AltreMenti... ci arrabbiamo! AltreMenti festival 2012 è un grande successo a Rimini, numeri discreti a San Marino nonostante le istituzioni.
Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino
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aprile 2012
L’altra informazione a San Marino
numero 52
Il Don Chisciotte
Il Don Chisciotte
Attualità e Cultura
numero 52, aprile 2012
verbamanent AltreMenti: riflessioni sulla persistenza delle parole di Angelica Bezziccari
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uccede spesso che si giochi con le parole. A volte lo si fa per sfizio, altre per scherno, altre per malizia. A volte lo si fa per essere poetici o simpatici, o per essere originali. Altre volte lo si fa per far capire qualcosa, per farlo capire meglio a tutti, e per parlare di una cosa che sennò verrebbe oscurata, un po’ come fa la satira. Be’ se dopo tre anni dalla sua nascita dovessi definire AltreMenti, direi che è proprio questo. Qualcosa che è nato come scommessa, qualcosa che nessuno prima d’ora ha mai fatto a San Marino: AltreMenti è fatto di parole ma soprattutto di persone. Alla fine di questa terza edizione, quello che rimane non è né il pubblico, che va e viene (nonostante le quasi 300 presenze al momento di Serge Latouche)
né i turisti (c’è chi è venuto non solo da Rimini e San Marino, ma da regioni limitrofe) né gli ospiti (peccato per la toccata e fuga del senatore Ignazio Marino, che tra l’altro ha espresso a me – in mancanza di segretari e politici sammarinesi – il desiderio di visitare San Marino), né tantomeno comunicati stampa pompati il giorno dopo (ebbene sì, non abbiamo contato gli autobus carichi di turisti russi, gli ingressi in funivia e ai parcheggi come fa qualcuno). Quello che è rimasto sono le parole. I dialoghi, le domande, le battute, gli scambi con le persone meravigliose che abbiamo conosciuto; e non mi riferisco solo ai cosiddetti “intellettuali” ma a chi è venuto a trovarci, a parlarci, a condividere con noi sorrisi e preoccupazioni, tensioni
L’editoriale
politica, movimenti e critica sociale
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uasi mensilmente oramai, a San Marino spuntano -complici anche i social network, che permettono l’attivismo spesso senza volto- movimenti di critica radicale al governo del paese. Non questo governo specifico, ma il modo in cui il paese è stato governato negli ultimi lunghi e fallimentari decenni. Siamo ormai abituati, come credo lo siano i governanti contro cui questi movimenti spuntano ininterrottamente, alla nascita e la morte, spesso dopo poche settimane, a volte dopo mesi, in rari casi dopo anni, di movimenti tutti più o meno della stessa pasta.
e soddisfazioni. AltreMenti è fatto di “grazie” che non si dovrebbero mai finire di pronunciare alle persone che ci hanno aiutato, che continuano a farlo non per ricevere soldi in cambio, ma perché usciti dalla logica del denaro e quindi del fare qualcosa al di fuori del ritorno economico… perché sono queste le persone che potranno sperare di crearsi in futuro una vita che non sia di frustrazioni per quello che non si può più possedere, per quello che non si più comprare, e che alcuni ci hanno fatto credere come indispensabile alla nostra felicità. Ebbene, noi non abbiamo avuto un ufficio stampa. Ma abbiamo avuto ragazzi che si sono spesi per divulgare manifesti, volantini e comunicazioni. Ebbene, noi non abbiamo né ci autodefiniamo direttori artistici di alcunché, ma ogni settimana da mesi a questa parte abbiamo avuto la preziosa occasione di confrontarci con persone illuminate e intelligenti, che nella maggior parte dei casi non si sono limitati nella loro vita a riempirsi la bocca di belle parole, ma hanno agito per tramutare quello che dicono in fatti.
Per lo più anonimi (a volte per paura di esporsi, a volte per una zoppicante interpretazione del concetto di democrazia), quasi sempre poco incisivi (per lo più qualche serata, qualche riunione, due proclami, qualche mail), generalmente distaccati dalla politica. Complessivamente, alcuni con maggior merito altri con minore, tali movimenti presentano quindi il quadro clinico dell’incertezza di sé: c’è un disagio certamente diffuso soprattutto tra i giovani, ma non solo, e l’incapacità di dargli un nome, o di individuare una strada da percorrere per ambire a sopprimerlo, finendo in tal modo per diventare solamente delle libere associazioni di cittadini che non fanno paura a nessuno, e anzi danno al governo di questo paese la stura per definirsi pluralista, lasciando esprimere liberamente chiunque. Comprendo benissimo il timore che induce all’anonimato: poche settimane fa mi è stata recapitata una lettera anonima. Ho subito pensato a minacce (holliwood colpisce la fantasia di tutti) e invece si trattava di un
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E così è stato AltreMenti: la concretizzazione nei fatti della nostra associazione, la Don Chisciotte, che è stata capace di uscire dai concetti autoreferenziali e stanziali, come spesso purtroppo avviene in questi casi. Molte realtà associative non riescono a diffondersi perché sono una sorta di “circolo chiuso” che non dà spazio a voci esterne, ad altre realtà anche territoriali. Noi quest’anno ci siamo allargati al territorio riminese, ci stiamo facendo conoscere da media nuovi, persone nuove, associazioni nuove… politici nuovi! L’assessore alla cultura Massimo Pulini è la dimostrazione che la politica può e deve essere un servizio al cittadino e che tra i suoi compiti ve n’è uno importantissimo che deve essere sostenuto: la crescita culturale di un territorio. San Marino si sta perdendo, come tante altre, anche questa occasione. Non importa. Non importa nel senso che, come un animale emigra verso terre meno aride, così noi emigriamo verso lidi più vivi, più attivi e capaci di dialogo. Se poi San Marino diventerà, in senso lato, una terra arida e priva di vita, non saremo
lettore di questo giornale che mi confidava un illecito di cui è venuto a conoscenza. Non ho ancora trovato il tempo per verificare quanto da lui scritto, ma lo farò e anzi lo ringrazio per aver scelto il Don Chisciotte come mezzo informativo di cui fidarsi per simili questioni.Il problema non è tanto l’anonimato di un movimento in sé. ma la chiarezza dei suoi obiettivi. A mio avviso non si può criticare la politica senza farci i conti, non si può credere di cambiare le dinamiche del paese facendo testimonianza o muovendo poche decine di persone. La strada per cambiare qualche cosa, da noi, e potersi finalmente presentare a testa alta fuori dai nostri angusti confini, non può che prevedere l’azione di gente motivata, preparata, volenterosa sì, ma anche pronta a metterci faccia e nome, e combattere il nemico sul suo stesso campo: quello della politica, perché è pur sempre lì che la partita si gioca, e voler forzosamente “stare lontano dalla politica” pur sentendo il bisogno di impegnarsi per cambiare qualche cosa significa non aver chiaro in testa che
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certo noi a poterla cambiare aspettando la pioggia dall’alto, senza fare niente. Il nostro Festival continuerà in ogni caso il suo percorso, dove ci sarà terreno fertile per farlo. AltreMenti non ha la presunzione, e secondo me non deve averla, di cambiare alcunché. Saranno le persone che stanno cambiando che si avvicinano ad AltreMenti, in quanto progetto capace di dare forza e guardare oltre il dopodomani, perché ti permette di esprimere te stesso, di proporre qualcosa, di sbattere in faccia di tanti qualcosa di concreto. Alcuni dipingono, altri suonano, noi mettiamo insieme delle idee, e le facciamo esprimere in un determinato spazio/ tempo, e le facciamo collidere con altre. Cosa succede poi, dalla diffusione di nuove idee, nessuno può saperlo. Noi mettiamo a disposizione qualcosa, un po’ come un libro. Siamo in grado di mettere in discussione in vecchio motto latino “verba volant, scripta manent”. Noi possiamo dire che “verba manent”, attraverso più canali: i video degli ospiti di AltreMenti a breve a disposizione di tutti su www.altrementifestival.
