iMEAT Giornale settembre-ottobre 2024

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Salsiccia: di carne

Passione

in ogni piatto.

UNICA ED ESCLUSIVA

iMEAT è un punto di riferimento, confronto e aggiornamento professionale per macellerie, gastronomie, ristorazione e industria di lavorazione carni

TECNOLOGIE, ATTREZZATURE, AROMI, INGREDIENTI per lavorazione e conservazione

INTERNAZIONALE VANTAGGI

Partecipare con uno stand ti permette di essere protagonista del futuro nel settore carne e presentarti al mercato italiano ed europeo

ECCELLENZE ALIMENTARI per dettaglio e HoReCa

TECNOLOGIE, ATTREZZATURE, TENDENZE, METODI di cottura grill professionale

Posizione strategica all’interno della Food Valley, costi contenuti, giorni ideali scelti per favorire l’affluenza dei visitatori

Attigui all’area GRILL: • PADIGLIONE ESPOSITIVO per dimostrazioni di cottura grill a fiamma libera • AREA ESTERNA per esporre tendenze di cottura bbq

iMEAT Fiera si avvicina

L’editore Luca Codato

La redazione e lo staff di iMEAT

Ancora pochi mesi e iMEAT Fiera sarà pronta, per voi.

Ogni giorno, fino alla data stabilita – 23 marzo 2025 – quando iMEAT aprirà le porte e accoglierà i suoi visitatori, stiamo lavorando per rendere questa edizione – la nona – memorabile ma soprattutto utile al vostro lavoro quotidiano perché il nostro scopo è essere lo specchio del vostro mondo e costruire insieme un futuro fruttuoso.

Oggi più che mai, in una società costantemente in evoluzione, è importante costruire basi solide e poter programmare il percorso lavorativo dotati degli strumenti adatti e delle conoscenze necessarie. iMEAT vuole essere lo strumento per fornire queste basi e crediamo di esserci riusciti mettendo in contatto, in questi anni, i negozi di macelleria e gastronomia, la ristorazione specializzata, le industrie per la lavorazione delle carni e le aziende medio-piccole artigianali di

Stiamo lavorando per rendere la nona edizione di iMEAT memorabile ma soprattutto utile al vostro lavoro quotidiano perché il nostro scopo è essere lo specchio del vostro mondo e costruire insieme il futuro del settore

eccellenza tra loro e con i fornitori di tutte le merceologie dedicate, sempre in un’ottica business to business. È questo il nostro scopo e il nostro compito.

La formazione professionale è lo strumento per affrontare i cambiamenti e le tendenze di mercato, sempre più repentini e assillanti; l’informazione sulle nuove scoperte tecnologiche e scientifiche uno stimolo e un aiuto per restare al passo con l’evoluzione della società. Vorrei cogliere l’occasione per ribadire i numeri della scorsa edizione di iMEAT: 146 espositori, 9.268 visitatori, 11.500 mq suddivisi in due padiglioni.

I prossimi numeri siamo certi che saranno superiori e non è per vantarsi prima del tempo: l’edizione 2025 sarà stupefacente. Le ragioni sono semplici:

1. Il settore “carne” è assolutamente in fermento e in crescita superati, o quantomeno accantonati, fenomeni di protesta ecologista o animalista che ormai raccolgono sempre meno consensi per l’irrazionalità di alcune affermazioni che la scienza ha ampiamente smascherato;

2. Il perfezionamento di nuove tecnologie applicate al settore dalle aziende produttrici ha generato un’offerta indiscutibilmente interessante per gli operatori che possono, qualora dotati di strumenti adeguati, sviluppare meglio la loro professionalità al servizio del consumatore;

3. La presa di coscienza di tutti gli operatori in merito ai comportamenti etici e ai procesTECNOLOGIE,

si di lavorazione sostenibili, così come l’impiego di metodologie adeguate a rispettare l’ambiente e la sana alimentazione riguarda ormai tutti i professionisti consapevoli, elevando il settore e valorizzando il prodotto: l’unione dei punti 1 e 2 sfociano nel punto 3 e si chiude il cerchio.

Il risultato è un settore “carne” più forte, una professionalità maggiore, una consapevolezza propositiva, un mercato florido e prospettive positive per il futuro.

iMEAT 2025, COME SARÀ?

Molte le novità che accoglieranno i visitatori che dal 23 al 25 marzo 2025, varcheranno i cancelli di ModenaFiere

Innanzitutto abbiamo suddiviso la fiera in 3 settori, allo scopo di facilitare la visita e mettere in evidenza le diverse specializzazioni.

TEC. Sarà il padiglione dedicato alle tecnologie, attrezzature, aromi e ingredienti per la lavorazione, conservazione dei prodotti a base carne

Come è evidente, ormai il lavoro di macellaio non si limita a proporre tagli di carne ma comprende una serie di preparazioni di gastronomia e salumeria che necessitano di supporto tecnologico o ingredientistico di alto valore qualitativo allo scopo di offrire al cliente una scelta interessante e valida.

FOOD. Riservato alle eccellenze alimentari, per il dettaglio e per l’horeca affinché le botteghe siano davvero negozi di specialità in grado di soddisfare ogni genere di clientela: salumi, olio, vini, conserve artigianali, birre o liquori solo per citare i più diffusi. Tutti quei prodotti che in assortimento e in esposizione completano la gamma delle proposte agevolando il cliente e perfezionando l’immagine della bottega.

GRILL iMEAT è l'unica fiera in Italia che unisce la carne a tutte le tecnologie, attrezzature, tendenze, metodi di cottura grill professionale, dall'elettrico al fuoco Un padiglione dedicato perché l’apertura di steak house, ristomacellerie, food truck sono una sezione in costante crescita, apprezzata e richiesta dal pubblico carnivoro (ma non solo) e rappresentano uno sbocco fondamentale per un settore dove la carne di qualità è il punto di partenza.

ECCELLENZEALIMENTARI per dettaglio e HoReCa

iMEAT è l'unica fiera in Italia che unisce la CARNE a tutte le tecnologie, attrezzature, tendenze e metodi di COTTURA GRILL PROFESSIONALE, dall'elettrico al fuoco

Infine – PASSIONE FUOCO – novità assoluta 2025. Saranno allestiti, attigui all’area Grill, un padiglione esterno dove si svolgeranno dimostrazioni di cottura grill a fiamma libera e un’area esterna destinata a esporre le nuove tendenze di cottura bbq

Il programma di eventi sarà, come sempre, ricco di approfondimenti, riflessioni e intrattenimento. Vi sveleremo i dettagli strada facendo ma abbiamo in serbo delle sorprese che non mancheranno di stupirvi.

Show cooking, dimostrazioni di impiego dei diversi prodotti esposti, corsi di approfondimento tecnico e pratico, riflessioni scientifiche o momenti di convivialità riempiranno le giornate lungo un calendario ricco e scadenzato e ognuno potrà costruire la propria visita secondo un percorso personalizzato di cui vi daremo le coordinate utili a tempo debito attraverso il giornale, il sito ecod.it e quello della fiera imeat.it o attraverso i nostri canali social facebook, instagram, linkedin e youtube.

La prossima edizione della Fiera iMEAT sarà uno slancio all’innovazione, siamo certi che non vorrete mancare all’appuntamento.

Stay tuned…a presto!  www.imeat.it

Segreteria organizzativa ECOD Srl Tel. +39 0331518056

PER ESPORRE: office@imeat.it

PER VISITARE: info@imeat.it

INCONTRO TRA CARNE, AROMI, SPEZIE

PORCHETTE d’Italia

UNA, NESSUNA, CENTOMILA

Sotto la definizione di “Porchetta” ricadono diverse specialità regionali e locali, tipiche innanzitutto del Centro-Sud Italia (tra Tuscia e Sabina) che, con il tempo, si sono diffuse anche nelle zone limitrofe, ma anche più a Nord, in Romagna (in particolare nel Ferrarese) e, a partire dal Novecento, anche in Veneto, da Padova a Treviso. A Sud invece la porchetta è arrivata fino in Sicilia.

La paternità della ricetta originale è rivendicata e contesa soprattutto tra Lazio (che la fa risalire addirittura all’epoca etrusca) e Abruzzo, in particolare tra Poggio Bustone, in provincia di Rieti, il Comune romano di Ariccia (dove dal 14 giugno 2011 vanta il riconoscimento di indicazione geografica protetta IGP) e Campi, in provincia di Teramo (dove già gli Statuti comunali del 1575, rinnovati per opera di Margherita d’Austria, contenevano indicazioni sulle modalità di cottura, vendita e consumo della Porchetta).

In Umbria si sostiene che la ricetta sia nata a Norcia, famosa per gli allevamenti suini fin dai tempi dei Romani, mentre nelle Marche la pretesa di primogenitura viene legittimata dalla raffigurazione di questo prodotto (con tanto di legatura) in un disegno di Leonardo da Vinci.

Una specialità condivisa e contesa da diverse Regioni d’Italia, con ricette simili ma mai uguali, alcune caratteristiche immancabili (come la cotenna croccante e la carne morbida e speziata), tecniche di cottura che spaziano dal forno domestico al girarrosto e modalità di servizio che vanno dal panino imbottito all’affettato al piatto. In ogni caso il risultato è delizioso, tanto che il New York Times ha definito la porchetta «uno dei cinque piatti tipici da assaggiare almeno una volta nella vita».

Di fatto il luogo di nascita della porchetta è tutt’oggi sconosciuto, così come la “ricetta originale”, e questo ha consentito l’elaborazione di diverse varianti.

ALL’ORIGINE FU IL SUINO

La tradizione vuole che la porchetta si prepari a partire da un maiale intero (dell’età di un anno, di peso non superiore al quintale e solitamente femmina, da cui il nome della ricetta), che viene svuotato e dissanguato, depilato e lavato, poi eviscerato, disossato, riempito di condimento, e infine richiuso, cucito e/o legato con dello spago come un arrosto, infilzato con un bastone e cotto allo spiedo o in forno a legna per 5-8 ore. Tuttavia in alcune località si preferisce utilizzare suini più giovani (dai 2-4 ai 6-7 mesi) e cuocerli secondo metodi antichi, ovvero nei più moderni forni di acciaio.

Inoltre, sempre più spesso, anziché arrostire l’animale intero, se ne preparano solo due parti adiacenti, quali la sezione centrale della pancetta (un taglio morbido e saporito grazie alla presenza di grasso e tessuto connettivo) e la lonza (un taglio più magro e compatto), con la prima che avvolge direttamente la seconda, rilasciando in cottura i succhi che contribuiranno

a mantenerla morbida e a non farla diventare stopposa. Nell’ultimo secolo si è diffusa anche la variante trevigiana della porchetta, più magra in quanto ottenuta dalla coscia disossata.

Chiara Di Paola

In ogni caso non può mancare la cotenna, che serve a protezione dei tagli sottostanti e permette la formazione dell’irresistibile crosticina bruna e croccante.

SIMILI MA NON UGUALI: FOCUS SUGLI AROMI

Ciò che caratterizza e distingue le diverse versioni della porchetta è l’imbottitura, ovvero il mix di sale, spezie ed erbe aromatiche utilizzato per conferire alla carne un sapore unico.

In Lazio, le celebri porchette di Ariccia (IGP) e Selci (PAT), ma anche quelle di Cecchina e Marino, della Toscana meridionale e della Sabina, si preparano facendo «la porca co un bosco de rosmarino in de la panza», ovvero riempiendo la pancia del maiale con il rosmarino, come scrive Carlo Emilio Gadda in “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana”.

Invece nell’Alto Lazio e nella Tuscia (a Cellere, Soriano nel Cimino, Bagnaia, Vignanello, Vallerano e Sutri) e in Romagna si preferisce il finocchio selvatico. In Umbria, in particolare nel borgo medievale di Grutti, si prepara ancora una versione medievale che si differenzia dalle altre perché per la farcitura sono utilizzate anche le frattaglie del maiale lessate e tagliate a tocchetti, che restituiscono a ogni morso un mix più completo di consistenze e sapori.

La porchetta di Campli (in Abruzzo) si distingue per il sapore più carico, conferito dall’aggiunta di teste d’aglio con tutta la camicia, fegato e milza tagliati a tocchetti, rosmarino o fiori e barba del finocchio, ma anche amarene e mandorle. Mentre nelle Marche, soprattutto nelle zone del Maceratese e dell’Ascolano (dove si allevano suini dalle carni particolarmente tenere e saporite) si prepara la ricetta del Maialino in Porchetta all’Ascolana, in cui l’animale (di 3-4 mesi) viene utilizzato intero, massaggiato con un battuto di aglio, rosmarino, finocchio, pepe e noce moscata, sale grosso e vino bianco, fatto riposare per qualche ora per insaporirsi meglio,

La porchetta di Gianluca

Gianluca Nardi, titolare della Macelleria enoteca da Gianluca a Viterbo, nominato recentemente ambasciatore della carne per la città di Viterbo (premio Doc Italy), prepara così la sua ricetta:

“Utilizzo una porchetta intera, non il “tronchetto” di lonza e pancetta, da suino femmina locale del peso di 100 kg.

