ricordando genova 2001
Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino
spazio riservato all’indirizzo
luglio/agosto 2011
L’altra informazione a San Marino
numero 44
Il Don Chisciotte
Il Don Chisciotte
Attualità
numero 44, luglio/agosto 2011
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L’editoriale
stop estivo, concorso grafico A l Don Chisciotte nche I si riposa in vista di questo caldo mese di Agosto. Si riposa sperando di risvegliarsi a settembre in un paese migliore, contrariamente ad ogni lucida constatazione. Con voi tutti ci risentiremo nel mese di settembre, con il prossimo numero del nostro mensile. Nel frattempo consideriamo doveroso ringraziare i dodici concorrenti del bando di concorso per la realizzazione grafica del terzo Altrementi festival, che ahimé non è andata a buon fine: la giuria non è riuscita a stabilire un vincitore, rimandando la decisione ad una valutazione successiva
al rilancio di un nuovo bando. Tale rilancio avverrà a brevissimo, quindi chiediamo a tutti coloro che siano interessati di non perdere d’occhio il nostro sito internet, in cui verranno pubblicati il nuovo bando e le nuove scadenze. Nel frattempo sul nostro sito sono stati pubblicati i lavori giunti fino al momento, che potranno concorrere anche alla seconda trance del bando semplicemente apportando le modifiche richieste dalla giuria, in vista di un’immediata utilizzabilità del lavoro che risulterà infine vincitore. Buona estate a tutti, dunque, e arrivederci a settembre. Roberto Ciavatta
Rubriche nato il 4 luglio .
meditazioni sul Viertnam
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L’Ippogrifo di Angelica Bezziccari san marino in transizione
Risposte concrete per il presente e il futuro
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G.A.S. di Stefano Palagiano
parma, san marino e fiori
Su come simboli ed immagini assumano valori differenti in base...
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Es... cogitando di Roberto Ciavatta il corpo violato
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Un’indagine sul rapporto tra dolore e sofferenza
di Davide Tagliasacchi
L’autogestita l’oca di ieri, l’oca di oggi Pagina autogestita da Oasiverde
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Articoli Dillo chiaro, dillo vero, dillo subito Intervista a Vittorio Arrigoni
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di Sara Villa
zona rossa, Zone nere Ricordando Genova 2001
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di Riccardo Balestrieri
san marino e roma nel 1911
Unite «nel nome sacro della Madre Italia»
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di Livio Toschi
avanti tutta
Come reggere il confronto con numeri molto più grandi...
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di Marco Canarezza
massaggio da ufficio di Fabrizio Buratto
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Dillo chiaro, dillo vero, dillo subito Intervista a Vittorio Arrigoni, su gentile concessione della rivista www.subvertising.it di Sara Villa
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’anafora che dà il titolo a questa intervista è di Vittorio Arrigoni e rappresenta il consiglio che un attivista per i diritti umani che ha fatto della penna la sua spada, dà a chi si occupa di comunicazione. “Restiamo Umani” era l’adagio con il quale Arrigoni chiudeva, e chiude tuttora, i suoi reportage da Gaza, un’esortazione a riflettere che poi è diventato l’emblema della sua attività nonché il titolo del suo primo libro. Ha fondato il blog Guerrillaradio e attraverso la rete ha dato voce alle verità e ai protagonisti che non ne avevano, a quelle vicende che sui media mainstream difficilmente trovano spazio. La sua guerrilla è simbolica, rigorosa e implacabile e condivide con quella declinata al marketing la volontà di andare contro il sistema tradizionale, di fare appello a una comunicazione più libera, di sovvertire le regole “istituzionalizzate”. Risiedi a Gaza City e da anni vivi di persona i problemi di quest’area: perché hai scelto di stabilirti proprio qui? Per uno come me, venuto su a pane e antifascismo, la lotta per la liberazione della Palestina è l’arena più
congeniale per esprimere ciò in cui più credo. L’unico, l’ultimo popolo al mondo ancora oppresso da un’egemonia coloniale. Questo e molto altro. Come Mandela non si è mai stancato di dire nel corso della sua lotta, dobbiamo avere la consapevolezza che la Palestina è una delle più grandi cause morali del nostro tempo. Quando nasce Guerrillaradio e perché? Il perché del blog si fomenta sette anni fa in una cella d’isolamento di un carcere a Tel Aviv, nella quale fui recluso e torturato prima di subire un ingiusto processo, la mia unica colpa essere un attivista incorruttibile nel campo dei diritti umani. Nel corso degli anni, l’urgenza è stata sempre la stessa: voler comunicare una realtà abbastanza conosciuta ma spesso e volentieri mistificata. Dar voce ai senza voce. La guerrilla è qualcosa che si fa con armi inferiori rispetto alla guerra. Quali sono le tue “armi”? Parafrasando il “Teatro della Crudeltà” Antonin Artaud, guerrilla è una guerriglia ideale, contro l’accanimento terapeutico all’informazione moribonda veicolata dai grossi media, ormai istitu-
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zionalizzati, lobotomizzati quindi a grancassa di una politica mediocre che non si vuole estinguere. Guerriglia non perché io voglia intendere un moto tumultuoso di violenza, la parola guerrilla dev’essere intesa in senso lato e non nell’accezione fisica e rapace che abitualmente le si riferisce. Si può benissimo immaginare una guerriglia senza strazio carnale. Dal punto di vista del mio spirito, guerrilla significa rigore, applicazione alla ribellione e decisione implacabile, determinazione irreversibile, assoluta. Da questo punto di vista Gandhi a mio avviso è stato un implacabile guerrillero. In questi anni hai affrontato momenti difficilissimi, prigionia, torture e sequestri di persona: ti sei mai sentito scoraggiato o hai mai pensato di interrompere la tua “missione”? Avendo fatto della mia vita una missione, laica e civile, dimettermi dalla missione significherebbe dare le dimissioni dalla vita. Un suicidio. Ci sono esistenze più spendibili di altre, e la mia è una di queste. Tutto sta nel spenderle per qualcosa d’impagabile, come la lotta per la giustizia, la libertà. Guerrillaradio e guerrilla marketing. Entrambe vogliono dimostrare che un altro modo di fare informazione/advertising è possibile, anche senza utilizzare i media mainstream. Entrambe richiedono la partecipazione e il coinvolgimento delle coscienze/persone. C’è un modo tradizionale di fare advertising, e un modo non convenzionale, che sfrutta le nicchie, lascia da parte i grandi budget, cioè che va contro corrente. Conosci questo modo non convenzionale di fare advertising? Credo che anche le grosse testate si stanno accorgendo del tramonto dell’epoca degli strilloni. Il successo del social network dimostra la volontà di essere compartecipi degli eventi e della Storia, come narratori in prima persona piuttosto che semplici lettori. Io non sa-
pevo com’era fatto un PC prima del 2002, poi non ho più perso tempo. In questi anni il guerrilla marketing è stato utilizzato per molte campagne sociali (Greenpeace e Amnesty International su tutte). Qualcuna ti ha colpito particolarmente? Beh, Greenpeace faceva guerrilla marketing quando ancora questo termine non era stato coniato. Penso un guerrilla marketing all’incontrario sia rappresentato da buona parte dei nostri politici, lo si è visto giusto questa settimana. Concentrati un attimo sull’immagine pubblica del nostro premier: un anziano di 75 anni, con vari acciacchi, che si pone dinnanzi alle sue telecamere solo dopo estenuanti sedute di liposuzione, lifting facciali e autotrapianti di capelli, un inferno pover’uomo. Un uomo che mente perfino sulle rughe e sui suoi capelli che immagine vuoi che dia della politica italiana? Tutta un artificio. Sei anche uno scrittore, come promuovi i tuoi libri? Hai mai pensato di farlo attraverso il guerrilla marketing e i suoi strumenti che permettono di ottenere risultati con budget limitati e bypassare tv e giornali? Per il mio libro pubblicato e tradotto in sei lingue, e per il secondo in cantiere, sempre sulla tragedia della Palestina e di Gaza che resiste, non posso certo sperare nell’attenzione di chi politicamente ha scelto l’appoggio incondizionato dell’oppressore. Non mi resta che il porta a porta, girare lo Stivale come ho fatto per Gaza Restiamo Umani. Un viatico d’incontri con un’Italia che non appare sulle prime pagine dei giornali o nei reality. Un’Italia avvinta dai problemi economici ma che conosce ancora la solidarietà e l’empatia con chi lotta per la sopravvivenza. Se puoi ci saranno occasioni di guerrilla marketing ben venga, come l’anno scorso quando durante una presentazione proiettai sulle mura della Fiera del Libro di Francoforte dei video che
mostravano cecchini israeliani fare il tiro a segno sui civili di Gaza, e io e il mio traduttore Felix fummo sul punto di essere cacciati fuori. Ultimamente si fa un gran parlare della democraticità di Internet: in base alla tua esperienza, pensi che Internet sia un mezzo democratico? Può dare la possibilità di fare un giornalismo partecipativo e non uniformato? Internet è sicuramente ancora un mezzo democratico di diffusione del sapere, e questo crea grande preoccupazione a quei governi poco avvezzi alla democrazia. E non mi riferisco esclusivamente alla Cina o alla Corea del Nord. Ritengo che gli scoop sgonfiati di WikiLeaks non siano altro che armi di distrazione di massa che con la scusa della sicurezza daranno il via a un tentativo di imbavagliare la rete da parte dei governi occidentali, USA in testa. Come fa l’informazione a essere indipendente? Informazione libera, significa libera dal sistema economico che la guida? Indipendenti in Italia non sono le televisioni come è noto, ma neanche i quotidiani a maggiore tiratura come Corriere e Repubblica, con linee editoriali strettamente vincolate dai sistemi economici che ne detengono le azioni: Confindustria e De Benedetti. L’informazione realmente indipendente è rara ma va sostenuta. Penso a Radiopopolare, sostenuta principalmente con gli abbonamenti dei suoi ascoltatori, o Il Manifesto che è una cooperativa, senza padrini né padroni, e di fatto sono liberi. Nel tuo sito dopo le prime righe c’è scritto: “contro la corruzione mediatica”. La pubblicità contribuisce alla corruzione mediatica? Potrebbe non farlo? Proprio il mese scorso ho pagato di tasca mia affinché la piattaforma web che ospita il mio sito levasse la pubblicità dalle mie pagine. Senza i proventi della pub-
blicità molte realtà editoriali chiuderebbero subito, ne sono consapevole, è fondamentale allo stesso tempo porsi dei limiti, in termini di contenuti e in termini di spazio. Ricordo Libero di Feltri quando uscì per la prima volta nelle edicole: un terzo delle pagine era solo di pubblicità. Libero di Feltri, un ossimoro. Il nostro magazine parla di comunicazione non convenzionale e anche la tua è comunicazione non convenzionale. Chi va contro corrente deve avere coraggio: qual è la chiave per arrivare alle orecchie e alla mente della gente? Personalmente percepisco il credito che mi viene conferito quando scrivo sul blog o dovunque mi sia concesso uno spazio, Il Manifesto, Peacereporter, Infopal o altro, dipenda dalla credibilità e dal rispetto che mi sono guadagnato sul campo. Quando un attivista per i diritti umani rispettato impugna la penna come una spada, ci si attende rispetti gli stessi canoni di veridicità e onestà che regolano il suo attivismo. Se dovessi dare un consiglio a chi si occupa di comunicazione cosa gli diresti? Niente trucchi da quattro soldi. Dillo chiaro. Dillo vero. Dillo subito.
