make love, not waste
Spedizione in abbonamento postale per l’interno. Stampa periodica - autorizzazione n.1042 del 11.09.09 Direzione Generale PP.TT della Rep. di San Marino
spazio riservato all’indirizzo
novembre 2011
L’altra informazione a San Marino
numero 47
Il Don Chisciotte
Il Don Chisciotte
Attualità
numero 47, novembre 2011
L’editoriale
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La delegazione sammarinese a Capannori
vota AltreMenti agli awards di Festival of festivals (FoF) make love, L not waste ’AltreMenti festival è stato nominato agli Awards di Festival of Festivals (FoF) nelle categorie:
• “Miglior Manifesto” • “Miglior Programma” • “Miglior Festival Emergente” italiano per il 2011.
Si tratta del riconoscimento di una grande realtà italiana, segno che l’instaurazione di reti di collaborazione sta maturando i suoi frutti. Preghiamo i lettori, simpatizzanti, conoscenti di votarci
sul sito internet del FoF
(www.festivaloffestivals.org/ sections/premi), ringraziando Andrea Bastianelli del corso di Disegno Industriale dell’Università di San Marino, che ha realizzato la grafica del 2011. Intanto, per l’edizione 2012, reperite informazioni sul nostro sito internet (www.associazionedonchisciotte.org/ALTREMENTI_FESTIVAL/2012/home. htm), e a breve sarà online il nuovo sito del festival, realizzato sempre in collaborazione con l’Università di Design di San Marino, all’indirizzo www.altrementifestival.org. Per l’edizione 2012 sono previsti sconti e facilitazioni per gli iscritti alla Don Chisciotte (riceverete la tessera i primi dell’anno), come ad esempio
uno sconto sull’acquisto di libri durante il festival, e la possibilità di farli autografare dai loro autori, grazie alla disponibilità della libreria CiQuadro di San Marino. Potete finanziare il festival versando la cifra che vorrete sul nostro conto corrente (Banca di San Marino – Sede di Faetano; IBAN SM32 I 08540 09800 000552267510; Intestato a: Associazione Don Chisciotte) oppure online con carta di credito o circuito paypal sulle pagine del festival del nostro sito (sezione “contribuisci”). Un grazie di cuore a chi ha già versato il suo finanziamento. Ringraziamo i partner con cui, al momento, abbiamo allacciato collaborazioni: Corso di Disegno Industriale e Dipartimento della Formazione (Università di San Marino); Università Aperta (Rimini); Dipartimento di Scienze dell’educazione e Facoltà di Psicologia/Polo di Cesena (Università di Bologna); Scepsi (European School of Social Imagination), Ufficio Attività Sociali e Culturali, LGBT e libreria CiQuadro (San Marino); libreria La Morosina (Cattolica); Crema del Pensiero, Festival di Filosofia di Crema (MI).
Esperienze comuni verso Rifiuti Zero di Filippo Mariotti
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apannori, 8 ottobre. Più di trecento partecipanti fra sindaci, assessori, imprenditori, esperti di rifiuti e della società civile; cinquantasei comuni italiani rappresentati; varie esperienze raccontate da tutto il mondo (Svezia, New York, San Francisco, Catalogna, Paesi Baschi, Galles, Danimarca); un Castello di San Marino spettatore molto interessato: Chiesanuova. Questo il contesto in cui si sono svolte le “Giornate Internazionali, esperienze comuni verso Rifiuti Zero”, tenutesi nel virtuosissimo comune di Capannori, in provincia di Lucca. La scelta del luogo non è di certo casuale: Capannori è infatti il primo comune italiano ad aver aderito alla strategia Rifiuti Zero (dal 2007) e la sua lungimiranza sta facendo proselitismo. Quello che era iniziato come un movimen-
to dal basso, e che nessun partito politico ha voluto sostenere perché ritenuto utopico, pazzo e visionario, sta invece prendendo sempre più piede in Italia. Giorgio del Ghingaro, primo cittadino di Capannori, racconta con soddisfazione i passi compiuti dal suo comune in questi ultimi anni; ma il suo sguardo è sempre proiettato verso il futuro. Con la convinzione che “il bello debba ancora venire”, illustra i prossimi
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progetti: il primo riguarda la sperimentazione della “tariffa puntuale”, grazie alla quale le famiglie pagheranno la tassa sui rifiuti a seconda di quanto indifferenziato producono (attualmente la media a Capannori è del 18%); il secondo riguarda l’inaugurazione di un polo tecnologico in cui si studierà l’analisi della produzione di rifiuti (in collaborazione con la Normale di Pisa) al fine di creare esclusivamente prodotti completamente riciclabili. La bontà di tali iniziative è ormai pacifica e assodata: una riconferma è giunta dal comune di Napoli che ha di recente aderito a questo progetto (definita dal vicesindaco con delega all’Ambiente, Tommaso Sodano, “la svolta epocale”), promosso nel mondo dal professor Paul Connett, lo showman della giornata. Dopo i saluti di rito delle autorità è proprio Paul Connett ad alzarsi in piedi ed arringare il pubblico con il suo celeberrimo “American style”. La premessa è brillante, ma estremamente seria: se tutti i paesi del mondo consumassero come gli States, occorrerebbero quattro pianeti; due invece se ci si comportasse all’europea. India e Cina stanno raggiungendo questi standard. Bastano dieci passi per far diventare la spazzatura soltanto un ricordo: 1. separazione alla fonte: organizzare la raccolta diffe-
renziata. Per questo occorre una bassa tecnologia, ma un alto coinvolgimento della comunità; 2. raccolta porta a porta, l’unico sistema efficace di RD in grado di raggiungere in poco tempo e su larga scala quote percentuali superiori al 70%; 3. compostaggio: realizzazione di un impianto di compostaggio da prevedere prevalentemente in aree rurali e quindi vicine ai luoghi di utilizzo da parte degli agricoltori; 4. riciclaggio: realizzazione di piattaforme impiantistiche per il riciclaggio e il recupero dei materiali, finalizzato al reinserimento nella filiera produttiva; 5. riduzione dei rifiuti: diffusione del compostaggio domestico, sostituzione delle stoviglie e bottiglie in plastica, utilizzo dell’acqua del rubinetto (più sana e controllata di quella in bottiglia), utilizzo dei pannolini lavabili, acquisto alla spina di latte, bevande, detergenti, prodotti alimentari, sostituzione degli shoppers in plastica con sporte riutilizzabili; 6. riuso e riparazione: realizzazione di centri per la riparazione, il riuso e la decostruzione degli edifici, in cui beni durevoli (mobili, vestiti, infissi, sanitari, elettrodomestici etc.) vengono riparati, riutilizzati e venduti; 7. tariffazione puntuale: introduzione di sistemi di tariffazione che facciano pagare le utenze sulla base della produzione effettiva di rifiuti non
Biocella per il compostaggio
riciclabili da raccogliere; 8. recupero dei rifiuti: realizzazione di un impianto di recupero e selezione dei rifiuti, in modo da recuperare altri materiali riciclabili sfuggiti alla RD, impedire che rifiuti tossici possano essere inviati nella discarica pubblica transitoria e stabilizzare la frazione organica residua; 9. centro di ricerca e riprogettazione: chiusura del ciclo e analisi del residuo a valle di RD, recupero, riutilizzo, riparazione, riciclaggio, finalizzata alla riprogettazione industriale degli oggetti non riciclabili, alla fornitura di un feedback alle imprese (realizzando la Responsabilità Estesa del Produttore) e alla promozione di buone pratiche di acquisto, produzione e consumo; 10. azzeramento rifiuti: raggiungimento entro il 2020 dell’azzeramento dei rifiuti, ricordando che la strategia Rifiuti Zero si situa oltre il riciclaggio. Quando un semplice cittadino sammarinese entra in contatto con questi comuni e questa classe dirigente, ciò che gli risalta maggiormente è la loro lungimiranza: guardano lontano, guardano avanti, guardano l’orizzonte. La miopia, “malattia professionale” di chi fa politica e che non riesce a guardare oltre la siepe (leggesi: prossime elezioni), non intacca la loro rètina. Attraverso piani ambiziosi e concreti, ma che spesso rivelano la loro efficacia in termini ambientali ed economici solo dopo qualche anno, sono riusciti a creare un network di pratiche virtuose che coinvolge completamente la società civile. Un solo esempio: accanto alla mensa comunale è stata collocata una biocella automatizzata per il compostaggio (di creazione svedese, ma distribuita anche in Italia) con una capacità di 700 litri per settimana. Il primo passo compiuto dalla
macchina è triturare i nostri “rifiuti” (scarti di cibo e sfalci di potature) e di mischiarli a semplice pellet. Gli “ingredienti” sono quindi trasferiti nella cosiddetta “camera di sviluppo”, dotata di un impianto di aerazione, dove il rifiuto “fresco” viene mescolato con il materiale già presente. Dopo circa due settimane, trasferito nella “camera di maturazione”, viene completato il processo di compostaggio. La presenza di due sezioni separate all’interno del macchinario, ciascuna controllata in modo autonomo, permette di assicurare i migliori risultati possibili, in condizioni di assoluta igiene. L’utilizzo di questo macchinario per il compostaggio locale collettivo consente di ridurre il costo di raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento dei rifiuti organici dal 30 al 70%, oltre ad abbattere l’inquinamento e le emissioni da traffico. Piccoli comuni potrebbero in questo modo eliminare il circuito di raccolta della frazione umida con l’installazione di una sola macchina compostatrice. Considerando un costo medio italiano di 0,21 €/kW, il costo complessivo per il funzionamento di una compostiera automatica di questo tipo è inferiore ai 250 euro annuali, ottenendo oltretutto un prodotto finale di ottima qualità. Ed è così che utenti e personale della mensa (in cui, per la cronaca, si servono solo bevande alla spina per sbarazzarsi dei contenitori) sono incentivati a differenziare. Il prodotto del loro sforzo è controllabile in ogni momento. Ora è ancora più facile ricollegarsi all’undicesimo “comandamento” del professor Connett. Quest’ultimo racchiude in sé il messaggio generale da trasmettere affinché il mondo intero sia più pulito, meno sfruttato e sicuramente più felice: “make love, not waste”.
