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...::: PRÉLUDE :::...
Ursula Mayer, After Bauhaus archive: Unknown student in Marcel Breuer chair, 2006, Screen print on silver or golden paper mounted on cardboard and framed, 86 x 42 cm, courtesy of the artist
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...::: PRÉLUDE :::...
The transformation is invested […] Part character part sensation The shadow is cast Bauhaus, Mask (1981)
È passato un po’di tempo, è vero. E ce ne rammarichiamo.Non che non ne abbiamo incrociato tanti di voi, in questa pausa. Alle fiere, ai nostri eventi e ai vostri, a quelli commissionati, nel web, in giro, nei nostri sogni. E non che sia stato un vero sabbatico. Mentre voi tormentavate il vostro rivenditore di fiducia sull’arrivo del nuovo numero, noi ci ricentravamo con Bruxelles, dove brindavamo ai 10 (!) anni di DROME e Phlegmatics leggendo versi a nottefonda come Chalamov nel suo gulag, e rendevamo il sito della rivista portale, e come un porto accoglievamo nuovi progetti, idee, collaboratori, mentre cercavamo una possibile via a the Masked issue. Un’uscita sfuggente come un viso celato, questa, eppure terribilmente presente a se stessa, che vuole interpellarvi senza sconti come lo sguardo fisso di un bebè, e disarmarvi di bellezza. Un numero figlio di cuciture e scuciture come l’epica tela, perché il suo compiersi ha avuto bisogno di diversi tempi, come a teatro. Perché si è appoggiato alla vostra corroborata indulgenza e alla vostra famelica devozione. Perché sigillo, come il prossimo, dei due lustri raggiunti. Se il senso di continuità dimora nel cambiamento, una decade è un traguardo-invito a nuovi ragionamenti e al coraggio di nuove vie, anche ardimentose. Come decidere di cambiare periodicità per rendere DROME ancora più libero, più acuto, più ispiratore, più federatore, più rizomatico, più qui, e più altrove. La maschera quale soggetto inevitabile perché sa incarnare questa transizione e la sua ebbrezza. L’abbiamo accostata nel suo essere simbolo di vertiginosa seduzione del confine e, con Jung, Persona nella danza dialettica con l’Anima; ma anche allegoria di morte, il tema dei temi (dietro la maschera, come la rossa di Poe, vi è il grande nulla). La maschera richiama a sé anche chi non è più o non è ancora, favorendo un percorso spiritistico o semplicemente metafisico non meno conturbante. Tolta la maschera, ecco succedersi altre maschere, un vero arsenale, per dirla con Benjamin, e il “vero” volto forse non è che un mistero irrilevante, o magari talmente perturbante che è meglio perdersi nel gioco di strati. La maschera può farsi passaggio guaritore, ma pure festa scomposta e giubilo irriverente, perché è il fracasso - se nel suo vario etimo lambiamo anche il relitto del sostrato pregallico -, la trasgressione temporanea che protegge lo status quo, ma anche l’artefatto-scudo-vessillo che può ribaltare tutto, o far tremare molto. Avete atteso fin troppo. Che il nostro ballo mascherato vi accolga, ora, i vostri visi le vostre maschere, e che il volteggiare sia lungo. Non vi lascerà indenni.
It has been quite awhile, we know. And we are sorry about that. It’s not that, during this break, we haven’t crossed our paths with many of you. At the various fairs, at our self-sponsored or commissioned events, through the social media, in our dreams, around and about. And it was neither a real gap year. As you were chivvying your preferred retailer about the release of our new issue, we moved our headquarters in Brussels, where we celebrated DROME and Phlegmatics’s 10th (!) anniversary by reading poems late into the night, just like Chalamov in his gulag, and we turned the magazine’s website into a portal, and like a port we have welcomed new projects, ideas, collaborators, all the while creating the Masked issue. An elusive issue like a concealed face, though tremendously self-possessed, which eagerly calls out to you to disarm you with its beauty, just like a newborn baby’s fixed gaze. An issue which enjoyed a long labour of weaving and unravelling, like the epic web, because its completion needed different acts, like in a play. Because it relied on your corroborated indulgence and on your ravenous devotion. Because it represents a seal, like the next issue, of the two celebrated lustrums. If the sense of continuity dwells in change, a decade is a goal-incitement to explore new topics and to the courage to take to new, audacious, directions. Such as deciding to change the publication frequency so as to make DROME even freer, more insightful, more inspirational, more federator, more rhizomic, more here, and more elsewhere. The mask as an inevitable subject as it perfectly embodies this transition along with the resulting inebriation. We have approached it as a symbol of the dizzying seduction of the border and, in Jung’s terms, as the Persona in a dancing dialectic with the Anima; but also as an allegory of the death, the topic of the topics (underneath it, like in Poe’s red masque, there is the most profound nothing). The mask, however, attracts also those who are no longer with us or those who are not here yet, fostering a spiritistic, or simply metaphysical, yet nonetheless perturbing, path. Once the mask is removed, more masks follow, a real arsenal, as Benjamin wrote, and maybe the “true” face is just an irrelevant mystery, or maybe it is so perturbing that it would be better to get lost in the game of layers. The mask can be a healing passage. And also easygoing merriment and irreverent rejoicing, as it represents the hubbub – if among its various etymologies we also trawl the wreckage of the pre-Gallic substrate –, the temporary transgression that protects the status quo, but it is also the artefact-shield-banner that is able to overturn everything, or to cause a great tremor. You have been waiting too long. Let our bal masqué welcome you, now, your faces as your masks, and may its gliding last long. It is not going to leave you unscathed.