org, e da quest’anno un vero e proprio libro, dal titolo “Una rivoluzione dall’alto. A partire dalla crisi globale” (vedi box). Infine, forse l’aspetto più importante, il passaparola e l’entusiasmo delle persone che, venute al Festival, si portano poi dietro riflessioni e idee da tramutare in progetti e attività. È in atto una crisi in termini as-
cosa significhi “darsi da fare”. Darsi da fare per promuovere un cambiamento sociale è un sinonimo del termine “politica”. Strano credere di fare il primo senza volersi sporcare col secondo. Sbagliato credere che a fare politica si diventa necessariamente come chi la politica l’ha fatta nell’ultimo terzo di anno: quelli già erano così prima! Serve un movimento politico, che scenda nell’agone costringendo questa classe dirigente a confrontarsi, che non scenda a compromessi con nessuna forza politica, che tracci una netta cesura col passato, che presenti un programma alternativo, chiaro e realizzabile a breve termine per favorire una riconversione sistemica nel lungo termine. Nascerà, ne sono certo, ma occhio ai nuovi predi-
catori: tra quelli che si sperticano oggi descrivendo se stessi come rappresentanti del nuovo, ci sono alcuni dei peggiori nomi del paese. Gente inquisita, parenti e tenutari dei politici attuali, furbetti opportunisti con in testa solo il potere. Occhio, quindi, perché alle prossime elezioni, se ci sarà un’alternativa fuori dagli schieramenti, non si potrà più votare né i nomi né le facce, ma solo i programmi e la credibilità di chi li propone. Se non ci sarà un contenitore in cui far convergere il malcontento e la voglia di cambiamento espressa dal paese in questi anni, a nulla servirebbe riversare periodicamente in piazza sempre le solite 50-60 facce ormai note, cioè le uniche che, a San Marino, non hanno paura a metterci la faccia. R.C.
soluti e relativi senza precedenti. Alcuni dei paradigmi in vigore da centinaia di anni sono considerati obsoleti e giunti al punto di non ritorno. Siamo all’alba di una rivoluzione comunicativa al pari di quella di Gutenberg, siamo alle soglie della scoperta di nuove realtà, forse altri pianeti. I governi e i poteri sovranazionali stanno per la prima volta nella Storia
superando o raggiungendo le più fervide storie fantascientifiche orwelliane. Cosa ci aspetta? Dove stiamo andando? Come affrontiamo il cambiamento? Qual è la nostra identità? La filosofia cerca di rispondere da sempre a queste domande, noi solo da tre anni… ma vogliamo continuare a cercare risposte.
AltreMenti diventa un libro A due anni dalla prima edizione di AltreMenti festival, è uscito il libro Una rivoluzione dall’alto. A partire dalla crisi globale. Il testo, curato dal Prof. Alessandro Simoncini ed edito da Mimesis, è stato ideato a partire da quattro interventi del primo AltreMenti: quelli di Roberto Esposito (“La crisi immunitaria della società globale”), Sandro Mezzadra (“Nella crisi del lessico politico moderno”), Anselm Jappe (“Crisi finanziaria, crisi economica o crisi del capitalismo?”) e Alex Foti (“La
grande recessione, la grande biforcazione”). A partire da queste riflessioni, che danno l’avvio alle due parti in cui è suddiviso il libro (“Sul concetto di crisi” e “Una crisi del capitalismo”), sono state aggiunte un’introduzione del curatore Alessandro Simoncini (“Rivoluzione dall’alto. Crisi, neoliberismo, governo”) e interventi di Massimiliano Tomba, Franco Berardi Bifo, Riccardo Bellofiore, Aldo Pardi, Damiano Palano e una postfazione di Gianluca Bonaiuti. I video degli interventi dei
quattro ospiti del 2010, che hanno dato avvio al libro, è reperibile sul sito Don Chisciotte. Chi volesse acquistare una copia del libro ci invii un’email a info@associazionedonchisciotte.org. Il libro si può acquistare anche presso la Libreria Ciquadro di San Marino, Libreria Riminese di Rimini, e a breve sul sito internet www. altrementifestival.org. Un grande ringraziamento a Alessandro Simoncini, che con questo libro ricompensa il nostro sforzo organizzativo.
L’AFORISMA DEL MESE Teniamo a mente il modo in cui crollano i regimi politici, ad esempio il crollo dei regimi comunisti in Europa orientale nel 1990: a un certo punto, la gente si è resa improvvisamente conto che era finita, che i comunisti avevano perso. La frattura è stata puramente simbolica, nulla era cambiato “in realtà”, eppure da qual momento in poi il crollo totale del regime era questione di giorni. E se l’11 settembre fosse accaduto qualcosa di simile? Forse la vittima finale dell’attacco alle torri gemelle sarà una certa rappresentazione del Grande Altro, la Sfera americana. Slavoj Žižek, “Benvenuti nel deserto del reale”
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Società
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una crisi globale? di Riccardo Balestrieri
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gni giorno i media ci ripetono che la situazione è grave: dobbiamo condividere sacrifici, ridurre il peso dello stato sociale, diminuire il costo del lavoro, avviare grandi opere, migliorare la burocrazia, ridurre l’evasione fiscale, agevolare il credito alle imprese e attuare nuove idee imprenditoriali. Ricette non nuove, ma da applicare in modo incisivo... e torneremo, così, a crescere! Ma è tutto così “semplice” ? Riesaminiamo la dinamica degli eventi… La crisi in atto è dovuta a un eccesso di capacità produttive a livello globale e al trasferimento di produzioni dai paesi già industrializzati a quelli che hanno via via attuato la modernizzazione dei loro sistemi produttivi. Alcuni di questi paesi possono contare su grandi riserve di
materie prime (Brasile, Russia, Sudafrica, ecc.) e/o di risorse umane qualificate (Cina, India, Corea del Sud, ecc.). La progressiva scomparsa di posti di lavoro e la competizione al ribasso con i paesi emergenti stanno causando il graduale impoverimento dei ceti medio-bassi nei paesi di più antica industrializzazione. Una parte cospicua della popolazione occidentale ha cercato di mantenere, per quanto possibile, il tenore di vita precedente, ricorrendo ai risparmi accumulati o all’indebitamento. Ciò è iniziato nei paesi dove è capillare l’uso di più carte di credito (USA) e dove il passaggio dal manifatturiero al terziario è stato più veloce (Inghilterra). La finanza statunitense e internazionale ha gestito i debiti crescenti in modo speculativo. Quando si è sgonfiata l’ennesima bolla finanziaria, la crisi ha investito tutto il mondo.
L’Unione Europea ha cercato di gestire la crisi produttiva inglobando i paesi dell’ex patto di Varsavia, per allargare il mercato, sfruttare una grande riserva di manodopera qualificata a basso costo, riallocare impianti. Ciò non ha avvicinato le economie dei paesi fondatori (Germania, Francia, Italia, ecc.), né ha reso adeguatamente competitiva l’Europa nei confronti dei paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). In parallelo, è cresciuta la competizione di Africa, Medio Oriente e Sudamerica sui prodotti agricoli, pur con l’acquisizione da parte della Cina di vaste aree africane, sfruttabili per il proprio fabbisogno alimentare. L’Europa, pur avendo già smantellato una parte del suo sistema produttivo, deve di nuovo gestire
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una sovracapacità, senza avere più le risorse con cui ha ammortizzato le crisi precedenti (es. siderurgia). Le diverse condizioni del sistema produttivo premiano la Germania, che può indebitarsi ad un costo minore sul mercato finanziario internazionale, e penalizzano i paesi più arretrati e/o con maggiore debito pubblico (Grecia, Portogallo, Spagna, Italia, ecc.). Le economie europee sono comunque così interconnesse, che una rapida involuzione di tali paesi metterebbe in ginocchio anche le nazioni europee più virtuose. È quindi in atto un’azione di tamponamento della crisi finanziaria interna, tesa più a rendere graduale e meno pericoloso il collasso di singole regioni, che a risolvere problemi strutturali di cui l’Unione Europea non può farsi carico. La Germania e i paesi nordici investono su personale qualificato (attirato da paesi già in crisi) e produzioni ad alto valore aggiunto, ma la crisi coinvolgerà progressivamente anche queste regioni, dato che non potranno competere, nel lungo periodo, con lo sviluppo di nazioni emergenti con risorse potenziali assai superiori. La crisi coinvolge i paesi emergenti più per i loro crediti nei confronti dei paesi occidentali, che per la riduzione del mercato globale, dato che possono ancora sviluppare il mercato interno. Tale sviluppo, peraltro, richiede tempi abbastanza lunghi, da cui l’interesse a sostenere, nel frattempo, le economie occidentali. I principali detentori di capitali hanno un passato ex-coloniale che può condizionare le scelte politiche; ad esempio, la Cina ha ricordi vividi persino di storie pressoché dimenticate in Europa, come la guerra dell’oppio (vedi il riquadro a
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lato) e la rivolta dei boxer. Gli USA sono l’anello più debole del mondo occidentale, a causa del debito individuale, del debito pubblico, di un mediocre sistema scolastico, di una inadeguata redistribuzione della ricchezza e, soprattutto, di un arsenale militare che deve essere mantenuto e periodicamente rinnovato. Tale arsenale ha, però, costi ormai insostenibili sia in pace che in stato di guerra, per cui gli USA coinvolgono e cercheranno di coinvolgere sempre di più le altre nazioni occidentali nel rinnovo degli armamenti e in conflitti locali (Iran? Siria?). Tali spese accelereranno la crisi attuale, che è comunque già risultata così rapida e prolungata da stupire anche gli economisti, che pur in qualche modo l’avevano prevista. Secondo il vocabolario Treccani, la crisi è una fase del ciclo economico, conseguente al “verificarsi di una situazione di sovrapproduzione generalizzata, le cui caratteristiche fondamentali sono il passaggio rapido dalla prosperità alla depressione, il calo della produzione, una diffusa disoccupazione, prezzi tendenzialmente decrescenti, bassi salarî e una contrazione dei profitti”. Un fenomeno ciclico, connaturato al capitalismo. Questa, però, non è una crisi in senso classico: è una vasta redistribuzione della ricchezza su scala globale, che si stabilizzerà solo nel lungo termine. Sempre che l’aumento della popolazione mondiale e l’impatto dei cambiamenti climatici non ne alterino lo sviluppo. Le conseguenze su Europa, Italia e San Marino comporteranno inevitabilmente una diminuzione della ricchezza e dello stato sociale.
