POSTE ITALIANE s.p.a. Spedizione in A.P. - 70 % DCB Messina
THE CONTEMPORARY ART MAGAZINE BASED ON INTEGRITY AND VISIONS
BILINGUAL ITALIAN / ENGLISH TRIMESTRALE / QUARTERLY SPRING / SUMMER MMXII
N.20 - CATASTROFE / CATASTROPHE 9,00 ! IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74 del DPR 633/72
CHRISTIAN BOLTANSKI / FERNANDO PRATS / FRANCESCO SIMETI DONATO PICCOLO / MARTHA COLBURN / PIERPAOLO CAPOVILLA GARETH PUGH / MAT COLLISHAW / MORENO CEDRONI / ALI KAZMA 1
...::: PRÉLUDE :::...
BĂŠla Tarr, The Turin Horse, 2011, still from the movie, courtesy of Vega Distribution
20
...::: PRÉLUDE :::...
“Non con un boom, con un gemito” Apocalypse Now feat. T.S. Eliot, The Hollow Men
Theo Angelopoulos, dell’ultimo film che stava girando, aveva detto: «Il XX secolo ha creato una speranza di cambiamento, ma adesso il sogno è svanito e ci troviamo a vivere in un vuoto che le nuove generazioni dovranno riempire di contenuti». Questo numero vi garantirà molti contenuti, ma non contate su profezie, vie di fuga, redenzioni. Nessuna Apocalisse ruggirà per salvarvi, rimborsarvi, darvi un senso: non si esce dalla Storia. Mettere in scena e, soprattutto, veder rappresentata la fine del mondo è vertigine ambivalente che contiene sia la paura dell’estinzione che il tentativo di tenerla a distanza. L’avvenire è inevitabile, ma potrebbe non aver luogo (Borges). Gli artisti e i pensatori chiamati, manipolano poeticamente il tema, lo affrontano altrimenti, o forse nonostante. Atto continuo di conoscenza, la Catastrofe è in oltre 220 pagine - prima volta per DROME -, di tormenti nella tormenta. Qui c’è il margine temporale che ci separa dal disastro, l’impossibile finitezza della conflagrazione, la patetica e soave ricerca di spazi dove rifugiarsi - sperando di adattarsi e sublimarsi come i microrganismi estremofili -, la persistenza dei resti investiti da altri resti. C’è l’Uomo spalle al muro, senza più una macchina mitologica a cullarlo, per dare ordine “all’immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea” (Eliot). Occhi annebbiati da vento e polvere, fino alla caduta del silenzio, ecco quel che resta di un’umanità che forse ha raggiunto la consapevolezza della sua “ingenuità iperbolica”, perché ha posto se stessa come senso e misura del valore di tutte le cose: è l’ultimo Béla Tarr, che in tempi di pellicole di variazioni cosmicoastronomiche, viene incensato dalla giuria berlinese perché cerca di riportare una nuova modernità cinematografica ancorata al reale, raccontandoci quello che nessuno di noi si chiedeva, e che in un baleno si manifesta come indispensabile: che ne è stato del cavallo di Nietzsche, dopo che ne rivelò la follia? Ma “il genere umano non può sopportare troppa realtà”, il film neanche arriva nelle sale italiane e il trionfo è solo per il brioso bianco e nero di The Artist.
“Not with a bang, with a whimper” Apocalypse Now feat. T.S. Eliot, The Hollow Men
Theo Angelopoulos, talking about his latest movie, said: “The 20th century brought about a hope of change, but now the dream has faded away and we find ourselves living in a vacuum that next generations have to fill in with new contents.” This new issue will bring you many contents, but do not expect any prophecy, escape or redemption. No Apocalypse will come up roaring to rescue you, refund you, or give you a direction: you cannot escape from History. To stage and, most of all, to see the end of the world played on a stage gives an ambivalent sense of awe, involving both the threat of extinction and the attempt to keep it at bay. The future is inevitable and precise, but it may not occur (Borges). The called on artists and thinkers poetically manipulated the theme, they dealt with it otherwise, or maybe in spite of. An ongoing act of knowledge, the Catastrophe spreads over 220 pages - first time for DROME -, of agonies in the agony. Here is the time limit that separate us from disaster, the impossible finitude of the conflagration, the pathetic and sweet search for spaces where to take refuge - in the hope of adjusting to and sublimating oneself like the extremophiles -, the persistence of the remains invested in other remains. There is the Man with his back to the wall, without any deus ex machina to lull him, to order and give a significance to “the immense panorama of futility and anarchy which is contemporary history” (Eliot). Eyes are clouded by wind and dust, until the fall of silence, that’s what remains of a mankind that maybe has become aware of its “hyperbolic naivety”, because it considers itself as the sense and measurement of the value of everything: it is the latest work by Béla Tarr who, in a time of cosmo-astronomical feature-lengths, has been awarded the Grand Jury prize at Berlin, as he attempts to bring back a new cinematic modernity anchored in reality, telling what no one else dared to ask, and that in a flash becomes vital: what happened to Nietzsche’s horse, after it revelead his madness? But “humankind cannot bear very much reality,” so the film was not released in the Italian theaters, and the triumph is only for the light-hearted black-and-white The Artist.