Rosanna Gangemi
Rosanna Gangemi
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Kama Sokolnicka, Tristes tropiques (No. 2), collage on paper, 2011, from the collection of Jakub Nowakowski
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Kama Sokolnicka, series VII (suspense No. 1), collage on paper, 2011, from private collection
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Phyllis Galembo, Man with Gun and Phone, Jacmel, Haiti, 2004, Š Phyllis Galembo, courtesy Steven Kasher Gallery, New York
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Phyllis Galembo, Akata Masquerade, Eshinjok Village, Nigeria, 2004, Š Phyllis Galembo, courtesy Steven Kasher Gallery, New York
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Costa Vece photographed by Alessandra Bolzonello for DROME magazine
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C O S TA V E C E La Maschera, la Spazzatura (pezzi di carta, identità e simbolo) Of Masks and Rubbish (pieces of paper, identity and symbols) by Carmen del Valle
Le sue maschere di collage su carta ci avevano incuriosito. Realizzate con vecchie fotografie strappate, ritagliate e incollate con un affanno quasi antropologico, interpellavano identità e territori attraverso volti familiarmente sconosciuti. Siamo andati a Zurigo
His paper-collage masks intrigued us. Made from pieces of old photographs, which the artist has ripped, cut out, and pieced back together in a sort of anthropological attempt, they question identities and territories through familiarly unknown faces. We went to Zurich
Da sempre presente come motivo, fine o mezzo, la maschera ha accompagnato la creazione umana sin dalle sue origini. Parlare oggi di maschere significa, inevitabilmente, fare i conti con una lunga tradizione che passa dall’Antichità alle Avanguardie senza conoscere confini di tempo, cultura o lingua. Per mostrare l’altro, l’alterità, l’uomo si è servito soprattutto del volto. Il volto che porta la morte, come Medusa, il volto come simbolo divino o come segno assoluto dell’individualità. La maschera come trasformazione, ma anche rivelazione di una verità altrimenti non sopportabile: la presentazione dell’essere nella sua totalità. Ora, all’oggetto magico succede l’oggetto artistico, mentre si rende evidente una metamorfosi, di un transito tra il conosciuto e l’inatteso. Abbiamo interpellato Costa Vece (Herisau, Svizzera, 1969), a cui avevamo voglia di far visita da tempo.
Used as an end in itself or as a means to an end, the mask has been an ever-present theme in the history of human creation. Talking about masks today means being familiar with a long tradition that dates back to ancient times and reaches all the way into avant-garde movements, breaking down time, cultural and language barriers. To describe the Other, or the Otherness, human beings have often used their own face - a deadly face, like that of Medusa, a god-like face, or a human face displayed as a symbol of individuality. Masks are instruments of transformation as well as revelation of a truth that, put otherwise, would be unbearable. They are indeed the fullest expression of Being. The magic object has now turned into an artistic one, becoming the vehicle for a metamorphosis, a transition from the known to the unknown. We asked about these topics Costa Vece (Herisau, Switzerland, 1969), that we felt like visiting him since a while.
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meccanismo psicologico che si mette in moto, un gioco in equilibrio tra il vedere e l’essere visto. D: Questi oggetti risultano in un certo senso familiari: non hai paura di ricreare un’icona? CV: C’è sempre il rischio. L’intuizione è venuta da un viaggio a Bali: lĂŹ sono famosi per le loro maschere e per come lavorano il legno ma, con mia grande sorpresa, per le strade ci sono migliaia e migliaia di vetrine piene di animaletti come le giraffe, ma in Indonesia non ci sono giraffe. Semplicemente, le fabbricano per i turisti, e la cosa funziona! Non è una figura che appartiene alla loro cultura, ma la riproducono perchĂŠ i turisti si aspettano quello. Non importa l’origine, basta che l’idea renda bene una volta tornati a casa. Credo che le maschere siano anche un simbolo di questo. Immagino un albero in cui ci siano tre grandi gruppi di maschere: Africa, Indonesia e Svizzera. Ma attualmente non si riesce piĂš a sapere quale sia l’origine, nĂŠ il senso di queste figure. Per questo, un simbolo che viene da una tradizione forte diventa un simbolo universale che tutti riconoscono, ma che nessuno sa piĂš identificare con un paese o una cultura specifica. In questo modo una cultura snaturata diventa la terra di nessuno. D: Parli delle maschere in Svizzera, ma che senso hanno in un paese protestante? CV: SĂŹ, ora sembra incredibile. Sono cresciuto nella parte cattolica della Svizzera. Noi abbiamo le maschere come parte integrante delle nostre tradizioni e siamo abituati a trattare con quest’idea.Venire a Zurigo, però, ha significato vivere una concezione completamente opposta a quella cattolica. Nessuno parla piĂš della cultura religiosa, di queste tradizioni, e credo sia importante riflettere su questo. Credo che, attraverso la tradizione, si possa parlare di come il protestantismo viva il suo rapporto con il nascosto. Non sto parlando della Chiesa, questo non m’interessa, ma di tutti i segni di identitĂ che assimiliamo in maniera automatica. A Berlino ho fatto un workshop con dei bambini, e loro non hanno alcuna idea su queste cose. Ăˆ stato incredibile vedere come reagivano a queste immagini. Erano sorpresi ma, al tempo stesso, amavano la possibilitĂ di nascondersi. Eppure loro non hanno questa tradizione perchĂŠ vivono in una cittĂ protestante e, in un certo modo, in queste città è vietato non essere qualcuno. Questo meccanismo scatta anche in Africa: quando indossano una maschera diventano il fantasma di un’altra persona. D: Dunque credi che la maschera serva piuttosto a nascondere o a rivelare? Sto pensando alla parola “personaâ€? che, per i latini, significava “mascheraâ€?. CV: Infatti, questo è molto affascinante perchĂŠ la maggior parte delle volte la maschera non nasconde, ma, piuttosto, mostra. Quello che diventi è qualcosa che esiste giĂ , ma che non hai il coraggio di far vedere perchĂŠ troppo vero. Per cui, credo che la maschera, in realtĂ , non sia una trasformazione, bensĂŹ una sorta di rivelazione, temporanea, ma pur sempre una rivelazione. Per me è molto interessante il fatto che quest’oggetto si applichi su te stesso, ma per gli occhi degli altri. Alla fine è come una sorta di continuazione di te. 36