IL FORZIERE VIOLATO di Carlo M. Cipolla * […] I direttori della Compagnia inglese [British East India Company] non dormivano più la notte preoccupati come erano del grave deficit della bilancia commerciale inglese con la Cina. E più lo sbilancio cresceva, più cresceva ovviamente la preoccupazione dei direttori, i quali trovarono finalmente la soluzione all’annoso problema verso la metà del secolo XVIII. La trovarono con l’oppio. I primi ad introdurre questa droga in Cina furono i portoghesi, che ne facevano mercato in Macao. Ma si trattava di ben poca cosa. Il colonnello Watson pensò invece in grande e, per saldare il deficit, suggerì alla Compagnia di far uso estensivo dell’oppio che l’Inghilterra poteva trarre dall’India. Il piano del diabolico colonnello funzionò a meraviglia. […] Fin verso la metà del secolo XVIII le esportazioni di oppio dal Bengala alla Cina ammontarono ancora a poca cosa, ma a partire dal 1776 la quantità di oppio esportata dagli inglesi in Cina crebbe di colpo e continuò a crescere rapidamente negli anni successivi. Soprattutto negli anni 1830-1840 il commercio dell’oppio indiano crebbe in misura eccezionale, tanto più che proprio in quegli stessi anni, attratti dai grossi guadagni che l’illecito commercio offriva, ci si misero anche gli americani che con una mano portavano la Bibbia e con l’altra la droga… Le conseguenze economiche di questi fatti sono facili ad immaginarsi. Il tradizionale surplus della bilancia commerciale cinese cominciò a diminuire fino a trasformarsi in un pauroso deficit. Nel 1817 il censore Chang Huan fu il primo a mettere in evidenza la stretta connessione tra le importazioni di oppio e il deterioramento della bilancia commerciale cinese. Huang Chueh-tzu, direttore della corte del cerimoniale di stato, stimava che la popolazione cinese avesse speso in media per anno nel consumo di oppio: oltre 17 milioni di taels tra il 1823 ed il 1831; oltre 20 milioni di taels tra il 1831 ed il 1834; oltre 30 milioni di taels tra il 1834 ed il 1838 (1 tael = 11/3 once) [assumendo 1 tael = 37,429 grammi, in 15 anni la Cina ha perso 2500 tonnellate di argento]. L’argento uscì in massa dalla Cina ritornando in Occidente. Un funzionario cinese in un suo memoriale scriveva in quegli anni che: «Il Celeste Impero permette la vendita di thè e di rabarbaro che servono a tenere in vita i popoli di quelle nazioni che sono tanto numerosi da contarsene 10.000 volte 10.000, e tuttavia questi stranieri non dimostrano alcuna gratitudine, ma contrabbandano, invece, l’oppio che avvelena il paese; quando il cuore riflette su questa condotta ne è disturbato e quando la ragione la considera, la trova irrazionale». Il governo cinese, doppiamente preoccupato per le conseguenze di tali avvenimenti sia sulle condizioni sanitarie della popolazione sia sulla disponibilità di argento, tentò di correre ai ripari ma la sua debolezza di fronte alla potenza inglese ne vanificò gli sforzi. E si arrivò così nel 1839 alla famosa guerra dell’oppio in cui la Cina fu sconfitta ed umiliata ed i rapporti tra Oriente e Occidente inveleniti per sempre. * Da Conquistadores, pirati, mercatanti. La saga dell’argento spagnuolo (Bologna, il Mulino, 1996), pp. 75-76.
Carlo M. Cipolla (1922-2000) è stato uno storico economico di levatura eccezionale. I larghi interessi e la profonda cultura sono testimoniati da saggi fondamentali scritti in uno stile piano e stimolante, editi in Italia da il Mulino.
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Es... cogitando
numero 52, aprile 2012
nemo propheta in patria E se l’ostruzionismo delle istituzioni sammarinesi indicasse punti di forza? di Roberto Ciavatta
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oniamo che ami il paese in cui vivi, perché ci sei nato, perché è uno strano paese di pochi chilometri quadrati o per altri motivi “sentimentali”, e poniamo che vorresti fosse il paese più vivibile al mondo. Poniamo però che, frequentandola da dentro, ti trovi di fronte ad un’elite dirigenziale (politica, economica, sindacale) che consideri inadeguata, spesso incapace e a volte corrotta. Cosa dovresti fare? Se vuoi il bene del paese, dovresti cercare di sostituire quell’elite senza mezze vie. Cancellarla. Devi viaggiare, come avrebbe detto l’anarchico De André, “in direzione ostinata e contraria”. Poniamo che ci provi: ti trovi di fronte ad un fuoco incrociato! Volendo il bene del tuo paese ti impegni in crociate critiche verso lo status quo, ma siccome quello status quo dà da mangiare lautamente a tutti gli uomini più “potenti” del paese, vieni crocifisso come il nemico pubblico numero uno. E con tutto questo fuoco incrociato, che più riesci ad incidere e scalfire un potere parassitario per il paese, che arricchisce e galleggia solo a patto di far affondare il resto della popolazione, più vieni additato come un pazzo, un esaltato, un presenzialista, un nemico... finisci per credere davvero che forse sei tu a sbagliare, forse alla popolazione va bene così, forse non c’è nulla da fare. Già, perché dovunque ti volgi vorresti cambiare tutto.
La Pubblica Amministrazione, dove per ottenere ruoli dirigenziali devi essere la peggio gente, priva di qualità e capacità ma prona e servile verso i mandanti: galoppinaggio di voti in cambio di prebende e fancazzismo! La giustizia, in un paese in cui se denunci il voto di scambio con tanto di video comprovante il reato, finisci in un cassetto e mai ne uscirai; dove le indagini sulle infiltrazioni mafiose le attendiamo come aria fresca dai tribunali del circondario. La politica, dove gli stessi uomini e donne fanno il bello e il cattivo tempo da 30 anni, col risultato tangibile e reale di essere tutti arricchiti smisuratamente mentre il paese va a rotoli per l’assenza più totale di idee, nel conservatorismo intellettuale più degradante. Il sindacato, costola della politica, in cui i ruoli dirigenziale vengono dettati dalla politica stessa, incapace di leggere le dinamiche del mondo del lavoro oggi su domani! Insomma, pensi, sarò io a vedere tutto nero. Ma poi, sporadicamente arrivano conferme, e puoi ancora credere che invece sei così critico perché tutto è marcio, dalla testa ai piedi. Del resto ogni movimento veramente innovativo si è scontrato, dapprincipio, contro le censure e le stoccate dei potenti volta per volta spodestati. Gli eroi risorgimentali tanto decantati, da Mazzini a Garibaldi,,
se avessero perduto le loro battaglie oggi li studieremmo come pericolosi terroristi attentatori. E che ne sarebbe degli eroi dell’Arengo sammarinese se nel 1906 di fronte alla Pieve ci fossero state poche decine di persone? Gino Giacomini e Pietro Franciosi sarebbero passati alla storia come pericolosi visionari, altroché! Del resto lo diceva già il Cristo (o chi per lui): nemo propheta in patria, nessuno è profeta nella sua patria. Almeno finché non riesce a far vincere le sue idee spodestando il vecchiume che degrada le coscienze. Quando arrivano queste conferme, ti pare che il “farti nemici” per non startene zitto ad ingoiare il marciume che ti circonda, abbia un senso. Così da fuori confine, dove l’osservazione dei fatti è più distaccata, le conferme arrivano. L’associazione che hai fondato e dirigi, considerata “nemica del paese” per via della franchezza -che non fa sconti a nessuno- con cui il suo giornale si esprime, da Segretari di Stato imbellettati, da fuori viene considerata un punto di forza del panorama culturale sammarinese. Un sindacato antidemocratico che arriva ad espellere dal suo interno un’intera corrente di dirigenti per il solo fatto di aver messo in discussione i loro ruoli, si ravvede e capisce che il referendum per la scala mobile indetto da quegli stessi dirigenti cacciati, e malamente osteggiato a fianco degli imprenditori 4 anni prima, ha un suo senso in tempi in cui la contrattazione non è altro che un compromesso al ribasso. La politica, imprigionata nel suo autismo intellettuale (abituata com’è a far fronzoli attorno ai soliti due-tre principi smussati) si trova di fronte ad un’opinione pubblica stanca, straziata, sull’orlo di un nuovo Arengo. Il tribunale, che per anni non ha mosso un dito per sopprimere le infiltrazioni malavitose a San
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Marino, si trova ora costretto a darsi una mossa per via delle continue indagini che da fuori confine lo coinvolgono. E allora capisci che non è poi così strano se il festival culturale che organizzi, AltreMenti festival, a San Marino viene ostacolato anziché sostenuto. Capisci come mai a distanza di quasi otto mesi non sei neppure riuscito a farti dire, nonostante i continui richiami, se e in che modo la Segreteria di Stato per l’Istruzione sosterrà economicamente un festival che si è già tenuto, con enorme successo a Rimini (dove un’amministrazione avveduta ha ben compreso le sue potenzialità), con buoni numeri a San Marino. Capisci che proprio questo boicottaggio operato da istituzioni degradate e corrotte (e non credo solo moralmente) conferma la bontà e l’importanza di ciò che stai facendo. Capisci che per cambiare qualcosa in questo paesino ostaggio di cordate partitiche e personali, forse devi necessariamente fare pressione da fuori, dove i danni e l’incompetenza delle elite nostrane è ben compresa. Capisci che è un bene aver ricevuto sassaiole per essere stato tra i primi a scoperchiare, pubblicamente in TV, le magagne nascoste e segrete di una dirigenza politico-economica che non è riuscita a partorire altre idee, per sopravvivere, che quella di vivere border-line, tra furto, rapina, illeciti ed evasione, che poi sono scoppiate puntualmente in ogni processo per mafia che conduce dritto dritto da noi. Ci vorrà ancora tempo, forse molto tempo. Forse è già tardi. Ma il declino naturale di questa classe dirigente si sente già a naso. Periodicamente la testa del re deve finire per rotolare sul selciato! Spero solo che assieme a quella testa non rotoli nel cesso anche il paese che hanno privato di ogni potenziale via di rinascita.
