Ingegneria Alimentare marzo-aprile 2024

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Anno 21 - numero 116

MARZO-APRILE 2024 Ecod Srl UnipersonaleVia Don Riva, 3820028 San Vittore Olona MIPoste italiane spasped. in A. P.D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Varese

In caso di mancato recapito si prega di inviare al CPO Varese per la restituzione al mittente che si impegna a pagare il diritto fisso dovuto

Bimestrale di aggiornamento su tecnologie e processi di trasformazione e di commercializzazione delle carni

LA PAROLA ALL’ESPERTO

L’UE rivede le linee guida che regolano l’uso di nitriti e nitrati come additivi alimentari

DOSSIER

Igiene e sicurezza: monitoraggio, strumenti di controllo, normative

RELAZIONE SCIENTIFICA

DAGLI ARCHIVI

Biofilms nell’industria della carne

L’igiene delle carni DIRITTO E LEGISLAZIONE
gruppo NONA EDIZIONE ModenaFiere imeat.fiera Fiera imeat Per esporre: office@imeat.it - Tel. 0331518056 www.imeat.it Area dedicata alle aziende che presentano INNOVAZIONI TECNOLOGICHE, MACCHINE, ATTREZZATURE E INGREDIENTI PER LA LAVORAZIONE DELLE CARNI, DEI SALUMI E DEL PESCE

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Direttore responsabile: Cristina Filetti

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Stefania Balzan; Rosa Greco; Stefano Grigolato; Cristina La Corte; Alessio Mencarelli; Carlo Meo; Giuseppe L. Pastori.

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CONSUMARE MENO, SI PUÒ

Epta suggerisce un esempio illuminante di tecnologie per la refrigerazione a basso consumo energetico: il punto vendita Edeko nella regione del Palatinato in Germania allestito con una selezione di banchi in versione closed, a marchio Eurocryor e Costan, concepiti per garantire un ridotto consumo energetico.

Nel dettaglio, l’impianto prevede GranVista Next di Costan, dotato di porte a tutta altezza che, invece di essere una barriera, assicurano numerosi vantaggi tra cui la riduzione dei costi energetici della refrigerazione, che rappresenta il 40% dei consumi totali dello store. Per creare un impianto interconnesso, Eco2Middle si è rivelata la scelta ottimale, si tratta infatti di una centrale di ultima generazione a CO2 transcritico, connotata da un design modulare e compatto: con una profondità di 80 cm e un’altezza di 200 cm, Eco2Middle può essere trasportata attraverso ingressi standard e installata in locali tecnici, anche di ridotte dimensioni. Per ottimizzare ulteriormente i consumi energetici, l’impianto prevede un sistema di recupero di calore. In aggiunta, l’FTE (Full Transcritical Efficiency) potenzia l’efficienza del sistema di refrigerazione: la tecnologia, infatti, opera con una temperatura di evaporazione superiore durante tutto l’anno e in qualsiasi condizione climatica, grazie all’impiego dei cosiddetti evaporatori allagati. Questo significa che non è necessario surriscaldare i componenti, in virtù di un utilizzo ottimizzato della superficie degli stessi, grazie a cui è possibile incrementare la temperatura di evaporazione. Ulteriore punto di forza del punto vendita è Bistrot, di Eurocryor, suggerito per il reparto della carne, formaggi, salsicce e pesce. Personalizzato secondo le esigenze del Retailer, il banco si estende per ben 17 m ed è dotato di pannelli di vetri sollevabili. Inoltre, i decori in legno di quercia, in perfetta armonia con gli altri arredi del supermercato, conferiscono un aspetto naturale all’ambiente. I due moduli Rondelle e un’unità self-service per la presentazione di formaggi preconfezionati creano movimento nell’esposizione. Nei 3,75 m dedicati alla carne, Bistrot è proposto con il Dynamic System e una tenda notturna, in grado di mantenere l’umidità costante a valori superiori al 90%, senza dover ricorrere a un umidificatore. Grazie a questa tecnologia, gli alimenti possono rimanere all’interno del banco e possono essere lasciati all’interno del banco durante la notte, a favore di un notevole risparmio di ore lavoro.

MASTER IN COMUNICAZIONE DELLA SCIENZA

Inaugurato al Polo Didattico dell’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano il primo Master Universitario di I Livello in “Comunicazione della Scienza” dell’Università di Torino.

Il Master è un’iniziativa del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche di UniTo ed è aperto a tutti gli indirizzi di laurea triennale.  Si propone, attraverso una formazione teorica e pratica, di creare figure professionali in grado di comunicare in modo efficace ai diversi pubblici interessati alla ricerca e all’innovazione in ambito di scienza e salute, definita, quest’ultima, secondo l’approccio “One Health”, in cui benessere umano, animale e ambientale sono strettamente legati tra loro.

Il Master offre un percorso di formazione alla comunicazione della scienza, teorica e pratica, a 360 gradi. Il programma prevede l’approfondimento e la lettura critica della ricerca nel campo della medicina, della biologia, della scienza ambientale e delle neuroscienze considerati cruciali per chi vuole approfondire il mondo della comunicazione in ambito medico-scientifico. Capire come trattare gli argomenti più attuali e socialmente dibattuti in questi campi, dall’editing genetico nella medicina all’alimentazione, dai vaccini al riscaldamento globale fino al rischio di pandemie, diventa fondamentale per costruire una comunicazione davvero efficace, che non si limiti solo a presentare e discutere le tematiche scientifiche, ma anche a far riflettere sul loro impatto sociale.

SOSTITUTI DELLA

CARNE E FALSI MITI

I sostituti della carne fanno realmente bene a noi e al pianeta?

Il nuovo dossier Nutrimi (Forum di Nutrizione pratica) “I sostituti della carne: dal mito della sostenibilità alla disinformazione nutrizionale”, ha analizzato tecniche produttive, valori nutrizionali e sostenibilità di una categoria di prodotti controversa.

Vi sono delle sostanziali differenze fra i prodotti considerati ‘sostituti’ della carne.

I prodotti noti come meat analogue o plant-based sono quelli realizzati a partire da una matrice proteica vegetale allo scopo di somigliare il più possibile alla carne, sia in termini di consistenza che di sapore.

Per ottenere questo risultato le aziende produttrici ricorrono a una composizione che fin dal primo ingrediente (la proteina vegetale) subisce processi industriali fisici, chimici e meccanici che hanno un impatto sul valore nutrizionale delle fonti vegetali utilizzate, a cui poi si aggiungono lunghe liste di altri ingredienti, tra cui additivi. Dall’analisi risulta che il contenuto di sale e zuccheri presente nella maggior parte dei sostituti della carne risulta superiore rispetto ai corrispettivi di origine animale, mentre è possibile notare un’importante carenza di amminoacidi essenziali, non presenti nelle fonti proteiche di origine vegetale utilizzate.

L’altra categoria in corso di sperimentazione, recentemente affacciatasi sul mercato globale come alternativa alla carne, è la carne artificiale, ottenuta a partire da cellule staminali indotte a moltiplicarsi e a differenziarsi in laboratorio fino ad ottenere un prodotto simile a quello naturale.

L’Italia, così come altri Paesi Europei, ha adottato un approccio cauto nei confronti di quest’ultima tipologia di prodotto, sposando il cosiddetto “principio di precauzione”.

Nonostante questo tipo di prodotti offra la promessa di replicare la carne vera e propria, esistono diverse criticità relativamente al modo in cui questa viene realizzata. La produzione di carne in laboratorio, infatti, necessita di tecnologie non comunemente usate nella produzione di cibo naturale e i cui potenziali rischi sono stati anche identificati in un report della FAO: dalle contaminazioni microbiche alla presenza di sostanze bioattive, senza considerare le biopsie effettuate su animali vivi.

Insomma, il mondo della carne artificiale è ancora ricco di zone d’ombra. Anche il tema della presunta sostenibilità è tutto da rivedere.

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la parola all’esperto

L’UE rivede le linee guida che regolano l’uso di NITRITI e NITRATI come additivi alimentari

Giuseppe L. Pastori - Tecnologo Alimentare

Gli OSA hanno tempo due anni per mettersi in regola con i nuovi limiti ma la UE spinge perché siano attuati il prima possibile

Nell’ottobre 2023 è stato pubblicato il Regolamento (UE) 2023/2108 [1] che modifica l’allegato II del Regolamento (CE) 1333/2008 [2] e l’allegato del Regolamento (UE) 231/2012 [3] per quanto riguarda il contenuto di nitrati e nitriti ammessi come additivi alimentari in alcuni tipi di alimenti, espressamente in formaggi, carni trasformate e pesce. Il nuovo regolamento prevede che il tenore di questi additivi sia ridotto, nel gruppo di alimenti citati, in rapporto ai diversi livelli massimi consentiti e in funzione della diversità dei prodotti e delle condizioni specifiche di processo con cui vengono realizzati.

Rivedere i limiti di nitrati (E 251 – E 252) e nitriti (E 249 – E 250) si è reso necessario in forza del principio di precauzione [4], già definito nell’articolo 191 (ex art. 174) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (UE), il cui scopo è quello di garantire un alto livello di protezione dell’ambiente ma esteso nella pratica - in una accezione più vasta - anche

I nitrati si trovano naturalmente in molti alimenti e in elevate concentrazioni nelle verdure a gambo e foglia, tanto che gli estratti di questi ortaggi per la loro intrinseca proprietà, sono usati comunemente in sostituzione dei conservanti

alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale, grazie a delle prese di posizione preventive in caso di rischio. Il ricorso al principio di precauzione si giustifica quando sopravvengono tre condizioni, ossia: - l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi; - la valutazione dei dati scientifici disponibili; - l’ampiezza dell’incertezza scientifica.

L’obiettivo della Commissione è stato quello di dare “un chiaro segnale all’industria e ai piccoli produttori che è giunto il momento di affrontare le sfide poste dalla presenza di nitriti e nitrati negli alimenti in tutta l’UE e lungo l’intera catena alimentare”

Ancora più chiaro è l’intervento di Stella Kyriakides, Commissaria responsabile per la Salute e la Sicurezza Alimentare: “I nostri cittadini si aspettano la tranquillità che deriva da un consumo sicuro di alimenti e questo è sempre stato un elemento fondamentale del mio man-

dato. Oggi, fissando nuovi limiti per i nitriti e gli additivi a base di nitrati negli alimenti, stiamo compiendo un altro passo in questa direzione e stiamo realizzando un’altra importante azione nell’ambito del piano europeo di lotta contro il cancro. Invito ora l’industria alimentare ad attuare rapidamente queste norme basate sulla scienza e, ove possibile, a ridurle ulteriormente per proteggere la salute dei cittadini”.

Gli allegati del nuovo regolamento contengono anche nuovi limiti sulla presenza di contaminanti tossici come arsenico, piombo e mercurio.

Gli operatori del settore alimentare avranno due anni di tempo per adeguarsi a questi nuovi limiti, a partire dalla data di pubblicazione del regolamento nella Gazzetta Ufficiale del 9 ottobre 2023. Il termine del 9 ottobre 2025 vale per i prodotti a base di carne e pesce, mentre per taluni formaggi potrebbe essere differito anche oltre i 24 mesi, tenuto conto del tempo necessario per la loro ma-

Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

turazione prima dell’immissione sul mercato. Il differimento si rende necessario per consentire agli operatori del settore alimentare, comprese le piccole e medie imprese, di adeguarsi alle nuove condizioni d’uso più severe stabilite dal nuovo regolamento. Tuttavia laddove sia possibile farlo, il Commissario Kyriakides auspica che si possa intervenire prima.

IL PARERE SCIENTIFICO DI EFSA

E LE VALUTAZIONI IN MERITO

ALLA SICUREZZA DEI PRODOTTI

Alla base del nuovo regolamento che fissa limiti più restrittivi c’è un parere scientifico di EFSA, richiesto dalla Commissione in base all’art. 29 del Regolamento (CE) 178/2002, sui rischi per la salute pubblica legati alla presenza di N-nitrosammine (N-NA) negli alimenti [5]. Il rapporto ha preso in esame solo le dieci N-nitrosammine considerate sicuramente cancerogene, valutando i danni potenziali derivati da esse negli animali (e per estensione nell’uomo, in funzione delle diverse età), quantificandone il livello di esposizione dei consumatori europei.

Sulla base della letteratura è noto che i salumi spesso contengono livelli rilevanti di Nnitrosammine dovuti principalmente all’impiego del nitrito come agente conservante e sono influenzati da diversi fattori aggiuntivi come la temperatura, il pH, le condizioni di lavorazione (della materia prima e dello stoccaggio) e la presenza di ammine libere, in particolare le ammine biologiche. Tuttavia le nitrosammine possono essere presenti anche in altri alimenti: le verdure trasformate, i cereali, il latte e i prodotti lattiero-caseari, o gli alimenti fermentati, sottaceto e speziati. La tossicità delle 10 N-nitrosammine analizzate nel rapporto è nota: sono considerate genotossiche perché possono danneggiare

il DNA e diventare causa di diverse forme di tumori. Il panel scientifico di EFSA ha valutato il rischio potenziale dovuto all’effetto tossico delle nitrosammine più dannose correlato all’insorgenza del tumore epatico nei roditori, valutandone il rischio nello scenario peggiore (considerando sia uno scenario con esclusione di carne e pesce cotti non trasformati, sia uno scenario che includeva

I prodotti di carne trasformati rappresentano solo una piccola fonte dell’apporto totale di nitrati e nitriti assunti con l’alimentazione, senza considerare che quasi tutto il nitrato e il nitrito aggiunto ai salumi viene scomposto e convertito in altri composti sicuri

carne e pesce cotti non trasformati), secondo il principio di precauzione. Da qui hanno esteso i risultati ottenuti all’uomo (per similitudine biologica) valutando l’esposizione dei consumatori al danno potenziale causato dalle nitrosammine. La conclusione è che il livello delle nitrosammine, per tutte le fasce d’età della popolazione dell’Unione, desta preoccupazioni per la salute.

Le N-nitrosammine si formano nell’organismo umano in presenza di sali di nitrito e degli ossidi di azoto che fungono da agenti nitrosanti. Tuttavia occorre tenere conto che anche i nitrati, sebbene siano una molecola neutra dal punto di vista alimentare e non influiscano direttamente sul prodotto, essendo un serbatoio per i nitriti che vengono formati da essi nel processo di conversione, possono essere implicati nella formazione di nitrosammine. Inoltre i nitrati si trovano naturalmente in molti alimenti e in elevate concentrazioni nelle verdure a gambo e foglia, come gli spinaci, la lattuga, il sedano e altre ancora, tanto che gli estratti di questi ortaggi (per la loro intrinseca proprietà) sono usati comunemente in sostituzione dei conservanti (per eliminare la dicitura dei numeri E, tra gli additivi) senza perdere la funzione additivante. È interessante notare però che non c’è differenza tra nitrato o nitrito purificato o di origine vegetale: sono esattamente le stesse molecole… solo da fonte diversa. Da un punto di vista obiettivo, a parziale discrimine dell’uso dei nitrati e del nitrito, ai fini della stesura del nuovo regolamento la Commissione ha però considerato che i nitriti svolgono una azione conservante positiva negli alimenti. Sono responsabili del miglioramento molto efficace della qualità e della sicurezza, soprattutto nelle carni trasformate dove intervengono ad inibire totalmente la presenza del Clostridium botulinum e contrastano fortemente la crescita di altri batteri patogeni come Salmonella, Clostridium perfringens e Listeria monocytogenes. Inoltre aiutano a fissare il colore delle carni rendendo stabile il composto nitrosomioglobina che formano con la mioglobina e contribuiscono anche nella formazione dell’aroma. Nitrati e nitriti si usano da secoli, furono trovati per caso nel sale e presto ci si rese conto che (insieme con il sale) aiutavano a prolungare la durata di conservazione della carne, prevenendo l’irrancidimento e controllando la crescita dei batteri. Oggi nitrati e nitriti purificati vengono prodotti commercialmente per molti usi, dai fertilizzanti a una varietà di

la parola all’esperto

alimenti come salumi e formaggi, tuttavia esiste molta confusione sulla provenienza effettiva della nostra assunzione di nitrati e nitriti.

