Don Chisciotte 40, marzo 2011

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marzo 2011

L’altra informazione a san marino

livio bacciocchi arrestato: canterà? Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino

spazio riservato all’indirizzo

L’ombra della camorra a San Marino e l’inquietante silenzio delle istituzioni

numero 40

Il Don Chisciotte


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Attualità Rubriche

solidale a chi?

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L’editoriale 10

Riflessioni su un concetto controverso

G.A.S. di Stefano Palagiano i fattori ambientali e culturali in psichiatria Appunti di psicologia di Davide Tagliasacchi

L’autogestita

omaggio a charles darwin

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Articoli

la città sostenibile e l’acqua

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Recupero, depurazione e riutilizzo

di Riccardo Castelli Altre menti, molte idee

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Breve riassunto della 2° edizione di Altrementi festival

di Angelica Bezziccari Collettivo keep conscious

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Il rapporto uomo-natura nella società dello spettacolo

di Simona Dell’Aquila Un pensiero differenziato

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Alcune coordinate sulle svariate attività di Sottomarino

di Luca Pedoni Far finta di... essere Gaber

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La storia del signor G

di Filippo Mariotti Due conti in tasca

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Il seguito dell’indagine

di Matteo Zeppa L’AFORISMA DEL MESE

Livio Bacciocchi

Livio Bacciocchi arrestato: canterà? L’ombra della camorra a San Marino e l’inquietante silenzio delle istituzioni

Alcune riflessioni sul convegno tenuto a Fano il 12.02.11

adotta un asino con oasiverde Pagina autogestita da Oasiverde

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Il 5 febbraio scorso è stato arrestato a Rimini, con l’accusa di bancarotta, l’avvocato Livio Bacciocchi, ora detenuto nel carcere di San Vittore. Nel novembre 2010 “Il Don Chisciotte” pubblicò un articolo in cui due ragazzi sammarinesi (i fratelli Lo Giudice) denunciavano un trattamento in “stile mafioso” (così lo definirono) da parte di loschi figuri all’interno di Fincapital, la finanziaria di Bacciocchi. In quell’articolo chiedevamo a Bacciocchi delle smentite, mai arrivate. A quel nostro articolo ne seguirono altri (su “l’Informazione”), nonché una denuncia dei Lo Giudice al tribunale sammarinese. Ci si chiederà che relazione ci sia tra l’accusa di bancarotta e quelle rivoltegli dai Lo Giudice. Nessuna, se non fosse che pure Al Capone fu incastrato per evasione dell’Iva. Da qualche settimana emergono intrecci di un clan camorrista (la famiglia Vallefuoco) con la finanza e l’edilizia sammarinese. La moglie di Bacciocchi, Monica Fantini, smentisce ogni collegamento della Fincapital con i Vallefuoco, che secondo le indagini dell’operazione “Vulcano” era invece attenzionata dal clan, e solo il suo commissariamento ad opera di Banca Centrale (a seguito delle denunce de “Il Don Chisciotte” e de “l’Informazione”), ai primi di gennaio ne ha fatto sfumare l’operazione. Alla Fantini replicano i Lo Giu-

dice col contenuto della loro denuncia. Le inchieste ci diranno la verità. Ciò che ci preme qua evidenziare è il silenzio delle istituzioni sammarinesi su un caso spaventoso, dove pare che pure la gestione del pane per le scuole sammarinesi fosse appaltato ad un forno di proprietà del clan Vallefuoco. Perché, ci chiediamo, il tribunale sammarinese e le forze di polizia non hanno avviato indagini su Bacciocchi? Perché la Segreteria alla Giustizia tiene un profilo così basso? è possibile che nessuno sapesse, quando sapevano da fuori confine e in ogni bar della repubblica si sentiva dire di Bacciocchi ciò che ora potrebbe essere confermato dalle indagini? Quanto possiamo fidarci di istituzioni così poco coraggiose e avvedute? Come possiamo credere che le infiltrazioni malavitose, apparentemente così capillari nel nostro tessuto economico privo di controlli, non ci siano se a dircelo, poco convintamente, è chi non ha visto nemmeno quanto pare essersi verificato negli ultimi anni e mesi? Forse, il timore è che ora Bacciocchi, per salvare la sua situazione, possa parlare, e se le accuse fossero fondate potrebbe fare i nomi di chi ha favorito i suoi affari a livello politico, mettendolo in codizione di gestire, pare, 70 degli appalti edili attualmente attivi a San Marino! Roberto Ciavatta

"Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo" Paolo Borsellino


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La città sostenibile e l’acqua Recupero, depurazione e riutilizzo di Riccardo Castelli

esempio di biopiscina

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iamo un popolo di spreconi. I due terzi dell’energia prodotta o importata nel nostro paese vengono sprecati in vari settori, dal riscaldamento degli edifici alla produzione termoelettrica, ai trasporti, e la sorte che tocca all’ acqua non è dissimile. “I cambiamenti climatici” - si legge sul sito di Legambiente - “hanno determinato una parziale alterazione del ciclo naturale dell’acqua [...] facendolo diventare più intenso a causa dell’incremento dei tassi di evaporazione e di precipitazione registrati a partire dal secolo scorso. La crescente pressione demografica, l’evoluzione de-

gli stili di consumo, l’inquinamento, l’incremento del fabbisogno di energia sono tra i principali acceleratori della crisi delle risorse idriche: già oggi un miliardo e 200 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e altri due miliardi di esseri umani sono privi dei servizi igienici. L’acqua sta diventando una risorsa sempre più scarsa, preziosa, e sempre più al centro di conflitti e tensioni sociali.” Il ciclo urbano dell’acqua si basa su questa sequenza: prelievo, distribuzione, utilizzo, fognatura, depuratore e scarico. Così facendo comporta una ingente dispersione di risorse (azoto e fosforo, che “nutrono”

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il terreno) e produce una certa parte di inquinamento che i depuratori non riescono a portare a zero. Allo stesso modo anche il ciclo dell’acqua domestico ha degli sprechi: perché, ad esempio, utilizzare solo l’acqua dell’acquedotto quando si dissipano nel terreno tonnellate di litri di acqua piovana? Meno acqua preleviamo dalla circolazione naturale, meglio è. Inoltre è necessario che l’ azoto e il fosforo tornino nei cicli naturali agricoli da cui sono stati prelevati (all’ interno degli alimenti). C’é poi il problema della distanza tra il punto in cui la preleviamo e quello in cui la restituiamo all’ ambiente, perché se la restituiamo alla foce ci ritroveremo con un fiume secco, oltre che inquinato! Esiste anche il problema pioggia. La commistione delle acque di pioggia e di quelle nere nelle reti fognarie è uno dei principali problemi delle reti urbane, senza contare che l’ impermeabilizzazione del suolo, dovuta al nostro tipo di urbanizzazione, altera i corsi idrici sotterranei ed aumenta i deflussi superficiali, spesso con conseguenze rovinose, come ci dimostrano le numerose alluvioni ed allagamenti che colpiscono il territorio italiano. Una volta recuperate, le acque meteoriche possono essere utilizzate per alimentare le cassette di scarico dei wc, per innaffiare, per lavare i pavimenti o le vetture o per alimentare le reti antincendio. La legge prevede che i cittadini o si allaccino alla pubblica fognatura oppure si dotino di sistemi di trattamento delle acque reflue per evitare l’ inquinamento delle stesse, infatti esistono diversi

