniziative è possibile contattare il Direttivo dell’Associazione tramite e-mail info@associazioneprobimbi.org oppure telefonicamente al n. 333.8663888. Una sola voce non fa rumore, più voci possono formare un coro, l’Associazione Pro Bimbi vuole essere tale coro.
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Esiti
assemblea dei soci
Tenuta il 23 aprile L’assemblea dei soci Don Chisciotte ha formulato le seguenti deliberazioni (si veda l’Odg nel numero scorso): 1) relazione letta e approvata; 2) bilancio consuntivo approvato; 3) l’art. 2 dello Statuto dell’Associazione viene così modificato: “L’Associazione ha sede a Domagnano (RSM) in Via Ca’ Giannino n° 24.”; 4) bilancio preventivo approvato; 5) le dimissioni del presidente vengono respinte all’unanimità. Roberto Ciavatta rimane pertanto presidente dell’Associazione; 6) le cariche sociali risultano così modificate: Presidente – Roerto Ciavatta (confermato); Vice presidente – Luca Lazzari (confermato); Segretario: Cristiana Vandi (nuovo nominativo). Il numero di componenti il Consiglio Direttivo torna ad essere di 3; 7) si ri-proporrà la festa del solstizio e progetterà la realizzazione delle iniziative indicate nel bilancio preventivo (cena tesseramento, festa ‘90 on the road sul Titano, mostra concorso di Design – con Ass. Quarta Torre, conferenza “Dal PIL all’ISEW”). Prosegue la pubblicazione del periodico “Il Don Chisciotte” (impegno a trovare sponsorizzazioni “etiche” per sostenerne le spese). Bruna Rossi Nicolini, la poetessa di cui il mese scorso abbiamo pubblicato due poesie, è tristemente venuta a mancare. Ci preme fare le nostre sentite condoglianze ai familiari, sperando che la consapevolezza della sua riconosciuta creatività possa lenire il dolore per la sua mancanza.
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Governare con la paura Il nuovo lavoro di Beppe Cremagnani
Dal 20 aprile, è in vendita in tutte le migliori librerie l’ultimo lavoro di Beppe Cremagnani (il regista che il mese scorso ha presentato il suo film sul G8 per l’ACDC) al costo di 18 euro. Anche questo lavoro, dal titolo “Governare con la paura. Il G8 del 2001, i giorni nostri”, è preparato a quattro mani con Enrico Deaglio, ed è composto da un libro più due DVD. Come preannunciato da Beppe nell’intervista pubblicata sul nostro sito alla pagina dedicata alla presentazione (sezione “Galleria Eventi”), tratta delle conseguenze del modello autoritario di governo “sperimentato” durante il G8 del 2001 e in seguito applicato al governo del paese. è un segnale di non poco conto il fatto che la presentazione nazionale, organizzata il 22 aprile scorso a Roma alla presenza di giornalisti (Concita De Gregorio) ed esponenti politici (Massimo D’Alema), sia stata all’ultimo momento “vietata” e soppressa dal sindaco romano Alemanno, esponente di spicco della strategia di governo autoritaria denunciata nel documentario. Per saperne di più su chi e come ci governa, per riuscire a sviluppare delle strategie di resistenza ad un modello liberticida che pare oramai senza freni, vi invito La nuova festa della Don Chisciotte a comperare questo lavoro. Venerdì 22 maggio prossimo, daremo vita alla prima feA chi era presente alla sera- sta «‘90 on the road sul Titano», una festa incentrata ta organizzata il mese scor- sul tema degli anni novanta e della sua generazione di so, e a chi abbia già visto pazzi a San Marino. Ricordi, nostalgie e rievocazioni, dei lavori di Beppe, non c’è ma soprattutto la buona vecchia musica dei mitici nobisogno di dire che i suoi la- vanta, qualche bella proiezione video e divertimento a vori sono stimolanti e piace- go-go. Siete tutti invitati, magari in abiti da ‘90! voli. A tutti gli altri non rima- Vi terremo informati by mail dell’organizzazione. ne che da sperimentarli.
‘90 on the road sul Titano
Rifiuti indifferenziati dalle imprese L’urgente segnalazione di un’iscritta Una nostra iscritta ci segnala che in diversi luoghi, come ad esempio il centro commerciale “Atlante” di Dogana, i negozi non differenziano dovutamente i rifiuti. Gli imballaggi di carta e cartone (pensiamo a quanti devono smaltirne dei negozi) si trovano sia nei cassonetti adibiti alla sola carta, sia in quelli indifferenziati, rendendo così parziale ogni sforzo che faccia il cittadino comune. Dato che dalla vicina Italia ci chiedono impegni precisi riguardo al trattamento dei
rifiuti, e che con un’adeguata differenziazione potremmo divenire un paese virtuoso, non ci rimane che rinnovare la richiesta, inviata qualche mese fa alle istituzioni del paese, di incontrarci (unitamente al tecnico del comitato contro l’inceneritore di Coriano), per discutere su come favorire la differenziazione. Ci pare n argomento sensibile ed urgente soprattutto a fronte delle notizie di questi giorni, e cioè del fatto che dall’AA.SS. sono stati interrotti i servizi di recupero di rifiuti specia-
li (televisori, computer, tubi neon) proprio perché dall’Italia non vogliono più saperne di prenderli in carico senza che siano attuate le dovute misure europee di trattamento, misure che come sempre San Marino si è impegnato a rispettare sulla carta (Decreto Delegato 147/2008) ma a cui al momento non è stata data nessuna operatività. Il D.D. specifica come si deve stoccare e trasportare in Italia i rifiuti speciali: che sia arrivata l’ora di applicare gli impegni presi a livello inter-nazionale?