CV: Masks have always fascinated me, by the original idea that inspires them and the traditions they convey. I have always seen them as one of the symbols of the cultural identity of a country. A mask is a game of duplicity, of reciprocity. Depending on whether individuals are behind or in front of this object, their attitudes are different, because a mask allows you to become someone else. There is a sort of underlying psychological mechanism, a subtle interplay between “seeingâ€? and “being seenâ€?. D: 4HESEÂ?OBJECTSÂ?AREÂ?SOMEHOWÂ?FAMILIAR Â?AREÂ?YOUÂ?NOTÂ?AFRAIDÂ?TOÂ?REPRODUCEÂ? SUCHÂ?ANÂ?ICONICÂ?ELEMENT CV: I am aware of this risk. The inspiration came from a journey to Bali. People, there, are famous for their masks and woodcarvings, but, much to my surprise, their shop windows are full of little animal toys, especially giraffes, which are not native to Indonesia. They make these little giraffes for tourists, and they go like hot cakes! This is not a symbol that belongs to their culture, but they reproduce it because this is what tourists want. People don’t care where this animal comes from. They just want to buy a nice souvenir. I think that the same can be said of masks. -ASKSĂ?CANĂ?BEĂ?CLASSIlEDĂ?INTOĂ?THREEĂ?MAINĂ?GROUPS Ă?!FRICA Ă?)NDONESIAĂ?ANDĂ? Switzerland. Today we don’t even know their origins or meanings. A symbol belonging to a strong tradition becomes a universal symbol that EVERYBODYĂ? RECOGNIZESĂ? BUTĂ? NOĂ? ONEĂ? ISĂ? ABLEĂ? TOĂ? ASSOCIATEĂ? WITHĂ? AĂ? SPECIlCĂ? country or culture. In this way, a rootless culture turns into a nowhere land. D: 9OUÂ?MENTIONEDÂ?3WISSÂ?MASKS Â?BUTÂ?WHATÂ?ISÂ?THEIRÂ?MEANINGÂ?INÂ?AÂ?0ROTESTANTÂ? COUNTRY Â?Â? CV: I know it may sound strange. I grew up in the Catholic part of Switzerland. Masks are an integral part of our traditions, and we are used to them. In Zurich, however, I experienced a completely different culture. Today, no one talks about religious culture and traditions anymore, and )Ă?THINKĂ?ITĂ?ISĂ?IMPORTANTĂ?TOĂ?REmECTĂ?ONĂ?THIS Ă?)Ă?THINKĂ?THATĂ?TRADITIONĂ?ALLOWSĂ?USĂ? to better understand the relationship between Protestantism and the ‘unseen’. I am not talking about the Church, here. I am not interested in that. What I am concerned with are the symbols of identity that we spontaneously absorb. Some time ago I ran a workshop with children in Berlin and, on that occasion, I realized they had no idea of these things. It was astonishing to see how they reacted to these masks. They were surprised, but, at the same time, they loved the idea of hiding their faces. This tradition was completely foreign to them, because they lived in a Protestant city, and in these cities concealing one’s identity is forbidden. In Africa there is a similar attitude: when people wear a mask they become the ghost of someone else. D: $OÂ?YOUÂ?THINKÂ?THATÂ?MASKSÂ?CONCEALÂ?ORÂ?REVEAL Â?)Â?AMÂ?THINKINGÂ?ABOUTÂ?THEÂ? ,ATINÂ?WORDÂ?hPERSONAv Â?WHICHÂ?MEANSÂ?hMASKv CV: Exactly. This is very fascinating, because most of the times masks do not conceal, but reveal. What you become is something that is already there but you don’t have the courage to show, because it’s too true. I believe that a mask is not a transformation, but a sort of revelation, even IFĂ?AĂ?TEMPORARYĂ?ONE Ă?)Ă?lNDĂ?ITĂ?VERYĂ?INTERESTINGĂ?THATĂ?THISĂ?OBJECTĂ?ISĂ?SOMETHINGĂ? you put on your face, but is intended for the eyes of others. After all, it is a sort of extension of yourself.
Costa Vece, Why does my heart feel so bad?, 2011, papercut with collage on paper, wooden frame, 30 x 22 cm unframed, courtesy of Galerie Georg Kargl, Vienna
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Kendell Geers photographed by Lydie Nesvabda
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KENDELL GEERS Del diritto di andare a letto con le prostitute e di mangiare al tavolo dei sovrani Of the right to sleep with prostitutes and eat with kings by Marianna Liosi
Consapevole di essere al mondo non come entità isolata ma come parte di un tutto interrelato, Kendell Geers analizza da sempre le strutture di potere che dominano il sistema mondiale collettivo e, di conseguenza, quello dell’arte, proclamando la grande libertà che l’artista ha di divulgare verità scomode ad una maggioranza che conta ma che, sovente, è distratta…
Well aware of living on earth not as an isolated entity but as a part of the interrelated whole, Kendell Geers for many years has examined the structures of power that are now ruling the world’s collective system and in consequence the art system. Thus proclaiming the artist’s essential freedom to declare thorny truths in front of a majority that counts, but often proves to be careless…
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COLLETTIVO CINETICO [maschere] = filtri di visione unidirezionale. Amplificazione diottrica per spettatori. “Chi è visto non vedeâ€?.
;MASKS=Ă? Ă?ONE WAYĂ?VISIONĂ?lLTERS $IOPTRICĂ?AMPLIlCATIONĂ?FORĂ?ANĂ?AUDIENCE “He who sees is not seen.â€?
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Collettivo Cinetico photographed by Claudia Pajewski for DROME magazine
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Peeping Tom photographed by Claudia Pajewski for DROME magazine
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PEEPING TOM “My grandfather was the only one to accept my boyfriend.” 63
Alessandro Sciarroni photographed by Claudia Pajewski for DROME magazine
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ALESSANDRO SCIARRONI Credo che la cosa più interessante nell’indossare una maschera sia la sensazione di potenza. Penso alle immagini di Diane Arbus, ai suoi idioti mascherati. Ma la cosa che in assoluto più mi rassicura è essere bendato, non vedere. È strano. Se non vedi chi ti guarda, hai l’impressione di non essere visto.
I believe that the most interesting thing while wearing a mask is the sense of power. I’m talking about Diane Arbus’ images, her masked freaks. But the thing that absolutely soothes me is getting blindfold, not to see. It is strange. If you cannot see whom is looking at you, you will get the impression of not being seen.
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MichaĂŤl Borremans photographed by Geert De Taeye for DROME magazine
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MICHAËL BORREMANS (Ceci n’est pas une interview) by Carmen Del Valle
Abbiamo interpellato MichaÍl Borremans. Lo abbiamo ritratto. Poi gli abbiamo scritto. Con la volontà , frutto anche del grande rispetto e stima verso l’artista, di non incorrere in un dialogo di soliti luoghi comuni, abbiamo deciso di mettere insieme qualche riflessione e pensiero, con l’animo di non trovare alcuna risposta definitiva
We questioned MichaĂŤl Borremans. We portrayed him. And then we wrote him. With the intent of avoiding hackneyed commonplaces - also due to the great respect and esteem for the artist - we decided to put together some reflections and thoughts, without looking for any definitive answer
Nel 1771, Francisco de Goya fece un suo primo tentativo. PartÏ da un piccolo villaggio nel nord della Spagna e si trasferÏ a Madrid per presentarsi alla prestigiosa Accademia di Belle Arti di San Fernando. Non fu ammesso. Non riuscÏ neanche a passare l’esame. Tuttavia, non si lasciò scoraggiare e, alcuni anni dopo, tentò di nuovo; anche questa volta senza alcun successo. Non frequentò mai l’Accademia e, difatti, non ne ebbe bisogno. Che ironia che uno dei maggiori pittori della Storia non lo sia mai stato. O almeno per i cosiddetti bienpensants dell’epoca.