Ma tu, lettore viziato e fremente, scopertoti cittadino una volta costretto a consumare meno, a cui, mentre attendevi questo DROME, abbiamo consacrato un portale, lascia parlare in te il disastro - come ti avrebbe detto Blanchot. Salta i tuoi abissi guardandoli negli occhi: forse incontrerai i bagliori della palingenesi, o forse no, ma ogni inizio è un nuovo inizio. E l’inizio è vicino.
But you, coddled and eager reader, who found yourself citizen once forced to consume less, to whom, while awaiting for this DROME, we have dedicated a portal, let the disaster speak in you - as Blanchot would have told you. Jump across your abyss looking straight at it: maybe you will get to see the glare of the palingenesis, or maybe not, but every beginning is a new beginning. And the beginning is near.
Rosanna Gangemi
Rosanna Gangemi
21
. . . : : : I N T RO : : : . . .
Jaap Scheeren, The depressive palmtree (the day after I stopped talking), 2010, courtesy of Flatland Gallery (Utrecht, Paris)
22
. . . : : : I N T RO : : : . . .
Jaap Scheeren, The depressive palmtree (the day after I stopped talking), 2010, courtesy of Flatland Gallery (Utrecht, Paris)
23
. . . : : : I N T RO : : : . . .
Meffre & Marchand, Book Depository, 2007, photography, Š and courtesy of Yves Marchand & Romain Meffre
24
. . . : : : I N T RO : : : . . .
Meffre & Marchand, William Livingstone House, 2006, photography, Š and courtesy of Yves Marchand & Romain Meffre
25
. . . : : : I N T RO : : : . . .
Giorgio Barrera, Sbarco dei Mille a Marsala, 11 Maggio 1860, from the series Campi di battaglia 1848-1867 (Battlefields 1848-1867), courtesy of the artist
Sbarco dei Mille a Marsala 11 Maggio 1860 Noi del Lombardo siamo un bel numero. Se ce ne sono tanti sul Piemonte, arriveremo al migliaio. Chi potesse vedere nel cuore di tutti, ciò che sa ognuno della nostra impresa e della Sicilia! A nominarla, sento un mondo dell’antichità. Quei Siracusani che, solo a sentirli cantare i cori greci, mandarono liberi i prigionieri di Nicia, mi parvero sempre una delle più grandi gentilezze che siano state sulla terra. Quel che oggi sia l’isola non lo so. La vedo laggiù in una profondità misteriosa e sola. Giuseppe Cesare Abba (dalle Noterelle) 26
Expedition of the Thousand landing in Marsala May 11th, 1860 There are many of us from Lombardia. If there are a lot from Piemonte, we will be a thousand. Who could look into everyone’s heart, what each one knows about our enterprise and about Sicily! As I say its name, I can feel an ancient world. Those people from Syracuse who, just listening to them as they sing the Greek choruses, released the Nicea prisoners, they always appeared to me one of the greatest kindness that have ever been done in the world. What the island has become now, I don’t know. I see it over there, in an inscrutable and lonley depth. Giuseppe Cesare Abba (from Noterelle)
. . . : : : I N T RO : : : . . .
Giorgio Barrera, Battaglia della Sforzesca, 20-21 Marzo 1849, from the series Campi di battaglia 1848-1867 (Battlefields 1848-1867), courtesy of the artist
Battaglia della Sforzesca 20-21 Marzo 1849 Alle 10 di sera, Re Carlo Alberto volle uscire dal Palazzo del Marchese e pernottare tra i suoi soldati della Brigata «Savoia», dormendo sul nudo terreno, sopra due sacchi di tela, avviluppato in una coperta di lana, con la testa sullo zaino di un soldato. Abdicherà dopo il disastro che subirà a Novara il 23 Marzo 1849.
Sforzesca Battle March 20th and 21st, 1849 In the evening, at 10 pm, King Carlo Alberto left the Palazzo del Marchese and slept among his soldiers of the “Savoia” Brigade, sleeping on the bare ground, on two cloth bags, wrapped in a wooll blanket, with his head on a soldier’s knapsack. The king abdicated after the defeat of Novara, on March 23rd, 1849.
27
. . . : : : I N T RO : : : . . .
Fabrizio Giraldi, from the series Nuclear Wonderland, 2011, photography, courtesy of Fabrizio Giraldi / LUZ photo
28
. . . : : : I N T RO : : : . . .
