La gestione delle muffe nella maturazione dei prodotti di salumeria
DOSSIER
Verso
SICUREZZA ALIMENTARE
Specie
DIRITTO E LEGISLAZIONE
Salsiccia:
UNICA ED ESCLUSIVA
iMEAT è un punto di riferimento, confronto e aggiornamento professionale per macellerie, gastronomie, ristorazione e industria di lavorazione carni
TECNOLOGIE, ATTREZZATURE, AROMI, INGREDIENTI per lavorazione e conservazione di carni e salumi
INTERNAZIONALE
Partecipare con uno stand ti permette di essere protagonista del futuro nel settore carne e presentarti al mercato italiano ed europeo
ECCELLENZE ALIMENTARI per dettaglio e HoReCa
TECNOLOGIE, ATTREZZATURE, TENDENZE, METODI di cottura grill professionale
VANTAGGI
Posizione strategica all’interno della Food Valley, costi contenuti, giorni ideali scelti per favorire l’affluenza dei visitatori
Attigui all’area GRILL: • PADIGLIONE ESPOSITIVO per dimostrazioni di cottura grill a fiamma libera • AREA ESTERNA per esporre tendenze di cottura bbq
iMEAT® 2025 si avvicina
La nona edizione di iMEAT®, la fiera internazionale delle carni che ECOD Srl organizza ogni due anni a ModenaFiere si avvicina: marzo 2025.
Le edizioni precedenti hanno segnato l’evoluzione di un settore, quello delle carni e delle sue trasformazioni, a tratti dibattuto, contrastato o esaltato, ma sempre apprezzato per l’impegno e la serietà con cui persegue i suoi scopi con etica, professionalità e spirito di innovazione. Cambia la società, cambiano gli orizzonti politici ed economici ma l’impegno delle aziende e degli operatori resta costante.
146 espositori, 9.268 visitatori, 11.500 mq suddivisi in due padiglioni. Questi in sintesi i dati dell’edizione 2023 di iMEAT by Ecod... che si appresta, nel 2025, ad aumentare e migliorare le sue performance.
ECOD, infatti, con la sua fiera iMEAT, cerca con costanza di rispondere alle esigenze di tutti offrendo una panoramica ampia e strutturata sulle tendenze e sulle innovazioni
La valorizzazione della tecnologia e il suo perfezionamento è da sempre principale obiettivo di iMEAT e la prossima edizione della fiera – dal 23 al 25 marzo 2025 – sarà ancora più ricca di proposte. In particolare l’area denominata TEC sarà dedicata all’esposizione di tecnologie, attrezzatu-
re, aromi e ingredienti per la lavorazione e la conservazione delle carni e dei salumi
iMEAT è l’unica fiera B2B in Italia che unisce FOOD e TECHNOLOGY in una proposta condivisa perché il suo scopo è fornire un punto di riferimento, di incontro e confronto, oltre che una concreta occasione di aggiornamento professionale, per tutti i soggetti coinvolti mettendo in contatto operatori e fornitori, specialisti della trasformazione e produttori di strumentazione ad essa dedicata.
In occasione della fiera iMEAT 2025, infine, prenderanno vita nuovi progetti dedicati a carni e salumi, e ai loro produttori o rivenditori, allo scopo di promuoverli e dare loro visibilità.
Unica ed esclusiva, e internazionale. iMEAT® 2025 offre a espositori e visitatori l’opportunità di essere protagonisti del futuro della carne, nel mercato italiano ed europeo, con una visione moderna, propositiva e dinamica.
Vi aspettiamo!
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Tel. +39 0331518056
PER ESPORRE: office@imeat.it
PER VISITARE: info@imeat.it
L’area TEC sarà dedicata all’esposizione di tecnologie, attrezzature, aromi e ingredienti per la lavorazione e la conservazione delle carni e dei salumi
Luca Codato - Editore e organizzatore di iMEAT
Il peso è il nostro punto “fisso”
PORTIO PLUS La porzionatrice intelligente
La taglierina perfetta per porzionare a peso fsso carni fresche senz’osso. Precisione ineguagliabile su tagli di manzo di alta qualità. Taglio netto, pulitissimo, anche in presenza di grasso. Divide in fette, tranci o porzioni, programmabile in pochi secondi.
TAGLIO A PESO FISSO PER CARNI FRESCHE SENZA OSSO.
Direttore responsabile: Cristina Filetti
Direttore CommerCiale:
Luca Codato - codato@ecod.it
reDazione: Marina Caccialanza - redazione@ecod.it
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Hanno Collaborato:
Cristina La Corte; Angela Mucciolo; Claudio Mucciolo; Giuseppe L. Pastori.
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ASSOCIATO
MERCATI E CONSUMI: Agroalimentare italiano, stato dell’arte e prospettive
PAROLA ALL’ESPERTO: La gestione delle muffe nella maturazione dei prodotti di salumeria
DOSSIER - INDUSTRIA DELLE CONSERVE: Verso nuove tecnologie di lavorazione e conservazione
ALIMENTARE: Specie selvatiche: apertura al commercio globale
AZIENDE: Handtmann Italia - Partner unico per il comparto food
E INFORMATICA: Perché l’ERP CSB-System è così utile per la gestione di un’azienda alimentare?
DIRITTO E LEGISLAZIONE: Salsiccia: preparazione di carne o prodotto a base di carne?
A:
CRESCE A LIVELLO GLOBALE LA DOMANDA
DI PROTEINE ANIMALI
Il “Red Meat Exports Conference” di AHDB, la conferenza annuale sulle esportazioni di carne rossa organizzata dall’Ente inglese presso la Butcher’s Hall di Londra, che ogni anno riunisce esperti del settore per discutere di futuro, problematiche e opportunità del comparto, ha diffuso recentemente le tendenze del mercato delle carni. Nel corso dell’evento è emerso che, a livello mondiale, il consumo di carne suina, bovina e ovina aumenterà rispettivamente dell’11%, 10% e 15% entro il 2032. Lo testimoniano i numeri dello scorso anno: nel 2023 l’export di carne rossa dall’UK ha registrato un valore di 1,7 miliardi di sterline, eguagliando l’anno record nel 2022.
Nel 2023 AHDB aveva lanciato “Beyond Borders”, un programma dedicato proprio all’export che ha posto le basi per una serie di iniziative volte a stimolare la domanda oltreconfine, tra cui l’organizzazione di visite ad allevamenti e produttori, la partecipazione a fiere internazionali e il sostegno all’apertura di nuovi mercati.
Nel 2023 il Regno Unito ha prodotto circa 900.000 tonnellate di carne bovina, di cui circa 134.000 tonnellate destinate all’export. L’Europa rappresenta per l’UK il più grande mercato di destinazione di carne bovina, e l’Italia ne è tra i principali importatori.
DIECI ANNI DI FOOD ITALIANO
UN VIAGGIO NEL BENESSERE
Dal 23 al 25 febbraio 2025, la 36a edizione del Salone internazionale del biologico e del naturale si declina in SANA Food, nuovo concept immersivo e dinamico, centrato sulla sana alimentazione, sui consumi out of home e su altri temi di grande attualità, per offrire ad aziende, buyer e visitatori professionali un viaggio unico tra cibo bio, eccellenze green, prodotti naturali, trend emergenti e tecnologie all’avanguardia.
Novità dell’edizione 2025, la survey è un innovativo strumento d’indagine per comprendere meglio il cliente finale e le sue preferenze di consumo. Per leggere, profilare e, quando possibile, anticipare le esigenze dei consumatori interessati a questo tipo di proposte, SANA Food lancia il progetto 100 Giorni Sani, pensato per fornire agli operatori del settore alimentare e Horeca un’analisi approfondita delle intenzioni di acquisto della popolazione italiana e internazionale.
I primi mesi di indagine hanno già mostrato un consumatore attento e sempre più consapevole. Gli italiani associano allo stile di vita sano un’accezione positiva: lo identificano con l’attenzione alla propria salute e al proprio benessere, traducendolo in una forma di equilibrio tra corpo e mente e in un’idea di contatto con la natura. Il 49% degli intervistati associa l’alimentazione sana alla dieta mediterranea.
L’osservatorio sulle performance e sui modelli di business delle aziende italiane del food realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e da Ceresio Investors rivela che il food italiano ha registrato negli ultimi dieci anni una crescita rilevante, passando da un valore di 53 miliardi nel 2012 a circa 90 miliardi nel 2023. Le esportazioni hanno visto una crescita continua, passando nello stesso periodo da 23 a 44 miliardi di euro.
Gli occupati nella sola industria di trasformazione alimentare sono aumentati da 449.000 a 488.000, con una crescita record di circa 39.000 unità, in un periodo non particolarmente positivo per l’economia italiana.
Negli ultimi dieci anni, le aziende del food italiano hanno performato costantemente meglio delle medie imprese italiane (Dati MBRES) non solo in termini di redditività (ROI), ma anche per quanto riguarda la produttività degli investimenti e il tasso di indebitamento.
Dal 2013 al 2022 il fatturato medio è cresciuto del 4,4% annuo.
Le aziende del campione Food Industry Monitor hanno realizzato, a partire dal 2009, 72 acquisizioni di cui ben 26 verso target internazionali, per un controvalore complessivo di 5,4 miliardi di euro.
La crescita del settore proseguirà nel biennio 2024-2025 con tassi superiori al PIL. In particolare, per il 2024 si prevede una crescita del +4,8%, mentre per il 2025 la crescita sarà del 5,2%.
MOVIMAX “ZERO”
LA SIRINGATRICE A EMISSIONI ZERO
· Impronta di carbonio minima
· Massima efficienza energetica
· Minimo residuo di salamoia
· Elevata riciclabilità dei componenti
· Massima precisione di siringatura
· Ottima distribuzione della salamoia e uniformità del colore
SIAL PARIS 2024, EDIZIONE ECCEZIONALE PACKAGING, PREVISIONI DI CRESCITA
Da 60 anni, SIAL Paris riunisce tutti gli operatori di tutto il mondo attorno ai temi legati all’alimentazione. L’edizione 2024 – dal 19 al 23 ottobre - propone numerose novità:
• Summit, un nuovo format che va oltre l’ispirazione e offre contenuti lungimiranti forniti da relatori internazionali. Durante questi summit si esploreranno Africa, deeptech e AI, Supply chain e CSR, per comprenderne l’impatto immediato e riflettere sulle soluzioni concrete che forniscono per le sfide di domani.
• SIAL for Change: un premio dedicato a esplorare gli approcci globali degli espositori, che dovranno dimostrare il loro impegno attraverso un apposito dossier di candidatura allo scopo di promuovere una visione positiva del cambiamento.
• SIAL Innovation, l’osservatorio globale dell’innovazione alimentare organizzato in collaborazione con XTC Proteins, che analizza diverse migliaia di candidature presentate dagli espositori della fiera ogni 2 anni.
Secondo il Monitor Ipack-Ima emergono importanti dinamiche di settore riguardo le previsioni dei consumi di materiali per il packaging nel periodo 20242027.
Il mercato del Food sembra essere quello maggiormente interessato dall’utilizzo di materiale per imballaggio, con un valore nel 2023 pari a 3.824,4 miliardi di unità e prospettive di crescita al 2027 (CAGR 2024-2027) pari al +3,2% medio annuo. Analizzando i dati emerge una crescita importante per i comparti delle bevande alcoliche (+4% media annua, e consumi aggiuntivi pari a 82,3 miliardi di unità), per il settore alimentare in senso stretto (CAGR +3,1% e mercato aggiuntivo di 289,6 miliardi di unità) e per i soft drinks (+3,1% di crescita percentuale e 134,2 miliardi di unità in più).
Il packaging flessibile risulta essere la scelta più diffusa di confezionamento; le confezioni in metallo mostrano la migliore performance futura prevista con un CAGR 2024-2027 pari a +5%. In linea con le crescite medie attese, le aspettative per la plastica rigida (+3%), inferiori alla media ma comunque positive nella crescita per gli imballaggi in carta e in vetro (CAGR futuro rispettivamente di +1,5% e +1,1%). Dal punto di vista delle tipologie di confezioni maggiormente utilizzate, traina la crescita prevista entro il 2027 la categoria Bag/Sachet con un volume aggiuntivo, entro il 2027, di oltre 131 miliardi di unità e un CAGR di +3,3%. Seguono Lattine per il Beverage (+97,4 mld e CAGR +5,7%), Bottiglie in PET (+96,8 miliardi di unità, CAGR + 3,7%), Pillow Pouch in plastica (+42,8 mld di unità, +7,9%) e Brick Carton per i liquidi (34 mld di unità aggiuntive e crescita di 4%).
• Premio Own the Change (CSR), Premio Start-up e Premio del Pubblico, premi speciali per i quali l’ecosistema SIAL Paris è invitato a votare prima e durante la manifestazione, che si uniscono ai premi dedicati alle innovazioni: una ventina di trofei tematici, assegnati per settore (prodotti lattiero-caseari, frutti di mare, surgelati, ristorazione, ecc.)
• 4 nuovi premi speciali: un premio per il 60° anniversario che premierà la migliore innovazione tra tutti i vincitori del concorso dalla sua creazione, un Premio Paese con il podio delle tre nazioni che hanno proposto i prodotti più innovativi, un Premio Africa e un Premio Concept per le innovazioni in fase iniziale.
Il tanto atteso SIAL Innovation Grand Prix, Oro, Bronzo e Argento sarà svelato durante la cerimonia di premiazione, evento imperdibile della fiera, sabato 19 ottobre 2024.
Per la prima volta, i visitatori della fiera avranno l’opportunità di degustare i prodotti della selezione SIAL Innovation in un nuovo spazio: SIAL Taste. SIAL Startup: per la prima volta i progetti in fase iniziale saranno esposti con uno spazio ampliato per accogliere le start-up foodtech del mondo che stanno ridisegnando il futuro dei nostri piatti.
mercati
e consumi
AGROALIMENTARE italiano,
stato
dell’arte e prospettive
A cura della redazione
The European House – Ambrosetti, con la Community Food&Beverage, giunta alla sua ottava edizione, pubblica un Rapporto Strategico annuale sulla filiera agroalimentare italiana. In queste pagine vi forniamo un resoconto delle principali notizie.
La filiera agroalimentare italiana si conferma un asset strategico per la competitività del Paese connotando il settore agroalimentare nazionale con attributi unici quali creatività, qualità, eccellenza e tradizione.
