la stagione dei saldi politici
Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino
spazio riservato all’indirizzo
maggio 2012
L’altra informazione a San Marino
numero 53
Il Don Chisciotte
Attualità e Cultura L’editoriale
In questo strano paese R
ipropongo qua un articolo che, seppur inviato a tutta la stampa sammarinese, è stato pubblicato da un solo giornale. Lo replico perché, se non altro, ha fatto parlare di sé. Si tratta di valutazioni personali, che però a sentir le indiscrezioni potrebbero condurre ad una citazione per il sottoscritto. I vecchi democristiani di una volta, perlomeno, avevano altro stile. “Gabriele Gatti è l’esempio di quanto la politica possa far male a un paese (in termini diretti, come squalificazione dei servizi, e indiretti, come gap reputazionale all’estero) se gestita a livello personalistico. Un paio d’anni fa Gabriele Gatti è stato costretto a dimettersi da Segretario di Stato perché registrato mentre chiedeva (pare, è d’obbligo) a Mario Fantini (CaRisp) di versare un mucchio di soldi in un conto corrente lus-
semburghese. Tangente? Corruzione? Sarà il tribunale, quel che c’è (?), a stabilirlo. L’opinione pubblica va per conto suo. Ma uno come Gatti non risente di scandali. Tempo qualche mese e viene eletto Capitano Reggente, scelta politica arrogante e fuori luogo che ha indelebilmente scalfito l’aura di rispettabilità che quella figura istituzionale ancora rivestiva. Ora, finito il semestre, mentre Gatti è ancora una volta sotto i fari per aver (pare, è d’obbligo) versato più di 600.000 euro in contanti presso un conto italiano, l’esecutivo si preoccupa di come fornire una pensione d’oro a chi ha così maldestramente infangato nome e futuro di San Marino. Ora mi chiedo almeno due cose: 1) il Segretario Ciavatta non fa parte di quel partito che chiedeva voti nel 2008 al grido di: “se ci votate Gabriele Gatti non avrà
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alcun ruolo”? Quel grido, che dava l’idea dell’affetto nutrito verso Gatti, è oggi uno sbiadito ricordo che dà le proporzioni del fallimento politico e morale di AP. 2) Senza disquisire sulla liceità o meno del danaro versato da Gatti nel conto corrente in questione, vi pare, cari concittadini, che chi ha in mano 600.000 euro in contanti necessiti di una pensione d’oro? Voglio dire: il paese non ha già pagato salatamente il suo conto col passato? Il paese non riesce a partorire una classe dirigente meno impastata di questa? Gabriele Gatti, leader politico indiscusso negli anni ’90, quando la PA si gonfiava sproporzionatamente con infornate preelettorali, a dirigere la stessa PA elefantiaca? Quando si parla di costi della PA si deve sempre pensare alle colpe, a volte ai reati, di una classe politica che occupa i due terzi del parlamento, dalla DC al PSD con tutti i ramoscelli, ora “per il nostro bene” pronti a riunirsi nuovamente per affossare quel che resta di un paese annichilito, che avrebbe quanto mai
L’AFORISMA DEL MESE Per trarre giovamento dai mutamenti del presente bisogna esserne all’altezza. Corriamo spesso il pericolo d’essere travolti da quella stessa mobilità da cui dovremmo trarre vantaggi. Per evitare la perdita d’identità indotta dalla celerità stessa delle mutazioni, ripariamo difensivamente nella serie. Abbiamo paura e perciò, lungi dal valorizzare le occasioni di libertà, accettiamo il regime: diveniamo passivi ed eterodiretti. Il disimpegno nasce dalle effettive difficoltà a mutare l’andazzo delle cose. Non ci piace come vanno le cose: allora anziché rompere le regole del gioco, contrapporsi e resistere, si preferisce sparlare di tutto e di tutti. Si trova nel disfattismo il surrogato della virtù. Il tal modo, nel momento stesso in cui si resta oziosi ci si permette d’essere critici: si diviene verbosi. L’accidioso, lungi dall’aggredire la radice del malessere e dall’affrontare il nodo dei problemi, divaga: preferisce il pettegolezzo alla ricerca delle cause, non è mai consapevolmente critico, ma genericamente curioso. Salvatore Natoli, “Dizionario dei vizi e delle virtù”
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bisogno di esempi dall’alto, non di questo luridume ipocrita di chi per qualche migliaio di euro venderebbe la madre. Gatti è il maggiore responsabile, direttamente o indirettamente (non poteva non sapere), delle infornate elettorali in cambio di voti susseguitesi per tutti gli anni novanta. Se il costo della PA, oggi, è così salato, la colpa è di dirigenti strapagati e nel ruolo non certo per merito (anche se fossero, e sono sicuro ce ne siano, meritevoli, non è quello il motivo per cui ricoprono quei ruoli, che sono ruoli politici, decisi dalla politica, dai “Segretari” -scrive la Ciavatta come fosse normale-) e di personale numericamente gonfiato ad arte con l’unico scopo di un voto assicurato a vita. La colpa è di questa “politica da collocamento”. Consentire che Gatti divenga dirigente generale della PA (cosa che verrà fatta, data l’inconsistenza politica e etica dei partitini legati al sottanone di mamma DC) sarebbe uno sfregio, un esempio di estrema deficienza politica (Gatti in quel ruolo assicurerà, a modo suo, altri decenni di vigore ed egemonia alla sua corrente di partito), ed un’altra dirompente conferma di come ogni partitucolo, per quanto si possano sperticare i suoi singoli rappresentanti, sia legato mentalmente e nei fatti a pratiche di scambio di favori che sono la causa prima del decadimento morale, politico e solo infine economico del paese nella sua interezza. Popolo aderente silenziosamente e masochisticamente ogni 5 anni a queste logiche compreso.” R.C.
entro fine mag di presentazio la don chisc quale beneficia
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assemblea dei soci Don Chisciotte. Ogni irìscritto è invitato a discutere dell’O.d.g. allegato sotto. Si tratta di un appuntamento serio ma informale, dunque se intendete partecipare siete i benvenuti: solitamente siamo molto pochi, dunque anche fosse la prima volta che partecipate non sarà diifficile presentarci!