Appunti di psicologia
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René Magritte - Il falso specchio 1928
sogni
Possibili spiegazioni sul mistero dell’attività onirica di Davide Tagliasacchi
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ognare è la principale azione cerebrale svolta durante il sonno, sovente associata a quella fase definita del sonno REM (rapid eye movement) o sonno desincronizzato, nella quale si riscontrano onde cerebrali molto simili allo stato di veglia. In verità si può affermare che il sonno REM è una condizione sufficiente ma non necessaria affinché i sogni si verifichino, poiché è possibile riscontrarne durante tutte le fasi del sonno; la sostanziale differenza riguarda innanzitutto la vividezza che contraddistingue l’attività onirica nella REM, inoltre i sogni si ricordano più facilmente perché solitamente questa è la fase che precede il risveglio. Ma cos’è nello specifico un sogno? Tralasciando gli aspetti prettamente fisiologici sulla sua origine e la funzione cerebrale, tecnicamente può essere definito come un pensiero nel sonno, dotato di specifiche caratteristiche come una struttura narrativa, il carattere percettivo, la perdita dell’esame di realtà (anche se in rari casi è possibile da parte del dormiente “svegliarsi nel sogno” e provare l’insolita esperienza del cosiddetto “sogno lucido”) e la partecipazione personale, con il conseguente investimento emotivo del
Sognare è per il soggetto che sogna la maniera più radicale di fare l’esperienza del proprio mondo e se questa maniera è a tal punto radicale, è perché l’esistenza vi si annuncia come il mondo stesso Michel Foucault tutto soggettivo. È importante sottolineare come nel corso dei secoli l’essere umano abbia cercato di dare una spiegazione alle immagini che gli comparivano durante il sonno, così bizzarre e criptiche nel loro manifestarsi. Uno dei padri moderni di codesta attività fu sicuramente Sigmund Freud, il quale espose la sua teoria nel famoso trattato “L’interpretazione dei sogni” del 1899. In esso, il sogno appare come determinato da una forza, un desiderio che tende a realizzarsi allucinatoriamente. Esisterebbero quattro categorie di desideri per i quali i sogni darebbero appagamento: - desideri sorti durante la veglia che non sono stati appagati e che sono rimasti nel preconscio; - desideri sorti recentemente durante la veglia, ma che hanno subito l’azione di rimozione, per cui sono stati respinti nell’inconscio; - desideri di formazione remota che appartengono all’inconscio e non sono in grado di oltrepassarlo (gli elementi permanenti dell’inconscio); - desideri sorti durante la notte sotto lo stimolo di bisogni del corpo. Freud paragona il sogno ad un’impresa eco-
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nomica, la quale è organizzata da un’imprenditore e finanziata da un capitalista. Come l’impresa è opera dell’imprenditore, così il sogno è il prodotto dei molteplici elementi psichici residui della vita diurna. Ma l’imprenditore non può organizzare l’impresa se non interviene il capitalista a fornirgli i mezzi economici necessari; e così i residui diurni sono per sé stessi incapaci di promuovere il sogno se non interviene la spinta di un desiderio inconscio di origine remota. Al processo di formazione del sogno partecipano due fattori: da un lato gli elementi che tendono a rivelarsi, ad appagarsi, dall’altro un’attività preconscia, la censura, che limita la possibilità di espressione di questi. Il sogno sarebbe quindi il risultato di un compromesso fra queste due forze opposte (come il sintomo nevrotico è il risultato di un compromesso tra le esigenze dell’impulso rimosso e la resistenza opposta dalla censura dell’Io). Successivamente a Freud, altri autori intrapresero l’ardito compito di dare una spiegazione all’attività onirica. Melanie Klein ebbe il merito di aver ricondotto le funzioni del sogno ad una rappresentazione delle tappe evolutive cui va incontro la mente nel corso dello sviluppo, così come possono essere colte nel transfert. Gli oggetti interni diventato i protagonisti assoluti di questo teatro, centrato sul mondo interno e sulle figure genitoriali che in esso sono depositate: “dei e diavoli del nostro universo mentale”. Secondo Wilfred Bion il sogno è una “combinazione in forma narrativa di pensieri onirici, i quali derivano a loro volta da combinazioni di elementi alfa” (i derivati sensoriali ed emozionali trasformati dalla mente) che, ordinandosi tra loro in un continuo processo di formazione, costituiscono una specie di membrana (schermo alfa), detta barriera di contatto, che segna il punto di incontro fra gli elementi consci e inconsci. È il funzionamento di questa barriera che renderà possibile a una persona in stato di veglia, mantenere la consapevolezza di una certa situazione reale e al contempo elaborare come fantasia inconscia un’esperienza emotiva altrimenti disturbante; a sua volta, nella situazione di sonno la stessa esperienza potrà essere convertita in elementi alfa e manifestarsi come pensiero onirico senza interferire col sonno. Dal punto di vista esistenziale, Detlev von Uslar definì il sogno come una particolare manifestazione dell’essere-uomo, come esserci, come umana presenza e il sognare nient’altro che un particolare “modo di essere nel mondo”. Il compito di Uslar era quello di voler rilevare le basi ontologiche del sogno, del sognato e del sognare.
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L’Ippogrifo
numero 52, aprile 2012
il pianeta dei naufraghi Saggio sul doposviluppo ‘nuovi barbari’ scuoteranno le fondamenta stesse dell’impero con una creatività che rivela una nuova società. Sono i Inuovi soggetti della storia che stanno per emergere, ac-
canto agli altri che, alla base della società, si organizzano e lottano per un ordine sociale diverso”. Leonardo Boff di Angelica Bezziccari
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uel che è eccessivo è insignificante. Questo è il primo concetto che emerge dal saggio dell’economista e filosofo Serge Latouche (ospite il 18 marzo ad AltreMenti Festival) preceduto dalle sagge parole del capo lakota Russell Means, pronunciate nel 1980: “è solo questione di tempo prima che sopraggiunga quella che gli occidentali chiamano ‘una catastrofe media di proporzioni mondiali’. Sarà compito dei popoli amerindi, di tutti i ‘nativi’, sopravvivere.”