Le principali fonti di queste sostanze derivano dalle verdure a foglia (quasi tutte le verdure accumulano nitrati a causa dell’assorbimento di azoto nel terreno durante la crescita): quasi l’80% dei nitrati che assumiamo proviene dal consumo di verdure. Anche l’acqua, sebbene contenga piccole quantità di nitrati e nitriti, e a seconda della quantità che se ne beve, può costituire una fonte importante. Infine i prodotti di carne trasformati rappresentano solo una piccola fonte dell’apporto totale di nitrati e nitriti assunti con l’alimentazione, senza considerare che quasi tutto il nitrato e il nitrito aggiunto ai salumi viene scomposto e convertito in altri composti sicuri. Se nelle verdure a foglia si possono trovare concentrazioni di nitrati fino all’1% e anche più, i livelli di nitriti e nitrati presenti nei salumi al momento dell’acquisto in negozio sono solitamente compresi tra 0,00002 e 0,004%.

È poi ulteriormente noto che l’aggiunta di sostanze antiossidanti come la vitamina C (l’acido ascorbico - E 300 o il suo sale ascorbato - E 301), l’acido eritorbico o il suo sale (E 315/E 316) e anche i citrati (E 330), possono ridurre la presenza dei nitriti liberi, favorendo la conversione chimica del nitrito in ossido nitrico e impedendo la formazione di

Nel corso di diversi anni sono stati condotti studi che hanno evidenziato che nella maggior parte degli Stati membri si utilizzano tenori di nitriti e nitrati nell’industria inferiori a quelli massimi stabiliti nel regolamento (CE) 1333/2008

nitrosammine: per questo gli antiossidanti vengono aggiunti abitualmente nelle formulazioni dei prodotti a base di carne (tuttavia, a sua volta – secondo gli scienziati di EFSA, l’ossido nitrico potrebbe promuovere altri tipi di reazioni, con formazione di composti potenzialmente tossici).

Nei salumi da sottoporre a cottura (prosciutto cotto, mortadella, ecc.) è inoltre vietata l’aggiunta di nitrati che quindi non fungono da potenziale fonte di nitriti aggiuntivi disponibili per la reazione di nitrosammine. Se non si fa attenzione, un rischio per la salute umana può derivare invece dalla presenza di livelli elevati di nitriti negli alimenti ad alto contenuto proteico esposti a cotture ad alta temperatura (>150°C) che contribuiscono a

1La Dose Giornaliera Ammissibile è la stima della quantità di una sostanza presente negli alimenti o nell’acqua potabile che può essere assunta per tutta la vita senza rischi apprezzabili per la salute. In genere è espressa in milligrammi della sostanza per chilogrammo di peso corporeo e si applica a sostanze chimiche come additivi alimentari, residui di pesticidi e farmaci veterinari.

formare quantità piccole di nitrosammine: per questo in prodotti da sottoporre a cottura elevata è richiesta una presenza inferiore di nitriti.

Decenni di ricerche hanno anche dimostrato che quando i nitrati e i nitriti vengono usati con attenzione, secondo i livelli prescritti e regolati anche fino ad oggi dalla UE, questi additivi sono completamente sicuri e non comportano alcun rischio per la salute umana. A questo risultato era giunto anche un altro panel di EFSA, che nel 2017 aveva giudicato sicure le quantità massime d’uso prescritte di nitrati (E 251 – E 252) e nitriti (E 249 – E 250) [6,7].

Le dosi giornaliere ammissibili (DGA)1 per il nitrito (espresse come ione nitrito, non come sale) sono di 0,07 mg/kg di peso corporeo al giorno (mg/kg pc/die), mentre per il nitrato la DGA è fissata a 3,7 mg/ kg pc/die. I nitriti usati finora come additivi rappresentano il 17% dell’esposizione complessiva ai nitriti; analogamente l’esposizione dei consumatori al nitrato proveniente dagli additivi è inferiore al 5% dell’esposizione complessiva a tutti i nitrati presenti negli alimenti e nell’acqua. Entrambi questi indici se rapportati agli additivi non superano i livelli di sicurezza rappresentati dalle DGA. Tuttavia se tutte le fonti di esposizione alimentare (additivi alimentari, presenza naturale e contaminazione) fossero prese in considerazione nel loro insieme,

la parola all’esperto 12 MAR-APR 2024

la DGA sarebbe superata nei lattanti, nei bambini piccoli e nei bambini mediamente esposti e nelle persone di tutte le fasce d’età più altamente esposte. Poiché oggi l’EFSA conclude che non è possibile distinguere chiaramente le nitrosammine prodotte dal nitrito aggiunto come additivo alimentare da quelle formate a partire dal nitrito presente negli alimenti naturalmente o a seguito di contaminazione, questo pone un livello di attenzione che non va sottovalutato.

Nella sua relazione EFSA fa notare infine che esiste una relazione tra nitroso-composti preformati associati ad un aumento del rischio di cancro al colon-retto e del cancro gastrico. Conferma che ci sono elementi per collegare la combinazione d’uso di nitrati e nitriti della carne lavorata al cancro del colon, in linea con la conclusione del rapporto IARC [8].

ALTRE

CONSIDERAZIONI

A FAVORE

DELLA RIDUZIONE

DEI NITRATI E NITRITI

COME ADDITIVI

ALIMENTARI

A quanto detto finora, possiamo aggiungere le seguenti considerazioni.

1. I livelli massimi di nitriti (E 249 – E 250) e nitrati (E 251 – E 252) negli alimenti attualmente stabiliti nel regolamento (CE) n. 1333/2008 si basano sui pareri dei comitati scientifici dell’alimentazione umana del 1990 e del 1995, nonché sul parere EFSA del 26 novembre 2003 [9].

Nel 2014 la Commissione aveva portato avanti uno studio per verificare l’attuazione da parte degli Stati membri della normativa dell’Unione in materia di nitriti. Dallo studio è risultato che, salvo alcune eccezioni, di norma la dose di nitriti aggiunti ai prodotti a base di carne non sterilizzati è inferiore al livello massimo stabilito dall’Unione: quindi esistevano i presupposti per valutare la possibilità di un riesame degli attuali livelli massimi di nitriti

per ridurre ulteriormente l’esposizione a tali additivi alimentari. Anche uno studio del 2016, relativo all’impiego da parte dell’industria dei nitriti in diverse categorie di prodotti

a base di carne, è giunto alla conclusione che era opportuno abbassare gli attuali livelli massimi dei nitriti autorizzati dalla legislazione dell’Unione.

2. Nei prodotti a base di carne biologici, secondo il Regolamento di esecuzione (UE) 2021/1165 [10], sono autorizzati l’uso del nitrito di sodio (E 250) e del nitrato di potassio (E 252) a livelli massimi inferiori rispetto a quelli stabiliti nel Regolamento (CE) 1333/2008. I nuovi limiti riducono approssimativamente il livello di nitriti e nitrati, come additivi alimentari, del 20% circa

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3. Con la Decisione (UE) 2021/741 della Commissione [11], è stata accolta la richiesta del Regno di Danimarca di mantenere per un periodo limitato di tre anni, disposizioni nazionali più severe sull’aggiunta di nitriti ai prodotti a base di carne. Per alcuni di questi, le disposizioni nazionali danesi mantengono livelli massimi di nitriti inferiori a quelli stabiliti nel regolamento (CE) n. 1333/2008 e non consentono l’immissione sul mercato di prodotti per i quali possono essere stabiliti solo livelli residui massimi.

La Danimarca riconosce diversi livelli a seconda dei prodotti in questione che sono più bassi dei limiti massimi previsti dal Regolamento (CE) 1333/2008. Nella maggior parte dei prodotti a base di carne applica un livello massimo di nitriti di 60 mg/kg. Per i salami fermentati la quantità totale è di 100 mg/kg. La Danimarca ha dato sostegno alle sue tesi affermando che questi limiti nazionali sono in vigore da molti anni e da prima che venissero prese disposizioni dall’Unione. Tali limiti per la Danimarca garantiscono adeguata sicurezza sull’esposizione ai nitriti, sulla prevalenza del botulino e sulla formazione di nitrosammine. Osserva che una minore quantità di nitriti riduce il rischio di formazione di nitrosammine e che nella popolazione danese l’assunzione di nitriti dalla carne trasformata è ben al di sotto dei valori di DGA segnalati.

I NUOVI LIMITI IN VIGORE

In considerazione di quanto già riportato, la Commissione ha ritenuto opportuno ridurre le dosi massime di nitriti e nitrati che possono essere aggiunte come additivi

negli alimenti: da un lato è intervenuta per ridurre al minimo il rischio di formazione delle nitrosammine derivate dalla presenza di nitriti e nitrati negli alimenti, dall’altro ha voluto mantenere gli effetti protettivi contro la moltiplicazione dei batteri e in particolare del C. botulinum responsabile della malattia botulinica e garantire la sicurezza alimentare. Nel redigere il nuovo regolamento (UE) 2023/2108, approvato da tutti gli Stati membri, la Commissione ha tenuto conto che:

- è noto che la presenza di nitriti e nitrati negli alimenti può determinare la formazione di nitrosammine, alcune delle quali sono cancerogene;

- gli attuali limiti si basano su pareri scientifici definiti molti anni fa;

- i conservanti vengono utilizzati per garantire, associati ad altri fattori, la conservazione e la sicurezza microbiologica degli alimenti, in particolare l’inibizione del C. botulinum nei prodotti a base di carne, di pesce e dei prodotti caseari, e che, nello stesso tempo, contribuiscono alle loro caratteristiche proprietà organolettiche;

- nel corso di diversi anni sono stati condotti studi che hanno evidenziato che nella maggior parte degli Stati membri si utilizzano tenori di nitriti e nitrati nell’industria inferiori a quelli massimi stabiliti nel regolamento (CE) 1333/2008;

- nei prodotti a base di carne di produzione biologica si utilizzano già tenori ridotti di nitriti e nitrati e si è acquisita sufficiente esperienza, lavorando in maniera igienica e controllata per garantire la salubrità e la sicurezza degli alimenti;

- la Danimarca adotta da molti anni disposizioni nazionali più restrittive per l’uso dei nitriti nei prodotti a base di carne e la sua esperienza è consolidata;

Grazie alla riduzione dei nitrati e dei nitriti come additivi conservanti, si potrà continuare a garantire una maggiore sicurezza alimentare sotto il profilo microbiologico volto a inibire la crescita del C. botulinum e alla riduzione del rischio di formazione ed esposizione alle nitrosammine

- sono state coinvolte in un’ampia consultazione le organizzazioni che rappresentano gli operatori del settore alimentare, i consumatori e gli esperti delle autorità competenti degli Stati membri;

- secondo il rapporto di EFSA inoltre non si può considerare solo l’apporto dei nitriti e dei nitrati come additivi in linea con le

14 MAR-APR 2024

Allo stato attuale ci sono alcune lacune nelle conoscenze circa la presenza di nitrosammine in specifiche categorie di alimenti. Per questo una dieta bilanciata con la più ampia varietà possibile di alimenti potrebbe aiutare i consumatori a ridurre l’assunzione di nitrosammine

DGA. Infatti se si prende in esame l’apporto di nitriti nel loro complesso le DGA vengono superate, poiché non è possibile quantificare l’esposizione alle nitrosammine esogene distinguendo chiaramente le nitrosammine prodotte dal nitrito aggiunto come additivo da quelle formate dal nitrito presente negli alimenti naturali o in seguito a contaminazione.

Nel nuovo regolamento i livelli di nitriti e nitrati riveduti sono espressi rispettivamente come ione nitrito e ione nitrato, in linea con le DGA stabilite da EFSA. I fattori di conversione sono 0,67 tra nitrito di sodio e ione nitrito e 0,73 tra nitrato di sodio e ione nitrato.

I nuovi limiti riducono approssimativamente il livello di nitriti e nitrati, come additivi alimentari, del 20% circa. Tengono conto delle specificità di lavorazione dei diversi prodotti in uso nei vari Paesi dell’Unione: se per i formaggi la riduzione degli additivi conservanti è abbastanza semplice, per i prodotti a base di carne è un po’ più complessa perché la variabilità nelle produzioni è maggiore.

Le nuove quantità massime – che possono essere introdotte dopo un periodo di transizione che è stabilito in due anni (tre anni per i formaggi da stagionare), per permettere ai produttori di adeguare le ricette ed esaurire le scorte prodotte con i vecchi dosaggi –sono le seguenti:

- per i formaggi la cui tecnologia di lavorazione prevede l’utilizzo di nitrati in funzione antimicrobica e per prevenire il gonfiore: da 150 mg/kg a 75 mg/kg di nitrato;

- per i derivati della carne prodotti cotti che sono sottoposti a processi di sterilizzazione: da 100 mg/kg a 55 mg/kg di nitrito;

- per i prodotti cotti non sterilizzati ma solo pastorizzati e/o cotti, il tenore di nitrito passa da 150 mg/kg a 80 mg/kg;

- per i prodotti a base di carne cruda e da stagionare: nitriti da 150mg/kg a 80 mg/ kg; nitrati da 150 mg/kg a 90 mg/kg (fanno eccezione solo grandi tagli di prima scelta di bacon e salsicce essiccate senza aggiunta di nitriti che possono avere un tenore di nitrati di 110 mg/kg);

- per i prodotti di carne stagionati salati a secco: nitriti da 100 mg/kg a 65 mg/kg; nitrati da 250 mg/kg a 150mg/kg;

- per altri prodotti tradizionali sono previste riduzioni che tengono conto di spe -

cifiche dei diversi Paesi che compongono l’Unione e che in alcuni casi possono arrivare anche al 40% in meno rispetto ai vecchi parametri (si rimanda al documento per vedere tutte le specifiche). In alcune specifiche è riportata anche una nota con la dose residua massima da tutte le fonti per il prodotto pronto per la commercializzazione, per l’intera durata del suo periodo di conservazione, che non deve superare determinati livelli espressi in ioni NO2 oppure NO3

CONCLUSIONI

Il nuovo regolamento europeo n. 2021/2108 rappresenta un importante passo avanti nella tutela della salute dei consumatori. Grazie alla riduzione dei nitrati e dei nitriti come additivi conservanti, si potrà continuare a garantire una maggiore sicurezza alimentare sotto il profilo microbiologico volto a inibire la crescita del C. botulinum e alla riduzione del rischio di formazione ed esposizione alle nitrosammine. Tutto ciò grazie alle esperienze già maturate nelle produzioni biologiche

e a quella della Danimarca che, in deroga al regolamento (CE) 1333/2008, impiegano già un minore tenore di nitriti e nitrati. EFSA da parte sua ha certificato che effettivamente la presenza di nitrito come additivo può indurre la formazione di N-nitrosammine, alcune talmente pericolose che sono già state identificate come in grado di indurre la formazione di alcune tipologie di cancro o danneggiare la molecola di DNA, in linea con le evidenze di altri studi. Risulta altrettanto chiaro, soprattutto dall’esperienza danese, che una minore quantità di nitrito utilizzata come conservante sia mantenuta al minimo richiesto per ottenere l’effetto conservante necessario a garantire la sicurezza microbiologica, ma comporta un minore rischio potenziale di formazione delle N-nitrosammine. Altre misure di mitigazione che potrebbero essere prese in considerazione sono l’uso obbligatorio di acido ascorbico/ ascorbato o acido eritorbico/eritorbato nei prodotti di salumeria a base di nitrito, potenzialmente a livelli più alti di quelli consentiti dalla legislazione attuale. Un altro approccio per minimizzare l’effetto del nitrito è quello di osservare le migliori pratiche di produzione, la gestione igienica delle materie prime e la pastorizzazione dei prodotti cotti, che possono ridurre la presenza di nitroso-composti potenzialmente tossici.

la parola all’esperto 15 MAR-APR 2024

I nuovi limiti più severi tengono conto della diversità dei prodotti e delle loro condizioni di produzione all’interno dell’UE. Danno un chiaro segnale all’industria e ai piccoli produttori che è giunto il momento di affrontare le sfide poste dalla presenza di nitriti e nitrati negli alimenti in tutta l’UE e lungo l’intera catena alimentare

Tuttavia EFSA riconosce che il gruppo alimentare più importante che contribuisce all’esposizione alle nitrosammine è costituito dalla carne e dai prodotti a base di carne, perché questi sono stati gli alimenti più studiati. Le nitrosammine possono essere presenti anche in altri alimenti: le verdure trasformate, i cereali, il latte e i prodotti lattiero-caseari, mentre concentrazioni di nitrato e nitrito possono essere abbondanti anche nelle verdure a foglia e nell’acqua che assumiamo. E non può essere un caso che la Commissione abbia introdotto lo scorso anno anche il regolamento (UE) n. 2023/915 [12] relativo ai tenori massimi di alcuni contaminanti, considerando il nitrato nelle verdure come un contaminante e rivedendo le concentrazioni massime ammesse per il consumo. Allo stato attuale ci sono alcune lacune nelle conoscenze circa la presenza di nitrosammine in specifiche categorie di alimenti. Per questo una dieta bilanciata con la più ampia varietà possibile di alimenti potrebbe aiutare i consumatori a ridurre l’assunzione di nitrosammine. Ci si attende di approfondire di più la ricerca e migliorare la raccolta dei dati riguardanti il latte materno e gli alimenti trasformati diversi dalle carni lavorate, come ad esempio le carni crude, le verdure, i cereali, i prodotti lattiero-caseari, gli alimenti fermentati, le conserve sott’olio, i cibi speziati, ecc. Inoltre, è necessario condurre studi

epidemiologici più accurati, considerando adeguatamente i possibili fattori confondenti come l’uso di farmaci, l’assunzione di alcol e altre sostanze chimiche cancerogene tramite l’alimentazione, l’esposizione professionale e il fumo.