[N.d.R. Vittorio Arrigoni -nella foto qua sopra- è stato un reporter, scrittore e attivista italiano. È stato rapito e in seguito assassinato il 15 aprile 2011. Il suo blog è http:// guerrillaradio.iobloggo.com/]
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Ambientee società Politica
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storico e dell’immediato circondario.
di Riccardo Balestrieri
In ricordo della sospensione dei diritti civili durante il G8 di Genova 2001, a dieci anni esatti dal suo indelebile svolgimento. I responsabili, gli esiti, le impressioni
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Sangue dei pestaggi sui muri della scuola Diaz
zona rossa zone nere
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uesto contributo è stato letto il 26 marzo 2009, a Domagnano, alla presentazione del documentario sul G8 (Effettuata dal compianto Beppe Cremagnani, su invito della Associazione Don Chisciotte - n.d.r.). Qualcosa, in Italia, è cambiato da allora, ma è di questi giorni la notizia che è stato promosso questore Spartaco Mortola, un dirigente della Digos che ha subìto due condanne in appello (tre anni e 8 mesi e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, per l’irruzione alla scuola Diaz, e un anno e due mesi, per induzione alla falsa testimonianza dell’allora questore di Genova Francesco Colucci) e di cui si aspetta la sentenza definitiva della Cassazione. http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2011/06/06/ AOalb2Z-condannato_questore_promosso.shtml Nei giorni precedenti il G8 i media locali hanno ospitato una campagna martellante di governo, prefettura e questura sui pericoli che avrebbero corso le persone e le cose nel centro di Genova. I genovesi hanno capito l’antifona, hanno chiuso gli esercizi commerciali e sono andati in vacanza. Penso che non ci sia mai stato, in tutta la storia della Superba, un tale spopolamento del centro
Venerdì 20 luglio è stata per me una normale giornata di lavoro e solo quando sono giunto a casa ho saputo dell’uccisione di Carlo Giuliani. Le TV locali proiettavano ininterrottamente i loro filmati, senza commenti. Gli spezzoni non erano ordinati cronologicamente ed era difficile capire cosa era successo, ma mi è rimasta impressa un’immagine: due ragazzi vestiti di nero, su un motorino, che parlano con agenti in divisa. Il giorno dopo, sabato 21 luglio, decido di vedere con i miei occhi. Scendo dal bus alla Stazione Marittima, nei pressi della Stazione FS di Principe, e inizio il periplo della zona rossa, da ponente a levante. Dopo gli avvertimenti sulla stampa, solo il Nemico può trovarsi in zona gialla, vicino alle altissime grate che blindano la zona rossa. Eppure non c’è traccia di sorveglianza a terra: dai tetti del centro storico non si possono sorvegliare i carrugi e anche gli elicotteri hanno una visuale assai limitata del terreno. Le forze di polizia sono concentrate dietro i pochi varchi della zona rossa e, come vedrò poi, alla Foce. Sono vicino a un varco, quando arriva un taxi: scende una signora con un vistoso pass. I militi socchiudono il cancello, ma vedono arrivare lenti lenti tre ragazzi e una ragazza; richiudono in fretta e furia la barriera e urlano alla signora di andarsene; lei risale immediatamente e il taxi riparte sgommando. Un milite riprende i sedicenni con una telecamera: loro continuano a camminare, senza nemmeno guardare i militari. Imbocco via del Campo dietro i ragazzi e gli dico: “ma avete visto cosa è successo? Hanno chiuso il varco per voi!”. Si girano e uno di loro mi dice, imperturbabile: “hanno paura”.
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Quando arrivo in Campetto, una piazzetta baricentrica del centro storico, mi rendo conto all’improvviso di essere completamente solo… chiusi tutti i negozi, serrati i portoni e le persiane e nessun rumore dai palazzi: non si sentono televisioni, voci, musica, nemmeno rumore di stoviglie, eppure è vicina l’ora di pranzo! San Matteo è a pochi passi da Palazzo Ducale, in cui si tiene il G8, ma è ancora zona gialla: mentre mi avvicino sento finalmente qualcuno, sbuco in piazza e mi accorgo che un folto gruppo di militi sta discutendo a bassa voce; appena mi vedono arrivare, si zittiscono immediatamente: non li ho più sentiti parlare! Salgo verso la circonvallazione a monte: è l’unico asse viario cittadino che collega ponente e levante, ma è quasi deserta! Ridiscendo verso la Stazione FS di Brignole e vedo dall’alto un impressionante spiegamento di forze di polizia lungo i viali Brigata Bisagno e Brigate Partigiane. (La guerra di liberazione e il 30 giugno 1960 sono davvero lontani). Il tempo di arrivare alla foce del Bisagno e le cariche contro la grande manifestazione, autorizzata e non violenta (black bloc a parte), sono già iniziate. La mia lentezza mi ha salvato. La cortina bianca dei lacrimogeni è quasi impenetrabile. L’asfalto è disseminato da un’infinità di bossoli d’alluminio di candelotti. Non potendo contarli, ho fatto una stima: poco più di un bossolo al metro quadro, un settore stradale di circa 15 x 250 m, ne consegue un ordine di grandezza di 4000 candelotti lacrimogeni... due candelotti al secondo per mezz’ora? Una ragazza giovanissima dagli occhi gonfi ha dichiarato a una TV, ancora in preda al panico, di aver visto cadere contemporaneamente anche cinque candelotti! Il fumo nero sale invece da auto e roba di plastica: bruciano in mezzo alla strada.
