Questo libro è frutto del lavoro svolto da settembre 2012 nell’ambito della ricerca dal titolo “Le frontiere dell’innovazione tecnologica” (sigla bando RIC TD 01-2012). Si ringraziano per la collaborazione gli architetti Margherita Ferrari, Valentina Manfè e Chiara Trojetto, gli studi professionali, gli enti di ricerca e le istituzioni pubbliche e private che hanno cortesemente messo a disposizione il proprio materiale. In particolare: tutto il team dell’associazione culturale OFFICINA*. Inoltre si ringraziano: SPH Srl per il costante confronto e le occasioni di esperienza diretta in cantiere e produzione, l’ing. Eugenio Luzzu e l’ing. Simone Nardo per i calcoli strutturali, l’arch. Raffaella Reitano per le analisi igrotermiche e ArTec (Archivio delle tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale) per il costante supporto.
EdicomEdizioni Monfalcone (Gorizia) el. 0481/484488 fax 0481/485721 info@edicomedizioni.com www.edicomedizioni.com I testi e le foto sono stati forniti dagli autori © EdicomEdizioni Vietata la riproduzione, anche parziale, di testi,disegni e foto se non espressamente autorizzata dall’editore. Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e delle convenzioni internazionali. ISBN: 978-88-96386-44-6 Prima edizione: aprile 2015 Progetto grafico e impaginazione: Valentina Covre In copertina: Struttura in acciaio sagomato a freddo (SPH Srl) Stampa: PressUp – Roma Stampato interamente su carta riciclata ottenuta da fibre selezionate Con il contributo di: www.sistemacipa.it
PROGETTARE E COSTRUIRE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO MariaAntonia Barucco
EdicomEdizioni / architettura /
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Indice
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LIGHTWEIGHT STEEL FRAME
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1.1 Cenni introduttivi
1.2 Abaco
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02
ACCIAIO E INDUSTRIALIZZAZIONE EDILIZIA
23
2.1 Prouvè, sperimentazioni in Europa
2.2 Il sogno americano
39
2.3 L’oligopolio giapponese
51
2.4 Australia, terra di conquista
63
27
03
PROGETTARE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO
71
con Margherita Ferrari
3.1 Il profilo, elemento tecnico
> 3.1.1 Acciaio e protezione dalla corrosione
74
> 3.1.2 Modellare l’acciaio
78
> 3.1.3 La geometria delle sezioni
81
3.2 Il sistema costruttivo
> 3.2.1 Caratteristiche del sistema
86
> 3.2.2 Modellare l’acciaio
88
> 3.2.3 Modalità di connessione
91
3.3 Il telaio
> 3.3.1 Industrializzazione di processo
100
> 3.3.2 Cenni di predimensionamento strutturale
101
> 3.3.3 Messa in opera
112
73
85
98
6
04
CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
115
4.1 Isolamento acustico
> 4.1.1 Trasmissione del suono
118
> 4.1.2 Isolamento acustico delle pareti
120
> 4.1.3 Isolamento acustico dei solai
123
> 4.1.4 Isolamento acustico degli impianti
124
4.2 Isolamento igrotermico
> 4.2.1 Trasmissione del calore
129
> 4.2.2 Isolamento termico
131
> 4.2.3 Isolamento termico durante il periodo estivo
137
> 4.2.4 Permeabilità all’aria e all’acqua
141
> 4.2.5 Tenuta al vento
142
> 4.2.6 Barriera al vapore
143
4.3 Protezione al fuoco
118
129
146
05
EDIFICI
157
con Valentina Manfè
>> Magney House, Nuovo Galles del Sud (Australia), 1984
158
>> Maison Métal, Parigi (Francia), 2004
166
>> Villa Arjalas, Villeneuve-Iès-Avignon (Francia), 2004
176
>> PlusHome, Helsinki (Finlandia), 2005
184
>> Lingham Court, Londra (Regno Unito), 2005
194
>> Moho – Modular Living, Londra (Regno Unito), 2005
200
>> La Cité Manifeste, Mulhouse (Francia), 2005
210
>> Research Campus Point, Lecco (Italia), 2007
218
>> B.I.R.D., Brescia (Italia), 2009
226
7
>> Maison B, Saint-Gély-du-Fesc (Francia), 2009
234
>> Rock Reach House, Yucca Valley (Stati Uniti), 2009
242
>> Residenza privata, Pordenone (Italia), 2013
250
>> Recladding di edificio per uffici, Milano (Italia), 2014
256
>> Autodromo Kart, Adria (Italia), 2014
264
06
SCENARI DI INNOVAZIONE
273
con Chiara Trojetto
6.1 Sostenibilità
> 6.1.1 Una chiave di lettura per comprendere la complessità
275
> 6.1.2 Strumenti per la gestione della complessità
279
> 6.1.3 Le potenzialità insite nella complessità
282
6.2 Ciclo di vita
> 6.2.1 La produzione dell’acciaio
285
> 6.2.2 Le materie prime seconde
287
> 6.2.3 Gli edifici
288
6.3 Ecologia ed economia circolare
> 6.3.1 Progetto circolare dei materiali
293
> 6.3.2 Progetto circolare degli edifici
302
Bibliografia
310
Sitografia
315
275
285
293
01 LIGHTWEIGHT STEEL FRAME
11
CENNI INTRODUTTIVI 1.1
In architettura non è frequente descrivere un nuovo sistema tecnologico, un nuovo modo di sviluppare e considerare le correlazioni e gli aspetti tecnici tra le parti che costituiscono il sistema ambientale e, così, l’edificio1. Non è frequente perché nella pratica edilizia difficilmente entrano innovazioni radicali, in virtù delle quali si possa descrivere una nuova articolazione di elementi tecnici, pratiche costruttive, strategie progettuali e obiettivi. L’innovazione della componente materiale dell’architettura è più spesso figlia delle trasformazioni che delle rivoluzioni. Il sistema tecnologico che prevede l’impiego dei profili in acciaio sagomato a freddo (Cold Formed Steel, CFS) porta al progetto, la produzione e la messa in opera di telai leggeri (Lightweight Steel Frame, LSF) e l’evoluzione tecnica della produzione industrializzata consente di progettare edifici con lo stesso livello di dettaglio che si ha nel disegno industriale di oggetti prodotti on demand. Progettare edifici con strutture a telaio realizzate con acciaio spesso un millimetro (o poco più) non è usuale nel contesto italiano. Altrettanto nuovo è descrivere come sia possibile impiegare tale tecnologia, quali sono le pratiche consolidate e quali i confini d’innovazione sui quali fondare il proprio progetto. Per affrontare queste sfide è importante tener saldi quegli esempi, pochi, che hanno per primi in Italia mostrato le potenzialità del materiale e del processo progettuale che porta alla costruzione di un edificio in lightweight steel frame2. Ampliando il contesto di riferimenti, uscendo dall’ambito italiano, è possibile leggere le recenti evoluzioni di un quadro normativo europeo: strumenti per la progettazione e ambito di ricerca ingegneristica. Si trovano edifici che impiegano l’acciaio sagomato a freddo in abbinamento con legno, calcestruzzo armato e acciaio: le aste di CFS vengono sfruttate per la loro leggerezza, la precisa esecuzione e la semplice lavorabilità sia in stabilimento che in cantiere. I rimandi alle prime normative per il dimensionamento strutturale portano al
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confronto con le ricerche della Cornell University e i rendiconti degli istituti e dei consorzi di costruttori americani. Il confronto con il nuovo contesto economico dell’edilizia e alcune sue industrie forti, mostra come la costruzione in LSF possa ampliare il mercato e offrire una radicale innovazione nel modo di progettare. Lo studio del contesto storico smorza l’euforia di chi pensa di trovarsi al confronto con una profonda novità, una radicale trasformazione dei modi di costruire. Lo studio del contesto storico carica di consapevolezza e fonda le intenzioni di chi ha dinnanzi a sé la possibilità di impiegare una soluzione che non è solamente strutturale ma è tecnologica, di sistema. Un sistema che non è complesso nella lavorazione in cantiere ma che è raffinato nella preparazione in officina e innovativo per gli spunti che derivano dall’impiego di software avanzati, che consentono non solo la progettazione di un edificio nel luogo e per le esigenze espresse ma anche lo sviluppo dell’architettura più complessa, che è fatta delle relazioni con la nuova dimensione dell’ecocompatibilità, con la quale ogni realizzazione e produzione è chiamata a confronto. Il sistema LSF è frutto delle innovazioni incrementali: le prime lavorazioni del metallo a spessori sottili impiegate in architettura hanno sviluppato dettagli, hanno prodotto macchinari e hanno subito e sfruttato le contaminazioni con altri settori. Le rivoluzioni industriali hanno portato i progettisti e i pensatori a paragonare gli edifici ad automobili, ad aerei e a navi: si parla di industrializzazione edilizia e di progetti che gli architetti stessi riconoscevano come di rottura rispetto ad una prassi produttiva che, di fatto, non esisteva se non nell’artigianalità del cantiere. Il sistema LSF deve molto anche ai grandi sconvolgimenti della storia. La conquista del west ha costellato l’America di edifici in telaio di legno (balloon frame), tanto simile al telaio d’acciaio realizzato con profili leggeri. La ricostruzione postbellica giapponese ha consentito di sviluppare una prefabbricazione dell’edilizia che sta ancora innovando e ricercando i limiti delle costruzioni in acciaio sagomato a freddo. Il sistema LSF si offre alle innovazioni radicali del nostro tempo. Progettare con l’acciaio sagomato a freddo sposta il tempo dello sviluppo dell’architettura dal cantiere al progetto. La costruzione di un’architettura complessa non allunga i tempi di produzione delle aste o la messa in opera ma porta il progettista a sviluppare articolati sistemi di relazione e dialogo con le figure specialistiche necessarie a rendere altamente prestazionali gli edifici. Anche il confronto con gli utenti e i committenti può essere ampliato e i nuovi scenari di innovazione e sviluppo pre-
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figurati dalle ricerche mostrano come questo dialogo possa essere duraturo quanto e più del tempo di vita utile del costruito e possa coinvolgere molte più persone di quante vivranno o vedranno il nuovo edificio. 01. Struttura in acciaio sagomato a freddo. crdt. SPH Srl
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ABACO 1.2
Quello che viene presentato di seguito non è un dizionario tecnico che rende giustizia dei dettagli e della nomenclatura relativa all’acciaio sagomato a freddo, che tiene conto delle sue varianti e caratterizzazioni riscontrabili a livello internazionale. Tale quadro è amplissimo perché articolato non solo in relazione al contesto linguistico ma anche alla diffusione di prassi. In Italia non è ancora possibile definire una prassi nell’impiego del sistema LSF ma, in riferimento ai primi cantieri, alla letteratura e alle influenze del mondo anglosassone (ancora più di quello americano), si offre un abaco dei termini più impiegati in cantiere, nelle imprese di costruzione e negli studi di progettazione. È il lavoro dell’architetto tecnologo, che si fa interprete dei linguaggi appartenenti ad ambiti diversi, a contesti distanti (Manfron, 2000), e prova ad elencare parole e riassumere lavorazioni, senza proporsi come alternativa al linguista o essere cultore di etimologia3. Il fare materiale produce non solo architettura ma anche linguaggi. Anche questo dell’acciaio sagomato a freddo, con il tempo, diverrà un linguaggio specialistico, tecnico, preciso e dettagliato. Oggi è presto per descrivere i termini di questo abaco come la trascrizione di un linguaggio specialistico, è piuttosto un dialetto parlato da pochi, uno slang fatto di tradizionali prassi costruttive e influenze anglofone, parlato da chi lavora materialmente alla produzione di elementi tecnici e da chi progetta.
1. UNI 10838:1999 Terminologia riferita all’utenza, alle prestazioni, al processo edilizio e alla qualità edilizia (sostituisce le UNI 7867-1, UNI 7867-2, UNI 7867-3 e UNI 7867-4). 2. Il riferimento, fondamentale, è al lavoro di ricerca svolto dal prof. Sergio Russo Ermolli e dal prof. Landolfo, lavoro di ricerca che trova espressione anche nei volumi riportati in bibliografia al presente testo. 3. Lo sviluppo dell’abaco è frutto del lavoro (di cantiere, progetto e studio) dell’arch. Margherita Ferrari.
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ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO – CFS / Cold formed steel Prodotto ottenuto dalla lavorazione a freddo (pressopiegatura o profilatura) di elementi in acciaio (bobine, nastri, fili, lamiere). AGGRAFFATURA – Seaming Unione di due bordi di lamiera sottile attraverso la loro sovrapposizione e poi ripiegandoli doppiamente su sé stessi. ANIMA – Web Parte di un profilo C o di una generica sezione che collega le due flange. ARCHITRAVE – Lintel Elemento orizzontale del telaio (generalmente realizzato con due profile a C) posto sull’ampiezza di un’apertura di una finestra o di una porta, che trasmette i carichi lungo I profili del sistema stipite. BIM – Building Information Modelling Modello di progettazione e valutazione integrata di un edificio in ogni sua componente. BINARIO – Track Un profilo a U comunemente usato per la chiusura superiore e inferiore di un sistema di assemblaggio coi profili. BOBINA – Coil Nastro d’acciaio avvolto a spire su un supporto cilindrico. BRAMMA – Slab Semilavorato di acciaio a sezione rettangolare. BULLONE – Bolt Il bullone è un elemento di giunzione smontabile costituito da due parti meccaniche (vite e dado). CAD/CAM – CAD – Computer Aided Design; CAM – Computer Aided Manufacturing Integrazione dei software per definire la produzione degli elementi costruttivi e tecnologici in funzione del progetto.
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CHIODO A SPILLO – Pin Il chiodo è utilizzato per la connessioni tra elementi strutturali e di rivestimento: in altri casi viene impiegato come rinforzo a giunzioni preesistenti. CHIUSURA ANGOLARE – Clip angle Componente metallica a forma di L (normalmente formata con una curvatura di 90°), usato generalmente per connettere le anime o gli elementi del telaio insieme (montanti, traversi, travetti). CINGHIA PIATTA – Flat strap Lamiera tagliata con uno spessore specifico e senza curvatura. Le cinghie piatte sono generalmente utilizzate per il collegamento tra parete e solaio e trasferiscono i carichi dovuti alla tensione (vendono impiegate come controventi). CLINCIATURA – Clinching Sistema di assemblaggio tra due o più lamiere per deformazione plastica a freddo delle stesse, la deformazione è prodotta dall’interazione di una matrice e di un punzone. CONTROVENTAMENTO – Bracing Rafforzamento della struttura per assorbire gli sforzi che porterebbero alla torsione degli elementi del telaio (montanti o traversi) e per controllare la tensione di snervamento (carico direzione diagonale) dell’elemento sul proprio piano. DIAGONALE (o controvento) – Diagonal Tirante o puntone posto in diagonale rispetto al telaio su cui viene applicato, ha funzione di controventare il sistema e resistere alla torsione degli elementi (montanti e traversi). FLANGIA – Flange Parte di un profilo a C perpendicolare all’anima del profilo stesso. IRRIGIDIMENTO CON PROFILO – Bearing stiffener / Web stiffener Porzione di profilo applicata all’anima per irrigidire, impiegata soprattutto nei punti di collegamento. LABBRA – Lip Parte del profilo a C che si estende dall’ala all’apertura. Le labbra accrescono
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rigidezza e resistenza del profilo. LAMIERA – Plate Lastra di materiale metallico ottenuta con laminazione plastica a caldo attraverso laminatoi. MONTANTE – Stud Profilo a C o a U (spesso irrigidito) utilizzato come elemento verticale per sostenere la parete. MONTANTE DELLO STIPITE – Jack stud Montante posto sulle cornici dell’apertura su cui scarica l’architrave. MONTANTE DI RINFORZO – King studs Elemento strutturale del telaio e parte del sistema stipite (jamb stud), viene posto in corrispondenza delle aperture (finestre e porte) e affianca l’ultimo montante del telaio in corrispondenza dell’apertura per tutta la sua altezza. MONTANTE RIDOTTO – Cripple stud Elemento strutturale del telaio e parte del sistema stipite, generalmente posizionato tra l’architrave e l’intradosso superiore, tra il davanzale e il travetto sottostante, o tra un binario superiore e l’architrave di un’apertura. Funge anche da supporto per i pannelli o altri materiali da rivestimento. NASTRO – Strip Prodotto metallurgico di sezione sottile ottenuto per laminazione. PRESSOPIEGATURA – Press bending Lavorazione a freddo della lamiera tramite la macchina pressopiegatrice. PROFILATURA – Cold rolling Lavorazione a freddo del nastro tramite la macchina profilatrice, composta da una specifica sequenza di rulli che definiscono l’esatta geometria della sezione. PROFILO C – C-section / C-shape Elemento in acciaio sagomato a freddo descritto in base alla forma della sua sezione trasversale: a forma di C, con labbra. Data la sua forma viene generalmente utilizzato per la realizzazione di montanti.
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PROFILO DI CHIUSURA – Closure channel Una sezione di binario che è posizionata sul bordo, perpendicolare ai margini dei travetti del solaio e connessa ad ognuno di essi. PROFILO U – Channel Elemento in acciaio sagomato a freddo descritto in base alla forma della sua sezione trasversale: a forma di U, senza labbra o staffe di irrigidimento. Si veda “Binario” (track). PUNZONATURA – Punching Foratura tramite la pressione di un punzone, per la realizzazione di passaggi per elementi di connessione e impianti. RIVETTO – Rivet Connessione meccanica non smontabile che serve alla giunzione di due o più parti in acciaio, e può essere disassemblato solo distruggendo il rivetto stesso. ROMPITRATTA – Header joist Un elemento singolo, ripiegato (built-up), oppure un elemento reticolare utilizzato per realizzare aperture nel telaio del solaio. I travetti di testa sono perpendicolari all’orditura e sono a supporto dei traversi più corti. SCATOLARE – Box in the box Disposizione di profili incastrati l’uno nell’altro. Soluzione impiegata per realizzare una sezione più resistente di quella di un singolo profilo, senza però aumentarne le dimensioni geometriche (come invece avviene nel caso della disposizione schiena-contro-schiena). Parlando di pareti e non di profili il termine box in the box può essere impiegato anche per descrivere una soluzione che prevede la messa in opera di una controparte (andando così a realizzare una prima intercapedine tra i montanti in CFS e una seconda intercapedine tra i montanti posti in opera per la posa dei pannelli in cartongesso). SCHIENA CONTRO SCHIENA – Back-to-back Disposizione di profili anima-conto-anima e loro collegamento per tutta la lunghezza: questa soluzione permette di realizzare una sezione più resistente di quella di un singolo profilo. SISTEMA A MODULI – Volumetric / Pod Unità tridimensionali realizzate in officina mediante l’assemblaggio di aste e
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pannelli e poi trasportate in cantiere con le dovute protezioni. SISTEMA A PANNELLI – Panel Telaio (parete, pannelli) realizzato in officina mediante l’assemblaggio di aste e trasportato in cantiere con le dovute protezioni. SISTEMA A PARETE CONTINUA – Balloon frame Sistema di realizzazione di un edificio che prevede le posa in opera di telai o aste continui, il collegamento del solaio avviene al lato interno della struttura. A causa della snellezza delle aste e dei pannelli, in relazione all’altezza della parete, a volte risulta necessario l’utilizzo di strutture di supporto. SISTEMA A PARETE INTERROTA – Platform frame Sistema di realizzazione di un edificio che prevede le posa in opera di telai o aste interrotti all’altezza di ogni solaio. Il collegamento tra le aste e i telai sovrastanti con quelli sottostanti avviene attraverso il solaio. SISTEMA AD ASTE – Stick-built Sistema di realizzazione di un edificio che prevede l’impiego in cantiere di aste in acciaio sagomato a freddo. SISTEMA PARETE – Wall studs Sistema di realizzazione di un edificio che prevede l’impiego in cantiere di telai-parete realizzati in officina (vedi “sistema a pannelli”). SISTEMA SOLAIO – Floor system Sistema di realizzazione di un edificio che prevede l’impiego in cantiere di telai-solaio realizzati in officina (vedi “sistema a pannelli”). SISTEMA STIPITE – Jamb stud Assemblaggio di jack stud e king stud per la realizzazione della cornice di un’apertura nel telaio (vedi “montante dello stipite” e “montante di rinforzo”). TAGLIO DELL’ANIMA – Nogging notch Taglio realizzato per permettere il passaggio di un profilo attraverso l’altro. TAGLIO DELLE LABBRA – Lips notch Taglio realizzato per permettere un più agevole alloggiamento di un profilo all’interno dell’altro.
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TELAIO IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO – LSF / Lightweight steel frame Telaio realizzato mediante la connessione di differenti profili in acciaio sagomato a freddo. TRAVERSO – Joist Profilo orizzontale impiegato all’interno del sistema parete per stabilizzare i montanti e mantenere invariato il loro interasse in caso di deformazione. TRAVETTO DEL SOLAIO – Floor joist Elemento orizzontale a C che utilizzato, sul piano orizzontale, per realizzare l’assemblaggio del solaio. TRAVETTO DI COPERTURA – Ceiling joist Profilo orizzontale strutturale del telaio che contrasta i carichi del soffitto e del sottotetto. VITE (AUTOPERFORANTE/AUTOFILETTANTE) – Screw (Self-drilling screw/Self-piercing screw) Elemento costituito da un gambo con filetto elicoidale e una testa per consentire la manovra dello stesso. La vite può essere auto-perforante, ovvero che non necessita di un foro d’invito ma fora direttamente l’elemento, oppure anche auto-filettante, cioè una vite che genera la filettatura nel foro predisposto in cui viene applicata.
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02. Fotografia di cantiere. crdt. MariaAntonia Barucco
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02 ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO E INDUSTRIALIZZAZIONE EDILIZIA
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Gli impieghi più antichi del metallo appartengono ad ambiti differenti da quelli dell’edilizia, le lavorazioni erano al servizio dell’attività bellica e di una primordiale “industria del lusso”: le prime prove di uso del ferro avvengono tra i Sumeri e gli Ittiti che, già 4000 anni prima di Cristo, lo usavano per piccoli oggetti come punte di lancia e gioielli. Questi erano ricavati dal ferro contenuto nelle meteoriti e proprio da ciò deriva il termine “siderurgia”, la lavorazione dei metalli: poiché le meteoriti cadono dal cielo, gli antichi chiamarono sider la lavorazione del ferro o, meglio, delle “stelle il ferro”. L’impiego dell’acciaio nelle costruzioni si afferma a seguito della rivoluzione industriale. Era infatti mutata la condizione sociale, demografica, politica e finanziaria, ciò in correlazione con l’accresciuto interesse per le discipline scientifico-matematiche e le nuove esigenze tecniche nel campo delle costruzioni, dei trasporti e dell’industria. I primi impieghi della ghisa e, successivamente, del ferro servirono a rispondere ad esigenze costruttive in termini di spazio e di portata, per la realizzazione di ponti o l’installazione di macchinari nelle filande. I primi elementi in metallo venivano realizzati ed impiegati artigianalmente, secondo criteri puramente intuitivi, senza una conoscenza teorica approfondita delle prestazioni del materiale né tanto meno dei metodi di calcolo che saranno sviluppati, in seguito, la scienza delle costruzioni. Molto si deve alle esperienze degli innovatori, al lavoro degli architetti e degli ingegneri che si sono dedicati a redigere manuali e disegni tecnici, a sviluppare macchine per la lavorazione del metallo e a costruire prototipi per la diffusione dell’impiego dei metalli nelle costruzioni. Una grande spinta all’innovazione è data anche dalla contaminazione preveniente da altri settori, specialmente bellico, automobilistico e aeronavale. In alcuni periodi e ad opera di figure di spicco questo dialogo tra ambiti tecnici differenti è stato il vero motore per l’innovazione o l’evoluzione della lavorazione delle lamiere sottili in acciaio.
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Il presente capitolo non offre una storia delle lavorazioni metalliche ma fissa alcuni punti nella storia della lavorazione dell’acciaio a spessori sottili. Ăˆ una raccolta di lavorazioni artigianali, processi industriali, scelte politiche, direttive nazionali e spunti di riflessione utili a cominciare lo studio della storia della lavorazione dell’acciaio sagomato a freddo. 01. Acciaio fuso. crdt. Paolo Andreetta
02 · ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO E INDUSTRIALIZZAZIONE EDILIZIA
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PROUVÉ, SPERIMENTAZIONI IN EUROPA 2.1
Il mestiere di fabbro fu per Jean Prouvé una vocazione, figlio di uno dei fondatori dell’École de Nancy (Alleanza provinciale delle industrie d’arte), la sua passione inizia all’età di 10 anni quando utilizza gli attrezzi del padre per forgiare l’acciaio, trasformarlo e aggiustarlo. A sedici anni le difficoltà finanziarie non gli permettono di prepararsi per gli studi di ingegneria e viene mandato a Enghien e affidato ad Emille Robert, un artigiano esperto del ferro battuto, e poi dall’ungherese Adalbert Szabo, a Parigi. Questi due maestri praticavano un mestiere tradizionale, cercando di preservare le antiche e difficili tecniche della saldatura a fuoco e della forgia, allora “a rischio di estinzione” vista la diffusione dell’impiego, semplice, del cannello ossidrico. Jean Prouvé prova ad avvicinarsi alla Scuola di Nancy, attiva dal 1901 come scuola di Beaux Arts, ma tale istituzione era ancora distante dall’inserire nel programma di studi le tecniche della lavorazione dei metalli. In questa occasione e al Congresso dell’Arte della Scuola del 1914, Prouvé constata il persistere di una forte scissione tra i ruoli dell’artista, dell’artigiano e dell’operaio. Dal 1928 Prouvé impiegò i primi apparecchi per la salatura elettrica e, due anni dopo, la scoperta delle nuove lavorazioni della lamiera piegata lo portano ad interessarsi all’edificio e ai suoi componenti. Queste innovazioni, in particolare l’uso della lamiera, portarono Prouvé a pensare da progettista, architetto e politico. La continua ricerca del principio costruttivo in rapporto con le qualità meccaniche proprie dei materiali guidano Prouvé a innovare senza interruzione e a considerare questa ricerca come un principio assoluto del suo operato. Per rendere la modernità accessibile ai più era, secondo lui, possibile sfruttare la precisione della lavorazione industriale e, per evitare la ripetitività della produzione seriale, l’industrializzazione doveva dedicarsi alle parti e alle piccole parti del costruito, in modo tale da garantire la variabilità del progetto grazie all’assemblaggio di un grande numero di diversi elementi. Le ricerche
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di Jean Prouvé si legano a certe esperienze fatte in Germania all’interno della Bauhaus. Gropius criticava i sistemi di prefabbricazione che mirano a moltiplicare la casa nel suo insieme invece di produrne in serie le parti componenti. L’offerta di abitazioni realizzate in serie, tutte uguali l’una all’altra, non si accordava con l’idea di architettura di Gropius e di progresso tecnologico che Prouvé sviluppava nel suo atelier. In questa direzione vanno gli studi sugli alloggi che, in quell’epoca, venivano svolti da molti progettisti in tutto il vecchio mondo. Probabilmente molti dei disegni e degli studi di Prouvé sono influenzati, se non orientati, verso l’ottenimento della massima economia nella costruzione al fine di poter risolvere, sia pure ad un livello minimo d’esistenza1, il problema delle abitazioni nel periodo della ricostruzione postbellica. Anche Le Corbusier si interessava al problema dell’alloggio minimo2, ma egli non si rifà alla tradizione nazionale, né ai modelli più recenti proposti dagli inglesi: si rivolge direttamente alla realtà industriale o, più precisamente, al mondo della macchina, fatto che lo avvicina a Prouvé. Una delle sue prime realizzazioni è la casa Cirtrohan, casa concepita come un auto e realizzata come la cabina di una nave, in cui “la forma artistica è il risultato logico del problema bene impostato: i piroscafi e gli aerei, la cui forma corrisponde esattamente alla funzione, sono belli come il Partenone” (Argan, 1970). La quantità di alloggi richiesti e le costrizioni economiche conseguenti la fine della seconda Guerra Mondiale erano punti fondamentali per orientare lo sviluppo del settore edile e, secondo Prouvé, la lavorazione della lamiera in acciaio poteva essere una risposta. Tale idea si fonda, in primo luogo, sulla spinta economica data dalla legge del ministro Louis Loucheur3 (legge del 5 dicembre 1922 modificata il 13 luglio 1928) per la riorganizzazione dell’HBM (Habitations à bon marché) che “imposta un programma finanziario quinquennale per la realizzazione di 260.000 alloggi economici con il concorso dello Stato ed indica nell’industrializzazione dell’edilizia la via da seguire” (AA.VV., 1965)4. Nel 1929, inoltre, si svolse il secondo congresso del CIAM, dedicato alla definizione del concetto di alloggio minimo5 come punto di partenza per lo sviluppo dell’edilizia sovvenzionata. In questo contesto Prouvé pensa alla prefabbricazione dei componenti edilizi, pensa che i progressi sociali e i progressi tecnici siano legati ad un’idea di modernità che può identificarsi con la lotta continua per la ricerca di una novità autentica e sostanziale. Dall’altro lato, la frase “è troppo moderno per noi”, pronunciata dalla direzione della Citroën quando gli fu presentato il progetto di Prouvé per la nuova sede, è emblematica di una certa concezione industriale francese dell’epoca: modernizzare l’automobile sì, l’architettura no.
02 · ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO E INDUSTRIALIZZAZIONE EDILIZIA
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02. Un’immagine dell’archivio Vitra che ritrae Jean Prouvé davanti ai moduli di facciata realizzati in lamiera per la Maison Tropicale.
Nel 1930 Prouvé comincia a progettare gli impieghi della lamiera piegata ancora prima di disporre di una piegatrice che, con l’aiuto di un amico ingegnere, trova e sviluppa nei laboratori dei calderai e dei lattonieri. Tra i primi oggetti realizzati in lamiera piegata vi sono plafoniere e appliques murali ottenute dall’abbinamento di lamiera di acciaio e di lastre di vetro opaco; di grande fortuna furono soprattutto le sedie fabbricate in occasione dell’esposizione dell’Unione degli Artisti Moderni (UAM) del 1930 (organizzazione di cui fa parte anche Prouvé).
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A cavallo tra gli anni ’20 e gli anni ’30 Prouvè progetta anche numerose cabine per ascensore, prese spunto dall’industria automobilistica che impiegava sistemi avanzati per la deformazione delle lamiere. Nella Cité dell’Information, progettata dall’architetto Burgon, gli ascensori sono costruiti come dei chioschi tridimensionali, dei piccoli edifici per i quali Prouvé realizza due cabine indipendenti in lamiera di alluminio piegata (presumibilmente mediante il processo di curvatura a cerniera). Le pareti esterne sono il luogo per la sperimentazione della lavorazione tramite laminazione, soluzione che Prouvé utilizzerà in futuro per la realizzazione della facciata dell’edificio della Federation du Batiment a Parigi (1949), per il progetto di Bron Parilly6 (con l’architetto Gosce) e per la costruzione di casa Alba (1952). 03. Brevetto di Jean Prouvé per un sistema di pareti divisorie in metallo con elementi intercambiabili. È il brevetto numero FR721105A del 1931.
Un ulteriore studio lo porta, nel 1931, al brevetto n. FR721105A: un sistema di pareti divisorie in metallo con elementi intercambiabili. Tutti i componenti (montanti, pannelli, pareti mobili e finestre) sono ottenuti con la deformazione della lamiera all’interno di stampi che vengono movimentati e controllati con dei calibri7. Il montante modulare è costituito da un profilo a cappello piegato a freddo con, nell’estremità superiore, un punzone con una molla a spirale. I pannelli pieni sono composti da due lamiere smussate e ripiegate su di un pannello isolante. Nello stesso periodo le officine Prouvé realizzano anche balaustre e parapetti per scale, impiegando anche l’acciaio inossidabile lucidato. Probabilmente tali elementi sono ottenuti attraverso processo di laminatura circolare su montanti realizzati mediante l’uso di uno stampo, riempiti di piombo e curvati. Anche le lamiere impiegate per la realizzazione della facciata del grande magazzino Jille le Font sono realizzate mediante un processo di tripla rullatura, in cui la
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lamiera viene più volte fatta passare attraverso dei rulli che la deformano. Queste ricerche portano, nel 1935, alla messa a punto di un metodo per deformare lamiere d’acciaio inossidabile molto sottili (circa 6/10 mm), con questo procedimento sono stati ottenuti alcuni elementi della Casa del Popolo e del mercato coperto di Clichy (1935-39). Il primo edificio viene ricordato per gli elementi del controsoffitto, i montanti della chiusura verticale vetrata e alcune porte interne girevoli. Il mercato monta le lamiere bombate come pannelli per la realizzazione della facciata; Prouvé disse che “oggi questa bombatura delle lamiere potrebbe sembrarci un po’ strana: essa comunque allora non risultava orribile, era addirittura molto divertente perché la luce vi creava sopra strani giochi. Oggi, naturalmente, si utilizzerebbe una lamiera piana su una sottostruttura ma allora questa possibilità non c’era e quindi non dovevamo scovare una specie di illusione” (Sulzer, 1991). 04. Brevetto di Jean Prouvé numero FR721105A del 1931: la soluzione d’angolo.
Queste tecniche di lavorazione della lamiera sono impiegate per il progetto della stazione degli autobus della Citroën (mai realizzata), la casa per vacanze BLPS (1937-38) e alcune case popolari a Saint-Jean-de-Maurienne (1954). Anche l’edificio per il Club dell’Aviazione Ronald Garros di Buc prevede l’impiego di lamiere simili, risale agli anni tra il 1930 e il 1935 ed è stato progettato dagli architetti Beaudouin e Lods: è stato interamente prodotto, componente per componente, struttura per struttura, nell’atelier di Prouvé. Era il 1939 quando Prouvé ottenne il brevetto n. 669430 per porte ed intelaiature: la lamiera veniva deformata da una macchina inventata appositamente che, oltre a piegare il metallo, lo fissava ad una sotto-struttura realizzata con elementi in legno (lo sviluppo di tale progetto porta alla produzione di elementi per ufficio per la Shell).
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05. Brevetto di Prouvé per l’a piegatura di lamiere su pannelli di legno, è il brevetto numero FR717866A.
Nello stesso anno, con il brevetto n. 849762, Prouvé sviluppa un principio costruttivo per edifici smontabili attraverso l’utilizzo di elementi composti da lamiera di acciaio piegata a stampo e saldata. Questa lavorazione, durante il periodo della guerra, consente la realizzazione di una serie di progetti con l’architetto Pierre Jeanneret: le casa Meudon e la cosiddetta “Casa per i Tropici”. 06. La Maison Tropicale di Jean Prouvé, progetto del 1950 per le colonie africane. Questa immagine è scattata a Londra, davanti alla galleria Tate Modern. crdt. Jim Linwood
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La qualità dei prodotti che uscivano dai brevetti e dai macchinari di Prouvé doveva combinare la tripla sollecitazione legata ai risultati della ricerca, ai processi di produzione e alle esigenze dell’economia. Prouvé ha una concezione dell’architettura fondata su questa trinità, concezione che prende forma nel suo atelier, vero e proprio fulcro attorno al quale si maturano le idee, i progetti e gli elementi costruttivi di ogni opera. La posizione di Prouvé in merito all’industrializzazione della costruzione è precisa: la combinazione di vari elementi deve consentire la realizzazione del maggior numero di progetti possibili. Henry Ford nel 1909 diceva che “ogni cliente può ottenere una Ford T colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero”8 e all’epoca era difficile pensare che, nel tempo, la tecnologia avrebbe consentito di produrre innumerevoli pezzi industrializzati tutti diversi l’uno dall’altro. Assieme ad altri costruttori Prouvé definisce l’innovazione tecnica come il mezzo privilegiato per rispondere ad una domanda abitativa che mai nella storia era stata così grande. A questo proposito Marcel Lods, nel gennaio 1946, scrive: “si tratta semplicemente di sapere se alla costruzione (architetti, ingegneri, capisquadra, operai) va di modificare in ogni sua parte la maniera di procedere e concepire le case disponendo di mezzi nuovi o si ostinerà, al contrario, a rifiutare l’evoluzione, anteponendo uno o più pretesti che continuano a ripetersi dopo la guerra: •
Tradizione (il che è falso perché la tradizione è cosa vivente);
•
Gusto francese (questo non è meno contestabile, per convincersi è sufficiente guardare alla periferia parigina);
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Mancanza di mezzi, mancanza di tempo, mancanza di carbone, ...” (Marcel Lods, Le problème: produire industriellement les batimens, dessiner le pays, Techniques et Architecture, série 17, n.5, novembre 1957, pp.68-81).
Dopo il 1945, alla fine della guerra, Jean Prouvé lanciò un appello che non fu ascoltato: fabbricare alloggi attraverso sistemi a catena di montaggio che impiegassero le nuove tecnologie per la lavorazione delle lamiere. La produzione seriale di componenti per l’edilizia poteva essere impiegata per la realizzazione dei grandi interventi di ricostruzione postbellica. Così non accadde e le cause vanno individuate nell’industria edilizia, lenta a recepire l’innovazione, ma soprattutto nelle scelte politiche nazionali: la questione dell’alloggio non è solamente un problema tecnico ma è anche una questione di indirizzo nazionale e la Francia scelse di privilegiare ed orientare le moderne tecniche di industrializzazione, come quelle della piegatura delle lamiere, verso l’industria automobilistica e non quella edilizia. Le lamiere di Prouvé vennero impiegate per la realizzazione di prototipi (re-
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alizzati in pochi esemplari) e per piccole case economiche. Viene impiegato principalmente il brevetto n. 865235 del 1941, un principio costruttivo di edificio smontabile con struttura portante in lamiera d’acciaio stampata in combinazione con pannelli di legno: vengono realizzate così alcune case per vacanze ad Onville e delle baracche militari. 07. Immagini dal brevetto di Prouvé per la costruzione di edifici plurifamiliari in struttura mista: vani scale e servisi in calcestruzzo e solai e tamponamenti in lamiera d’acciaio. Brevetto depositato da Prouvé il 31 marzo del 1971 e registrato con il numero FR2131866A1.
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Prouvé riteneva che, impiegando la lavorazione a freddo delle lamiere in ambito edilizio, lo Stato avrebbe rapidamente aumentato il numero di alloggi disponibili per gli sfollati della guerra: Prouvé sottolineava come la produzione di massa di alloggi fosse più utile di quella di automobili. La storia è testimone di queste politiche: la Renault, fondata tra il 1898 e il 1899, è una delle più note case automobilistiche francesi, pochi anni dopo la sua fondazione subì la concorrenza della Citroën (fondata nel 1919). Durante la seconda Guerra Mondiale, Renault esportò automezzi in Germania e, al termine del conflitto, venne nazionalizzata9. Nel gennaio del 1945, la Renault divenne un’industria pubblica (conosciuta come Régie Nationale des Usines Renault) e, affidata alla direzione di Pierre Lefaucheux, impiegò molta della forza lavoro disoccupata alla fine del conflitto bellico. Per Prouvé vi era una questione etica alla base dell’idea di montare una casa in tre giorni (come un’automobile) e trovava sbagliato continuare ad impiegare un anno per costruire la stessa casa con i metodi secondo lui desueti, vivendo un periodo storico in cui tanti esseri umani erano alla ricerca di un tetto. La tecnica ideata da Prouvé era pronta ed erano disponibili vari prototipi di elementi costruttivi con i quali si potevano realizzare alloggi secondo le indicazioni del CIAM10. Queste soluzioni avevano certamente un costo iniziale da coprire, un costo dovuto all’investimento in innovazione e nella formazione del personale ma, cercando l’appoggio della committenza pubblica, Prouvé era convinto che la messa in pratica di simili soluzioni avrebbe dato una valida risposta alla necessità di alloggi che stava diventando imperativa dal momento in cui la costruzione tradizionale non era più in grado di stare al passo con la domanda. Nel marzo del 1945 non si ricorda solo la nazionalizzazione della Renault ma anche l’Assemblea Consultativa presieduta dal generale De Gaulle, presidente del Governo provvisorio, assemblea in cui fu relatore il Ministro della Ricostruzione e dell’Urbanizzazione (MRU). L’obiettivo dell’incontro era definire i finanziamenti statali alla ricostruzione. Purtroppo, anziché avviare subito i cantieri, lo Stato cercò di affrontare la questione dal punto di vista burocratico, con il risultato che solo cinque anni dopo, nel 1950, si avviarono le prime “grandi costruzioni”. Oltre alla riduzione dei territori agricoli in favore di quelli urbani, si assistette alla vittoria della prefabbricazione pesante del calcestruzzo sulla prefabbricazione delle lamiere auspicata da Prouvé. La lavorazione del cemento armato garantiva di impiegare in cantiere di un alto numero di operai che non necessitavano di una specifica formazione e, come accadde anche in altri Paesi11, allo Stato questa parve una soluzione ideale per aumentare i posti di lavoro e organizzare un ciclo virtuoso in cui sono gli
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operai stessi a realizzare le case per gli operai. Anche alla luce delle scelte per il rilancio dell’economia francese, Prouvé non smise di perseguire i suoi obiettivi: nel 1951 elaborò il progetto di un immobile in cui la prefabbricazione era mista, sia in acciaio che in calcestruzzo. Le gabbie delle scale, realizzate in cemento, avevano funzione di controvento per tutto l’edificio, i solai erano in acciaio e cemento e le facciate erano in pannelli in alluminio. La prima operazione, in cantiere, doveva essere l’elevazione dei vani scala, i blocchi dei sanitari andavano montati in addossamento a questi. Successivamente di sarebbe dovuta montare la carpenteria metallica per la realizzazione del solaio del primo piano e poi procedere in questo modo per il secondo, terzo e quarto piano sino a realizzazione dell’immobile. Il lavoro di Prouvé, al di là della sperimentazione acciaio-cemento e delle scelte del Paese, orientate allo sviluppo dell’industria automobilistica, dimostra la maturità dell’industria e la presenza di un certo mercato incuriosito alla realizzazione di edifici in lamiera. 08. Brevetto numero FR1065839A per facciata in lamiera metallica sagomata a freddo depositato da Prouvé il 3 novembre del 1952.