Dopo averla condita con sale, pepe, semi di finocchietto essiccati e il fegato del maiale, la cuocio a 200-220°C per massimo 8 ore in forno elettrico (anche se la preparazione sul girarrosto può durare fino a 1 ora per kg di peso).

Il risultato è una porchetta a regola d’arte, croccante fuori e succulenta e profumata dentro, molto diversa da quella che si prepara a soli 100 km di distanza ad Ariccia!”

e poi cotto al girarrosto a fuoco diretto per 3-4 ore, in un forno a legna su cui vengono gettati rami di pino, di leccio e di quercia che affumicano la carne conferendole un profumo unico, secondo il metodo tradizionale che risale ai tempi dei pastori.

Meno conosciuta, la porchetta siciliana, ha ottenuto negli ultimi anni diversi riconoscimenti. Particolarmente apprezzata è quella di suino nero dei Nebrodi, che si ottiene a partire dalla carne disossata, insaporita con erbe e spezie locali (come aglio, pepe nero, pepe rosa, rosmarino, finocchietto selvatico, timo classico o limonato, salvia, ginepro, alloro e persino cannella), poi massaggiata con sale marino siciliano, infornata a bassa temperatura per 8-12 ore per mantenere le carni morbide e succose e infine brasata esternamente.

LE REGOLE DELLA PORCHETTA PERFETTA

La caratteristica principale di una porchetta fatta a regola d’arte è il contrasto tra la crosta croccante, con una cotenna fragrante e friabile ma non troppo spessa né dura, e un’anima compatta e consistente, ma morbida, succulenta e saporita. Per ottenere questo risultato occorre osservare alcune regole:

1. Attenzione alle temperature

La porchetta va infornata in forno già caldo, a temperatura medio-alta (160-170°) per attivare rapidamente la reazione di Maillard, e cotta finché il cuore non raggiunge gli 84-85°C. In questo modo si otterrà il parziale scioglimento del collagene e la sua trasformazione in gelatina, ma anche la conservazione intatta delle fibre della carne, consentendo poi di ottenere senza difficoltà un taglio perfetto. Oltrepassare questa temperatura limite rischia di portare il collagene alla totale conversione in gelatina, causando il collasso della struttura delle fibre e lo sfaldamento della carne al momento del taglio. Lo stesso avviene se prima di servirla non si lascia riposare la porchetta: importante lasciarla raffreddare senza coperture (anche per qualche ora) finché la temperatura interna non scende a 65-60°C.

In alternativa la porchetta può essere cotta a lungo a bassa temperatura (circa 70°C) e poi caramellizzata esternamente grazie alla breve esposizione a una fonte diretta e intensa di calore.

2. Grassa ma non troppo

Sebbene ciò che consente di mantenere il cuore della porchetta umido e morbido sia lo scioglimento del grasso presente nella parte più esterna della porchetta, è consigliabile scegliere una pancetta non troppo grassa nel-

la zona sotto l’epidermide, per non trovarsi, al momento del taglio, con fette bardate da uno strato molliccio e poco gradevole. Tuttavia, se la pancetta presenta uno strato eccessivo di grasso, si può procedere con la foratura della cotenna, per favorirne la fuoriuscita man mano che si scioglie durante la cottura.

3. Sì a un veicolante di calore

Per ottenere una consistenza perfetta ci si può aiutare con l’aggiunta di grassi addizionati (olio bollente o burro chiarificato fuso) da spennellare o versare sulla cotenna durante la cottura per far sì che fungano da veicolante di calore. L’effetto sarà la “frittura” della cotenna che la farà gonfiare rendendola leggera e croccante. In alternativa si può ottenere lo stesso risultato aumentando drasticamente la temperatura del forno fino ai 250 °C nell’ultima parte della cottura. Viceversa, se a un certo punto la cotenna dovesse scurirsi troppo, la si può avvolgere tra due strati di carta argentata per evitare che cristallizzi creando uno strato spesso e duro. Un consiglio in più è quello di posizionare sotto la porchetta una leccarda di dimensioni adatte a raccogliere il grasso, per poterlo riutilizzare ma anche evitare di sporcare eccessivamente il forno.

4. Parola d’ordine: uniformità

Cuocere la porchetta al girarrosto, facendola ruotare su uno spiedo, è la tecnica migliore per ottenere una consistenza uniforme della cotenna e della carne, sfruttando al meglio l’irraggiamento proveniente dalla fonte diretta di calore. Meglio ancora sarebbe utilizzare dispositivi BBQ (con o senza girarrosto) provvisti di coperchio che consentano di creare un setup di calore indiretto e di cuocere la porchetta posizionandola lontano dal fuoco, facendola ruotare (meccanicamente o manualmente) in modo che riceva la stessa intensità di calore in ogni sua parte per ottenere una cottura uniforme. Inoltre alcuni modelli di barbecue sono progettati per far sì che i grassi anziché colare in un contenitore sottostante, ricondiscano la carne durante la rotazione.

5. L’affumicatura

L’uso del barbecue con coperchio consente anche di conferire alla porchetta una particolare aromatizzazione, sfruttando l’effetto affumica-

tura dato dall’aggiunta di legni profumati per alimentare la fonte di calore su cui cuoce la carne. Per quella di maiale (dolce e grassa) quelli da prediligere sono il ciliegio, il melo, il pecan e l’hickory.

L’importante è che i legni aromatici siano aggiunti al combustibile nella prima fase della cottura, quando le proteine della carne sono ancora crude e quindi più propense ad assorbire gli aromi volatili presenti nella camera di cottura.

6. Il riposo

Per rendere il gusto della porchetta ancora più intenso, il consiglio dopo la cottura è di lasciare che la carne raggiunga la temperatura di 50°C, poi avvolgerla nella pellicola o nella carta alluminio e lasciarla riposare per una notte in frigorifero.

MODALITÀ E TEMPERATURA

DI SERVIZIO

La porchetta deve tassativamente essere tagliata da fredda, a fette sottili e omogenee, aiutandosi con un coltello a seghetta. Ma per quanto riguarda le modalità di presentarla esistono diverse filosofie.

Se nell’immaginario comune il suo consumo

è associato ai panini imbottiti serviti da venditori ambulanti soprattutto in occasione di feste paesane, fiere, mercati e sagre, esistono anche luoghi (come le “fraschette”, locali caratteristici dei Castelli Romani) dove la porchetta viene servita anche al piatto, accompagnata da patate arrosto, erbette saltate o insalata mista e vino locale. In Sicilia si trova sia come street food condita con olio e limone, sia all’interno di un antipasto siciliano in aggiunta ad altri salumi tipici.

Anche a proposito della temperatura di servizio ci sono diverse scuole di pensiero.

Se c’è chi vieta assolutamente di riscaldarla, prediligendo piuttosto la temperatura ambiente per non rischiare di seccare la carne, altri sottolineano come la porchetta sprigioni al massimo gli aromi delle spezie da tiepida, e quindi consigliano di affettarla da fredda e poi riscaldarla dolcemente a bagnomaria o in forno coperta con dell’alluminio.

NON SOLO SUINO

Il metodo di preparazione della porchetta non si addice solo al maiale ma può essere applicata anche ad altre carni (agnello, coniglio, cinghiale), che così vengono preparate in diverse parti d’Italia:

1. Il coniglio “in porchetta” (o “coniglio porchettato”) tipico delle Marche e dell’entroterra romagnolo si ottiene a partire dal coniglio intero, aperto, eviscerato (tenendo da parte il fegato) e disossato, poi farcito per tutta la lunghezza con salsiccia, un misto aromatico di sale, pepe in grani, aglio, finocchietto selvatico (ed eventualmente bacche di ginepro), battuto di strutto e il fegato tagliato a tocchetti. Una volta cucito (o legato) e cosparso con altro lardo (o eventualmente lardellato con della pancetta), la cottura può avvenire in casseruola o al forno

©Alessio
Damato

(a 200°C per mezz’ora e a 150° per la successiva ora e mezza), bagnandolo con del vino e/o del brodo di tanto in tanto. Alla fine la carne dovrà risultare tenera dentro e croccante e ben caramellata fuori.

2. L’agnello porchettato, preparato soprattutto in Abruzzo (in particolare in occasione della Pasqua), si ottiene con il coscio dell’animale, disossato e aperto a libro, insaporito con sale, pepe e rosmarino (talvolta anche salvia, alloro e semi di finocchio), poi arrotolato su se stesso e legato con dello spago da cucina. A questo punto la carne va rosolata in una casseruola con olio, uno spicchio d’aglio e rosmarino, fino a renderla dorata l’esterno, poi sfumata con vino bianco e cotta per 1 ora e mezza aggiungendo del liquido al bisogno. L’ultima fase della preparazione avviene in forno, dove la carne resta per 25-30 minuti a 180°C assumendo una bella caramellatura esterna.

La cottura può anche avvenire interamente al forno, ma in questo caso si consiglia di avvolgere il coscio prima con della carta forno e poi con l’alluminio, infornarlo per un’ora a 220-240°C (in una teglia con un fondo di vino bianco) e poi scoprirlo e proseguire la cottura per altri 40 minuti a 200°C.

In ogni caso, quando viene presentata in tavola, la carne dovrà essere tenera e umida all’interno, con una crosticina brunita e croccante all’esterno.

3. Il vitello in porchetta viene realizzato a partire dal petto o dalla pancia (sgrassata) dell’animale, aperti e farciti con un battuto di finocchio selvatico, rosmarino, aglio, sale e pepe (talvolta anche timo, salvia e santoreggia). Il pezzo di carne viene poi arrotolato, legato, cosparso esternamente con strutto, olio e lo stesso battuto usato per la farcitura, e cotto al forno a 180200°C per tempo che varia in base alle dimensioni, irrorandolo di tanto in tanto con del vino bianco, fino a quando la temperatura al cuore

non avrà raggiunto gli 78°C.

Il risultato sarà un arrosto succulento, ottimo da gustare sia caldo (irrorato con la salsa di cottura e un filo di olio a crudo) sia freddo (con una decorazione di glassa di aceto balsamico per un bel contrasto agrodolce), con un contorno di verdure di stagione.

4. Il tacchino porchettato, si può preparare a partire dal coscio o dalla fesa. Nel primo caso va fatta un’ulteriore distinzione tra chi utilizza il coscio disossato, privato della pelle, farcito con sale, pepe, pancetta, salsiccia e finocchietto, arrotolato e legato come un arrosto, e chi lo preferisce intero, con il condimento inserito direttamente nella polpa (incisa con piccoli fori) e massaggiato sotto la pelle.

In entrambi i casi la cottura avviene in forno a 150-160°C per un tempo variabile in base al peso del coscio (in media un’ora per ogni chilo), spennellandone di tanto in tanto la superficie con il liquido di cottura. A metà cottura la carne va girata e, a una decina di minuti prima di sfornare, la temperatura va alzata a 180°C per favorire la formazione della crosta croccante (soprattutto se si è mantenuta la pelle).

La fesa invece si prepara aprendo a libro e battendo la carne, insaporendola con un mix di sale grosso, semi di finocchio, aglio, pepe, alloro e rosmarino pestati al mortaio, cui si aggiungono scorza grattugiata di limone e fettine di

pancetta tritata. Una volta arrotolata e legata con spago da cucina, la carne va cotta in forno a 200°C per i primi 20 minuti (girandola dopo i primi 10 minuti) e poi per un’altra ora a 180°C, bagnandola ogni tanto con un mestolino di brodo caldo.

Indipendentemente dal taglio utilizzato, una volta cotta la porchetta di tacchino dovrà assomigliare a quella originale di maiale e andrà lasciata raffreddare prima di essere servita a fette, irrorata con il suo fondo di cottura (eventualmente addensato con un po’ di farina o fecola).

5. La porchetta di cinghiale è simile a quella di maiale ma ha un sapore più intenso, dovuto proprio alla selvaticità della carne. Il gusto va ingentilito con una marinatura di 24 ore in vino e aceto (in proporzione 10:1), aglio e cipolla, sale e pepe, alloro e olio, e poi con una spennellatura di marmellata di agrumi e un condimento con paprika, curry e altre spezie prima della cottura, che deve avvenire in forno a 250°C per circa un’ora e un quarto, più un riposo di 30 minuti. Importante è coprire fin dall’inizio la carne con carta forno e alluminio, per rendere la cottura meno aggressiva e più dolce. La carne va tagliata da fredda, ma poi deve essere riscaldata per finire la cottura. Solo a questo punto può essere servita, al piatto con un contorno o nei panini con cipolla agrodolce e salsa barbecue. 