San Marino,
26 aprile 20
Assemblea Ordinari Associazio ne Cultura a dei Soci le Don Chis ciotte I signori So ci sono conv ocati in As martedì 15 semblea O maggio 20 rdinaria pe 12, presso r il giorno Associazioni la sede della in Via Ca de Consulta i Lunghi 13 delle 2 a Cailungo. La riunione si terrà in prima conv seconda co ocazione al nvocazione le ore 21,0 alle ore 21,1 0, in 5. Sarà esam inato e disc usso il segu ente O.d.g.: 1. Relazione del presiden te 2. Approvaz ione bilanc io consuntiv o 2011 3. Approvaz ione del bi lancio prev entivo 2012 Consulta de (depositato lle Associa zioni) alla 4. Relazione conclusiva edizione 2012 Altre pianificazio ne organi Menti fest gramma e ival; nuove co l’edizione 20 llaborazioni 13 per 5. Avanzam ento organi zzazione Fe sta del Solst 6. Varie ed izio 2012 eventuali
Il Presid Dott. Roberto ente Ciavatta
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Società
numero 53, maggio 2012
al via la stagione dei saldi politici di Matteo Zeppa
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ome stiamo sammarinesi? Stiamo male anzi malissimo. Anzi stiamo benissimo! Perchè? Perchè si avvicinano le Elezioni, massima espressione di Democrazia Diretta, ove il Cittadino ha il compito di delegare i propri
rappresentanti per l’agone politico. Quindi....al via con la stagione dei saldi, delle promesse, delle vendite posticce, dei pieni di benzina, delle cene pagate in ristoranti forensi. Nulla di nuovo quindi...come sempre. Beh. Mi verrebbe da dire di
no. Siamo in una situazione socio_economica che forse la nostra nazione non ha mai vissuto sino ad ora. Le raccolte bancarie sono nefaste, il settore Terziario è defunto, frutto di anni di speculazione e di amicizie poco raccomandabili che ne hanno inficiato il loro essere (basta leggere le innumerevoli inchieste italiane che vedono San Marino, o un punto di transito, o quello finale), dimezzando Fiduciarie e coinvolgendo Istituti Bancari. Visto la forte crisi di questo, verrebbe da buttarsi sul settore primario....peccato che scelte orripilanti, anche quella d’aver creato dei Centri Industriali in ogni Castello, uno stupro
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paesaggistico e di “normale logica”, ne possano inficiare uno sviluppo o un ravvedimento. Rimarrebbe il settore Secondario...siamo tutti in attesa del “parco Tecnologico”, che per tutta una serie di motivazioni, parrebbe essere un futuro parco giochi per come lo stanno gestendo gli Intelliggenti. Ed ovviamente della normalizzazione dei rapporti con l’Italia, vera spada di Damocle per questo piccolo lembo di terra. Ma tant’è...arrivano le Elezioni. Dobbiamo essere gaudenti!!! Si prospettano scese in campo di vecchi marpioni della società civile, con programmi altisonanti. Oppure il contrario. Persone
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oramai compromesse, pronte nel farsi da parte lasciando ampie rassicurazioni ai propri delfini giovani. SOMMO GAUDIO! Si è giunti in quel particolare momento in cui TUTTI possono promettere, con una sfrontatezza tale, da riuscire ad ingolosire il vulgus. Dove si punta il dito alla ricerca del capro espiatorio perfetto; il più in auge è il settore della Pubblica Amministrazione: guadagnano troppo, hanno il posto assicurato (a parte i precari) e cose del genere. Bene. Ogni settore sociale ha i propri pro ed i propri contro. Vogliamo parlare dei Dirigenti PA? Parliamone... quasi tutti ad incarico Politico, e nella maggior parte dei casi senza competenze del caso. Sprechi ovunque, che inficiano in tal modo un settore che è un asset basilare della società. Dicotomie di fatto. Vi pare normale, che esistano settori PA che lavorano o lavorerebbero anche bene, e nelle Segreterie di Stato, anziché appoggiarvisi come si dovrebbe, si vadano a prendere persone stipendiate che svolgono lo stesso lavoro?? Risultato: doppia spesa, minima resa, mentre invece l’essenza della struttura di una Pubblica Amministrazione avrebbe già il materiale umano per poter ottemperare il tutto. Carta...carta....risme di carta. Per ogni cosa. Ma quanto spendiamo per il cartaceo? Uso il plurale poiché ovviamente sono soldi di tutti che escono per essa. Sarebbe carino poter vedere il capitolato di spesa per questa cosa... credo che resteremmo esterrefatti. Non sarebbe più facile usare laddove fosse possibile, la firma digitale? Vogliamo parlare poi del
fenomeno delle “indennità”? Un artifizio che di fatto nega la meritocrazia, che dovrebbe necessariamente esserci anche nella Pubblica Amministrazione, così come in tutti gli altri settori lavorativi. “Non puoi fare carriera all’interno di essa? Beh, abbiamo tolto anche il “mansionario”...non ti preoccupare ci penso io. Ti do una bella indennità di funzione. Tu in cambio mi stai zitto e quando andrai a votare, mi devi quantomeno portare 10 voti...” Da quanti anni non c’è un Concorso Pubblico? Tornando sulle cariche politiche dei Dirigenti Pubblici. Francamente non capisco la necessità abbastanza becera di porre in punti focali, gente di partito che non abbia idea di quello che dovrà fare, quasi sempre con poca esperienza, vuoi per gli studi fatti o altro. Ma è così da anni. Certamente gli stessi devono o meglio, dovranno essere responsabilizzati verso anche gli errori commessi da chi è gerarchicamente sotto di loro. E non è cosa di poco conto. Nel settore Privato, chi è responsabile deve saper formare il personale, deve saperlo aiutare nel proprio percorso, non per una mera crescita del “singolo”, ma costruendo in tal modo un circuito virtuoso che responsabilizzi TUTTI, in particolare i Dirigenti, che detto tra noi “..i ciàpa fiùr fiùr ad sòld”. Ma visto che ciò non accadrà mai, anche per ovvie ragioni che anche un bambino capirebbe, se tagliassimo la testa al toro? Ribadendo l’assunto sopra, ossia nel non capire perchè Dirigenti dello Stato debbano essere quasi tutti ad incarico
politico, bene...alla fine della legislatura di chiunque li abbia insediati, tutti a casa. Ancor meglio: concorsi pubblici per i Dirigenti! Quello che hanno fatto con la nuova Riforma PA è l’ennesimo balzello messo in atto. Bisogna essere in grado di capire che il problema di San Marino NON E’ LA PA! Il problema VERO è chi utilizzandola in malo modo, da essa ne trae o ne ha tratto vantaggio esclusivamente personalistico e/o soggettivo. Una Pubblica Amministrazione che funzioni è assolutamente un punto a favore di tutti. Ma così come è stata usata negli anni, per puri scopi di Partito è da denuncia. Attuando poche cose ma basilari, ecco che il gap tra Pubblico e Privato si ridurrebbe. Ma a qualcuno invece conviene mantenere la forbice tra i due settori, molto ben aperta. Ma siamo in clima elettorale dunque è tutto permesso. Come il fatto che in Commissione Finanze vi siano persone assenti che votano, e che una volta scoperto ciò, non si pensi di annullare quella votazione, ma di renderla comunque valida. E poco importa se ci sono nomi e cognomi di chi potrebbe essere stato a votare per l’assente, al grido di “lo fanno tutti lo faccio anche io”. Siamo tutti sulla stessa barca, una volta a me una volta a te. Sappiamo che il fenomeno assolutamente ignobile del “pianista” è presente in maniera trasversale..quindi “occhio non vede cuore non duole”....calpestando ogni diritto di Delega ricevuta dalle urne elettorali.