Grazie ad un altro metodo di lavorazione, l’estrusione della lamiera12, Prouvé realizza gli elementi tiranti della facciata del Padiglione Espositivo per il centesimo anniversario dell’alluminio, anniversario festeggiato in Francia nel 1954: due parti al L venivano unite da una saldatura elettrica, ne risulta un profilo a T, elemento simbolo della relazione tra la Compagnia Industriale dei Materiali di Trasporto (CIMT) e Prouvé. Le facciate continue erano formate da uno scheletro e un rivestimento e quest’ultimo poteva essere agganciato e sganciato per assecondare ogni esigenza di trasformazione dell’edificio o del suo involucro.
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Le delusioni legate alle politiche per la ricostruzione postbellica e la collaborazione con la ditta Giungi portarono Prouvé ad una sempre più stretta collaborazione con CIMT, allora specializzata nella produzione di vagoni ferroviari. Da questa collaborazione nacque, nel 1957, un reparto di costruzione diretto da Prouvé e che incorporava anche la ditta Giungi; in questo periodo e in questo luogo vennero realizzati numerosi progetti, tra i quali il prototipo della casa Sahariana (1958), piccole costruzioni per ostelli, Club per persone 09. Un disegno di Jean Prouvé risalente al 1952: un pannello finestra per facciata. crdt. arch. dep. meurthe-etmoselle, fonds des ateliers © SCE jean prouvé
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anziane, distributori di benzina e diverse soluzioni per facciate continue. In particolare deve essere ricordato il sistema di facciata brevettato nel 1958 con il numero 1163238 che, con una serie di modifiche e sviluppi successivi, venne impiegato per la realizzazione di edifici scolastici (a Bagnol-sur-Sese, Leavre), di fabbricati industriali e di uffici, di edifici per università (la tecnica Insa a Lione) e di edilizia residenziale. Per Prouvé il progetto doveva consentire di arrivare all’oggetto finito nel minore tempo possibile e il progettista doveva seguire da vicino le fasi di realizzazione (e della costruzione). Attraverso queste fasi il ragionamento in merito alle resistenze delle lamiere era fondamentale, andava sempre considerato il limite degli sforzi a cui può essere sottoposta la materia di cui è fatto ogni oggetto o grande edificio. In questo percorso, dal progetto alla realizzazione, Prouvé rifiuta l’estetica intesa in termini convenzionali, egli riteneva che il metodo industriale potesse fare da garante nella ricerca del raggiungimento della bellezza funzionale. Se la materia non tollera gli sforzi per la realizzazione del progetto significa che il progetto non è bello, d’altro lato, seguendo la realizzazione dell’oggetto da vicino in tutte le fasi della sua produzione, il costruttore può comprendere e guidare la trasformazione da schizzo a oggetto: deve prestare attenzione al processo al fine di accettare le modifiche che sono utili ad assecondare gli sforzi della materia ma, allo stesso tempo, tali modifiche devono essere guidate ed eventualmente rifiutate se si dovesse riscontrare la distruzione della concezione iniziale.
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IL SOGNO AMERICANO 2.2
Il 4 settembre 1948, nella città di Columbus (Ohio), la Lustron Corporation, di Carl Strandlund, inizia la produzione di abitazioni con struttura in acciaio sagomato a freddo e rivestimento in acciaio porcellanato. Alla fine della seconda guerra mondiale la Lustron promosse una linea di edifici prefabbricati, descritti come sicuri dal punto di vista della resistenza al fuoco, adatti agli stili di vita nuovi, facili da pulire: l’obiettivo non era solo proporre case per le immediate esigenze del dopoguerra ma anche alzare il livello di qualità degli edifici per la middle-class americana “combinando la bellezza della porcellana con la forza dell’acciaio”. Il prezzo delle case era inferiore ai 10.000 dollari (in linea con il costo degli edifici convenzionali), ogni casa era composta da più di 3000 pezzi e, nei periodi di picco della produzione, la fabbrica Lustron consumava più energia dell’intera città di Columbus. 10. Components of a Lustron Prefabricated House, Columbus, Ohio, 1949 (scanned postcard). crdt. photograph by Arnold Newman; copyright 1984 Arnold Newman; also copyright Fotofolio.
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Con un iniziale appoggio del governo federale, le case Lustron ebbero l’approvazione per i programmi di rimpatrio dei veterani di guerra: i modelli prevedevano due o tre camere da letto ed erano disponibili in sei colori, il garage era un optional. La Lustron Corporation ricevette ordinativi dal governo per 20.000 abitazioni e un finanziamento di 37,5 milioni di dollari (in sussidi federali): nel 1950 la Lustron Corporation chiuse per bancarotta. La storia dell’acciaio sagomato a freddo in America è diversa dalla storia europea: Prouvé cercava l’appoggio statale per l’avvio della produzione industriale di alloggi a basso costo, in America l’approccio è intriso di etica protestante e spirito capitalistico. La storia della Lustron Corporation viene descritta oggi tra le “Modern Metal Marvel” dell’America del dopoguerra, le poche case Lustron ancora in piedi vengono oggi restaurate da gruppi di appassionati e amanti di questa che è ormai considerata un’icona del 20° secolo. Ma sono altre le storie (e i fallimenti) che raccontano dell’innovazione, dell’industrializzazione edilizia e che consentono di intravvedere un (più roseo) futuro per il impiego del sistema LSF. Tra i più noti fallimenti imprenditoriali ci sono certamente quelli di Walter Gropius e di Konrad Wachsmann: il General Panel System nel 1940 e il Packaged House System nel 1942. Uno l’evoluzione dell’altro, sono sistemi costruttivi utili a trasformare la casa di legno da prodotto artigianale a prodotto industriale. Non più aste di legno grezzo (utili per la realizzazione delle case balloon frame) ma pannelli giuntati tra loro. I disegni di Wachsmann mostrano i dettagli di 10 tipi diversi di pannelli modulari e una gamma di connettori per la realizzazione di un’abitazione che può crescere ed ampliarsi in base alle esigenze dei suoi abitanti. Una sezione prospettica mostra le varie soluzioni per l’assemblaggio ed esplicita l’idea di Gropius in merito alle caratteristiche fondamentali di una costruzione: la facilità di trasporto e adattamento ai diversi luoghi e condizioni climatiche, la realizzazione di abitazioni varie con l’utilizzo di elementi standardizzati. L’intera casa poteva essere costruita da cinque persone in circa otto ore. “Non sono ancora stati chiariti i veri motivi del fallimento del progetto. Troppi erano i soggetti coinvolti in quell’iniziativa che, certamente, poteva andare contro gli interessi di molti gruppi imprenditoriali” (Roccatagliata, 2007). Di questa esperienza, nel legno e non nel campo della lamiera metallica, rimangono l’approccio critico ai sistemi costruttivi acquisiti come riferimenti culturali (allora il balloon frame) e il valore che ha la ricerca quando questa è accompagnata dalla sperimentazione e dalla realizzazione (una distanza oggi accorciata dai sistemi BIM). Wachsmann puntualizzava che “solo l’analisi delle approssimazioni e la sin-
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11. Una pagina della rivista Modern Mechanix che illustra il funzionamento della Dymaxium Home di Buckminster Fuller.
cronizzazione di tutti i risultati dimensionali ad un denominatore comune, determinano il modulo universale. In corrispondenza ad una divisione di compiti esso dovrebbe risultare dal rapporto reciproco di alcune o tutte le categorie modulari seguenti: •
del materiale: che risulta dalle misure delle materie prime, dalle condizio-
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ni di produzione tecnica, da particolarità qualitative, da successive possibilità tecniche di applicazione e da fattori economici; •
del rendimento: che viene definito dal rapporto tra il materiale e il suo vantaggioso sfruttamento;
•
della geometria: che determina il sistema proporzionale entro il quale sono compresi la costruzione, l’elemento singolo e l’intera progettazione;
•
del movimento: che risulta dalle condizioni che vengono in luce durante il trasporto, lo stoccaggio, il montaggio;
•
della costruzione: che determina la posizione e i rapporti di posizione dei punti fissi, delle cerniere, delle aste di collegamento, e di ogni altro oggetto che sia direttamente o indirettamente una parte statica, meccanica o dinamica dell’insieme della costruzione;
•
degli elementi: che determina i rapporti di misura di tutti gli oggetti che circoscrivono una superficie,
•
dei collegamenti: che determina la posizione di ogni punto di connessione, risultante dalla scelta del sistema della costruzione portante e degli elementi di riempimento;
•
dei componenti: che determina la proporzione di quelle parti supplementari che non possono essere considerate come multipli o sottomultipli di se stesse perché categorie a parte con poche possibilità di suddivisione;
•
della tolleranza: che determina la posizione dei giunti che permettono di compensare le variazioni di misura intervenute per l’accumularsi delle inesattezze;
•
degli impianti: che determina il rapporto e la posizione degli elementi semplici del sottosistema degli impianti tecnici;
•
dell’arredamento: che determina gli ordini dimensionali proporzionali di tutti gli oggetti supplementari che devono adattarsi alla compagine modulare dell’edificio;
•
della progettazione: che è la somma dei risultati ai quali hanno portato gli esami di tutte le categorie dei moduli e si definisce compensando e approssimando diversi moduli di dimensioni” (Wachsmann, 1960).
È la ricerca di un’organicità e di una codifica per l’industrializzazione nel capo dell’edilizia. Simile ma diverso era l’approccio di Richard Buckminster Fuller che, alla ricerca di innovazioni radicali per “un universo efficiente al 100%” (Pettena, 1978)13, non si accontentava di scoprire il limite delle potenzialità dei materiali disponibili (per poi progettare su tali limiti) ma era sempre alla ricerca di nuovi materiali e nuovi sistemi (il che gli valse anche una serie di incarichi per conto della NASA). Fuller non cercava di innovare il settore edilizio attraverso la prefabbrica-
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zione, vale a dire la preparazione, in un luogo diverso dalla sede definitiva, degli elementi costitutivi di una struttura e del loro successivo trasporto e montaggio. Fuller progettava per l’industrializzazione edilizia, per uno sviluppo sul piano industriale dell’edilizia, sviluppo improntato ai criteri produttivi e organizzativi che erano tipici della grande industria delle navi, degli aerei o dei dirigibili. Questo al fine di raggiungere una “onnipotenza costruttiva” (Elia, 1966) che consentisse di risparmiare materia, energia e fatica: “ho preso come esempio un’abitazione unifamiliare che l’Istituto americano di architettura aveva pubblicato come la casa ideale unifamiliare: ne ho ricavato l’area, il volume, la luminosità naturale, tutte le performances, e poi ho calcolato il peso totale, comprendendo in questo anche i tubi di collegamento con gli impianti di collegamento cittadini: e il peso totale era di 150 tonnellate. Ero un ingegnere aeronautico, e così applicai principi di ingegneria aeronautica: applicai a questi principi le caratteristiche della casa ideale, tutte le sue prestazioni, facendo anche qualcosa di più, la feci antisismica, e il risultato pesava tre tonnellate” (Pettena, 1978). Gli anni in marina avevano insegnato a Fuller come ogni parte dell’imbarcazione debba essere in equilibrio, e gli uomini con essa: solo in questo modo è possibile trarre il massimo beneficio dal sistema senza comprometterne il buon funzionamento. In modo analogo Fuller descriveva gli uomini sulla terra, 12. Un’immagine dell’epoca che pubblicizza la Dymaxium Development Unit (Anche conosciuta come Butler Bin Unit).
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equipaggio che deve stare in equilibrio con l’ecosistema dell’astronave Terra; progettava per ricercare nell’edilizia (come nel mondo dei trasporti) soluzioni per un migliore equilibrio, il “fare di più con meno” (parafrasando Mies Van Der Rohe) era percepito da Fuller come una vocazione, quasi un’ossessione. L’impiego di lamiere sottili in acciaio e di cavi in carbonio, consentiva a Fuller di realizzare edifici di grandi dimensioni ma dalla straordinaria leggerezza. Edifici per i quali egli sviluppava un’analisi anche del funzionamento climatico (passivo) e meccanico-impiantistico (grazie alle apparecchiature allora disponibili), al fine di garantire il miglioramento delle prestazioni generali della “macchina da abitare” o, meglio, della “nave da abitare”. Due progetti utopistici, la 4D Tower e la Dymaxium Minimum Home (1929), definiscono come ogni materiale debba essere sfruttato al meglio per le prestazioni che può garantire: edifici realizzati con deck (il ponte della nave, termine impiegato per indicare i solai) appesi ad un must (l’albero della nave, termine impiegato per indicare la spina impiantistica, pilone strutturale portante la costruzione). Una torre di più piani, da inviare al luogo di edificazione appesa ad un dirigibile, e una abitazione che potesse essere venduta “in scatola”, da montare ovunque, perché munita di un impianto di gestione chimica dei rifiuti, di sistemi per la generazione di elettricità, di climatizzazione passiva e di apparati di raccolta dell’acqua piovana (una casa off-grid). Due progetti realizzati e commercializzati, la Dymaxium Development Unit e la Wichita House (1944), mostrano la perizia tecnica nella lavorazione dei dettagli e la capacità di gestire i processi industriali anche nel trasferimento all’edilizia delle tecniche in uso in altri settori. Dal 1942 i quotidiani americani riportavano una pressante campagna pubblicitaria rivolta a preparare l’industria a soddisfare l’imminente e inevitabile bisogno di case, ad un prezzo contenuto, per il rientro dei soldati in patria alla fine della Guerra. Dymaxium Development Unit fu un progetto che Buckminster Fuller sviluppò a partire da un accordo con la Butler Manufactoring Company, azienda produttrice dei granai noti come Butler Bin. Il brevetto n. CA419180 del 21 marzo 1944 descrive il progetto Dymaxium Development Unit come un sistema per la realizzazione di piccole case e, in generale, piccole costruzioni cilindriche. Viene impiegata di una lamiera metallica che, opportunamente sagomata, può consentire la realizzazione delle pareti e della copertura. Due strati di lamiera piana vengono sostenuti da un’intelaiatura metallica realizzata con tubolari cavi di sezione ovale. Tali elementi di sostegno sono tra loro connessi a mezzo di giunti cruciformi maschiati sui quali le aste vengono incastrate. Alcune aste terminano con un arridatoio (termine velico per indicare un tenditore) in modo tale da poter mettere in tensione
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13. Una pagina del brevetto n. CA419180 del 21 marzo 1944.
l’intera struttura e dare rigidezza all’insieme. Tra le due lastre di lamiera veniva interposto un materassino isolante. La leggerezza delle pareti e delle aste strutturali non consentiva la realizzazione di piante di ampie dimensioni ma, in un altro brevetto (il CA417394 del 28 dicembre 1943), viene proposta una costruzione simile, sostenuta da un telaio leggero realizzato grazie ad una serie di montanti in acciaio piegato a freddo, sagomato in modo da garantire una certa rigidità statica e forato per facilitare
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14. Una pagina del brevetto n. CA417394 del 28 dicembre 1943.
l’innesto di strutture secondarie. L’esterno nella costruzione veniva finito con lamiera ondulata, fissata tramite bullonatura alla struttura retrostante; l’interno era finito con pannelli laminati e nell’intercapedine veniva alloggiato del materiale isolante. La pavimentazione era realizzata in modo simile, nell’intercapedine tra la lamiera ondulata del fondo e la pavimentazione piana era possibile l’inserimento di tubature e impianti. La copertura, troncoconica, terminava con un aspiratore eolico che facilitava la climatizzazione estiva e che, all’interno dell’abitazione, trovava corrispondenza in un ventilatore a pale.
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15. Una pagina del brevetto n. US2220482 del 5 novembre 1940. Nel testo del brevetto Fuller scrive: “it is an object of my invention to provide a compact, light, prefabricated bathroom which may be readily installed either in a dwelling under construction or in a dwelling that is already built”.
Furono numerose le abitazioni vendute dalla Dymaxion Company sul modello del Butler Bin, sia per il rimpatrio dei reduci di guerra che, soprattutto, per la realizzazione di campi per i soldati americani dislocati all’estero. Era possibile accostare due o più moduli Butler al fine di realizzare uno spazio coperto sufficiente per una famiglia come per un dormitorio di militari, i servizi igienici e la cucina erano installati all’interno di uno dei volumi (solitamente di dimensioni più ridotte). Anche il modulo dei servizi era coperto da un brevetto di Fuller: la Mechanical Wing (del 1940) era un’unità trasportabile completa
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di tutti gli impianti necessari al funzionamento di un’abitazione e alimentata tramite un generatore. Questo “blocco servizi” era stato ideato per completare le abitazioni in balloon frame delle persone che avevano conquistato l’ovest ed era realizzato dall’accostamento di una serie di moduli brevettati indipendentemente; il più famoso è certamente il modulo-bagno (1937), interamente realizzato in acciaio piegato e progenitore di tutti i servizi igienici che ora si trovano sugli aerei o sui treni, in monoscocca in metallo o in plastiche (prima in vetroresina e ora monoblocchi realizzati con stampi rotazionali). 16. Il montaggio della pala eolica in sommità alla Wichita House. Una decina di persone può montare la casa in due giorni.
Nel 1944 Fuller fece un accordo con l’Air Force degli Stati Uniti e con la Beech Aircraft, impresa che a Wichita (in Kansas) produceva le fusoliere degli B29 (aerei bombardieri). Con le competenze di Fuller in campo aeronavale e le capacità tecniche sviluppate dalle aziende durante gli anni della guerra, si prevedeva di realizzare un modello di abitazione più grande di quella realizzata con la Butler e più efficiente dal punto di vista del comfort e delle comodities. In questo progetto venivano unite le idee sviluppate con l’alloggio Butler (la pianta circolare, le strutture e i rivestimenti in lamiera sagomata a freddo, …) con i primi progetti 4D (il must centrale, che fungeva da spina di supporto per tutti i servizi). La climatizzazione venne migliorata grazie all’accoppiamento dell’aspiratore eolico in copertura (ora abbinato ad una pala a vento) con un sistema di ripresa dell’aria fresca da sotto l’edificio, che era sollevato dal terreno. Con l’abitazione venivano fornii tutti gli elettrodomestici e gli arredi (pneumatici), gli armadi erano meccanizzati (per ridurne l’ingombro). Finito il progetto si cominciarono a realizzare i prototipi e, nel frattempo, si aprirono gli ordini d’acquisto. In sei mesi si registrarono 35.000 compratori
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ma i due prototipi realizzati non soddisfacevano Fuller; pare non fosse possibile garantire all’alloggio l’inerzia termica che il progettista si era preposto di ottenere. Fuller, che deteneva la maggioranza delle azioni della società, annullò gli ordini e fece fallire l’impresa. Anche i nomi dei progetti di Fuller parlano di una rinnovata spinta all’innovazione dell’industria e del pensiero (che ponga l’uomo in relazione con l’ambiente, per mantenere in funzione “l’astronave Terra”). I progetti 4D alludono ad una quarta dimensione del progetto: il tempo. I progetti Dymaxium hanno questo nome perché crasi di dinamismo-massimo-ioni, a significare che il massimo dei risultati deve essere raggiunto con il minimo impiego di energia. 17. La Wichita House in fase di montaggio e, accanto, il contenitore cilindrico in acciaio che Fuller aveva progettato per spedire i tremila pezzi che ne consentono la costruzione. Questo tubo aveva dimensioni adatte per il trasporto via camion e per le spedizioni aeree.
È evidente la fiducia di Fuller nelle capacità evolutive e innovative dell’industria (e soprattutto dell’ingegneria aeronautica e navale). Dall’altro lato, spesso si disse sfiduciato nei confronti del sistema educativo (universitario, in particolar modo): con i suoi testi e i suoi discorsi cercava di sottolineare il ruolo del progettista quale coordinatore e decisore del gran numero di questioni relative al progetto ma gli pareva che le istituzioni dessero poco peso al potere decisionale del progettista, assoggettandolo ai voleri della committenza. Erano anni di rottura e di rinnovamento anche all’interno delle università e della scuola tutta. Circa negli stessi anni in cui Fuller lavorava con la Butler e con la Wichita, si cominciò a diffondere l’impiego dell’acciaio sagomato a freddo, non solo le
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lamiere ma anche le aste portanti (che utilizzò anche Fuller). Nel campo delle costruzioni tali impieghi erano però frenati dalla mancanza di appropriate specifiche progettuali. Per questo motivo, nel 1939, l’American Iron Steel Institute (AISI) sponsorizzò una ricerca sulle strutture a telaio realizzate in montanti e traversi d’acciaio (anziché di legno). Se ne occupò la Cornell University sotto la direzione di George Winter; nel 1946 si arrivò alla pubblicazione delle “Specifications for the Design of Cold-Formed Steel Structural Members” e alla successiva implementazione dello sviluppo dei sagomati a freddo. Furono sviluppati dei progetti e dei relativi metodi progettuali (balloon/ platform frame), furono dettagliate le informazioni riguardanti larghezze e lunghezze massime degli elementi compressi e di quelli di irrigidimento, furono studiate le soluzioni più semplici per la riduzione delle tensioni sugli elementi compressi realizzati con profili non irrigiditi, vennero analizzati i problemi di stabilità flessionali e flesso-torsionali in campo elastico ed anelastico, lo sforzo di taglio negli elementi rinforzati con diaframmi. Vennero studiati gli effetti della sagomatura a freddo sui nastri e le lamiere di diversi materiali e l’influenza che ha la duttilità del metallo sulla rigidezza delle aste. Furono dettagliati i disegni per realizzare i rinforzi per le sezioni a Z caricate sul piano dell’anima, i meccanismi di unione, le interazioni tra stabilità locale e globale e di tutto ciò venne affrontata anche un’analisi probabilistica. Negli anni seguenti il 1946 l’AISI continuò ad aggiornare gli studi e i dati in base ai risultati delle continue ricerche, dello sviluppo tecnico e delle esperienze accumulate, una ricerca che tuttora gode di riconoscimenti nazionali ed internazionali. Le attuali pubblicazioni e aggiornamenti sono disponibili on line al sito del Cold-formed Steel Engineering Institute, che è impegnato a diffondere una gamma di documenti utilizzabili quasi come dei manuali del fai-da-te in cui, selezionando le aste attraverso tabelle e montando le parti secondo le istruzioni, è possibile ottenere strutture per coprire certe luci o sostenere determinati carichi o, ancora, rispettare varie caratteristiche di resistenza al fuoco o di passaggio del calore. Una direzione differente da quella europea che, oggi, sta innovando le prestazioni del sistema LSF attraverso la progettazione integrata e la modellazione BIM.
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L’OLIGOPOLIO GIAPPONESE 2.3
Per capire il ruolo dell’acciaio nell’industrializzazione edilizia nel paese del sol levante è necessario considerare la sua storia antica, i devastanti bombardamenti nucleari della seconda guerra mondiale e il valore che ha la terra in un Paese dalla ridotta superficie territoriale. Sin dal periodo Nara (710-730 d.C.) in Giappone, venne messo a punto un sofisticato sistema di progettazione standardizzata e una tecnica di prefabbricazione degli edifici. Ciò era utile per affrontare la ricostruzione degli edifici dopo i frequenti terremoti e le devastazioni causate dal fuoco. Nei mille anni a seguire i costruttori giapponesi utilizzarono questi principi per la costruzione di templi monumentali e di castelli, oltre che per le abitazioni. Le strutture e le diverse parti delle abitazioni venivano realizzate nei negozi dei carpentieri e secondo lo standard modulare detto KEN, della dimensione di 181,8 cm (utilizzando il sistema di misura Inaka-ma) oppure 197,0 cm (utilizzando il sistema Kyo-ma). 18. I pannelli Shoji (traslucidi) e Fusuma (opachi) hanno la forma di rettangoli verticali e, scorrendo, definiscono e modificano la struttura delle stanze, o fungono da porte, all’interno delle abitazioni tradizionali giapponesi. Misurano generalmente 90 cm di larghezza per 180 cm di altezza, le stesse dimensioni di un singolo tatami, le stuoie in paglia usate per coprire il pavimento.
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Il lavoro in cantiere e gli incastri tra travi e pilastri erano frutto di una ricca tradizione, i vari elementi venivano segnati dal produttore con numeri e questi erano riportati nei disegni che costituivano le istruzioni per le posizioni finali degli elementi nella costruzione. Le operazioni di assemblaggio erano molto rapide. Le parti non strutturali come i Tatami (stuoie) e i pannelli scorrevoli in carta e legno (Shoji e Fusuma) venivano anch’essi preparati nei laboratori di artigiani specializzati i quali, per le misure, facevano riferimento al modulo della struttura portante utilizzato nella regione in cui si trovavano (Inaka-ma oppure Kyo-ma). Questo tradizionale sistema di costruzione è sopravvissuto fino ad oggi accanto alla moderna industria di prefabbricazione. Ed è proprio in virtù di questa relazione che la tecnologia moderna ha sviluppato il sistema costruttivo in acciaio sagomato a freddo. Grazie alle similitudini tra la modularità e il sistema di assemblaggio della tecnologia tradizionale in legno e della tecnologia innovativa in CFS, si può quasi azzardare che non vi sia stato un cambiamento rivoluzionario: il moderno ha introdotto materiali nuovi e nuove tecnologie impiegando metodologie e logiche antiche. Sia il sistema costruttivo tradizionale che quello moderno impiegano moduli, aste e pannelli che rendono la casa “componibile” a piacere. Le case realizzate in LSF si possono facilmente paragonare a quelle tradizionali in legno se si osservano i disegni delle piante ma anche il sistema di assemblaggio dei componenti. Entrambe i sistemi si basano su una coordinazione modulare e le imprese che operano nell’ambito delle costruzioni in acciaio sagomato a freddo in Giappone propongono moduli che misurano 90 oppure 100 cm, analogamente a quanto facevano i carpentieri tradizionali in base al KEN. Esistono numerose sperimentazioni e progetti dei primi del ‘900 dedicati allo sviluppo della prefabbricazione dell’edilizia giapponese. Nel 1919 alcuni componenti in cemento vengono realizzati in fabbrica e venduti pronti all’uso (al montaggio) in cantiere, furono esibiti all’Esposizione per la Pace di UENO in Giappone. Fu con la seconda Guerra Mondiale, quando il Giappone affrontò la ricostruzione, che la prefabbricazione divenne una questione ben più seria. Nel 1945 vennero sganciate le due bombe nucleari e, nel 1946, fu messa in commercio una casa realizzata con pannelli in legno, nello stesso anno se ne costruirono mille unità. Nel 1949 la compagnia di prefabbricazione Nihon Precon iniziò la produzione di un modello di casa con componenti in calcestruzzo e telai-finestra in alluminio. Nel 1955 furono prodotte 10 milioni di tonnellate di acciaio14 e parte di tale produzione venne impiegata per la realizzazione di telai leggeri per la costruzione di case.
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Nel 1959 nacque Mizet: il prototipo della casa prefabbricata in acciaio, una piccola casa con struttura CFS, una costruzione che poteva essere aggiunta dietro la casa esistente, come un ampliamento, utile ad esempio come stanza per lo studio, camera per i nonni o altro. In un primo momento della ricostruzione postbellica il sostegno del governo fu indirizzato ad aumentare tutte le iniziative volte alla costruzione di case, indipendentemente dal sistema costruttivo impiegato, ma il Governo si accorse che i volumi richiesti non potevano essere realizzati con i tradizionali metodi di costruzione e, per aumentare la produzione, furono aumentati gli incentivi al settore della prefabbricazione. L’ostacolo maggiore da superare da parte dell’industria del prefabbricato fu la resistenza del consumatore, per superare la quale l’Istituto dei Mutui per l’Alloggio offrì speciali incentivi agli acquirenti privati di case prefabbricate: con l’offerta di tassi agevolati sui prestiti il governo sostenne apertamente le compagnie di prefabbricazione. Si assistette alla proliferazione di compagnie di prefabbricazione che fecero affidamento, oltre che sugli incentivi statali, anche sul basso costo delle lamiere e dei coils d’acciaio che, all’epoca, il Giappone produceva in enormi quantità. Inizialmente l’industria della prefabbricazione fu incapace di andar oltre il 10% del totale della produzione di case del Paese. Tra il 1962-’65 l’alloggio prefabbricato rappresentava solo il 2,3% del totale. Questa percentuale arrivò al 9,5% negli anni ’70 ma non superò mai il tetto del 10%. Negli anni ’80 il mercato della prefabbricazione prese a crescere più gradualmente e dal 10% del 1980 si passò al 14,4% nel 1985 fino ad arrivare al 16,8% nel 1990. I primi anni post-bellici posero come obiettivo primario la crescita economica e quindi la grande produzione di massa. Il miglioramento delle condizioni economiche e delle condizioni sociali, analogamente a quanto accadde in altri Paesi, spostò l’attenzione dalla quantità alla qualità del prodotto edilizio. Questo non fu un salto immediato bensì un passaggio graduale e progressivo: dai primi perfezionamenti tecnici all’evoluzione dell’organizzazione della produzione, allo sviluppo degli assemblati (blocchi cucina e bagno), si è arrivati alla definizione e alla proposta sul mercato di prodotti di alta qualità. Il progetto “Casa 55” venne lanciato nel 1980 e ogni fase del processo edilizio era oggetto di studi per l’ottimizzazione della qualità: la scelta dei materiali, le lavorazioni, le varie soluzioni d’aggregazione (per costruire pareti o altro), l’assemblaggio tra gli elementi che compongono la casa, fino all’installazione dell’abitazione vera e propria. Tale approccio portò alla realizzazione di nuovi prodotti come i pannelli sandwich di alluminio di Sekisui House o il PALC di Misawa (PALC è acronimo di precast autoclaved lightweight concrete, prefabbricato in calcestruzzo leggero
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19. Il grafico mostra il sunto dei dati esposti all’interno della Biennale di Architettura di Venezia del 2014 nel padiglione del Giappone. Vengono illustrati eventi e dati che descrivono il Giappone e il settore edilizio giapponese, da notare: le rilevanza delle abitazioni realizzate tramite prefabbricazione e industrilizzazione edilizia sul totale del mercato edilizio. crdt. ridisegno di Margherita Ferrari
peak of bubble economy
PIL
oil crisis ABITAZIONI COSTRUITE IN GIAPPONE
Proprietari di abitazioni Nikkei
ABITAZIONI PREFABBRICATE COSTRUITE
1914
2014
autoclavato). L’innovazione fu causa e conseguenza di un ulteriore perfezionamento dei controlli di qualità dei materiali e dei processi produttivi (e la contemporanea riduzione dei costi). Le grandi imprese di costruzione che operavano tramite prefabbricazione cambiarono il loro concetto di casa: non più solo protezione e riparo, era necessario offrire soprattutto un ambiente di vita confortevole. Per questo la ricerca tecnica fu accompagnata da analisi in vari altri campi connessi con l’abitare, appoggiati al lavoro di psicologi, progettisti d’interni, ingegneri acustici e sociologi. Le compagnie giapponesi del prefabbricato operano come ditte nazionali o internazionali ma sono consce delle diversità regionali e cercano di proporre prodotti validi per assecondare queste differenze. Un esempio: cercano di offrire prodotti che assecondino la tendenza all’occidentalizzazione della casa giapponese, tendenza che caratterizza il mercato urbano degli acquirenti che conoscono lo stile europeo grazie ai mass-media o ai viaggi. Gran parte degli investimenti delle compagnie vengono spesi per la pubblicità, per l’assunzione e la preparazione del personale di vendita e per le esposizioni di case. La promozione delle vendite si è servita e si serve ancora di “parchi mostra” o esposizioni in cui vengono proposti dai 3 ai 40 tipi di case, anche all’interno di parchi a tema. Queste esposizioni rappresentano per le imprese un costo sia di denaro che di tempo ma influenzano fortemente le vendite. Vengono offerti anche vari cataloghi pubblicitari, dettagliati per target di vendita, e dei “diari” della casa in cui ogni utente può registrare gli incontri
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con i venditori e le varie fasi del percorso, dall’acquisto alla definizione delle esigenze del nucleo familiare (in funzione delle abitudini, ad esempio di quelle alimentari), sino all’ingresso nell’abitazione. Tra i temi di ricerca ai quali le imprese giapponesi lavorano vi sono quelli dell’automazione e della ristrutturazione, con l’obiettivo di modificare e perfezionare tutti i materiali e le strutture già presenti sul mercato, anche attraverso la diffusione della domotica. L’intervento sull’esistente rappresenta un settore di mercato che garantisce un certo margine di guadagni sicuri e, soprattutto, realizzabili in tempi relativamente brevi (vista l’obsolescenza di alcune strutture realizzate nel primo dopoguerra). Un altro tema di ricerca ed innovazione molto importante è quello della sostenibilità: spicca il lavoro di Sekisui House che, facendo propri gli indirizzi delle ISO 14000, studia il ciclo di vita dei prodotti da costruzione e degli edifici. L’innovazione adoperata consiste nell’effettivo progettare in funzione del ciclo di vita e anche dei più recenti principi dell’economia circolare. Sekisui House dunque descrive il proprio operato in termini di sostenibilità ambientale e propone ai clienti dei termini di compravendita differenti da quelli tradizionali. L’impresa acquisisce gli immobili realizzati negli anni successivi alla fine del secondo conflitto bellico mondiale, li riqualifica e li vende attraverso formule simili al leasing. I materiali demoliti in fase di riqualificazione vengono integrati in nuovi processi di produzione e, parallelamente, il “parco case” in gestione di Sekisui House cresce di numero in modo molto rapido. In Giappone la prefabbricazione edilizia e la produzione industrializzata di elementi in acciaio sagomato a freddo sono attività in mano ad una rosa molto ristretta di imprese, generalmente nate da imprese di dimensiona familiare. Cinque ditte sono leader nel settore. Misawa Homes venne fondata nel 1962 da Misawa Mokuzai al momento dell’ottenimento del primo certificato per costruttori di case emesso dal Ministero delle Costruzioni (Building Standard Law, articolo 38). La famiglia Misawa, dal 1935, era proprietaria di una compagnia di legname (Misawa Lumbert Company) con sede a Matsumoto, l’esperienza maturata in questo settore consentì il passaggio di parte della produzione alla lavorazione dell’acciaio sagomato a freddo.I primi modelli d’abitazione “Home Core” e “Free Size F350” vengono portati all’Industrialized Housing Show organizzato nel 1971 in Kentucky (USA) e, l’anno dopo, la Misawa ottenne il primato nella vendita di edifici industrializzati in Giappone. Le ricerche hanno portato, nel 1980, alla commercializzazione di “Misawa Home 55”, un progetto realizzato con il sistema costruttivo pod con una struttura in acciaio (laminato a caldo) tamponata con pannelli parete PALC. Il modulo standard per la realizzazione di Misawa
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Home 55 è di 4,5x2,75x2,3 m. All’inizio Misawa realizzava pochi moduli aggregabili secondo poche varianti; oggi sono in produzione più di 400 moduli di dimensioni inferiori a quelli ideati inizialmente e dalle caratteristiche materiali differenti. Sekisui House Co. Ltd. venne fondata nel 1960 dalla Sekisui Chemical. Il principale campo d’azione di questa compagnia sono state per lungo tempo le case unifamiliari e gli edifici residenziali plurifamiliari di piccole dimensioni, oggi l’impegno è rivolto anche ad edifici scolastici, palazzine d’abitazione e, ancor più di recente, si stanno impiegando i prodotti Sekisui House per ardite soluzioni architettoniche in edifici alti. 20. One Central Park (OCP), progetto dell’Ateliers Jean Nouvel, si propone come punto di riferimento all’interno della riqualificazione dell’area Carlton & United Brewery a Sydney. Il progetto è finanziato da Frasers Property Australia e Sekisui House Australia. crdt. Immagine tratta dalla copertina del Sekisui House Sustainability Report 2014.
La compagnia lavora alla costruzione, la vendita e l’affitto degli edifici; il progetto, l’esecuzione e la supervisione della costruzione e dei progetti; la mediazione al momento della vendita degli immobili; l’assicurazione; i progetti urbanistici e l’amministrazione dei beni e dei servizi della compagnia. L’acquisizione di vaste fette del patrimonio edilizio residenziale del Paese pone la compagnia in una posizione particolare sul mercato Giapponese: acquistare immobili per provvedere alla loro riqualificazione prima di una nuova vendita o di un contratto d’affitto sono azioni che rendono Sekisui House molto forte
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21. Immagini dal brevetto del sistema PALC. Su una struttura di montanti e traversi in acciaio vengono posti in opera i pannelli in calcestruzzo, vengono così realizzati dei pod da mettere in opera per la realizzazione di un edificio più complesso.