Esistono anche aspetti scientifici controversi riguardo il fatto che nitriti e nitrati possano avere benefici sulla salute. Ciò è stato reso evidente dalla ricerca scientifica in campo medico che ha dimostrato che il nitrito è anche una molecola fondamentale per il mantenimento della salute umana [13]: interviene infatti nella produzione di ossido nitrico che agisce da vasodilatatore nel controllo della pressione sanguigna, accelerando la guarigione delle ferite, prevenendo danni cerebrali a seguito di ictus e altro. Il nostro organismo produce ossido nitrico per via enzimatica tramite l’arginina e, quando que -

BIBLIOGRAFIA

sta reazione non è disponibile, anche per via metabolica in quella che è conosciuta come circolazione entero-salivare a partire dalla disponibilità di nitrito (e nitrato) [14]. Un altro studio ha dimostrato che il nitrito, dopo la sua ingestione e miscelazione con l’acido gastrico, è un potente agente batteriostatico e/o battericida e che il nitrato ingerito è responsabile di gran parte del nitrito ingerito. È stato dimostrato che il nitrito acidificato è battericida per i batteri patogeni gastrointestinali, orali e cutanei [15].

In ogni caso i nuovi limiti più severi tengono conto della diversità dei prodotti e delle loro condizioni di produzione all’interno dell’UE. Danno un chiaro segnale all’industria e ai piccoli produttori che è giunto il momento di affrontare le sfide poste dalla presenza di nitriti e nitrati negli alimenti in tutta l’UE e lungo l’intera catena alimentare.

La tutela della salute dei consumatori è quindi al centro di questo nuovo regolamento, che mira a promuovere un’alimentazione sana e sicura per tutti.

Gli operatori del settore alimentare avranno ora due anni per adattarsi a questi nuovi limiti.

1. Regolamento (UE) 2023/2108 della Commissione, del 6 ottobre 2023, che modifica l’allegato II del regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio e l’allegato del regolamento (UE) n. 231/2012 della Commissione per quanto riguarda gli additivi alimentari nitriti (E 249-250) e nitrati (E 251-252). GU L, 2023/2108, 09.10.2023

2. Regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativo agli additivi alimentari. GU L 354 del 31.12.2008, pagg. 16-33

3. Regolamento (UE) n. 231/2012 della Commissione, del 9 marzo 2012, che stabilisce le specifiche degli additivi alimentari elencati negli allegati II e III del regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio. GU L 83 del 22.3.2012, pagg. 1-295

4. Commissione delle Comunità europee. Direzione generale per la Salute e i consumatori, SANCO (2000). Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione. (COM(2000) 1 final)

5. EFSA (2023). Risk assessment of N-nitrosamines in food. EFSA Journal 2023; 21(3):7884.

6. EFSA (2017). Re-evaluation of potassium nitrite (E 249) and sodium nitrite (E 250) as food additives. EFSA Journal 2017;15(6): 4786

7. EFSA (2017). Re-evaluation of sodium nitrate (E 251) and potassium nitrate (E 252) as food additives. EFSA Journal 2017;15(6):4787.

8. IARC Monographs Volume 114: Evaluation of consumption of red meat and processed meat.

9. EFSA (2003). Opinion of the Scientific Panel on biological hazards (BIOHAZ) related to the effects of Nitrites/Nitrates on the Microbiological Safety of Meat Products. EFSA Journal 2003 14, 1-31, https://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/14

10. Regolamento di esecuzione (UE) 2021/1165 della Commissione, del 15 luglio 2021, che autorizza l’utilizzo di taluni prodotti e sostanze nella produzione biologica e stabilisce i relativi elenchi. GU L 253 del 16.7.2021, pag. 13-48.

11. Decisione (UE) 2021/741 della Commissione, del 5 maggio 2021, relativa alle disposizioni nazionali notificate dalla Danimarca concernenti l’aggiunta di nitriti ad alcuni prodotti a base di carne. GU L 159 del 6.5.2021, pagg. 13-22

12. Regolamento (UE) 2023/915 della Commissione del 25 aprile 2023 relativo ai tenori massimi di alcuni contaminanti negli alimenti e che abroga il regolamento (CE) n. 1881/2006. GU L 119 del 5.5.2023, pagg. 103-157

13. Karwowska M., Kononiuk A. (2020). Nitrates/Nitrites in Food—Risk for Nitrosative Stress and Benefits. Antioxidants, 9, 241. https://doi.org/10.3390/antiox9030241

14. Sindelar J.J., Milkowski A.L. (2012). Human safety controversies surrounding nitrate and nitrite in the diet. Nitric Oxide, 26(4), 259-266. Elsevier Inc. https://doi.org/10.1016/j.niox.2012.03.011

15. Archer D.L. (2002). Evidence that ingested nitrate and nitrite are beneficial to health. J. Food. Prot., Vol. 65(5): 872-875. https://doi.org/10.4315/0362-028X-65.5.872

la parola all’esperto 16 MAR-APR 2024

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Cottura ad alta temperatura: analisi dei pericoli e azioni per la mitigazione

Composizione dell’alimento, tipo e durata del trattamento termico, presenza di ingredienti e precursori sono i fattori chiave che compongono uno scenario complesso: la cottura riduce i pericoli biologici ma può essere responsabile di rischi per la salute se non praticata correttamente

Da centinaia di migliaia di anni l’uomo cucina gli alimenti per migliorarne la digeribilità e modificarne le proprietà sensoriali. La cottura è certamente uno dei metodi per ridurre i pericoli biologici, ma può anche essere responsabile della formazione di pericoli chimici che possono costituire un rischio per la salute del consumatore e dell’operatore. Per alcuni composti contaminanti che si possono formare anche a seguito di

trattamenti termici sono stati stabiliti dei limiti di legge o delle misure di mitigazione. Dove non ancora esistenti delle indicazioni normative, l’obiettivo è comunque quello di prevenire o ridurre al minimo la loro presenza attuando delle opportune strategie. I composti sono diversi per caratteristiche chimiche e meccanismi di formazione e le ricerche sono continue. Gli scenari sono complessi, composizione dell’alimento, tipo e durata del trattamento termico, presenza di ingredienti e precursori, sono tra i nume -

rosi fattori condizionanti oggetto di studio. Tra i vari composti (Figura 1) si ricordano gli idrocarburi policiclici aromatici (Polycyclic Aromatic Hydrocarbons, PAH) e la amine eterocicliche aromatiche (Heterocyclic Aromatic Amines, HAA). Per ragioni di sintesi quanto di seguito descritto si focalizzerà soprattutto su carne e pesce cotti alla griglia o barbecue in quanto l’alta temperatura è uno dei fattori che ne favorisce la formazione. Si precisa però che anche altre modalità di cottura e trattamenti termici (es. frittura, tostatura)

termici. Si precisa che la formazione di alcuni di essi avviene anche in altri processi di preparazione e di conservazione

Furano

2- e 3-metilfurani

Acrilammide

Prodotti ossidazione lipidica

Nitrosammine

Idrocarburi policiclici aromatici

Prodotti ossidazione proteica

Amine eterocicliche aromatiche

18 MAR-APR 2024
Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie Stefania Balzan, Dip. Biomedicina Comparata e Alimentazione - Università degli Studi di Padova; Alessio Mencarelli, Rosa Greco, Stefano Grigolato, Dip. Territorio e Sistemi Agro-Forestali - Università degli Studi di Padova
sicurezza alimentare
Figura 1 Esempi di composti d'interesse per i possibili effetti avversi sulla salute, che si sviluppano a seguito di trattamenti

possono essere interessate dallo sviluppo di composti di neo-formazione di varia natura (es. acrilammide).

IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI

Gli PAH sono un gruppo di oltre 200 composti organici costituiti da due o più anelli aromatici fusi. Tra i PAH il benzo(a)pyrene è stato classificato dallo IARC come cancerogeno per l’uomo (Gruppo 1), altri sono invece stati identificati come probabili (Gruppo 2A) o possibili cancerogeni (Gruppo 2B). Derivano da fonti naturali (es. vulcani), ma la combustione incompleta e la pirolisi delle sostanze organiche durante numerose attività umane sono le principali fonti ambientali. Possono quindi essere presenti negli alimenti crudi (sia di origine animale sia vegetale) derivanti da ambienti contaminati, o a seguito della cottura ad alte temperature o trattamenti di affumicatura. Anche se i meccanismi di formazione non sono completamente chiariti, la pirolisi di composti organici come carboidrati, grassi e proteine rappresenta la via principale. Possono anche formarsi a seguito della combustione incompleta della carbonella utilizzata nella cottura e contaminare l’alimento quando investito dal fumo. A causa del loro carattere lipofilo tendono ad accumularsi negli alimenti (Bulanda e Janoszka, 2022; Jameson, 2019) e i tenori massimi, intesi come benzo(a)pirene e somma di benzo(a) pirene, benzo(a) antracene, benzo(b)fluorantene e crisene sono normati dal Reg. (UE) n. 915/2023.

AMINE ETEROCICLICHE

AROMATICHE

Sono composti organici dell’azoto costituiti da due o tre anelli condensati, di cui uno aromatico e gli altri eterociclici. A seconda della loro temperatura di formazione le HAA vengono classificate in due gruppi: polari (dette anche termiche), che si formano tra 100 e 250 °C (temperature tipiche della cottura) e non polari (dette anche pirolitiche). Le HAA polari si formano secondo la reazione di Maillard, a partire da amminoacidi, zuccheri riducenti e creatina. Le HAA non polari sono il risultato della decomposizione termica del triptofano e dell’acido glutammico (Ali Khan et al., 2022; Bulanda e Janoszka, 2022). Lo IARC (2015) ha classificato le HAA sia come possibili cancerogeni (MeIQ, PhIP, AaC, and MeAaC) sia come probabili cancerogeni per l’uomo (IQ).

FATTORI CHIAVE E STRATEGIE

DI MITIGAZIONE

Per la popolazione non fumatrice la dieta è

la principale fonte di esposizione (circa 90%) ai suddetti composti chimici e, considerato il loro potenziale impatto sulla salute, è importante ridurre il rischio correlato all’assunzione di alimenti.

GRIGLIA E BARBECUE:

IL PROBLEMA IN SINTESI

Questi tipi di cottura espongono l’alimento a temperature > 200°C e, in assenza di barriera, anche al fumo che deriva dalla sorgente del calore (es. carbonella) e che rappresenta una fonte di PAH e HAA. Un altro fattore chiave è il gocciolamento della frazione liquida proveniente dall’alimento che durante la cottura può colpire la sorgente di calore. La composizione dei succhi di cottura varia in funzione dell’alimento, ma è principalmente data da acqua e grasso (anche derivante da marinature particolarmente ricche in olio); il grasso, in presenza di alte temperature, oltra a fenomeni ossidativi, può andare incontro a combustione incompleta o pirolisi con formazione di particolato, PAH, aldeidi e altri composti che ritornano sull’alimento attraverso il fumo. Anche la composizione dell’alimento diventa quindi uno dei fattori determinanti: uno studio, in cui porzioni di manzo e salmone sono state grigliate nelle medesime condizioni, ha evidenziato concentrazione più elevate di PAH nei campioni di salmone a causa del maggior contenuto in grasso e del conseguente gocciolamento (Oliveira et al., 2021). In presenza di carbone, il grasso che colpisce la sorgente di calore determina la formazione di fiamme che possono investire e bruciare l’alimento (oltre ad aumentarne

la temperatura superficiale) e contribuisce a sviluppare fumo che determina il trasferimento di PAH e HAA sul prodotto in cottura (Viegas et al., 2012). Inoltre i fumi possono essere inalati dall’operatore e contribuire alle emissioni in ambiente (Mencarelli et al., 2023). Il grasso è anche un efficiente agente di trasferimento del calore, quindi un contenuto più elevato può comportare, in tempi più brevi, il raggiungimento di temperature superficiali elevate con maggior formazione di HAA, come osservato da alcuni autori (Ali Khan et al., 2022) durante la cottura alla griglia di salmone e sgombro. Infine, sebbene non sia ancora chiaro il meccanismo, il grasso sembra avere un ruolo importante anche nella genesi di tali compositi, probabilmente per la formazione di radicali liberi a seguito della sua ossidazione (Ali Khan et al., 2022; Oz e Kotan; 2016).

sicurezza alimentare

GESTIONE DELLA COTTURA:

ALCUNE INDICAZIONI

Data l’importanza della temperatura nello sviluppo di diversi composti, una precottura in forno a microonde o a vapore riduce la formazione degli PHA cangerogeni e delle HAA come evidenziato in studi condotti su carni di manzo e pollo. Questo probabilmente per due fattori principali: la riduzione della presenza di precursori delle HAA (creatinina, amminoacidi, glucosio) e la perdita di acqua che si verifica durante la precottura che limita la migrazione dei precursori verso la superficie del prodotto e lo sviluppo delle reazioni. Anche il rivoltamento frequente della carne posizionata sulla griglia aiuta a contrastare la formazione di composti, verosimilmente per una salita più graduale della temperatura (Ali Khan et al., 2022). Particolare attenzione deve però essere posta per i tagli più grassi adottando dove possibile delle soluzioni per evitare il gocciolamento, come l’utilizzo di dispositivi adeguati, la rimozione delle parti più grasse prima della cottura o la protezione dell’alimento in cottura con materiali adeguati (wrapping) in modo da limitare l’assunzione di composti di neoformazione (Chiang et al., 2020; Farhadian et al., 2011). A tal proposito anche effettuare cotture successive utilizzando la carbonella già impregnata di grasso comporta una maggior concentrazione nell’alimento di HAA e PAH che si sono accumulati precedentemente nel combustibile impiegato (Viegas et al., 2012).

SCELTA DEL COMBUSTIBILE

In commercio esistono dispositivi per la cottura ad alte temperature che possono essere alimentati a gas, a legna, con carbonella o elettrici che, oltre a impartire all’alimento caratteristiche organolettiche diverse, sono caratterizzati anche da emissioni differenti. I fumi che si generano durante i trattamenti termici possono contenere numerosi composti, tra cui materiale particolato (PM), metalli pesanti, anidride carbonica (CO2), monossido di carbonio (CO), HAA, PAH, aldeidi

e altri composti organici volatili (VOC), le cui quantità possono aumentare in presenza dell’alimento.

