Ingegneria Alimentare Maggio 2022

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Ecod Srl Unipersonale - Via Don Riva, 38 - 20028 San Vittore Olona MI - Poste italiane spa - sped. in A. P.- D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Varese In caso di mancato recapito si prega di inviare al CPO Varese per la restituzione al mittente che si impegna a pagare il diritto fisso dovuto

Anno 19 - numero 105 MAGGIO 2022

Bimestrale di aggiornamento su tecnologie e processi di trasformazione e di commercializzazione delle carni

SICUREZZA VETERINARIA L’allevamento del coniglio da carne

LA PAROLA ALL’ESPERTO

Le sfide per ridurre il sale nei prodotti alimentari trasformati secondo i criteri dell’OMS

RELAZIONE SCIENTIFICA

Omaggio al Prof. Carlo Cantoni: Listeria monocytogenes e salubrità della bresaola

MERCATI E NORMATIVE

Il Made in Italy come risorsa per il reddito del nostro Paese


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NEWS

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MERCATI, CONSUMI E ABITUDINI: Dalla stalla alla tavola, non solo carne e salumi

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CHIEDETELO A...

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SICUREZZA VETERINARIA: L’allevamento del coniglio da carne

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LA PAROLA ALL’ESPERTO: Le sfide per ridurre il sale nei prodotti alimentari trasformati secondo i criteri dell’OMS

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RELAZIONE SCIENTIFICA dagli archivi di Ingegneria Alimentare: Omaggio al Prof. Carlo Cantoni - Listeria monocytogenes e salubrità della bresaola

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CASE HISTORY: Prosciutti belli e buoni, un affare di famiglia

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AZIENDE E INFORMATICA: L’M-ERP di CSB-System per supportare la mobilità interna ed esterna

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MERCATI E NORMATIVE: Il Made in Italy come risorsa per il reddito del nostro Paese

Redazione: Marina Caccialanza - redazione@ecod.it Grafica e Impaginazione: Sabrina Zampini - grafica@ecod.it Hanno collaborato: Michele Amorena; Angela Mucciolo; Claudio Mucciolo; Giuseppe L. Pastori; Valeria Valerii

Il contenuto della rivista non può essere riprodotto, salvo espressa autorizzazione. Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie.

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ASSOCIATO A:

SOMMARIO

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news

A CREMONA È FESTA!...DEL SALAME

FOCUS MATERIE PRIME

Torna a grande richiesta, a Cremona, la Festa del Salame, dal 7 al 9 Ottobre, la kermesse dedicata a uno dei prodotti più amati delle nostre tavole. L’evento sarà interamente dedicato alle produzioni di salame in tutte le sue forma e declinazioni, con un ricco calendario di appuntamenti, showcooking, degustazioni e incontri culturali per una tre giorni all’insegna del buon gusto, ma durante la quale non mancheranno incontri culturali, ospiti illustri, interviste e premiazioni. Interamente ed esclusivamente dedicato al salame, il festival si articolerà nel centro storico cremonese. La manifestazione è promossa dal Consorzio di Tutela Salame Cremona IGP, realtà del territorio che rappresenta alcune delle aziende produttrici di questo prelibato salume a indicazione geografica e, per questa edizione, da Confartigianato Imprese Cremona, che promuoverà l’iniziativa presso i propri associati, e vanta il patrocinio del Comune di Cremona e di Regione Lombardia.

Secondo le analisi dell’osservatorio Anima, coordinate dal prof. Achille Fornasini, l’andamento del conflitto russo-ucraino è destinato a condizionare lo sviluppo del nostro Paese. I materiali metallici utilizzati nella meccanica stanno subendo rincari mai visti con record storici a ripetizione. Le cause degli aumenti sono la drastica contrazione delle scorte, i costi energetici che incidono sulle attività di estrazione e di raffinazione dei minerali, ma anche dei costi di trasporto che si mantengono molto elevati. «Particolarmente critica – dichiara Achille Fornasini – è la contingenza innescata dal conflitto che ha interrotto le importazioni da Ucraina e Russia di metalli e semilavorati decisivi per le nostre industrie siderurgiche, metallurgiche e meccaniche: dopo gli aumenti di prezzo già cospicui dello scorso anno, nel primo trimestre 2022 si segnalano ulteriori incrementi di portata straordinaria: +28% l’alluminio, +46% il rottame ferroso, +57% i coils, +40% le lamiere base, +100% le lamiere da treno, +30% i laminati inox. In campo siderurgico siamo passati repentinamente dall’overcapacity allo shortage provocato dall’interruzione delle forniture proveniente dai Paesi coinvolti dalla guerra. Le fonti alternative di approvvigionamento sono molto più lontane: ne derivano costi di trasporto più pesanti, aggravati appunto dal boom delle quotazioni dei carburanti innescato dalla crisi energetica, che vanno a incidere sui prezzi dei materiali».

LA CINA COMPRA 15MILA GIOVENCHE ANGUS Nei primi giorni di giugno, una nave verrà caricata con bestiame vivo diretto in Cina. Si tratta di un affare realizzato da Del Norte Agribusiness e consiste in 15.000 animali di razza Angus e dei loro incroci. Juan Pablo Helguera, capo di Del Norte Agribusiness, ha riferito che quasi il 100% della fornitura è in quarantena. Si tratta di animali che, una volta spediti, dovrebbero pesare circa 250 chili. Si tratta di un’operazione che si sta trattando da circa un paio d’anni direttamente dal produttore cinese, che opera per la prima volta con l’Uruguay. Gli animali saranno destinati alla riproduzione per ottenere carne di prima qualità del tipo Wagyu. L’operazione di acquisto è iniziata a fine dicembre e si è conclusa recentemente. Le operazioni sono state chiuse a valori di mercato, con una media di 500-650 dollari USA a seconda del peso dei vitelli e/o delle giovenche. L’esportazione in Cina non ha uno scenario “molto propizio”, secondo Helguera e ha spiegato il perché: “Quando abbiamo fatto i calcoli per la spedizione della nave, i costi erano diversi; da allora il petrolio è aumentato del 35% e il mais del 40%. In Cina, il prezzo del bestiame è diminuito anche a causa dell’incertezza della guerra. È complesso, ma non impossibile.”

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ETICHETTA DI ORIGINE PER LA CARNE DI ORIGINE SERBA A partire dal 1° di aprile, la carne e i prodotti a base di carne contenenti almeno il 50% di carne di origine serba recano l’etichetta speciale “Serbian origin” in tutti i negozi in Serbia. Secondo ICE Belgrado, la misura servirebbe per dare un ulteriore incentivo alla produzione di carne di origine nazionale.

I FRANCESI SCELGONO IL COMMERCIO DI PROSSIMITÀ Secondo uno studio di Odexa, la crisi sanitaria ha fortemente rafforzato il rapporto dei consumatori francesi con i negozi di prossimità, in quanto risultano essenziali per 84% di loro. Nonostante questo forte legame, le critiche sono numerose. Secondo il sondaggio, il 78% dei consumatori ritiene che i prezzi dei prodotti venduti sono troppo elevati ed il 62% rileva la mancanza di tecnologie digitale per la gran parte dei negozi. Infatti la digitalizzazione dell’acquisto e della consegna (click and collect) fa ormai completamente parte del panorama della distrbuzione. Infine, il 52% considera che questi negozi hanno difficoltà a rinnovare la loro offerta e che non sono abbastanza innovativi.



news

POLO LOGISTICO AUTOMATIZZATO PER AMADORI Il Gruppo Amadori, tra le realtà leader del settore agroalimentare italiano e specialista nel settore avicolo grazie alla sua filiera integrata, 100% italiana e sostenibile, con una distribuzione media annua a oltre 35.000 clienti fra Italia ed estero, ha deciso di affidare a Dematic l’automazione della nuova piattaforma logistica primaria della storica sede di San Vittore di Cesena. Nel corso del 2022 entrerà in funzione nel polo logistico il sistema di automazione Dematic, un sistema integrato basato sull’interazione di molteplici tecnologie, che permetterà di raggiungere nuovi importanti obiettivi, tra i quali lo sviluppo del servizio alla clientela, grazie al potenziamento dei volumi di vendita e alla riduzione dei costi di preparazione ordini, e l’ulteriore miglioramento della sicurezza degli ambienti, mediante l’utilizzo di postazioni di lavoro ergonomiche. Il nuovo polo logistico integrerà quello attuale e avrà un collegamento diretto con i reparti produttivi di Cesena in modo da ricevere il prodotto in magazzino dai reparti a casse, ed eliminare la fase di pallettizzazione rivolta allo stoccaggio.

CARNI E SALUMI ANTIBIOTIC FREE Il Gruppo Martelli, azienda specializzata da quattro generazioni nella lavorazione di carne suina di alta qualità, ha conseguito un importante riconoscimento. La speciale linea “Qui Ti Voglio”, che comprende un’intera gamma di prodotti realizzati con carne suina senza antibiotici, è stata certificata da SGS Italia SpA come “da suini allevati senza utilizzo di antibiotici dalla nascita”. Secondo un rapporto Ema-Esvac (European Medicine Agency – European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption), in Italia circa il 70% degli antibiotici venduti (compresi anche quelli destinati al consumo umano) viene acquistato per gli animali. L’Italia, peraltro, risulta essere al terzo posto, in tutta Europa, per utilizzo di antibiotici negli animali d’allevamento. La scelta di Gruppo Martelli si pone quindi in decisa controtendenza rispetto a questo trend, all’insegna della massima tutela del consumatore. Tutti i capi della linea “Qui Ti Voglio” sono allevati senza l’apporto di antibiotici fin dalla nascita, per garantire il massimo della sicurezza alimentare. Tutto ciò è possibile attraverso l’allevamento dei suini in corretti spazi per ridurre lo stress e migliorare la qualità della vita, un’appropriata gestione degli ambienti attraverso il riciclo continuo dell’aria e un avanzato sistema di pulizie delle porcilaie oltre che ad una sana alimentazione integrata e controllata. Queste informazioni sono indicate sulle confezioni, studiate realizzata ad hoc per tutta la gamma “Qui Ti Voglio”, attraverso un QR Code, associato a ogni confezione.

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FINDUS COMPIE 60 ANNI, CON AMORE Compie 60 anni e celebra la ricorrenza con un volume, una monografia edita da Mondadori che ne ripercorre la storia, e un sito dedicato ai consumatori per esprimere le proprie preferenze su prodotti del passato e mai dimenticati. Findus, festeggia un traguardo importante per l’azienda simbolo dei surgelati in Italia. Il libro, corredato di splendide immagini storiche, è uno spaccato del nostro Paese a partire dagli anni sessanta. Nel 1962 Nestlé Alimentana acquisisce Findus dalla famiglia norvegese Throne Holst, che l’aveva fondata nel 1939. Nasce Findus International Ldt, che costituisce Findus SpA, con sede a Cisterna di Latina, nell’Agro Pontino, dove sorgerà un grande stabilimento per la surgelazione di prodotti. La prima produzione dello stabilimento di Cisterna è vegetale (Piselli e Fagiolini Novelli Findus, seguiti dal Minestrone), qualche anno dopo arrivano i Bastoncini (1967). Tocca poi a I Buongustai, prodotti della cucina tradizionale italiana (lasagne al forno, cannelloni e zuppa di pesce) e, l’anno dopo, agli Amburger di manzo. Nel 1969 Findus è la più grande industria di surgelati in Italia, con oltre 500 dipendenti e una capacità produttiva annua di 16.000 tonnellate. Negli anni settanta arrivano i sofficini che rivoluzioneranno le abitudini alimentari delle famiglie italiane e si propongono come un piatto pronto in pochi minuti, completo e sfizioso, che invogli soprattutto i più piccoli a mangiare anche le verdure. Gli anni ottanta, quelli dell’edonismo e del consumismo, vedono l’arrivo dei primi fast food e Findus attiva l’automazione delle linee produttive; aumenta la condivisione di conoscenze con i fornitori delle materie prime; arrivano nuove referenze. Findus punta sull’innovazione, grazie ad un’epocale innovazione tecnologica, e lancia nel 1996 4 Salti in Padella, un brand che osa disegnare nuove abitudini di consumo. Una gamma che unisce praticità, qualità e genuinità degli ingredienti. Dall’inizio degli anni 2000 Findus diventa il marchio paladino del buon cibo surgelato “all’italiana”, rispetto a un’offerta sempre più globalizzata e standardizzata; nel 2018 aderisce a Sai Platform, una delle principali iniziative a livello globale per la sostenibilità agricola, e oggi il 90% dei volumi totali sono certificati da agricoltura sostenibile per arrivare entro i prossimi tre anni al 100%. Un’altra area di forte impegno è quella degli imballaggi, la cui quasi totalità (99%) è completamente riciclabile, con l’impegno che per tutte le scatole di cartone prodotte si utilizzi carta proveniente da foreste gestite in modo sostenibile, come da certificazioni PEFC e FSC. Oggi il Gruppo ha sede nel Regno Unito e opera in ben 22 Paesi europei: con 14 siti produttivi e 8.000 dipendenti, si colloca tra i principali player mondiali nel settore degli alimenti surgelati. Il volume “Cpn amore, Findus” non ha un sapore nostalgico, né guarda solo al passato. Racconta come Findus sia stata capace di innovarsi, sempre mantenendo coerenza e continuità tra passato, presente e futuro.



mercati, consumi e abitudini

stalla alla tavola, non solo carne e salumi

Dalla

A cura della redazione

La rete zootecnica italiana riveste un’importanza strategica, non solo per l’economia ma a livello sociale e ambientale. La filiera del latte e dei latticini ne è protagonista.

L

a filiera del latte, dalla stalla alla tavola degli Italiani, è oggetto di un progetto europeo che tende a contrastare il calo dei consumi con un’informazione corretta e autorevole. Dall’analisi del settore sono emersi dati interessanti e curiosità. Per esempio, viene definito milk sounding quel fenomeno che tende a identificare come “latte” prodotti che lo ricordano solo nella presentazione e a penalizzare alcuni prodotti lattiero-caseari incolpandoli di criticità per la salute: malgrado la Corte di Giustizia UE abbia stabilito che i prodotti puramente vegetali non possano essere commercializzati come “latte”, vi sono ad oggi su Instagram circa 26,5 mila post che utilizzano l’hashtag #lattedisoia e 13,5 mila #lattediriso. D’altro canto, a proposito dei formaggi DOP, è poco diffusa la consapevolezza che molti di essi sono naturalmente privi di lattosio smentendo così una delle credenze più radicate, dato che le presunte intolleranze, spesso autodiagnosticate, sono fra le principali cause di abbandono dei latticini. A questo proposito sono nate alcune iniziative nell’ambito del progetto informativo “Think Milk, Taste Europe, Be Smart” realizzato da Confcooperative e cofinanziato dalla Commissione Europea che si concentra su alcuni valori fondamentali del latte e dei latticini prodotti nell’UE: sicurezza, tracciabilità, qualità, proprietà nutrizionali, sostenibilità. Il progetto “Think Milk, Taste Europe, Be smart!”, indirizzato al target Italia e Germania, intende valorizzare l’intera filiera e migliorare il grado di conoscenza dei prodotti agricoli UE, attraverso la promozione della cultura produttiva del latte e dei suoi derivati (formaggi e yogurt), valorizzando gli alti standard europei e la grande tradizione che contraddistingue il comparto lattiero-caseario. Tra le finalità, vi è anche stimolare una ripresa dei consumi, in costante calo da anni in entrambi i Paesi, soprattutto per quanto riguarda il latte.

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I contenuti sono disponibili anche in formato e-book nel sito www.thinkmilkbesmart.eu. In queste pagine vi proponiamo un estratto dei contributi.

LATTE, UN VALORE DEL TERRITORIO

(a cura di Giovanni Guarneri, Coordinatore del Settore Lattiero Caseario dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari) La filiera cooperativa del latte nasce all’inizio del ‘900 a seguito delle ricorrenti crisi di mercato che colpivano gli allevatori e non permettevano loro di cedere il latte: prodotto ad elevatissima deperibilità. La catena del freddo non esisteva ancora. Gli sforzi economici per trasformare il latte non potevano essere affrontati singolarmente quindi gli agricoltori/allevatori si organizzano per trasformare in via autonoma il latte in formaggi per affrontare le crisi economiche. Oggi la cooperazione è affermata e permette di far crescere sotto tutti gli aspetti imprendi-

toriali, dal valore all’impatto ambientale all’attività di allevamento fino all’attività casearia e alla distribuzione. Il 65% del latte prodotto in Italia è raccolto dalle cooperative. Il peso medio del sistema cooperativo nelle principali filiere DOP corrisponde al 70%. La quota di fatturato delle cooperative nel settore lattiero-caseario italiano è del 45%. La cooperazione rappresenta il territorio perché i suoi soci sono espressione dell’area geografica dove operano e le produzioni sintetizzano la storia, la cultura e la biodiversità del territorio di riferimento. Tutto questo è l’antitesi della delocalizzazione. Questo è un elemento ancora più evidente nelle aree montane a rischio spopolamento dove la cooperazione è l’unica forma di impresa possibile a garanzia del tessuto socioeconomico locale; le cooperative generano valore per poi redistribuirlo nel territorio di produzione. Il valore della filiera del latte si esprime anche


mercati, consumi e abitudini

in sostenibilità con una serie di best practice: • recupero di calore per la cottura del formaggio dalla produzione di energia elettrica per il condizionamento dei magazzini di stagionatura; • gestione degli effluenti zootecnici e di depurazione per produrre energia green da fermentazione; • produzione di energia fotovoltaica sui tetti delle stalle per alimentare gli impianti di mungitura, condizionamento e pulizia delle stalle. La sfida da affrontare è la riduzione delle emissioni che può essere favorita dall’utilizzo di integratori alimentari mirati per l’alimentazione della mandria. A prescindere dai luoghi comuni e dalle ideologie, la salute degli animali allevati in pianura o in montagna, tanti o pochi che siano, è da sempre al centro dell’attenzione dell’allevatore. Questo valore deve essere comunicato al consumatore.

DIMENSIONE DELLA FILIERA

(a cura di Fabio del Bravo, Dirigente Servizi per lo sviluppo rurale di ISMEA) La filiera lattiero-casearia riveste un ruolo di primaria importanza nel sistema agroalimentare nazionale. La produzione di latte bovino, attestandosi ad oltre 4,7 miliardi di euro, rappresenta quasi il 9% del valore generato dall’agricoltura nel suo complesso. La fase di trasformazione detiene il primato nell’ambito dell’industria agroalimentare nazionale con un fatturato pari a 16,4 miliardi di euro e un’incidenza di poco meno 12% del totale. La filiera lattiero casearia nazionale si presenta piuttosto articolata, sia in termini di struttura che di organizzazione e, in particolare, la fase di allevamento con la presenza di 25.915

allevamenti risulta evidentemente compressa tra i fornitori a monte, rappresentati essenzialmente dalle aziende mangimistiche che hanno una connotazione prevalentemente industriale (circa 400 industrie), e la fase più a valle costituita dalle imprese di trattamento e trasformazione del latte caratterizzata anch’essa da un maggiore grado di concentrazione (1.838 unità produttive). • Negli ultimi anni, la produzione nazionale di latte bovino si è mossa con dinamica estremamente accelerata come solo pochi altri Paesi comunitari hanno fatto: +12,6% tra il 2015 e il 2020 e +2,5% tra il 2020 e il 2021. • La maggior parte dell’incremento produttivo si è realizzato nelle regioni del Nord Italia (Lombardia +19%, Emilia Romagna +15%, Veneto + 6,0%, Piemonte +15%), ma anche in alcune regioni del Mezzogiorno (Puglia +12%, Sicilia e Basilicata +11%, Calabria +17%). • La produzione di latte vaccino in Italia è significativamente aumentata nell’ultimo quinquennio, giungendo quasi a 13 milioni di tonnellate nel 2021 (+8,5% rispetto al 2017). • Oggi le consegne di latte vaccino in Italia sono pari a quasi 12,7 milioni tonnellate. Le consistenze di bovini sono, invece, rimaste piuttosto stabili, facendo registrare un significativo fenomeno di concentrazione delle strutture produttive, con la dimensione media aziendale passata da 70 capi/azienda del 2010 a 102 capi/azienda. La produzione nazionale è concentrata in aziende prevalentemente di grandi dimensioni.