• 66,6 miliardi di Euro di Valore Aggiunto agroalimentare
• 3° Paese tra i peers europei per quota del settore agroalimentare sul PIL (3,8%)
• 335 miliardi di Euro il Valore Aggiunto della filiera agroalimentare estesa italiana
• 62,2 miliardi di Euro di esportazioni agroalimentari nel 2022
• 1° produttore ed esportatore mondiale di pasta
• 1° Paese al mondo per produzione di vino, pari al 19,9% del totale, e 2° Paese al mondo per esportazioni di vino
• 1° Paese in Europa per numero di prodotti certificati con 890 denominazioni
• 1° Paese al mondo per presenza di ristoranti nazionali nelle principali metropoli mondiali
• 1° destinazione enogastronomica al mondo
• 5,3% il markup medio delle produzioni agroalimentari italiane (3,3 miliardi di Euro) rispetto ai Paesi competitor, permesso dal valore del brand Made in Italy.
La filiera agroalimentare certificata genera
un fatturato totale superiore a 20 miliardi di Euro nel 2022, con la produzione di vino come leader per valore generato, seguita da quella dei formaggi e dei prodotti a base di carne. La loro produzione incide nel complesso per l’11,4% dell’intero fatturato del settore Food&Beverage e il 21,8% sul totale dell’export alimentare nazionale.
Il valore del settore agroalimentare italiano per la salute dell’economia nazionale è testimoniato dal complesso sistema produttivo attivato dalle filiere economiche su cui agisce a monte e a valle. Attraverso il censimento dei settori coinvolti dall’attivi-
tà economica del comparto, The European House – Ambrosetti ha mappato e quantificato l’impatto della sua catena di valore, che include 21 macro-filiere. Nel complesso, la filiera agroalimentare estesa e le sue filiere a monte e a valle sostengono la generazione di 335 miliardi di Euro di Valore Aggiunto in Italia, abilitando la generazione del 19% del PIL italiano.
Nonostante l’elevata competitività a livello nazionale e internazionale, la filiera agroalimentare si trova ad affrontare diverse sfide nell’attuale contesto di crisi congiunturali, quali il cambiamento climatico, l’incertezza geopolitica, l’elevata inflazione e la crisi energetica, che rischiano di avere un impatto significativo sulla sua operatività, resilienza e sostenibilità.
L’Italia sta anche attraversando importanti evoluzioni socio-demografiche, che stanno influenzando le scelte di consumo alimentare e le abitudini nel carrello della spesa.
Se il Paese vuole tornare a crescere è necessario ripartire dal rilancio dei consumi privati, che contribuiscono per il 60% del PIL nazionale. Queste dinamiche si inseriscono però in un quadro che vede i consumi alimentari fermi da oltre un decennio.
• la qualità rimane comunque il 1° driver nelle scelte di acquisto (71,3%), seguita dal prezzo (58,6%)
• oltre 9 cittadini su 10 hanno registrato una crescita dei prezzi alimentari nei propri acquisti almeno del +10% nell’ultimo anno
• la risposta più diffusa dei cittadini italiani nel carrello della spesa è stata quella di fare maggiore attenzione a sconti e offerte (26,1% dei casi)
• il vino e le bevande alcoliche sono i beni per cui il calo degli acquisti è stato più marcato (16,7%), seguiti dai prodotti a base di carne (16,7%) e dal pesce (15,3%), portando quindi a un impoverimento della qualità e varietà della dieta per quei cittadini che non possono più permettersi il precedente tenore di acquisti.
The European House – Ambrosetti ha individuato 6 priorità per il rilancio della filiera agroalimentare in Italia e nel mondo:
1. adottare misure di sostegno ai consumi alimentari, a partire dalle fasce più vulnerabili della popolazione, e alle imprese in questo momento in crisi
2. rafforzare la dimensione media delle imprese del settore Food&Beverage per incrementare la competitività
3. combattere il fenomeno dell’Italian Sounding e promuovere le esportazioni delle eccellenze italiane
Il valore del settore agroalimentare italiano per la salute dell’economia nazionale è testimoniato dal complesso sistema produttivo attivato dalle filiere economiche su cui agisce a monte e a valle
4. rafforzare le filiere Made in Italy per ridurre la dipendenza dall’estero in un’epoca di continui shock esogeni
5. adottare politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici
6. imprementare politiche di sensibilizzazione e di educazione alimentare nella patria della dieta mediterranea a partire dalle giovani generazioni.
LA FOTOGRAFIA DELLA FILIERA
AGROALIMENTARE ITALIANA
E IL CONTRIBUTO DEI TERRITORI
AL VALORE DEL MADE IN ITALY
Il cibo e le tradizioni enogastronomiche italiane rappresentano un patrimonio inestima-
bile che tutto il mondo riconosce e ammira. Approfondendo le dinamiche di performance regionale all’interno della filiera, i primi tre territori per contributo alla generazione di valore economico (inteso come contributo al PIL del Paese) sono la Lombardia, con 10 miliardi di Euro di Valore Aggiunto (pari al 15% sul totale dell’agrifood italiano), seguita da Emilia-Romagna con 9,4 miliardi di Euro (14,2%) e Veneto con 6,7 miliardi di Euro (10,1%). Le Regioni del Nord-Est e del Nord-Ovest insieme si confermano dunque come le aree più produttive del settore agroalimentare italiano, pesando rispettivamente il 30,6% e il 24,4% del totale del Valore Aggiunto della filiera, seguite da quelle di Mezzogiorno (31,1%) e del Centro (13,9%).
Nelle Regioni del Mezzogiorno, l’incidenza del settore primario sul Valore Aggiunto totale generato dalla filiera agroalimentare supera il 70%. Con una quota dell’82,2% di Valore Aggiunto generato dal settore primario, la Calabria rappresenta il territorio con la maggiore incidenza del settore agricolo. Seguono la Basilicata (80,7%), la Sicilia (76,2%), il Molise (73,6%) e la Sardegna (71,9%). In queste zone, l’agricoltura rappresenta un’attività economica di primaria importanza e contribuisce in modo significativo al reddito e all’occupazione.
Al contrario, vi sono 7 Regioni dove il settore Food&Beverage ha un’incidenza superiore al 50% sul totale del Valore Aggiunto della filiera agroalimentare, tutte situate nel Nord, che presenta un maggior numero di grandi
Se il Paese vuole tornare a crescere è necessario ripartire dal rilancio dei consumi privati, che contribuiscono per il 60% del PIL nazionale
aziende alimentari che producono prodotti ad elevata vocazione esportativa.
La filiera agroalimentare riveste un ruolo sociale fondamentale nei territori, contribuendo alla generazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Le prime 3 Regioni per numero di occupati della filiera nel Paese sono la Puglia, la Sicilia e la Lombardia, che da sole pesano per oltre il 30% del totale degli addetti del settore:
La Puglia, con quasi 150.000 occupati, è la Regione con il maggior numero di addetti nella filiera agroalimentare. La Regione è un importante produttore di ortaggi, frutta, olio d’oliva e vino;
• La Sicilia impiega circa 143.000 persone, principalmente nelle attività generate dalla produzione di ortaggi, frutta, agrumi e vino, ma è anche nota per la sua produzione di pesce e prodotti ittici;
• La Lombardia, con circa 126.000 occupati, è la principale Regione produttrice di latte e derivati in Italia, e anche un importante produttore di cereali, carne e vino;
• Le Regioni del Mezzogiorno si affermano come le aree con la più alta incidenza di occupati all’interno della filiera agroalimentare italiana (44,5%), seguite da quelle del Nord-Est (23,1%), del Nord-Ovest (17,4%) e del Centro (15%).
LA FILIERA AGROALIMENTARE
COME AMBASCIATRICE
DELLE ECCELLENZE
DEL MADE IN ITALY ALL’ESTERO
Nel 2023, le esportazioni agroalimentari italiane hanno raggiunto il record storico di 62,2 miliardi di Euro, un valore che si inserisce in un trend di crescita media annua del +6,4% nel periodo 2010-2023.
Anche l’incidenza dell’esportazione agroalimentare sul totale dell’export nazionale ha registrato una crescita costante negli ultimi anni. Nel 2010 pesava per l’8,2% sul totale, ha raggiunto il 9,0% nel 2017 e il 9,9% nel 2023, con un aumento di +1,7 punti percentuali nel periodo.
A guidare questa crescita dell’export nell’ultimo anno sono state esclusivamente dinamiche inflazionistiche, in quanto a una crescita dei valori esportati a prezzi correnti del +5,7% non ha corrisposto un aumento dei volumi, che anzi sono diminuiti del -3,9%.
Tale evoluzione si inserisce in un trend di medio periodo che vede i volumi agroalimentari esportati completamente fermi (-1,9% dal 2010 ad oggi).
Ciò dimostra da un lato l’enorme capacità degli imprenditori dell’agrifood italiano di generare valore dalle proprie eccellenze esportate, dall’altro il grande potenziale an-
La filiera agroalimentare riveste un ruolo sociale fondamentale nei territori, contribuendo alla generazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro
cora inespresso di possibile incremento della penetrazione dei prodotti Made in Italy all’estero.
Tra gli altri fattori che contribuiscono ad indebolire la presenza dell’agroalimentare italiano all’estero, il fenomeno dell’Italian Sounding gioca un ruolo preponderante, e nel 2023 - secondo le stime aggiornate dal modello econometrico di The European House - Ambrosetti - vale 98 miliardi di Euro: se l’Italian Sounding si trasformasse in vero fatturato italiano, il potenziale di export del Paese sarebbe di circa 160 miliardi di Euro.
IL CASO “AMADORI”:
UNA STORIA ITALIANA
CHE DIVENTA UN CASO STUDIO
La storia di Amadori è un percorso di crescita costante, che inizia in Romagna intorno agli anni Trenta del secolo scorso. Parte dalla commercializzazione di pollame e animali da cortile nel contesto del territorio e diventa allevamento negli anni cinquanta.
La svolta avviene negli anni Sessanta, quando Amadori inizia a integrare la propria filiera attraverso la costruzione e l’apertura del primo mangimificio (1965), del primo incubatoio (1966), del primo impianto di trasformazione (1968). Nel 1969 l’azienda viene fondata in modo ufficiale.
L’ampliamento degli allevamenti in altre regioni italiane e il lancio dei primi prodot-
ti elaborati, negli anni settanta, danno il via all’espansione dell’azienda.
Il 2001 inizia con il lancio della filiera premium de Il Campese, la prima allevata all’aperto, punto di riferimento per il benessere animale.
Vengono introdotti in seguito nuovi prodotti sempre più innovativi e attenti all’evoluzione delle abitudini di consumo. Nel biennio 2022/23, attraverso una serie di acquisizioni, Amadori entra anche nella fascia alta dei salumi e avvia internamente una linea dedicata alle proteine vegetali.
È la prima ed unica azienda di proteine animali ad aver integrato il plant based nella sua offerta.
Nel 2023 compare il nuovo logo che mette in evidenza al centro delle attività e della comunicazione, oltre alla passione per il cibo, la cucina, lo stare insieme e il contributo ambientale e sociale dell’azienda.
Gruppo leader nel mercato agroalimentare italiano basato su una realtà aziendale composita che integra tutte le diverse fasi della filiera formando un sistema sinergico, Amadori presenta un bilancio 2023 che si è chiuso con un fatturato di 1,78 miliardi di Euro, registrando una crescita media annua costante del 7,3% dal 2018, realizzati principalmente in Italia. Vende attualmente in oltre 30 Paesi (fra Europa e Middle East) per un fatturato esportato all’estero pari a circa il 10% del totale commerciale.
La filiera integrata controllata dal gruppo
Amadori è la prima ed unica azienda di proteine animali ad aver integrato il plant based nella sua offerta
Amadori comprende oltre 830 allevamenti sia a gestione diretta che in convenzione, 6 stabilimenti di trasformazione alimentare, 5 incubatoi, 16 centri di distribuzione tra filiali e agenzie, 4 mangimifici di proprietà e uno in conto lavorazione e 3 piattaforme logistiche primarie sparse lungo tutta la penisola.
IL MERCATO DELLE PROTEINE
Amadori vanta un assortimento di gamma che comprende 2.000 referenze, che includono sia quelle tradizionali che quelle più innovative a base di carni fresche e surgelate di pollo, tacchino e suino, oltre a uova e ovoprodotti, altre preparazioni a base di carni con verdure e le nuove referenze a base di proteine vegetali.
• per quanto riguarda le proteine gialle oltre a uova di diverso tipo Amadori propone anche un’ampia gamma di uova pastoriz-
zate in brick come l’albume, il tuorlo e il misto d’uovo per quanto riguarda le proteine rosa, è in crescita l’attività di commercializzazione di salumi di qualità in essere da tempo, soprattutto grazie alla recente acquisizione del marchio storico Lenti per quanto riguarda le carni rosse è presente a livello commerciale principalmente nel canale normal trade (macellerie, negozi di vendita al dettaglio di carne) con il marchio Mister Meat l’ingresso nel segmento delle proteine vegetali risponde alla visione strategica di Amadori di diventare una protein company a 360° per soddisfare la domanda di alternanza proteica.
Il mercato delle proteine è caratterizzato da una crescente complessità e si caratterizza in base all’origine della proteina stessa. Da un lato vi sono le più tradizionali proteine bianche, rosse e rosa, rispettivamente di origine avicola, bovina e suina; dall’altro l’emergente mercato delle proteine verdi, o di origine vegetale.
La filiera si distingue in due fasi: 1. fase primaria, di allevamento del bestiame
ripartita rispettivamente tra il settore avicolo (€4,3 miliardi), il settore bovino (€3,6 miliardi) e quello suino (€3,5 miliardi) 2. fase industriale, di lavorazione della carne ripartita rispettivamente tra il settore avicolo (€6,1 miliardi), il settore bovino (€6,6 miliardi) e quello suino (€8,5 miliardi).
Nel 2022 la sola fase primaria della filiera conta oltre 125 mila allevamenti, di cui 6.804 avicoli, 89.680 bovini e 28.589 suini. La fase industriale invece coinvolge oltre 2.900 imprese, di cui 1.600 del solo comparto avicolo e le restanti 1.300 nella trasformazione di bovini e suini.
Nell’ultimo decennio l’avicolo ha seguito, in tutta Europa, un trend positivo per quanto riguarda la produzione delle carni, con una crescita complessiva del 24% tra il 2013 e il 2023. La produzione italiana di carni bovine
Nell’ultimo decennio l’avicolo ha seguito, in tutta Europa, un trend positivo per quanto riguarda la produzione delle carni, con una crescita complessiva del 24% tra il 2013 e il 2023
e suine ha registrato una contrazione annua media tra il 2019 e il 2023 pari rispettivamente a -1,9% (per le carni bovine) e -3,7% (per le carni suine), in linea con il mercato europeo. Problematiche sanitarie come la diffusione dell’influenza aviaria, l’aumento dei costi di produzione dovuto all’instabilità geopolitica degli ultimi anni e la guerra russo-ucraina che ha avuto un duplice effetto sui costi, provocando, da un lato l’aumento dei prezzi dell’energia e dall’altro l’aumento del prezzo del mais hanno influito sui volumi di produzione.