)N� �&RANCISCO�DE�'OYA�GAVE�IT�A�lRST�TRY �(E�TOOK�HIS�BAG�AND�FROM� a some small village in the north of Spain he went down to Madrid to present himself to the prestigious Academy of Fine Arts of San Fernando. They didn’t accept him. He did not even pass the exam. Nevertheless, he went on with determination and, some years later, he gave it a second TRY �THIS�WITHOUT�ANY�SUCCESS �(E�NEVER�ATTENDED�THE�!CADEMY�AND �IN�
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Michaël Borremans, The Angel, 2013, 300 x 200 cm, oil on canvas, courtesy of Zeno X Gallery Antwerp, © Photographer Dirk Pauwels
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è nella propria solitudine. Lo spettatore diventa un intruso, credo quindi che la Sua opera non abbia nulla in comune con il concetto di Opera aperta. Cos’è per lei un’opera aperta? Lo ammetto, ho lanciato una provocazione, ma dove e quale è il legame tra quelle figure e coloro che le osservano? Credo che lo spettatore prenda parte all’opera, e che sia una cosa essenziale. Ăˆ lo spettatore che completa l’opera. Egli è parte dell’opera. La mia opera è estremamente aperta. L’opera è aperta all’interpretazione. Vorrei condividere qualcosa con lei. Ăˆ un’opera di Degas. Non è priva di polemiche e vi sono molte teorie su ciò che il pittore abbia voluto rappresentare. Il titolo è L’intĂŠrieur ou le viol. Il titolo è successivo alla sua morte, quindi l’artista non ha mai voluto intitolarla in questo modo; tuttavia, vorrei che lo guardasse attraverso la lente della tensione, della violenza che emerge dalla sua stessa opera. Cosa ricerca in particolare? Si tratta di un’intenzione o di qualcosa che non riesce a trattenere? Ăˆ qualcosa che non riesco a trattenere. Immagino che lei sia giĂ informato, il numero di DROME affronta il tema della Maschera. La gran parte dei personaggi che popola le sue opere ha il volto coperto. E se non sono coperti, i loro volti sono inquietanti. Cosa intende trasmettere celando i volti? La verità è forse piĂš forte, piĂš piena, se il volto è coperto, nascosto? SĂŹ, certamente. Spero che un giorno potremmo incontrarci di persona. La ringrazio infinitamente per il suo tempo, per la sua attenzione e per fare le cose che fa: è una persona davvero generosa.
What is for you an open work? Ok, I am provoking in this case, but where AND�WHAT�IS�THE�CONNECTION�BETWEEN�THOSE�lGURES�AND�THE�ONES�LOOKING� at it? )�THINK�THE�SPECTATOR�IS�TAKING�PART�IN�THE�WORK�AND�IT�IS�NECESSARY� THING�TO�DO �)T�IS�THE�SPECTATOR�THAT�lNISHES�THE�WORK �(E�IS�PART�OF�THE� WORK �-Y�WORK�IS�VERY�OPEN �4HE�WORK�IS�OPEN�FOR�INTERPRETATIONS I would like to share something with you. It is an artwork by Degas. It is not free of polemic and there are many theories about what the painter did try to represent here. The title is , INT½RIEUR�OU�LE�VIOL. The title is posterior to his death, so he never wanted to title it in this way, but anyway, I would like you to look at it through the glass of the tension, the violence that comes out of your own work. What are you looking for exactly? Is it an intention or is it something that you cannot refrain? )T�IS� SOMETHING�)�CANNOT�REFRAIN As I imagine you already know, the issue of DROME discusses the Mask. !�LOT�OF�YOUR�lGURES�HAVE�A�COVERED�FACE �!ND�IF�THEY�ARE�NOT�COVERED �THEY� merely are frowning disturbingly. What do you mean by hiding faces? Is the truth stronger, fuller, if the face is covered, hidden? Yes indeed. I hope we could meet personally one time. Thank you so much for your time, your attention and for doing the things that you do, you are somebody really generous.
Cordialmente, Sincerely,
Carmen del Valle Carmen del Valle
* Nel suo saggio Cosa è il contemporaneo?, Giorgio Agamben s’interroga sull’arte, sul nostro concetto di tempo e su cosa esattamente intendiamo per contemporaneo. Per lui, l’artista sarebbe quello in grado di cogliere l’ombra del suo tempo, quello in grado di allontanarsi dalla troppa luce che la frenesia dell’oggi impone. Avere a che fare con MichaĂŤl Borremans significa parlare di un altro tempo che è, tuttavia, il nostro. Borremans opera nel medio e piccolo formato: i suoi dipinti di fattura realista hanno un’amabilitĂ iniziale che subito contrasta con una logica inquietante, a metĂ strada tra l’assurdo, il fantastico e il dramma. Le figure presentate non guardano mai nĂŠ chi a sua volta le guarda nĂŠ alla relazione con gli oggetti a loro prossimi; sono esseri immersi in uno spazio indefinito, in uno scenario materico e colmo di silenzio, peso e materia. Borremans parla di un vuoto aperto a ogni interpretazione, un gioco che svela e ri-vela l’impossibilitĂ del mondo o il dolore ironico della smorfia. La mostra retrospettiva al Bozar a Bruxelles, “MichaĂŤl Borremans - As sweet as it getsâ€?, è in corso fino al 03.08.2014. Il catalogo pubblicato da Hatje Cantz non gli è da meno.
