numero 38 - gennaio 2011
il valore del rifiuto Cambiare parole per cambiare pensiero
Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Stampa periodica - autorizzazione n. 1042 del 11. 09. 09 Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Direzione generale PP. TT della Rep. di San Marino Stampa periodica - autorizzazione n. 1042 del 11. 09. 09 (Associazione Culturale Don Chisciotte Direzione generale PP. TT della Rep. di San Marino Via Ca' Giannino, 24 - 47895 - Domagnano) (Associazione Culturale Don Chisciotte Via Ca' Giannino, 24 - 47895 - Domagnano)
la pagina di oasiverde Sommario
Rubriche
La nostra società dello spettacolo
numero Numero 33 38 L’editoriale 10
Un potere economico-statale che ammicca alle mafie
Es... cogitando di Roberto Ciavatta Buon natale E adesso?
G.A.S. di Stefano Palagiano Istintualità tra archetipo e mitologia
12 Pare d’obbligo iniziare questo 14
La figura del Dio Pan
Appunti di psicologia di Davide Tagliasacchi Il gattopardo
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Recensione del classico di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
L’Ippogrifo di Angelica Bezziccari
L’autogestita
2011 di queste oasi
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Riassunto di attività e progetti di Oasiverde
Pagina autogestita da Oasiverde
Articoli
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Il valore del rifiuto Cambiare parole per cambiare pensiero
editoriale rivolgendo ai lettori i migliori auguri per un buon 2011, sperando possa essere migliore dell’anno appena concluso, anche se gli analisti paiono pressoché compatti nel ritenere che la crisi che ci ha colpiti nel 2008 (che più volte ci hanno detto “essere superata”) si protrarrà con esiti ancor più sensibili l’anno prossimo, come emerso nel
il valore del rifiuto
4 di Angelica Bezziccari
Poiché il potere tace preferibilmente la verità di Jack Sparrow à
La semantica è la scienza che stu-
a questo principio la comunicazio-
parola ha il suo significato, per questo quando scriviamo “gatto” abbiamo in mente quell’essere a quattro zampe che conosciamo. Quest’ associazione, necessaria e fondamentale per comunicare tra due o più persone, è alla base di tutto: io uso parole sapendo che se dico “gatto” il mio interlocutore intende “gatto” e non cane. In base
cesso è abbastanza semplice e comune per parole concrete, oggi sta diventando molto più difficile intendersi sulle parole astratte. Se io dico “politica” ad esempio, a ognuno verrà in mente qualcosa di diverso: a qualcuno verranno in mente i partiti, a qualcun altro gli interessi economici di chi la fa, ad altri ancora quelle persone sedute in parlamento ma…ma io intendo “arte di governare una città, una nazione” ovvero il suo significato etimologico. Un’arte! A qualcuno è venuto in mente? L’etimologia, lo studio dell’origine delle parole (dal greco ètymon = “vero, reale, intimo significato della parola”) è molto importante per capire di cosa stiamo parlando, perché spesso non lo sappiamo, o meglio ormai non lo sappiamo più. Ecco che per questo mi accingo ad analizzare una parola abusata e mal utilizzata di questi
8 dia il significato delle parole. Ogni ne può esistere. Se questo pro-
L’uomo che diceva l’indispensabile Racconto breve
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Lettera di una lettrice
di T. F. L’AFORISMA DEL MESE
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Redazione
DIRETTORE RESPONSABILE: Roberto Ciavatta editing: Angelica Bezziccari GRAPHIC DESIGN: Luca Zonzini (lostilosodesign@gmail.com) TEL: 0549. 878270 / MAIL: ass.donchisciotte@omniway.sm SITO WEB: www.associazionedonchisciotte.org COLLABORATORI : Marco Canarezza, Riccardo Castelli, Oasiverde, Stefano Palagiano, Davide Tagliasacchi
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“Altrementi festival 2010” dedicato alla crisi. L’augurio migliore, quindi, che rivolgiamo a noi tutti, è che l’amministrazione pubblica si renda conto della necessità di tagliare sì le spese, ma non più con interventi a pioggia, che colpendo tutti indiscriminatamente non fanno che peggiorare progressivamente le condizioni dei più deboli, quelli che di margine non ne
Cambiare parole per cambiare pensiero
di Angelica Bezziccari Nessuna notizia dal ministero della repressione
di Riccardo Castelli Bisogna Cambiare Mentalità
Che 2011 ci attende?
Paul Connett
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appunti di psiCologia Attualità
numero Numero 3833 hanno più granché. Un auspicio non da poco, che comprende l’azzeramento di spese investite con l’unico scopo apparente di fare “bella mostra di sé” (con i soldi spesi per le luci natalizie e i mercatini si sarebbe potuta costruire l’ala di un asilo pubblico, ad esempio), e contemporaneamente il coraggio e la lungimiranza di promuovere un processo di decrescita, unica chanche per affrontare nel medio e lungo periodo una crisi che non potrà che aggravarsi se si continuerà a rincorrere la crescita e lo sviluppo in maniera autoreferenziale, posponendo ad esse ogni considerazione sul benessere psico-fisico e relazionale della comunità che si governa. La speranza, in breve, che ci si proponga intelligentemente di superare le aporie
cui ha condotto il miraggio ideologico della crescita infinita in un mondo finito, sottomettendo ai propri dogmi ideologici l’intero mondo con il processo di globalizzazione che ne è conseguito, che ha fagocitato biodiversità e originalità culturali, anime, strutture sociali e produttive. La gobalizzazione, contro cui dai vari territori globali si alzano voci alternative, dalla transizione alla decrescita, sarà il tema del prossimo Altrementi festival, dal 18 al 20 febbraio prossimi. Un festival da cui apprendere, come l’anno scorso, qualche strategia e concezione civica preziosa per prepararci al mondo che vivremo domani e lasceremo ai nostri figli. Se come un fardello o come una speranza spetterà solo a noi decretarlo! R.C.