Le caratteristiche compositive e le specie botaniche da cui derivano legna e carbonella e prodotti a base di carbonella sono diverse. Alcuni studi hanno evidenziato che le carbonelle impregnate (fast lighting charcoal) sono caratterizzate da maggiori valori di PAH e PM rispetto alla carbonella (lump charcoal); i bricchetti in taluni casi sono invece responsabili di maggiori emissioni di CO. Gli autori sono concordi nell’affermare che la composizione chimica e la presenza di contaminanti determinano in modo importante l’entità delle emissioni. L’uso di dispositivi elettrici o a gas comporta emissioni più contenute rispetto ai precedenti, grazie alla combustione completa e al mantenimento di una temperatura più stabile, altro fattore che può agire sulla formazione dei composti (Mencarelli et al., 2023; Lee et al., 2016). In presenza di alimento le emissione possono variare in base alle caratteristiche dello stesso e al tipo

sicurezza alimentare 20 MAR-APR 2024

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IGIENE e SICUREZZA: monitoraggio, strumenti di controllo, normative

A cura della redazione con la collaborazione del Dott. Giuseppe L. Pastori – Tecnologo Alimentare)

Quando si parla di igiene della produzione ci si riferisce a tutte le misure e le condizioni necessarie per controllare i rischi e garantire l’idoneità di un prodotto rispetto alla sua destinazione d’uso. L’obiettivo è quello di proteggere la salute umana e di fornire ai consumatori prodotti alimentari, cosmetici, farmaceutici o di altro genere che siano sicuri, conformi alle specifiche di produzione e agli standard definiti per ciascuna tipologia merceologica.

Nel contesto specifico dell’industria alimentare, ad esempio, l’applicazione di regole di igiene ha lo scopo di impedire l’introduzione di batteri o altre contaminazioni di tipo fisico e chimico nei processi di produzione. Ciò

può includere l’uso di indumenti protettivi, l’implementazione di una corretta gestione dei rifiuti, prassi per la pulizia e disinfezione e temperature corrette per lo stoccaggio dei cibi. Lo stesso principio si applica ad altri processi di produzione industriale, come quella di farmaci, di cosmetici, dei dispositivi medici, dove contaminazioni potrebbero portare a gravi conseguenze per la salute dei consumatori.

L’igiene alimentare è soggetta a un insieme di norme e regole (comprese le ben note GHP e GMP, cioè le buone pratiche di igiene e produzione) che devono essere applicate durante il processo di produzione, conservazione e consumazione degli alimenti per garantirne la sicurezza e la salubrità. Detto questo, esistono differenze sostanziali

tra l’igiene e il controllo a livello industriale rispetto a quello domestico, principalmente dovute alla scala di produzione e ai possibili rischi associati.

In ambito industriale, l’igiene e il controllo devono essere molto più rigorosi e sistematici. Questo perché il volume di produzione è sia elevato che standardizzato, il che significa che un singolo mancato controllo e difformità dallo standard o un contaminante di qualunque natura potrebbe avere un impatto su larga scala. Inoltre, a livello industriale ci sono una serie di standard e normative legali chiaramente stabilite da autorità nazionali, europee e organizzazioni intergovernative istituite da FAO e l’OMS (che gestiscono il Codex Alimentarius) che raggruppano i principi alla base della gestione e del monitoraggio del sistema di qualità e igiene a cui tutte le aziende devono fare riferimento.

A livello industriale, tra l’altro, le pratiche di igiene comprendono la pulizia e disinfezione regolare dei macchinari e delle attrezzature, la formazione del personale sui protocolli di igiene, il monitoraggio delle condizioni di conservazione e trasporto. I processi e requisiti di igiene possono anche variare a seconda del tipo di prodotto o settore ma tutti devono rispondere ai medesimi protocolli che sono identificati e definiti dall’applicazione dell’HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point), introdotto da specifici regolamenti e adottato a livello internazionale come l’approccio più efficace per la gestione

23 MAR-APR 2024
dossier: igiene e sicurezza

COS’È IL CODEX ALIMENTARIUS?

Il Codex Alimentarius è una collezione di standard internazionalmente riconosciuti, codici di pratica, linee guida e altre raccomandazioni relative ai cibi e alla produzione alimentare. Questo insieme di protocolli è stato ideato per proteggere la salute dei consumatori, promuovere le pratiche alimentari eque a livello mondiale e facilitare il libero scambio internazionale di cibi sicuri e di elevata qualità.

È gestito dalla Commissione del Codex Alimentarius, un’organizzazione intergovernativa istituita dall’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) delle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Istituita nel 1963, la Commissione è composta da rappresentanti di più di 180 Paesi ed è responsabile dello sviluppo e della manutenzione degli standard del Codex Alimentarius.

Il Codex offre una struttura normativa per risolvere le dispute commerciali legate alla sicurezza alimentare e alla protezione dei consumatori tra nazioni diverse. I suoi standard rappresentano un punto di riferimento a livello mondiale, una guida per la produzione di prodotti sicuri, sani e puliti. Tali norme coprono tutti i principali gruppi di alimenti, che comprendono quantità standardizzate di diversi nutrienti, additivi alimentari, residui di pesticidi, limiti massimi per la contaminazione microbica e fisica, e metodi di analisi e di campionamento. Le norme alimentari riguardano non solo i prodotti finali, ma anche le pratiche per la gestione e la manipolazione del materiale, dalla produzione iniziale alla vendita finale.

Il Codex Alimentarius, ad esempio, ha introdotto e standardizzato i principi dell’HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point), che è un sistema proattivo di gestione della sicurezza alimentare. L’HACCP coinvolge l’identificazione, la valutazione e il controllo dei pericoli che sono significativi per la sicurezza alimentare. I principi HACCP comprendono: la conduzione di un’analisi dei pericoli, l’identificazione dei punti di controllo critici, l’istituzione di limiti critici, la messa in atto di procedure di monitoraggio, l’implementazione di azioni correttive se necessario, la verifica dell’efficacia delle procedure e la documentazione di tutte le procedure e registr azioni appropriate. Anche se questi standard non sono legalmente vincolanti, vengono ampiamente adottati e implementati dai governi e dalle industrie a livello globale per garantire che il cibo che viene prodotto sia sicuro e idoneo all’utilizzo.

dei rischi associati alla sicurezza alimentare. Nel contesto domestico della preparazione degli alimenti, l’igiene tende ad essere più flessibile e meno standardizzata, anche se non è meno importante. Ad esempio, a casa si raccomanda l’osservazione di semplici pratiche, come quella di pulire e disinfettare regolarmente le superfici di lavoro, lavarsi le mani prima di preparare il cibo, cuocere adeguatamente gli alimenti e così via.

GLI STRUMENTI

PER IMPLEMENTARE UN SISTEMA

DI CONTROLLO DELL’IGIENE

Per implementare un sistema di controllo dell’igiene adeguato, un’azienda alimentare deve seguire vari passaggi, incluse la formazione del personale, la definizione delle procedure e delle politiche da adottare e l’implementazione di protocolli di sicurezza. Ecco i passaggi chiave:

1. Valutazione dei rischi: l’azienda dovrà prima identificare potenziali pericoli e fare un’analisi dei rischi per comprendere le aree critiche su cui intervenire maggiormente.

2. Formazione del personale: tutti i dipendenti dovrebbero ricevere una formazione adeguata sulla corretta igiene e sulle procedure per garantire la sicurezza alimentare.

3. Stabilire procedure e politiche di igiene: l’azienda dovrà sviluppare ed eseguire procedure per la pulizia, la disinfezione, il controllo dei parassiti, la gestione dei rifiuti e la manutenzione degli impianti (compresa la taratura degli strumenti di controllo come ad esempio le sonde di temperatura).

4. Implementazione del sistema HACCP: l’HACCP è un sistema di controllo dell’igiene basato su principi di prevenzione. Identifica,

valuta e controlla i pericoli significativi per la sicurezza alimentare.

5. Monitoraggio e controllo: un’efficace gestione dell’igiene richiede un costante monitoraggio e revisione dei processi. Test periodici e ispezioni dovrebbero essere condotti per garantire il rispetto delle procedure.

6. Documentazione: tutte le procedure, i protocolli, le non conformità, i risultati delle ispezioni e la formazione dovrebbero essere documentati e mantenuti per futuri audit e revisioni.

7. Risposta agli incidenti: l’azienda dovrebbe avere un piano d’azione efficace in caso di incidenti legati alla sicurezza alimentare. Il concetto di sicurezza alimentare (“food security”) va oltre l’elemento della produzione in sé. Richiede infatti un approccio multidisciplinare che include oltre al processo di produzione dell’alimento, la distribuzione, l’educazione nutrizionale (il cibo gioca un ruolo nella promozione di diete sane e sostenibili) e, appunto, il mantenimento della pulizia e dell’igiene.

A questo obiettivo concorre anche la gestione dei processi per evitare che batteri contaminanti e patogeni possano causare, con la loro presenza e avanzato sviluppo, malattie alimentari e compromettere la salute dei consumatori. Fortunatamente i microrganismi patogeni sono quelli più sensibili alle modifiche fisiche, chimiche o biologiche del mezzo in cui potrebbero sopravvivere e moltiplicarsi, per cui rispettare i parametri di processo e mantenerli efficienti aiuta a migliorare la sicurezza alimentare. Ciò si attua in una serie di interventi conosciuti come “te -

dossier: igiene e sicurezza 24 MAR-APR 2024

oria degli ostacoli” (o “hurdle technology”), introdotta per la prima volta da Leistner e Gorris nel 1995 [1]. Secondo i due ricercatori, più ostacoli vengono implementati, maggiore sarà la riduzione della crescita microbica.

Tali ostacoli possono essere di vario tipo, come:

ostacoli fisici (calore, freddo, aw): pratiche come la cottura, la pastorizzazione, la refrigerazione, la congelazione e la sterilizzazione, ma anche l’essiccazione e la riduzione del contenuto in acqua, contribuiscono alla distruzione dei patogeni estendendo la durata di conservazione del cibo;

• ostacoli chimici: l’acidificazione (modifica del pH), l’aggiunta di conservanti, di concentrazioni adeguate di sale o zucchero, alterano l’ambiente del cibo rendendolo non favorevole alla crescita di molti microrganismi;

• ostacoli biologici: l’impiego di colture starter selezionate nei prodotti a base di carne e di latte (batteri lattici e lieviti, muffe per gli involucri e gli ambienti esterni) entra in competizione con i patogeni, produce metaboliti che ne inibiscono la crescita e concorre alla formazione dei sapori e degli aromi.

Per il monitoraggio dell’efficacia di un piano di autocontrollo, un’azienda ha varie tecniche e strumenti a disposizione, compresi i test di laboratorio per il rilevamento di batteri, sostanze chimiche e altri contaminanti. Ci sono anche audit sul luogo di lavoro per verificare se il personale aderisce alle pratiche di sicurezza alimentare e se l’ambiente di lavoro è adeguatamente pulito. Se un’impresa alimentare non rispetta le norme di igiene potrebbe incorrere in ammonimenti e sanzioni da parte delle Autorità preposte: nei casi più semplici ci può essere la richiesta di apporre modifiche immediate al sistema di autocontrollo, provvedendo alla revisione dei punti critici e non conformi e aggiornando la relativa documentazione; nei casi più gravi ci può essere l’emissione di uno specifico ordine sanitario da far rispettare o nel peggiore dei casi, la chiusura dell’attività.

IL QUADRO NORMATIVO

La politica di sicurezza alimentare adottata a livello comunitario è principalmente disciplinata dagli articoli 168 (salute pubblica) e 169 (protezione dei consumatori) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) [2]. L’obiettivo è quello di proteggere i consumatori, garantendo allo stesso tempo il regolare funzionamento del mercato unico. La legislazione dell’Unione riguarda l’intera filiera alimentare, “dal produttore al consu-

matore” in modo integrato, e applicando un approccio “One Health”.

Detta legislazione si occupa degli aspetti di sicurezza della produzione primaria, delle condizioni igieniche nella trasformazione alimentare, nell’imballaggio, nell’etichettatura e dei controlli ufficiali sulla conformità alla sicurezza alimentare.

Il primo elemento di prevenzione e gestione del rischio si basa sull’applicazione del principio di precauzione [3] che, nel quadro che riguarda la legislazione europea sugli alimenti, si attua per mezzo di diversi regolamenti. Quelli in materia di igiene alimentare, conosciuti come “Pacchetto igiene”, sono molto specifici e severi, a cui se ne affiancano altri.

1. Il Regolamento (CE) n. 178/2002 [4], è noto come regolamento generale sulla legislazione alimentare e consolida le regole sulla sicurezza di alimenti e mangimi nell’Unione Europea. Istituisce inoltre l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che fornisce assistenza per gli aspetti scientifici e di valutazione di alimenti e mangimi. Questo regolamento è stato parzialmente modificato dal Regolamento (UE) 2019/1381 [5] che

specifica alcuni aspetti di trasparenza e sostenibilità dell’analisi del rischio.

2. Il Regolamento (CE) n. 852/2004 [6] sull’igiene dei prodotti alimentari definisce che tutti coloro che lavorano nel settore alimentare devono garantire che gli alimenti siano trattati in modo igienico e sicuro, ovvero privi di contaminazioni da rischi di origine alimentare, in ogni fase del processo produttivo. L’obiettivo viene raggiunto con l’applicazione di:

- prassi corrette in materia di igiene. - procedure basate sull’analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo (HACCP).

3. Il Regolamento (CE) n. 853/2004 [7] stabilisce ulteriori norme igieniche specifiche per gli alimenti di origine animale, ad esempio carne, prodotti della pesca e formaggi.

4. Il Regolamento (CE) n. 2073/2005 [8] definisce i criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari.

5. Il Regolamento (UE) n. 2017/625 [9] dà disposizioni sui controlli ufficiali e altre atti-

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vità ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi e altro ancora. Modifica e abroga numerosi altri regolamenti tra cui il regolamento (CE) 854/2004 che stabiliva norme specifiche per i controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano (ora inglobate nel Reg. 2017/625).

Le norme igieniche definite dai regolamenti 852/2004 e 853/2004 prevedono una certa flessibilità per alcuni stabilimenti, come ad esempio le microimprese. In questo contesto, viene loro offerta la possibilità di beneficiare di deroghe/esenzioni da alcuni requisiti contenuti negli allegati dei regolamenti sull’igiene e di fornire una documentazione semplificata e adattata di alcuni requisiti sempre riportati negli allegati. In particolare per le microimprese e per alcune attività di commercio al dettaglio si fa riferimento a due comunicazioni della Commissione [10, 11].

CONCLUSIONI

Le pratiche di igiene e sicurezza alimentare sono fondamentali per garantire che i prodotti siano sicuri per il consumo. Attraverso l’implementazione di sistemi di controllo come l’HACCP, le aziende possono attuare misure di sicurezza efficaci che aiutano a prevenire la contaminazione e la crescita di patogeni nei prodotti alimentari. I sistemi di certificazione volontaria come BRC (British Retail Consortium) e IFS (International Food Standard), possono certamente contribuire a migliorare le norme di sicurezza e di igiene alimentare di un’azienda e dare fiducia ai consumatori riguardo l’osservanza

dei parametri di monitoraggio. Tuttavia, non possono sostituire i piani di autocontrollo HACCP. L’HACCP è un programma supervisionato da Enti regolatori e Autorità sanitarie

BIBLIOGRAFIA

che stabilisce misure scientifiche e sistematiche per identificare, prevenire e controllare rischi per la sicurezza alimentare. È un requisito legale e le aziende devono implementarlo nei loro sistemi di produzione con apposita documentazione

BRC, IFS e altri standard volontari, d’altro canto, sono programmi di assicurazione di qualità che vanno oltre i requisiti base dell’HACCP: tendono ad avere parametri più rigorosi e a coprire una gamma più ampia di problematiche, inclusi la qualità del prodotto, i principi di conservazione e di gestione degli imballaggi, la responsabilità sociale dell’impresa, ecc. Tuttavia, vengono sorvegliati da terze parti prive del potere legale riservato alle Autorità sanitarie e non possono sostituire interamente i sistemi definiti dalla legge come l’HACCP.