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In his essay, #OSAÂ? Ă€Â? ILÂ? CONTEMPORANEO (What is the contemporary, TRANSLATOR SÂ? NOTE), Giorgio Agamben addresses the notion of art, our concept of time and what we exactly mean by contemporary. For Agamben, the artist should be able to grasp the shadow of his time, to stay away from the excessive light imposed by the frenzy of our time. To deal with MichaĂŤl Borremans means to discuss about a time that, however, is also our time. Borremans’s pictures are frequently small and medium format: his works are realist paintings that contain an initial loveliness soon challenged by a radically unsettling and haunting logic, halfway between absurd, FANTASYĂ?ANDĂ?DRAMA Ă?4HEĂ?DEPICTEDĂ?lGURESĂ?NEVERĂ?RETURNĂ?THEĂ?VIEWER SĂ?GAZEĂ? ANDĂ?AREĂ?OBLIVIOUSĂ?TOĂ?THEIRĂ?PICTORIALĂ?SURROUNDINGS Ă?THEYĂ?AREĂ?IMMERSEDĂ?INTOĂ? ANĂ?INDElNITEĂ?SPACE Ă?INĂ?AĂ?MATERIALĂ?SCENARIO Ă?BURSTINGĂ?WITHĂ?SILENCE Ă?WEIGHTĂ? and matter. Borremans talks about an emptiness open to any interpretations, a game that unveils and reveals the impossibility of the world or the ironic pain of the frown. The exhibition at Bozar in Brussels, “MichaĂŤl Borremans - As sweet as it getsâ€?, runs until August 3, 2014. The extensive catalogue published by Hatje Cantz is no less valuable than the show.
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I ADVANCE MASKED Io avanzo mascherato by Valerio Dehò illustrations by Amalia Caratozzolo
Sbagliato relegarlo ai festeggiamenti del Carnevale. Un album del 1982 di Bob Fripp e Andy Summers fa nascere il sospetto che mascherarsi sia invece un’attività da non sottovalutare It would be wrong to relegate masks to Carnival celebrations. A 1982 album by Bob Fripp and Andy Summers seems to suggest that wearing a mask is an activity not to be underestimated
Il gioco delle identità, possibili, cercate, volute, perdute, ha sempre a che fare con quel voler essere che spesso (troppo spesso) non coincide con il dover essere. I nostri condizionamenti sono strutturali, legati sempre ad una ricerca di individualità che ci porta alla disperazione o, il che è la stessa cosa, alla psicanalisi. La maschera è un elemento fondante dell’identità. Non quella che acquisiamo con la famiglia, con gli studi o con l’uso ripetuto dello specchio, ma quella che fa parte della nostra regione/ragione erotica, sensibile, della vita. Cambiare identità equivale a rompere le sbarre. Quella sessuale, poi, è una condanna a cui non possiamo sottrarci, perché in fondo il nostro scopo è quello di dare regolarità all’esistenza, di durare, di creare dei rapporti che abbiano la sensatezza del costruito, del solido, anche quando tutto ciò non è manifestamente possibile. Eccezione o regola? E se indossare una maschera fosse la normalità? In effetti, è esattamente quello che ci viene richiesto dalla società, dalla civiltà (in senso freudiano) a cui apparteniamo. “Io avanzo mascherato”, è così che si fa e che bisogna fare. La perdita della maschera genera catastrofi, accadimenti incontrollati, derapate esistenziali. La maschera è stabilità, consenso, forma aggregante di un IO che cerca di mettere ordine nel caos del desiderio. La maschera è rituale, appartiene alla collettività, richiede un ri-conoscimento. In ogni società, metterla dà fiducia, cambiarla è possibile solo in certi periodi e situazioni - certamente un tempo questo era possibile e costituiva una valvola di sfogo delle energie libidiche della necessità di mettere il mondo sottosopra. Assumere un’identità posticcia è consentito solo nei riti di un Carnevale, che coincide con i riti del ritorno alla vita dopo il lungo inverno. Una festa a tempo, conclusa dalla Quaresima, periodo dopo il quale il peccato torna ad essere peccato, e ogni devianza viene punita. Il mondo delle
Playing with possible, desirable, or lost identities is always about a “wanting-to-be” that (all too often) has nothing to do with our “havingto-be”. Our behaviours are structurally oriented towards a search for individuality that drives us to despair, or psychoanalysis, which is the same. Masks are a founding element of our identity. Not the ones we learn from our families, our studies or the repeated use of the mirror, but those embedded in our erotic, emotional regions/reasons of life. Changing identity is like breaking the bars of a cage. Sexual identity, in particular, is a sentence we cannot escape, because all we want is to lead a regular life, live as long as possible, build meaningful and solid relationships, even when circumstances seem to give us no grounds for hope. In this sense, is the practice of masking an exception or the rule? What if it were normal? After all, it is our society, the culture we belong to (in Freud’s sense), that requires us to do so. “I advance masked” - that’s the
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Alessandro Scarabello, Untitled, 2010, acrylic and oil on canvas, 41 x 44 cm, courtesy of The Gallery Apart, Rome
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A L E S S A N D RO S C A R A B E L L O Un dialogo A dialogue by Mike Watson
Osservare un dipinto è come lasciarsi trasportare, perdersi in una promessa di trascendenza, prima che la maschera venga rivelata. Il sottile strato dell’olio svanisce come un mondo etereo e onirico, diventando una base solida, tela di legno e olio di lino. Facciamo ritorno a noi stessi. Incontro con Alessandro Scarabello To look at painting is to be transported, to get lost in a promise of transcendence, before the mask is revealed. The thin veneer of oil gives way as an ethereal dream-like world way becomes a solid base of wooden canvas and linseed oil. We are returned to ourselves. We met Alessandro Scarabello