D’ogni tanto la brezza che viene dal mare apre dei varchi nel fumo e si vede la testa della manifestazione che cerca di retrocedere per le cariche, ma viene spinta in avanti dal resto del corteo che ancora avanza. Un inferno senza via di scampo vicino a chi prende il sole sulla spiaggia. La manifestazione è disgregata in tanti spezzoni, le forze di polizia retrocedono e attaccano in varie direzioni. Percorro in lungo e in largo i viali. La maggior parte dei manifestanti non è stata a contatto diretto con le forze di polizia: sarà per questo che i volti sembrano sereni. Tensione incredibile, invece, fra i militari: ma chi si aspettano di avere di fronte? Persino il passaggio di un ragazzino con quelli che sembrano, forse, i resti di una tuta bianca, ne scatena la furia. Nel caos incrocio più volte il cospicuo corteo di Rifondazione Comunista, che è riuscito a rimanere sul percorso previsto senza essere attaccato da black bloc (non ne ho mai visto uno con i miei occhi!) e forze di polizia, grazie alla compattezza e al servizio d’ordine. Prima di tornare a casa, in un ponente del tutto tranquillo (grazie alle postazioni di missili terra-aria all’aeroporto?), mi fermo a guardare la Foce dalla collina dello Zerbino: molte colonne di fumo bianco, lacrimogeni, e nero, cassonetti e auto in fiamme, si alzano in un cielo limpidissimo dai quartieri più signorili di Genova. Gli elicotteri filmano tutto dall’alto. La mia città sembra Beirut. Spero che ormai tutto stia finendo, ma ci sarà ancora la Diaz, ci sarà ancora Bolzaneto. Oggi [25 marzo 2009] il centro storico non è più zona rossa e merita un lungo girovagare; Alimonda è tornata a essere una piccola piazza anonima; alla Foce si passeggia e si prende il sole sul mare… …ma Berlusconi punta alla
Il carcere di Bolzaneto in cui avvennero le torture. In basso a sinistra il carcere di San Marino. Alla stessa scala di grandezza
presidenza della Repubblica. Fini, responsabile dell’ordine pubblico a Genova, è la terza carica dello Stato. Tutti i capi delle forze di polizia sono stati promossi. La destra non è mai stata così forte in Italia dal ventennio fascista. D’Alema, responsabile della scelta di Genova quale sede del G8 e della costituzione del gruppo di Canterini a Ponte Galéria, è il leader più influente dell’opposizione. La sinistra è diventata extra-parlamentare e corre il rischio di dover lasciare anche Bruxelles. Il dramma del G8 è stato uno dei motivi per cui la mia fami-
glia si è trasferita a San Marino, la terra di mia mamma. Che lezione possono trarre i sammarinesi da quanto è successo a Genova? Possono, ad esempio: conservare l’indipendenza, l’equidistanza e la non belligeranza per cui ha brillato San Marino; addestrare le forze di polizia in paesi che applicano i diritti dell’uomo anche in caserma e in prigione; mantenere a misura d’uomo il loro unico carcere, in Città. 7 giugno 2011
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San Marino
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san marino e roma nel 1911 unite
Il padiglione dei congressi a Castel Sant’Angelo visto dal bastione di San Marco. Sulla sinistra, addossato al “Passetto” di Borgo, s’intravede il piccolo edificio che ospita la mostra di San Marino..
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ell’ambito delle celebrazioni per il 50° anniversario dell’Unità d’Italia, il 28 marzo 1911 i sovrani inaugurano a Castel Sant’Angelo le mostre retrospettive, che vogliono far conoscere ai visitatori la ricchezza e la varietà delle arti a Roma attraverso i secoli. All’interno della cinta quadrata sono allestite le esposizioni dei marmorari romani e dei Cosmati, della ceramica, del costume, delle stoffe d’arte, degli strumenti musicali, delle armi, della pittura medioevale e della scultura del Rinascimento di Michelangelo, di Bernini, di Pinelli. Inoltre, si possono visitare le ricostruzioni di una farmacia del 1600 con annesso laboratorio, di una cucina romana del XVII secolo, delle botteghe di un barbiere,
di un vasaio e di un armaiolo, delle stanze di Clemente VII e di Paolo III, arredate con pezzi d’epoca, ecc. Sono restaurate e trasformate in sedi espositive le due casermette costruite dall’architetto militare Giulio Buratti per Urbano VIII, che si allungano parallele a due lati della cinta pentagonale e delimitano la vecchia piazza d’armi del castello: al primo piano, nella casermetta di sinistra si trova il Museo storico del Genio Militare (inaugurato dal re il 13 febbraio 1911), già Museo di storia dell’ingegneria militare italiana; nella casermetta di destra le mostre di Numismatica, di Sfragistica, di Epigrafia e soprattutto di Topografia romana, allestita con materiali provenienti da prestigiose raccolte nazionali
e internazionali. Vengono qui esposti plastici, planimetrie, vedute e fotografie, rilievi del Palatino e delle terme di Caracalla, gli acquerelli di Ettore Roesler Franz. Dietro le casermette sorgono un convento medievale appositamente ricostruito, con ambienti decorati da vedute panoramiche della città di quel tempo; la cella con annesso laboratorio dell’alchimista Giuseppe Francesco Borri, morto in prigione a Castel Sant’Angelo nel 1695; il padiglione per le mostre temporanee, quali l’esposizione internazionale di Fotografia e quella d’Igiene. Ai piedi del castello è allestita anche una mostra degli Stranieri a Roma, cui partecipano sedici nazioni. Si possono ammirare persino le tre carrozze del treno di Pio IX,
I biglietti d’ingresso alle most Castel Sant’Angelo e in Piazza
restaurato nel 1910. Durante le feste del Cinquantenario sui bastioni della cinta pentagonale sono sistemati: verso via Crescenzio un giardino con fontana, presso il quale si apre uno degli ingressi alle mostre (gli altri due sono sul lungotevere); verso il palazzo di Giustizia un padiglione per il ristorante; verso il Passetto di Borgo – il viadotto che collega Castel Sant’Angelo al Vaticano – un elegante edificio con pronao a quattro colonne, destinato alle sedute plenarie dei congressi. Nel recinto del castello, all’inizio di maggio, i sovrani d’Italia inaugurano anche la mostra di San Marino, allestita presso il bastione di San Marco, dentro un piccolo edificio addossato a un pilone del “Passetto”. Sulla porta si
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«nel nome sacro della madre italia» Le celebrazioni per i 50 anni dell’unità d’Italia
di Livio Toschi
tre che si tengono nel 1911 a a d’Armi
legge: «Anche nella letizia – della solennità giubilare – e sempre – uniti nel nome sacro – della madre Italia – Dato dal Pubblico Palazzo il giorno 27 marzo 1911». Fa gli onori di casa il comm. Onofrio Fattori, già Reggente della Repubblica. Il pianterreno riproduce la sala delle guardie del Gran Consiglio, che mostra sul fondo un camino con artistici alari e altri utensili d’epoca. A sinistra, vicino alla porta, si trova la campana proveniente dalla torre Cesta, che servì a dare l’allarme quando Fabiano da Monte San Savino nel 1543 tentò di occupare di sorpresa la Repubblica. Alla rastrelliera sulla destra sono appese alabarde e spade medioevali, una balestra, uno scudo, un’armatura e il giaco del celebre architetto
Il padiglione dei congressi è stato rimosso, ma si nota ancora il piccolo edificio che ha ospitato la mostra di San Marino
militare capitano Giambattista Belluzzi, detto il San Marino, che nel 1554 cadde durante l’assedio di Siena. In alto sono riprodotti gli stemmi a colori dei castelli di Faetano, di Fiorentino, di Montegiardino e di Serravalle, annessi alla Repubblica nel 1462 dopo la sconfitta di Sigismondo Malatesta: costituiscono l’ultimo ingrandimento territoriale di San Marino. Una scaletta in legno conduce al piano superiore, composto da due sale. Nella prima sala, sul cui soffitto si legge il motto latino «Relinquo vos liberos ab utroque homine», una vetrina contiene manichini con costumi militari, fra cui quello di un Capitano Reggente con le insegne dell’ordine equestre di San Marino, di un Console, di un ufficiale superiore della guardia del Gran Consiglio, di
un ufficiale della milizia, di un trombettiere, di un soldato di Rocca, di un gendarme. Un’altra vetrina custodisce importanti cimeli e antichi pubblici sigilli della Repubblica. Notevoli anche quattro sigilli della legione garibaldina, il breviario di Ugo Bassi, le posate da campo di Garibaldi e la veste che Anita lasciò a San Marino durante la fuga dagli Austriaci. Nella seconda sala sono disposte maioliche faentine e quadri a olio del pittore sammarinese Pietro Tonnini, più volte Reggente, e di altri artisti: uno raffigura monsignor Enrico Enriquez, che il 5 febbraio 1740 liberò la Repubblica dal giogo del cardinale Giulio Alberoni; un altro ritrae Domenico Maria Belzoppi, anche lui più volte Reggente, che concesse
ospitalità a Garibaldi nel 1849. La raccolta più interessante è quella dei documenti storici contenuti nelle vetrine a destra, tra cui il Placito Feretrano, la pergamena scoperta nel 1749 da Annibale degli Abati: copia di un documento dell’885, costituisce il primo attestato dell’esistenza di San Marino e della sua indipendenza dalle diocesi di Rimini e del Montefeltro. Le decorazioni dell’edificio a Castel Sant’Angelo sono opera dell’artista sammarinese Rufo Reffi, che ha riprodotto i motivi del Palazzo del Governo, realizzato in piazza della Libertà dall’architetto romano Francesco Azzurri e inaugurato il 30 settembre 1894 con un discorso di Giosuè Carducci.