“Ma siamo prossimi alle Elezioni, per cui vedete di non fare tanto casino, che dobbiamo remare tutti dalla stessa parte, ossia la NOSTRA riconferma”... questo pare uscire dal dizionario politichese odierno. La Politica signori miei è ben altro. Questo modo di comportarsi, unitamente a tutte le nefandezze di scelte fatte in settori stagni, parcellizzando il Consiglio stesso, delegando a Commissioni, sottoCommissioni e cose simili, è un modo di NON far politica. E’ molto semplicemente un sistema simil_clientelare. La Politica è ben altro, va riportata nella sua giusta posizione. Ed in tutto questo “casino o casinò sociale” visto che siamo sempre più in presenza del fenomeno del rilancio dell’offerta per ottenere qualcosa, c’è qualcuno che invece ha voglia di fare politica, ha voglia di andare in mezzo alla gente, ha voglia di far pensare che non esistono capri espiatori, ma che essi in realtà sono poche persone che tutti conoscono, ha voglia di fare, di sbagliare, senza promettere nulla in cambio a livello economico, farlo per il semplice gusto di farlo. Hanno voglia di non essere ecumenici, hanno voglia di puntare il dito. Hanno voglia di combattere e combattervi su quel terreno che alcuni hanno depredato, portando in miseria (socialmente ed economicamente) questo Paese. Posso tranquillamente dirvi che NOI ci saremo, poi vedremo. Buona vita.
Il Don Chisciotte
L’Ippogrifo
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non pulite questo sangue “Io non ho paura della verità” (Licia Pinelli) di Angelica Bezziccari
A
volte i film sono più reali della realtà. Succede soprattutto quando la cosiddetta realtà è nascosta, seppellita, censurata. E questo è accaduto e continua ad accadere nel paese dell’omertà per eccellenza, l’Italia, dove dopo più di 40 anni la strage di piazza Fontana rimane senza colpevoli. Dove nel 2011 trecento poliziotti entrano di notte in una scuola occupata e picchiano e torturano dei ragazzi colti nel sonno. A parlarne e a riportare alla memoria questi fatti sono due film, che ho visto uno di seguito all’altro: “Romanzo di Una Strage”, di Marco Tullio Giordana, e “Diaz”, di Daniele Vicari. Il titolo del film di Tullio Giordana è una citazione di Pier Paolo Pasolini, il quale nel 1974 pubblicò un articolo sul Corriere della Sera intitolato “Il romanzo delle stragi”. È quel famoso articolo che inizia così: “Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l’aiuto della CIA (e in second’ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della CIA, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum. Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l’altra,
La scuola Diaz, il giorno dopo
hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine ai criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista) […] ”. Come al solito, essendo impossibile riassumere in poche pagine i fatti e gli accadimenti, invito tutti non solo a leggere l’intero articolo di Pasolini, ma l’intero libro, “Scritti Corsari”, che raccoglie appunto gli scritti estremamente profetici, da brividi, dello scrittore. Poco meno di un anno dopo aver scritto queste parole, Pasolini viene assassinato, in circostanze ancora oscure. Stava terminando Petrolio, il libro che suggeriva di aver individuato nella persona di Eugenio Cefis l’“architetto” dell’incidente aereo che aveva tolto di mezzo il fondatore dell’Eni, Enrico Mattei, che osò sfidare le compagnie petrolifere internazionali. In Petrolio vi è perfino un appunto che con-
tiene un accenno profetico inquietante: «La bomba viene messa alla stazione di Bologna. La strage viene descritta come una ‘Visione’». Ritornando a “Romanzo di una strage”, ecco che dopo quasi quarant’anni il fil rouge (o dovrei dire nero?) si ricuce, si riattacca. L’esplosione alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, in cui muoiono diciassette persone e ne restano ferite ottantotto, è per molti, soprattutto giovani, un capitolo sepolto e spesso nemmeno conosciuto della Storia Italiana. Tullio Giordana, al di là delle varie critiche, interpretazioni e quant’altro, ha il grandissimo merito di riportare all’attenzione del pubblico l’argomento, e portare avanti in modo non affatto velato e -secondo menemmeno qualunquista le sue tesi, che possono essere benissimo essere le tesi della Storia. Commovente e straziante la morte che fa visita a due padri: convocato la sera dell’attentato e interrogato per tre giorni, l’anarchico Pinelli muore in circostanze misteriose, “precipitando” dalla finestra della questura di Milano. Assente al momento del
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tragico evento, il commissario Luigi Calabresi finisce per diventarne responsabile e vittima. Diventa il capro espiatorio di Lotta Continua, ma continua a indagare sulla strage, scoprendo il coinvolgimento della destra neofascista veneta e la responsabilità di apparati dello Stato. Poco dopo, viene assassinato. A oggi, dopo diversi processi e rinvii a giudizio, per lo Stato Italiano il caso è chiuso, come si dice. Senza Colpevoli. Il 3 maggio 2005 la Cassazione chiude definitivamente la vicenda giudiziaria; le spese processuali sono a carico dei parenti delle vittime. Genova, 21 luglio 2001. È in corso il vertice del G8 nella città blindata e militarizzata. Nella città è presente il primo movimento di massa della Storia che non sta chiedendo niente per se stesso, ma che esprime
tutto il suo dissenso per l’élite oligarchico-economica che sta governando il mondo, frutto della tanto idolatrata globalizzazione e del libero mercato. C’è chi spacca vetrine e sportelli bancomat, come i cosiddetti black-block; la maggior parte tuttavia sono studenti, manifestanti pacifisti, giornalisti, sindacalisti, attivisti del Social Forum. Quella sera però, nel dormitorio improvvisato della scuola Diaz dove si trovavano un centinaio di queste persone, fu scatenato l’inferno. I poliziotti irrompono nella scuola e fanno anche qui una strage: 87 feriti, anche molto gravi. Un colpo di Stato legalizzato. La più grave sospensione dei diritti democratici dopo la seconda guerra mondiale (così afferma Amnesty International). La mattanza non finisce alla scuola Diaz: i 300 poliziotti che hanno
in modo freddo e selvaggio fatto violenza senza motivo e abusando del loro potere, continuano le violenze alla caserma-prigione di Bolzaneto, dove le persone momentaneamente detenute descrivono inenarrabili violenze – anzi torture – qui irripetibili. Per rendersene conto, anche solo di un decimo, basta guardare il film di Daniele Vicari, “Diaz”. I sintomi durante e dopo la visione riscontrati nella maggior parte del pubblico sono: tremori, lacrime, palpitazioni. Nessuna scena splatter presente. “Solo” l’estremo e crudo iper-realismo della vicenda, “solo” ragazzi dormienti massacrati con un nuovo tipo di manganello testato apposta per l’occasione (per dirne una). Anche qui, diversi sono i documenti e le pubblicazioni (ma non abbastanza) per informarsi ulteriormente. Dalle dichiarazioni rese dai 93 detenuti nacque il processo in seguito al quale dei più di 300 poliziotti che parteciparono all’azione 29 vennero processati e, nella sentenza d’appello, 27 sono stati condannati per lesioni, falso in atto pubblico e calunnia, reati in gran parte prescritti. Mentre per quanto accaduto a Bolzaneto si sono avute 44 condanne per abuso di ufficio, abuso di autorità contro detenuti e violenza privata, perché in Italia non esiste il reato di tortura. Anche qui, i poliziotti non hanno certo agito da soli: c’è chi dall’alto, tra i vertici, (premeditandolo da tempo dicono alcuni) ha coscientemente autorizzato un simile atto, e poi ha giustificato, ha mentito, ha fornito false prove di colpevolezza. Quella sera un aereo arriva a Genova e qualche “importante personalità” decide che tutto ciò s’ha da fare. I politici in quei giorni alla Tv rilasciano dichiarazioni sconcertanti che disegnano un quadro assurdo dove i “poveri” poliziotti dopo giorni di provocazioni, agiscono per prevenzione e difesa su un pericolosissimo gruppo di black block pericolosamente armati. Tesi poi smentita ma, come sempre, non abbastanza.
