IL DON CHISCIOTTE Il Don Chisciotte - Periodico dell’Associazione Culturale Don Chisciotte - Via Ca Giannino, 24
Numero 29 Direttore Responsabile Roberto Ciavatta - Copia depositata presso il Tribunale della Repubblica di San Marino Giornale gratuito - vietata la vendita
Pagg. 12-13
marzo 2010
Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino
spazio riservato all’indirizzo
Oasiverde
Questo mese: Attenti al fluoro + comunicazioni
Primo piano
Il Don Chisciotte numero 29, marzo 2010
sommario
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Brahim Maarad
in evidenza ACDC
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24 ore senza di noi
Intervista a Brahim Maarad RUBRICHE Es... cogitando, di Roberto Ciavatta
Il carattere corroso dell’uomo flessibile L’Ippogrifo, di Angelica Bezziccari
AVATAR
Sognare pandora e dimenticare la terra Sopra di noi niente, di Andrea Mina
Libertà è responsabilità
Prospettive del comitato di bioetica sammarinese l’autogestita
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Oasiverde
Attenti al fluoro
Una bomba atomica nella vostra bocca contributi Riccardo Castelli
il patrimonio dell’umanità non è in vendita Valentina Quadrelli
Palazzo yacoubian
Un romanzo che abbatte le differenze Stefano Palagiano
Quale futuro per i g.a.s.? Intervista ad Andrea Saroldi ritagli
24 ore 6 senza noi
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Aforisma: Jean Jacques Rousseau Rassegna Appuntamenti di marzo
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Il Don Chisciotte Mensile di approfondimento indipendente a cura di Associazione Culturale Don Chisciotte Sede: Via Ca Giannino, 24 - 47895 - Domagnano (RSM) Contatti: 0549.878270 - ass.donchisciotte@omniway.sm Sito: www.associazionedonchisciotte.org Hanno collaborato a questo numero: Angelica Bezziccari, Riccardo Castelli, Roberto Ciavatta, Andrea Mina, Oasiverde, Stefano Palagiano, Valentina Quadrelli Per ricevere gratis questo mensile devi essere iscritto all’Associazione Don chisciotte. Puoi farlo dal nostro sito o via mail. Usa la mail anche per proporci collaborazioni, pubblicare articoli, indicare date ed eventi, finanziare le nostre attività o proporci sponsorizzazioni. I numeri precedenti del mensile sono consultabili in Biblioteca di Stato. Stampato su carta riciclata presso Carlo Filippini Editore
Intervista a Brahim Maarad sullo sciopero dei migranti del primo marzo
Incuriosito da “24 ore senza di noi”, lo sciopero dei migranti che si è tenuto il primo marzo, ho contattato il responsabile del comitato di Rimini, Brahim Maarad. Brahim ha 21 anni (il fatto che ragazzi così giovani si spendano per cose così importanti fa ben sperare in un domani migliore) e vive a Bellaria da 11. Parla un ottimo italiano (più corretto di una buona percentuale di chi distingue tra “noi” e “loro”). Arriva dal Marocco e si inserisce in quarta elementare senza conoscere una parola di italiano, ma la calda accoglienza dei compagni (soprattutto Nicolas, con cui ancora si sente quotidianamente), lo aiutano ad inserirsi agevolmente. Studia Economia e management e lavora al corriere di Rimini.
Una delle prime cose che mi dice è che vorrebbe che chiunque viene in Italia a cercare un futuro possa ricevere la sua stessa accoglienza. Prima di lasciare spazio all’intervista, racconto un aneddoto, che mi pare una grande lezione. Chiacchierando è venuto fuori il nome di Bossi. Brahim ha mosso una critica “politica” all’operato di Bossi, poi ha subito detto “con tutto il rispetto parlando”. Io gli ho risposto “no, no, per quanto mi riguarda senza alcun rispetto”, alché Brahim mi ha rimproverato dicendomi: “no, il rispetto deve sempre esserci, facciamolo almeno noi”. Questo a beneficio di chi, per parlare dei “luoghi comuni” di cui accenniamo anche nell’intervista, crede che i migranti siano dei buoni a nulla, spesso criminali, sempre incivili!
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D. Per che motivo è nato lo sciopero dei migranti? R. Per far capire quanto ogni immigrato, con il lavoro che svolge, contribuisce all’economia e al benessere dell’Italia. L’obiettivo è ripartire insieme, immigrati e Italiani, senza più distinzioni di “noi” e “loro”, facendo capire come gli interessi e i problemi degli uni e degli altri sono identici. Non è solo una questione di statistica (il 7% del PIL prodotto dal lavoro degli immigrati, circa 3,2 miliardi di euro) ma di rapporti. Vorremmo che dal lessico italiano scomparissero frasi come “tornatevene a casa vostra”; si deve cambiare mentalità. I comitati, del resto, sono formati da immigrati e italiani che la pensano allo stesso modo, D. Com’è nato il comitato riminese? R. A novembre ho letto di “24 hour sans nous”, lo sciopero dei migranti francesi. Mi son subito detto “magari succedesse anche in Italia”. A gennaio ho visto che su facebook un gruppo che annunciava la stessa iniziativa in Italia, fondato da Stefania Ragusa. Aveva circa 25.000 iscritti (oggi più di 60.000). Così li ho contattati e ho fondato un comitato riminese. D. Chi ci lavora con te? R. Sono stato subito contattato da Edmund Kumaraku, presidente dell’associazione AGIMI, della comunità albanese. Alle riunioni c’erano ragazzi della comunità albanese, i “riminesi globali contro il razzismo” (un ramo del PAZ) e ragazzi del PD locale (ad es. Filippo Peci). Tutti giovani, e questo ci rallegra. D. Quanti sono i comitati in Italia? R. Tanti: purtroppo di meno al sud; chi aveva più bisogno
di questa manifestazione è chi non ha potuto partecipare: chi va al lavoro in campo alle 4 di mattina... vai a dire al caporale “io sciopero”! D. E all’estero? R. Lo sciopero si è fatto in sei Stati: Francia, Germania, Belgio, Grecia, Spagna e Italia. D. Speriamo l’anno prossimo ci sia anche San marino... ma con che obiettivi è nato? R. L’obiettivo era ed è coinvolgere più immigrati possibile, far capire che ogni immigrato contribuisce alla società, anche se magari non lo si vede. Dimostrare che senza immigrati l’Italia non va avanti. Nel libro di Vladimiro Polchi (Blacks out - Laterza 2010), la gente un bel giorno si sveglia e a sorpresa non c’è più la badante. Il paese si blocca, I giornali non girano perché gli immigrati non li hanno portati, al bar niente cappuccini perché non è arrivato il latte ecc. è il caos! Logicamente nella realtà la sorpresa non è possibile, quindi ci siamo affidati alla pubblicità e al web, tipo facebook sulla scia dell’esperienza del “popolo viola”, anche se è molto più difficile: molti immigrati, badanti, raccoglitori non hanno computer. Buona parte della comunicazione si è fatta con il passaparola nelle comunità. D. E cosa chiedevate? R. Cose semplici: un riconoscimento sociale, il voto, poter esprimere la propria opinione, credo sia legittimo. Abitiamo qua, paghiamo le tasse, contribuiamo all’economia. D. Che risposta c’è stata dagli immigrati riminesi? R. Quelli con cui ho parlato hanno condiviso lo spirito, ma molti non hanno scioperato. Ad es. alcuni cinesi mi hanno detto: “io non mi sono mai fermato, non mi fermerò
Il Don Chisciotte numero 29, marzo 2010 il primo marzo”. Tra i negozi di Via Giovanni XXIII, che è un po’ il quartiere multietnico di Rimini, c’è stata molta condivisione. Molte saracinesche sono rimaste abbassate il primo marzo, magari anche solo simbolicamente per l’integrazione e contro la discriminazione dall’alto. Si parla di commercianti, gente che suda e contribuisce al benessere di tutti, non di militanti terroristi. D. E chi proprio ha dovuto lavorare? R. Beh, una dottoressa dell’università di Urbino, che non poteva interrompere le lezioni, ha partecipato rinunciando alla paga e facendo lezione sulla discriminazione razziale. In ogni caso il nostro colore è il giallo, il colore del cambiamento. Chi ha lavorato indossando un fiocco o un fazzoletto giallo ha indicato l’adesione di principio. D. Quali altre risposte avete avuto dagli italiani? R. Molti ci hanno sostenuto, dicendoci “sono con voi”. Per me è già un traguardo! Inoltre come detto molti organizzatori nazionali sono italiani, e a Rimini la Provincia ha aderito ufficialmente. L’assessore Galasso ha detto che il primo marzo “è una giornata di tutti noi”. Si deve smetterla con il clima di terrore che non fa bene a nessuno. D. A proposito di questo, cosa pensi dei fatti di Rosarno o di Via Padova? R. Sono fatti gravissimi, perché possono diventare delle micce. Manifestare come il primo marzo è stato un modo più civile per lasciare un impronta proprio “non essendoci”. Dovevamo far capire a chi dice “mandiamoli a casa” che senza noi, soprattutto nel nord est, l’economia si fermerebbe.