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sistemi di trattamento depurativo, dalla subirrigazione (dispersione delle acque chiarificate nel sottosuolo) alla fitodepurazione. Quest’ultima consiste in un sistema naturale di depurazione basato sui processi fisici, chimici e biologici caratteristici delle zone umide che permette di sfruttare aree marginali, ad esempio incolte o umide, senza incidere sul loro aspetto naturale. Le piante utilizzate nella fitodepurazione appartengono alla famiglia delle “macrofite”, grandi piante che vivono in acque dolci. Altri sistemi utilizzano l’ accoppiamento di batteri che riescono a degradare le sostanze inquinanti e membrane sintetiche filtranti (sistema MBR), o speciali vasche all’ interno delle quali i fanghi si depositano sul fondo e l’ acqua ne esce chiarificata (sistema SBR). Un’altra risorsa è la biopiscina. Cos’è? Con questo termine si indicano dei piccoli bacini idrici creati dall’ uomo, all’ interno dei quali non si utilizzano sostanze chimiche per purificare l’ acqua, ma è la natura stessa (microfauna e microflora) che, impiegata opportunamente, crea le condizioni di balneabilità. La prima biopiscina venne realizzata negli anni Cinquanta in Austria, ma solo nei primi anni Ottanta si cominciò a realizzarle secondo la moderna tecnica, utilizzando teli sintetici ed uno scavo appositamente progettato. Infine un’importante incidenza sul consumo dell’acqua proviene dalle pratiche quotidiane dei cittadini, che devono imparare a non lasciare il rubinetto aperto quando non serve e montare dispositivi quali limitatori di flusso, diffusori e doppi pulsanti per il wc.


Eventi Un fatto è disapprovare le idee politiche di uno scrittore; altra cosa, non necessariamente incompatibile con la prima, è disapprovare “lui” perché ti costringe a pensare. George Orwell

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altre menti, molte idee Breve riassunto della seconda edizione di Altrementi festival di Angelica Bezziccari

Il Teatro Titano, sede 2011 del nostro festival

È terminata anche la seconda edizione di Altrementi Festival. Dopo tre intensi giorni di conferenze, relazioni, dibattiti e tanti volti conosciuti, sconosciuti o conosciuti per la prima volta, facciamo il punto della situazione. Il bilancio è molto positivo, sia per quanto riguarda l’affluenza sia per quanto riguarda l’apetto qualitativo. In particolare le serate di venerdì e sabato hanno

avuto un buon riscontro di pubblico; questa però è solo la superficie di Altrementi. Cosa ci è rimasto veramente oltre i biglietti strappati e i libri venduti? Idee, molte idee, da mettere in pratica o da approfondire, sia a livello concettuale che concreto. Maurizio Pallante, Paolo Barnard, Peter Kammerer, Lidia Ravera e tutti gli altri relatori sono andati ben oltre la classica lectio magistralis: hanno fornito

La nostra tavola rotonda. Da sx: Paolo Barnard, Giacomo Marramao, Il moderatore Marco Morini Lidia Ravera e Cristiano Bottone. Sullo sfondo, in video-conferenza, Jacopo Fo


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quelle caratteristiche in più che fanno di Altrementi non un covo di accademici ristretto ma un melting pot di personaggi, azioni e idee molto attivo e interessato. Un’altra novità che ci siamo proposti quest’anno oltre all’inserimento di dibattiti, proiezioni e musica (che danno ancora più senso alla parola ‘festival’) è l’ideazione di un piccolo questionario che ogni ospite ha potuto compilare per dirci come possiamo migliorare e in che modo. Altrementi infatti non è qualcosa di già dato e immutabile, ma un progetto destinato a crescere nel tempo soprattutto per qualità. Anche quest’anno l’Associazione Don Chisciotte è riuscita a intessere contatti con esponenti del panorama culturale e dell’attivismo di

grande rilievo, che verranno curati con attenzione e conservati per collaborazioni future. Ci dispiace - in senso figurato - per i politici sammarinesi che non hanno partecipato al Festival, ovvero la quasi totalità (a fronte dell’invito mandato a tutti i consiglieri, segretari e Capitani Reggenti - questi ultimi gli unici, ad onor del vero, ad aver segnalato la propria impossibilità a partecipare per via di impegni concomitanti). Ci dispiace non perché hanno perso la possibilità per aprire la loro stagnante mente, ma perché sarebbe stata un’occasione per dire ai cittadini “sono qui, voglio imparare e voglio rimediare a quello che è stato combinato”. Riflettendoci però, finché i politici non verranno vuol dire che stiamo percorrendo

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la strada giusta. In fondo, se io fossi un politico e avessi partecipato alla distruzione del paese, mi vergognerei oltremodo a sedere ad esempio davanti a Domenico Finiguerra, che parla della campagna “stop al consumo del territorio”. Molti preferiscono rimanere dentro il recinto a giocare nel loro mondo finto, anche perché, come dice Paolo Barnard, ormai c’è qualcosa che va oltre la politica (interessi finanziari, capitali fluttuanti, capi nascosti) a cui loro come tanti altri burattini politici si sono venduti, e ormai non possono più rinunciare, non possono più tornare indietro, perché se tolgono anche solo un bastoncino crollerà tutto il castello. Detto questo, lasceremo giudicare ai partecipanti del Festival e al tempo tutto il

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resto: abbiamo raccolto un po’ di commenti nel libro firme e li pubblicheremo nel nostro sito, nella sezione ALTREMENTI, così come saranno caricati tutti i video delle relazioni, per chi non avesse avuto la possibilità di ascoltarle dal vivo. Colgo l’occasione per chiedere, a chi avesse qualche bella foto scattata durante il Festival, di inviarcela; cercheremo di raccoglierle e pubblicarle, sempre sul sito. Infine grazie a tutti i volontari, i partecipanti, gli sponsor, i singoli finanziatori, tutti coloro insomma che si sono spesi per la riuscita di questo Festival e che credono ancora che sia necessario iniziare ad attivarsi in prima persona e agire per creare un’altra cittadinanza, altri stili di vita, altri scopi, altre idee… altre menti. Grazie.