L’ITALIA DEI FORMAGGI DOP, IGP E STG

L’Italia è il Paese al mondo con più prodotti lattiero-caseari tutelati con marchi di deno-

minazione, sono ben 56. Secondo i dati del rapporto ISMEA-Qualivita 2021 (dati riferiti al 2020) il comparto dei formaggi DOP IGP è il più rilevante in termini economici fra i prodotti a Indicazione Geografica (IG) nazionali (57% del comparto cibo DOP IGP), con 4,18 miliardi di euro alla produzione (-7,8%). L’export, ha raggiunto 2,06 miliardi di euro grazie soprattutto alla crescita nei Paesi UE. A livello territoriale, in Lombardia e in Emilia Romagna si concentrano quasi i due terzi del valore totale dei formaggi IG, rispettivamente con 1,32 e 1,31 miliardi di euro di fatturato alla produzione. Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP sono in assoluto il primo e secondo cibo DOP per valore di produzione in Italia, con, rispettivamente 1.364 milioni di euro e 1.285 milioni di euro nel 2020. Gli altri top player sono la Mozzarella di Bufala campana DOP (quarta posizione con 426 milioni), il Gorgonzola DOP (6° con 393 milioni) e il Pecorino Romano DOP (10° con 228 milioni).

TUTELIAMO I NOSTRI PRODOTTI

Fra gli argomenti più “caldi” e dibattuti a livello europeo vi è il cosiddetto Nutri-Score, o etichettatura “a semaforo”, che negli intenti dei sostenitori dovrebbe facilitare nei consumatori una scelta più immediata e consapevole di quei prodotti che presentino un miglior equilibrio nutrizionale. Il Nutri-Score è un sistema di etichettatura che assegna un valore alla qualità nutrizionale degli alimenti utilizzando diversi colori per classificarli in 5 categorie: dalla A (verde scuro), con la maggior qualità nutrizionale fino alla E (rosso) con le minori qualità nutrizionali. Il principale limite che viene contestato al Nutri-Score è che considera solo la percentuale assoluta di grassi, sali e zuccheri per 100 grammi di prodotto, e non la quantità effettivamente contenuta in una singola porzione, con i conseguenti paradossi, poiché il consumo reale dei prodotti è legato alle quantità assolute che non corrispondono a quelle poste alla base dell’algoritmo. Ad esempio, con questo sistema si ottiene un miglior “posizionamento” delle patatine fritte (B) rispetto all’olio extravergine d’oliva (C), uno dei capisaldi della dieta mediterranea. Rischia inoltre di essere discriminatorio poiché i punteggi vengono attribuiti in maniera arbitraria, e sono quindi in qualche misura negoziabili. Infine, questo sistema è parziale perché non permette in alcun modo di considerare l’equilibrio fra i diversi alimenti nella dieta, né le caratteristiche organolettiche complessive del prodotto stesso. Nel caso dei formaggi, ad esempio, la penalizzazione è a prescinde-

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mercati, consumi e abitudini

re, per la presenza dei grassi, non tenendo in considerazione le altre sostanze e nutrienti strategici che essi apportano. Il Nutriscore è fuorviante per il consumatore e banalizza le caratteristiche nutrizionali dei prodotti alimentari, soprattutto dei prodotti DOP, riconosciuti per la loro intrinseca qualità, per la loro sostenibilità nutrizionale e per il loro forte legame con le abitudini alimentari dei consumatori europei.

MILK & CHEESE SOUNDING

Il milk sounding – vale a dire, l’utilizzo dei nomi propri di latte e derivati su prodotti di diversa origine – è stato oggetto di una pronuncia della Corte di Giustizia UE con la sentenza del 14/06/2017 (nota anche come Sentenza TofuTown) che ha stabilito come i prodotti puramente vegetali non possano, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni come “latte”, “crema di latte o panna”, “burro”, “formaggio” e “yogurt”, che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale. La decisione, quindi, limita l’utilizzo non solo del termine latte ma anche delle evocazioni e imitazioni, come “bevanda tipo latte”, “succedaneo del latte” o “formaggio vegetale”. Sono previste alcune eccezioni (Decisione

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della Commissione, del 20 dicembre 2010, che fissa l’elenco dei prodotti di cui all’allegato XII, punto III.1, secondo comma, del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio [notificata con il numero C(2010) 8434]). In Italia tali eccezioni riguardano il Latte di mandorla, il Burro di cacao e il Latte di cocco.

NUTRIZIONE SANA, IL LATTE PER TUTTI

Il latte e i suoi derivati sono considerati alimenti cardine della dieta mediterranea e per questa ragione il loro consumo è fortemente consigliato, nell’ambito di una alimentazione bilanciata, in tutte le fasce di età. Fra le principali “accuse” rivolte a latte e formaggi vi è l’alto contenuto di lipidi, considerati i principali responsabili di numerosi disordini cardiovascolari e metabolici. Questi grassi però, sono presenti in quantitativi diversi in tutti gli alimenti, e possiedono molteplici ed essenziali funzioni organiche. Recenti studi hanno rivisto i range di normalità del colesterolo, sdoganando il consumo di latticini giungendo alla conclusione che il consumo di formaggi non comporti di per sé un aumento del colesterolo LDL, mentre sembra favorire l’HDL. Consumati nell’ambito di una dieta equilibra-

ta, nelle giuste dosi e variandone la tipologia, i latticini contribuiscono a mantenerci in salute.

MANGIARE E SOCIALIZZARE

Mangiare insieme è fonte di coesione e identità. È un’azione che ci fa sentire in armonia con gli altri. Lo dimostra il successo dei social e come le foto di cibo postate siano di grande appeal per la comunità. Postare, condividere e guardare foto di cibo resta una delle attività preferite sui social: l’hashtag #food è il 27° assoluto al mondo nel 2021, usato 391.9 milioni di volte mentre l’arcinoto #foodporn è 48° con 229.4 milioni. Questa abitudine è in grado di influenzare le mode alimentari e favorire le scelte dietetiche. Una ricerca apparsa sulla rivista Appetite rivela che i consumatori scelgono più spesso i cibi che vedono postati sui social. Adottare una dieta salutare favorendo il consumo di verdure e frutta oppure scegliere abitudini alimentari più junk dipende spesso dalla percezione che le persone, soprattutto i giovani, hanno del cibo consumato sui social dai loro amici.  (fonte e-book Think Milk – Taste Europe, Be Smart - © Francesca Goffi - Blancdenoir srl)



chiedetelo a...

La rubrica “Chiedetelo a…” è uno spazio attraverso il quale i nostri lettori (ma anche la redazione stessa) possono avere risposte ad argomenti di diversa natura. Le domande devono essere inviate all’indirizzo email redazione@ecod.it I quesiti proposti saranno evasi da persone competenti negli specifici settori.

Perché talvolta al taglio di un salume stagionato, dal salumiere o in vaschetta, si vedono fette con colorazioni iridescenti? Capita talvolta sui salumi affettati stagionati a muscolo intero (tipo prosciutto, speck, culatte, lonzini, bresaole) e anche meno frequentemente in quelli cotti di manzo come roastbeef e pastrami, di trovare delle parti iridescenti, sia sulle fette tagliate fresche dal salumiere, che in quelle di affettati in vaschetta. Tale fenomeno è più evidente sulla superficie magra del taglio. Il consumatore si chiede quale origine possa avere questa colorazione e non sa darsi una risposta, magari pensa a una qualche forma di deterioramento e si preoccupa. Del resto poiché la decisione di acquisto è guidata principalmente dalla prima impressione del colore e dell’aspetto della carne, i prodotti che mostrano iridescenze colorate potrebbero essere rifiutati. La questione ha una spiegazione scientifica e non ci deve preoccupare (c’è una casistica di letteratura scientifica piuttosto ampia che tratta l’argomento), perché non rappresenta né un fenomeno di contaminazione di origine batterica né di degrado chimico.

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Sappiamo che il colore della carne è principalmente determinato cromaticamente dal contenuto di pigmento eme della mioglobina, che in un salume stagionato assume la colorazione rossa bruna caratteristica, legandosi alle molecole di nitrito (usato anche come conservante) a formare un legame stabile. Tuttavia c’è anche un aspetto acromatico legato all’incidenza della luce e alla sua dispersione da parte della microstruttura muscolare. Gli studi evidenziano come l’iridescenza cromatica a cui si assiste dipenda in primo

luogo proprio dalla luce e dall’angolo di osservazione, e quindi dall’orientamento della carne. Si tratta quindi di un fenomeno naturale, che è tecnicamente indicato come birifrangenza o doppia rifrazione. È causato dalla riflettanza della luce sulle proteine​​ muscolari ed è analogo alla distribuzione del colore prodotta da un prisma. Le proteine muscolari ​​ sono disposte in filamenti chiamati miofilamenti, che sono legati insieme per formare miofibrille. Le miofibrille sono legate tra loro per formare fibre muscolari, che si formano insieme per formare fasci muscolari e infine muscoli interi. Quando i miofilamenti vengono tagliati con un angolo appropriato, esponendo una sezione trasversale dei miofilamenti, la riflettanza della luce sulle proteine​​ produce l’aspetto caratteristico associato all’iridescenza. Praticamente, dopo che il salume è stato affettato, le estremità tagliate delle fibre formano una serie di scanalature. La luce bianca sappiamo che è composta da uno spettro di colori diversi e ognuno di questi colori ha una lunghezza d’onda specifica. Quando la luce bianca colpisce le scanalature sulla superficie di una fetta di salume, parte della luce viene assorbita e parte viene riflessa. Ogni onda di colore componente della luce riflessa si piega ad un angolo diverso a seconda della sua frequenza particolare. Il risultato di questa diffusione delle onde di colore è un caleidoscopio o un effetto iridescente. La riflettanza dipende dal fatto che le fibre muscolari al taglio siano strutturalmente integre e perfettamente allineate. Questo è il motivo per cui è molto più probabile che si veda questo effetto iridescente sulla carne stagionata (talvolta su quella cotta)


chiedetelo a...

rispetto alla carne cruda. La carne stagionata ha una consistenza più soda e dura e la struttura della fetta mantiene bene la sua forma perché le fibre muscolari sono più compatte. La carne cruda, invece, è più morbida e delicata, e le estremità delle fibre si aprono facilmente quando viene tagliata, il che significa che la luce viene riflessa in modo casuale senza dar luogo ad arcobaleni. Perché questo fenomeno però non si evidenzia in tutti i salumi ma solo in alcuni? Dipende dal colore della carne in sé e dalla struttura. È più probabile che l’iridescenza la si ritrovi in carni cotte scure di manzo come il roast beef, il manzo cotto e il pastrami, e in carni salate a pezzo intero come prosciutti la cui fetta rimane più brillante al taglio. Il tacchino e il pollo hanno carni troppo pallide per mostrare questa brillantezza; anche la carne macinata il cui trito viene impastato con il grasso e insaccato per fare il salame, non avrà più le fibre allineate correttamente per diffrangere la luce. Anche il modo in cui gli arrosti di carne vengono affettati al banco gastronomia o prima di essere con-

fezionati in vaschetta è fondamentale per la formazione dell’iridescenza: solo i tagli controfibra o perpendicolari alla direzione delle fibre della carne mostrano iridescenza (per il manzo questi tagli sono il roast beef e il pastrami. Del suino solo lo speck si taglia controfibra ma questo salume rientra tra gli stagionati). Talvolta può essere anche “colpa” dell’affilatura della lama: se questa è ben affilata, più netto sarà il taglio, più liscia sarà la superficie della fetta e più probabile la formazione dell’iridescenza. Il contenuto di grasso può limitare l’effetto diffrangente della luce: è improbabile che un taglio di carne particolarmente grasso o uniformemente marmorizzato possa creare un effetto iridescente, perché non ha la struttura per riflettere la luce. Non è secondario rilevare infine che il fenomeno della iridescenza della carne è tanto più evidente quanto minore è lo stato di idratazione della stessa e come tale non può essere di derivazione microbica. Ciò è legato al calo peso e significa che il fenomeno è inversamente proporzionale all’attività dell’acqua dell’alimento da cui

dipende o meno la crescita batterica: in un salume stagionato in cui il calo peso comporta una diminuzione dell’acqua libera, la causa di alterazione del colore della fetta ne esclude di fatto l’origine batterica. Poiché la diffrazione è un fenomeno puramente fisico e non ha nulla a che fare con la crescita microbica, il salume iridescente non presenta assolutamente alcun rischio per la sicurezza, né ha alcun effetto sul gusto. Però questo potrebbe non essere sempre il caso della carne cruda, che occasionalmente può mostrare iridescenze. Le carni crude sono più soggette alla contaminazione batterica e un bagliore colorato potrebbe essere causato dalla luce riflessa su una pellicola superficiale di liquido prodotto dai microbi. Si può determinare empiricamente se non è sicura: basta pulire la superficie della carne con un tovagliolo e se la lucentezza scompare è più probabile che la carne contenga microbi. In questo caso si dovrebbero anche sentire odori di inizio della putrefazione e pertanto va scartata. 


chiedetelo a...

Le muffe che crescono sul salame e sugli stagionati sono pericolose? Le muffe sono un genere di microorganismi pluricellulari appartenenti al regno dei funghi in grado di crescere su svariate superfici. Possono svilupparsi infatti in ambienti chiusi su pareti soggette ad umidità come cantine e bagni e crescere su alimenti, sia quelli che teniamo in dispensa sia quelli presenti nel frigorifero, determinando le condizioni di cibo avariato che finiamo per buttare. In queste condizioni possono produrre spore che hanno un’elevata tossicità per l’organismo umano, se inalate. Eppure alcune muffe vengono coltivate per la loro capacità di produrre antibiotici (tutti noi conosciamo la scoperta della penicillina da parte di Alexander Fleming), altre muffe verdi sono utilizzate nella produzione di formaggi come il Gorgonzola, il Roquefort e lo Stilton. Le osserviamo crescere anche sui salami che teniamo in cantina e le notiamo anche su quelli – generalmente in budello naturale – che acquistiamo dal macellaio o al supermercato. Le muffe allora fanno bene o fanno male? Quelle del Gorgonzola sono commestibili, creano nella pasta delle venature più o meno diffuse, il cui colore varia dal verde al blu e donano al formaggio il suo caratteristico sapore, che può essere piccante o dolce in base al tipo di stagionatura. Quelle del salame non sono commestibili, ma se la stagionatura è gestita bene, contribuiscono anch’esse alla maturazione del salame e a sviluppare determinati aromi. Innanzitutto non crescono a contatto diretto con la carne ma sull’involucro esterno che contiene l’impasto del salame o il pezzo di carne anatomico salato e speziato, quindi sul budello che è (in genere) materia organica.

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Nei salumi, da intendersi nell’intero novero dei prodotti insaccati e cioè dai salami ai culatelli, che sono tenuti in ambienti con condizioni particolari di temperatura ed umidità in asciugatura ma soprattutto in stagionatura, le muffe che consideriamo “nobili”, ricoprendo lo strato esterno svolgono tre funzioni: 1. rallentano quella che è l’attività proteolitica impedendo la putrefazione, anzi favorendo la loro gelificazione e la compattezza della struttura; 2. regolano l’umidità mantenendola in equilibrio, impedendo che quella esterna penetri all’interno e favorendo la disidratazione (il calo peso) in modo controllato, così che l’acqua non legata contenuta all’interno fuoriesca, in modo da asciugare il prodotto e favorirne la maturazione; 3. producendo sostanze antibatteriche, impediscono che microrganismi nocivi, diversi dagli starter di fermentazione (laddove vengono usati), possano alterare le carni compromettendo il processo di stagionatura. Nei salami di produzione industriale in cui si usano starter di fermentazione (lattobacilli, pediococchi, micrococcacee) capita spesso che le muffe “nobili” vengano inseminate sulla superficie del salame, disperse prevalentemente con metodi spray, in relazione al tipo di produzione che si vuole fare. Penicillium nalgiovense e in misura minore altri tipi di Penicillium sono le tipiche specie starter sparse sul budello degli insaccati a fermentazione secca per migliorare e standardizzare la qualità dei salumi. In effetti le muffe dei salumi non affumicati crescono in modo spontaneo; tali muffe potrebbero essere ambientali oppure, in seguito a una maggior consapevolez-

za che ceppi indigeni potrebbero essere tossigeni, dovute proprio all’applicazione di colture micotiche selezionate. Nella gestione delle muffe è importante fare attenzione al colore, che ci può dare indicazioni sull’andamento del processo di maturazione, in asciugatura prima e in stagionatura poi. Si vuole dapprima far sviluppare una muffa dal micelio bianco (da Penicillium nalgiovense), che in seguito durante la lunga fase di stagionatura tende a scomparire per lasciare il posto a muffe più aggressive, grigie e verdi, differenze in parte dovute alle diverse regolazioni dell’umidità dell’ambiente ma che in genere non sono indici di particolari problemi. Dobbiamo invece preoccuparci della presenza e dello sviluppo di muffe colorate, per esempio gialle, nere o alcune verdi che alterano l’omogeneità desiderata del micelio bianco e che possono anche influenzare il sapore con caratteri non desiderati. Le muffe nere formano un penicillio molto pesante, sono un indice di processo di stagionatura molto compromesso che fa assumere al salame gusti poco piacevoli. Le muffe di colore giallo sono un segno della presenza di muffe indigene non “nobili” che a volte riportano alla non corretta maturazione del salame per un pH alterato. Nei salami a stagionatura molto lunga può capitare che la muffa svanisca o cada dal salame. Il responsabile è un acaro, detto “Ruffino” che si nutre delle muffe nobili facendole diventare marroncine per poi farle staccare. Alla maturazione del salame e alla definizione del suo sapore e aroma contribuisce l’attività proteolitica e lipolitica dovuta all’attività enzimatica endogena della carne e ai batteri lattici; tuttavia diversi studi hanno dimostrato il ruolo attivo delle attività proteolitiche e lipolitiche esercitate dalle muffe che crescono in superficie durante la stagionatura. Prima di essere immesso sul mercato il salame viene soffiato e/o spazzolato per eliminare la muffa; generalmente a livello industriale, prima dell’etichettatura viene anche infarinato con polvere di riso, che serve sia per la presentazione che per limitare lo sviluppo precoce di nuovo micelio, quando il prodotto è nel punto vendita. 


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allevamento del CONIGLIO da carne L’

Valutazione del Benessere del coniglio da carne e indicazioni sulle metodiche di allevamento Valeria Valerii*, Claudio Mucciolo**, Michele Amorena* *Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agroalimentari e Ambientali – Università degli Studi di Teramo **ASL Salerno, Dipartimento di Prevenzione – Area Sud, Servizio Igiene Alimenti di O.A., cl.mucciolo@aslsalerno.it

In Italia la carne di coniglio è la produzione maggiore dopo manzo, suino e pollame in ordine di volume. In un report dell’Unione europea del 2017 è stato stimato che circa l’84% dei conigli consumati deriva da allevamenti commerciali, mentre la restante parte deriva da cessione diretta di piccoli quantitativi e conigli allevati direttamente (EU 2017).