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Però prima di condannare si dovrebbe risalire alle cause: non serve a nulla dire, come Maroni: “non permetteremo che succeda ancora”. Non è portando via gli immigrati che si risolve il problema: lo si ricrea altrove. D. E forse a Rosarno ci sono già altri immigrati a lavorare al posto di quelli allontanati... R. Già, lo credo anche io, usati come pezzi di ricambio di quelli mandati via perché forse avevano capito cose che non dovevano capire o semplicemente non ne potevano più. D. Che rispondi a chi pensa che gli immigrati “vengono qui a delinquere”, “ci tolgono il lavoro” ecc? R. C’è un campionario di frasi del genere, potrei darti a mia volta risposte standardizzate. La miglior risposta, credo, è stata la nostra manifestazione pacifica per far capire a tutti che siamo parte dell’Italia, e facciamo lavori che gli italiani non fanno. Come a Rosarno, per tornarci sopra: non credo saranno degli italiani a sostituirli. D. Non credi che a far paura non sia solo l’immigrato, ma ogni forma di diversità (di pensiero, orientamento sessuale, handicap, vecchiaia)? Come nel caso dei down presi di mira su facebook qualche giorno fa. L’italia è in crisi, e la politica mette legna sul fuoco aizzando contro il diverso, addossandogli le sue colpe. Così il popolo trova un responsabile contro cui accanirsi piuttosto che condannare loro... R. Sì, potrei concordare con te, ma non spetta a me dirlo. Io credo che si debba capire che tutti, nessuno escluso, siamo un piccolo mattone senza il quale il muro crolla. Che il mattone sia bianco o nero poco importa...
Filosofia e società “Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale”. è questo il sottotitolo del bel libro scritto da Richard Sennett nel 1998, intitolato “L’uomo flessibile” in Italia, “The corrosion of character” (che formula in maniera più compiuta il contenuto) in Inghilterra. Tentiamo qui una breve introduzione
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Il carattere corroso dell’uomo flessibile Secondo Sennet la flessibilizzazione del lavoro favorisce trasformazioni caratteriali dell’individuo e ne distrugge i sensi d’appartenenza, cioè la socialità. Questo depauperamento della personalità del singolo viene inseguita per favorire l’arricchimento di pochi individui ed interessi privati, a cui si sacrifica la comunità. Ma veniamo alle analisi Sennettiane, che col banchiere francese Albert distingue due tipi di economia in occidente: quella Renana (o capitalismo di Stato), propria degli stati centrali europei (Germania, Francia, Olanda, Italia), in cui sindacati e aziende condividono il potere, si rimarcano i doveri dell’economia verso la politica, vi è un sistema assistenziale più o meno universale (pensioni, educazione, sanità) e un contenimento delle disuguaglianze salariali ma una disoccupazione cavalcante. E quella Angloamericana (o neoliberista), propria di USA e Gran Bretagna, in cui governa il libero mercato, la politica e lo stato sociale sono subordinate ad esso, si idolatra il cambiamento
anche se ha contraccolpi devastanti sulle fasce deboli, dà una ridotta disoccupazione ma ingenera enormi disuguaglianze salariali (in USA dal 1973 gli stipendi di un operaio hanno perso il 18% del potere d’acquisto, mentre le paghe di manager e vertici aziendali, circa il 2% della popolazione, sono aumentate oltre il 110%). Questo interessa anche la nostra piccola San Marino, perché ovunque il modello renano si sta squilibrando verso logiche neoliberiste, proprio ora che dimostrano pienamente la loro crisi.
I sistemi neoliberali, infatti, sono alla base dell’attuale e delle periodiche crisi finanziarie!
Questo perché i sistemi neoliberisti danno meno disoccupazione flessibilizzando: gli occupati aumentano, ma a scapito della sicurezza sul lavoro e a patto di ridurre notevolmente i propri compensi, le proprie tutele (niente assistenza sanitaria, pensione – se non private, cioè a pagamento). Il lavoro non è più svolto per “togliersi qualche soddisfazione”, ma
Es... cogitando
a cura di Roberto Ciavatta
per non morire, in continua concorrenza coi colleghi/ concorrenti che, al prossimo downsizing, potrebbero essere rinnovati a scapito nostro. Il downsizing è la famosa “riduzione dei posti di lavoro”, che gli epigoni del capitalismo sfrenato difendono sostenendo che se si riducono i costi della manodopera aumenta il profitto e l’efficienza delle imprese che lo effettuano.
In USA dal 1980 al 1995 sono stati sottoposti a downsizing 39 milioni di lavoratori.
In verità il downsizing, oltre a non favorire la produzione, sfiducia i lavoratori. Secondo uno studio dell’AMA (American Management Association) le aziende che fanno downsizing producono in seguito minori profitti e un calo nella produttività del singolo lavoratore. Meno del 50% di queste riduce le spese. Meno di un 30% aumenta i profitti. Ciò perché ad ogni licenziamento i “superstiti” si deprimono in attesa del prossimo taglio. Le aziende continuano a licenziare, quindi, solo perché quando lo fanno le quotazioni in borsa aumentano, e nel breve termine gli azionisti ne guadagnano! È questa la finanziarizzazione dei profitti
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«Gli antichi politici parlavano senza posa di costumi e virtù; i nostri non parlano che di commercio e di denaro… Un uomo non vale per lo Stato che il consumo che vi fa. (…) Oggi regnanei nostri costumi una vile e ingannevole uniformità e tutti gli spiriti sembrano esser stati fusi in uno stesso stampo; senza posa la società esige, la convenienza ordina, senza posa si seguono gli usi e mai il proprio genio. Non si osa più apparire ciò che si è… Non si saprà quindi mai bene con chi si abbia a che fare» Jean Jacques Rousseau - “Discorso sulle scienze e sulle arti” reali che porta alla crisi dei nostri giorni. Nel frattempo la vita lavorativa si riduce: non c’è più posto per chi è meno produttivo, e non si deve spendere sldi pubblici per sostenerlo… ergo dev’essere lasciato a morire!
Nel 1990 in USA solo il 65% delle persone tra 55 e 65 anni lavorava. Il sociologo M.Castells prevede che la vita lavorativa si ridurrà a breve a 30 anni (dai 24 ai 54). Questo, in assenza di modifiche assistenziali, lascerebbe i lavoratori a fine carriera senza pensioni sufficienti a sopravvivere.