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sul mercato nazionale. Sekisui Home è specializzata nella produzione di sistemi strutturali e pannelli modulari in acciaio ma la compagnia non disdegna l’utilizzo di altri materiali come il cemento e il legno (pare che in uno stabilimento Sekisui vengono ancora prodotti anche gli elementi per le case tradizionali giapponesi in legno). Alla struttura in acciaio sagomato a freddo vengono applicati pannelli parete, panelli di pavimentazione e per il tetto. La casa prefabbricata di Sekisui è mediamente di 120 metri quadrati di superficie ad un costo (gennaio 1991) di circa 140 milioni di lire (solo casa e senza terreno), includendo la consegna e il montaggio ma escludendo gli allacciamenti alla rete dei servizi pubblici. L’intero processo, dalla stipula del contatto alla fine dei lavori in cantiere, impegna approssimativamente dai 50 ai 60 giorni. Sekisui Chemical, sulla base dell’esperienza maturate con la fondazione della Sekisui House, fondò anche Sekisui Two-U Home, per la realizzazione di abitazioni con telaio strutturale in legno. Sempre per la produzione di abitazioni con struttura CFS, venne invece fondata la Sekisui Heim, di cui la compagnia madre è ancora la più grande azionista. 22. Modello di abitazione Sekisui Heim M1, progetto sviluppato da Katsuhiko Ohno e Sekisui Chemical Co., Ltd. Immagine scattata al padiglione del Giappone della Biennale d’Architettura di Venezia del 2014. crdt. MariaAntonia Barucco
Il modello imprenditoriale di Sekisui Chemical rimane quello del controllo diretto della compagnia, in Sekisui Heim vengono realizzate case prefabbricata composte di pod, elementi tridimensionali da assemblare in cantiere. L’obiettivo è la massimizzazione delle lavorazioni in fabbrica (il 90% delle lavorazioni avviene in fabbrica), la riduzione dei costi di cantiere e l’aumento delle garanzie di qualità. La prima casa di questo tipo fu realizzata sviluppando
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prima un volume prismatico con struttura in acciaio leggera e agganciando a questo i pod di dimensioni 2,5x5,4x2,7 m (ciascun volume ha un peso di circa due tonnellate). Ogni modulo viene montato in opera in meno di 5 minuti. Successivamente fu ideata la casa M3, dalle fattezze più convenzionali ma sempre realizzata aggregando pod. Le unità vengono trasportate in cantiere con autotreni e posizionate sulle fondazioni preparate in precedenza. I servizi interni come scale, sanitari e cucina sono organizzati nello spazio di un singolo pod. Ogni pod è progettata per essere costruito indipendentemente e offrire un alto grado di flessibilità e adattabilità grazie alla movimentazione delle partizioni interne. a. Nella tabella vengono riportati i tempi di realizzazione in cantiere di un modello unifamiliare casa M3 di Sekisui Heim.
processi
giorni
note
fondazioni
10
installazione moduli
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carpenteria
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rifiniture
interni
14
pareti e pavimenti
copertura
5
rifiniture
impianti interni
4
acqua e condizionamento
impianti elettrici
2
illuminazione
pulizia
2
Alla compagnia Daiwa House, fondata nel 1955, si deve il modello più noto di casa prefabbricata giapponese, la casa Mizet. Il primo prodotto Daiwa fu una casa prefabbricata realizzata con struttura in tubi d’acciaio; questo progetto fu acquistato dalle ferrovie e poi anche dalle agenzie governative, che lo diffusero in tutto il territorio nazionale. A questo primo prodotto seguì la produzione della casa Mizet, offerta al pubblico dal 1959 e concepita per consentire una serie di ampliamenti, in funzione dei bisogni della famiglia e mantenendo, al contempo, quattro caratteristiche fondamentali: economicità, leggerezza, resistenza e facilità di costruzione (sole tre ore). Questa strategia fornì a Daiwa la possibilità di svilupparsi in più direzioni: la lavorazione dell’acciaio, la costruzione di case prefabbricate e la realizzazione di pod. Nel 1965 venne fondata la National House Industrial, grazie agli investimenti di Matsushita Electric Industry e Matsushita Electric Work. È importante ricordare che, in Europa, i prodotti della compagnia Matsushita sono meglio conosciuti con il nome di Panasonic. Dal 1982 con il progetto “Casa 55” la National House ha piazzato sul mercato un consistente numero di case unifamiliari. Questa compagnia lavora per tro-
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vare una completa integrazione dell’elettronica nell’abitazione, alla casa viene chiesto di adempiere ad una serie di funzioni come la gestione dell’illuminazione, l’apertura e chiusura di porte, finestre e armadiature, tutto per rendere l’abitare sempre più confortevole: la proposta di una casa intelligente ed automatica fa di Matsushita una compagnia leader nella progettazione e nella sperimentazione della domotica. Nel 2000 il nome dell’impresa fu cambiato in PanaHome: oggi è la più grande società per la realizzazione di edilizia prefabbricata (a scala mondiale), con numerosi modelli di edificio dedicati, ad esempio, ai Paesi del sud America. Innumerevoli i premi per le innovazioni relative al risparmio energetico e l’integrazione di sistemi di generazione di energia da fonti rinnovabili: è evidente la sinergia con la Panasonic. Più dei recenti risultati e successi è interessante constatare che la PanaHome, già nel 1990, gestiva la fabbrica di Koto con avanzati sistemi di robotica: un’intera linea produttiva di 80 metri era gestita da un solo addetto e tutto il processo produttivo, dalla costruzione della struttura a telaio a quella dei pannelli di tamponamento, veniva controllato in modo computerizzato. Le ragioni del successo della tecnologia LSF in Giappone sono legate a vari fattori tra i quali non è indifferente la capillare diffusione del messaggio pubblicitario e il sistema di incentivi per la ricostruzione postbellica e la crescita del settore siderurgico. A partire da questi spunti, negli anni successivi e soprattutto nell’ultimo decennio, ha avuto sempre maggior importanza il mercato della riqualificazione o della ricostruzione di case nelle vaste aree urbane. In questo settore, in Giappone come altrove, la tecnologia LSF può mostrare i maggiori margini di vantaggio, anche economico, offrendo controllo della qualità e tempi molto brevi di costruzione in cantieri che risultano poco invasivi nel il contesto urbano. Le tecnologie della computerizzazione, del progetto CAD/CAM e BIM, hanno inoltre consentito il superamento dei limiti della produzione in serie, offrendo libertà sempre maggiori alle fasi di disegno e articolazione degli alloggi, che possono dunque essere studiati secondo le esigenze individuali delle famiglie. Dagli anni ’90 la tecnologia dell’acciaio sagomato a freddo ha cominciato ad essere considerata usuale in Giappone, abbandonando quell’aura di eccezionale e particolare. Dal dopoguerra il Giappone ha saputo aumentare rapidamente il fatturato estero ma i prodotti di prefabbricazione per l’edilizia non hanno avuto la stessa fortuna dei ben noti prodotti dell’elettronica e del settore automobilistico. Alcune compagnie hanno provato ad inserirsi nel mercato europeo: la Sekisui Home aveva aperto una succursale in Germania ma ha abbandonato tale pro-
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23. Tre dei modelli di case industrializzate con struttura in acciaio sagomato a freddo proposte sul sito internet di PanaHome (http://www.panahome.jp).
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gramma viste le sostanziali perdite. Daiwa House tentò invece di entrare nel mercato statunitense ma non riuscì ad avere profitti soddisfacenti. Misawa, infine, si avvicinò al mercato cinese e sudcoreano proponendo il sistema PALC (in forma di pannello) per realizzare i tamponamenti delle strutture in acciaio sagomato a freddo. Le ragioni del mancato successo al di fuori del territorio giapponese sono probabilmente da attribuire all’impossibilità di trovare, fuori dell’arcipelago nipponico, condizioni di mercato simili per condizione geografica e concentrazione umana, senza considerare l’eccezionale e secolare tradizione di case in elementi prefabbricati modulari. Sono poi gli investimenti in termini di capitali necessari per installare un impianto che hanno impedito al sistema prefabbricato in acciaio giapponese dovrebbe competere “alla pari” con le tecnologie edilizie locali e consolidate, ad esempio, in Europa. Oggi, con le più moderne tecnologie BIM e moderni macchinari per le lavorazioni di alta precisione questi costi sono proporzionalmente inferiori al passato e, da qualche anno, sono registrabili delle trasformazioni nel marcato internazionale. Accanto ai dati economici va considerato anche il lavoro fatto sulla comunicazione: le aziende giapponesi si rifanno alle impostazioni normative ISO e descrivono la qualità e le forme degli edifici in modo molto affine a quello degli standard europei. I primi territori esteri in cui oggi le compagnie giapponesi sono attive oggi sono quelli dell’Australia e delle Americhe.
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AUSTRALIA TERRA DI CONQUISTA 2.4
L’impiego dell’acciaio sagomato a freddo in Australia riconosce due ondate di diffusione, la prima alla metà del 1800 e la seconda alla fine del 1900. Si tratta di impieghi differenti dell’acciaio sagomato a freddo: in prima battuta si commerciarono lamiere e, successivamente, si nota l’impiego del vero e proprio sistema costruttivo LSF. La lamiera di ferro era prodotta come materiale da costruzione per tetti prima del XIX secolo, era usata come materiale da copertura alla stregua del rame. Nel 1829 H. R. Palmer inventò la forma corrugata che, unitamente al processo di galvanizzazione sviluppato da M. Sorel nel 1837, rivelò le potenzialità del prodotto. Nel 1832 l’inglese Richard Walker, il pioniere dell’applicazione pratica del materiale da poco scoperto, pubblicizzava la lamiera corrugata descrivendone l’uso per le coperture ma anche per le porte, imposte, tramezze, pareti esterne: “è particolarmente raccomandata per edifici portatili da esportare […] il poco spazio necessario per stivarli quando i diversi componenti sono separati rende il loro trasporto agevole ed economico. Per i nuovi insediamenti, la facilità con la quale possono essere eretti o spostati da un luogo all’altro, è un desideratum da tenere in grande considerazione”. La corsa all’oro del 1849, in California, portò i maggiori fabbricanti inglesi a sviluppare su larga scala la produzione della lamiera e, nel 1851, l’oro fu scoperto anche nel Victoria e l’industria di lamiere corrugate volse l’attenzione verso l’Australia. La grande disponibilità, la relativa leggerezza, la resistenza e la stabilità del nuovo materiale in fogli incoraggiavano l’introduzione del materiale per la copertura dei tradizionali edifici in legno della prima colonizzazione. Un carico dopo l’altro, i fogli di lamiera corrugata arrivarono sui moli del porto di Melbourne negli anni del boom: le città vicine ai campi auriferi (ad esempio nella zona di Ballarat) stavano subendo una crescita demografica senza precedenti e soffrendo, allo stesso tempo, per l’inevitabile carenza di alloggi.
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L’acciaio venne diffusamente impiegato ma ne rimangono poche tracce, in riferimento soprattutto ai produttori americani e inglesi e ai loro cataloghi per le vendite nel continente australe (soprattutto nella zona di Melbourne). 24. Cottage di H. John Manning 1837, spedito in scatola di montaggio (di ridotto volume) dall’Inghilterra agli emigranti in Australia. crdt. Archivio on line della University of Virginia
“J. Walker, Manufacturer, Millwall Poplar” proponeva una costruzione semplice: i fogli di lamiera erano posti in verticale negli spazi tra le finestre e in senso orizzontale al di sopra e al di sotto dell’infisso. Le lamiere poggiavano ai montanti in ferro posizionali ad ogni angolo della costruzione e su entrambi i lati di ogni apertura (porta o finestra). Agli angoli i fogli di lamiera venivano addossati l’uno all’altro secondo una disposizione a T e la giunzione era completata con un foglio di lamiera sottile, sagomata secondo una forma curva. L’impresa di Edward Taylor Bellhouse aveva la propria sede a Manchester, lavorava alla realizzazione e alla spedizione di edifici prima per la California e, successivamente, per l’Australia. La caratteristica degli edifici di Bellhouse, oltre all’impiego di lamiera ondulata come nell’esempio precedente, era la messa in opera di pilastrini a sezione circolare e dotati di flange, alle quali fissare con viti le lamiere costituenti le pareti. Venivano poi impiegate assi di legno per la realizzazione delle partizioni interne. Le finestre, in stile vittoriano, erano anch’esse realizzare con una struttura in metallo.
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Per questi tipi di edifici, di forma e di ingombro relativamente standardizzati, venne coniato il soprannome iron pot che definirà poi caratteristico di una gamma più vasta di edifici, anche di più grandi dimensioni e destinati ad attività produttive, edifici pubblici, teatri, scuole e chiese. Il loro carattere variava a seconda degli esempi, dal semplice ingrandimento della tipologia prefabbricata “a scatola” propria delle costruzioni scolastiche e delle piccole chiese, all’ornato elaborato di alcune residenze e di chiese con pretese maggiori. In questi casi la lamiera veniva usata in combinazione con le ghisa o come materiale di base per un sistema elementare di componenti. 25. Edificio realizzato con l’acciaio ondulato e la struttura di Edward Taylor Bellhouse. È stato realizzato attorno al 1860 e si trova al numero 6 di Patterson Place a South Melbourne, Australia.
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Le statistiche circa il numero di case in lamiera nel Victoria indicano che nel 1853 ne furono importate circa 6.000 e che, nel 1854, il numero era salito a più di 30.000. Ma lo scoppio della guerra di Crimea, nello stesso anno, ridusse drasticamente le cifre dell’esportazione britannica verso il nuovo continente. L’emergenza di alloggi era comunque già diminuita dal 1855 e grandi quantità di acciaio erano disponibili come semplice materiale da costruzione e non solo come componenti di un sistema edilizio integralmente realizzato in lamiera d’acciaio. Questi edifici erano molto caldi in estate e freddi in inverno: dopo la fine della corsa all’oro furono oggetto di aspre critiche. Con il ritorno ad una situazione sociale di relativa normalità la lamiera continuò ad essere adoperata a protezione delle sole coperture mentre decadde l’uso in parete dove vennero impiegate sempre più speso le assi di legno che avevano raggiunto, nel frattempo, una lavorazione più rifinita ad un costo più accessibile. La fine del decennio vedeva il rivestimento corrugato relegato alle costruzioni secondarie, nelle campagne, e alla recinzione del retro delle abitazioni nei sobborghi a ridosso delle città. L’uso del corrugato che non conobbe flessioni è quello volto alla realizzazione di verande e cisterne, elementi funzionali destinati a diventare icone nazionali, simboliche risposte al clima del Paese. Negli stessi anni in cui lo streetscaping delle città andava modificandosi con l’apparizione delle verande continue sul fronte della strada, venne brevettato, a Melbourne, il serbatoio in corrugato (in contrasto con l’opinione di alcuni che ritenevano la lamiera inadatta alla costruzione di cisterne per l’acqua potabile). Da questo momento il cilindro in acciaio galvanizzato inizia a diffondersi attraverso il territorio secondo quei modi e quelle forme che porteranno la sua immagine a far parte della moderna mitologia del continente. Anche la ghisa era molto diffusa in Australia, veniva lavorata e venduta in forma di elementi decorativi per balaustre, cancellate, mensole, merletti e pilastri per verande (popolari nelle case costruire tra il 1860 e il 1890). Benché molti di questi componenti fossero stati progettati e importati dal Regio Unito, i più finirono per essere fusi nelle fonderie australiane di ferro. L’uso della lamiera corrugata come materiale da costruzione conserva oggi in Australia un carattere spontaneo. Il modello della residenza isolata o suburbana impiega ancora il foglio di corrugato in copertura. All’interno di un uso codificato diventa possibile mettere in risalto le differenze nella qualità del disegno costruttivo che, partendo da un carattere estremamente elementare, può arrivare ad elaborazioni sofisticate che trascendono l’aspetto esclusivamente pragmatico del suo impiego. Parallelamente alla sistematizzazione di questo vocabolario tecnico, si è svi-
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luppato nella storia recente un uso colto ed accorto del materiale, tendente da una parte ad esaltarne il contenuto formale intrinseco, dall’altra ad inserirlo in un filone di ricerca più ampio, esteso ad indagare le implicazioni tipologiche della sua utilizzazione. L’illustrazione delle diverse applicazioni che hanno contraddistinto in questi anni l’uso del corrugato fornisce l’occasione tematica per uno spaccato su alcuni aspetti dell’architettura del paese. Il lavoro di Glen Murcutt costituisce uno degli apici della ricerca tecnologica e formale raggiunti dall’architettura in Australia. I suoi edifici, padiglioni lineari ed essenziali, utilizzano legno e acciaio corrugato (materiali australiani per definizione) ma si distaccano dalla storia precedente elevando la qualità di tali materiali, sia dal punto di vista tecnico che da quello figurativo. 26. Edificio progettato nel 1994 dall’architetto Glenn Murcutt per l’artista aborigeno Banduk Marika. L’edificio è realizzato sul territorio della Comunità Yirrkala (Eastern Arnheim Land, Northern Territory, Australia).
Il carattere formale dell’operazione si rende evidente in quegli esempi, tra cui il museo di Kempsey e la casa a Mouruya, dove le pareti perimetrali sono in mattoni: la lamiera, fissata orizzontalmente a rivestire l’esterno della costruzione, diventa un elegante paramento della cortina muraria. La struttura interna in acciaio (e in acciaio sagomato a freddo) è a sostegno della copertura e se ne mantiene distaccata, a sottolineare la differenza tra lo scheletro e la pelle. Questa scelta espressiva si accompagna ad una attenzione verso l’aspetto tecnologico: il foglio di acciaio galvanizzato è a contatto con uno strato isolante e mantiene il calore all’esterno mentre la parete in mattone assicura agli ambienti il comfort mitigando gli sbalzi termici.
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Tornando alle costruzioni con struttura portante in acciaio sagomato a freddo, bisogna registrare che, dal 2009, l’azienda giapponese Sekisui House è presente in Australia. Qui sono stati avviati stabilimenti di produzione e vengono proposte abitazioni sia con tecnologia LSF che in legno. Non vengono realizzati solo edifici unifamiliari ma anche edifici alti, due, in particolare, sono stati realizzati a Sidney: l’accento viene posto sulla sostenibilità, il basso impatto ambientale e le ridottissime emissioni di CO2 che gli stabilimenti certificano secondo gli standard australiani. L’Australia, dunque, è il mercato estero di riferimento per una delle imprese giapponesi più attive nella ridefinizione dei propri prodotti in virtù di nuove prestazioni e di nuovi standard di qualità. 27. Abitazione progettata da Glenn Murcutt a Kempsey, nel New South Wales (Australia) nel 1975 (e poi modificata nel 1980 quando Murcutt stesso la acquistò). crdt. Anthony Browell, tramite International Center for City, Architecture & Landscape (CIVA) http://www.civa.be
1. La metodologia progettuale di questa tecnica è fondata sul dimensionamento della cellula abitativa (impiegando il letto come unità di misura). Attraverso l’Existenzminimum gli architetti tedeschi operanti tra le due guerre (Klein, May, Gropius, ...) studiano i componenti dell’abitazione attraverso un idoneo dimensionamento delle principali funzioni abitative. Gropius precisa che il problema dell’alloggio minimo dipende direttamente dal minimo spazio, aria, luce, calore necessari all’uomo per non subire nell’alloggio impedimenti allo
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sviluppo delle funzionivitali, un “minimumvivendi” e non un “modus non morendi”. Il compito dell’architettura non riguarda solo le qualità, né solo le quantità, ma la mediazione tra questi due fattori. 2. Nel libro Vers une architecture egli suggerisce che gli elementi si possono riscontrare nei prodotti industriali quali le navi, gli aeroplani e le automobili e che i mezzi della nuova architettura sono i rapporti che nobilitano i materiali bruti. 3. Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (1926-30) 4. Lo Stato è tenuto a concedere sovvenzioni ai privati che costruiscono case di tipo economico e a concedere delle sovvenzioni ai comuni, agli enti pubblici, agli uffici di beneficenza, alle casse di risparmio, e alle società per la costruzione di case popolari; le società di credito immobiliare sono autorizzate a concedere dei mutui per la costruzione di case economiche alle società cooperative in cui tutti gli azionisti abbiano più di tre figli, anche i comuni e i dipartimenti sono autorizzati a costruire case popolari a condizioni che i due terzi delle abitazioni (calcolati in base all’importo degli affitti) siano destinati alle famiglie con di tre figli. 5. Il tema specifico del CIAM, “L’alloggio per il livello minimo di vita”, risponde alle ricerche eseguite nell’ambito della pianificazione dei quartieri razionalisti di Francoforte sul Meno negli anni venti, ispirati al principio dell’Existenzminimum, definito da Gropius come “minimum vivendi e non modus non moriendi”. 6. La laminazione avviene attraverso la rillatura Yoder; l’impiego di questa macchina a mola della lamiera di alluminio sottile in rotolo permette di irrigidire la lamiera in modo continuo. Si ottengono così pannelli composti a partire da strisce irrigidite eprforate, la cui lunghezza utile corrisponde al fabbricato, senza giunti di raccordo verticali. 7. Ottenuti con questo procedimento: alcuni elementi della casa del popolo di Clichy (elementi del soffitto, precursori degli elementi in lamiera trapezioidale oggi di uso frequente, i montanti della parete esterna vetrata e le porte girevoli interne), la stazione degli autobus della Citroën (mai realizzata), l’edificio per il club dell’aviazione Ronand Garros di Ruc (arch. Beaudouin e Lods), la casa per vacanze BLPS e alcune case popolari a Saint Jean Demorienne. 8. Traduzione letterale di una nota riguardo al Modello T, nel 1909, pubblicato nella autobiografia di Henry Ford, My Life and Work (1922) Capitolo IV, [p. 71-72]. L’essenzialità della vettura, la riduzione dei tempi di lavorazione e il sistema di lavoro della catena di montaggio fecero della Ford T la prima auto economica prodotta su grande scala dal 1908 al 1927 (ne furono costruite 15 milioni di esemplari, tutti neri). 9. Louis Renault, a causa dei commerci con la Germania nazista, fu imputato di avere collaborato con il regime filo-nazista durante l’occupazione e fu arrestato nel 1944, durante la liberazione della Francia. Louis Renault morì in prigione prima del processo e l’autopsia evidenziò traumi che avvallavano la tesi dell’omicidio, in questa vicenda non vi fu il tempo perché Renault redigesse una propria memoria difensiva per il processo e dunque molti dettagli rimarranno sempre oscuri. 10. I congressi internazionali di architettura moderna (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne) o CIAM, sono nati dal bisogno di promuovere un’architettura ed un’urbanistica funzionali. Il CIAM dava indicazioni in merito all’urbanistica e all’edilizia moderne che devono consentire all’uomo di svolgere in modo armonioso quattro funzioni principali: abitare, lavorare, divertirsi e spostarsi. 11. In Italia, con la Legge n.43 del 28 febbraio 1949, viene varato un piano settennale che si propone di incrementare l’occupazione operaia agevolando la costruzione di case per i lavoratori. Per due settenni l’edilizia italiana fu strutturata in questo modo sulle indicazioni dell’INA Casa e di Gescal. 12. Nei laboratori CIMT Jean Prouvé ha la possibilità di deformare la lamiera attraverso l’estrusione in avanti, con l’aggiunta di un cuscino deformabile, procedimento che permette un grande risparmio di attrezzatura. “[…] l’universo è efficiente al 100%. Non c’è crisi energetica, c’è crisi di ignoranza, crisi di paura. Paura e ignoranza, questo è il vero problema”. Fuller parla in un intervista concessa a Gianni Pettena per la rivista Modo – mensile di informazione e design. Numero 10, giugno 1978. 13. Il Giappone vanta una grande tradizione nell’industria siderurgica: attualmente il Paese asiatico è il secondo produttore globale di acciaio, ma dal 1991 al 1995 è stato il Paese leader a livello globale, prima di venire superato dalla vicina Cina. Nel 2010 le acciaierie nipponiche hanno prodotto 109 milioni di tonnellate di acciaio grezzo, con un incremento del 25,2% rispetto all’anno precedente. 14. La siderurgia giapponese è altamente concentrata: i primi cinque gruppi del Paese assommano l’80% della produzione nazionale e ben due acciaierie erano tra i maggiori cinque produttori mondiali nel 2009 (Nippon Steel e JFE Holdings). L’industria siderurgia nipponica è fortemente rivolta all’export, quindi il consumo interno risulta notevolmente inferiore alla produzione.
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IL PROFILO, ELEMENTO TECNICO 3.1
I prodotti in acciaio sagomato a freddo, conosciuti come Cold-Formed Steel (CFS), sono frutto di un processo produttivo articolato e di alta precisione detto “laminazione a freddo”, al quale segue una sagomatura a freddo dei nastri in acciaio che, grazie al continuo sviluppo dei sistemi di controllo e di programmazione, è oggi altamente personalizzabile. Il numero di geometrie che è possibile ottenere tramite la sagomatura a freddo è pressoché infinito e viene sempre garantita e controllata l’omogeneità del profilo, sia dal punto di vista dimensionale che materico. I profili sono prodotti generalmente con acciaio S500 o S350 e possono avere spessori e geometrie variabili, a seconda che siano elementi strutturali o meno: un altro aspetto importante della lavorazione dei profili CFS è la protezione dalla corrosione, che avviene sia in fase di produzione che di progettazione ed esecuzione, al fine di garantire le prestazioni meccaniche lungo tutta la sua fase d’uso.
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Acciaio e protezione dalla corrosione 3.1.1 Da quando si sviluppò l’impiego dell’acciaio nelle costruzioni (e in altri settori) fu chiaro che la protezione dalla corrosione fosse essenziale per garantire la durata di qualunque manufatto: è la chimica dei materiali a dare risposta a questa esigenza. Esistono differenti soluzioni per la protezione dalla corrosione ma, nel caso dell’acciaio sagomato a freddo, il metodo più utilizzato prevede l’impiego di zinco. La zincatura può avvenire attraverso differenti procedimenti e tutti prevedono l’applicazione di uno strato protettivo di zinco che reagisce chimicamente garantendo un’efficace protezione dell’acciaio. Lo zinco è meno elettronegativo dell’acciaio e agisce da anodo sacrificale della corrosione, vale a dire che lo zinco è più in basso dell’acciaio nella scala di nobiltà dei metalli, ha maggiore facilità a cedere un certo numero di elettroni. Ricoprendo di zinco le bobine di lamiera, nel caso di un graffio o di un qualunque altro danno, l’acciaio sarà protetto dalla zincatura fino al totale consumo dello strato di zinco. 01. Ossidazione dell’acciaio e formazione della ruggine. crdt. Giampiero Gai, Infomateria
La prima fase della zincatura è la pulitura della superficie dell’elemento d’acciaio, la quale deve essere perfettamente libera da calamina (strato di ossido che si forma sulla superficie dei prodotti siderurgici durante le lavorazioni a caldo): in questo modo viene garantita la perfetta reazione tra i due metalli durante la zincatura. La pulizia generalmente consiste nello sgrassaggio, nel
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decapaggio (l’immersione dei pezzi in acciaio in soluzioni acide per rimuovere incrostazioni, ossidazioni o ruggine) e nel risciacquo. Una volta terminata la preparazione dell’acciaio si procede con la zincatura, la quale può essere eseguita con procedimenti differenti a seconda del tipo e delle dimensioni dell’elemento da rivestire. La protezione può essere di tipo passivo (creazione una pellicola che isola la superficie del metallo dall’ambiente esterno) o attivo (detta anche protezione catodica, basata sul passaggio di corrente all’interno dell’elemento). Le protezione di tipo attivo si utilizzano, in particolare, per proteggere gli elementi in acciaio che devono essere interrati, la protezione passiva è dunque più utilizzata e si può ottenere tramite differenti procedimenti. Il più diffuso tra questi è quello della zincatura a caldo che, attraverso un bagno in fusione, crea una pellicola protettiva dalle alte prestazioni. Anche in questo caso le prime fasi di lavorazione sono quelle di pulizia, successivamente il materiale deve essere immerso in soluzioni flussanti (composte da sali di zinco e ammonio) che creano una sottile pellicola che facilita la formazione del legame tra acciaio e zinco che proteggerà l’acciaio dalla corrosione (il flussaggio è una delle fasi più importanti dell’intero processo di zincatura in quanto garantisce il completo rivestimento dell’acciaio da parte dello zinco). Il prodotto in acciaio (siano barre, aste, fili, nastri, bobine o lamiere) viene quindi preriscaldato (generalmente a una temperatura di 100°C) al fine di ridurre lo shock termico dovuto all’immersione nello zinco fuso (che viene mantenuto alla temperatura di 455°C). Il tempo d’immersione è quello necessario affinché l’acciaio raggiunga la stessa temperatura dello zinco e può variare notevolmente (dai 5 ai 30 minuti a seconda della dimensione del prodotto in acciaio sottoposto a zincatura). Segue poi il raffreddamento del materiale, in questa fase si deve porre particolare attenzione affinché la pellicola di zinco si asciughi in maniera omogenea evitando la formazione di eccessi o grumi di zinco in alcuni punti. La zincatura a caldo per la lavorazione di fili o bobine d’acciaio (coils) viene detta “continua”: attraverso la saldatura della coda di una bobina alla testa di quella successiva si garantisce la continuità durante le differenti fasi di processo, come l’immersione nel bagno fuso e il raffreddamento della lamiera tramite “lame d’aria” che permette di uniformare il rivestimento prima che la bobina venga riavvolta nuovamente: tale sistema è conosciuto anche come metodo Sendzimir dall’omonimo ingegnere ed inventore ucraino (naturalizzato americano) Tadeusz Sendzimir che, attorno al 1929, brevettò un processo di zincatura da attuarsi direttamente in acciaieria, durante il processo di produzione della lamiera o dei nastri. Le bobine d’acciaio impiegate per la realizza-
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zione dei profili CFS vengono zincate attraverso questo processo. Un altro tipo di zincatura è quello a freddo, simile ad una verniciatura: al metallo vengono applicati due strati di vernice a base di resine sintetiche e zinco metallico. Uno dei principali vantaggi della zincatura a freddo è l’agevole impiego anche su prodotti dallo spessore ridotto, questo perché, non necessitando di cambi di temperatura del materiale, la lavorazione non rischia di comprometterne le proprietà meccaniche (ad esempio anche in caso di piccoli fori, questi non rischiano di essere otturati). Un ulteriore procedimento a freddo avviene tramite elettrolisi; consiste nell’immersione del metallo in una soluzione elettrolitica contenente sali di zinco e viene poi sviluppato un passaggio di corrente tra il pezzo e la soluzione: questo permette di formare un deposito dello zinco sullo stesso. Esistono altri procedimenti di zincatura determinati in base al tipo di elemento che si deve rivestire e alle prestazioni richieste: tra i più conosciuti si ricordano, ad esempio, quello a spruzzo (zinco fuso polverizzato, volto a garantire la non deformabilità dell’elemento da rivestire) e quello meccanico (garantisce uniformità di spessore e non intacca le componenti del materiale). Tuttavia la zincatura a caldo e quella a freddo (mediante elettrolisi) si distinguono da tutti gli altri procedimenti per la loro efficacia: la prima offre i risultati più durevoli, mentre la seconda permette di raggiungere un ottimo livello di qualità estetica. 02. Processo di zincatura a caldo continuo. crdt. Margherita Ferrari
Rimozione calamaina e sgrassaggio
Controllo qualità
Raffreddamento
Decapaggio
Bagno di zinco fuso
Risciacquo
Forno per preriscaldamento
Uno dei fronti di innovazione nei processi di zincatura è quello della composizione chimica dello strato di rivestimento, in cui lo zinco viene combinato con altri elementi come il magnesio, l’alluminio o il silicio, ottenendo un’altissima resistenza alla corrosione ed eccellenti prestazioni meccaniche, idonee per la
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formatura e lo stampaggio a freddo. Questi innovativi procedimenti di zincatura sono spesso impiegati per il rivestimento dei coils, ovvero delle bobine utilizzate per la realizzazione dei profili in acciaio sagomato a freddo. Parallelamente si stanno sviluppando anche degli impianti sempre più sofisticati in grado di controllare i tempi e le temperature di lavorazione, ottimizzando anche l’impiego di materiale e riducendo gli sprechi: il monitoraggio di questi procedimenti permette di realizzare elementi omogenei e di elevata qualità. L’acciaio sottoposto a queste lavorazioni viene contrassegnato con una sigla in cui con le lettere si indica la composizione chimica dello strato protettivo (Z, nel caso si trattasse di solo zinco) e con un numero a tre cifre si descrive il suo spessore espresso in gr/mq. La zincatura, soprattutto nel caso dei prodotti CFS, rischia di subire delle variazioni causate dal susseguirsi di lavorazioni e questo può compromettere l’omogeneità dello strato di rivestimento: in alcuni casi la zincatura può essere effettuata anche dopo la sagomatura del profilo e attraverso alcuni processi è possibile controllarne l’integrità. Lo studio della chimica dei metalli in relazione all’evoluzione dei macchinari per la lavorazione delle aste di CFS offre la possibilità di sfruttare al meglio i sistemi di protezione dell’acciaio tramite zincatura: se al taglio dei nastri si sostituisce la lavorazione per ghigliottinamento, si riscontra un trascinamento dello zinco e del magnesio per lo spessore del nastro d’acciaio, in questo modo anche la nuova sezione del profilo sarà protetta chimicamente dalla corrosione e non svilupperà ruggine. 03. Metodi di modellazione a freddo di elementi in acciaio: la pressopiegatura a elementi defintii, la profilatura continua del nastro. crdt. Miba Srl
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Modellare l’acciaio 3.1.2 La produzione dei profili in acciaio sagomato a freddo è un processo flessibile, costituito da differenti fasi di lavorazione volte a definirne la qualità, le dimensioni e lo spessore. Quest’ultimo è tra i primi ad essere configurato attraverso la laminazione a caldo di bramme, ovvero di semilavorati in acciaio: questo processo avviene a temperature superiori a 1000°C mediante l’impiego di una coppia di rulli che allungano e riducono lo spessore dell’acciaio. Si ottengono così i primi prodotti piatti siderurgici: le lamiere, di formato generalmente rettangolare o quadrato e classificate in base allo spessore (in questo ambito, quello più utilizzato è quello compreso tra 0,5 mm e 3 mm) e le bobine conosciute anche come coils, le quali vengono riavvolti in rotoli per una lunghezza di anche 1000 m, ma con un peso complessivo inferiore alle 10 t. Dopo l’applicazione del trattamento anticorrosivo, le lamiere e le bobine possono essere tagliati della larghezza necessaria allo sviluppo di specifiche sezioni: le bobine in questi caso vengono srotolate, tagliate tramite cesoia e riavvolte mediante un aspo, ottenendo così dei nastri. La successiva modellazione necessaria a definire la sagoma può avvenire tramite la pressopiegatura (press brending) o la profilatura (cold rolling), due tipologie di lavorazione determinate anche dal tipo di prodotto piatto impiegato. La differenza principale tra questi metodi è la continuità della lavorazione: la continuità è garantita dalla profilatura che impiega dei nastri o dei fili di acciaio e non dalla pressopiegatura che utilizza le lamiere, e quindi degli elementi a dimensioni definite. La pressopiegatura è volta a determinare la geometria della sezione, la profilatura definisce anche la lunghezza dell’elemento finito, sempre a partire dallo stesso prodotto piatto. La profilatrice modella gradualmente il nastro attraverso una sequenza di rulli, la cui geometria e disposizione può variare a seconda della sezione che si vuole ottenere. Inoltre, tramite questo sistema, è possibile raggiungere elevati livelli di precisione, nettamente superiori rispetto la pressopiegatura. Si pensi infatti che la profilatura è impiegata anche per la realizzazione degli elementi del telaio in acciaio dei serramenti, solitamente caratterizzati da un’articolata sezione utile anche per migliorare le prestazioni di isolamento termico. La scelta tra i due metodi descritti per modellare l’acciaio è un percorso che solitamente ha natura fortemente economica: la produttività della profilatura è superiore alla sua alternativa e la sua flessibilità rende questa procedura altamente personalizzabile. Questa lavorazione, però, ha di contro il fatto di essere più costosa rispetto la pressopiegatura e quindi non è una scelta opportuna se non lavora a determinati volumi e con adeguata risposta da parte del mercato.
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04. Metodi di modellazione a freddo di elementi in acciaio: la pressopiegatura a elementi definiti, la profilatura continua del nastro. crdt. Margherita Ferrari
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LA PRESSOPIEGATURA
Macchina pressopiegatrice Lamiere
Pressopiegatura con lamiera in appoggio
Pressopiegatura con lamiera parzialmente bloccata
LA PROFILATURA Sequenza di rulli per sagomatura Nastro
Coppia di rulli ad un’unica testa
Coppia di rulli a più teste
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I profili così modellati possono essere successivamente forati tramite punzonatura e siglati con un codice di riferimento: oggigiorno si tende ad effettuare queste lavorazioni direttamente in officina per garantire una maggiore precisione. Inoltre, grazie al continuo sviluppo di macchine a controllo numerico, si sta sempre più passando a lavorazioni automatiche in sostituzione di quelle manuali. Questo permette non solamente di programmare la produzione di un preciso quantitativo di profili, ma anche di definire gli elementi ad hoc, integrando più lavorazioni all’interno di un unico sistema. Tale progettazione è resa possibile da sistemi CAD/CAM, ovvero dalla progettazione a computer (CAD – Computer Aided Design) e dalla fabbricazione computerizzata (CAM – Computer Aided Manufacturing), la cui integrazione consente di avviare direttamente la produzione degli elementi necessari a uno specifico progetto, a partire dal proprio disegno esecutivo. I macchinari di ultima generazione sono in grado di realizzare svariate forme e lavorazioni modificando gli assi e le posizioni degli elementi che operano sul nastro. 05. I nastri ottenuti dal taglio di bobine. L’altezza di un nastro è definita in base al tipo di profilo che dovrà essere prodotto e alle lavorazioni che dovranno seguire: al crescere del numero delle sagomature, corrisponde generalmente un numero crescente di piegature e quindi la necessità di una dimensione maggiore dell’altezza del nastro. crdt. Valentina Covre
Si pensi ad esempio che nella produzione di elementi in CFS è possibile inserire delle lavorazioni di precisione per la realizzazione di fori per le viti o flange e sagomature per l’incastro e l’intersezione delle aste. Grazie alla preforatura ad esempio è possibile effettuare la connessione tra gli elementi in maniera efficiente, senza comprometterne la disposizione, con una drastica riduzione del margine d’errore e un’evidente rapidità di messa in opera. I sistemi CAD/CAM hanno permesso quindi di gestire in maniera sempre più efficiente la produzione, ottenendo risultati vantaggiosi sia in termini di
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utilizzo del materiale (poiché sono ridotti al minimo gli sprechi) che in termini di qualità del prodotto, grazie a un costante e sofisticato controllo sull’aspetto geometrico della sezione e sulla qualità del materiale; questo consente di individuare tutte le eventuali fessurazioni che potrebbero influire negativamente sulla resistenza del prodotto finale. 06. Profilatura di un nastro con rulli. crdt. Stam
La 3.1.3 geometria delle sezioni Le tipologie di profili che è possibile produrre attraverso i macchinari di ultima generazione sono pressoché infinite e tutte sono altamente personalizzabili (purché tali modifiche avvengano in conformità alla UNI EN 1090 e rispettino le tolleranze previste da normativa). Per questo motivo risulta difficile definire un abaco preciso degli elementi CFS. Un altra ragione per cui è difficile organizzare una raccolta completa delle sagome è la forza che alcune prassi costruttive esercitano. Un esempio: negli edifici LSF canadesi si impiegano tipologie di profili destinati ad uno specifico impiego o con definite prestazioni, per lo stesso impiego, in contesto anglosassone, si utilizzano profili diversi e, in alcune nazioni quali l’Italia, non viene impiegato nessun profilo su sagoma né canadese né anglosassone e si procede alla costruzione assemblando profili più semplici e più robusti che, per tali loro caratteristiche, ben si prestano alla realizzazione di ogni parte dell’edificio.
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I profili in CFS possono avere molteplici sezioni, tuttavia ci sono alcuni parametri secondo i quali è possibile classificarli. In questo caso si riporta l’esempio del profilo a C RINFORZATO, uno dei più utilizzati in questo settore.
Flangia Flange Anima Web Altezza Height
Labbra Lip Spessore Depht Larghezza Width
Alcune delle principali sezioni utilizzate nei sistemi costruttvi LSF: la sezione determina anche le prestazioni meccaniche. I primi due profili infatti sono quelli impiegati per i montanti mentre gli altri sono utlizzati come traversi o elementi di sostegno per rivestimenti.
Profilo a C RINFORZATO
Le lavorazioni che si possono applicare a un profilo in CFS sono molteplici. Grazie alla pogrammazione tramite processi CAD-CAM, è possibile effettuare queste lavorazioni in maniera puntuale. Si riportano di seguito alcuni esempi, utili a migliorare le fasi di montaggio, senza compromettere la qualità e le proprietà meccaniche del profilo CFS.
Profilo SIGMA
Schiacciatura del profilo (swagge)
Foratura dell’anima (expanded mesh)
Profilo U
Taglio d’anima (nogging notch) Taglio labbra (lip notch)
Profilo OMEGA
Taglio inclinato testa del profilo (web notch)
Preforatura per le viti (truss hole) Preforatura per passaggio impianti (service hole)
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Per le ragioni descritte, a differenza dei laminati a caldo, non esiste una tabella dimensionale di riferimento, in cui si riporta un rapporto preciso tra lunghezza, larghezza, massa dell’elemento in CFS. Tuttavia è possibile una descrizione dei profili più diffusi in base ad alcuni parametri quali la geometria della sezione lo spessore e il numero di strati di rivestimento. La norma UNI EN 10162 (2006), per garantire la qualità dei profili CFS in mancanza di una standardizzazione delle sagome, identifica i raggi di curvatura minimi per i profilati di acciaio laminati a freddo zincati per immersione a caldo in continuo; queste indicazioni sono valide per i profili il cui spessore finale è uguale o inferiore ai 3 mm e variano in funzione della classe dell’acciaio impiegata per la realizzazione dei profili. a. Identificazione dei raggi di curvatura minimi per i profilati in acciaio laminati a freddo zincati per immersione a caldo in continuo, con spessore finale uguale o inferiore ai 3 mm (Norma UNI EN 10162 – 2006).
Classe dell’acciaio (UNI EN 10025-2) Raggio interno di curvatura per lo spessore nominale t≤3mm S 220 GD+Z
0,5 t
S 250 GD+Z
0,5 t
S 280 GD+Z
1t
S 320 GD+Z
1,5 t
S 350 GD+Z
1,5 t
Generalmente i profili CFS con spessore inferiore ai 6/10 sono elementi non strutturali e vengono utilizzati per le sottostrutture di pareti e contropareti. In questo caso la geometria maggiormente diffusa è a sezione aperta, poiché permette di realizzare connessioni più semplici rispetto a quelle che devono essere eseguite nel caso vengano impiegati profili a sezione chiusa. Altre tipologie di sezione, di valenza strutturale, possono essere individuate in base al campo d’impiego: nei paesi in cui questo sistema è diffuso da tempo il mercato permette di produrre in modo differenziato una gamma di profili diversi, da impiegarsi a seconda della funzione che ricoprono all’interno del telaio strutturale. Si possono trovare profili a sezione rinforzata, irrigidita da lips o da sagomature dell’anima lungo tutta la sua lunghezza (queste lavorazioni riducono il rischio di svergolamenti o spanciamenti dell’asta sottoposta a carichi), vi sono anche elementi con anima microforata, per migliorare le prestazioni di isolamento acustico o termico. Gli elementi più diffusi sono quelli a C, U, L, Z, i quali possono essere anche combinati lungo tutta la loro sezione, ottenendo delle sezioni composte come quella “schiena contro schiena” (back-to-back) oppure “a scatola” (box in the box), soluzioni dalle prestazioni meccaniche migliorate.