Per quanto riguarda la bilancia commerciale, il comparto delle carni avicole è l’unico della zootecnica italiana a presentare un saldo strutturalmente e costantemente positivo sia in volume sia in valore; il settore dei bovini è caratterizzato da un saldo di bilancia commerciale strutturalmente negativo; per quanto riguarda il comparto suino, il saldo della bilancia commerciale del settore è costantemente in negativo. Le esportazioni sembrano comunque mantenere un trend positivo a valore e l’Italia si afferma come primo Paese esportatore mondiale di “preparazioni e conserve stagionate”, con una crescita, nel 2023, del 12% in valore rispetto al 2022, a fronte di una crescita in volume del 7,8%. Riguardo alla crescita in volume, gli aumenti di esportazioni hanno riguardato soprattutto i prosciutti cotti (14,4%) e salsicce e salami stagionati (+4,2%), mentre sono rimaste invariate le esportazioni di prosciutti disossati, speck e culatelli (+0,2%).
PROTEINE VERDI, CHE MERCATO SARÀ
Il mercato sta puntando su innovazione, differenziazione e miglioramento degli standard qualitativi di allevamenti e carni, con prospettive che possano portare ad un’espansione geografica del mercato. Inoltre,
Secondo i dati ISMEA, nel 2023 i sostitutivi vegetali della carne continuano ad avere un ruolo piuttosto contenuto, con una quota di mercato del 4% tra i prodotti proteici di origine animale
secondo le proiezioni della FAO la tendenza va verso una riduzione del consumo pro capite di carne e uno spostamento della domanda verso tagli più pregiati e prodotti premium.
Il tema della biosicurezza è molto importante in questo contesto, ovvero sistemi che consentano di ridurre o eliminare il rischio di introduzione, sviluppo e diffusione di malattie negli allevamenti permettendo di ridurre l’utilizzo di farmaci e antibiotici e di limitare la volatilità dei costi di produzione relativa alla diffusione di malattie.
Infine, sfida comune al mercato delle proteine nei prossimi anni sarà quella di avvicinarsi rapidamente a una produzione sostenibile
per allinearsi alle direttive della Commissione Europea – per esempio nel caso del benessere animale - e per assicurarsi che i propri prodotti si mantengano competitivi per i consumatori.
Il consumo di carne pro capite si attesta intorno ai 79 kg2 e non è ripartito omogeneamente tra i diversi tipi di proteine: le carni avicole sono, in quantità, le più consumate in ambito domestico con un’incidenza del 43,2%, seguito dalle carni bovine 29,7% e dal suino 20,5%. Quanto a valore invece, il primato spetta alle carni bovine.
In questo contesto si inserisce un settore emergente nel mercato delle proteine: le proteine verdi, o sostitutivi della carne, prodotti lavorati proteici di sola origine vegetale. Secondo i dati ISMEA, nel 2023 i sostitutivi vegetali della carne continuano ad avere un ruolo piuttosto contenuto, con una quota di mercato del 4% tra i prodotti proteici di origine animale. Il 65% dei consumatori italiani consuma prodotti proteici di origine vegetale regolarmente mentre il 27% pensa di aumentare il consumo in un futuro prossimo. Inoltre, a sostegno dell’ipotesi che il consumo di prodotti plant based sia scelto perché percepito come più sano e sostenibile, il 61% dei consumatori italiani ritiene che l’etichetta di prodotto biologico sia di fondamentale importanza per i lavorati proteici di origine vegetale. A questo proposito emerge che il 92% dei consumatori abituali di secondi piatti a base vegetale, consuma regolarmente anche carne, preferibilmente bianca. Pertanto, per la grande maggioranza dei consumatori, le proteine verdi non si stanno affermando come sostitute degli altri tipi di proteine, ma come un’integrazione percepita come più sana e sostenibile.
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La gestione delle MUFFE nella maturazione dei prodotti di salumeria
Giuseppe L. Pastori - Tecnologo Alimentare
Le muffe svolgono un ruolo fondamentale nella formazione di caratteri distintivi di aroma e sapore durante la stagionatura favorendo la maturazione dei salumi: il loro ruolo non va sottostimato, perché un errore nella loro gestione può rendere il prodotto non idoneo al consumo e causare un danno economico.
La stagionatura è una pratica fondamentale nella produzione di vari tipi di salumi, come prosciutti, salami, coppe, bresaola, culatello e altri. Durante la stagionatura, la carne subisce delle trasformazioni chimiche e microbiologiche: i suoi enzimi, insieme a batteri e muffe benefici, possono rompere le proteine e i grassi, creando aromi e sapori unici. Al termine di questo processo, dopo un determinato periodo di tempo che può variare da poche settimane a diversi mesi in base a precise specificità che caratterizzano ogni prodotto, si possono ottenere salumi maturi di alta qualità e dal gusto esclusivo.
La stagionatura aiuta nella conservazione della carne, riducendo il contenuto di acqua e creando un ambiente meno favorevole per i batteri patogeni. Grazie alla perdita di umidità e alla presenza del sale, lo sviluppo di microrganismi indesiderati viene infatti limitato, prolungando la durata di conservazione del prodotto. Durante il processo [1], la carne tende a diventare più soda e compatta; questo è dovuto alla disidratazione e alle trasformazioni delle proteine e del grasso, che conferiscono al salume una consistenza specifica e desiderata.
Le fasi della stagionatura sono essenzialmente tre: il riposo, l’asciugatura e la maturazio-
ne. Si deve però considerare la salatura delle carni come operazione preliminare comune per l’avvio del processo di maturazione. L’applicazione di sale sulla carne, che agisce come conservante naturale, contribuisce a disidratare il prodotto e inibire la crescita batterica. In alcuni casi, vengono aggiunti altri ingredienti (tra cui gli zuccheri), conservanti e anche spezie e aromi per arricchire il gusto. Le carni da salare possono essere macinate o lasciate intere per taglio anatomico. Si possono insaccare in budelli sia le macinate per dare origine ai diversi tipi di salame (che si caratterizzano per il tipo di grana di macinatura – grossa, media, fine - e per la pezzatura
che determinerà il periodo di maturazione) sia i tagli anatomici (coppe, culatelli, bresaole e affini) che hanno bisogno di essere modellati in una determinata forma caratteristica. Oppure possono essere semplicemente lasciate esposte tal quali senza essere insaccate (speck e prosciutti). Nella produzione industriale si fa spesso uso anche di aggiunta di colture starter microbiche e fungine (sui budelli), per avviare e controllare il processo di fermentazione e maturazione, impedendo la crescita di microrganismi indesiderati (deterioranti e patogeni) e dirigendo il processo secondo parametri determinati.
Dopo la salatura e/o l’insacco, le carni da stagionare vengono avviate alle celle dove permangono per i tempi necessari alla maturazione, secondo le seguenti fasi:
1. Riposo: la carne viene lasciata riposare in ambienti freschi e asciutti per permettere al sale di penetrare uniformemente e alla tem-
Le fasi della stagionatura sono essenzialmente tre: il riposo, l’asciugatura e la maturazione
lato per temperatura e umidità in rapporto inverso tra loro: a una temperatura iniziale di 22-24 °C corrisponde una bassa umidità relativa; all’abbassarsi delle temperature fino ai 12-14 °C si alza l’UR% a valori di 75-80% circa. È una fase che dura dai 7 ai 10 giorni in funzione soprattutto della pezzatura dell’insaccato.
3. Maturazione: durante questo periodo (che corrisponde alla stagionatura vera e propria), la carne continua a perdere umidità e subisce trasformazioni enzimatiche e microbiologiche che sviluppano il sapore e la consistenza del salume.
La stagionatura è fondamentale per garantire che i salumi raggiungano le loro caratteristiche organolettiche tipiche (sapore, aroma, consistenza) e per assicurare che siano sicuri per il consumo. È un’arte che richiede grande sapienza e controllo dei vari parametri ambientali per ottenere un prodotto di alta qualità.
Una parte essenziale di questo processo è il controllo della crescita di muffe sulla superficie dei salumi, poiché esse svolgono un ruolo chiave nella formazione di aromi e sapori distintivi. Contribuiscono inoltre a stabilizzare il salume contrastando la crescita di microrganismi potenzialmente patogeni, grazie al rilascio di metaboliti che li contrastano in concorso con quelli degli starter microbici aggiunti agli impasti.
chiscano da sé ponendo i salumi in grotte e cantine.
La produzione industriale dei salumi è caratterizzata da una maggiore standardizzazione del processo di stagionatura. Le aziende alimentari adottano rigidi controlli di qualità e sicurezza per garantirne la corretta maturazione e l’assenza di agenti potenzialmente nocivi per la salute. Inoltre utilizzano tecniche di produzione e di gestione delle muffe più avanzate. I cicli di asciugatura e stagionatura sono spesso programmati e monitorati attraverso strumenti di controllo come son-
de ambiente e prodotto che gestiscono i diversi parametri tecnologici, grazie all’ausilio di elettronica e informatica che consentono di gestire tutte le fasi di produzione. Tutto ciò garantisce un alto grado di sicurezza e ripetibilità delle caratteristiche organolettiche dei prodotti. D’altra parte, la stagionatura domestica dei salumi richiede un’ottima esperienza e conoscenza, spesso frutto di una pratica esperienziale tramandata da generazioni, a volte anche senza una rigida regolamentazione: le pratiche di produzione spesso si basano sull’utilizzo di ambienti naturali per la stagionatura, in locali aerati come le cantine. In questo caso, il controllo delle muffe è più difficile, perché ne crescono di spontanee in base all’ambiente, e dipende fortemente dall’esperienza e dalla capacità del produttore domestico di gestire la stagionatura: per questo motivo è importante procurarsi almeno un termometro e un igrometro per controllare l’ambiente in cui vengono fatti maturare i salumi (non è detto però che anche nella produzione domestica non possano essere impiegati degli starter microbici, in quanto sono facilmente reperibili presso esercizi specializzati). Tuttavia, la gestione domestica della stagionatura dei salumi assicura la realizzazione di prodotti artigianali e autentici, che possono differire per sapore e aroma rispetto a quelli industriali. Inoltre, la diversità di metodi e di manualità contribuisce alla valorizzazione delle tradizioni locali e all’unicità dei prodotti.
La conoscenza delle muffe e la loro gestione diventano fondamentali per ottenere prodotti sicuri e di qualità. In entrambi i casi, le muffe intervengono attivamente durante la maturazione dei salumi, influenzando sia il processo chimico che quello microbiologico
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che porta alla formazione del prodotto finale. Ecco perché è importante selezionarle e magari inseminarle direttamente sui budelli per favorire la crescita delle specie utili, evitando la formazione di quelle indesiderate. Nel caso dei salumi insaccati macinati, come il salame, le muffe agiscono principalmente sulla parte esterna del prodotto, colonizzando la superficie del budello e formando una caratteristica fioritura di colore bianco. Queste muffe, di solito della specie Penicillium nalgiovense (ma si possono usare altre specie di Penicilli che hanno una fioritura del micelio di colorazione diversa), svolgono un ruolo fondamentale nella trasformazione delle sostanze presenti nella carne, come gli amminoacidi delle matrici proteiche e i lipidi, in composti aromatici che conferiscono al salume il suo tipico sapore e aroma. Inoltre, contribuiscono a controllare il grado di umidità sulla superficie del salume, evitando la formazione di muffe indesiderate. Per quanto riguarda i salumi insaccati anatomici, come la coppa, la bresaola e il culatello, le muffe svolgono un ruolo diverso a causa delle diverse caratteristiche del prodotto. In questo caso, le muffe colonizzano l’ambiente esterno del salume durante la fase iniziale della stagionatura, per poi diminuire progressivamente e infine scomparire quasi completamente nel caso di lunghe stagionature, spesso per azione di acari che se ne cibano (come l’“acaro dei salumi” - Tyrophagus putrescentiae). Il loro ruolo è principalmente di protezione, prevenendo
Nella produzione industriale si fa spesso uso di aggiunta di colture starter microbiche e fungine per avviare e controllare il processo di fermentazione e maturazione, impedendo la crescita di microrganismi indesiderati e dirigendo il processo secondo parametri determinati
la crescita di batteri e muffe indesiderate sulla superficie della carne. Favoriscono inoltre il mantenimento di una giusta umidità sulla superficie del prodotto, facilitando la formazione di una piccolissima crosta esterna che aiuta a conservare il salume.
RUOLO DELLE MUFFE
NEI SALUMI
Le muffe sono organismi pluricellulari appartenenti al regno dei funghi in grado di crescere su svariate superfici. Possono svilupparsi in ambienti chiusi su pareti sog-
gette ad umidità come cantine e bagni e crescere su alimenti, sia quelli che teniamo in dispensa sia quelli conservati in frigorifero. Dal momento che sono presenti nell’aria possono contaminare i cibi coi quali entrano a contatto (se non adeguatamente protetti con involucri e pellicole) sviluppandosi nel tempo su pane, frutta, formaggi freschi e altri alimenti che una volta ammuffiti non si possono più consumare perché avariati (per marcescenza e decomposizione del substrato su cui crescono). In queste condizioni le muffe possono pure produrre spore che, se inalate, hanno un’elevata tossicità per l’organismo umano.
Se in determinate condizioni le muffe sono indice di deterioramento degli alimenti e pertanto sono dannose e pericolose, in diverse altre situazioni sono utilizzate volontariamente perché svolgono funzioni utili. Sono noti infatti diversi utilizzi di muffe da cui si ottengono gli antibiotici (es. le penicilline da Penicillium chrysogenum, le streptomicine o le cefalosporine); vengono usate nella lavorazione dei formaggi a dare i tipi a pasta erborinata (come il gorgonzola e il roquefort, che utilizzano principalmente la specie Penicillium roqueforti) o a crosta fiorita (come il camembert e il brie, che utilizzano il Penicillium camemberti). Muffe selezionate sono utilizzate anche nella produzione di diversi salumi, soprattutto gli insaccati come il salame. In questi casi si tratta muffe considerate “nobili” perché frutto di selezione specifica per la produzione alimentare. In un certo
Le aziende alimentari adottano rigidi controlli di qualità e sicurezza per garantirne la corretta maturazione e l’assenza di agenti potenzialmente nocivi per la salute
senso possiamo definire questa selezione dei ceppi utili come una “domesticazione”, considerando la lunga storia della produzione alimentare, che risale agli antichi popoli egizi e romani (ma troviamo traccia di questa evoluzione in diverse altre culture), che hanno visto gli effetti positivi delle muffe sulla conservazione degli alimenti e nella produzione di aromi e sapori unici.