Ed ecco qui ritornare, ancora una volta, il fil rouge, anzi il filo nero. Il filo che collega tutto. Il filo che aveva visto Pasolini, che aveva visto Calabresi, che hanno visto tutti quelli che non lo dovevano vedere e ora sono morti. Vedere “Romanzo di una strage” e “Diaz” fa capire come in realtà sembra non essere passato un giorno dal 12 dicembre 1969. I fili sono manovrati dall’alto. I fili sono ben dispiegati, lentamente ma inesorabilmente. Le matasse sono tenute nelle mani di individui che possono cambiare, che per forza di cose prima o poi muoiono, ma passano di mano a un sempre nuovo rappresentante del Potere. La rappresentatività democratica è una favoletta che ci piace raccontarci. La mia sensazione che emerge è questa, di un paese e una comunità estremamente malati di una malattia pericolosa e cronica, che ci portiamo dietro ancora oggi, ma che però come alcune malattie, non dà sempre sintomi. Cuore e polmoni funzionano, il sangue circola, gli occhi sono luminosi. Ma all’improvviso, le difese immunitarie si abbassano, ed ecco apparire una pustola. Un bubbone. Un grumo di sangue da sputare. Ed è lì che ci accorgiamo, anzi ci ricordiamo, di essere estremamente malati. Poi i sintomi si curano, anzi si sopiscono, ma un sintomo sopito non significa guarigione dalla malattia. Ed è proprio questa la nostra situazione. Le stragi, le violenze, gli assassini, non sono altro che i sintomi di una malattia cronica che c’è, è lì, ma spesso è silente, non manifesta. E i sintomi sono, come in tutte le malattie, anche se orribili e dolorosi, estremamente utili per capire che siamo malati e abbiamo bisogno di una cura. Ora siamo in una situazione in cui rischiamo di rinnegare il sintomo, e se lo facciamo non potrà che succedere questo: morire di una morte improvvisa ma in qualche modo annunciata, colpevoli della mancata cura. E a quel punto saranno solo i virus a sopravvivere.
Appunti di psicologia
Michel Foucault
di Davide Tagliasacchi
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Thomas Szasz
il movimento antipsichiatrico e discussioni su mente e cervello o su natura e ambiente hanno sempre fatto parte della storia della psichiatria e, probabilmente, continueranno a farne parte in futuro. Esse sono state alla base del più forte e celebre attacco “dall’esterno”alla psichiatria negli anni Sessanta e Settanta, in quello che prese il nome di “movimento antipsichiatrico”. Nei primi anni Sessanta gli scandali sugli ospedali
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psichiatrci e la pubblicazione di “Asylum”di Erving Goffman avevano preparato il terreno per un‘offensiva devastante. Non una critica su una qualche pratica o sui fallimenti del sistema, ma un assalto alla legittimità stessa della psichiatria: Il messaggio era che essa non aveva bisogno di perfezionarsi, ma di essere buttata via in toto. Nel migliore dei casi era confusa e confondeva le persone e nel peggiore
poteva diventare un perfido strumento di oppressione, mascherato da benevola pratica medica. Tre carismatici autori divennero i personaggi simbolo del movimento. Due erano psichiatri ed esercitavano la professione. I loro libri divennero la bibbia di ogni studente universitario tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, quando il malcontento si era ormai diffuso in tutti i campus e influirono enormemente sulla rivolta studentesca di Parigi nel 1968: Si tratta di Thomas Szasz, Michel Foucault e R.D. Laing. Thomas Szasz, immigrato negli stati Uniti dall’Ungheria, divenne famoso pubblicando Il mito della malattia mentale nel 1961. In questo libro egli sosteneva che le cosiddette
“malattie mentali” sarebbero un’invenzione per negare i diritti legali agli individui socialmente devianti; si opponeva con forza al trattamento sanitario obbligatorio, mentre appoggiava una forma di psichiatria svincolata dalla statalizzazione, nonché l’abolizione della difesa psichiatrica per l’insanità mentale. Szasz credeva che le persone giudicate malate di mente dovevano ricevere lo stesso trattamento di tutti gli altri e prendersi la responsabilità delle loro azioni (i soggetti definiti psicotici avrebbero il diritto di rifiutare le cure ma dovrebbero essere condannati alla prigione se infrangono la legge, anche quando è possibile dimostrare che sono malati). Secondo i suoi critici, le posizioni di estremo liberismo e rifiuto per
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Ronald David Laing le imposizioni deriverebbero soprattutto dall’aver vissuto sotto l’occupazione sovietica. Michel Foucault, filosofo francese, riteneva che il concetto di malattia mentale fosse un’aberrazione dell’età postilluministica. Obbiettava alla classificazione delle identità, sostenendo che dall’esistenza della follia non conseguiva l’identità del folle. Con Storia della follia nell’età classica sfidò il fondamento stesso della pratica psichiatrica: la dipinse come una disciplina repressiva e dispotica capace di rendere legittimo l’abuso di potere, invece di ergersi a pratica terapeutica capace di liberare dal “male oscuro”. l’opera di Foucault ebbe un’enorme risonanza in tutta Europa, di cui la riforma di Basaglia ne rappresenta l’esempio più evidente.