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“Filottete Morente” di V.Baldacci
1802/13 - Pinacoteca comunale Cesena
L’intervento di Cesare Padovani
Lasciatemi tornare alla casa del padre
Il dolce trapasso nell’Aldilà, era un augurio, un desiderio umano già presente nella cultura greca arcaica, fin dai tempi di Omero
Il Don Chisciotte numero 19, maggio 2009
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La parola eutanasia è diventata un tabù come lo può essere quando si tira in ballo la pedofilìa. Invece, bisognerebbe che ci sgombrassimo dalle incrostazioni di senso provocate dal succedersi delle culture che, di volta in volta, diffondono modelli morali a loro funzionali: così da ripensare la «pedophilìa» come “amore per i bambini” (tutt’altra cosa dalla pederastia), e l’«euthanasia» come “buona morte”, (tutt’altra cosa dall’omicidio o dal suicidio). Occorrerebbe, così, liberarsi pure dai battibecchi attuali (scatenatisi attorno alla morte di Welby e di Eluana), per ricollocare l’eutanasia nella dimora del senso che porta con sé, e dunque percepirla come l’umana aspirazione ad un trapasso il più sereno possibile, come il dolce abbandono della vita Desiderio più che legittimo, a meno che – ovviamente – non si tratti di una morte traumatica o violenta. Chi dovrebbe gestire lo spazio di tempo che precede una morte certa, inevitabile, se incontro alla quale si dovesse andare con sofferenze atroci a grandi passi o con lenta agonìa? Andarsene naturalmente, quando le terapie non offrono più alcun beneficio, quando ogni intervento peggiorerebbe anziché portare verso una qualche soluzione, oppure quando giunge l’ora del sonno eterno (per dirla con il Foscolo), ebbene questo è un desiderio universale, trasversale alle credenze, alle fedi, alle religioni. Parecchie sono le descrizioni riguardo al durante e al dopo di questo momento del «trapasso», dalle cui ritualità si viene a conoscere come ogni cultura, teologica o laica, contemporanea oppure antica, coltivi e si rappresenti questo distacco dalla vita. Ora si parla di “discesa agl’inferi”, ora di “viaggio nell’aldilà, dove ombre vaganti aspirano a trovar pace”, ora di “ritorno ad un luogo divino, al Paradiso”, ora di “luogo da cui si è arrivati nascendo” ovvero “luogo delle essenze pure”; e mentre per alcuni s’immagina di “ritornare terra, o polvere”, per altri si parla di “metempsicosi” e di “reincarnazione”, vale a dire di rivivere un’altra vita terrena rigenerato o sotto altre spoglie Ebbene, comunque si ipotizzi questo “altro” mondo, ognuno di noi, arcaico o contemporaneo, credente o ateo, gracile o atletico, semplice o colto che sia, ognuno di noi vuole che questo trapasso avvenga il più possibile dolcemente e soprattutto quando è giunta la propria ora. Forzare la natura, ritardare questo nostro naturale “tramonto”, accanirsi con terapie (che spesso contraddicono lo stesso termine, in quanto fare terapia significa “risvegliare le risorse” di chi è fiaccato dal male, come c’insegna Ippocrate), tenere in vita senza che questa possa dirsi esistenza, tutto questo diventa cinico al punto da definirsi “privo dell’umana pìetas”, o della carità cristiana, per dirla con i credenti. Anche persone di grande animo e di profondo pensiero, come Papa Vojtyla, hanno saputo accettare che avvenga il trapasso in modo naturale. Infatti, quando si è sentito venir meno, quando ha capito che era giunta la propria ora, una delle sue ultime preghiere (rivolta a chi lo assisteva) è stata una frase colma di umano rispetto per la vita: lasciatemi tornare alla casa del Padre. Come volesse dire: non tormentatemi perché io viva ancora è pur vero che si può morire “di dentro” anche quando si perde una persona cara, o quando si viene isolati socialmente, ma questo tipo di morte non ha nulla a che fare con il trapasso, con il varcare la soglia del nostro stare al mondo. Se, come sembra, la parola «euthanasia» compare per la prima volta in una commedia di Posidippo (nel III sec. a.C.), tuttavia il porre fine alle sofferenze atroci risale ai tempi omerici, tema ripreso poi dai tragici del V secolo [Filottete di Sofocle] con l’episodio mitico della morte di Eracle. La dea Hera, cieca dalla gelosia, si vendica condannando l’Eroe a “bruciare in eterno” mantenendolo sempre vivo, come un accanimento terapeutico ante litteram. Egli allora chiede ai figli di por fine a tanto crudele strazio, ma nessuno accetta, e solo il giovane amico Filottete lo aiuta a morire sopra una pira cui dà fuoco, con un generoso atto di solidarietà umana Ma Filottete la pagherà cara. Anche l’amico che aiutò Welby a porre fine alle sofferenze verrà punito, come lo fu Filottete ad opera di Hera: perché Hera (o il Potere religioso, o medico, o ideologico che sia) vuole “vendette amorose” immolando la vita nel tormento, eternamente gelosa com’è di figli che non riconosce come suoi. Cesare Padovani