Sono passati più di 30 anni da allora e nessuna catastrofe sembra passata. O forse sì? Dipende dal punto di vista dell’osservatore: come si vogliono vedere l’incipiente disboscamento, il continuo inquinamento dei mari, lo scioglimento dei ghiacci perenni? Ma torniamo a Latouche. Tema centrale del libro scritto nel 1991, quando la parola “decrescita” era ai più sconosciuta - è il possibile futuro del mondo dopo l’Occidente, cioè una volta scomparsa questa civiltà -
così come noi la conosciamo - ovvero il doposviluppo, attraverso analisi di stampo economico e sociologico. Latouche parte da osservazioni riguardanti l’etnocidio che in particolare la tecnica ha causato, provocando un appiattimento delle culture verso un unico modello uniformato, verso il mito del “mondo dei vincitori”, il mito dello sviluppo. Come ben si sa, i miti non sono che fantastiche invenzioni dell’uomo, e spesso finiscono con una sorta di punizione per chi non si
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è attenuto a determinate regole. Ecco quindi avvicinarsi una società naufraga, che si trova a fare i conti con il prezzo dell’opulenza, delle favole raccontate dalla pubblicità e dall’economia. In contrapposizione alla cosiddetta “società del benessere” può venire in mente il “terzo mondo”, sfruttato ed emarginato, ma Latouche sfata anche questo mito. Non c’è più il Terzo mondo, ma ci sono dei “quarti mondi”. Questo termine è utilizzato per indicare tre insiemi distinti di esclusi : i marginali dei paesi ricchi, le minoranze autoctone, i paesi meno avanzati. In questo caso, l’aiuto economico verso questi “mondi”, non è altro che un differente business messo in atto dalla società dei naufraghi. Le stesse aziende sponsorizzano le organizzazioni assistenziali facendone un argomento pubblicitario: “scegliete il mio dentifricio e io aiuterò l’UNICEF”. Nella vera sostanza nulla è cambiato. Persino un ex ministro degli affari esteri della Francia dichiara: “vige un nuovo ordine. Per natura esso marginalizza i deboli, gli handicappati, i disarmati. Sono esclusi un numero crescente di paesi del Terzo Mondo, come pure del resto un Quarto Mondo in piena espansione nelle nostre stesse società”. In estrema sintesi, la società moderna si è sviluppata mediante l’autonomizzazione dell’economia dal resto del sociale, e i circuiti e le logiche che che permettono agli esclusi di sopravvivere corrispondono proprio a un reinserimento dell’economico nel sociale. In quale modo? Serge
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Latouche in questo libro prova a tracciare delle ipotesi, pur affermando che non ha la pretesa di rispondere alla domanda che ci facciamo tutti, ovvero “avverrà o no il naufragio?”. Nel caso avvenisse, avremmo qualche strumento in più per cavarcela, avendo già iniziato a cambiare prospettiva e visione del futuro, attraverso un cambiamento totale del paradigma economico, sociale e della nostra vita, che dovrà basarsi sul “saper fare” e sul “dare” piuttosto che sull’ “avere” e sul “prendere”. “Chiedo scusa – disse Yuan Hien –, mancare di beni è essere povero; ma essere miserabile è non poter mettere in pratica il proprio sapere. Io sono povero, ma non miserabile.” (Chuang-Tse)
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Una storiella sul Debito Sono tempi duri, il paese è indebitato, tutti vivono a credito... Ad un certo punto, arriva un turista tedesco. Ferma la macchina davanti all’unico albergo ed entra. Posa 100 euro sul bancone della reception e chiede di vedere le camere per sceglierne una. Il proprietario gli dice di scegliere quella che più gli aggrada. Appena il turista è sparito su per le scale, l’albergatore prende i 100 euro, corre dal macellaio e paga il debito che aveva con lui. Il macellaio va immediatamente presso l’allevatore di maiali al quale deve 100 euro e regola il suo debito. L’allevatore, a sua volta, corre a pagare la sua fattura presso la cooperativa agricola che gli procura gli alimenti per gli animali. Il direttore della cooperativa si precipita al pub per saldare il suo conto. Il
barman, dà il biglietto alla prostituta che gli fornisce i suoi servizi a credito da un bel po’. La ragazza, che usa a credito le camere dell’albergo con i suoi clienti, corre a regolare i conti con l’albergatore. L’albergatore posa il biglietto sul bancone della reception dove il turista lo aveva posato. Dopo un po’, il turista scende le scale e annuncia che non ha trovato una camera di suo gusto, per cui riprende il suo biglietto da 100 euro e se ne va... Nessuno ha prodotto nulla, nessuno ha guadagnato nulla, ma nessuno più è in debito e il futuro sembra molto più promettente... È in questo modo, Signore e Signori, che funzionano i piani di salvataggio a beneficio dei Paesi dell’Europa in difficoltà!
(fonte:beppegrillo.it)
Gruppi d’Acquisto Solidale sensazioni NOTTURNE Un lunedì notte, in preda all’insonnia, sono uscito di casa verso le 4.00 per andare a comperare le sigarette. Mi sono vestito, ho acceso l’auto e sono andato. L’ambiente era surreale: le strade erano vuote, illuminate a giorno ma vuote, e il silenzio assordante. Ho girovagato in auto per mezz’ora circa, rilassato, e mi è tornata in mente la canzone di Gaber in cui, l’ungo l’autostrada all’alba, si vergogna di essere sereno. Io non ero sereno ma triste: triste per ciò che vedevo intorno. San Marino è un dormitorio, dopo il coprifuoco tutti a nanna, e rimane il dissesto estetico ed ambientale di palazzi, palazzine, banche, costruzioni e simboli di un’opulenza oramai andata ed anonima, priva di senso. San Marino, direbbe il nostro Augé, è il simbolo del non luogo, e come stupirsi che la sua popolazione sia smarrita e priva di ideali? Cattedrali nel deserto, un po’ come in quei film catastrofisti sulla fine del mondo (“The road”, ad es.). Consiglio a tutti di mettere la sveglia, un lunedì notte verso le 4, per scoprire lo scheletro di un paese in cui ogni costruzione è privata di ogni senso e di ogni utilità, nel momento in cui nessuno può fruirne. Credo sia il nonsenso dello sviluppo ad ogni costo, quello che ci ha condotto qui, a dispiacerci della devastazione territoriale realizzata in trent’anni a beneficio di un futuro che nessuno di noi può più intravvedere. R.C.
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terrore quotidiano Chi sono e cosa vogliono i mass murderer? Come interpretare i loro atti? di Roberto Ciavatta
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azzi scatenati o fondamentalisti, uno cristiano, l’altro musulmano. Pare che l’opinione pubblica non abbia dubbi circa gli omicidi casuali di massa che da qualche anno riempiono le pagine di cronaca. Eppure qualcosa non torna. Definire a priori un’omicida di massa pazzo o fondamentalista, allontanare il male da sé, in un terreno unicamente ideologico (devianze del singolo) o religioso (fondamentalismo). Ci si sforza platealmente, insomma, di rimuovere male e violenza dalla società prendendo idealmente le distanze da chi li compie: definire il “deviante” un “diverso”, evocarne la reclusione in carcere a vita, equivale a negare la sua consustanzialità con noi, relegando un male strabordante lontano dai noi. Fuori dalla società, lontano da noi... noi che non potremmo mai! In tal modo le gesta di Anders B. Breivik in Norvegia (77 vittime in poche ore), quelle di Mohammed Meerà a Tolosa (7 vittime in pochi giorni), quelle del sergente USA Robert Bales, che ha sterminato 16 civili in una manciata di minuti in Afghanistan (anche se con meno clamore, forse perché avendo ucciso gente già a sua volta “diversa da noi”...) o quelle di altri ragazzi armati fino al collo che sterminano a caso vittime innocenti vengono definite “effetti collaterali” di una società per il resto sicura e benestante. Negare contaminazione o punti di contatto con chi compie simili gesti, negare che possano essere violenze implicite, in potenza, nella società in cui noi stessi viviamo, pare una risposta sospetta al problema: che tali rimozioni non velino il terrore contaminazione, di emulazione, di scoprire di portare in sé gli stessi germi omicidi di chi oltrepassa il limite? Il problema, a mio avviso, lungi dall’essere ideologico o religioso (pur appellandosi gli stessi criminali a parole d’ordine di tale natura) è politico-economico. Ci siamo disabituati a chiederci il “perché” di ciò che succede. Qual’è la causa che scatena questa follia omicida imbevuta di parole d’ordine per altro verso ridicole? Nel vuoto di senso, in una vita anonima e senza
speranze, nella noia grigia di giornate identiche l’una all’altra o gesti d’affetto, nella mancanza di identità e futuro, in una confusione sempre più profonda fra reale e virtuale, nella frustrazione per i colpi subiti a livello individuale, sociale e globale (cioè geo-politico e bio-politico), nel sospetto reciproco ingenerato dalla logica di mercato... La risposta sta lì. La politica e l’economia, le due cause del male che esplode periodicamente, dovrebbero chiedersi se la causa, il malcontento che esplode in sintomatologie precise (anoressia, bulimia, depressione ecc), non siano da ricercare nell’assenza di aspettative per il suddito democratico; e se la rincorsa dello sviluppo e del consenso dei mercati non abbia perso di vista, per strada, l’umanità -cioè la debolezza- delle parti in causa. Un mondo in cui l’immagine conta più di ogni sostanza, in cui la cultura è derisa a favore di atteggiamenti finanziari predatori da uno contro tutti, in cui la politica rincorre cinicamente i voti dei più degeneri razzisti, verrebbe spontaneo chiedersi perché chi dirige le redini non si convinca ancora a fare un po’ d’introspezione. Il male rimosso ritorna in modalità catastrofiche, e la società europea ha già più volte, in passato, sottovalutato questi sintomi fingendo non ci fossero. Conducendo ad atrocità indelebili.