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©Foto: Dani Vincek/shutterstock.com

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econdo i dati forniti dalla FAO, nel 2017, i maggiori produttori di carne di coniglio sono stati Cina e Repubblica democratica della Corea, per un volume cumulativo di 73.3% del volume globale. Secondo la stessa fonte, nello stesso anno l’Italia è stata la 5ª produttrice mondiale, dopo Cina, Corea, Spagna ed Egitto. In Italia la carne di coniglio è la produzione maggiore dopo manzo, suino e pollame in ordine di volume (Food and Agriculture Organization of the United Nations [FAO] 2019), con circa 19 milioni di conigli macellati per anno (Italian National Institute of Statistics [ISTAT] 2019). Benché, numericamente, la produzione Italiana sia ancora importante, si è assistito a una progressiva diminuzione delle vendite durante gli ultimi anni, possibilmente secondariamente a diversi fattori: costo elevato, crisi economica e delle produzioni, incremento della percezione del coniglio come animale da compagnia, mancanza di preparazioni e prodotti a base di carne di coniglio, e non da ultimo, la presentazione della carcassa al consumo, con testa e annessi, che rende il consumo meno attraente (Petracci et al. 2018). In un report dell’Unione europea del 2017 è stato stimato che circa l’84% dei conigli consumati deriva da allevamenti commerciali, mentre la restante parte deriva da cessione diretta di piccoli quantitativi e conigli allevati direttamente (EU 2017). L’opinione pubblica, sempre più attenta e informata, ricerca negli alimenti non solo dati sulla riduzione dell’utilizzo di antibiotici nella filiera produttiva, ma anche sul benessere in allevamento degli

animali destinati al consumo, associata nella percezione del consumatore a un alimento più sano (Borra D., Tarantola M. 2013). Questa richiesta ha condotto il mercato a rispondere con la produzione di carni certificate secondo metodiche che valutino non solo la salubrità, ma anche il benessere in allevamento degli animali (ad esempio la certificazione CReNBA, poi confluita in Classyfarm). Benché la carne di coniglio sia valutata dal consumatore come salubre (Petrescu 2003), la percezione dell’allevamento industriale del coniglio può non essere delle migliori, dato che, nella maggior parte dei casi, in Italia si parla di allevamenti intensivi effettuati nelle gabbie classiche, in maglia di metallo e di piccole dimensioni. Digitando “allevamento del coniglio da carne” su qualsivoglia motore di ricerca, mediamente i primi 5 risultati riguardano articoli sul maltrattamento in allevamento intensivo, con immagini decisamente alienanti la pubblica opinione. Possibilmente, anche il vuoto normativo del comparto cunicolo concorre alla crisi produttiva, inoculando incertezza negli investitori e

una mancata omogeneità del mercato a livello nazionale. Mancano, infatti, normative precise sull’allevamento, su spazi e attrezzature, su sistemi di valutazione del benessere e sulla densità di allevamento. Al presente, l’unica legge a cui l’allevamento del coniglio da carne si riferisce in Italia, è il Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 146, “Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti”, seppur con vaghezza e senza scendere nello specifico della specie di interesse. Altro accenno normativo si ha per i soli conigli da laboratorio, con il Dlgs n. 26/2014 (attuazione della direttiva 2010/63/ UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici). Nel 2014, per ovviare a questo problema, il Ministero della Salute emana le “Linee guida nazionali in materia di protezione di conigli allevati per la produzione di carne”, che, seppur su base volontaria, possono fornire indicazioni alle categorie di lavoro del settore. Già al momento della pubblicazione, le linee guida riportano la possibilità di essere aggiornate alla


sicurezza veterinaria IMMAGINE 1 - Conseguenze sul benessere delle fattrici, ordinate per gravità (EFSA,2020)

luce di “eventuali nuove scoperte o esperienze di allevamento” (Min. salute, 2014). Nel 2017 il Parlamento Europeo approva una risoluzione dal titolo “Norme minime di protezione dei conigli di allevamento (2016/2077(INI)“, che sollecita l’emanazione di una legislazione comunitaria armonizzata sul benessere dei conigli da carne, che consenta il mantenimento di un equilibrio tra benessere animale, implicazioni socio economiche, impatto ambientale ed etichettatura che dia la possibilità al consumatore di compiere scelte consapevoli. Particolare attenzione viene posta sul metodo di allevamento, auspicando una graduale dismissione delle gabbie verso metodi a parchetto con arricchimento ambientale sufficiente, che permettano una maggiore disponibilità di spazio e possibilità per gli animali di esprimere comportamenti fisiologici. Il Parlamento europeo, inoltre, indica come punti critici la durata dei tempi di trasporto e la valutazione dell’efficacia dei mezzi di stordimento. Nel gennaio 2020 l’EFSA pubblica quindi tre opinioni scientifiche: • “Health and welfare of rabbits farmed in different production systems” • “Stunning methods and slaughter of rabbits for human consumption“ • “Scientific opinion concerning the killing of rabbits for purposes other than slaughter”.

Nel parere scientifico “Health and welfare of rabbits farmed in different production systems”, a seguito di analisi della letteratura e all’esperienza e alle conoscenze degli esperti, l’EFSA propone finalmente una metodica di valutazione del benessere del coniglio da carne, che vada oltre l’aneddotico e l’esperienza personale. Nel corso degli anni, molti sono stati i tentativi di predisporre una scala di va-

lutazione del benessere per il coniglio, che si correlasse al metodo di allevamento mediante la valutazione delle performance produttive (Dal Bosco et al., 2019)(Trocino et all., 2014) (Trocino et al., 2015) (Zome~no C. et al.,2018), per tendere a una valutazione Animal based measures (ABM) così come già per altre specie. L’EFSA propone al momento la scala più esaustiva, pur sottolineando la necessità di una validazione che al momento manca. Nella scala di punteggio proposta dall’EFSA, si effettua una valutazione del benessere nei conigli da carne in base alla misurazione di “conseguenze sul benessere”, indicando come tali un “cambio nel benessere che derivi dall’effetto di un pericolo o di un fattore che influenzi il benessere”, e che valuti che, essendo animali preda, i conigli tendono a nascondere la sintomatologia per sfuggire più facilmente ai predatori. Gli animali sono stati suddivisi in tre categorie produttive, associate per comunanza di necessità: • fattrici • cuccioli • animali da ingrasso. Le conseguenze sul benessere vengono suddivise in conseguenze comportamentali e conseguenze sulla salute, e ordinate in base alla serietà. I parametri delle singole scale sono poi ordinati secondo una scala di gravità assoluta che li comprenda entrambi. Queste valutazioni vengono proposte per ogni categoria produttiva, data l’evidente differenza di necessità tra una fattrice e, ad esempio, un cucciolo in lattazione. Nella categoria “Fattrici”, la scala assoluta, illustrata nell’immagine 2, mostra nella griglia di valutazione un basso livello di gravità della

IMMAGINE 2 - Scala di conseguenze assoluta sul benessere, riferita alle fattrici

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sicurezza veterinaria IMMAGINE 3 - Scala delle conseguenze sul benessere dei cuccioli

“capacità di esprimere un comportamento sociale positivo”, poiché la coniglia, benché animale sociale, durante il parto e l’allattamento, ha molte meno motivazioni alla ricerca di contatto sociale che in ogni altro momento produttivo. In altre categorie sociali la gravità del singolo fattore valutato può quindi assumere importanza differente. Se confrontata a quella delle fattrici, ovviamente la mastite non viene considerata come importante e sostituita dalle patologie neonatali, e lo stress termico, molto più evidente nei neonati, assume una importanza maggiore. La valutazione delle conseguenze sul benessere viene quindi valutata per ogni singola

categoria di produzione e applicata a ogni singolo metodo di allevamento, per permettere un confronto del benessere degli animali a seconda della tecnica utilizzata, nell’intento di decidere quale modalità di allevamento sia migliore.

SISTEMI DI ALLEVAMENTO

I sistemi di allevamento sono stati suddivisi in sei categorie principali: • gabbie convenzionali • gabbie arricchite • recinti sopra elevati/park • recinti a terra su lettiera • sistemi con accesso degli animali all’esterno completo/parziale • sistemi biologici.

IMMAGINE 5

GABBIA CONVENZIONALE SINGOLA E A DOPPIO USO Nella prima si possono ospitare due conigli in accrescimento, ed è dotata di abbeveratoio. Nella seconda si ospita la fattrice e la cucciolata, è provvista di un abbeveratoio a goccia e di un tappetino di riposo rimovibile. Nella seconda, durante l’accrescimento, il nido viene chiuso (Immagine 5). IMMAGINE 6

IMMAGINE 4 - Scala delle conseguenze sul benessere degli animali da ingrasso

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GABBIA A DOPPIO USO ARRICCHITA In questo tipo di gabbia, oltre che l’abbeveratoio a goccia, sono forniti spazio maggiore ed elementi masticabili (Immagine 6). GABBIA A DOPPIO USO CON RECINTO SOPRAELEVATO Oltre agli arricchimenti forniti nella precedente, questa gabbia è composta in modo da poter rimuovere i divisori, permettendo alla cucciolata di rimanere assieme durante l’accrescimento e di sviluppare comportamento sociale (Immagine 7). IMMAGINE 8

possono scegliere se rientrare al chiuso. Hanno a disposizione abbeveratoio a goccia e fieno per la masticazione (Immagine 9). SISTEMA BIOLOGICO Non esistono standard, ma questo sistema dovrebbe soddisfare i fabbisogni basici in accordo al Reg UE 2018/848. L’esempio si basa su recinti mobili utilizzati per la riproduzione o per l’accrescimento in gruppi. La gabbia mobile permette il pascolo, è presente una zona riparata con pavimento solido che può fungere da nido o da riparo e abbeveratoio a goccia (Immagine 10). RECINTO A TERRA SU LETTIERA Questo sistema utilizza piccoli recinti a terra con settori sopraelevati per l’allevamento di gruppi di conigli in accrescimento o fattrici con cucciolata. il fondo è solido, non in rete metallica, e la presenza di più piani aumenta lo spazio a disposizione. il recinto è provvisto di abbeveratoio a goccia e dispensatore di fieno per la masticazione (Immagine 8). RECINTO CON ACCESSO ALL’ESTERNO Anche se non ci sono standard, per convenzione deve fornire la possibilità di accedere all’esterno, anche se non necessariamente al pascolo. I conigli sono cresciuti in gruppi, riposano su pavimento solido e non rete metallica, sono protetti da animali selvatici e IMMAGINE 9

IMMAGINE 10

Gli score delle singole conseguenze sul benessere sono stati quindi sommati per calcolare uno score globale (overall welfare impact score), che ha permesso di decidere che nelle coniglie riproduttrici la restrizione di movimento è la conseguenza sul benessere con il più alto impatto, insieme ai problemi relativi alla mancanza di materiale da rosicchiare e alla fame. Nei coniglietti lattanti lo stress da calore ha il più alto impatto, insieme a disturbi neonatali e stress da freddo. Nei conigli in accrescimento la restrizione del movimento è la conseguenza sul benessere con il più alto score insieme a problemi relativi alla mancanza di materiale da rosicchiare e alla difficoltà di riposo. Applicando la valutazione delle conseguenze sul benessere di ogni singola categoria alla metodica di allevamento, si conclude che:

• nelle coniglie riproduttrici è probabile che il benessere animale sia minore nelle gabbie convenzionali rispetto agli altri cinque sistemi di allevamento, i cui score non possono essere però differenziati fra loro • per i coniglietti in lattazione è estremamente probabile che il benessere sia minore nei sistemi con accesso all’aperto e maggiore nei recinti sopraelevati/park rispetto agli altri quattro sistemi. Tuttavia, non è possibile fare differenze fra gabbie convenzionali, gabbie arricchite, recinti a terra con lettiera e sistemi biologici • i conigli in accrescimento ricalcano quanto verificato nelle fattrici: è quindi probabile/ estremamente probabile che il benessere sia minore nelle gabbie convenzionali e maggiore nei sistemi a recinti sopraelevati rispetto agli altri sistemi. Tuttavia, non è possibile fare differenze fra gabbie arricchite, recinti a terra con lettiera, sistemi biologici e sistemi con accesso all’esterno. In generale, EFSA conclude che, rispetto ai sistemi di stabulazione, per le coniglie riproduttrici e i conigli in accrescimento le conseguenze sul benessere legate alle restrizioni comportamentali sono più evidenti nelle gabbie convenzionali, nei recinti sopraelevati e nelle gabbie arricchite, mentre quelle relative ai problemi sanitari sono più evidenti nei recinti a terra su lettiera, nei sistemi con accesso degli animali all’esterno completo/ parziale e nei sistemi biologici.

CONCLUSIONI

A seguito dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche e produttive, e in considerazione dell’emissione dei parere EFSA sull’argomento, il Ministero della Salute ha quindi istituito un apposito gruppo di lavoro che ha prodotto l’aggiornamento delle linee guida emesse nel 2014, pubblicando con circolare ministeriale 1/2021 DGSAF le “Nuove linee guida del Ministero della salute per all’allevamento del coniglio”. Le finalità delle linee guida sono la

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©Foto: Essereanimali

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preparazione del mercato all’introduzione di una specifica legislatura in oggetto, la produzione di check-list mirate utili alla valutazione del rischio nell’ambito del sistema Classyfarm per ridurre il consumo del farmaco, garantire le norme di biosicurezza e tutelare gli animali allevati, rassicurare il consumatore e di rendere il mercato Italiano della cunicolocultura competitivo con quello Europeo. Nel mercato Europeo, infatti, si nota già una progressione verso un allevamento del coniglio più vicino a quanto considerato in materia di benessere ad esempio per il pollame, con l’utilizzo di gabbie spaziose, in cui gli animali possano esprimere comportamenti fisiologici e sociali. Questo tipo di allevamento è stato adottato da alcune nazioni Europee

a minor produzione, con miglioramento della qualità di vita e della salute degli animali (Trocino et al. 2014, 2015; Di Martino et al. 2019) e senza troppi effetti negativi sulla produttività e sul contenuto in grasso delle carni (Maertens and Buijs 2016). Nel complesso, valutando la realtà del settore produttivo in Italia, l’avanzamento delle conoscenze scientifiche e l’opinione dell’EFSA, nelle nuove Linee Guida il Ministero indica come preferibile il sistema in recinti per i conigli in accrescimento, perché aumenta le interazioni sociali e non limita la possibilità di movimento soprattutto nell’ultimo periodo prima della macellazione. D’altra parte, il sistema dei recinti non presenta ancora standard ed è da considerarsi ancora in fase di sviluppo

BIBLIOGRAFIA Borra D, Tarantola M. 2013. Il consumatore europeo e il benessere animale. Indagine di Slow Food sui consumi e le abitudini di acquisto della carne in funzione della percezione dell’animal welfare. Milano (MI): Franco Angeli, Agricoltura e benessere.

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tecnico e gestionale; inoltre, il suo utilizzo è fortemente sconsigliato per l’allevamento in gruppo, continuativo o part-time delle coniglie fattrici per le ripercussioni negative su salute e benessere animale. Le gabbie arricchite WRSA che rispettino le caratteristiche auspicate nelle nuove linee guida, possono garantire il rispetto delle condizioni di benessere delle fattrici in allevamento individuale in maniera sovrapponibile al sistema dei recinti. Per quanto riguarda la dimensione delle gabbie, le Linee Guida del Ministero della Salute riportano indici numericamente misurabili per le dimensioni dei ricoveri, a differenza di quanto fanno i pareri EFSA, avendo previsto a livello nazionale una fase di verifica delle condizioni e livello di benessere in campo e dovendo quindi facilitare lo svolgimento dei controlli ufficiali. Verrà infatti predisposta una check-list basata su parametri direttamente misurabili, ispirata al modello utilizzato per bovini e suini che individua indicatori misurabili per biosicurezza, uso corretto del farmaco e benessere animale, laddove schemi per la valutazione del benessere del coniglio sulla base di Animal Based Measures (ABMs) sono stati proposti e inclusi nelle raccomandazioni, ma non sono stati utilizzati su larga scala o validati (EFSA, 2000).

Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

Maertens L, Buijs S. 2016. Comparison of fattening performances housed in parks or enriched cages. In: Proceedings of the 11th World Rabbit Congress; June 1518; Qindao, China. p. 703–706. Maertens L, Buijs S. 2016. Comparison of fattening performances housed in parks or enriched cages. In: Proceedings of the 11th World Rabbit Congress; June 1518; Qindao, China. p. 703–706. Ministero della salute, Linee di indirizzo del Ministero della Salute per l’allevamento del coniglio https://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2358 Petracci M, Soglia F, Baldi G, Balzani L, Mudalal S, Cavani C. 2018a. Estimation of real rabbit meat consumption in Italy. World Rabbit Sci. 26:91–96. Petracci M, Soglia F, Leroy F. 2018b. Rabbit meat in need of a hat-trick: from tradition to innovation (and back). Meat Sci. 146:93–100. Petrescu DC, Petrescu-Mag RM. 2003. Consumer behaviour related to rabbit meat as functional food. World Rabbit Sci. 26:321–333. Trocino A, Filiou E, Tazzoli M, Bertotto D, Negrato E, Xiccato G. 2014. Behaviour and welfare of growing rabbits housed in cages and pens. Livest Sci. 167:305–314. Trocino A, Filiou E,Tazzoli M, Birolo M, Zuffellato A, Xiccato G. 2015. Effects of floor type, stocking density, slaughter age and gender on productive and qualitative traits of rabbits reared in collective pens. Animal. 9: 855–861. Zome~no C, Birolo M, Gratta F, Zuffellato A, Xiccato G, Trocino A. 2018. Effects of group housing system, pen floor type, and lactation management on performance and behaviour in rabbit does. Appl Anim Behav Sci. 203: 55–63.