Alessandro Scarabello (Roma, 1979) dipinge. Ma anche suona. Dopo la sua terza personale, “Uppercrustâ€?, a The Gallery Apart di Roma (2012), abbiamo discusso a lungo sul tema del numero. Di seguito alcune riflessioni. DROME: La pittura è un’operazione di mascheramento - un mascheramento della tela, ad esempio - e nel mascheramento rivela una realtĂ dietro alla maschera, una realtĂ legata sia agli oggetti dipinti, manufatti e prodotti ready-made, ecc. - sia all’osservatore. Un tale processo di mascheramento e smascheramento è tuttora possibile? ALESSANDRO SCARABELLO: Penso che la sensazione di mascheramento e di smascheramento da te menzionata, e di cui condivido il significato, sia percettibile ancora adesso nella pittura: sono semplicemente cambiati i tempi, che hanno modificato noi e il nostro modo di assorbire questa sensazione. Penso che l’era del capitalismo abbia profondamente insterilito e impoverito l’immagine in generale. Tutto questo ha reso lo spettatore assuefatto all’immagine, e quindi incapace di mettere in atto il processo di “masking-unmaskingâ€?. C’è un altro elemento importante. La pittura come medium ha dei tempi che mal si conciliano con la velocitĂ dei mezzi
Alessandro Scarabello (Rome, 1979) paints. And also plays music. After his third solo show, “Uppercrustâ€?, at The Gallery Apart in Rome (2012), we discussed a lot about the topic of this issue. Here some of OURĂ?REmECTIONS DROME: 0AINTINGÂ?ISÂ?ANÂ?ACTIVITYÂ?OFÂ?MASKINGÂ? Â?AÂ?MASKINGÂ?OFÂ?THEÂ?CANVAS Â? FORÂ?EXAMPLEÂ? Â?ANDÂ?INÂ?MASKINGÂ?ITÂ?SIGNALSÂ?AÂ?REALITYÂ?BENEATHÂ?THEÂ?MASK Â?BOTHÂ? AÂ?REALITYÂ?RELATEDÂ?TOÂ?OBJECTSÂ? Â?PAINTINGS Â?READYÂ?MADEÂ?OBJECTS Â?ETC Â? Â?ANDÂ? TOÂ?THEÂ?VIEWINGÂ?SUBJECT Â?)SÂ?SUCHÂ?AÂ?MASKINGÂ?ANDÂ?UNMASKINGÂ?PROCESSÂ?STILLÂ? POSSIBLE ALESSANDRO SCARABELLO: The sensation of masking and unmasking - as mentioned in the introduction - makes perfect sense to me, can still be perceived in painting today. However, times have changed, and they have changed us and the way we absorb this kind of sensation too. I think that THEĂ?ERAĂ?OFĂ?CAPITALISMĂ?HASĂ?TRULYĂ?IMPOVERISHEDĂ?ANDĂ?mATTENEDĂ?THEĂ?IMAGEĂ?INĂ? general. All of this has conditioned the spectators, making them addicted to the “imageâ€? and disabling the process of masking and unmasking.
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inspired by DROME
Quando sarete pronti ad aprire le tende sulle vostre vite? When would you be ready to open the curtains on your life?
Testo e fotografia // Text and photography: Philippa Nicole Barr http://www.philippanicolebarr.com Style: Noey Park http://www.noeypark.com Trucco // Make Up: Andrea Gaetani http://www.andreagaetani.com Maschere // Masks: Sara Scanderebech http://echart.tumblr.com Modelli // Models: Sally Jonsson @ Next Milano Dzeina Kruze @ Next Milano Rain Kont @ Independent Men Milan Marchi // Brands www.rafaellopezcouture.com www.stefanodelellis.com www.pierremantoux.com www.robertclergerie.com www.byblosmilano.com www.cristianoburani.it www.vicmatie.it www.angelosfrentzos.eu www.livialazzari.com www.flavialarocca.com www.ricostru.com www.bandofoutsiders.com www.gazzarrini.eu www.albertofasciani.it www.douuod.it www.avarofiglio.com www.robertopiqueras.com 84
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Ispirato dalla novella La morte di Ivan Il’ic di Lev Tolstoj
)NSPIRED BY THE NOVELLA The Death of Ivan Ilyich by Leo Tolstoy
Personaggi: Praskovta Fedoravna: Moglie di Ivan Ivan: Magistrato del Tribunale Peter: Collega di Ivan Lisa Golovin: Figlia di Ivan e Praskovta
Characters: 0RASKOVTA &EDORAVNA 7IFE OF )VAN )VAN -AGISTRATE AT COURT 0ETER #OLLEAGUE OF )VAN ,ISA 'OLOVIN $AUGHTER OF )VAN AND 0RASKOVTA
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I due scivolavano nella festa. Lisa Golovin sentiva lo svolazzare del tessuto aleggiare tra le gambe. Questa leggerezza la aiutava a dimenticare la pesantezza degli ultimi giorni. Aveva la sensazione di essere trascinata. Sostenuta dalla cinetica, i confini circostanti apparivano e scomparivano cosĂŹ in fretta che ancora prima di vederli ci si dimenticava della loro esistenza. E cosĂŹ girava il mondo. Lisa immaginava i movimenti di Peter, che la conduceva e sfilava avanti e indietro tra i diversi mondi che si dilatavano e mescolavano. Guardava i suoi occhi accesi. “Sei innamorato di me?â€?, chiese. Ma da dietro la maschera le sue parole erano ovattate. Lei non poteva sentire la sua risposta. NĂŠ i complimenti, nĂŠ una dichiarazione d’amore. Sentiva solo uno spasmo nei muscoli, piĂš che un battito del cuore. 88
They glided off into celebration. She started to feel lightness, buoyed by THE�SAME�AIR�CAUSING�HER�DRESS�TO�mUTTER�AT�HER�ANKLES �3HE�NEEDED�NOT� to think of her own direction but trailed around, sustained by the kinetic movements of the dance, unsure even where she was as the contours of her surroundings appeared and disappeared before she could notice. She settled her vision on Peter’s mask, following him back and forth between the different visions that stretched and intermingled rather THAN� lTTING� TOGETHER� BEHIND� HIM � 3HE� CAUGHT� A� GLINT� IN� HIS� EYES � hare YOU�IN�LOVE�WITH�ME v�"UT�THE�MASK�MUFmED�HIS�RESPONSE �3HE�HEARD�NO� COMPLIMENT �SENSED�JUST�A�SPASM�OF�THE�MUSCLES�RATHER�THAN�A�BEAT�OF� his heart.
Ma Ivan non cercava l’amore. Con la coda dell’occhio voleva vedere il cappotto dell’ex magistrato. Ed eccolo, appeso su un attaccapanni alla porta della cantina. Ballando piano piano si faceva sempre piĂš vicino. I sogni sconclusionati di Lisa furono interrotti vicino alla porta della cantina a causa della pesantezza dell’aria che si faceva fatica a respirare. Dove sentiva dei gemiti sottovoce provenienti da laggiĂš. Il suo mondo iniziava a ruotare, un carosello di malvagi, incomprensibile. “Apri una finestraâ€?, gridava Peter, “che cattivo odore!â€?.