I ceppi di muffe vengono coltivati e mantenuti in condizioni controllate e ottimali per favorirne la crescita e produrre enzimi e metaboliti utili per la stagionatura dei salumi. In questo modo, si assicura una maggiore riproducibilità dei risultati e una gestione più precisa delle muffe durante il processo produttivo. Grazie alla continua ricerca scientifica, è stato possibile migliorare e ottimizzare l’utilizzo di questi ceppi nobili, rendendoli una parte essenziale del processo di stagionatura dei salumi.
Se le muffe “nobili” che si usano nella produzione dei formaggi sono commestibili, quelle usate per i salumi non lo sono1, ma se la stagionatura è gestita bene, contribuiscono anch’esse alla maturazione del salame e a sviluppare determinati aromi.
Nei salumi svolgono tre funzioni principali: 1. rallentano quella che è l’attività proteolitica (degradazione delle proteine) impedendone la putrefazione, anzi contribuiscono alla gelificazione delle proteine e alla compattezza della struttura;
2. regolano l’umidità mantenendola in equilibrio, impedendo che quella esterna penetri all’interno e favorendo la disidratazione (il calo peso) in modo controllato. In questo modo l’acqua non legata contenuta all’interno fuoriesce in modo più graduale, così da asciugare correttamente il prodotto e favorirne la maturazione;
3. producono sostanze antibatteriche e impediscono che microrganismi nocivi, diversi dalle colture starter di fermentazione aggiunti
1L’ingestione di muffe starter (di Penicillium nalgiovense) non provoca effetti negativi sulla salute. Tuttavia è bene tenere presente che, anche se queste muffe sono innocue e fondamentali nel processo di una lunga stagionatura, potrebbero dare al salame pelato gusti non gradevoli se le fette sono ingerite accidentalmente con la pelle. Per questo è consigliabile affettare il salame solo dopo averne rimosso la pelle.
agli impasti, possano alterare le carni compromettendo il processo di stagionatura.
Nei salami di produzione industriale in cui si usano starter di fermentazione (lattobacilli, pediococchi, micrococcacee, alcuni lieviti) [3] capita spesso che le muffe nobili vengano inseminate sulla superficie del salame, disperse prevalentemente con metodi spray, in base al tipo di produzione. Nei salumi non affumicati le muffe possono crescere in modo spontaneo; tali muffe potrebbero essere ambientali e innocue oppure - in seguito a una maggior consapevolezza che ceppi indigeni potrebbero comunque generare processi di formazione di tossine non desiderate - generate proprio dall’applicazione di colture micotiche selezionate che si vuole che crescano esplicitamente.
rendo una stagionatura uniforme. Contribuiscono anche a mantenere l’umidità ottimale e a gestire la perdita di acqua, prevenendo la formazione di crepe o secchezza eccessiva.
Il P. nalgiovense in particolare forma una caratteristica muffa bianca sulla superficie del salame che è considerata un indicatore di qualità. Infatti un aspetto visivo sano e invitante può migliorare l’accettazione e l’appetibilità del prodotto da parte dei consumatori. Tuttavia poiché nel caso di una media e lunga stagionatura, oltre alle muffe nobili, possono svilupparsi (sopra o al posto di queste) muffe indesiderate di colori diversi, come il verde e il grigio, c’è la necessità di rimuoverle perché possono influire negativamente sull’aspetto, il sapore e persino la sicurezza del prodotto. Una spazzolatura delicata aiuta a mantenere la superficie del salame pulita e uniforme,
In considerazione del fatto che le muffe che possono crescere sui salumi sono di moltissime specie (e non tutte innocue), alla base della produzione moderna c’è proprio un’accurata scelta delle specie (come Penicillium nalgiovense) per inseminare i salami prima del processo di stagionatura [4]: questo offre numerosi vantaggi contribuendo a garantire la qualità, la sicurezza e le caratteristiche organolettiche desiderate del prodotto finito (oltre alla formazione di aromi e sapori caratteristici del salame stagionato, cui abbiamo già fatto cenno). Da un lato le muffe nobili competono efficacemente contro altri microrganismi indesiderati, prevenendo la crescita di quelle dannose e di batteri patogeni che potrebbero compromettere la sicurezza del salame. Dall’altro aiutano a regolare il microclima sulla superficie del salame, favo-
I ceppi di muffe vengono coltivati e mantenuti in condizioni controllate e ottimali per favorirne la crescita e produrre enzimi e metaboliti utili per la stagionatura dei salumi
migliorando l’aspetto visivo del prodotto: rimuovendo le muffe indesiderate si evita di compromettere la protezione offerta dalle muffe nobili che possono continuare a svilupparsi. In ogni caso per migliorare l’estetica del salame, quando questo è immesso sul mercato, è pratica abbastanza comune a livello industriale applicare sulla sua superficie della farina di riso, mediante una polverizzazione controllata con setacci o apposite apparecchiature per ottenere una distribuzione omogenea (la farina di riso aiuta inoltre ad assorbire l’umidità in eccesso sulla superficie
del salame, creando condizioni meno favorevoli per la crescita di muffe indesiderate).
Una valutazione della qualità delle muffe durante il loro sviluppo è possibile altresì farla osservando il colore del micelio. Detto che la muffa bianca sviluppata dal Penicillium nalgiovense è quella più comune e desiderata nella stagionatura dei salami, si possono usare anche specie di Penicillium chrysogenum il cui micelio sviluppa un colore verde o verde azzurrognolo e in misura minore altre specie di Penicillium, che aiutano nella maturazione e conferiscono caratteristiche organolettiche specifiche al prodotto finale. Sui salumi si riscontrano anche fioriture non pericolose di Penicillium salamii (i cui ceppi sono stati isolati e studiati in Italia [5] come specie promettenti per l’utilizzo come starter), che producono un micelio verde o verde-azzurro e si sviluppano in secondo ordine rispetto al bianco del P. nalgiovense. Sono note anche varianti del Penicillium nalgiovense che producono un micelio di colore grigio chiaro. La presenza di muffe gialle o nere (o altro colore) può invece essere indice di deterioramento e pertanto essere motivo di attenzione perché alcune muffe di questi tipi possono produrre micotossine, che sono tossiche per l’essere umano. Tra le muffe gialle si possono includere diverse specie, tra cui Aspergillus flavus che può produrre aflatossine (ocratossine) che sono altamente tossiche e carcinogene; tra le muffe nere si possono citare specie di Apergillus niger che sono indice di grave contaminazione. I motivi della formazione di muffe deterioranti possono essere dovuti ad una serie di anomalie che si riscontrano nel processo di maturazione: - umidità eccessiva: una percentuale di umidità troppo alta favorisce la crescita di muffe deterioranti, che prosperano in ambienti umidi; - scarsa ventilazione: la mancanza di un adeguato flusso d’aria può causare la proliferazione di muffe indesiderate;
- temperatura inadeguata: temperature troppo alte o troppo basse al di fuori delle condizioni ottimali di stagionatura possono alterare il microclima e favorire la crescita di muffe contaminanti; - scarsa igiene: ambienti di lavorazione e strumenti non adeguatamente puliti o sanificati possono introdurre e favorire la crescita di muffe deterioranti.
Detto che le muffe indesiderate possono essere un rischio per la salute, anche se non tossiche, il loro sviluppo può comunque portare alla perdita della qualità e a un deterioramento organolettico per alterazione dell’odore, del sapore e della consistenza del salame, rendendolo non idoneo al consumo. Per non dire dell’aspetto estetico perché la
presenza di muffe gialle o nere suona immediatamente come un campanello d’allarme per i consumatori che potrebbero vedere il prodotto come scadente o pericoloso e quindi non acquistarlo.
Per prevenire la formazione di muffe deterioranti occorre un controllo costante delle condizioni ambientali: mantenere la temperatura e l’umidità ai livelli ottimali (in stagionatura, solitamente tra 12-14 °C e 80-85% di umidità relativa) è critico per prevenire la crescita di muffe deterioranti. E favorire un buon flusso d’aria all’interno delle stanze di stagionatura è utile per evitare accumuli di umidità.
L’inseminazione di muffe nobili specifiche aiuta a creare una competizione microbica che impedisce la crescita di muffe indesiderate. Tuttavia, anche se ci si affida a gestioni computerizzate dell’intero ciclo di maturazione, tutto ciò non può prescindere dal fatto che l’addetto stagionatore debba controllare frequentemente la qualità del prodotto, osservando i salami e tastandoli: durante la stagionatura (e l’asciugatura) possono aiutare a individuare e correggere problemi prima che diventino gravi.
Per prevenire la formazione di muffe deterioranti occorre un controllo costante delle condizioni ambientali
In sintesi, la gestione corretta delle muffe è fondamentale per produrre salami di alta qualità, sicuri e appetibili. Conoscere e riconoscere i diversi tipi di muffe e adottare le misure preventive adeguate può fare una grande differenza nella qualità del prodotto finito [6].
DIVERSE TIPOLOGIE DI IMPIANTI, CIASCUNO CON LA PROPRIA
ESIGENZA
L’asciugatura e la stagionatura dei salumi sono processi cruciali per realizzare prodotti di qualità. Tuttavia i modi di gestirle sono diversi in base alle tipologie degli impianti progettati per questi processi [7], ognuno con caratteristiche specifiche. Il sistema più semplice ma non meno difficile da gestire è quello che prevede la stagionatura naturale in ambienti come cantine o in locali appositi con ventilazione naturale, tipica di una produzione domestica. Questo metodo se da una parte rispetta le tradizioni contadine di una volta e può produrre sapori unici, dall’altra richiede però un rigoroso controllo delle condizioni ambientali. Possono anche essere utilizzate camere statiche per perfezionare la stagionatura, lasciando appesi i salumi mentre la ventilazione può essere limitata, e l’umidità e la temperatura sono controllate manualmente con impiego di igrometri e termometri. Negli impianti moderni, le camere di asciugatura e stagionatura sono controllate e gestite da sistemi computerizzati avanzati per monitorare e regolare la temperatura, l’umidità e la circolazione dell’aria. È utile disporre, almeno per il processo di asciugatura, di software in grado di gestire più programmi (uno per ogni tipologia di salume) costituiti da più cicli (o fasi), così che una volta impostati i diversi programmi di gestione con i relativi cicli di lavoro, l’asciugamento avvenga senza necessità di controllo continuo (anche se è auspicabile che l’operatore lo monitori). Per ogni tipo di fase a disposizione (sovente già preimpostate tra quelle a disposizione: gocciolamento, asciugamento, ricambio aria, stagionatura e conservazione) si possono impostare la durata temporale delle diverse fasi, gli intervalli di temperatura e umidità in cui l’impianto può muoversi, abilitare i controlli mediante
l’impiego di sonde (che monitorano temperature ambiente e prodotto, il pH, ecc.), si possono stabilire i ricambi d’aria per ottenere un’ossigenazione ottimale specie per quei processi che sviluppano fermentazioni ammoniacali. È importante fissare dei limiti di sicurezza che segnalino anomalie e valori scorretti rilevati dalle diverse sonde di controllo, in modo che l’operatore sia avvisato e che possa intervenire sull’impianto (per il controllo da remoto è però necessario che
Negli impianti moderni, le camere di asciugatura e stagionatura sono controllate e gestite da sistemi computerizzati avanzati per monitorare e regolare la temperatura, l’umidità e la circolazione dell’aria
l’impianto disponga di una connessione seriale o in rete).
L’impostazione precisa di temperatura e
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umidità è essenziale per evitare lo sviluppo di batteri patogeni e garantire una corretta maturazione dei salumi, gestendo prima la fermentazione nelle fasi iniziali di asciugatura e la formazione dei miceli di muffe nobili sui budelli e in seguito la maturazione di affinamento. Controllare la ventilazione e il ricambio d’aria è invece fondamentale per assicurare che l’umidità venga rimossa efficacemente e per prevenire la formazione di muffe indesiderate.
Dovendo disporre di un nuovo impianto oggi è possibile allestire strutture ibride con camere multifunzione, cioè sistemi che combinano vari stadi del processo (come asciugatura, stagionatura e maturazione). Esistono anche soluzioni modulari che consentono di adattare le dimensioni e le condizioni delle camere in base alle esigenze produttive specifiche, permettendo di ottimizzare lo spazio e migliorare l’efficienza della produzione. Questi impianti oggi sono realizzati in strutture e materiali facili da pulire per mantenere elevati standard igienici e prevenire contaminazioni. È chiaro però, da quanto abbiamo detto, che chi ha la fortuna di avere locali di
stagionatura ad aerazione naturale, in luoghi a temperatura e umidità controllate (ma non artificiali) dove affinare la maturazione, ha un vantaggio nel condizionare la qualità del salume, mantenendo la propria vocazione di produzione artigianale.
Le dimensioni dell’impianto devono comunque essere rapportate alla quantità di salumi da produrre: non ha senso allestire strutture sovradimensionate perché i tempi di deumidificazione possono essere tanto ridotti (rispetto al ciclo standard) da avere conseguenze negative sulla qualità del prodotto. Diversamente produrre grandi quantità di prodotto in piccoli impianti pone un problema gestionale e di qualità se occorre ridurre i tempi di tutte le fasi. Per le piccole produzioni (a livello di macelleria o di piccolo laboratorio artigianale) ci sono oggi in commercio cabine armadio a ciclo completo di asciugatura e stagionatura che non necessitano di installazioni fisse e sono progettate per quantità che variano da qualche decina a poche centinaia di chilogrammi di prodotto.
CONCLUSIONE
La produzione moderna dei salumi si basa su un perfetto connubio tra tradizione e innovazione tecnologica. Così la gestione del processo di stagionatura, che integra programmi di lavoro supportati da software (che controllano i parametri operativi) e fa uso di muffe nobili appositamente inseminate sui budelli (che svolgono relazioni importanti ai fini della maturazione), ha reso possibile il raggiungimento di standard qualitativi elevati. Tuttavia, è fondamentale ricordare che il successo di questo processo non può prescindere dall’intervento attento e qualificato degli operatori, sia in ambito industriale che
BIBLIOGRAFIA
domestico. La sensibilità e la competenza umana rimangono irrinunciabili, poiché è proprio l’esperienza dei mastri salumieri a garantire che ogni fase della stagionatura si svolga nel migliore dei modi. Pertanto, anche nell’era della tecnologia avanzata, il legame con le tradizioni e la cura del dettaglio da parte dell’operatore costituiscono le basi su cui poggia l’eccellenza dei salumi. Nel caso dei prodotti fermentati e stagionati l’impiego delle muffe nobili richiede una gestione attenta delle condizioni di stagionatura, tra cui temperatura, umidità e ventilazione, per garantire una crescita ottimale delle muffe desiderate e prevenire contaminazioni indesiderate di microrganismi patogeni e di altre muffe deterioranti. Le muffe nobili pertanto contribuiscono non solo alla sicurezza microbiologica del salame, ma anche allo sviluppo di profili aromatici complessi e distintivi, che sono il segno peculiare dei salumi italiani di alta qualità. La copertura di muffa funge da barriera naturale contro l’ossidazione, aiutando a regolare l’umidità all’interno e all’esterno del salume. Questo è fondamentale per una stagionatura uniforme e per evitare problemi come squilibri di umidità, che possono portare a difetti o a un deterioramento precoce, mantenendo la freschezza del prodotto per un periodo più lungo.