In conclusione, la sicurezza e l’igiene alimentare sono due aspetti di estrema importanza che vanno gestiti con massima serietà e attenzione da parte delle aziende alimentari, mentre la supervisione e il controllo da parte delle Autorità pubbliche restano elementi imprescindibili alla luce della loro funzione di tutela della salute pubblica.

1. Leistner L., Gorris L. G. M. (1995). Food preservation by hurdle technology. Trends in Food Science & Technology 6(2), 41-46. https://doi.org/10.1016/S0924-2244(00)88941-4

2. Versione consolidata del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. (GU 2016/C 202/01).

3. Commissione delle Comunità europee. Direzione generale per la Salute e i consumatori, SANCO (2000). Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione. (COM(2000) 1 final).

4. Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31 dell’1.2.2002, pag. 1).

5. Regolamento (UE) 2019/1381 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativo alla trasparenza e alla sostenibilità dell’analisi del rischio dell’Unione nella filiera alimentare, e che modifica i regolamenti (CE) n. 178/2002, (CE) n. 1829/2003, (CE) n. 1831/2003, (CE) n. 2065/2003, (CE) n. 1935/2004, (CE) n. 1331/2008, (CE) n. 1107/2009, (UE) 2015/2283 e la direttiva 2001/18/CE (GU L 231 del 6.9.2019, pag. 1).

6. Regolamento (UE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sull’igiene dei prodotti alimentari (GU L 139 del 30.04.2004, pag. 1). Testo interamente ripubblicato nella rettifica (GU L 226 del 25.6.2004, pag. 3).

7. Regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale (GU L 139 del 30.4.2004, pag. 55). Testo interamente ripubblicato nella rettifica (GU L 226 del 25.6.2004, pag. 22).

8. Regolamento (CE) n. 2073/2005 della Commissione del 15 novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari (GU L 338 del 22.12.2005, pag. 1).

9. Regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari, recante modifica dei regolamenti …, e che abroga i regolamenti … (GU L 95 del 7.4.2017, pagg. 1–142).

10. Comunicazione della Commissione relativa all’attuazione dei sistemi di gestione per la sicurezza alimentare riguardanti le corrette prassi igieniche e le procedure basate sui principi del sistema HACCP, compresa l’agevolazione/la flessibilità in materia di attuazione in determinate imprese alimentari. (GU 2022/C 355/01).

11. Comunicazione della Commissione, che fornisce orientamenti sui sistemi di gestione per la sicurezza alimentare per le attività di commercio al dettaglio concernenti alimenti, comprese le donazioni alimentari. (GU 2020/C 199/01).

dossier: igiene e sicurezza 26 MAR-APR 2024

Le proposte delle aziende...

AQUASOL FOOD

PULIZIA “SICURA E SOSTENIBILE

A GARANZIA DELLA SICUREZZA ALIMENTARE”

L’acqua alcalina Aquasol Food è un’innovazione sostenibile per la pulizia di superfici ed attrezzature nel settore alimentare, con un elevato potere pulente e sgrassante.

Aquasol Food è prodotta attraverso un processo elettrochimico brevettato che utilizza acqua di rete idrica per ottenere acqua a pH 11,512,3 (99,83% di acqua pura e 0,17% di idrossido di potassio). Grazie al suo elevato pH naturale presenta un’elevata efficacia antibatterica, testata nei confronti di alcuni patogeni (E. coli, Salmonelle, Listeria) con ottimi risultati. Aquasol Food non contiene tensioattivi, composti del cloro, né altri inquinanti ambientali; ha un’elevata efficacia sgrassante, detergente, sanificante e antiodorante e può essere utilizzato nel settore alimentare e del facilitie, in sostituzione di prodotti chimici, il tutto a favore dell’ambiente e della sicurezza alimentare. Una spruzzata di Aquasol Food, qualche secondo di attesa, asciugatura e la pulizia/sanificazione è garantita. Con Aquasol Food è possibile eliminare i vari prodotti chimici utilizzati per la pulizia e sanificazione nel settore alimentare, con grande aiuto per operatori ed ambiente.

FRIGOMECCANICA

CAMERA BIANCA PER AFFETTATI

E PIATTI PRONTI

Le Camere Bianche per affettati e piatti pronti prodotte da Frigomeccanica consistono in impianti di condizionamento in grado di controllare filtrazione, temperatura, umidità relativa e sovrappressione dell’aria all’interno della camera in modo tale da garantire la massima shelf-life possibile per i prodotti alimentari ivi confezionati. Gli impianti consentono inoltre di poter installare sistemi di sterilizzazione dell’aria quali lampade UVC e ad effetto fotocatalitico.

La misurazione in continuo del grado di intasamento dei filtri e l’implementazione di logiche di automazione basate sull’Industrial Internet of Things (IIoT) consentono l’ottimizzazione della manutenzione e della gestione energetica dell’impianto. Specifiche tecniche: classe da ISO8 a ISO5 secondo normativa ISO 14644, con temperatura Camera Bianca fino a 6°C e portate aria fino a 100.000 m3/h.

BORIN

L’ALLEATO CONTRO LA CONTAMINAZIONE

La linea di Tappeti Sanificanti Wave rappresenta la soluzione ideale nel rispetto delle normative igieniche conformi al punto 4.6.6 versione 9 BRCGS relativo alle attrezzature mobili. Un sistema pratico e intelligente che abbatte il 99,94% della carica batterica presente su ruote di carrelli e suole degli operatori.  Progettato con l’obiettivo di massimizzare l’efficienza delle operazioni di pulizia grazie alla sua struttura completamente sezionabile e all’uso di due semplici chiavi di estrazione che consentono la rimozione dei componenti in tempi record. Composto da una vasca di contenimento in acciaio inox 304L

e da moduli di spazzolatura da 457x458 mm offre una soluzione versatile, che assicura la massima copertura in ogni area.

La possibilità di configurazione in versione a secco o ad umido con l’aggiunta di un sistema di drenaggio liquidi “troppo-pieno” e accessoriato di un kit di dosaggio detergente lo rende un utilissimo alleato nella lotta contro la contaminazione incrociata dei reparti.

VELOX BARCHITTA SANIFICAZIONE ATUTOMATICA

Velox Barchitta è una azienda leader nel settore delle macchine per il lavaggio e la disinfezione industriale.

Dal 1929, l’azienda offre soluzioni personalizzate e innovative per le esigenze di qualsiasi realtà produttiva non solo nel settore alimentare.

La produzione dei macchinari, che coinvolge una filiera industriale interamente Made in Italy, avviene nello stabilimento di Senago, in provincia di Milano.

Nel settore della trasformazione alimentare, l’attenzione e la cura per l’igiene e la pulizia, rivestono un ruolo fondamentale, per questo Velox Barchitta si impegna quotidianamente nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni efficaci che si traducano in un vantaggio concreto per i suoi clienti.

Nello specifico, unitamente alla potenza di lavaggio, è con il Kit di Sanificazione automatica che impiega il detergente sviluppato da Velox Barchitta, SANIVELOX H2O2, che si ottengono i migliori risultati nel trattamento di tutte le attrezzature e gli strumenti che di solito vengono impiegati nella lavorazione delle carni o nella produzione casearia. Il Kit, che si compone di una pompa dosatrice di disinfettante e di un boiler di pre-miscelazione, può essere installato su diversi modelli presenti nella gamma Velox, tra cui le serie LP, LCF e WP, e BFF, BF e BW. La sanificazione si completa in due modalità, una chimica e una termica. La prima, quella chimica, avviene attraverso l’erogazione in maniera omogenea del disinfettante (perossido di idrogeno a 150 volumi a residuo ZERO) all’interno dell’area di lavaggio, mentre la seconda, quella termica, avviene nel corso della fase di risciacquo (sempre impiegando acqua pulita) ad una temperatura di 85°C.

dossier: igiene e sicurezza 27 MAR-APR 2024

La rubrica “Chiedetelo a…” è uno spazio attraverso il quale i nostri lettori (ma anche la redazione stessa) possono avere risposte ad argomenti di diversa natura. Le domande devono essere inviate all’indirizzo email redazione@ecod.it I quesiti proposti saranno evasi da persone competenti negli specifici settori.

Perché si usano i pistacchi nella mortadella?

Cominciamo con il dire che l’impiego dei pistacchi nella mortadella non è obbligatorio: il disciplinare di produzione della Mortadella IGP ammette sia la versione con pistacchi che quella senza. Inoltre, l’accettazione del salume in diverse parti d’Italia è diversa, perché in fondo è sempre una questione di gusti: nel bolognese infatti si preferisce quella senza pistacchi, mentre a Milano, Roma, nel centro e sud Italia avere questo ingrediente rappresenta un valore aggiunto, perché impreziosisce la ricetta conferendo un sapore più intenso e una consistenza più croccante quando si “incontra” il pistacchio (a patto che ce ne siano e non sia solo una presenza una tantum…). Inoltre questo pregiato frutto dà un tocco di colore alla mortadella e per alcuni rappresenta per l’appunto un must.

Nella salumeria il pistacchio lo si usa anche in altre specialità a produzione regionale come la galantina, un salume natalizio che viene prodotto principalmente nelle Marche e in Lombardia. Se nel centro Italia è prevalentemente a base di pollo, in Lombardia (soprattutto in terra ambrosiana) è a base di vitello: la sua preparazione prevede l’impiego della spalla di vitello snervata e della lonza di maiale, disposte longitudinalmente in uno stampo con grasso duro, e farcita con tartufo nero (che fa bella mostra di sé al centro della fetta) e, appunto, il pistacchio.

Originaria dell’Asia Minore, la pianta del pistacchio è coltivata fin dai tempi antichi nel bacino Medio Orientale (il frutto è citato anche nella Bibbia come prodotto della terra). Oggi i maggiori produttori sono la Turchia e l’Iran, oltre alla California. Ad introdurla in Italia sono stati gli Arabi, che ne hanno iniziato la coltivazione nelle regioni meridionali, grazie al clima particolarmente favorevole. Una produzione significativa si è sviluppata soprattutto in

Sicilia, alle pendici dell’Etna dove il suolo vulcanico si è dimostrato essere particolarmente adatto alla crescita della pianta. Molto apprezzata è la produzione del pistacchio di Bronte, che si avvale della denominazione d’origine DOP e che concorre per circa l’1% all’intera produzione mondiale.

Nelle regioni del Mediterraneo il pistacchio ha una particolare rilevanza culinaria. In Sicilia il suo impiego in cucina è molto diffuso e viene utilizzato per preparare dolci come il Cannolo siciliano e la Cassata, ma lo si usa anche in molte altre regioni del paese per arricchire antipasti, primi e secondi piatti, sia dolci che salati, e nel gelato.

Nella produzione delle specialità di salumeria in Italia, l’uso del pistacchio ha probabilmente avuto origine nel Rinascimento, come ingrediente per arricchire alcune ricette. Tuttavia Vincenzo Tanara, nel suo celebre trattato del 1644 – l’Economia del Cittadino in Villa (che per inciso non

parla di cucina ma di amministrazione di una tenuta di campagna), descrivendo la prima ricetta codificata della mortadella, non menziona il pistacchio tra le varie spezie utilizzate, mentre cita pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata e grani di muschio. Del resto non si può nemmeno pensare che questo ingrediente sia stato presente nelle produzioni tipiche contadine per soddisfare il fabbisogno della famiglia, quanto più in quelle più commerciali e da presentare sulle tavole di un ambiente più ricco. Bisogna infatti rilevare che, dato il costo della materia prima in sé, oggi come ieri, la valenza d’impiego del pistacchio è duplice: è usato infatti sia come ingrediente caratterizzante nei prodotti in cui viene aggiunto per conferire un sapore unico e inconfondibile, sia per curare la presentazione estetica perché il colore verde tipico del frutto contribuisce a rendere la mortadella più invitante e riconoscibile.

Occorre però tenere in considerazione

28 MAR-APR 2024 chiedetelo a...

due problematiche legate all’uso dei pistacchi: la prima, che nei frutti importati (in particolare in quelli provenienti dall’Iran) possono essere presenti delle aflatossine; la seconda, che il pistacchio rientra tra gli alimenti allergenici e come tale va opportunamente dichiarato in etichetta. Le aflatossine sono sostanze cancerogene prodotte da alcuni tipi di funghi che possono contaminare i pistacchi. Si formano quando esistono condizioni favorevoli rappresentate da una temperatura intorno ai 30°C e da un forte tasso di umidità. Queste condizioni possono verificarsi per carenze igieniche durante la conservazione e il trasporto delle merci via nave e quindi esiste il pericolo potenziale di produzione di “ammuffimento”: per questo motivo le Autorità di controllo prestano molta attenzione alle merci di importazione. Questo rischio è particolarmente elevato nei paesi dove le normative sulla sicurezza alimentare sono meno rigorose. Le aflatossine possono essere nocive per la salute umana se ingerite in quantità rilevanti, provocando danni al fegato e aumentando il rischio di sviluppare alcuni tipi di tumori. Le leggi vigenti pongono restrizioni severe sulla quantità di aflatossine accettabile negli alimenti e il loro superamento implica la distruzione dei prodotti. Grazie alla presenza di tali norme, c’è un elevato livello di sicurezza per la frutta secca (pistacchi, arachidi, noccioline, ecc.). Come già accennato, la formazione di muffe negli alimenti può essere risolta attraverso un corretto stoccaggio in ambienti asciutti e ben refrigerati. Tuttavia, queste condizioni non sono sempre possibili per le merci importate e quindi è necessario effettuare controlli frequenti e precisi. Spesso comunque, le materie prime arrivano allo stato grezzo e devono essere trasformate industrialmente; è compito

delle industrie di trasformazione prevenire la contaminazione delle materie prime di qualità inferiore con quelle di migliore qualità. I pistacchi italiani, ad esempio, sono di ottima qualità e non richiedono lunghi viaggi, pertanto possono essere considerati più sicuri rispetto a quelli importati, almeno per quanto riguarda la presenza di aflatossine, anche se hanno costi superiori. Un altro problema rilevante legato all’im-

piego dei pistacchi è la loro natura di allergene potenziale. I pistacchi rientrano infatti tra i principali alimenti che possono causare allergie nel cibo, insieme a cereali contenenti glutine, uova, latte, pesce, crostacei, frutta a guscio, sedano e senape. La loro presenza nella mortadella deve quindi essere sempre indicata chiaramente sull’etichetta, al fine di evitare possibili reazioni allergiche in persone sensibili. 

29 MAR-APR 2024 chiedetelo a...

Quando si parla di contaminazione incrociata (o crociata) a cosa ci si riferisce? E come la si può prevenire?

Con il termine di “contaminazione incrociata” (o “crociata”, la parola è equivalente) si intende il trasferimento da una fonte a un’altra di sostanze o microrganismi estranei o nocivi su un alimento, che viene così contaminato. Questo può accadere durante tutte le fasi della preparazione degli alimenti, dalla produzione alla conservazione, fino al consumo finale. L’esempio più comune è il trasferimento di batteri tra alimenti crudi e cotti.

Si ritiene che questa sia la causa della maggior parte delle infezioni di origine alimentare. Sebbene esistano solo pochi tipi di batteri, agenti patogeni, questi possono causare milioni di casi di malattie di origine alimentare ogni anno. È però importante notare che la maggior parte delle malattie di origine alimentare possono essere prevenute.

Come fanno i batteri a penetrare nel cibo? Quando si acquista un prodotto alimentare fresco, al suo interno potrebbero essere presenti batteri. La carne cruda, il pollame, i frutti di mare e le uova non sono esenti da germi. Nemmeno prodotti vegetali come la lattuga, il pomodoro o la frutta lo sono.