Società Ambiente
petrolio o sole? E se passassimo ai fatti concreti? di Marco Canarezza
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a buon ecologista non posso negare che anch’io ci ho creduto alla favola che il petrolio sta per finire, che presto torneremo a uno stile di vita frugale, meno artificiale, più umano, più pulito. Certo, ci sarà un mondo più sincero, più a misura d’uomo, ma non certo verrà perché il petrolio è finito o sta finendo. La diceria che il petrolio stia esaurendo serve solo e unicamente ad aumentare il prezzo del barile, ormai stabilmente vicino ai 100 dollari. La semplice idea che la società contemporanea sia destinata al declino a causa della carenza della sua principale fonte di propulsione - il petrolio - è ridicola; e questo per via del fatto che ci sono tantissimi giacimenti pronti ad essere sfruttati per almeno altri 600 anni. Ne sono un esempio le recenti joint venture tra russi e iraniani alle prese con il giacimento di Azar, nella regione di Anaran, nell’Iran occidentale. Roma, 15 set. 2011 - Russia e Iran in cerca di partner per lo sviluppo del progetto di sfruttamento del giacimento petrolifero di Azar. “Gazrom Neft e la compagnia iraniana del petrolio si danno un mese per valutare la possibilità di una partecipazione di altre compagnie al progetto.” (fonte: www.tmnews.it) Le riserve totali di questa regione (comprese quelle del versante iracheno, nella zona di Badra) si aggirano intorno ai 400 milioni di barili. Niente a che vedere con i campi di Khurais, in Arabia Saudita (27 miliardi di barili), ma il greggio è lì, pronto a essere sfruttato. L’Iran ha altri 100 miliardi di barili in giacimenti non ancora utilizzati. Certamente non ne parlano i tg troppo impegnati a fare disinformazione a tempo pieno con la cronaca nera e le escort di B. Tuttavia è interessante la linea pressoché comune delle redazioni giornalistiche (tg1,
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tg2, tg3, tg4, tg la7, ecc.) tendenti tutte ad avvalorare una proclamata crisi petrolifera, con gli inevitabili innalzamenti di prezzo alla pompa. L’attuale produzione iraniana, nonostante le sanzioni degli USA, delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, è ancorata a 3,7 milioni di barili al giorno; l’Iraq è a 2,4 milioni di barili giornalieri. In Canada le sabbie bituminose garantiranno scorte per 178.5 miliardi di barili. 264 miliardi di barili della stessa sostanza sono contenute nelle sabbie dell’Orinoco, e l’ENI, assieme ad altre fantastiche compagnie di estrazione, ci ha messo le mani sopra fin dal 1968 – a danno della popolazione locale, ovviamente. L’Arabia Saudita è anche un grandioso giacimento di gas. È di questi giorni la scoperta di altri depositi. La Saudi Aramco ha scoperto nuovi giacimenti di gas a Jalamid Well, nel nord dell’Arabia Saudita. Lo ha annunciato il ministro per il Petrolio saudita Ali al Naim. L’Arabia Saudita gestisce la quarta riserva più grande al mondo di gas. (fonte: www.focusmo.it). Che dire, viene da sorridere a raffrontare certe cifre con le ben più interessanti ore
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e ore di Grande Fratello, Chi l’ha Visto e il Gioco dei Pacchi. Il grande pubblico non sa nulla, vive alla giornata e vive soprattutto nella diffusa opinione che se la verde va a 1.80 euro, potrà andare anche a 2 euro, 3 euro, perché c’è la crisi, perché c’è il picco di produzione, perché c’è l’effetto serra e la distruzione del pianeta, la guerra in Afghanistan, le bolle speculative e così via. A volerci vedere chiaro nella lista delle cose che vanno male, l’effetto serra sarà una di quelle forze dinamiche che, utilizzata a dovere, ci salverà dalla morsa del mercato petrolifero, dalla distruzione del pianeta e anche dalle bolle speculative. A quanto pare le Torri Solari verranno costruite a Wentworth in Australia e in Africa, in Namibia. Alla base di ciascuna torre verranno realizzate delle serre in cui i raccolti potranno svilupparsi. Come funziona una Torre Solare? La Torre Solare è una cosa tecnologica e bellissima nata negli anni ‘80 per sfruttare l’energia solare al fine di produrre calore ed energia. È fatta di un camino alto 500 metri. Il camino è collocato al centro di un buco circolare nel suolo ricoperto da tetti trasparenti, sotto ai quali si crea un effetto serra
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che riscalda l’aria. L’aria riscaldata si solleva per moto naturale e viene convogliata e concentrata verso il grande camino creando un “vento artificiale” da 60 km/h. Nel camino sono collocate 32 turbine eoliche per produrre energia elettrica. All’uscita dalla torre l’aria calda (circa 70°C) tende a raffreddarsi ricadendo verso il basso in un moto circolare continuo. È una fonte di energia pulita e rinnovabile che non implica emissioni di anidride carbonica. La Torre Solare australiana sarà realizzata dall’Enviro Mission Ltd di Melbourne con una spesa di 700 milioni di dollari. La Cina e gli Stati Uniti guardano con interesse all’investimento, anche perché l’Europa sta già finanziando – ma la notizia è ufficiosa – una rete elettrica diretta nel deserto libico, ove impianti del genere verranno innalzati, per entrare a regime entro il 2050 (non vorrete pen-
sare che i tedeschi chiudono le centrali atomiche per restare a secco di energia?). Il petrolio dunque non finirà e le rinnovabili semplicemente entreranno a far parte del business. Il bello delle tecnologie alternative è il basso impatto ambientale e se qualcuno ci guadagna, ben venga. Se volessimo oggi comprare dei meravigliosi generatori di corrente basati sulla fusione fredda – che funziona ma non si può dire – basterà attendere che la Grecia le metta sul mercato tra qualche anno. Già, perché la prima centrale a fusione fredda da 1 megawatt la stanno costruendo per davvero. Cari lettori di questo articolo, le alternative sono già tutte lì, a disposizione oggi. Non si tratta di abbandonare o no il petrolio, non si tratta di sperare in un futuro che verrà a salvarci, si tratta di aprire la mente e il portafogli alle nuove scienze.