tempi: “rifiuto”. Cosa viene in le c’è un processo di tipo lineamente? Probabilmente la monre e non circolare come quello Cerca “Paul ti u nezza, Napoli, le discariche, della natura. Estrazione delle ifi R tt e n n Co il bidone di casa. Bene… ora materie prime, trasformazione Zero” su andiamo ad analizzare la parola (assemblaggio e produzione), YouTube per che significa etimologicamente commercializzazione, utilizzo iù” (consumo), e infine “rifiuto”. “un atto di diniego e disconoscisaperne di p mento”, “gettare dietro”, qualcosa La Stategia Rifiuti Zero invece che non si vuole più. È tutto qui il concetto: è la suggerisce che i rifiuti dovrebbero essere pennostra volontà a fare di un oggetto un rifiu- sati come una “potenziale risorsa”. Per questo to, non le sue caratteristiche intrinseche. obiettivo occorrono tre elementi: E’ luogo comune definire rifiuto un qualcosa di 1. responsabilità industriale (a monte); 2. repuzzolente, inutile, rotto. No, siamo noi a de- sponsabilità della comunità (a valle); 3. una cidere cosa è rifiuto e cosa non lo è. Una volta buona leadership politica (per saldare insieme si può dire che non esistevano i rifiuti. Ora in- le due cose). vece ne creiamo milioni di tonnellate. Abbia- Questa strategia è già stata adottata in diversi mo deciso che molte cose sono rifiuti, troppe, luoghi del mondo. Su tutti c’è l’esempio di San e così per decenni gli uomini hanno riempito Francisco (USA): 850 mila abitanti (come Gediscariche e costruito inceneritori. È giunto il nova circa). Ebbene, nel 2000 differenziava il momento di ritornare a riflettere sul significato 50%, nel 2008 oltre il 70%. E per il 2020? Il di “rifiuto” e pensare che se è la nostra volontà 100%! Questo grazie anche a incentivi econoa rendere qualcosa rifiuto potenzialmente se mici che funzionano bene. Molte industrie in noi non consideriamo niente come “rifiuto” e tutto il mondo hanno internalizzato il costo detutto come “risorsa” i cosiddetti “rifiuti” spari- gli imballaggi, creando anche migliaia di nuovi rebbero! Ragionamento da poveri utopisti? posti di lavoro. Questa scelta ha permesso alle No. Rifiuti Zero (Zero Waste) è un progetto aziende di abbassare il costo dei prodotti che ideato da Paul Connett, biochimico, ambien- producono, creando i presupposti per notevoli talista di fama internazionale, docente di Chi- risparmi per i cittadini. Ad esempio un’industria mica Ambientale alla St. Lawrence University che produce macchine fotocopiatrici, la Xerox, di New York, studioso della gestione dei rifiuti recupera le vecchie macchine dismesse o non da più di 22 anni. Questa strategia suggerisce funzionanti da tutto il mondo per poterle smonche il concetto di rifiuto deve essere elimi- tare in enormi depositi e poterne recuperare nato in quanto la natura è un sistema in equi- oltre 95% dei materiali i quali sono riutilizzati librio: quello che si presenta come scarto di o riciclati per le future macchine fotocopiatrici, una pianta o di un animale diventa cibo per un con un risparmio di 76 milioni di dollari ottenuti altro organismo vivente. Noi umani abbiamo per il solo anno del 2000. La vendita di prodimenticato che siamo parte della natura stes- dotti sfusi, quali detersivi, shampoo e acqua, sa, infatti alla base della produzione industria- permette di avere meno bottiglie e contenitori
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di plastica in giro. Il riutilizzo di bottiglie a rendere permette di recuperare la quasi totalità delle bottiglie (98% circa) senza costi per i cittadini, visto che se ne occupa l’industria da sola. Infine, con il riuso e il riciclo si può ottenere quattro volte più energia dagli stessi materiali anziché bruciarli in un inceneritore. L’incenerimento è una presa per i fondelli. In primo luogo si devono investire milioni e milioni di euro in un solo complicato macchinario che porta pochissimi posti di lavoro. Ci sono alternative che creano molti posti di lavoro, molte piccole imprese e il denaro resta nella comunità. Gli inceneritori risultano essere veramente un pessimo investimento economico. In secondo luogo, parlano di termovalorizzazione energetica quando in realtà sprecano solamente energia. Quando si bruciano tre tonnellate di rifiuti, si produce una tonnellata di cenere tossica che non vuole nessuno. Per fare un esempio, la pulitissima Danimarca spedisce questi rifiuti in Norvegia. In Italia ci sono 600 comunità che riciclano più del 50%, altre più del 60, 70 e 80%. Capannori (vicino Lucca) è stato il primo Comune italiano nel febbraio 2007 ad aderire alla strategia Rifiuti Zero con il risultato dell’65% di raccolta differenziata. Visti questi numeri: San Marino potrebbe tranquillamente essere il primo stato al mondo a diventare totalmente a Rifiuti Zero. Se guardiamo ai tre elementi necessari per fare ciò, ogni lettore di questo articolo rappresenta ragionevolmente un terzo della parte necessaria. Se il lettore è anche imprenditore, rappresenta 2/3. Se il lettore è un imprenditore e un politico, rappresenta tutti e tre gli elementi per portare San Marino a essere un paese a Rifiuti Zero.
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la pagina di oasiverde Società Il concetto di segretezza permea la cultura occidentale. Le informazioni, a volte malvagie a volte nobili, sono destinate – secondo i nostri statuti – a essere maneggiate da una valida élite, ma non dalla gente comune che si ritiene incompetente. Stando a quello che dicono alcuni, il mondo sta bene perché è sotto controllo. Il fatto taciuto, però, è che sembra di essere in guerra, ove occorre mantenere il silenzio per scongiurare il nemico. Leggete i giornali, ascoltate la tv, discutete; sapete molto, ma non sapete ciò che serve. Andate a lavorare, faticate in cambio di pochi o molti soldi, poi tornate a casa e qualcuno vi offre una versione apparentemente coerente dei fatti che vi circondano. Occorre capire che qualsiasi Ministero che si occupa degli Affari Interni non opera solamente per gli interessi di una collettività, ma per mantenere gli interessi di una limitata cerchia di persone in affari. Esistono organismi sovra-governativi che, accettati serenamente nell’ignoranza del lavoro dietro la facciata, fanno pressione col loro strapotere politico\ economico affinché i Governi approvino o non approvino leggi per agevolare il business e il privilegio. Il punto nodale non sta tanto nelle ovvie conseguenze economiche di tale opzione (l’arricchimento di una parte a sfavore di un’altra), ma nel suo significato, che è inesistente. A cosa serve produrre sempre più beni, più energia, se nemmeno chi ordina tutto ciò soddisfa la sua fame nervosa? Chi ama possedere ricchezze non s’interessa molto di ridistribuirle; chi ama possedere prende ciò che può per metterlo in un deposito privato e inaccessibile; una cosa che si chiama avidità patologica. Da un punto di vista comunicativo l’avidità si
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nessuna notizia dal ministero della repressione Poiché il potere tace preferibilmente la verità di Jack Sparrow esprime per l’appunto col non dare informazioni di sé o di ciò che riguarda sé (una sorta di pudore). Sapere è Potere, e dev’essere anche per questa ragione che in Italia – secondo Freedom House è al 72° posto al mondo per la libertà di informazione – sussiste un Albo dei Giornalisti che fa una prima selezione dei futuri confidenti. Così come chi dà le notizie non fa (o non può fare)
informazione, limitandosi a riferire nozioni che formeranno l’opinione pubblica in un certo modo, colui che fa le leggi non le fa per tutela della collettività, ma per CONTROLLARE la collettività e spesso -guardate il caso dell’inefficienza dell’amministrazione pubblica- la tecnica più utilizzata è la burocratizzazione. Queste sono tutte argomentazioni che si rincorrono negli
angoli polverosi, non sfiorano i canali ufficiali, canonici, poiché la bolla della faziosità ha marchiato l’informazione libera. Recentemente un sito d’informazione medica, che documentava come vi sia un legame tra leucemie infantili, inquinamento e\o somministrazione di Calcio, è stato messo sotto attacco degli hacker e costretto parzialmente al silenzio: si tratta di eurosalus.com e tro-
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appunti di psiCologia Società
numero Numero 3833 verete alcune informazioni al seguente link: www.eurosalus. com/index.php?option=com_ content&task=view&id=2643&I temid=1. Allo stesso tipo di bombardamento informatico è stato sottoposto il ben più noto Wikileaks, nei giorni successivi alla pubblicazione di certi scottanti dispacci. Va curiosamente sottolineato che Julian Assange, uno dei promotori di Wikileaks, non è stato arrestato per aver rivelato informazioni riservate, ma per stupro. Il reato contestato ad Assange non era relativo a uno stupro vero e proprio, ma solamente al fatto di aver intrattenuto rapporti sessuali consenzienti, ma senza profilattico. Poiché tale pratica costituisce reato solo in Svezia, Assange si è costituito proprio in Svezia, per poi essere anche assolto. La signora Hillary Rodham Clinton (67° Segretario di Stato degli Stati Uniti) ha detto che uno come Assange costituisce una minaccia alla sicurezza mondiale, e per questa ragione lo vorrebbe estradato. Obama e il resto del mondo “progredito” hanno fatto quadrato attorno all’opinione della Clinton. Ebbene, di quale sicurezza nazionale sta parlando la signora Hillary quando il suo Paese è notoriamente bugiardo in merito alle sue reali intenzioni di politica estera? Non sfugge il dettaglio che le multinazionali americane (ma anche quelle europee) fanno grandi affari soprattutto nei paesi sottosviluppati o a regime dittatoriale (come gli Emirati Arabi, la Libia o il Congo). Siamo tutti in guerra, una guerra tiepida, fatta di parole dette e non dette, una guerra che da qualche parte, lontano dal cortile di casa nostra, miete le vite dei nostri simili. La superficialità morale dello stile di vita occidentale sta divorando il pianeta dietro la
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spinta mercantile che ha fatto di qualsiasi bene, di qualsiasi nazione, un oggetto commerciale. Ultima scempiaggine – locale, interna al territorio che abitiamo – sarà il nucleare made in italy. Dopo la sbocchevole propaganda del governo italiano, dopo aver quasi commissariato i comuni che dovranno ospitare le centrali, è la volta della comunicazione subliminale che si preoccupa delle opinioni dei cittadini. Da qualche tempo passa uno spot in tv che mostra un giocatore di scacchi che s’interroga sul fare o non fare la centrale nucleare. Promosso dal Ministero degli Interni, lo spot instilla qualche dubbio nella psiche dell’italiano medio e suggerisce implicitamente ad accettare il nucleare. Lo fa mettendo in conflitto il giocatore di scacchi (che rappresenta il cittadino medio), il quale gioca contro sé stesso. Lo spot manipolatore non illustra nessun serio contraddittorio, mostra un presunto dialogo psichico che serve a trarre una sola conclusione: le obiezioni contro il nucleare generano un fastidioso conflitto interiore, del quale è meglio liberarsi. Siamo in guerra, divisi tra quello che abbiamo e quello che saremo. Le vostre scelte determineranno la qualità del vostro futuro e dovrete rimboccarvi le maniche se non volete che l’ignoranza volontaria a cui siete assoggettati diventi patologica. Viene da chiedersi a che scopo comprendere come stanno le cose, quando il meccanismo è così “perfetto” che sarà difficilissimo cambiarlo; ma c’è una scala, il cui primo gradino per l’emancipazione consiste nella demistificazione, nel rendere manifesto, mostrare il reale e non il falso… poi c’è un secondo gradino, che è quella cosa che si chiama libero arbitrio.