Perciò quando si lavora un qualunque alimento crudo e poi nella stessa area o superficie se ne manipola un altro di diversa natura, un semilavorato già preparato o un prodotto cotto lasciato a raffreddare senza alcuna precauzione, i batteri possono diffondersi sul tagliere, sul coltello e sulle mani e potrebbero causare un’intossicazione alimentare, se si usano gli stessi utensili – senza averli sanificati – per preparare altri cibi. Un lavaggio inadeguato delle mani o la manipolazione degli alimenti senza un’adeguata protezione aumentano ulteriormente il rischio di introdurre agenti patogeni.

La contaminazione crociata può verificarsi anche quando i batteri vengono trasferiti in modi meno evidenti. Ad esempio, utilizzando uno stesso contenitore o le buste della spesa riutilizzabili per cibi diversi oppure anche per mezzo degli schizzi prodotti dal lavaggio che possono contaminare altre superfici.

Riepiloghiamo qui di seguito le principali cause della contaminazione incrociata.

1. Utilizzo di utensili e superfici non pulite: se gli utensili e le superfici utilizzate per preparare gli alimenti non sono correttamente puliti o vengono utilizzati per alimenti differenti senza essere

lavati, si può verificare il trasferimento di sostanze nocive da un alimento all’altro.

2. Manipolazione degli alimenti con mani non igienizzate: le mani possono essere un veicolo per trasmettere batteri o virus su un alimento. Se non vengono lavate correttamente prima e durante la manipolazione degli alimenti, possono contaminarli.

3. Contenitori di conservazione non sigillati: se gli alimenti non vengono conservati correttamente in contenitori sigillati, possono entrare in contatto con altri alimenti o oggetti contaminanti, come insetti, polvere o sporcizia.

4. Conservazione di alimenti crudi e cotti insieme: gli alimenti crudi, come carne, pesce o uova, possono contenere batteri nocivi che vengono eliminati durante la cottura. Se questi alimenti vengono conservati vicini ad alimenti cotti, senza essere precedentemente sigillati, i batteri potrebbero trasferirsi sui cibi cotti.

5. Scarsa igiene personale dei manipolatori di alimenti: se chi è a contatto con gli alimenti non adotta le corrette misure di igiene personale, può contaminarli con sostanze o microrganismi presenti nella pelle, nei capelli o nella saliva.

A livello domestico (e industriale) è possibile prevenire la contaminazione incrociata osservando alcune semplici regole. Innanzitutto provvedendo a cuocere correttamente i cibi o rispettando altri parametri come il pH e la catena del freddo nella conservazione. Oltre a ciò occorre rispettare i seguenti passaggi.

• Garantire la pulizia in ogni fase della lavorazione:

- il personale che lavora nell’industria alimentare deve seguire rigide norme di igiene personale, come lavarsi le mani regolarmente, utilizzare indumenti e accessori protettivi, come guanti e copricapo;

- è necessario implementare corrette procedure di pulizia e sanificazione. Tutte le superfici e le attrezzature utilizzate per la lavorazione degli alimenti devono essere pulite e sanificate regolarmente per prevenire la proliferazione di batteri e altri agenti patogeni. Bisogna eliminare ad esempio i vecchi taglieri che presentano crepe, fessure ed eccessivi tagli da coltello, perché i

batteri possono persistere qui anche dopo il lavaggio.

• Separare gli alimenti crudi da quelli cotti / utilizzare apparecchiature e utensili separati:

- tutti gli utensili e le attrezzature utilizzate per la preparazione e la lavorazione degli alimenti devono essere mantenuti puliti e separati per prevenire la contaminazione incrociata. Ad esempio, non si dovrebbero utilizzare gli stessi coltelli o taglieri per carne cruda e poi per cibi pronti come pane e verdure: laddove è possibile sarebbe più opportuno utilizzare apparecchiature e utensili separati;

- è importante avere una chiara separazione tra gli alimenti crudi e quelli cotti per evitare la contaminazione incrociata. Ad esempio, si dovrebbe utilizzare una tavola da taglio diversa per la preparazione di carne cruda e per quella di alimenti cotti.

• Conservare correttamente gli alimenti: - gli alimenti devono essere conservati in modo appropriato per evitare la contaminazione incrociata. Ciò include mantenere gli alimenti crudi in contenitori sigillati separati da quelli cotti, non riutilizzare i contenitori per alimenti crudi e cucinare gli alimenti a temperature sicure;

- adottare pratiche di etichettatura chiare: tutti gli alimenti devono essere etichettati in modo chiaro e accurato, indicando il tipo di alimento, la data di preparazione e la data di scadenza. Soprattutto occorre riportare queste informazioni quando sono aperti o quando si preparano dei semilavorati;

- provvedere al raffreddamento tempestivo degli alimenti cotti o mantenerli a una certa temperatura se devono essere serviti; refrigerare tempestivamente gli alimenti a una temperatura adeguata aiuta a rallentare la crescita dei batteri e prevenire intossicazioni alimentari.

- assicurarsi che le temperature del frigorifero siano inferiori a 4°C e che la temperatura del congelatore sia pari o inferiore a -18°C.

A livello industriale si possono inoltre implementare specifici programmi di con-

30 MAR-APR 2024 chiedetelo a...

trollo dei pericoli derivanti dalla contaminazione di un alimento, redigendo uno specifico piano HACCP e provvedendo a:

• formare il personale in modo adeguato: è importante che il personale che lavora nell’industria alimentare sia adeguatamente formato sulle norme di igiene e sicurezza alimentare per prevenire la contaminazione incrociata;

• implementare un sistema di controllo della qualità: un rigoroso sistema di controllo della qualità può aiutare a identificare e prevenire la possibile contaminazione incrociata nell’industria alimentare;

• monitorare e registrare le temperature: gli alimenti devono essere conservati e cucinati a temperature sicure per prevenire la crescita di batteri. È importante monitorare e registrare le tem-

perature regolarmente per garantire la sicurezza degli alimenti;

• effettuare regolari ispezioni e audit per garantire che tutte le misure di prevenzione della contaminazione incrociata siano seguite correttamente, sia negli ambienti di lavoro che nel corso dei processi di lavorazione.

Le imprese alimentari infatti sono responsabili del rispetto della legge: dimostrano la conformità garantendo che i prodotti e i processi di cui sono responsabili soddisfino i requisiti normativi. Se è richiesto un piano di autocontrollo scritto, l’azienda alimentare sviluppa un proprio piano HACCP con documenti giustificativi, monitora e conserva le prove della sua attuazione e verifica che tutte le misure di controllo siano efficaci. E quando viene identificata una non conformità, adotta adeguate azioni di conformità e applicazione delle norme.

Infine non bisogna dimenticare che, sebbene la contaminazione crociata derivante dalla diffusione microbica comporta il rischio di incorrere in malattie alimentari che possono essere mortali in soggetti

deboli, esistono anche altri tipi di contaminazione crociata.

1. La contaminazione fisica che si verifica quando particelle fisiche (come pezzi di vetro, metallo o plastica) entrano in contatto con il cibo, rendendolo non sicuro da consumare.

2. La contaminazione chimica che si verifica quando sostanze chimiche (come detergenti e disinfettanti residui di lavaggio) entrano involontariamente nel cibo, rendendolo non sicuro da consumare.

3. La contaminazione allergenica si verifica invece quando un alimento contenente allergeni (come arachidi, frutta a guscio o glutine) entra in contatto con altri alimenti, rendendoli non sicuri per le persone allergiche. Comprendere questi tipi di contaminazione è il primo passo per creare strategie di prevenzione efficaci. Gli addetti alla manipolazione degli alimenti devono essere vigili per garantire la sicurezza e il benessere dei consumatori affrontando ogni tipo di contaminazione in modo appropriato.

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Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

n. 61 - MARZO 2015

DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

A partire dal numero di marzo 2022 di Ingegneria Alimentare abbiamo creato questa rubrica per rendere omaggio a una persona che ha dato lustro al mondo della ricerca scientifica nel settore delle carni e dei salumi e che ha onorato la nostra rivista della sua collaborazione per molti anni. Abbiamo raccolto, dietro ripetute richieste dei lettori, un campionario dei suoi scritti e gli articoli più rappresentativi dell’opera del Prof. Carlo Cantoni, ancora attuali e di enorme importanza scientifica; saranno pertanto ripubblicati sulle pagine di Ingegneria Alimentare per dare modo a coloro che non hanno potuto goderne in passato di attingere dall’immensa esperienza del Professore e approfondire le proprie conoscenze. Speriamo che l’iniziativa sia gradita a quanti hanno avuto modo di conoscere il Prof. Carlo Cantoni e, soprattutto, ai più giovani che non ne hanno avuto la possibilità dalla sua scomparsa. Il valore degli studi – potrete constatare – resta straordinariamente attuale. Buona lettura, l’Editore e la redazione

Biofilms nell’industria della carne

Riassunto

Carlo Cantoni, S. Perillo

Nella relazione sono descritti i germi produttori di biofilms nell’industria della carne e la loro localizzazione.

Summary: Biofilms in meat industry

The report describes the bacteria which produce biofilms and their location in meat industry.

I biofilms, come si presentano in natura, consistono principalmente di microrganismi vitali e non vitali inglobati in sostanze polianioniche, polimeriche extracellulari adese ad una superficie solida (Chmieleweski & coll. 2003). Le sostanze polimeriche extracellulari sono formate da polisaccaridi, proteine, fosfolipidi, acidi teicoici e nucleici e altre sostanze polimeriche con un’umidità dell’80-85%. Le EPS svolgono un’azione protettiva sui microrganismi presenti nel biofilm fornendo nutrienti e impedendo l’accesso di biocidi, metalli, tossine e anche l’essiccamento. I biolfilms dell’industria alimentare possono contenere residui e minerali derivanti dal tipo

di alimento lavorato e dall’acqua utilizzata. I biofilms possono avere un elevato livello di organizzazione poiché possono essere presenti comunità formate da singole o più specie batteriche fornendo loro uno strato singolo o una struttura tridimensionale, oppure possono formare aggregati a forma di fiocco o di granulo.

FORMAZIONE DEL BIOFILM

I batteri presenti sulle superfici di lavorazione delle industrie della carne possono svilupparsi formando biofilms. Questi ambienti presentano una varietà di condizioni tali da favorire la formazione di biofilms per l’esi-

stenza di nutrienti, umidità e presenza di microrganismi sulla superficie delle carni. Così il biofilm, dopo la sua formazione, costituisce una fonte potenziale di contaminazione degli alimenti che può esitare nella loro alterazione o nella trasmissione di germi patogeni. Inoltre, quando un biofilm si distacca dalla superficie abiotica, i singoli microrganismi possono diffondersi.

I batteri formanti biofilms sono stati Salmonella spp., Klebsiella spp., Pseudomonas spp., Campylobacter spp., Escherichia coli, E. coli STEC, Listeria spp. e Staph. aureus. La colonizzazione batterica di una superficie solida è un processo che coinvolge fattori fi-

relazione scientifica
33 MAR-APR 2024

DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

sico chimici e biologici. La formazione del biofilm avviene in 5 fasi:

1) iniziale adesione del microrganismo planctonico alla superficie solida;

2) transazione da adesione reversibile a irreversibile del microrganismo in seguito alla sua produzione di polimeri extracellulari;

3) preliminare sviluppo della struttura del biofilm;

4) sviluppo di microcolonie nel biofilm maturo;

5) dispersione dei microrganismi dal biofilm nell’ambiente circostante.

In dettaglio, il processo avviene come segue. Il primo evento è costituito dall’assorbimento di molecole organiche ed inorganiche sulla superficie solida. Ciò determina la formazione di un substrato condizionante la presenza del microrganismo, o primer batterico, che favorisce la capacità del batterio ad aderire a questo substrato. In particolare le proteine spesso formano substrati che favoriscono l’adesione batterica. Nella produzione di alimenti si riscontra con maggiore frequenza la formazione di biofilms in presenza di una elevata concentrazione di proteine. Ad esempio è stato dimostrato che, negli impianti di lavorazione del latte, le proteine del siero di latte aumentano l’adesione batterica.

Dopo che si è formato il primo strato condizionante, l’adesione batterica procede. I fattori e i procedimenti di lavorazioni favorenti l’aumento dell’adesione batterica sono i valori estremi alti o bassi di pH e le elevate temperature di contatto delle superfici di lavorazione, fattori che denaturano le proteine facilitando la formazione degli strati condizionanti. Inoltre lenti flussi di liquidi sopra il biofilm aumentano il tempo di contatto con i nutrienti

presenti nello stesso. Altri fattori sono la disponibilità di nutrienti, che è ubiquitaria negli impianti di produzione di alimenti, la durata del tempo di contatto del batterio con la superficie, la fase di crescita del germe e l’idrofobicità del substrato. Interessante è sapere che la vitalità della cellula batterica ha una importanza limitata sulla propensione all’adesività. Le cellule batteriche vive o morte aderiscono alle superfici con la stessa propensione. L’adesione batterica è mediata da fimbrie, pili, curli, flagelli, tutte appendici che si estendono all’esterno della cellula. L’adesione batterica è anche rafforzata dai polisaccaridi extracellulari che formano un ponte tra i batteri e lo strato condizionatorio. Il ponte è una combinazione di legami idrogeno, ionici, covalenti, di forze elettrostatiche, forze di Van der Walls e interazioni idrofobico e interazioni dipolo-dipolo. Inizialmente, i legami tra i batteri e lo strato condizionatore non sono tenaci e possono essere rimossi dal lavaggio. Tuttavia, col tempo, questi legami sono rafforzati rendendo l’adesione a contatto irreversibile.

Una volta inglobati entro il biofilm le cellule

lesionate o insufficientemente sviluppate per mancanza di nutrienti hanno l’opportunità di ripararsi, di metabolizzare i nutrienti presenti nello spazio condizionato, di crescere e di riprodursi. Continuando a moltiplicarsi i copiosi volumi di polisaccaridi extracellulari prodotti assicurano una barriera protettiva intorno alle cellule. Le materie inorganica ed organica che giungono a contatto col biofilm vengono assorbite aumentando le dimensioni del biofilm stesso rifornendo ulteriore nutrimento. I biofilms si sviluppano rapidamente quando vi è una fonte continua di nutrimento. In tali condizioni, un biofilm può considerarsi “maturo” entro 24 ore e può continuare ad aumentare in dimensioni millimetriche in pochi giorni. Lo sviluppo di un biofilm può avvenire entro 1 ora con il 10% di popolazione batterica aderente irreversibilmente allo strato condizionatorio. Dopo 8 ore di produzione più del 91% di batteri è adeso irreversibilmente.

Come il biofilm matura, aumenta la resistenza contro vari disinfettanti probabilmente per la produzione di polisaccaridi extracellulari. La rimozione del biofilm durante le operazioni di sanificazione routinarie diventa un compito difficile da realizzare perché l’aumento del tempo di contatto col sanitizzante e quello dell’attività meccanica necessaria richiedono maggior costo del personale e un tempo più lungo per la rimozione.