Il futuro non sta nella Scienza panzona che detta i suoi comandamenti dalla comoda postazione di tecnologie obsolete, il futuro sta nell’applicazione creativa delle conoscenze che oggi abbiamo già pronte. San Marino avrebbe potuto avere la sua centrale pirolitica per il trattamento in totale autonomia di tutti i rifiuti urbani. Il calore della combustione avrebbe azionato delle turbine e generato energia elettrica. Il costo di questo impianto sarebbe stato di 5.000.000 di euro, più o meno quello che paghiamo annualmente per conferire i nostri rifiuti a qualche discarica o inceneritore italiano. San Marino avrebbe potuto avere i fiumi puliti, grazie a processi di naturali di purificazione e rigenerazione, ma non sono
stati stanziati i minimi fondi necessari. San Marino poteva avere cliniche e ricercatori all’avanguardia, con terapie non tossiche, naturali, raffinate, se solo non avesse preso ordini dal Ministero della Sanità Italiano – vietando nei fatti il libero sviluppo di studi in campo ayurvedico, erboristico, omeopatico e via dicendo. In tutti questi casi sono stati anteposti interessi economici privati a fronte di quelli collettivi. Sole o petrolio non sono importanti né determinanti, quel che conta sono tecnologia e fantasia. Il nostro destino è a portata di mano, basta afferrarlo. …A tal proposito, Einstein diceva che c’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la volontà.
Nella pagina successiva la risposta di Stefano Palagiano alle tesi di questo articolo
L’AFORISMA DEL MESE I
l “capitalismo” è in fondo un sistema di mercantilismo aziendale in cui irresponsabili tirannie private esercitano un ampio controllo sui sistemi economicopolitici, sulla vita socioculturale, operando in stretta collaborazione con stati potenti che interferiscono massicciamente sull’economia interna e sulla società internazionale. Si tratta di una verità drammaticamente comprovata per gli USA, a dispetto di tante illusioni. I ricchi e i privilegiati non vogliono più, come in passato, accettare la disciplina del mercato, benché la ritengano ancora giusta per la popolazione in genere. I “conservatori” che invocano l’eliminazione dei pasti scolastici per bambini affamati chiedono allo stesso tempo al Pentagono un aumento dei finanziamenti, perché l’industria ad alta tecnologia non può sopravvivere “in un’economia di pura competizione, di libera iniziativa, non sovvenzionata. Noam Chomsky, “Anarchismo”
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Ambiente
numero 47, novembre 2011
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Risposta all’articolo di Marco Canarezza
chi ha paura della fine del petrolio? Vecchi e nuovi negazionismi di Stefano Palagiano
o letto con una certa curiosità quanto scrive Marco Canarezza sulla fine del petrolio. Viene naturale chiedersi quale potente forza lo abbia fatto redimere, visto che egli stesso confessa di aver creduto, da buon ecologista, alla fine del petrolio. Anche i lettori avrebbero diritto di saperlo.In attesa di sciogliere questo dubbio, molte considerazioni si possono e potrebbero svolgere. Probabilmente partecipare alla serata fortemente voluta dall’Associazione Don Chisciotte per informare sul tema avrebbe potuto aiutare Canarezza a ragionare in modo più sereno e documentato. Quanto egli sostiene è assai indicativo di una certa, rischiosa, mentalità. Le sue riflessioni rientrano ancora, e pienamente, in uno schema mentale da crescita illimitata: dunque, nulla di nuovo, ma è un habitus che andrà dismesso. L’inevitabile fine del petrolio viene fatta apparire come un declino tale da strapparsi i capelli: la nostra società è già pericolosamente in declino, per vari motivi. Alla smania petrolifera si contrappongono voci più calme e costruttive: il movimento della Transizione ne è un esempio lampante, basta prendersi la briga di approfondire. Tranquilli, il petrolio finirà: ma sarà un cambiamento, in meglio. Tutto qui.E non si tratterà di un ritorno in blocco alle caverne. Rimanere aggrappati alle vecchie “certezze” (il petrolio è una delle più forti, anche a livello psicologico), credendo che la società rimarrà così, tal quale, al massimo con qualche aggiustamento che non cambia davvero mai nulla, tutto ciò è ridicolo ed è la classica mossa del disperato. Aggiungo che non dietro a tutto si cela una misteriosa Spectre, non necessariamente c’è un complotto: alla lunga, ragionando così, si rischia di perdere il contatto con la realtà. Al netto di sensazionalismi e dati buttati un pò lì,
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cosa rimane? Potremmo contrapporre analisi ad analisi, dati a dati, osservazioni ad osservazioni. Potrei dilungarmi nel fornire ulteriori spunti, oltre a quelli già forniti anche in altre occasioni, approfondimenti, elementi di riflessione. Potremmo parlare delle leggi della termodinamica, di entropia, di curva di Hubbert, di società complesse, di crolli energetici. Ma possiamo davvero limitarci solo a questo? E come mai ci si trincera dietro a qualche numero, scelto un pò a caso? La verità è che ciò che abbiamo in ballo è un fastidio molto più profondo, che vale la pena disvelare. Il cuore della riflessione di Canarezza è tutto nell’attacco, un pò agitato, portato alla fine del petrolio: la si derubrica a diceria, colpevole di causare l’aumento del prezzo del barile. Pericolosissimi sovversivi, black bloc del calibro di Rob Hopkins, Cristiano Bottone, Luca Mercalli, Ugo Bardi, il gruppo dell’ASPO e decine di altri studiosi e attivisti spargerebbero quindi voci assurde in giro. Temo però che un semplice confronto sui numeri ci porti poco lontano. Il punto, infatti, non è neanche tanto quando il petrolio finirà (credo molto prima dei sei secoli di cui si favoleggia in modo arbitrario e leggero), ma se finirà: la risposta è sì, senza ombra di dubbio. E’ un dato indiscutibile. Non è una reazione scomposta a questa evidenza che cambia le cose. Un certo accanimento che vedo in giro presenta inquietanti similitudini con i peggiori negazionismi, i cui effetti si vedranno sempre più nel corso del tempo. Si vuole rimanere attaccati ad un vecchio modello, ossequioso nei confronti del delirio sviluppista. Anche Canarezza ci casca con tutte le scarpe. Ha sentenziato che il petrolio non finirà: non si capisce da dove derivi questa certezza, quando tutte le evidenze mostrano il contrario. A poco serve poi attaccarsi ad espedienti come le
Legalità
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sabbie bituminose (cioè petrolio misto a sabbia): non sono una risposta e neppure una valida alternativa. Se ci affidiamo a questo e ad altri trucchetti come gli scisti petroliferi, stiamo freschi... Immagino peraltro che Canarezza abbia solo dimenticato (?) di parlare dell’indice ERoEI (Energy Return on Energy Investment), cioè, per essere chiari, il rapporto fra energia che serve per estrarre una specifica energia ed energia ricavata, un rapporto che nel caso del petrolio è già oggi critico, in caduta libera in termini di convenienza e che potrebbe rendere in prospettiva insensata la stessa estrazione del petrolio. Non basta dire che puoi trovare il petrolio nella spiaggia sotto casa tua, bisogna anche dire che costi ha estrarlo: costi economici, ambientali, sociali, ecc. Per usare una metafora petrolifera, stiamo veramente raschiando il fondo del...barile. Il petrolio non finirà... sicuramente almeno altri seicento anni... tutto e il suo contrario.Cosa c’è da temere? Abbiamo visto già tante volte all’opera uno schema imbonitore: si rassicura l’uditorio (il petrolio non finirà), si tranquillizza la gente sul tirare a campare con un modello di società petrolifera, si chiude in bellezza dicendo che le alternative ci sono già, pacchetto completo di tutto, non pensiamoci più, mano al portafogli, lasciando intendere, al limite, che il futuro e le capacità dell’uomo faranno il resto. Tutto è mischiato in modo tale da far perdere di vista le questioni principali e, in ultima analisi, la verità. Le energie alternative diventeranno business: lo sono già, non si scopre nulla di nuovo. Guadagnare da queste attività? Non è scandaloso. Ci sono furbi che ne approfittano? Sì, sì, sì. La risposta delle risposte sta davvero nel cambiare solo un pò in tema di approvvigionamento energetico senza riflettere seriamente sulle vite che conduciamo? Assolutamente
no. Ci sono delle alternative disponibili? Sì. Bisogna seguirle? Sì. Basta aggiungere le alternative al petrolio? Assolutamente no. Se vogliamo che di vera alternativa si tratti, ciò che va perseguito è un disegno più ampio, all’interno del quale le alternative di cui si parla sono una parte, non il tutto. Visto che è stato chiamato in causa Einstein, ricordo che egli disse anche che non possiamo risolvere i problemi causati dal vecchio modo di pensare con lo stesso modo di pensare che ha causato quei problemi. Qui sta la soluzione. Il resto è un contorno. L’ equivoco di fondo è ritenere di poter fare la stessa vita che ci siamo potuti permettere in un’era di grande quantità di petrolio a basso prezzo, anche sostituendo il petrolio con altri tipi di risorse che non sono nè simili nè assimilabili, soprattutto per reggere economie di crescita, folli e infelici come questa. Canarezza, come altri, scambia il