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la La pagina pagina didiOoasiverde asiverde
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Stella. A sinistra durante la malattia, a destra guarita
2011 di queste Oasi Breve riassunto di attività e progetti che Oasiverde ha portato avanti nell’anno appena trascorso In questo primo articolo dell’anno cercheremo di riassumere ciò che Oasiverde ha realizzato nel 2010. Questo non per la volontà di dare dimostrazione del nostro attivismo, infatti basterebbe visitare l’Oasi ed i suoi cambiamenti per rendersene conto. Il fatto è che la realtà di Oasiverde non si colloca all’interno di categorie quali fattorie didattiche, agriturismi, aziende agricole… tutte realtà riconosciute a livello statale ed istituzionale e perciò aventi accesso a richieste e fondi statali appositamente elargiti. Oasiverde non è parte di tutto questo, non è una realtà precostituita ma è innanzitutto un progetto. Questo progetto si concretizza grazie alla forte determinazione dei suoi attivisti, il cui scopo primario è la salvaguardia di una delle poche aree verdi rimaste in Repubblica e la creazione di un rapporto integrato con l’uomo. Spesso chi visita l’Oasi per la prima volta pone delle domande del tipo: chi vi finanzia? A chi appartiene? Quando costruite i bungalow? Molti vedono solo l’investimento economico, pochi quello fisico, energetico e mentale, quasi nessuno si chiede cosa sia in realtà Oasiverde. Questo perché a San Marino si è ben abituati al fatto che nessuno fa niente per niente, che ogni cosa che si suol chiamare “benefica” esiste per secondi fini utilitaristici, è un paese in cui si insegna ai giovani che non vale il sacrificio, figuriamoci il sacrificio gratuito! Oasiverde esiste per fornire un esempio concreto che dimostri che le cose possono invece essere diverse, che non tanto “il giro di denaro” e non solo ciò che crea “business” hanno la facoltà e la potenza di imprimere nelle persone un cambiamento; soprattutto l’investimento di energie da parte di persone
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che con tenacia portano avanti quei valori che coi soldi hanno davvero poco a che fare, hanno questa potenza. Se noi possiamo investire il nostro denaro derivante da un lavoro che è esterno all’Oasi, se mettiamo al servizio di questo progetto oltre ai soldi tutte le nostre energie e tempo libero tanto da negarci il piacere di una vita privata, se persone competenti mettono il proprio lavoro (generalmente ben pagato) gratuitamente al servizio dell’Oasi, spesso si è catalogati come “matti” oppure “falsi e calcolatori con secondi fini” oppure “eroi senza futuro”. La realtà è che non siamo niente di tutto questo, la realtà è che non siamo noi, non sono cioè le persone il fulcro. Noi siamo solo lo strumento ma il punto è l’obiettivo. Questo non significa che le persone non contano nulla, anzi, ma la realtà è che se un cambiamento possiamo farlo noi, possono farlo tutti e Oasiverde non è che la dimostrazione di questo cambiamento. Chi viene all’Oasi potrà senz’altro rendersi conto della concretezza del progetto, tuttavia spesso restano nascoste tutte quelle azioni che rendono la nostra associazione così diversa da una fattoria didattica o un agriturismo, e perciò non degna di investimenti da parte di chi ci governa. Chi è venuto in visita ha sicuramente visto i nostri asinelli. Tre asine in particolare hanno avuto un passato di maltrattamenti ed erano destinate a essere macellate e vendute a peso di carne. Una di queste asine, per la quale ricevemmo pesanti minacce da parte del commerciante che l’aveva già portata a macellare ed intercettata per miracolo, giunse da noi in condizioni pietose. Tutte e tre hanno seguito un non facile percorso di riabi-
litazione ma anche di riavvicinamento all’uomo, e ora hanno riacquisito piena fiducia dimostrando come la facoltà del perdono non sia cosa tipicamente umana. Allo stesso modo, ma con molta meno fortuna, ci siamo per molti mesi occupati della riabilitazione dell’asina soprannominata da noi “Cleo”, portando in tribunale il caso del suo maltrattamento avvenuto in un allevamento in Repubblica. Non sto qui a sottolineare le difficoltà anche emotive nel vedere giorno dopo giorno, ora dopo ora, le sofferenze di un animale sempre al limite della sopravvivenza a causa di un dolore perpetrato per anni, né il dispiacere per la morte dell’animale avvenuta durante un’operazione chirurgica a Bologna quando invece tutto sembrava andare per il meglio. L’unica cosa positiva è stato trasformare questo caso, vinto grazie alla collaborazione con l’Apas (che ringraziamo!), nel primo precedente penale di questo tipo a San Marino, nella speranza di evitare il ripetersi di un caso del genere. Ecco perché l’Oasi non è una fattoria didattica: lo scopo non è quello di permettere una semplice visita ad animali posti dietro un recinto, ma fornire attraverso un percorso di relazione una conoscenza più profonda di un animale in quanto essere specifico, con una sua storia e un suo carattere, le sue esigenze e in cui l’ambiente possa diventare uno spazio condivisibile. Occorre però distinguere l’animale domestico, bisognoso del rapporto con l’uomo, da quello selvatico. Oasiverde da anni porta avanti un progetto di ripopolamento di alcuni animali protetti e in via di estinzione. Grazie al prezioso contributo dei ragazzi del negozio Tutta Natura, che hanno donato per lo scopo una grande voliera, a breve libereremo gli scoiattoli rossi (Sciurus Vulgaris) nati da una coppia di cui il maschio fu salvato da un nostro associato dalle fauci di un cane, mentre la femmina ci è stata affidata grazie alla preventiva creazione di una rete di appassionati e allevatori in Italia. Questa nascita rappresenta un caso molto raro a livello nazionale, anche perché questo animale è protetto a livello europeo. Il progetto per il ripopolamento dello Scoiattolo Rosso è rimasto inascoltato in territorio, ma ha mosso l’interesse sia da parte del Direttore della Guardia Forestale del Parco delle Colline bolognesi, sia da parte della struttura dell’Oasi del WWF di Cà Brigida (Verucchio), con cui abbiamo iniziato una splendida collaborazione e dove libereremo gli animali nati. È anche questo il motivo che ci ha spinti a chiedere la chiusura della caccia attorno ai confini dell’Oasi, richiesta per anni inascoltata e che ci vede per ora costretti a liberare gli animali in territorio italiano. Stessa cosa sta avvenendo per il progetto degli anti-
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appunti di psiCologia La pagina di Oasiverde
numero Numero 3833 chi frutti. Nell’attesa di una presa visione da parte di chi a San Marino dovrebbe dimostrare un po’ di entusiasmo, abbiamo terminato con le nostre sole forze l’arboreto e il sistema d’ irrigazione con i pozzi e la serra didattica con annesso il giardino delle erbe aromatiche. Questo ha generato l’entusiasmo del centro Naturalistico di Pennabilli e ha attivato la collaborazione con esperti del Montefeltro di cui presto sentirete parlare. Durante l’anno il Presidente di Oasiverde ha inoltre voluto concretizzare la vicinanza della nostra associazione al popolo tibetano, di cui è nota la lunga e triste storia di repressione da parte della Cina (per chi non lo sapesse sua Santità il Dalai Lama, Nobel per la Pace, nel 2005 è stato bloccato al confine di San Marino, perché la sua visita fu ritenuta scomoda in un momento di trattative con la Cina). Davide ha infatti devoluto la somma ricavata dalle donazioni effettuate al momento del funerale di suo padre Lazzaro per l’adozione del piccolo Tenzin, un bambino tibetano ora rifugiato con la famiglia in India (vedi riquadro a lato). Lo scopo è mantenere in vita da una parte il ricordo, dall’altra una cultura millenaria che si tenta di distruggere. Distrutta la parte materiale e corporea, ciò che resta è la memoria costruita negli anni e il valore che chi rimane in vita sa dargli. Così le nostre azioni di adesso possono dare nuovo vigore a qualcosa che esiste ma che rischia di scomparire per sempre. Ne è una testimo-