Società
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i nuovi mostri Il turismo dell’orrore tra voyeurismo diffuso e macelleria mediatica di Pietro Masiello
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nche nel caso del rovesciamento e parziale affondamento della nave Concordia al largo dell’isola del Giglio, si è riproposto un fenomeno oramai trentennale noto come turismo della disgrazia, infatti nei giorni successivi alla tragedia in mare, ben 1080 persone si sono recate sull’Isola del Giglio, per vedere da vicino la nave Concordia, moderna Disneyland del mare, o assistere alle troupe televisive al lavoro o per farsi immortalare con la nave alle spalle; niente male se consideriamo che questo voyeurismo avveniva mentre sulla nave erano presenti dei dispersi che saranno estratti deceduti dal gigante metallico nei giorni successivi, e nonostante i ripetuti appelli del Presidente della Provincia Marras a non recarsi sull’isola. La cronaca ci ricorda come stiano purtroppo diventando frequenti questi “pellegrinaggi” sui luoghi di avvenimenti tragici, era già accaduto ad Avetrana, a Novi Ligure, a Perugia, a Cogne, e lontano fino al 1981 a Vermicino nei pressi di Frascati dove si verificò la tragedia di Alfredino Rampi e si ebbe la prima manifestazione eclatante della morbosità mediatica, viaggi spesso lunghi pur di poter dire ; “io c’ero, l’ho visto, l’ho filmato”. Certo è evidente che non tutti i turismi sono uguali e un conto è visitare Avetrana, Cogne, Garlasco con i luoghi della tragedia ridotti a triste palcoscenico teatrale, altra cosa è fotografare la Costa Concordia, grande dramma che rimanda a eventi storici dal forte impatto simbolico come l’affondamento della nave Andrea Doria o del più famoso Titanic. È pacifico senza nessuna retorica che l’accaduto alla Costa Concordia sarà tramandato negli annali della storia anche se con qualche protagonista non proprio all’altezza del suo ruolo. In questo esecrabile fenomeno in veloce diffusione, un ruolo fondamentale è giocato dalle te-
levisioni che tendono a mediatizzare le vicende di cronaca nera con un sovraccarico sia di informazioni che di passaggi televisivi anche nei programmi di intrattenimento di quasi tutte le reti televisive nazionali con l’eccezione di La7; oppure vi sono appositi programmi come Quarto Grado o Porta a Porta con gli indimenticabili plastici. Va così in onda la grande macelleria mediatica condita con dovizia di particolari da dare in pasto ai nuovi mostri, così succede che il conduttore di Matrix Alessio Vinci senta la necessità di informarci che: “Yara (Gambirasio) non ha subito violenza sessuale, ma era indisposta”, forse per rispetto della ragazza poteva fornirci qualche dettaglio in meno, o più recentemente quando la trasmissione Chi L’ha Visto ha reso noto quanto trovato nel computer di Parolisi: “scopata fantastica con due belle trans, grande zoccola trans, grande zoccola trans” e così via. La gogna mediatica è fatta con buona pace del rispetto della privacy. In un paese in cui si fanno le denunce per far rimuovere i manifesti ritenuti troppo crudi o si denunciano le bagnanti in topless, ipocritamente e silenziosamente si lascia che la sfera intima delle persone sia messa in piazza senza nessun rispetto sugli schermi televisivi, cosi come anche l’Autorità Garante della Privacy sembra non interessarsi a queste questioni; precisa nei comunicati stampa che non rientra nelle sue competenze di Garante intervenire laddove le notizie diffuse dai mezzi d’informazione fanno riferimento al contenuto di atti giudiziari. Allora è spontaneo chiedersi, ma questa Autorità chi tutela e quale privacy tutela? È oramai sotto gli occhi di tutti che questo processo di serializzazione dell’orrore sia sfruttato e solleticato dai media (televisione e internet in testa, con pagine del noto social network Fa-
cebook dedicate), in televisione i risultati di audience parlano chiaro, le trasmissioni toccano i picchi di ascolto quando si trattano temi efferati. Non è solo l’audience ad alimentare l’uso strumentale di queste notizie: le analisi approfondite dicono che la cronaca nera sui mezzi di comunicazione tende a crescere in momenti particolari della vita pubblica quali prima delle elezioni politiche, creando di fatto un clima di forte insicurezza e sfiducia sociale, quindi agevolando quei partiti spesso di destra e xenofobi che offrono risposte certe e autoritarie alle ansie ed alle paure sociali create ad arte. In Italia il tasso dei crimini è un po’ inferiore a quello degli altri paesi, ma non la sua esposizione mediatica, ecco un po’ di dati statistici sullo spazio dato alla cronaca sui principali notiziari pubblici europei: • TG1 11%; • BBC 8% (INGHILTERRA); • TVE 4% (SPAGNA); • FRANCE2 4% (FRANCIA); • ARD 2% (GERMANIA). Oltre a questo, dare eccessivo spazio alla cronaca nera porta a ridurre drasticamente lo spazio delle notizie importanti e scomode, il tutto con sommo gradimento del Potere. Insomma parafrasando Gresham possiamo dire: “la pseudo informazione fa sparire l’informazione vera e necessaria”, e le notizie ed i fatti lasciano il posto alle notizie manovrate e utili al Potere. Alla fine, assistiamo molto impotenti al male della stupidità, e nella grande anarchia televisiva politicamente molto integrata, si può fare, dire, mostrare tutto senza ritegno alcuno, senza confini, senza nessuna sanzione. L’orrore è servito, tutti a tavola. http://darkangel38.blog.kataweb.it
L’autogestita: Oasiverde
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gli ortaggi ecologici spuntano dal balcone Guida per coltivare ortaggi sul balcone di casa
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ai come ora coltivare l’orto fa parte di uno stile di vita ecosostenibile. Non è necessario possedere del terreno per assaporare buoni frutti. L’orto fai-da-te sul balcone di casa per esempio, rappresenta un’ottima possibilità per dedicarsi all’agricoltura biologica in un’ ottica di piena sostenibilità ambientale, potendo contare anche sulla sicurezza alimentare. Basta veramente poco per mettere a punto un orto sul balcone. Per iniziare bisogna soltanto conoscere alcune regole in termini di esposizione solare, tecniche di travaso e accorgimenti relativi all’innaffiatura ed poco altro. Seguendo i suggerimenti degli esperti, infatti, non sarà difficile veder crescere dopo qualche tempo degli ortaggi belli, buoni e soprattutto sani. Naturalmente anche chi ha pensato ad un utilizzo più coreografico per il proprio balcone, può integrare ai mille colori dei fiori e piante ornamentali, magnifici e saporiti ortaggi. Infatti oltre che avere proprio un bell’aspetto, queste meravigliose piante spesso producono bellissimi fiori che possono tranquillamente trovare spazio accanto ai gerani, alle surfinie ed alle profumate petunie. Il mate-
riale che vi occorre per dare il via alla vostra esperienza di coltivazione è facilmente reperibile ovunque. Iniziate dai contenitori che potete decidere a seconda dell’esigenza, non trascurando qualsiasi tipo di materiale di riciclo. In linea di massima, quando si parla di vasi, è consigliabile utilizzare quelli rettangolari, perchè permettono di coltivare le piante posizionandole in file ordinate, magari ponendo specie diverse nello stesso vaso. Molto importante è creare un fondo drenante con argilla espansa o altro materiale, mentre i concimi devono essere specifici per l’orticoltura e preferibilmente di origine biologica (concimi organici). Potete iniziare con ortaggi semplici che richiedono poche attenzioni come le erbe aromatiche, l'insalata, melanzane, peperoni, cetrioli, ravanelli e perché no, in mezzo anche qualche buonissima fragola. Ma soprattutto abbiate molta pazienza e buon spirito di osservazione. Avrete modo di osservare quanto la crescita di una piccola piantina sia in grado di porci di fronte a nuove considerazioni sulla vita e su madre natura, considerazioni che sempre più di rado vengono fatte.