Ivan was not looking for love. Out of the corner of his eye, he tried to catch sight of the coat of the ex-magistrate. There it was. Hanging on a coatrack in front of the door leading to the cellar. Dancing slowly, spinning, he glided toward it. Interrupting the rambling daydreams of Lisa with the heavy weight of the air near the cellar door. Hard to breathe. And those strange sounds from underneath. Her mind formed a carousel OFĂ?WICKEDĂ?ANDĂ?INCOMPREHENSIBLEĂ?IDEAS Ă?Ă?3HEĂ?FAINTEDĂ?mATĂ?ASĂ?0ETERĂ?CRIEDĂ? h/PENÂ?AÂ?WINDOW Â?SOMETHINGÂ?STINKS v
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Virginie Rebetez, Untitled #5, 2013, courtesy of Virginie Rebetez & Galerie Christopher Gerber, Lausanne
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Virginie Rebetez, Untitled #4, 2013, courtesy of Virginie Rebetez & Galerie Christopher Gerber, Lausanne
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Virginie Rebetez, Untitled #12, 2013, courtesy of Virginie Rebetez & Galerie Christopher Gerber, Lausanne
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Virginie Rebetez, Untitled #9, 2013, courtesy of Virginie Rebetez & Galerie Christopher Gerber, Lausanne
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Pascale Marthine Tayou photographed in his atelier in Ghent by Geert De Taeye for DROME magazine
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PA S C A L E M A RT H I N E TAYO U by Rosanna Gangemi
Il lavoro di Pascale Marthine Tayou, cosÏ come il suo nome, è volutamente mobile e si sottrae a schemi prestabiliti. Legato all’idea di viaggio e d’incontro con l’altro da sÊ, scevro da convenzioni e concessioni, ci ha accolto nel suo studio per un gioviale confronto sul mascherarsi, e non solo‌
Pascale Marthine Tayou’s work, just like his name, is deliberately versatile and defies any thought patterns. Attached to the idea of travel and of exchange with the Other, free from any conventions and concessions, he welcomed us into his studio for a joyful talk on the concept of mask, and much more‌
Pascale Marthine Tayou rifiuta di essere ridotto alle sue origini nazionali (è nato in Camerun), etniche, di genere, di mezzi espressivi. E adora sorprendere. Quest’anno, la sua ultima mostra monografica e prima in Austria, alla Kunsthaus di Bregenz, presentava, tra gli altri lavori, una “favelaâ€? lungo le scale del museo fatta da piĂš di un centinaio di gabbie per uccelli. L’esuberanza emotiva del titolo dell’esposizione, “I love you!â€?, la diceva lunga sull’uomo, generoso di riflessioni, incline alla condivisione e all’ironia, e dalla rara affabilitĂ , che ci ha accolti mesi fa a Ghent, nel suo immenso e traboccante atelier-hangar‌
Pascale Marthine Tayou rejects the idea of being constrained into his national (he was born in Camerun), ethnic, gender, expressive origins. !NDĂ?HEĂ?LOVESĂ?TOĂ?ASTONISH Ă?4HISĂ?YEAR Ă?FORĂ?HISĂ?LATESTĂ?ANDĂ?lRSTĂ?SOLOĂ?EXHIBITIONĂ? in Austria, held at the Kunsthaus Bregenz, in addition to other works, he presented a “favelaâ€? installed on the museum’s stairways and consisting of several hundred bird cages. The emotional exuberance of the exhibit’s TITLE Ă? h)Ă? LOVEĂ? YOU v Ă? SAIDĂ? AĂ? LOTĂ? ABOUTĂ? THEĂ? MAN Ă? GENEROUSĂ? OFĂ? REmECTIONS Ă? strongly disposed to sharing and to irony, and standing out for his rare friendliness, who months ago welcomed us to Ghent, in his huge and OVERmOWINGĂ?ATELIER HANGARx
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portfolio
FRISÜRCHEN Erik Steinbrecher
FRISÜRCHEN was published on the occasion of the exhibition ANIMISMUS at Haus der Kulturen Berlin, March 2012 Graphic design by Stephan Müller, Joshua Schenkel and Erik Steinbrecher Published by Kodoji Press - www.kodoji.com © 2012 Erik Steinbrecher and Kodoji Press First edition, 300 copies The selected pages have been photographed by Geert De Taeye in the DROME headquarter in Brussels
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Takashi Nishiyama, A/W 11/12 collection, courtesy of Takashi Nishiyama
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TA K A S H I N I S H I YA M A by Giulia Fasanella
Artista e designer di grande impatto, visivo, Takashi Nishiyama gioca con materiali che colpiscono i sensi: pelli, striature di pelliccia, mantelle, tabarri, pastrani, palandrane, copricapo.Volumi avvolgenti che proteggono e schermano il corpo, maschere sontuosamente barbare. Con una sua idea di genere Artist and designer of high-impact, visual and not only, Takashi Nishiyama plays with materials that affect the senses: leather, fur streaks, capes, cloaks, coats, overcoats, and hats. Volumes wrap that protect and shield the body, masks richly barbaric. With his own idea of gender
A prima vista, le collezioni del designer giapponese Takashi Nishiyama sembrano un mix tra l’estetica otaku, i personaggi di Evangelion, le strutture di Rick Owens e le geometrie realizzate da un giovane Gareth Pugh rapito da Godzilla e costretto a guardare il film Tetsuo di Shinya Tsukamoto. Nato nel 1987, è stato il primo stilista giapponese a vincere l’ITS (International Talent Support) Fashion Competition nel 2010. L’approccio di Takashi Nishiyama è differente quando disegna menswear e womenswear. Forse è un atto volontario, o forse è solo inconscio. C’è l’eco di Genghis Khan nel suo mirabolante drappello di nuovi guerrieri mongoli. Gli uomini sembrano essere moralmente più ambigui, le loro personalità sono talmente forti che è difficile capire se rappresentano il bene o il male. Somigliano a dei cacciatori di mostri, ma a volte è arduo chiarire se essi stessi non siano i mostri cacciati. L’altro lato della medaglia è che le donne di Nishiyama sono meno monolitiche e più dinamiche, i loro abiti mescolano differenti ispirazioni, pure classiche. Esse rappresentano l’idea della cacciatrice di mostri, ma in una luce positiva. DROME: Qual è stato il tuo primo approccio con la moda? TAKASHI NISHIYAMA:Inizialmente mi sono avvicinato alla moda perché la stessa mi affascinava. Come un impatto sorprendente che porta a un interesse sempre più grande.