Un momento della serata di venerdì sui nuovi stili di vita. Con Don Gianni Fazzini e Maurizio Pallante


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L’autogestita: Oasiverde

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omaggio a charles darwin

Riflessioni sul convegno “Darwin day 2011. Quanto siamo simili agli altri animali?” - Fano/12.02.11

Charles Darwin (1809-1882)

Purtroppo ancora oggi il concetto di evoluzione è sotteso a diversi vizi d’interpretazione. Peccato che la natura non interpreti, ma svolga essenzialmente il suo ciclo. Hermann Hesse, nella sua opera “La natura ci parla”, ha sottolineato come l’uomo, non contento del destino che accomuna tutti gli esseri viventi dalla nascita alla morte, abbisogna di un principio di spiegazione posto al di là della sua natura e decide di crearsi un’immortalità speciale e tutta sua. Diversi sono i pregiudizi antropocentrici che attanagliano tuttora i concetti dell’evoluzionismo. La sintesi darwinista può essere considerata la seconda rivoluzione copernicana nella storia del pensiero scientifico: con la prima la Terra ha perduto la centralità dell’universo, con la seconda l’uomo ha perduto la distinzione e la separazione dagli altri esseri viventi. Darwin non ci insegna - come alcuni interpretano - che l’UOMO DERIVA DAGLI ANIMALI, ma piuttosto che l’uomo E’ UN ANIMALE, una delle tante specializzazioni della natura. Secondo la maggioranza invece il cammino evolutivo dell’uomo è diretto verso una meta ben specifica, intendendo il processo del divenire come atto di progettualità, ove le relazioni tra le specie sono sempre in termini di un rapporto di potere, orientato unicamente ai nostri bisogni e alla nostra felicità. Il concetto di tempo antropocentrico sottomette passato e futuro al dominio del presente, da cui l’espressione del divenire come cammino e progetto, stigma-

tizzato nel destino o nella meta. Il passato viene interpretato come lo svolgimento di un disegno chiaro; il futuro come il campo di azione della nostra volontà, risultato cumulativo del lavoro stesso dell’uomo, e tutto questo ci renderebbe degni di un destino diverso dal resto del “creato”. Tuttavia interpretare un processo in divenire come se fosse dominato da intenzionalità significa avere una visione estremamente ridotta della realtà. L’evoluzione infatti non agisce secondo un progetto. L’antropocentrismo vuole lo sviluppo della vita sulla terra come il compimento del grandioso destino umano, individuando nel processo di ominizzazione una graduale perdita di “animalità” piuttosto che una normalissima differenziazione di specie. Avviene così che diventano indice di superiorità alcune capacità considerate prettamente umane (arte, diritto, filosofia, musica,religione, letteratura…), mentre le peggiori caratteristiche umane vengono collegate a residui di “bestialità” se non addirittura impersonate da immagini animali, utilizzate proprio per far emergere l’umano come ente razionale, culturale, morale. In quest’ ottica divenire umani significa emanciparsi dalla figura animale, utilizzata lungo tutta la storia per discriminare e “bollare” d’infamia il diverso. L’antropocentrismo non rafforza l’uomo, ma lo indebolisce perché lo chiude alla diversità barricandolo dietro alle mura delle proprie percezioni e interpretazioni. È proprio la diversità che aiuta invece a

Cos’è l’Antropoiesi?

L’Antropoiesi [sec. XX; da anthropos + poiesis] è un processo di costruzione e definizione dell’identità umana. A differenza degli altri animali, l’uomo alla nascita è un essere incompleto. Non possedendo l’informazione genetica che determina le risposte agli stimoli provenienti dall’ambiente in cui vive, la sua dimensione umana si completa sol con l’acquisizione della sua componente culturale


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creare la propria identità. L’uomo tende a legare il concetto di diversità con quello di gerarchia, autoelevandosi allo stadio più alto in nome di una “maggiore evoluzione e intelligenza” ma derivante in realtà da una volontà di dominio. Come ben venne spiegato al convegno infatti, in natura non si parla di “intelligenza” quanto di “intelligenze” diverse in base all’adattamento di ogni specie al proprio ambiente. In realtà riconoscere l’alterità non significa appartenerle o invaderla assegnandole i nostri valori e creando gerarchie, ma attuare una connessione e riconoscerle pari dignità. *L’antropopoiesi, ovvero la costruzione dell’identità culturale umana, è avvenuta proprio grazie al continuo scambio con ciò che era diverso dalla nostra specie. Una delle particolarità dell’essere umano che lo ha reso vincente è la sua potente capacità mimetica. Gli altri animali imparano dagli esseri della propria specie; l’uomo invece ha imparato da più specie animali. Si tende a banalizzare quando si parla di invenzioni umane e anche i più grandi progressi che l’uomo ha fatto li deve alla collaborazione con gli animali, grazie ai quali ha sviluppato prospettive diverse che hanno permesso la sua evoluzione; con le domesticazioni e attraverso l’ibridazione si è modificato ed ha costruito la propria identità. Per fare qualche esempio con l’affiliazione del lupo (circa 130.000 anni fa) il gruppo umano ha assimilato l’importanza della concertazione, sviluppando le tecniche di caccia e cambiando la propria alimentazione, acquisendo un maggiore controllo del mondo esterno, nuove prassi comunicative; dalla domesticazione del cavallo si sono sviluppate le culture indoeuropee, con quella del bovino è nata la meccanica e via dicendo. La danza è nata dall’osservazione e imitazione degli uccelli: i rituali della Gru Coronata ispirano le danze Masai così come fa il Gallo Forcello con le danze ladine. Movimenti animali entrano nelle figu-

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razioni Yoga così come nel Kung Fu. La musica nasce dall’imitazione del canto degli uccelli: le culture europee si rifanno alle capacità canore dei fringillidi come i maori riproducono le armonie dei grandi cetacei. In campo tecnico abbiamo imparato a fare la carta dalle vespe così come gli uccelli diventano ispiratori per il volo, e nella macchina non a caso parliamo di cavalli vapore. L’uomo ha trasformato il laboratorio chimico naturale in dosi pronte all’uso: la farmacologia non è invenzione umana ma un prestito dalla natura. Dagli elefanti l’uomo ha imparato l’uso dei derivati alcolici della fermentazione della frutta, dalle renne la possibilità allucinogena di alcuni funghi come l’Amanite Muscaria, dalle capre l’effetto tonico degli alcaloidi del caffè. La società umana prima ancora che multiculturale era multispecifica: più specie coabitavano nello stesso ambiente e questo ha determinato una profonda metamorfosi nell’evoluzione anche umana grazie all’ibridazione, nonostante la nostra arrogante pretesa di negare il contributo dell’alterità animale. Occorre superare le visioni antropocentriche così come i vecchi stereotipi dicotomici e rischiosi di sterilità del tipo natura-arte o istintoragione, comodi espedienti giustificativi per la sottomissione e il dominio. La biodiversità è prima di tutto culturale: per sviluppare un cambiamento che vada verso l’arricchimento occorre ricostruire la nostra identità superando i pregiudizi antropocentrici attraverso un rispetto consapevole e responsabile della realtà esterna. “Chi si consegna alla natura non ha bisogno dell’inconoscibile, del soprannaturale, per poter provare rispetto; c’è soltanto un miracolo per lui ed è che tutto su questa Terra, incluse le massime fioriture della vita, si sia semplicemente formato senza miracoli nel senso convenzionale della parola”. Konrad Lorenz

adotta un asino con Oasiverde Aiutaci a concretizzare il progetto Oasiverde! Ricorda che Oasiverde è un progetto tutto sammarinese e continua la sua opera grazie al contributo dei cittadini! Se sei iscritto, dai valore alla tessera associativa e rinnova l’iscrizione 2011 tramite il cedolino che ti è stato spedito a casa. Puoi anche rinnovare presso BABETTE a Cailungo, TUTTA NATURA a Dogana oppure alla LEGATORIA INCIPIT in Città, in cui potrai anche acquistare le buonissime marmellate dell’Oasi, pura frutta proveniente dal nostro arboreto degli antichi frutti! Ricorda di portare con te la tessera e avrai diritto a uno sconto nei negozi convenzionati. Tra le varie iniziative dell’Oasi ce n’è una in particolare che si occupa della valorizzazione dell’Asino, un animale che corre il rischio di diventare solo il ricordo di un malinconico passato. Un passato che ci lega alla terra da cui proveniamo, ai suoi cicli a cui l’uomo era profondamente legato, fatto anche di carestie e dove ogni singolo animale portava come un carico il proprio ruolo perfettamente inserito nel sistema famigliare agreste. Fortunatamente oggi gli sporadici Asini rimasti vengono in gran parte impiegati per svolgere l’Onoterapia (terapia assistita con l’Asino) ma spesso vengono anche allevati per la produzione di carne spesso spacciata nelle macellerie specializzate come carne di cavallo. Aiutaci a ridonare piena dignità a questi animali! Con 1 € al giorno puoi adottarne uno a distanza aiutandoci a garantirgli cibo e cure veterinarie.