1. Gazzetta Ufficiale Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali; Proposta di riconoscimento della indicazione geografica protetta «Porchetta di Ariccia» (GU Serie Generale n.223 del 23-09-2008)

2. Disciplinare Porchetta di Ariccia: REGOLAMENTO (CE) N. 510/2006 DEL CONSIGLIO «PORCHETTA DI ARICCIA»

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX%3A52010XC0923%2802%29

3. Qualigeo, banca dati europea dei prodotti DOP IGP STG https://www.qualigeo.eu/prodotto-qualigeo/porchetta-di-ariccia-igp/

4. Azienda Fa Lu Cioli 1917 srl, socio fondatore del consorzio Produttori di porchetta di Ariccia IGP https://falucioli.com/consorzio-igp/

5. Regione Marche https://www.regione.marche.it/Entra-in-Regione/Marchio-QM/Prodotti-QM/Carni/ Porchetta-Marchigiana

6. Atlante dei prodotti tradizionali d’Abruzzo, p. 66 https://www.regione.abruzzo.it/system/files/agricoltura/pord_agroalimentari/Atlante_prodotti_tipici.pdf

La AVLIE Ñ A IB É RICA NEGRA meglio della Rubia Gallega

Titolo un pochino intrigante, ma in parte verissimo almeno per una buona fetta di clienti

La Rubia Gallega è una razza bovina tipica della zona della Galizia, una regione situata nel nord-ovest della Spagna. Le sue origini risalgono all’epoca medievale, quando bovini autoctoni vennero incrociati con razze provenienti da altre regioni europee; la Rubia Gallega, ad oggi "razza" riconosciuta, era un incrocio prodotto da Blonde d'Aquitaine, Charolaise e Frisona (originale non Holstein) e per l'esattezza una particolare Frisona, quella Nord Europea.

L’attività di selezione e miglioramento genetico è affidata dal 1968 all’Associazione Nazionale degli Allevatori di Bovini di Razza Bionda Galiziana Selezionata (ACRUGA), che è responsabile della gestione del Libro Genealogico in tutta la Spagna. Una prima grande distinzione va

fatta per la dicitura "vacca vecchia Galiziana" che spesso i bravi venditori spacciano per Rubia Gallega commettendo almeno una inesattezza in quanto ci si riferisce a circa venti varietà diverse di bovini parlando di "vacca vecchia galiziana", certo allevate nel rispetto dell’ambiente e del benessere degli animali proprio nella zona di interesse, tra queste spiccano anche la Rubia Gallega, ma anche la Cachena, la Caldelá, la Frieiresa, la Limiá e la Vianesa. Peccato che di queste ultime non si abbia quasi mai traccia e tutto viene "spacciato" più o meno “sottinteso” per l’unicum vacca vecchia galiziana, ergo Rubia...poi trovi quello come me che inizia a rompere per sapere esattamente cosa sia l'animale che sta trattando e nascono i dissapori. Questa razza ha delle caratteristiche uniche a partire da quelle

organolettiche della sua carne particolarmente ricca di Omega 3 e acidi grassi, ma non solo, ha uno strato adiposo superficiale particolarmente consistente e molto morbido, oltre a una marezzatura davvero fine e molto ben infiltrata: facile raggiungere il punteggio di 4 o 5+.

Ebbene, proprio queste caratteristiche che la rendono buona, salutare e gustosa in frollatura le donano anche un sapore molto forte e un retrogusto altrettanto forte con sfumature spesso acide. E qui casca l'asino, come si suol dire. Mentre consumata entro i primi 60/80 giorni di frollatura non si hanno particolari problemi, superati i 90 giorni invece gusto e aroma diventano sempre più impegnativi tanto che molti clienti non particolarmente abituati a questi sapori sono riusciti ad apprezzarla solo parzialmente;

insomma diventa un prodotto per specialisti delle carni a lunga frollatura, e questo può rivelarsi in parte un problema.

Nel mondo delle steakhouse non tutti i clienti amano le carni super frollate e le loro sfumature e pur apprezzando consistenza e tenacità del sapore non gradiscono, comprensibilmente, aromi particolarmente pungenti e invasivi. Ricordo e ribadisco che le carni frollate spesso hanno sapori e aromi che spaziano dal pungente al particolare, per arrivare sino ad aromi in alcuni casi quasi inaccettabili, e non è un segreto.

Ed ecco allora apparire una razza particolare, la Avlieña Ibérica Negra, che ho scoperto quasi per caso e che ad oggi utilizzo costantemente.

Anzitutto è una razza molto longeva e che ancora ad oggi è soggetta a transumanza, godendo sia

Guido Dall’Anese - Pit-Master Chef

degli alpeggi che della pianura, e quindi con una varietà di alimentazione sconosciuta ad altre pur rimanendo nell'ambito del grass fed.

Andiamo oltre, non voglio annoiare con dettagli tecnici eccessivamente lunghi e complicati, parliamo della carne.

Questa si presta al pari della Rubia a frollature particolarmente lunghe, il grasso che la compone ha un delicatissimo colore bianco a differenza del giallo della Rubia, la sua consistenza è morbidissima e lo spessore ragguardevole. La marezzatura anche in questo caso è di altissimo livello con infiltrazioni molto diffuse, ma con uno spessore maggiore rispetto alla Rubia: in ogni caso anch’essa gode di un punteggio da 3 a 4+.

La vera differenza però risiede nella qualità della carne dove già con frollature medie si ottengono morbidezze incredibili e inconsuete, oltre ad avere uno sviluppo di gusto e aroma del tutto particolare.

La grande differenza la sentiamo però dopo gli 80 giorni di frollatura dove la Rubia tende a diventare sempre più "forte" come aromi e sapori, la Avlieña invece rimane quasi inalterata sviluppando una quantità di muffe nobili decisa-

mente superiori ed assumendo sfumature persino dolci con un retrogusto spesso ascrivibile alla fienagione di prima alimentazione.

Insomma una vera prelibatezza che rimane immune da sapori e aromi troppo invasivi e pungenti.

Da questa considerazione scaturisce il titolo che la Avlieña Ibérica Negra è meglio della Rubia Gallega, nel senso che è apprezzata da un numero maggiore di persone, perfino dal mondo femminile di solito poco amante degli aromi legati alle carni a lunga frollatura.

Come ultima nota aggiungo che ha un costo inferiore, almeno per il momento.

Insomma, e concludendo, se nel nostro frollatore vi deve essere la Rubia Gallega di certo non può mancare la Avlieña Ibérica Negra.

Polli Vallugana Buoni, sani, Cosaro.

I nostri polli “Vallugana” provengono prevalentemente dalla Pedemontana Veneta. Crescono a terra, con luce naturale, liberi di raspare e senza l’uso di antibiotici. Sono alimentati con mangimi esclusivamente vegetali, senza proteine, né grassi di origine animale.

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DA ESSERE VIVENTE A PRODOTTO DA BANCO

Etica, RISPETTO e tecnica professionale

Servizio a cura della redazione

Hanno collaborato: Giuseppe Pastori e Francesca Tagliabue

Argomento complesso in generale, quello della macellazione degli animali da carne, e soggetto a normative severe che la Comunità Europea impone agli operatori per tutelarne la corretta esecuzione. Il procedimento di abbattimento e macellazione infatti deve tener conto di numerosi fattori:

• l’animale è un essere vivente in grado di percepire dolore e paura e come tale deve essere rispettato

• scopo principale è evitare (per quanto possibile) sofferenza e stress ante mortem

• è fondamentale agire in modo da contenere la diffusione di batteri patogeni dannosi per l’uomo/consumatore nel corso del processo

• lo stato di benessere animale, o la mancanza di esso, influisce notevolmente sulle masse muscolari condizionando e determinando la qualità delle carni: odori forti, perdita di acqua, durezza della carne, deprezzamento commerciale.

Allo scopo di favorire pratiche eticamente corrette, il flusso degli animali vivi ha subito negli ultimi anni una riduzione in favore del trasporto delle carni, anche in considerazione del fatto che trasportare l’animale vivo significa anche trasportare quelle parti di esso che non saranno edibili, con evidente spreco di risorse. Per questo l’ubicazione dei macelli oggi predilige le zone di allevamento o comunque di vocazione zootecnica. Inoltre, vanno diminuendo gli impianti di macellazione di piccola dimen-

Il punto di partenza di ogni azione legata alla macellazione animale dovrebbe senza alcun dubbio essere – nella società civile alla quale dichiariamo di appartenere – il benessere dell’animale. Le ragioni sono molteplici e non si limitano a motivazioni di origine etica ma abbracciano diversi campi tra cui, ultimo, ma non il meno importante, la qualità del prodotto finale offerto al consumatore

sione a favore di impianti più estesi.

La normativa europea in questo campo analizza in maniera approfondita il tema e pone regole molto precise nel rispetto dell’animale, dell’operatore e del consumatore.

Punti salienti del processo, secondo la normativa europea, sono:

• il trasporto non può durare più di 6 ore senza risposo e abbeveraggio con un massimo di

12 ore se avviene senza alimentazione; minore tempo di trasporto e una sosta prima della macellazione sono requisiti per una migliore qualità della carne;

• i locali dell’impianto di macellazione devono essere adeguatamente suddivisi tra zone pulite e sporche allo scopo di contenere eventuali contaminazioni, secondo un percorso strutturato in una linea di camminamento senza ritorno;

• le fasi dell’abbattimento devono essere controllate in presenza di funzionari AASSLL territoriali: la presenza dei veterinari assicura il rispetto delle norme.

TECNICHE DI ABBATTIMENTO

Per legge, le fasi di abbattimento dell’animale prevedono in sintesi, dopo la visita veterinaria che garantisce le condizioni sanitarie e igieniche:

• stordimento, che consiste nel togliere coscienza all’animale; è la fase più importante per il benessere dell’animale e viene praticato, per bovini ed equini, con pistola a proiettile captivo e per ovini e avicoli tramite passaggio di corrente elettrica

• iugulazione e dissanguamento, praticati incidendo una delle carotidi, e avviene nel minor tempo possibile dopo lo stordimento

• scuoiatura o asportazione della pelle tramite appositi strumenti

• eviscerazione e sezionatura delle carcasse, procedimenti che avvengono in breve tempo dall’abbattimento per evitare fermentazioni intestinali e odori sgradevoli o problemi igienico-sanitari a cui segue la registrazione della struttura di macellazione per poter procedere alla movimentazione.

Secondo la normativa europea l’intero processo deve essere completato in un arco di tempo non superiore a 45 minuti. L’ultima fase prevede il lavaggio delle carcasse e il raffreddamento e si conclude con l’ispezione degli ispettori veterinari.

Queste, in breve, le tecniche e le normative di processo indicate dalla Comunità Europea. A questi metodi occorre affiancare metodi di macellazione che si riferiscono a usi e religioni diverse da quella Cattolica e che riguardano un’ampia fascia della popolazione, dunque del mercato di riferimento. Sono le certificazioni Halal e Kosher per i cittadini di religione rispettivamente mussulmana ed ebraica. La differenza fondamentale consiste nel fatto che le macellazioni Halal e Kosher devono avvenire (salvo deroghe) per dissanguamento senza stordimento preventivo, a condizione (secondo il DM 11 giugno 1980) che l’animale sia immobilizzato.

(Bibliografia: Il Manuale delle carni – Fabio Ghetti – Edagricole, 2021)

La filosofia di Temple Grandin

Si deve in gran parte all’azione della studiosa americana Temple Grandin la creazione di metodi di macellazione in grado di garantire il minimo stress all’animale e una pratica orientata a limitarne il dolore. I mattatoi moderni che si ispirano alla filosofia di Grandin, per esempio, vengono progettati in modo da definire percorsi arcuati per far credere all’animale di poter tornare al punto di partenza, limitandone lo stress. Ma non è il solo accorgimento, la storia è nota tanto che nel film apparso sulla tv americana nel 2010 l’immagine e l’idea di questa donna autistica che ha rivoluzionato le pratiche per l’allevamento degli animali ha riscosso grande interesse.

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UN PROBLEMA SU TUTTA LA FILIERA

L’opinione di François Tomei,

Direttore Generale di Assocarni

Il tema principale è legato alla carenza di personale. François Tomei, Direttore Generale di Assocarni lo afferma con molta consapevolezza: “Da un lato esiste la necessità di formare le persone al mestiere, stiamo lavorando in questa direzione, dall’altro ci rendiamo conto che esiste una concreta difficoltà a trovare persone disponibili a lavorare nella filiera zootecnica. Non è un problema che riguarda solo l’industria della macellazione ma l’intera filiera. Negli ultimi anni è mancato il ricambio generazionale e oggi ci troviamo nella necessità di rendere appetibile questo mestiere, soprattutto nel segmento che appartiene al disossatore, ovvero chi lavora e sa lavorare la carne. Per questo siamo concentrati, in collaborazione coi sindacati e i rappresentanti dei lavoratori, per strutturarci e far sì che da parte dei giovani nasca un interesse per il mestiere. Dobbiamo riconoscere, però, che la difficoltà esiste e la mancanza di ricambio generaziona-

le riguarda tutti i settori a partire dall’agricoltura e abbraccia ogni professionalità specializzata”.