Il modello neoliberista è, in definitiva, irrazionale: è il “carosello” del profitto che genera profitto, un carosello in cui l’uomo – flessibilizzato – è superfluo. Esempio eclatante di questa logica del profitto fine a sé stesso è, in questi giorni, il caso della maxitruffa delle comunicazioni in cui San Marino è immischiata. In questa truffa membri della ‘ndrangheta, imprenditori, politici e aziende (telecom Sparckle, azionaria al 100% di Telecom Italia San Marino) versavano in conti bancari off-shore
(anche sammarinesi) un fiume di soldi, ma Mokbel, l’imprenditore nazifascista a capo della truffa, in un’intercettazione si lamenta che “Noi stiamo a vive male, però, molto male! Ammucchiamo, ammucchiamo ma non famo mai un cazzo... mo’ tocca iniziare a spenderli sti soldi”. Questa telefonata del romanaccio con ritratti di Hitler in casa è il miglior compendio dell’irrazionalità del modello neoliberista. Per quanti soldi abbia, per quante proprietà, un poveraccio è sempre un poveraccio (come gli imprenditorucoli che per una manciata di soldi leccano il culo a Bertolaso procurandogli amiche e incontri privati notturni nell’ambito dell’inchiesta sul presunto favoreggiamento di Guido Bertolaso, della “protezione civile -ex- spa”). Queste
osservazioni sono utili per valutare le politiche che uno Stato deve tenere nei confronti delle aziende private. Quando un’azienda minaccia di andarsene se non accontentata in tutto, lo Stato assicura tutto quello che l’azienda gli chiede senza valutare se e in che dimensione valga la pena mantenere un’azienda di quel tipo sul territorio. Da noi, ad es., il mobilificio Colombini ha ottenuto defiscalizzazioni totali per anni. Lo Stato si è chiesto se gli è convenuto?
Che ne ha fatto la Colombina dei soldi risparmiati (non versati allo Stato)? È quelli che ha investito in una delocalizzazione in Cina? Perché successivamente le si è permesso di poter assumere personale con contratto interinale? Che si farà ora che chiede a piene mani di poter esternalizzare i servizi? Come capite, un’azienda a cui si fa un favore non smetterà mai di pretenderne, e un governo deve valutare se e fino a che punto questo è utile al benessere pubblico. Inoltre dovrebbe stabilire che ogni attività che riceva aiuti debba reinvestire ogni soldo risparmiato in repubblica, altrimenti ciccia! Un governo per bene deve insomma ribadire la subordinazione dell’interesse privato agli interessi della comunità in cui l’azienda si insedia, perché per finire con Sennet: «Un luogo
diventa una comunità quando la gente usa il pronome “noi”».
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attenti al fluoro Una bomba atomica nella vostra bocca
Il fluoro è un elemento presente in quantità limitate nel nostro organismo, soprattutto nelle ossa e nei denti e in natura in diversi alimenti. Poi l’uomo ha iniziato a manipolare le risorse ed oggi assumiamo ingenti quantità di fluoro attraverso le acque potabili, i pesticidi (quindi residui su frutta e verdura), prodotti per l’igiene orale, psicofarmaci. Il fluoruro è stato l’elemento chimico chiave per la costruzione
della bomba atomica. Si, lo stesso contenuto nel dentifricio che usiamo tutte le mattine o nelle gomme da masticare vendute a coloro che non hanno neanche il tempo di lavarsi i denti. Il beneficio della fluoroprofilassi (uso di dentifrici contenenti fluoruri o assunzione di fluoro via tavolette o gocce) consiste nella formazione di uno smalto più resistente agli acidi. Ma la distinzione tra uso locale, come nel caso dei dentifrici (purché non ingeriti perché in tal caso altamente tossici!), ed uso interno e sistemico, come nel caso delle tavolette o dell’acqua “fluorizzata” non è banale. Assorbito per bocca, il fluoro entra nel dente attraverso il sangue e altera la struttura del dente stesso, causando fluorosi. Inoltre si accumula nel corpo con effetti negativi sulle ossa e sul sistema nervoso.
Prendiamo ad esame il fluoruro di sodio: prodotto di scarto dell’industria dell’alluminio e usato nella fluorizzazione dell’acqua potabile, esso è diventato I’ingrediente attivo nei pesticidi fluorurati, nei roditoricidi, negli anestetici, nei tranquillizzanti, dentifrici, gel e sciacqui al fluoro. In altre parole, il fluoruro di sodio è parte fondamentale del guadagno multimiliardario dell’industria e della farmaceutica. Le stesse industrie farmaceutiche sono molto abili nel manipolare gli studi scientifici e ancora oggi pediatri e dentisti consigliano in modo automatico la fluoroprofilassi, perché non c’è miglior guadagno di quello che si ricava prescrivendo farmaci in modo sistemico a larghe fasce di popolazione. La dott.ssa Mullenix negli Stati Uniti condusse ricerche rivelatrici sulla neurotossicità del fluoro sul feto che, persino con dosaggi sicuri per la madre, manifesta alla nascita un ridotto quoziente intellettivo e alterazioni comportamentali. Volendo pubblicare i suoi studi su un’importante rivista medica, fu licenziata dalla Forsyth Institute (Istituzione statunitense per la ricerca e l’educazione orale presso cui lavorava), che casualmente poco dopo ricevette fondi per un quarto di milione di dollari dalla Colgate. Dal 1945, quando venne sperimentata l’addizione di fluoro nelle acque potabili di Newburgh (stato di New York), si è diffusa
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A grizoo - A llianz /L loyd adriatico - A rtemisia - B abette - B abylab - B lu notte - C iquadro C obafer - E stetique M ichelle - F ior di verbena - F ood & science - L egatoria incipit - I ndia world L a rondine - L avanderia M agis - L ayak - L egno design - P hisicol - P iletas - S almoiraghi & V iganò S an M arino vernici - S crigno delle fate - T itan gomme - T utta natura - V ivaio Z anotti - Z aff byke
questa pratica il cui scopo sarebbe prevenire le carie nella popolazione. Oggi è praticata negli Stati Uniti, Finlandia, Australia, ed alcune zone della Gran Bretagna. E’ invece proibita in Belgio, Danimarca, Olanda, Francia. In Italia non esiste una normativa in materia. Ci sono ampie regioni in India dove il livello di fluoruri nell’acqua non si può scegliere. Va in media da 3,5 ai 4,5 parti per milione, quando il limite massimo tollerabile non dovrebbe superare 1 parte per milione. Il problema investe 17 dei 32 stati indiani, riguarda 25 milioni di persone. Il quadro in questo paese è peggiorato dalla povertà e dalla malnutrizione diffusa che aggrava le malattie ossee causate dal fluoro, mentre i lunghi periodi di siccità aumentano la concentrazione dell’inquinante nell’acqua da bere. Si intuisce la vastità degli interessi economici insiti nella fluorizzazione: i fluoruri sono materiali di scarto di molte industrie chimiche e produttrici di fertilizzanti e la loro distruzione ha costi molto elevati. Ma anziché spendere denaro nel costoso smaltimento, le industrie vengono pagate per fornire queste sostanze tossiche ai gestori delle acque. Un efficiente opera di riciclaggio attraverso i nostri reni! Il Dr H. Limeback, capo del dipartimento per la prevenzione dentale dell’Università di Toronto ed ex presidente dell’Associazione Canadese per la Ricerca
Dentale, afferma: “nuovi studi mostrano che l’assunzione di fluoro per bocca è di poco o nessun beneficio. Qui a Toronto, abbiamo bevuto acqua addizionata di fluoro per 36 anni. Metà del fluoro ingerito rimane nel sistema scheletrico e si accumula con gli anni. Abbiamo scoperto che il fluoro sta alterando la struttura base delle ossa del corpo umano”. I consigli? Non usare dentifrici al fluoro (ne esistono pochi in commercio), evitare acque minerali fluorate, gomme o tavolette al fluoro. Per l’acqua del rubinetto, auspicando una legislazione in merito anche per l’Italia, è possibile applicare un filtro ad osmosi inversa, che generalmente abbatte il fluoro fino al 90%, ma attenzione perché alcuni sono progettati appositamente per lasciarlo passare inalterato, a beneficio dei nostri denti…! Libri consigliati: I Pericoli del fluoro (vedi immagine). Fonti: www.iahf.com www.bruha.com/fluoride/ www.amon.it
Le attività convenzionate con Oasiverde
Comunicazione agli iscritti oasiverde Chi è interessato a supportare le nostre iniziative e iscriversi alla nostra Associazione può farlo contattandoci al 335.7340580 o inviando una mail a info@oasiverdersm.org. Come già saprete, da gennaio scorso è partita una convenzione con varie attività commerciali che supportano la nostra associazione, fornendo degli sconti sui servizi e prodotti a tutti i nostri iscritti. Ai fini di aggiornare il registro degli associati che hanno regolarmente versato il contributo, ricordiamo a chi non avesse ancora provveduto al rinnovo della tessera Oasiverde per il 2010 che potranno farlo presso la propria banca entro fine febbraio, tramite bonifico
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agli estremi sotto indicati. Per visionare gli sconti, potete consultare la pagina relativa alle “Attività Convenzionate” disponibile sul nostro sito internet www.oasiverdersm.org. Questi gli estremi per effettuare il bonifico: BANCA: Asset bank FILIALE: Dogana INTESTATARIO: Oasiverde CAUSALE: rinnovo/ iscrizione IBAN: SM22 X032 6209 8000 0000 0304 885 Ti invitiamo ad aggiornarti sugli eventi intrapresi da Oasiverde, fornendoci il tuo indirizzo e-mail e cellulare, scrivendo a info@oasiverdersm.org. I tuoi dati saranno protetti dalla legge sul diritto della privacy.