Fabrizio Giraldi, from the series Nuclear Wonderland, 2011, photography, courtesy of Fabrizio Giraldi / LUZ photo
29
L A C ATA S T RO F E , Q U I - E - O R A C ATA S T RO P H E , H E R E - A N D - N OW Come la fiction distopica potrebbe salvarci How distopic fiction could save us by Francesco Muzzioli
Oggi che la catastrofe incombe nella cronaca (il fallimento economico, ma anche flagelli naturali ad ogni cambio di stagione), sembra che dovrebbe rimanere poco spazio alle catastrofi immaginarie, al sogno o incubo di un futuro virato al nero più nero. Eppure non è così, e non solo la letteratura, ma l’industria culturale nel suo complesso (cinema, fumetto, ecc.) abbonda di distopie, cioè di quelle finzioni che - al contrario dell’utopia -, vedono il mondo procedere verso il peggio. Come interpretare questa abbondanza, come dire, “pleonastica”? Si tratta forse di una crudeltà e durezza volta a sbatterci in faccia un pericolo imminente per svegliarci dal nostro torpore? Eppure è proprio la “forma di fiction” a produrre quel torpore, quella sorta di fantasticheria continua in cui siamo invischiati e inebetiti… È allora più probabile che neanche quando presentano il contenuto più pessimistico, le finzioni si propongano un vero risveglio: è probabile invece che le “distopie di consumo” e il “consumo di distopia” facciano parte di una divisione di compiti; e che abbiamo - quando finiscono male - una funzione di allenamento e di assuefazione, mentre quando finiscono bene, malgrado tutto, per interventi di superpoteri o per resistenza della specie, abbiano una funzione consolatoria e liberatoria. Certo, ormai questo futuro increscioso è a breve distanza dal presente: H.G. Wells, per vedere separarsi disastrosamente la società dei privilegiati da quella dei reietti, spostava la sua macchina del tempo nell’anno 802.701; ancora Orwell proiettava in avanti la dittatura mostruosa del Grande Fratello rovesciando i decimali della data (dal 1948 al 1984). Adesso pare sufficiente domani. Per quanto la fantascienza sia tuttora un genere portante nel nostro immaginario, tuttavia la sua visuale avveniristica corrisponde ormai a una regressione fatale, al tremendo ritardo della “corsa allo spazio” (la metaMarte è ancora troppo lontana, l’acqua marziana sepolta nel gelo delle calotte), per cui un’umanità senza prospettive si pesta i piedi in un pianeta sempre più stretto e stento, in preda per giunta alle tempeste speculative, ovvero agli eccessi dello stesso sistema unico dominante. Insomma, il risvolto cupo del fantastico se non finisce per fare una parte in commedia (la parte dello spettro pauroso), finisce comunque per avvicinarsi sempre di più al realismo dei nostri anni. Eppure, malgrado tutto, la distopia un elemento “produttivo” continua a portarlo in sé. Un particolare punto di vista “anti-antropocentrico”. Un punto di vista 30
As catastrophe looms over the news, nowadays (the economic crisis and also the natural disasters showing at every change of season), it seems obvious that a smaller space should be given to fictional catastrophes, to the dream or nightmare of an always darker future. But it is not so, not only literature, but the cultural industry as a whole (cinema, comics, etc.) is full of dystopias, namely those works of fiction that - as opposite to utopia - show the world move towards the worst-case scenario. How should we read this, almost “pleonastic”, abundance? Are cruelty and harshness used to throw an imminent danger in our face in order to wake us up from our stupor? Yet, that is the kind of fiction which causes the stupor, the sensation of a never-ending reverie in which we are roped in and dazed by... So, it is more probable that not even when the darkest content is shown the real aim of the fiction is that of waking us up. On the contrary, it is possible that “consumer dystopias” and the “consume of dystopia” are part of a division of duties: a function of practice and addiction when it ends badly and a comforting and liberating function when, despite everything - thanks to the use of superpowers or to the resilience of the species - it ends well. Sure, this sick, sad future is almost here by now: H.G. Wells set his time machine to year 802,701, in order to disastrously see the society of the privileged to finally separate from the outcast’s one; and then, Orwell dated the Big Brother’s monstrous dictatorship forward by switching the decimals of the year (from 1948 to 1984). For us tomorrow is enough. As far as science-fiction is still a relevant genre of our imagination, however its own futuristic view corresponds now to a fatal regression, to the terrible late of the “space race” (Mars as a goal is still to far, Martian water still lies hidden into the icecaps of the planet), so a dead end humanity is stamping its feet on a planet that is getting smaller and miserable, and, in addition, in the grip of the speculating storms, that is the excesses of the prevailing system itself.