L’uso di muffe nobili è una pratica consolidata nell’arte della salumeria, combinando tecniche tradizionali con conoscenze scientifiche moderne per ottenere prodotti di alta qualità. L’impiego di culture selezionate e controllate assicura una standardizzazione della produzione, contribuendo a ridurre le variabilità che possono sorgere utilizzando metodi tradizionali meno prevedibili.
autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie
1. Zukál E., Incze K. (2010). Drying. In Handbook of meat processing, edited by F. Toldrà. Ames, Iowa-USA: Wiley-Blackwell Publishing
2. Incze K. (2010). Mold-Ripened Sausages. In Handbook of meat processing, edited by F. Toldrà. Ames, Iowa-USA: Wiley-Blackwell Publishing
3. Cantoni C. (2005). Colture batteriche d’avviamento e protettive nelle produzioni carnee. Eurocarni (10): 157-162
4. Ministero della Sanità – Decreto 28 dicembre 1994. Autorizzazione all’impiego di colture di avviamento “starters microbici” nella preparazione degli insaccati carnei la cui tecnologia produttiva non comporti trattamenti con il calore. (GU n.89 del 15-4-1995)
5. Perrone G., Samson R.A., Frisvad J.C., Susca A., Gunde-Cimerman N., Epifani F., Houbraken J. (2015). Penicillium salamii, a new species occurring during seasoning of dry-cured meat. International Journal of Food Microbiology (193): 91-98 https://doi.org/10.1016/j.ijfoodmicro.2014.10.023
6. Magistà D., Susca A., Ferrara M, Logrieco A.F., Perrone G. (2017). Penicillium species: crossroad between quality and safety of cured meat production. Current Opinion in Food Science (17): 36-40. https://doi.org/10.1016/j.cofs.2017.09.007
7. Saini A. (2018). Caratteristiche tecniche degli impianti di asciugamento e stagionatura dei salumi. In Manuale di Norcineria – qualità e innovazione nella tradizione della salumeria, coordinamento editoriale a cura della Associazione Norcini Bergamaschi. Cap. 28: 310-314
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Una linea di insacco completamente automatica e ad alta produttività ideale per il confezionamento in solo budello, o in budello e rete, di prodotti anatomici come prosciutti, bresaole, pancette, coppe, lonze e muscoli in genere.
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OLTRE LA STERILIZZAZIONE
Verso nuove tecnologie di lavorazione e CONSERVAZIONE
L’industria conserviera rappresenta un settore rilevante dell’economia globale, con la produzione e la vendita di un’articolata gamma merceologica l’industria e la ricerca, per venire incontro alle esigenze dei consumatori e per ridurre al minimo le perdite di qualità nutrizionale e quelle organolettiche dei cibi, hanno messo a punto tecnologie atte a conservare gli alimenti: analizziamo metodi e innovazioni
A cura del Dott. Giuseppe L. Pastori – Tecnologo Alimentare)
L’industria delle conserve ha una storia abbastanza recente.
La sua nascita risale infatti ai primi del XIX secolo, quando la necessità di preservare gli alimenti per periodi più lunghi di quelli praticati fino ad allora divenne cruciale, specialmente per garantire un approvvigionamento di cibo ai militari durante le guerre o in periodi di crisi. Un contributo fondamentale alla conservazione a lungo termine degli alimenti fu dato dalla ricerca e dalle sperimentazioni che Nicolas Appert, un cuoco francese, sviluppò utilizzando il calore. E questo ha portato a definire la tecnologia di sterilizzazione che – congiuntamente al brevetto coevo del barattolo di latta – ha rivoluzionato il modo in cui gli alimenti venivano preservati e distribuiti.
Fino alla fine del XVIII secolo, dagli albori dell’umanità passando per civiltà via via più organizzate (i Romani hanno descritto alcune tecniche di conservazione codificandole in trattati di cui ci è giunta traccia), per conservare gli alimenti di origine animale si utilizzava la salatura, l’affumicatura e l’essicazione, mentre si coltivava per lo più cereali, olive e uva che venivano trasformati in farine e
pane, olio, vino. Le conoscenze erano empiriche perché non si sapeva nulla di microbiologia ma si osservava che taluni alimenti freschi, opportunamente trattati, mantenevano caratteristiche tali da poter essere consumati senza che deperissero o potessero nuocere alla salute. Il vero problema (quando si crearono le nazioni e si scoprirono le Americhe) era come garantire approvvigionamenti di cibo agli eserciti, che non li facesse dipendere esclusivamente dal saccheggio, o come immagazzinare cibo sulle navi impegnate
nelle lunghe traversate oceaniche tra il XVI e il XVIII secolo. All’epoca, i marinai si ammalavano di scorbuto [1] che è una malattia causata dalla carenza di vitamina C perché non potevano consumare frutta o verdura fresca, ma solo carne secca e gallette. Lo scorbuto causò più morti che le battaglie, le tempeste e i naufragi messi insieme.
Spesso è proprio lo sviluppo della tecnologia messa a punto per le applicazioni militari a fornire un contributo pratico per la vita di tutti i giorni [2]. Si deve appunto ad un
concorso indetto da Napoleone per equipaggiare di cibo la sua Grande Armée, se Appert poté pubblicare nel 1809 il libro “L’Art de conserver, pendant plusieurs années, toutes les substances animales et végétales” (L’arte di conservare, per diversi anni, tutte le sostanze animali e vegetali). Appert condusse diversi esperimenti nel campo della conservazione dei cibi: stanco di dover buttare alimenti perché marcivano cominciò a studiare un sistema per conservarli. Principalmente lavorò con alimenti liquidi o semisolidi come minestre e marmellate, che metteva in vasetti di vetro o porcellana riempiti fino all’orlo (per togliere l’aria all’interno). Li sigillava accuratamente con un tappo di sughero bloccato con dei fili (e poi della cera dopo cottura per chiuderli ermeticamente), che faceva bollire a lungo in acqua avvolti nella tela perché i vasi non si rompessero. Di fatto, il cibo messo nei vasetti di vetro, dopo cottura prolungata, poteva essere conservato molto più a lungo. Appert credeva che ciò fosse frutto della combinazione tra il calore applicato e l’assenza di aria all’interno dei contenitori, ma non aveva compreso che il “segreto” era l’eliminazione di batteri e microrganismi responsabili del deterioramento e della decomposizione. Si dovette attendere diversi decenni perché la scienza potesse descrivere con Louis Pasteur gli effetti della pastorizzazione, cioè l’eliminazione dei patogeni mediante un processo termico di breve durata, che diede inizio alla moderna microbiologia. Il lavoro di Appert ha ispirato altri inventori, come Peter Durand in Gran Bretagna, che nel 1810 brevettò il barattolo di latta come utensile per la conservazione. Tale contenitore rappresentava una soluzione più pratica rispetto a quelli di vetro, poiché era più leggero e resistente. L’inizio però non fu dei più incoraggianti perché la diffusione delle lat-
tine era ostacolata dalla difficoltà della loro apertura: occorreva martello e scalpello (o affidarsi alle baionette…). Si dovette attendere l’invenzione dell’apriscatole per risolvere il problema.
Il contributo di Nicolas Appert è stato cruciale per la comprensione e lo sviluppo della conservazione degli alimenti di maggiore durata. La sua scoperta ha rivoluzionato l’industria alimentare e ha introdotto il concetto di sterilizzazione tramite calore, aprendo la strada a vari sistemi di conservazione, inclusi i moderni processi di inscatolamento.
EVOLUZIONE DELL’INDUSTRIA
DELLE CONSERVE
Le conserve – cosiddette “canned food” – possono essere suddivise in diverse categorie. I
principali articoli merceologici includono:
- verdure e legumi: pomodori, fagioli, piselli, mais;
- frutta: pesche, pere, ananas;
- pesce: tonno, sardine, salmone;
- carne: carne in gelatina, paté;
- piatti pronti: zuppe, minestre e piatti elaborati;
- cibi per animali.
Se i primi metodi di conservazione utilizzati dall’uomo avevano un approccio empirico, con la scoperta dei principi della sterilizzazione [3] si è dato avvio all’industria delle conserve. È così iniziata la produzione di alimenti conservati in barattoli, che ne migliora la durata e la praticità.
Con la crescita della produzione e il miglioramento delle tecniche di conservazione, l’industria si è espansa, creando una vasta gamma di prodotti come pomodori pelati, legumi, frutta sciroppata, pesce e carne in scatola, ma anche piatti pronti come zuppe e minestre. Negli ultimi decenni, c’è stato poi un crescente interesse verso alimenti biologici e naturali: l’industria delle conserve ha reagito a questa tendenza introducendo prodotti senza conservanti, a basso contenuto di sale e zucchero, e utilizzando ingredienti naturali.
Le fasi di lavorazione nella produzione di conserve sono ovviamente diverse da alimento ad alimento. Tutte le operazioni sono comunque soggette ad uno scrupoloso controllo di qualità delle materie prime in entrata e a un’attenta applicazione dei principi igienici basati sull’HACCP. Genericamente, prima
della sterilizzazione, possiamo descrivere le fasi preliminari della lavorazione di prodotti animali e vegetali.
• Nel caso delle conserve animali (carne, specie ittiche) si usano materie prime congelate e si deve procedere a scongelo. Le parti vengono preparate (toelettate, marinate o salmistrate a secco o in salamoia o mediante iniezione, fatte maturare), quindi dopo cotte (generalmente a vapore), si procede alla filettatura o alla preparazione di tranci. Segue l’inscatolamento con aggiunta di salamoia, acqua, olio o brodi e l’aggraffatura mediante saldatura e si procede a sterilizzazione.
• Nel caso delle conserve vegetali, il controllo qualità effettua dapprima una cernita delle materie prime scartando quelle non idonee o ammaccate, conservandole in condizione refrigerate. Quindi si lavano, si pesano e si fa un’ulteriore cernita, si provvede a pelatura, denocciolatura, affettatura (o spremitura), quindi si riempiono i barattoli con aggiunta di succo o sciroppo o liquido in cui sono contenuti altri ingredienti e additivi (conservanti, acidificanti, ecc.). Si provvede quindi all’aggraffatura e alla cottura/sterilizzazione.
Si deve osservare che l’aggiunta di mezzi liquidi che contengono altri ingredienti
(come sale, zuccheri e additivi) permette da un lato di riempire gli spazi vuoti, riducendo lo spazio di testa e permettendo quindi di applicare il vuoto prima della chiusura; dall’altro contribuisce, per azione propria degli ingredienti e della loro concentrazione, a creare ulteriori ostacoli alla crescita microbica secondo quella che è conosciuta come “Hurdle technology” [4].
Anche i materiali dei contenitori si sono evoluti dalle prime “bande stagnate” e hanno assunto forme diverse a seconda dell’alimento che contengono: le classiche cilindriche per legumi, pelati e zuppe; quelle a parallelepipedo per sardine, sgombri e tranci di salmone; quelle cilindriche basse per tonno, car-
ne in gelatina e cibo per animali. I moderni barattoli sono realizzati in lamiera di acciaio dolce con un sottile rivestimento di stagno ma si usano anche lattine in alluminio o bimetalliche con corpi in alluminio e coperchi in acciaio. E tutti si possono riciclare [5].
Durante il XX secolo, l’industria ha visto un incremento nell’automazione e l’uso di tecnologie avanzate, migliorando ulteriormente la sicurezza alimentare e l’efficienza produttiva: la produzione delle conserve ha raggiunto la sua maturità. Il processo, da empirico che era, si è evoluto grazie alle ricerche in campo microbiologico, chimico, fisico, ingegneristico e meccanico, che permettono di raggiungere precisi obiettivi:
- rendere ottimali i processi produttivi;
- garantire la salubrità degli alimenti;
- assicurare l’apporto nutrizionale dell’alimento senza perdere le caratteristiche proprie di vitamine e bio-nutrienti;
- mantenere la qualità organolettica e sensoriale dei cibi a un livello più che accettabile;
- allungare la vita commerciale, permettendo di mantenerli a temperatura ambiente (senza necessità di essere refrigerati).
STERILIZZAZIONE E NUOVE TECNOLOGIE DI CONSERVAZIONE NON TERMICHE: FACCIAMO CHIAREZZA
Quando si parla di conserve tendiamo a considerare come tali tutte quelle produzioni che permettono di consumare gli alimenti entro periodi piuttosto lunghi, con una shelf life estesa. Tuttavia è opportuno distinguere i prodotti conservati da quelli semiconservati: i primi richiedono trattamenti termici sterilizzanti, i secondi possono essere trattati più blandamente con la pastorizzazione combinata con altri processi di conservazione. Inoltre l’industria e la ricerca, per venire incontro alle esigenze dei consumatori e per
Gli strumenti per rendere pratiche certe invenzioni nascono sempre dopo che queste sono state brevettate e l’apriscatole non fa eccezione. L’argomento meriterebbe un articolo a sé stante ma ci dà un’idea dell’evoluzione stessa delle conserve nei termini di servizio per il consumatore. Il primo apriscatole arriva intorno al 1850, quindi ben quarant’anni dopo il brevetto delle lattine, e consiste in uno strumento con una forma a baionetta per bucare il coperchio della lattina che deve essere usato facendo leva (un po’ come si deve fare ancora oggi con l’accessorio dei coltellini svizzeri) e da allora ne vennero brevettati di vario tipo. Il più classico a livello d’uso domestico è forse quello a farfalla. È costituito da due ghiere contrapposte, una di taglio e l’altra dentata da porre sotto il bordo del coperchio, in grado di ruotare grazie alla manopola a farfalla, agevolando lo scorrimento della lama sovrastante e l’apertura circolare.
A livello di servizio arrivò prima la chiavetta che corredava le scatole di sardine e di carne in gelatina: la si agganciava a una linguetta e la si faceva girare su sé stessa, arrotolando il coperchio. Oggi la maggior parte delle lattine si apre in maniera facilitata con apertura a strappo, senza l’utilizzo di attrezzi grazie alla rimozione di sottili fogli di alluminio. Però l’apriscatole rimane un attrezzo fondamentale che è sempre presente in cucina e non può essere sostituito per l’apertura di confezioni di grande formato: è diventato un oggetto di design e lo si trova anche in versione elettrica.
ridurre al minimo le perdite di qualità nutrizionale (per quanto riguarda i costituenti termolabili) e quelle organolettiche (colore, sapore, aroma), hanno messo a punto tecnologie non termiche che possono essere applicate al posto della sterilizzazione e della pastorizzazione. Tra queste nuove tecnologie innovative, che intervengono a ridurre ed eliminare la carica microbica, possiamo considerare le alte pressioni (HPP), i campi elettrici pulsati (PEF), il riscaldamento ohmico (OH), la luce pulsata (PL) e quella ultravioletta (UV).