nianza Davide con suo padre, lo è Tenzin che anche grazie a lui potrà divenire un nuovo custode della tradizione tibetana, lo è stata Cleo che è diventata suo malgrado caso e simbolo dell’insensibilità umana, lo è Oasiverde, la cui biodiversità secondo il piano regolatore è destinata a trasformarsi in un campo da golf. Un cambiamento spetta a noi, a noi tutti, e il cambiamento significa smettere di essere spettatori e diventare attori nella nostra vita. Il che significa anche iniziare a prendersi quelle responsabilità che finora abbiamo delegato ad altri. La nostra speranza è che nel 2011 la nostra Repubblica esprima almeno il desiderio di “mettere la firma” del Made in San Marino sull’innovativo progetto fotovoltaico ad isola che presenteremo a breve a varie istituzioni e anche a voi lettori col prossimo numero del Don Chisciotte, a cui vanno i nostri ringraziamenti più cari per la disponibilità concessa e la nostra stima nell’aver saputo mantenere indipendenza ed autonomia in un paese che, lo sappiamo bene, sa far pagare entrambe a caro prezzo. Ultima cosa, due righe ai simpaticoni che esprimono la loro idiozia nel distruggere le insegne di Oasiverde (che ci costruiamo, come tutto, a mano): speriamo che il 2011 vi porti quel po’ di sale in zucca necessario a farvi capire che questi gesti puerili fanno perdere più tempo a voi, che a noi nel ricostruire più resistente e più stabile di prima la stessa identica insegna.
Riabilitazione di Cleo
associazione oasiverde
attivita’ convenzionate
Sede legale: Strada Genghe di Atto, 122/b 47892 - Acquaviva (Rep. San Marino)
Agrizoo - Allianz/Lloyd Adriatico Artemisia - Babette - Babylab - Blu notte - Ciquadro - Cobafer - Estetique Michelle - Fior di Verbena - Food & Science - Legatoria Incipit - Harmoniæ - India World - La rondine - Lavanderia Magic - Layak - Legno Design Phisicol - Piletas - Salmoiraghi & Viganò - San Marino Vernici - Scrigno delle Fate - Titan Gomme - Tutta Natura - Vivaio Zanotti - Zaffbike
Telefono: 335.7340580 Fax: 0549.944242 mail: info@oasiverdersm.org web: www.oasiverdersm.org Coord. IBAN: SM22 X032 6209 8000 0000 0304 885 - COE: SM21783
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la pagina di oasiverde L’inserto
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Racconto breve di Riccardo Castelli
L’uomo che diceva
-Scusa, stiamo chiudendo.Un poveraccio fa di tutto per arrivare a settant’anni sottraendo ai contenitori di rifiuti organici degli ospedali quante più parti del proprio corpo gli é possibile, solo per sentirsi dare del tu da un cameriere bambino in una notte in cui il cervello stenta a prendere il volo. Ho sempre trovato ironico il modo in cui la vita si prende gioco di tutti quei piccoli altari cesellati faticosamente dalle tue dita sbucciate dal duro lavoro ma euforiche, sancta sanctorum che hai costruito meticolosamente nel corso degli anni e che a un certo punto guardi sbalordito domandandoti da quanto tempo stia lì sopra quella cagata di piccione. Il cameriere bambino si affrettava a portarmi via da sotto il naso il boccale vuoto, piccola perdita, che già il rumore sordo di sedie metalliche ribaltate sui tavoli mi ribadiva l’ imminente chiusura del bar. Basta birra. Basta uscite in strada per accendersi una bionda e scordare il mondo per quei pochi secondi in cui il fumo viene aspirato nei polmoni. Basta con l’esagerato interessamento sull’ultima operazione all’anca di Giulio o quell’altro che sembra suo fratello e che mi devo ricordare di non chiamare come suo fratello sennò sono brutte figure e quarti d’ora di catarro nelle risate. Verso i venti pensavo che prima o poi sarebbe successo qualche evento incredibile che mi avrebbe cambiato la vita, tipo i pirati che mi rapivano o un’altra stronzata sorprendente. Verso i quaranta sentivo che di lì a poco avrei fatto una cosa grandiosa, nel bene o nel male, che avrebbe sconvolto la vita di chi mi stava vicino o aveva anche solo sentito parlare di me. Tra i venti e i quaranta ho fatto Elena. Inutile dirvi che il resto é stato un lungo training del tutto insufficiente ad impedirmi di vergognarmi fino a voler morire, la prima volta che non sono stato capace di trattenere l’ urina. Il telefono ha aspettato che mi fossi spogliato e messo a letto, ma tutto sommato quando mi sono rialzato e ho risposto sono stato contento di sentire che era lei. Ho ascoltato in silenzio il suo “non volevo disturbarti”, il suo “io e Daniele siamo troppo diversi” e il suo “non mi va di rimanere a casa”, mentre pensavo che, stando alle ultime stime, con i pannolini buttati via in un anno in tutto il mondo (Marco aveva circa
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un anno) una buona impresa di costruzioni potrebbe tirare su cinque edifici da trecento piani e dieci metri per lato. Probabilmente bisognerebbe legarli per bene, altrimenti i muri crollerebbero anche senza l’elegante tocco di folli terroristi ipertecnologici e selvaggi che ci si schiantano contro al volo, ma ad ogni modo volete mettere il disagio di vivere in quella puzza? Voglio dire, stiamo parlando di escrementi. Quindi Elena avrebbe passato la notte da me, ne ero felice, era da un pezzo che non la guardavo cercando di decifrare la sua vita lontana, in una città per me lontana, con un marito talmente geniale da essere lontano anche lui. Di solito quando mi veniva a trovare le davo una sbirciata durante la prima colazione -Non sarà troppo caldo il latte di Marco?- e mi domandavo quanta della mia insoddisfazione verso me stesso e tutto il resto fosse scivolato nel suo DNA. Mi domandavo quanto del mio veleno l’avesse infettata rendendola una donna che guarda alternatamente l’ orologio e il biberon, domandandosi se é ancora in tempo per entrare nel grande salone della felicità, oppure se deve passare un’ altra mano di bianco sulla porta d’ ingresso per confonderla con la parete. Uscii col mio vestito peggiore mentre il vento rispondeva freddo al mio alito di menta e alcool, entrai in un market notturno e vidi quanta bellezza può trovare rifugio sulla confezione di una scatola di pannolini. - Sono rimasta senza, non é che per caso ne ho dimenticato uno lì da te l’ultima volta che
siamo passati? No. Non é questo quel caso fortuito. Non é questa la notte in cui mi sbraco sul letto che ho sonno e la testa pesante e dormo finché tu non arrivi, mi baci e vai a dormire. Questa é la notte in cui, intontito, non ricordo nemmeno quali scarpe ho messo per presentarmi al cassiere con una scatola di pannolini non biodegradabili, porgendogli i soldi e atteggiando lo sguardo ad accigliato scrutatore di loghi e foto e packaging di prodotti per l’infanzia che disseminano su confezioni in cartone troppa bellezza, va detto chiaramente: troppa, per questo mondo. Una sola di quelle etichette esibisce troppa spudorata bellezza; ne sarebbe sufficiente una piccola frazione. Nessuno degli acquirenti potrà mai godere a pieno del desiderio di pace e serenità che i contenitori comunicano, insieme a un’armonia di tutte le forze del creato: vedi l’ immagine del bimbo e non desideri altro che un futuro prospero e ricolmo di sorprese per lui. Un futuro senza bollette dimenticate nel cruscotto che ti fanno sobbalzare nel cuore della notte per chiederti se sono ancora là dentro al buio, rancorose ad attenderti, oppure le hai già pagate, senza file in piedi per ore in attesa di una pensione che avrebbe fatto ridere a crepapelle mio padre, buonanima, che in vita sua ha sempre adorato avere ragione e di continuo mi ripeteva di mettere da parte i soldi. Per non correre il rischio di addormentarmi, appena arrivato a casa ho acceso la tele e mi ci sono piazzato davanti coi pannolini in