!TÏlRSTÏGLANCE ÏTHEÏ*APANESEÏFASHIONÏDESIGNERÏTakashi Nishiyama’s collections seem like a mix of otaku aesthetic, %VANGELION characters, Rick Owens’ structures, geometries made a young Gareth Pugh kidnapped by Godzilla and forced to watch the Shinya Tsukamoto’s movie Tetsuo. "ORNÏINÏ ÏHEÏWASÏTHEÏlRSTÏ*APANESEÏDESIGNERÏTOÏWINÏTHEÏ)NTERNATIONALÏ Talent Support (ITS) Fashion Competition in 2010. One of the most interesting things about Takashi Nishiyama is the different approach he has when he designs menswear and womenswear. Maybe it is a voluntary act, or maybe it is just unconscious. There is the echo of Genghis Khan in his amazing group of new Mongol warriors. Men seem to be more morally ambiguous, their personalities AREÏSOÏSTRONGÏTHATÏITÏISÏDIFlCULTÏFORÏUSÏTOÏUNDERSTANDÏIFÏTHEYÏREPRESENTÏGOODÏ or evil. They look like monster hunters, but sometimes it’s hard to clarify if they are the monsters, which are hunted, or the hunters who became monsters themselves. The other side of the coin is that Nishiyama’s women are less monolithic and more dynamic, and their clothes that mix together several inspirations – classic too. They represent the idea of a monster hunter, in a positive way.
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Takashi Nishiyama, S/S 13 collection, courtesy of Takashi Nishiyama
Nel videogame Monster Hunter, i giocatori danno la caccia ai mostri ed ottengono armi in premio ed acquisiscono forza proseguendo nel gioco. Il fatto che Monster Hunter fosse cosĂŹ popolare e che gli impiegati vi giocassero mentre andavano a lavoro al mattino, mi è sembrato interessante. CosĂŹ, ho inserito una storia nella mia creazione; veri impiegati vanno a caccia di mostri e devono necessariamente indossare anch’essi qualche monsters’ details. D: Trapezi dilatati e drappeggiati in figure plastiche rimandano alle maschere tragiche del teatro kabuki. Le tue esecuzioni nascondono, dissimulano, proteggono? TN: Le maschere e i capi che ho realizzato sono stati creati di proposito al fine di “distinguersiâ€? dalle figure umane. In definitiva, posso dire che la mia creativitĂ esprime quel desiderio di fanciullezza che è ancora in me. D: Si avverte la grande attualitĂ dell’ancestrale. Palpita questa pelle espansa e prospettica... una nuditĂ rigogliosamente inedita per percorrere in lungo e largo le strade sempre piĂš aperte del nostro mondo? TN: Trovare il significato intrinseco di un lavoro è importante, ma la performance rappresenta per me l’aspetto piĂš importante. Quindi ho preso circa sei pezzi visivi e li ho collegati tra loro in modo da creare un unico enorme drappo. Considero come un tutt’uno la collezione e la performance che ne segue. Sono contento che quest’aspetto vi abbia affascinati. 168
D: !NDÂ?WHICHÂ?AREÂ?THEÂ?MONSTERSÂ?TOÂ?HUNT Â?!NDÂ?THEÂ?HUNTÂ?ISÂ?AÂ?PRETEXT Â?AÂ? WHIMÂ?ORÂ?AÂ?NECESSITY TN: Actually, at the time an employer inspired me. In the videogame Monster Hunter players hunt monsters, and get weapons for rewards and gain strength by continuing. The fact that Monster Hunter was so popular and employers were playing at it while going to work in the morning seemed interesting to me. So I include a story within my CREATION Ă? REALĂ? EMPLOYERSĂ? GOĂ? HUNTINGĂ? MONSTERSĂ? ANDĂ? THEYĂ? HAVEĂ? TOĂ? WEARĂ? “monsters’ detailsâ€?. D: $ILATEDÂ?TRAPEZOIDSÂ?ANDÂ?DRAPEDÂ?INÂ?PLASTICÂ?lGURES Â?REFERÂ?TOÂ?THEÂ?TRAGICÂ? MASKSÂ?OFÂ?+ABUKIÂ?THEATRE Â?$OÂ?YOURÂ?CREATIONSÂ?HIDE Â?CONCEAL Â?PROTECT TN: The masks I make or the giant size garments are made purposely TOĂ? DETACHĂ? THEMĂ? FROMĂ? HUMANĂ? lGURES Ă? /NĂ? THEĂ? WHOLEĂ? )Ă? CANĂ? SAYĂ? THATĂ? MYĂ? creativity express the longing I have for my childhood. D: 4HEREÂ? ISÂ? THEÂ? GREATÂ? RELEVANCEÂ? OFÂ? THEÂ? ANCESTRAL Â? 4HISÂ? EXPANDEDÂ? ANDÂ? PERSPECTIVEÂ?SKINÂ?BEATS Â?)SÂ?ITÂ?LIKEÂ?ANÂ?UNUSUALÂ?NUDITYÂ?THATÂ?TRAVELÂ?USÂ?FARÂ?ANDÂ? WIDEÂ?THEÂ?STREETSÂ?MOREÂ?ANDÂ?MOREÂ?OPENÂ?INÂ?OURÂ?WORLD TN: Finding the meaning of reading a work is important but the performance itself is the most important aspect for me. I took about six visual pieces and connected them together so that they looked like a huge drape. I consider it both a collection and a performance. I’m happy this visual captures your interest.
Takashi Nishiyama, A/W 11/12 collection, courtesy of Takashi Nishiyama
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Dress Missoni, Satin face corset Patrick Ian Hartley, Fur Coat 2nd day, Shoes Melissa, Belt Una Burke, Leggings Helen Steele
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Jacket Louis Barthelemy, Satin Face corset Patrick Ian Hartley
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Long jacket Fyodor Golan, Dress Issey Miyake, Corset Una Burke, Shoes Finsk, Tights Issey Miyake, Ring Bjorg
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Mask Shara Hayz, Necklace Iosselliani, Shoes Steve Madden, Jumpsuit Rebecca Adams, Skirt Guy Laroche, Top Paul & Joe, Belt Una Burke
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Dress Chalayan, Ring Iosselliani, Necklace Iosselliani, Shoes Camilla Skovgaard, Jacket Fyodor Golan
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Blouse Jean-Charles de Castelbajac, Trousers Jean-Charles de Castelbajac, PVC Face corset Patrick Ian Hartley
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