Tra gli antipsichiatri probabilmente il più famoso e anticonvenzionale fu R.D. Laing. Psicanalista di Glasgow dalla mente brillante, sconvolse il mondo della psichiatria con una serie di testi divenuti poi dei veri best-seller. Laing era un uomo stravagante e impulsivo e cambiò punto di vista più volte durante la sua carriera (come Freud, non sentì mai l’esigenza di riconoscere questi sviluppi o darne ragione). Il suo primo e più importante libro fu L’io diviso. Studio di psichiatria esistenziale (1960), in esso Laing definiva la propria posizione come “fenomenologia esistenziale” e sosteneva che le fissazioni del paziente psichiatrico esprimono solamente un differente punto di vista sul mondo: per quanto criptiche, le sue con-
vinzioni risultano essenzialmente creative e se affrontate con sufficiente immaginazione e coraggio morale, possono diventare comprensibili. Secondo Laing, la cultura “perbenista” tenta di negare codesti punti di vista perché costituiscono una minaccia per la sua stessa sicurezza, imponendo una diagnosi per trasformarli in una patologia. L’io diviso ritraeva le persone affette da psicosi come individui profondamente tormentati i quali, coraggiosamente, tentano di comunicare le loro autentiche esperienze ad una società che non fa altro che rifiutarli per vigliaccheria e ottusità. Successivamente attraversò una seconda fase, nella quale sosteneva che le famiglie contribuivano all’insorgere del disturbo schizo-
frenico: nel suo “Normalità e follia nella famiglia”, descrisse la schizofrenia come reazione al comportamento di genitori repressivi e freddi. Laing ebbe sempre una visione romantica della follia (questo, per assurdo fece aumentare gli aspiranti psichiatri, invece di distruggere la disciplina stessa). Come Szasz, non si definì mai un antipsichiatra (termine coniato dal collega David Cooper nel 1967) e continuò , anzi, ad esercitare la professione, sebbene adottando metodi non convenzionali. la sua capacità di galvanizzare il sentimento anti-istituzionale dimostrò la sua forza nel 1972 quando, dopo una lezione all’università di Tokio, gli studenti incendiarono il dipartimento di psichiatria.
L’autogestita: Oasiverde
Il Don Chisciotte
numero 53, maggio 2012
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è nato prima l’uovo o la gallina?
Se lo ritieni, questo mese Indirizza l gallo è prepotente, vanitoso ed egoista! all’Oasi La gallina è stupida e ha poco cervello! IIl pulcino è un batuffolo tutto tenerezza il 3 x mille che possiamo coccolare! Poco prima di
Pasqua diversi bambini hanno rallegrato l’Oasiverde partecipando al percorso E’ nato prima l’uovo o la gallina?, dove tutti assieme abbiamo imparato a conoscere qualcosa di più della “vita da pollo” capendo come in realtà l’immagine che passa di questi animali venga distorta. Eppure gran parte della nostra alimentazione si basa sull’uovo e proprio questa lontananza con la realtà ha permesso all’uomo di chiudere queste creature sensibili in veri e propri lager di crudeltà pur di produrre il maggior numero di uova e di carne. La loro convivenza con l’uomo parte 5000 anni fa, quando nel Sud- est Asiatico i polli vennero dapprima usati per il combattimento (cosa che si fa anche oggi, purtroppo!!), poi hanno assunto un significato religioso, infine sono finiti sui banchetti dei ricchi per divenire oggi una risorsa alimentare ad ampio raggio con una vera e propria produzione di massa.Quel che è importante è rinsaldare passo passo un legame con quegli animali la cui convivenza ci ha regalato tanto: un legame fondato sulla conoscenza delle loro caratteristiche, delle loro abitudini e del loro stile di vita, e..della loro capacità di costruire un rapporto con noi! Ed il miglior modo è proprio quello di stare vicino a loro, osservarli mentre
sono liberi di razzolare, di muoversi nel loro ambiente, fare i bagni di sole, correre e fare…una vita da pollo! Si pensa che il gallo sia egoista? Eppure quando abbiamo offerto le camole da miele chi è venuto per primo a mangiare? Esatto..le galline. Infatti il gallo, tra i molti versi di una comunicazione di gruppo varia e ricca, fa un verso particolare quando trova un buon boccone. E il suono può variare a seconda della qualità del cibo trovato. E mica se lo mangia da solo. Quel verso serve a richiamare le sue predilette che accorrono al banchetto, finendo spesso loro stessi a becco asciutto. Un vero galante, non trovate? Inoltre protegge il gruppo stando sempre attento ad eventuali attacchi e se vede qualcosa di strano…ha due segnali ben distinti per avvisare se un predatore giunge dall’alto oppure da terra!Allo stesso modo trattiamo le galline come emblema di stupidità. Ebbene, le galline intanto hanno una memoria che compete con quella degli elefanti: pensate che sanno riconoscere almeno 100 visi di compagni diversi! Questo perché nel gruppo esistono precise gerarchie, determinate dall’ “ordine di beccata”, perciò è fondamentale riconoscersi. Infatti le galline hanno un’ottima vista, vedono i colori come li vediamo noi ma ovviamente la loro attenzione è rivolta alla ricerca dei piccoli insetti del terreno. Ma poi… vogliamo parlare della dolcezza di una chioccia coi suoi piccoli? Dopo un intenso lavoro di preparazione del nido, inizia la cova: la gallina passa 21 giorni sul nido e nonostante aumenti il suo metabolismo (un meccanismo che aumenta la temperatura della pelle a contatto con le uova), passa solo qualche minuto a nutrirsi e se ci si avvicina a lei si mostra scontrosa e sempre in allerta. Pensate che la mamma riesce a comunicare con il pulcino quando è ancora dentro l’uovo, a circa 3 giorni dalla nascita, e tramite dei vocalizzi dolcissimi riesce a tranquillizzarlo! Quando il pulcino è formato nell’uovo, usa il “diamante”, una struttura sul becco che serve per rompere il guscio, ruotando lentamente su se stesso in modo circolare. Con una spinta esce dall’uovo e dopo poco tempo, grazie al fenomeno dell’imprinting, riconosce sua
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mamma e i suoi compagni di covata ed è perfettamente in grado di camminare e nutrirsi! Tuttavia la mamma gli indica il cibo, glielo spezzetta e la competizione tra i pulcini è altissima! La vita degli animali non è fatta solo di istinto, esigenze, abitudini, che vanno comunque rispettate. Ogni singolo animale ha una personalità perché ognuno di loro ha una vita fatta di emozioni e di una capacità unica di relazionarsi con il mondo. Alcuni di noi, definiti umani, possono costruire con loro, definiti animali, delle relazioni come si farebbe con un amico (umano, pardon!). E gli elementi perché ciò avvenga sono gli stessi: umiltà, tempo da dedicare, capacità di fermarsi ad ascoltare in modo attivo, curiosità, e in più una base di conoscenza delle caratteristiche della specie. Ma occorre anche destrutturare quegli schemi che l’uomo ha costruito per sentirsi superiore, su una scala gerarchica da lui stesso creata. Per questo all’Oasi avete incontrato Gertrude, Golia, Creanza, e non delle semplici “galline”…ognuno di loro è particolare e racconta qualcosa di sé a chi ascolta. Per un giorno noi “umani” abbiamo provato ad entrare nel loro mondo, scoprire le loro abitudini, offerto qualcosa anziché preteso, ci siamo messi per un poco nelle “loro penne” e se anche siamo riusciti ad affrontare qualche nostra paura od ignoranza, è stato importante sia per loro che per noi. Grazie infinite a tutti della bella esperienza!