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la parola all’esperto

sfide per ridurre il SALE nei prodotti alimentari trasformati secondo i criteri dell’OMS Le

Giuseppe L. Pastori - Tecnologo Alimentare

L’OMS consiglia di diminuire la quantità di sale nella dieta e incoraggia le aziende a ridurre l’apporto negli alimenti attraverso campagne di sensibilizzazione. Ma, il sale è un elemento importante nell’alimentazione: esaminiamo vantaggi e criticità per un uso corretto

S

econdo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) consumiamo troppo sale, in media circa 10 grammi al giorno, il doppio della soglia consigliata e quasi dieci volte la quantità realmente necessaria all’organismo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, raccomanda [1] di non superare i 5 grammi di sale al giorno, che corrispondono a 2 grammi di sodio (essendo il sodio il 40% nella molecola di cloruro di sodio con cui si identifica il sale da cucina). In questo contesto diverse campagne di sensibilizzazione sostengono da un lato i Governi nell’attuare politiche di informazione multisettoriale in materia, dall’altra incoraggiano le aziende alimentari a ridurre il contenuto di questo ingrediente nei loro prodotti, laddove ciò è possibile, considerando che gli alimenti al naturale contengono già sodio e

lo si ottiene dalle miniere di salgemma o mediante evaporazione dell’acqua di mare: nel corso della storia, la disponibilità e l’uso di questo straordinario minerale sono stati fondamentali per l’ascesa delle civiltà di tutto il mondo. Ha avuto un impatto economico come merce di scambio, impiegato come conservante di numerosi tipi di alimenti che, diversamente, sarebbero deperiti più velocemente. Allo stesso tempo però la scienza medica moderna ci ha insegnato che il sale in eccesso anche di una cosa buona è comunque troppo, tanto da farla diventare una “cosa” molto cattiva, che influenza la nostra salute. Troppo sodio dovuto a un consumo eccessivo di sale favorisce infatti un aumento che circa tre quarti del sale consumato è già della pressione arteriosa, con conseguente presente in cibi processati e confezionati. incremento del rischio di insorgenza di gravi Non dimentichiamo però che, per secoli, il patologie cardiovascolari, ipertensione, ictus, sale è stato utilizzato per le sue notevoli qualità, non solo in termini di ingrediente capace associate ad altre malattie cronico-degenerative quali le malattie renali, alcuni tumori di migliorare il sapore, andando a coprire una dello stomaco e l’osteoporosi, per citarne serie di gusti anomali come l’amaro, ma anche per le sue capacità di rendere il cibo più alcune. La maggior parte del sodio che assumiamo nella tipica dieta occidentale deriva appetibile lasciando una piacevole sensazione in bocca e facendolo diventare relativadall’alto contenuto di sale aggiunto agli alimente più dolce. menti, sia quelli di trasformazione industriale È stato anche un importante che quelli preparati a casa o conservante e agente di pro- 1La campagna per la riduzione del sale consumati nei menù dei ristoè promossa dalla World Action on Salt, tezione alimentare per migliaia Sugar and Health (WASSH), associazio- ranti e delle mense. ne con partner in 100 Paesi di diversi di anni (e continua ad esserlo). continenti, costituita nel 2005 e che Le raccomandazioni dell’OMS lavora a stretto contatto con l’OrgaLa domanda che però si pone nizzazione Mondiale della Sanità, di cui e le iniziative dei Governi nacondivide il target raccomandato. In Italia ora l’industria, data l’innegabi- la campagna è supportata dal Ministero zionali¹¹ (la Settimana mondiale della Salute [2] le realtà che troppo sale può 2022 per la riduzione del consumo di sale è stata dedicata al anche essere dannoso, è se tema “Shake the Habit!” -“Cambia l’abitudine” l’ingrediente è funzionalmente insostituibile. [3]) hanno per obiettivo quello di convincere Consideriamo la provenienza del sale, come

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Gli alimenti al naturale contengono già sodio e circa tre quarti del sale consumato è già presente in cibi processati e confezionati

l’industria alimentare a ridurre volontariamente il contenuto di sodio, in maniera graduale, in modo che i vincoli tecnici e di mercato su questa diminuzione possano essere superati nel tempo. La riduzione del contenuto di sodio è certamente realizzabile. Tuttavia, ci sono dei limiti alla riduzione forzata utilizzando la strategia semplificata di usare semplicemente meno sale. In pratica, chi deve formulare una ricetta non può andare oltre una riduzione del 10%15% del contenuto di sodio senza incorrere in sfide significative a livello di gusto, consistenza e durata del prodotto, cambiamenti che i consumatori noterebbero immediatamente, e non in modo positivo. La grande sfida sta nel proteggere (o migliorare) il gusto in modo naturale, preservando anche la sicurezza alimentare a un livello di sodio ridotto.

CAMBIAMENTO NELL’INDUSTRIA: NUOVI PARADIGMI

Sebbene la sensibilità all’argomento di riduzione del sale sia generalizzata, un intervento in questo senso da parte dell’industria è da intendersi al momento su base volontaria. Si sta facendo strada l’uso di etichette semplificate basate su simboli o loghi per orientare il consumatore verso i prodotti di elevata qualità nutrizionale con un basso contenuto di sodio, zuccheri e grassi. Sono parte della serie di informazioni che si vuole riportare sul

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fronte della confezione – il cui dibattito per decidere quale tipo sia la più accessibile tra le diverse proposte fatte a livello europeo come Nutrinform battery italiana, Nutriscore francese, Keyhole nei paesi scandinavi, è in corso – che si vuole su base volontaria o obbligatoria per legge22. Queste indicazioni impongono però all’industria di prendere posizione e di fare interventi. La corsa per rivedere le formulazioni allo scopo di trovare soluzioni che sostituiscano il sale nella protezione, conservazione e sapo2

In alcuni paesi come la Finlandia, l’Irlanda e il Portogallo è in vigore per diverse categorie di alimenti l’obbligo di un’etichetta che indichi sul fronte della confezione se il prodotto è a basso o elevato contenuto di sodio.

re del cibo, si può intendere già iniziata. Sebbene la carne lavorata sia in cima alla lista (le applicazioni della carne sono notoriamente difficili in termini di rispetto degli obiettivi di sodio, perché qui il sale ha importanti relazioni sia funzionali che con la durata di conservazione), gli interventi riguardano anche applicazioni lattiero-casearie come i formaggi e i formaggi fusi, i sostituti della carne a base vegetale (che forse inaspettatamente hanno spesso un contenuto di sale significativamente più alto delle loro controparti animali), le salse, gli snack salati, ecc. Queste sono tutte categorie impegnative per coloro che devono riformulare le ricette, perché si trovano ad affrontare molteplici problemi concomitanti per quanto riguarda il gusto, la consistenza e la durata di conservazione. Dal punto di vista pratico, la riduzione del sodio può anche creare problemi di durata e di shelf life perché molte soluzioni che agiscono sulla conservazione dell’alimento attualmente sul mercato, sia di tipo clean label che convenzionali, sono a base di sodio (si tratta infatti di uno ione a carica positiva che lega diversi elementi chimici, come le matrici acide, sotto forma di sali, non solo il cloruro di sodio) quindi possono effettivamente finire per contribuire ad apportare più sodio al prodotto finale.

LA CARNE E IL PANE: DUE ALIMENTI CRITICI

Il sale è uno dei più antichi ingredienti alimentari conosciuti dall’uomo. Ciò che è notevole è che questo ingrediente collaudato nel tempo è utilizzato ancora oggi nei sistemi di produzione alimentare, sia nella nostra cucina che nella ristorazione commerciale e nell’industria alimentare. Storicamente, il sale non era solo un ingrediente, ma veniva anche utilizzato come conservante e per rendere funzionali alcuni processi. Il suo impatto sulla disponibilità di cibo è stato collegato anche alle lotte politiche e ha favorito lo sviluppo delle odierne culture civilizzate. Non è un caso che in due dei prodotti più antichi che hanno contributo all’evoluzione dell’uomo, vale a dire gli alimenti derivati dalla carne e quelli derivati dalla macinazione dei cereali che hanno dato origine ai salumi e al pane, l’impiego del sale abbia contribuito a migliorare la qualità dei prodotti trasformati, garantendone così la conservazione per tempi più lunghi. Addirittura i salumi derivano il loro nome dalla parola latina “sal”, intesa proprio come sale. La salatura ha rappresentato il metodo più comune di conservazione dei prodotti a base di carne prima dell’avvento della refrigerazione industriale. Anche nella panifica-


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La corsa per rivedere le formulazioni allo scopo di trovare soluzioni che sostituiscano il sale nella protezione, conservazione e sapore del cibo, è già iniziata

zione il sale svolgeva il ruolo di conservante inibendo parzialmente lo sviluppo di batteri deterioranti e la crescita delle muffe, senza impedire il processo fermentativo dei lieviti. All’epoca, anche se la chimica non era compresa a fondo, i macellai e i salumieri riconoscevano che l’aggiunta di sale ai loro prodotti preveniva il deterioramento, aiutava le proteine della carne a legarsi durante la cottura per migliorare la consistenza del prodotto e rendeva le loro specialità più gustose. Anche i panificatori riscontravano che il sale aumentava la resistenza della maglia glutinica, rendendo l’impasto più elastico e non appiccicoso durante la formatura, favorendo anche la croccantezza della crosta. Queste funzioni fondamentali del sale non sono cambiate da quando veniva usato dagli antichi Egizi e dai Romani, che hanno portato allo sviluppo dei moderni processi di produzione alimentari artigianali e industriali. Il ruolo del sale nei prodotti a base di carne è rimasto essenzialmente lo stesso per migliaia di anni: viene aggiunto agli alimenti per aiutare a ridurre e prevenire la crescita microbica, per migliorare il gusto e il sapore di base della carne. Soprattutto nei prodotti stagionati il sale gioca un ruolo importante nel garantire che i prodotti siano sicuri. Il cloruro di sodio viene aggiunto per aiutare ad abbassare l’attività dell’acqua (umidità) all’interno del prodotto a base di carne. Si tratta della misura della quantità di acqua che è disponibile per la crescita microbica e altre reazioni chimiche.

È riportata su una scala da 0 a 1 ed è un importante indice di deperibilità degli alimenti, perché maggiore è l’attività dell’acqua, più elevata è la potenziale crescita microbica. Come altri organismi viventi, i microbi patogeni che possono causare malattie hanno bisogno di acqua per sopravvivere. Utilizzare il sale come ingrediente con altri interventi di

Il ruolo del sale nei prodotti a base di carne è rimasto essenzialmente lo stesso per migliaia di anni: viene aggiunto agli alimenti per aiutare a ridurre e prevenire la crescita microbica, per migliorare il gusto e il sapore di base della carne

sicurezza alimentare, come l’impiego di conservanti (nitriti e nitrati di sodio o di potassio) che bloccano la crescita dei batteri che causano il botulino, aiuta a controllare l’acqua disponibile favorendo il calo peso e quindi a

prevenire la crescita microbica. Un calo peso di oltre il 25% è in genere necessario per avere un prodotto con aw ≤0.92, valore per cui gli alimenti, in accordo con il Regolamento (CE) n. 2073/2005, sono considerati terreno sfavorevole alla crescita di L. monocytogenes [4]. La stagionatura delle carni dà anche il loro caratteristico colore rosa e il loro sapore. Negli attuali prodotti a base di carne da sottoporre a cottura, la concentrazione di sale è troppo bassa per conservare il prodotto senza altri interventi di sicurezza alimentare, ma è fondamentale per la produzione, aiutando ad estrarre le proteine della carne solubili in sale per la stabilità della struttura durante la cottura. In prodotti a base di muscoli interi come arrosti o prosciutti, il sale viene usato per diminuire la perdita di umidità durante la cottura mantenendo la carne più succosa e per garantire la conservazione, in quelli macinati ed emulsionati per favorire il legame delle proteine di carne tra loro e le emulsioni di grasso, per aumentare la capacità della carne di legarsi durante la cottura. Negli impasti lievitati a base di farine il sale ha proprietà igroscopica che influisce sulla durata di conservazione del pane cotto, rafforza la struttura del glutine dandogli forza e tenacia per consentire all’impasto di trattenere efficacemente l’anidride carbonica [5], controlla le velocità di fermentazione del lievito. La capacità di gelificazione delle proteine alimentari da parte del sale è un importante attributo funzionale per la produzione di alimenti. Si tratta di un processo fondamentale nella lavorazione di vari alimenti, in particolare per la carne e per i prodotti a base di carne (compresi il pesce e i prodotti ittici), per pane e impasti da forno. Sale, zucchero e grasso, inclusi nelle formulazioni della maggior parte dei prodotti alimentari, modificano le pro-

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- monitoraggio del contenuto di sale negli alimenti, di quello assunto con l’alimentazione, delle abitudini alimentari e del livello di consapevolezza dei consumatori. In Italia il Ministero della Salute, in attuazione del Programma Guadagnare salute (vedi in Azioni e progetti del Ministero sul consumo di sale, cit.) ha già siglato – tra il 2009 e il 2011 – dei Protocolli d’intesa con le principali Associazioni nazionali dei Panificatori artigianali e delle Associazioni Industriali per diminuire gradualmente il contenuto di sale nel pane ed ottenere una riduzione del 15% (ma ci si può spingere anche oltre, come dimostrano diversi studi clinici). Si tratta di una diminuzione che non viene praticamente percepita dai consumatori ma che è importante per prevenire molti casi di morte prematura come infarto e ictus [6]. Il pane infatti è tra i cibi responsabili di un maggiore consumo di sodio quotidiano. prietà dei gel, influenzando le caratteristiche reologiche e di consistenza (texture) degli alimenti. La funzionalità del sale nei prodotti alimentari è diversa, ma la più comune percepita dai consumatori è il suo ruolo nel conferimento del sapore. Insieme al gusto dolce, amaro, aspro e astringente, umami (salato/carne), il sale è uno dei sapori rilevati nel cibo attraverso la lingua. La sua aggiunta al cibo può anche migliorare o mascherare certi sapori o gusti. Per esempio, può ridurre l’amaro di una bevanda o di un cibo, mentre una piccola quantità può esaltarne la dolcezza. Ben si comprende quindi come le sfide, prese nel loro insieme per ridurre l’impiego del sale (e del sodio), sono sostanziali: chi deve sviluppare un prodotto alimentare con una riduzione del sale deve considerare tutte le variabili e contemporaneamente bilanciare le preoccupazioni dei consumatori riguardo al gusto e alla sicurezza alimentare.

LAVORI IN CORSO

Mettere in pratica una riduzione di sale nei prodotti alimentari non è affatto facile. Va infatti considerato che questo ingrediente, tradizionalmente utilizzato nell’industria alimentare per migliorare la conservazione dei cibi, viene usato anche per migliorarne il sapore. Se il consumo di alti livelli di sodio è associato all’ipertensione, molti sforzi sono stati dedicati alla completa o parziale sostituzione del sale da cucina (cloruro di sodio). Non è il sale in quanto tale che è il colpevole, ma il sodio nel sale. Pertanto, quando si parla di riduzione del sale, si devono considerare tutte le fonti di sodio.

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Gli ambiti su cui intervenire, secondo i criteri definiti dall’OMS e promossi a livello europeo per armonizzare i piani nazionali, sono relativi a quattro aree: - revisione della formula dei prodotti alimentari in sinergia con i produttori e i distributori. Ciò include l’identificazione dei cibi che contribuiscono principalmente al consumo di sale; - realizzazione di campagne di sensibilizzazione ed educazione dei consumatori; - modifiche di tipo ambientale per favorire scelte alimentari sane e alla portata di tutti, anche con lo sviluppo di standard specifici per produttori e fornitori di alimenti e un’etichettatura chiara e completa;

L’industria della carne sta rispondendo con ogni sforzo per offrire prodotti a basso contenuto di sodio, sebbene già nel corso di qualche decennio l’industria di trasformazione si sia attivata in modo indipendente nel trovare soluzioni, riformulando le ricette Per quanto riguarda altri alimenti, un particolare contributo nell’assunzione di sale deriva dai prodotti industriali, soprattutto quelli a base di carne, su cui si concentrano molte attività di ricerca. Eppure, l’industria della carne sta risponden-


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do con ogni sforzo per offrire prodotti a basso contenuto di sodio, sebbene già nel corso di qualche decennio l’industria di trasformazione si sia attivata in modo indipendente nel trovare soluzioni, riformulando le ricette, rispettando i vari disciplinari di produzione. Il contenuto di sale nei salumi, nell’arco di quasi un ventennio (dal 1993 al 2011) si è ridotto dal 4 al 47% a seconda del prodotto [7]. Le strategie sono state proposte da diverse organizzazioni istituzionali e sanitarie che raccomandano di cucinare con poco o nessun sale aggiunto, valorizzando il gusto naturale degli alimenti. Queste strategie possono includere, tra le altre, il condimento con erbe aromatiche, spezie, succo di limone, marinate, vino e aceto; combinare cibi insipidi con cibi dal sapore più intenso, come cipolla, aglio, pepe e pomodoro; non aggiungere sale se il pasto contiene salse preparate, salumi o cibo in scatola; evitare di aggiungere altro sale durante la cottura; non mettere la saliera in tavola. A livello industriale ci sono tre orientamenti che puntano alla sostituzione o alla riduzione del sale: il primo impiegando in alternativa il cloruro di potassio; il secondo aggiungendo un esaltatore di sapidità (un gusto umami) che mette in risalto il gusto salato anche con contenuti di sale più bassi; il terzo cambiando la struttura fisica del cloruro di sodio in modo che i suoi cristalli si dissolvano più velocemente in bocca. Vediamo i primi due nel dettaglio. - L’approccio più popolare per ridurre il cloruro di sodio nella formulazione dei prodotti alimentari è stato quello di sostituirlo con altri sali di cloruro come KCl. Il cloruro di potassio è stato usato come principale alternativa al NaCl negli esperimenti di sostituzione del sale, soprattutto perché la sua efficacia antimicrobica è stata riportata essere simile a quella del NaCl. Tuttavia il KCl non ha la stessa attività del NaCl nel solubilizzare le proteine della

carne e ha un minore impatto nel rendere più tenace e forte l’impasto del pane; inoltre ha un gusto amaro, tendente al metallico. Per queste ragioni non può essere utilizzato come sostituto integrale del cloruro di sodio sia nelle preparazioni di carne che negli impasti di lievitati, se non in sostituzione parziale di circa il 40% di NaCl [8-9]. - Per ricostruire la sensazione di gusto, la succosità e la succulenza fornite dal sale, i

produttori possono sfruttare una varietà di ingredienti e soluzioni di sapore diversi. Il brodo umami è uno di questi e può aiutare a costruire il sapore e la percezione del sale in un prodotto, completandolo con una dichiarazione di ingrediente naturale. L’umami è riconosciuto ormai dal 2002 come quinto sapore e può essere aggiunto alla lista dei quattro sapori fondamentali: salato, dolce, amaro, acido/aspro. Si tratta di un gusto sa-

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di “aroma naturale” o “estratto di lievito” sulle etichette delle confezioni.