Tomei tiene a specificare che la criticità non è legata al mondo carne in particolare, non si tratta di rifiuto del mestiere di macellaio nello specifico: è un tema che riguarda tutta l’industria all’interno della quale è sempre più difficile trovare persone disposte a formarsi e specializzarsi. “Sono cambiate le generazioni – afferma François Tomei – dobbiamo prenderne atto e lavorare per ringiovanire la filiera attraverso la costruzione di percorsi di formazione privatistici studiati appositamente in collaborazione con le imprese. Questo perché coloro che possiedono un titolo di maturità non sono disponibili a intraprendere questo mestiere: il nostro bacino di utenza deve essere quella fascia di popolazione che, priva di titolo di studio, vuole orientarsi verso un lavoro manuale. Per loro, stiamo lavorando insieme ai

sindacati, anche nell’ambito del contratto collettivo, ma non è la retribuzione il problema perché storicamente queste sono professionalità ben remunerate e il motivo è evidente. L’operatore di questo segmento, infatti, deve svolgere un lavoro accurato che, se viene fatto male, può costituire un danno per l’impresa la quale, evidentemente, ha interesse a formare una persona competente. Paradossalmente, anche cuocere in una steakhouse è un mestiere delicato: se il cuoco sbaglia la carne è rovinata e il danno economico importante”.

La strada, dunque, può essere la costruzione di academy di natura privatistica con percorsi di formazione adatti, secondo il Direttore Tomei, che conclude: “C’è tanto lavoro da fare, la società è cambiata, in tanti ambiti si risente della mancanza di personale, ma siamo impegnati a risolvere il problema e rendere questo mestiere nuovamente attraente. Riconosco che sarà difficile, ma ci riusciremo”.

Marina Caccialanza

Un mestiere antico che rischia di scomparire per tanti motivi: la crisi generale che coinvolge tutti i lavori manuali e artigianali, i cambiamenti sociali che condizionano usi e costumi e il modo di pensare della gente, la complessità di azioni che richiedono esperienza e rispetto delle normative. Ascoltiamo il racconto di chi pratica la macellazione e lo fa con etica e professionalità. Un mestiere per pochi, certo, ma che rivela aspetti di interesse comune da non ignorare.

Chi vuol essere macellaio?

“Pratichiamo la macellazione dai primi anni ’80 quando mio padre costruì questa struttura allestendo locali appositi e attrezzati”. Andrea Bertagnolli, macellaio per tradizione famigliare a Borgo d’Anaunia – Tret, in provincia di Trento è uno dei pochi professionisti autorizzati che ancora oggi effettuano la macellazione bovina e lo fa personalmente coadiuvato da un collaboratore.

La struttura è composta da un camminamento esterno, una sala di macellazione attrezzata con moderne apparecchiature secondo le indicazioni normative, una piccola sala separatamente allestita per la macellazione halal, strutture di conferimento rifiuti e sala di raffreddamento.

“Il percorso è studiato in modo che l’animale non debba mai tornare indietro – spiega Andrea – in pratica avviene in questo modo: compro le bestie da allevatori della zona, che forniscono una documentazione dettagliata sulla vita e sulle condizioni sanitarie dell’animale

• le alloggio 2 o 3 giorni nella mia stalla adiacente la struttura affinché possano riposare

• il giorno stabilito per il processo di macellazione, se l’animale è docile viene accompagnato camminando verso la struttura, se è più selvatico e meno docile viene portato a destinazione con un carrello è introdotto nell’area esterna di ingresso, recintata e coperta, dotata di abbeveratoio, dove viene sottoposto a visita veterinaria ante mortem: solo dopo che il veterinario

incaricato certifica la sua salute si può procedere

• a questo punto entra nel corridoio di passaggio e da lì nella gabbia dove viene immediatamente stordito con la pistola a proiettile captivo.

Tutto questo avviene in pochi minuti, l’animale non vede la sala di macello e non ha motivo di spaventarsi: l’ambiente è come una stalla, vede solo l’operatore. Una volta stordito, io e il veterinario controlliamo che l’occhio dell’animale non riveli coscienza e, una volta sicuri che non possa sentire dolore, procedo a sollevarlo e immobilizzarlo con l’apposita catena: l’uccisione avviene rapidamente e in modo che il sangue defluisca nel canale di scarico sotterraneo dove

viene stoccato in container e conferito all’apposito inceneritore, come tutti i materiali di scarto”. Tutto secondo un processo preciso, studiato e attuato con efficienza, dunque. L’animale viene sgozzato e dissanguato, spellato ed eviscerato, fino a ottenere le mezzene pronte per la lavorazione e raffreddate in cella per almeno 4-5 ore. Dopo il raffreddamento si procede alla frollatura in cella apposita per non meno di 30 giorni in base alla copertura di grasso delle carcasse. Non più di mezz’ora dall’arrivo dell’animale, assicura Bertagnolli, e sotto il vigile controllo delle autorità veterinarie che al termine del processo eseguono la visita post mortem e certificano l’adempimento corretto della procedura nonché le condizioni sanitarie e igieniche di quello

Marina Caccialanza

che, ormai, è un prodotto alimentare e come tale deve essere igienicamente sicuro a tutela del consumatore.

Nel mattatoio di Tret si effettua anche la macellazione halal per soddisfare le richieste della comunità della zona. Spiega Andrea: “Lo facciamo per un gruppo di famiglie della zona e cerchiamo di accontentare le loro esigenze come meglio possiamo. Per rispettare il benessere animale e al contempo le regole dettate dalla religione islamica, dal momento che la macellazione rituale non prevede lo stordimento, abbiamo ottenuto in deroga dall'Imam della comunità il permesso di procedere a una sedazione parziale. In pratica, all’animale, vigile, viene praticata l’elettronarcosi che non perfora il cervello come il proiettile captivo ma è sufficiente per dare quell’attimo di stordimento che preserva dalla paura e dal dolore. Una via di mezzo che soddisfa le normative italiane ed europee e al tempo stesso non offende la credenza religiosa. Inoltre, tutto questo avviene in uno stanzino separato dotato di una finestrella, dove l’animale può essere rivolto a nord-est col capo verso La Mecca e dove non vede la stanza di macellazione e, quindi, non ha motivo di spaventarsi”.

Ogni istante, ogni dettaglio, ogni azione è dunque studiata ed eseguita con estrema professionalità e rispetto non solo delle norme legislative ma anche del comportamento etico: un lavoro duro, forse più di altri, perché coinvolge prepotentemente la sfera emotiva e deve essere eseguito, più di altri, con umanità e coscienza.

CONTROLLO DI FILIERA

Alla domanda “perché lo fai?” Andrea Bertagnolli risponde con molta naturalezza: “Per abitudine, certo, perché sono nato in macelleria e per me è un’azione naturale, è il mio mestiere. Ma soprattutto perché mi permette di avere il controllo completo della filiera. L’80% degli

animali che macello riforniscono la mia attività commerciale – una rete di distribuzione ai ristoranti della zona e due punti vendita al pubblico – e questo è una garanzia di qualità delle carni che fornisco ai miei clienti. Vedo l’animale vivo, conosco bene gli allevatori; so cosa mangia, come viene cresciuto, conosco tutta la sua storia. So come viene macellato, senza stress che peggiora le condizioni muscolari, e non è un dettaglio. Benessere animale vuol dire anche qualità migliore della carne e io so cosa vendo ai miei clienti, sono sicuro del suo valore e ne posso dare garanzia. La mia clientela lo sa, non solo abbiamo tutte le certificazioni necessarie, possiamo raccontare, a ragion veduta, la storia di ogni pezzo di carne. Credo sia un valore aggiunto al prodotto finale”.

Impegnativo? Certo, e complesso. “Spesso siamo sottoposti a controlli a campione da parte delle autorità veterinarie – spiega Andrea – che almeno una volta al mese scelgono un capo a caso per effettuare delle verifiche. Malgrado l’autocertificazione dell’allevatore, gli ispettori possono fare prelievi e controlli, a sorpresa. In questi casi l’animale viene bloccato e per almeno 4-5 giorni non può essere macellato fino ai risultati delle analisi. Tutto ciò comporta un lavoro impegnativo ma è anche garanzia di serietà e per me va bene”.

Cosa sarà domani, è un’incognita, perché è sempre più difficile trovare operatori disposti a provvedere a questo tipo di lavoro. “Anni fa, quando ero più giovane – racconta Andrea Bertagnolli – c’erano sempre persone che venivano a chiedere lavoro, anche senza compenso pur di imparare; oggi, non c’è più nessuno, nemmeno ad offrire ottime condizioni, credo che saremo gli ultimi”. Resteranno solo gli impianti industriali? Che ne sarà dell’attenzione al benessere? Della qualità? Che ne sarà della dimensione umana di questo mestiere?

Che valore hanno gli scarti della macellazione?

Simone Fracassi afferma che dal macellatore dipendono anche altre filiere di artigianalità di livello specificatamente italiane, come la pelletteria, perché dai mattatoi la pelle degli animali va a conciare per fare cuoio, attività che però si sta anch’essa perdendo, come conferma Andrea Bertagnolli: “I materiali di scarto della macellazione vanno tutti conferiti all’inceneritore: sangue, interiora, ossa, pelle. Un tempo la pelle veniva ritirata dalle concerie, veniva pulita e riutilizzata e ci si pagavano le spese: oggi bisogna pagare per farla portare via perché anche l’industria del pellame si rivolge ad altri materiali per la produzione”.

MACELLAZIONE E MESTIERE DI ARTIGIANO

Criticità e incertezza per il futuro

LO CONFERMA SIMONE FRACASSI - ANTICA MACELLERIA FRACASSI

Abbiamo chiesto a Simone Fracassi

dell’Antica Macelleria Fracassi, macellaio e norcino toscano, la sua opinione sulle problematiche della macellazione e della filiera della carne italiana.

«Bisogna avere la visione d’insieme, per rendersene conto. Oggi i nostri figli studiano, sperando con una laurea in mano di poter fare il loro percorso, il mondo va avanti. C’è però un problema: senza la produzione agraria e di allevamento non si riuscirà più a campare – se non si produce nei campi, se quello che viene prodotto nei campi non si riesce a trasportare, a lavorare e quant’altro, come si arriva in fondo a questa filiera, che si può addirittura interrompere?» spiega Fracassi. «Tra i vari aspetti della macelleria tradizionale c’è quello della selezione, il rifornirsi da allevatori piccoli, piccolissimi, dei quali si conoscono la serietà e l’impegno. Questi però sempre più spesso non hanno mezzi e strutture vicino a casa – man mano

che il tempo passa, i mattatoi (cioè dove si macellano i capi) si riducono; in questo modo le distanze tra allevamento e mattatoio si allungano, con ricadute anche importanti sulla filiera della carne. La professione del macellatore, di chi uccide l’animale e lo prepara alla macelleria, sta non dico scomparendo ma senz’altro esibendo un consistente e significativo calo numerico».

Secondo lei perché e con che conseguenze? «Negli anni 90 fino ai primi del 2000, l’arrivo in Italia dai paesi dell’Est di professionisti che sapevano lavorare l’animale ha rallentato questo calo di manodopera; oggi anche loro hanno figli e nipoti – seconde o terze generazioni –che si sono integrati nel tessuto sociale e che, naturalmente, si comportano come i nostri figli, studiano, cercano di migliorare il proprio futuro economico. Per fare il macellatore ci vuole “fegato”, tanta passione e dedizione, orari pesanti e stomaco resistente. Fare il macellatore

non è una professione da Tik Tok, un lavoro che dà visibilità e raccoglie consensi tra gli amici. È un lavoro profondamente artigiano, che per me invece ha grande valore: saper macellare bene un animale vuol dire onorare anche chi per due anni ha cresciuto quell’animale, l’allevatore che nutre e alleva bene i suoi capi. Con le lunghe distanze, poi, si corrono altri rischi: basta che il trasportatore dall’allevamento al mattatoio trasporti in modo poco attento, consegnando al mattatoio un animale stressato, oppure che il macellatore tiri via, causando altro stress all’animale, o non lo dissangui correttamente, ed ecco che per il macellaio tutto si complica perché la carne ha perso qualità e salubrità. Questo lavoro richiede una ferma professionalità dell’artigiano, che si parli di allevatore, trasportatore, macellatore, frollatore, tagliatore, cuoco. Se uno-due di queste professionalità della filiera della carne viene a mancare, ne fa le spese il consumatore finale».

Francesca Tagliabue

Che cosa sono la carne Halal e Kosher?

CHE DIFFERENZE CI SONO TRA I DUE RITUALI DI MACELLAZIONE? È AMMISSIBILE LA MACELLAZIONE RITUALE NEL CONTESTO EUROPEO?

La carne Halal e la carne Kosher si riferiscono a tipi di carne che soddisfano rispettivamente specifici requisiti religiosi nell'Islam e nell'Ebraismo. Entrambi i termini fanno riferimento a modalità di approvvigionamento e preparazione degli alimenti che sono conformi alle leggi religiose.

1. CARNE HALAL

La carne Halal è quella che rispetta le regole islamiche. Il termine "Halal" significa "lecito" o "permissibile" in arabo. Le linee guida riguardanti la carne Halal includono:

a) Tipi di animali consentiti: solo alcuni tipi di animali possono essere considerati Halal, come bovini, ovini, pollame e pesci. Animali come maiali e carnivori non sono ammessi.

b) Macellazione rituale: gli animali devono essere macellati da un musulmano adulto che abbia raggiunto la maturità religiosa che pronuncia l’invocazione ad Allah al momento della macellazione. Non è necessario che sia eseguita da un religioso, ma è importante che la persona che esegue il taglio sia ben informata sulle leggi e sulle pratiche Halal. Alcuni impianti o aziende di macellazione possono scegliere di avere una supervisione religiosa per garantire la conformità e la certificazione del prodotto, ma non è una prassi obbligatoria.