Questo mese il nostro ringraziamento speciale va a “Scarponi Vernici” che con entusiasmo e professonalità ha fornito il materiale necessario per il laboratorio dei vostri bellissimi galli arcobaleno
associazione oasiverde Sede legale: Strada Genghe di Atto, 122/b 47892 - Acquaviva (Rep. San Marino) Telefono: 335.7340580 Fax: 0549.944242 mail: info@oasiverdersm.org web: www.oasiverdersm.org IBAN: SM 22X03 26209 80000 00003 04885 COE: SM21783
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Il Don Chisciotte
Es... cogitando
un popolo senza parole ...vale a dire privo di pensiero critico di Roberto Ciavatta
numero 53, maggio 2012
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i dovesse misurare la propria dedizione a una causa con il metro della “approvazione” sociale, o quanto meno del riconoscimento dei propri sforzi, si finirebbe per rimanere inermi. Forse in una società così attenta all’estetica, all’apparenza, al pubblico apprezzamento, è proprio questo a motivare l’immobilismo generale: non essendo più capaci, oramai nessuno, a ripiegarsi su se stessi per dare un senso intimo alla propria esistenza, si tenta di sostituirlo con un senso sociale, con il valore che danno gli altri a sé. Non sapendo chi siamo finiamo per credere che ce lo possano dire gli altri. Ma se gli altri, a loro volta, non sanno chi sono? Come può chi non ha un’identità fornirne una a me in base ai suoi giudizi? Di più: come può dare giudizi capaci di delineare in me un abbozzo d’identità, chi non conoscendo se stesso non può avere la capacità di giudicare obiettivamente? Pure Sant’Agostino poneva al centro delle sue riflessioni la conoscenza di se stessi: “Sii te stesso, e fa’ ciò che vuoi”. Nella convinzione che sapendo chi si è, e quindi cogliendo distintamente che cosa possa venir considerato “bene”, non si possa che vivere una vita retta. Ma conoscersi richiede di rimanere soli con se stessi, svolgere su di sé un’introspezione approfondita (perché ognuno di noi è differente dal prossimo), sostare nel dubbio e nell’incertezza, mettersi in discussione, perché rimanere soli con se stessi fa spesso cadere convinzioni radicate, ci fa scoprire diversi da come vorremmo… Questo oramai non succede che in rari casi: per lo più, nelle nostre società, si finisce
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per convincersi di “essere” il ruolo o la definizione che la società (gli altri) ci affida. Non scopriamo chi siamo, non diamo un senso intimo, privato, unico alla nostra esistenza ma ci adeguiamo all’angolino che ci viene indicato, assumendo le posizioni e le ideologie che esso prevede. Siamo eterodiretti, incoscienti di noi stessi, insensati. Per questo siamo criticamente inadeguati. Questa carenza di capacità critica, ovvero come Oliviero Beha ha ricordato nella prima edizione di AltreMenti festival di “separare, scegliere e giudicare”, finisce per far incorrere in contraddizioni imbarazzanti: non sapendo chi si è, non si sa neppure che cosa si vuole. Come ben indicato nell’aforisma di Natoli trascritto questo mese sul “Don Chisciotte”, si finisce così per divenire accidiosi, incazzati col mondo intero ma incapaci di fare le dovute distinzioni, eternamente insoddisfatti e critici, preda dei propri pregiudizi non riconosciuti come tali. Così, ad esempio, si condanna chi muove critiche alle strutture sociali esistenti, ma allo stesso modo si condanna (in maniera anonima) chi svolge critiche sociali simili mettendoci la faccia. Il primo diviene un vigliacco (poco importa che anche chi critica rimanga anonimo a sua volta), il secondo diviene presenzialista o megalomane. Insomma, pare che qualsiasi codice di comportamento utilizzi chi fa attivismo, chi spende le sue ore libere per attività socialmente utili, sia sbagliato. La coscienza sociale è a tal punto sporca e corrotta da non poter più credere che qualcuno possa muovere un dito senza interessi personali, senza arrivismi, senza secondi fini: l’idea che qualcuno possa impegnarsi per passione è esclusa per default, a priori. Non è difficile capire come e perché si sia sviluppato questo malcontento e questa sfiducia
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verso il prossimo a San Marino: l’assenza di cultura e di occasioni culturali, la sottocultura della corruzione e della collusione come motivo d’esistenza, la convinzione che operazioni sempre e solo border line, tra il lecito e l’illegale, siano le uniche percorribili per una società senza qualità (o che, meglio, costringe alla fuga le poche persone capaci), l’esempio perpetrato per decenni di dirigenti ed amministratori della cosa pubblica unicamente impegnati nell’arte del farsi i cazzi propri, non avrebbe potuto condurre ad altro. Dunque, se qualcuno intende ancora svolgere le sue attività senza secondi fini, e vuole ancora godere della libertà di esporsi per criticare, cercando di modificarlo radicalmente, lo status quo del sistema sociale in cui vive sempre
più stretto (come il cammello nella grondaia di Battiato), deve continuare a prescindere dall’opinione pubblica, spinto dalla solitaria convinzione di operare per una giusta causa, permettendosi il lusso di poter sbagliare, e permettendosi anche il lusso di lasciar le lingue “battere sul tamburo”, come cantava De André in una sua bella canzone, perché sempre e in ogni occasione un popolo bue, incapace di conoscersi e di analisi critiche puntuali e non contraddittorie, continuerà nello sport nazionale, disfattista, del tiro a chiunque non rimanga allineato. Perché? Perché chi non si allinea e continua a svolgere critiche e analisi indipendenti mette in discussione la coesione sociale grazie a cui, volente o nolente, chi non conosce se stesso e delega il proprio “sen-
so” al ruolo sociale cui viene adibito riceve una parvenza di senso. Questo popolo, insomma, non ha parole: non sa che dire e che pensare, non sa che fare. Vorrebbe cambiare ma diffida di chiunque cerchi di farlo: non è in grado di distinguere nonostante i dati siano tutti lì, sul tappeto. È cieco e miope. Come cambiare una tale condizione sociale, un sistema di pesi e contrappesi che nonostante il malcontento generalizzato, proprio per via della sottocultura ingenerata, non crea spazi di apertura al nuovo che non siano a loro volta condannati con i metri del vecchio sistema in disfacimento? C’è solo un modo: che chi oltre o invece di chiacchierare e perdersi in pettegolezzi si mobilita continuamente in attività e nello sviluppo di alternative
credibili allo status quo continui, nonostante la mancanza di riconoscimento, per la sua strada. Potendo sbagliare, certo, ma almeno non sposando la sterilità da bar di chi è pronto, al contempo, a dire le peggiori parole del politico di turno salvo comportarsi al suo cospetto come si trattasse di una divinità terrena. Da chi chiacchiera non ci si può aspettare niente, oltre ad altre chiacchiere. Contro tutto e contro tutti, pur di non sentirsi in dovere di fare qualcosa. Ma per chi è abituato a fare, le chiacchiere del professionista anonimo da bar, o da blog, anche quando rivolte contro il proprio impegno, sono un motivo in più per continuare nel proprio lavoro. Anche per loro, per chi non sa chi è, anche per chi è intriso di sottocultura, vale la pena di promuovere cultura.