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appunti di psiCologia L’inserto
numero Numero 3833
l’indispensabile
grembo; quelli non ecologici, che si fiondano nell’ ecosistema così come sono, col loro carico soffice, materiale da costruzione per gli edifici ideali dei teorici del degrado cosmico. Ascoltavo la tivù parlare con se stessa e dirsi quanto i social network possano essere ricet-
tacoli di deviazioni e che un giovane tatuato non sarà ospite al Grande Fratello, ma in verità la mia attenzione era rivolta al bambino sorridente della foto: aveva una mano protesa al di sopra dell’ altezza della macchina fotografica, e nella stessa direzione aveva lo
sguardo gioioso. Magari sorrideva e allungava il braccino in direzione della mamma, in piedi dietro al fotografo. Ma non era questa la grande rivelazione. Forse avevo capito cosa mi agitava eccitandomi e paralizzandomi allo stesso tempo, come sul ciglio del fiume di Eldorado: lo sguardo di una creatura convinta che, in quel preciso istante, tutto, attorno a lui, fosse assolutamente ed autenticamente perfetto. In quel momento il telefono squillò. Era lei. Non veniva. Lei e suo marito avevano fatto pace. Ne fui contento, le mandai un bacio e le raccomandai di dormire bene, mandai un bacio anche a Marco, e dopo tutta questa selezione di baci, ho riattaccato e mi sono voltato. La scatola perfetta era là. Sfidava la quotidianità di una notte stanca e già finita promettendo un domani pieno di bimbi e di gioia, di mamme che ti aspettano a braccia aperte anche se non ti sei rasato e hai le guance che pungono. - Accidenti. Dissi. - Accidenti. Che ci faccio adesso con questo? Ed era tutto, per quella notte.
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la di oasiverde Es...pagina cogitando
numero Numero 33 38
la nostra societa’ dello spettacolo di Roberto Ciavatta
Inquietanti similitudini tra il modo d’agire dei governi odierni, a partire da quello sammarinese, e il potere che Guy Debord (foto in alto) denominava “Spettacolare integrato”. Un potere economicostatale che ammicca alle mafie
Guy Debord, personaggio istrionico, visionario, scrive nel 1967 il suo testo più influente: “La società dello spettacolo” (foto a lato). In esso individua nella spettacolarizzazione il senso profondo della società contemporanea. Sarà uno dei testi francesi più letti durante la rivolta sessantottesca. Ne consiglio la lettura. In questo breve articolo ci concentreremo però sui “Commentari” che nel 1988 lo stesso Debord scrive a completamento del testo del 1967 per registrarne gli ulteriori sviluppi. Va subito chiarito che per Debord lo “Spettacolo” non è solamente la comunicazione dei media, ma una dinamica che investe l’intero sistema di potere contemporaneo, e cioè “il regno autocratico dell’economia mercantile e l’insieme delle nuove tecniche di governo”. Si tratta, quindi, di una società che si regge sulla propaganda, in cui anche ogni critica al sistema (il cosiddetto “antisistema”) rischia di essere risucchiata dal sistema stesso, perché è costretta ad usare i canali dello spettacolo per farsi conoscere. Anche l’antispettacolo può diventare uno spettacolo di sé stesso. Se nella società prespettacolare, per Hegel, “Il vero è l’intero” (cioè è vero solo
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ciò che dà risposte al tutto), nella società spettacolare il vero è ciò che appare, tutto il resto non è falso ma, per dirlo con Debord, “Ciò di cui lo spettacolo può smettere di parlare per tre giorni è uguale a ciò che non esiste”. Nel 1967 Debord distingueva due forme di potere spettacolare: il concentrato delle dittature comuniste, e il diffuso delle democrazie occidentali americanizzate. Nel 1988 ne aggiunge una terza, più recente: lo spettacolare integrato, che combina le due precedenti. Lo spettacolare integrato prende a prestito dal concentrato il carattere occulto del suo centro direttivo; dal diffuso la spettacolarizzazione di ogni comportamento ed oggetto prodotto socialmente. In questo modo “il potere costruisce la società che domina”: la società viene trasformata, da un potere occulto, in base ad una propaganda creata apposta per rendere incontrastabile il potere costituito. La nostra società dello spettacolare integrato poggia su 5 caratteristiche. 1) il continuo rinnovamento tecnologico: necessario per rafforzare sempre più l’autorità spettacolare. 2) la fusione economico-statale: così evidente oggi da non richiedere spiegazioni. 3) il
segreto generalizzato: lo spettacolo fuorvia l’attenzione degli spettatori/cittadini su facezie -il grande fratello, il gossip ecc- mantenendo un silenzio assoluto sulle questioni più importanti. Pensiamo al parlamento sammarinese che impedisce di documentare i suoi lavori (si veda il n.37 del nostro giornale). 4) il falso indiscutibile: se è vero solo ciò che lo spettacolo dice, allora se lo spettacolo impone il falso presentandolo come vero, non c’è modo di falsificarlo. 5) un eterno presente: lo spettacolo organizza l’ignoranza di ciò che succede, e l’immediato oblio di ciò che è successo (chi si ricorda di cosa discutevano i media lo scorso anno?). Questo perché, come scrive Debord, “La fine della storia è un piacevole riposo per ogni potere attuale”. Da sempre la conoscenza della Storia indirizza la nostra azione consapevole. Conoscere il passato significa comprendere come potrebbe svilupparsi il futuro: “la storia è la misura di un’autentica novità; e chi vende la novità ha tutto l’interesse a far sparire il modo di misurarla”. Ogni tiranno ha sempre tentato di distruggere la storia. La chiesa nel rinascimento, ma anche Stalin, ognuno ha sempre tentato di bruciare i libri, riuscendoci solo sui territori dominati. Lo spettacolare integrato rischia invece di farlo a livello globale pur senza
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appunti diEspsiCologia ... cogitando
numero Numero 3833 distruggere i libri: rendendone semplicemente superflua la lettura, disinteressando. C’è però un lato negativo cui va incontro un potere che cancella la conoscenza storica: questo oblio ne impedisce una guida strategica. Vediamo infatti come ogni potere non tenda, oggi, verso nulla, ma si limiti a fronteggiare emergenze, cioè ad amministrare un paese spesso improvvisando. Non avendo alcun disegno da seguire, come potrebbero queste democrazie integrate auto-legittimarsi? Semplice, inventando un nemico, il terrorismo (oggi internazionale, allora nazionale): “La storia del terrorismo è scritta dallo Stato, quindi è educativa”. L’invenzione del nemico, che confida su centinaia di falsi esperti e falsi testimoni per trasformarsi in “verità”, costringe lo spettatore/cittadino a scegliere tra un terrorista o il potere concentrato, a scegliere il meno peggio. E chi è il terrorista? È chi ha “la pretesa impertinente di voler ancora cambiare qualcosa in questa società”. Dunque il caro Garibaldi ed ogni combattente indipendentista sarebbero stati, di fronte al potere integrato, terroristi. Il potere è il presente, il presente è perfetto, chi lo mette in discussione è un terrorista. Come non vedere conferme di questo procedimento ovunque al giorno d’oggi? In questo potere trovare falsi testimoni non è un problema, dato che al suo interno ogni esperto “serve un padrone”. C’era indipendenza del giudizio di un esperto solo su conoscenze che non sono sul mercato (ad es. l’arte etrusca), non su temi attuali (si pensi al piano McKinsey per San