L’operazione deve essere eseguita praticando una sola incisione alla gola per garantire un drenaggio del sangue rapido.

c) Salute dell'animale: l'animale deve essere sano e ben trattato prima della macellazione.

d) Certificazione Halal: la certificazione è im-

portante perché solo così i consumatori musulmani possono sapere quali alimenti sono leciti e quali no. Deve essere garantita la purezza di tutta la produzione e quindi va evitata la contaminazione crociata quando si tratta di una procedura che risponde ai criteri Halal. I certificatori Halal sono responsabili di agire per conto del consumatore conducendo audit della struttura per garantire l'assenza di contaminazione incrociata. La certificazione Halal prevede anche un ulteriore livello di controllo di qualità, che può essere facilmente integrato nei programmi come l’Analisi dei Rischi e dei Punti di Controllo Critico (HACCP), i sistemi

di gestione della qualità ISO 9000 e simili e le buone pratiche di produzione (GMP). Gli organismi di controllo fornisco adeguate linee guida in conformità con i dettami della dottrina islamica.

2. CARNE KOSHER

La carne Kosher, il cui termine significa "adeguato" o "idoneo" in ebraico, deve rispettare le leggi alimentari ebraiche (kashrut). Le regole per la carne Kosher comprendono: a) Tipi di animali consentiti: solo animali ruminanti con zoccoli spelaci (come mucche e pecore) sono considerati Kosher, mentre i pe -

Giuseppe L. Pastori – Tecnologo Alimentare

sci devono avere pinne e squame. Il pollame è Kosher, i maiali non lo sono.

b) Macellazione rituale: la macellazione Kosher, chiamata "shechitah", deve essere eseguita da un macellaio qualificato (shochet) e richiede una singola incisione ben effettuata sulla gola per garantire la morte rapida e indolore dell’animale.

Il shochet è tipicamente una persona di alto livello nella comunità ebraica, ma non è sempre necessario che un rabbino sia fisicamente presente durante l'intero processo di macellazione. Tuttavia, il shochet deve seguire rigorosamente le leggi Kosher, e in alcuni casi è supervisionato da un rabbino o da un'autorità rabbinica per garantire che le pratiche siano conformi alle normative religiose.

c) Preparazione: i prodotti lattiero-caseari e quelli carnei non possono essere mescolati o consumati insieme. La carne deve anche essere salata per rimuovere il sangue, in quanto il consumo di sangue è vietato.

d) Certificazione: si ottiene dopo un iter di controllo effettuato da un ente rabbinico specializzato. Tale ente supervisiona la produzione dell'alimento e verifica che sia conforme alle norme alimentari ebraiche. La supervisione si focalizza su due fattori:

- gli ingredienti (tutti gli ingredienti e sotto ingredienti impiegati in un prodotto devono essere Kosher);

- gli impianti di lavorazione (devono essere Kosher e possono essere impiegati solo se debitamente Kosherizzati).

La certificazione Kosher è valida in tutto il mondo, ha una scadenza e va periodicamente rinnovata (e può essere revocata in qualsiasi momento).

3. QUALI SONO LE PRINCIPALI

DIFFERENZE TRA CARNE

HALAL E KOSHER?

Le principali differenze comprendono:

a) Normative religiose: provengono da tradizioni diverse (Islam vs. Ebraismo).

b) Animali consentiti: entrambi richiedono animali specifici, ma ci sono differenze nei dettagli e nelle categorie.

c) Macellazione: in entrambe le tradizioni si richiede una macellazione rituale, ma le modalità e i requisiti aggiuntivi possono differire, come nel caso della salatura della carne nella Kosher.

d) Mix di alimenti: la tradizione Kosher ha regole più rigide riguardo alla separazione di carne e latticini, mentre la tradizione Halal non ha tali restrizioni.

In sintesi, mentre sia la carne Halal che quella Kosher derivano da pratiche religiose rigorose, ognuna ha le proprie norme distintive riguardo agli alimenti permessi e ai metodi di macellazione.

4. MACELLAZIONE RITUALE

VS. LEGISLAZIONE EUROPEA

La macellazione rituale è un argomento con-

troverso in molti paesi europei. La legislazione europea richiede che non si possano abbattere gli animali senza stordimento per evitare sofferenze nel contesto della macellazione rituale. Tuttavia, per le macellazioni Halal e Kosher, lo stordimento preventivo o anestetizzante non è consentito, poiché sarebbe considerata incompatibile con le leggi religiose.

In molti paesi, come la Danimarca e la Svezia, sono state imposte restrizioni severe o divieti totali sulla macellazione senza anestesia, portando a tensioni tra le esigenze religiose e i requisiti legislativi per il benessere animale. Tuttavia, vi sono esenzioni per le pratiche religiose in vari stati membri dell’Unione Europea, sebbene vi sia un continuo dibattito su come bilanciare la libertà religiosa e il benessere degli animali. La Corte di Giustizia europea, pur

al prosciutto realizzate con carne di manzo o tacchino, speziate e affumicate per imitare il sapore del prosciutto tradizionale.

- Bresaola Halal: è un tipo di carne essiccata realizzata con carne di manzo Halal, condita con sale e spezie.

b) Prodotti di Salumeria Kosher

- Salame Kosher : analogamente al salame Halal, il salame Kosher è preparato con carne di manzo o montone, rispettando le regole di macellazione Kosher.

- Salsicce Kosher : possono essere prodotte con carne Kosher di manzo o pollo, condite con spezie conformi alle leggi Kosher.

- Bresaola Kosher : anche la bresaola può essere preparata utilizzando carne di manzo Kosher, seguendo le stesse tecniche di essiccazione e salagione.

riconoscendo che la macellazione rituale degli animali mal si concilia con le moderne concezioni del benessere animale, ha sentenziato che gli Stati non possono vietare l’usanza delle religioni islamica ed ebraica alla luce delle “garanzie concernenti la libertà di religione contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

5. UN OCCHIO AI PRODOTTI

DI SALUMERIA

a) Prodotti di Salumeria Halal

- Salame Halal: preparato con carne di manzo, montone o pollo, condito con spezie e talvolta con aromi come aglio e pepe.

- Salsicce Halal: possono essere realizzate utilizzando carne di manzo o pollo, con l'aggiunta di spezie e erbe. Le salsicce sono spesso usate per grigliate o in piatti tradizionali.

- Prosciutto Halal: sono disponibili alternative

- Chorizo Kosher : le versioni Kosher delle salsicce piccanti spagnole, preparate con carne di manzo o pollo, utilizzando spezie e aromi Kosher.

- Gulasch e altri stufati: anche se non sono tecnicamente salumi, molti piatti a base di carne Kosher possono essere preparati in modo simile a piatti tradizionali non Kosher, seguendo le leggi alimentari.

CONSIDERAZIONI FINALI

Quando si producono salumi Halal e Kosher, è fondamentale che tutte le materie prime, gli ingredienti e i processi di produzione siano conformi alle leggi religiose. Ciò include non solo la macellazione, ma anche la manipolazione e l’elaborazione della carne. Pertanto, è importante che i produttori siano certificati e che rispettino le norme religiose per garantire che i prodotti ottenuti siano considerati Halal o Kosher. 

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La versatilità al servizio delle tradizioni

Da sempre le epoche che si rincorrono e si intrecciano a comporre il tessuto del tempo, sono intrise di tradizioni. Forgiano le identità dei popoli solcandone indelebilmente il lato spirituale.

Tradizione e spiritualità, due parole che trovano comune denominatore in ambito alimentare che, per ciascun popolo e a qualsivoglia latitudine, rappresenta uno dei principali fattori identitari.

Alimentazione Halal e Kosher sono due pilastri e due esempi monumentali di questa illuminante realtà. Inevitabilmente quando si parla di queste particolari culture, lo sguardo si volge alle carni che usano consumare e ai metodi di preparazione.

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La tradizione si RINNOVA

Un nuovo look per una bottega giovane ma ancorata alla tradizione piemontese, tre fratelli che nella macelleria hanno trovato la strada giusta per dare valore alla filiera e realizzare la propria carriera

Loro sono Fabrizio, Alessandro ed Erika Brignone e nel 2010 hanno deciso di unire le forze per dare vita a un’attività commerciale di macelleria. Cresciuti nell’azienda agricola del padre dove si allevano ancora oggi bovini di razza piemontese, è sembrato lo sbocco ideale per mettere in pratica conoscenza, esperienza e passione.

“Nostro padre è allevatore – racconta Fabrizio –, nella nostra

azienda agricola macelliamo solo femmine e maschi castrati di razza piemontese e in tale contesto siamo cresciuti. Per questo, seguendo un percorso naturale, mio fratello Alessandro ed io ci siamo diplomati periti agrari e per approfondire le nostre competenze abbiamo lavorato per un paio d’anni nel settore, allo scopo di inquadrare il mestiere e imparare, insomma per chiarirci le idee e capire cosa volevamo fare in futuro. A un certo punto ci venne offerta la possibili-

tà di rilevare un negozio, a Borgo San Giuseppe, alle porte di Cuneo e non ci siamo fatti sfuggire l’occasione. Nostra sorella Erika si è unita a noi e, insieme a due collaboratori, abbiamo cominciato. Decisione di cui siamo molto soddisfatti”. In Piemonte la carne è un prodotto di grande tradizione storica, la qualità è un imperativo indiscusso e conoscere le origini di un prodotto, seguirne la filiera personalmente, secondo una linea di pro-

Negozio piccolo ma assortimento ampio; e allora, poter creare lo spazio necessario a esporre adeguatamente ogni taglio di carne diventa fondamentale

duzione vacca vitello è un valore aggiunto ineguagliabile. I fratelli Brignone ne sono consapevoli: “Poter disporre di carni di cui conosciamo personalmente l’origine è una garanzia in più per il cliente ed essere esperti nel disosso e nella lavorazione della mezzena un vantaggio. Abbiamo messo a frutto l’insieme di queste competenze e siamo una squadra ben affiatata. A un certo punti ci siamo resi conto che era ora di dare una svolta all’attività anche nell’immagine e nell’allestimento del negozio per renderlo più funzionale, efficiente e accogliente”.

L’occasione di prendere una decisione così impegnativa si presenta durante una visita alla Fiera iMEAT, a Modena, dove conoscono la

L’allestimento è stato studiato nei minimi particolari per ottimizzare gli spazi, la tecnologia applicata ai banchi refrigerati per la conservazione ha fatto la differenza

di Coldar hanno saputo sfruttare al meglio ogni angolo valorizzando la merce con un allestimento adeguato e hanno fornito attrezzature tecnologiche di grande performance”.

realtà di Coldar Frigoriferi. Scatta l’intesa e il progetto diventa concreto.

“Il negozio è di dimensioni contenute, solo 55 mq – racconta Fabrizio – ed è stato un gioco duro ottimizzare gli spazi ma i professionisti

Negozio piccolo ma assortimento ampio; e allora, poter creare lo spazio necessario a esporre adeguatamente ogni taglio di carne diventa fondamentale. Perché nella macelleria Brignone non si vende solo carne bovina, ma anche varie tipologie di carni bianche, oggi molto richieste; non solo, i tagli bovini, secondo la tradizione piemontese, non si limitano a semplici magre fettine o tartare ma – trattando animali femmine –abbracciano un’ampia gamma di tagli con infiltrazioni di grasso importanti, adatti a una cucina complessa: “Noi frolliamo le mezzene, non i tagli sottovuoto, e quindi possiamo proporre carni da griglia o da bollito tradizionale, sono scaramelle bellissime, tagli stupendi” dichiara con orgoglio Fabrizio. Carni così pregiate devono essere messe in bella mostra. Poi ci sono i preparati, gli arrosti cotti, non una vera e propria gastronomia ma una buona proposta di piatti cucinati con cura, i salumi della tradizione.

Ed è qui che competenza e tecnologia giocano un ruolo di punta. Spiega Fabrizio: “L’allestimento è stato studiato nei minimi particolari per ottimizzare gli spazi, la tecnologia applicata ai banchi refrigerati per la conservazione ha fatto la differenza. Ora posso lasciare la merce esposta anche di notte perché sono sicuro che il corretto mantenimento dell’equilibrio tra temperatura e umidità preserva il prodotto da ogni deterioramento. Perfino il petto di pollo, molto delicato, resta morbido e non si asciuga. Coldar Frigoriferi è stata una scoperta per noi, una novità, ma dopo un solo giorno di apertura siamo pienamente soddisfatti”. Seguendo un metodo di progettazione molto accurato, anche l’aspetto del risparmio energetico ha trovato risposta. L’edificio non ha potuto disporre di un impianto fotovoltaico ma grazie a un investimento destinato a una centrali-

na termica esterna per il recupero dell’acqua calda dal ciclo frigorifero è stata migliorata l’affidabilità del funzionamento dei macchinari e abbattuti i consumi, in un’ottica di miglioramento energetico ecologicamente ed economicamente interessante. Un aiuto a gestire al meglio i consumi.