mezzo con il fine: non dobbiamo tornare indietro sic et simpliciter, sfruttiamo pure tutta la nostra potenza, ma l’approdo inevitabile è un cambio di stile di vita, non c’è soluzione che tenga. Anzi, modificare il nostro stile di vita è l’unica vera soluzione, che può coinvolgere, qui e subito, la casalinga di Voghera e lo scienziato, senza demandare in modo esclusivo le soluzioni altrove. Basta provare, da soli e a casa propria, l’ebrezza di spegnere luci inutili, di non far andare l’acqua a fiumi, rivoluzioni che unanimemente sono la base e per certi versi l’approdo per qualunque ragionamento serio sull’utilizzo di energia. Dobbiamo solo attendere la mastodontica soluzione dei superesperti, la mega torre solare (una non meglio precisata “cosa tecnologica”, come dice Canarezza), il grande intervento di pochi eletti per risolvere il problema? E’ un ragionamento liberticida, e a questo culto esclusivo delle mac-
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chine, della velocità, dei consumi, va contrapposto il locale, il lento, le relazioni umane. Questa sì che è fantasia, elemento che non emerge dallo sciorinare milioni di barili di Canarezza, che si limita ad un’analisi infondata nel merito e drammaticamente priva di elementi di umanità. Egli dice che è tutto a posto, tutto pronto: possiamo dormire su sette cuscini perchè comunque troveremo la soluzione a tutto, vista la nostra possibilità di manipolare il mondo e la natura, vista la nostra potenza, le nostre idee e i nostri soldi. No, non è così, e rischiamo di essere in grossa difficoltà quando dovremo fronteggiare l’inevitabile. Se invece ci pensiamo per tempo, le chance saranno buone. Forse bisognerebbe approfondire prima di lanciarsi in conclusioni false e affrettate, in proclami che somigliano tanto a quelli visti sulla crisi: la crisi non c’è, anzi forse, scusate c’è, c’eravamo sbagliati. E la crisi venne.
Boicottare le attività in odor di mafia di Roberto Ciavatta
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uccessivamente ai gravi fatti di mafia che hanno interessato San Marino negli ultimi mesi, abbiamo avviato un’indagine che aiutasse i consumatori sammarinesi ad evitare di intessere rapporti con attività “in odor di mafia”. Siccome la lotta alle infiltrazioni mafiose non va solamente combattuta a livello politico e giudiziario, ma anche a livello culturale, è determinante stilare un elenco di attività sammarinesi i cui amministratori, proprietari, soci ecc. siano indagati per reati legati alla malavita organizzata. Siamo partiti con Livio Baccioc-
chi, indagato a Napoli per aver (questa l’accusa) ripulito a San Marino, tramite la finanziaria Fincapital, denari di organizzazioni malavitose. Ci siamo subito, però, scontrati con difficoltà a reperire dati. Non è difatti possibile, a San Marino, effettuare una ricerca “nominativa”, cioè conoscere, ad esempio, in quali attività (nel nostro caso) Livio Bacciocchi abbia delle quote. Crediamo questa sia una lacuna cui la politica dovrà immediatamente porre rimedio, pena la vacuità di qualsiasi lotta alla mafia. Abbiamo quindi inviato richiesta, il 23 ottobre scorso, alle Se-
greterie di Stato per la Giustizia e per l’Industria, per conoscere le proprietà suddette, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta; siamo sicuri che a breve provvederanno. Al momento abbiamo scoperto, ad es., che AIEP editore è detenuta al 66,6% da IMM-Capital, la quale a sua volta è detenuta al 100% da Fincapital (indagata a Napoli, come scritto più su). Questo non significa niente? Sta ad ognuno di noi deciderlo, e ad ognuno di noi indirizzare i propri acquisti in maniera consapevole. Ma per farlo abbiamo bisogno di quei dati, che avremo. Statene certi!
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L’autogestita: Oasiverde
numero 47, novembre 2011
Dettagli della pianta Ailanto
ailanto L’ultimo immortale
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’ailanto (Ailanthus altissima, fam. Simaroubaceae), chiamata in gergo comune ‘Toccacielo’ è una specie arborea alloctona1, specializzata nella colonizzazione di nuove aree per mezzo di differenti strategie. Una prima strategia è affidata proprio dal suo frutto, la samara: un frutto secco, dotato di una struttura espansa a formare un’ala membranosa, grazie alla quale viene trasportato con grande efficacia dal vento e disperde il seme che contiene. Altre strategie che ne facilitano la capacità invasiva sono l’efficientissima riproduzione vegetativa dovuta alla presenza di stoloni in grado di rigenerare i fusti e, in ultimo, la grande resistenza a condizioni ambientali avverse e la capacità ad eliminare così «la concorrenza». L’ailanto è stato importato in Europa dalla Cina a metà settecento, con lo scopo di iniziare l’allevamento di un lepidottero, la «sfinge dell’ailanto» (Phylosamia cynthia), in sostituzione del baco da seta la cui sopravvivenza era, in quel periodo, minacciata da un’ epidemia. L’esperimento fu poi abbandonato per gli scarsi risultati, ma l’ospite, è questo il caso di dirlo, aveva ormai messo radici! Nella sua zona d’origine questo albero si presta a differenti utilizzi: dal legno bianco e modellabile si ricavavano mobili ed utensili, dalla corteccia un decotto contro la forfora, dalle foglie un colorante per la lana. In Europa è stato destinato ad alberare i margini stradali in virtù del suo rapido accrescimento e della sua resistenza ad elevati livelli di
inquinamento. A dispetto del suo buon valore estetico, l’odore è alquanto sgradevole: né capre, né alcun tipo di insetti fitofagi se ne cibano; contiene, infatti, una sostanza tossica, l’ailantina, ed il contatto con foglie, corteccia e radici può provocare irritazioni persino all’uomo. Dal punto di vista ecologico ha tutte le caratteristiche delle piante pioniere: rapido accrescimento (in soli 2 anni si può formare un albero alto diversi metri), bassa longevità (arriva ad un massimo di 40-50 anni), non ha habitat preferenziale, potendosi adattare a qualsiasi tipo di suolo e di regime idrico. Cresce bene sui margini stradali, nei terreni sabbiosi o ricchi di sale e in quelli estremamente aridi, germina persino tra le fessure dei muri o le crepe dell’asfalto. Ma «l’albero del paradiso», questo il significato del suo nome nella lingua dell’isola Amboyna in Indonesia, si è ben presto rivelato per quello che è: una terribile infestante, priva, nelle nostre zone, di nemici naturali. Le stesse qualità che ne hanno permesso l’utilizzo nel consolidare i terreni franosi, oggi rendono l’ailanto un pericoloso veicolo di inquinamento ecologico, vista la sua rapidissima ed efficacissima diffusione. Le samare consentono una celere colonizzazione di nuove stazioni; la germinazione è veloce; le giovani plantule crescono velocemente, formando densi popolamenti in grado di ombreggiare fortemente il suolo, impedendo, in questo modo, la crescita di specie meno
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aggressive; i competitori vengono eliminati anche per mezzo di sostanze allelopatiche2 prodotte dalle radici e diffuse nel suolo. Lunghissimi stoloni sotterranei, lunghi fino a 30 metri, ne assicurano la riproduzione vegetativa: da essi si originano piante figlie anche solo spezzando o incidendo debolmente la radice. Come se non bastasse è estremamente difficile estirpare completamente l’apparato radicale dell’ailanto dal terreno: basta lasciare anche un solo frammento di radice per veder ricomparire l’ailanto nella stagione successiva. La sua diffusione è divenuta preoccupante in tutta Europa ed anche in America, persino nel cuore delle aree protette e dei parchi nazionali. L’inquinamento «ecologico» da specie alloctone è poco conosciuto e, di conseguenza, combattuto con armi improprie o poco efficaci. Si rende oggi necessario contro l’ailanto ed altre specie infestanti, studiare piani di bonifica ad hoc: la loro presenza si ripercuote non solo sulla biodiversità della componente floristica ma, inevitabilmente, sull’intero ecosistema. Fondamentale è la prevenzione: prima di introdurre una nuova specie in un areale che non gli compete, qualora l’introduzione fosse realmente necessaria, bisognerebbe condurre studi di «impatto ambientale» e mai agire con la leggerezza dei nostri avi nel 700, che hanno sganciato una «bomba ecologica» per la nostra flora, ignari delle conseguenze. Nell’isola di Montecristo hanno già provveduto con un programma di eradicazione appoggiato dalla comunità europea, con apprezzabili risultati. Da parte nostra notiamo la costante presenza di questa minaccia, che soffoca le varietà locali, creando vere e proprie colonie. Essendo questa una pianta difficile da gestire, sarebbe il caso che il nostro Ufficio Gestione Risorse Agricole ed Ambientali (UGRAA) facesse informazione per riconoscere la pianta ipotizzando un eventuale programma di contenimento o eliminazione. ___________ Note 1 Il termine Alloctono indica un organismo non originario del luogo in cui vive. 2 Le sostanze allelopatiche sono sostanze chimiche, prodotte da una specie o da un organismo, capaci in influenzare il metabolismo di specie o organismi diversi da quelle che le hanno prodotte.