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Qui non gliene frega un cazzo della guerra
nato il 4 luglio di Angelica Bezziccari
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e in queste sere d’estate dovesse ricapitare che trasmettano alla tv per l’ennesima volta “Nato il 4 luglio” vi consiglio di riguardarlo. Ancora una volta. Perché non è solo un film di guerra (o contro la guerra). Perché non c’è solo Tom Cruise o la regia di Oliver Stone. C’è molto di più. C’è la costruzione di una Coscienza Sociale. Per chi non lo sapesse, Nato il 4 luglio è tratto dalla storia vera di Ron Kovic, e la sceneggiatura è stata scritta dallo stesso Kovic e dal regista, quindi si presume abbastanza realistica. Qual è la sua storia? Come tanti, troppi giovani americani, è andato al fronte pensando di fare qualcosa di buono per il
suo paese. Come tanti giovani americani, è stato trascinato dalla propaganda militare in cerca di nuove leve e dal carisma delle figure in divisa: simbolo di forza, rispetto e potere. Così Ron nel 1967 decide di arruolarsi nel corpo dei marines, nel pieno dello svolgimento della guerra in Vietnam, dove lo spediranno. In Vietnam scopre la realtà di una guerra che è quella di tutte le guerre: non è una battaglia contro i presunti “cattivi” per salvare il mondo dei “buoni”. È una violenza cieca e irrazionale che colpisce chiunque, compresi neonati, donne, contadini. Di più, le violente carneficine spesso avvengono anche per errore (sic). È facile
purtroppo, quando si maneggia una mitragliatrice e si spara alla cieca, in preda a una paura folle. Succede così che Ron uccide per errore il soldato Wilson. In seguito, nel gennaio del 1968, viene ferito alla spina dorsale diventando per sempre paralizzato dalla vita in giù. Da quel momento, anche se nel film non viene subito mostrato, Ron Kovic cambia. Dopo una dolorosa riabilitazione e cure in un ospedale (sporco e infestato dai topi, poiché il governo americano ha investito tutto il denaro pubblico in armi) torna a casa dalla famiglia. Tutto apparentemente sembra come prima, ma niente è come prima. Ron finge che nulla sia cambiato, finge con se stesso di credere ancora alla religione, alla famiglia, alla patria.I cosiddetti “valori”. Finché, dopo una serata passata a ubriacarsi, esplode, contro i genitori, contro le ipocrisie morali e contro tutte le falsità che gli sono state raccontate. Ed è qui che si inizia a raccontare davvero la nascita di una coscienza sociale. E, cosa più importante, si narra implicitamente che la coscienza sociale può nascere soprattutto attraverso il dolore sperimentato, diretto e indiretto. È questo uno dei problemi di oggi: finché non si prova sulla propria pelle la sofferenza, provocata dalle decisioni scellerate di un governo incompetente e arrogante, difficilmente una persona acquisirà quella consapevolezza necessaria ad agire. E anche se la acquisisse, sarebbe comunque difficile tramutare la semplice indignazione in azioni concrete. Ron Kovic - uno come noi, direbbero i Nomadi l’ha fatto. Ha deciso di dare un senso al suo immenso dolore, portando la sua esperienza a conoscenza di tutti, e battendosi come attivista contro la guerra in Vietnam e contro tutte le guerre, diventando uno
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degli attivisti americani più determinati. Nella nuova introduzione al suo libro (dal quale è stato tratto il film) scritta nel 2005, scrive: “volevo che la gente capisse. Volevo condividere con loro più intimamente e più apertamente possibile cosa ho dovuto attraversare, e sopportare. Volevo che sapessero cosa davvero significa andare in guerra, non è il mito con cui siamo cresciuti […] sono stato picchiato dalla polizia e arrestato dodici volte per aver protestato contro la guerra, e ho trascorso molte notti in prigione sulla mia sedia a rotelle. Sono stato chiamato comunista e traditore, semplicemente per aver provato a dire la verità.”
Il veterano Ron Kovic. “Nato il 4
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a proposito di vietnam... ...dal romanzo-reportage sulla guerra in Vietnam “Niente e così sia” di Oriana Fallaci
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raziosa, vero? Elegante, direi. È una pallottola dell’ M16. Una, una sola, basta ad uccidere un uomo: senza bisogno di sparare a raffica. Perché lei viaggia a una velocità molto vicina alla velocità del suono, e mentre viaggia è sempre al limite dell’equilibrio, e quando arriva non si ferma dentro la carne come una brava pallottola, no, e neanche attraversa un braccio o una gamba, no, lei si gira e si torce e strappa e taglia e ti vuota in pochi minuti di tutto il tuo sangue. Lo sai perché fra
4 luglio” si ispira alla sua vita
i vietcong ci sono così pochi feriti? Perché i vietcong restano generalmente feriti dall’M16 e perciò non restano a lungo feriti: muoiono sempre. Tieni, portala via con te, a New York, per ricordo. E ammirandola pensa che fu studiata a lungo, non gli riusciva trovar la polvere giusta ma poi la trovarono: è la polvere Dupont, perché la Dupont non lascia residui dentro il fucile...” Prendo la pallottolina e l’ammiro. È fatta proprio bene. Chi l’avrà inventata? L’ha inventata un uomo. E un giorno quest’uomo s’è messo lì con la sua pazienza, la sua scienza, la sua fantasia, la sua tecnologia, e ha calcolato forma peso polvere velocità traiettoria momento d’impatto, e dopo tali calcoli egli ha fatto un disegno, e ha scritto un progetto, e ha offerto il progetto a un industriale. E l’industriale lo ha esaminato con interesse, e ha chiamato i suoi tecnici, e gli ha detto di realizzare la pallottolina per prova, ma in gran segreto perché un altro industriale non gli rubasse l’idea. E loro l’hanno fatto. Poi tutti contenti hanno portato la pallottolina all’industriale che l’ha guardata come se fosse uno smeraldo, uno zaffiro, e ha detto: ora vediamo se funziona. E c’è stato l’esame e la pallottolina è stata sparata. Su chi? Su cosa? Su un cane, su un gatto, su un pezzo di lamiera? Certo non su un uomo. Io avrei scelto un uomo: l’inventore, ad esempio, o lo stesso industriale, o tutti e due. Invece sia l’inventore che l’industriale sono rimasti intatti, e l’industriale ha riunito intorno a un tavolo di mogano il suo consiglio di amministrazione, e ha mostrato la pallottolina, e ha proposto di brevettarla e produrre milioni di miliardi di pallottoline per l’esercito che le avrebbe usate in Vietnam. E
La Fallaci in Vietnam il consiglio di amministrazione ha approvato. Sicché guardala questa fabbrica piena di operai che costruiscono pallottoline, i bravi operai del proletariato difeso da Marx, protetto dai sindacati, i bravi operai che non hanno mai colpa, la colpa è degli industriali e basta, gli operai poverini non fanno che eseguire gli ordini, devono pur guadagnare, mantenere la famiglia, comprarsi l’automobile a rate, no? Hanno forse il tempo e il modo di porsi problemi morali, eh? E costruiscono pallottoline. Laboriosi, compunti, attenti a scartare le pallottoline che non riescono bene, se la pallottolina è imperfetta non strappa non taglia non vuota di tutto il suo sangue l’ometto giallo che se la becca a vent’anni. O l’ometto bianco, o l’omone nero. Perché queste pallottoline ce l’hanno anche gli altri, si fanno anche a Mosca, e a Pechino, dove non le ordina un industriale, le ordina lo Stato, che è proprio lo stesso, e anche gli operai sono proprio gli stessi, magari ancor più diligenti, ancor più obbedienti, e un giorno io voglio visitare una fabbrica di pallottoline: a Chicago o a Kiev o a Shangai. E voglio guardarli in faccia, tutti: operai, direttori, industriali. E infine
voglio guardare in faccia l’inventore perché lui è il più bello, il più importante: suo padre inventò la ghigliottina e suo nonno inventò la garrotta. Suo padre era un brav’uomo e suo nonno era un brav’uomo e anche lui è un brav’uomo, ne sono certa: è un buon cittadino e un marito fedele e un papà affettuoso. E se vive a Chicago o a New York o a Los Angeles è anche un cristiano molto devoto. E se è cattolico, la domenica mattina va a Messa e il venerdì mangia pesce. E se è iscritto alla Società Protettrice degli Animali scrive lettere per protestare contro la strage delle foche a Bergen e Halifax. “Egregio signor sindaco, con profondo orrore ho letto la strage che ogni stagione avviene nella sua città dove piccole foche inermi, foche neonate, vengono sottoposte all’atroce supplizio della scuoiatura quando sono ancora vive, sotto gli occhi inorriditi delle madri che vengono accecate e poi usate per giocare a palla...” E sua moglie dirà che non indosserà mai più una pelliccia di foca. Voglio conoscere anche lei, perché voglio regalarle una collana fatta con le pallottoline inventate da suo marito, e chiederle di portarla con la pelliccia di foca: ci va bene insieme.