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Queste soluzioni di assemblaggio di profili semplici vengono adottate soprattutto nei casi in cui si utilizza una sola tipologia di profilo e quindi orienta la produzione allo sviluppo di specifiche e dettagliate sagomature che vengono progettate ad hoc al fine di garantire un perfetto assemblaggio. È il caso ad esempio del Sistema CIPA® la cui peculiarità è proprio quella di impiegare un profilo a C rinforzato con labbra (lips), che è generalmente la sezione più impiegata nel sistemi LSF. Nel caso in cui i profili CFS debbano essere utilizzati in questo modo vi verrà stampato sopra un codice che riporta le indicazioni utili ad identificarne l’esatta posizione e i punti di incastro o giunzione con gli altri profili, anch’essi riconoscibili tramite codice. Questa soluzione migliora l’identificazione dell’elemento all’interno di un processo produttivo e facilita le operazioni di montaggio, sia che si operi presso lo stabilimento di produzione sia che si eseguano tutte le lavorazioni di montaggio in cantiere. Spesso le aziende che si occupano della produzione dei profili, e della successiva messa in opera, utilizzano una specifica nomenclatura al fine di migliorare la fase di montaggio sia in termini di riduzione dei tempi, che di precisione del manufatto. Questo sistema inoltre, opportunamente accompagnato da un manuale di istruzioni, può consentire il montaggio della struttura ad opera di altri, anche senza la necessità di ricorrere ad una manodopera altamente specializzata.
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IL SISTEMA COSTRUTTIVO 3.2
Gli elementi in CFS permettono di realizzare un telaio leggero dalle elevate prestazioni meccaniche, entro i propri limiti. Uno dei maggiori vantaggi riguarda appunto la leggerezza dei singoli elementi di cui il telaio è composto, perciò non sono necessari specifici mezzi di sollevamento in cantiere, per la messa in opera o per il trasporto. L’assemblaggio delle aste può avvenire in officina o direttamente in cantiere, senza la necessità di impiegare un grande numero di operai e macchinari particolari, in ogni caso il sistema costruttivo LSF permette di ridurre significativamente le tempistiche di cantiere se confrontato con i sistemi edilizi più diffusi.
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Caratteristiche del sistema 3.2.1 Il profilo in CFS può essere impiegato come elemento singolo o integrato. Un’asta CFS può essere accoppiata con un’altra al fine di creare una sezione maggiormente resistente (ad esempio col sistema back-to-back), più elementi CFS possono essere assemblati assieme al fine di realizzare una componente più complessa, come può essere un arcareccio o una trave reticolare, utilizzati generalmente per le partizioni e le chiusure orizzontali: in alcuni casi questi elementi complessi possono essere anche collaboranti con una lamiera o una lamiera grecata. Il telaio generalmente viene assemblato per sistemi, ovvero chiusure verticali e orizzontali, e partizioni verticali e orizzontali, e successivamente connesse le une con le altre. All’interno di ciascun sistema ogni elemento viene definito con un termine preciso: questo processo di definizione e consente anche di determinare il tipo di profilo più adatto da impiegare e quindi le sue caratteristiche geometriche. 07. La connessione tra i sistemi verticali e orizzontali, determina due differenti tipologie di LSF. crdt. Margherita Ferrari
Lo sviluppo della struttura portante dell’edificio, tramite l’impiego del sistema costruttivo LSF, può essere realizzata mediante due sistemi: a parete continua (balloon frame) o interrotta (platform-frame). Quest’ultima prevede una realiz-
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zazione dell’edificio “piano per piano”: ogni livello di solaio che viene costruito può essere impiegato come “piattaforma” (da cui il termine platform) per la realizzazione delle strutture di elevazione e del successivo impalcato orizzontale. Le pareti portanti sono dunque interrotte a livello del piano e i solai poggiano direttamente sulle aste di CFS che definiscono le pareti dell’edificio (siano esse partizioni interne verticali o chiusure perimetrali). La costruzione di una struttura balloon prevede invece che le pareti continuino per più piani e gli impalcati vengano fissati agli elementi strutturali delle pareti senza interromperne la continuità. Con questa soluzione è possibile prevedere un certo risparmio di elementi costruttivi per gli orizzontamenti e, quando non erano disponibili software per la progettazione di dettaglio, era possibile riscontrare anche una migliore tenuta all’aria delle chiusure perimetrali (perché le giunzioni tra elementi verticali ed orizzontali potevano avvenire nell’intradosso delle strutture verticali ed essere protette da queste). Il sistema baloon comporta però qualche difficoltà in più nell’organizzazione del cantiere perché prevede la realizzazione di opere provvisionali di sostegno, sia di controvento delle strutture verticali che di sostegno delle strutture orizzontali durante la fase di montaggio. Alla struttura possono essere collegati direttamente i materiali che costituiranno il pacchetto tecnologico: il completamento della costruzione LSF può essere realizzato completamente a secco e quindi, previa accurata progettazione esecutiva, può permettere di realizzare sistemi tecnologici di alta precisione, idonei a differenti necessità progettuali. La possibilità di costruire completamente a secco costituisce uno degli aspetti più delicati di questo sistema e che si distingue dalla definizione del sistema Struttura/Rivestimento (S/R) in cui queste componenti (struttura e rivestimento) sono chiaramente distinte e sulle quali è possibile intervenire separatamente (E. Zambelli, M. Imperadori). Nel LSF l’involucro è tutt’uno col suo scheletro e questo richiede una maggiore attenzione nella progettazione esecutiva che deve prevedere e risolvere tutti quei problemi che potrebbero derivare dalla trasmissione termica, dall’acustica, dalla resistenza al fuoco e dall’integrazione impiantistica. La progettazione, in considerazione di queste esigenze, si sta sviluppando e raggiunge livelli di dettaglio accuratissimi, individuando soluzioni sempre più mirate e utili ad andare oltre i limiti dell’impiego tradizionale di questa soluzione costruttiva (un impiego legato anche all’autocostruzione). Allo stesso tempo alcune componenti per il rivestimento possono collaborare con il telaio e integrare dunque, oltre alle prestazioni termo-acustiche, anche le prestazioni meccaniche.
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Classificazione del sistema costruttivo 3.2.2 L’assemblaggio dei profili può avvenire in cantiere o in officina e, sulla base di ciò, si può classificare il sistema costruttivo LSF in tre tipologie, che sono in effetti tre modi diversi di ragionare sullo stesso tipo di struttura. Le tre tipologie hanno nomi americani, poiché è americana la derivazione di tale tipo di analisi: stick-built (ad aste), panel (a pannelli), volumetric (a moduli). Ciascuna tipologia di assemblaggio comporta vantaggi e limiti, e proprio per questo quasi mai un edificio viene realizzato solo con una di queste soluzioni. Inoltre è frequente riscontrare che le diverse combinazioni di elementi base e anche i sistemi di collegamento adottati variano da nazione a nazione, in conformità alle normative vigenti e al grado di specializzazione della manodopera impiegata. La scelta del sistema da impiegare viene fatta generalmente in base al contesto in cui si opera: •
condizioni climatiche, che possono compromettere alcune lavorazioni in cantiere;
•
conformazione del cantiere, e quindi la dimensione degli spazi di manovra e dello spazio per il montaggio;
•
distanza tra l’officina di produzione e il cantiere, e tipo di mezzo di trasporto disponibile per coprire tale distanza.
Il sistema stick-built, probabilmente insieme alla soluzione panel, costituisce il metodo più utilizzato per la costruzione di edifici di piccole e medie dimensioni, fino a tre piani di altezza. Mentre il primo prevede di assemblare interamente il telaio in cantiere, col secondo invece si montano pannelli prefabbricati o, meglio, assemblati presso lo stabilimento di produzione e condotti in cantiere già pronti per essere posti in opera. Le finiture di un panel possono essere completate (tutte o in parte) direttamente in officina, garantendo così un miglior controllo delle lavorazioni e una più precisa risposta alle esigenze progettuali. Il sistema volumetric prevede la realizzazione di elementi tridimensionali (composti ad esempio da due pareti verticali e un impalcato orizzontale) e riduce al minimo le operazioni in cantiere. Questa soluzione permette di realizzare elementi indipendenti o collegabili tra loro, in alcuni casi vere e proprie unità indipendenti, in altri invece si tratta di moduli, chiamati pod, definiti non solo in base alla loro funzione ma in base sia a forma e che a funzione. I pod vengono inseriti all’interno di un sistema più complesso e si tratta, in genere, di pod dedicati ai servizi igienici e, nel caso delle residenze, anche alle cucine: si adattano bene alla realizzazione delle parti dell’edificio che richiedono una
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più intensa o una più specifica dotazione impiantistica. Gli elementi volumetric possono essere portati, possono collaborare con le strutture portanti allo scarico delle sollecitazioni o possono essere essi stessi parte strutturale dell’edificio progettato. Nel caso in cui si realizzasse un edificio sovrapponendo elementi tridimensionali è evidente che vi sarà un’interruzione degli elementi strutturali verticali al livello di ogni impalcato orizzontale (come nel sistema platform) e questo punto, se non accuratamente progettato, può costituire un ponte acustico tra i differenti moduli assemblati. 08. Clarence Road, Hackney, London E8. Montaggio della prima unità. crdt. MBP Studio
Una recente realizzazione a Londra mostra l’impiego del sistema volumetric nella realizzazione di un edificio a tre piani, frutto dell’assemblaggio di quattordici elementi scatolari realizzati in officina e posti in opera con una gru. Ogni unità volumetric ha dimensioni 4.5x12.5x3 m e pesa circa 24 tonnellate. La struttura di ogni unità è realizzata di parti: i solai e le pareti esterne hanno struttura portante in acciaio sagomato a freddo, più robuste al perimetro e più leggere per le orditure interne (i solai sono finiti con pannelli in calcestruzzo, i tamponamenti delle pareti verticali sono in legno), divisori interni in cartongesso. Alcune parti della struttura sono realizzate in acciaio pesante e la messa in opera avviene tramite saldatura, le parti in CFS sono invece imbullonate. L’unico fattore veramente limitativo per il sistema volumetric è determinato dai costi derivanti dal trasporto delle unità, in alcuni casi catalogati come “trasporto eccezionale” e con un conseguente aggravio sui costi totali della costruzione. In ogni caso i pod o le unità, sia grandi che piccole, prima di uscire
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dall’officina devono essere protette e sigillate per non subire danneggiamenti durante il trasporto. La maggior parte dei cantieri che prevedono l’impiego di costruzioni in LSF in Italia ed in Europa mostrano che le configurazioni ibride sono le più diffuse: il progetto prevede che la realizzazione di alcune parti del progetto avvenga grazie a soluzioni panel, altre in stick-built e a volte si impiegano anche alcuni elementi volumetric. Il progettista ha così la possibilità di usufruire dei benefici dati da uno e l’altro sistema, senza vincoli geometrici e strutturali, personalizzando a piacimento l’intervento. Vengono combinate le caratteristiche di versatilità e adattabilità del sistema panel, a quelle di precisione costruttiva e velocità di messa in opera tipiche della costruzione volumetrica; il sistema stick-built, estremamente semplice nell’esecuzione, consente di completare adeguatamente qualunque soluzione richiesta da progetto. Questa possibilità di combinare più soluzioni rende ancor più duttile la progettazione in acciaio sagomato a freddo, rompendo la geometria fissa dovuta alla ripetizione delle unità tridimensionali. La prefabbricazione, infatti, non è più legata al grande numero di prodotti tutti uguali. La prefabbricazione degli elementi in CFS è un processo legato al progetto e al controllo della produzione delle parti dell’edificio prima di entrare in cantiere, per una migliore qualità dell’edificio nel tempo. 09. I tre sistemi di montaggio. crdt. Margherita Ferrari
Sistema ad aste Stick-built
Sistema a pannelli Pannel
Sistema a moduli Volumetric
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Modalità di connessione 3.2.3 La connessione costituisce una parte essenziale del progetto e la scelta di un particolare tipo di dispositivo dipende da diversi fattori: condizioni di carico, spessore e tipologia dei diversi materiali coinvolti, resistenza richiesta per un collegamento ottimale, costo degli elementi, preparazione della manodopera in cantiere e requisiti di garanzia per la durata delle connessioni. Oggigiorno, grazie ai sistemi di progettazione CAD/CAM, è possibile predisporre i fori in cui verranno effettuate le connessioni e definirne anche il numero esatto. Le connessioni impiegate nelle costruzioni LSF vengono generalmente classificate in tre diverse categorie (Fasteners for residential steel framing, American Iron and Steel Institue, 1993), sulla base della tipologia del materiale:
b. Tabella riepilogativa dei più diffusi sistemi di collegamento secondo il sistema LSF anglosassione.
•
acciaio-acciaio;
•
acciaio-rivestimento;
•
acciaio-cemento.
CONNESSIONI DEI SISTEMI
ELEMENTO DI CONNESSIONE
Traverso di bordo – Fondazione c.a.
Tassello
Traverso – Traverso di bordo
Vite autofilettante
Pannello in compensato multistrato
Vite con alette per alesautra,
– Traverso
Chiodi
Binario della parete – Impalcato solaio
Vite autofilettante
Montante della parete – Traverso del
Vite autofilettante, Rivetto,
solaio
Clinciatura, Saldatura
Irrigidimento per travetto solaio
Vite autofilettante
Montante – Binario di chiusura superiore Vite autofilettante Travetto – Trave portante del solaio
Saldatura, Bullone, Chiodo con guaina in plastica di rinforzo
Montante – Pannello strutturale
Vite, Chiodo, Adesivo
Montante – Pannello isolante esterno
Vite, Adesivo
Montante – Pannello in gesso
Vite, Chiodo, Adesivo
Collegamenti delle aste di una capriata
Vite, connessione propria dell’elemento
Trave di copertura – Binario superiore
Vite autoperforante
Trave di copertura – Rivestimento di
Vite con alette per alesautra,
copertura
Chiodi
Trave di copertura – Pannello in gesso
Vite
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I primi due casi elencati sono i più diffusi per la velocità di realizzazione e per il tipo di dispositivo impiegato, ovvero viti, bulloni, chiodi, rivetti e pins. È importante sottolineare che questi dispositivi non sono equivalenti tra loro ma influiscono sul tempo di realizzazione della connessione e sulla sua efficacia; queste differenze tra tipologie di connessione sono tanto marcate da influire anche notevolmente sul numero di connessioni necessarie e di conseguenza sul costo finale della lavorazione. La giunzione tra gli elementi strutturali di un sistema LSF (come anche quelle tra gli elementi portati e le strutture portanti) avvengono, solitamente, per unioni puntiformi realizzate tramite bulloni, viti e rivetti: è proprio su questi elementi puntiformi che si concentrano le forze, determinando un aumento della tensione e rendendo importante l’analisi delle concentrazioni locali di tensione nella zona del collegamento. Le connessioni strutturali acciaio-acciaio possono essere realizzate con profili CFS e con laminati a caldo, possono essere impiegati buchi passanti con bulloni e anche chiodi sparati. Nel caso in cui le aste in CFS non fossero prodotte con gli appositi fori per l’alloggiamento delle giunzioni puntuali, la foratura dell’elemento costruttivo a piè d’opera tramite autoforanti potrebbe causare concentrazioni di tensione con notevoli aumenti sul margine forato. Le viti e i bulloni rappresentano, nel contesto italiano, il sistema di connessione principale; negli Stati Uniti viene ampiamente utilizzato il rivetto, un elemento che però nel corso dei cicli di lavoro della struttura (dovuti alle sollecitazioni termiche e strutturali) tende a slabbrare e quindi a perdere la propria efficienza meccanica. Altre giunzioni meccaniche da considerare sono quelle con le fondazioni (generalmente realizzate in cemento armato): queste vengono effettuate con tasselli meccanici di diametro 8 mm. In alcuni contesti si considerano anche le connessioni con le lastre di rivestimento, queste possono infatti collaborare all’irrigidimento della struttura, si possono utilizzare pannelli in compensato multistrato (plywood), in cemento fibrorinforzato (cements board) e pannelli OSB (Oriented Strand Board), oppure truciolari. Da questa prima descrizione si capisce che nella messa in opera de sistema costruttivo LSF non si utilizzano connessioni destinate a consolidarsi dopo la posa, come sono i collanti o le malte, bensì giunzioni a secco, realizzate cioè con tecnologie di tipo meccanico e rese solidali attraverso una precisa logica costruttiva. È anche a questa specificità, al dettaglio della progettazione, che si deve la riduzione dei tempi di costruzione e al raggiungimento di un alto livello di
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controllo del cantiere, della resa finale del progetto e della flessibilità d’uso dell’edificio. Anche in fase di “fine vita” e quindi di dismissione dell’edificio, vi sono notevoli vantaggi: l’edificio in LSF non viene demolito bensì smontato e tutte le sue parti possono essere disassemblate, riconosciute e destinate al riuso o al riciclo.
Viti
La vite viene definita come “organo meccanico di collegamento, costituito da un gambo cilindrico o conico sul quale è inciso un solco elicoidale il cui risalto (detto filetto o verme) va a impegnarsi tra i risalti di un solco analogo (preesistente o generato dalla sua stessa rotazione); l’estremità libera del gambo è provvista di un ringrosso (testa) per lo più opportunamente sagomato (per la manovra mediante chiave) o anche fornito di taglio (per la manovra mediante cacciavite)” (Il Devoto–Oli, Mondadori Education S.p.A.). Le viti sono i dispositivi più comunemente utilizzati nelle costruzioni in acciaio sagomato a freddo e, solitamente, vengono messe in opera mediante l’ausilio di un avvitatore elettrico. Hanno il vantaggio di poter essere rimosse senza subire alcun danno e senza danneggiare a loro volta l’elemento su cui erano avvitate: previo accurato smontaggio, sia le viti che i profili in CFS possono essere successivamente riutilizzati. Le diverse tipologie di vite possono essere classificate in base al diametro del corpo della vite stessa, specifico a seconda degli elementi da collegare e alla conformazione della testa, che può variare anche in base al materiale impiegato. Le viti con testa esagonale e spessa, ad esempio, sono utilizzate nelle connessioni strutturali tra le aste in CFS e le fondazioni in cemento armato; quelle con testa circolare sono utilizzate per il collegamento, in generale, di tutti gli elementi che costituiscono lo scheletro portante in CFS, mentre quelle con testa piatta fissano le finiture esterne e i rivestimenti sottili (ad esempio membrane e lastre di cartongesso). Tramite l’operazione di preforatura e sagomatura del profilo è possibile realizzare, oltre al foro d’inserimento della vita, anche una leggera bugnatura tale da fare in modo che la testa della vite impiegata per la giunzione dei profili di CFS sia complanare alla superficie dell’elemento su cui questa viene applicata: in questo modo è possibile garantire quindi un’omogenea aderenza dei
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pannelli al telaio in acciaio. In alternativa è possibile impiegare viti automodellanti, del tipo autoperforante (self-drilling screws), questo genere di vite ha una punta particolare che permette di forare le lamiere senza necessità di trapanare un foro d’invito. Questa scelta è ampiamente diffusa nel caso in cui i profili di acciaio sagomato a freddo non siano sviluppati con le più avanzate tecniche di progettazione CAD/ CAM e non vengano sagomati da macchine moderne che, senza spreco di tempo, forano e sagomano le lamiere in ogni punto ove dovrà essere realizzata la connessione tramite viti. Questa tipologia di produzione agevola e sveltisce il lavoro in cantiere in quanto la predisposizione dei fori per le viti consente ai montatori di non occuparsi di misurazioni e della verifica del numero dei punti di giunzione tra i profili. L’impiego di viti è una tecnica di connessione veloce ed economica nell’esecuzione, in ogni caso, soprattutto nella realizzazione di grandi complessi, vanno comunque attentamente considerati i costi di manodopera dovuti al tempo necessario al completamento della struttura (si pensi che un’abitazione di 150 mq prevede l’impiego di circa 20.000 viti). Previa accurata progettazione è possibile definire il numero esatto di viti da porre in opera e la tipologia di vite, potendo così ridurre in modo significativo la percentuale d’errore.
Bulloni
Il bullone è un elemento di giunzione smontabile costituito da due parti meccaniche: •
una vite, con una testa e un’asta (o gambo). La testa è normalmente esagonale o, più raramente, quadrata o cilindrica con esagono incassato. L’asta può essere totalmente o parzialmente filettata ed è in base al diametro e alla lunghezza di questa che vengono identificati i bulloni;
•
un dado, elemento di collegamento a sezione poligonale, con foro passante o cieco e filettatura complementare a quella della vite.
I bulloni sono di norma usati per i collegamenti della struttura con le fondazioni, dove spesso vengono già installati nel calcestruzzo, collocati per il fissaggio della struttura con l’ausilio di dadi e rondelle. I bulloni possono essere anche autofilettati (self-piercing screws), in questo tipo di connessioni viene generalmente impiegato su lamiere di spessore non in-
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feriore agli 0,8 mm e, a differenza di alcuni tipi di viti, i bulloni necessitano di un foro dal diametro dimensionato su quello del gambo e leggermente inferiore ad esso.
Chiodi a spillo
L’utilizzo dei chiodi a spillo (pins o chiodi a stecca) nella messa in opera di strutture in acciaio sagomato a freddo è recente e ancora in fase di perfezionamento, anche dal punto di vista normativo. L’impiego di questi elementi di connessione è una tecnica derivante dalle costruzioni in legno; negli edifici LSF sono solitamente impiegati per il fissaggio delle membrane protettive ed isolanti alla struttura in acciaio o per rinforzare alcune giunzioni effettuate anche tramite bullone (come nel caso della giunzione di un asta in CFS con un elemento di carpenteria pesante, come una trave IPE o un pilastro HE). Lo strumento utilizzato per la messa in opera è simile ad uno sparachiodi, ovvero una una pistola che, utilizzando la carica di una cartuccia (anche detta “stecca”), conficca perni di ancoraggio sia in materiali duri (come l’acciaio o il calcestruzzo) che in materiali semicompatti (come il legno o l’alluminio). I diametri dei chiodi a spillo utilizzati più diffusamente variano da un minimo di 2.5 mm ad un massimo di 13.7 mm. Le teste possono avere varie fogge e i corpi devono avere una lunghezza tale da penetrare nell’acciaio di 6 mm oltre la guida: possono inoltre presentare zigrinature per migliorare la resistenza a contatto col materiale su cui sono applicati. Hanno una velocità d’installazione superiore rispetto alle viti e, in casi specifici, l’installazione di perni permette di sostenere carichi maggiori. Vi sono anche però degli svantaggi, legati al costo (circa 5 volte quello delle viti), alla possibilità di subire un allentamento dalla sede causato dalle vibrazioni e allo sfrangiamento dell’asta in CFS durante le lavorazioni.
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Rivetti
Il rivetto è una connessione meccanica non smontabile che serve alla giunzione di due o più parti in acciaio, e può essere disassemblato solo distruggendo il rivetto stesso. Questo sistema di assemblaggio richiede innanzitutto la preforatura degli elementi che devono essere tra loro connessi, questo poiché è necessaria la precisione e la complanarità del foro tra le parti per garantire l’efficacia della giunzione tramite rivetti. La realizzazione in opera dei fori, mediante trapano, è rischiosa perché il mancato allineamento dei fori causato dallo scivolamento tra le aste in CFS potrebbe compromettere il corretto inserimento del rivetto.Il rivetto può essere utilizzato per diverse giunzioni e la zona in cui avviene la rivettatura può essere rinforzata da piastre, per mantenere l’integrità delle componenti connesse.I rivetti sono realizzati solitamente in leghe di alluminio e possono avere svariate dimensioni: una componente che caratterizza questo elemento è la geometria della testa, generalmente piana, tonda, ribassata o svasata. Nei disegni industriali la sigla dei rivetti riporta differenti valori che indicano la tipologia (basata su materiale e dimensioni principali), il diametro del gambo e le dimensioni delle teste e la preparazione della sede in cui applicare il rivetto. I rivetti sono classificati anche in base al metodo d’installazione, possono essere a strappo (anche detti rivetti ciechi e rappresentano la tipologia più utilizzata), con inserti filettati o, più raramente, autoperforanti. L’ampia diffusione dei rivetti a strappo deriva soprattutto dalla sua praticità poiché, una volta posizionato il rivetto all’interno del foro, si procede alla deformazione della spina per formare la controtesta, dopodiché il chiodo viene rotto, in questo modo è possibile fissare il rivetto operando solo da un lato del foro e dell’asta in CFS.
Aggraffatura e clinciatura
L’aggraffatura unisce due bordi di lamiera sottile attraverso la loro sovrapposizione e poi ripiegandoli doppiamente su sé stessi. È una tecnica per otte-
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nere connessioni senza l’ausilio di elementi di fissaggio esterni ma solo con deformazione plastica del metallo, che avviene per mezzo di un’opportuna macchina detta aggraffatrice. Tra i sistemi di aggraffatura è importante ricordare la clinciatura (press joint), tecnica che ha grande diffusione nell’assemblaggio di travi accoppiate e, più in generale, di strutture realizzate tramite la deformazione locale (a freddo) delle lamiere. Il punto di clinciatura è prodotto dall’interazione di una matrice e di un punzone che determinano l’assemblaggio per deformazione. Possono essere giuntate per clinciatura anche le lamiere rivestite o verniciate in quanto non vengono arrecati danni alla superficie finita.
Incastro
La giunzione tramite incastro (clip togheter system) avviene senza elementi di connessione, ma tramite la progettazione dello stesso sugli elementi. Generalmente viene impiegato per connessioni non strutturali e temporanee, quindi anche per pareti divisorie non portanti, inoltre non necessita di strumenti particolari e quando necessario può anche essere smontato. 10. Montaggio di una parete in officina. Avvitamento di un diagonale al traverso: la preforatura dei profili CFS permette di ridurre i tempi, senza intaccare la qualità del giunto finale. crdt. Margherita Ferrari
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IL TELAIO 3.3
La progettazione di un edificio realizzato con sistemi LSF non differisce dagli altri sistemi a secco in cui le strutture portanti sono realizzate, ad esempio, in elementi laminati a caldo o in legno e i tamponamenti sono realizzati grazie alla stratigrafia dei materiali isolanti e di rivestimento. Tuttavia la definizione nel livello di progettazione e la precisione nella produzione che si possono raggiungere grazie al sistema costruttivo LSF sono pressoché uniche: a partire da un progetto architettonico si arriva a definire la sagomatura di ogni determinato profilo, in ogni preciso punto del telaio. Di conseguenza è possibile anche determinare il numero esatto di lastre necessarie per il rivestimento di una superficie e di ogni parte necessaria alla finitura del pacchetto costruttivo, riducendo drasticamente gli scarti in cantiere. Questo sistema è conosciuto come processo Building Information Modelling (BIM): attraverso il BIM è possibile gestire e progettare con dettaglio assoluto ogni componente del progetto, ciò ottimizza le fasi di produzione, montaggio, manutenzione e disassemblaggio. Di conseguenza è necessaria una grande precisione anche nella messa in opera delle aste in CFS: questa fase di lavorazione avviene seguendo elaborati progettuali dettagliati, dei quali la semplice comprensibilità è garantita dalla corrispondenza esatta dei codici identificativi di ogni asta apposti sugli elementi in CFS e riportati sugli elaborati di progetto. Anche i fori sono identificati in modo puntuale e questo fa si che non servano misurazioni ulteriori a quelle effettuate dalla macchina profilatrice (vale a dire che ogni asta è già forata in ogni punto in cui è necessario effettuare una connessione, ad esempio, tramite vite). Un semplice esempio delle modalità e dalla rapidità di realizzazione di una struttura in CFS può essere dato grazie alla descrizione del montaggio di una parte della struttura: il tempo di realizzazione di una travatura reticolare (alta 35 cm e lunga 6 m) è di circa 8 minuti con il lavoro di due operai montatori. Spesso le travi delle strutture in CFS, soprattutto nel contesto italiano, ven-
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gono realizzate con reticolari in quanto queste sono facilmente attraversabili da tubi e canalizzazioni (che dunque passeranno “a soffitto”): un notevole vantaggio rispetto alle travi a Z comunemente impiegate in Canada e negli USA. 11. Il telaio strutturale LSF: le pareti e le travi reticolari per il solaio di copertura. crdt. Margherita Ferrari
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Industrializzazione di processo 3.3.1 Per la realizzazione di un edificio in LSF è fondamentale definire il progetto in tutti i dettagli prima di avviare la produzione delle sue componenti. La progettazione, lavorando con questo sistema costruttivo ancor più che impiegando le tecnologie tradizionali, deve coinvolgere tutti i professionisti e affrontare tutti gli aspetti concorrenti alla definizione di qualità architettonica, tecnologica e impiantistica: in questo modo le aste in acciaio sagomato a freddo della struttura possono essere progettate e modellate ad hoc, permettendo la scelta e la produzione di tutte le componenti sino alla loro messa in opera e gestione in tutto il ciclo di vita dell’edificio. Il controllo della produzione delle parti dell’edificio in officina parte dunque dalla progettazione e dalla modellazione tridimensionale, volte alla predisposizione di un progetto globale, definito e controllato in ogni sua parte: solo in questo modo è possibile sfruttare a pieno i vantaggi del sistema LSF, dove ogni profilo in CFS ricopre un preciso ruolo all’interno del telaio strutturale, e per questo richiede una propria specifica progettazione e modellazione. È la tecnologia BIM che consente lo sviluppo di questo processo progettuale, produttivo e costruttivo ma tutto ciò è impossibile senza il confronto delle parti e dei progettisti. I sistemi costruttivi tradizionali, proprio perché impiegano pratiche consolidate nella prassi operativa di tutti i lavoratori del settore edile, assecondano il mancato o il debole coordinamento tra le varie figure che concorrono allo sviluppo del progetto e alla realizzazione dell’edificio: sono frequenti i lavori di demolizione durante i processi di costruzione, si pensi ad esempio alle lavorazioni per la posa in traccia degli impianti.
12. Elaborazione del software di calcolo strutturale proSAP.
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Ad oggi la progettazione BIM non è ancora diffusa ma anche solo la sua disponibilità sta già consentendo un maggior coordinamento, agevolando l’integrazione di specialisti. La produzione di elementi costruttivi realizzati ad hoc per ogni progetto è possibile grazie alla tecnologia CAD/CAM e la strategia della pianificazione simultanea dei differenti sistemi ha acquisito sempre più valore. Le innovazioni in questa direzione sono incentivate soprattutto dai margini di guadagno e di precisione che il BIM e il CAD/CAM consentono. Uno studio di CIFE ha analizzato 32 progetti sviluppati con progettazione BIM e ha mostrato che questo sistema di modellazione permette di ridurre dell’80% i tempi necessari per la predisposizione del preventivo di spesa e riduce l’errore della stima dei costi al 3% (Standford University Center for Integrated Facilities Enigineering, CIFE, 2007). La progettazione di un edificio sviluppato tramite BIM vede tempi drasticamente ridotti in tutte le fasi del suo sviluppo: è necessario prevedere un tempo di elaborazione dei disegni di poco maggiore rispetto a quello solitamente impiegato per il disegno di edifici con sistema edilizio tradizionale, tale piccola differenza temporale ha però una grande ricaduta sui tempi di produzione e di messa in opera delle parti e delle componenti dell’edificio, così ridotti da definire un netto vantaggio economico. Anche il montaggio delle fasi di messa in opera dell’edificio vengono semplificate, grazie alla puntualità del disegno e alla precisione degli elementi posti in opera. La progettazione di un sistema LSF che richiede un’accurata progettazione e trova nella modellazione BIM un’efficiente (ma non unica) risposta. È proprio in virtù di tale grande controllo del disegno e del progetto che sono semplici anche le variazioni in corso d’opera e durante la fase d’uso, manutenzione e riqualificazione degli edifici: i sistemi di connessione impiegati sono reversibili e gli elaborati di progetto mostrano con dettaglio ogni parte dell’edificio sulla quale si intende intervenire. Cenni di predimensionamento strutturale 3.3.2 La struttura di un edificio LSF è composta da un telaio di aste, connesse tra loro, a costituire una serie di elementi tecnici e unità tecnologiche articolati. Partizioni e chiusure, funzionando come elementi portanti e appaiono come una gabbia e, come tale si comportano dal punto di vista strutturale. La progettazione del telaio LSF avviene tramite l’ausilio di specifici software per il calcolo di strutture complesse, che permettono di dimensionare ad hoc ogni singolo elemento e nodo e, allo stesso tempo, di effettuare varie analisi per la verifica della stabilità dell’intera struttura, quali il controllo di ogni
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singola asta (montante, traverso, controvento), dei giunti strutturali e delle fondazioni. La progettazione strutturale può basarsi esclusivamente sulle aste CFS (allsteel design) oppure includere anche i pannelli di tamponamento, i quali contribuiscono a stabilizzare la struttura e in particolar modo a contrastare le forze orizzontali (sheating braced design). Una volta predisposte le dimensioni geometriche degli elementi, i carichi e le loro combinazioni, si procede all’analisi strutturale e alle verifiche della gabbia di elementi in acciaio sagomato a freddo, disposti in funzione del disegno degli spazi e delle forme del progetto architettonico dell’edificio. La verifica all’instabilità viene effettuata sulla base della sezione equivalente (e non lorda) dei profili, secondo la quale vengono anche disposti i fori per la disposizione degli elementi di giunzione tra le aste. Inoltre, proprio perché la sezione non è piena, bisogna porre particolare attenzione al comportamento dei profili soggetti a momento torcente. 13. Posa in opera di elementi panel. crdt. SPH Srl
03 路 PROGETTARE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO
14. Il telaio strutturale composto dai sistemi di chiusura e partizione, orizzontale e verticale. Ogni profilo assume un ruolo specifico e viene indicato un termine preciso. crdt. Margherita Ferrari
103
SISTEMA SOLAIO 1
Travetto solaio o di copertura Floor joist or ceiling joist Questo elemento generalemente 猫 realizzato tramite una trave reticolare, in altri casi invece possono essere impiegati profili semplici quali a C o OMEGA. 1
4
9
3
8
7
2
5
SISTEMA APERTURA
6
SISTEMA PARETE
I PROFILI
2
Traverso per davanzale Sill
6
Binario di chiusura Track
Profilo a U Channel
3
Montante dello stipite Jack stud
7
Traverso Joist
Sezione a C rinforzato C-section
4
Traverso di testa Header joist
8
Montante Stud (load bearing)
5
Montante ridotto Cripple Stud
9
Diagonale Diagonal
104
Il sistema portante per la realizzazione di una parete (“sistema parete” o wall studs) è costituito da profili CFS denominati in base alla propria funzione: •
i montanti (studs) disposti in verticale hanno il compito di trasmettere i carichi a terra;
•
i traversi (joists) hanno disposizione orizzontale e permettono di stabilizzare i montanti e mantenere invariato il proprio interasse in caso di deformazione;
•
i diagonali (diagonal) controventano il sistema.
Per la realizzazione dei montanti generalmente si impiegano profili a sezione C posti ad un interasse di 60 o di 120 cm, distanza determinata dalle dimensioni dei pannelli di rivestimento che saranno successivamente applicati alle aste di CFS, al fine di ottimizzare la messa in opera e la riduzione dei tagli e dunque degli scarti in cantiere. I montanti (e i traversi) sono costituiti da aste che hanno l’anima di 90-150 mm, lo spessore del metallo è, generalmente, di almeno 1 mm (ma ciò non significa che a volte vengano impiegati spessori di 6/10 o 8/10 di mm). La pratica costruttiva più diffusa in Italia prevede l’impiego di metallo dello spessore di 10/10 mm, di 90 mm di anima e sagomati a C con lips. Gli elementi che fungono da guida alla realizzazione della parete fanno anche da terminale superiore e inferiore di tutte le aste montanti: sono conosciuti con il nome americano di C guide, vale a dire “guide a C”. Generalmente le guide vengono proposte senza lips in modo tale da agevolare l’inserimento dei montanti ma questa soluzione (priva di lips)discende direttamente dalla prassi costruttiva americana, più legata all’autocostruzione che al preciso controllo del progetto che i processi CAD/CAM e BIM consentono oggigiorno. Se il progetto esecutivo è ben sviluppato, la macchina profilatrice produrrà guide con lips interrotte, ghigliottinando il nastro di acciaio, nei punti precisi dove avverrà l’inserimento del montante (nogging notch, taglio dell’anima, lips notch, taglio delle labbra). Analogamente si possono realizzare anche i fori necessari all’inserimento delle viti che connettono guide e montanti. Ciò fa in modo che in cantiere siano necessari precisi disegni e schemi di montaggio ma non ulteriori misurazioni e verifiche dei passi strutturali (si ricorda che ogni asta viene identificata dai codici che sono riportati sugli schemi di montaggio). I traversi (o correnti orizzontali) sono disposti ad una distanza di circa 800 mm l’uno dall’altro e sono spesso realizzati mediante profili a sezione aperta (C sui quali è stata realizzata un’apertura dimensionata per il passaggio dei montanti), più di rado in Italia si impiegano anche gli elementi piani, che invece appartengono alla tradizione costruttiva americana; gli elementi piani utilizzano solo la sezione resistente della sagoma (ovvero quella a taglio).
03 · PROGETTARE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO
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I traversi fanno in modo che i montanti, in caso di deformazione, si mantengano tutti alla stessa distanza. Per evitare tali possibili deformazioni i montanti vengono anche controventati mediante profili simili (C con lips, diffusamente impiegati in Italia) o elementi piani (secondo la prassi costruttiva canadese). Anche l’impiego di pannelli di irrigidimento può agevolare l’assorbimento delle forze e collaborare con la struttura di montanti e di controventi. Questo sistema parete assorbe i carichi verticali e orizzontali permanenti ed accidentali e l’insieme della struttura collabora e trasmette tali carichi alle fondazioni. 15. Nella pratica comune, in America, vengono impiegati elementi piatti per la realizzazione dei controventi. Questi vengono posizionati in diagonale e sovrapposti ai montanti verticali che costituiscono la struttura della parete. crdt. Cris Moen, Virginia Tech – Dept. of Civil & Environmental Engineering
Le pareti portanti possono avere un interasse anche di 6 m, dimensione che dipende strettamente anche dalla tipologia di solaio portato. La realizzazione della parete avviene tramite l’accostamento dei profili oppure realizzando il sistema a terra con successiva installazione in verticale: questa scelta si basa essenzialmente sulla disponibilità di spazio e non tanto sul peso degli elementi con cui lavorare, poiché entrambi i casi non richiedono l’uso di particolari macchinari. La realizzazione della parete avviene in tempi molto rapidi, soprattutto se tutti gli incastri e i fori per la giunzioni sono preparati dal disegno tecnico e dalla macchina profilatrice; il montaggio può avvenire in cantiere o in stabilimento, dal quale partirà il trasporto dello scheletro di parete, pronto per essere installato. La struttura degli impalcati orizzontali (floor system)viene realizzata mediante il posizionamento di travetti il cui interasse corrisponde esattamente a quello dei montanti, in modo da mantenere costante il modulo strutturale e da rea-
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lizzare una serie di telai per lo scarico a terra delle forze. Ogni travetto per la messa in opera di partizioni interne orizzontali o di chiusure superiori può essere realizzato adottando una delle seguenti soluzioni, la prima diffusa in ambito anglosassone e la seconda impiegata in Italia e ni paesi esteri in cui sono più attive le imprese di costruzione italiane: •
un unico profilo, solitamente a forma di Z, altezza di 300 mm e dello spessore di almeno 3 mm;
•
trave reticolare di altezza minima pari a 250 mm, realizzata con profili a C (con lips) di spessore pari a 8/10 o a 10/10 di mm.