attivita’ convenzionate

associazione oasiverde Sede legale: Strada Genghe di Atto, 122/b 47892 - Acquaviva (Rep. San Marino) Telefono: 335.7340580 Fax: 0549.944242 mail: info@oasiverdersm.org web: www.oasiverdersm.org IBAN: SM 22X03 26209 80000 00003 04885 COE: SM21783

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Attivismo

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La mostra LET ME BREATHE! cerca spazi espositivi: contattaci all’e-mail keepconscious@live.it Ci trovi su Facebook (Keep Conscious) e su www.myspace.com/collettivokc

collettivo keep conscious Il rapporto uomo-natura nella società dello spettacolo di Simona Dell’Aquila

Il collettivo KC (Keep Conscious) nasce nel 2008 dall’incontro di alcuni ragazzi del riminese uniti dalla voglia di prendere coscienza di se stessi e della realtà che li circonda. Ci muove il rifiuto della situazione culturale, politica, economica e sociale del mondo in cui viviamo, il bisogno di esprimere la rabbia e il disagio causati da un Occidente in decadenza e di vivere in una società dei consumi basata sull’assunto del profitto, con tutto ciò che questo comporta per il pianeta in termini di disuguaglianza sociale e di squilibrio ambientale. Fin dall’inizio ciò che ha contraddistinto il nostro modo di agire è il mezzo che abbiamo scelto per diffondere le nostre idee: l’arte. L’opera artistica ha il vantaggio di concentrare il messaggio che esprime, di diffonderlo in maniera empatica attraverso l’emozione che comunica, sia essa di piacevole contemplazione o di fastidioso rifiuto. I temi che più ci interessano sono: 11 settembre, scie chimiche, signoraggio, massoneria, esoterismo, spiritualità, ufologia; decrescita felice, democrazia diretta, medicina alternativa... tutte questioni scomode che non trovano spazio nei canali ufficiali di informazione. Il nostro scopo è diffonderli per alimentare il dibattito nel pubblico, sedato da anni di propaganda, disinformazione, pubblicità, intrattenimento, distrazione. In particolare, la questione delle scie chimiche ci sembrava un buon punto di partenza. Fenomeno molto discusso sulla rete a causa dell’irrisolvibile diatriba tra sostenitori della “teoria del complotto sulle scie chimiche” (vedi Wikipedia) e negazionisti, è invece argomento tabù nei maggiori mezzi di comunicazione di massa italiani. Per “scie chimiche” - chemtrails in inglese - si intende un fenomeno di inquinamento

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ambientale relativo al deliberato rilascio in atmosfera, per mezzo di aerei non identificati, di sostanze chimiche dannose per la salute dell’uomo e per l’equilibrio degli ecosistemi. I ricercatori insistono sulla distinzione tra chemtrails e contrails, ossia le normali scie di condensazione degli aerei formate da vapore acqueo. Le ricerche sul fenomeno dicono che una contrail si forma sopra gli 8000 metri circa, a temperature minori di -40°C e con umidità relative superiori o uguali al 70%: un fenomeno quindi abbastanza raro alle nostre latitudini. Inoltre si dissolve in circa 30-50 secondi, pertanto è per sua natura corta e stretta. Le scie in questione, invece, sono più larghe rispetto alle contrail, spesso si incrociano tra loro a forma di “X” o “#” creando nel cielo veri e propri reticolati, e rimangono sospese per ore espandendosi fino a trasformarsi in uno strato biancastro che oscura il sole. Sono dette scie chimiche perchè in seguito ad analisi si è riscontrata la presenza, nell’acqua e nel suolo delle zone irrorate, di sostanze chimiche quali sali di bario, solfato di alluminio, piombo, argento, etc. Le prime testimonianze della presenza di chemtrail risalgono al 1996 negli USA. Successivamente altri paesi, per lo più in area NATO, hanno iniziato a segnalarne la presenza. Singolare è il caso della Croazia che ha visto queste scie per la prima volta il giorno successivo alla domanda formale di adesione alla NATO (per una trattazione completa del fenomeno si veda www.sciechimiche.org). Numerose sono le argomentazioni che tentano di spiegare il fenomeno chemtrail, come ad esempio il collegamento con HAARP (High-frequency Active Auroral Research Project): un progetto del Dipartimento della Difesa Statunitense considerato il nucleo del pro-


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Qui e in basso a sinistra due lavori della mostra “Let me breathe!” di KC gramma “Guerre Stellari” avviato sotto le amministrazioni Reagan-Bush negli anni ‘80. Ufficialmente lo scopo del centro di ricerche HAARP è studiare le proprietà di risonanza della Terra e dell’atmosfera, sulla base degli esperimenti di Nikola Tesla agli inizi del ‘900, ma secondo altre ipotesi HAARP potrebbe essere utilizzato come arma, provocando inondazioni, uragani, siccità e terremoti nelle “zone nemiche”: una nuova forma di guerra, la guerra ambientale. Nel documento del 1996 denominato Owning the weather in 2025 (Possedere il clima nel 2025), facente parte dell’accordo di Cooperazione Italia-USA su Scienza e Tecnologia dei Cambiamenti Climatici, si dichiara l’obiettivo delle forze armate USA: arrivare a controllare il clima entro tale data, per acquisire enormi vantaggi militari e strategici. Dopo milioni di anni di schiavitù e di paure

rispetto alla dominazione della natura, l’uomo si è reso conto di poterla modificare, di fare danni e porvi rimedio; può possedere la natura e non esserne posseduto; può perfino usarla come arma contro altri uomini. Un aspetto centrale del fenomeno scie chimiche, è che laddove c’è segretezza da parte dello Stato e lacune di informazioni, unite a una campagna che scredita il fenomeno, c’è una confusione generale per cui è sempre più difficile distinguere il falso dal vero. “Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso” scriveva Guy Debord ne La società dello spettacolo. “Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione”. Tutta la nostra realtà è ormai realtà virtuale. Noi non abbiamo più un impatto diretto con la realtà: tutto quello che accade, tutto quello che ci circonda, le nostre stesse espe-