L’autogestita: Oasiverde
l’oca di ieri F
ra i tre volatili-fratelli che più spesso ricorrono nel folklore e nelle leggende (l’oca, l’anatra, il cigno), l’oca è senza dubbio la più addomesticabile, la più vicina all’uomo: forse anche la più simpatica. Nel folklore questo candido uccello migratore ha occupato indifferentemente le tre aree cosmiche del cielo, della terra e dell’acqua, in quanto è volatore, nuotatore e camminatore robusto. Il suo è il carattere di animale cosmico e uranico, che si può avvicinare al cielo. È un migratore, il cui arrivo segna a sud l’inizio della stagione temperata e a nord quello della stagione più clemente. Sempre, comunque, un buon auspicio. Questo misto di arcano e quotidianità ha circondato l’immagine dell’oca di un’attenzione quasi timorosa. Grande guardiano, dotato di poteri profetici, l’oca sa vedere anche le sventure invisibili che si avvicinano alla casa. Si dice che, qualora essa si metta senza ragione a correre
attorno all’edificio starnazzando, segnali un pericolo mortale. E del resto sono note la sua attenzione e il suo coraggio, specie all’appressarsi di predatori – ladri, faine, volpi, magari anche lupi – o in coincidenza con un principio di incendio. Ciononostante, gli furono tributate credenze popolari che la definiscono sciocca tra le sciocche! Pare che il detto “stupida come un’oca” derivi dal forte schiamazzo che ai più sembra insensato! Ma quei più evidentemente hanno dimenticato la vicenda del Campidoglio e la proverbiale attitudine alla guardia che ne è derivata, quando lo schiamazzo delle oche sacre a Giunone raccolte nel recinto del tempio di Giove con il loro gridare, destarono (mentre i cani dormivano) le sentinelle romane preannunciando l’assalto notturno delle truppe galliche di Brenno. Anche tra i popoli centroasiatici non stupisce imbattersi nell’oca selvatica o nel cigno, questa volta quali veicoli sciamanici: aiutano lo sciamano nella sua ascesa al cielo o lo soccorrono nel suo ritorno dagli inferi, insomma prestano in un modo o nell’ altro le loro ampie e forti ali al viaggiatore dei mondi extraterreni. In Egitto, quando
Aphrodite Urania, divinità trasportata da un’oca. Presso i Greci incarnava l’amore ideale
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un nuovo faraone saliva al trono, si usava lanciare delle oche selvatiche verso i quattro punti cardinali: poiché l’oca annunzia con il suo arrivo una nuova stagione, il suo volo in relazione al nuovo sovrano veniva ad assumere il carattere d’una magica rifondazione del regno e del cosmo stesso. Anche nel mondo celtico e germanico l’oca ha un significato di tipo veggente e profetico, associato al rapporto fra ricomparsa del volatile e della buona stagione al complesso uranico della sua immagine, come annunciatore degli dèi del cielo. La cultura cristiana, rielaborando il folklore celtogermanico europeo, ne farà qualcosa di diverso. L’ oca è uno degli attributi di uno dei più grandi santi dell’Occidente: Martino di Tours, il patrono della gente franca dopo la sua conversione. Cavaliere, poi eremita, più tardi vescovo di Tours, Martino teneva presso di sé, nel suo romitorio, un’oca: nel suo caso, la sua brava compagna lo “tradì”, quando gli abitanti di Tours lo cercavano per elevarlo alla cattedra episcopale della loro città ed egli si nascondeva. L’oca rivelò alla gente di Tours, stridendo, dove si nascondeva il santo. Oggi San Martino si festeggia l’11 novembre, il medesimo mese della migrazione delle oche verso sud. A smentire il modo di dire che vuole l’oca simbolo di stupidità, ci sono inoltre le testimonianze di chi ha allevato oche... e chi non ha amato l’oca Martina di Konrad Lorenz? Plutarco narra della scaltrezza con la quale le oche sfuggirono ai numerosi attacchi delle aquile sui monti Tauri. Ludwig Büchner racconta le gesta di un’oca che aveva uno spiccato senso militare da montare regolarmente di sentinella e da gridare i diversi
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segnali presso il reggimento nel quale si era “arruolata”. Mentre il dott. Franklin scrive che un’oca intenta nella cova da 15 giorni, sentì approssimarsi la fine e lasciò il nido alla ricerca di un’altra oca che la sostituisse nella cova... La nuova oca seguì la moribonda sino al nido e vi si adagiò per continuare la cova fino alla schiusa e alla successiva cura dei piccoli nati; mentre la povera oca vecchia moriva. Forse non a caso in Romagna si dice che quando venne sparso nel Mondo il sale del giudizio, tre parti furono assorbite dalle oche, il resto venne assimilato dagli uomini! Per noi di Oasiverde l’oca è un animale capace di affetto e comprensione. Giulio, nuovo compagno palmipede del laghetto, è stato capace di abituarsi velocemente al nuovo
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ambiente e ai suoi compagni umani, riconoscendone la voce, la figura, e al nostro apparire ci saluta con acuti allegri e chiassosi! Ben diversi i suoi allarmi, e mai inutili: la sua presenza ha reso più sicure anche le anatre, con le quali convive e che prima del suo arrivo erano terrorizzate dagli attacchi dei corvidi e dei rapaci. Se lo si osserva appare quasi buffa la sua testolina inclinata e intenta a scrutare il cielo, in realtà Giulio è diventato in breve tempo col suo portamento fiero il Guardiano del Lago.
l’oca di oggi L
’origine della nostra oca domestica deriva dall’oca selvatica o oca cinerina. L’oca comune si è mantenuta pressoché simile alla sua capostipite, ma l’intervento dell’uomo ha fatto sì che si sviluppassero diversità di mole e di piumaggio; si sono via via venuti a creare degli esemplari con caratteristiche stabili: le razze, ognuna nata per uno scopo ed una produzione ben distinta. Le produzioni ricavabili dall’oca sono la carne, il fegato, ma anche la piuma e il piumino è molto ricercato per la confezione di piumoni
copriletto, cuscini, giacconi, ecc. Questa soffice e calda imbottitura viene ricavata dallo spennamento di oche vive e senza anestesia. La prima spennatura avviene a due mesi di vita, quando le piume sono molto morbide. La piuma è una produzione cornea dell’epidermide di tutti gli uccelli: costituisce il rivestimento contro il freddo ed ha finalità di termoregolazione per cui assolve a funzioni fisiologiche fondamentali. Per questo oltre al momento, terribile, dello spiumaggio, questi animali risentono del fatto di rimanere sprovvisti del loro manto per il periodo successivo. Questo trattamento infatti può anche comportare la morte dell’animale per lo stress cui viene sottoposto o per il freddo che deve poi sopportare. Le piume d’oca possono oggi essere facilmente sostituite con imbottiture sintetiche, come ad esempio l’ovatta di poliestere, già largamente utilizzata nei divani, ma anche nei giacconi e nei piumoni da letto. Basta verificare l’etichetta per capire quello che si sta acquistando, in questo caso la verifica è semplice in quanto il piumino è considerato fattore di pregio, il suo prezzo è molto più alto e viene sempre indicato. I principali paesi che adottano questo procedimento crudele sono la Polonia, l’Ungheria e la Romania, dove circa il 60%
le penne d’oca Alle penne d’oca è legato un profondo significato culturale: furono infatti usate per scrivere almeno mille anni prima d’essere sostituite dalla penna in metallo brevettata per la prima volta in America nel 1810. Gli amanuensi, calligrafi esperti, sapevano riconoscere le penne più resistenti, utilizzando le remiganti primarie scartate dagli uccelli durante la muta, che venivano prima solidificate, tagliate e affilate con l’apposito tagliapenna. Il fusto cavo della penna (calamo) agisce come un serbatoio d’inchiostro e quest’ultimo giunge alla punta tramite azione capillare. Generalmente l’ala sinistra è quella preferita dalla maggior parte dei destrimani, poichè la piuma curva verso destra, lontano dalla mano che regge la penna. Le barbe venivano sempre tolte parzialmente o completamente, in quanto sono una distrazione inutile oltre che appesantire inutilmente uno strumento che veniva utilizzato per ore. della piuma prodotta viene ottenuta con la spiumatura dell’oca viva. Il maggior produttore rimane l’Est Asiatico, specie per il piumino d’anatra, e in particolare la Cina. In Svizzera la spiumatura delle oche vive è vietata dalla legge, ma comunque è ammessa l’importazione delle piume ottenute in quel modo. Le oche vengono anche sottoposte a ingrassamento forzato per la produzione del fegato grasso: poste in gabbia senza possibilità di movimento per circa tre-quattro settimane e sottoposte a ingozzamento forzato per la produzione
attivita’ convenzionate
associazione oasiverde Sede legale: Strada Genghe di Atto, 122/b 47892 - Acquaviva (Rep. San Marino) Telefono: 335.7340580 Fax: 0549.944242 mail: info@oasiverdersm.org web: www.oasiverdersm.org IBAN: SM 22X03 26209 80000 00003 04885 COE: SM21783
di fegato grasso d’oca. Per settimane le oche verranno iperalimentate forzatamente, con un imbuto infilato nel becco fin giù nello stomaco, affinché il loro fegato si ammali e diventi enorme, fino a dieci volte la dimensione normale; poi saranno ‘pronte’ e quindi uccise. Pronto il Foie Gras. La scelta di Oasiverde non è tra l’oca di ieri e quella di oggi: la nostra scelta è costruire un rapporto con animali che hanno una storia, un’esigenza, ma anche una forte personalità capace di andare oltre a quei muri che il folklore e la zootecnia hanno innalzato.