CONCLUSIONI

pido, piacevole, che viene dal glutammato e MSG, con i conseguenti ovvi vantaggi economici per i produttori di aromi alimentari da diversi ribonucleotidi, tra cui inosinato e [10]. guanilato (non classificabile nei quattro gusti fondamentali; a questi si è poi aggiunto L’esperienza nel campo del sapore per eliminare il sale e il gusto umami, permettono di anche un sesto sapore fondamentale riconosciuto per il grasso, ipotizzando che esista ridurre la quantità di sodio in un dato prodotto. Le soluzioni possono essere applicate un recettore specifico ad esso deputato). È a diversi preparati come zuppe, salse, condistato scoperto per la prima volta dal chimico menti per snack, creme da spalmare salate giapponese Ikeda nel 1908 mentre ricercava e prodotti vegetariani, e naturalmente nei la molecola responsabile del sapore intenso prodotti a base di carne sia bianca che rossa. del brodo di alghe kombu: la molecola isolata era l’acido glutammico, che si riscontra Queste possono abbassare il contenuto di spesso nella forma del suo sale (glutammato sale fino al 50% a seconda dell’applicazione, monosodico o MSG). Si può riconoscere in fornire una percezione del gusto salato e moltissimi cibi, tra cui le alghe, il Parmigiano umami, assicurare un sapore equilibrato con Reggiano, i pomodori, gli asparagi, le carni un retrogusto pulito, fornire un’esperienza sottoposte a lunga cottura da cui si ricava di gusto naturale non basata sul cloruro di come estratto, funghi e lisati di lieviti. È perpotassio, consentendo altresì dichiarazioni sino contenuto nel latte materno (che predispone l’essere umano ad apprezzare questo sapore). Al sapore umami sono associate due peculiarità importanti: a) la proprietà del MSG (e di suoi analoghi) di esaltare la sapidità dei cibi, anche quando esso è presente in quantità al di sotto della soglia di percezione e in assenza di altre sostanze aromatizzanti; b) uno spiccato fenomeno di L’esperienza nel campo del sapore “sinergismo”, cioè un aumento, per eliminare il sale e il gusto più che additivo, dell’effetto umami, permettono di ridurre di miglioramento del sapore la quantità di sodio in un dato prodotto dovuto alla coesistenza nel preparato alimentare di due composti umami, uno appartenente al gruppo del glutammato e l’altro alla famiglia dei mononucleosidi 5’-fosfato (ad es. inosina 5’-fosfato (IMP) e guanosina 5’-fosfato (GMP)). Ad esempio, 17 g di MSG uniti a 0.9 g di una miscela 1:1 di IMP e GMP hanno la stessa attività come “esaltatori di sapore” di 100 g di

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Per migliaia di anni, il ruolo critico del sodio nel sale è stato quello di preservare la qualità e la sicurezza degli alimenti, ma il suo consumo di alte dosi contenute nelle formulazioni alimentari può avere implicazioni negative per la salute che sono principalmente legate alla pressione alta e ai rischi cardiovascolari. Oggi, molti conservanti sono basati su acidi organici che apportano anche sodio al prodotto finale. Nelle applicazioni moderne dei processi di salumeria, il sodio lo si trova nei sali di nitrito ma anche abbinato ad altre molecole spesso utilizzate nelle formulazioni, come acetato, lattato, ascorbato (o eritorbato) e citrato di sodio, ecc.: mentre nella carne fresca il sodio naturalmente presente è in piccole quantità, i conservanti e gli additivi in genere ne possono aggiungere molto di più. Volendo perciò mantenere una formulazione con additivi conservanti, la cosa più semplice per diminuire l’incidenza del sodio è di utilizzare gli additivi in forma di sali di potassio al posto del sodio. Per affrontare invece le questioni della sicurezza e della qualità dell’alimento occorre studiare approfonditamente la teoria degli ostacoli di Leistner, secondo cui gli agenti patogeni nei prodotti alimentari possono essere eliminati o controllati mettendo in atto una serie di “ostacoli” come elementi costitutivi del piano di protezione degli alimenti, strategie che garantiscono la sicurezza di un


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prodotto ed evitano lo spreco prolungando che forniscono un gusto salato. Un’altra strategia può essere quella di sostituire il sale la durata di conservazione. Alcuni di questi con piccole quantità di glutammato monoostacoli comprendono le alte o basse temperature, l’aumento dell’acidità, la riduzione sodico (MSG) per dare un gusto umami che del potenziale redox, può contribuire a ridurre l’apporto di sodio l’uso di conservanti di mantenendo l’appetinatura biologica e la Volendo mantenere bilità degli alimenti. Ci riduzione dell’attività una formulazione con additivi conservanti, la cosa più semplice sono ormai molti studi dell’acqua attraverper diminuire l’incidenza del sodio so l’aggiunta di sale, che riportano anche di è di utilizzare gli additivi in forma l’essiccazione, le alte sinergie di MSG con le di sali di potassio al posto pressioni, la catena del spezie. del sodio freddo. Ogni ostacolo Chiaramente la riduzione del sale è materia cerca di inibire almeno abbastanza complessa, i microrganismi indesiderati e il sale è il più antico e comune di non è una semplice rimozione, tanto più che questi metodi. Riducendo il suo contenuto, è un veicolo per introdurre lo iodio, minerale occorre rimodellare l’intero processo perché raccomandato per la prevenzione delle malattie tiroidee. Nel riformulare il prodotto, pernon si rischi che la sicurezza venga compromessa e comporti tempi di conservazione inferiori. È sicuramente una sfida ricercare delle alternative, ma ci sono ormai diversi conservanti naturali come estratti di piante aromatiche e spezie non a base di sodio, che possono essere impiegati nella riformulazione. Per mantenere il gusto e la consistenza dell’alimento occorre parimenti mettersi nell’ottica di capire come ridurre gradualmente l’apporto del cloruro di sodio, ben sapendo tuttavia che il sale sodico non potrà essere sostituito integralmente perché i suoi ruoli tecnologici sono molti: agisce infatti nel favorire la consistenza e la funzionalità attraverso il legame con l’acqua in termini di “affettabilità” e struttura della carne (permettendo la denaturazione e la gelificazione delle proteine) o nella reologia dell’impasto delle farine per rinforzare la trama del glutine. Per quanto riguarda il gusto, non potendosi permettere diversi mesi di messa a punto prima di bilanciare i sapori per mantenere l’appetibilità degli alimenti, si ha a disposizione un’ampia varietà di soluzioni a partire dall’aggiunta di spezie ed erbe aromatiche

BIBLIOGRAFIA

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ché è di questo che si deve parlare, occorre usare un approccio concettuale “totale” perché si devono affrontare insieme gli aspetti di conservazione, consistenza dell’alimento e gusto. Poi si devono monitorare i cambiamenti perché il prodotto sia accettato dal consumatore che lo deve percepire sicuro e appetibile. È sicuramente un lavoro che richiede del tempo e che può essere accelerato collaborando con i fornitori di ingredienti perché ci sia un cambiamento simultaneo. Può essere un’opportunità per l’industria per riorganizzarsi, reimpostare la formula, riconfezionare l’alimento non solo per ridurre il sodio ma anche per proporsi con un’etichetta più pulita e innovare il prodotto. Non si parla di cose da fare nel futuro perché diverse soluzioni, come abbiamo visto, sono già disponibili. 

Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

6. La Croix K., Fiala S., Colonna A., Durham C., Morrissey M., Drum D., Kohn M. (2015). Consumer detection and acceptability of reduced-sodium bread. Public Health Nutrition, 18(8), 1412-1418. 7. Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN). (2011). Salumi Italiani: Nuovi Valori, Nuovo Valore. 8. Desmond E. (2006). Reducing salt: A challenge for the meat industry. Meat Science, 74(1): 188-196. 9. Sayar S., Erdoğdu F., Eydemir G., Nayman E. (2016). Partial substitution of sodium chloride by potassium chloride in bread: Effect on dough and bread properties. Quality Assurance and Safety of Crops & Foods, 8(4): 609-616. 10. Cairoli P., Pieraccini S., Sironi M., Morelli C.F., Speranza G., Manitto P. (2008). Studies on Umami Taste. Synthesis of New Guanosine 5’-Phosphate Derivatives and Their Synergistic Effect with Monosodium Glutamate. J. Agric. Food Chem. 2008, 56, 3, 1043–1050.

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relazione scientifica DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 08 - MAGGIO 2006

A partire dal numero di marzo 2022 di Ingegneria Alimentare abbiamo creato questa rubrica per rendere omaggio a una persona che ha dato lustro al mondo della ricerca scientifica nel settore delle carni e dei salumi e che ha onorato la nostra rivista della sua collaborazione per molti anni. Abbiamo raccolto, dietro ripetute richieste dei lettori, un campionario dei suoi scritti e gli articoli più rappresentativi dell’opera del Prof. Carlo Cantoni, ancora attuali e di enorme importanza scientifica, saranno pertanto ripubblicati sulle pagine di Ingegneria Alimentare per dare modo a coloro che non hanno potuto goderne in passato di attingere dall’immensa esperienza del Professore e approfondire le proprie conoscenze. Speriamo che l’iniziativa sia gradita a quanti hanno avuto modo di conoscere il Prof. Carlo Cantoni e, soprattutto, ai più giovani che non ne hanno avuto la possibilità dalla sua scomparsa. Alcuni passaggi sono stati aggiornati ma il valore degli studi – potrete constatare – resta straordinariamente attuale. Buona lettura, l’Editore e la redazione

Listeria monocytogenes e salubrità della BRESAOLA Carlo Cantoni, Serena Milesi Viene dimostrato come la tecnologia di produzione della bresaola sia in grado di distruggere Listeria monocytogenes contaminante la carne impiegata per mezzo dei suoi fattori antimicrobici. Listeria monocytogenes and safety of “bresaola” In this work it has been demonstrated how the technology which has been employed for the production of bresaola produces a safe meat product which is due to its antimicrobial hurdles.

INTRODUZIONE Le tecniche di lavorazione e di prevenzione degli alimenti che ostacolano o inibiscono la crescita di microrganismi patogeni vitali sono basate sull’impiego e la combinazione di fattori in grado di influenzare la crescita microbica: per esempio, il tipo e l’estensione della contaminazione iniziale, la temperatura di conservazione, l’atmosfera gassosa della confezione, il basso pH ottenuto acidificando l’alimento, o come risultato della fermentazione, mediante la quale possono venir elaborate sostanze antimicrobiche dando luogo a un processo di bioconservazione, la bassa attività dell’acqua libera e l’aggiunta di composti antibatterici. Il controllo dei microrganismi è così raggiunto sia attraverso l’adozione di un singolo fattore in modo estremo e tale da ottenere la morte del patogeno o l’arresto della sua crescita, sia attraverso l’applicazione di tecnologie combinate, sia con gli interventi di batteri individuali o subletali interagenti tra loro in modo da apportare molteplici effetti d’urto (hurdle effect).

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Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 08 - MAGGIO 2006

relazione scientifica DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

Foto Consorzio di Tutela "Bresaola della Valtellina"

Generalmente la strategia complessiva, per garantire la salubrità igienica dei prodotti carnei e degli altri alimenti, consiste nell’applicare tecnologie e interventi in grado di controllare le fonti e le possibilità di contaminazione atte a ridurre la prevalenza e i livelli di contaminazione delle materie prime o dei prodotti (per esempio animali vivi e prodotti crudi o lavorati durante la lavorazione, conservazione e distribuzione), di ridurre i livelli di contaminazione del prodotto con il lavaggio delle carcasse o con altri interventi decontaminanti, quando ammessi, di inattivare i microrganismi giunti sull’alimento con contaminazioni crociate applicando il calore o le pressioni idrostatiche o l’irraggiamento, se permesso e applicabile e, infine, di inibire la crescita dei microrganismi che contaminano occasionalmente l’alimento perché non inattivate come, per esempio, nelle carni crude, o negli alimenti pronti per essere consumati (o RTE readyto-eat). Ciò premesso, in teoria, Listeria monocytogenes potrebbe rappresentare un rischio per la sua ipotetica presenza nelle bresaole. Tuttavia ciò non si verifica e con questo lavoro ci proponiamo di dimostrare l’assunto.

2. punta d’anca: è il taglio più pregiato, corrisponde alla parte della fesa privata del muscolo adduttore; 3. sottofesa: corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e precisamente al muscolo lungo vasto; 4. magatello: corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e più in particolare al muscolo semitendinoso; 5. sottosso: corrisponde alla fascia anteriore della coscia, composta dal muscolo retto anteriore e dal muscolo vasto esterno, interno e intermedio. TECNICA DI PRODUZIONE Le masse muscolari utilizzate vengono opportunamente refilate con l’asportazione del grasso esterno e delle parti tendinee esterne curando di non inciderle, perché

esse formano, integralmente e singolarmente, i pezzi da salare ed essiccare. La salagione è effettuata con il metodo detto “a secco”, o meglio semiumido. Alla carne bovina vengono aggiunti cloruro di sodio e aromi naturali. Possono inoltre essere impiegati vino, zucchero (destrosio, o fruttosio o lattosio), singolarmente o combinati, potassio nitrato e nitrito di sodio o di potassio nella dose massima di 195 mg/kg (n.d.r. valore aggiornato al 2022 pari a 150 mg/kg), acido ascorbico o il suo sale sodico. Dopo salatura si forma un succo costituito dal liquido fuoriuscito dalla carne che bagna i singoli pezzi. La salagione può variare da 10-15 a 21 giorni secondo il peso dei tagli carnei e viene condotta a 4-5°C. I pezzi carnei vengono periodicamente rimossi e riposizionati. L’insaccamento viene effettuato immettendo ogni singolo pezzo in budello naturale o artificiale. L’asciugatura dura mediamente una settimana e deve consentire una rapida disidratazione (riduzione dell’Aw a un valore di 0,92, nei primi giorni di trattamento). La stagionatura è effettuata in condizioni climatiche ideali per consentire una lenta e graduale riduzione dell’umidità (Aw≤0,92) tra 12 e 15°C. Il tempo di stagionatura, compreso anche il periodo di asciugamento, varia da 4 a 8 settimane in funzione della pezzatura carnea. Sia per l’asciugamento che per la stagionatura non possono essere adottate tecniche di disidratazione accelerata. Al termine della lavorazione devono possedere un’umidità non superiore al 65% e una concentrazione salina non superiore al 5%. IL MICRORGANISMO PATOGENO Listeria monocytogenes è un germe alotollerante, Gram positivo, anaerobico facoltati-

LA BRESAOLA La bresaola è un prodotto carneo ottenuto da carne di manzo stagionata che viene consumato crudo. Essa si ricava dalle seguenti masse muscolari: 1. fesa: corrisponde alla porzione posteromediale della muscolatura della coscia e comprende il muscolo retto interno, il muscolo adduttore e il muscolo semimembranoso;

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relazione scientifica

Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 08 - MAGGIO 2006

DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

Tabella 1 - Listeria monocytogenes, nitrati e nitriti, Aw, NaCl, pH di bresaole di fesa (dati dei 9 campioni analizzati) Salamoie Giorni

5

15

21

Listeria monocytogenes

n.r.

n.r.

n.r.

nitrati

70-100 mg/ml

nitriti

80-100 mg/ml

NaCl

4-5%

pH

5,6-5,7

Fese (bresaole) Aw

≤0,92

Listeria monocytogenes

n.r.

NaCl

3-5-4%

nitrati

75-90 mg/kg

nitriti

65-70 mg/kg

vo. Il microrganismo è capace di crescere tra 1,1°C e 45°C. La temperatura ottimale è di 37°C. Cresce in substrato con pH 4,4-9,4, il pH ottimale è pari a 7,0. Quanto alla Aw, il valore minimo al quale può moltiplicarsi è di 0,92; Listeria monocytogenes può rimanere vitale in ambiente secco per lunghi periodi (mesi). Il microrganismo ha una vasta diffusione ambientale perché può trovarsi nel suolo, nella vegetazione, nell’acqua e nei liquami. È stata isolata anche da oggetti e ambienti domestici. Deve essere considerata come potenzialmente presente in tutte le materie prime non trattate e può essere presente nei cibi cotti come risultato di contaminazione post cottura. Infine Listeria monocytogenes può crescere in salamoie contenenti il 6% di NaCl (Hudson, 1992) e infatti è stata isolata da salamoie di formaggi anche dopo 259 giorni (Larson e coll., 1999). Rischi possono essere rappresentati dagli alimenti pronti per il consumo (RTE) mantenuti per lunghi periodi di conservazione. Tuttavia, in questi, è tollerata una quantità massima di 100 unità/g al momento del consumo. Queste caratteristiche di resistenza e di capacità di moltiplicazione possono spiegare i dubbi di non esperti sulla possibilità di presenza di Listeria monocytogenes nelle bresaole. Ma ciò non è vero sia in base all’assenza assoluta di casi di listeriosi dovuti a consumo di bresaole sia per l’assenza di segnalazioni della sua presenza; tuttavia per avere conferme sperimentali in proposito si è voluto eseguire questa indagine dimostrativa, sottoponendo, alla lavorazione indicata prima, tagli di carne bovina

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accidentalmente contaminati da Listeria monocytogenes e i risultati ottenuti sono riportati di seguito. MATERIALI E METODI

Piano di verifica della persistenza di Listeria monocytogenes in bresaole e nelle salamoie Sono state sottoposte a salagione e stagionatura, come prima indicato, 9 fese bovine contaminate con 12-20 Listeria monocytogenes/g. Il conteggio delle listerie è stato effettuato diluendo 1/4 (p/v) porzioni delle nove fese. Dopo diluizioni decimali (1:5, 1:50 e 1:500) in acqua peptonata (Biolife) si deponevano 5 frazioni di ml 0,2 in altrettante piastre di Palcam selective agar (WWR). Dopo insemenzamento le piastre venivano incubate a 37°C per 48 h. Successivamente le listerie cresciute venivano isolate in agar triptosio e identificate con micrometodo Crystall BBL.

Controllo della sopravvivenza nelle fese salmistrate (bresaole di fesa) e nelle salamoie delle stesse Dopo 5, 15 giorni di salagione e al termine della stagionatura si procedeva all’analisi delle fese, prelevando 3 porzioni di 25 g ciascuno delle nove fese e bresaole immettendole in ml 225 di Brodo Palcam selettivo. Si incubavano per 24 ore a 37°C e, quindi, ml 1 di ciascun brodo di arricchimento venivano aggiunti in ml 9 dello stesso terreno selettivo preparati in modo da garantire sempre la presenza nel brodo della stessa concentrazione degli inibenti. Dopo gli inoculi si incubavano le provette per altre 24 ore a 37°C e quindi si strisciavano ansate dei brodi in terreno cromogeno Rapid L. mono (Biorad).

I terreni venivano incubati a 37°C e si controllava la crescita eventuale dopo 24 e 48 h. Lo stesso procedimento era impiegato per l’esame delle salamoie dalle quali si esaminavano ml 25 per due volte = 50 ml.

Determinazioni chimiche Nelle salamoie e nelle bresaole stagionate sono stati determinati: a) nitrati e nitriti; b) concentrazione di NaCl. RISULTATI Listeria monocytogenes. Non è stata riscontrata in tutti i campioni analizzati a partire dalla prima serie di controlli e cioè dopo 5 gg sia nelle fese che nelle salamoie. Quanto alle altre rilevazioni, esse sono riportate nella tabella n. 1. CONCLUSIONI I vari fattori d’urto (temperatura, pH, nitrito, NaCl e Aw) presenti nella tecnologia di preparazione delle bresaole hanno dimostrato la loro efficacia cumulativa per la distruzione di Listeria monocytogenes presente nella materia prima. Singolarmente nessuno dei fattori considerati è in grado di uccidere il microrganismo e infatti: • Listeria monocytogenes è in grado di moltiplicarsi, seppure lentamente a partire da 1°C e quindi la lavorazione a 4°C non garantisce la prevenzione della crescita


relazione scientifica

Da: INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI n. 08 - MAGGIO 2006

• il pH delle salamoie e del tessuto muscolare delle carni (5,6-5,8) non è un limite allo sviluppo di Listeria. Il microrganismo può svilupparsi a pH 4,3 (Farber e coll., 1989), 4,39 (George e coll., 1989), 4,4 (Sorrels e coll., 1989), 4,5 (Mc Clure e coll., 1989) • sono stati pubblicati rapporti sulla possibilità di crescita in substrati contenenti elevate concentrazioni di sale (6%) (Seeliger, 1961; Shaharnat e coll., 1980a; Mc Clure, 1989) • pochi dati si riferiscono all’azione antimicrobica del nitrito. Shaharnat e coll. (1980b) sostengono che il nitrito inibisce la crescita di Listeria monocytogenes solo in presenza di più del 30% di NaCl e con un pH uguale o minore a 5,5 in un substrato tenuto a 4-5°C. Altri studi hanno dimostrato l’arresto della moltiplicazione di Listeria monocytogenes in salumi fermentati (con un pH finale di 4,3-4,6) con livelli di NaNO2 e NaCl comunemente usati (120-125 p.p.m. NaNO2 e 3% di NaCl) ( Johnson e coll., 1988; Juntlila e coll., 1989). Infine Mc Clure e coll. (1991) hanno constatato l’assenza di crescita del microrganismo in substrato con pH 5,63 o meno e in presenza di 50 mg/kg di NaNO2. • a un Aw di 0,92 la crescita di Listeria monocytogenes non è più possibile. Tenendo presenti questi dati sperimentali con quelli ottenuti si comprende l’effetto combinato dei fattori d’urto attivi nella pre-

DAGLI ARCHIVI DI INGEGNERIA ALIMENTARE - LE CARNI

Foto Consorzio di Tutela "Bresaola della Valtellina"

parazione delle bresaole in quanto: • l’azione delle concentrazioni saline rimuove l’acqua disponibile dalla carne cambiando la pressione osmotica e ciò impedisce al germe di disporre di acqua necessaria per la crescita (Aw). Il sale in se stesso diventa velenoso al microrganismo stabilendo un disequilibrio elettrolitico nella cellula batterica • il sodio nitrito determina una lesione reversibile alla cellula di Listeria monocytogenes rendendola più suscettibile all’azione lesiva di NaCl, temperatura e Aw (Ngutter e coll., 2003). Infine l’azione del nitrito, come acido nitroso o come ossido d’azoto, può esercitarsi in

vari modi e cioè inibendo l’assorbimento di ossigeno, la fosforilazione ossidativa e il trasporto attivo (Buchanan e coll., 1978; Rowe e coll., 1979; Yarbrough e coll., 1980), disaccoppiando la formazione di ATP (Mejer e coll., 1979) e inibendo alcuni enzimi (O’Leary e coll., 1976; Yarbrough e coll., 1980; Carpenter e coll., 1987). Tutto quanto riportato, quindi, serve a spiegare il mancato ritrovamento di Listeria monocytogenes in bresaole preparate con carni contaminate, dimostrando la salubrità di questo salume. Infine è verosimile che quanto osservato si verifichi anche per le coppe suine, altro salume pregiato dell'industria salumiera italiana 