PRESENZA DI BIOFILMS NELLE

STRUTTURE DI LAVORAZIONE

E PRODUZIONE DEGLI ALIMENTI

Biofilms sono rinvenibili non solo sulle superfici di lavorazione ma anche sulle superfici di prodotti, specialmente vegetali. Le superfici delle strutture sono costituite da acciaio inossidabile, alluminio, vetro, guarnizioni di Teflon e possono supportare biofilms. Le superfici degli ambienti di lavorazione possono essere contaminate per via aerea, dal personale e dalle operazioni di pulizia. Biofilms sono stati riscontrati su superfici a contatto con alimenti come guarnizioni, nastri trasportatori,

relazione scientifica
Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 61 - MARZO 2015
34 MAR-APR 2024

CULTURE MICROBICHE “MADE IN ITALY”

CULTURE MICROBICHE “MADE IN ITALY”

PER LA VALORIZZAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ

PER LA VALORIZZAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ

Bioagro offre una vasta gamma di starter per le produzioni dei salumi

Bioagro offre una vasta gamma di starter per le produzioni dei salumi

UNA GAMMA DI FERMENTI CHE PUÒ SODDISFARE LE DIVERSE ESIGENZE DEL CLIENTE

UNA GAMMA DI FERMENTI CHE PUÒ SODDISFARE LE DIVERSE ESIGENZE DEL CLIENTE

IN TERMINI DI QUALITÀ ORGANOLETTICA, DI VELOCITÀ DI ACIDIFICAZIONE E DI SICUREZZA SANITARIA

IN TERMINI DI QUALITÀ ORGANOLETTICA, DI VELOCITÀ DI ACIDIFICAZIONE E DI SICUREZZA SANITARIA

2 5 ANNI DI I N NOVAZION I E BIOTECNOLOGIE AGROALIMENTAR I
NI DI I N NOVAZION I N LIMENTAR I

nodi, l’aria, l’essere umano. Lo scuoiamento e l’eviscerazione causano potenzialmente la dispersione di microrganismi e di conseguenza le superfici di lavorazione della carne e le attrezzature presenti nell’ambiente possono venire contaminate dalla carcassa, dagli ingredienti, dall’acqua, da roditori e da insetti. Sulla superficie della carne si sviluppano batteri durante la refrigerazione con variazioni della popolazione batterica tra quella della carne e quella delle attrezzature.

I batteri presenti possono essere non patogeni e patogeni.

I principali generi isolati da carni bovine sono: Pseudomonas, Staphylococcus, Enterobacter, Flavobacterium, Kluviera, Moraxella, Negativicoccus, Bacillus, Kocuria, Acinetobacter, Aeromonas, Alcaligenes, Brochotrix, Gemella, Proteus, Corynebacterium, Erysipelotrix, Kurthia, Enterococcus. In generale i batteri Gram negativi formano più biofilms rispetto ai Gram positivi compresa L. monocytogenes. La formazione più elevata di biofilms è stata osservata per Acinetobacter, Citrobacter e Pseudomonas. Gli Enterobacter formano poco biofilm paragonato a quelli degli altri enterobatteri.

BATTERI NON PATOGENI

Pseudomonas è il genere più presente e le Pseudomonadaceae sono pure i principali alteranti

BATTERI PATOGENI

SALMONELLA

Diverse ricerche hanno dimostrato la capacità di ceppi di Salmonella di formare biofilms su varie superfici abiotiche come plastica, (politilene, polistirene), gomma, cemento, acciaio inossidabile che possono trovarsi comunemente nelle fattorie, macelli, abitazioni, industrie di lavorazione delle carni, cucine,

(AIEC) associati con la malattia di Crohn, gli E. coli diffusamente aderenti (DAEC), gli E. coli enteroaggregativi (EAEC), gli E. coli enterossigeni (ETEC), gli E. coli enteropatogeni (EPEC), gli E. coli produttori di tossina Shiga (STEC) che comprendono i ceppi enteroemorragici E. coli (EHEC) e gli E. coli enteroinvasivi (EIEC) che comprendono anche la Shigella.

36 MAR-APR 2024

Da:

I ceppi STEC sono diffusi in tutto il mondo nelle acque e sono patogeni alimentari.

I bovini sono un importante serbatoio di STEC e in questa specie colonizzano asintomaticamente; possono essere presenti nelle feci di pecore, capre, tacchini e suini. Gli episodi delle malattie da STEC sono tipicamente associate a carni bovine contaminate: tuttavia il latte non pastorizzato, l’acqua contaminata, le verdure fresche e certi frutti contaminati e succhi di sidro si sono resi responsabili di malattia. Gli STEC possono persistere per parecchio tempo nell’ambiente esterno, nelle acque e nel terreno.

I ceppi EHEC sopravvivono per più di 8 mesi nell’acqua contaminata da feci bovine. Gli STEC sono anche una delle principali preoccupazioni negli impianti durante la lavorazione delle carni e la contaminazione delle carcasse con STEC può verificarsi nelle fasi di macellazione, scuoiamento e taglio. Pertanto popolazioni di STEC sono rinvenibili sulle superfici delle varie attrezzature impiegate e possono diventare fonti di ulteriori contaminazione dei tagli carnei. La presenza di STEC nei bovini e negli impianti di lavorazione è ben documentata ed è stato ipotizzato che la loro capacità di formare biofilms su differenti superfici sia responsabile della distribuzione e della persistenza di STEC negli stabilimenti di produzione della carne.

Diversità genetica dei ceppi STEC

Il sierotipo STEC predominante più noto associato con episodi di malattia è lo O157:H7. Questo è uno dei primi sierotipi identificato quale causa della sindrome uremica (HUS). Tuttavia altri sierotipi clinicamente importanti sono stati identificati: O26, O45, O103, O111 e O145. Altri sierotipi (O113:H21 e O91:H21) in genere causano sporadici casi di HUS. Un altro sierotipo responsabile di casi avvenuti in Germania nel 2011 è il sierotipo O104:H4. Il microrganismo è un tipico EAEC con presenza del gene stex2, trasportato per via orizzontale da un batteriofago, responsabile della produzione della tossina (STEAEC).

Nella formazione dei biofilms intervengono vari fattori:

1) nella prima fase di contatto con le superfici

i fattori sono: mobilità dei flagelli, superficie di adesione (rugosità, idrofobicità), tipo di substrato, temperatura, pH e le forze ioniche;

2) nella fase di attacco intervengono le adesine fimbriali: tipo 1, curli, pili tipo 4, fibre lunghe polari, fimbrie F9, capsula, LPS e proteine;

3) nella fase di maturazione intervengono: gli autotrasportatori (adesine), EPS, PGA, cellulosa acido colanico, capsula, LPS, QS e proteine;

4) la fase finale è la dispersione del biofilm ma le cause per ora sono sconosciute. La matrice del biofilm di E. coli è quindi formata da 3 differenti EPS: la poli-N-acetilglucosammina (PGA), l’acido colonico e/o cellulosa e LPS. Negli ambienti di lavorazione delle carni gli STEC aderiscono alle superfici di acciaio inox, di polistirene, di vetro, di poliuretano, di polietilene ad alta densità (Vogeler & coll. 2014).

Caratteristiche del biofilm

E. coli O157:H7 rimane per 4 giorni sulle su-

perfici di acciaio inox insieme agli acidi organici rimasti nei fluidi di lavaggio delle carcasse. Rimane adeso alle superfici di acciaio inox e di politilene ad alta densità non solo alla temperatura di 15,5 °C, ma anche a 9,4 °C dimostrando così la necessità di adottare modalità diverse per i vari siti da sanificare. Il grasso bovino trasmette meglio l’E. coli O157:H7 alle superfici di contatto della lavorazione della carne rispetto al tessuto muscolare. I residui essiccati della lavorazione della carne facilitano l’adesione e l’inglobamento del germe. Se introdotto nei locali di lavorazione, E. coli O157:H7 deve essere considerato una fonte di contaminazione poiché il patogeno può aderire e crescere anche con poca disponibilità di nutrienti, se la temperatura lo permette. Le superfici di materiale plastico di contatto favoriscono la formazione di biofilms meglio di quelle in acciaio inox. Quando adeso alle superfici secche il patogeno aderisce più tenacemente, rendendo più difficile la rimozione dimostrando la necessità di appropriati trattamenti sanitizzanti da adottare per la sanificazione delle superfici dopo la lavorazione.

relazione scientifica
INGEGNERIA
ALIMENTARE - LE CARNI n. 61 - MARZO 2015
37 MAR-APR 2024
DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

I residui carnei facilitano l’adesione mentre i batteri alteranti possono permettere la crescita di E. coli O157:H7 nei loro biofilms. Quando i biofilms sono presenti, i sanitizzanti dovrebbero essere applicati alle massime concentrazioni ammissibili e lasciati a contatto delle superfici per lungo tempo (Sofos 2009).

LISTERIA MONOCYTOGENES

L. monocytogenes è un germe ubiquitario nell’ambiente resistente a diverse condizioni ambientali avverse. È presente nel mondo vegetale (piante vive o morte), nell’acqua e nel suolo. È un contaminante di molti alimenti. In genere si ritiene che i biofilms presenti negli impianti di lavorazione degli alimenti siano fonti importanti della contaminazione degli alimenti.

Esistono vari sierotipi distinguibili: 1/2a, 1/2b, 1/2c, 3a, 3b, 3c, 4a, 4b, 4c, 4d, 4e,7. L.monocytogenes differentemente dai batteri Gram negativi descritti è uno scarso formatore di biofilms. I ceppi isolati produttori di biofilms appartengono ai serovars 1/2a, 1/2b (divisione filogenetica II) mentre i ceppi del serovar 4b (divisione filogenetica I) sono scarsi produttori. Esistono differenze nella capacità di aderenza e di formazione tra i ceppi persistenti e quelli non persistenti di L. monocytogenes e tra i ceppi delle 4 divisioni filogenetiche. Sono conosciute differenze nella produzione di biofilms tra ceppi aderenti e non aderenti. Secondo alcuni ricercatori L. monocytogenes preferirebbe far parte di biofilms prodotti da altri batteri che elaborarne un suo specifico. La struttura del biofilm di L. monocytogenes è tridimensionale formando una struttura a nido d’ape o gruppi di aggregati circondati da spazi vuoti. Inoltre lo spessore del biofilm può variare a livello cellulare più ridotto al centro e più denso in superficie. La crescita di L. monocytogenes è assai più lenta rispetto a quella delle listerie plantoniche (Rodriguez-Lozano & coll. 2009; Moretro & Coll. 2013). Sintetizzando: le cellule di L. monocytogenes hanno la capacità di aderire a varie superfici a contatto con alimenti quali polietilene, polipropilene e laminati. Se questi non sono adeguatamente puliti esse producono biofilms resistenti ai sanificanti. Molti tipi di biofilms contengono livelli elevati di L. monocytogenes che sopravvivono fino a 14 giorni su superfici di polietilene ad alta densità e polipropilene tenute a temperatura ambiente. L. monocytogenes sopravvive ed è stata isolata da superfici di laminati tenuti a temperatura ambiente (25°C, 50%-90% di umidità) in presenza di residui di cibo (prosciutto cotto) dopo 96 giorni. I biofilms sopravvivono meglio su superfici rugose che sulle superfici lisce di polietilene ad alta densità. I sanificanti

sono più efficaci sui biofilms vecchi sviluppatisi su superfici lisce rispetto a quelli cresciuti su superfici ruvide, le nicchie umide sono le zone di principale sviluppo dei biofilms di L. monocytogenes. Sebbene i sanificanti siano efficaci sulle cellule adese planctoniche, la loro efficacia diminuisce con l’aumentare del volume del biofilm. I sanificanti acido acetico, ac. lattico, sodio ipoclorito, ammonio quaternario e combinazioni con perossido d’idrogeno sono efficaci per la riduzione delle cellule di L. monocytogenes, specialmente di quelle giovani.

I biofilms prodotti da ceppi della Linea I hanno maggiori dimensioni di quelli prodotti da listerie delle linee II e III quando sviluppatesi su superfici di acciaio inox. Sulle stesse superfici formano biofilms entro 3 ore dalla adesione e la maturazione del biofilm si completa in 240 ore, ma porzioni dello stesso si verificano già dopo 96 ore. Un sanificante a base di acido lattico (pH 3,03) è molto efficace, mentre i sanificanti a base di ammonio quaternario con pH elevato (10,5-11,5) riescono più efficaci di quelli a pH inferiore (6,2-8,7). L’attività dei sanificanti aumenta a temperature calde (25°C) e con un tempo di esposizione di almeno 10 minuti (Djordievic & Coll. 2002; Sofos 2009; Mattos de Oliveira & Coll.2010).

CAMPYLOBACTER

Campylobacter è un genere di batteri appartenenti alla famiglia delle Campylobacteriaceae. Nel genere sono presenti 32 specie e 13 subspecie. Nei vari ambienti naturali possono formare aggregati non aderenti con forma di fiocco, di interfacce in liquidi e biofilms. In proposito, la specie più studiata è il C. jejuni che è la specie predominante tra i Campylobacter presenti nelle carni di pollo. Campylobacter spp. sono stati ritrovati in biofilms presenti in apparecchi per l’inaffiamento e in sistemi idraulici di allevamenti avicoli e di impianti di lavorazioni delle carni di pollo. Questi biofilms sono un rifugio per microrganismi patogeni e non patogeni perché li proteggono dagli stress ambientali e dagli agenti antimicrobici presenti nei sanificanti. Così i

Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 61 - MARZO 2015

biofilms possono diventare fonti di contaminazione di C. jejuni nelle industrie avicole. I Campylobacter producono biofilms in scarsa quantità minore di quella formata dagli altri microrganismi. Si trovano invece presenti in biofilms formati da Enterococcus faecalis e Staphylococcus simulans normalmente presenti negli ambienti avicoli e nelle carni di pollo. La formazione di biofilms avviene in anaerobiosi sebbene in aerobiosi possa verificarsi ugualmente (Joshua & Coll. 2006, Teh & Coll. 2010).

ENTEROCOCCUS SPP.

Gli Enterococci sono germi Gram positivi cocchi che sono ubiquitari ma presenti nel tratto intestinale dell’essere umano ed animale. Il biofilm prodotto è formato da proteine, acido teicoico ed esopolissacaridi come nei biofilms di Staphylococcus. 

BIBLIOGRAFIA

• Chmieleweski R.A.N. & FranK J.F. (2003) Com. Rev. Food Sci. Food Safety, 2, 22-32

• Plants (2002/2003) Food Safety Magazine (Dicembre Gennaio 2003)

• Djordjevic, D., Wiedmann M. & Mc Landsborough, L. A. (2002) Appl. Env. Micrbiol. 2050-2958

• Joshua G.W.P.; Guthrie-Irons C.; Karlyshew A.V. & Wren B.V.B. (2006) Microbiology 152, 387-396.

• Mattos de Oliveira M.M.; Brugnera D.F.; Alves E. & Piccoli R.H. (2010) Braz. J. Microbiol. 41, 97-106.

• Moretro T.; Langsrud S.; Heir E. (2013) Adv Microbiol. 3, 255-264

• Rodiguez–Lozano & Mc Landsborough L. (2009) Biofilm formation by Listeria monocytogenes and transfer to foods. In: Biofilms in the food and beverage industries, pp 200-225. CRC Press Boca Raton. USA

• Sofos J.N. (2009) Biofilms: Our costant Enemies. Food Safety Magazine (Febbraio Marzo 2009)

• Teh K.H.; Flint S.; French N. (2010) Int. J. Food Mcrobiol. 143, 118-124

• Vogeler P.; Tremblay Y.D.N., Mafu A. & coll. (2014) Front: Microbiol. 5, 1-12

relazione scientifica
38 MAR-APR 2024

marketing, distribuzione e consumatori

Al fuoco, al fuoco!

Rinasce la cultura e la cucina del fuoco. Quella che volgarmente si chiama barbecue, ma che oggi è concettualmente molto di più che mettere sulla griglia, al limite anche elettrica, un pezzo di carne. Trattasi come al solito più di esperienza che di prodotto, di narrazione che di istruzioni per l’uso. Ed è una tendenza ormai internazionale, tanto che si dice che il futuro della ristorazione è un ritorno al passato: cucinare di tutto, non solo la carne con il fuoco. La tendenza arriva dall’estero, nei paesi Baschi per esempio gli “Asador” sono addirittura ristoranti stellati, in Italia a una prima fase diciamo all’americana, barbecue

della domenica in giardino, si è passati a ua maggior sofisticazione e cultura del fuoco e della griglia, tanto che la stessa casa editrice Ecod organizza una due giorni di incontri sulla Meat Experience a MalpensaFiere il 21 e 22 Aprile 2024. Questa tendenza coinvolge direttamente allevatori, ristoratori, macellai e grande distribuzione. Analizziamola in profondità.

• È un tipo di memoria ancestrale: il fuoco, dal camino (oggi anche salvaschermo su un monitor) alla griglia all’aperto, fa parte della storia dell’uomo. Ci emozioniamo e incantiamo a vederlo e farlo, ci riscalda, ci illumina, ci invita ad usarlo per cuocere. Non è un caso che in molti packaging

La cultura e la cucina del fuoco: una tendenza ormai internazionale, tanto che si dice che il futuro della ristorazione è un ritorno al passato

della distribuzione, per esempio quelli di Coop Ch, il disegno/foto del fuoco, meglio le fiamme siano parte integrante del packaging.