Cinema e letteratura
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L’ippogrifo
a cura di Angelica Bezziccari
avatar
Sognare Pandora e dimenticare la terra Pandora è un luogo
meraviglioso, non ci sono dubbi. Così
come le creature che vi abitano, i Na’vi, superumanoidi color blu, molto rassomiglianti nelle vesti e nei comportamenti agli indiani d’America, e ad altri popoli indigeni. Ecco un piccolo riassunto per chi ancora non conosce la storia.
Siamo nell’anno 2154.
Una corporation terrestre vuole andare sul pianeta Pandora per impossessarsi dell’unobtanium, minerale in grado di risolvere i grandi problemi energetici della Terra. Il problema è che questo minerale si trova nel sottosuolo dell’insediamento principale dei Na’vi, i quali non sono assolutamente disposti a spostarsi. Prima
di iniziare la mobilitazione militare, viene assoldato Jake Sully, ex-marine invalido che ha il compito di recarsi su Pandora per carpire informazioni per l’attacco. Ci andrà con un avatar, un ibrido genetico tra umano e Na’vi: attraverso un’interfaccia mentale un uomo può collegare i propri sensi nervosi alla creatura, immedesimandosi e controllandola esattamente come se fosse il proprio corpo. Qui Jake conosce Neytiri, femmina Na’vi di cui si innamora, e le creature viventi di Pandora, con cui i Na’vi hanno un rapporto empatico. Apprende cos’è Eywa, cioè la forza-guida e divinità di Pandora; Eywa mantiene l’ecosistema di Pandora in perfetto equilibrio, ma questo è minacciato dalla forza
Monti Huangshan (Cina orientale). Hanno ispirato le ‘montagne fluttuanti’ di Pandora
distruttrice dei terrestri, che non resistono alla tentazione della guerra…
Lo spettatore guardando
anzi vivendo Avatar viene immerso non in una storia ma in un’esperienza visiva, amplificata al massimo dalla tecnologia 3D, e si trova catapultato a fianco di Jake alla scoperta di scenari immaginifici. C’è una vegetazione rigogliosa di un’estetica sorprendente; dopo averla ammirata è normale essere presi dallo sconforto una volta usciti dal multisala, per avviarsi verso la rigogliosa flora che popola le nostre città: le auto e i parcheggi. Ci sono però diversi aspetti critici: gli ultimi quaranta minuti del film sono davvero noiosi, e la palpebra tende a calare. La narrazione è inesistente, la
sceneggiatura è un surplus di stereotipi: i buoni, i cattivi, la storia d’amore, le prove da superare, la vittoria finale.
Perché questo film
è stato definito dai più un capolavoro? Per la tecnologia 3D?
Cameron non è il primo che la utilizza, nonostante parlando di tecnica c’è poco da obiettare.
Per la trama?
In Avatar si trovano molte ‘citazioni’: Pocahontas, Balla coi lupi, Soldato blu. Si deduce che Avatar non è altro che un western contemporaneo, dove i buoni in questo caso sono i nativi.
Per i personaggi?
È stata utilizzata la tecnologia motion capture, che cattura tramite particolari attrezzature i movimenti dell’attore; i
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Il Don Chisciotte numero 29, marzo 2010 avevamo anche la coda, di cui il coccige ne è l’ultima testimonianza. È inevitabile quindi ammirare la flessuosità, l’abilità e l’armonia dei Na’vi. E le ‘connessioni’ con gli altri esseri viventi? Non è stato certo Cameron il primo a parlare di questi concetti, che esistono da millenni soprattutto nelle religioni orientali. Potrei anche parlarvi di sincronicità e di Jung, osare accennarvi di preveggenza e di telepatia, ma in questo mondo iper-razionale è vietato parlare di tutto ciò che è soprannaturale: è lecito solo credere in Dio (anzi ormai neanche più in quello).
È inoltre importante
dire che per Avatar
sono stati spesi 150 milioni di dollari in promozione e marketing, quindi più computer ne fanno poi un’immagine stilizzata e riproducono digitalmente i suoi movimenti. L’espressività umana quindi è ridotta ai minimi termini, e siamo ben lontani da certi primi piani degli attori del cinema neorealista. Ma quello che mi interessa di più è l’aspetto diciamo antropologico del film.
Questo Pandora è
invidiabile, tanti vorrebbero vivere lì. Ma dov’è Pandora? Esiste davvero? Esiste nelle nostre menti certo, un po’ come un unicorno, o un ippogrifo. Ma vi dirò di più, per me esiste anche qui. Solo che noi non lo vediamo, perché siamo circondati dal Brutto, dalla Macchina e dell’Innaturale. Anche nei cosiddetti paradisi terrestri l’uomo ormai non
ci va più per la Natura, ma per i resort, per i massaggi, per i coktail e l’abbronzatura. Ci siamo
della metà di quanto sia costato il film stesso! Senza questi 150 milioni, avrebbe avuto lo stesso successo? Per chi conosce qualche nozione elementare di marketing, la risposta è ovvia; per gli altri, vi invito a rifletterci su.
scordati che abbiamo creature meravigliose e luoghi forse persino più stupefacenti di Pandora, ma non ce ne rendiamo conto, Molti dicono che Avatar anche perché non è un film anti-imperalista, lo sappiamo! Come o meglio sull’imperialismo riuscire a spiegare la Bellezza? Potrei suggerirvi di andare a Machu Picchu, a Delphi, in India o nella savana africana, ma ci andreste? E la Bellezza degli Umani, come faccio a spiegarvela? Ci siamo ridotti a dei blob viventi, con muscoli atrofizzati perché stiamo seduti otto ore al giorno o anche più davanti a una macchina, con l’olfatto estremamente ridotto, così come altre nostre caratteristiche primitive. In tempi remoti
e le sue dinamiche; lo sostiene Cameron stesso (vedi citazione). Sono in effetti abbastanza palesi i riferimenti in questo senso, ma rimaniamo a un livello di ‘anti-imperialismo’ molto superficiale e narratologico. È un po’ come dire, per contrasto, che il cartone animato Tom e Jerry incita alla violenza.
Spero che Avatar abbia la funzione non di farci dimenticare della Terra per sognare qualcosa
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di irreale, ma di farci acquisire maggiore consapevolezza della sua esistenza e della sua fragilità. È anche vero che il cinema, in quanto ‘settima arte’, come le altre arti non deve avere per forza funzioni, anzi, ma tutto ciò che facciamo ha una conseguenza.
Se la visione di questo film ci spinge solo ad essere depressi per le brutture di questo mondo, la soluzione non è tornare a vedere Avatar e comprare il
videogioco omonimo aspettando Avatar 2. La soluzione è visitare uno dei luoghi magnifici che abbiamo qua, o perlomeno prendere coscienza della loro esistenza, e iniziare a fare qualcosa
affinché la Terra non sia minacciata dalla distruzione totale, evento che Avatar ci ha dipinto come possibile e molto reale.