16. Un operaio installa i bulloni che collegano le travi al pilastro portante: anche in questo caso viene impiegato un sistema costruttivo LSF, ma con profili di sezione differente. Si tratta infatti di elementi di dimensioni maggiori e non composti come le travi reticolari che vengono generalmente impiegate nel contesto italiano. (Santa Monica, USA, 2011). crdt. Blue Sky Building Systems
La seconda soluzione, la messa in opera di piccole travi reticolari, consente anche di ottenere un cavedio per il passaggio degli impianti che passano tra i diagonali della trave e vengono celati dal controsoffitto, generalmente realizzato in cartongesso. Particolare attenzione deve essere posta alla snellezza, per far in modo che gli elementi non si deformino eccessivamente1, e alle caratteristiche delle viti impiegate per le giunzioni (perché, se non sono opportunamente individuate, è possibile che si rompano per effetto delle forze di taglio). Pur considerando che è sempre necessario un attento calcolo strutturale è possibile agevolare il lavoro del progettista fornendo una serie di indicazioni utili al predimensionamento strutturale degli impalcati orizzontali, in funzione di due modalità di connessione tra le travature reticolari e i montanti. I carichi considerati sono valori comprensivi del peso proprio della struttura e dei sovraccarichi variabili per edificio e previsti per normativa (come nella tabella riportata alla conclusione delle pagine relative al predimensionamento). Per offrire questo genere di informazioni sono state calcolate delle travi re-
03 · PROGETTARE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO
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ticolari realizzate con profili a C in acciaio S350 GD (90x40/42 con lip, 10/10 mm), dalle seguenti caratteristiche fisiche e dimensionali: c. Tabella riepilogativa dei più diffusi sistemi di collegamento secondo il sistema LSF anglosassone.
d. Sovraccarichi secondo la Norma UNI 10012/67.
sigma ft
tensione di rottura a trazione
4200.0
sigma fy
tensione di snervamento
3500.0
sigma fd
resistenza di calcolo
3500.0
sigma fdt
resistenza di calcolo per spess. t > 40 mm
3080.0
sigma adm
tensione ammissibile
2330.0
sigma admt
tensione ammissibile per spess. t > 40 mm
2050.0
cat
tipo locale
Verticali ripartiti kg/mq
Verticali concentrati kg
Orizzontali lineari Kg/m
1
Ambienti non suscettibili di affollamento (locali abitazione e relativi servizi, alberghi, uffici non aperti al pubblico) e relativi terrazzi a livello praticabili
200
200
100
2
Ambienti suscettibili di affollamento (ristoranti, caffè, banche, ospedali, uffici aperti al pubblico, caserme) e relativi terrazzi a livello praticabili
300
200
100
3
Ambienti suscettibili di grande affollamento (sale convegni, cinema, teatri, chiese, negozi, tribune con posti fissi) e relativi terrazzi a livello praticabili
400
300
150
4
Sale da ballo, palestre, tribune libere, aree di vendita con esposizione diffusa (mercati, grandi magazzini, librerie, ecc.), e relativi terrazzi a livello praticabili, balconi e scale
500
400
300
5
Balconi, ballatoi e scale comuni (esclusi quelli pertinenti alla Cat. 4)
400
200
150
6
Sottotetti accessibili (per sola manutenzione)
100
200
100
7
Coperture: - non accessibili - accessibili: secondo categoria di appartenenza(da 1 a 4) - speciali (impianti, eliporti, altri)
50
120
-
8
Rimesse e parcheggi: - per autovetture di peso a pieno carico fino a 30 kN - per transito di automezzi di peso superiore a 30 kN: da valutarsi caso per caso
250
2x1000
100
9
Archivi, biblioteche, magazzini, depositi, laboratori, officine e simili
≥ 600
600
100
1. NTC 4. 8.8.1.
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CONDIZIONI DI PROGETTO Definizione proprietà del materiale tipo acciaio S350 GD: Sigma ft = 4200 Sigma fy = 3500 Sigma fd= 3500 Sigma fdt= 3080 Sigma adm= 2330 Sigma admt= 2050 Peso spec.= 0.0078 Coeff. alfa= 1.0000e-05 Elas. plastico= No Modulo E1= 2.100e+06 Modulo E2 = 2.100e+06 Poisson 1 = 0.3 Poisson 2 = 0.3 Modulo G = 8.0769e + 05 Smorzamento = 5.0 I dati riportati sono stati ottenuti tramite l’impiego del software ProSAP – Entry, per verificare il predimensionamento e la deformazione delle differente travi reticolari in condizioni di carico e luce specifici. Le verifiche sono state effettuate secondo le combinazioni allo Stato Limite Ultimo e allo Stato Limite di Esercizio (freq). La verifica della freccia nel caso dello Stato Limite d’Esercizio è verificata come inferiore a 1/300 della luce della trave reticolare. In questo caso la trave reticolare è vincolata solo tramite un incastro al proprio intradosso.
PREDIMENSIONAMENTO DI UN SOLAIO CON TRAVE RETICOLARE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO CONVINCOLO DI SEMPLICE APPOGGIO
Trave reticolare: altezza minima (h) e freccia di deformazioe massima (f) Luce (cm)
Carico (kg/mq) 400
500
600
400
500
600
hmin = 30
hmin = 40
hmin = 50
fmax = 0,47
fmax = 0,63
fmax = 0,82
hmin = 30
hmin = 50
fmax = 0,51
fmax = 0,47
hmin = 40 fmax = 0,29
/
700 /
/
/
/
/
Trave reticolare: altezza 30 cm; lunghezza 400 cm Condizione di carico: 400 kg/mq Deformazione in S.L.E.: freccia massima = 0,47 cm
Sfruttamento in S.L.U.: massimo sfruttamento 69%
03 路 PROGETTARE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO
Trave reticolare per solaio con vincolo di semplice appoggio, interasse 60 cm.
Trave reticolare: altezza 40 cm; lunghezza 400 cm Condizione di carico: 600 kg/mq Deformazione in S.L.E.: freccia massima = 0,40 cm
Sfruttamento in S.L.U.: massimo sfruttamento 89%
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110
CONDIZONI DI PROGETTO Definizione proprietà del materiale tipo acciaio S350 GD: Sigma ft = 4200 Sigma fy = 3500 Sigma fd= 3500 Sigma fdt= 3080 Sigma adm= 2330 Sigma admt= 2050 Peso spec.= 0.0078 Coeff. alfa= 1.0000e-05 Elas. plastico= No Modulo E1= 2.100e+06 Modulo E2 = 2.100e+06 Poisson 1 = 0.3 Poisson 2 = 0.3 Modulo G = 8.0769e + 05 Smorzamento = 5.0 I dati riportati sono stati ottenuti tramite l’impiego del software ProSAP – Entry, per verificare il predimensionamento e la deformazione delle differente travi reticolari in condizioni di carico e luce specifici. Le verifiche sono state effettuate secondo le combinazioni allo Stato Limite Ultimo e allo Stato Limite di Esercizio (freq). La verifica della freccia nel caso dello Stato Limite d’Esercizio è verificata come inferiore a 1/300 della luce della trave reticolare. In questo caso la trave reticolare è vincolata tramite un incastro lungo tutta la propria altezza.
PREDIMENSIONAMENTO DI UN SOLAIO CON TRAVE RETICOLARE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO CON VINCOLO DI INCASTRO
Trave reticolare: altezza minima (h) e freccia di deformazioe massima (f) Luce (cm)
Carico (kN/mq)
400
400
/
500
/
600
500
600
700
hmin = 30
hmin = 30
hmin = 40
fmax = 0,35
fmax = 0,66
fmax = 0,71
hmin = 30
hmin = 40
hmin = 50
fmax = 0,42
fmax = 0,50
fmax = 0,61
hmin = 30
hmin = 30
hmin = 40
fmax = 0,23
fmax = 0,49
fmax = 0,58
Trave reticolare: altezza 30 cm; lunghezza 400 cm Condizione di carico: 600 kN Deformazione in S.L.E.: freccia massima = 0,23 cm
Sfruttamento in S.L.U.: massimo sfruttamento 61%
/
03 路 PROGETTARE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO
Trave reticolare per solaio con vincolo di incastro, interasse 60 cm.
Trave reticolare: altezza 40 cm; lunghezza 600 cm Condizione di carico: 600 kN Deformazione in S.L.E.: freccia massima = 0,58 cm
Sfruttamento in S.L.U.: massimo sfruttamento 99%
111
112
Messa in opera 3.3.3 17. La struttura LSF può integrarsi con altri sistemi costruttivi e permette inoltre di utilizzare un’ampia varietà di materiali, permettendo così di scegliere la soluzione tecnologica più idonea per ciascun progetto. crdt. SPH Srl
La messa in opera di una struttura in acciaio sagomato a freddo rappresenta, ai fini della realizzazione dell’edificio, più della realizzazione di una struttura portante. Le aste di CFS possono essere portate in cantiere come elementi singoli, pronti per l’assemblaggio, oppure possono essere portate a piè d’opera già assemblate in pareti o in volumi tridimensionali (formati da tre o più parti “parete”). A seconda della metodologia scelta i costruttori si serviranno di disegni specifici e diversi tra loro. Per effettuare tale scelta devono essere esaminate la facilità di trasporto, le modalità di stoccaggio e le possibili movimentazioni in cantiere degli elementi. Le varianti che entrano in gioco nel caso di una costruzione in loco sono diverse, a seconda del grado di preparazione dei materiali forniti dalle aziende che, in stabilimento, producono le aste di CFS. Se la produzione non impiega macchinari moderni e di precisione potrebbe essere necessario, ad esempio, il taglio degli elementi o il ridimensionamento delle sezioni direttamente in cantiere. In ogni caso, erigere una struttura leggera in acciaio col sistema ad aste non comporta l’impiego di apparecchi per il sollevamento degli elementi, richiesti solo nel caso in cui si utilizzi un sistema differente, come quello panel o volumetric. Come generalmente avviene in tutti i cantieri che lavorano con sistemi costruttivi a secco, i lavori di costruzione risultano puliti e ordinati, e quindi più sicuri. La possibilità di controllare con grande precisione la produzione di elementi agevola anche l’esecuzione di cantieri in condizioni difficili per
03 · PROGETTARE IN ACCIAIO SAGOMATO A FREDDO
113
le dimensioni o le possibilità di manovra e stoccaggio ridotte. Analogamente viene ridotta al minimo anche la produzione di rifiuti: il processo di disegno e produzione controllato e sequenziale consente di raggiungere un elevato margine di precisione e un valore minimo di errore. Il montaggio delle aste avviene in tempi molto ridotti, si pensi che la realizzazione della struttura metallica di un’abitazione ad un piano può occupare anche meno di una settimana di lavoro (includendo sia l’attività di produzione dei profili che quella di montaggio in cantiere di tutte le aste). Attraverso un’accurata progettazione architettonica ed esecutiva, è possibile organizzare dettagliatamente anche le differenti fasi del cantiere, facendo in modo di non sovrapporre particolari lavorazioni e garantendo la sicurezza degli operai. Tuttavia come per ogni tipo di cantiere, l’incognita che maggiormente influenza la realizzazione dell’opera sono le condizioni atmosferiche. A tanta semplicità nell’assemblaggio dei profili corrisponde altrettanta attenzione nella messa in opera degli altri materiali che compongono la stratigrafia dei differenti sistemi. Al fine di poter soddisfare i requisiti qualitativi individuati a monte in fase di progetto questa fase risulta di fondamentale importanza e quindi non necessita solamente di un’appropriata documentazione grafica, ma anche di una manodopera specializzata. È possibile la realizzazione di ogni tipo di finiture sia interne che esterne, tant’è che raramente un occhio esperto è in grado di riconoscere un edificio realizzato con sistema costruttivo LSF dagli edifici realizzati con tecniche costruttive tradizionali. 18. Cantiere di un edificio con struttura in profili in acciaio laminato a caldo ed elementi in CFS, come ad esempio pareti e travi reticolari. crdt. SPH Srlw
04 CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
117
Progettare un edificio con il sistema tecnologico LSF significa prestare particolare attenzione a diversi temi; la scelta dell’acciaio sagomato a freddo, infatti, non influenza esclusivamente il calcolo delle strutture ma si tratta di un vero e proprio sistema costruttivo per la realizzazione del quale è determinante lo sviluppo di un progetto di alta precisione, che consente il controllo di tutti gli elementi che verranno messi in opera. La composizione dei pacchetti costruttivi ha rilevante importanza e determina le prestazioni termiche, termoigrometriche, acustiche e di resistenza al fuoco dell’edificio. Impiegando il sistema costruttivo LSF tali caratteristiche sono facili da soddisfare purché vengano seguiti alcuni principi fondamentali: si deve prestare attenzione alla scelta dei materiali, al progetto delle giunzioni e dei nodi strutturali e vanno inoltre individuate soluzioni idonee per ogni specifico impianto messo in opera. Nelle pagine che seguono vengono esaminate le particolarità che il sistema costruttivo in CFS mostra a seconda degli strati funzionali che vengono progettati e messi in opera al fine di raggiungere le prefissate soglie di qualità nel campo dell’isolamento acustico, termico, all’umidità, all’aria, e al fuoco.
118
ISOLAMENTO ACUSTICO 4.1
Trasmissione del suono 4.1.1 Le onde sonore emesse da una sorgente si propagano in aria o in un qualunque mezzo elastico. L’intensità delle onde viene misurata in decibel (dB, pari alla decima parte del bel1) mentre la frequenza in hertz (Hz, un’onda ha frequenza 1 Hz se un suo periodo dura 1 secondo). I mezzi di propagazione del suono sono l’aria (degli ambienti interni) e gli elementi (anche gli elementi strutturali) che compongono le pareti e i solai dell’edificio. In questo secondo caso, in un ambiente dell’abitazione si possono sentire i rumori provenienti dall’ambiente adiacente o, nella peggiore delle ipotesi, anche quelli emessi ad una distanza ancora maggiore. Si parla dunque di trasmissione del suono (o del rumore): •
per via aerea, se il rumore si propaga nell’aria (si propaga anche attraverso l’aria presente nelle condotte e nelle tubature);
•
per via strutturale diretta, se la trasmissione del rumore nell’ambiente avviene attraverso il solo elemento considerato (o la sola struttura considerata): è il caso dei rumori impattivi;
•
per via strutturale laterale, se la trasmissione del rumore nell’ambiente avviene attraverso altri elementi adiacenti a quello considerato.
01. Lo schema mostra le tre vie di diffusione del rumore da un ambiente in cui sia presente una sorgente sonora ad un altro. 1. trasmissione del rumore per via strutturale laterale, 2. trasmissione del rumore per via strutturale diretta, 3. trasmissione del rumore per via aerea. crdt. Margherita Ferrari
1
2
3
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
119
Quando un’onda sonora colpisce una partizione interna questa viene in parte riflessa e in parte trasmessa attraverso la parete. Perché le vibrazioni trasmesse siano pochissime (e quindi non si senta il rumore al di là della partizione) è necessario prendere alcuni accorgimenti, differenti per le strutture massive e per le strutture leggere. Nelle strutture massive (ad esempio una muratura di laterizi o una in cemento armato), più la muratura ha massa e meno sarà la quantità di suono trasmesso. Ciò accade perché è difficile che il suono “faccia vibrare” molta massa. È possibile indicare un valore stimato medio per questa che viene detta “legge della massa”: il potere isolante di un elemento massivo aumenta di 5 dB ogni volta che la massa raddoppia. Nel caso delle pareti in cemento armato il mezzo di diffusione del suono non è tanto il calcestruzzo ma i ferri contenuti in esso, che si comportano come le corde di una chitarra: messi in vibrazione, trasmettono la vibrazione per tutta la loro lunghezza. Nelle strutture leggere (ad esempio una struttura LSF) più sono le intercapedini isolate e meno sarà la quantità di suono trasmesso, secondo lo schema “massa-molla-massa”. Le onde sonore, infatti, vengono riflesse e in parte dissipate da ogni elemento sul quale incidono. Attraversato il primo strato di rivestimento di una parete leggera, l’onda acustica rimbalza all’interno dell’intercapedine retrostante e qui viene in buona parte dissipata. Se l’intercapedine è riempita di isolante, l’onda acustica rimbalzerà all’interno di ogni microscopica intercapedine che costituisce il materassino isolante. Ad ogni rimbalzo l’onda acustica dissipa la propria forza e dunque difficilmente riuscirà ad avere energia sufficiente ad oltrepassare la parete. 02. Le pareti massive e le pareti leggere frenano la trasmissione del rumore in modo differente. Nel caso di pareti massive (M) di è un diretto rapporto tra il potere fonoisolante e la massa frontale della struttura: la “legge della massa” mostra che l’isolamento acustico aumenta di 6 dB per ogni raddoppio della massa superficiale della parete. Nel caso di pareti leggere (L) i pannelli di tamponemanto si comportano come pareti massive e l’isolante nell’intercapedine smorza la trasmissione del rumore, questo schema è detto “massa-molla-massa”. crdt. Margherita Ferrari
M
L
Le strategie che consentono di raggiungere ottimi livelli di isolamento acustico negli edifici realizzati con sistema costruttivo in CFS sono le seguenti: •
separare gli strati che hanno maggiore massa (separarli tra loro e dai i montanti, ad esempio impiegando strisce di gomma);
•
inserire tra gli strati che hanno massa uno strato resiliente (ad esempio un
120
materassino isolante), per ridurre la trasmissione del rumore; •
isolare con materiale fibroso le intercapedini tra i montanti in acciaio ed, eventualmente, aumentarne lo spessore;
•
mettere in opera strati di materiali fonoassorbenti (anche materassini anticalpestio).
Seguendo queste indicazioni gli edifici con struttura in telaio leggero riescono ad essere anche più performanti degli edifici massivi. I manuali americani per la realizzazione di edifici in CFS danno una serie di indicazioni di massima utili per l’autocostruzione. Senza l’esecuzione di calcoli raffinati ma procedendo con delle checklist questi manuali offrono la possibilità di raggiungere degli standard minimi di qualità secondo le normative di quel Paese. Seguendo tali indicazioni, viene solitamente garantita una riduzione di 60 dB dei rumori aerei e una riduzione di 51-54 dB dei rumori impattivi. 03. Le analisi del U.S. Department of Housing and Urban Development (2002) mostrano che il potere fonoassorbmente di due pannelli parete si somma se tra questi viene lasciata un’intercapedine di circa 20 cm. Se gli stessi pannelli parete fossero stati montati in totale aderenza, il valore complessivo di fonoassorbenza sarebbe stato solo di poco superiore a quello di un singolo pannello parete. crdt. Margherita Ferrari
30 dB
Intercapedine 20 cm
30 dB
80 dB circa
36 dB
Isolamento acustico delle pareti 4.1.2 Una generica parete in CFS può consentire il passaggio del suono attraverso tre vie di trasmissione: •
per via aerea, attraverso l’intercapedine tra un montante e l’altro;
•
per via strutturale diretta, attraverso i montanti d’acciaio della parete stessa;
•
per via strutturale laterale, attraverso la struttura contro la quale la parete in oggetto si intesta.
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
121
I problemi più significativi sono quelli connessi al passaggio del rumore attraverso i montanti della struttura (trasmissione per via strutturale diretta), perché sono tutti collegati tra di loro e ognuno trasferisce in modo diretto le vibrazioni sia ai montanti vicini che alla stanza oltre la parete in analisi. 04. Una parete in CFS può trasmettere il rumore attraverso l’intercapedine tra un montante e l’altro (1), per via strutturale diretta, attraverso i montanti d’acciaio (2) e per via strutturale laterale (3). crdt. Margherita Ferrari
3
2
1
Tre accorgimenti possono consentire di risolvere tale problema: •
nel caso di pareti tra proprietà differenti si può costruire una parete con due separate file di montanti, tra le quali è bene lasciare un’intercapedine di 2-5 cm. In questo modo i calcoli e le stime empiriche mostrano che è possibile raddoppiare la fonoassorbenza della parete se l’intercapedine è opportunamente isolata;
•
è possibile scegliere aste progettate appositamente per ridurre la trasmissione del suono: sono aste che presentano delle grecature o delle punzonature che frenano la trasmissione del rumore;
•
la connessione tra il montante e la lastra di tamponamento può essere realizzata con connessioni resilienti, che consentono una certa flessibilità e dunque che riducono la trasmissione del suono. È possibile realizzare questo tipo di connessione interponendo un profilo sottile da cartongesso tra l’asta in CFS e la lastra di tamponamento oppure applicando all’asta in CFS una banda adesiva in gomma sulla quale andrà poi posata la lastra di tamponamento.
Anche alla luce di questi tre accorgimenti, un aumento della massa dalla parete può dare vantaggi prestazionali. Il modo più semplice per aumentare la massa di una parete leggera è scegliere cartongessi prodotti con molte fibre di vetro e molta vermiculite nell’impasto, in alternativa è possibile aumentare il numero di lastre di rivestimento (due o tre lastre e non solo una). Esiste inoltre una vasta gamma di pannelli fonoassorbenti dalle soluzioni di messa in opera analoghe a quelle delle lastre in cartongesso (ad esempio, i pannelli in fibre di legno mineralizzato e cemento portland). Si riportano alcuni dati che mostrano la fonoassorbenza delle pareti leggere in CFS. Questi valori sono indicativi perché, al momento della progettazio-
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ne e della selezione degli strati da porre in opera, è importante consultare i certificati di fonoassorbenza dei materiali e solo sulla base di tali certificati sarà possibile verificare la parete di progetto. Questi valori indicativi possono tuttavia essere utili al fine di arrivare all’effettiva verifica acustica di una parete con una chiara idea in merito a stratigrafie e relative prestazioni. Nelle tabelle è inoltre possibile raffrontare i valori offerti dalle ricerche con i valori certificati dai produttori di pareti in cartongesso e una muratura convenzionale, realizzata con mattoni forati. 05. Raffronto tra pareti. I dati qui presentati riassumono le ricerche elaborate da LSK (European Light Steel Construstion Association) e da NAHB Research Center, Inc. (2002). Il potere fonoisolante R’w (indice di potere fonoisolante apparente) è frutto delle misurazioni in opera, e quindi comprendente le trasmissioni laterali. R’w indica la differenza di livello sonoro che la parete è in grado di mantenere tra un ambiente disturbante e un ambiente ricevente. (Fonti: certificato TED di parete Knauf W112; LSK 2005, European Lightweight Steel Frame; The Lightweight Steel Frame – House Construction – Handbook 2005). crdt. Margherita Ferrari
R’w = 54 dB
1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso 4 cm lana di roccia (densità 70 kg/mc) inserita nell’intercapedine dei montanti CFS di altezza 5 cm 1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso
R’w = 42-27 dB
0,8 cm intonaco 12 cm mattone pieno 0,8 cm intonaco
R’w = 40-54 dB
1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm lana di roccia (densità 70 kg/mc) inserita 1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso
R’w = 47-60 dB
1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm lana di roccia (densità 70 kg/mc) inserita 1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso
R’w = 50-54 dB
1,25 cm lastra di cartongesso 1 cm lastra di fibrocemento 9 cm intercapedine non isolata 1 cm lastra di fibrocemento 1,25 cm lastra di cartongesso
R’w = 50-54 dB
0,6 cm piastrelle 1 cm lastra di fibrocemento 9 cm intercapedine non isolata 1 cm lastra di fibrocemento 1,25 cm lastra di cartongesso
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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Isolamento acustico dei solai 4.1.3 I solai di un edificio devono impedire la trasmissione del suono tra un piano e l’altro e la maggior parte dei rumori che un solaio deve assorbire sono di tipo impattivo (ad esempio: il rumore di calpestio prodotto dalle persone che si muovono all’interno dell’edificio). La trasmissione del suono attraverso un solaio viene misurata impiegando un’apposita fonte di suono, una macchina a martelli che colpisce la superficie del pavimento mentre vengono rilevati i decibel (dB) nell’ambiente sottostante. I decibel di suono trasmesso dipendono dalle caratteristiche del solaio, quali: •
la separazione degli strati di cui è composto;
•
la massa degli strati, opportunamente progettata seguendo la logica “massa – molla – massa”;
•
la presenza di giunti fonoassorbenti tra gli elementi di cui il solaio è composto.
È dunque la stratigrafia a determinare le prestazioni acustiche del solaio e, scendendo nel dettaglio, è possibile individuare il ruolo specifico che hanno il controsoffitto, la struttura, i materiali isolanti e il materiale di finitura del pavimento. Il controsoffitto è generalmente realizzato con apposite pannellature, spesso a base di gesso (una o più lastre sovrapposte di cartongesso). Il controsoffitto viene fissato alle aste di CFS in modo diretto e, più di frequente grazie l’ausilio di profili sottili da cartongesso, pendini o ganci fissi. Queste soluzioni consentono di abbattere gran parte della trasmissione del rumore perché i profili da cartongesso sono realizzati in lamierino sottile e quindi hanno una flessibilità notevole, che scollega con vantaggi in termini di acustica la struttura in CFS dalle lastre del controsoffitto. Il controsoffitto però può amplificare i suoni che mettono in risonanza il pavimento; questo genere di suoni hanno frequenze basse, tra i 25 e i 50 Hz: tra questi vi è anche il suono dei passi (rumore di calpestio) che però viene smorzato grazie all’impiego di appositi materassini. La struttura del solaio è composta da una serie di travetti, a questi vengono sovrapposte lastre di vario tipo, ad esempio a base di legno (pannelli in compensato, OSB o truciolato), legno-cemento o gesso fibrorinforzato. Sopra le aste in CFS può essere posta in opera anche una lamiera grecata, che verrà finita “a umido” con una gettata di cemento armato: la soluzione che prevede l’impiego di calcestruzzo aiuta l’isolamento acustico in quanto aumenta la massa del solaio e frena i rumori di bassa frequenza. Anche al di sopra di un primo tamponamento in lastre a base di legno possono essere realizzate delle gettate in calcestruzzo, ad esempio è diffuso l’impiego di calcestruzzo alleggerito per
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la realizzazione di uno strato di integrazione impiantistica: questi calcestruzzi non collaborano alla resistenza strutturale del solaio ma ne aumentano il potere fonoassorbente. Se si volesse realizzare un solaio completamente “a secco” è importante inserire bande adesive in gomma o materassini fonoassorbenti tra le aste strutturali e gli strati sovrapposti a queste. Seguendo la logica della separazione degli strati del solaio, è possibile prevedere l’impiego di materassini isolanti al calpestio nella stratificazione degli elementi messi in opera sopra le aste della struttura. Tali materassini (che possono essere realizzati, ad esempio, in lane dall’alta densità, 100 kg/m3) vengono posizionati sopra il solaio al grezzo e prima della realizzazione della la finitura del pavimento. In questo caso è bene risvoltare il materassino in prossimità dei nodi parete-solaio, in questo modo sarà possibile scollegare completamente (dal punto di vista dell’acustica) gli strati che trasmettono il rumore al calpestio e gli strati in contatto con le strutture in CFS. Anche i pavimenti flottanti offrono vantaggi simili a quelli appena descritti: lo strato di finitura della pavimentazione viene posato su di uno strato resiliente, a volte (sopra o sotto lo strato resiliente) è posata una lastra di fibrogesso, per favorire la distribuzione dei carichi e per aumentare la massa del solaio stratificato a secco. Anche il materiale di finitura del pavimento incide sulle proprietà fonoassorbenti di tutta la struttura del solaio: i materiali leggeri (quali la moquette) assorbono bene i suoni dalle alte frequenze, i materiali pesanti, invece, frenano i rumori dalle frequenze basse. I solai in CFS, al confronto con i solai massivi, isolano meglio dai rumori dalle alte frequenza. I rumori che si trasmettono con basse frequenze, che solitamente non vengono considerate nelle normative nazionali sull’isolamento acustico, sono i principali responsabili dei maggiori problemi di isolamento acustico nei solai in CFS. Per ridurre la trasmissione dei suoni dalle basse frequenze è dunque bene prevedere una connessione flessibile tra le aste in CFS e il controsoffitto, verificare la qualità nel tempo dei materassini isolanti, evitare i ponti acustici. Isolamento acustico degli impianti 4.1.4 Gli impianti collegano un ambiente dell’edificio all’altro e l’interno dell’edificio con l’esterno. Gli impianti sono anche condotte, attraverso le quali transitano acqua o aria. Per questo motivo possono trasmettere rumore sia per via aerea che per via strutturale. La riduzione dei rumori generati dagli impianti va fatta considerando sia l’emissione che la trasmissione del suono e, per ottenere il migliore risultato, ciascuna cosa va affrontata singolarmente.
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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Le condotte, se opportunamente dimensionate, non emettono rumore: perciò è necessario provvedere ad un corretto progetto dell’apparato impiantistico e ad una sua buona messa in opera. In questa seconda fase i raccordi e i punti di attraversamento delle strutture e delle pareti saranno i punti di maggiore complessità. Quando le condotte sono agganciate o in contatto con le parti portanti del pacchetto costruttivo LSF vi è il rischio di trasmissione del rumore e delle vibrazioni connesse con il passaggio, ad esempio, dell’acqua degli scarichi. È importante prevedere l’impiego di rivestimenti o guaine per “foderare” le condotte. È possibile sostenere il passaggio degli impianti grazie ad aste in CFS “in più” rispetto a quelle che devono essere installate per ottemperare alle indicazioni della progettazione strutturale: in questo modo le vibrazioni e il rumore degli impianti non saranno trasmessi né alle travi dei solai né alle aste corrispondenti alla struttura portante della parete che collega i piani superiori con quelli inferiori. Infine è importante prevedere l’impiego di tamponamenti pesanti montati su supporti elastici; la scelta di un cartongesso dall’elevata massa aiuta a fermare l’onda acustica e dissiparla all’interno dell’intercapedine senza lasciare che venga trasmessa all’ambiente abitato. Seguendo questi tre accorgimenti di base un edificio in CFS sarà anche più silenzioso di un edificio in muratura pesante, per la realizzazione del quale è necessario che tutti gli impianti vengano murati con malta all’interno delle pareti, lavorando in traccia (e quindi operando una parziale demolizione di tamponamenti realizzati). Ulteriori accorgimenti, più di dettaglio, riguardano nello specifico le condotte dell’acqua e gli impianti igienico-sanitari. In merito alle intercapedini e alle condotte dell’acqua è bene ricordare di riempire ogni intercapedine tra le aste in CFS con materiale isolante e fare in modo che i tubi non si incrocino o, per lo meno, non si tocchino nell’incrocio (un tubo “rumoroso” può trasmettere onde acustiche ad un tubo “silenzioso” che finisce così per partecipare alla diffusione delle onde acustiche). Tutte le condotte, infine, devono essere circondate da materiali elastici e flessibili come, ad esempio, maniche isolanti, feltro e collari in gomma. Questi ultimi sono utili soprattutto per “scollegare” il tubo dagli elementi che ne consentono in fissaggio alle strutture portanti o alle strutture di sostegno degli impianti. In merito alla posa dei sanitari e, in generale, di tutte le ceramiche, è utile prevedere l’impiego di soluzioni dalla buona elasticità. Gli stessi sistemi di aggancio dei tubi alle piastrelle o alle strutture in CFS possono essere realizzati con elementi in plastica. Le ceramiche, invece, possono essere poste in opera su materassini in resina o su lastre flottanti che possono essere progettati ad hoc per corrispondere all’ingombro del sanitario sia a pavimento che a parete.
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Nel caso di elementi particolarmente pesanti (come possono essere una vasca da bagno o un piatto doccia) i materiali flessibili possono dare problemi nel momento della sigillatura e quindi, per evitare inconvenienti, è preferibile utilizzare lastre flottanti di una certa rigidità e non materassini in resina. 06. Pod bagno (presso lo stabilimento di SPH s.r.l.). Estradosso della parete attrezzata con gli impianti e gli scarichi. crdt. Valentina Covre
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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07. Vista di dettaglio dell’integrazione impiantistica di un pod bagno (presso lo stabilimento di SPH s.r.l.). Si noti: l’isolamento della tubatura, il foro per il passaggio attraverso l’asta in CFS e la mancanza di contatto tra tubatura e asta. In questo modo non verranno trasemessi alla struttura nè rumori nè vibrazioni. crdt. Margherita Ferrari
Infine, ma non ultimo per importanza, vi è ancora un accorgimento per aumentare la garanzia di un buon isolamento acustico degli impianti in una struttura in CFS, un accorgimento che deriva dalla modalità di progettazione di messa in opera di un sistema tecnologico LSF. Le aste in CFS possono essere portate in cantiere come elementi singoli o come elementi già assemblati con altri; inoltre le aste in CFS (prodotte attraverso le lavorazioni più avanzate) vengono realizzate con tutti gli opportuni ed appositi fori per il passaggio degli impianti. Grazie a questi accorgimenti è possibile far arrivare in cantiere non aste ma pareti, in questo modo possono essere evitate complicazioni dovute all’errata posa dell’apparato impiantistico, inoltre, lavorando al montaggio dentro lo stabilimento di produzione è semplice stampare nuovamente un’asta per correggere ogni imprecisione che, identificata in cantiere, necessita di tempi diversi per la risoluzione. È possibile organizzare il lavoro con un livello ancor maggiore di lavorazioni in stabilimento se si fa arrivare in cantiere un pod (vedi il capitolo precedente) attrezzato di tutta l’impiantistica e, volendo, anche di tutti gli arredi e le finiture individuati da progetto. Spesso le aziende e le imprese di costruzione che lavorano con elementi in CFS propongono queste soluzioni, convenienti per il costo e, soprattutto, perché frutto delle esperienze pregresse che consentono un progressivo miglioramento dell’insonorizzazione acustica e della predisposizione impiantistica. La gestione dei moduli impiantistici attraverso pod è possibile per la realizzazione sia di bagni che di cucine (o di pareti attrezzate che, da un lato, dispongono
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degli impianti per il bagno e, dall’altro, delle predisposizioni per il montaggio della cucina). In alcuni casi i pod o le pareti realizzate in stabilimento sono corredati da certificazioni ed attestati che ne dimostrano le prestazioni. Solo una lavorazione in stabilimento può consentire ad un committente di ottenere tale genere di garanzie ancor prima dell’avvio dei lavori in cantiere. 08. Un pod bagno in stabilimento, completo delle finiture e degli impianti predisposti per il collegamento. L’unità bagno trasportata in cantiere, verrà posizionata mediante gru e collegata alla struttura e agli impianti dell’edificio. crdt. BathSystem
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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ISOLAMENTO TERMOIGROMETRICO 4.2
Trasmissione del calore 4.2.1 Nelle costruzioni realizzate con tecnologia “a secco” è la stratificazione dei materiali messi in opera ad assolvere alle esigenze di comfort abitativo degli occupanti l’edificio. In una costruzione “a umido” è invece possibile imputare anche ad un unico strato di materiali da costruzione il raggiungimento di tutte le prestazioni. Un esempio: negli edifici storici la chiusura verticale può essere risolta con uno strato massivo di mattoni e un intonaco interno (a volte manca anche l’intonaco esterno, che concorre alla tenuta all’acqua e funge da strato di sacrificio). Negli edifici che vengono costruiti con sistemi costruttivi tradizionali (pilastri in calcestruzzo armato e tamponamento in laterizi forati) la chiusura verticale si è arricchita, nel tempo, di più strati: intercapedine d’aria (o di isolante), barriera al vapore e pannelli isolanti “a cappotto” sono strati del pacchetto tecnologico che rispondono all’esigenza di risparmio energetico e di miglioramento del comfort ambientale interno. Via via che le esigenze divengono più complesse ed articolate la tecnologia del costruire propone stratigrafie più complesse. Negli edifici in CFS la stratigrafia delle chiusure verticali (come di tutte le parti dell’edificio) è progettata individuando il più preciso e dettagliato pacchetto costruttivo, ad hoc per assolvere le esigenze degli utenti dell’edificio. Non vi sono limitazioni nella selezione dei materiali da porre in opera, non vi sono limiti alla capacità prestazionale di una parete stratificata a secco. Un’ulteriore differenza tra la stratigrafia di una parete realizzata “a umido” e di una realizzata “a secco” è che sulle pareti “a secco” è possibile operare interventi di manutenzione che non comportano la demolizione della parete, si parla piuttosto di “smontaggio”. È infatti possibile disassemblare gli strati per verificare, ad esempio, il comportamento di impianti o il mantenimento delle
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prestazioni nel tempo di uno strato funzionale preciso. Attuare una corretta selezione di materiali per controllare il flusso d’aria, di calore e di umidità attraverso l’involucro edilizio significa garantire un’adeguata qualità dell’ambiente interno agli occupanti e prevenire la formazione di condensa interstiziale nella stratigrafia delle chiusure, aumentando la durabilità dell’edificio nel tempo. Tre sono le vie di trasmissione del calore che devono essere controllate attraverso la corretta progettazione: •
conduzione: la trasmissione di calore in un corpo solido. Il calore “si sposta” dalle zone a temperatura maggiore verso quelle con temperatura minore; ad una maggiore temperatura corrisponde una maggiore oscillazione delle molecole del materiale, la trasmissione del calore per conduzione porta tutto il solido alla stessa temperatura.
•
convezione: la trasmissione di calore caratterizzata da moti di circolazione interni ad un fluido. Un fluido (come l’acqua o l’aria) entra in contatto con un corpo la cui temperatura è maggiore di quella del fluido stesso. Aumentando di temperatura per conduzione, il fluido si espande e diminuisce di densità, sale e genera un moto convettivo (in cui il fluido caldo sale verso l’alto e quello freddo scende verso il basso).
•
irraggiamento: la trasmissione di calore tra due corpi per mezzo di onde elettromagnetiche. È il modo in cui il calore del sole arriva sulla terra, l’irraggiamento va considerato in questa analisi soprattutto per quanto riguarda il controllo degli apporti diretti del sole all’interno dell’edificio, attraverso le finestre.
09. Trasmissione del calore attraverso una parete per conduzione, convezione e irraggiamento. crdt. Margherita Ferrari
Te
Ti
FLUSSO TERMICO
irraggiamento
Ti > Te
irraggiamento
convezione
convezione irraggiamento
L’isolamento termico deve essere scelto in relazione al contesto per il quale si progetta e analizzando l’esposizione dell’edificio. Le barriere all’aria impediscono all’aria esterna di entrare nelle pareti e, nel peggiore dei casi, all’interno dell’edificio (anche in caso di forte pressione, dovuta alla spinta del vento). I freni al vapore impediscono all’aria presente nell’ambiente interno di depositare umidità (vapore) negli strati costituenti le chiusure perimetrali dell’edificio.
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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Questi gli strumenti principali per assicurare il comfort abitativo in un edificio in CFS. Nei Paesi in cui gli edifici vengono di norma realizzati in legno (in particolar modo, a telaio in legno) gli edifici LSF mostrano il vantaggio che le strutture non verranno mai intaccate da muffe e parassiti (che attaccano comunemente il legno). Nei Paesi in cui si costruisce principalmente “a umido” (cemento armato e laterizi) il sistema tecnologico LSF offre stratigrafie altamente prestazionali, risparmiando sul tempo di realizzazione e sui centimetri d’ingombro delle pareti: stime mostrano che, a parità di volume costruito e a parità di inerzia termica delle pareti, un edificio in CFS offre dal 5 al 10% di metri quadri calpestabili in più rispetto ad un edificio realizzato con tecnologie a umido, tale differenza è imputabile al differente spessore delle pareti (LSK, 2005). Isolamento termico 4.2.2 Per garantire l’isolamento termico di una parete realizzata con tecnologia LFS è necessario mettere in opera materiali dell’alta resistenza termica, vale a dire materiali attraverso i quali il calore può difficilmente passare per conduzione, convezione o irraggiamento. Ad un’alta resistenza termica corrisponde un alto potere isolante (e una bassa conducibilità termica). La resistenza termica dei materiali viene indicata con R e viene misurata in °C/W. Vi sono norme nazionali e regionali che indicano la resistenza termica minima delle pareti degli edifici, le indicazioni contenute in tali norme variano in relazione ai climi, ai tipi di edifici e anche ai sistemi di climatizzazione. La resistenza termica prescritta da normativa può essere raggiunta attraverso la combinazione di strati di diversi materiali. Ogni materiale della stratigrafia della parete ha una propria specifica resistenza termica (R) ma, in effetti, sono i materiali isolanti ad assolvere alla stragrande parte della resistenza termica richiesta. L’acciaio, di cui è costituita la struttura in CFS, ha un’alta conducibilità termica e quindi è importante progettare soluzioni che limitino la trasmissione del calore attraverso i pacchetti costruttivi e attraverso i dettagli che risolvono i potenziali ponti termici. Esistono numerosissimi materiali isolanti ma, al fine di offrire una certa gamma di soluzioni pratiche da adottare costruendo in CFS, è possibile organizzare un elenco di materiali isolanti secondo tre categorie: •
materiali isolanti in forma di materassini o pannelli morbidi;
•
materiali isolanti in forma di pannelli rigidi;
•
materiali isolanti in schiuma o da insufflare.