è supportata da
Agrizoo - Allianz/Lloyd Adriatico Artemisia - Babette - Babylab - Blu notte - Ciquadro - Cobafer - Estetique Michelle - Fior di Verbena - Food & Science Legatoria Incipit - Harmoniæ - India World - La rondine - Lavanderia Magic - Layak - Legno Design - Phisicol - Piletas Salmoiraghi & Viganò - San Marino Vernici - Scrigno delle Fate - Titan Gomme - Tutta Natura - Vivaio Zanotti - Zaffbike
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Società
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avanti tutta Come reggere il confronto con numeri molto più grandi della nostra comprensione di Marco Canarezza
L
’Uomo è diventato una forza geologica. L’impronta del genere umano sulla Terra ha acquisito il potere di alterare le forze della Natura; lo ha ottenuto negli ultimi 200 anni, sfruttando l’energia che deriva dal petrolio. Per le nostre attività bruciamo un miliardo di barili di petrolio ogni 12 giorni, e in un solo giorno tutto il petrolio che la Natura produce in 3 milioni di anni. Il petrolio spinge i motori della nostra agricoltura industriale. Gli ultimi 200 anni di sfruttamento intensivo e dissennato del suolo hanno causato la distruzione del 25% dei terreni fertili del Pianeta. A volte la causa di distruzione è la semplice aratura, tecnica considerata fondamentale da
quasi tutti gli agricoltori, ma che in realtà produce danni serissimi alla fertilità del terreno. L’aratura può essere considerata al pari delle ferite, le cui cicatrici riprodotte una sull’altra, strato su strato, rendono infine la pelle incapace di traspirare. La Natura, per creare due centimetri di suolo fertile, impiega 500 anni. L’uomo ara i propri campi due volte all’anno, tutti gli anni, da secoli. Dopo il petrolio l’Uomo ha bisogno di acqua. Le nostre città sono luoghi talmente artificiali che devono essere approvvigionate con sistemi forzati che non tengono conto del ciclo naturale dell’acqua. Si stima che nei sistemi idrici artificiali è immagazzinata 5 volte la portata che è nei fiumi mondiali.
STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO Molte persone si stanno iniziando ad attivare per la tutela di uno dei beni più preziosi del pianeta, anzi il pianeta stesso: la terra. Per chi volesse saperne di più, è attivo il sito www.stopalconsumoditerritorio.it Approfondimenti, forum, informazioni, petizioni online e tanto altro per iniziare a fare qualcosa di concreto per salvare la Terra.
Il bisogno di energia costa energia. La maniera classica di estrarre petrolio consiste nello scavare un pozzo. I macchinari per scavare ed estrarre petrolio sono in rapporto 1\25, un barile di petrolio consumato per estrarne 25. Poiché i giacimenti classici si stanno esaurendo si ritiene di aver superato il picco di produzione, motivo per il quale il costo del greggio è destinato ad alzarsi sempre di più. Ci sono tuttavia società petrolifere che hanno individuato petrolio in altre forme: nelle sabbie bituminose del Canada per esempio. Per estrarre petrolio dalla sabbia si deve distruggere completamente l’habitat naturale, ovvero disboscare il territorio, scavare e drenare il petrolio dalla sabbia. Un’operazione che comporta un rapporto di 1\5, un barile di petrolio per estrarne 5. Bruciare petrolio significa liberare i gas che erano stati intrappolati milioni di anni fa dalle foreste. I gas sono il diossido di carbonio e il metano, e sono i responsabili dell’effetto serra. L’attuale quantità di diossido di carbonio e di metano che abbiamo immesso in atmosfera è il più alto valore degli ultimi 5 milioni di anni. La presenza di tutto questo gas serra sta riscaldando e inacidendo gli oceani. I coralli muoiono, ma quel che è peggio è che sono le temperature oceaniche a produrre fenomeni climatici estremi. Le stagioni degli uragani registrano un’impennata della loro attività 10 volte superiori alla norma. Gli scienziati stanno inoltre osservando eruzioni di metano direttamente dai fondali marini: gli oceani stanno letteralmente ribollendo. Il metano produce un effetto serra 10 volte più potente del diossido di carbonio. L’ultima volta che gli oceani hanno rilasciato metano dal fondale, la Terra ha affrontato i drammatici effetti dell’effetto
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serra. Attualmente il 60% delle isole Svalbard è coperto dal ghiaccio. 55 milioni di anni fa queste isole erano coperte da foreste di tipo tropicale. All’epoca, a seguito del rilascio di metano oceanico, la temperatura media della Terra aumentò di 10 gradi centigradi. Oggi, a causa dello scioglimento dei ghiacci polari, le compagnie di navigazione esultano perché si sono aperte nuove e più economiche rotte di navigazione polare. Probabilmente esulteranno meno i paesi sulla fascia equatoriale, se un innalzamento di 10°C renderà ostile alla vita i loro territori. In passato a fronte di un rapido innalzamento naturale delle temperature seguì un raffreddamento. Motore del raffreddamento che fece ritornare il ghiaccio artico fu la catena Himalayana. L’arma di raffreddamento globale è l’erosione. Il diossido presente nell’aria si condensa in prossimità delle cime montuose e ricade al suolo sotto forma di neve. Diventa acqua, scorre al mare e porta i sedimenti sul fondale ove diventa roccia. L’Himalaya espone roccia in atmosfera, che si
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massaggio da ufficio Breve presentazione del nuovo libro di Fabrizio Buratto scritto a quattro mani con Giovanni Leanti La Rosa di Fabrizio Buratto
F erode e provoca piogge in atmosfera, riducendo le temperature. Questo è il sistema di autoregolazione termica del Pianeta. A fronte dell’impennata delle attività umane odierne non abbiamo un Himalaya da innalzare, per cui si sta sperimentando di intrappolare il diossido di carbonio nel sottosuolo. Altri metodi di controllo del diossido di carbonio sono la coltivazione di alghe e piante. Tuttavia la pratica di seppellirlo alla fuoriuscita dalle ciminiere industriali sembra essere il metodo più rapido ed efficace. Lo stanno sperimentando alle Svalbard. Pomperanno il carbonio in buchi scavati nel terreno e lo intrappoleranno nei pori della roccia. Interrare il diossido di carbonio è un processo che la Natura fa da milioni di anni; l’Uomo sta iniziando a farlo artificiosamente ora, e non ha molto tempo per imparare a farlo meglio se vuole continuare a sviluppare i suoi sistemi industriali. L’umanità sta imparando a controllare i suoi errori tecnologici e poiché è diventata una forza geologica, abbiamo l’occasione adesso, di dimostrare se siamo locuste o davvero esseri speciali.