rienze, ci giungono attraverso le immagini. Di conseguenza ciò che non appare (nei telegiornali, nei salotti televisivi, nei rotocalchi) non esiste. “La realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale”. In pochi alzano gli occhi al cielo, sono sicuramente di più le ore passate a fissare uno schermo. In pochi sono in grado di affermare con sicurezza se un fenomeno è naturale o artificiale. Così solo se ne sentiamo parlare da altri siamo in grado di riconoscere le scie. Ciò è dovuto anche ai messaggi subliminali dei media: inserendo scie chimiche dietro le modelle, creando cieli bianchi come sfondo, abituano il cervello a percepire un cielo chimico come naturale. E’ così evidente quanto il rapporto uomo-natura si sia inclinato se non spezzato: ormai non sappiamo più affermare con sicurezza se un fenomeno esiste davvero, se è naturale o

artificiale, e creiamo le tifoserie a favore di una o dell’altra teoria senza chiederci che fine abbiamo fatto noi stessi in tutto questo disordine illusorio. Il lavoro di documentazione fotografica dei cieli striati di bianco è stato il trampolino di lancio per l’elaborazione artistica che è conseguita, portando alla realizzazione della mostra fotografica dal titolo “LET ME BREATHE!” i cui scatti sono opera di Valentina Urbinati (nella pagina trovate alcuni esempi delle foto). La logica che vede l’uomo dominare il clima attraverso le scie chimiche e la geoingegneria è la stessa logica di dominio che sottende lo sfruttamento indiscriminato delle risorse, la manipolazione della natura e la crudeltà verso gli uomini e gli animali, diventata sistema. Una logica di distruzione dell’equilibrio della natura cui è sempre più complesso sottrarsi. KC


Gruppi d’Acquisto Solidale Più che unire, il concetto di solidarietà sembra spesso dividere l’universo dei gas. Essendo convinto non solo della utilità, ma perfino della necessità di certi conflitti, confronti e contrapposizioni di idee, ravviso su questo punto una piacevole vitalità da parte dei gruppi di acquisto solidale. Per i gas è necessario identificarsi nella S di solidale e su questa basare e costruire la propria stessa ragione di esistere. Le vie della solidarietà sono però strade difficili, complesse, non ancora definite in pieno dal mondo gasista. Qualcosa, in effetti, spesso di più simile a una mulattiera che a un’autostrada. La solidarietà nei gas rappresenta la stella polare che orienta considerazioni e comportamenti. Seguendo questa ispirazione i gas operano, inserendo un elemento di rottura importante nell’acquisto, che smette di essere abitudine e torna a essere azione carica di significato. L’economia ne è trasformata sulla base dell’assunto che le relazioni devono tornare a contare. Quanto sia importante la S di solidale lo si evince anche dal fatto che questa S differenzia un gruppo di acquisto solidale da un “semplice” gruppo di acquisto, quantunque la differenza sfugga spesso ai più. L’aggiunta del termine solidale connota in senso molto forte l’essenza di un gruppo di acquisto, che altrimenti potrebbe limitarsi ad azioni collettive di acquisto sic et simpliciter, orientate dalle contingenze, senza troppi altri sforzi che non siano quelli di strappare condizioni economicamente più vantaggiose. Lo spunto per costringerci

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solidale a chi? Riflessioni su un concetto controverso di Stefano Palagiano

a riflettere meglio sul concetto di solidarietà ci è fornito d’altronde dal precipitare degli eventi: la crisi economica e sociale obbliga in qualche modo il movimento a misurarsi con il concetto di solidarietà. Non è un esercizio banale, al contrario si tratta di un percorso in divenire per mostrare di quali soluzioni i gas sono capaci. Il rischio di non andare oltre il proprio naso, tuttavia, è reale. Resta inteso che le soluzioni di cui il movimento si è dimostrato capace, anche di fronte a grandi emergenze, sono dei segnali ottimi. Il prossimo convegno nazionale dei gas, che si terrà in giugno a L’Aquila, dirà fra le altre cose in quale modo l’economia solidale può strutturare meglio le proprie risposte. Le soluzioni e le pratiche solidali, attuate

o da attuare, realizzate o in corso di progettazione, danno conto di una varietà e di una vitalità che lasciano intravedere, oltre a elementi positivi, anche differenze, talora profonde, di vedute. Il concetto di solidarietà, al di là della sua lettura e attuazione nei principi fondanti dei gas, richiede una maturazione, un approfondimento, uno svolgimento che implicano di affrontare coraggiosamente alcune domande dell’attualità. Le pressioni cui i gas sono sottoposti possono essere meglio affrontate mettendo in campo una strategia di lungo periodo, destinata a contrapporre a un modello dominante un modello alternativo. Se si vuole, possiamo definire questa strategia come una risposta ragionevole e ragionata alla politica convulsa delle emergenze. Le

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modalità di intervento dei gas nella realtà, fatte salve le distinzioni tra i vari piani di azione, dovrebbero quindi rispondere a quella che potremmo definire una lenta velocità: mettendo prima la parola “lenta” intendo rimarcare l’aspetto di progettualità, di risposte ponderate e di largo respiro, mettendo dopo la parola “velocità” voglio sottolineare che occorrerebbe forse fare di più per darsi il coraggio di intervenire in tutte quelle situazioni che lo richiedono. La corretta chiave di lettura di questo ossimoro la stiamo tutti insieme definendo, attraverso un percorso non sempre facile. In questo percorso, solidarietà vuol dire prima di tutto informazione. Ancora, vuol dire sensibilizzazione e capacità di condivisione che deve prima realizzarsi tra i gasisti (obiettivo tutt’altro che scontato) per poi allargarsi in termini di risposte strutturate verso l’intera società. Piaccia o meno, ci muoviamo su un terreno che ha forti implicazioni di carattere planetario, implicazioni probabilmente meno affrontate, o affrontate meno consapevolmente, da singoli gas. La sfida che abbiamo di fronte è quella di coordinare gli sforzi in un insieme più definito, dando sostanza alla solidarietà, organizzando le nostre risposte. Per questi motivi sarebbe auspicabile che alcuni gasisti dismettano, nei confronti della società in cui vogliono intervenire, i panni del turista un po’ distratto per indossare quelli dell’attento osservatore, capace di studiare le situazioni e proprio per questo di approntare risposte adeguate.


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Un pensiero differenziato Alcune coordinate sulle svariate attività di Sottomarino di Luca Pedoni Siamo partiti con un foglio bianco che pian piano è diventata la nostra “carta nautica”, un vademecum che, nel corso dei mesi, è stato ampliato, riveduto e corretto confrontandoci con cittadini, persone comuni, associazioni per cercare un reale cambio di prospettiva. Abbiamo voluto abbandonare il “pensiero da cassonetto” (ognuno getta il proprio schifo indifferenziato tanto poi ci penserà qualcun’altro a sistemare) per optare per un più realistico “pensiero differenziato”: critico, consapevole e costruttivo. Si sono gettate così le basi dei

nostri punti del vademecum. Si va dall’Ambiente, per il quale noi vogliamo un impiego più sostenibile delle risorse attraverso una riduzione degli sprechi, al concetto di trasparenza che deve vigere in ogni ambito della cosa pubblica per rendere il cittadino partecipe e conscio delle scelte che la politica deve attuare nei confronti della collettività, il tutto attraverso l’informazione. Abbiamo sentito quindi l’esigenza di differenziare anche l’informazione perchè a San Marino non sembra sempre così “limpida”. Non abbiamo problemi a dire

che ne siamo sommersi ma se la analizziamo capiamo che la qualità è piuttosto scadente (quando non manca del tutto). Ci aggredisce fin dentro le nostre case e non tutti riescono a difendersi dal continuo rumore di fondo in cui è difficile orientarsi, senza una bussola. E così l’inceneritore diventa un’opportunità e oltre che cambiare nome in maniera eufemistica (termovalorizzatore), continua a bruciare rifiuti e sprecare energia, per non parlare delle ricadute su salute ed ambiente. E’ per questo che l’informazione dovrebbe andare a braccetto

con l’educazione: un’informazione alternativa ed una educazione diversa. E’ necessario promuovere un contesto “non giudicante”; troppo spesso i mezzi di comunicazione giudicano e portano quindi anche altri a farlo in modo superficiale, tirando fuori il peggio dall’animo umano. Serve una visione che sviluppi una capacità di analisi dei problemi, libera da qualunque ideologia. Sottomarino vuole cambiare rotta e vi invita a guardare fuori dall’oblò. Se volete leggere, contribuire, partecipare, visitate il nostro sito: www.s8marino.org!