1. STERILIZZAZIONE
Una gamma vastissima di alimenti può essere conservata a lungo termine: la caratteristica peculiare è di venire sottoposti al trattamento termico della sterilizzazione che determina la morte di ogni genere di forma microbica vegetativa (incluse le spore) e l’inattivazione degli enzimi. La chiusura ermetica in barattoli, tipica dei canned food, permette di ottenere una shelf life a lunga durata (in alcuni casi di anni, ma non illimitata) e di considerare questi prodotti come stabili e conservabili a temperatura ambiente. Poiché le temperature di esercizio sono
maggiori di quelle di ebollizione dell’acqua, è necessario utilizzare speciali apparecchiature dette autoclavi. Le temperature di esercizio sono legate all’acidità dell’alimento: nel caso di alimenti a pH acidi (< 4.5) si possono utilizzare temperature e tempi di sterilizzazione più bassi grazie all’azione antimicrobica dell’acido: 100 °C per 10-30 minuti a seconda del tipo di alimento e la sua densità. Gli alimenti con pH superiore a 4.5 sono più suscettibili alla crescita di batteri patogeni, come il Clostridium botulinum. Pertanto, richiedono temperature più elevate e tempi di sterilizzazione più lunghi (121°C in autoclave, generalmente tra 20 e 40 minuti). Per diversi alimenti fluidi e semifluidi, al fine di preservare maggiormente le loro caratteristiche, si può utilizzare la tecnologia UHT (Ultra High Temperature) a 140-150 °C per pochi secondi e il confezionamento asettico [6]. I metodi di trattamento UHT utilizzati possono essere diretti o indiretti [7]:
- diretto: il trattamento termico si ottiene con iniezione di vapore a pressione direttamente nell’alimento, determinando un rapidissimo aumento di pressione che, dopo pochi secondi, viene riceduto al si-
stema in camera di decompressione a 75 °C, sotto vuoto parziale; - indiretto: il prodotto e il mezzo di riscaldamento sono separati da una parete, che rappresenta la superficie di scambio, costituita da un tubo o una piastra di acciaio inossidabile (sterilizzatore a fascio tubiero o a piastre).
Occorre osservare che nel processo standard dei canned food la sterilizzazione viene eseguita sempre dopo il confezionamento. Tuttavia per alimenti fluidi o semifluidi come le bevande, il latte o la salsa di pomodoro il processo di sterilizzazione può essere applicato direttamente sull’alimento, eseguito appunto tramite tecnologia UHT. Pertanto mediante confezionamento asettico che avviene dopo la sterilizzazione si possono impiegare materiali diversi come i poliaccoppiati (cartoni asettici multistrato) o altri materiali flessibili, che garantiscono una lunga durata a temperatura ambiente. Il pacchetto viene prodotto in contemporanea con il riempimento del brick, protegge il prodotto dalla contaminazione, agendo anche da barriera contro la luce e diminuendo lo scambio di ossigeno tra prodotto e ambiente.
2. PASTORIZZAZIONE
La pastorizzazione caratterizza gran parte delle produzioni che vengono classificate come semiconserve. Queste includono alimenti trattati per mantenerne la freschezza, ma non sottoposti a un processo di sterilizzazione come le conserve. Gli alimenti possono essere pastorizzati e sottoposti contempora-
neamente a metodi di conservazione come la salatura, la marinatura o l’uso di acido (incluso l’aceto). Si tratta di un trattamento di tipo termico che viene effettuato a temperature minori o uguali a quelle di ebollizione dell’acqua: distrugge la quasi totalità degli enzimi e molti microrganismi (inclusi quelli patogeni). Tuttavia non debella le spore e i microrganismi termoresistenti, che possono rimanere vitali anche se stressati. Per questo, per rallentare il ciclo vitale dei microrganismi residui, molti dei prodotti pastorizzati devono essere mantenuti in frigorifero.
3. ALTE PRESSIONI (HPP)
Tra le tecnologie emergenti l’High Pressure Processing [8] è quella più consolidata con impianti già attivi in tutto il mondo. Consente una stabilizzazione a freddo, preservando le qualità sensoriali e nutrizionali dell’alimento. Gli impianti sono costituiti da un’autoclave idrostatica, riempita completamente di acqua, dove vengono applicate elevate pressioni per compressione dell’ordine di 5-6000 atmosfere (5-600 MPa). Il prodotto da trattare dev’essere già confezionato, in imballi plastici flessibili e senza (o micro) spazi di testa (l’ideale sono le confezioni sottovuoto): ciò è comprensibile perché l’eventuale presenza di gas, comprimendosi, potrebbe rompere l’involucro. Le alte pressioni inattivano i microrganismi non sporigeni e i patogeni perché distruggono la loro parete cellulare, mentre hanno effetti positivi sulla struttura del prodotto, specialmente dei piatti pronti più elaborati. Le spore batteriche sembrano essere resistenti e serve una combinazione dell’alta pressione e altri tipi di processo per inattivarle. Un altro svantaggio è che il lavoro procede a lotti, perché l’acqua dev’essere riempita ogni volta a circuito chiuso (ma viene recuperata e non sprecata!).
4. CAMPO ELETTRICO PULSATO (PEF)
La tecnologia del Pulsed Electric Fields [9] si basa sull’applicazione di impulsi elettrici di breve durata e di elevata intensità su un alimento preferibilmente liquido o semisolido [9]. Questi impulsi generano un campo elettrico che provoca un aumento temporaneo della permeabilità delle membrane cellulari presenti negli alimenti, garantendo un effetto pastorizzante non termico in grado di inattivare, debellando i microrganismi presenti. Il trattamento assicura pertanto una riduzione significativa dei microrganismi patogeni o deterioranti, garantendo la conservazione delle proprietà sensoriali, nutrizionali e organolettiche dei prodotti. Tale tecnologia può essere utilizzata per succhi di frutta e verdura,
latte e prodotti caseari, carne e prodotti ittici, produzione di bevande.
5. RISCALDAMENTO OHMICO (OH)
Il riscaldamento ohmico è una tecnologia innovativa che utilizza l’elettricità per riscaldare gli alimenti in modo rapido ed uniforme [10]. Questa tecnica si basa sul principio che i materiali conduttivi, come gli alimenti, riscaldano quando una corrente elettrica li attraversa, generando calore direttamente all’interno del prodotto a causa della resistenza del materiale. Garantiscono un riscaldamento rapido e uniforme, una riduzione dei tempi di processo e un miglior mantenimento delle
proprietà organolettiche e nutrizionali degli alimenti rispetto ai metodi di riscaldamento convenzionali. Possono essere utilizzati in continuo.
6. LUCE PULSATA (PL)
La luce pulsata, nota anche come luce pulsata intensa (Intense Pulsed Light, IPL), è una tecnologia non termica utilizzata nella produzione alimentare come alternativa alla sterilizzazione tradizionale [11]. Utilizza brevi ma intensi impulsi di luce ad ampio spettro (principalmente nell’ultravioletto, visibile e vicino all’infrarosso) per inattivare microrganismi presenti sugli alimenti e sulle superfici di processo. Sebbene il suo impiego sia van-
taggioso per la sanificazione delle superfici di lavoro, la decontaminazione delle attrezzature, la sanificazione delle superfici interne e esterne dei materiali di confezionamento prima del loro utilizzo, trova impiego per inattivare batteri patogeni, virus, lieviti e muffe anche in alimenti come i succhi e il latte. Il suo limite è che è più efficace sulle superfici esposte, mentre può causare reazioni di ossidazione in alimenti ricchi di grassi e oli e deve essere gestita con attenzione per evitare rischi di sicurezza degli operatori.
7. LUCE ULTRAVIOLETTA (UV)
L’impiego di luce UV è simile a quello della luce pulsata, con analoghi vantaggi e svantaggi: è una tecnologia molto promettente come alternativa alla tradizionale pastorizzazione termica per alimenti liquidi e ingredienti (succhi di frutta freschi, bevande) [12]. La luce UV può essere combinata con altre tecnologie di conservazione per migliorare l’efficacia complessiva.
CONCLUSIONE
L’industria conserviera rappresenta un settore rilevante dell’economia globale, con la produzione e la vendita di un’articolata gamma merceologica. Oltre alle classiche lattine in acciaio e ai contenitori di vetro, sono stati sviluppati anche nuovi materiali come le lattine di alluminio, poliaccoppiati multistrato e imballi flessibili sottovuoto.
Nonostante l’avvento di metodi di conservazione diversi come la refrigerazione e la surgelazione, l’industria conserviera continua a
BIBLIOGRAFIA
svolgere un ruolo essenziale nel fornire cibi di alta qualità, pratici da consumare, facilmente trasportabili e con una lunga durata di conservazione.
Però più che innovazione di prodotto e di tecnologia (la sterilizzazione è una tecnologia matura), per le aziende del settore conserviero sta diventando importante gestire al meglio la tracciabilità, la sicurezza alimentare e l’assunzione di modelli di produzione circolari che riducano lo spreco alimentare e massimizzi il riciclo delle confezioni. L’appli-
cazione della blockchain potrebbe garantire la massima tracciabilità delle materie prime a garanzia della qualità della produzione, migliorando la sostenibilità ambientale e l’immagine aziendale.
Proprio la pratica di politiche più sostenibili ha portato l’industria delle conserve a spostarsi, per alcuni comparti merceologici, verso l’impiego di nuove tecnologie, anche non termiche, rispondendo alle richieste del mercato e ai mutamenti di comportamento dei consumatori.
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9. Ghoshal G. (2023). Comprehensive review on pulsed electric field in food preservation: gaps in current studies for potential future research. Heliyon, 9(6). https://doi.org/10.1016/j.heliyon.2023.e17532
10. da Silva Rocha R., Pereira Barros C., Colombo Pimentel T., Mutti P., Cigarini M., Di Rocco M., Brutti M., Alamprese C, Silva M.C., Almeida Esmerino E., da Cruz A.G. (2022). Ohmic heating. In: Novel Technology in Food Science, edited by Chhikara N., Panghal A., Chaudhary G. – Wiley & Scrivener Publishing, USA
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Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie
Specie SELVATICHE: apertura al commercio globale
Angela Mucciolo, Dottore in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali
Claudio Mucciolo, ASL di Salerno, Dipartimento di Prevenzione – Direttore f.f. UOC Igiene e Sicurezza Alimenti di O. A.
Salubrità, tracciabilità e identificazione del prodotto selvaggina, le norme che regolano questo settore
Le carni di selvaggina hanno dimostrato negli ultimi anni un costante incremento della domanda e dell’offerta. In particolare, la preparazione di piatti a base di carne di selvaggina nella ristorazione pubblica si ritrova con sempre maggior frequenza anche al di fuori delle aree tradizionalmente interessate. A seguito di questa crescente richiesta, il commercio globale si è “aperto” alle specie selvatiche e le norme che regolano questo settore sono complesse, variano sia tra i diversi gruppi tassonomici cacciati, che all’interno degli stessi (Hughes, 2021). Parallelamente è in atto una notevole crescita demografica di talune popolazioni di animali selvatici poiché la progressiva urbanizzazione della popolazione umana ha consentito il ripristino di aree boschive, habitat ideale per molti animali selvatici (Conferenza Permanente per i Rapporti Tra Lo Stato, Le Regioni e Le Province Autonome Di Trento e Bolzano – Repertorio Atto n. 34/CSR, 2021). Tra le specie animali selvatiche più diffuse nel commercio alimentare c’è il gruppo degli ungulati, non ancora ben definito tassonomicamente. Gli ungulati sono mammiferi che appartengono a due ordini: i Perissodattili e gli Artiodattili. Al primo gruppo tasso-
nomico appartengono specie selvatiche come rinoceronti, cavalli selvatici e tapiri che non sono presenti nel territorio italiano. Il secondo, invece, si divide in tre sottordini: quello dei Suiformi che comprende anche il cinghiale, quello dei Tilopodi, che comprende i cammelli e i dromedari (non presenti in Italia), e quello dei Ruminanti che si dividono a loro volta in diverse famiglie tra cui quella dei Cervidi (cervo, capriolo e daino) e quella dei Bovidi (stambecco, camoscio e muflone), entrambe presenti sul territorio nazionale.
Nonostante l’incremento delle popolazioni avvenuto per gran parte degli ungulati negli ultimi anni prevalentemente nelle zone alpine e nell’Appennino settentrionale, l’attuale distribuzione a livello nazionale non interessa tutto il territorio ad eccezione del cinghiale che occupa tutto l’areale potenziale (Meneguz P. G., 2019). In particolare, nelle zone centro-meridionali le popolazioni di cervidi rimangono ridotte e frammentate. Il camoscio popola le Alpi e gli Appennini, i caprioli e i cervi i rilievi del Centro e del Nord della
penisola, mentre il daino, introdotto dall’uomo, presenta una distribuzione puntiforme, disconnessa e non omogenea nel territorio (Meneguz P. G., 2019).
L’uso della carne di selvaggina come fonte alimentare è attualmente una tendenza in crescita nel nostro Paese (Giuggioli et al. 2018). Questi prodotti hanno un legame forte e storico con la tradizione culturale e culinaria, ma sono anche apprezzati per le loro caratteristiche sensoriali e nutrizionali. Un importante contributo per la fornitura di questo tipo di prodotto è la caccia. Praticata da sempre per la sopravvivenza, la caccia si è evoluta in un’attività ricreativa con notevoli interessi commerciali e l’incremento nelle aree boschive della taglia delle popolazioni degli ungulati ha inevitabilmente messo in contatto questi ultimi con l’uomo. A causa di questi incontri sempre più frequenti e per i diversi servizi ecosistemici che questi animali offrono all’uomo, è evidente la necessità di attuare il prima possibile delle norme di sicurezza relative alla caccia e al consumo di selvaggina (Giuggioli et al. 2018). La complessità nelle catene di approvvigionamento alimentare, che potrebbe coinvolgere anche il mercato della selvaggina, è emersa chiaramente in occasione della cosiddetta crisi “Horsegate” del 2013, in cui la carne di manzo è stata adulterata in modo fraudolento con carne di cavallo coinvolgendo addirittura 19 Paesi e provocando l’avvio di indagini e la predisposizione di piani di campionamento ad hoc sia nei mercati al dettaglio che nei servizi di ristorazione nell’Unione Europea (Brooks et al. 2017).