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I materiali isolanti morbidi (ad esempio in fibra di legno, lana di roccia, ecc.) vengono installati tra le aste di acciaio sagomato a freddo costituenti i montanti delle chiusure verticali o i travetti delle chiusure orizzontali. I materassini morbidi devono riempire gli spazi tra le aste, per tutta la loro lunghezza; deve essere prestata molta attenzione affinché l’isolante riempia anche lo spazio interno alla sezione a C del profilo, se così non avviene l’isolamento termico non sarà efficace. Gli isolanti in schiuma e gli isolanti in forma sciolta (ad esempio la cellulosa), da insufflare, possono rivelarsi molto utili per riempire completamente le sezioni a C e, soprattutto, per riempire le cavità attorno a porte e finestre, o per saturare gli spazi tra i montanti quando sono molto vicini l’uno all’altro (particolari soluzioni d’angolo o stipiti). Alcune parti delle strutture in CFS non sono facili da isolare con i materassini perché difficili da raggiungere o addirittura inaccessibili: in questi casi l’isolante deve essere posto in opera durante le fasi di montaggio della struttura. Lavorare all’isolamento dopo aver completato la fase di montaggio delle aste costringe all’impiego di materiali insufflati e ad un aggravio dei costi (dovuto in buona parte alla complessità della lavorazione in spazi minuti). 10. La discontinuità di resistenza termica (ponte termico) che si verifica in corrispondenza del profilo in acciaio sagomato a freddo è pari a 0,186 W/ mK e incide sul flusso termico complessivo attraverso la parete per un valore di 3,723 W/m. La parete così composta fa registrate una trasmittanza media (Umedia) pari a 0,197 W/m2K. Nell’immagine più in basso viene messa in risalto (linea verde) l’isoterma del punto di formazione della condensa. Emilio Antoniol, impiegando Mold Simulator Pro 3.0
0,8 cm intonaco plastico per cappotto 10 cm pannello in EPS 1 cm fibrocemento 5/10 barriera al vapore 9 cm lana di roccia (densità 100 Kg/mc) inserita nell’intercapedine della struttura portante in CFS 2 cm pannello in fibre di legno mineralizzate 1,25 cm lastra di cartongesso
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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Non sempre è sufficiente isolare termicamente lavorando tra le aste di CFS: le aste, in acciaio, hanno una buona conducibilità termica e dunque rappresentano dei potenziali ponti termici, in corrispondenza dei quali può essere raggiunto il punto di rugiada sul fronte interno alla parete. In Italia non esiste una normativa specifica che indichi soluzioni idonee per le costruzioni LSF ma l’isolamento a cappotto è certamente una soluzione efficace. In Canada si richiede che il 25% dell’isolante stia sul lato freddo dell’asta in CFS, il restante 75% può essere collocato tra le aste o sul lato caldo (CSSBI, 2005). I manuali inglesi suggeriscono che il lato freddo delle aste sia protetto con 6 cm di isolante dalla conducibilità termica (massima) di 0,04 W/m2C (NAHB Research Center, 2002). I materiali isolanti in forma di pannelli rigidi sono impiegati diffusamente per la realizzazione di rivestimenti a cappotto di edifici LSF e vengono impiegati a rivestimento di chiusure verticali, chiusure superiori e per ogni tipo di solaio su spazio aperto. I materiali più diffusi per la realizzazione di pannelli rigidi sono i polistireni (espansi o estrusi) e per questi valgono le indicazioni di messa in opera specifiche fornite assieme al prodotto; in ogni caso è giusto ricordare l’importanza di impiegare rondelle in plastica per evitare lo schiacciamento del pannello al momento della messa in opera tramite chiodi o viti. 11. La discontinuità di resistenza termica (ponte termico) che si verifica in corrispondenza di un profilo in acciaio HEA 100 è pari a 0,189 W/mK e incide sul flusso termico complessivo attraverso la parete per un valore di 3,792 W/m. La parete così composta fa registrate una trasmittanza media (Umedia) pari a 0,203 W/m2K. Nell’immagine più in basso viene messa in risalto (linea verde) l’isoterma del punto di formazione della condensa. Emilio Antoniol, impiegando Mold Simulator Pro 3.0
0,8 cm intonaco plastico per cappotto 10 cm pannello in EPS 1 cm fibrocemento 5/10 barriera al vapore 9,6 cm lana di roccia (densità 100 Kg/ mc) inserita nell’intercapedine della struttura portante in HEA100 2 cm pannello in fibre di legno mineralizzate 1,25 cm lastra di cartongesso
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12. Per avere una reale rappresentazione dell’incidenza delle strutture metalliche sul funzionamento termoigrometrico di una parete è stato analizzato il caso di una parete della lunghezza di 4 m. La costruzione di tale parete è stata ipotizzata con sistema costruttivo LSF e con sistema strutturale in carpenteria pesante; nel primo caso i montati in CFS da 10/10 mm sono stati posti in opera ad un interasse di 60 cm, nel secondo caso sono stati impiegati due pilastri HEA 180. La trasmittanza media della parete in CFS è più bassa perche la struttura è più omogenea rispetto a quanto rilevato nella parete in HEA: ciò influenza le isoterme che mostrano, in corrispondenza dei profili HEA, una bassa temperatura superficiale interna, ciò può portare alla formazione di muffa. Emilio Antoniol, impiegando Mold Simulator Pro 3.0
0,8 cm intonaco plastico per cappotto 10 cm pannello in EPS 1 cm fibrocemento 5/10 barriera al vapore 9 cm lana di roccia (densità 100 Kg/mc) inserita nell’intercapedine della struttura portante in CFS 2 cm pannello in fibre di legno mineralizzate 1,25 cm lastra di cartongesso
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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0,8 cm intonaco plastico per cappotto 10 cm pannello in EPS 1 cm fibrocemento 5/10 barriera al vapore 9,6 cm struttura portante in HEA100 e sottostruttura (acciaio 6/10 mm) 5,5 cm struttura per cartongesso (acciaio 6/10 mm) con lana di roccia (densità 100 Kg/mc) nell’intercapedine 1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso
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Nel caso di montaggio tramite aggancio meccanico, invece, è bene evitare di sovrapporre chiodi e fermi alle viti che connettono tra loro le aste in CFS (questo accorgimento rende più solido il montaggio e riduce il rischio di ponti termici). Un rivestimento isolante a cappotto delle strutture in CFS può eliminare il rischio che le aste divengano ponti termici, si riportano alcuni dati ricavati da simulazioni che mettono a confronto pareti realizzate con struttura in acciaio sagomato a freddo e con struttura in acciaio profilato a caldo. Questi dati devono essere considerati indicativi perché, al momento della progettazione e della selezione degli strati da porre in opera, è importante verificare le caratteristiche degli specifici prodotti selezionati per la realizzazione della stratigrafia e, soprattutto, è necessario progettare attentamente le connessioni tra gli elementi. Questi valori possono essere utili per arrivare all’effettiva verifica dei ponti termici e delle trasmittanze delle pareti avendo una chiara idea in merito alla relazione tra le possibili stratigrafie e le relative prestazioni che queste offrono. L’isolamento termico delle chiusure superiori è soggetto ad indicazioni analoghe a quelle utili per l’isolamento delle chiusure verticali ma apre anche a due ulteriori possibili e consigliate soluzioni. Nel caso di chiusure superiori su spazi non abitati (ad esempio un sottotetto) è bene isolare con materassini morbidi tra le aste di CFS ed è possibile isolare anche con materiali sciolti insufflati su tutta la superficie del sottotetto, andando a riempire tutti gli spazi liberi e raggiungendo lo spessore di materiale concordato da progetto. Nel caso di sottotetti calpestabili è possibile predisporre dei camminamenti o pavimentare l’intera superficie del sottotetto. Nel caso di chiusure superiori su spazi abitati è bene che lo strato di rivestimento interno (ad esempio: le lastre di cartongesso) non vengano messe in opera direttamente sulle aste in CFS. Tra le aste di CFS deve essere inserito un materassino isolante che consenta di riempire interamente lo spazio, anche lo spazio interno alla sezione a C o a Z delle aste. Al di sotto delle aste in CFS vanno messe in opera le sottostrutture per l’installazione del cartongesso; le aste della sottostruttura avranno direzione trasversale rispetto alla struttura portante in CFS e, oltre a contribuire al sostegno dei materassini isolanti di cui sopra, offriranno la possibilità di inserire dell’altro materiale isolante (che i manuali canadesi suggeriscono sia spesso almeno 4 cm).
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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Isolamento termico durante il periodo estivo 4.2.3 Nella progettazione dell’isolamento termico di un edificio in LSF va prestata particolare attenzione all’analisi dei carichi ambientali durante il periodo estivo. In generale, per qualunque tipo di edificio, il calcolo dell’isolamento dal calore estivo è più complesso rispetto a quello per il freddo invernale: per il calcolo delle dispersioni invernali si fa riferimento a condizioni stazionarie (la temperatura dell’aria esterna rimane più o meno sempre la sessa), per il calcolo dei mesi estivi si deve considerare che la temperatura nelle ore di maggiore irraggiamento solare è anche molto diversa da quella notturna. Questa variazione della temperatura (nelle 24 ore della giornata estiva) innesca fenomeni di attenuazione e di sfasamento temporale del carico termico nelle pareti che, assieme ai solai, possono dunque fare da “volano termico” cedendo calore all’ambiente durante la notte e raffreddandosi prima che il massimo irraggiamento solare le scaldi nuovamente. Il calore che il sole, per irraggiamento, trasmette alle pareti dell’edificio viene assorbito dalle superfici. Quando la temperatura delle pareti supera quella dell’aria dell’ambiente interno, il calore viene ceduto, per convezione ed irraggiamento. Le masse dell’edificio (pareti e solai) sono dunque in grado di immagazzinare calore, hanno inerzia termica: se le pareti hanno una grande massa possono garantire una buona temperatura dell’ambiente interno (in regime estivo) anche se non isolate termicamente (o se scarsamente isolate). Un edificio in LFS ha pareti dalla struttura “leggera”, non “pesante” e dunque non inerziale. Come spiegato precedentemente le prestazioni delle chiusure degli edifici in LFS sono garantite dalla giustapposizione di diversi strati di materiali. Anche l’isolamento termico al calore estivo va progettato in modo analogo, vediamo dunque quali sono gli apporti di calore principali rispetto ai quali progettare delle soluzioni efficaci: •
la radiazione solare attraverso il vetro delle finestre;
•
la trasmissione del calore attraverso il vetro delle finestre;
•
la trasmissione del calore attraverso le superfici opache (chiusure verticali e chiusura superiore);
•
carichi interni: di questi si occupa chi progetta l’impianto di raffreddamento dell’edificio, sono generati da persone, illuminazione e apparecchiature (o macchine) presenti nell’ambiente.
In merito alla radiazione solare attraverso il vetro è importante ricordare, in primo luogo, che le finestre lasciano passare la maggior parte della radiazione dalla bassa lunghezza d’onda (0,4-2,25 μm, i raggi solari che entrano dalla finestra) e sono invece opache (non lasciano passare) alla radiazione ad elevata
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lunghezza d’onda (> 4 μm) dovuta ai carichi interni. Si genera dunque il cosiddetto effetto serra, che può surriscaldare gli ambienti in modo molto più traumatico di quanto non faccia il calore che viene trasmesso per irraggiamento dalle pareti all’ambiente interno. Per questo motivo è fondamentale progettare adeguatamente le superfici trasparenti di ogni edificio in CFS: se le superfici vetrate saranno ombreggiate durante le ore di massimo irraggiamento solare, buona parte del problema del surriscaldamento estivo sarà automaticamente risolto. Tale ragionamento, dedicato alla lunghezza d’onda e al suo angolo di incidenza (al crescere dell’angolo di incidenza aumenta la quota di energia riflessa rispetto a quella trasmessa), ha una diretta relazione con la composizione figurativa dell’edificio; un approccio più legato alla composizione dei pacchetti tecnologici e alle scelte dei materiali mostra invece la possibilità di lavorare sulla trasmissività/trasmittanza di una superficie vetrata definendone la composizione chimica, lo spessore e altri aspetti quali la presenza di pellicole di rivestimento. Questi due punti di vista devono essere considerati contestualmente. In merito alla trasmissione del calore attraverso il vetro delle finestre il calcolo è analogo a quello che si fa per le dispersioni invernali, considerando la trasmittanza della finestra (i Watt di calore trasmesso), la sua superficie (i m2 di finestra) e la differenza di temperatura tra interno ed esterno (in °C o K). Ogni tipo di vetro e tipo di telaio trasmettono in modo diverso il calore, a titolo esemplificativo si riportano qui di seguito alcuni valori approssimativi: •
una finestra con doppio vetro e telaio in legno: trasmette da 2,9 a 3,2 W/ m2 °C;
•
una finestra con doppio vetro e telaio in metallo: trasmette da 3,3 a 3,6 W/m2 °C;
•
una finestra con vetro singolo e telaio in legno: trasmette da 5 a 6 W/m2 °C.
In merito alla trasmissione del calore attraverso le superfici opache si procede in modo analogo a quanto descritto per le superfici trasparenti (trasmittanza· superficie·differenza di temperatura) ma la differenza di temperatura deve tenere in considerazione più aspetti, si parla infatti di “differenza di temperatura equivalente”, come segue: •
la variazione dell’apporto solare durante la giornata;
•
l’escursione termica giornaliera;
•
le caratteristiche inerziali delle pareti dell’edificio.
I primi due aspetti non possono essere oggetto del progetto della stratigrafia di una parete in CFS, possono essere dati dal contesto o progettati in relazione
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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al contesto (prevedendo alberature e altri tipi di ombreggiamento dell’edificio e del suo intorno). La stratigrafia di una parete definisce, invece, le caratteristiche inerziali che il D. Lgs. 192/05 e il D. Lgs. 311/06 descrivono in funzione della massa superficiale, vale a dire “la massa per unità di superficie della parete opaca compresa la malta dei giunti esclusi gli intonaci, l’unità di misura utilizzata è il kg/m2”. Il valore della massa superficiale delle pareti verticali e delle coperture deve essere pari o superiore a 230 kg/m2. In alternativa è possibile, secondo i decreti di cui sopra, utilizzare tecniche e materiali diversi purché si ottengano gli effetti di smorzamento e sfasamento dell’onda termica “che permettano di contenere le oscillazioni della temperatura degli ambienti in funzione dell’irraggiamento solare” al pari che con una parete di 230 kg/m2. Per assolvere alle indicazioni della normativa si mostra quindi la qualità della parete “leggera” al confronto con una “pesante” e inerziale. Sarà lo sfasamento dell’onda termica a definire tale effettiva qualità dell’isolamento termico durante il periodo estivo della parete. Esistono indicazioni specifiche, contenute nei regolamenti edilizi, che specificano di quante ore deve essere tale sfasamento; per semplicità d’analisi si consideri che, generalmente, uno sfasamento di 8 ore costituisce un buon risultato. Si riportano alcuni dati in merito alla massa superficiale, alla trasmittanza, alla resistenza e allo sfasamento dell’onda termica di alcuni tipi di pareti (non solo in acciaio sagomato a freddo). Questi valori sono da considerarsi indicativi perché, al momento della progettazione e della selezione degli strati da porre in opera, è importante consultare le specifiche tecniche dei prodotti selezionati e solo sulla base di tali documenti sarà possibile verificare la parete di progetto, non senza considerare il luogo di progetto. Questi valori indicativi possono tuttavia essere utili al fine di arrivare all’effettiva verifica termica di una parete con una chiara idea in merito a stratigrafie e relative prestazioni.
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13. Raffronto tra pareti. I dati sono il frutto delle elaborazioni sviluppate in collaborazione con l’arch. Raffaella Reitano e grazie all’impiego del software Termolog. Per ogni parete sono stati riportati i valori di massa superficiale (Ms), di trasmittanza (U), di resistenza (R), di sfasamento dell’onda termica (φ). crdt. Margherita Ferrari
PARETE 01 sp = 41,8 cm Ms = 295 kg/mq
2 cm malta di cemento 25 cm blocchi in laterizio 14 cm pannello EPS 0,8 cm intonaco plastico per cappotto
U = 0,207 W/mqK R = 4,834 mqK/W φ = 12h 40’
PARETE 02 sp = 27,35 cm Ms = 46 kg/mq U = 0,144 W/mqK R = 6,922 mqK/W
1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm lana di roccia (densità 100 kg/mc) 5/10 barriera al vapore 1 cm fibrocemento 14 cm di pannello di EPS 0,8 cm intonaco plastico per cappotto
φ = 7h 26’
PARETE 03 sp = 28,16 cm Ms = 60 kg/mq U = 0,144 W/mqK R = 6,949 mqK/W φ = 9h 16’
1,25 cm lastra di cartongesso 2 cm di pannello in fibre mineralizzate 5/10 barriera al vapore 9 cm lana di roccia (densità 100 kg/mc) 5/10 barriera al vapore 1 cm fibrocemento 14 cm di pannello di EPS 0,8 cm intonaco plastico per cappotto
PARETE 04 sp = 34,1 cm Ms = 55 kg/mq U = 0,14 W/mqK R = 7,162 mqK/W φ = 7h 51’
1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso 5,5 intercapedine non isolata con montanti controparete 1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm lana di roccia (densità 100 kg/mc) 5/10 barriera al vapore 1 cm fibrocemento 14 cm di pannello di EPS 0,8 cm intonaco plastico per cappotto
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PARETE 05 sp = 34,1 cm Ms = 57 kg/mq U = 0,117 W/mqK R = 8, 556 mqK/W φ = 9h 15’
1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso 5,5 intercapedine isolata con lana di roccia (densità 40 kg/mc) 1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm lana di roccia (densità 100 kg/mc) 5/10 barriera al vapore 1 cm fibrocemento 14 cm di pannello di EPS 0,8 cm intonaco plastico per cappotto
PARETE 06 sp = 43,1 cm Ms = 169 kg/mq U = 0,154 W/mqK R = 6,482 mqK/W φ = 12h 2’
1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso 5,5 intercapedine isolata con lana di roccia (densità 40 kg/mc) 2 cm pannello in fibre mineralizzate 5/10 barriera al vapore 9 cm lana di roccia (densità 100 kg/mc) 5/10 barriera al vapore 1 cm fibrocemento 6 cm di pannello di EPS 5 cm intercapedine d’aria ventilata mattoni faccia a vista
Permeabilità all’aria e all’acqua 4.2.4 La norma UNI 9879 elenca materiali o strati per la definizione delle funzioni delle pareti verticali, tale elenco può consentire di riconoscere tre tipi di “strati di tenuta”: la barriera al vapore, lo strato di tenuta all’acqua e lo strato di tenuta all’aria. La “tenuta” all’aria e al vapore sono particolarmente importanti nel progetto di un edificio con pareti “multistrato” nelle quali i singoli strati sono realizzati mediante giustapposizione di elementi, a differenza di quanto accade nel progetti di pareti tradizionali, realizzate con strati continui ed omogenei. Una buona tenuta all’aria e al vapore è importante quanto un buon isolamento termico in quanto se l’aria interna può uscire all’esterno in modo incontrollato (ad esempio per connessioni imperfette tra le aste e i pannelli isolanti) si può verificare una forte perdita di calore, un ponte termico. Analogamente, se il rivestimento esterno non è totalmente a tenuta di vento, l’aria fredda può entrare attraverso le connessioni e, attraverso le strutture, raggiungere l’isolante fibroso interposto tra le aste; tale materiale isolante perde così la propria
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resistenza termica perché l’aria non è ferma ma in moto. Problematico è anche il caso in cui, per il passaggio dell’aria calda dall’interno all’esterno, si viene a formare dell’umidità nell’intercapedine: l’isolante, bagnato, non trattiene più aria ma acqua, aumentando la propria conducibilità termica, favorendo la corrosione e la proliferazione di funghi (che portano danni alle pareti), con conseguenze a lungo termine e difficili da controllare. È possibile riassumere, come segue, i principali fenomeni che determinano problemi di umidità negli edifici: •
infiltrazioni, dovute alla non integrità delle chiusure dell’edificio;
•
capillarità, attraverso la quale l’acqua può risalire all’interno dei muri dell’edificio (fenomeno che si innesca se la zona del basamento non è adeguatamente protetta);
•
condensazione, dovuta alla presenza di superfici fredde all’interno dell’edificio (per esempio in corrispondenza di ponti termici o di pareti esterne isolate male) o all’interno di strati isolanti permeabili al vapore posti nelle pareti esterne.
Più rara, parlando di edifici con pareti multistrato realizzate con tecnologia a secco, è l’umidità causata dalla presenza di cristalli di sali igroscopici a cavallo della superficie del muro o dell’intonaco. Solfati e nitrati possono essere portati nel muro da anni o secoli di infiltrazione capillare da risalita verticale o orizzontale da terra addossata, è un fenomeno frequente negli edifici con muratura in laterizio. A seconda delle variazioni di temperatura e di umidità dell’aria questi cristalli assorbono o emettono umidità e possono pertanto mantenere un locale umido anche “in assenza” di infiltrazioni o di condensa: se l’aria è asciutta e i sali nella muratura sono carichi di umidità, questi cederanno umidità all’ambiente circostante (per “mettere in equilibrio” il sistema muro-ambiente), l’umidità emessa verrà riassorbita nel momento in cui l’aria sarà più carica d’acqua della parete (si innesca in questo modo un circolo vizioso che difficilmente consentirà di definire un’alta salubrità dell’aria dell’ambiente interno). I rivestimenti in gesso e in legno possono trattenere l’umidità in modi simili a quello appena descritto ma certamente il fenomeno ha minore intensità di quanto si possa constatare osservando i sali igroscopici in una muratura in laterizi o in cemento armato. Tenuta al vento 4.2.5 La tenuta al vento descrive la capacità della parete di impedire all’aria di attraversarla, evitando il così detto ”spiffero”. È una tra le caratteristiche più
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importanti da assicurare nel momento della composizione della stratigrafia di un edificio realizzato con sistema costruttivo LSF (come per tutti gli edifici realizzati a secco). Gli edifici con struttura e tamponamenti realizzati a umido prevedono infatti che i vari elementi costruttivi siano tenuti assieme l’uno all’altro attraverso malte, calcestruzzi e collanti venendo meno i quali verrebbe a mancare la consistenza materiale stessa del manufatto edilizio, un danno che, in proporzione, allevia il valore dello studio della tenuta al vento. Analizzando la tenuta al vento, un edificio realizzato a umido ha il proprio punto debole nella tenuta dei serramenti (che vengono infatti classificati in funzione della permeabilità all’aria, secondo la UNI EN 12207). Progettando un edificio in LFS è bene controllare tutte le chiusure isolate termicamente anche dal punto di vista delle barriere di tenuta al vento. Se tali barriere non sono efficaci è possibile riscontrare la presenza di condensa nello spessore dei muri, la diminuzione della capacità termica complessiva dell’edificio e, in generale, il discomfort legato ai moti convettivi innescati dal ricambio d’aria non controllato (l’aria fredda che entra nell’edificio si accumula al livello del pavimento e si può notare un forte sbalzo termico tra la parte superiore e quella inferiore della stanza). Nelle costruzioni in acciaio sagomato a freddo, realizzate connettendo tra loro una serie di elementi diversi, sono le giunzioni i punti più rischiosi nella verifica dell’impermeabilità all’aria: queste divengono ponti termici per convezione perché la mancata sigillatura dell’involucro permette lo scambio d’aria tra interno ed esterno. Per evitare questo è possibile installare una membrana impermeabile che protegga il lato interno del materiale di rivestimento più esterno. Anche lo stesso isolamento termico posizionato a cappotto può costituire un’adeguata barriera al vento, purché i giunti e i collegamenti tra i pannelli coibenti siano opportunamente eseguiti. Una buona tenuta al vento è importante tanto quanto un buon isolamento termico e, in effetti, le due esigenze possono essere assolte con un unico materiale nella stratigrafia della parete (l’isolamento a cappotto). Questa è anche la condizione base per permettere l’installazione di impianti di ventilazione controllata, garantendone l’efficacia, e conferendo allo spazio abitato qualità igienica e rinnovamento continuo dell’aria. Barriera al vapore 4.2.6 Le membrane freno (o barriera) al vapore servono ad opporre resistenza alla diffusione di vapore acqueo e quindi sono utili per evitare il formarsi di condensa interstiziale.
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Ogni materiale per l’edilizia ha uno specifico coefficiente di conducibilità al vapore (permeabilità, δ) e un opposto coefficiente di resistenza al passaggio del vapore (μ); questi indicano quanto la resistenza al passaggio del vapore di un certo materiale sia superiore a quella dell’aria, a parità di spessore e di temperatura (per l’aria si ha μ = 1). Il controllo del passaggio del vapore attraverso le pareti stratificate a secco è molto importante, tanto più nelle costruzioni LSF e laddove i regolamenti nazionali prevedano che il 25% dell’isolante termico debba essere posto sul lato freddo della struttura (isolante a cappotto): deve sempre poter “uscire” dalla parete più vapore acqueo di quanto ne “entra”. Un esempio pratico può essere utile a comprendere la questione. Ipotizziamo che sul lato freddo della struttura sia stato posto in opera un isolante a cappotto scarsamente permeabile al vapore (cioè meno permeabile di 60 ng/Pa·s·m2), di conseguenza, a ridosso del lato caldo dell’isolante più interno, deve essere installata una barriera al vapore con una permeabilità non più alta di 15 ng/Pa·s·m2 (ad esempio: un foglio di polietilene.) Al contrario, se l’isolante esterno ha un’alta permeabilità (è più permeabile di 60 ng/Pa·s·m2), all’interno può essere posta in opera una barriera al vapore altamente permeabile (cioè più permeabile di 45 ng/Pa·s·m2). Per un corretto posizionamento delle membrane è bene prestare attenzione alle giunzioni: devono essere effettuate sovrapponendo le membrane (per almeno 10 cm) e incollandone attentamente i bordi con strisce adesive o altre soluzioni ad hoc. Come accade per l’isolamento termico, anche nel posizionamento delle membrane di tenuta all’aria è bene controllare il risvolto negli angoli. Per effettuare spigoli e curve è possibile impiegare strisce flessibili, elementi adesivi o giunti elastici da porre in opera tra i montanti. Il tutto deve essere progettato prima di entrare in cantiere in modo tale da poter produrre le aste secondo il disegno migliore per rendere più semplice ed efficace la tenuta al vento e l’isolamento, soprattutto nel caso in cui sia necessario organizzare fori e passaggi per l’integrazione impiantistica dell’edificio. Le prese di corrente, le scatole degli interruttori, tutti gli elementi accessori per gli impianti, i dispositivi di riscaldamento e i telai e controtelai delle finestre devono essere stagni. Un edificio in LFS può essere perfettamente protetto dagli agenti esterni quali il vento e la pioggia richiedendo spese minori rispetto ad una costruzione tradizionale, a patto che gli accorgimenti descritti vengano presi sin dalle prime fasi progettuali.
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14. Posa della barriera al vapore e del pannello di fibrocemento sull’intelaiatura strutturale di aste in acciaio sagomato a freddo.
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PROTEZIONE AL FUOCO 4.3
La temperatura all’interno di un edificio, in caso d’incendio, può arrivare a più di 1000 °C. Per garantire la sicurezza di un edificio in caso d’incendio le scelte da compiere in fase di progetto sono numerose e vi è più di una logica per organizzarne la descrizione e spiegarne le caratteristiche, in ogni caso tutte le scelte sono accomunate dall’obiettivo di ridurre al minimo i rischi per le persone e i danni nel caso in cui dovesse verificarsi un incendio. È possibile distinguere tra le misure di protezione antincendio quelle di tipo “passivo” e di tipo “attivo”: questa distinzione viene fatta in relazione alla necessità o meno dell’intervento di un operatore o dell’azionamento di un impianto. Le misure di protezione attiva prevedono l’azione di un uomo o l’azionamento di un impianto: estintori, rete idrica antincendio, impianti di rilevazione automatica dei fumi o dell’incendio, segnali d’allarme e altre soluzioni sono utili a rilevare precocemente l’incendio, a segnalarne la presenza e contribuiscono allo spegnimento. Le misure di protezione passiva hanno l’obiettivo di limitare gli effetti dell’incendio nello spazio e nel tempo, ad esempio per garantire l’incolumità delle persone, per limitare gli effetti nocivi dei prodotti della combustione e contenere i danni alle strutture, ai beni o ai macchinari presenti nell’edificio. Per fare ciò è necessario scegliere i materiali da costruzione in virtù della loro reazione al fuoco, mettere in opera barriere antincendio (ad esempio rispettando distanze di sicurezza o prevedendo la presenza di muri tagliafuoco), progettare sistemi di ventilazione e vie d’uscita, … Un’altra possibile classificazione delle scelte che il progettista deve operare al fine della protezione antincendio distingue la progettazione architettonica e l’adozione di adeguati provvedimenti costruttivi, legati alla selezione dei materiali da porre in opera. La progettazione architettonica consente di ideare edifici e strutture in modo
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tale da rendere più agevoli le vie di fuga e l’accessibilità ai Vigili del Fuoco. Gli edifici, inoltre, devono essere progettati considerando l’obiettivo di ridurre la possibilità di trasmissione dell’incendio da un ambiente all’altro (compartimentazione orizzontale e verticale delle parti dell’edificio) o da un edificio all’altro (rispettando, ad esempio, la distanza tra gli edifici). Anche la presenza di aperture sul tetto (per l’estrazione di fumi o di calore) e l’adozione di sistemi di estinzione dell’incendio (come possono essere gli sprinkler) sono accorgimenti importanti e, in molti casi, obbligatori nella progettazione di determinate tipologie di edifici. Vi è infine la capacità di localizzare le attività a rischio incendio in alcune porzioni degli edifici, progettate allo scopo di ridurre al minimo il rischio d’incendio. Gli accorgimenti volti a garantire sicurezza in caso di incendio e legati alla progettazione architettonica devono, ovviamente, essere considerati in relazione ad ogni singolo progetto. Il progetto di questo genere di accorgimenti non è differente nel caso si stia ideando un edificio da realizzare con sistema costruttivo LSF o con sistema costruttivo tradizionale. Dall’altro lato, per effettuare buone scelte in merito ai provvedimenti costruttivi è necessario conoscere bene il comportamento in caso d’incendio dei materiali e dei pacchetti costruttivi da impiegarsi per la realizzazione dell’edificio. L’acciaio non brucia e quindi non costituisce un possibile combustibile per l’incendio ma è un buon conduttore di calore, si riscalda rapidamente e, altrettanto rapidamente, perde le sue caratteristiche meccaniche. Quando l’acciaio raggiunge la temperatura di 500°C la sua capacità portante crolla linearmente. Se l’acciaio costituente le strutture di un edificio perde le sue caratteristiche meccaniche, risulta compromessa la sicurezza statica della costruzione. La sicurezza in caso d’incendio delle strutture in acciaio, e anche dei sistemi costruttivi in LSF, è oggetto di studi attenti e precisi. Esistono norme di riferimento e sono possibili vari tipi di test per verificare quali siano le soluzioni migliori per assolvere all’esigenza di sicurezza al fuoco degli edifici in LSF. Parlando di protezione passiva e di scelte in merito ai provvedimenti costruttivi della progettazione LSF è importante considerare la resistenza al fuoco delle pareti e dei solai che hanno funzioni strutturali. Si opera progettando una stratigrafia che consenta di proteggere dal calore la struttura in acciaio sagomato a freddo. La valutazione di tali protezioni al fuoco e, quindi, della resistenza al fuoco di una parete o di un solaio LSF viene effettuata considerando tre prestazioni che devono essere garantite per un certo lasso di tempo. Pensiamo, ad esempio, ad una parete sottoposta all’azione del fuoco, questa avrà una certa: •
R: capacità di conservare la propria resistenza meccanica (stabilità);
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•
E: capacità di non lasciar passare (e produrre) fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto all’incendio (tenuta);
•
I: capacità di ridurre la trasmissione del calore dal lato esposto al lato non esposto all’incendio (isolamento termico).
Il soddisfacimento di tali requisiti si valuta in funzione del tempo di esposizione della parete ad un incendio, in questo tempo, espresso in minuti, l’elemento costruttivo deve dimostrare di conservare le capacità (i requisiti progettuali) elencati poco sopra e riassunti con la sigla REI. In Italia la determinazione della resistenza al fuoco delle strutture è regolata dalla Circolare del Ministri dell’Interno n° 91 del 1961 che, nel tempo, ha subito una serie di modifiche volte, per lo più, al coordinamento con gli standard europei. In particolare è bene ricordare la modifica introdotta con il DM 16/02/2007: la durata della prestazione R è determinata dal tempo che trascorre fino al collasso della chiusura o della partizione verticale portante. Deve essere sottolineato l’aggettivo “portante” perché, prima dell’introduzione di questa definizione, anche le pareti non portanti potevano essere classificate con la lettera R, oggi invece: •
le pareti REI devono conservare, per un determinato tempo, la stabilità, la tenuta e l’isolamento termico;
•
le pareti EI devono conservare, per un determinato tempo, la tenuta e l’isolamento termico.
In aderenza alla norma EN 13501-2 la prestazione R di resistenza al fuoco della parete verrà così descritta: a. Resistenza al fuoco (in minuti).
classe EN
simbologia
durata di
denominazione secondo il
13501-2
italiana
resistenza al
regolamento edilizio tedesco
fuoco (in minuti) F30
R30
≥ 30
antincendio
F60
R60
≥ 60
antincendio
F90
R90
≥ 90
resistente al fuoco
F120
R120
≥ 120
resistente al fuoco
F180
R180
≥ 180
altamente resistente al fuoco
Scendendo ancora di più nel dettaglio: ogni parte dell’edificio è realizzata attraverso la messa in opera di più materiali. Nel caso delle costruzioni LSF tale messa in opera avviene attraverso il montaggio di più strati di differenti materiali, sino alla realizzazione di un elemento costruttivo dalle prestazioni corrispondenti a quelle definite in fase di progetto.
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Sia nel caso della realizzazione di edifici a umido che di edifici a secco, le prestazioni di pareti e solai descritte attraverso la dicitura REI devono essere raggiunte attraverso un’attenta selezione dei materiali (oltre che attraverso un accurato progetto dei nodi e delle connessioni tra le parti strutturali). Ogni materiale, infatti, può essere descritto in base alla sua reazione al fuoco e vi sono materiali che prendono fuoco più difficilmente di altri; in Italia la classificazione della reazione al fuoco dei materiali risale al 1984 (decreto ministeriale del 26 giugno). I materiali vengono descritti in base alla reazione al fuoco e organizzati in classi, contraddistinte con numeri che vanno da 0 a 5. Solo i materiali di classe 0 sono incombustibili e il comportamento di un materiale combustibile al fuoco è tanto migliore quanto più bassa è la classe (i materiali di classe 5 resistono poco al fuoco, si incendiano, e quindi hanno il comportamento peggiore). A livello internazionale è la norma UNI EN 13501-1 ad organizzare in classi di reazione al fuoco i prodotti e degli elementi da costruzione: i materiali classificati A1 sono incombustibili e quelli certificati A2, B, C, D, E, F bruciano in ordine crescente. in Italia è obbligatoria l’omologazione nazionale per tutti i materiali privi di certificazione CE, per quelli marchiati CE è sufficiente l’inserimento nelle Euroclassi. L’analisi più consueta per i prodotti è la prova in laboratorio, secondo il metodo sperimentale, in alternativa è possibile sviluppare dei calcoli seguendo il metodo analitico. b. Reazione al fuoco di prodotti ed elementi da costruzione.
classe EN
materiale
esempio
A1
non combustiibile
acciaio, cemento
A2
non combustibile, con
pannelli di cartongesso
13501-1
elementi combustibili B
difficilmente infiammabile
parquet di quercia su massetto in cemento
C
dal contributo minimo all’incendio
D
naturalmente infiammabile legno e prodotto del legno
E
dal comportamento accettabile in caso di incendio
F
leggermente infiammabile
fibre di cocco non trattate
La normativa europea, per la definizione di tali classi, richiede verifiche differenti da quelle previste dalla normativa italiana: si tiene conto, ad esempio, an-
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che del gocciolamento e dell’emissione di fumi. Per questo motivo non esiste un fattore di equivalenza per confrontare in modo diretto le classi di reazione al fuoco dei materiali secondo la norma italiana e quella europea. Per risolvere questa difficoltà e rendere più agevole il confronto tra i due strumenti, il D.M. 15 marzo 2005 introduce delle tabelle che comparano le classi italiane con quelle europee distinguendo, nelle classificazioni, i materiali impiegati a parete, a pavimento e a soffitto. 15. Posa del cartongesso ignifugo su di una struttura mista, in acciaio pesante (IPE, nell’immagine) e acciaio sagomato a freddo.
Vi è una forte correlazione tra la classe di reazione al fuoco dei materiali impiegati, ad esempio, per la realizzazione di una parete e la classe di resistenza al fuoco di tale parete. D’altro lato non è però possibile classificare REI (o EI) una parete sulla base della “somma” dei materiali che la compongono: sulla resistenza, la tenuta e l’isolamento termico di una parete influiscono, infatti, non solo materiali e spessori ma anche le modalità di connessione, le intercapedini d’aria e le reazioni fisico-chimiche specifiche che i materiali innescano tra loro se giustapposti in un ordine piuttosto che in uno differente. Per questo motivo, per le costruzioni nelle quali si svolgono attività soggette al controllo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco (disciplinate da specifiche tecniche di prevenzione incendi), le prestazioni di resistenza al fuoco devono essere determinate sulla base di prove, solo in alcuni casi sono possibili calcoli e/o confronti con tabelle (come stabilito dal D.M. del 16 febbraio 2007). Sempre il D.M. del 16 febbraio 2007 definisce “elementi costruttivi” le parti e gli elementi degli edifici che sono composti da uno o più prodotti (anche non aventi specifici requisiti di resistenza al fuoco).
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
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Se per i prodotti la prassi è la verifica in laboratorio, nel caso degli elementi costruttivi è consuetudine ricorrere a calcoli e tabelle rispetto all’esecuzione di prove sperimentali. Un caso specifico, in questo ambito, è rappresentato dal sistema costruttivo LSF che, in Italia, non è ancora sufficientemente diffuso per essere descritto con semplicità dai calcoli e dalle tabelle di cui i progettisti si avvalgono consuetamente. Al momento ci si avvale di stratigrafie altamente performanti che realizzano uno stato di protezione adeguato ad assolvere le richieste degli standard di sicurezza. Questa pratica è supportata dai primi risultati sperimentali garantiti dai laboratori certificati, frutto di test svolti su pareti di dimensione 3x3 m e su solai della dimensione di 3x4 m (come da norma ISO 13381-4). Le prove di resistenza al fuoco effettuate in laboratorio hanno l’obiettivo di valutare il comportamento al fuoco dei prodotti e degli elementi costruttivi sotto specifiche condizioni di esposizione e attraverso il rispetto di misurabili criteri prestazionale. È per questo motivo che le condizioni di esposizione al fuoco, i criteri prestazionali e le procedure di classificazioni sono definiti con attenzione dalle normative, e così anche le specifiche dei forni sperimentali, delle attrezzature di prova e degli strumenti di misura (tutte le specifiche sono riepilogate della norma EN 13501). I certificati ottenuti seguendo tutte queste prescrizioni hanno una validità di 5 anni e, in caso di variazioni del prodotto o dell’elemento costruttivo classificato, il produttore è tenuto a predisporre un fascicolo tecnico che contenga elaborati grafici di dettaglio e relazione tecnica che dimostri il mantenimento della classe di resistenza al fuoco (la relazione può basarsi su prove, calcoli o altre valutazioni sperimentali) anche come conseguenza delle migliorie apportate sui componenti e sul prodotto. Un parere tecnico positivo sulla completezza e la correttezza delle ipotesi consente, infine, di estendere il risultato di prova rilasciato dal laboratorio alla variazione analizzata. Si riportano alcuni dati in merito alla resistenza al fuoco di pareti portanti in acciaio sagomato a freddo, questi non sostituiscono i certificati che è doveroso recuperare in fase i progetto e costruzione, al momento della progettazione e della selezione degli strati da porre in opera è importante consultare le specifiche tecniche dei prodotti selezionati e solo sulla base di tali documenti e delle certificazioni relative alle strutture LSF sarà possibile verificare la parete di progetto. I dati riportati sono desunti dalla letteratura tecnica e dalle norme americane, dove l’impiego dell’acciaio sagomato a freddo è più diffuso (e da più tempo impiegato) rispetto a quanto riscontriamo in Italia o in Europa. Per questo motivo, per avere un maggior numero di test a confronto, sono stati esaminati
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i dati relativi a standard americani. “Le regolamentazioni delle prove al fuoco degli elementi costruttivi oggi adottate nei diversi Paesi, finalizzate a misurare il tempo di resistenza al fuoco, sono sostanzialmente simili. La prova al fuoco generalmente consiste, nel caso degli elementi murari, nell’esposizione di un lato dell’elemento alle alte temperature, per mezzo di un apposito forno” (Sciarretta, 2010). È necessario sottolineare che negli USA vi sono due gli standard che regolamentano la resistenza al fuoco (sia delle pareti portanti che di quelle portate): il primo riferimento è lo standard ASTM E 1192 mentre alcune città riconoscono lo standard Uniform Building Code3. Gli standard americani riconoscono i risultati dei test di resistenza al fuoco effettuati di Underwriters Laboratories (UL) e da organizzazioni di produttori di materiali da costruzione (come la Gypsum Association, GA). Lo standard ISO 8344 regola le prove al fuoco e costituisce un riferimento fondamentale anche per lo standard ASTM E 119. Questi definiscono gli scopi ed il campo di applicazione delle procedure di prova al fuoco, il controllo delle condizioni di prova e dell’eventuale spegnimento; le caratteristiche del forno di prova, la misurazione delle temperature sulle superfici dell’elemento provato, il contenuto del rapporto di prova, le dimensioni e le caratteristiche di preparazione dei provini e, nel caso di pareti portanti, vengono date indicazioni anche in merito all’applicazione del carico (senza trascurare le condizioni di vincolo ai bordi durante la prova) (Sciarretta, 2010). La curva tempo-temperatura che oggi è detta “standard ISO” è stata pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1918. È stata adottata come scenario d’incendio per degli edifici civili in tutti i principali protocolli di prova al fuoco e nelle norme di progettazione al fuoco, costituendo per molti anni l’unico modello di incendio nel corso della quale i requisiti di progetto devono essere mantenuti. Per quanto riguarda la relazione tra lo standard ISO 834 e lo standard ASTM E 119 vi sono differenze tecniche di dettaglio, alcune anche in merito curva tempo-temperatura, tali differenze sono descritte nella tabella che segue.