Gruppi d’Acquisto Solidale
Il Don Chisciotte
numero 53, maggio 2012
L
’esperienza e le frequentazioni degli ultimi anni mi hanno convinto che all’interno dei movimenti esistano zone d’ombra e punti critici che andrebbero chiariti. Sono proprio questi nodi, teorici prima che pratici, a determinare limiti a volte pesanti all’azione di soggetti che pure muoverebbero da premesse sacrosante. Uno dei temi forse più attuali e appassionanti è quello delle forme di partecipazione: come i nuovi gruppi e le nuove aggregazioni si rapportano alla realtà circostante, alle tradizionali forme di convivenza civile, sociale, politica? I gruppi di acquisto solidale, contenitori sociali magmatici ma nello stesso tempo radicati, sono un laboratorio certamente privilegiato per aprire una riflessione su tematiche sociali più ampie, un osservatorio su ciò che si sta muovendo. Fin dal loro apparire sulla scena sociale i gas si configurano come soggetto capace di fare politica nel senso più nobile del termine. Al loro interno confluiscono persone di varia estrazione e interessi, provenienti da esperienze diverse e con sensibilità differenti. Per valorizzare questo patrimonio, si richiede uno sforzo capace sia di andare oltre tradizionali contrapposizioni sia di sintetizzare una lettura giusta del passato, obiettiva del presente ed efficace del futuro. Esiste il rischio che i gas si prestino ad essere uno degli strumenti della cosiddetta antipolitica, che ormai sta andando a costituire un partito di specialisti della contestazione, spesso stucchevole. Allargando la prospettiva, nell’ambito politico abbiamo la prova che spesso vince chi fugge e da un punto di vista strettamente elettorale i partiti sono costretti a rincorrere. Dunque non si capisce perchè siano le espressioni della cosiddetta società civile a doversi affannare su un terreno come quello dell’antipolitica, che per certi versi fa il gioco proprio della politica tradizionale. Appurate certe divergenze, è più opportuno che alla rabbia subentri l’indifferenza e la proposta. Una certa delusione rispetto ad altre forme di aggregazione trova ormai ampi spazi di sfogo anche attraverso i gas, ma credo che la traduzione di questo sentire diffuso e di una certa vocazione anarcoide non possa essere l’antipolitica pura e semplice. Piuttosto si deve parlare di appetibilità di un certo modello, di rimescolamento delle carte, di alternative, di rieducazione politica. Un pò in tutte le esperienze di movimenti della società civile è ormai all’ordine del giorno una certa esasperazione del conflitto nei confronti della politica e segnatamente dei partiti, espressione massima del nemico da abbattere. L’identità dei movimenti, cioè, è andata spesso definendosi più per negazione che per alternativa, più per protesta che per proposta.
il partito degli anti Perché la società è, a volte, peggio della politica di Stefano Palagiano Resta difficile smarcarsi dalle vie tradizionali di confronto e di azione, anche nei paladini del nuovo. Questa condizione riesce ad allontanare la preparazione di un’alternativa credibile, creando i presupposti per essere inglobati dal sistema tradizionale, sia nella sua versione economica che politica. Gli strumenti di partecipazione alla vita pubblica, dunque, vanno ripensati cominciando intanto a parlare meno o diversamente del “nemico” e creando spazi anche fisici di aggregazione alternativi. Sono favorevole a disegni capaci di smarcarsi dagli errori del passato e del presente, ma nel modo giusto, cioè senza serbare quel rancore indiscriminato tipico di certe manifestazioni dell’antipolitica. Penso sia necessario passare alla fase 2, quella di un cambiamento duraturo. Per farlo, però, occorre analizzare con serenità quale momento stiamo attraversando. E’ un frangente che a me pare, in realtà, meno positivo di quanto si possa credere. Stanno spesso cambiando i luoghi comuni e i nuovi non sono meno pericolosi dei vecchi. Ecco perchè ci sono miti che vanno sfatati. In primo luogo, quello della superiorità assoluta della cosiddetta società civile sulla politica. In realtà, che i governati siano migliori dei governanti è una pura fesseria, che gode di un credito sempre più largo, dovuto alla temperie sociale che viviamo. Credo che nessuno possa dire sinceramente di conoscere molte persone più all’altezza della classe politica, specie quando questa è frutto di libere elezioni e non di un golpe. I partiti, forma storica di
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aggregazione e di esercizio della democrazia, hanno dato spesso pessima prova di sè e hanno molte colpe nel non intercettare i mutamenti sociali, ma questo non autorizza a ritenerli un corpo assolutamente estraneo ad una società degli onesti e dei giusti. E’ anzi vero l’esatto contrario. Bisogna avere il coraggio di ammetterlo. Confesso di non essere particolarmente attratto dal tiro al politico, uno sport noiosissimo anche perchè ormai è diventato come sparare sulla Croce Rossa. Preferisco proporre e vivere alternative. Aggiungo che alcune delle persone che ho conosciuto all’interno dei movimenti non rappresentano fulgidi esempi di novità e capacità. E in fondo un nemico vero è sempre da preferirsi ad un amico finto. E che dire, poi, della retorica dei giovani bravi a prescindere? Un’altra baggianata destinata a simboleggiare il nuovo. Sarebbe come sostituire un fuoriclasse attempato con un giovane impresentabile durante una finale di Champions League solo per fare “largo ai giovani”. Se conflitto generazionale ci deve essere, deve esserci sulle idee e la qualità, non sulla base di una sorta di “pulizia etnica” a sfondo anagrafico che sarebbe semplicemente assurda. Conosco alcuni giovani che sono dei perfetti imbecilli e alcuni meno giovani che hanno spirito pronto e voglia di mettersi in discussione: sempre sbagliato buttare via il bambino con l’acqua sporca. Credo che bisognerebbe guardarsi allo specchio e fare i conti serenamente con ciò che eravamo e che siamo, con quel minimo di autocritica che serve: mi rendo conto che queste mie riflessioni sono politicamente scorrette di questi tempi. Mi impensierisce un pò il fatto che, al netto di proclami e di un populismo ormai dilagante, non vedo all’orizzonte un’alternativa ben consolidata. Credo che sia una questione di tempo, ma anche di atteggiamento. Ogni tensione al futuro è debole senza una serena coscienza del passato. Bisogna riconoscere, con onestà intellettuale, che l’esistenza di un’alternativa fatta di persone organizzate, culturalmente preparate, curiose e capaci di disegnare il futuro non è ancora pienamente matura. Non credo che possa risultare particolarmente interessante la sostituzione pura e semplice di un potere con un altro, con il rischio che si passi da un certo sistema ad uno simile capace solo di misurarsi per opposizione e con le stesse, vecchie metodologie. Questo rischio di contaminazione negativa è esistito ed esiste ancora, e chissà che non ci si riesca a divincolare dalla smania per il potere, ispirata all’aurea considerazione che sono tanti i culi ma sono tante, tantissime le sedie.