RISCHI DA AGENTI ZOONOTICI
SALMONELLA SPP.
E YERSINIA ENTEROCOLITICA
Data l’elevata richiesta di prodotti di selvag-
gina da parte dei consumatori, la valutazione della loro salubrità, in particolare dei rischi zoonotici legati al loro consumo, assume maggior rilievo. I rischi microbiologici riguardanti gli alimenti derivati da animali selvatici cacciati, possono essere diversi in modo qualitativo e/o quantitativo, rispetto ai rischi associati al consumo di alimenti a base di carne di animali da reddito (IZS VE 05, 2015). La carne di selvaggina cacciata, rispetto alle carni di animali allevati, è spesso lavorata con metodi artigianali basati su procedure tradizionali e non standardizzate. Le informazioni relative a tali procedure, soprattutto per quanto riguarda l’igiene di questi prodotti, risultano scarse. Un classico esempio italiano è la contaminazione delle carcasse di cinghiale (Sus scrofa) da Salmonella spp. e Yersinia enterocolitica. Il cinghiale è una delle specie più comuni di ungulati in Italia (Bonardi et al. 2021) e la loro presenza
è stata ben documentata in tutto il territorio con un’alta prevalenza negli Appennini del centro-Italia. Grazie al loro incremento di popolazione il consumo di carne di cinghiale è aumentato proporzionalmente. Come riportato da Bonardi et al. (2021), la ricerca di Salmonella spp. è considerata prioritaria nelle analisi anatomo-patologiche finalizzate a garantire un’alta qualità della carne di cinghiale dal punto di vista sanitario. A conferma di quanto detto, anche il recente Report EFSA relativo al 2020 (“The European Union One Health 2020 Zoonoses Report,” 2021) colloca la salmonellosi e la yersiniosi tra le prime quattro zoonosi più frequentemente rilevate in Europa.
TRICHINELLOSI
Un altro fattore di rischio che può causare zoonosi è senza dubbio la già citata Trichinellosi. Essa è una malattia parassitaria causata da un parassita del genere Trichinella in grado di colonizzare mammiferi, uccelli e rettili. La Trichinella passa dall’animale all’uomo tramite l’ingestione di carne fresca contaminata di alcune specie, come il cinghiale. Il rischio di zoonosi è quindi associato al consumo di carne poco cotta, per esempio gli insaccati freschi o stagionati, che andrebbero consumati solo se provenienti da animali preventivamente controllati dal punto di vista sanitario (Mattiello & Gazzaroli, 2016).
Inoltre, da uno studio di Grassi et al. (2019), è emerso che diverse specie di ungulati tra cui capriolo, cinghiale, cervo, camoscio e muflone, reservoir di malattie trasmesse da zecche come la meningoencefalite (TBE) e la malattia di Lyme, possono fungere da potenziali vettori nei confronti dell’uomo. Dallo studio si evince che le positività riscontrate nelle
zecche comportino un problema emergente soprattutto per il Friuli Venezia Giulia. Si conferma dunque mandatorio prestare molta attenzione per quanto riguarda il commercio delle carni di selvaggina.
ETICHETTATURA
E IDENTIFICAZIONE
Data l’insorgenza di un aumento da parte dei consumatori della domanda di carni di animali selvatici cacciati e della presenza dei rischi sanitari annessi, negli ultimi anni è aumentato l’interesse per la genuinità della carne (Ballin N. Z. 2010). Il consumatore è molto più attento alla qualità dei prodotti che consuma e ripone fiducia nelle informazioni riportate in etichetta, la cui accuratezza è quindi fondamentale per una scelta informata e consapevole da parte del consumatore. Parallelamente all’aumento della domanda, tuttavia, alcuni studi hanno evidenziato un incremento anche delle frodi commerciali che interessano i prodotti a base di carne. Il più delle volte le frodi interessano un’incompatibilità tra il prodotto commercializzato e quanto riportato nell’etichettatura (Kaltenbrunner et al. 2019). Nel dettaglio, spesso accade che la specie indicata sia presente in proporzioni diverse da quelle riportate in etichetta o, ancor più grave, il prodotto commercializzato non sia della specie indicata, ma appartenga ad una specie diversa, magari meno pregiata, commercializzata sotto falsa etichetta (Moreira et al. 2021). Questo pone degli interrogativi anche sul rispetto di tutti i protocolli sanitari per i cibi commercializzati sotto falsa etichetta e di conseguenza apre il problema della tutela del consumato-
re rispetto anche ad eventuali impatti etico/ religiosi che possono interessare il consumo di carne.
Oltre quindi ad effettuare controlli sulla filiera produttiva e stilare normative per il controllo sanitario, negli anni si è reso necessario (almeno a campione per i lotti prodotti) affiancare una caratterizzazione genetica del prodotto commercializzato al fine di verificare la corrispondenza della specie identificata con quanto riportato sull’etichetta. Attualmente, i metodi più utilizzati per gli alimenti sfruttano
diverse tipologie di marcatori molecolari per l’identificazione di specie di appartenenza. In particolare per i prodotti a base di carne, il metodo più utilizzato è l’analisi di marcatori mitocondriali quali il DNA barcoding.
IL DNA BARCODING
Il DNA barcoding è un metodo che sfrutta l’amplificazione e il sequenziamento di una porzione del gene codificante per la subunità I della Citocromo Ossidasi utilizzato per l’identificazione di specie della maggior parte delle specie animali (Chen et al. 2015). Il nome si riferisce metaforicamente alla modalità con la quale uno scanner identifica qualsiasi prodotto commerciale attraverso la lettura di un codice a barre che lo identifica in maniera univoca. Analogamente il DNA barcoding si basa sul principio che ogni specie animale possieda un suo codice a barre di DNA. Un ambito in cui l’utilizzo di questo metodo è ormai consolidato è nell’identificazione di specie ittiche. Nel 2005 ha avuto inizio una campagna chiamata “Fish Barcode of Life” (FISH-BOL), un progetto su scala internazionale finalizzato a creare una libreria di sequenze di DNA di riferimento per tutte le specie ittiche. Il metodo analitico predisposto permette l’amplificazione di una regione di circa 648 bp del gene mitocondriale COI. Ad oggi sono state codificate circa 8.000 delle 31.000 specie di pesci attualmente riconosciute, includendo la maggioranza delle specie più importanti dal punto di vista commerciale (Ward R. D. 2012; Ward et al. 2009).
Il vantaggio nell’utilizzo di questi marcatori risiede nelle caratteristiche intrinseche proprie del genoma mitocondriale viste precedentemente.
L’analisi del DNA barcoding prevede l’iniziale estrazione degli acidi nucleici dal tessuto muscolare, l’amplificazione dei tratti di genoma riconosciuti universalmente per l’identificazione di quasi tutte le specie animali e una successiva corsa elettroforetica tramite la quale si verifica l’avvenuta amplificazione. A seguito dell’amplificazione del gene di interesse, nell’analisi del DNA barcoding, si procede con il sequenziamento. Il sequenziamento ad oggi più utilizzato è il metodo Sanger che consente di ottenere la sequenza nucleotidica corrispondente al gene target di singoli campioni per volta. Le sequenze ottenute vengono analizzate interrogando dei database per il confronto con altre sequenze disponibili di specie note (Kress & Erickson, 2012). In questo contesto, la completezza delle banche dati disponibili ha un ruolo fondamentale per la corretta assegnazione delle sequenze alla specie di appartenenza (Neto et al., 2021). Questo approccio ha riscosso grande successo in molte discipline come la biologia della conservazione, l’ecologia e le scienze forensi (Bhaskar et al. 2020). Come riporta lo studio di Silva et al. (2015), nonostante l’utilità del mtDNA, l’identificazione delle specie dovrebbe essere rafforzata dall’uso complementare di un gene nucleare superando così alcuni limiti dell’uso del genoma mitocondriale tra cui l’impossibilità di identificare individui ibridi o fenomeni di introgressione (trasferimento di genoma mitocondriale tra specie attraverso un ibrido) dal momento che il genoma mitocondriale è in grado di fornire informazioni esclusivamente sulla linea materna. Un chiaro esempio di applicazione del DNA Barcoding è riportato dallo studio realizzato da D’Amato et al. (2013), dove è stata verificata l’autenticità delle etichette commerciali in Sud Africa in prodotti a base di carne nei mercati locali. La sequenza genetica identificata come target, è stata quella codificante per l’enzima citocromo ossidasi I ed alcune regioni geniche codificanti per il citocromo b. Tale metodo si è rivelato efficace nell’identificazione di specie, ed ha consentito di evidenziare la presenza di carne di specie animali non dichiarate nel 69,2% (101/146) dei prodotti analizzati.
CONCLUSIONI
Il metodo del DNA barcoding si è confermato essere efficace nell’identificazione di specie animali partendo sia da una matrice non lavorata che da una lavorata. Attraver-
so l’analisi del DNA barcoding, che si avvale della tecnica del sequenziamento Sanger, è possibile sequenziare solamente i prodotti di amplificazione ottenuti da un individuo per volta. Se questi sono tutti uguali si ottiene un cromatogramma leggibile e l’iden-
BIBLIOGRAFIA
tificazione della specie è univoca, viceversa, la presenza di ampliconi diversi dovuta alla coamplificazione di specie diverse incluse nello stesso prodotto causa la produzione di cromatogrammi con doppi picchi (o a volte illeggibili).
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Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie
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Quando si parla di conservanti di origine naturale nella lista degli ingredienti dei prodotti di salumeria, che cosa si intende?
Il dibattito sull’utilizzo degli additivi di derivazione chimica, in particolare i conservanti come nitriti e nitrati, è un tema caldo nel contesto della produzione alimentare. Questi conservanti sono ampiamente utilizzati nei prodotti di salumeria per la loro capacità di inibire la crescita di microrganismi patogeni, in particolare il batterio Clostridium botulinum, responsabile del botulismo. La loro funzione va però oltre la semplice conservazione e assume rilevanti aspetti tecnologici: contribuiscono infatti anche a mantenere il colore e favoriscono lo sviluppo aromatico caratteristico dei prodotti. Tuttavia, l’impiego di nitrati e nitriti (soprattutto i secondi) è controverso, poiché studi epidemiologici hanno suggerito che il loro consumo può essere associato a un aumento del rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro, in particolare quello al colon-retto per la formazione di nitrosammine. Questo ha portato a una crescente sensibilità dei consumatori verso gli additivi alimentari, spingendo molti a preferire prodotti privi di sostanze chimiche sintetiche e a optare per alternative ritenute “naturali”.
In risposta a queste preoccupazioni, vi sono stati sviluppi riguardanti l’uso di conservanti naturali.
Un primo filone di ricerca ha sfruttato le proprietà di molte verdure, specie quelle
a foglia verde come lattuga e spinacio (ma anche ravanello, prezzemolo, finocchio e altre) che contengono naturalmente nitrati e nitriti, i cui succhi sono stati utilizzati come aggiunta nelle formulazioni. Le concentrazioni in nitrato di questi succhi vegetali variano dal >500 mg/kg di verdure che ne contengono meno, fino al >2500 mg/ kg di lattuga, biete, spinacio, sedano e ravanello. Per fare un paragone, la concentrazione di nitriti e nitrati aggiunti in formaggi, salumi e pesce usati come additivi e per questo regolamentati per legge, è di gran lunga più bassa e con l’introduzione del nuovo regolamento (UE) 2023/2018 sarà ulteriormente diminuita - entro ottobre 2025 - rispetto agli attuali parametri d’uso. Il regolamento ad esempio prevede per i prodotti cotti non sterilizzati un dosaggio di nitrito di 80 mg/kg, mentre per i prodotti di carne cruda da stagionare un analogo dosaggio di nitrito e un tenore di nitrati di 90 mg/kg. Il nuovo regolamento si è reso necessario alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite sui nitriti (i nitrati svolgono un ruolo diverso essendo precursori dei nitriti) e sulla potenziale formazione delle nitrosammine. In questo modo si vuole equiparare la legislazione ordinaria a quella in uso per i prodotti biologici e alle specifiche disposizione concesse al Regno di Danimarca, che già
impiegano meno conservanti, ribadendo però nello stesso tempo che nitriti e nitrati sono fondamentali per garantire la sicurezza microbica di questo gruppo di alimenti. Un secondo filone di studi si è concentrato sulle proprietà antimicrobiche di piante mediterranee e spezie. È noto infatti che rosmarino, origano, aglio, pepe nero, peperoncino, noce moscata e altri, sono ricchi di sostanze come polifenoli, flavonoidi, terpeni, acido ascorbico, che inibiscono la crescita di microrganismi patogeni e deterioranti e aiutano a ridurre il livello del nitrito residuo. Questi estratti si possono integrare con pigmenti rossi naturali, ricchi in antociani, per aiutare la formazione del colore nelle carni.
Anche l’aggiunta di batteri lattici non fermentanti, produttori di acido lattico e batteriocine, può fungere da antagonisti di Listeria monocytogenes
Occorre dire che la formazione di nitrosammine, derivate da nitriti, avviene quando le carni e taluni salumi sono riscaldati ad elevate temperature (di frittura o di arrostitura alla fiamma tipica del BBQ).
Inoltre si formano dal nitrito libero – cioè quello non legato alla mioglobina a dare il colore caratteristico – che può essere ridotto dall’aggiunta di acido ascorbico e i suoi sali o acido eritorbico e i suoi sali, come avviene pressoché normalmente
nelle formulazioni degli additivi nei prodotti di salumeria.
È altresì importante notare che l’impiego di sostanze vegetali usate in sostituzione di nitrati e/o nitriti come additivi, nonostante la loro origine naturale, non consente di vantare l’assenza di conservanti, secondo i dettami dell’Unione Europea e la specifica legislazione italiana. Questo significa che non esente dalla regolamentazione, il loro utilizzo deve avvenire in conformità a specifiche linee guida riguardanti le modalità di impiego e la loro dichiarazione in etichetta e nella lista ingredienti. Infatti un pronunciamento della Commissione Europea Direzione Generale della Salute e Tutela dei Consumatori (DG SANCO) del 12 gennaio 2007 avente come oggetto “Utilizzo di estratto di spinaci ad alto contenuto di nitrato nei prodotti a base di carne”, conferma che la pratica di utilizzare sostanze vegetali che contengono naturalmente nitrato e nitrito costituisce un uso deliberato di additivi alimentari se impiegato per gli scopi tecnologici analoghi di conservazione e colorazione nel prodotto finito. Pertanto il loro impiego deve essere dichiarato conformemente alla legislazione sugli additivi alimentari, comprese le condizioni d’uso. Invece secondo il Disciplinare di produzione di alcuni prodotti di salumeria (DM 21 settembre 2005, modificato da DM 26 mag-
gio 2016) si fa specifica menzione al fatto che un prodotto come il prosciutto cotto prevede l’impiego “necessario” di nitrito di sodio e/o potassio anche in combinazione tra loro (il nitrato non è ammesso nei prodotti cotti) perché il prodotto possa essere denominato come tale. Un’ulteriore nota precisa che l’impiego volontario di aromi e aromi naturali provenienti da vegetali che apportano nitriti, non può esentare dall’indicare accanto all’aroma la presenza di nitriti, apponendo una dicitura in lista ingredienti del tipo “ingredienti: coscia di suino, …, aromi/aromi naturali (contengono conservanti: nitriti di sodio e di potassio di origine vegetale)”. Per analogia, anche gli altri prodotti di salumeria non normati dal decreto che dichiarano la presenza di ingredienti di origine vegetale che apportano nitriti e nitrati come conservanti, devono riportare le stesse indicazioni di etichettatura. Se in Italia, i prodotti di salumeria (a parte i prosciutti crudi DOP, diversamente disciplinati), non possono vantare l’assenza di conservanti, è però ammissibile il claim che dichiara la presenza di conservanti di origine vegetale, riportando in altre parti dell’etichetta una dicitura del tipo “(contiene conservanti di origine vegetale)”.