abrizio Buratto, un vecchio amico ospite dell’Associazione Don chisciotte il 9 febbraio 2008, a Domagnano, in occasione del seminario sul precariato lavorativo dal titolo “Tempi Precari”, ci ha scritto questo breve articolo per lanciare il suo nuovo libro, che segue il bel libro d’esordio “Curriculum atipico”. Lo facciamo con grande entusiasmo. Per i più curiosi, e per coloro che non avessero seguito il seminario “Tempi precari”, è possibile visualizzare l’intervento video di Fabrizio Buratto alla pagina online: www.associazionedonchisciotte.org/eventi_2008/tempi_precari.htm n.d.r. Mal di schiena, alla cervicale, lombosciatalgie, sindrome del tunnel carpale, insonnia e cattiva circolazione alle gambe sono alcune delle patologie più diffuse fra chi lavora in ufficio. Così pure, tutti coloro che sul lavoro sono costretti in posture coatte davanti ad un terminale, ad uno sportello, alla cassa di un supermercato, ad un microscopio o alla guida di un mezzo, possono accusare disturbi da stress lavoro-correlato. Lo stress fisico si fa mentale, andando ad influenzare l’umore e la produttività del lavoratori. In “Massaggio da ufficio – Prevenzione e cura dello stress da lavoro” (Urra-Apogeo),
offriamo un aiuto concreto per i problemi legati allo stress lavoro-correlato. Nella prima parte raccontiamo l’evoluzione del Massaggio da ufficio, nato negli Stati Uniti, e ne spieghiamo i benefici da un punto di vista mentale e fisico. Attraverso le classificazioni delle figure professionali più inclini a stress e depressione, ciascuno può misurare il suo grado di esposizione allo stress sul lavoro. Nella seconda parte del libro abbiamo illustrato le principali manualità del Massaggio da ufficio attraverso cento fotografie dei tre ambiti in cui si declina: massaggio sull’apposita sedia da massaggio, massaggio alla postazione di lavoro e automassaggio. Dettagliate didascalie esplicative spiegano i movimenti da compiere. “Massaggio da ufficio” è rivolto ai lavoratori e alle aziende italiane grandi e piccole, pubbliche e private, che dal 31 dicembre 2010 sono obbligate dalla Normativa sulla valutazione del rischio stress lavoro-correlato (D.Lgs 81/2008 contenuto nel c.d. Testo Unico Salute e Sicurezza sul Lavoro) a fare la rilevazione del rischio stress lavoro-correlato e ad intervenire in presenza di stress. Il Massaggio da ufficio è un potente strumento low cost per prevenire e curare lo stress da lavoro: dura poco (10-15 minuti), si può fare e ricevere ovunque da vestiti. La rivo-
luzione da fare con le mani, che abbiamo in mente Giovanni Leanti La Rosa ed io, consiste nel fare corsi in azienda per insegnare ai dipendenti a scambiarsi il massaggio da ufficio, instaurando una nuova etica del lavoro fra le scrivanie. L’azienda che offre un corso di Massaggio da ufficio ai suoi dipendenti, realizza un nuovo e valido modo di fare team building. Con il Massaggio da ufficio possiamo mettere la salute nelle nostre mani, prima che le patologie si cronicizzino, e spandere il virus benefico del massaggio, pratica in cui ciascuno rappresenta una risorsa per l’altro, invece che un problema o una minaccia. Per approfondire l’argomento abbiamo creato il sito www. stresslavorocorrelato.eu all’interno del quale discutere sul mio blog “Iononmifacciostressare”
Fabrizio Buratto
Gruppi di Acquisto Solidale Per approfondimenti: transitionitalia.wordpress.com/ L’esperienza della Transizione è stata protagonista anche allo sbarcogas convegno nazionale gas/des del 24-26 giugno a L’Aquila: www.sbarcogaslaquila.it
san marino in transizione Risposte concrete per il presente e il futuro di Stefano Palagiano
N
el contesto delle realtà ed esperienze che stanno fronteggiando con solidità teorica ma soprattutto con grande senso pratico il delicato e drammatico momento che stiamo vivendo, il Movimento della Transizione merita certamente una menzione speciale. Nato in Irlanda e in Inghilterra tra il 2005 e il 2006 per iniziativa di Rob Hopkins, il movimento delle Transition Towns (Città di Transizione) si è presto diffuso anche in Italia. L’ultimo AltreMenti Festival ha visto tra i relatori Cristiano Bottone, uno dei principali
rappresentanti del movimento italiano, che nel poco tempo disponibile è riuscito ad accendere la curiosità e l’interesse del pubblico. Ci piace ricordare quell’occasione come una delle tappe significative per l’inizio della Transizione a San Marino, anche perché il riscontro che abbiamo ricevuto in termini di interesse, al Festival e nei giorni a seguire, è stato importante. Già al Festival, consci di aver tirato il sasso, non potevamo più nascondere la mano: abbiamo così pensato di organizzare, per il prossimo 8 settembre, un Transition Talk,
Un significativo esempio del collasso della produzione petrolifera è Cantarell, in Messico, attualmente il più grande campo di estrazione petrolifera dell’emisfero ovest del mondo. A fronte di oltre due milioni di barili al giorno nel 2004-2005, a Cantarell se ne stanno ora producendo molto meno della metà. (fonte: www. oilcrisis.com)
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guidato proprio da Cristiano. Si tratterà di una serata in cui approfondire insieme i temi principali relativi al Movimento della Transizione, con un coinvolgimento attivo dei partecipanti. L’incontro si terrà presso l’Anfiteatro di Chiesanuova dalle 19: vi forniremo nei prossimi numeri maggiori informazioni sulla logistica dell’evento. Stiamo contestualmente avviando un percorso di coinvolgimento dell’intera comunità sammarinese sulla necessità e l’utilità di attivarsi per un’iniziativa di transizione nazionale. Un’esperienza come questa può significare un progetto di rinascita sociale e civile per un Paese che accusa e denuncia un disagio diffuso, che non si riesce più a nascondere. Il Movimento della Transizione concentra la propria riflessione e azione su due elementi: il picco del petrolio e i cambiamenti climatici. Si pone l’obiettivo di prepararci a gestire il passaggio a un mondo ed una vita senza petrolio. L’accento viene correttamente posto non sul momento di esaurimento dell’ultima goccia, ma sul picco petrolifero globale, cioè il punto raggiunto il quale la quantità di petrolio diminuirà ed i prezzi aumenteranno inevitabilmente. Il picco petrolifero viene fatto risalire, in base a diverse interpretazioni, a momenti diversi: c’è già stato, ci siamo, ci saremo a brevissimo. Queste valutazioni risultano sconvolgenti se si pensa che la costruzione, lo sviluppo, il mantenimento dello stile di vita in particolare dell’ultimo mezzo secolo, concordemente riconosciuto come benessere e consacrato sull’altare della crescita, è dovuto alla disponibilità di petrolio abbondante e a buon mercato. Tanto petrolio e a basso costo: sono i cardini del cosiddetto benessere (sareste stupiti di cosa si fa con petrolio e derivati, praticamente tutto), le condizioni su cui abbiamo scelto di basare
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e basato la nostra vita. Senza contare che quello del petrolio non è l’unico picco, anche solo limitandoci al greggio, considerare che il petrolio è una risorsa finita e in rapido corso di esaurimento potrebbe sembrare perfino banale. Ma non lo è. Tant’è vero che di fronte ad un avvenimento inevitabile e che ci costringerà a significativi cambiamenti, finora le risposte comuni sono riconducibili a due tipologie, entrambe inquietanti: la negazione o il rifugio nelle energie alternative come soluzione per mantenere inalterato il nostro stile di vita assurdo (cosa irrazionale e peraltro tecnicamente impossibile). Il Movimento della Transizione propone una riflessione basata essenzialmente su due fattori: 1) questo cambiamento è inevitabile; 2) questo cambiamento è positivo. Non è secondario, in effetti, che la Transizione si caratterizzi per un approccio positivo, lontano da un certo pessimismo esclusivo che anima (e talvolta condanna) certe esperienze ecologiste. Riflettere sui cambiamenti di stile di vita individuale, ridare senso alla vita comunitaria, riprogettare la vita in chiave locale e ricostruire il tessuto sociale distrutto (quanto conoscete la vicina di casa o il negoziante della via?): sono altri elementi e finalità della Transizione. Non da ultimo, la Transizione può rappresentare una buona cornice di riferimento per altre esperienze orientate a riflettere sui nostri stili di vita e sul loro impatto. I tempi sono maturi per una riflessione più profonda ma soprattutto per una mobilitazione che coinvolga in una trasformazione positiva e inevitabile tutta la comunità sammarinese. La situazione è grave, è in atto una vera e propria emergenza sociale. Quasi tutti concordano sulla
Il punto
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necessità di far qualcosa. Quasi tutti hanno paura di quello che sarà. Qualcuno rimanda, qualcuno prova a muoversi. Aggregarsi intorno a progetti concreti e capaci di ricostruire senso della comunità, preparandosi al mondo che verrà, riqualificando (per usare un termine spesso abusato) attività e obiettivi di un intero Paese, facendone emergere finalmente potenzialità soffocate. Recuperare saperi e abilità perdute, riportarli al centro della vita. Rinnovare le istituzioni, con il contributo di tutti. Recuperare relazioni, anche per evitare tante tragedie della solitudine e del pregiudizio. Lasciare ai nostri figli un mondo realmente migliore. Soluzioni e supporto. Un sorriso anche se c’è poco da ridere. Tutto questo è Transizione. È un progetto che può davvero rilanciare, nel caso di San Marino, un intero Paese. È un progetto inclusivo, intorno a cui si può pensare di riunire finalmente una comunità in grave crisi d’identità.