Arte e musica

far finta di... essere gaber La storia del signor G di Filippo Mariotti

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Perché invece di esibire la nostra moralina liberista e permissiva non abbiamo dato uno sguardo all’avanzata dello Sviluppo? Perché invece di parlare di buoni e di cattivi non abbiamo mai visto dove andava la Produzione? Perché non abbiamo alzato un muro contro la mano invisibile del Mercato? Perché abbiamo ceduto all’allegria del consumo? Perché abbiamo spalancato la porta al superfluo? Perché gridavamo contro padroni e compravamo i motorini ai figli? Perché non abbiamo mai parlato di essenzialità? Perché non siamo riusciti a creare una razza diversa? Una razza che si ribellasse alla violenza dell’oggetto e alla mascherata della libertà? Liberi di fare tutto, di essere tutto, un tutto che è uguale a niente. Quale muro avete alzato contro il potere senza volto? Perché odiate per frustrazione e non per scelta? Perché vi accanite contro nemici imbecilli e superati? Perché spargete così male la rabbia che vi consuma? Giorgio Gaber Tanto è stato scritto e tanto si scriverà su Giorgio Gaber, l’istrione. Pochi sanno però che “Gaber” è solo il nome d’arte di Giorgio Gaberscik. L’immagine più diffusa, ma più lontana dalla realtà, è quella del Gaber cantante scanzonato e autore di “facezie” musicali come “Torpedo blu” o “La ballata del Cerutti”. Grande successo, per carità. Viene anche chiamato a condurre importanti trasmissioni televisive; si ricordano i duetti con Mina, in bianco e nero naturalmente. Siamo alla fine degli anni Sessanta, periodo di tensioni e contestazioni sociali. Proprio al culmine del successo e della popolarità, Gaber comincia a sentire il disagio del suo ruolo, avverte il bisogno di un senso diverso e di un rapporto più diretto con il pubblico, unito alla voglia di esprimere liberamente le sue idee senza i condizionamenti tipici del mercato discografico e i limiti del mezzo televisivo. La sua scelta è difficile, ma coerente e coraggiosa. Inizia la seconda parte della sua vita artistica: si allontana definitivamente dalla televisione e dal circuito discografico e dà vita al cosiddetto “Teatro Canzone”, una


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formula innovativa che alterna canzoni e monologhi o, più precisamente, di parti cantate e recitate: un genere teatrale nuovo, scritto a quattro mani con il poeta e pittore viareggino Sandro Luporini. Nasce il signor G. Un alter ego più audace, più scatenato rispetto all’uomo “normale”, ma il signor G non è esattamente un ruolo: Gaber, finalmente, riesce a recitare se stesso. È anche il momento di cambiare il tiro, di mirare a qualcosa di più: Gaber veste così i panni di un personaggio che cerca a fatica di togliersi di dosso certe inclinazioni o abitudini della sua formazione piccolo-borghese. C’è in lui il desiderio di rinnovarsi senza però la velleità di cambiare immediatamente pelle. I temi non sono ancora politici, ma c’è un impegno nel raccontare la propria vita quotidiana, dalla quale scaturisce una grande quantità di dubbi sulla natura del proprio essere e la persistenza di certi valori tradizionali. Con l’andare del tempo e con il susseguirsi di nuovi spettacoli si toccano altri temi: la difficoltà di far combaciare le proprie idee con quello che siamo dentro, la mancata “interezza” dell’uomo che pare un po’ schizoide, la solitudine, la coscienza, l’America (“Gli americani non prendono mai. Dànno, dànno. Non c’è popolo più buono degli americani. I tedeschi sono cattivi. È per questo che le guerre gli vengono male...”), la libertà (obbligatoria o meno), la psicoanalisi, la massificazione. Un’ulteriore svolta giunge nelle stagioni 1978/’79 con “Polli d’allevamento”. Il titolo è allusivo: Gaber esprime tutta la sua delusione verso quei giovani che affermano di lottare contro il sistema, mentre in realtà la loro è una finta battaglia, è un atteggiamento, una moda. Com’è chiaro, questo distacco di Gaber dai vari movimenti in cui lui stesso fu partecipe, scatenano lo sdegno da parte di certe aree del mondo politico figlie del Sessantotto e dei giovani ancora ancorati a vecchi ideali. Da questo punto l’artista milanese si consacra definitivamente come pensatore libero, in lotta contro qualsiasi schieramento o colore politico; e quando l’insostenibile peso dell’ipocrisia pare aver fatto traboccare il

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vaso, tutto l’astio verso le idiozie e le bassezze del mondo viene riversato nella spietata ed apocalittica invettiva della celeberrima “Io se fossi Dio” . Qui sono colpiti, con il massimo trasporto e rabbia, la partitocrazia e l’inserirsi della politica in tutti i settori sociali. Da sottolineare che la canzone è stata scritta nel ‘78 dopo l’uccisione di Aldo Moro, ma è stata pubblicata solo due anni dopo per il timore della casa discografica di eventuali (e probabili) cause legali dovute alla forza esplosiva del testo: “io se fossi Dio ... c’avrei ancora il coraggio di continuare a dire che Aldo Moro, insieme a tutta la Democrazia cristiana, è il responsabile maggiore di vent’anni di cancrena italiana”. Negli anni Ottanta il nostro Gaber si esibisce nelle sale italiane con “Anni affollati” e “Io se fossi Gaber”, nei quali parla meno di sé e più degli altri. Temi cardine di quest’epoca sono la coppia (o in maniera più allargata, la famiglia), intesa come “prima forma sociale” e la massificazione. Non ci si stupisce forse più, ma Gaber risulta essere ancora rivoluzionario. Nella canzone “Il dilemma” si narra di una coppia che non riesce più a rimanere unita; l’uomo tradisce, la donna “si chiese se non fosse un’altra volta il caso di amare e di restar fedele al proprio sposo”. I due non riescono ad accettare le idee comuni sull’amore libero; a questo preferiscono la morte. Questa crisi non è quindi vista come un tradimento per l’Amore, ma un rifiuto deciso della coppia come forma d’unione. Si può tranquillamente parlare di una canzone d’amore, anzi, sull’Amore. Il Genio di Giorgio Gaber si esalta alla fine degli anni Ottanta e si sublima con “Il Grigio”, un lungo monologo, uno spettacolo di prosa vera e propria. La narrazione ha come pretesto la “lotta” contro un topolino che infesta la nuova abitazione in campagna del protagonista per esaminare, con rara lucidità e ironia, la psiche umana in tutte le sue innumerevoli sfaccettature. Il Gaber protagonista, oppresso e inadeguato a vivere la vita, aveva inseguito a lungo il sogno di vivere lontano dalla frenesia cittadina e la campagna era vista come unico luogo in cui fosse possibile un dialogo con se stesso.