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Marino, o alle rilevazioni di inquinamento elettromagnetico sempre rassicuranti nonostante emicranie e leucemie in aumento). Hanno bisogno di un esperto il falsificatore e l’ignorante. Per il falsificatore l’esperto è migliore quanto più mente. Per l’ignorante non c’è modo di verificare la menzogna dell’esperto. In una società del genere le mafie trovano terreno fertile: la mafia è un’organizzazione segreta che persegue interessi personali e uccide i testimoni scomodi. Lo spettacolare integrato agisce nell’identico modo, spesso a fianco della mafia (si veda l’articolo su E.Severino nel n.23 de “Il Don Chisciotte”), chiamata ad eseguire i “lavori sporchi”. Ad es. negli omicidi di stato di Aldo Moro, o Kennedy, per Debord c’è un marchio comune: “le menzogne palesi delle dichiarazioni ufficiali”, le stesse che in questi giorni pubblica in tutto il mondo Wikileaks, il cui responsabile non a caso viene definito una specie di terrorista, e perseguito penalmente. Ebbene, conclude Debord, “Ci si sbaglia ogni volta che si vuole spiegare qualcosa opponendo la mafia allo stato: essi non sono mai in rivalità. La mafia non è un’estranea in questo mondo: ci si trova perfettamente a suo agio. Nell’epoca dello spettacolare integrato, essa appare di fatto come il modello di tutte le imprese commerciali avanzate”. Credo che in questo contesto l’onda studentesca e i movimenti più svariati che si oppongono in nome di un paese degno di essere vissuto, in cuor loro credano che è meglio esser definiti terroristi che essere mafiosi!
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la pagina di oasiverde Gruppi di acquisto solidale
buon natale E adesso?
di Stefano Palagiano
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numero Numero 33 38 Il Natale è un osservatorio sociale unico. Prendiamo il periodo più intenso, grosso modo dal mese di dicembre a una buona prima metà di gennaio. Consiglio sempre di osservare il comportamento delle persone in questo periodo, se ne vedono delle belle. L’aggressività, la frenesia, sono ai massimi. Non si può certo generalizzare, ma osservando la maggior parte delle persone in questo periodo tutto sembrano meno che serene. La tranquillità, d’altronde, è un percorso che
va coltivato durante il resto dell’anno, non una condizione da imporre con le feste comandate insieme ad una sommatoria di noiosissimi obblighi sociali. Il Natale non è solo diventato prevalenza del niente, è molto di più: è a ben vedere il paradigma di una certa società, di una certa economia e di una certa (in)cultura. Il periodo natalizio spesso risulta essere la sublimazione delle nevrosi, la quintessenza del grottesco, un inno alla finzione. Per questo motivo i gruppi di acquisto solidale, come promotori di rinnovamento economico e sociale, opponendosi al modello dominante (che in fondo, pensateci, ha buone responsabilità nella creazione di “questo” Natale) possono immaginare un senso e uno scenario diversi anche per questa festa. Di più: possono rovesciare un paradigma. Ecco di seguito una proposta critica di “sopravvivenza” al Natale, una scaletta liberamente implementabile che mostra come i gasisti possano, in poche mosse, mettere un bel contributo sotto l’albero. Di ciascuno. Ma l’intento della seguente traccia è proporre alcuni spunti che mirano a rendere Natale ogni giorno dell’anno e, in un certo senso, Natale un giorno che sia ricco di senso e di proposta insieme a tutti gli altri. 1) Natale va ben oltre un giorno, per quanto evocativo. Per citare una famosa canzone, “O è Natale tutti i giorni, o non è Natale mai”; 2) portiamo in tavola la qualità, i prodotti rispettosi dell’ambiente e dell’uomo, la stagionalità; 3) non forziamoci di essere necessariamente più caritatevoli di quanto non saremmo durante tutto il resto dell’anno: perché mai? Se la bontà del Natale fosse sentita e attiva su tutto l’anno, state certi che qualsiasi bambino di Haiti o della Sierra Leone sarebbe più felice. Preferirà sicuramente all’obolo di un giorno la partecipazione di un anno; 4) evitiamo il bombardamento mediatico, che condisce il consueto, sconfortante panorama con appelli ad essere falsamente solidali con quattro spiccioli che ci cascano dalle tasche. Ben altri e ben più strutturali sono gli interventi che si dovrebbero fare, quelli sì con la nostra attiva collaborazione. Non si deve lavare la coscienza, ma costruirne una critica (e funzionante se possibile 12 mesi all’anno). Il buon cuore serve se supportato da una ragione lungimirante;
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di psiCologia Gappunti ruppi di acquisto solidale
numero Numero 3833 5) riflettiamo sui regali: il senso, l’utilità, quella vaga pesantezza che affligge i più nel calendarizzare tempi e modalità di un rito che può risultare davvero sfiancante. Che bel Natale... Meglio, molto meglio pensarci un po’ su e praticare un’alternativa. Esempio? Non regalate nulla. Fate un regalo utile e sentito a maggio, oppure ad agosto, ottobre. Insomma, qualcosa che valga e con una modalità che sorprenda davvero, molto più che a Natale. Inoltre, doniamo sempre qualcosa di utile, come il nostro tempo, la nostra capacità di interessarci fattivamente alle cause sulle quali possiamo e dobbiamo attivarci, durante tutto l’anno e non in modo intermittente (feste comandate? tragedie eclatanti e visibili?); 6) riflettiamo sugli addobbi, le decorazioni di qualsiasi natura, i riempi-spazi: dall’albero, spesso occasione di megalomania domestica, ai festoni abilmente nascosti in spazi da inventare per tutto il resto dell’anno (una vera e propria arte), alle decorazioni delle città (roba che neanche Las Vegas). Servono davvero delle illuminazioni pubbliche spesso orrende, delle spese folli per messinscene rituali che sottraggono risorse ad altri ambiti di utilizzo? In tempi di crisi, quali sono le priorità? 7) prendiamoci un momento per riflettere sul genere di mondo che vorremmo vedere. Non bisogna esitare ad attivarsi per vederlo. Rinunciare a sognare e immaginare una realtà diversa depotenzia inevitabilmente la capacità di concretizzare il cambiamento; 8) cerchiamo di vedere le crepe di un sistema economico e sociale che sta implodendo e che sta mietendo tante vittime da non potere più, neanche volendo, girarsi dall’altra parte. Si potrebbe proseguire, ma in fondo in questi tratti è possibile ravvisare una parte significativa dell’ispirazione e del progetto dei GAS e dell’economia solidale. Questo progetto è fatto per durare, per costruire un’alternativa. Non un’alternativa “natalizia”, ma stabile. Si intende dare sostanza a una solidarietà di ampio respiro, fatta di gesti concreti che partono dall’acquisto e se ne servono per mostrare un mondo diverso. L’alternativa da costruire non deve somigliare alle operazioni di carità che si vedono spesso, ma deve distanziarsene nell’unico modo efficace: dare vita a un modello che intende lottare e cambiare quello ancora dominante. Se questa so-
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cietà presenta problemi strutturali, la risposta che deve venire non può che essere strutturale e di lungo periodo. Il modello presentato dai GAS, depurato dalle distorsioni e potenziato, è un buon modello. Qualcosa di oggettivamente più complesso, ma anche più avvincente, di quelle elemosine che spostano poco. Qualcosa anche di più fantasioso e originale, come evitare di sovraccaricare e svilire il Natale per dare maggiore senso ai restanti 364 giorni dell’anno.