• Fare la griglia è un rito classico del mondo del food in un mondo dove i riti, reinterpretati, ritornano di gran moda. Vedi prima colazione e aperitivo. Il rito da ancestrale si arricchisce di un’allure di modernità: ricerca delle carni, delle loro preparazioni, degli accessori. Oggi anche un sale, una salsa o un aroma fanno la differenza. Le opportunità di cross selling aumentano esponenzialmente per il commerciante sia esso Gdo o Macellaio. Salse, sale, aromi, vino tanto per citare delle possibilità. Oggi esistono nel settore vari tipi di griglia dalle piccole da tavolo, alle Kamado, alla Robata: il grill è diventato globale e va oltre, ben oltre, la grigliata in giardino. Fate un giro su Amazon o da Leroy Merlin per rendervi conto.

• È un rito che mette insieme due compo-

Carlo Meo, sociologo dei consumi ed esperto di comportamenti e strategie di acquisto e vendita, fondatore di Marketing&Trade

Le opportunità di cross selling aumentano esponenzialmente per il commerciante sia esso Gdo o Macellaio

nenti della nostra vita: socialità ed egoismo. Fare la griglia ha senso se si è in più persone, se appunto si condivide il rito in compagnia, ma allo stesso tempo, un po’ come quando si è davanti alla televisione, il “potere”, il telecomando per scegliere i programmi è in mano a uno solo. Al ristorante o con gli amici, chi “manovra” la griglia ha le sue abitudini, non vuole essere consigliato/disturbato, al massimo ha un assistente che maltratta e a cui dà la responsabilità di eventuali disastri. Sindrome da narcisismo della griglia. Questo significa per il commerciante che il suo cliente è uno solo, non un gruppo, spesso maschio. Compra lui per gli altri.

• Il sapore della carne, ma anche delle verdure e di altri prodotti, è semplice e “diretto”, quindi ha una percezione di salubrità anche migliore di altre preparazioni. Si potrebbe dire che “gusti il gusto”, senza nessun filtro. Apparentemente è anche molto semplice da fare, nell’immaginario metti sulla griglia la carne, la giri qualche volta ed è fatta…! Invece, come scrivevamo sopra, il rito contemporaneo è fatto in realtà di piccole complessità ma la percezione rispetto ad arrosti e preparazioni lente di carne è sempre quella di una maggior facilità: anche questa una buona motivazione commerciale.

• I prodotti per la griglia, viste queste premesse, si sono evoluti in nuove esigenze di consumo, anche se bisogna rilevare che questo non necessariamente corrisponde all’offerta di acquisto dei negozi tradizionali o della GDO. In una prima fase era il taglio e la provenienza della carne la chiave prevalente di lettura, Angus, Chianina, Argentina…Fiorentina, Rib-Eye, Tomawak.. Subito a ridosso è arrivato il fenomeno Dry Aged con l’indicazione dei giorni di frollatura ed è stata subito gara a chi mangiava

I prodotti per la griglia si sono evoluti in nuove esigenze di consumo, anche se bisogna rilevare che questo non necessariamente corrisponde all’offerta di acquisto dei negozi tradizionali o della GDO

la carne più vecchia…Il teorema era: per fare una bistecca di razza l’unica soluzione è farla alla griglia, meglio se frollata. Oggi però prevale di più la cultura del fuoco che quella del prodotto: ovvero se la griglia è una tecnica di cottura (ancestrale, rituale, sana e veloce) beh…ci posso fare quello che voglio sulla griglia stessa. E “quello che voglio” sono non solo le verdure o il pesce, il pane e anche i mashmallows ma preparazioni di carne che vanno oltre il pezzo di carne e che aprono a ricette tipiche italiane o internazionali. Pezzi più piccoli e divertenti da mangiare, anche declinabili in gusti diversi. Mi riferisco a bombette, spiedini in versione yakitori, satay, pinchos, kebab, kufta. Ma anche petti di anatra o altro pollame per un allargamento della griglia anche a carni non rosse. Tutti prodotti che commercialmente possono essere venduti a singolo pezzo, personalizzati come ricette, comprati rispetto alla bisogna e tendenzialmente con una percezione di prezzo più conveniente della classica bistecca.

Molto di più della grigliata mista a Pasquetta!

marketing, distribuzione e consumatori 41 MAR-APR 2024
Con

l’ERP CSB-System verso una

maggiore sicurezza e trasparenza

Automatizzare la produzione è la migliore strategia per ridurre i costi e migliorare la competitività

Una rintracciabilità incompleta è innanzitutto vietata per legge; in secondo luogo, comporta dei costi e perdite di immagine che, in casi estremi, possono portare le aziende a situazioni di crisi. Inoltre, la collaborazione con partner commerciali e GDO

è totalmente preclusa se non si è in grado di garantire una completa trasparenza dei prodotti. I produttori devono dunque documentare ogni singola fase di lavorazione: un’attività faticosa a meno che non si decida di automatizzare e digitalizzare i processi scegliendo il partner informatico giusto. Il gruppo aziendale CSB-System offre da 45 anni soluzioni gestionali specifiche per il settore alimentare, in grado di gestire l’azienda a 360° perché, anche nell’era dell’Industria 4.0, il sistema ERP mantiene il suo ruolo di colonna portante tecnico-informatica dell’azienda: dagli acquisti alla produzione ed ottimizzazione ricette, dalla pesoprezzatura integrata fino all’efficiente preparazione ordini, senza mai trascurare la tracciabilità lungo l’intera filiera.

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ADEMPIMENTO DI LEGGI, DIRETTIVE, NORME, CERTIFICATI

E STANDARD INTERNAZIONALI

Un sistema di gestione della sicurezza alimentare coerente con i principi HACCP aumenta la fiducia dei clienti. Qualora ci siano degli scostamenti dai parametri prestabiliti, è il gestionale stesso a comunicare automaticamente la non conformità al responsabile della qualità per poter avviare poi le azioni correttive. Esistono vari tipi di controlli prescritti dalla normativa in campo alimentare: alcuni sono obbligatori, altri volontari ma necessari per ottenere determinate certificazioni (ad es. CO2-Label, Carbon Trust Standard, Halal, Kosher, etc.); ed il possesso di certificazioni rappresenta un ingresso privilegiato nel mercato della grande distribuzione. In ogni caso, i dati raccolti confluiscono nella Ge -

42 MAR-APR 2024
con l’ERP CSB-System
Controllo Qualità
aziende e informatica

stione Certificazioni CSB: così facendo il gestionale, in qualsiasi momento, è in grado di fornire tutte le informazioni necessarie sulla struttura organizzativa e i processi aziendali per gli audit e le certificazioni. Il CSB QM e LIMS garantisce l’adempimento delle più importanti leggi, direttive, norme e standard internazionali come IFS e BRC, senza tralasciare le peculiarità nazionali e l’etichettatura conforme a livello internazionale. Sono inoltre compresi la gestione delle etichette alimentari, il confronto delle tabelle nutrizionali riportate in etichetta con i risultati analitici, ed altri aspetti legati a requisiti specifici.

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Basta premere un tasto e CSBSystem mette a disposizione le informazioni precise sulla rintracciabilità per lotto e, per quel che riguarda i prodotti a base di carne bovina, anche per auricolare. Così all’occorrenza si ottiene l’accesso diretto a tutti i dati necessari. Le questioni relative a provenienza e responsabilità potranno essere immediatamente chiarite e le situazioni di crisi affrontate con competenza.

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MIGLIORAMENTO

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Con il CSB QM e LIMS e CSB Traceability è facile individuare i punti deboli dei processi aziendali in qualsiasi area aziendale. Errori e malfunzionamenti rilevati sono eliminati in modo sistematico e secondo regole stabilite. L’inserimento di istruzioni di lavoro standard, istruzioni di controllo qualitative e quantitative, avvisi di allerta e misure di protezione per prodotti e metodi, renderanno i processi aziendali più sicuri ed efficienti, aumentando allo stesso tempo la sicurezza del prodotto. 

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L’igiene delle carni

Il Reg. 853/2004, da 20 anni il caposaldo normativo in materia di igiene degli alimenti di origine animale – applicazione ed esenzioni

Il c.d. “Pacchetto Igiene”, espressione con la quale ci si riferisce ad una serie di Regolamenti comunitari recanti il vigente quadro normativo in materia di igiene dei prodotti alimentari, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 30.04.2004, anche se solo dal 1° gennaio 2006 il nuovo regime è divenuto applicabile in tutti gli Stati membri dell’Unione europea.

Contestualmente alla pubblicazione di tali Regolamenti il legislatore comunitario ha abrogato – con la Direttiva 2004/41/CE – una serie di norme verticali di settore concernenti, tra l’altro, l’igiene degli alimenti di origine animale che i vari Stati membri avevano provveduto, nel corso degli anni, a recepire nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali. L’aspetto più innovativo della legislazione in esame, rispetto all’assetto antecedente al 2006, è stato quello di aver esteso l’applicazione delle norme in materia di igiene a tutti gli anelli della filiera sino a ricomprendervi la produzione primaria (allevamento, coltivazione, caccia, pesca ecc.) e le operazioni a questa associate.

Il Regolamento 853/2004, integra il Regolamento 85/2004 che stabilisce le norme generali sull’igiene degli alimenti, con disposizioni specifiche che gli operatori del settore alimentare sono tenuti a seguire riguardo

all’igiene degli alimenti di origine animale, quali carni, prodotti della pesca e prodotti lattiero-caseari.

Le norme di cui al Regolamento 853/2004 si applicano ai prodotti di origine animale sia NON TRASFORMATI come le carni fresche, le carni macinate o le preparazioni a base di carni, che TRASFORMATI, come ad esempio i prodotti a base di carne (prosciutti, salami ecc.).

Avv. Cristina La Corte, Studio Gaetano Forte

Sono invece esclusi dall’ambito di applicazione del Regolamento 853/2004, e restano soggetti alle sole norme generali di cui al Reg. 852/2004, i c.d. PRODOTTI COMPOSTI ossia quegli alimenti che contengono prodotti di origine vegetale e prodotti trasformati di origine animale (ad esempio una pizza con prosciutto e mozzarella). Tuttavia, i prodotti trasformati di origine animale uti-

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diritto e legislazione
Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

lizzati per preparare detti alimenti composti devono essere ottenuti e manipolati conformemente ai requisiti fissati dal regolamento 853/2004.

Si osserva in ogni caso che la semplice aggiunta di un ingrediente vegetale quale ad esempio una spezia, ad un prodotto a base di carne trasformato non ne muta la tipologia in alimento composto. Ad esempio, l’aggiunta di pepe o aglio all’impasto di un insaccato comporta la realizzazione di un prodotto trasformato a base di carne rientrante nel campo di applicazione del Regolamento 853/2004, e non è sufficiente a trasformare il prodotto in un alimento composto viceversa escluso.

Diversamente, la combinazione di alimenti d’origine vegetale con alimenti NON TRASFORMATI d’origine animale (es. carni macinate) e ulteriore trasformazione del tutto rientra nel campo di applicazione del Regolamento 853/2004 e deve pertanto essere realizzata in uno stabilimento riconosciuto, applicando le norme pertinenti, dato che il rischio è identico a quello posto dalla fabbricazione di alimenti trasformati d’origine animale. Salvo espressa indicazione contraria, inoltre, il Reg. 853/2004 non si applica al COMMERCIO AL DETTAGLIO.

In base all’art. 3, punto 7, del regolamento 178/2002 per “commercio al dettaglio” s’intende la movimentazione e/o trasformazione degli alimenti e il loro stoccaggio nel punto di vendita o di consegna al consumatore finale, compresi i terminali di distribuzione, gli esercizi di ristorazione, le mense di aziende e istituzioni, i ristoranti e altre strutture di ristorazione analoghe, i negozi, i centri di distribuzione per supermercati e i punti di vendita all’ingrosso.

Come è precisato nei considerando 12 e 13 del Regolamento 853/2004, la suddetta definizione, che include le attività di commercio all’ingrosso, è stata considerata troppo ampia nel contesto dell’igiene alimentare. In tale ambito nor-

mativo, il commercio al dettaglio dovrebbe in genere essere inteso nella accezione più ristretta di “attività che includono la vendita o la fornitura diretta di alimenti d’origine animale al consumatore finale”.

Ciò implica che: per le attività che includono la vendita o la fornitura diretta di alimenti d’origine animale al consumatore finale il Regolamento 852/2004 sarebbe sufficiente. In conformità con la definizione di “commercio al detta-

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diritto e legislazione

glio”, il termine “attività” include la trasformazione (ad esempio la preparazione di prodotti a base di carne in una macelleria locale) nel punto di vendita per il consumatore finale. Per quanto riguarda le attività di commercio all’ingrosso (ovvero nel caso in cui un esercizio all’ingrosso o al dettaglio svolge attività finalizzate a fornire ad un altro esercizio di alimenti d’origine animale), si applica il Regolamento 853/2004, tranne che: quando le operazioni si limitano al magazzinaggio o al trasporto, nel qual caso si applicano comunque i requisiti specifici di temperatura stabiliti nell’allegato III del Regolamento 853/2004; oppure

• quando la fornitura di alimenti di origine animale è effettuata unicamente da un laboratorio annesso all’esercizio di commercio al dettaglio ad un altro laboratorio annesso all’esercizio di commercio al dettaglio e, conformemente alla legislazione nazionale, tale fornitura costituisce un’attività marginale, localizzata e ristretta. Se rientranti nella nozione di “attività marginale, localizzata e limitata” il Regolamento 853/2004 autorizza pertanto i semplici dettaglianti che riforniscono il consumatore finale a fornire alimenti d’origine animale ad un altro esercizio al dettaglio locale, ma unicamente nel quadro delle prescrizioni del Regolamento 852/2004. Le prescrizioni spe -

cifiche di cui al Regolamento 853/2004 quali ad esempio, l’onere del RICONOSCIMENTO DELLO STABILIMENTO e l’apposizione di un BOLLO SANITARIO o di un MARCHIO D’IDENTIFICAZIONE sui prodotti preconfezionati, non si applicano pertanto alla descritta situazione.

L’allegato III del Regolamento 853/2004 stabilisce infine le norme specifiche per ciascuna categoria di prodotto di origine animale rientrante nell’ambito di applicazione della normativa in esame.

Le prime sette sezioni sono dedicate alle carni, tra cui ungulati domestici (specie bovine,

ovine e caprine), pollame e lagomorfi (volatili d’allevamento, conigli, ecc.), selvaggina d’allevamento, selvaggina selvatica, carni macinate, preparazioni di carni e carni separate meccanicamente e prodotti a base di carne. In via generale le norme definiscono i requisiti d’igiene per il trasporto di animali vivi, per i macelli, per i laboratori di sezionamento; per gli stabilimenti di produzione, durante le operazioni di macellazione sezionamento e disosso; i requisiti di temperatura durante la trasformazione e la conservazione e altre norme specifiche volte a garantire l’igiene delle carni in tutte le fasi della filiera. 

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diritto e legislazione 46 MAR-APR 2024
Bimestrale di aggiornamento su tecnologie e processi di trasformazione e di commercializzazione delle carni Anno 19 numero 106 LUGLIO 2022 Ecod Srl Unipersonale Via Don Riva, 38 20028 San Vittore Olona MI Poste italiane spa sped. in A. P.D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Varese In caso di mancato recapito prega di inviare CPO Varese per la restituzione al mittente che si impegna a pagare diritto fisso dovuto EVENTI Fiere e dintorni: Cibus, Marca, IFFA, Sial Paris RELAZIONE SCIENTIFICA Influenza della struttura del budello sull’ossidazione dell’insaccato DIRITTO E LEGISLAZIONE Salmonelle nella carne fresca di pollame LA PAROLA ALL’ESPERTO
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