“E poi adesso il negozio è bellissimo – dichiara Fabrizio – il contrasto tra l’acciaio brillante e il legno crea un’immagine sorprendente e accogliente. I clienti sono rimasti stupiti in modo positivo, affascinati dalle luci. Il lungo banco angolato a misura OBLI V90 My Meat System non è solo efficiente, è scenografico; le due vetrine terminali ELON PB con 3 ripiani ciascuna elevano l’ esposizione all’ estremità del bancone refrigerato; la vetrina retrobanco SCALINO DE 2R per i salumi è di grande impatto visivo. È stato un grande lavoro ma ne valeva la pena”. 

Immagina…

Immagina un paese, il tuo, dove ogni abitante, quando vuole mangiare un piatto di carne, entra sicuro nel negozio del macellaio vicino a casa.

Immagina questo macellaio gentile, pronto a scegliere il pezzo migliore per l’esigenza del suo vicino di casa, pronto a rispondere a ogni incertezza e paura sul cibo che acquista.

Immagina questo macellaio preparato, che parla con chi ha allevato quell’animale destinato dalla terra a diventare la nostra fonte di nutrimento e di crescita.

Immagina questo macellaio e questo allevatore onesto insieme, pronti a riconoscere le fatiche, i sacrifici e l’impegno dell’altro.

Immagina questo macellaio e questo allevatore pronti a imparare l’uno dall’altro, pronti a comunicare al vicino di casa il valore del lavoro, sempre invisibile, di chi alleva con etica e coscienza.

Immagina la soddisfazione di vendere una carne di cui conosci tutto molto bene, sacrificandoti per imparare di più e meglio.

Immagina di avere al tuo fianco chi lo ha allevato, garante della qualità totale di quella carne che, con competenza, tu sai lavorare, trasformare, garantire e proporre. Immagina il valore etico di tutto questo, di quanto la tua competenza sappia ridurre a zero lo spreco. Un valore verso l’animale per il quale pretenderai un trattamento degno del suo sacrificio, chiedendo al tuo amico allevatore che si occupi del suo benessere, elemento essenziale per creare la qualità promessa. Etica verso il tuo vicino di casa, rendendolo consapevole che tu sai scegliere per lui quello che non nuoce alla salute, e gli spiegherai il perché.

Immagina come tutte queste tue capacità diventano, agli occhi dei tuoi vicini di casa, il marchio di garanzia. La garanzia che la carne di qualità made in Italy deve passare dalle tue mani e attraverso il lavoro, ora meno invisibile del tuo amico allevatore.

Se immagini tutto questo e pensi che potrebbe essere importante per il tuo negozio, devi sapere quanto Federcarni sta organizzando per rendere reale la tua immaginazione.

Federcarni vuole dimostrare che il macellaio è l’unico in grado di essere testimone della carne di qualità prodotta in Italia da piccoli e medi allevatori.

Macellaio professionista di qualità insieme a allevatore italiano che produce carne di qualità, questo binomio verrà presentato, al consumatore, con un importante impegno di comunicazione.

Federcarni-Confcommercio ha come partner del progetto il Ministero politiche agricole e sovranità alimentare, l’Università Mater Dei di Bologna, Confagricoltura, Consorzi di allevatori, allevatori. Federcarni si impegna a trovare le risorse per comunicare ai consumatori il valore di garanzia nutrizionale, salutistica, etica che l’allevatore e il macellaio, ciascuno per le proprie competenze, possono dare alla carne allevata in Italia.

Un forte valore aggiunto è la comunicazione, al consumatore, di come il benessere animale sia un punto fermo del progetto, che verrà sostenuto aprendo gli allevamenti per visite dimostrative.

Già ora molti negozi hanno rapporti diretti con un allevatore e le nostre ricerche dicono che la soddisfazione è reciproca, soprattutto perché il consumatore si può confrontare con persone vere che mettono la faccia in quello che dicono e fanno. Non lo possono fare le etichette della carne confezionata, spesso di difficile lettura e interpretazione.

Credi in questo progetto, molti esperti lo hanno trovato essenziale alla crescita dei nostri negozi e dei nostri allevatori, messi in difficoltà da una concezione industriale della produzione e vendita della carne.

Tu conosci il valore unico di questo cibo, insieme potremo comunicarlo a tutti i consumatori specialmente a quelli che vorrebbero ma sono frenati da paure e fake news.

Insieme si può!

Maurizio Arosio, Presidente Federcarni

Piano CARNI BOVINE Nazionale

A.O.P. ITALIA ZOOTECNICA Associazione di Organizzazioni

Produttori Bovini da Carne e Carne Bovina S.c.a.r.l. (Riconosciuta ai sensi del Reg. UE n. 1308/2013, DM n. 1108/2019, DM n. 387/2016) promuove il progetto per un piano di settore della zootecnia bovina da carne con la sostenibilità ambientale, sociale ed economica degli allevamenti protetti italiani

Presente ad Expo Divinazione in occasione della riunione dei Ministri dell’Agricoltura e Pesca del G7, a Ortigia, il Consorzio Sigillo Italiano e il suo Direttore Giuliano Marchesin hanno ribadito l'importanza della valorizzazione della carne italiana, anche attraverso un marchio identificativo. Ospite d'onore il macellaio Gianni Giardina e con l'esperta in filiera della carne Elisa Guizzo, hanno fatto assaggiare la rinomata battuta al coltello certificata dal Consorzio Sigillo Italiano.

Giuliano Marchesin con la premier Giorgia Meloni

È opinione condivisa che per valorizzare la carne made in Italy serva un piano di settore che sostenga percorsi di qualità e sostenibilità certificati, perché uno dei punti deboli della nostra zootecnia è l’anonimato della carne bovina. In Italia produciamo il 45% di carne bovina e importiamo dall’estero il 55% di carne bovina.

Il Piano Carni Bovine Nazionale poggia su 3 pilastri/obiettivi:

1. comunicare ai consumatori le produzioni di qualità degli allevatori italiani sviluppando il sistema di qualità nazionale, zootecnia, SQNZ (dm 16/12/2022) con applicazione dei disciplinari di qualità (notificati alla commissione europea) e con l’utilizzo di un marchio ombrello nazionale;

2. diminuire la dipendenza dall’estero: produzione di ristalli da carne 100% italiani aumentando le vacche nutrici in Italia; coinvolgendo allevatori di vacche da latte per ottenere vitellini incroci da carne;

3. organizzare la filiera zootecnica con gli strumenti legislativi europei e nazionali: l’interprofessione OI IntercarneItalia (già riconosciuta dal Masaf), l’associazione di organizzazioni produttori AOP Italia Zootecnica (già riconosciuta dal Masaf), il Consorzio Sigillo Italiano (già riconosciuto dal Masaf).

Il Piano Carni Bovine Nazionale può essere re -

plicato per ogni prodotto zootecnico, coinvolgendo tutti gli allevatori italiani interessati.

Il 1 pilastro è l’obiettivo marketing, ovvero rendere facilmente riconoscibile, con un marchio ombrello, la carne di qualità certificata, prodotta in Italia e tutte le altre produzioni zootecniche, certificate con l’SQNZ.

I disciplinari di produzione approvati dal Masaf

e dalla Commissione europea riguardano:

• vitellone allevato ai cereali (operativo) scottona allevata ai cereali (operativo) fassone di razza piemontese (operativo)

• bovino podolico al pascolo (operativo)

• uovo + qualità ai cereali (operativo)

• acquacoltura sostenibile (operativo)

• in arrivo altri disciplinari per latte e derivati, suini, conigli, ovicaprini.

Unico in Europa e Italia, ha ottenuto il via libera al Disciplinare Allevamenti Sostenibili per il Bovino da carne (Vitellone/Vitello) da parte della Commissione europea.

Lo standard “Zootecnia da carne sostenibile” è applicabile all’attività di allevamento per la produzione di carne bovina ed è il risultato dello sviluppo di un processo di condivisione con diversi stakeholder che ha coinvolto aziende e rappresentanti della filiera agro-zootecnica di riferimento.

L'esigenza di questo standard nasce dalla volontà di allevare animali da reddito al meglio delle pratiche conosciute per garantire un prodotto sostenibile nell'accezione più ampia del termine.

Il valore aggiunto di questo standard consiste nell'approccio alla sostenibilità secondo la definizione che ne viene data con il Trattato di Amsterdam del 1997. Infatti con il Vertice di Copenaghen e il Trattato di Amsterdam del 1997 l’Unione Europea sancisce istituzionalmente i tre pilastri della sostenibilità nel cosiddetto “modello dei tre pilastri della sostenibilità”: economico: capacità di generare reddito e lavoro;

• ambientale: capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle risorse naturali;

• sociale: capacità di garantire condizioni di

benessere umano (i diritti umani, le pratiche di lavoro, le pratiche operative leali, tutela dei consumatori, coinvolgimento e lo sviluppo della comunità).

Lo standard pertanto prevede requisiti verificabili per ciascuno dei tre pilastri della sostenibilità e può essere allineato alla strategia europea “Farm to Fork” in particolare ai principi della “Sustainable Food Production”.

Il 2 pilastro ha l’obiettivo di aumentare l’approvvigionamento dei ristalli in Italia, allo scopo di non dipendere quasi totalmente dall’estero. Per una filiera italiana occorre:

• aumentare le vacche nutrici in Italia

• coinvolgre allevatori di vacche da latte per ottenere vitellini incroci da carne.

Il 3 pilastro ha l’obiettivo di organizzare la filiera delle carni bovine (produzione, trasformazione, distribuzione) per migliorare il mercato e puntare all’autofinanziamento.

In conclusione le proposte al MASAF di A.O.P.

Italia Zootecnia per il PSN 2023-2027 sono:

1. Istituzione di una OCM CARNI BOVINE (intervento strutturale);

2. Un Ecoschema dedicato alla Sostenibilità Ambientale, Sociale ed Economica degli allevamenti;

3. L’erogazione degli «Aiuti Accoppiati» su tre livelli, condizionandoli all’adesione ad OP riconosciute. 

Perché il «marchio ombrello» del Consorzio Sigillo Italiano può fare la differenza per promuovere e valorizzare la Zootecnia bovina da carne (ed anche tutte le atre produzioni)?

• Solo l’1,3 % della carne prodotta in Italia si fregia del marchio europeo IGP (Chianina, Marchigiana, Romagnola) e può contare, soprattutto sulla conoscenza della RAZZA

• Il restante 98,7 % della carne prodotta in Italia (e buona parte di altri prodotti zootecnici) è commercializzata da produttori e macellatori in «forma anonima», non ha un brand e per il consumatore diventa difficile poterla riconoscere e preferirla a quella estera (ricordiamoci che importiamo oltre il 55% di carne bovina!)

• L’SQNZ «Consorzio Sigillo Italiano», può fare la differenza, rendendo facilmente riconoscibili le produzioni dei nostri allevatori ai consumatori.

Nasce ARAAVI

ASSOCIAZIONE RAZZE AVICUNICOLE AUTOCTONE PIEMONTESI

Ènata la prima associazione di questo mondo agricolo, grazie all’intuizione e al coraggio di Ferdinando della Peruta, lombardo di origine, proveniente dal mondo farmaceutico, innamoratosi di questo angolo del Piemonte e precisamente della Cascina Losetta a Luserna San Giovanni in provincia di Torino a 800 m di altezza, dove con sua moglie e due splendidi maremmani accoglie ospiti e turisti in una cascina circondata dai boschi e da centinaia di galline e conigli grigi. Con l’aiuto di Slow Food il suo allevamento è di fatto oggi un presidio dello stesso. Questa passione in qualche maniera Ferdinando l’ha trasmessa ad altri allevatori del territorio e per il momento la nascente associazione è già composta da altri 15 allevatori, uniti dall’obiettivo di far rinascere e “ri” diffondere l’uso gastronomico di questi animali.

Siamo certi che il loro esempio sarà raccolto da molti altri allevatori piemontesi.

qualche allevatore ha ripreso l’allevamento di maiali piemontesi. Sono innumerevoli le ricette realizzate con questi ingredienti, alcune preparazioni storiche; il tonno di coniglio, per esempio, è un antipasto tipico piemontese. È un piatto che nasce dalla cultura contadina povera e proprio per questo lo si prepara anche con qualche giorno di anticipo, spesso in contenitori di vetro tipo vasetti Bormioli, oggi utilizzati anche da molti chef che li cuociono a vapore; molti utilizzano il sottovuoto, metodo di cottura grazie al quale si conserva con abbondante dose di olio e aglio, appunto a ricordare il tonno sott’olio in scatola. Il tonno di coniglio è piuttosto semplice come preparazione anche se la cottura della carne richiede molto tempo; il suo sapore delicato e aromatico viene decisamente arricchito dalla presenza dell’aglio e di erbe aromatiche, aglio che se non dovesse essere di gradimento può essere usato in spicchi interi in minor dose e tolto prima di consumarlo.

Ci piace ricordare che il termine FASSONA o FASSONE nasce proprio dalle fasce/fascioni muscolari con cui questo animale è contraddistinto. In origine era un animale da lavoro, da traino, che, in seguito all’avvento dei trattori, ha in parte terminato con gloria il suo compito.

Il Piemonte è già famoso per i bovini Fassoni di Razza Piemontese, noti anche come carne piemontese.