bisogna cambiare mentalita’
La risposta di una lettrice alla lettera sulla caccia pubblicata il mese scorso nella pagina autogestita da Oasiverde Se è l’uomo stesso a creare squilibri nell’ecosistema quale diritto ha, poi, di riequilibrare con un fucile lo squilibrio che lui stesso ha generato? Che diritto ha l’animale umano di sovrastare altre specie animali? Non esiste uccisione di animali “nel rispetto per la vita e la sofferenza” e uccisione cruenta e immorale per sport... l’uccisione è di per sé un atto intollerabile. Non si può parlare di logica quando essa implica morte e sofferenza, non si può parlare di sport quando esso implica armi, sangue e morte, non si può parlare di rispetto quando si uccide un altro essere senziente, sia per cibo, sperimentazione, moda... Non è possibile criticare costruttivamente uno “sport” come la caccia partendo dal presupposto che “io amo gli animai, ma mangio carne perché allevare animali e ucciderli nel rispetto per la vita è possibile”... se ami gli animali non li mangi! è inutile criticare la caccia perché “non risponde al buon senso”... è forse logico affermare che si può uccidere un essere vivente nel rispetto della vita?
Vita significa istinto alla sopravvivenza, istinto al soddisfare i bisogni primordiali, istinti che abbiamo in comune con gli animali non umani, siamo esseri senzienti, come loro. Che diritto abbiamo noi umani di decidere chi deve vivere e chi no? Gli uccellini da richiamo nelle gabbie fanno pena, ma le nutrie devastano i boschi uccidiamole... chi siamo noi per dare sentenze di morte? Chi siamo? Siamo animali umani che abitano questo pianeta, così come gli animali non umani, noi tutti abbiamo diritto di vivere il più dignitosamente possibile questa breve esistenza. Se “il cuore del cacciatore è diventato il suo fucile”, allora il cuore della gente è diventato il consumismo, l’ipocrisia, i battiti del cuore gli spot pubblicitari, le svendite nei grandi magazzini, il lavoro e soprattutto l’apparenza. Esseri viventi non umani che noi consideriamo inferiori hanno come unica preoccupazione l’istinto alla sopravvivenza, senza preoccuparsi del lavoro, di arrivare a fine mese, di arredare casa, di avere la macchina, di pagare le bollette, di comprare vestiti... vogliono unicamente sopravvivere e noi li sottomettiamo, li torturiamo, li sfruttiamo, li uccidiamo... e con quale diritto? Il diritto alla vita appartiene a qualsiasi essere vivente di questo pianeta, non è un privilegio della razza umana. T.F. (lettera firmata)
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la pagina di oasiverde Appunti di psicologia
istintualita’ tra archetipo e mitologia
La figura del Dio Pan di Davide Tagliasacchi
Qui e nella pagina a lato, raffigurazioni del Dio Pan
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numero Numero 33 38 Come molti termini psicologici che si usano nella quotidianità, “istinto” riveste più un ruolo metaforico, anche se in vesti concettuali, piuttosto che un concetto stesso. È un’ idea nel senso originario del termine, che rimanda al “vedere”: per mezzo di codesta parola “istinto”, possiamo vedere certi tipi di comportamento, sia guardandoli come osservatori, che indagandoli, prendendone visione dall’interno, come partecipanti. Nel corso dei secoli, numerosi studiosi hanno cercato di dare forma e sostanza alla nostra istintualità: alcuni la considerano come una sorta di intelligenza primordiale che coglie della vita aspetti che non potrebbero mai essere appresi; per altri è l’opposto dell’intelligenza, qualcosa di meccanico e arcaico, privo di qualsiasi possibilità di trasformazione. Ad essa è stato attribuito il meglio e il peggio della natura umana. Ma quale nesso esiste fra i nostri istinti e l’archetipo di una divinità della mitologia ellenica? Il mito greco pose Pan come Dio della natura. Il significato di questo termine può essere ricondotto a numerose nozioni, compreso come archetipo della natura umana. Tutti gli Dei avevano comunque degli aspetti naturali e potevano essere ritrovati in quest’ultima. Tale simbologia ha indotto quindi alcuni studiosi, come Roscher, a concludere che l’antica religione mitologica era essenzialmente un culto della natura, il cui trascendimento da parte del cristianesimo significò soprattutto la repressione del rappresentante più esclusivo della stessa, Pan, che ben presto si tramutò nell’incarnazione del Diavolo, dai piedi caprini, nemico giurato dell’umanità, e oppositore di Dio. Il luogo originario di Pan,
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appunti di psiCologia Appunti di psicologia
numero Numero 3833 l’Arcadia, è una località tanto fisica che psichica: le “oscure caverne” dove lo si poteva incontrare, furono dilatate dai neoplatonici fino ad indicare i recessi materiali in cui risiede l’impulso, gli oscuri fori della psiche da cui nascono desiderio e panico. Secondo il mito omerico, Pan venne abbandonato alla nascita da sua madre, una ninfa dei boschi, e avvolto in una pelle di lepre da suo padre Ermes, il quale portò il bambino sull’Olimpo dove fu accolto da tutti gli dei con gioia. Soprattutto Dioniso ne fu felice. Questo racconto situa Pan entro una specifica connotazione. Innanzitutto essere avviluppato nella pelle di lepre, animale particolarmente caro a Eros e Afrodite, implica come egli sia avvolto in queste associazioni: il suo primo indumento sta a significare la sua iniziazione nel loro universo, egli è stato adottato da quegli aspetti della coscienza. In secondo luogo, il fatto che suo protettore sia Ermes conferisce alle azioni di Pan un aspetto ermetico: esse celano dei messaggi. Sono modi di comunicare, connessioni che simboleggiano qualcosa. In terzo luogo, la gioia di Dioniso esprime la simpatia che c’è tra di loro. Questi Dei formano perciò il fascio archetipico entro cui Pan è inserito e dove, in particolare, possiamo presumere che venga disseminato. In quanto Dio di tutta la natura, Pan personifica per la nostra coscienza ciò che è completamente o soltanto naturale, il comportamento nel suo corso massimamente naturale. La causa di tale manifestazione rimane oscura: nasce repentinamente, spontaneamente. Come la genealogia di Pan è oscura, così è l’origine dell’istinto.