G, 1984, 1984 crew sticker, Paris
impossibile: quando l’umanità finirà, nessun essere umano, infatti, potrà essere presente. Non solo, ma anche un punto di vista paradossale: un mondo senza uomini sarà decisamente migliore (naturalmente questa frase è contraddittoria, essendo scritta da un umano). Un lato contraddittorio e paradossale, evidenziato soprattutto nelle distopie a prevalenza ironica e umoristica. Che spesso sono “distopie d’autore”, come La ratta di Grass o Il pianeta irritabile di Volponi, o anche Galapagos di Vonnegut. Ma adesso, potrebbe obiettare qualcuno, non c’è più niente da ridere. L’humour non determina la resa e quindi la rinuncia a fare qualcosa per evitare la catastrofe? Ecco il punto, qui-e-ora: la distopia è un campanello d’allarme che ci avverte di come andrà a rotoli il mondo se non facciamo qualcosa. Il problema, però, è che frenare la catastrofe non basta, salvare questo mondo vorrebbe dire farlo continuare nel suo corso, mentre è necessario trovare un altro corso, del tutto diverso, in cui l’uomo non sprema più il suo pianeta e se stesso. Una bonifica dell’immaginario collettivo è possibile solo attraverso lo sforzo di collocarsi “fuori” del proprio genere. Il principio di straniamento, associato alla distopia, può servire - ancor più della ramanzina moralistica e del vittimismo tanto diffuso alla ricerca di comportamenti etici e, se non altro, ci darebbe modo di scomparire con dignità.
In short, if the dark side of fantasy does not end up with having a role in the play (the one of the scary ghost), it will anyhow end by getting closer and closer to the realism of our days. Nevertheless, dystopia still carries a “productive” element with it. A peculiar “anti-anthropocentrism” point of view. An impossible point of view: when humanity will meet its end no human will be alive. Also, a paradoxical point of view: a world without man will surely be a better one (notwithstanding this sentence is self-contradictory as it is written by a man). A contradictory and paradoxical side emphasized, above all, inside the mainly ironic and humorous dystopies which often are “author dystopies” as in The rat by Grass or Volponi’s Il pianeta irritabile and Gálapagos by Vonnegut. There is no longer anything to laugh about, some might argue. Is not humour something that implies the surrender and the abandon of the will of taking action to prevent the catastrophe? That is the point, here-and-now: dystopia is an alarm bell warning us on how the world will come to a cropper if we do not intervene. The problem, however, is that slowing down the catastrophe is not enough, saving this world would mean letting it to go down its path, whilst it is necessary a new path in which man will no longer bleed the world and himself dry. A reclamation on the collective imagination is possible only through the effort of setting oneself “outside” one’s genre. The estrangement principle, associated to dystopia, can be used - even more than the moralistic dressing-down and the widespread self-pity - to the search for ethic behaviour and, at least, it would give us a way to pass away with dignity.
31
Superflex, Flooded Mc Donald’s, 2009, video stills, courtesy of Superflex
38
TORNADO & FLOODING by Teresa Macrì
SISTEMI DINAMICI: nella teoria delle catastrofi di René Thom vengono definiti tali i mutamenti discontinui che si presentano con una certa frequenza nei fenomeni naturali, in particolare in biologia. Esempi significativi di cambiamenti improvvisi causati da piccole alterazioni nei parametri del sistema sono le transizioni di fase, i movimenti tellurici, i cedimenti strutturali, i crolli dei mercati finanziari. Eccone due in dettaglio, con le lenti di Francis Alÿs e Superflex
DYNAMIC SYSTEMS: in René Thom’s theory of catastrophes are so defined the uneven changes that quite often appear within natural phenomena, especially in biology. Significant examples of these sudden changes caused by small variations in the parameter of the system are phase transitions, telluric movements, structural failures, and the collapse of capital markets. You can see here two of them in detail, with the lenses adopted by Francis Alÿs and Superflex
TORNADO
TORNADO
Nella pratica di Francis Alÿs non esiste realmente una visione catastrofista del mondo, semmai è la cognizione della realtà percepita con una sensibilità anomala che dirotta continuamente l’artista alla ricerca dei dis/funzionamenti, delle biforcazioni, delle alterazioni, dei sommovimenti del reale. Laddove non esistono ancora, l’artista li intravede o li prospetta con il massimo del paradosso. Un caso per tutti è la sua When Faith Moves Mountains, performance realizzata per la Biennale di Lima nel 2002, una sorta di coniugazione di utopia e paradosso: 500 volontari equipaggiati di pale tentano di rimuovere di 10 centimetri, su un raggio di 500 metri, la duna di una montagna dalla sua posizione originaria. Dietro l’evidente illogicità dell’azione, Alÿs insinua la disillusione di milioni di immigrati peruviani in cui il processo di cambiamento si è arenato nella guerra civile degli anni Ottanta. Oltre a sottintendere una critica al sistema dell’arte (su cui molto spesso il nostro polemizza), in parti-
In Francis Alÿs’s practice it doesn’t really exist a catastrophic vision of the world, in case there is a reality awareness perceived with an unusual sensibility which keeps diverting the artist towards the research of the (dis)functioning, the bifurcations, the alterations, the upheaval of reality. Where they don’t exist yet, the artist catches a glimpse of them or prospect them with a great paradox. A very significant example of this is his When Faith Moves Mountains, a performance realized for the Lima Biennale in 2002, a sort of mix of utopia and paradox: 500 volunteers equipped with shovels are trying to remove 10 centimeters, within a 500 meters radius, of a dune mountain from its original position. Beyond the plain illogicality of this attempt, Alÿs alludes to the disillusion of millions of Peruvian immigrants for whom the changing process has stopped with the civil war of the Eighties. Apart from implying a criticism towards the art system (which he often argues), especially concerning the romantic clumsiness of some works by Land Art. As a matter of fact each one of his art work is a researching process that goes on for years, through rhizomatic developments, changes and joints that often remain unsolved