BIBLIOGRAFIA

• • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Buchanan R.L., Solberg M. (1978) J. Food safety, 1, 189-200 Buchanan R.L., Stahl H.G., Whiting R.C. (1989) J. Food Protec., 52, 844-851 Carpenter C.E., Reddy D.S.A., Cornforth D.P. (1987) Appl. Environm. Microbiol., 53, 549-552 Farber J.M., Sanders G.W., Dunfield S., Prescott R. (1989) Lett. Appl. Microbiol., 9, 181-189 Fernandez P.S., George S.M., Sills C.C., Peck M.W. (1997) Int. J. Food Microbiol., 37, 37-48 George S.M., Lund B.M., Crocklehurst T.F. (1989) Lett. Appl. Microbiol., 6, 153-156 Hudson J.A. (1992) Appl. Microbiol., 14, 178-180 Johnson J.L., Doyle M.P., Cassens R.G., Schoeni J.L. (1988) Appl. Environm. Microbiol., 54, 497-501 Juntlila J.L., Hirn J., Nurmi E. (1989) J. Food Protect., 52, 158-161 Larson A.E., Johnson E.A., Nelson (1999) J. Dairy Sci., 82, 1860-1868 Mc Clure P.J., Roberts T.A., Otto Oguru P. (1989) Lett. Appl. Microbiol., 9, 95-99 Mc Clure P.J., Kelly T.M., Roberts T.A. (1991) Int. J. Food Microbiol., 14, 77-92 Mejer E.M., van der Zwaan J.W., Wever R., Southamer A.H. (1979) Eur. J. Biochem., 96, 69-76 Ngutter C., Donnelly C. (2003) J. Food Protec., 66, 2252-2257 O’Leary V., Solberg M. (1976) Appl. Environm. Microbiol., 31, 208-212 Rowe J.J., Yarbrough J., Rake J.M., Eagon R.G. (1979) Current Microbiol., 2, 51-54 Seeliger H.P.R. (1961) Listeriosis. Hafner Publishing Co., New York, pp. 4-21 Shaharnat N., Seaman A., Woodbine M. (1980a) Zentralbl. Bakteriol. Microbiol. Hyg., I, 246, 605-511 Shaharnat M., Seaman A., Woodbine M. (1980b) in G.W. Gould, Corry J.E.L. (eds.). Microbial growth and survival in extreme of environment. Acad. Press, New York, 2227-2237 • Sorrels K.M., Enigl D.C., Hatfield J.R. (1989) J. Food Protect., 52, 571-573 • Yarbrough J.M., Rake J.B., Eagon R.G. (1980) Appl. Environm. Microbiol., 39, 831-834

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case history

PROSCIUTTI belli e buoni, un affare di famiglia

Dal 1945 il prosciutto crudo Marco d’Oggiono è una specialità prodotta con metodi artigianali dalla famiglia Spreafico, nel moderno stabilimento di Oggiono di Marina Caccialanza

La sua caratteristica principale è la dolcezza. Il prosciutto crudo Marco d’Oggiono possiede qualità organolettiche uniche perché prodotto con un metodo studiato e praticato appositamente per ottenere questo risultato: dolce, gradevole, digeribile, di alta qualità. Nel 1999 è stato riconosciuto “prodotto tradizionale lombardo”. Ci accompagna alla scoperta delle sue peculiarità, Maria Sole Spreafico, figlia del titolare Dionigi che con le sorelle Agnese e Giulia dirige il salumificio di Oggiono (Lecco).

C’

è un luogo in Italia dove il prosciutto crudo ha raggiunto livelli di qualità altissimi e caratteristiche uniche grazie all’impegno di una famiglia di salumai appassionati. Il luogo è Oggiono in provincia di Lecco e la famiglia si chiama Spreafico: il loro prosciutto crudo, dal primo dopoguerra, è un’eccellenza italiana. Il salumificio si chiama Marco d’Oggiono e l’aria dell’alta Brianza è l’ingrediente segreto della sua produzione. “Il nostro prosciutto crudo è dolce – racconta Maria Sole – questa dote è la particolarità

che lo contraddistingue e deriva dal fatto che noi non utilizziamo alcun conservante ma solo sale marino dosato con cura meticolosa. Il segreto sono poco sale, l’aria delle Prealpi e la giusta temperatura. Questi tre elementi, insieme, perfettamente equilibrati, permettono la stagionatura corretta del prodotto e ne determinano le proMaria Sole Spreafico

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prietà organolettiche”. Le cosce pulite arrivano allo stabilimento da allevamenti selezionati della Pianura Padana, la carne viene rifilata della parte alta dello scamone - verrà poi utilizzata per la produzione di altri salumi come gli insaccati, freschi o stagionati - e salata con sale marino macinato secondo un criterio personalizzato, fine e in granelli, allo scopo di ricoprire le zone della coscia a seconda della posizione: sulla parte alta della cotenna, più grassa, o sulla parte bassa della coscia più magra. Spiega Maria Sole Spreafico: “Il sale posizionato penetra uniformemente con un processo osmotico di saturazione delle cellule attraverso i muscoli e fa sì che dai muscoli fuoriesca l’acqua. Per favorire il processo intervengono temperatura e umidità. La temperatura viene assestata a 3/4° C e l’umidità al 98%. Il freddo conserva la carne e l’umidità inumidisce il sale permettendogli di lavorare. Non tutte le parti della coscia vengono


case history

Il prosciutto crudo è il fiore all’occhiello del prosciuttificio Marco d’Oggiono, ma l’azienda produce altri salumi come il prosciutto cotto, i salami e i salami da cuocere, la coppa, la pancetta tesa e la bresaola di chianina. L’ultima novità è la linea Celtica, carpaccio, lardo e pancetta cotta arrotolata, leggermente affumicati. Particolarmente apprezzati dal mondo della ristorazione, i prodotti Marco d’Oggiono sono stati recentemente oggetto di un evento organizzato da APCI - Associazione Professionale Cuochi Italiani. Durante il Simposio annuale dei cuochi APCI è stata, infatti, organizzata una visita al salumificio durante la quale i visitatori hanno apprezzato i prodotti del salumificio lombardo preparati e serviti dallo staff del ristorante Il Moro di Monza dei fratelli Butticé. Vincenzo Butticé, vice presidente nord Italia di APCI, ha proposto differenti modi di realizzare pietanze utilizzando i salumi dell’azienda a dimostrazione della versatilità e qualità dei prosciutti e salumi Marco d’Oggiono.

ricoperte di sale: in particolar modo si ricopre la zona intorno alla testa del femore per impedire che l’aria penetri all’interno delle fibre deteriorando la carne. L’equilibrio tra quantità di sale e posizione dove viene applicato è il segreto per la riuscita del prodotto e dipende dalla maestria e dall’esperienza del salumaio. La parte magra della coscia non viene salata: questo determina la particolarità del nostro prosciutto, dolce dalla punta al gambetto”. Questo metodo e la dose misurata di sale, richiedono un procedimento lento durante il quale gli ingredienti speciali, temperatura e umidità, vengono man mano regolati secondo il procedimento e gli spostamenti nelle diverse celle di stagionatura: “Più sale si utilizza, più veloce è la stagionatura – afferma

Lo staff del Moro di Monza

Maria Sole – ma non è il nostro metodo. Il nostro prosciutto stagiona in un periodo che va da 12 a 24 mesi a seconda delle dimen-

sioni della coscia. Le cosce più grandi, 16 kg, stagionano in 24 mesi, quelle più piccole da 12/13 kg stagionano in 12 mesi. 16 kg di materia prima fresca a prodotto finito pesano 6 kg, dopo una lavorazione meticolosa e curata in ogni dettaglio, della durata di 18 mesi di media. Prosciutti belli e buoni fin dall’inizio, ottenuti da carni di altissima qualità che consentono una produzione senza sprechi”. Grazie a un processo artigianale praticato con metodi tradizionali in uno stabilimento attrezzato con le migliori tecnologie moderne, il prosciutto crudo Marco d’Oggiono è avvantaggiato anche dal clima: “Mio nonno, quando costruì lo stabilimento – racconta Maria Sole – orientò perfettamente l’edificio da est a ovest in modo da godere del sole dal sorgere al tramonto senza che colpisse in maniera orizzontale e diretta gli stanzoni; inoltre, l’aria che arriva dalla collina morenica alle nostre spalle e dai laghi brianzoli, polmoni verdi naturali, rinfresca gli ambienti e favorisce la corretta stagionatura del prodotto. L’aria e il clima sono nostri amici, la stagionatura, così, completamente naturale”.

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aziende e informatica

Processi più efficienti, decisioni più veloci e attendibili

M-ERP di CSB-System per supportare la mobilità interna ed esterna L’

G

razie ad applicativi mobili, è oggi possibile per chiunque ottimizzare il proprio lavoro laddove in passato vi erano solitamente degli sprechi di tempo. Lavorare fuori e dentro lo stabilimento, sempre e ovunque, richiamare tutte le informazioni necessarie allo svolgimento del proprio lavoro sull’intera filiera: con l’M-ERP del CSB-System è possibile. Tutte le funzionalità del gestionale CSBSystem sono disponibili su apparecchiature mobili e in web, con le stesse prestazioni. Ovunque si vada si è accompagnati dal software aziendale: tutti i dati vengono inseriti online e messi a disposizione dell’ERP centrale in maniera diretta, mobile, flessibile ed efficiente. La maggiore mobilità all’interno dello stabilimento, infatti, evita molteplici inserimenti degli stessi dati e dona un maggiore controllo del processo. Con la soluzione MERP di CSB-System i processi diventeranno più efficienti, favorendo decisioni più veloci ed attendibili.

CSB M-ERP che funziona sia con applicativi Windows che Android, l’utente è in grado di rilevare ed elaborare i dati di qualsiasi processo dove questi si generano. I dati sono così comunicati direttamente all’ERP centrale, con conseguente risparmio di tempo e riduzione degli errori.

MASSIMA MOBILITÀ ED EFFICIENZA CON L’M-ERP

CSB M-ERP PER IL RICEVIMENTO MERCI

A prescindere dal dove e quando, tramite

Uno dei punti vendita Fish’s King

Con le proposte di acquisto predisposte

centralmente nell’ERP CSB-System, viene supportato l’intero processo dall’articolo per fornitore fino al controllo dell’arrivo della merce. Alla Fish’s King, storica realtà specializzata nell’importazione e distribuzione di prodotti surgelati nel settore Horeca e retail, già da anni ormai impiegano questa soluzione. “Con la gestione mobile degli ordini di acquisto” spiega il Dr. Vincenzo Fortunio, responsabile degli acquisti italiani ed esteri, “noi riordiniamo gli articoli dei nostri punti

L’azienda casearia Ponte Reale

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aziende e informatica

Stabilimento Eurochef Italia

sarie, sulla base delle ricette inserite e degli ordini di produzione esistenti, si possono ricomporre gli ingredienti di una ricetta, le cui quantità vengono scaricate dai conti di giacenza di magazzino. “Potrei riassumere In tre parole la completa ottimizzazione dell’operatività in produzione: flessibilità, velocità e controllo” dice Isabella Gambin di Agricola Lusia, azienda veneta specializzata nell’approvvigionamento, confezionamento e distribuzione di agrumi” e continua – “Il valore aggiunto deriva dai dati sempre aggiornati in tempo reale e sempre corretti. Aspetto questo che ci consente di avere performance migliori anche nelle vendite.”

PER CONCLUDERE

vendita campani direttamente tra le corsie, e riceviamo le forniture in completa mobilità, ottimizzando tempi e controlli.”

CSB M-ERP PER IL MAGAZZINO

L’esempio più celebre dell’impiego di M-ERP è sicuramente la gestione automatizzata, rapida e attendibile dell’intera movimentazione di magazzino; quindi non solo tutti gli ordini di carico e scarico ma anche la gestione degli inventari. “Informazioni chiare, sempre disponibili, sempre aggiornate. Procedure flessibili e facili da usare. Per noi è essenziale” - spiegano alla UnicoopFirenze Centro Freschi di Pontedera perché – “Così riduciamo al minimo i tempi di formazione del personale in magazzino e soprattutto riduciamo gli errori.”

perché così abbiamo alleggerito lo stress dei periodi di superlavoro.” Anche da Eurochef Italia, azienda specializzata nella produzione e vendita di piatti pronti di gastronomia per la ristorazione, la grande distribuzione e il consumatore finale, “l’implementazione dell’M-ERP di CSB-System ci ha fornito la soluzione ad alto valore aggiunto che cercavamo. Con una sola azione abbiamo inciso positivamente su mobilità, controllo e produttività”.

CSB M-ERP PER LA PRODUZIONE

Attraverso il collegamento delle bilance, degli scanner e di tutte le periferiche neces-

Avere un unico fornitore di ERP e M-ERP è sicuramente conveniente, perché consente all’azienda di formare gli utenti su un unico software e di avere un unico referente per le soluzioni sia fisse che mobili. In breve, i vantaggi: • Inserimento e visualizzazione delle informazioni in tempo reale • Integrazione di periferiche per automatizzazione parziale o completa di processi aziendali complessi • Eliminazione del cartaceo • Riduzione degli sprechi di tempo causati da doppi inserimenti • Ottimizzazione delle prestazioni delle risorse umane sull’intera filiera. Referente: Andrè Muehlberger, Direttore CSB-System S.r.l. www.csb.com

CSB M-ERP PER PICKING E VENDITA

L’utilizzo di una soluzione mobile consente di ridurre il dispendio di tempo ed i margini di errore nell’evasione degli ordini, con percorsi ottimizzati e verifica online delle richieste specifiche del cliente (ad es. consegna con scadenza minima non inferiore a 3 mesi) e rilevazione uscita merci. “Da quando abbiamo implementato l’M-ERP per picking e vendita, abbiamo ridotto in maniera significativa i tempi operativi e gli errori” - afferma Luigi Rega, responsabile commerciale della Ponte Reale, azienda casearia dove la più antica tradizione si coniuga con concetti all’avanguardia come sostenibilità e responsabilità d’impresa. Infatti “le nuove procedure di preparazione ordini, semplici da usare ma allo stesso tempo flessibili e complete, hanno migliorato la nostra routine lavorativa

Fase di lavorazione da Agricola Lusia

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mercati e normative

Made in Italy come risorsa per il reddito del nostro Paese Il

Angela Mucciolo, Dottore in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali Claudio Mucciolo, ASL di Salerno, Dipartimento di Prevenzione Area Sud - Servizio Igiene Alimenti di O. A.

I

l “Made in Italy” è un marchio riconosciuto a livello mondiale come espressione di un prodotto eccellente, insuperabile, frutto di creatività, tradizione culturale nonché garanzia di elevatissimi standard qualitativi. Difatti, la dicitura “Made in Italy” è divenuta, nel corso degli anni, il terzo brand al mondo per notorietà, dopo i marchi Coca-Cola e VISA. I meriti più grandi non possono non essere riconosciuti al comparto agroalimentare la cui ricchezza è nota, soprattutto in riferimento a quei prodotti con forte identità nazionale DOP, IGP o STG. Il crescente apprezzamento dei prodotti del nostro Paese non discende solo dalla fama delle nostre tradizioni gastronomiche, ma dipende anche dal pregio delle materie prime agricole impiegate e alla loro grande varietà, dovuta a un intreccio particolarmente felice e vario di condizioni ambientali e sedimentazioni storico-culturali che si snodano lungo l’intera penisola. A confermare le capacità espansive e del peso economico che l’agroalimentare ha per la nostra economia, è il trend sempre crescente di esportazioni che nel corso degli anni non si è mai arrestato: nel 2020 addirittura, anno in cui l’adozione di misure di contenimento

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intraprese a livello mondiale per arginare la diffusione della pandemia da Covid-19, pur essendosi registrato un rallentamento generale degli scambi internazionali, l’export nazionale di prodotti agroalimentari si è mantenuto su un terreno positivo con una crescita dell’1,7% rispetto al 2019 oltrepassando la soglia di 46 miliardi di euro. Altissimo, dunque, è il potenziale della produzione Made in Italy tanto a livello nazionale quanto globale, se non fosse minacciato dal dilagante fenomeno della contraffazione e delle sue diverse estrinsecazioni tra cui, principale antagonista per peso economico e carenza di strumenti giuridici, è l’Italian Sounding.

Il crescente apprezzamento dei prodotti del nostro Paese non discende solo dalla fama delle tradizioni gastronomiche ma dal pregio delle materie prime e alla loro varietà

Un prodotto Italian Sounding è tale, infatti, in virtù di espressioni lessicali italianeggianti, o in forza di una particolare struttura (packaging, design, forma, colori, ecc), idonea a trarre in errore la clientela sulla vera origine dello stesso. Tale forma di imitazione con cui si ingenera, nella mente del consumatore, un legame inesistente tra il prodotto di imitazione e il nostro Paese, non solo arreca un notevole danno all’economia nazionale, ma frustra la concorrenza tra operatori economici e inganna il consumatore che è indotto ad acquistare un prodotto nella convinzione che lo stesso possieda determinate caratteristiche, in realtà assenti. Nella normativa europea, infatti, la sicurezza alimentare è oggi intesa proprio come safety, in quanto prevale la preoccupazione di garantire che gli alimenti siano igienicamente sicuri e che le informazioni che arrivano al consumatore tramite le etichette siano comprensibili. IL TRICOLORE È QUALITÀ Le disposizioni dei Codici doganali (1992- 2008-2013) e gli ampi poteri della Commissione Europea Il valore suggestivo dell’indicazione “Made in Italy” è globalmente riconosciuto e, nel corso del tempo, ha perso la sua funzione di mero indicatore di origine geografica per essere, invece, evocativo di valori estetici e qualità propri delle produzioni italiane, quindi oggetto di numerosi interventi normativi e giurisprudenziali volti a tutelare il suo prestigio. Tuttavia, al fine di analizzare esaustivamente


mercati e normative

l’evoluzione della disciplina della tutela del “Made in Italy”, è necessario muoversi gradualmente nell’analisi e chiarire anticipatamente alcuni concetti. Innanzitutto, l’utilizzo dell’espressione “Made in…” è stata sempre riconducibile all’origine di un prodotto, eppure è il caso di effettuare una triplice preliminare distinzione dei concetti di “marchio”, “provenienza” e “origine” del prodotto soffermandoci, però, sulla differenza tra gli ultimi due. • Il “marchio”¹ è il segno distintivo dei prodotti e dei servizi dell’impresa. Assolve alla funzione di identificare i prodotti di un imprenditore, differenziandoli da quelli simili di un altro imprenditore concorrente presenti sul mercato. Evidente è, quindi, la sua funzione distintiva dei prodotti che, unita a quella attrattiva dei consumatori, rende il marchio un “collettore di clientela” per l’imprenditore che lo adotta. Il marchio, tuttavia, non esaurisce la sua funzione nella sola differenziazione dei prodotti similari esistenti sul mercato, in quanto si assume anche quella di essere indicatore di provenienza² del prodotto, mentre non può essere ricompresa quella di garanzia della qualità dei prodotti³ nel tempo. • L’obbligo di apposizione della corretta indicazione di “provenienza”, sancito da norme penali e amministrative, consente di individuare l’impresa dalla quale proviene il prodotto immesso sul mercato. • La chiave di lettura della disciplina dell’”origine” dei prodotti è contenuta nel Codice Doganale Comunitario (CDC), ossia il Reg. CEE 2913/92⁴ e nelle relative disposizioni di attuazione (D.A.C), contenute nel Reg. CEE 2454/93, che sanciscono una disciplina specifica tanto per quei beni ottenuti interamente in un unico Paese quanto per quelli realizzati grazie alla collaborazione di più imprese situate in diversi Paesi. Più precisamente, però, bisogna effettuare una distinzione nell’ambito dello stesso concetto di origine tra quella “non preferenziale” e quella “preferenziale”: a) l’origine “non preferenziale” «determina la provenienza geografica dei prodotti, alla quale in genere non è legata un’agevolazione tariffaria da parte della Comunità europea»; b) l’origine “preferenziale”, a differenza di quella non preferenziale, «comporta il riconoscimento di un trattamento tariffario agevolato da parte della Comunità europea in relazione alle merci che sono o possono essere considerate originarie di taluni Paesi o aree geografiche»⁵. È il caso però di sottolineare che in questo caso la Comunità europea stabilisce unilateralmente le regole per la concessione dell’origine preferenziale, che si concretizzano, in effetti, in un “trattamento preferenziale” che può consistere tanto nella riduzione dei dazi, la loro esenzione