Fonte:Mirella Campochiaro consultare anche: http://it.wikipedia.org/wiki/ailanthu
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Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.
M. Gandhi
breve resoconto dell’avanzamento dei lavori dell’oasi Q
uesto mese Oasiverde ci tiene a ringraziare tutti i nuovi tesserati, le persone che hanno lasciato il pane e il cibo per i cani nel contenitore (gli animali hanno gradito!), ed in particolare Roberta Pittarelli, Luca Cioe, Billi Stefano Adolfo e Gabriele Nicolini. Ringraziamo inoltre “Il Matterello” di Dogana (RSM).Attraverso la loro donazione infatti abbiamo potuto realizzare dei box per accudire i cani nel caso di pensionamento
oppure stalli di emergenza. Notizia fondamentale è la realizzazione dell’agognata serra didattica. Se ricordate infatti la prima serra era caduta sotto la neve di Marzo, causando lo slittamento di tutti i progetti e i programmi per l’estate 2011. L’intera stagione ha visto tutte le nostre energie concentrate sulla sistemazione dei danni ma, nonostante le mille difficoltà, finalmente brindiamo alla serra ricostruita. Certo, lo
attivita’ convenzionate
associazione oasiverde Sede legale: Strada Genghe di Atto, 122/b 47892 - Acquaviva (Rep. San Marino) Telefono: 335.7340580 Fax: 0549.944242 mail: info@oasiverdersm.org web: www.oasiverdersm.org IBAN: SM 22X03 26209 80000 00003 04885 COE: SM21783
sforzo è stato grande e la serra è ancora da allestire, ma siamo comunque a buon punto. E soprattutto la serra didattica diventerà dalla primavera 2012 un laboratorio all’aperto in cui indirizzare laboratori e corsi per vivere apertamente il lavoro con la terra, conoscere i processi biologici, i metodi di adattamento delle piante, i loro utilizzi nel passato e nel presente, l’estrazione degli olii essenziali, la trasformazione degli alimenti… Ricordiamo che la serra è circondata dall’antico frutteto , dal camminatoio delle viti antiche e dal giardino delle piante aromatiche, creando un circuito naturale in cui gli equilibri del terreno convivono con piante, insetti impollinatori, uccelli insettivori, e dove il lavoro dell’uomo ne entra a far parte in maniera non invasiva. I laboratori all’aperto, in questa epoca di meccanizzazione, proporranno l’utilizzo del semplice attrezzo come aiuto al lavoro manuale. Rispetto alla macchina l’attrezzo esalta le capacità dell’uomo anziché sostituirle e questo permette di dare all’agricoltura una nuova dimensione con funzione sociale, di integrazione, di incontro tra generazioni diverse, ma anche terapeuticoriabilitativa e sociale. È’ questo che, dopo aver visto la prima serra completamente abbattuta, ci ha spinto a rimboccarci le maniche senza desistere dal proposito di realizzare questo sogno. Perciò un ringraziamento a chi continua con noi a sostenere questo progetto. Noi faremo di tutto per finire l’allestimento della serra in modo che sia pronta per tutti, anche per persone diversamente abili, dalla prossima primavera!
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Il Don Chisciotte
L’Ippogrifo
numero 47, novembre 2011
I
Moritz Bleibtreu e Johanna Wokalek in una scena del film
la banda baader-meinhof
Se uno lancia un sasso il fatto costituisce reato, se vengono lanciati mille sassi diventa un’azione politica; se si dà fuoco a una macchina il fatto costituisce reato, se invece si bruciano centinaia di macchine diventa un’azione politica; la protesta è quando dico che una cosa non mi sta bene, l’opposizione è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non mi succeda mai più.
Ulrike Meinhof di Angelica Bezziccari
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fatti del 15 ottobre non possono non farci venire in mente il 1968, e i relativi elogi e critiche conseguenti. Chi esalta e auspica un nuovo ’68, e chi invece ne analizza gli aspetti controversi e critici (vedi ad es. Marcello Veneziani “Rovesciare il ‘68” edizione Mondadori). Rimane però sullo sfondo una conseguenza immediatamente collegabile ai movimenti del 1968, come potrebbe essere collegabile il frutto al fiore: i cosiddetti “anni di piombo”. Tant’è che diversi storici fanno collimare l’inizio dell’uno e dell’altro periodo. Ancora troppa ingnoranza e oscurantismo vigono di fronte a questo argomento, un po’ per i risibili programmi scolastici che si fermano ancora al 1945, perché “non c’è tempo per fare il resto”, un po’ perché è argomento ancora sanguinante a livello politico e sociale. Molti pensano solo alle brigate rosse o a Piazza Fontana, mentre invece i primi fatti a riguardo accaddero proprio in Germania, e fu grazie al film “Anni di piombo” di Margarethe Von Trotta sulle vicende che stavano accadendo nella Germania Ovest che il giornalismo iniziò a usare questo termine. In questo contesto, il film di Udi Edel del 2008 ha il pregevole merito di risvegliare la memoria storica collettiva, narrando la vicenda della banda BaaderMeinhof, gruppo terroristico “rosso” che ha segnato la storia tedesca e non solo. Come in Italia, tutto inizia con scontri e manifestazioni giovanili contro i vecchi valori familistici, religiosi, contro la guerra del Vietnam e l’imperialismo. La rivolta vera si scatena dopo l’attentato al leader del movimento studentesco, Rudi Dutschke. Poco dopo, due persone appiccano il fuoco dentro un centro commerciale di Francoforte: sono Gudrun Ensslin, giovane figlia di un pastore protestante, compagna politica e di vita di Andreas
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Baader, suo complice. A osservare tutto ciò, inizialmente sullo sfondo, la giornalista Ulrike Meinhof, penna senza padroni e senza pavidità, che fin da subito ha difeso gli studenti, contrastando invece le violenze in Vietnam e l’imperialismo, in una Germania Ovest decisamente collaborazionista degli USA. Ulrike intervista Gudrun e Andreas; affascinata dai due e dalle loro idee, aiuterà Andreas a fuggire dal carcere. Da qui la nascita della Rote Armee Fraktion (RAF) il nome ufficiale della banda. D’ora in poi, è un seguito di rapine, di attentati, di addestramenti in campi palestinesi, di arresti, omicidi. La RAF non finì con Ulrike o Andreas, ci fu la seconda e terza generazione di giovani terroristi e attentatori. Al tempo, come ora, gli umori della gente erano contrastanti: chi si discostava fermamente da simili atti, chi in modo palese o meno li appoggiava. E oggi? Raffrontando queste vicende con quelle odierne, o comunque degli ultimi anni a partire dal 1999, è un fenomeno così lontano da noi, tanto da essere rimosso dalla memoria collettiva? Direi di no. E non è forse anche necessario capire le motivazioni e le immediate conseguenze che il malumore giovanile e non solo giovanile negli ultimi anni sempre più inteso, può portare nella società? Direi di sì. Come si comporta la politica di fronte a tutto questo, se non nascondendosi dietro un ditino inquisitorio verso i “facinorosi” di turno? Ritengono forse fenomeni marginali e lontani l’omicidio Biagi e D’Antona, rispettivamente del 2002 e del 1999? Se c’è una certezza della Storia, è che questa si ripete, è un eterno ritorno nicciano. Qualche ministro dell’Istruzione europeo si è visto “Edukators 2.0”, un documentario sulla più imponente protesta studentensca degli ultimi anni? Pochi, anche tra studenti,