39
Donato Piccolo photographed in his New York studio by Manfredi Gioacchini for DROME magazine
42
D O N AT O P I C C O L O by Silvano Manganaro
Dalla scienza all’arte e ritorno, incontro con Donato Piccolo, per capire cosa si nasconde dietro un uragano in miniatura
From science to art and back, a conversation with Donato Piccolo helps us understand what is hidden behind a miniature hurricane
L’artista ha sempre avuto con le macchine un rapporto complesso e, in alcuni casi, controverso. L’arte era techné e il pittore, lo scultore o l’architetto utilizzavano tutti gli arnesi disponibili per affrontare al meglio il proprio lavoro. Leonardo, addirittura, ne inventava di proprie, alcune impossibili e visionarie, altre immediatamente utili all’arte e all’osservazione (da scienziato) del mondo. Con il Novecento, la macchina - e la tecnica - si sono fatte quasi nemiche e sono diventate “celibi”, sgangherate, ostili o inquietanti, per poi tornare ad interessare l’artista nella sua forma perfetta e integrata: una tecnica che si è ormai fatta tecnologia e che una mente acuta, conoscenze specifiche e sensibilità riescono a far parlare di noi e dei nostri “tornado interiori”. Donato Piccolo (Roma, 1976), dal suo studio di New York, ci parla del suo lavoro, di teorie scientifiche, di corpi e menti e, anche, di “catastrofi positive”. DROME: Riguardo al tuo lavoro si è parlato di “caos regolarizzato o regola che diventa caotica”, cosa che tende a mettere in corto circuito, o comunque guardare con altri occhi, il rapporto arte-scienza. Oggi fai l’artista a tempo pieno, ma sei stato anche programmatore al CNR: come vedi la relazione tra le due discipline? Sono in realtà così distanti? La scienza, secondo te, è effettivamente portatrice di certezze come la maggior parte della gente crede? E l’arte è davvero il suo opposto? DONATO PICCOLO: La scienza e l’arte sono sempre andate di pari passo nella storia dell’evoluzione dell’uomo, nella ricerca costante dello sviluppo umano. Il mio lavoro raggiunge risultati completamente differenti da quelli scientifici, nonostante abbia anch’esso una base sperimentale ed una curiosità di fondo che ne arricchisce i contenuti.
Artists have always established a complex, and sometimes controversial, relationship with machines. Art was techné and a painter, a sculptor or an architect used the tools available to them to perform their tasks at best. Leonardo even invented his own machines, some of which were impossible and visionary, others immediately useful to the arts and to the (scientific) observation of the world. With the advent of the twentieth century, machines - and techniques - have almost become enemies, regarded as “single”, ramshackle, hostile or disturbing devices. Only subsequently, artists have become interested in them, in their perfect and integrated form: techniques that, in the meanwhile, had become technology, so much so that a sharp mind and a specific set of skills and sensitivity turn them into instruments able to talk about us and our “interior tornadoes”. Donato Piccolo (Rome, 1976), from his studio in New York, tells us about his work, as well as about scientific theories, bodies and minds, and “positive catastrophes”. DROME: Your work has been referred to as “a chaos becoming regular or a rule becoming chaotic”, which seems to challenge or take a different view of the relationship between art and science. Today you are a full-time artist, but you have also worked as a programmer at the Italian
43
Catastrofe, o Cara
Reportage all’ombra della Centrale idroelettrica Reportage in the shade of the hydroelectric Power Station by Francesca Cogoni photos by Carlo Beccalli
In Trentino, nei giorni più caldi di Fies, una ricerca etnografica esplora il tema del numero attraverso l’osservazione e il contatto con sei collettivi scelti, che non consolano né riparano, ma non se ne può più fare senza In Trentino, an ethnographic survey in the “hottest” days of Fies, explores the topic of the issue through the observation and the contact with six selected collectives that neither comfort nor repair, but are nonetheless essential
Caracatastrofe
Caracatastrofe
Nell’immagine che accompagna il titolo dell’ultima edizione di drodesera (2011), “Caracatastrofe”, c’è un ragazzo,Yoon, giovane italiano di seconda generazione. Con lui, al suo braccio, un falco, animale usato nel passato dai nostri antenati per la caccia, e quindi la sopravvivenza, un rapace capace di far arrivare il suo sguardo molto lontano. Yoon C. Joyce è un giovane attore di film indie e d’azione, ed è stato fotografato da Alessandro Sala di Cesuralab, un importante collettivo di giovani fotografi, in un luogo davvero “catastrofico”: una frana antichissima che risale all’era post glaciale, quella delle Marocche di Dro, in Trentino, nella quale risuona un silenzio innaturale, dove la vegetazione fatica a ricrescere. È lì che si erge Centrale Fies, il centro di produzione delle arti contemporanee. Sulla t-shirt di Yoon, c’è disegnata una strada, forse la sua via d’uscita. L’immagine è molto forte, sembra quasi il poster di un gruppo black metal, aggressiva, una specie di riposo del guerriero prima dell’attacco finale. A qualcuno potrebbe ricordare anche una grafica molto avanzata dei videogame di ultima generazione. In realtà, per noi ha rappresentato l’icona di una “speranza non passiva”, un promemoria per tutti noi che dovremmo acuire la vista e servirci di nuovi strumenti per affrontare il futuro.