“Il film è sull’imperialismo, nel senso che l’umanità ha sempre funzionato così: chi ha forza militare o tecnologica tende a sfruttare o distruggere chi è più debole, in genere per prendergli le risorse. Oggi siamo in un secolo in cui dovremo combattere sempre di più per sempre meno risorse. La popolazione non cala, il petrolio sta finendo, e non abbiamo un Piano B per l’energia, malgrado gli sforzi di Obama sulle energie alternative.” James Cameron “C’è un solo modo per vedere realizzati i propri sogni: svegliarsi.” Paul Valèry
Società
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il patrimonio dell’umanità non è in vendita Analisi del testo d’iscrizione del centro storico di San Marino nei “patrimoni dell’umanità” di Riccardo Castelli UNESCO è una sigla che sta per “Organizzazione delle Nazioni Unite per l’ Educazione, la Scienza e la Cultura”, un ente che opera al fine di favorire lo scambio educativo, scientifico e culturale dai suoi 60 uffici sparsi in tutto il mondo. Tra le sue attività c’ è la redazione della lista dei “patrimoni dell’umanità” (World Heritage List), ossia una elenco di siti che ricoprono un ruolo eminente sotto il profilo naturalistico e devono ricevere una particolare tutela dal momento che rappresentano un bene comune: questa azione di salvaguardia è monitorata dalla Convenzione sul Patrimonio dell’Umanità. Secondo la Convenzione,
per “patrimonio culturale” si intende un “monumento, un gruppo di edifici o un sito di valore storico, estetico, archeologico, scientifico, etnologico o antropologico”. Il “patrimonio naturale”, invece, indica rilevanti “caratteristiche fisiche, biologiche e geologiche, nonché l’habitat di specie animali e vegetali in pericolo e aree di particolare valore scientifico ed estetico”. “Il Patrimonio” si legge nel sito italiano dell’UNESCO “rappresenta l’eredità del passato di cui noi oggi beneficiamo e che trasmettiamo alle generazioni future”. Il 7 Luglio 2008 il centro storico di San Marino è stato iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale con
es. di scempio del patrimonio: antenne dentro la GUAITA
Vista aerea della Cesta us
una dichiarazione che recita, tra l’ altro: ”San Marino e il Monte Titano costituiscono una testimonianza eccezionale dell’istituzione di una democrazia rappresentativa fondata sull’autonomia civica e l’autogoverno, avendo esercitato con una continuità unica e senza interruzione il ruolo di capitale di una repubblica indipendente dal XIII secolo. San Marino è una testimonianza eccezionale di una tradizione culturale vivente che perdura da settecento anni”. “Le mura difensive e il centro storico hanno subito modifiche nel tempo, comportando un intensivo restauro e una ricostruzione tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX secolo – processo che può essere considerato come parte integrante della storia del bene e che riflette gli approcci in mutamento della conservazione e della valorizzazione del patrimonio nel tempo”. “I lavori di restauro e di ricostruzione realizzati da Gino Zani possono essere considerati come
parte integrante della storia del bene e valutati in quanto applicazione dei principi teorici provenienti dal Movimento Romantico di restauro. Nel presente caso, l’idea di «medievalizzazione» del centro storico può essere considerata come un’espressione dell’identità nazionale ricercata attraverso un’immagine idealizzata del centro storico”. L’ UNESCO ci dice anche, però, che tale nostro patrimonio corre un serio rischio, ed indica le misure da adottare facendo una precisa richiesta al Governo. “La protezione del bene è appropriata ma bisognerebbe introdurre numerosi strumenti di protezione giuridica e strumenti giuridici più specifici per la protezione del patrimonio costruito e del paesaggio circostante (...) “a) Attuare la protezione giuridica conformemente a quanto prescritto; b) Controllare gli effetti negativi potenziali provenienti dalle pressioni turistiche sugli elementi materiali del patrimonio, ivi compresi l’uso degli edi-
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rassegna
Cos’è successo in questo strano paese il mese scorso 1 febbraio
sata dal sito UNESCO
fici esistenti e l’eccesso di attività commerciali; c) Migliorare e finalizzare il sistema di monitoraggio, individuando una serie più esaustiva di indicatori chiave associati ai valori, all’integrità e all’autenticità del bene...” I nuovi strumenti urbanistici dovranno venire incontro a queste richieste, facendo in modo che la vocazione turistica del centro di Città non diventi la tomba del senso di appartenenza storica dei suoi abitanti. In altre parole il rischio è che si assista, contemporaneamente ad una ripresa economica che tutti ci auguriamo, alla perdita di caratteri storici o ambientali, ultimi legami con le nostre radici, che ci ricordano che la forza di un buon Governo sta anche nell’offrire, anzi nel restituire luoghi pubblici ai cittadini, i quali devono potervi accedere senza distinzione di reddito o di peso sociale, per riscoprirsi parte di una collettività, sia che si tratti di una piccola piazza, sia che si tratti di un luogo da cui ammirare un bosco abbarbicato ad una rupe, sia che si tratti di un semplice riparo.
La procura di Rimini indaga Gabriele Gatti. Il pm vuole sapere se e a che titolo Gatti fosse al corrente di una valigetta di Uranio transitata nel 2006 a San Marino. Che spy story! Pubblicata delibera che riconosce responsabilità nell’inchiesta “licenzopoli” (presunta corruzione di agenti in cambio di licenze). Come sempre nella “patria della libertà” non c’è alcun nome di responsabile. è la solita ipocrisia governativa: li sappiamo tutti!
3 febbraio
Tremonti dice che San Marino non è virtuoso in tema antiriciclaggio. Sarà perché la RSM è l’unica in europa a non aderire alla GRECO? Ah, no… dimenticavo: è la solita invidia!
4 febbraio
Per contenere i costi della PA ogni assunzione dovrà avere il nulla osta del governo. Scommetto che la spesa aumenterà alla faccia della tutela sociale?
5 febbraio
Su “indicazione” del Congresso di Stato, Banca Centrale rimuove Caringi da responsabile della vigilanza. Che stesse controllando sul serio?
9 febbraio
La difesa chiede archiviazione per il caso “Biagioli” (indagine sull’ex colonnello della Gendarmeria Marcello Biagioli e il figlio Carlo per la presunta falsificazione di un foglio di servizio che avrebbe coperto la banda della magliana. Secondo l’avv. Burgagni è stato
violato il giusto processo.
10 febbraio
Il presidente Bossone e il coordinatore vigilanza di Banca Centrale Papi si dimettono, in seguito alla rimozione di Caringi, denunciando pressioni politiche e ingerenze per addomesticare i controlli.
13 febbraio
Marco Podeschi denuncia in tribunale www.giornale.ms, che opera in maniera anonima da Panama, noto paradiso fiscale.
14 febbraio
Augusto Gasperoni, di SU, propone immunità per i politici degli ultimi venti anni a patto che si dimettano. Non sarebbe meglio farli dimettere e indagarli?
15 febbraio
Con delibera 17 del 18 gennaio lo Stato impegna 350.000 euro per pagare i carburanti della PA. Strano abbiano bocciato l’istanza del 2008 con cui chiedevamo la sostituzione di auto pubbliche con auto a metano, gpl o elettriche.
16 febbraio
Un boss camorrista del clan “Verde” viveva a Rimini, non dichiarava redditi ma girava con bmw x6 e porche cayenne. Targate San Marino, logicamente! Grazie mille al nostro tribunale che non ci fornisce le sentenze per mafia. Il giudice Ceccarini si dimette dal tribunale: non sono stato messo nelle condizioni per lavorare serenamente. Non è che ci siano ingerenze anche
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in tribunale!
18 febbraio
Letta in consiglio la lettera di dimissioni dei vertici di BCSM. Cosa dicono? Boh: in onore alla trasparenza la seduta è stata “segregata”, e i nomi dei segretari coinvolti “criptati”: segretario “alfa” ecc. Gli tira il culo!
20 febbraio
Il PSD svela: “è Gatti il Segretario Alfa”… ma nooo!
21 febbraio
Il segretario Berardi incontra Letizia Moratti (a cui chiede di tenere il discorso di investitura dei reggenti) e Vittoria Brambilla. Un incubo?