ne sono a conoscenza, perché si parla solo di ciò che discutono i media mainstream. Nel 2009, nell’università di Vienna viene occupata l’aula magna per mesi, e da qui la protesta e la voce degli inascoltati si propaga ovunque in Europa, ma ancora con troppo silenzio rispetto all’enorme e imponente messaggio lanciato. Oggi la cosiddetta “sinistra” politically correct e radical chic si unisce al coro unanime delle condanne verso un movimento molto radicale che si sta sviluppando, e che, a volte con più o meno intensità, ha delle derive violente. Già rimosse le rivolte nelle banlieue francesi nel 2005? È possibile, come dicono dal partito dei complottisti, che i violenti siano solo infiltrati del governo o della polizia, inviati apposta per creare disordini e dar la possibilità di creare leggi repressive? È possibile che la maggioranza delle persone sia solo una maggioranza di “peace&love” conformisti che seguendo il gregge dei “peace&love” vogliono manifestare il loro pensiero passeggiando davanti ai palazzi del potere con una kefiah abbinata al colore delle Converse, o magari non sono ancora abbastanza poveri e affamati, o abbastanza indignati e consapevoli del mondo in cui vivono, per lasciarsi andare a più istintive espressioni di malcontento? Poiché ben poco - nonostante ce la raccontiamo ogni giorno - è cambiato dai tempi remoti dell’umanità, poiché la guerra in Libia ha causato 25.000 morti, poiché da ormai 50 anni si è ormai perso il conto dei morti palestinesi, poiché i poteri sono ormai sovranazionali e sovrastano le nostre vite dal momento della nascita a quello della morte… quali margini di miglioramento abbiamo? Intendo, oltre alle fedi personali, alla speranza di paradisi con vergini o guru personali salva-
anime? Qualche rimedio, se non altro da provare, forse esiste. Ma i politici e i detentori del potere devono sapere che la lotta armata, per alcuni soggetti sociali, può essere, come in alcune parti del mondo, di nuovo presa in considerazione nella lista di questi possibili rimedi, tra le varie ipotesi non forse risolutive, ma espressive (nel senso etimologico del termine) di parte dell’umanità, tra coloro che rifiutano di morire passivamente di un cancro, di un palazzo costruito male, di un drone che ha colpito “accidentalmente” la loro casa. Uno degli ultimi atti della RAF avviene nell’ottobre del 1977: l’uccisione del presidente degli industriali tedesco-occidentali ed ex ufficiale delle SS, HannsMartin Schleyer. Il 18 ottobre dello stesso anno, muoiono all’interno del carcere Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan-Carl Raspe (anche loro, come Ulrike Meinhof, “ufficialmente” per suicidio). Se Quentin Tarantino con “Inglorious Bastards” ha voluto
dimostrare qualcosa o lanciare qualche messaggio, c’è chi lo ha preceduto a livello pratico. Senza nemmeno essere ebreo. “La seconda guerra mondiale era finita solamente vent’anni prima. Molti responsabili della polizia, del sistema educativo e del governo erano gli stessi che avevano ricoperto incarichi durante il nazismo. Il cancelliere, Kurt Georg Kiesinger, era stato un nazista. Il popolo iniziò a farsi domande solamente negli anni ‘60. Noi eravamo la prima generazione del dopoguerra, e facevamo domande ai nostri genitori. A causa del passato nazista, ogni cosa malvagia veniva confrontata con il Terzo Reich. Se avessi sentito parlare di brutalità della polizia, sarebbe stato detto di essere proprio come al tempo delle SS. E nel momento in cui vedi il tuo Paese come la continuazione di uno stato fascista, dai il permesso a te stesso di agire in ogni modo contro di esso.” (Stefan Aust, Der Baader Meinhof Komplex)
Ulrike_Meinhof_da giovane
Appunti di psicologia Jack Nicholson in una scena del film “Qualcuno volò sul nido del cuculo”
Il Don Chisciotte
numero 47, novembre 2011
devianza sociale o scomodi individui? Il rapporto tra disagio e società
di Davide Tagliasacchi
S
e si considera la malattia mentale una contraddizione dell’uomo che può verificarsi in qualsiasi tipo di società, si può anche dire che ogni società fa del disagio psichico quello che più le conviene: è la faccia sociale che ne viene costruita a essere poi determinante nel suo evolversi successivo. In tali termini si può parlare di uno stretto rapporto fra psichiatria e politica, perché la psichiatria difende i limiti di norma definiti da un’organizzazione politico-sociale. Se è vero che la politica non guarisce i malati mentali, si può paradossalmente rispondere che però ci si ammala con una definizione che ha un preciso significato politico, nel senso che la definizione di malattia serve, in questo caso, a mantenere intatti i valori di norma messi in discussione. A cadere sotto le sanzioni più rigide sono sempre coloro che non dispongono di uno spazio dove poter esprimere, al sicuro, la propria devianza, in dimostrazione della conseguenza logica di un tipo di organizzazione nella quale siamo tutti inseriti. Nel contesto culturale odierno la figura dello psichiatra agisce sempre nella sua doppia delega di uomo di scienza e di tutore dell’ordine; ma i due ruoli sono in evidente contraddizione reciproca, dato che l’uomo di scienza dovrebbe tendere a salvaguardare e a curare l’individuo malato, mentre il tutore dell’ordine tende a salvare e difendere quello sano. E allora spontaneamente vien da domandarsi in quale modo è possibile presumere di curare chi esce dalla norma se la principale fonte di preoccupazione riguarda l’adattamento alla norma stessa.