In Piemonte, c’è una antica e importante tradizione di razze avicunicole, in parte dimenticate, dagli chef e dai macellai, ma ancora viva nella memoria popolare: il coniglio grigio di Carmagnola, le galline rosse e bionde, le oche e oggi, anche se meno conosciuti,

In realtà questo metodo di cottura e conservazione è utilizzato anche per le galline. Infatti, il tonno di gallina è una squisita preparazione tipica della regione piemontese, in particolare dalla zona di Bra e dintorni, che unisce la gallina all’olio di oliva sotto forma di tonno. La preparazione è molto semplice e consiste nel preparare un ottimo brodo con la gallina per fare uno squisito piatto di ravioli,

CHI È MATTEO SCIBILIA…

Chef e Ristoratore da oltre 40 anni a Milano e provincia, dirigente FIPE e delegato Confartigianato Lombardia, docente di scuole alberghiere.

mentre le carni serviranno per fare il tonno di gallina che potrà essere consumato a piacimento partendo dall’antipasto, come per esempio le uova ripiene al tonno, oppure una pasta al tonno o comunque come la fantasia ci suggerisce.

Altre preparazioni sono la gallina in saor, che richiama la ricetta veneta delle sarde in saor; l’insalata di gallina lessa, e il ragù di gallina, o arrosto magari con i famosi peperoni piemontesi di Carmagnola.

Anche in questo caso ricette e preparazioni da cuocere in anticipo e conservare al fresco per molto tempo, come quando i fri-

goriferi non erano ancora a disposizione di tanti nelle campagne. Anche le oche sono nella memoria di preparazioni contadine, con il vantaggio che le oche sono utilizzabili in toto, anche le piume sono una ricchezza per gli allevatori.

Oggi tutto sta per ricominciare, anzi per certi versi è già cominciato.

Oggi in cascina è possibile degustare preparazioni di coniglio o di gallina, anche in pratici vasetti da portare a casa, mentre per i ristoranti saranno pronte confezioni sottovuoto oltre ai prodotti freschi, o semilavorati, tipo i conigli disossati. 

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FOOD LINE

La distinzione normativa tra preparazioni di carni (es. spiedini con carni fresche e verdure) e prodotti a base di carne (es. prosciutto, salame) rileva ai fini dell’applicazione della pertinente normativa in materia di igiene, di informazioni ai consumatori nonché per quel che concerne la possibilità d’uso di determinati additivi

SALSICCIA : preparazione di carne o prodotto a base di carne?

LA RILEVANZA LEGALE DELLA DISTINZIONE

Ai sensi del Reg. 853/2004 sull’igiene dei prodotti di origine animale sono definite:

«Preparazioni di carni»: le carni fresche, incluse le carni ridotte in frammenti, che hanno subito un’aggiunta di prodotti alimentari, condimenti o additivi o trattamenti non sufficienti a modificare la struttura muscolofibrosa interna della carne e ad eliminare quindi le caratteristiche delle carni fresche.

«Prodotti a base di carne»: i prodotti trasformati risultanti dalla trasformazione di carne o dall’ulteriore trasformazione di tali prodotti trasformati in modo tale che la superficie di taglio permette di constatare la scomparsa delle caratteristiche delle carni fresche.

Altre definizioni utili sono riportate nel Reg. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, ai sensi del quale s’intende per:

- «trattamento»: qualsiasi azione che provoca una modificazione sostanziale del prodotto iniziale, compresi trattamento termico, affumicatura, salagione, stagionatura, essiccazione, marinatura, estrazione, estrusione o una combinazione di tali procedimenti;

- «prodotti non trasformati»: prodotti alimentari non sottoposti a trattamento, compresi prodotti che siano stati divisi, separati, sezionati, affettati, disossati, tritati, scuoiati,

frantumati, tagliati, puliti, rifilati, decorticati, macinati, refrigerati, congelati, surgelati o scongelati;

- «prodotti trasformati»: prodotti alimentari ottenuti dalla trasformazione di prodotti non trasformati. Tali prodotti possono contenere ingredienti necessari alla loro lavorazione o per conferire loro caratteristiche specifiche.

È opportuno evidenziare come la semplice aggiunta di condimenti, ingredienti o additivi non costituisce di per sé un trattamento. Ad esempio, la carne macinata che ha subito l’aggiunta di altri prodotti alimentari e condimenti, mantenendo inalterate le caratteristiche della carne fresca macinata, diventa una preparazione a base di carne (prodotto non trasformato).

azione non è sufficiente a modificare la struttura muscolo-fibrosa interna della carne e ad eliminare quindi le caratteristiche delle carni fresche, il prodotto finale è una preparazione a base di carne.

Di norma le preparazioni di carni rientrano nella definizione di “prodotti non trasformati” mentre i prodotti a base di carne rientrano nella definizione di “prodotti trasformati” (che hanno subito un trattamento)

Di norma le preparazioni di carni rientrano nella definizione di “prodotti non trasformati” mentre i prodotti a base di carne rientrano nella definizione di “prodotti trasformati” (che hanno subito un trattamento). Ciò posto, se una carne fresca è sottoposta a un’azione inclusa nella definizione di “trattamento” (es. salagione o marinatura) ma tale

Avv. Cristina La Corte - Studio Legale Gaetano Forte

L’inquadramento normativo della “salsiccia” è da sempre stato oggetto di dubbi interpretativi soprattutto alla luce del diverso significato che il termine può assumere nei diversi Stati membri dell’Unione Europea o nell’ambito di uno stesso Stato membro

Se tale azione è stata viceversa idonea a modificare la struttura muscolo-fibrosa interna della carne (es. trattamento termico, affumicatura) e quindi ha provocato una modificazione sostanziale, il prodotto finale è un prodotto a base di carne.

Se le caratteristiche della carne fresca non sono scomparse completamente, il prodotto deve essere ricondotto alla definizione di “preparazioni di carni”.

Il Regolamento 1333/2008 reca l’elenco degli additivi alimentari utilizzabili, e relative quantità di impiego in determinate categorie alimentari tra le quali

- 8.02 Preparazioni di carni quali definite dal regolamento (CE) n. 853/2004

- 8.03 Prodotti a base di carne, a loro volta distinti in

• 8.03.1 Prodotti a base di carne non sottoposti a trattamento termico

• 8.03.2 Prodotti a base di carne sottoposti a trattamento termico

Per ognuna delle suddette categorie il Regolamento 1333/2008 reca l’elenco degli additivi utilizzabili che risulta essere più restrittivo per le preparazioni di carne per le quali è ammesso un numero più limitato di additivi rispetto ai prodotti a base di carni.

A titolo esemplificativo nelle preparazioni di carni i nitrati (E 251-252) non sono ammessi mentre i nitriti (E 249-250) lo sono limitatamente ad alcuni prodotti tradizionali nominativamente indicati¹

Con limiti sensibilmente ridotti dal Reg. 2023/21082, nitriti (E 249-250) e nitrati (E 251252) sono viceversa autorizzati nei prodotti a base di carne non sottoposti a trattamento termico.

Nei prodotti a base di carne sottoposti a trattamento termico è autorizzata l’aggiunta di nitriti (E 249-250) con differenti livelli massimi d’impiego a seconda che si tratti o meno di prodotti sterilizzati.

Ciò premesso, un caso emblematico in cui tale distinzione assume rilevanza è quello della “salsiccia” la cui denominazione non è disciplinata da alcuna norma giuridica e, pertanto, può eventualmente assurgere a denominazione usuale di un insaccato di carne la cui natura deve essere verificata alla luce delle definizioni sopra riportate.

L’inquadramento normativo della “salsiccia” è da sempre stato oggetto di dubbi interpretativi soprattutto alla luce del diverso significato che il termine può assumere nei diversi Stati membri dell’Unione Europea o nell’ambito di uno stesso Stato membro. In alcuni casi il termine si riferisce infatti ad un prodotto della macelleria fresco mentre in altri ad un prodotto della salumeria stagionato o essiccato. In relazione all’inquadramento normativo del prodotto già verso la fine degli anni ’90 il Ministero della Salute3, preso atto che sul territorio nazionale il termine può essere utilizzato per prodotti diversi dal punto di vista delle caratteristiche tecnologiche di produzione, ha avuto modo di rilevare che “La salsiccia fresca costituisce una preparazione qualora l’insaccato sia ottenuto con carni macinate alle quali siano stati aggiunti eventuali condimenti ed additivi consentiti; non deve aver subito alcun trattamento di conservazione ad eccezione del freddo, mantenendo al centro le caratteristiche della carne fresca e dev’essere mantenuta ad una temperatura non superiore ai 2 C.” Viceversa qualora la salsiccia abbia subito un “trattamento di asciugatura, tale da consentire comunque di raggiungere valori di Aw (activity water) inferiore a 0,97, non puo’ essere ritenuta “fresca””.

Le stesse indicazioni, con il riferimento al parametro Aw (activity water) inferiore a 0,97 al fine dell’inquadramento del prodotto nella definizione di “prodotti a base di carne”, sono state ribadite dallo stesso Ministero con una nota datata 28/11/2012 in cui si rileva come “in Italia con il termine “salsiccia” si indicano, in pratica, insaccati con caratteristiche diverse” per cui “occorre fare riferimento alla tecnologia di produzione per una corretta distinzione tra le due definizioni sopra riportate” (preparazioni di carni o prodotti a base di carni n.d.r.).

Più di recente però, con Nota del 27.09.2016, il criterio del valore dell’attività dell’acqua viene accantonato laddove il Ministero della Salute

afferma che: “L’unico criterio discriminante, pertanto, tra le due tipologie di prodotto, ai sensi di detto Regolamento, consiste nel metodo dell’esame visivo della superficie di taglio che consente di constatare la scomparsa o meno delle caratteristiche delle carni fresche e non quindi nella misurazione dell’Aw. In tale contesto la salsiccia fresca si classifica come preparazione di carne; nel caso la salsiccia fresca subisca un processo di stagionatura per un periodo lungo tale da consentire la perdita delle caratteristiche della carne fresca, si classifica come prodotto a base di carne”. Sulla base della sopra esposta evoluzione interpretativa, al fine di poter ascrivere l’alimento alla categoria merceologica dei “prodotti a base di carne” o delle “preparazioni di carne”, con le relative conseguenze normative, si rende pertanto necessaria una (non sempre semplice) verifica sostanziale circa l’effettiva perdita delle caratteristiche delle carni fresche nella parte più interna del prodotto in seguito, non ad un qualsiasi trattamento, ma ad trattamento idoneo ad alterare sostanzialmente il prodotto iniziale. 

1 Solo lomo de cerdo adobado, pincho moruno, careta de cerdo adobada, costilla de cerdo adobada, Kasseler, Bräte, Surfleisch, toorvorst, šašlõkk, ahjupraad, kiełbasa surowa biała, kiełbasa surowa metka, tatar wołowy (danie tatarskie) e golonka peklowana.

2 REGOLAMENTO (UE) 2023/2108 DELLA COMMISSIONE del 6 ottobre 2023 che modifica l’allegato II del regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio e l’allegato del regolamento (UE) n. 231/2012 della Commissione per quanto riguarda gli additivi alimentari nitriti (E 249-250) e nitrati (E 251-252).

3 Ministero della Salute Circolare n. 2 dell’8 febbraio 1998.

"La mia filosofia nasce dalla consapevolezza che un animale ben allevato e ben trattato diventa un prodotto di alta qualità”. Carlo Alberto Menini, un negozio storico di macelleria, dal 1997, a San Giovanni Lupatoto (VR), una bottega a Cadidavid e un nuovissimo locale nel cuore di Verona, lo sa bene perché è nato e cresciuto in una famiglia che l’allevamento e il commercio di carne li ha praticati da sempre con passione.

“Mio padre – racconta Carlo Alberto - allevava cavalli nella bassa veronese, aveva due fratelli veterinari e un’azienda agricola; mia mamma veniva da una famiglia di commercianti di animali e aveva coi suoi fratelli una macelleria. Cos’altro avrei potuto fare? Mi scorreva nelle vene la passione per questo mestiere”. Carlo Alberto Menini racconta la sua storia con entusiasmo, consapevole che il suo destino era segnato, ma soprattutto soddisfatto di aver potuto cogliere dal suo retaggio i tratti migliori e di averli saputi riunire e mettere a frutto, trasformare le ali del destino in realtà con coscienza e capacità.

Cresciuto tra l’attività del padre che aveva una stazione di monta di cavalli da tiro pesante, quelli che un tempo, in campagna, facevano il lavoro che oggi viene svolto dai trattori, e il negozio di macelleria della madre, Carlo Alberto sviluppa fin da ragazzino una vera passione per tutto ciò che circonda questo mondo animale e la trasforma in esperienza. Gli piace soprattutto osservare e mettere in pratica quello che è l’ultimo passaggio di una lunga filiera: il lavoro in cucina. Perché è lì che puoi vedere il risultato finale di un percorso faticoso e complesso; in cucina vedi realizzato lo scopo di ogni azione dalla nascita dell’animale alla sua trasformazione e poi cottura: nutrire la gente e farlo bene.