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Parma, San Marino e fiori Su come simboli ed immagini assumano valori differenti in base allo spirito resistente od accomodante che anima diversi popoli di Roberto Ciavatta
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a Guardia di Finanza di Parma, a seguito dell’indagine “Green Money”, ha arrestato a fine giugno 11 persone per corruzione, peculato e reati contro la pubblica amministrazione. Tra loro il comandante della polizia municipale e due dirigenti comunali (dell’ambiente e del marketing). 500 parmigiani hanno subito assediato il Palazzo Comunale pretendendo le dimissioni dell’intera giunta e regalando rose ai passanti. Una delle voci di spese gonfiate, infatti, era quella di €180.000 per la sistemazione di rose lungo il fiume, gonfiata ad arte per intascare soldi. Il sindaco, per le solite motivazioni trite (sarebbe irresponsabile e bla bla bla), non si dimetterà ma almeno non si ricandiderà alle prossime elezioni comunali. Dunque c’è un reato, la pronta indagine della GdF, arresti, immediata risposta della popolazione e risultati tangibili. Del resto Parma è città della resistenza, fatta di gente che ha pochi timori a sfidare il potere, generazione per generazione. A San Marino è un po’ più complesso. Da noi non c’è la GdF, e il tribunale non ha mai condannato nessun “potente”. Da noi l’ex comandante della gendarmeria Biagioli e suo figlio Carlo, l’Avvocato, non dico che non siano stati condannati (non ho elementi per sostenerne la colpevolezza), ma
La folla di fronte al palazzo comunale di Parma nemmeno sono stati processati. E mai lo saranno finché ce ne dimenticheremo! Da noi nessuno scende in piazza, perché il nostro non è popolo di resistenza ma di “affiliazione”; da noi il potere non è un elemento da guardare con sospetto, frenare, ostacolare, ribaltare: al contrario, da noi si fa a gare per vendersi al potente di turno in cambio di un piatto di lenticchie, e non c’è peggior popolo di quello che non ha dignità! Da noi nessuno può indagare, incarcerare, sfidare il potere, perché ogni ruolo in tribunale, polizia, gendarmeria, viene favorito o deciso dalla politica, perché ogni dirigente della P.A. è espressione di un potente, e gli stessi politici sono pedine di uno o dell’altro potentato economico, perché l’interesse dei politici non è mai (o quasi) quello del paese, ma quello del padrino che li ha nominati, scambiato voti in loro favore, che li ha messi in una commissione... Da noi non importa nemmeno se ti dichiari nullatenente e giri in ferrari, o se lasci che la tua Segreteria di Stato sia luogo di contrattazione privata di gente priva di scrupoli, perché da noi controlli non ce n’è, e se ce n’è non succede certo verso chi siede alla destra del potente che con una telefonata blocca indagini, sospetti, pene. Da noi vige la più assoluta libertà di delinquere e nuocere al prossimo impunemente! Se è vero che anche San Marino
ha avuto resistenti e partigiani, e che anche da noi uomini e donne che facevano politica col cuore sono stati costretti all’esilio e alla fuga, è anche vero che la resistenza sammarinese ha sempre perso, chi ha fatto nomi e detto verità scomode ha perso tutto, da noi l’associazione dei partigiani ha dovuto chiudere i battenti sotto i colpi di una burocrazia fagocitante, e lo Stato ha perso l’opportunità di fare dei nostri partigiani dei maestri di vita da cui apprendere come contrastare il potere, perché è solo da un continuo contrasto, da una continua limitazione del potere che può prendere vita una democrazia. San Marino non è né Repubblica né Democrazia! E se anche da noi come a Parma si parla di fiori, non è certo per protestare contro tangenti che pure ci sono eccome, ma solo per discutere -fuori tempo massimo e risibilmente- di obsolescenti garofani socialisti, con una costituente composta di volti e nomi che farebbero rabbrividire ogni popolazione dignitosa, ma che da noi proliferano e godono di eterna fiducia, di eterna gratitudine: gente come Fiorenzo Stolfi, Paride Andreoli, Germano De Biagi, Augusto Casali, Claudio Felici e i giovani vecchi del codazzo! Questo stato di cose è sufficiente a decretare il fallimento civico di San Marino. Quello economico, con buona pace delle sigle, non è che una conseguenza che hanno contribuito a creare!
Il Don Chisciotte
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Appunti di psicologia
numero 44, luglio/agosto 2011 Ci trovi anche su Facebook!
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il corpo violato Un’indagine sul rapporto tra dolore e sofferenza Armando Favazza
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’idea di farsi del male, di ferirsi, di provocarsi una lesione non appartiene certamente solo al regno della psicopatologia. Esistono molte forme di autolesionismo culturalmente e socialmente riconosciute o addirittura incoraggiate, inserite nel contesto di un insieme di credenze o di valori che attribuiscono loro un significato. Molte pratiche di iniziazione religiosa hanno carattere autolesionistico: la circoncisione, la fustigazione, la flagellazione, non sono anch’esse forme di autolesionismo? Anche nelle pratiche sessuali più estreme, come il sadomasochismo, vi sono aspetti che possono rimandare direttamente a fenomeni autolesivi. Siamo da sempre abituati a considerare il corpo come un oggetto, come qualcosa che ci appartiene nel profondo ma che, proprio perché nostro, viene inserito tra le varie “cose” del mondo. Siamo soliti vederlo e usarlo esclusivamente nella sua dimensione anatomica e fisiologica: un semplice meccanismo governato da leggi fisiche e da rapporti di tipo deterministico. In realtà bisognerebbe prendere coscienza anche di un’altra dimensione del corpo: la corporeità. Merleau-ponty così scrive: “il corpo che vivo in prima persona è soggettività che non è mai pienamente oggettivabile e visualizzabile”. Oltre ad essere una “cosa”, infatti, esso è anche “Corpo vissuto” o “vivente”. Il corpo è dotato di un proprio linguaggio, una propria forma di comunicazione con il mondo e con gli altri. Possiede intrinsecamente in sé un’infinità di significati
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di Davide Tagliasacchi che cambiano di continuo, a seconda delle situazioni, delle emozioni provate, comunicando talvolta in modi apparentemente indecifrabili. Questo è soprattutto il caso di quello che viene chiamato “il corpo della psicopatologia”, dall’apparenza incomprensibile, ma in realtà significante e che sovente, nelle sue metamorfosi, si rivela attraverso la “voce dell’impulsività”. Essa dà conto di varie, possibili declinazioni della psicopatologia: condotte suicidarie e parasuicidarie. Uno dei primi comportamenti autolesionistici a carattere impulsivo studiati in psichiatria è costituito dalla pratica del “taglio dei polsi”. Nel manuale psichiatrico DSM IV non si parla di autolesionismo, ma di automutilazione, di lesioni auto inferte dirette all’ablazione di una parte del corpo o di un organo, come ad esempio un orecchio. Favazza è probabilmente il clinico che maggiormente si è dedicato all’argomento. A lui si deve la descrizione del primo caso di automutilazione: una donna che nel 1846 si cavò entrambi gli occhi per punirsi dei suoi terribili peccati. Il primo caso documentato di mutilazione dei genitali fu invece descritto da Warrington in un giovane uomo. Tali fenomeni, in ogni caso, sono piuttosto rari e solitamente in letteratura strettamente connessi a patologie di carattere psicotico, in special modo schizofrenico: nelle persone affette da tale patologia, la mutilazione viene associata all’idea di potersi liberare di una parte del corpo sentita come persecutoria.
L’autolesionismo invece è un fenomeno ampiamente diffuso, soprattutto negli ultimi anni tra gli adolescenti, e consiste nell’autoprovocarsi ferite e lesioni di qualsivoglia genere. In tale pratica, il corpo viene utilizzato per dar forma ad uno stato mentale intollerabile. Non tanto liberandosi definitivamente di una parte di esso, quanto piuttosto utilizzandolo come superficie sulla quale “scrivere” il proprio dolore. Favazza nel suo libro “Corpi sotto assedio: l’automutilazione nella cultura e in psichiatria” pone una prima classificazione, suddividendo il comportamento autolesionistico in varie sottocategorie; innanzitutto la differenziazione tra autolesionismo “culturalmente accettato” come le pratiche del piercing e del tatuaggio, e quello deviante. Quest’ultimo, a sua volta comprende: 1) L’Autolesionismo maggiore, che riguarda soprattutto le mutilazioni. Si tratta di atti improvvisi, spesso confusi e caotici che procurano gravi danni alla persona. Alcuni di codesti pazienti appaiono totalmente indifferenti rispetto al proprio comportamento e non riescono a darne una spiegazione. Altri invece ne danno anche più di una, spesso incomprensibili, che chiamano in causa tematiche religiose o sessuali. 2) L’autolesionismo stereotipato comprende una serie di azioni: battere la testa, percuotersi, mordersi, graffiarsi. Sono gesti ripetitivi e occasionalmente ritmici. Sembra che codeste persone siano spinte a farsi del male per obbedire ad un imperativo interno, senza provare alcuna colpa o vergogna per il loro atteggiamento. 3) L’autolesionismo superficiale è la forma auto lesiva più diffusa. Vi sono tre tipi di condotte: quelle compulsive (mangiarsi le unghie fino alla carne viva o strapparsi i capelli); condotte episodiche e ripetitive, in cui le pratiche più diffuse sono il lesionarsi con lame o con il fuoco. Tali gesti, dapprima occasionali, diventano ripetitivi fino al punto da assurgersi a una vera e propria dipendenza: nascono così i cutters o burners, persone che fanno del tagliarsi o del bruciarsi un tratto stabile del loro modo di essere, per far fronte a determinate situazioni emotive o come processo d’identificazione a un gruppo di appartenenza.