22 febbraio
Il Fondo Monetario Internazionale farà controlli annuali e non biennali a San Marino (sorvegliato speciale), e la guardia di finanza controlla i flussi da e per san marino con due autovelox fiscali (nemmeno in Svizzera). Va tutto bene!
24 febbraio:
Rossi, di SU, denuncia che Reggia, il nuovo presidente di Banca centrale, ha legami con una compagnia assicurativa nel cui cda siede la figlia del Segretario Gabriele Gatti. Gatti risponde: vigliacco tirare in ballo i figli! A, beh... allora...
25 febbraio
Scoppia la maxitruffa delle telecomunicazioni che vede conivolti politici (Di Girolamo, del pdl), industriali (il nazifascista Mokbel) e altri 54 imputati, la ‘ndrangheta, telecom sparckle (azionaria al 100% di Telecom Italia-San Marino) e Fastweb. Il gruppo criminale ha fatto transitare denaro sporco (per un totale di 2,2 miliardi di euro) in conti anche di San Marino. Emergono movimenti con 3 banche: Carifin (Carisp), Banca Commerciale Sammarinese e Credito Sammarinese.
Terzo mondo e PVS
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“A scuola di medicina uno degli insegnamenti fondamentali è che il medico deve imparare subito la differenza tra patologia e malattia, e questo discrimine è molto importante: se si cura la malattia, si può guarire realmente, se si cura la complicanza come se fosse una malattia, il paziente muore. Questa è una similitudine per dire che nel mio paese è accaduta la stessa cosa: la malattia è il regime, la complicanza della malattia è il fanatismo. Il regime vuole convincerci in tutti i modi che il fanatismo e l’integralismo siano la malattia da curare, mentre invece sono una conseguenza della malattia” ‘Ala Al-Aswani
palazzo yacoubian Quando un romanzo e la franchezza del suo autore abbattono le differenze di Valentina Quadrelli
Palazzo Yacoubian esiste davvero e Al- Aswani vi aveva stabilito il suo studio dentistico
Il vociare delle donne che preparano la cena nelle loro cucine, i panni stesi ad asciugare sui balconi, i bambini che si rincorrono, gli uomini che tornano a casa dal lavoro e l’odore di cibo che si propaga di piano in piano attraverso la tromba delle scale. E dietro a questa immagine, decine di storie che si snodano rivelando caratteri, umori, passioni e dolori. Potrebbe essere la descrizione di un comunissimo condominio del Sud d’Italia, invece è la scena immaginaria con cui si apre Palazzo Yacoubian, il bellissimo romanzo dell’autore arabo ‘Ala Al-Aswani, pubblicato in Egitto, tra mille difficoltà, appena un anno dopo
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l’11 settembre 2001 e diventato da allora il libro più venduto nel mondo arabo dopo il Corano. Combinando situazioni drammatiche a episodi comici, l’autore egiziano racconta le microstorie degli inquilini di un palazzo nel centro del Cairo: c’è la ragazza giovane e prosperosa costretta a subire le molestie del suo datore di lavoro per mantenere il posto di commessa, c’è il suo fidanzato che sogna un futuro in polizia, negatogli in quanto figlio di misero portiere, e che da giovane mite e pacifico finisce per diventare un kamikaze; c’è il vecchio notabile che compra un posto in politica e il giornalista gay protagonista di una tragica storia d’amore… Con uno sguardo da scienziato sociale, Al-Aswani usa la metafora del palazzo per tracciare i caratteri della società egiziana e per lanciare un forte messaggio di contestazione al regime di Mubarak. Pagina dopo pagina, vengono affrontati i temi più problematici che riguardano il mondo arabo: dalle persecuzioni contro gli omosessuali all’arruolamento dei Kamikaze, dal ruolo della donna, alla corruzione politica; tutto viene analizzato, spiegato e raccontato senza stereotipi o eufemismi. Personalmente, ritengo che Palazzo Yacoubian sia uno dei romanzi più belli che siano mai stati scritti sul Medio Oriente.
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Le vicende personali dei protagonisti, la loro formazione, i sentimenti che provano sono talmente simili ai nostri da cancellare con un colpo di spugna tutte le differenze e i fossati che i media nostrani tentano di costruire. Contemporaneamente, l’abilità narrativa di Al-Aswani ci trascina tra le affollate vie del Cairo rendendoci prima egiziani e poi arabi. In tempi come quelli che stiamo vivendo, dove la paura per il “diverso” (soprattutto se è mussulmano) ci viene instillata fin da bambini, leggere autori come Al-Aswani non è solo importante ma diventa fondamentale. La religione e le tradizioni che differenziano i popoli del mondo non cambiano la natura umana; essa resta identica in qualsiasi parte del mondo. Spegniamo i televisori, chiudiamo la bocca ai mostri urlanti che inveiscono contro tutti dalle foci del Po e apriamo un bel libro. Lasciamo gli scrittori arabi liberi di raccontare i loro paesi, ascoltiamoli senza pregiudizi, lasciamoci contaminare senza paura da una cultura che fa parte di noi più di quanto possiamo immaginare.
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Gli appuntamenti imperdibili del mese di marzo
Lunedì 1 marzo “Sciopero dei migranti”, in diverse piazze italiane, per far capire quanto i migranti siano essenziali per il nostro “benessere”. Per Rimini contattare il referente Brahim Maarad su Facebook nel gruppo “Primo Marzo 2010 Gruppo Rimini” Giovedì 4 marzo Per la rassegna “Pensieri per la sinistra” (Sala del Castello di Serravalle, ore 21.00) Silvia Rodeschini tratterà il tema: “Peter Sloterdijk. Globalizzazione: genealogia ed effetti di un concetto ” Venerdì 5 marzo Per la rassegna “Ritratti d’autore” (Teatro Astra, Misano, ore 21.00) Carlo Sini interpreta: “l’ethica” di Baruch Spinoza Domenica 7 marzo “L’occasione d’oro”, con Elisa Manzaroli. Teatro Titano (RSM) Dal 10 al 14 marzo “Saltimbanco” lo spettacolo della compagnia circo-teatrale più grande: i Cirque du soleil. Adriatic arena, Pesaro Giovedì 11 marzo Per la rassegna “Pensieri per la sinistra” (Sala del Castello di Serravalle, ore 21.00) Franco Berardi tratterà il tema: “Deleuze e Guattari. Che cosa c’è dopo la fine del futuro?” Venerdì 12 marzo Per la rassegna “Ritratti d’autore” (Teatro Astra, Misano, ore 21.00) Umberto Galimberti presenta il suo ultimo libro: “I miti del nostro tempo”
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# gli con i appuntame dispo web link s nti pagin nibili nella ono nostroa “news” d el sito #
ravalle, ore 21.00) Mario Pezzella tratterà il tema: “Guy Debord. Potere politico e società dello spettacolo” Sabato 20 marzo “Psychedelic vampire”, al DNA di Borgo M. (RSM). Dalla new-wave all’electroclash. Domenica 21 marzo Per la rassegna “Ritratti d’autore” (Teatro Astra, Misano, ore 21.00) Erri De Luca interpreta: “Le notti bianche ” di Fedor Dostoievskij Giovedì 18 marzo Per la rassegna “Pensieri per la sinistra” (Sala del Castello di Serravalle, ore 21.00) Gianluca Bonaiuti tratterà il tema: “Karl Marx. No admittance except on business. Sul significato politico di una teoria della società capitalistica ”
Venerdì 26 marzo Per la rassegna “Ritratti d’autore” (Teatro Astra, Misano, ore 21.00) Quirino Principe interpreta: “Il signore degli anelli” di John Ronald Reuel Tolkien Sabato 27 marzo “Welcome to the machine”, musical dedicato ai Pink Floyd. Teatro Carisport, Cesena Giovedì 1 aprile “Cerimonia di investitura dei Capitani Reggenti”, Palazzo pubblico, RSM. Dal 1 al 5 aprile “Paganello” il torneo di frisbee riminese, al bagno 34.