“E così ho fatto la scuola alberghiera e sono diventato cuoco, il mio sogno era lavorare nei ristoranti – afferma con orgoglio – ma a causa

La realizzazione di un SOGNO

Come si fa a esprimere la propria passione per la cucina quando si viene da una famiglia legata all’agricoltura, all’allevamento e al commercio, tutti insieme? Si riuniscono le passioni e si diventa macellaio. Ma un macellaio molto speciale. Incontriamo Carlo Alberto Menini

di un incidente la mia carriera di aspirante chef itinerante si è interrotta. Allora mi sono detto che avrei potuto comunque esprimere le mie capacità, bastava solo modulare le mie azioni in modo da mettere a frutto le competenze acquisite in un altro modo: ho rilevato una vecchia bottega del veronese e sono diventato macellaio. La formazione alberghiera ha fatto la differenza ed è stata, in un certo qual modo, la mia fortuna. Essere cuoco ha favorito lo sviluppo di un’attività completa e ben strutturata nelle scelte e nelle proposte”.

La capacità di saper scegliere e cucinare il taglio di carne migliore secondo l’occasione e il risultato voluto è un punto di forza. Conoscere il prodotto e sapere come utilizzarlo ha permesso a Carlo Alberto Menini di coltivare la fiducia dei ristoratori, per esempio, o semplicemente di

La linea di banchi refrigerati MAX, dal design innovativo é nata dallo studio dei movimenti di operatori e clienti; avvicina l’esposizione al cliente, migliora l’ergonomia per l’operatore, garantendogli un più facile e comodo accesso in fase di allestimento e pulizia del banco. Il piano espositivo regolabile in due posizioni e il nuovo sistema di illuminazione Dynamic CRIOLED garantiscono la migliore tonalità colore per l’esposizione della carne

poter consigliare ogni cliente verso un acquisto mirato, di ampliare le sue azioni e completare il suo assortimento con prodotti di raffinata gastronomia.

“Con questo tipo di competenza ben chiaro –spiega Menini – ho avuto l’opportunità di diventare un interlocutore affidabile e ho creato un rapporto di fiducia con i ristoratori della zona; è nata una rete di distribuzione dedicata all’horeca che oggi fornisce un ottimo riscontro”.

Tagli freschi, prodotti lavorati e semilavorati, e ottima gastronomia. Con una materia prima di alta qualità come quella che Menini sceglie - carni bovine e ovine grass fed, suini bradi e semibradi, equini e selvaggina cacciata – l’assortimento è una certezza; trasformare la materia prima in maniera creativa, efficiente e sostenibile un valore aggiunto.

“Con il mondo della ristorazione ho un ottimo rapporto di lavoro – racconta Carlo Albertonella zona di Verona c’è una bella ristorazione,

Max Tower è la vetrina per i preparati pronti a cuocere, un’area promozionale efficiente e di ampia visibilità canalizzabile con tutta la linea MAX con zona esposizione in acciaio inox e refrigerazione ventilata con classe climatica 3.M1

di buon livello, ma nelle cucine il personale è carente, la capacità degli operatori di lavorare le carni è scarsa; io rispondo alle loro esigenze fornendo un prodotto ottimo, ben lavorato e

pronto all’uso. Del resto è naturale perché il lavoro dell’artigiano è sacrificio, bisogna sporcarsi le mani, e la differenza la fa impegnarsi oltre le 8 ore canoniche: oggi i giovani non sono disposti a tutto questo. Io sono il giusto compromesso: procuro ciò che serve e lo faccio bene”.

E dunque, negli anni, al negozio storico si aggiunge quello di Cadidavid, e adesso Verona. Ma questa volta il format è diverso. “La qualità è sempre la stessa – tiene a precisare Menini – perché le mie carni provengono da allevamenti italiani estensivi, costano un po’ di più ma è importante anche far capire al cliente che pochi centesimi al chilo in più non sono niente in confronto alla qualità che ottengono.

A Verona, in zona centrale ben frequentata e servita, ho scelto di proporre la bottega con i tagli freschi e i preparati di gastronomia ma di aggiungere una chicca: una zona con posti a sedere e la cucina che prepara piatti da gustare in loco. In pratica, facciamo dei piatti pronti, come ragù e simili, e li confezioniamo in vasetti da asporto: sono delle vere specialità molto apprezzate dai clienti in tutte le nostre botteghe. A Verona, in più, utilizziamo questi preparati per servire piatti gustosi oltre ai tagli classici di carne. Il nostro chef è molto bravo anche nella lavorazione delle ver-

dure e quindi il menù viene completato anche da un’offerta varia e molto selezionata. Il cliente entra, fa la spesa, si ferma a mangiare, e se ne va contento. Di solito torna perché soddisfatto”. Aperto dalle 11 alle 19 il nuovo negozio di Verona è già un’attrattiva per la clientela e presto le serate si arricchiranno di aperitivi e cene. Anche perché l’ambiente è accogliente: il nuovo allestimento davvero all’altezza delle aspettative. “Siamo clienti di Criocabin da molti anni – racconta Carlo Alberto – e naturalmente abbiamo affidato alla loro esperienza l’arredamento del nuovo negozio. 100mq in due salette che sono

stati suddivisi con criterio e dotati delle migliori attrezzature tecnologiche. Per i tagli freschi abbiamo scelto il banco Max, per la gastronomia lo spettacolare Max Tower e per i prodotti confezionati e i vasetti un Elios. In questo modo l’ambiente è valorizzato esteticamente e attrezzato tecnologicamente con la migliore efficienza. A Verona c’è una bella clientela, che sa apprezzare la qualità e apprezza anche una buona presentazione e un confezionamento adeguato. Ed ecco un bel negozio, con somministrazione, ne sapranno riconoscere i pregi. Noi siamo molto contenti”.

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Disponibile nelle versioni: refrigerata ventilata, calda Bain-Marie, calda ventilata e con sistema G-Concept particolarmente adatto per l’esposizione delle carne.

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Capriolo con Barbabietola rossa e Schupfnudel

Il giovane talento Chef Matthias Kirchler è alla guida della cucina dell’Hotel Majestic, 4 stelle Superior a Riscone in Val Pusteria. Nella sua visione del gusto, chiara e diretta, lo chef utilizza tecniche avanzate per la miglior valorizzazione degli ingredienti, senza mai toccarne l’essenza. Il suo è un messaggio inequivocabile: la cucina fine dining non dev’essere riservata a pochi eletti ma va resa accessibile a un pubblico più ampio che ne possa apprezzare l’alta qualità.

Un esempio della cucina di Matthias Kirchler è il Capriolo con Barbabietola rossa e Schupfnudel, ricetta ideata per l’evento “La cucina delle comunità” organizzato da Agugiaro&Figna Molini presso la scuola Dolce & Salato di Maddaloni (CE) lo scorso mese di settembre in concomitanza con il Bufala Fest.

PROCEDIMENTO

CREMA DI BARBABIETOLA - Per prima cosa, lavare le barbabietole sotto acqua corrente. Cuocerle con tutti gli ingredienti, ad eccezione del burro, per almeno 3 ore, coprendo la pentola con il coperchio.

CAPRIOLO - Nel frattempo, pulire la sella di capriolo dai tendini e lasciarla a temperatura ambiente.

SCHUPFNUDEL - Per preparare gli schupfnudel, frullare tutti gli ingredienti in una moulinette fino a ottenere un impasto liscio. Versare l'impasto in stampi di silicone e farlo raffreddare in abbattitore per almeno 1 ora. Una volta cotte le barbabietole, filtrare e sbucciarle. Mentre sono ancora calde, frullarle per almeno 10 minuti. Alla fine, aggiungere il burro freddo tagliato a dadini e, se necessario, aggiustare di sale e pepe. Tenere la crema in caldo a bagnomaria.

CAPRIOLO - Condire il capriolo con sale e pepe, quindi rosolarlo in una padella con olio di girasole, rosmarino e timo, a fuoco alto. Trasferire la carne in una teglia da forno insieme al burro, all'aglio, all'olio di cottura e alle erbe. Cuocere in forno a 75°C statico per circa 20 minuti, girando la carne ogni 5 minuti.

Al termine della cottura, far riposare la carne per almeno 10 minuti a 60°C, sempre in forno statico e senza ventilazione.

Durante il riposo della carne, friggere gli schupfnudel in olio di colza a 160°C fino a ottenere un colore dorato.

IMPIATTAMENTO - Con un cucchiaio, stendere la crema di barbabietola

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

CAPRIOLO

• 400 g di sella di capriolo

• 50 ml di demiglace di capriolo

• 50 g di burro

Rosmarino

Timo

• Aglio

• Sale

• Pepe

CREMA DI BARBABIETOLA

• 300 g di barbabietola rossa

• 1 litro di brodo vegetale

• 300 ml di vino rosso

5 g di cumino

• 70 g di burro

• Sale

• Pepe

• 1 foglia di alloro

Bacche di ginepro

SCHUPFNUDEL

• 100 g di patate cotte e pelate

• 50 ml di latte fresco di fieno

• 50 g di farina MIA M

• 15 g di tuorlo d'uovo biologico

• Sale

• Pepe di Cayenna

• Noce moscata

nel piatto, aggiungere una fetta di capriolo con la sua demiglace e disporre accanto gli schupfnudel fritti.

NOTA - Gli schupfnudel possono essere serviti con una spolverata di funghi secchi in polvere, che donano un sapore delizioso e un aspetto simile alle patate appena raccolte dalla terra.

Monteverro 2019 è un super tuscan elegante e autentico – blend di Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot – ancora giovane, ma che già mostra tutte le sue potenzialità. È un vino che si può prendere e tenere in cantina qualche anno, così da poterlo degustare al massimo della sua espressione. Per chi vuole qualcosa di più impegnativo, si può scegliere un’annata più vecchia, così da apprezzarne le evoluzioni nel tempo.

L’annata 2019 - o quelle precedenti più affinate per gli intenditori - è un vino che incarna un’eccellenza enologica del territorio in cui prende vita, la maremma del sud: un eccezionale carattere e una straordinaria complessità aromatica insieme a una struttura elegante, autorevole, ma non austera.

È perfetto da abbinare alla ricetta esclusiva dello chef Giovanni Angeletti dell’Artidoro di Grosseto: piccione in padella con spinaci, foie gras e salsa al timo.

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

• 1 piccione

• 1 carota

1 sedano

1 cipolla

• 300 g di Fois Gras

• 500 g di spinaci

• timo e maggiorana q.b.

• 30 g di olio extravergine di Oliva

• 30 g di burro

• 300 ml di vino rosso

• 100 g di pelati

Piccione con terrina di foie gras e spinaci

PROCEDIMENTO

Disossare il piccione, separando il petto dalle cosce, condirlo con olio, timo e maggiorana e metterlo da parte. In una casseruola far rosolare le verdure e unire le ossa del piccione. Una volta rosolate bagnare con abbondante vino rosso, lasciarlo restringere e coprire con acqua e pomodori pelati e aspettare che riduca di un terzo. Filtrare e mettere da parte al caldo. Sbollentare in acqua salata gli spinaci per due minuti scolarli e saltarli in padella con del burro. Pulire il foie gras dalle venature; salarlo e peparlo, chiuderlo sottovuoto e cuocerlo a vapore per 40 minuti a 64°. Lasciarlo poi raffreddare. Far rosolare in padella il piccione con l’olio, un po’ di burro, timo e maggiorana; una volta rosolato salarlo su entrambi i lati, infornarlo a 180° per 3 minuti e lascialo riposare.

IMPIATTAMENTO - Su un piatto porre gli spinaci al centro, il piccione a pezzi sopra, unire la salsa al vino e per ultimo aggiungere una rondella di foie gras.

Uno sguardo verso Oriente…

Wagyu Don

Matteo Zhu, titolare di Waby Restaurant a Milano, propone una cucina fusion di ampia interpretazione e dall’identità molto particolare. Il menù è un melting pot di esperienze e sensazioni.

Per gli amanti della carne c’è Wagyu Don, con pregiato manzo wagyu scottato su carbonella e accompagnato da verdure di stagione, riso bianco, kizami wasabi e salsa di soia anche nella versione Wagyu Steak, bistecche cotte a bassa temperatura, o in quella del Sukiyaki, stufato sempre di wagyu, tofu, cavolo cinese e uovo, sempre accompagnato da riso e miso soup. Il wagyu don è cucinato sulla robata, termine che significa focolare ed è l’abbreviazione di robatayaki, una tecnica di cucina giapponese a carbone che si effettua utilizzando un particolare piccolo barbecue. La Steak, cosparsa di sale Maldon, viene passata sulla griglia il tempo necessario per cuocerla mantenendola internamente semicruda. Una volta cotta viene tagliata e disposta su un letto di gambi di cipollotto fritto.

La Wagyu Steak si prepara con la carne Wagyu A5, la più pregiata secondo la specifica A5 ovvero il massimo punteggio qualitativo che una carne bovina premium possa ottenere. Questa qualifica è prerogativa dei migliori allevamenti giapponesi.

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Hanno collaborato a questo numero Guido Dall'Anese, Chiara Di Paola, Cristina La Corte, Giuseppe L. Pastori, Matteo Scibilia, Francesca Tagliabue

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