Spiritualità
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Vedi, in questi silenzi in cui le cose / s’abbandonano e sembrano vicine / a tradire il loro ultimo segreto, / talora ci si aspetta / di scoprire uno sbaglio di Natura, / ...il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità. E. Montale - «I limoni»
l’anello che non tiene di Elena Guidi
Q
uesti versi vibrano di una potenza enorme, ogni volta mi ipnotizzano e mi commuovono, trasmettendomi l’emozione di chi ha intuito il “varco” e si trova ad una frazione di attimo dall’oltrepassarlo. Il mio, in questa esistenza, è un lavoro che ha come obiettivo il Risveglio. Altrimenti chiamato, anche se non del tutto propriamente, Illuminazione. Che detto così sembra una meta forse troppo ambiziosa, ma che in realtà è alla portata di tutti. Essendo infatti l’Illuminazione uno stato di coscienza, essa non va cercata per forza sulle montagne del Tibet ma fa potenzialmente parte di noi, anzi occasionalmente ci capita già di riuscire a mettere il dito sulla torta per rubare un po’ di panna. Ogni volta che per un attimo ci eleviamo al di sopra della mente, disidentificandoci da essa, arriviamo alle soglie del nostro vero Essere, pura Coscienza e nient’altro. Minuscolo assaggio, perché poi si ricade rapidamente nei corpi, ma comunque esperienza di quello stato interiore che vorremmo conquistare. Ma che cos’è il Risveglio? E in cosa consiste, nel concreto,
questo “lavoro” di cui parlo? Tentando di sintetizzare al massimo, risvegliarsi significa in un primo momento rendersi conto…di non essere svegli, cioè di vivere quotidianamente una vita che è una serie di pensieri e azioni che noi crediamo “voluti” ma che sono in realtà meccanici e condizionati; e in secondo luogo tentare di uscire da questa condizione attraverso gli strumenti a disposizione, che possono essere molteplici, nello specifico la Presenza, la Disidentificazione dai tre corpi (io NON sono né il mio corpo fisico, né le mie emozioni, né i miei pensieri), la Trasmutazione del piombo (emozioni basse) in oro (emozioni superiori) attraverso la permanenza consapevole sul dolore, la Non-lamentela, il Non-giudizio, l’applicazione della Legge dello Specchio, la Preghiera (intesa come gratitudine per ciò che è, nella certezza che coincide con il mio Bene) e poche altre cosette. Questi gli “attrezzi del mestiere” – per approfondire ognuno dei quali si dovrebbero scrivere parecchie righe; l’obiettivo, come dicevo, è il Risveglio, o Apertura del Cuore, cioè quello
stato di coscienza per cui non solo un individuo SA mentalmente di ESSERE L’ANIMA - e non il corpo e non le emozioni e non la mente -ma SENTE tutto ciò come reale, e quindi non CREDE nell’anima, ma E’ l’anima. (Se a questo punto la domanda che vi sorge spontanea è che cosa ci si guadagna a fare “tutta questa fatica” la risposta è l’IMMORTALITA’, e scusate se è poco.) Dunque il mio scopo in questa vita è conquistare l’immortalità attraverso l’identificazione con l’anima. Ovviamente sul mio cantiere campeggia ancora bello grande il cartello WORK IN PROGRESS, e a volte mi capita di pensare a come si faccia a passare dall’altra parte e a cosa “si vede” una volta indossati gli occhi dell’anima. Perché certamente la realtà che vediamo oggi con gli occhi del corpo e della mente non esisterà più, verrà completamente scardinata e trasformata. Vedremo quello che al momento ci è oscurato dal velo di Maya. Sarà come guardare DENTRO le cose e le persone. E qualche giorno fa’ mentre la mia mente si intratteneva – come ama fare - su questi
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argomenti, dal nulla (cioè da un piano sovrarazionale) mi è arrivata questa bella intuizione sotto forma di metafora. Avete presenti le immagini del tipo Magic Eye? Sono in apparenza accozzaglie di forme e colori senza senso (simili a quello che possiamo vedere in un televisore quando non prende il canale). Ma in realtà nascondono al loro interno delle figure in 3D. Da piccola avevo un libro di queste immagini e all’inizio impazzivo perché non riuscivo a capire come si facesse a vedere la figura nascosta dentro! Il problema – ho scoperto poi provando e riprovando – era che io pretendevo di vedere sforzandomi, quindi utilizzando un’energia maschile, di penetrazione, mentre il metodo più efficace era usare l’energia femminile, quella di accoglienza, e quindi abbandonarsi, lasciare che gli occhi si incrociassero, che la vista si appannasse e restare lì ferma senza pensieri e nella fiducia che qualcosa si sarebbe manifestato al di là del mio volere. Ed ecco che il miracolo improvvisamente accadeva, venivo risucchiata dentro l’immagine e quello che vedevo era completamente diverso e immensamente bello: delfini, guerrieri, aquile, a tutto tondo, in uno spazio nuovo. Il Risveglio è qui, adesso, a portata di mano, non ci resta che trovare L’anello che non tiene… Il tallone d’Achille… La mossa falsa dell’assassino… Il varco nel Truman Show… La minuscola imperfezione nella perfezione dell’inganno. www.newera74.blogspot.com libro di approfondimento: Risveglio – di Salvatore Brizzi E per chi volesse provare in piccolo l’emozione dell’oltrepassare il varco: www.magiceye.com
Il Don Chisciotte
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Redazione DIRETTORE: Roberto Ciavatta editing: Angelica Bezziccari INDIRIZZO: Via Ca’ Giannino 24 - 47895 - Domagnano (RSM) TEL: 0549. 878270 / MAIL: info@associazionedonchisciotte.org SITO WEB: www.associazionedonchisciotte.org COLLABORATORI: Davide De Biagi, Elena Guidi, Oasiverde, Stefano Palagiano, Davide Tagliasacchi, Elena Tonnini, Matteo Zeppa
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A cura di Alessandro Simoncini. Riflessioni di Roberto Esposito, Sandro Mezzadra, Massimiliano Tomba, Franco Bifo Berardi, Anselm Jappe, Riccardo Bellofiore, Alex Foti, Aldo Pardi e Damiano Palano.