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L’ospite inatteso, il topo, diventa subito l’emblema di tutto ciò che lo disturba. L’attore non può sopportare la piccola presenza e così s’arrabatta in tutti i modi per cacciarlo, ma niente. Il roditore sfugge a ogni insidia – anche un grosso gatto scappa al suo cospetto – e porta il suo inseguitore sull’orlo della follia. Solo accettandolo come simbolo delle sue contraddizioni, come l’indispensabile nemico che diventa un muto interlocutore, egli potrà approdare a un chiarimento con il suo Io. Ecco, questo è Gaber: un attento e critico osservatore, un sociologo, oserei dire. Uno “svisceratore” di pensieri, propri e altrui. Per banalizzare: un mix tra Freud e Sartre. È anche un abilissimo comunicatore: affronta ogni argomento e tutte le contraddizioni del nostro tempo con grande onestà intellettuale e porta i suoi temi sul palco con un’energia comunicativa non comune. Gli stessi autori definivano la loro prosa “d’evocazione”, poiché l’attore, senza l’appoggio di oggetti reali, né tanto meno di altre persone in scena, faceva vivere nell’immaginario dello spettatore situazioni, personaggi e storie, proprio come se accadessero “hic et nunc”. Forse ancora non è stata evidenziata a sufficienza la caratteristica principe della produzione gaberiana: l’acuta ironia. Utilizzando la filosofia spicciola, ma per niente ottusa, che ripete “ridendo dicere verum”, Gaber dimostra un profondo spirito critico, capace di colpire senza paura e senza peli sulla lingua ogni ideologia, ma soprattutto la mancanza di passione e la cupidigia. Quasi come un novello Leopardi (quello delle “Operette morali” per intenderci) l’ironia è usata per scoprire il senso fondamentale della vita che si nasconde dietro le banalità della quotidianità e dei modi di vivere. L’ironia diventa un punto di vista, un obiettivo fotografico da cui osservare la società, il mondo e l’uomo. Invita gli spettatori a svestirsi del proprio modo di pensare per vedere dentro le cose e dalla parte opposta. Gaber non ci regala verità, non è il suo scopo. Non è un profeta. Gaber scava nella realtà quotidiana senza la presunzione di proporre soluzioni ma con il semplice intento d’insinuare il “dubbio” in chi ascolta.


Psicologia

i fattori ambientali e culturali in psichiatria

opera di Keith Haring

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di Davide Tagliasacchi Troppo spesso in luoghi dove si sviluppano gli agiti psichiatrici, difficilmente vengono presi in considerazione i fattori socio-ambientali dove tale disagio si determina. Vi sono alcune evidenze riscontrabili diffusamente nel nostro ambiente di vita, quali una perdurante diffidenza nei confronti del

“diversoâ€?, a prescindere dalle forme e dai modi attraverso cui la sua difformitĂ dalla norma si presenta. Tale atteggiamento sembra rendere impossibile ogni comprensione del senso e dei significati della devianza e favorire l’instaurarsi di fenomeni di emarginazione e di etichettatura se non ad-


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dirittura forme violente di intolleranza. Se si eccettuano alcuni microsistemi socio-culturali, è possibile constatare come oggi il “matto” abbia perso il ruolo di “perno” capace di svolgere la funzione di organizzazione della devianza del gruppo cui appartiene; fenomeno che era tipico della civiltà rurale, per certi aspetti idonea ad accogliere la devianza, inventando ruoli, producendo riti, usanze e racconti dal valore catartico. Nell’attuale fase culturale la diversità psichica è una di quelle non integrate, sia per meccanismi sociologici tipici dei processi di definizione della normalità, sia in quanto non codificata in modo riconoscibile sottoforma di espressioni libere. Si aggiunga a quanto detto il frequente rinforzo prodotto dall’incontro con l’istituzione. A meno che la persona affetta da disagio psicologico non viva particolari situazioni socioeconomiche e culturali tali da permetterle di costruirsi un microcosmo favorevole o abbia la possibilità di tradurre la diversità in forme di valore artistico, i meccanismi difensivi più comuni si riducono all’isolamento carico di vergogna, al mascheramento gravato da pericolosi, nonché inutili sensi di colpa. Ai pregiudizi che impediscono di vedere il malato mentale come un malato uguale agli altri, riassunti concettualmente in affermazioni quali “il matto non guarisce mai” o ”matti si nasce, matti si rimane”, si affianca una visione ideologica della pazzia che, senza toccare le punte estreme già viste in certi periodi “bui” della storia oltreché persino in attuali

regimi, può caratterizzare medici di culture e specializzazioni diverse, creando, piuttosto che una ricerca multidisciplinare capace di produrre metodologie e prassi sempre più efficaci, alcune contrapposizioni quali: farmaco-parola, azione-controllo, ascolto-sapere, definire-comprendere, che si confermano tanto più improduttive quanto maggiore è la loro inconciliabilità. La stessa legge 180, con la quale veniva riformata l’assistenza psichiatrica, è stata sospettata di essere frutto di ideologia piuttosto che di un lungo lavoro svolto da molti operatori che si inserivano nel processo mirante a produrre dignità e libertà dell’uomo, ottenendo risultati concreti e di grande valore, pur con i limiti e le imperfezioni propri di ogni processo di cambiamento e di innovazione. Gli aspetti macroscopici di quell’evento che ancor oggi è in via di evoluzione, furono da un verso un netto mutamento della cultura della malattia mentale, dall’altro i grandi cambiamenti istituzionali, riguardanti strutture e servizi che si proponevano di riconoscere la persona come appartenente ad un ambiente in cui doveva poter vivere, mantenendo ruoli significativi all’interno di un contesto famigliare, relazionale, sociale. Le tentazioni di tornare indietro ci sono state, ci sono tuttora e spesso impediscono di vedere i grandi miglioramenti avvenuti. È frequente riscontrare come si spendano molte energie nel trasformare in impossibilità la poca voglia di fare quanto è stato programmato, nel giustificare una nostalgia acritica, piuttosto

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che produrre azioni e iniziative ispirate ad atteggiamenti positivi e realistici. Se la maggior parte degli operatori psichiatrici non ritiene più che la probabilità di guarigione dei pazienti dipenda dalla lunghezza della degenza, a prescindere dalla qualità della cura cui vengono sottoposti, è possibile incontrare molte persone che vedono nell’isolamento il solo intervento possibile; soprattutto di fronte al ripetersi di ricadute. In particolare, le famiglie dei malati sono protagoniste di una contraddizione di vaste dimensioni, prodotta dal coesistere di: la sensazione di sentirsi abbandonate dalle strutture sanitarie; l’affetto e la voglia di recuperare alla vita i parenti malati; la ricerca del proprio benessere e della serenità spesso com-

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promessi. Di fronte alle comprensibili difficoltà, non rimane che rispettare la sofferenza e riconoscere il peso di tali situazioni, ma non è giustificabile ritenere ineluttabili circostanze in cui, piuttosto che produrre una crescita non solo culturale bensì anche metodologica, non si riesca a realizzare una “gestione” sana del paziente, tenendo conto dei suoi equilibri personali e sociali. Nel momento in cui si raccolgono i fermenti e le esigenze di liberazione sia all’interno che verso l’esterno, occorre avere chiaramente presenti le necessità della struttura psichiatrica, essendo consapevoli che a quelle del passato se ne aggiungono di nuove e che regolarmente ad esse non corrispondono risposte operative adeguate.