Ovvio, sarebbe fuorviante ed estremamente dannoso sostenere che il disagio psichico non sia una realtà concreta che attanaglia la vita di numerosi individui, oltreché le famiglie che vi ruotano attorno; quello che ritengo d’obbligo sottolineare è che non è nella malattia, bensì nei concetti scientifici che tentano di identificarla senza farvi fronte come fatto reale, che è insito il vero problema. Che cosa significa schizofrenia, psicopatia o devianza, se non dei concetti astratti e irreali, l’assolutizzazione di una mancanza evidente di comprensione sulla contraddizione tra uomo e malattia? Tali definizioni altro non fanno che assolvere il compito di risolvere in concetti astratti tali contraddizioni, riducendole a merce, mere etichette da apporre su farmaci, giudizi di valore che non fanno altro che frapporre dei paletti tra i normali e gli “altri”. Il discorso psichiatrico si muove allora chiaramente su un terreno dove l’esasperazione degli opposti serve a tutelare e a difendere lo sviluppo economico del settore in questio-
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ne. La medicina psichiatrica, così come la psicoterapia, la psicologia medica, poggiano le fondamenta teoriche sullo studio della diversità in rapporto all’ideologia dell’equivalenza. Ma nella pratica le cose stanno ben diversamente: l’efficacia reale è alle dirette dipendenze delle funzioni istituzionali specifiche, frutto di mere considerazioni socio-economiche. Ossia, l’intervento medico in campo psichico trova la verifica pratica solo nel momento in cui diviene funzione diretta di uno sviluppo socio-economico generale ad appannaggio non certo di chi soffre, trovando, oltre alle verifiche stesse, anche la morte di quelle fondamenta teoriche poc’anzi menzionate. Nel caso specifico delle devianze, appare evidente come l’ideologia delle diversità serva ancora una volta per sancire la forma di controllo più adeguata ad una particolare fase di sviluppo industriale; così come l’immissione nel campo di nuove tecniche d’indagine han portato al conseguente sviluppo di recenti patologie, permettendo così il fiorire di nuove forme di cura, anche le teorizzazioni e le pratiche precedenti son divenute obsolete, ai fini dello sviluppo economico del settore: la vecchia ideologia custodialistico-punitiva risulta oramai insufficiente ai fini della totalizzazione del controllo, in rapporto allo sviluppo dei capitali. È ora possibile mettere a nudo, attraverso analisi sociologiche e socio-psichiatriche, quello che non più è necessario nascondere: i manicomi, grazie all’alacre lavoro di Franco Basaglia, non ci son più da tempo (anche se c’è qualche addetto ai lavori che se ne rammarica); oramai non si rende più necessaria una chiusura forzata, quando, grazie al contributo economico-farmacologico, il deviante, non solo non rimane più un peso per i “normali”, bensì contribuisce allo sviluppo del capitale del paese. E se per far questo ne va a discapito la sua salute, nessuno lo noterà …
Mai come oggi si è parlato tanto di civiltà e di cultura, quando è la vita stessa che ci sfugge. E c’è uno strano parallelismo fra questo franare generalizzato della vita, che è alla base della demoralizzazione attuale, e i problemi di una cultura che non ha mai coinciso con la vita, e che è fatta per dettare legge alla vita. Prima di parlare di cultura, voglio rilevare che il mondo ha fame e che non si preoccupa della cultura; solo artificialmente si tende a stornare verso la cultura dei pensieri che si rivolgono verso la fame. Introduzione a “Il teatro e il suo doppio”, Antonin Artaud
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la rosa dei tempi di Elena Guidi
E
sisterebbe il vento se non trovasse alcun ostacolo alla sua corsa? Se non ci fossero alberi da far dondolare, sabbia da sollevare, mari da increspare, vele da gonfiare, gente da spettinare? Se per assurdo osservassimo da una finestra un paesaggio completamente vuoto, senza nemmeno erba o nuvole… come potremmo intuirne la presenza o meno? Non potrebbe nemmeno frusciare o sibilare. E sfido anche un meteorologo a dirmi il punto esatto del globo in cui ha origine uno dei tanti venti che addirittura chiamiamo con nome e cognome. Non è banale rendersi conto che, per quanto parliamo del vento come di un fenomeno quotidiano e familiare, in realtà nessuno di noi l’ha mai visto né sentito se non di riflesso, tramite i suoi effetti…
A che pro questa disquisizione che a qualcuno potrebbe sembrare mera e inutile filosofia da quattro soldi? Bene, da una parte mi piace per principio infastidire con domande poco consuete che possano anche solo per un momento distogliere dal modo usuale e meccanico di percepire la realtà; considerare qualcosa da un punto di vista diverso, per quanto assurdo ci appaia, è comunque una variante che costringe a fare una certa ginnastica alla nostra mente cristallizzata nella routine dei soliti ragionamenti. D’altra parte mi consente di tracciare un parallelo con il tema a me assai caro del Tempo. Allo stesso modo del vento, infatti, che viene percepito dall’uomo solo grazie agli effetti che produce, anche l’esistenza del tempo per noi è legata al fatto che percepiamo una serie di eventi che accadono, e che - apparentemente - si susseguono. Vediamo il passaggio del vento perché gli alberi si piegano, vediamo (o crediamo di vedere) il passaggio del tempo perché le cose accadono. Ora, se spesso mi sono soffermata a considerare la questione del tempo, è perché intuisco che rompere lo schema temporale che ci è stato trasmesso e che diamo per scontato significherebbe spezzare forse la più pesante delle catene che ci tengono imprigionati. Molti pensatori/autori attuali (ma già lo diceva a suo modo Pascal nel XVII sec.) ci spiegano che è la mente a percepire il tempo come lineare e a situare gli avvenimenti uno dopo l’altro, ma che in realtà il Tempo è una dimensione infinita e come tale non può avere un prima e un dopo. Se è vero che il passato non è più e che il futuro non è ancora, tutto quello che c’è è il Presente, l’eterno Adesso. Questa affermazione sta anche alla base del noto motto Carpe Diem, oggigiorno tanto abusato quanto mal compreso. Assumendo dunque come buona e veritiera questa premessa, mi sono
chiesta come poter, personalmente, uscire dalla visione lineare del tempo che ci è naturale in quanto esseri umani del XXI secolo. Infatti, una cosa è diventare consapevoli (intellettualmente) del fatto che viviamo in un eterno momento presente e che passato e futuro sono solo proiezioni mentali; un’altra è sentirlo, vivere questa realtà, entrando in un’altra dimensione di vita. L’intuizione che è venuta è stata che le immagini in questo caso possono forse aiutare a riprogrammarsi meglio di tante parole. Fino ad ora pensando al tempo ho sempre visualizzato – immagino come molti una linea retta, che tende all’infinito, ma pur sempre una linea. Per cui era inevitabile che i vari momenti/avvenimenti dell’esistenza si collocassero come puntini uno dopo l’altro lungo questa linea. Non è facile uscire da questa visione così fortemente radicata. Allora ho deciso di crearmi un’immagine nuova, che potesse rappresentare il tempo non più in maniera lineare, bensì PUNTUALE. Mi sono chiesta: come posso “fregarlo”, questo nemico che pare non lasciarci scampo? come posso rappresentarmi ciò che accade, io che mi alzo, mi lavo, mi vesto, vado al lavoro, torno a casa, vado in vacanza, ecc ecc… senza vedere queste cose in successione? È noto che l’unico punto di un ciclone in cui si può stare al sicuro è il suo occhio, cioè il suo cuore: lì il vento – micidiale se ci si fa trovare sulla sua traiettoria – diventa inoffensivo… Il paragone è lampante: dove troveremo l’unico punto di pace nel vortice del tempo che sembra risucchiarci se non proprio conquistando il suo centro e lì restando immobili? Per cui sto attualmente tentando con questa immagine (il meglio che ho trovato, ma sono benvenute idee migliori!): penso al tempo come ad una rosa e a me come racchiusa dentro al suo nucleo; questa rosa sboccia continuamente ed ogni evento è una raggiera di nuovi petali che si schiudono. In questo modo non corro più dietro al tempo (o non me ne faccio trascinare) ma resto ferma, mentre lui mi sboccia intorno. Spero che questa visualizzazione, applicata con costanza, possa mano a mano andare a modificare la mia percezione del tempo, in modo da trovarmi sempre nel luogo di maggior potere, ovvero al centro dell’Eterno Adesso. www.newera74.blogspot.com
Cinema
Il Don Chisciotte
numero 47, novembre 2011
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Isn’t it awfully nice to have a penis? Il senso della vita secondo i Monty Python di Francesco Meazzini Our universe itself keeps on expanding and expanding, In all of the directions it can whiz; As fast as it can go, at the speed of light, you know, Twelve million miles a minute and that’s the fastest speed there is. So remember, when you’re feeling very small and insecure, How amazingly unlikely is your birth; And pray that there’s intelligent life somewhere out in space, ‘Cause there’s bugger all down here on Earth! The Galaxy Song