22, la duplice nozione di “origine delle merci” o nell’abolizione dei divieti quantitativi. non poteva valere come regola generale, ma Concluse queste specificazioni, bisogna ricorera posta dal legislatore solo agli specifici fini dare, però, che l’importanza di tale regolamendoganali previsti. to sta piuttosto nelle definizioni previste dagli Successivamente, il quadro normativo è mutaartt. 23-24 e 25. Infatti, l’art. 23 par. 1 del Codice Doganale Comunitario prevede innanzitutto to in quanto, in sostituzione del Reg. 2913/92, che debbano essere considerate «originarie è sopravvenuto il Reg. (CE) del Parlamento di un Paese le merci interamente ottenute in europeo e del Consiglio del 23 Aprile 2008, n. tale Paese»⁶; invece gli artt. 24-25 disciplinano 450, ossia il Codice doganale comunitario agspecificamente il caso delle merci alla cui progiornato (CDCA). In realtà il CDCA del 2008, dopo alcuni rinvii, è duzione abbiano contribuito due o più Paesi⁷. stato abrogato e integralmente sostituito dal Essi specificano, rispettivamente, che il proCodice Doganale dell’Unione europea (CDUE) dotto è originario del «Paese in cui è avvenuta del 2013, prima che entrasl’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, ecose in vigore⁹. Nonostante La Comunità Europea ciò, esso ha comunque innomicamente giustificata stabilisce le regole per ed effettuata in un’impresa trodotto nuove disposiziola concessione dell’origine preferenziale che si attrezzata a tale scopo, che ni in tema di origine, conconcretizzano nella riduzione si sia conclusa con la fabbrifermate poi dal CDUE del di dazi, esenzione dei dazi 2013, ma la sua vera portacazione di un prodotto nuoo abolizione di divieti vo od abbia rappresentato ta innovativa sta nell’art. 35 quantitativi una fase importante del che afferma che «gli articoli processo di fabbricazione»⁸ 36, 37, e 38 stabiliscono le (art. 24) e che qualora fosse provato che una norme per la determinazione dell’origine non trasformazione fosse stata effettuata solo per preferenziale delle merci ai fini dell’applicazione». eludere le disposizioni applicabili nella ComuDunque, grazie a tale norma, si generalizza la portata dell’art. 35 del CDCA per cui, quanto nità alle merci di determinati Paesi, tale fase del stabilito in essa, vale ogni volta che si discorre processo produttivo non verrebbe consideradi “origine” delle merci¹⁰. ta rilevante per la determinazione dell’origine Nello stesso regolamento, ancora, all’art. 36, non preferenziale per merci così ottenute (art. rubricato “acquisizione dell’origine”, si dispone 25). che «le merci interamente ottenute in un unico Si assisteva dunque, in questo caso, all’intropaese o territorio sono considerate originarie di duzione del criterio dell’“ultima trasformazione tale paese o territorio», mentre «le merci alla cui o lavorazione sostanziale”, affiancato però da produzione hanno contribuito due o più paesi o altre condizioni, tra cui spiccava quella della territori sono considerate originarie del paese o “giustificazione economica” di tale ultima traterritorio in cui hanno subito l’ultima trasformasformazione o lavorazione, nonostante il disposto dell’art. 25. zione sostanziale». Sembrava, a questo punto, che il mistero Rispetto al passato, dunque, per quanto riguardell’origine nell’ordinamento comunitario fosda i prodotti interamente ottenuti in un Paese, viene eliminata l’esemplificazione merceologise senz’altro risolto grazie alle due disposizioni degli artt. 23-24, la prima delle quali si presenca mentre, per i prodotti realizzati in più Paesi, non solo l’unico criterio di riferimento diventa tava come una clausola generale e un elenco l’“ultima trasformazione sostanziale”, ma venper categorie di prodotti, mentre la seconda conferiva una definizione generale. gono meno anche le altre condizioni, tra cui Ci si rendeva conto invece che, ai sensi dell’art. quella della giustificazione economica.

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Ebbene, tale disposizione introdotta nel 2008 risulta essere decisamente più generica di quella del 1992, genericità che avrebbe però potuto dar luogo a difficoltà applicative generando, appunto, incertezza. Consapevole di queste problematiche, il legislatore del 2008 ha preferito allora non fornire esso stesso le risposte ad eventuali dubbi interpretativi, ma delegare la Commissione della predisposizione di regole specifiche, così come confermato dall’art. 38 CDCA. La scelta del conferimento alla Commissione di una delega così ampia è stata poi largamente confermata, in ultimo, dal CDUE del 2013 che, come detto, ha abrogato il CDCA ancor prima che entrasse in vigore. Le disposizioni di tale nuovo Codice sono entrate in vigore a partire dal 30 Ottobre 2013, fatta eccezione per alcuni articoli - ad esempio quelli da 59 a 61 - relativi alla determinazione delle origini delle merci, che sarebbero invece entrati in vigore a partire dal 1° Maggio 2016. Orbene, il CDUE non ha fatto altro che recepire le novità introdotte dal CDCA in merito all’abbandono del criterio (adottato dal CDC) di specifica individuazione delle merci e all’attribuzione di un’amplissima delega alla Commissione ma, allo stesso tempo, ha anche richiamato le originarie formulazioni del CDC in merito all’individuazione dell’origine delle merci trasformate. La conclusione a cui si giunge è che non solo è stata lasciata alla Commissione una delega piuttosto ampia in tema di regolazione e di scelta, suscettibile anche di diverse declinazioni, ma che anche, al contempo, sono stati reintrodotti, per i prodotti trasformati, i criteri della trasformazione o lavorazione sostanziale già contenuti nel CDC del 1992. Inoltre, al fine di evitare eventuali dubbi interpretativi circa l’individuazione dell’origine preferenziale o non preferenziale quando più Paesi hanno contribuito alla realizzazione del prodotto, una parte della dottrina¹¹ ha avallato quell’orientamento della Corte di Giustizia europea¹² che, ai sensi dell’art. 6178 della Convenzione internazionale per la semplificazione

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e l’armonizzazione dei regimi doganali¹³, prevedeva che non dovessero essere considerate trasformazioni o lavorazioni sostanziali quelle operazioni che conferiscono soltanto in minima parte alle merci le loro caratteristiche o proprietà essenziali. In conclusione, volendo trasporre questa analisi alla situazione dell’individuazione dell’origine preferenziale o non preferenziale dei prodotti italiani al fine di una corretta indicazione di origine, è possibile affermare che i prodotti realizzati in Italia ma sottoposti a lavorazioni o trasformazioni insufficienti all’estero, rientranti tra le ipotesi dell’art. 70 D.A.C, conservano l’origine nazionale nel momento in cui una parte consistente della produzione è avvenuta in Italia.

Mentre il luogo di provenienza è il luogo da cui proviene l’alimento che però non è il paese d’origine, il Paese di origine è dato dal Reg. n. 2913/92

Di contro, non sarà possibile affermare l’origine italiana del prodotto nel momento in cui una parte rilevante del processo produttivo del bene sia avvenuta all’estero laddove, però, l’ultima lavorazione sostanziale (o sufficiente) non consista nel semplice assemblaggio, etichettatura o confezionamento dei prodotti. Indicazioni di origine o provenienza: la rilevanza dell’art. 39 del Reg. 1169/2011 Continuando la nostra analisi, è utile preliminarmente richiamare non solo le disposizioni dell’art. 9 del Reg. 1169/2011 in merito alle indicazioni obbligatorie in etichetta, tra cui figurano l’indicazione del Paese di origine o luogo di provenienza quando l’omissione potrebbe indurre in errore il consumatore ma anche, in particolare, la disposizione dell’art. 39 par. 2 dello stesso regolamento, che prevede la possibilità per gli Stati membri di poter

aggiungere, in etichetta, altre indicazioni obbligatorie complementari a quelle già previste come obbligatorie a livello comunitario. L’art. 39 in questione, però, ammette questa facoltà di specificazione del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti e dopo che gli Stati membri abbiano fornito alla Commissione. È evidente che il Reg. 1169/2011 effettui una distinzione tra il Paese di “origine” e il luogo di “provenienza” di un alimento¹⁴. Infatti, mentre l’art. 2 par. 3 di questo regolamento definisce in positivo il Paese di origine, fa riferimento solo in negativo al luogo di provenienza come ai sensi sempre dell’art. 2 ma par. 2 lett. g). Così, in sostanza, mentre il luogo di provenienza è il luogo da cui proviene l’alimento che però non è il paese d’origine, il Paese di origine è dato dal Reg. n. 2913/92. Quest’ultimo, come visto nel paragrafo precedente è, però, il vecchio Codice Doganale Comunitario, modificato prima dal Reg. n. 450/2008 del 23 Aprile 2007 e poi sostituito dal Reg. n. 952/2013 del 9 Ottobre 2013 o Codice doganale dell’Unione europea. Per chiarezza espositiva, tuttavia, bisogna segnalare che l’art. 2 del Reg. 1169/2011 si riferisce al Paese d’origine ai sensi delle disposizioni, però, del vecchio Codice doganale e non del nuovo. Quindi, quando l’art. 23 del vecchio Codice doganale intendeva il Paese di origine delle merci agricole, si riferiva ai vegetali raccolti nel Paese, agli animali nati e allevati nel Paese e ai prodotti della caccia e della pesca praticate nel Paese. Da tutto questo susseguirsi di interventi, in realtà, quello che ne deriva è un perdurante livello di incertezza sul concetto di origine dei prodotti agricoli e alimentari, nonostante il tentativo di sistematizzazione effettuato dal Reg. 1169/2011. In questo contesto, allora, ancora più decisivo risulta essere il ruolo assegnato alla Commissione con le sue scelte. Il Regolamento esecutivo della Commissione n. 2018/775 Tra i vari interventi della Commissione, nessuno dei quali esente da critiche, menzioniamo il Regolamento di Esecuzione (UE) 2018/775 della Commissione del 28 Maggio 2018 sull’indicazione in etichetta del Paese di origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento¹⁵. L’art. 26 par. 3 del Reg. 1169/2011 prevede che la Commissione adotti, a riguardo, uno specifico regolamento di esecuzione entro il 31 Dicembre 2013. Inutilmente decorso questo termine, il Parlamento Europeo, con la risoluzione del 12 Maggio 2016, ha invitato la Commissione.


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Tutela del made in Italy

sottolineare che si tratta di Da ciò appare senz’altro non p sinonimo di tutela della qualità agro-alimentare un tema generale, laddove pacifico che le definizioni italiana e nemmeno “tutela del Made in Italy” di cui all’art. 2 del regolatutela dei prodotti non è sinonimo di “tutela mento trovino applicaziotipici italiani della qualità agroalimenne nell’ambito dell’art. 26, cioè che trovino applicatare italiana”, o tanto meno di “tutela dei prodotti tipici zione le definizioni di luoitaliani”. Il tema riguarda certamente l’agrogo di provenienza e Paese di origine analizzate. alimentare italiano, ma è più ampio e, a conferTuttavia, come precedentemente preannunciato, il regolamento della Commissione ma di ciò sta il fatto che le iniziative più recenti 2018/775, all’art. 2, provvede a definire cosa si intenda per zona geografica, conferendone una definizione che si differenzia dai concetti di luogo di provenienza o Paese di origine come definiti dal regolamento. Così, ai sensi dell’art. 2. a. i), la zona geografica che viene indicata per l’ingrediente primario, viene identificata in “UE”, “non UE” o “UE e non UE”¹⁶. Questa che abbiamo appena menzionato, ossia la definizione di zona geografica, non è la sola novità introdotta dal regolamento di esecuzione rispetto al Reg. n. 1169/2011. Vi sono, infatti, anche altre scelte disciplinari che non solo appaiono incoerenti con il regolamento in questione, ma anche con i vari regolamenti verticali di settore¹⁷. Si confermano, allora, le perduranti perplessità e i dubbi sull’effettività e l’efficacia delle disposizioni in tema di origine introdotte dal Reg. n. 1169/2011, ma soprattutto i dubbi sulla trasparenza e la persuasività della scelta di affidare alla Commissione Europea un tale compito di regolazione della materia.

provengano non dal settore agroalimentare (l’agroalimentare, d’altronde, dispone di numerosi strumenti specifici di tutela, tra i quali spiccano le DOP e le IGP), ma da alcuni settori industriali, tra cui in particolare quello tessile¹⁸. Non può non constatarsi, comunque, che siano rinomati globalmente il pregio e la qualità della produzione “Made in Italy” in molteplici settori tra cui la moda, la gioielleria, l’artigianato e l’agricoltura, quindi è stato sempre

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L’evoluzione della legislazione penale in materia di tutela del “Made in Italy”: dall’art. 517 c.p. alla Legge Finanziaria (l. 350/2003) Quanto detto sulla disciplina dell’etichettatura e sulla normativa doganale apre senz’altro le porte alla tematica del “Made in Italy”. Innanzitutto, bisogna premettere che quando si parla di “Made in Italy” è facile incorrere in fraintendimenti e confusione, in quanto occorre

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interesse dei vari produttori “agganciarsi” abusivamente a tale indicazione geografica, per godere illecitamente della fama dell’eccellente industria italiana. Perciò, il nostro legislatore ha iniziato a combattere in maniera sempre più incisiva nel tempo fenomeni del genere, mediante strumenti di lotta di carattere penale che potessero affiancare la disciplina civilistica degli atti di concorrenza sleale contemplata all’interno dell’art. 2598 del c.c.¹⁹ Il primo intervento degno di nota a tutela del “Made in Italy” può essere rappresentato dal d.lgs. n. 507/1999 che ha esteso la circostanza aggravante di cui all’art. 517-bis alle fattispecie degli artt. 515, 516 e 517 c.p., comportando un aumento delle rispettive pene, qualora le fattispecie concrete avessero avuto ad oggetto alimenti o bevande con denominazione di origine o geografica protetta. Ma ancora più degna di nota da questo punto di vista, tuttavia, risulta essere la Legge Finanziaria 2004 (l. 350/2003) che ha stabilito che chi appone la dicitura “Made in Italy” su una qualunque merce non fabbricata in Italia rischia la reclusione fino ad un anno e una pena aumentata se si tratta di alimenti o bevande. Più precisamente, l’importante novità introdotta dalla l. 350/2003 è stata quella di aver previsto, ai sensi dell’art. 4 comma 49, l’estensione della disciplina dell’articolo 517 c.p. sulla “vendita di prodotti industriali con segni mendaci” di provenienza. Dunque, la condotta incriminata ex art. 517 c.p. risulta essere: a) il “porre in vendita” un prodotto (ossia l’offrire un determinato prodotto a titolo oneroso); b) il “mettere in circolazione” un prodotto (ossia merce che entra in contatto con il pubblico anche a titolo gratuito); mentre l’art. 4 comma 49 specifica che: a) per “falsa indicazione” si intende la stampigliatura “Made in Italy” su prodotti e merci

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non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea di origine; b) si riscontra “fallace indicazione” quando, sebbene indicata l’origine o la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o altro possa indurre il consumatore a ritenere erroneamente che il prodotto o la merce sia di origine italiana.

Per “falsa indicazione” si intende la stampigliatura “Made in Italy” su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea di origine

Il legislatore ha specificato, poi, che tali fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio; che la fallace indicazione dell’origine o della provenienza dei prodotti o delle merci possa essere sanata, a livello amministrativo, con l’asportazione, a cura e a spese del contravventore, di quei segni, figure o altro che induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana; in ultimo, che la falsa indicazione possa essere sanata, sempre dal punto di vista amministrativo, attraverso l’esatta indicazione dell’origine o l’asportazione della stampigliatura “Made in Italy”. In tale contesto, è utile segnalare un orientamento della Corte di Cassazione che rappresenta il primo intervento di interpretazione della Cassazione delle disposizioni contenute nella Finanziaria del 2004 a tutela del “Made in Italy”. Con tale sentenza della III Sezione Penale, n. 3352 del 2 Febbraio 2005²⁰, la Cassazione ha stabilito che la sola dicitura del nominativo e dell’indirizzo italiano dell’importatore delle

merci prodotte all’estero non viola le disposizioni dell’art. 4 comma 49 della l. 350/03. Il procedimento penale, all’esito del quale la sentenza è stata emessa, è stato avviato in seguito a un sequestro probatorio, disposto dall’Agenzia delle Dogane nei confronti di una società italiana, di un quantitativo di elettrodi per saldatura provenienti da una sua controllata in Romania: tali prodotti recavano solo l’indicazione della società, della città e della nazione (Italia) senza però alcun riferimento al loro effettivo luogo di fabbricazione. La Suprema Corte ha innanzitutto effettuato la distinzione tra i concetti di “origine” e “provenienza”, per poi richiamare quanto disposto dalla Legge Finanziaria che ha appunto reso sussumibili sotto l’art. 517 c.p. le indicazioni false o fallaci. Ancora, è stato fatto presente che, mentre il primo periodo dell’art. 4 comma 49 faccia riferimento solo alle false o fallaci indicazioni di provenienza (relative però al produttore e non al luogo di fabbricazione della merce), il secondo periodo dello stesso inquadri il concetto di “origine” delineandolo in maniera più ampia di quello di “provenienza”, facendovi ricomprendere anche quello di fabbricazione della merce (laddove specifica che costituisce falsa indicazione l’apposizione del marchio “Made in Italy” su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea in materia). Pertanto, qualora fosse accertata una diversa origine geografica su prodotti recanti il marchio “Made in Italy”, sarebbe giustificata la maggior tutela prevista dal legislatore con la configurazione dell’illecito ex art. 517. Tutto considerato, la Cassazione ha affermato, nel caso di specie, che la produzione di merci all’estero effettuata, garantendo il consumatore apponendo il suo marchio e la denominazione sociale, non costituisce violazione delle disposizioni della Legge Finanziaria 2004, poiché è un’indicazione che corrisponde a verità, e che quindi non è di per sé idonea a ingannare il consumatore sulla provenienza e sulla qualità dei prodotti, mentre risulta irrilevante l’omessa indicazione del luogo di fabbricazione materiale dei prodotti. Concludendo, a questa sentenza ne ha fatto seguito un’altra sempre della Suprema Corte²¹ che ha confermato il precedente orientamento in un’ottica di chiarezza sul piano giurisprudenziale, e nell’ambito della quale la Cassazione ha ribadito che la provenienza e l’origine devono essere intesi sempre in funzione della qualità del prodotto, garantita non dal luogo in cui avviene il processo produttivo, ma dall’utilizzo di materie prime e tecniche di fabbricazione specifiche. L’orientamento giurisprudenziale emerso dopo le pronunce della Corte di Cassazione