nazione e dare vita alla piantina. Ecco una piccola guida che può aiutarci a coltivare i nostri preziosi ortaggi comodamente sul terrazzo di casa nostra. 1. Marzo/Aprile, la semina Per coloro che volessero anticipare i tempi, durante il periodo primaverile, in commercio è possibile acquistare piccole piantine di ortaggi già di qualche centimetro e pronte per essere trapiantate. Noi però ne consigliamo la semina da seme riportando sotto alcuni suggerimenti. Prendete i semi degli ortaggi da voi selezionati (molte persone utilizzano i semi dell’anno precedente) e distribuiteli in maniera uniforme nel semenzaio e ricoprite con uno strato di mezzo centimetro di terriccio per semina misto a sabbia o altro materiale drenante tipo agriperlite disponibile in qualsiasi vivaio. Compattate con le mani e annaffiate abbondantemente con un vaporizzatore per rendere questa operazione più delicata. Poi coprite con un telo di nylon bucato per favorire il ricambio di aria o di tessuto non tessuto. In questo momento la cosa essenziale è che le sementi ricevano la giusta temperatura per innescare la germi-
2. Maggio, il rinvaso Una volta nate le piante, per tutto il periodo in cui saranno mantenute nel semenzaio, cercate di mantenere la terra umida e ponetelo possibilmente in un luogo riparato dalle gelate tardive di aprile. Se possibile posizionate le piantine del semenzaio verso il sole considerando comunque che l’esposizione solare è molto più importante in fase di crescita della piantina (cioè dopo il rinvaso) e soprattutto durante la fase di maturazione dei frutti. A maggio quando le piantine saranno ben formate, alte circa 8-10 cm potrete toglierle dal semenzaio cercando delicatamente di non rompere troppo le radici di ogni singola pianta e metterle a dimora nel vaso definitivo. La scelta del vaso è molto importante. Evitate di mettere troppe piante nello stesso vaso scoraggiando un’agguerrita competizione che potrebbe ridurre la crescita di frutti per ogni singola pianta. Se le piante sono troppo fitte eliminatele un po’ alla volta. Lo stesso va fatto con quelle che ingialliranno o seccheranno, in maniera che possa penetrare meglio la luce. Il terriccio
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che userete è abbastanza indifferente anche se è meglio evitare quelli troppo torbosi o quelli arricchiti con cornunghia che sembrano avere meno capacità di trattenere l’acqua di irrigazione. Sul fondo del vaso definitivo non dimenticate di fare un bello strato drenante alto almeno cinque centimetri con argilla espansa o altro materiale di risulta, in maniera che il terreno dreni l’acqua in eccesso e impedisca alle radici della pinta di marcire. 3. Giugno, la crescita Come già detto sopra, per crescere le piantine hanno bisogno di sole, acqua e un po’ di aiuto. Irrigate facendo in modo che la terra non sia mai completamente secca anche se le piante vi avvertiranno immediatamente quando avranno bisogno di liquidi, mostrandosi col fogliame appassito e verso il basso. Non abbiate paura, basterà innaffiarle un pochino con acqua a temperatura ambiente e in 15 minuti torneranno vigorose come prima. Non bagnate mai le foglie perché favorirete la peronospora (è una malattia trofica causata da organismi parassiti) e altre malattie fungine. Le irrigazioni saranno due per settimana fino a fine giugno, mentre da luglio in poi diventeranno quasi giornaliere. Più piccolo è il vaso maggiore sarà la frequenza delle innaffiature. La forma che assumeranno mano a mano le vostre piantine sarà quella più verosimilmente vicina alla natura della varietà dell’ortaggio che avete piantato, anche se non di rado si adotta la legatura del fusto (talvolta pos-
sono essere anche più di uno) a dei tutori per aiutarle a sostenere il peso che dovranno sopportare coi frutti che continueranno a crescere vistosamente. Da non trascurare è la prevenzione degli eventuali attacchi di parassiti irrorando tutte le foglie prima della fioritura (e se esposte alle intemperie) dopo ogni pioggia. Mai bagnarle però nelle ore più calde del giorno. Generalmente si utilizza una miscela d’acqua e verde rame anche se per contrastare l’attacco di parassiti o muffe prediligiamo i sani rimedi naturali. L’estratto di Neem (pianta pregiata proveniente dall’India) è favoloso e non ha controindicazioni ed è ormai comune nei negozi specializzati. Potete anche confezionare da soli nella comodità di casa i vostri prodotti repellenti a base di tabacco macerato in acqua, peperoncino e aglio. Internet offre molti spunti in questo senso. Concimate moderatamente (ogni 3 settimane) con concimi organici come sangue di bue o macerato di ortica se avete voglia e tempo di prepararvelo da soli. Esponete le piante del vostro terrazzo in una posizione soleggiata ma possibilmente non troppo a ridosso di muri bollenti che potrebbero raggiungere in piena estate temperature di fusione. Rischiereste di cuocere le piante prima del raccolto. 4. Luglio, la fruttificazione Dalla metà di giugno i fiori avranno lasciato il posto ai frutti che matureranno sulla pianta assumendo il loro colore definitivo. Non staccateli dalla pianta fino a che non vi serviranno in cucina, si mantengono molto meglio
lì che risposti in frigorifero. Dal momento in cui i vostri frutti saranno abbastanza formati, se avete possibilità, per combattere il marciume apicale potete aggiungere all’acqua di irrigazione un composto a base di calcio. E se volete dare un tocco di classe al vostro vaso consociate nello stesso del basilico, prezzemolo e altre piante aromatiche non infestanti. Ricordate che la coltivazione indoor delle vostre piante oltre che essere salutare è un ottimo antidoto contro lo stress. Per abituarsi a vivere in maniera ecosostenibile si può iniziare anche dalla coltivazione dei vostri profumati ortaggi semplicemente dal terrazzo di casa vostra. Dite “No” ai pomodori dei banchi
associazione oasiverde Sede legale: Strada Genghe di Atto, 122/b 47892 - Acquaviva (Rep. San Marino) Telefono: 335.7340580 Fax: 0549.944242 mail: info@oasiverdersm.org web: www.oasiverdersm.org IBAN: SM 22X03 26209 80000 00003 04885 COE: SM21783
di mercato provenienti da chissà dove quando è possibile produrli da soli a ‘kilometro zero’. Produrre ortaggi sul balcone del vostro piccolo appartamento è un bel modo per ridurre l’impronta ecologica in modo da danneggiare il meno possibile l’ambiente che ci circonda, esattamente come ridurre i consumi di energia, la mole di rifiuti prodotti, le emissioni di carbonio ecc. ecc. Ognuno di noi dovrebbe fare la propria parte, eliminando qualche cattiva abitudine antiecologica, secondo le proprie possibilità. Coltivare gli ortaggi a ‘kilometro zero’ ad esempio, fa parte di quelle buone pratiche che chiunque può adottare. Cosa aspettate allora? Buona insalata ecologica a tutti.