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Se Pan è il Dio della natura “dentro di noi”, allora egli è il nostro istinto. Una delle principali linee di pensiero sostiene che il comportamento istintuale sia caratterizzato in misura preminente dalla coazione, da quella che viene chiamata la “reazione del tutto o nulla”. Oltre i processi biologici primari, la vita animale come comportamento si muove automaticamente tra i due poli dell’avvicinamento e della ritirata. Nel corso dei secoli è stata continuamente avanzata l’idea di una fondamentale polarità del ritmo organico. Una sola e medesima idea archetipica circa il ritmo della vita naturale è presente in tutte quelle coppie dualistiche tipiche della natura umana: attrazione-repulsione, introversione-estroversione, coazione-inibizione, fusioneseparazione, tutto-nulla. Le due opposte posizioni verso l’istinto, secondo cui esso è intelligente o non lo è, sono state combinate nella teoria di Jung. Egli descrive due
estremi del comportamento istintuale: nell’uno abbiamo un modello di comportamento coatto e arcaico, nell’altro le immagini archetipiche. Sicché l’istinto agisce e nello stesso tempo forma un’immagine della sua azione. Le immagini fanno scattare le azioni, le azioni sono modellate sulle immagini. Perciò ogni trasformazione delle immagini incide sui modelli di comportamento, onde per cui, ciò che facciamo nella nostra immaginazione possiede rilevanza istintuale. Agisce sul
mondo, come ritenevano gli alchimisti e i neoplatonici, ma non propriamente nel mondo magico in cui essi credevano. Poiché le immagini appartengono allo stesso continuum dell’istinto, le immagini archetipiche sono parti della natura, e non semplicemente delle fantasie soggettive “nella mente”. La figura di Pan rappresenta quindi la coazione istintuale e nel contempo offre il mezzo mediante il quale tale coazione può essere modificata attraverso l’immaginazione.
L’AFORISMA DEL MESE «Duecentoventi anni fa tre quarti del mondo era ridotto in una forma o l’altra di schiavitù. Nel 1787 una dozzina di persone iniziò a riunirsi in una piccola tipografia londinese per abolire il redditizio commercio degli schiavi. Venivano insultate e scacciate da uomini d’affari e politici. Si diceva che le loro idee folli avrebbero distrutto l’economia inglese, lo sviluppo e i posti di lavoro, sarebbero costate troppo e avrebbero abbassato gli standard di vita. Inoltre i critici facevano notare che l’abolizione era promossa da un piccolo gruppo di provocatori ed estremisti che non avevano alcuna esperienza di commercio o affari. Sessant’anni dopo la schiavitù fu abolita per legge praticamente ovunque. Oggi il mondo si trova davanti a un compito molto più difficile: prevenire perdite irreversibili nella capacità del pianeta di supportare la vita. Le argomentazioni contro l’abolizione della schiavitù della fine del XVIII secolo sono identiche a quelle utilizzate oggi» Paul Hawken, “Moltitudine inarrestabile”
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la pagina di oasiverde L’ippogrifo Per anni numerosi critici, ossessionati dalla necessità di trovare un aggettivo che lo inscatolasse in un genere e impegnati nel gioco classificatorio, hanno ricercato una soluzione che accontentasse tutti, ma come ha scritto il prof. Giorgio Masi «Il Gattopardo è troppo introspettivopsicologico per essere solo un romanzo storico, troppo documentato sull’epoca dei fatti per essere solo un romanzo psicologico»
il gattopardo Recensione del classico di Giuseppe Tomasi di Lampedusa di Angelica Bezziccari
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
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numero Numero 33 38 Cosa fa di un romanzo un classico? Cosa lo differenzia da un best-seller, da una lettura commerciale? Un classico si inizia a leggere, a interpretare, quando lo si è finito di leggere. Un classico offre messaggi che vanno molto, molto oltre l’entertainment del momento. Un classico nasconde tra le descrizioni che i bulimici lettori di best-seller definiscono ‘pesanti’, una levità che sorvola epoche e generazioni. Un classico è quello che fa di un libro non un insieme di pagine, ma un insieme di idee immortali e interpretabili all’infinito. Questo è Il Gattopardo, e non sarà certo qui che si avranno definizioni di cosa è o cosa non è, non è questa la sede di una recensione prettamente letteraria. Il Gattopardo va prima letto, e come certi tipi di vino, va lentamente lasciato decantare nei meandri della mente. Solo dopo un po’ di tempo, se ne potrà apprezzare l’aroma, le note di fondo, il colore. Non si può dire cos’è il Gattopardo, si può dire però chi è: Il Gattopardo è Don Fabrizio Salina, principe siciliano che assiste alla caduta dell’aristocrazia, scavalcata dall’emergente classe borghese durante il periodo di conquista garibaldina. Don Fabrizio ha un nipote, Tancredi, che incontrerà Angelica, figlia del sindaco Calogero Sedàra. Egli se ne innamorerà, conscio anche del fatto che “se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”; per questo se i nobili vogliono mantenere intatti i loro privilegi, devono ingraziarsi e frequentare i borghesi, la classe che cambierà la Storia, che contribuirà allo sgretolamento di un’epoca. L’autore Tomasi di Lampedusa descrivendo Don Fabrizio descrive sé stesso e il periodo storico al quale apparteneva la sua famiglia (nello stemma del casato dei Tomasi è raffigurato un leopardo): in questo caso una nobiltà non solo di casato,
ma anche di animo e di valori, contrapposta alla ruvida materialità godereccia e pacchiana del sindaco Calogero. L’idea politica del principe Fabrizio si può desumere dalla terza parte de Il Gattopardo: «senza vento l’aria sarebbe stata uno stagno putrido, ma anche le ventate risanatrici trascinavano con sé tante porcherie». La contrapposizione tra la voglia di andare avanti di Tancredi, e il senso di disfacimento e di morte dello zio principe è netta. Le atmosfere afose di una Sicilia africana accompagnano la decadenza che pare avvolgere tutto, e la minuziosa e realistica descrizione del mondo siciliano – in barba a ogni ipocrisia politically correct – è pari al valore di un saggio antropologico, ma tali analisi possono valere anche per molti altri popoli: “il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali […] le novità ci attraggono solo quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali”. Frequenti i momenti di riflessione introspettiva del principe, le descrizioni estatiche di una bellezza fiorita ma già avente in sé la sua potenziale morte. Molti i ritagli poetici che intermezzano le vicende, come quando Don Fabrizio “voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere delle passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici”. Forse ci si aspetterebbe di trovare in questo elenco il godimento delle ricchezze terrene, invece ci sono gli affetti, le risate, gli amati cani, i profumi…e le stelle: “molte ore in osservatorio assorte nell’astrazione dei calcoli e nell’inseguimento dell’irraggiungibile; ma queste ore potevano davvero esser collocate nell’attivo della vita? Non erano forse un’elargizione anticipata delle beatitudini mortuarie? Non importava, c’erano state”.
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