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16²⁴ ha: ha indotto il legislatore a elaborare il d.l. n. - da un lato introdotto la regola per cui è 35/2005 sulla competitività a tutela del “Made «classificabile come Made in Italy» il prodotto in Italy”. per il quale «il disegno, la progettazione, la laTale d.l. è stato successivamente convertito in legge dall’art. 14 comma 1 della l. 80/05 senza vorazione e il confezionamento sono compiuti però introdurre particolari novità nel settore, sul territorio italiano»; ma limitandosi a chiarire l’ambito di applica- dall’altro previsto l’applicazione delle pene sancite dall’art. 517 c.p., aumentate di un zione delle norme sanzionatorie contenute terzo, nei confronti di chiunque «fa uso di nella Finanziaria 2004. un’indicazione di vendita che presenti il proAl fine quindi di impedire che eventuali interpretazioni giurisprudenziali potessero mettere dotto come interamente realizzato in Italia, in discussione l’efficacia di tali disposizioni, la quale 100% Made in Italy, 100% Italia, tutto tutela penale del “Made in Italy” è stata estesa italiano in qualunque lingua espressa, o altra anche ai casi di non corretta indicazione dell’oche sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzarigine delle merci, accanto alle ipotesi di falsa o fallace indicazione della loro provenienza (relazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che indicano la medesima fallative, cioè, al produttore)²². In base a queste ultime modifiche, dunque, ce convinzione»; non sembra più ammesso commercializzare - e infine ribadito il significato di “fallace inmerci prodotte all’estero che riportino solo la dicazione” e del segno “italiano” sui prodotti dicitura relativa al nominativo e all’indirizzo itacommercializzati. Concludendo, il d.l. n. 135/2009 risulta essere la liano della ditta che si è occupata della produnorma più rilevante contro gli agganci abusivi zione e dell’importazione delle stesse. In questi al “Made in Italy”. casi, infatti, per quanto sia Bisogna ancora sottolinecorretta l’indicazione di La tutela penale del “Made provenienza delle merci e are, tuttavia, che l’interprein Italy” è stata estesa anche non si configuri un’indebitazione data alle norme sia ai casi di non corretta stata nel senso di specifita apposizione della stamindicazione dell’origine delle pigliatura “Made in Italy”, il care che ciò che la legge merci, accanto alle ipotesi di falsa o fallace indicazione consumatore comunque garantisce al consumatore della loro provenienza potrebbe essere indotto in non è l’origine o la proveerrore dalla mancata indinienza di un prodotto da un determinato luogo, ma cazione dell’esatta origine da un dato produttore²⁵. dei prodotti, sostituita dalla denominazione In più la giurisprudenza ha effettuato una della ditta italiana. distinzione tra i prodotti industriali e quelli agricoli/alimentari, precisando che quelli induGli interventi del 2009: la l. 23 Luglio 2009 n. 99 e il d.l. n. 135/2009 (convertito striali si distinguono da quelli agricoli e alimennella legge 20 Novembre 2009 n. 166) tari perché solo i secondi sono identificabili in Si giunge così agli ultimi interventi avutisi nel relazione all’origine geografica e solo su di essi 2009²³ che hanno inciso sul tema in modo tuti fattori ambientali umani incidono riguardo alla qualità²⁶. tavia piuttosto confuso e secondo una logica Viene richiamato, quindi, l’intricato problema additiva e asistematica. dell’origine del prodotto agricolo che vede inIl primo è quello della c.d. “legge sviluppo” (legge del 23 Luglio 2009 n. 99) intitolata signifatti contrapposti gli interessi degli industriali agroalimentari da un lato, e quelli degli imficativamente “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché prenditori agricoli dall’altro: i primi, infatti, inin materia di energia”. dividuano l’origine con la localizzazione della La legge contiene anzitutto importanti novità in materia di diritto penale ma in particolare introduce il nuovo reato di cui all’art. 517-quater dedicato specificamente alla contraffazione delle indicazioni geografiche dell’agroalimentare. Osserviamo ancora, però, che la l. 99/2009 all’art.17 comma 4 incide nuovamente sull’articolo 4, comma 49, della l. 24 Dicembre 2003, n. 350 e successive modificazioni. Ecco allora che su questa norma è intervenuto il d.l. del 25 Settembre 2009, n. 135, (convertito nella l. del 20 Novembre 2009, n. 166) il cui art.

“fabbrica”, mentre per i secondi l’origine è l’ubicazione delle piante arboree o arbustive da cui è “tratto” il prodotto finale trasformato²⁷. IL SEGNO “ITALIA” NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA Nonostante questi interventi del legislatore penale contro le false o fallaci indicazioni italiane dei prodotti alimentari sul mercato, il suo intento non può dirsi pienamente riuscito. Così, il Ministero delle politiche agricole alimentari o forestali (MiPAAF) e il Ministero dello sviluppo economico hanno istituito, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, il “marchio identificativo della produzione agroalimentare nazionale” di cui potranno fregiarsi soltanto i prodotti (industriali) ottenuti con sole materie prime (agricole) italiane o prodotti direttamente realizzati da imprese agricole italiane²⁸. Ancora, la legge Finanziaria 2004 all’art. 4.62 ha affidato al MiPAAF il compito di vigilare sul marchio “naturalmenteitaliano”, mentre l’art. 1-bis comma 2 del d.l. 24 Giugno 2004 n. 157 (convertito nella l. 3 Agosto 2004 n. 204) ha modificato l’art. 3 del d.lgs. 27 Gennaio 1992 n. 109 che aveva introdotto la disciplina della designazione dell’origine italiana - il c.d. “Made in Italy” - in etichetta. Ulteriori disposizioni a difesa della produzione italiana sono state previste anche non nell’ambito dell’agroalimentare²⁹. Ritornando, però, alla tematica alimentare, il Parlamento ha previsto con l’art. 4 della l. 3 Febbraio 2011 n. 4 che sull’etichetta dei prodotti alimentari sia obbligatorio riportare l’indicazione del luogo di origine o di provenienza precisando che «per i prodotti alimentari non trasformati, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati, l’indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalentemente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti». Tale legge introduce l’obbligo di indicazione in etichetta dell’origine agricola degli alimenti immessi sul mercato. Tuttavia, in realtà, il le-

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gislatore italiano è come se avesse affrettato i tempi e non avesse rispettato la procedura dello stand-still che infatti non è stata eseguita. Il legislatore nazionale ha piuttosto fatto riferimento all’art. 39 del Reg. 1169/2011 che, come precedentemente analizzato, attribuisce agli

Stati membri la facoltà di prevedere in etichetta ulteriori indicazioni obbligatorie accanto a quelle già previste come tali dal diritto comunitario, e fra queste vi è quella dell’origine del prodotto, ma solo quando si provi che questa indicazione sia rilevante per i vari consumatori.

BIBLIOGRAFIA 1 G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale (a cura di M. Campobasso), vol.1, 7° ed., UTET Giuridica, Torino, 2016 2 Tuttavia, dopo la riforma del 1992, c’è stato un forte ridimensionamento di questa funzione giuridica del marchio in quanto, sulla base di una licenza di marchio non esclusiva concessa dal titolare stesso, è oggi assolutamente possibile che prodotti uguali contraddistinti dallo stesso marchio siano immessi in commercio da produttori diversi 3 Rientra nella comune esperienza che il pubblico tenda ad associare ad un prodotto contrassegnato da un dato marchio non solo l’idea di un certo livello qualitativo dello stesso, ma anche che quel livello di qualità sia sempre costante nel tempo. Eppure, nella disciplina dei marchi, non vi è alcuna norma che assolva alla funzione di garanzia della qualità dei prodotti e che quindi impedisca il produttore di apportare variazioni qualitative alla propria produzione 4 Per un’analisi del Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio del 12 Ottobre 1992 che istituisce il Codice Doganale Comunitario untitled (europa.eu) v. F. ANTONACCHIO, Etichettatura dei prodotti: tutela del “made in Italy” sicurezza dei prodotti e contrasto alla contraffazione dei marchi, Giuffrè, Milano, 2007 ed anche in particolare S. D. ZANNINO, Aspettando il Regolamento dell’Unione Europea in materia di etichettatura di origine di alcuni prodotti: panacea, ricostituente o placebo per il made in Italy? in Dir. comm. internaz., fasc.1, 2012, in banche dati DeJure.it 5 Quindi, chiarendo i concetti, l’origine «preferenziale» di una merce indica la sua provenienza da un’area per la quale la UE ha previsto, nell’ambito della sua politica commerciale di cui - ex art. art. 207 TFUE - è esclusiva titolare rispetto agli Stati membri, talune agevolazioni tariffarie. L’origine «non preferenziale», invece, serve ad identificare merci provenienti da Paesi per i quali, in genere, non sono previste tali «corsie preferenziali» sul piano dei dazi. V. sul punto F. ANTONACCHIO, op. ult. cit 6 All’art. 23, il CDC afferma che «Per merci interamente ottenute in un paese s’intendono: a) i prodotti minerali estratti in tale paese; b) i prodotti del regno vegetale ivi raccolti; c) gli animali vivi, ivi nati ed allevati; d) i prodotti che provengono da animali vivi, ivi allevati; e) i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate; f) i prodotti della pesca marittima e gli altri prodotti estratti dal mare, al di fuori delle acque territoriali di un paese, da navi immatricolate o registrate in tale paese e battenti bandiera del medesimo; g) le merci ottenute a bordo di navi-officina utilizzando prodotti di cui alla lettera f), originari di tale paese, sempre ché tali navi-officina siano immatricolate o registrate in detto paese e ne battano la bandiera; i prodotti estratti dal suolo o dal sottosuolo marino situato al di fuori per lo sfruttamento di tale suolo o sottosuolo; i) i rottami e i residui risultanti da operazioni manifatturiere e gli articoli fuori uso, sempre chè siano stati ivi raccolti e possono servire unicamente al recupero di materie prime; j) le merci ivi ottenute esclusivamente dalle merci di cui alle lettere da a) ad i) o dai loro derivati, in qualsiasi stadio essi si trovino» 7 Quando due o più Paesi hanno contribuito alla realizzazione di un prodotto, l’origine non preferenziale viene individuata sulla base del dettato dell’art. 24 in riferimento al luogo dove è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, mentre l’origine preferenziale viene determinata da disposizioni meno rigorose che sostituiscono la regola dell’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale con quelle dell’ultima “trasformazione o lavorazione sufficiente” fissate dall’Allegato 15 alle D.A.C e dagli allegati ai protocolli integrativi dei singoli accordi di associazione. In via generale, invece, l’art. 70 delle D.A.C individua le c.d. “lavorazioni o trasformazioni insufficienti” a conferire l’origine preferenziale, tra cui menzioniamo: a) le operazioni di conservazione per assicurare che i prodotti restino in buone condizioni durante il trasporto e il magazzinaggio; b) la scomposizione e composizione di confezioni; c) le semplici operazioni di imballaggio; d) l’apposizione o la stampa di marchi, etichette, logo o altri segni distintivi analoghi sui prodotti o sui loro imballaggi; e) il semplice assemblaggio di parti di articoli allo scopo di formare un articolo completo o lo smontaggio di prodotti in parti 8 Il previgente art. 5 del Reg. CEE n. 802/68 – il cui contenuto è stato poi fatto confluire nell’art. 24 C.D.C – ammetteva che l’etichetta “made in…” potesse essere apposta non solo sulle merci realizzate interamente in uno Stato membro, ma anche su quei prodotti più la cui ideazione, creazione, progettazione e montaggio fossero avvenuti in quello stesso Stato membro. Pertanto, qualora alcune fasi di minor rilievo della produzione del bene fossero state poste in essere al di fuori dei confini nazionali, non avrebbero reso illegittima la posizione della dicitura “made in…” come attestazione di origine 9 Per un’analisi approfondita dei Codici del 2008 e del 2013 cfr. F. ALBISINNI, op. ult. cit 10 Paragonando l’art. 35 del CDCA (poi CDUE) e l’art. 22 del CDC, si può notare come le prime due lettere a) e b) siano sostanzialmente uguali, mentre la lett. c) dell’art. 35 del CDCA (oggi dell’art. 59 del CDUE) ha un contenuto nuovo rispetto alla lett. c) dell’art. 22 del CDC. Infatti mentre l’art. 35 del CDCA si applica anche alle «altre misure comunitarie relative all’origine delle merci». Il CDC limitava espressamente l’ambito di applicazione delle proprie definizioni in tema di origine alle sole disposizioni, tariffarie e non tariffarie, applicabili nell’ambito di scambi di merci fra la Comunità e Paesi esterni. L’applicazione di queste disposizioni ad altri ambiti invece, come quello sull’origine dei prodotti alimentari a fini non doganali, poteva venire solo in seguito ad interpretazione estensiva oppure qualora ci fosse stato uno specifico rinvio contenuto in normative speciali relative ad alcuni prodotti. Si rimanda, ad esempio, al caso dell’olio d’oliva, per cui l’art. 3 par. 4 del Reg CE della Commissione n. 2815/98 del 22 Dicembre 1998. 11 G. LOVETERE – A. SGROI, Delocalizzazione all’estero di attività di mero assemblag-

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Da tutto ciò risulta evidente l’importanza dell’art. 39 per i produttori agroalimentari italiani, in quanto esso permette loro di sfruttare la rinomanza dell’indicazione geografica dell’Italia nell’ambito del mercato alimentare nazionale, europeo ma addirittura mondiale³⁰.

Gli autori sono responsabili delle opinioni espresse negli articoli e delle relative bibliografie

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gio, confezionamento ed etichettatura e tutela del made in Italy, in il fisco n. 32 del 5 Settembre 2005 richiamato da F. ANTONACCHIO, op. ult. cit art. 5 del Reg. CEE 802/68 del 27 Giugno 1968 al fine di stabilire l’origine delle macchine da scrivere realizzando componenti di origine giapponese ma assemblate a Taiwan. EUR-Lex - 61988CJ0026 - EN - EUR-Lex (europa.eu) Tra le operazioni indicate nell’art. 6 della Convenzione di Kyoto sono ricomprese: a) manipolazioni necessarie per assicurare la conservazione delle merci durante il trasporto o il magazzinaggio; b) manipolazioni dirette a migliorare la presentazione o la qualità commerciale dei prodotti o a condizionarli per il trasporto, come l’apertura dei colli, l’estrazione del contenuto e la suddivisione per voce doganale, il ricondizionamento dei colli; c) semplici operazioni di montaggio; d) miscugli di merci di origine diversa, purché le caratteristiche del prodotto ottenuto non siano essenzialmente differenti dalle caratteristiche delle merci che sono state mischiate R. FRANCO, L’etichettatura dei prodotti alimentari: il “luogo di provenienza”, il “paese d’origine”, la “sede dello stabilimento di produzione”, la “sede dello stabilimento di confezionamento”. L’anagramma di un problema senza fine, in Rivista di Diritto Alimentare, 2019, 4, pp. 27-54, in banche dati DoGi.it; A.VETTOREL, L’indicazione obbligatoria relativa al paese d’origine o al luogo di provenienza degli alimenti: quale informazione? in Rivista di diritto alimentare, 2014, 2 in banche dati DoGi.it; V. PACILEO, L’origine dei prodotti agroalimentari generici e la sua tutela sanzionatoria in Diritto agroalimentare, 2017, 2, pp. 401-428 in banche dati DoGi.it F. ALBISINNI, op. ult. cit. REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) 2018/ 775 DELLA COMMISSIONE - del 28 maggio 2018 - recante modalità di applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/ 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, per quanto riguarda le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento (europa.eu) Il Reg. 1169/2011 all’art. 2 par. 2 lett. q) Il Reg. 2018/775 della Commissione prevede, ad esempio, la possibile scelta alternativa tra criteri invece considerati non alternativi, o ancora stabilisce che i criteri di indicazione di origine di prodotti come frutta, vegetali o pesce che, come previsto dalle normative verticali di settore devono avere un preciso canone di origine non sostituibile con altri. F. ANTONACCHIO, op. ult. cit; S. D. ZANNINO, cit.; G. LAZZERETTI, La repressione penale delle false e fallaci indicazioni di provenienza sui prodotti industriali e la tutela del «made in italy» in Riv. dir. ind., fasc.2, 2008, in banche dati DeJure.it; G. FLORIDIA, La disciplina del “made in italy”: analisi e prospettive in Il diritto industriale n. 4/2010, IPSOA, in banche dati Pluris.it Il 10 Dicembre 2009 la Camera dei deputati ha infatti approvato (quasi all’unanimità) il disegno di legge c.d. “Reguzzoni -Versace”, dedicato proprio alla tutela del “made in Italy” per tale settore F. ANTONACCHIO, op. ult. cit; G. MANCA, G. COCCO e E. M. AMBROSETTI, Diritto penale dei marchi e del made in Italy, Wolters Kluwer, Assago, 2017; D. FALCINELLI, Il mercato economico segnato dal mendacio: la difesa penale dei prodotti industriali e la tutela del made in Italy in Beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche, Jovene, Napoli, 2014; S. D. ZANNINO, cit.; P. CIPOLLA, Art. 16 d.l. 25 settembre 2009, n. 135: il c.d. made in Italy 100% in Giur. merito, fasc.12, 2010, in banche dati DeJure.it; G. LAZZERETTI, cit.; G. FLORIDIA, cit.; F. CERIONI, L’enforcement della tutela del made in Italy in Il diritto industriale n. 1/2010, IPSOA in banche dati Pluris.it; C. GALLI, Marchi italiani e “made in Italy” in Il diritto industriale n. 6/2010, IPSOA in banche dati Pluris.it.; A. MADEO, Il delitto di false o fallaci indicazioni di provenienza od origine tra ambiguità sentenza3352del2005.pdf Cassazione, sent. III Sezione Penale 13712 del 14 Aprile 2005 D. FALCINELLI op. ult. cit.; G. MANCA, G. COCCO e E. M. AMBROSETTI op. ult. cit.; Per ulteriori approfondimenti cfr. D. FALCINELLI op. ult. cit.; G. MANCA, G. COCCO e E. M. AMBROSETTI op. ult. cit.; P. CIPOLLA, cit.; G. LAZZERETTI, cit.; G. FLORIDIA, cit.; F. CERIONI, cit.; C. GALLI, cit.; A. ARTOM, Le ultime iniziative legislative sul Made in Italy, in Rivista di Diritto Alimentare, 2009, 3, in banche dati DoGi.it; si segnalano due notevoli contributi in merito G. FLORIDIA, La “mini-riforma” della proprietà industriale Il testo dell’art.16 del d.l. 135/2009 V. la richiamata sentenza Cassazione 2 Febbraio 2005 n. 3352 Cfr. ad es. Cassazione 14 Aprile 2005 n. 17712 e Cassazione 23 Settembre 2005 n. 34103 Sul punto A. GERMANÒ – M.P. RAGIONIERI – E. ROOK BASILE, op. ult. cit e A. GERMANÒ, Manuale di diritto agrario, VIII ed., G. Giappichelli Editore, Torino, 2016 D.lgs. 30 Aprile 1998 n. 173 rubricato “Disposizioni normative sul marchio identificativo della produzione nazionale” art. 7 Ricordiamo l’art. 16 del d.l. 25 Settembre 2009 n. 135 precedentemente analizzato, la l. 8 Aprile 2010 n. 55 che ha previsto un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, stabilendo che sia permesso utilizzare l’indicazione “made in Italy” esclusivamente per quei prodotti finiti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e, in particolare, qualora almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore siano state seguite nel territorio con aggiunta tracciabilità verificabile per le fasi rimanenti In argomento A. GERMANÒ – M.P. RAGIONIERI – E. ROOK BASILE, op. ult. cit e A. GERMANÒ, op. ult. Cit


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