Del resto è altrettanto ovvia un’altra cosa, come affermano i ricercatori: le molecole di nitrato e nitrito aggiunti con gli estratti
vegetali che li contengono (pur dichiarati come “conservanti naturali”) sono le medesime di quelle aggiunte come additivi, perché “dove lo si riceve (il nitrito) in realtà non fa differenza perché il nitrito è il nitrito, in altre parole il nitrito derivante da sedano o da altre verdure è esattamente lo stesso del nitrito presente nei salumi”.
La questione è complessa e implica un approccio equilibrato: ciò richiede agli operatori del settore alimentare di esplorare combinazioni di conservanti naturali e di reagire con attenzione alle sfide legate alla sicurezza alimentare.
Se da un lato, i consumatori sono sempre più favorevoli a prodotti che utilizzano ingredienti naturali, dall’altro le aziende devono garantire la sicurezza e la qualità alimentare. La ricerca continua a individuare soluzioni che potrebbero garantire entrambi gli aspetti, promuovendo la salute pubblica senza compromettere il gusto e la sicurezza dei prodotti alimentari. In sintesi, mentre ci sono valide alternative naturali ai conservanti chimici, la loro implementazione deve avvenire con attenzione e nel rispetto delle normative, garantendo che i prodotti siano sia sicuri che apprezzati dai consumatori. La ricerca e la sperimentazione continuano a giocare un ruolo cruciale in questo ambito, promuovendo soluzioni sostenibili e sicure per il futuro della produzione alimentare.
Perché l’ERP CSB-System
è così utile per la gestione di un’azienda alimentare?
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come le aziende gastronomiche utilizzano procedure diverse dai produttori di succhi di frutta. Le differenze esistenti tra i vari settori alimentari possono sembrare tante, ma concentriamoci piuttosto su quello che hanno in comune! Tutti devono garantire la tracciabilità del prodotto dal “campo alla tavola”, gestire le anagrafiche di clienti e fornitori, acquistare le materie prime sulla base delle scorte, degli ordini di vendita e dei piani di produzione, occuparsi del confezionamento con la stampa di etichette in diverse lingue; e ancora, picking, Controllo Qualità, Contabilità, Business Intelligence e
così via. Il gruppo CSB-System ha una conoscenza approfondita di tutti i settori dell’industria alimentare e ha modellato il suo ERP offrendo soluzioni preconfigurate per ciascuno di essi. Con l’ERP CSB-System, l’intero flusso di dati viene automatizzato e i processi complessi diventano più trasparenti.
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SOFTWARE A LIVELLO GLOBALE
Per le aziende che operano con filiali in diversi Paesi, l’implementazione e l’utilizzo dello stesso
software a livello globale consente una supervisione centralizzata di dati e informazioni. E questo vale anche per le piccole e medie imprese con potenzialità di crescita. Il CSB-System è un software multilingue già consolidato per l’uso globale. La CSB opera in più di 45 Paesi nel mondo.
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Gli ordini in entrata sono visualizzati in tempo reale nell’ERP e pronti per l’elaborazione
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SIN DALL’INIZIO
Trattandosi di un ERP integrato, il Controllo Qualità interessa trasversalmente moduli e processi. I responsabili delle varie aree aziendali, in collaborazione con gli esperti CSB, individuano i cosiddetti Critical Control Points ai quali collegare PC industriali fissi, come i rack CSB, o eventuali dispositivi mobil per l’acquisizione dei dati. I dati vengono così inseriti e registrati senza soluzione di continuità nell’ERP e diventano informazioni reali. Qualora ci siano degli scostamenti dai parametri prestabiliti, è il gestionale stesso a comunicare automaticamente la non conformità al responsabile della qualità per poter avviare le azioni correttive. Utilizzando la web app la procedura diventa ancora più semplice.
PROCESSI INDUSTRIALI MOBILI E SEMPLIFICATI
l’M-ERP di CSB-System, funzionante su applicazioni Windows e Android, consente di personalizzare l’interfaccia grafica utente per semplificare l’inserimento dei dati da parte del personale di produzione.
L’M-ERP agevola inoltre l’uso dei palmari, strumenti indispensabili per la gestione di magazzini e per il picking in maniera mobile e svincolata da una postazione fissa. L’MERP di CSB-System è comunemente utilizzato anche per la gestione del ricevimento merce, movimenti tra magazzini e gestione degli inventari.
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SALSICCIA: preparazione di carne o prodotto a base di carne?
LA RILEVANZA LEGALE DELLA DISTINZIONE
La distinzione normativa tra preparazioni di carni (es. spiedini con carni fresche e verdure) e prodotti a base di carni (es. prosciutto, salame) rileva ai fini dell’applicazione della pertinente normativa in materia di igiene, di informazioni ai consumatori nonché per quel che concerne la possibilità d’uso di determinati additivi.
Ai sensi del Reg. 853/2004 sull’igiene dei prodotti di origine animale sono definite: «Preparazioni di carni»: le carni fresche, incluse le carni ridotte in frammenti, che hanno subito un’aggiunta di prodotti alimentari, condimenti o additivi o trattamenti non sufficienti a modificare la struttura muscolofibrosa interna della carne e ad eliminare quindi le caratteristiche delle carni fresche. «Prodotti a base di carne»: i prodotti trasformati risultanti dalla trasformazione di carne o dall’ulteriore trasformazione di tali prodotti trasformati in modo tale che la superficie di taglio permette di constatare la scomparsa delle caratteristiche delle carni fresche.
Altre definizioni utili sono riportate nel Reg. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, ai sensi del quale s’intende per:
- «trattamento»: qualsiasi azione che provoca una modificazione sostanziale del prodotto iniziale, compresi trattamento termico, affumicatura, salagione, stagionatura, essiccazione, marinatura, estrazione, estrusione o una combinazione di tali procedimenti;
- «prodotti non trasformati»: prodotti alimentari non sottoposti a trattamento, compresi prodotti che siano stati divisi, separati, sezionati, affettati, disossati, tritati, scuoiati, frantumati, tagliati, puliti, rifilati, decorticati, macinati, refrigerati, congelati, surgelati o scongelati;
- «prodotti trasformati»: prodotti alimen-
Di norma le preparazioni di carni rientrano nella definizione di “prodotti non trasformati” mentre i prodotti a base di carne rientrano nella definizione di “prodotti trasformati” (che hanno subito un trattamento)
tari ottenuti dalla trasformazione di prodotti non trasformati. Tali prodotti possono contenere ingredienti necessari alla loro lavorazione o per conferire loro caratteristiche specifiche.
È opportuno evidenziare come la semplice aggiunta di condimenti, ingredienti o additivi non costituisce di per sé un trattamento. Ad esempio, la carne macinata che ha subito l’aggiunta di altri prodotti alimentari e condimenti, mantenendo inalterate le caratteristi-
Avv. Cristina La Corte - Studio Legale Gaetano Forte
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che della carne fresca macinata, diventa una preparazione a base di carne (prodotto non trasformato).
Di norma le preparazioni di carni rientrano nella definizione di “prodotti non trasformati” mentre i prodotti a base di carne rientrano nella definizione di “prodotti trasformati” (che hanno subito un trattamento).
Ciò posto, se una carne fresca è sottoposta a un’azione inclusa nella definizione di “trattamento” (es. salagione o marinatura) ma tale azione non è sufficiente a modificare la struttura muscolo-fibrosa interna della carne e ad eliminare quindi le caratteristiche delle carni fresche, il prodotto finale è una preparazione a base di carne.
Se tale azione è stata viceversa idonea a modificare la struttura muscolo-fibrosa interna della carne (es. trattamento termico, affumicatura) e quindi ha provocato una modificazione sostanziale, il prodotto finale è un prodotto a base di carne.
Se le caratteristiche della carne fresca non sono scomparse completamente, il prodotto deve essere ricondotto alla definizione di “preparazioni di carni”.
Il Regolamento 1333/2008 reca l’elenco degli additivi alimentari utilizzabili, e relative quantità di impiego in determinate categorie alimentari tra le quali
- 8.02 Preparazioni di carni quali definite dal regolamento (CE) n. 853/2004
- 8.03 Prodotti a base di carne, a loro volta distinti in
• 8.03.1 Prodotti a base di carne non sottoposti a trattamento termico
• 8.03.2 Prodotti a base di carne sottoposti a trattamento termico
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L’inquadramento normativo della “salsiccia” è da sempre stato oggetto di dubbi interpretativi soprattutto alla luce del diverso significato che il termine può assumere nei diversi Stati membri dell’Unione Europea o nell’ambito di uno stesso Stato membro
Per ognuna delle suddette categorie il Regolamento 1333/2008 reca l’elenco degli additivi utilizzabili che risulta essere più restrittivo per le preparazioni di carne per le quali è ammesso un numero più limitato di additivi rispetto ai prodotti a base di carni.
A titolo esemplificativo nelle preparazioni di carni i nitrati (E 251-252) non sono ammessi mentre i nitriti (E 249-250) lo sono limitatamente ad alcuni prodotti tradizionali nominativamente indicati1
Con limiti sensibilmente ridotti dal Reg. 2023/21082, nitriti (E 249-250) e nitrati (E 251252) sono viceversa autorizzati nei prodotti a base di carne non sottoposti a trattamento termico.
Nei prodotti a base di carne sottoposti a trattamento termico è autorizzata l’aggiunta di nitriti (E 249-250) con differenti livelli massimi d’impiego a seconda che si tratti o meno di prodotti sterilizzati.
Ciò premesso, un caso emblematico in cui tale distinzione assume rilevanza è quello della “salsiccia” la cui denominazione non è disciplinata da alcuna norma giuridica e, pertanto, può eventualmente assurgere a denominazione usuale di un insaccato di carne la cui natura deve essere verificata alla luce delle definizioni sopra riportate.
L’inquadramento normativo della “salsiccia” è da sempre stato oggetto di dubbi interpretativi soprattutto alla luce del diverso significato che il termine può assumere nei diversi Stati membri dell’Unione Europea o nell’ambito di uno stesso Stato membro. In alcuni casi il termine si riferisce infatti ad un prodotto della macelleria fresco mentre in altri ad un prodotto della salumeria stagionato o essiccato.
In relazione all’inquadramento normativo del prodotto già verso la fine degli anni ’90 il Ministero della Salute3, preso atto che sul territorio nazionale il termine può essere utilizzato per prodotti diversi dal punto di vista delle caratteristiche tecnologiche di produzione, ha avuto modo di rilevare che “La salsiccia fresca costituisce una preparazione qualora l’insaccato sia ottenuto con carni macinate alle quali siano stati aggiunti eventuali condimenti ed additivi consentiti; non deve
aver subito alcun trattamento di conservazione ad eccezione del freddo, mantenendo al centro le caratteristiche della carne fresca e dev’essere mantenuta ad una temperatura non superiore ai 2 C.” Viceversa qualora la salsiccia abbia subito un “trattamento di asciugatura, tale da consentire comunque di raggiungere valori di Aw (activity water) inferiore a 0,97, non puo’ essere ritenuta “fresca””.
Le stesse indicazioni, con il riferimento al parametro Aw (activity water) inferiore a 0,97 al fine dell’inquadramento del prodotto nella definizione di “prodotti a base di carne”, sono state ribadite dallo stesso Ministero con una nota datata 28/11/2012 in cui si rileva come “in Italia con il termine “salsiccia” si indicano, in pratica, insaccati con caratteristiche diverse” per cui “occorre fare riferimento alla tecnologia di produzione per una corretta distinzione tra le due definizioni sopra riportate” (preparazioni di carni o prodotti a base di carni n.d.r.).
Più di recente però, con Nota del 27.09.2016, il criterio del valore dell’attività dell’acqua viene accantonato laddove il Ministero della Salute afferma che: “L’unico criterio discriminante, pertanto, tra le due tipologie di prodotto, ai sensi di detto Regolamento, consiste nel metodo dell’esame visivo della superficie di taglio che consente di constatare la scomparsa o meno delle caratteristiche delle carni fresche
e non quindi nella misurazione dell’Aw. In tale contesto la salsiccia fresca si classifica come preparazione di carne; nel caso la salsiccia fresca subisca un processo di stagionatura per un periodo lungo tale da consentire la perdita delle caratteristiche della carne fresca, si classifica come prodotto a base di carne”.
Sulla base della sopra esposta evoluzione interpretativa, al fine di poter ascrivere l’alimento alla categoria merceologica dei “prodotti a base di carne” o delle “preparazioni di carne”, con le relative conseguenze normative, si rende pertanto necessaria una (non sempre semplice) verifica sostanziale circa l’effettiva perdita delle caratteristiche delle carni fresche nella parte più interna del prodotto in seguito, non ad un qualsiasi trattamento, ma ad trattamento idoneo ad alterare sostanzialmente il prodotto iniziale.
1 Solo lomo de cerdo adobado, pincho moruno, careta de cerdo adobada, costilla de cerdo adobada, Kasseler, Bräte, Surfleisch, toorvorst, šašlõkk, ahjupraad, kiełbasa surowa biała, kiełbasa surowa metka, tatar wołowy (danie tatarskie) e golonka peklowana.
2 REGOLAMENTO (UE) 2023/2108 DELLA COMMISSIONE del 6 ottobre 2023 che modifica l’allegato II del regolamento (CE) n. 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio e l’allegato del regolamento (UE) n. 231/2012 della Commissione per quanto riguarda gli additivi alimentari nitriti (E 249-250) e nitrati (E 251-252).
3 Ministero della Salute Circolare n. 2 dell’8 febbraio 1998.