In the image that comes along with the title of the last edition of drodesera (2011), “Caracatastrofe” (Dearcatastrophe, TN), there is a boy, named Yoon, a young Italian (actually a second generation immigrant). Together with him, resting on his arm, there is a hawk, an animal once used (by our ancestors) to hunt, and therefore to survive, a rapacious bird able to cast its glance very far away. Yoon C. Joyce is a young actor who especially plays in indie and action movies, and he has been photographed by Alessandro Sala of Cesuralab, an important collective for young photographers, which took place in a very “catastrophic” place: a very ancient landslide that dates back to the Post-Glacial Period. We are talking about the landslide that created the Marocche di Dro, in the Italian region of Trentino Alto Adige, enshrouded in an unnatural silence, where plants hardly grow. This is the place where Centrale Fies - the production center of contemporary arts - rises. On Yoon’s t-shirt a road is drawn, maybe his way out. It is a very strong image, and it almost looks like the poster of a black metal group, since it is aggressive, a sort of rest of the warrior before the final attack. Someone may even recall in it the very modern graphic of today’s videogames. Actually, for us it represented the icon of a “non-passive hope”, a memorandum for us all, who shall sharpen our eyesight and make use of new instruments to face the future.
Virginia Sommadossi
Virginia Sommadossi DRODESERA 2012 - WE FOLK! Centrale Fies - Loc. Fies, 1 web: www.centralefies.it Dro (Trento - Italy), 20 - 28.07.2012
71
Dewey Dell photographed in 2011 in the centrale Fies, at the drodesera festival, by Carlo Beccalli for DROME magazine
75
ALI KAZMA Portfolio
Absence: uno sguardo a Soesterberg, base Nato in abbandono Absence: an eye on the Soesterberg abandoned Nato Base by Barbara Polla
86
La catastrofe non ha avuto luogo. È rimasta virtuale. La catastrofe è nelle nostre menti, insieme ai suoi orpelli. O forse ha avuto luogo. Sono tornati di nuovo tutti a casa. La base è un deserto inanimato, all’infuori di alcuni insetti che si sono lasciati dietro, morenti nel silenzio. Dunque, che cos’ha filmato Ali Kazma, oltre agli insetti, al vuoto e alla natura tutto intorno? Chiedeteglielo... sarà un elenco senza fine: “Numeri, dispositivi, strumenti, misurazioni, avvertimenti, barriere, estetica della sopravvivenza, natura contro manufatto, indifferenza di natura e animali, bunker, efficienza, grigiore, attesa del peggio, procedure, manuali, programmi, pulsanti di controllo, quadri di controllo, recinzioni, paura, aggressione, alberi, stazioni di rifornimento, burocrazia, filo spinato, piani di guerra, elicotteri, qualunque tipo di arma, bombe, torri di controllo, appartamenti sotterranei, rovina, funghi, graffiti, camini che affiorano dal terreno, ragnatele, vapori esausti, cablaggi, lampade fluorescenti, ordine, radioattività, strane scariche d’acqua, ancora numeri, cemento, piste di atterraggio, segnaletiche, hangar, presse idrauliche, cancelli di sbarramento, paranoia, uniformi, ...”. Ancora una volta, la catastrofe è la guerra. E come ogni artista serio, come ogni essere umano serio, non possiamo ignorare la guerra. Non possiamo ignorarla, ma non possiamo neanche ignorare la sua potente attrattiva e la sua estetica gloriosa. “Per lungo tempo sono stato interessato alla macchina della guerra, e desideravo includerla nella mia opera come elemento plasmante della storia. Un soggetto difficile su cui lavorare, visto che è stato esplorato, demonizzato, teletrasmesso, romanzato, moralizzato, sfruttato, semplificato, reso farsa... Sembra che in un modo o nell’altro si sia già esaurito tutto ciò che si poteva fare con esso. Ma l’artista che ricerca una sorta di integrità nel suo lavoro, può permettersi di non prendere in considerazione un simile soggetto? Non credo”, afferma Ali Kazma. Al di là della guerra, il deserto. Gli umani se ne sono andati.