Sabato 13 marzo “Silvio c’è”, con Antonio Cornacchione. Teatro carisport, Cesena
Imperdibili al cinema “Alice in wonderland”,con Johnny Depp. Dal 3 marzo
Giovedì 18 marzo Per la rassegna “Pensieri per la sinistra” (Sala del Castello di Ser-
“Shutter island”, il nuovo capolavoro di Martin Scorsese, col solito Di Caprio. Dal 5 marzo
Ecologia e sostenibilità
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quale futuro per i g.a.s.? Intervista ad Andrea Saroldi, autore nel 2001 di “Gruppi di acquisto solidali” e voce tra le più stimate del movimento gasista di Stefano Palagiano In questi anni, la società nel suo complesso e il mondo dei GAS hanno visto profondi cambiamenti: ho voluto chiedere ad Andrea Saroldi una lettura della situazione attuale e del nuovo ruolo dei GAS in una società caratterizzata da forti contrasti come quella attuale. Nell’intervista parliamo anche della realtà dei DES, ossia i Distretti di Economia Solidale, che sono per molti versi la naturale evoluzione dei GAS: si tratta infatti di circuiti economici a base locale tesi a valorizzare le risorse territoriali secondo criteri di equità sociale e sostenibilità, per la creazione di filiere di produzione-distribuzione-consumo di beni e servizi. Fra i molti aspetti che emergono da questo nostro colloquio, mi sembra doveroso e utile sottolineare la forte carica culturale, sociale e politica della proposta gasista. Ringrazio di nuovo Andrea per l’amichevole disponibilità e vi auguro buona lettura e buona riflessione. D: A distanza di molti anni dalla nascita del primo GAS a Fidenza (1994) e dall’uscita del tuo libro (2001), come è cambiata la situazione generale del mondo GAS? R: Sono cambiate molte cose. Le più rilevanti sono che il mondo dei Gas è continuato a crescere sia come numero che come ambizioni. Nel 2001 i Gas erano censiti erano 50, ora sono 600 e sappiamo che ne esistono all’incirca il doppio in quanto molti Gas non si segnalano. Allo stesso tempo, grazie anche a questa crescita numerica, i Gas stanno allargando il paniere dei prodotti che riescono ad acquistare in gruppo e stanno sviluppando progetti di filiera con rapporti diretti di sostegno tra più Gas ed uno o più produttori del territorio. D: Nel tuo libro parli di 4 domande di fondo poste dalla globalizzazione, le 4 domande non risolte della nostra economia: la domanda di natura, di giustizia, di benessere e di senso.Già allora tracciavi delle risposte. Come valuteresti, ad oggi, le risposte date dai GAS alle criticità dell’economia occidentale? R: A mio modo di vedere, la crescita dei Gas sta proprio nella capacità di fornire delle risposte a queste 4 domande che ci interrogano. Senza pretendere di avere la risposta complessiva, ritengo che su questo nella pratica i Gas stiano effettivamente sperimentando dei pezzi di risposta. Ultimamente i Gas stanno iniziando a parlare nei loro progetti di sovranità alimentare, che indica l’approccio in cui si cercano delle risposte che possano funzionare non solo per i consumatori ma anche per i produttori ed il territorio. D: Come ritieni si possa qualificare, ad oggi, l’apporto dei GAS nella edificazione di un’altra economia? R: La costruzione di un’altra economia ha bisogno di sostenersi sulle proprie forze. In questo i Gas rivestono un ruolo fondamentale in quanto costituiscono la base della domanda che fornisce le gambe per poter avanzare. D’altra parte, in-
serire i Gas in un processo di trasformazione più generale fornisce una prospettiva più ampia in cui l’operato dei Gas acquista dei significati aggiuntivi. D: Che idea ti sei fatto del fermento attuale del mondo GAS? Quali sono le criticità e le sfide attuali? Quali le possibilità di sintesi? R: I Gas sono molto attivi, ma anche per questo – ora che iniziano ad essere conosciuti – sono soggetti a pressioni forti da diverse parti. Molti riversano sui Gas le loro aspettative: i produttori vogliono sapere come fare a vendere ai Gas, i consumatori chiedono quali sono i prezzi, altri sottolineano maggiormente l’aspetto politico. Il pericolo maggiore che vedo è quello che i Gas si richiudano sui loro bisogni perdendo il potenziale di trasformazione sociale che portano, ma mi sembra che per ora questo rischio non si stia correndo. La sintesi invece va costruita insieme agli altri attori del territorio, e questo ci porta al tema delle reti e quindi ai Distretti di Economia Solidale. D: In quale rapporto vedi oggi essere la retegas rispetto ai singoli gruppi di acquisto solidali? Quali sono, o dovrebbero essere, gli apporti reciproci? R: Retegas, rispetto ad altre reti, è un esperimento molto particolare. I soggetti attivi sono i Gas nei loro territori, Retegas è uno strumento di facilitazione della comunicazione e del supporto reciproco tra i Gas. Non esiste un consiglio direttivo di Retegas, e quando più Gas si mettono insieme su di un progetto, come nel caso del tessile o dell’energia, lo fanno in modo spontaneo e mirato al progetto specifico. Per questo è sufficiente che il singolo Gas sia disponibile ad entrare in rete con gli altri, e poi le cose vanno avanti sui singoli progetti nella misura in cui l’interesse è abbastanza forte da trovare le risorse necessarie. D: Uno degli aspetti centrali, distintivi e paradossalmente “controversi” dell’esperienza gas riguarda il concetto di solidale: quali possono essere le rinnovate declinazioni del tema? R: Ultimamente stiamo ereditando dall’America Latina il concetto del benvivere (bem vivir). Per come lo capisco, seguire il benvivere vuol dire cercare nelle proprie azioni il soddisfacimento insieme sia delle nostre esigenze che di quelli ci stanno attorno, degli altri popoli e dell’ambiente. Questa è secondo me il tipo di solidarietà che si cerca di sviluppare nei Gas, l’esatto opposto della ricerca della propria utilità individuale senza relazioni con il resto del mondo ipotizzato dalla teoria economica. D: Un altro aspetto spinoso riguarda il coinvolgimento e il grado di consapevolezza dei singoli e della società in rapporto alla sostanza della proposta etica gasista. A che punto siamo? R: I Gas ed i gasisti con più tempo di pratica alle spalle hanno
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interiorizzato meglio cosa significa la solidarietà per il mondo dei Gas; quelli nuovi sono all’inizio di un cammino che si svolge all’interno del gruppo. Per quanto riguarda la società … potremmo dire per consolarci che non è facile e che abbiamo appena cominciato, ma questo tipo di comunicazione avviene attraverso le relazioni personali. D: Quale senso sta assumendo l’iniziativa politica e territoriale dei GAS? In termini di democrazia dal basso, quale ruolo stanno giuocando e possono svolgere i GAS? R: Questo è un tema abbastanza nuovo su cui alcuni gruppi stanno iniziando a muoversi e su cui è iniziato il confronto. Un esempio importante è la lista civica “Intesa Solidale” che si è presentata alle elezioni per il Comune di Caltanissetta, riuscendo ad eleggere due consiglieri. In questo caso la lista è nata nell’ambiente del Gas di Caltanissetta, ma ha comunque una sua indipendenza ed autonomia rispetto al Gas. Mi sembra un buon modo di agire, ma la strada è ancora molto lunga. D: Altro cardine dell’esperienza gasista è la valorizzazione delle relazioni e della convivialità: alla luce delle dimensioni dei diversi GAS, e del fatto che alcuni di essi poggiano su numeri consistenti di persone, come si può oggi approcciare il tema delle relazioni? Quale tipo di rapporti personali e sociali si stanno sviluppando? R: Il Gas “da manuale” non supera un numero di persone che consente di conoscersi, intorno alle 25-30 famiglie, e quando cresce si divide gemmando un nuovo Gas con cui tiene dei rapporti e magari fa anche alcuni ordini insieme. Esistono però dei Gas più grandi, alcuni enormi, ma spesso sono organizzati Andrea Saroldi in sottogruppi appunto per non perdere questa dimensione conviviale. Questo è un punto importante da tenere presente, in effetti i Gas molto grandi rischiano di perdere l’aspetto delle relazioni per privilegiare l’aspetto organizzativo, e questo è un rischio. D: Come si rapportano o dovrebbero rapportarsi i GAS alla drammatica crisi economica e sociale che stiamo vivendo? R: Su questo aspetto i Gas sono molto sollecitati, e non è facile trovare delle risposte. Molti vedono nei Gas solo un modo per risparmiare, ma i Gas non vogliono il risparmio a tutti i costi, non sulla pelle dei produttori. Credo che la risposta più corretta che i Gas possono dare sia mostrare come questo modo di acquistare aumenti i posti di lavoro “buono”, privilegiando il lavoro rispetto agli investimenti lungo la filiera produttiva. Anche qui, sul tema del lavoro, incontriamo necessariamente la prospettiva dei Distretti di Economia Solidale come costruzione di una rete locale in cui poter fornire possibilità di lavoro sostenuti dalle richieste dei consumatori organizzati. D: Come stanno affrontando i GAS i temi del lavoro?