L’AFORISMA DEL MESE «L’istituzione di network amicali e di comunità di interessi in molti casi si traduce in relazioni visà-vis. Cosa cercano le persone in queste reti? Identità sociale, restituzione di senso, un senso sociale alla propria vita. Le stesse ragioni che guidano milioni di individui a impegnarsi attivamente nel volontariato sociale e che a suo tempo, nell’epoca della politica pre-internet, li induceva in una militanza generosa e straordinaria nei novecenteschi partiti politici di massa. La questione politica dietro a tutte queste proteiformi modalità di impegno relazionale può essere ricondotta alla questione del bene comune. O per dirla con un termine inglese dei commons.» Raf Valvola Scelsi, “Sinistra senza sinistra”


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Dal 2004 contro i mulini a vento!

San Marino - l’indagine

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DIRETTORE: Roberto Ciavatta editing: Angelica Bezziccari INDIRIZZO: Via Ca’ Giannino 24 - 47895 - Domagnano (RSM) TEL: 0549. 878270 / MAIL: ass.donchisciotte@omniway.sm SITO WEB: www.associazionedonchisciotte.org COLLABORATORI : Riccardo Castelli, Simona Dell’Aquila, Filippo Mariotti, Oasi-

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due conti in tasca

In questa pagina la seconda parte della tabella dei 35 consiglieri sammarinesi a corredo dell’articolo di Matteo Zeppa pubblicato il mese scorso. Per chi non lo avesse letto è possibile farlo sul nostro sito associazionedonchisciotte.org alla pagina “Il Don Chisciotte”. La sigla R&L sta per “Riforme e libertà”.

verde, Stefano Palagiano, Luca Pedoni, Davide Tagliasacchi, Matteo Zeppa

Dichiaraz. Redditi Elezioni 2008 (libertas. sm)

Cognome (sito del consiglio)

Gruppo consiliare (sito del consiglio)

Professione (sito del consiglio)

ANDREOLI BELLUZZI BRONZETTI CAPICCHIONI CECCHETTI CELLI CHIARUZZI COLOMBINI CRESCENTINI

PSRS PSD PSD PSD PSRS PSRS PSD SU PSRS

DIP. PRIV. DIP.PUBBLICO DIP.PUBBLICO DIP.PUBBLICO LIB.PROF. DIP.PRIV. DIP.PUBBLICO DIP.PUBBLICO DIP.PRIV.

R.&L. R.&L. R.&L. R.&L. R.&L. R.&L. R.&L. R.&L. R.&L.

€ 76.674,56 € 33.857,39 € 29.213,10 € 0,00 € 31.689,94 € 9.068,32 € 47.420,17 € 53.599,63 € 34.030,44

DE BIAGI

PSRS

LIB.PROF.

R.&L.

€ 33.836,16

FELICI FOSCHI LONFERNINI G MACINA

PSD SU DDC PSD

CAPOGRUPPO DIP.PRIV. DIP.PRIV. DIP.PRIV.

R.&L. R.&L. R.&L. R.&L.

€ 47.310,00 € 75.544,02 € 22.067,23 € 72.191,99

MANCINI

PSRS

LIB.PROF.

R.&L.

€ 68.253,37

Coaliz.

MANZAROLI

PSRS

LIB.PROF.

R.&L.

€ 0,00

MICHELOTTI

SU

DIRIGENTE PA

R.&L.

€ 76.212,66

MORGANTI

PSD

LIB.PROF.

R.&L.

€ 47.310,00

MULARONI MURATORI

DDC SU

DIP.PRIV. DIP.PUBBLICO

R.&L. R.&L.

€ 38.597,91 € 37.071,39

PEDINI

PSRS

DIP.PRIV.

R.&L.

€ 7.141,67

RICCARDI ROSSI STOLFI TOMASSONI BERARDI VENTURINI

PSD SU PSD PSD EPS PDCS

LIB.PROF. DIP.PRIV. LIB.PROF. DIP.PUBBLICO

R.&L. R.&L. R.&L. R.&L.

€ 72.191,99 € 65.596,45 € 72.191,99 € 23.232,80 € 81.773,67 € 42.009,00

ARZILLI

NS

€ 50.056,55

CIAVATTA MULARONI MARCUCCI MORRI CASALI VALENTINI

AP AP EPS UMS NPS PDCS

€ 72.229,19 € 209.354,64 € 37.769,28 € 54.576,25 € 30.518,16 € 54.723,59

PODESCHI

PDCS

€ 11.558,00

Partecipazioni (libertas.sm)

Banca di San Marino S.F. Srl

Prima Legislatura (sito del consiglio) 29 maggio 1988 4 giugno 2006 4 giugno 2006 4 giugno 2006 9 novembre 2008 4 giugno 2006 10 giugno 2001 29 maggio 1983 9 novembre 2008

Electronics sa- HP Logistic sa- Nuova Luce Srl- Fime sa- De Biagi & SrlGlobe Promotion Srl- San Marino Calcio Srl- Sport Professionale Srl- 28 maggio 1978 GDB Immobiliare Srl- Società Agricola di Poggio Duca Sas- Banca di San Marino- Banca Agricola Commerciale Banca di San Marino 31 maggio 1998 10 giugno 2001 10 giugno 2001 Banca di San Marino 30 maggio 1993 Elma Impianti Srl- Eleproject Srl- Omnia 4 giugno 2006 Service Srl- Elmaser Srl San Marino Adventures Spa- Le Celle 9 novembre 2008 Snc 30 maggio 1993 Libreria Leonardo Srl- AIEP Editore SrlLa Tribuna Srl- Mostra Alfonso Agency 10 giugno 2001 Srl- Titano inversion e Desarollo Srl Banca di San Marino 30 maggio 1993 10 giugno 2001 Immobiliare San Marino- Immobiliare FPS Srl- Nautica e Motonautica E & C Srl-CPSA Group Srl 4 giugno 2006 Riccardi Servizi Srl 29 maggio 1988 31 maggio 1998 29 maggio 1983 4 giugno 2006 Banca di San Marino 31 maggio 1998 Banca di San Marino 30 maggio 1993 San Marino BroadCasting Srl- Arzilli sa- Orafa Sammarinese SrL- Banca di San Marino 4 giugno 2006 30 maggio 1993 Banca Agricola Commerciale 30 maggio 1993 Banca Agricola Commerciale 31 maggio 1998 29 maggio 1983 Banca Agricola Commerciale 29 maggio 1988 29 maggio 1988 Daste Solar Srl- Banca di San MarinoBanca Agricola Commerciale 29 maggio 1983


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