The catastrophe has not taken place. It has remained virtual. The catastrophe is in our mind, with all its fineries. Or may be it has taken place. They all went home again. The base is an in-animated desert except for some insects left behind that are still dying in silence. What then did Ali Kazma film, besides the insects and the void and the nature all around? Ask him… it’s endless: “Numbers, gadgets, instruments, measurements, warnings, barriers, aesthetics of survival, nature versus man-made, indifference of nature and animals, bunkers, efficiency, grey, preparation for the worst, procedures, manuals, plans, control buttons, switchboards, fences, fear, aggression, trees, fueling stations, bureaucracy, barbed wire, war-planes, helicopters, any and all types of weapons, bombs, control towers, underground living, decay, mushrooms, graffiti, chimneys sticking out of the ground, spider webs, exhaust fumes, wiring, cables, florescent lamps, order, radioactivity, strange showers, more numbers, concrete, runways, signs, garages for planes, hydraulic presses, gate controls, paranoia, uniforms, …” Once again, the catastrophe is the war. And as any serious artist, as any serious human being: we cannot ignore war. We cannot ignore war - and neither can we ignore its powerful attractiveness and glorious esthetics. “I have been for a long time interested in the war-machine and wanted to include it in my body of work as one of the shapers of history. A difficult subject to work on as it has been explored, demonized, televised, fictionalized, moralized, exploited, simplified, turned into farce… It seems like all that can be done with it has been exhausted in one way or another. But can any artist who targets a kind of unity in his/her work afford not to include this subject? I believe not,” says Ali Kazma. Beyond war, the desert. Humans are gone.
Fine.
The end.
Ali Kazma, Absence, 2011, video still, two channel HD video with sound, endless loop, courtesy of the artist, CBKU, Utrecht - SKOR, Amsterdam - Francesca Minini, Milan
87
C H R I S T I A N B O LTA N S K I Un’allegra conversazione, più che uno studio visit More than a studio visit, a cheerful conversation by Tea Romanello-Hillereau
Una lunga e gustosa chiacchierata con l’artista che ha rappresentato la Francia alla 54° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Anni dopo la visita a Annette Messager - interpellata per il numero sull’Amore -, torniamo a Malakoff, per incontrarlo dove lavora. I dromers in visita vengono immediatamente immortalati dalla webcam di un collezionista che ha “comprato” la sua vita e che lo filma 24 ore su 24, 7 giorni su 7, fino alla sua dipartita finale. Lui è cordiale, ma determinato: la più grande catastrofe è la nostra morte, una catastrofe individuale, annunciata e inevitabile. Ossessioni infantili,manie da adulto,desideri artistici futuri,la religione,la memoria, l’amore e altre amenità, per Mr Christian Boltanski, di nuovo prepotentemente su DROME (era nel numero sul Tempo, ma probabilmente lo sapete già)
We had a long and amusing conversation with the artist who represented France at the 54th International Art Exhibition of Venice. A few years after our visit to Annette Messager - whom we interviewed for our Love issue -, we go back to Malakoff to meet him at his studio. The visiting Dromers are immediately caught by the webcam of a collector who has “bought” his life and is going to film him 24/7, until he dies. He is friendly, but resolute: the greatest catastrophe of our life is death, which is an individual catastrophe, as well as a foretold and inevitable one. With his childhood obsessions, adult manias, future artistic ambitions, religion, memory, love and other pleasant things, Mr Christian Boltanski is powerfully back in the pages of DROME (he was already in our Time issue, but perhaps you know it already)
122
Christian Boltanski photographed in his atelier in Malakoff by Pejman Biroun Vand for DROME magazine
123
THE RIDERS O F T H E A P O C A LY P S E
Photographer: Paulina Otylie Surys Stylist: Irene Manicone Make up Artist: Yuka Hirata Hair Stylist: Noriko Takayama Set Designer: Nicolas Zavaliaris Photographer’s assistant: Piotr Karpinsky Stylist’s assistants: Victoria Binns, Beth Champ Props coordinator: Silvia Ferrari Set designer’s assistants: Edward Burchard, Laura Galasso, Ivan Demeco, Nimco Warsama, Ellen Taylor and Jules Newman Models: Masumi Tipsy, Natasha Underwood@D1, Evangelia Christakou, Jakub Hiermann, Julius Reuben Johanna Londinum, Zaf Shabit, James Hooker, Pierre Filoux and Vicky Special thanks: Zoltan Almondo, Pietro Pavettoni and Fey Sebel Shot in London
132
133
136
Evangelia wears necklaces and bracelet by Pebble London long stripes collar piece by Claire Whitt belt by James Hock white hairy earring and ring by Bjorg vintage gold earring with pearl by Rellik silver crown stylist’s own Natasha wears long cream dress by Bodyamr rings and bracelets by Iosselliani laurel wreath by Martine Rose
137
Black is the new Black GARETH PUGH by Francesca Cogoni