04 · CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
c. Curva tempo-temperatura secondo ISO 834 e secondo ASTM E119, a confronto.
rapporto tra tempo e temperatura
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ISO 834
ASTM E119
minuto 0
20 °C
20 °C
5
576
538
10
678
704
30
842
843
60
945
927
120
1049
1010
240
1153
1093
480
1257
1260
nelle prove d’incendio
Le aste in CFS devono essere protette dagli effetti delle alte temperature che si hanno durante un incendio e l’unica soluzione per evitare la deformazione plastica della struttura è la messa in opera di un rivestimento termico solido, come sono i pannelli in cartongesso ignifugo, gessofibra e altri tipi di rivestimento a base di gesso, sabbia calcarea e speciali intonaci. In questa strategia le strutture stratificate a secco mostrano un notevole vantaggio: gli stessi pannelli che proteggono la parete portante dal fuoco fungono anche da isolanti termici e acustici.
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16. Minuti di resistenza al fuoco di pareti portanti realizzate con struttura CFS. I dati sono stati forniti da UL Underwriters Laboratories (www.ul.com) e ottenuti in virtù di test conformi agli standard ASTM E199. Le “Fire Reistance Directory” (vol. 1 e vol. 2) contengono una amplissima raccolta di dati in merito alla resistenza al fuoco di pareti e strutture, questi dati sono organizzati per materiali e tipo di impiego. crdt. Margherita Ferrari
Minuti di riesistenza al fuoco
60 minuti Fonte: UL U440
60 minuti Fonte: UL U440
60 minuti Fonte: UL U440
17. Minuti di resistenza al fuoco di pareti portanti realizzate con struttura CFS. I dati sono stati forniti da GA Gypsum Association (www.gypsum.org) e ottenuti in virtù di test conformi agli standard ASTM E199. Il “Gypsum Systems Fire-resitance Disign Manual” mostra soluzioni per la protezione al fuoco (delle carie parti del costruito) mediante l’impiego di pannelli realizzati a base di gesso. crdt. Margherita Ferrari
1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm intercapedine non isolata 1,25 cm lastra di cartongesso
1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm intercapedine non isolata 1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso
1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm intercapedine con lana di roccia sp. 5 cm 1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso
Minuti di riesistenza al fuoco
60 minuti Fonte: GA WP 1035
60 minuti Fonte: GA WP 1026
60 minuti Fonte: GA WP 1716
1,3 cm lastra di fibrocemento 9 cm intercapedine isolata con lana di roccia sp. 9 cm 1,25 cm lastra di cartongesso
1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm intercapedine non isolata 1,25 cm lastra di cartongesso
1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso 9 cm intercapedine non isolata 1,25 cm lastra di cartongesso 1,25 cm lastra di cartongesso
1. Cioè il logaritmo a base 10 del rapporto tra la potenza da misurare e una potenza di riferimento. 2. ASTM E119ASTM E119. “Standard Test Methods for Fire Tests of Building Construction and Materials,” American Society of Testing and Materials, West Conshohocken, PA. 1995. 3. UBC Standard 7-1, “Fire Tests of Building Construction and Materials,” UBC Standard 7-1, International Conference of Building Officials, Whittier, California, 1997. 4. ISO 834 “Fire-Resistance Tests – Elements of Building Construction,” International Standard for Standardization ISO 834, 1-16. 1975.
04 路 CARATTERISTICHE DEL SISTEMA
18. Foto di cantiere crdt. SPH Srl
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05 EDIFICI con Valentina Manfè
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Magney House Nuovo Galles del Sud (Australia)
01. Magney House sul declivio di Bingle Point. crdt. Anthony Browell
Magney House si trova a Bingie Point, vicino alla cittadina di Moruya, a 250 chilometri a sud di Sydney. Su un terreno di 33 ettari che si affaccia sulla costa del Pacifico, l’edificio appare sperduto e immerso nel paesaggio vasto e brullo; a nord del sito di progetto si trova una spiaggia e un lago circondato dalla foresta. Glenn Murcutt sceglie di realizzare la residenza sulla sommità di un dosso, lungo il pendio che mostra le altimetrie più elevate del lotto, in questo modo il progetto deve confrontarsi con i venti del sud ma offre il vantaggio di impedire il deposito dell’acqua piovana sotto la costruzione. La composizione gode di tale scelta offrendo agli abitanti dell’edificio una straordinaria vista panoramica su Bingie Cape. I committenti, i coniugi Magney, spiegano: “volevamo un riparo leggero, più simile ad una tenda che ad una dimora rurale, a contatto diretto col panorama e gli elementi naturali”. Sono i Magney a scegliere il lotto di terra su cui oggi sorge la casa: acquistarono il terreno su cui per molto tempo avevano campeg-
05 · EDIFICI
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giato e la richiesta da loro espressa sottolinea, appunto, il desiderio di uno spazio abitativo che rimandasse all’esperienza del campeggio, con un’organizzazione interna semplice e aperta, composta da zone collegate ma indipendenti. Murcutt ha progettato un’abitazione da realizzare con tecnologie a secco, impiegando profili in acciaio sagomato a freddo per la realizzazione della chiusura superiore e delle tettoie che definiscono il progetto nel dialogo tra lo spazio interno e quello esterno. L’impiego del CFS consente il disegno dell’abitazione all’insegna della leggerezza ottenendo al contempo forme e dimensioni articolate, caratteri centrali del progetto. La facilità di trasporto e movimentazione degli elementi costruttivi in cantiere ha consentito di contenere i costi di costruzione. La filosofia progettuale di Glenn Murcutt porta a definire disegni, scelte strutturali e tecnologiche in totale sintonia con l’ambiente naturale circostante. Il progetto è frutto dell’accostamento lineare di sette moduli quadrati dal lato di 5,60 m, a collegare i sette moduli vi è un corridoio largo un metro (posto a sud). L’organizzazione dello spazio articola questo disegno di base dividendo il volume in due abitazioni indipendenti e connesse tra loro da uno spazio comune centrale, adibito a veranda. I moduli destinati a zona giorno si affacciano sullo spazio comune, sulla veranda si aprono porte scorrevoli vetrate che consentono la dilatazione dello spazio interno verso l’esterno. I due moduli abitativi hanno la stessa dimensione e un’organizzazione interna simmetrica ad eccezione del prospetto ad ovest al quale è stato aggiunto un modulo, per ricavare un posto auto. Longitudinalmente, Magney House è caratterizzata da una diversa dimensione delle falde del tetto, forse il più evidente degli elementi che compongono il progetto. La casa poggia su una platea in cemento armato che sui lati est e ovest, in corrispondenza delle grondaie, include due serbatoi interrati per la raccolta dell’acqua piovana. I fronti est e ovest sono caratterizzati proprio dalla presenza delle gronde di raccolta dell’acqua piovana. Il fronte nord offre agli affacci principali dell’abitazione una naturale protezione dai forti venti, essendo la parte più bassa e protetta del pendio su sui sorge l’abitazione: questo orientamento ha dato la possibilità di realizzare una facciata molto alta che consente un grande passaggio della luce e si apre verso il paesaggio circostante. L’altezza della facciata del fronte nord è di 3,40 m ed è composta da due elementi a L alle estremità e una struttura metallica ad albero, formata da gruppi di tre elementi tubolari che percorrono tutta la facciata, con passo doppio rispetto a quello degli infissi metallici delle aperture sottostanti. La facciata è quindi disegnata in stretta relazione con la copertura: una struttura in tubi cavi di acciaio in corrispondenza della finestratura vetrata
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fissa, un corrente orizzontale in acciaio (sezione circolare di diametro 50 mm), pilastri tubolari cavi di diametro 114 mm in corrispondenza delle vetrate scorrevoli, un profilo in acciaio a L per attacco a terra. I serramenti, fino ai 2,10 m di altezza, sono una successione di portefinestre in metallo a scorrimento orizzontale il cui percorso è guidato da una trave longitudinale metallica ad L, la modulazione dell’ingresso della luce avviene mediante frangisole in alluminio regolabili dall’interno. Il fonte posteriore è rivolto a sud, verso le colline, da cui soffiano venti freddi. Per questo motivo la facciata ha un’altezza ridotta rispetto al fronte nord ed è stata realizzata utilizzando laterizi; fino ad un’altezza di 2,10 m la chiusura verticale è realizzata con un paramento in mattoni ad una testa protetto da una lamiera ondulata. Su questo fronte si articolano gli ambienti di servizio quali cucine e servizi igienici. La chiusura superiore è costituita da una vetrata inclinata fissa che si sviluppa lungo tutta la lunghezza del prospetto ed è ancorata alla copertura mediante un tubolare in metallo su cui si aggancia la copertura in lamiera ondulata. La vetrata fissa è protetta da imposte trapezoidali in legno sorrette e movimentate grazie ad un’intelaiatura lignea; nella parte inferiore della vetrata alcuni pannelli sono apribili per consentire l’aerazione naturale degli ambienti. Le partizioni interne verticali sono in laterizio fino all’altezza di 2,10 m, al di sopra la partizione termina raccordandosi alla copertura con elementi vetrati fissi. Questa scelta nel disegno delle partizioni interne verticali sottolinea la leggerezza della chiusura superiore. La massima leggerezza formale e strutturale viene raggiunta in copertura per la quale l’architetto disegna forme che richiamano e ali dei gabbiani. La scelta formale dichiara lo sviluppo funzionale degli ambienti interni: la falda minore copre gli spazi di servizio, più piccoli e compressi, e la falda maggiore corrisponde agli ambienti più ampi. Le falde così descritte hanno anche funzioni di tipo climatico, consentono all’abitazione di meglio adattarsi alla direzione dei venti e l’incavo tra le falde permette il deflusso e la raccolta delle acque piovane. La copertura è isolata e rivestita internamente con un controsoffitto in cartongesso sagomato e dipinto di bianco che segue l’andamento del tetto, esternamente la lamiera ondulata galvanizzata è lasciata a vista, quale elemento caratterizzante della costruzione. Gli elementi strutturali della copertura sono costituiti da travi tubolari in acciaio zincato a sezione circolare di diametro 114 mm che corrono in facciata, al di sotto della copertura in lamiera. Travi a doppio T sostengono l’incavo tra le falde per la lunghezza del corridoio interno di distribuzione. Travetti in CFS si innestano sui tubolari in acciaio e costituiscono l’orditura su cui viene
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poggiata la copertura superiore. Murcutt descrive la propria realizzazione in funzione della sostenibilità, che per l’architetto significa mettersi in rapporto con il contesto facendo in modo che l’architettura segua i ritmi naturali dell’ambiente. Da questa idea nasce un edificio come Magney House in quanto Murcutt stesso, in varie sue interviste, sostiene che l’architettura sostenibile è l’unica possibile, altrimenti non è architettura ma solo mercificazione di nuovi prodotti. 02. Fronte nord. La facciata è alta 3,40 m ed è caratterizzata da una struttura metallica ad albero formata da gruppi di tre elementi tubolari con passo doppio rispetto a agli infissi metallici delle aperture sottostanti, la facciata è ritmata da frangisole in alluminio regolabili che modulano l’ingresso della luce. crdt. Anthony Browell
> Progettisti/a:
progetto architettonico: Glenn Murcutt
progetto strutturale: Glenn Murcutt
> Localizzazione: Bingie Point, Nuovo Galles del Sud, Australia > Anno di realizzazione: 1984 > Destinazione d’uso: abitazione unifamiliare > Dimensioni: 300 m2 (su lotto di 33 ettari)
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03. Spazio interno. La zona giorno si apre verso nord e sulla parete a sud si sviluppa tutta la parte di servizio, aree collegate da un corridoio interno che funge da connessione tra gli ambienti. crdt. Anthony Browell
04. Prospetto nord e prospetto sud. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
05 路 EDIFICI
05. Pianta. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
06. Sezione trasversale (sezione tipo). crdt. ridisegno Valentina Manf猫
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07. Dettaglio dei profili in acciaio sagomato a freddo che costituiscono l’orditura di travi della chiusura superiore (sezione longitudinale e trasversale rispetto ai profili in CFS). Lamiera ondulata in acciaio galvanizzato. Membrana ardesiata autoadesiva 5 mm. Foglio di pvc 3/10 mm. Profilo in acciaio sagomato a freddo a c 200x100x3.2 mm. Tubolare metallico diam. 114 mm. Materassino isolante in lana di vetro 50 mm. Profili per cartongesso 55 mm. Barriera al vapore 5/10 mm. Lastra di cartongesso flessibile 0.64 mm. crdt. ridisegno Valentina Manfè
08. Particolare del fronte nord. Elementi di schermatura esterni in alluminio anodizzato con retrostante sistema vetrato fisso tra i 2,12 m e i 3,3 m di altezza, con sequenza di aperture in alluminio scorrevoli. crdt. Anthony Browell
09. (pagina a fronte) Magney House sul declivio di Bingie Point. crdt. Anthony Browell
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Maison Metal Parigi (Francia)
01. Esterno della Maison Métal immersa nella vegetazione. crdt. Hamonic + Masson & Associés (Copyright 2015)
La Maison Métal è stata progettata dallo studio G. Hamonic & J.C. Masson di Parigi e commissionata dalla rivista Architettura Vivre, con il sostegno economico del Ministero francese della Cultura. È una delle due case provvisorie costruite a Parigi, al Parc de la Villette, nel 2003. L’obiettivo della rivista Architettura Vivre era esplorare i modi moderni di vita e descriverli con testi, progetti ed edifici prototipo. La villa è stata realizzata con struttura in acciaio sagomato a freddo, soluzione tecnologica adeguata per la realizzazione di costruzioni temporanee e in un contesto dove è necessario organizzare un cantiere pulito, veloce e silenzioso. La struttura in acciaio sagomato a freddo è costituita da una serie di telai realizzati con travi accoppiate da 320 mm e montanti verticali: tutta la struttura portante è stata prodotta e posta in opera in quindici giorni. Tre anni dopo dall’allestimento di Architettura Vivre, la Maison Métal è stata smontata e rimontata a Agon-Coutainville, in Normandia a 800 metri dal mare. Oggi non è più un’abitazione prototipo ma una vera e propria dimora privata.
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L’edificio, presentato a Parigi, è stato sviluppato in virtù di una forte relazione tra abitazione e ambiente esterno: gli architetti non tradiscono il carattere del Parc de la Villette in cui il rapporto tra architettura, scultura e sito è determinante; la villa trova ragione delle proprie forme dall’interrelazione con l’esterno e con il resto del parco (e, oggi, con le coste della Normandia). Il concept di progetto è un intreccio di due nastri: uno di metallo liscio e uno vegetale. Tale idea trova concretezza nella messa in opera di un pannello sandwich in lamiera metallica verniciata di color bronzo da 40 mm, il metallo appare come una fascia che si relaziona con un altro nastro, molto più ampio, di vegetazione. Il nastro metallico, che va a formare un quadrato di 13x13 m, domina il piano terra e caratterizza gli spazi abitativi; i locali di servizio sono nascosti lungo una spina interna e le aperture vetrate estendendo i limiti costruiti verso l’esterno. La facciata verso il giardino appare più leggera e meno materica, grazie all’utilizzo di acciaio inox e del vetro a specchio: questa racchiude gli spazi della zona giorno e della camera matrimoniale. Il piano superiore, molto più chiuso verso l’esterno, ospita uno spazio per i bambini, camere e area di gioco; questi vani si legano all’esterno con un vero e proprio giardino segreto, un tetto giardino che offre un paesaggio privato con piccole aperture, come coni ottici, verso l’esterno.
> Progettisti/a:
progetto architettonico: Hamonic + Masson & Associés
progetto strutturale: Bureau d’Études Dominguez
> Localizzazione: Parc de la Villette, Villeneuve-les-Avignon, 30, Francia > Anno di realizzazione: 2004 > Destinazione d’uso: edificio prototipo e abitazione unifamiliare > Dimensioni: 300 m2 > Realizzazione: struttura Bateco; facciate Isomac; finestre Les Vérandas du Golf > Consulenti: Profil du Futur
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02. Concept di progetto. 1a.Il quadrato dell’edificio inscritto nella figura che definisce lo sapzio esterno; 1b.Il nastro della vegetazione che entra virtulmente nell’edificio; 2a.Spazio costruito chiuso al piano terra; 2b. Spazio costruito chiuso al piano primo; 3a. Spazio verde aperto al piano terra; 3b. spazio verde aperto al piano primo. crdt. ridisegno Valentina Manfè
03. Pianta del piano primo. crdt. ridisegno Valentina Manfè
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04. Sfondamento dello spazio interno verso l’esterno dalla corte interna al piano terra. crdt. Hamonic + Masson & Associés
05. Pianta del piano terra. crdt. ridisegno Valentina Manfè
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06. Assonometria struttura in CFS. crdt. Hamonic + Masson & AssociĂŠs
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07. Struttura in light formed steel al piano primo. crdt. Hamonic + Masson & AssociĂŠs (Copyright 2015)
08. Dettaglio della connessione dei profili metallici sagomati a freddo. crdt. Hamonic + Masson & AssociĂŠs (Copyright 2015)
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A
09. In alto: sezione orizzontale della partizione esterna verticale che delimita il tetto verde. In basso: la sezione verticale del nodo tra la chiusura verticale e superiore. A Pannello sandwich con finitura in lamiera e isolante in poliuretano 40 mm Correnti metallici (e intercapedine d’aria 35 mm e pannello isolante in lana di roccia 60 mm) Pannello osb 12,5 mm Profili in acciaio sagomato a freddo accoppiati back to back 12 cm Rivestimento in lamiera grecata 40 mm B Membrana ardesiata 4 mm Pannello coibentato per coperture 80 mm Lamiera grecata 25 mm Travetti in acciaio sagomato a freddo 180 mm Lastra in cartongesso 12,5 mm C Pannello sandwich con finitura in lamiera e isolante in poliuretano 40 mm Correnti metallici (e intercapedine d’aria 35 mm e pannello isolante in lana di roccia 60 mm) Pannello osb 12,5 mm Profili in acciaio sagomato a freddo accoppiati back to back 120 mm Doppia lastra in cartongesso 12,5+12,5 mm crdt. ridisegno Valentina Manfè
10. Struttura StylTech. crdt. Hamonic + Masson & Associés (Copyright 2015)
B
C
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11. Sezione. crdt. ridisegno Valentina Manfè
12. Ampie vetrate dello spazio living permettono una continuità tra interno ed esterno. crdt. Hamonic + Masson & Associés (Copyright 2015)
13. Prospetti. crdt. ridisegno Valentina Manfè
14. Vista dalla corte interna al piano terra. Omogeneità dei materiali di rivestimento e per la pavimentazione con diversi trattamenti. crdt. Hamonic + Masson & Associés
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Villa Arjalas Villeneuve-Iès-Avignon (Francia)
01. Prospetto sud-est dell’abitazione visto dal terrazzamento sottostante. Il fronte è caratterizzato da ampie vetrate alternate al rivestimento in laterizio. crdt. Christian Richters
Nel 2004 lo studio Patriarche & co progetta e realizza una residenza di campagna di cui l’elemento caratterizzante è la relazione con il paesaggio, relazione sviluppata disegnando un edificio poco invasivo nei confronti del contesto. La motivazione emerge forte dalla committenza e in virtù della particolare collocazione della residenza: Villa Arjalas sorge a Villeneuve-lès-Avignon, sulle pendici di un colle della valle del Rodano disegnato dai terrazzamenti di vigneti, che caratterizzano i dintorni della città di Avignone. La residenza si inserisce in questo prezioso contesto paesaggistico con grande leggerezza grazie alle scelte costruttive adottate, ovvero l’uso della tecnologia a secco che ha ridotto i tempi, il rumore e l’impatto del cantiere. La struttura è di tipo misto, realizzata con profili in acciaio laminato a caldo e profili sagomati a freddo. Per la struttura principale sono stati utilizzati pilastri IPE 220, travi in acciaio a C 200x75 mm imbullonate ad un piatto in acciaio di collegamento. Per la copertura e i collegamenti tra la struttura portante e la facciata vetrata sono impiegati profili a sezione chiusa 120X60 mm. Questa
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struttura metallica principale è a vista e appoggia su un ridotto basamento. Elementi in cold formed steel sono stati utilizzati per la copertura e la struttura secondaria. L’edificio è coronato da brise-soleil di lamelle in acciaio galvanizzato piegate e imbullonate a mensole: piatti di acciaio sagomati di sezione massima 150x6 mm formano uno sporto della copertura che si conclude con un tubolare in acciaio Ø 100 mm e caratterizza tutte le facciate della casa. Questo sistema permette la schermatura della luce sulla terrazza sottostante, finita con un pavimento in legno (listelli 150x27 mm vengono montati su travetti di 68 mm). L’orditura lignea della pavimentazione è sostenuta da una struttura in acciaio: profili a C di 180x65 mm sono montati su una mensola in acciaio a doppia T (di altezza massima 290 mm). A sostegno della balaustra è stato utilizzato un piatto in acciaio di 340x160 mm. Il rivestimento esterno è realizzato con tavelle in cotto forato di dimensione 300x70 mm fissate su profili in alluminio connessi alla parete con profili a Z in acciaio da 160 mm. L’uso della terracotta ricerca la sintonia cromatica con il contesto e permettono un inserimento paesaggistico poco invasivo. La stratigrafia delle pareti, verso l’interno dell’edificio, si compone di una membrana impermeabilizzante, un doppio pannello isolante 150 mm e una finitura realizzata in pannelli di cartongesso stuccato e dipinto. L’edificio ha una forma di parallelepipedo, l’organizzazione della pianta è piuttosto articolata al piano superiore e più compatta e regolare al piano inferiore, dove è dominante l’elemento della terrazza che circonda tutta la zona giorno. Le terrazze e i balconi, le continue aperture in facciata che permettono la trasparenza e la pavimentazione in legno danno continuità tra interno ed esterno. Gli spazi interni sono organizzati in funzione di un nocciolo centrale che ospita una scala metallica e altri spazi di distribuzione che divengono spazi della vita condivisa, consentendo di sfruttare la profondità del corpo di fabbrica. La zona giorno si sviluppa lungo il fronte sud-est e dispone di un grande camino, mentre le zone notte, la cucina e i servizi si collocano sul restante perimetro dell’edificio. > Progettisti/a:
progetto architettonico: patriarche & co architectes + ingÉnieurs
progetto strutturale: patriarche & co architectes + ingÉnieurs
> Localizzazione: Villeneuve-lÈs-Avignon, Francia > Anno di realizzazione: 2004 > Destinazione d’uso: abitazione unifamiliare > Dimensioni: 300 m2 > Realizzazione: ArcelorMittal Distribution, acciaio; Styltech, acciao sagomato a freddo; Terreal, terracotta, Aluminier Agréé Technal, alluminio; Saint-Gobain,vetro; BTicino, impianto elettrico > Consulenti: arch. Alain Goiot, interni; ID Structures, calcestruzzo
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02. Prospetto sud-ovest. crdt. ridisegno Marta Micheletti
03. Scala interna. Visibile il pilastro in acciao a sezione circolare, elemento strutturale d’eccezione rispetto ai pilastri realizzati in acciaio IPE 220 e disposti lungo le pareti perimetrali. crdt. Christian Richters
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04. Pianta del piano terra e pianta del piano primo. crdt. ridisegno Marta Micheletti
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05. Scala interna. Visibile il pilastro in acciao a sezione circolare, elemento strutturale d’eccezione rispetto ai pilastri realizzati in acciaio IPE 220 e disposti lungo le pareti perimetrali. crdt. Christian Richters
07. Prospetto sud-est. crdt. ridisegno Marta Micheletti
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06. La villa è circondata da terrazze protette da balaustre in acciaio galvanizzato. In questa foto è visibile la terrazza al piano inferiore, realizzata con un solaio in calcestruzzo armato. crdt. Christian Richters
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08. La chiusura verticale, realizzata con tecnologia LSF e rivestita con elementi in laterizio. Doppia lastra in cartongesso 12,5+12,5 mm. Profilo in acciaio sagomato a freddo 90 mm. Pannello in fibrocemento 15 mm. Pannelli isolanti in lana di roccia 75 mm + 75 mm. Membrana impermeabilizzante Rivestimento in tavelle in cotto 300x70 mm. crdt. ridisegno Valentina Manfè
09. Terrazza al piano primo sul lato sud-est, realizzata con listelli di legno e soprastante coronamento costitito da brisesoleil realizzati con lamelle di acciaio galvanizzato piegate. crdt. Christian Richters
10. (pagina a fronte) Il prospetto nord-est della residenza si affaccia verso la valle. L’ampia terrazza è finita con pavimentazione in listelli di legno di 150x27 mm che poggiano su travetti in legno di 68 mm e profili a C in acciaio di 180x65 mm. crdt. Christian Richters
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PlusHome Helsinki (Finlandia)
01. Le grandi aperture vetrate, i balconi e gli elementi frangisole regolabili che caratterizzano il prospetto che si affaccia verso la corte. crdt. Kari Erkkilä
La storia di questo edificio inizia con un concorso di tecnologia organizzato nel 2001 dal Comune di Helsinki e TEKES, un istituto pubblico votato al sostegno dello sviluppo tecnologico. Attraverso la gara si vogliono individuare nuove soluzioni urbane conformi ai principi dell’Open Building, ovvero della progettazione caratterizzata dalla massima flessibilità. PlusHome è un complesso residenziale che sorge ad Arabianranta, una nuova zona residenziale collocata sulla costa, a circa 5 km dal centro di Helsinki, estensione urbana del centro della città. Il Comune, oltre a supervisionare i progetti durante la fase di costruzione, sta operando una riqualificazione urbana dell’area. Alcuni punti chiave di questo intervento sono la realizzazione di un grande parco sulla riva del fiordo, la costruzione di piazze e strade, lo sviluppo del trasporto pubblico e la predisposizione di una rete veloce di fibre ottiche. L’area diventa per questo motivo uno spazio molto stimolante per costruttori e progettisti. L’edificio PlusHome è costruito su un terreno di proprietà del Comune di
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Helsinki e, come condizione preliminare, era richiesto che il prezzo di vendita degli appartamenti fosse leggermente inferiore ai prezzi di mercato. Per queste ragioni la progettazione e la costruzione dell’edificio rappresenta, sin dalle prime indicazioni del bando, una vera sfida. A rispondere è la SATOCorporation, il più grande costruttore di abitazioni in Finlandia. La SATO-Corporation opera seguendo i principi di quello che è stato battezzato il PlusHome-concept, adottato anche per questo progetto. Gli utenti sono al centro dell’idea progettuale: il residente ha a disposizione appartamenti di diverse dimensioni (e diverse finiture) dei quali il sistema costruttivo garantisce grande flessibilità sia in orizzontale che in verticale. Ogni appartamento è dotato di comfort quali la sauna e un sistema di ventilazione regolabile individualmente, sia meccanico che naturale. PlusHome ad Arabianranta è un complesso residenziale di due edifici disposti a formare una corte interna lunga e stretta, uno spazio urbano che misura quote variabili da uno a tre metri sopra il livello del mare, in modo tale da consentire la vista della costa. Un volume più corto definisce il fronte stradale del complesso. I due edifici di maggiori dimensioni sono di 6 piani, contano 77 appartamenti per una superficie utile di 5330 mq e offrono altri spazi con dimensioni e destinazioni diverse, ogni edificio è servito da tre corpi scala e ascensore. Le residenze sono di varie metrature, dai 39 mq ai 125 mq. Gli spazi con altra destinazione d’uso si trovano al piano terra, misurano 84 mq, e quattro di questi sono collegati al piano degli appartamenti mediante scale interne. Sono stati progettati spazi comuni anche ad uso esclusivo dei residenti, si tratta di una lavanderia, due sale riunioni e due saune con terrazze sul mare; inoltre gli appartamenti dispongono di una cantina e di locali di deposito sia individuali che comuni. L’utilizzo della struttura in acciaio, per i suoi limitati ingombri, consente di ottenere grande flessibilità nella disposizione degli appartamenti e di garantire un ampio margine di personalizzazione in ogni residenza; questa scelta ha agevolato anche la progettazione delle numerose aperture in facciata. Il telaio portante del complesso edilizio presenta alcune caratteristiche diverse dalla tradizionale costruzione finlandese: i muri esterni perimetrali hanno funzione portante e le pareti longitudinali sono pareti di separazione tra gli appartamenti, questa soluzione consente di ottenere appartamenti liberi da elementi strutturali all’interno degli spazi abitativi e permette diverse soluzioni di distributivo anche in appartamenti dalla stessa metratura. La flessibilità è consentita anche in verticale: è infatti possibile l’organizzazione di appartamenti su livelli diversi.
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Le parti principali della struttura sono in acciaio profilato a caldo, a questo telaio principale se ne collega uno, collaborante, realizzato con elementi scatolari ed elementi a C in acciaio sagomato a freddo. L’anima dei profili a C è di 200 mm e lo scatolare ha dimensione 120x120 mm, tale struttura è disposta con un passo di tre metri e l’intercapedine di 120 mm viene saturata con un materassino isolante in lana di roccia. Il sistema LSF permette di realizzare la parete descritta grazie la posa in opera di grandi elementi-parete costruiti presso uno stabilimento produttivo. Gli elementi-parete hanno dimensioni di 9x3 m (massimo 9 metri di lunghezza), ciò rende la lavorazione in cantiere molto rapida. Il collegamento tra parete perimetrale prefabbricata e il solaio avviene mediante un profilo a Z in acciaio sagomato a freddo, collocato all’estradosso dei pilastri e al livello dell’imposta del solaio. Il rivestimento interno è realizzato in cartongesso e, per gli ambienti più umidi, viene utilizzata la pietra come rivestimento. Il fronte esterno della parete è completato da un rivestimento di lana di roccia e da un rivestimento realizzato della ditta produttrice Ruukki. Questo varia a seconda del fronte degli edifici: in mattoni rossi dal lato della strada e intonacato dalla parte della corte interna. L’intonaco è di tipo termico ovvero ha uno spessore di 50 mm e un isolamento termico di 25 mm con 3 strati di intonacatura. I profili in acciaio sagomato a freddo, che vanno a formare le pareti perimetrali collaboranti, consentono di realizzare superfici vetrate senza limiti dimensionali vincolanti. L’integrazione delle parti in LFS con la trave IPE rende possibile realizzare aperture molto alte, quasi fino al solaio; queste vetrate sono dotate di tende a rullo per garantire una maggiore privacy e il controllo della luce solare. Alcuni fronti sono caratterizzati da balconi, i cui solai sono in cemento e sorretti da scatolari in acciaio di 120x200 mm (riempiti di calcestruzzo per garantire l’adeguata resistenza in caso d’incendio). I balconi sono dotati di elementi di protezione dal sole scorrevoli costituiti da lamelle in alluminio. Le partizioni interne verticali che dividono gli appartamenti sono realizzate con una struttura leggera composta da un doppio telaio in elementi in acciaio sagomato a freddo, l’isolamento nell’intercapedine tra i montanti e i doppi pannelli di cartongesso che garantiscono il corretto l’isolamento acustico e al fuoco; questo tipo di struttura rende facile la messa in opera e l’eventuale implementazione dei cablaggi elettrici. Gli impalcati orizzontali hanno uno spessore di 370 millimetri. Le travi IPE della struttura principali hanno fori progettati per il passaggio degli impianti e sono supportate dai pilastri perimetrali esterni e dai vani scale/ascensori.
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L’ala inferiore della trave è annegata in una gettata di calcestruzzo armato dello spessore di 8 cm. L’ala superiore collabora con una griglia di profili in LFS al sostegno del piano di calpestio, realizzato in legno. Lo spazio tra l’ala superiore e l’ala inferiore della trave IPE è dunque in buona parte occupato da canalizzazioni impiantistiche e, ovunque, saturato da materiale isolante in lana di roccia. Grazie all’impiego delle strutture in acciaio e alle lavorazioni rapide, sia in opera che in stabilimento, PlusHome è stato costruito in soli due anni e attraverso un percorso economicamente sostenibile che ha valso al progetto un premio nazionale per meriti sociali e importanza delle scelte tecnologiche effettuate. 02. Fase di cantiere. Realizzazione della copertura. crdt. Petri Viita
> Progettisti/a:
progetto architettonico: ArkOpen Ltd, Architects Esko Kahri, Petri Viita, Juhani Väisänen & PlusHome Ltd
progetto strutturale: Finnmap Consulting Oy, Lasse Rajala, Urpo Karesniemi
> Localizzazione: Kaj Franckinkatu 1, Helsinki, Finlandia > Anno di realizzazione: 2005 > Destinazione d’uso: complesso residenziale > Dimensioni: superficie utile 5660 m2, superficie totale di 7792 m2; volume di 25250 m3 > Realizzazione: SATO Corporation. Ruukki, Tarmo Mononen, Seppo Saarinen > Consulenti: ToCoMan Group Oy, Esko Enkovaara, Timo Taiponen
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03. Inquadramento planimetrico. crdt. ridisegno Marta Michieletti
04. Spazio interno di un’unità abitativa che si sviluppa su due livelli. crdt. Petri Viita
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05. Piante. Tipologie unità abitative. crdt. ridisegno Valentina Manfè
06. Porzione di pianta tipo, piano terzo. crdt. ridisegno Valentina Manfè
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07. Prospetto del fronte dell’edificio che affaccia sulla corte interna. crdt. ridisegno Marta Michieletti
08. Fase di cantiere. Trasporto in sito della parete in acciaio sagomato a freddo e lamiera metallica. crdt. Petri Viita
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09. Fase di cantiere. Montaggio e sollevamento dei profili metallici sagomati a freddo per la realizzazione della chiusura verticale. crdt. Petri Viita
10. Prospetto rivolto verso la costa. crdt. ridisegno Marta Michieletti
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11. Sezione orizzontale di un elemento parete: a partire da questa stratigrafia di base, impiegando differenti contropareti interne e finiture esterne, sono state realizzate tutte le chiusure verticali del complesso di edifici. Lastra di acrtongesso 12,5 mm Montanti a forma di omega 50 mm Lastra di cartongesso 12,5 mm Montanti in acciaio sagomato a freddo 200 mm e pilastro scatolare a sezione quadrata Intercapedine isolata in lana di roccia Lastra sandwich in EPS con finitura in lamiera 20 mm crdt. ridisegno Valentina Manfè 12. Prospetto verso la strada. Rivestimento esterno delle facciate è realizzato in mattoni rossi, dietro a questi sono stati installati dei LED per l’illuminazione notturna. crdt. Kari Erkkilä
13. (pagina a fronte) La facciata che si affaccia sulla corte alterna parti di parete intonacata ad ampie vetrate; i balconi sono dotati di brise soleil scorrevoli realizzati con lamelle in alluminio e le superfici finestrate sono dotate di tende a rullo. crdt. Kari Erkkilä
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Lingham Court-Stockwell Londra (Regno Unito)
01. Facciata rivestita in legno che si affaccia sul giardino interno verso Gratham Road. crdt. Pollard Thomas Edwards
Il complesso residenziale di Lingham Court è stato commissionato dalla Metropolitan Housing Trust, società che si occupa di interventi di edilizia sociale, conta 76 unità abitative, alcune destinate ad housing sociale e altre vendute in condizioni di libero mercato. L’edificio è costituito da due corpi disposti a semicerchio e una torre dalla pianta ellittica. I due volumi più bassi contano cinque piani e, sul fronte sudovest, definiscono lo spazio di una corte interna, uno spazio urbano tranquillo e privato. Il prospetto opposto, a nord-est, si affaccia su Clapham Road e ospita una serie di attività commerciali al piano terra. Il sito di progetto è caratterizzato da un sottosuolo piuttosto complesso dato il passaggio della metropolitana e di alcuni tunnel di emergenza. Per questo motivo, per non caricare eccessivamente le fondazioni, è stato impiegato l’acciaio sagomato a freddo. Lo studio Michael Barclay Partnership, che si è occupato della progettazione delle strutture, ha incaricato Forge & Banro per la realizzazione dei profili in
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acciaio sagomato a freddo. I montanti sono stati ideati in conformità con il sistema costruttivo del balloon frame, impiegando elementi continui per tutta l’altezza dell’edificio senza interruzioni dal terreno al tetto di copertura. A questi elementi si vanno poi a connettere le aste e i piani dei solai. Alla struttura di montanti della facciata corrisponde, nella struttura interna dei corpi di fabbrica, una griglia di pilastri e travi in carpenteria pesante: è in questi punti che sono collocate le colonne dei servizi e il passaggio della maggior parte dell’impiantistica che serve l’edificio. Data tale intelaiatura, i progettisti hanno scelto di agevolare le lavorazioni facendo arrivare in cantiere parti di costruzione in CFS già assemblate in stabilimento. Questa soluzione è stata impiegata, in particolare, per la realizzazione dei pod dei moduli cucina e servizi igienici. La ditta Fusion si è occupata della realizzazione dei pod che sono stati poi installati sul telaio di travi e pilastri in acciaio. Anche per le chiusure verticali sono stati impiegati elementi in acciaio sagomato a freddo pre-assemblati in stabilimento. Un accorgimento particolare caratterizza questi pannelli: i profili verticali di bordo sono rastremati per consentire un più agevole collegamento con i profili del pannello che segue; queste connessioni sono state effettuate impiegando viti autofilettanti. La forma a semicerchio consente la creazione di spazi esterni al corpo di fabbrica che paiono protetti e raccolti, come la corte privata a sud-ovest e il cortile ad est, questi spazi preservano anche alcune alberature preesistenti sul lotto. Questa forma consente anche l’organizzazione di una serie di spazi ancora più privati, come le logge di pertinenza di alcune unità abitative, queste sono disegnate in funzione della realizzazione di agevoli collegamenti tra l’interno e l’esterno, al fine di poter godere dello spazio, della luce solare e di buoni affacci da tutti i piani dell’edifico. Nella progettazione degli spazi interni è stata considerata prioritaria la creazione di spazi accessibili a qualunque utente, le unità abitative dispongono di una camera da letto, un soggiorno e ampi balconi. In alcuni appartamenti dedicati a fasce d’utenza particolarmente deboli (ad esempio: anziani bisognosi di assistenza) sono stati progettati spazi di vita indipendenti per coloro che prestano aiuto e appoggio agli utenti primi degli alloggi. L’intervento ha vinto svariati premi per la qualità del progetto: il British Homes Award nel 2007, l’Housing Design Project Award nel 2006 e il National Homebuilder Design Award 2005 nel quale il progetto è stato descritto come una costruzione innovativa che ha dovuto confrontasi con limiti di carico imposti dalla presenza della metropolitana, utilizzando pannelli d’acciaio prefabbricati per i pavimenti e le pareti portanti, ottenendo finiture di alta qualità e impiegando il colore per la caratterizzazione delle diverse aree dell’edificio.