attivita’ convenzionate è supportata da
Agrizoo - Allianz/Lloyd Adriatico - Artemisia - Babette - Babylab - Blu notte - Ciquadro - Cobafer - Estetique Michelle - Fior di Verbena - Food & Science - Legatoria Incipit - Harmoniæ - India World - La rondine - Layak - Legno Design - Phisicol - Piletas Salmoiraghi & Viganò - San Marino Vernici - Scrigno delle Fate - Titan Gomme - Tutta Natura - Vivaio Zanotti - Zaffbike
Gruppi d’Acquisto Solidale
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semi di cambiamento Il contributo di AltreMenti festival alla società di Stefano Palagiano
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a settimana del baratto, uno degli eventi collaterali di Altrementi Festival, è stata un simbolo, il coronamento di giornate particolari. Credere nelle potenzialità di questa iniziativa è stato giusto. I riscontri sono stati molto positivi e ci consentono indubbiamente di parlare di questo evento nell’evento come di un successo. A Festival finito, infatti, si può non solo prendere atto della bellezza dell’iniziativa e dei suoi risultati concreti, ma anche tracciare le linee future di intervento. Il baratto è stato un grande aggregatore sociale, con tanti “visitatori” che hanno apprezzato questo momento, lungo una settimana, di scambio e di relazione. Un evento collaterale all’interno di un Festival deve infatti essere capace di coniugarsi con intelligenza alla manifestazione nel cui seno si colloca, ma deve essere certamente in grado di camminare con le proprie gambe, dando prova di efficacia anche sulla distanza. Spenti i riflettori di AltreMenti Festival, il baratto, come era del resto nelle intenzioni dei promotori, deve trasformarsi da particolarità ad alto valore civile in pratica il più possibile continua di rinnovamento sociale. Le condizioni ci sono tutte: 200 gli scambi quantificati che hanno animato la Sala del Podestà, numerose le persone che hanno partecipato, in molti hanno chiesto notizie, in diversi ci hanno sollecitato ad informarli sulle specifiche iniziative dello stesso tenore che seguiranno. È stato molto suggestivo vedere questo spazio comunale abitato da tanti oggetti diversi, ognuno con la propria storia: abbigliamento, scarpe, libri, arredi. Ciò che è avanzato, secondo quanto comunicato, ha trovato altra nobile e giusta destinazione: Mani Tese. Abbiamo creato una serie di contatti con chi organizza o intende organizzare qualcosa di
simile e cercheremo di coordinarci con tutte le realtà attive nei circuiti del baratto e dell’autoproduzione sul territorio riminese e non solo. La prospettiva di organizzare il baratto all’interno di Altrementi Festival è servita, oltre che per i numerosi scambi effettuati, per dare risalto ad una modalità di relazione diversa e possibile, capace di restituire valore agli oggetti e al tempo. Insomma, la base si è mossa e dall’alto (cioè in particolare da parte del Comune di Rimini) c’è stata un’adesione convinta e fattiva anche per quanto riguarda questa iniziativa. Il baratto è stato parte di una bella parabola: mentre da un lato abbiamo chiamato ad intervenire Francesco Gesualdi e Serge Latouche per parlare di una nuova cultura e nuovi stili di vita, dall’altro abbiamo dato modo a tutti di poter toccare con mano cosa questo significhi, responsabilizzando ciascuno rispetto alla propria rivoluzione interiore. Cambiare si può, qui, subito e con gioia: AltreMenti lo ha dimostrato. La settimana del baratto lo ha dimostrato. A noi il compito di far restare in corsa un treno che è partito. Siamo grati a tutti quelli che hanno partecipato all’iniziativa, chiedendo spiegazioni, proponendo collaborazioni, offrendo disponibilità, condividendo il loro tempo. Sono in molti ad aver fatto il passo importante di riflettere e di partecipare. Siamo riusciti a coprire le necessità di volontari in tempi record: anche questo dimostra l’efficacia dell’iniziativa. A tutti i volontari va il nostro grazie. Parimenti dico grazie a tutti coloro che hanno scritto per avere informazioni, che hanno voluto incontrarmi per capire di più, che sono alla fine intervenuti a scambiare, perché ciò che hanno scambiato è in realtà qualcosa di più che semplici oggetti. La settimana del baratto costituiva il suggello ideale di una manifestazione come AltreMenti Festival che ha puntato molto nelle
ultime due edizioni sui temi della decrescita, del consumo critico e del cambiamento sociale. Hanno già calcato le scene del Festival, infatti, Serge Latouche, Francesco Gesualdi, Michele Paolini, Maurizio Pallante, don Gianni Fazzini, Cristiano Bottone, Domenico Finiguerra, cioè alcune delle menti più brillanti e più concrete della cultura contemporanea. Grazie anche ai loro input, molte cose sono già cambiate. Con loro sono nate collaborazioni, scambi e amicizie personali. Tutti loro sono lì a ricordarci che la vera sfida che ci attende va oltre il Festival, è nella vita di tutti i giorni. Ed è questo, a mio avviso, uno degli elementi che deve maggiormente orientare la manifestazione. Il filo che, partendo dalla seconda edizione di AltreMenti Festival, è arrivato alla terza costituisce una bella trama di riflessione che produce cambiamento. Quest’anno per un’intera settimana abbiamo animato il dibattito in campo sociale ed economico, e con il baratto abbiamo dato uno spunto ulteriore. Il momento culminante, con il Teatro degli Atti pieno per Latouche, ha mostrato tra l’altro quanto ci sia voglia e bisogno di cambiare. C’è bisogno di crederci, ovunque. Il meccanismo di attivazione di alcuni processi virtuosi sul Titano è probabilmente più laborioso, ma ciò non toglie nulla alla possibilità di realizzare spazi concreti di pratiche alternative, valorizzando i pochi realmente esistenti e creando un’ alternativa credibile alla catastrofe cui corriamo incontro. Ed ecco, quindi, che uno spazio permanente del baratto, del riuso e del riciclo, una follia assoluta se rapportato alla mentalità ancora dominante nella piccola Repubblica, potrebbe diventare un fiore all’occhiello nella diffusione di nuovi stili di vita. Magari in uno degli spazi sottraibili alle logiche speculative pure e semplici. Basta volerlo.
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Spiritualità
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lo specchio magico di Elena Guidi
S
pecchio, specchio delle mie brame... chi è la più bella del reame?” chiedeva la strega malvagia al suo magico amico, che sempre le rimandava la risposta da lei desiderata “la più bella sei tu, o mia regina...”. Ma alla corte della regina cresceva giorno dopo giorno una giovinetta, che si faceva sempre più bella... Pensate che la regina, che tanto teneva alla propria bellezza da chiederne ogni giorno conferma, non se ne fosse accorta?... eccome! E quando il terrore di essere stata ormai superata in bellezza dalla ragazza diventa certezza, ecco che lo specchio cambia la sua risposta: “la più bella è Biancaneve!”. Lo specchio cambia la risposta quando è cambiato ciò che la regina stessa pensa. Una legge universale celata in una favola, come spesso accade. Le più grandi verità messe sotto gli occhi di tutti e noi troppo assonnati per vederle. Tutto ciò che vediamo allo specchio (cioè di fronte a noi, negli altri, nelle situazioni della vita) e che ci dà fastidio, che ci irrita, che ci scandalizza, è semplicemente quello che già esiste dentro di noi e che abbiamo bisogno di guardare in faccia. Quello che non ci infastidisce, che ci lascia sereni, è ciò che abbiamo già visto e superato, che non ci crea conflitti interni, mentre tutto quello che al contrario ci provoca una reazione deve farci riflettere, tanto di più quanto più acceso è il moto di “ribellione” che ci
scatena. Sappiamo che, in quanto anime, tendiamo ad un continuo perfezionamento (evoluzione) che ci porterà a fonderci nuovamente con l’Uno da cui proveniamo, dunque è normale che ci attiriamo ostacoli da dover valicare, persone e situazioni che ci aiutino, creando attrito, a “vedere” certi aspetti di noi. Attenzione: non è una favoletta, non è pura teoria... Chi accetta di mettersi in questa ottica cambia radicalmente il suo modo di vivere: intanto ammette che non c’è nessuna realtà oggettiva esterna a sé, poiché tutto è proiezione del soggetto; e poi che “nessuno gli sta facendo nulla”, che quel collega, che quel parente, NON è antipatico o ostile, ma che semplicemente con un suo atteggiamento o modo di relazionarsi gli sta facendo un servizio prezioso (ovviamente senza saperlo): gli sta consentendo di lavorare su di sé, ossia di ricercare quale parte di sé viene rispecchiata in quel fastidio, e una volta riconosciutala, di accettarla, integrarla, amarla (a quel punto il fastidio che si provava dinanzi a una persona o situazione scompare come neve al sole). Più chiaramente: ci irritano i prepotenti? È perché anche noi, in qualche aspetto, lo siamo. Non sopportiamo chi si dà tante arie? Evidentemente siamo vanito-
si, anche se forse non nello stesso ambito di colui che stiamo criticando. Qualcuno ci fa un commento sgradevole? Sicuramente in un angolo nemmeno troppo remoto di noi il nostro inconscio custodisce quella credenza o quel dubbio e dunque siamo noi stessi ad auto-rivolgerci quella critica. Diversamente dalla legge di attrazione, che conquista facilmente seguaci entusiasti – come testimonia il successo planetario di “The Secret” – la legge dello specchio di solito non sta al top dei gradimenti delle persone, perché accettarla e soprattutto applicarla nel concreto procura un certo dolore. Il dolore di prendere su di sé la piena responsabilità (che non significa “colpa”, si badi bene) di tutto ciò che ci accade e di non poterla più addossare agli altri. Altrimenti detto, di uscire dal comodo ruolo di vittima per diventare, come l’Invictus di W.E. Henley, “capitani della propria anima” . Le persone tendono a rifuggire la sofferenza, non sapendo che la nostra macchina biologica (il corpo) è una grandiosa fucina in cui avvengono costantemente processi di trasmutazione alchemica, anche a nostra insaputa e che sovente il dolore è il carburante che le consente di funzionare. Continuamente, infatti, le esperienze della vita, che entrano
in noi sotto forma di emozioni, “bruciano”, modificando la struttura dell’anima e facendoci progredire. In qualche modo tutti siamo consapevoli di questo. Ma se di tale meccanismo diventiamo veri conoscitori, allora possiamo velocizzare il processo e dirigere le attività nella direzione voluta, facendo sì che il piombo dell’emozione negativa in ingresso non ristagni o non vada ad alimentare altre negatività quali rabbia o depressione, ma bensì che attraverso il fuoco che scaturisce dal rimanere volontariamente presenti sul nostro dolore, gradualmente si sciolga e diventi l’oro dell’emozione superiore che ci immerge nell’amore universale. Riesce difficile portare esempi concreti di questa meraviglia a chi vorrebbe tutto in soldoni, ma certamente sa bene di cosa sto parlando chi, per esempio, è riuscito nell’impresa del perdono. Un’opportunità grandiosa di crescita, per chi è davvero coraggioso e intenzionato. E una materia che manca clamorosamente a scuola... L’insegnamento di queste conoscenze, di cui le masse vengono volutamente tenute all’oscuro, cambierebbe il mondo nel giro di poche generazioni. [Un libro per approfondire: “Officina Alkemica”, di Salvatore Brizzi, Anima Edizioni.]
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Il Don Chisciotte
numero 52, aprile 2012 Ci trovi anche su Facebook!
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