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on sta a me dire che ognuno di noi, specialmente nei periodi di bassa, spesso inizia a porsi le solite domande esistenziali in maniera velatamente mascherata, anche perché quel minimo di amor proprio ci vieta di spiattellarci interiormente le solite questioni del “Chi siamo? Dove andiamo?”, semplificazioni che fanno contenti tutti e non scontentano nessuno in particolare. Ciascuno ci mette del proprio insomma, ciò che vale la pena per me, per te può benissimo essere trascurabile o insignificante, eccetto il respirare senza sbalzi e in maniera continuata per il maggior tempo possibile, o almeno un secondo in più del proprio vicino di casa. C’è pure chi si accontenta di un posto a sedere nell’Intercity del venerdì sera. Religioni, filosofie, filosofie con attinenze religiose, filosofie che si sono sentite libere di farne a meno della religione, ma anche le varie arti e la scienza alla fine non fanno altro che cercare di rispondere a queste semplicissime/difficilissime domande seguendo, a volte, soluzioni alternative o in certi casi abbellendone solo un po’ la forma, lasciandole pur sempre delle domande. Quindi perché non dare una possibilità ai Pythons? Male che vado continueremo a provare come è sempre stato, no? I Monty Python erano un gruppo di comici inglesi che alla fine degli anni sessanta rivoluzionarono letteralmente il modo di fare comicità attraverso innovativi sketch televisivi, come nel Monty Python’s Flying Circus. Destinata a fare scuola a livello internazionale, la loro
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comicità, che univa nonsense ad aspetti surreali collegati tra loro da una sorta di flusso di coscienza, metteva a nudo i falsi miti della borghesia inglese, dando simbolicamente a quest’ultima degli specchi deformanti nei quali poter ammirare la propria grottesca facciata e inconsapevolmente riderci sopra; in fondo sono sempre gli altri i destinatari del ridicolo, non noi, altri sono i vari scivolatori in bucce di banana e incassatori di torte in faccia. Con The Meaning of Life, Cleese, Palin, Idle, Chapman, Jones e Gilliam raggiungono sicuramente la loro vetta più caustica e trasgressiva. Il film, del 1983, è il loro quarto lungometraggio ed il secondo dopo E ora qualcosa di completamente diverso a sfruttare la struttura episodica, o meglio una struttura a sketch à la Flying Circus, a loro più congeniale per colpire in maniera sferzante particolari aspetti del costume e della morale. Il fil rouge che lega assieme gli episodi è il simbolico percorso “dalla culla alla tomba”, quasi volessero dirci che le imposizioni culturali ci marchiano e condizionano sin dalla nascita e la morte non è che una apparente via d’uscita. Emblematico da questo punto di vista
è lo sketch Il miracolo della nascita: da un lato una partoriente middle class, una “vittima” ignara ed ignorata da medici ed infermiere a scapito delle costose apparecchiature ospedaliere, soprattutto della fantomatica macchina che fa “ping!”: Medico 1: Get the EEG, the BP monitor, and the AVV. Medico 2: And get the machine that goes “PING!” Medico 1: And get the most expensive machine in case the Administrator comes. Dall’altro lato la nascita dell’ennesimo figlio in una famiglia cattolica di un quartiere povero dello Yorkshire, il tutto culminante con la canzone in stile music-hall Every Sperm Is Sacred e la vendita dei figli come cavie da laboratorio causa il licenziamento del padre: Aspetta, devo dire una cosa importante a tutta la famiglia. La fabbrica ha chiuso, non ho più un lavoro, siamo sul lastrico[…]. Non ho altra scelta che vendervi tutti per esperimenti scientifici, figliuoli. È così, amori miei, prendetevela con la Chiesa che non vuole che metta uno di quei cosini di gomma. Oh, hanno fatto cose meravigliose a suo tempo, hanno preservato la potenza e la maestà e anche il mistero della Chiesa di Roma, la santità
dei sacramenti e l’indivisibile unità della Trinità, ma se mi avessero lasciato mettere uno di quei cosini di gomma sull’uccello, ora non ci troveremmo nei guai! L’allegra combriccola con lo svilupparsi del film ci vuole far capire che il senso della vita e la sua ricerca parte soprattutto dallo svestirsi dalle imposizioni della società, quest’ultima spesso in opposizione alle necessità e alle aspirazioni del singolo, che a sua volta può solo trovarvisi in contrasto o subirla passivamente, come esemplificato nel poetico sketch del cameriere francese. Gaston ci invita a seguirlo prima fuori dalla sala, poi fuori dal ristorante (continuando per tutto il tragitto a farci strada spronandoci a stargli vicino e a fare attenzione agli ostacoli), dalla periferia cittadina si passa ad un paesino ed infine arriviamo in aperta campagna dove, indicando un’abitazione isolata, dà la sua particolare versione sul senso della vita: You see that? That’s where I was born. You know, one day, when I was a little boy, my mother she took me on her knee and she said: ‘Gaston, my son. The world is a beautiful place. You must go into it, and love everyone, not hate people. You must try and make everyone happy, and bring
peace and contentment everywhere you go.’ And so...I became a waiter... Well... it’s...it’s not much of a philosophy, I know... but... well... fuck you!... I can live my own life in my own way if I want to. Fuck off! Don’t come following me! L’importante per i Python non è dunque la ricerca del senso, ma la liberazione da tale ricerca, dimostrandoci come, nella società contemporanea, anch’essa risulta mercificata e il “Chi siamo? Dove andiamo?” non sono altro che brand e il paradiso non è altro che un locale, in puro stile réclame, con un cantante confidenziale e della musica lounge in sottofondo: It’s Christmas in Heaven,/ The snow falls from the sky.../ But it’s nice and warm and everyone looks smart and wears a tie./ It’s Christmas in Heaven,/’The Sound of Music’ twice an hour And ‘Jaws’ I, II, and III./ There’s gifts for all the family,/ There’s toiletries and trains... / There’s Sony Walkman Headphone sets / And the latest video games. Con questo meccanismo, pare che i Nostri cerchino di evitare il confronto, di sfuggire a delle domandi di per sé sfuggenti. Non è così, ma non voglio rovinarvi il finale. Oh, well, there we are. Here’s the theme music. Goodnight.
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Dal 2004 contro i mulini a vento!
Società
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Redazione DIRETTORE: Roberto Ciavatta editing: Angelica Bezziccari INDIRIZZO: Via Ca’ Giannino 24 - 47895 - Domagnano (RSM) TEL: 0549. 878270 / MAIL: info@associazionedonchisciotte.org SITO WEB: www.associazionedonchisciotte.org COLLABORATORI: Marco Canarezza, Elena Guidi, Filippo Mariotti, Francesco Meazzini, Oasiverde, Stefano Palagiano, S8Marino.org, Davide Tagliasacchi
Gli eretici dell’economia Impressioni e considerazioni su quanto successo il 15 ottobre 2011 nelle principali città del mondo di Movimento Sottomarino
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o scorso 15 Ottobre in molte città del mondo è stato il giorno della rabbia. Indignazione contro quell’1% che detiene il potere e le sorti del mondo attraverso organismi come il Fondo Monetario Internazionale (l’occupazione di Wall Street è avvenuta con il motto “We are 99%”). Quello in atto e che i media abituali “embedded” (riviste,
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quotidiani, telegiornali) non sono in grado di percepire, è un vero e proprio riequilibrio del sistema. Non è necessario essere un guru dell’economia per provare ad osservare il fenomeno da una prospettiva differente. Questo riassetto sta partendo da una presa di coscienza collettiva degli errori e dalle esagerazioni di uno stile non più sostenibile e di riflesso delle scelte
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politiche di chi governa. L’economia è diventata il buco nero che divora senza una ragione e se non è la causa di tutti i problemi comunque è incapace di risolverli. Non riesce a combattere l’inquinamento e nemmeno la povertà nel mondo. Perché? Perché l’economia non è più serva di nessuno, siamo noi tutti ad essere asserviti. Siamo in una dittatura finanziaria. Le leggi del Mercato impongono i loro valori (monetari) a discapito di tutti gli altri. Antoine Frantini, nel suo ultimo libro, “La religione del dio Economia” afferma che da sempre il massimo sistema di valori creato dall’uomo è rappresentato dalla religione. Quello che oggi chiamiamo “economia” è diventata una religione inconsapevole che determina non soltanto lo stile di vita dei cittadini, ma li trasforma facendoli
diventare vittime sacrificali, gran sacerdoti, crociati oppure eretici da scartare. Gli eretici allora non devono temere nulla dalla crisi. L’unico problema è il “peso” dei gran sacerdoti che invocano “guerre sante” in nome dell’economia. E così viene recitato ogni sera al telegiornale il mantra per favorire la ripresa attraverso una spinta produttiva più vigorosa da parte di tutti. Quello che non si dice, perché nelle religioni esistono dei tabù, è che le crisi sono frutto proprio di quell’atteggiamento fanatico verso la crescita economica a tutti i costi. Ogni calo del PIL viene visto come apocalittico. Eppure, il PIL cresce, per esempio, anche in virtù degli incidenti stradali. Non occorre curare questo fanatismo, ma analizzarlo. E forse quando l’economia tornerà ad essere scienza forse potranno esserci degli effetti positivi.