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Quali risposte stanno dando alle domande, sempre più incalzanti, di giustizia sociale? Dove ritieni si possa migliorare? R: I Gas si interrogano sulle condizioni di lavoro lungo tutta la filiera, sostenendo in questo modo i diritti di base dei lavoratori. Fa’ impressione che nei mass media, parlando ad esempio dei fatti di Rosarno, si eviti di dire che gli agrumi raccolti con lo sfruttamento sono quelli che troviamo negli scaffali dei nostri supermercati. Su questo punto però c’è ancora da fare, perché spesso il consumatore cittadino non ha idea di cosa sia il lavoro nei campi e dei suoi problemi. Per questo sono interessanti gli esperimenti di progettazione comune e condivisione tra produttori e consumatori, che assumono in questo modo il ruolo di “co-produttori”. D: In vista del prossimo convegno GAS/DES, facciamo il punto della situazione sui rapporti tra queste due realtà... R: Il legame tra Gas e Des si sta stringendo sempre di più, per cui è naturale che si incontrino. I Gas ed i Des hanno in un certo senso bisogno l’uno dell’altro. Per questo motivo il prossimo convegno sarà insieme, a giugno 2010 in Lombardia, ed uno dei temi sarà proprio come aggregare la “volatilità” dei Gas su progetti che hanno bisogno di basi stabili per sostenersi. D: Particolarmente in un’ottica di rete, come guardano al futuro i GAS? Come valuti, sinteticamente, la situazione? In cosa si potrebbe migliorare? R: Nonostante gli anni e la crescita numerica, fino ad oggi i Gas mantengono un riferimento molto alto ai valori di partenza e alla capacità di intervenire sul proprio territorio. Alcuni fattori hanno favorito questo, in particolare la crescita avvenuta attraverso il moltiplicarsi delle esperienze senza la creazione di una struttura centrale. Questa scelta è stata a mio modo di vedere un punto di forza su diversi fattori, ma su altri aspetti è un po’ un limite; mi riferisco in particolare alla comunicazione. Come sia possibile comunicare a partire da una rete diffusa e senza rappresentanze, questa è già una bella sfida che i Gas si trovano ad affrontare, ma la sfida più impegnativa è naturalmente quella di trasformare l’economia, non per l’economia in sé ma per i rapporti che genera tra le persone. Stiamo quindi parlando di un movimento che vuole intervenire in ambito sociale, ed è lì che si deve verificare la sua efficacia. La nostra società sta cambiando, ed il modello economico su cui si è sviluppata non è in grado di reggere le sfide che il futuro ci pone (in particolare il superamento del picco del petrolio ed i cambiamenti climatici). Saremo quindi per forza obbligati a passare ad un sistema economico diverso. L’efficacia del movimento dell’economia solidale, non solo dei Gas, si misurerà da questo, da quanto sarà conflittuale o cooperativo il prossimo sistema economico.
Laicità e uguaglianza
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Sopra di noi niente a cura di Andrea Mina
libertà è responsabilità Prospettive del nascituro comitato di bioetica sammarinese
In Consiglio hanno discusso le normative che prevedono l’istituzione di un comitato di bioetica sammarinese. Alcuni consiglieri hanno fatto degli interventi agghiaccianti. Sembra proprio che non sappiano di cosa stanno parlando! Quando devono approcciarsi a questioni scientifiche la loro semplice mente genera mostri come l’eugenetica, Mengele, clonazione e manipolazioni genetiche varie degne di film di serie B, C o inferiore. Sinceramente non immagino da dove attinga la loro fervida immaginazione ma si sa, la fantasia non ha limiti specie se ispirata dal terrore e dall’ignoto. Un comitato di bioetica è un organismo molto importante per ogni paese civile e devo rendere merito alla classe politica del conseguimento di questo importante traguardo anche se, come alle olimpiadi, San Marino purtroppo non arriva mai tra i primi. Ma accontentiamoci, proprio come per i nostri olimpionici, l’importante è arrivare e poi, magari, tenere dietro quelli di Andorra. Il ventesimo secolo è stato denso di scoperte scientifiche con importanti ripercussioni sulla medicina e sull’uomo. La scoperta e la decodifica del DNA hanno aperto incredibili possibili-
tà lasciando intravedere cure a malattie che fino a pochi anni fa erano vere e proprie sentenze di morte. Concetti come vita e morte, un tempo ben distinguibili ora sono evanescenti e poco definiti ed ognuno cerca di fissare il proprio picchetto su questa frana che si è staccata dal solido monte delle vecchie verità. In questo contesto l’istituzione di un organismo che si esprima su questioni delicate come fine vita, procreazione e cure genetiche è imprescindibile e sono contento che anche la mia Repubblica si sia dotata di questo importante strumento. Ma cosa dovrà fare e come dovrà essere questo organismo? Auspico che questa istituzione sia trasversale ed indipendente anche se devo riscontrare che i presupposti sono pessimi: questo è un paese dove alfa, beta ed altri pochi termini noti si svegliano la mattina e decidono di scardinare la dirigenza della banca più importante del paese; figuriamoci cosa potrebbe accadere ad un manipolo di filosofi, scienziati e teologi che parlano di cellule staminali, morfina ed organi congelati. Spero inoltre che il Comitato di Bioetica consenta a San Marino di abbandonare l’ipocrisia che lo ha caratterizzato fino ad ora. Ipocrisia come il divieto di aborto che sì, salverà le apparenze, ma facilmente eludibile: con poche ore di macchina si può raggiungere una qualsiasi clinica privata italiana nella quale accedere a questa pratica. Mi auguro inoltre che si mantenga, almeno in questo campo, un barlume di sovranità senza cedere anche le
questioni di bioetica alla vicina Italia captando quelle istanze liberticide che vanno di moda nel “Ben Paese”: il paese dei benpensanti. Il contesto geografico in cui ci troviamo impone che le nostre leggi vadano verso una maggior libertà del cittadino sammarinese rispetto a quella del nostro vicino italiano in quanto ogni restrizione sarebbe ipocrita proprio perché facilmente eludibile come per quei ragazzini che, per evitare le pesanti pene sammarinesi, si vanno a fare le canne a Cerasolo. In quest’ottica vorrei che i membri del comitato siano nostri concittadini: sammarinesi che decidono per i sammarinesi, e, in quanto tali, coinvolti nelle loro stesse scelte. Gaber diceva che libertà è partecipazione, si potrebbe proseguire il ragionamento con: partecipazione è responsabilità. Confido che anche i futuri componenti del Comitato la pensino così e non si facciano guidare da visioni fideistiche di alcun genere. Tradurre un peccato in legge crea ignoranza ed inconsapevolezza mentre il consentire, nell’ambito di strutture legislative ben formate, alcune pratiche come la procreazione assistita, l’aborto, l’eutanasia e la somministrazione di sostanze stupefacenti mette ogni cittadino nelle condizioni di decidere ciò che per lui o lei è più opportuno. Ricordiamo inoltre che le persone che, loro malgrado, devono confrontarsi con queste tematiche stanno sicuramente vivendo momenti molto difficili e sarebbe sicuramente di immenso aiuto sentire uno Stato che non li giudica ma che li accompagni concretamente nel loro percorso quale esso sia.