Quando il cielo è color piombo e solcato da fosche nubi, normalmente ci si aspetta un temporale. Ma non sempre è così: tra le nuvole può farsi strada un raggio di sole e il vento può spazzare via ogni minaccia. Incontrare Gareth Pugh è un’esperienza simile When we see a leaden sky, crossed by gloomy clouds, we normally wait for a storm. But it’s not always like that: among the clouds a ray of sun can find its way and the wind can sweep away every menace. Meeting Gareth Pugh is a similar experience
Assistendo alle sue sfilate, guardando i suoi video, si è indotti a pensare che dietro la loro conturbante bellezza si celi uno spirito greve e cupo. Salvo poi doversi ricredere davanti al suo sorriso luminoso, ai modi aggraziati e a certe dichiarazioni che ne svelano un’attitudine tutt’altro che “dark”, ma in perfetto equilibrio fra cariche opposte. Ci si accorge allora che è proprio combinando spontaneità e rigore, levità e forza, che Gareth Pugh riesce a creare uno stile così peculiare, alimentato dal contrasto e dall’armonia, dallo stupore e dalla follia. Lo abbiamo incontrato a Milano. DROME: Le tue creazioni sono visionarie ed elaborate, frutto di suggestive sperimentazioni con le forme, i volumi e i tessuti. Hai dei particolari riferimenti visivi o fonti di ispirazione? Sembra quasi che provengano dal “lato oscuro” della tua mente... GARETH PUGH: In realtà, non ho dei punti di riferimento precisi. Posso trarre ispirazione da un film come da un’opera d’arte.Tutto ciò che mi circonda è potenzialmente una fonte di ispirazione, che assorbo e rielaboro seguendo la mia immaginazione, il mio gusto estetico. Non direi che provengono dalla zona “oscura” della mia mente, quanto piuttosto da un punto in cui esistono i contrasti... dove c’è il bianco e c’è il nero. Io cerco soltanto di trasmettere la mia essenza attraverso quello che creo. 196
Attending his fashion shows, watching his videos, we are inclined to think right away that behind that perturbing beauty is hiding a heavy and dark spirit. But then we have to change our minds: looking at his bright smile, at his polite behaviour and listening at some of his declarations, we discover anything but a “dark” attitude, actually totally in balance between positive and negative signs. And that’s how we understand that it’s just combining spontaneity and rigidity, lightness and strength that Gareth Pugh manages to create such a peculiar style, nourished by contrast and harmony, astonishment and madness. We met him in Milan. DROME: Your creations are visionary and elaborate, the result of pregnant experimentations regarding forms, volumes and fabrics. Do you have any specific visual reference or source of inspiration? It seems like if they are inspired by the “dark side” of your mind… GARETH PUGH: Actually, I don’t have any specific references. I can draw inspiration from a film as well as from a painting. Everything that surrounds me is, potentially, a source of inspiration, that I re-elaborate following my imagination, my aesthetic sense. I wouldn’t say that these inspirations come from the “dark” side of my mind, but rather from a place where contrasts exist… where white and black coexist. I only try to transmit my essence through my creations.
Gareth Pugh photographed at 10 Corso Como in Milan by Carlo Beccalli for DROME magazine
197
D R O M E L A N D ...:::TRACKLIST:::... MY BRIGHTEST DIAMOND, All Things Will Unwind // AFFICTIONADOS, This Is What It Is // ROLL THE DICE, In Dust......212 REAL ESTATE, Days // O’DEATH, Outside // GIORGIO CANALI E ROSSOFUOCO, Rojo.................................................................213 ...:::FRESH INK:::... Sibylle Bergemann, The Polaroids // Michel Poivert, La Fotografia contemporanea // AntonellaMatildePalmira, Orme sulle orme...214 Pascale Debert, La casa di Tamara // Germano Celant, Anselm Kiefer // Thomas Bernhard, Autobiografia.................................215 ...:::STRIP:::... Camille Jourdy, Rosalie Blum // Ruppert & Mulot, Irene e i clochard // AA. VV., LÖK #01..............................................................216 ...:::KIOSQUE:::... ZOETROPE: ALL STORY........................................................................................................................................................................217 ...:::DIGITALVIDEODROME:::... Andrej Tarkovskij, Solaris // Michelangelo Frammartino, Le Quattro Volte..................................................................................218 ...:::D TOUR:::... Hollmann Beletage ...............................................................................................................................................................................220 ...:::MEMENTO:::... KERNEL FESTIVAL // DONAUFESTIVAL // TRANSMISSION L.A. .................................................................................................222 OPEN HOUSE ROME // MANIFESTA 9 // NOT AFRAID OF BEAUTY..............................................................................................223 ...:::SYNDROME:::... The Aftermath.........................................................................................................................................................................................224 213
Alessandro Scarabello, Untitled, 2010, acrylic and oil on canvas, 41 x 44 cm, courtesy of the Gallery Apart, Rome
DROME 21 AUTUMN/WINTER MMXII
THE MASKED ISSUE WWW.DROMEMAGAZINE.COM
227
228