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Leggende diventate rievocazioni storiche
La tragica fine di Leonello Ritaldi
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Siamo a Castel Ritaldi, nella valle del Sagrantino, tra Spoleto e Montefalco. Qui, parlando dell’omonimo castello con gli abitanti del posto, quasi sempre salta fuori la storia del fantasma. In molti dicono di aver sentito qualcosa, sibili o gemiti. Altri affermano che è solo la tramontana che fischia tra le torri o, magari, qualche vecchia grondaia che cigola. Gli anziani del paese, però, tramandano ancora le vecchie storie degli antichi sfarzi del maniero e di uno dei suoi nobili che venne misteriosamente ucciso ben cinque secoli fa. Si tratta del conte Leonello Ritaldi, un uomo colto, di bella presenza, disinvolto, sfrontato e amante dei piaceri. Fu durante un ricevimento che il conte conobbe la celebre
Lucrezia Borgia e questa se ne invaghì immediatamente. Seppur all’inizio i due amoreggiassero con sguardi e atteggiamenti, Leonello rifiutò la nobildonna, tradendola con pensieri impuri, insultando il nome dei Borgia e disprezzando, davanti ai suoi amici, la governatrice del ducato di Spoleto. La famigerata nobile reagì male a tal spettacolo. Il conte Ritaldi venne ritrovato il giorno dopo misteriosamente morto e, guarda caso, per avvelenamento. Da allora si dice che il suo fantasma vaghi per i corridoi del castello. Per ricordare questo avvenimento, ogni anno dal 1984, si celebra il “Palio del Fantasma”, manifestazione in costume medievale con rievocazioni storiche, gare tra rioni e spettacoli.
La leggenda del filo di Berta
Dalle parti di Montegrotto Terme (Padova), viveva Berta, una povera contadina che oltre che al lavoro nei campi si dedicava al filato. Berta era sposata con un contadino dal cuore generoso che un giorno, perché non era riuscito a pagare una decima, venne imprigionato e condannato a morte dal signorotto locale. In quegli stessi giorni, circa nel 1084, Enrico IV - imperatore del Sacro Romano Impero - e sua moglie, l’imperatrice Berta di Savoia, si recarono in visita ai Signori da Montagnon, nelle terre dei Colli Euganei, per godere degli effetti benefici delle terme. Di ritorno a palazzo dopo una passeggiata, l’imperatrice venne avvicinata dalla povera Berta che le chiese la grazia per il suo sposo imprigionato.
L’imperatrice s’impietosì e la concesse. Non sapendo come ringraziare la nobildonna, la povera filatrice le regalò una matassa del suo filo. L’imperatrice fu così sorpresa e commossa di quel dono spontaneo della plebea che decise di premiarla dando ordine di donare a Berta e al suo consorte tanto terreno quanto il filo di quella matassa poteva contenere. Saputa questa notizia, altre donne corsero dall’imperatrice con le loro matasse ma lei rispose loro con la storica frase “E’ finito il tempo in cui Berta filava”. La leggenda di Berta viene celebrata ogni anno a Montegrotto Terme grazie alla rievocazione storica “Il tempo di Berta”.
I fantasmi del castello di Avella…
Circa nel Trecento, nell’era volgare, un cavaliere giunse ad Avella con la sua amata. Erano Cofroa e Bersaglia, lui figlio del re di Persia, lei un’umile serva. La loro unione non poteva essere accettata dal grande re il quale costrinse i due a fuggire lontano. Arrivati ad Avella con una grande quantità di tesori, Cofroa e Bersaglia si fecero subito ben volere dalla popolazione locale, così tanto da aiutare la coppia a edificare un castello. La vita era felice per i due amanti che avevano trovato finalmente il loro covo d’amore ma, in certi casi, a tanta felicità non si sopravvive. Dopo poco la bella Bersaglia morì e per la disperazione Cofroa decise di tornare in Persia. Era appena partito quando una voce, un canto di donna, lo distrasse dalla sua strada. Nel tentativo di seguire quel canto, il principe tornò sui suoi passi ma la sorgente di quel suono era introvabile e, lungo la collina, il suo cavallo s’imbizzarrì disarcionandolo.
Riaperti gli occhi, Cofroa si convinse di aver davanti ai suoi occhi la sua amata ma questa svanì lasciando a terra un fazzoletto sporco di sangue dove egli lesse “Compagni in vita, saremo compagni anche in morte”. Rimontato a cavallo e confuso per l’accaduto, Cofroa cadde ancora a terra. Il suo cavallo era morto e lui si trovò non più nella sua terra ma in un cimitero con una sola tomba aperta. Alla vista di quella tomba, il principe capì il messaggio e si lasciò cadere in quella fossa dove morì all’istante. Un attimo dopo l’atmosfera riprese le sembianze dei pressi del castello. Qui finisce la storia di Cofroa e Bersaglia ma altre leggende animano questo maniero. Forse a causa dei famosi tesori portati dalla Persia e mai ritrovati?
…E i tesori del castello di Avella
Il mistero del castello s’infittisce ed è proprio questa la ragione della nascita di diverse leggende come quella del Diavolo con i Piedi d’oca che, con una pistola, impedisce a chiunque di cercare un fantomatico tesoro nascosto nel castello. Un’altra storia parla di un prete coraggioso che convinse trenta uomini a cercare il misterioso tesoro, convincendoli che tutti gli spiriti che avrebbero incontrato sarebbero stati solo finzione. Nei meandri del castello il gruppo si trovò ad affrontare lo spirito di un monaco armato di cannone che allontanò i malcapitati a suon di poderosi calci scagliandoli lontano. C’è poi la storia di uno spirito che in sogno spiegò a un uomo della zona dove e come trovare il tesoro. Innanzitutto, dovevano essere in quattro. Anche in questo caso, lo spirito ammonì che avrebbero dovuto affrontare degli spiriti nel castello ma questi erano solo finzione. Avrebbero anche trovato un signore da portare fuori dal castello ma l’uomo, che all’inizio pesava molto poco, guadagnava sempre più peso man mano che si avvicinava all’uscita. E il tutto doveva essere fatto senza assolutamente proferir parola. Una volta lasciato fuori dal maniero il signore, il tesoro poteva
essere preso. I quattro entrarono e in primis videro un serpente gigantesco che tentò di fermarli, ma loro proseguirono. Poi dal pavimento iniziò a sgorgare tanta acqua da arrivare alle loro gole, ma anche in questo caso proseguirono. A quel punto dalle pareti fuoriuscì tanto fuoco da bruciarli in un attimo ma anche questo era un trucco. Arrivarono finalmente al signore che, in effetti pesava pochissimo. Lo caricarono e s’incamminarono verso l’uscita ma più vi si avvicinavano, più il signore pesava e il suo peso diventava insorreggibile, tanto che uno dei quattro, non potendone più, esclamò “Chi t’è natu! Quantupisi!”. Immediatamente si scatenarono su di loro acqua, fuoco e saette, scagliandoli fuori e il signore si ritrovò all’interno del castello. Tornando ai giorni nostri, non è ben chiaro a quale fantasma l’evento “Castello Incantato” si riferisca, ma sta di fatto che da qualche anno, in una serata d’estate, il castello di Avella diventa un luogo ai confini della realtà dove la fantasia prende il sopravvento. Musiche, statue viventi, soldati medievali, il famoso serpente, una misteriosa dama, fuochi d’artificio... Ma… e il tesoro? Che sia il castello stesso il misterioso tesoro?