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02. Schema geometrico per lo sviluppo della planimetria. crdt. ridisegno Valentina Manfè
03. Struttura semi-volumetrica costituita dal “ballon frame” e dai moduli tridimensionali (nell’immagine i pod sono coperti da un telo protettivo in fase di costruzione). crdt. Pollard Thomas Edwards Architects 04. Dettaglio della facciata rivestita in mattoni. crdt. Valentina Manfè
> Progettisti/a:
progetto architettonico: Pollard Thomas Edwrds Architects
progetto strutturale: Michael Barclay Partnership
> Localizzazione: Clapham Road, Stockwell, London SW9 > Anno di realizzazione: 2005 > Destinazione d’uso: complesso residenziale > Realizzazione: Fusion (moduli in CFS), Forge & Banro (pannelli in CFS)
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05. Planimetria. crdt. ridisegno Valentina Manfè
06. Schema di sezione che mette in evidenza il rapporto tra l’edificio e i sottostanti tunnel della metropolitana. crdt. ridisegno Valentina Manfè
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07. Dettaglio costruttivo. Sezione orizzontale facciata curva. Doppia lastra di cartongesso 12,5 mm Montanti in acciaio sagomato a freddo 140 mm Membrana di tenuta al vapore Lastra di fibrocemento 20 mm Montanti in legno (pannelli isolanti in EPS 50 mm e intercapedine d’aria dallo spessore variabile) Traversi in legno 40 mm Assi di legno di rivestimento 25 mm crdt. ridisegno Valentina Manfè
08. Foto di cantiere. crdt. Pollard Thomas Edwards Architects
09. (pagina a fronte) Dettaglio della facciata rivestita in legno. crdt. Pollard Thomas Edwards Architects
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Moho – Modular Living Londra (Regno Unito)
01. Immagine di cantiere.
Moho, crasi di Modular housing, è un progetto basato sulla produzione industriale di elementi per la realizzazione di unità abitative prefabbricate. L’intervento ha come obbiettivo la realizzazione di piccole abitazioni destinate a giovani laureati e lavoratori in un’area della città di Manchester in fase di sviluppo e forte espansione. Questo progetto si compone di 102 appartamenti che si sviluppano in un complesso edilizio di sette piani di cui sei realizzati in moduli prefabbricati. Ogni modulo prefabbricato è tridimensionale e caratterizzato da una struttura autoportante: un telaio di profili in acciaio sagomato a freddo rivestiti con pannelli in acciaio e legno collaboranti. Urban Splash Ltd., committente del progetto, è stato fortemente coinvolto nella fase di progettazione seguita dallo studio ShedKM. Moho si sviluppa in tre corpi di fabbrica i quali sono disposti a U intorno ad una corte che ospita un giardino. Il piano terra è occupato da attività commerciali e il piano interrato è destinato a parcheggio. L’accesso agli alloggi avviene
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attraverso il giardino, utilizzando il blocco scala-ascensori centrale che, a sua volta, è collegato al piano dei parcheggi. Le quote dello spazio interno alla corte distinguono uno spazio di percorrenza, a livello stradale, e un livello sopraelevato a verde, questo cambio di quota consente la ventilazione del piano interrato e la disposizione di una serie di vani, ad uso dei residenti, adibiti a cantine o a ricoveri per le biciclette. I moduli si affiancano l’uno all’altro sul lato corto, in modo da lasciare i lati lunghi 9,05 m liberi, questo consente di aprire ampie vetrate in prospetto e godere così di una buona illuminazione naturale all’interno degli ambienti. Questo modello di aggregazione dei moduli prefabbricati è innovativo rispetto alla modalità utilizzata più diffusamente, che vede una più consueta unione dei pod attraverso l’accostamento dei lati lunghi. Il disegno dei prospetti è generato dal sapiente uso delle vetrate e dei pannelli in doghe di legno per le schermature solari, che variano al variare della funzione interna degli spazi, seguendo la suddivisione dell’unità abitativa in tre campate: più schermate per la zona notte e più aperte nella zona giorno. La volontà dello studio ShedKM è stata quella di non nascondere la costruzione modulare, lasciando che i prospetti verso la strada e verso il cortile fossero caratterizzati da griglie e pannelli. James Weston, responsabile dello studio di progettazione, definisce lo spirito che ha guidato la composizione di questa facciata “un’espressione cubista modulare” ottenuta con l’accostamento di elementi e materiali diversi. Le unità abitative sono composte da un modulo base (che contiene soggiorno, zona cucina, camera da letto, bagno, ripostiglio) e un pod aggiuntivo, più piccolo, che funge da ingresso. Come un esoscheletro, sul fronte esterno dei moduli prefabbricati, è stato progettato un telaio metallico autoportante che ha la funzione di sostenere i ballatoi di ingresso alle residenze, i collegamenti verticali ed i moduli aggiuntivi a lato aperto, che sono utilizzati come ingresso, sala da pranzo o ulteriore camera. Queste parti aggiuntive (ballatoi e moduli a lato aperto) sono collegate al telaio autoportante esterno mediante connessioni ad incastro e viti auto perforanti. Le metrature e le configurazioni interne degli appartamenti sono di tre tipi, variazioni a partire da un modulo minimo di base: •
il modulo a configurazione base, tipo A, offre una sola camera e misura 38 mq escluso il balcone, includendolo si arriva a una superficie di circa 48 mq;
•
ampliando il modulo A è possibile ottenere il modulo di tipo B, con una camera aggiuntiva e la sala pranzo, per una superficie totale di 42 mq;
•
il modulo di tipo C (di 54 mq) conta due camere e una più ampia sala
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pranzo che si sviluppa come un’estensione della cucina fino al bordo esterno del balcone. L’alloggio di tipo C è ottenuto mediante l’ampliamento sul lato lungo dell’unità base, dove il modulo aggiuntivo della camera si collega sul lato minore così che la residenza raggiunge una lunghezza complessiva di 12,5 metri. Tutte le unità abitative vengono fornite all’utente completamente arredate, complete di finiture ed accessori, impianto di illuminazione, impianto di riscaldamento, pavimenti in legno e schermature solari. Anche nel caso dell’alloggio di tipologia più ridotta lo spazio risulta ampio e armonico. Il balcone, profondo 1,5 metri, e le vetrate ampie e alte fino al solaio restituiscono una sensazione di apertura verso l’esterno. Lo spazio interno è libero da porte e si sviluppa attorno al blocco servizi centrale, parallelamente al balcone lo spazio scorre lungo due corridoi spazialmente liberi. La camera è abbondantemente illuminata in quanto è dotata delle stesse aperture vetrate del soggiorno ma, grazie alla presenza di frangisole in legno, è possibile avere maggiore protezione e privacy. Lo spazio dedicato alla cucina, al bagno e al ripostiglio trae ispirazione dal design degli yacht: i servizi formano un blocco di servizio centrale, attorno al quale si sviluppano il soggiorno, la camera da letto e i due corridoi. L’azienda Yorkon ha prodotto tutti i 102 moduli-abitazione di cui si compone Moho. I moduli sono stati prodotti e assemblati in stabilimento, sono inoltre stati testati prima di essere portati in cantiere per la messa in opera; ogni modulo è stato realizzato in soli 18 giorni. L’assemblaggio dei moduli in cantiere è stato eseguito mediante gru per il sollevamento ed è avvenuto in tempi molto rapidi. Le fasi della produzione e della realizzazione di Moho possono essere riassunte in una sequenza molto rapida in quanto le attività di produzione industrializzata dei moduli (fase 1 e 2) sono state condotte in parallelo alle attività di cantiere. 1. I moduli vengono realizzati in fabbrica costruendo prima la struttura in acciaio e, successivamente, assemblando su questa le pareti e i solai in lamiera; per ultimi sono stati aggiunti gli starti di isolante e il rivestimento in cartongesso. 2. Sempre in fabbrica, viene messa in opera di tutta la dotazione impiantistica: impianto elettrico, pannelli radianti a parete, componenti bagno e componenti cucina. 3. In cantiere viene gettata la piastra in calcestruzzo che divide i piani interrati destinati a parcheggio e il blocco scala ascensori esterno (i sistemi di risalita sono realizzati con elementi prefabbricati in calcestruzzo).
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4. Sulla piastra dei garage viene montata la struttura di elevazione in acciaio e, su questa, i solai prefabbricati in calcestruzzo. 5. La gru solleva i moduli prodotti in fabbrica e li inserisce nell’intelaiatura in acciaio e cemento: ogni giorno vengono messi in opera sei moduli. 6. Vengono installati i rivestimenti esterni e le finiture interne, il fissaggio avviene mediante viti autofilettanti che fanno presa sulle strutture in acciaio. 7. Collegamento degli impianti idrico-sanitari, elettrici e di ventilazione: tutti vengono convogliati presso un vano di servizio situato nel blocco di ingresso. 8. Realizzazione del telaio-esoscheletro in acciaio che porta i balconi e il guscio supplementare della zona pranzo: è stato realizzato e collegato alla struttura interna con travi in acciaio connesse al lato dei moduli.
02. Schema planimetrico. Unità abitativa tipo A (38 mq), unità abitativa tipo B (42 mq), unità abitativa tipo C (54 mq). crdt. ridisegno Valentina Manfè
> Progettisti/a:
progetto architettonico: ShedKM
progetto strutturale: Joule
> Localizzazione: Castlefield, Manchester, Regno Unito > Anno di realizzazione: 2005 > Destinazione d’uso: complesso residenziale > Dimensioni: area 2124 m2, 102 alloggi > Realizzazione: Yorkon > Consulenti: Fulcrum impianti
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03. Schema di aggregazione dei pod alla maglia strutturale principale. crdt. ridisegno Valentina Manfè
04. Assonometrie: sistema distributivo, edificio ed edificio completo. crdt. ridisegno Valentina Manfè
05. Facciate sul fronte stradale. crdt. Photo by print lt print group graphic design shedkm and sarah humphreys 06. Corridoio interno di distribuzione alle unitĂ residenziali. 07. Passaggio coperto che connette il vano scale-ascensori al blocco residenziale.
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08. Unità abitativa da 38 mq, unità abitativa da 42 mq, unità abitativa da 54 mq. crdt. ridisegno Valentina Manfè
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09. Sollevamento del pod dalle dimensioni piĂš grandi. 10. Sollevamento del pod a lato aperto.
11. Esploso assonometrico edificio, si può osservare la composizione dei moduli volumetrici (pod). crdt. ridisegno Valentina Manfè
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12. Esploso assonometrico unità abitativa da 54 mq. crdt. ridisegno Valentina Manfè
13. Interno di una unitĂ residenziale con vista verso il balcone.
14. (pagina a fronte) Dopo che i moduli sono stati installati, viene fissata una struttura esterna autoportante in acciaio alla quale vengono fissati altri moduli aggiuntivi prefabbricati.
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La Cité Manifeste Mulhouse (Francia)
01. Portale per il passaggio della strada attraverso l’edificio sottolinea la scelta progettuale di realizzare una grande copertura che tenga insieme le residenze. crdt. Pollard Thomas Edwards
Cité Manifeste è un progetto sperimentale per lo sviluppo della città di Mulhouse, in Francia. L’intervento consta di 61 unità abitative sociali nel quartiere di Cité ouvrière Muller, che risale al 1853. Il progetto complessivo è stato completato nel 2005 e inaugurato in presenza di Jean-Louis Borloo, Ministro dell’occupazione, della coesione sociale e delle abitazioni. Questo progetto di edilizia ha visto il lavoro di cinque gruppi di architetti: Jean Nouvel, Shigeru Ban e Jean de Gastines, Lacaton Anne & Jean-Philippe Vassal, Duncan Lewis e Potin + Block, Mathieu Poitevin e Pascal Reynaud. La Cité Manifeste di Mulhouse è una delle più significative operazioni di sviluppo abitativo dell’ultimo decennio (2000-2010) in quanto è stato sviluppata considerando l’aspetto sociale, il basso costo e ricercando un forte carattere innovativo degli edifici. L’Ateliers Jean Nuovel ha progettato 10 appartamenti situati tra Rue Lavoisier e Rue André Clemessy, in un lotto triangolare. L’edificio è stato concepito come “una casa sotto un grande tetto”, è un volume lungo 94 metri e profondo
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13 metri di cui 2 adibiti a loggia, si sviluppa su due livelli e sottotetto. Il linguaggio dell’architettura industriale, accostato ad un abbondante presenza del colore, diviene il tratto caratterizzante l’edificio. Le abitazioni si sviluppano in linea, sono unite da un’ampia copertura e ritmate da una serie di setti colorati che, in due punti, diventano portali di collegamento con la strada. L’intervento incorpora infatti la strada laterale nel cortile privato per accentuare ancora di più la continuità con lo spazio pubblico. Il progetto genera lunghi giardini trapezoidali e appartamenti diversi l’uno dall’altro: la particolare geometria delle pareti (i setti colorati non sono tra loro paralleli) consente di ottenere ricercate prospettive interne ed esterne. L’edifico è rivestito, sia nelle pareti che in copertura, da pannelli in alluminio grigio ondulati. La struttura portante è in acciaio sagomato a freddo Styltech (AccelorMittal), particolarmente leggera e di rapida costruzione. Il solaio al piano terra è in cemento armato finito con una pavimentazione in legno, al il piano primo la pavimentazione in legno poggia su un solaio in travetti d’acciaio sagomato a freddo. Ogni casa ha due giardini: uno privato al piano terra e uno spazio aperto al piano mansardato. Questi due giardini sono tra loro in collegamento grazie ad una doppia altezza, uno spazio vuoto centrale all’interno degli spazi abitativi, che genera un legame visivo tra i livelli. Un intervento sul sistema di riscaldamento, avvenuto nel 2007, ha visto l’introduzione di una pompa di calore per supportare l’impianto di riscaldamento previsto nel progetto iniziale (termoventilatore elettrico) e ha comportato una drastica diminuzione dello spazio della doppia altezza. A questo sviluppo successivo ha partecipato anche l’architetto Jean Nouvel. Le ampie aree vetrate orientate a sud permettono un buon recupero del calore nelle giornate di sole invernale ma complicano la gestione del comfort termico estivo per il quale sono stati installati tendaggi di protezione dal sole. Il fronte verso Rue Lavoisier è chiuso, solo piccole aperture sono state aperte sul rivestimento in alluminio. Il prospetto verso i giardini ha porte vetrate a tutta altezza sia al piano terra che al piano primo, che si aprono su un balcone. Le unità abitative si dividono principalmente in due tipologie dimensionali di cui sette hanno una metratura tra i 73 e gli 85 m2 e tre una dimensione che va dagli 88 ai 100 m2, per una superficie utile totale di 1264 m2. Le residenze dispongono di una loggia di dimensioni variabili dai 9 ai 16 m2, di un giardino di 200 m2 e di un cortile privato di dimensioni variabili che vanno dai 7 ai 32 m2. Tutte le unità inoltre dispongono di un sottotetto di circa 30 m2. Il posto auto non è presente per ogni abitazione e quelle che ne godono sono predisposte per avere un doppio acceso anche da Rue Lavoisier.
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Esiste una vera e propria gerarchia degli spazi abitativi dove il piano terra di ogni unità è composto da un grande spazio giorno (alto 3 metri) con angolo cottura dal quale con una scala si accede al piano superiore dove si trovano le stanze da letto e i servizi igienici (di esclusivo accesso dall’interno delle camere). L’illuminazione all’interno dell’unità abitative è molto generosa in quanto l’edificio ha una profondità di 11 metri con 2 di loggia e l’orientamento prevede i giardini a sud e la strada a nord. Inoltre le unità abitative godono di luce zenitale grazie ad un’apertura sul tetto. Tutte le abitazioni dispongono di un giardino, un cortile e due balconi sovrapposti, ad eccezione di due unità abitative che si trovano nella punta all’estremità ovest del lotto: per questi alloggi i balconi sono stati sostituiti da grandi superfici vetrate che illuminano la doppia altezza. Il piano terra ospita una successione di spazi tra cortile e giardino, non è presente un vero e proprio ingresso all’abitazione, ma è la loggia al piano terra che fa da soglia. Gli spazi esterni fungono da prolungamento dello spazio interno, in alcuni casi sono giardini, in altri questo prolungamento è dato dal volume del posto auto. Gli spazi di mediazione tra interno ed esterno sono costituiti dai balconi, sia la piano terra che al piano primo, che dai giardini. Nel suo insieme l’edifico, molto chiuso verso la strada, si apre verso l’interno affacciandosi sul grande spazio triangolare collettivo non costruito, l’intento è quello di “dare l’illusione di appartenere ad un grande giardino”.
> Progettisti/a:
progetto architettonico: Ateliers Jean Nuovel
progetto strutturale: Ateliers Jean Nuovel
> Localizzazione: Ilot Schoettle, Rue Lavoisier, Haut-Rhin, Regione dell’Alsazia, Mulhouse, Francia > Anno di realizzazione: 2005 > Destinazione d’uso: complesso residenziale > Dimensioni: 10 unità, s.u. 1264 m2
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02. Planimetria. crdt. ridisegno Valentina Manfè
03. Il fronte sud dell’edificio di Jean Nouvel crdt. Pollard Thomas Edwards
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04. La ridotta dimensione della facciata dell’edificio a nord di Rue Lavosier. crdt. HIC> arquitectura
05. Facciata est, compatta con rivestimento metallico su Rue Lavoisier. crdt. HIC> arquitectura
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06. Intradosso della grande copertura che ripara anche il passaggio della strada attraverso l’edificio: è possibile osservare l’orditura delle travature. crdt. HIC> arquitectura
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07. Sezione di un alloggio tipo. crdt. ridisegno Valentina Manfè
08. Prospetto nord. crdt. ridisegno Valentina Manfè
08. Prospetto sud. crdt. ridisegno Valentina Manfè
09. Pianta del primo piano. crdt. ridisegno Valentina Manfè
10. (pagina a fronte) Fronte aperto con prospetto a logge sovrapposte e rivolte verso lo spazio verde privato. crdt. HIC> arquitectura
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Research Campus Point Lecco (Italia)
01. Research Campus Point di Lecco, costruzione provvisoria di tre piani realizzata di fronte la vecchia struttura ospedaliera esistente del Politecnico di Milano. crdt. NORLIGHT, 2007
Il Campus Point di Lecco si origina dall’iniziativa di una committenza pubblica, il Politecnico di Milano e la collaborazione con l’ingegnere Arturo Montanelli dello studio Ar.De.A.. Il Politecnico di Milano, nel corso del tempo, ha istituito diverse sedi universitarie in aree prossime a quella della sede milanese per rispondere alle richieste di spazi per la ricerca e la didattica, ma anche per interagire con alcune attività produttive della zona. Per questo progetto Università e Imprese hanno collaborato perseguendo obiettivi comuni: la struttura è stata finanziata da 20 sponsor esterni, il Polo regionale di Lecco ha coperto i costi di allestimento dei laboratori. Nel 1987 nasce la sede distaccata del Politecnico di Milano a Lecco, nel 2011 diventa Polo regionale, anno in cui viene realizzato il nuovo campus universitario. Il progetto per l’edificio detto Campus Point è il necessario ampliamento della storica sede lecchese in attesa del completamento del Nuovo Campus. Il Campus Point è dunque un edificio temporaneo, capace di dare risposta
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alle richieste tecnologiche, funzionali ed economiche dei committenti e degli utenti. Era impellente la necessità di spazi per le attività di ricerca e di didattica, realizzato nel 2007 il Campus Point ha ospitato queste funzioni per quattro anni sino a quando, nel 2011, i laboratori sono stati trasferiti nel Nuovo campus Universitario di Lecco. Il Campus Point è stato realizzato nell’area del vecchio Ospedale di Lecco, lungo via Ghislanzoni, a circa un metro e mezzo di distanza dalla facciata dell’edificio esistente. Era costituito da 27 moduli tridimensionali prefabbricati (pod) disposti su tre livelli, ogni pod misura 2,90x8,11 metri per un’altezza di 2,70 metri. L’assemblaggio di ciascun pod è avvenuta nel piazzale della fabbrica Edilsider di Lecco, in cui venivano prodotte tutte le parti costituenti la struttura: le rifiniture e gli impianti vennero dunque messe in opera presso l’officina e i volumi completi venivano poi trasportati in via Ghislanzoni per la messa in opera, che durò solo quattro giorni. Nella parte posteriore, verso l’edificio esistente, i pod poggiano sui muretti in c.a. e anteriormente, lungo via Ghislanzoni, dei supporti puntuali metallici scaricano il peso su una trave rovescia. Complessivamente la struttura è molto leggera e impostata su una griglia modulare, i tamponamenti opachi sono costituiti da uno strato esterno in policarbonato cellulare semitrasparente e sono verniciati di colore rosso; all’interno il rivestimento è in pannelli finiti e isolati con 10 cm di polistirene. Le pareti vetrate, a nord, sono realizzate con delle vetrocamera di 2,90x2,70 metri, montate con sistemi di fissaggio a scomparsa e serigrafate di rosso sui bordi perimetrali; al fine di garantire la massima illuminazione e al contempo di evitare gli effetti di abbagliamento da luce solare, è stata inserita nel vetro una rete metallica. Le aperture a nord-est garantiscono illuminazione naturale degli spazi interni verso l’edificio esistente dell’Ospedale. La copertura dei pod è doppia. Una copertura superiore è realizzata in lamiera zincata ondulata, ha pendenza del 5% ed è sostenuta da una serie di travi a C in CFS da 25/10 mm. Al di sotto di questa, una seconda orditura di travetti a C in acciaio sagomato a freddo da 15/10 mm sostiene le lastre di OSB e, su queste, la lamiera zincata ondulata; al di sotto delle aste in CFS è stato posto in opera un controsoffitto in pannelli sandwich, l’intercapedine è stata isolata con un materassino in gomma a taglio termoacustico e un riempimento in lana minerale. Il progetto, costituito dalla composizione movimentata di parallelepipedi di colore rosso, fa emergere il carattere innovativo e presenta volumi con diversi allineamenti sul fonte, che variano tra 0,20 m, 0,55 m, e 0,95 m. Gli spazi inter-
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ni sono flessibili, ripartiti con pareti prefabbricate testate al fine di garantire un elevato comfort acustico: questi elementi non sono opachi fino all’altezza del solaio, la parte terminale è vetrata in modo da consentire il passaggio della luce tra un pod e l’altro, senza perdere la privacy degli spazi stessi. Un grande volume trasparente ha funzione di area accoglienza, spazio espositivo, sala riunioni e alloggia i collegamenti verticali; questo spazio è prossimo all’ingresso principale e situato sotto il porticato d’accesso dell’edificio preesistente, si rapporta con le preesistenze architettoniche dell’Ospedale e ne valorizza la facciata. All’interno delle superfici vetrate sono collocati dei tubi fluorescenti a incasso che durante la notte illuminano i profili della facciata sottolineando l’articolazione e la composizione dei volumi. “Nonostante il carattere provvisionale, il progetto richiama in essere aspetti capaci di incrementare le performance e le qualità dell’opera, come la flessibilità degli spazi (adattabili allo sviluppo della ricerca), la modularità e le soluzioni tecnologiche-costruttive, che permettono una miglior gestione del processo costruttivo, con una razionalizzazione dei tempi e dei costi di esecuzione”. Studio Ar.De.A. Nelle parole dei committenti, il Campus Point è stato un centro di innovazione e occasione di investimento per la crescita tecnologica del territorio. La soddisfacente qualità del progetto hanno portato il Politecnico e il progettista a valutare delle soluzioni per rimontare il progetto in un altro luogo ma, a causa dei costi di movimentazione troppo alti, non è stato possibile attuare questo intervento di ricostruzione. 02. Pianta livello +1,00 m. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
> Progettisti/a:
progetto architettonico: Studio Ar.De.A.., ing. Arturo Montanelli. Collaboratori: M. Esposto, F. Renzi, A. Giornelli, C. Scarpa
progetto strutturale: Studio Studio Ar.De.A., ing. Arturo Montanelli
> Localizzazione: via Ghislanzoni, Lecco, Italia > Anno di realizzazione: 2007 > Destinazione d’uso: sede universitaria ad uso temporaneo > Dimensioni: 634,50 m2 (un modulo: 23,5 m2) > Realizzazione: container industrializzati: Edilsider spa; facciate strutturali in vetro: Sipam srl
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03. Sovrapposizione tra i moduli tridimensionali. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
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04. Fase di costruzione in cantiere e trasporto dei pod. crdt. Sandro Bacchi, Studio Ardea, 2007
05. Posa dei primi moduli tridimensionali sul basamento in calcestruzzo rialzato da terra. crdt. Laura Della Badia (Fondazione promozione acciaio)
06. Fase di costruzione in cantiere e posa dei pod. crdt. Sandro Bacchi
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07. Modulo tridimensionale ed elemento finestra. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
08. Costruzione in fabbrica di un modulo tridimensionale composto da profili in acciaio sagomati a freddo. crdt. Laura Della Badia (Fondazione promozione acciaio)
09. Vista dal corridoio interno e di collegamento dei pods con la vecchia struttura ospedaliera. Profili CFS e pannelli OSB. crdt. Laura Della Badia (Fondazione promozione acciaio)
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224 B 10. Dettaglio che mostra la struttura in acciaio, la finitura della chiusura superiore e la connessione tra il modulo tridimensionale e il modulo finestra. A lastre in fibrocemento 20 mm intercapedine per il passaggio degli impianti 75 mm materassino in lana di roccia 100 mm profili a C in acciaio sagomato a freddo 55x100 mm sp. 2 mm lamiera metallica coibentata 30 mm B lamiera metallica coibentata 12,5 mm isolante in lana di roccia 100m lastre in osb 20 mm profili a C in acciaio sagomato a freddo 55x100 mm sp. 2mm C lastre in fibrocemento 20 mm intercapedine per il passaggio degli impianti 75mm lastre in osb 20 mm profili a c in acciaio sagomato a freddo 55x100 mm sp. 2mm crdt. ridisegno Valentina Manfè
11. Vista laterale del Campus Point di Lecco. crdt. Alberto Muciaccia
12. (pagina a fronte) Ingresso temporaneo nell’edificio esistente. Nuovi uffici temporanei integrati all’edificio esistente. crdt. NORLIGHT, 2008
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B.I.R.D. Brescia (Italia)
01. Edificio residenziale con 20 unità residenziali, fronte sud. crdt. Società di Ingegneria AIACE Srl
Il complesso residenziale B.I.R.D., nel Quartiere Sanpolino di Brescia, è stato progettato dallo Società di Ingegneria AIACE Srl del prof. arch. Ettore Zambelli su commissione dell’Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale (ALER) di Brescia e finanziamento dalla Regione Lombardia. Il B.I.R.D. è un progetto sperimentale legato alle ricerche condotte in quegli anni dal Politecnico di Milano con l’obiettivo di individuare forme e spazi per il progetto e la realizzazione di nuove residenze per gli anziani; il risultato di tali ricerche ha portato alla realizzazione di un vero e proprio intervento di co-housing. Il termine co-housing riflette il concetto dell’abitare insieme, ovvero la convivenza tra l’unità abitativa e lo spazio comune per mezzo della volontà di persone che hanno una visione collettiva e condivisa. B.I.R.D. è acronimo di Bioarchitettura, Inclusione, Risparmio energetico e Domotica: questi sono gli elementi che caratterizzano l’intero intervento. Il contenimento dell’uso di risorse non rinnovabili, l’uso di materiali eco-compatibili e l’adozione di sistemi finalizzati al risparmio energetico sono punti
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focali del progetto. L’intervento dell’arch. Zambelli conta 52 appartamenti per anziani dislocati in due corpi residenziali a due piani e un centro ad uso sociale. I tre volumi sono disposti intorno a un parco di quartiere che funge da luogo di aggregazione; sono stati progettati percorsi pedonali con filari di alberi e una linea di emergenza veicolare (sul tappeto erboso) per i mezzi di soccorso. Il volume più piccolo, destinato a servizi sociali, è disposto lungo l’asse nordsud; i volumi ad abitazioni sono ad esso perpendicolari e modificano la viabilità automobilistica e l’impianto originario previsto per il lotto (come per tutto il quartiere Sanpolino). L’intervento di Zambelli dedicato al co-housing è così riconoscibile all’interno dell’area residenziale a sud-est di Brescia. Il volume edilizio collocato più a nord conta 20 abitazioni e un piano interrato adibito ad autorimessa, il corpo più a sud conta 32 abitazioni e l’interrato adibito a cantine. Ha particolare importanza lo studio della profondità dei corpi di fabbrica: progettata per ottimizzarne la distribuzione degli spazi interni e la ventilazione naturale in relazione all’esposizione solare e all’ombreggiamento. La composizione delle residenze segue un modulo rettangolare il cui lato minore misura 5,45 m e il lato maggiore varia in funzione della dimensione delle unità abitative, da 36 o da 52 m2, destinate ad ospitare coppie o singoli. I corpi di fabbrica destinati ad uso residenziale hanno previsto l’impiego di una struttura portante mista, al fine di ottimizzare le caratteristiche di resistenza e di montaggio dei vari profili in metallo. Il sistema portante principale è costituito da profili laminati a caldo: pilastri e travi IPE 220 e IPE 300, le giunzioni sono realizzate tramite bulloni. I setti in calcestruzzo, che marcano ogni modulo, hanno una duplice funzione: dal punto di vista strutturale fungono da controventi e dal punto di vista termoigrometrico vengono conteggiati quali masse d’accumulo di calore nel periodo invernale. L’acciaio sagomato a freddo viene impiegato per la realizzazione delle orditure di travi secondarie dei solai (a forma di omega) e dei montanti che reggono il tamponamento delle chiusure verticali. È in questo edificio che, probabilmente, si può individuare il primo impiego del sistema CFS per la realizzazione di un edificio sul territorio italiano. Sulle travi in CFS la finitura del solaio viene realizzata totalmente a secco, grazie all’impiego di lastre in fibrocemento. Lo stesso materiale viene impiegato anche per i tamponamenti verticali, con isolamento a cappotto. Il progetto del tetto dei volumi residenziali è risolto con una soluzione singolare: il solaio superiore degli alloggi dell’ultimo piano è protetto da una struttura realizzata con travi reticolari e coperta da lamiere ondulate, il risultato è la sovrapposizione di due chiusure superiori ad una distanza di circa 50 cm l’una
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dall’altra. L’obiettivo dello studio di progettazione che ha adottato questa soluzione era aumentarne il comfort termico nel periodo estivo, realizzando una sorta di copertura ombreggiata per alloggi e spazi distribuitivi e innescando moti di ventilazione naturale tra le due strutture piane di copertura. L’intero complesso è riscaldato da impianti radianti a pavimento, alimentati da pompe di calore geotermiche oltre che dalla rete urbana di teleriscaldamento. Al teleriscaldamento, sistema preferenziale nella gestione della climatizzazione del complesso, viene affiancato anche l’impiego di un ampio sistema fotovoltaico (da 15 kW) per la generazione dell’energia elettrica utile alla climatizzazione durante i mesi estivi; i pannelli fotovoltaici sono stati posizionati per tutta la lunghezza dei due corpi di fabbrica destinati alle residenze in una porzione di tetto in contropendenza rispetto all’andamento della copertura, così da risultare orientati a sud. Per l’integrazione di tutti questi sistemi impiantistici è stata fondamentale la progettazione integrata di edificio-impianto.
02. Pianta delle coperture. crdt. ridisegno Marta Micheletti e Giulia Simonetto
> Progettisti/a:
progetto architettonico: AIACE Srl – Società di Ingegneria, arch. Ettore Zambelli e ALER Brescia
progetto strutturale: AIACE Srl – Società di Ingegneria
> Localizzazione: quartiere Sanpolino, Brescia, Italia > Anno di realizzazione: progetto 2004, fine lavori 2009 > Destinazione d’uso: edificio socio-assistenziale, residenze per anziani e centro servizi > Dimensioni: 3185 m2 e area verde 3053 m2 > Realizzazione: GPL Costruzioni Generali, Ancona; impianti: ELLECI Progetti > Consulenti: Giancarlo Lizzeri
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03. Pianta del piano primo. crdt. ridisegno Marta Micheletti e Giulia Simonetto
04. Edificio residenziale con 32 unità residenziali, fronte nord. La parte terminale del doppio tetto è stata inclinata per accogliere i pannelli fotovoltaici. crdt. Società di Ingegneria AIACE Srl
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05. Sezione trasversale tipo. crdt. ridisegno Marta Micheletti e Giulia Simonetto
06. Sistema di doppia copertura visto dal ballatoio del piano primo. Il doppio tetto della copertura è costituito da una copertura tradizionale al di sopra della quale è posizionata una seconda copertura in lamiera grecata con trattamento antirumore. Questa soluzione crea una protezione all’irraggiamento diretto e favorisce la ventilazione naturale e il riequilibrio delle temperature. crdt. Valentina Manfè
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07. Sezione dell’impalcato orizzontale del ballatoio. Linoleum 5 mm Calcestruzzo 50 mm con rete elettrosaldata Sistema di riscaldamento a pavimento di 3+6 cm di isolante in fibra di legno Lastra in fibrocemento 16 mm Profili omega in acciaio sagomato a freddo 40x150x80 sp. 4mm Pendini e orditura metallica doppia in acciaio zincato a c 50x27x0.6 mm Lastra in cartongesso 12,5 mm crdt. ridisegno Valentina Manfè
09. Struttura principale carpenteria pesante e orditura del solaio con travetti in CFS. I travetti che sono lunghi quanto due moduli per sfruttare l’appoggio e diminuire la freccia in mezzeria. crdt. ing. Danilo Scaramella ALER Brescia
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08. Corte intorno la quale si sviluppa il complesso residenziale. crdt. Società di Ingegneria AIACE Srl
10. Il sistema strutturale in acciaio è integrato con lame in calcestruzzo aventi la duplice funzione di controventi e di massa per favorire l’inerzia termica dell’edificio. I travetti in acciaio sagomato a freddo (a omega) del solaio hanno interasse di 60 cm, sopra a questi sono posate lastre in fibra di legno lastre di fibrocemento dello spessore di 16 mm. La forma ad omega dei travetti è stata scelta per evitare sollecitazioni torsionali parassite e per avere un piano di fissaggio comodo per gli elementi della stratigrafia sovrastante. Il solaio è completato dal massetto impiantistico, dal pavimento radiante e da una finitura in linoleum. crdt. ing. Danilo Scaramella ALER Brescia
11. (pagina a fronte) Centro servizi ad uso del quartiere residenziale, per la realizzazione di questo corpo edilizio sono stati impiegati travi e pilastri in carpenteria pesante e solai in lamiera grecata collaborante. crdt. Valentina Manfè
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Maison B Saint-Gély-du-Fesc (Francia)
01. L’abitazione è costruita sulla parte alta di un terreno di 900 mq, leggermente in pendenza, con la facciata principale esposta a sud. crdt. Frédéric Jauvion Atelier d’architecture
La Maison B è una piccola residenza unifamiliare progettata dall’architetto Frédéric Jauvion e realizzata nel 2009 a Saint-Gély-du-Fesc, località vicina a Montpellier, nel sud della Francia. La casa è pensata per una famiglia di quattro persone ed è frutto di un’accurata scelta del sito e del sistema costruttivo. Il focus del progetto è il rispettoso rapporto tra abitazione e paesaggio. L’architetto spiega il proprio edificio descrivendo l’architettura non solo come la progettazione degli spazi interni, ma come disegno del paesaggio nel quale viviamo, in cui lo spazio interno ed esterno sono continui e in totale compenetrazione. Questa unione viene raggiunta pensando all’edificio in funzione alle caratteristiche morfologiche del luogo. La sperimentazione progettuale di Maison B persegue un elevato livello di integrazione tra aspetti architettonici, costruttivi e impiantistici, con particolare attenzione alle forme, all’uso dello spazio e alle tecniche costruttive utilizzate. Maison B è costituita da due volumi regolari sovrapposti ai quali si affianca, al piano terra, un volume destinato ad autorimessa. Il basamento riporta in
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piano lo spazio esterno in quanto l’area sulla quale sorge l’abitazione è caratterizzata da un lieve pendio. L’accesso principale all’abitazione è posizionato sul fronte nord. Soggiorno, zona pranzo e cucina costituiscono un ambiente unico al piano terra, caratterizzato da un’ampia vetrata di sei metri di larghezza e due strette porte finestre sui fronti sud e ovest. L’accesso alla terrazza esterna, che si sviluppa lungo tutto fronte sud della casa e genera una continuità tra gli spazi interni e gli spazi esterni, può avvenire dalla grande vetrata e dalle due camere con bagno poste sul fronte est. Un piccolo volume sormonta, disponendosi perpendicolarmente, gli spazi del piano terra; questo presenta uno sbalzo di 2,40 m in corrispondenza della grande vetrata della zona giorno. Il piano inferiore è collegato a quello superiore mediante una scala a rampa rettilinea in acciaio che porta ad una camera da letto matrimoniale con bagno e uno spazio studio. La residenza ha struttura portante in acciaio, laminato a caldo per realizzare l’aggetto del volume superiore, e sagomato a freddo per il resto delle strutture verticali ed orizzontali. I profili CFS sono realizzati con acciaio zincato HLE (ad alto limite di elasticità) e l’unione dei profili consente la realizzazione di telai che sono la struttura portante di pareti e solai, i controverti vengono realizzati con analoghi elementi di acciaio zincato disposti diagonalmente. La struttura appare come una gabbia di elementi metallici che poggiano su di un solaio in calcestruzzo armato: le aste in CFS sono disposte ad un interasse di 60 cm e, a queste, viene fissato il tamponamento e il rivestimento (interno ed esterno) di pareti e solai, i materassini isolanti sono collocati nell’intercapedine dello spessore dei profili in CFS. Per la struttura in acciaio sagomato a freddo è stato impiegato il sistema Styltech, di Profil du Futur (AccelorMittal). Gli elementi in acciaio sono prodotti attraverso una lavorazione industriale che garantisce il contenimento dei costi e ridotti tempi di messa in opera: i profili leggeri vengono prodotti e portati sul sito accompagnati da disegni tecnici che assomigliano a “istruzioni di montaggio”, in questo modo a Maison B hanno lavorato un massimo di cinque operai per otto mesi di cantiere, nei quali il montaggio completo della struttura è durato meno di un mese. Le travi della copertura, quelle della pavimentazione e alcuni elementi verticali sono realizzati accostando e connettendo tra loro due profili, in modo tale da garantire maggior robustezza strutturale. Pochi elementi in carpenteria pesante sono stati impiegati per realizzare la grande vetrata con la quale la cucina si affaccia sul portico e per la realizzazione dello sbalzo del volume
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aggettante dal piano primo. La relazione con l’ambiente naturale ed il paesaggio regolano anche la definizione tra le superfici opache e quelle trasparenti, tra pieni e vuoti. Da qui la scelta di realizzare ampie superfici vetrate ed aperture sul fronte rivolto a sud, l’opposto avviene sul fronte nord. Al piano terra l’area giorno costituisce un unico ambiente, la diversificazione degli spazi è ottenuta grazie alla loro diversa illuminazione naturale, e la cucina può ampliare la propria dimensione affacciandosi sul terrazzo coperto, ampiamente utilizzato durante la stagione estiva. Tutte le finestre sono protette da ante scorrevoli dotate di lamelle orizzontali regolabili in modo da poter gestire efficacemente l’ingresso della luce solare negli ambienti della casa. Le aperture sono progettate per garantire la ventilazione naturale incrociata. Il volume superiore, realizzato a sbalzo, funge anche da protezione dello spazio aperto antistante alla zona giorno che viene così schermata dall’irraggiamento solare diretto durante i mesi estivi. Questo volume sottolinea, inoltre, il legame tra interno ed esterno e la compenetrazione tra spazio aperto della collina e spazio privato dell’abitazione. 02. Prospetto. crdt. ridisegno Marta Micheletti
> Progettisti/a:
progetto architettonico: Frédéric Jauvion Atelier d’architecture
> Localizzazione: Saint-Gély-du-Fesc, Francia > Anno di realizzazione: 2009 > Destinazione d’uso: abitazione unifamiliare > Dimensioni: superficie complessiva netta di 205 m2 di cui 170 m2 abitabili > Realizzazione: Pro Eco Bat Costruttore; Profil du Futur (AccelorMittal) > Consulenti: Icofluides Impianto termico
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03. Pianta Piano terra. crdt. ridisegno Marta Micheletti
04. Pianta piano primo. crdt. ridisegno Marta Micheletti
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05. Dettaglio dei profili in acciaio sagomato a freddo del solaio. crdt. Fondazione Promozione Acciaio
06. Sezione. crdt. ridisegno Marta Micheletti
07. Prospetto. crdt. ridisegno Marta Micheletti
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08. Struttura in CFS. crdt. Styltech (www.arcelormittal.com)
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09. Dettaglio delle pareti del volume a sbalzo: solo in questa parte dell’edificio l’acciaio sagomato a freddo costituisce la struttura secondaria della costruzione. A Rivestimento in doghe di legno di cedro rosso 25 mm Intercapedine d’aria 30 mm Pannello isolante in lana di roccia 60 mm Pannello osb 16 mm Montante in cfs e materassino in lana di roccia 120 mm Montanti per cartongesso e intercapedine d’aria 30 mm Doppia lastra in cartongesso 12,5+12,5 mm B Membrana bituminosa 3 mm Pannello isolante in eps ad alta densità 85 mm Pannello osb 16 mm Travetti in acciaio sagomato a freddo 160x55 Intercapedine di aria con materassino isolante in lana di roccia 50 mm Pendini e struttura di sostegno del controsoffitto Cartongesso stuccato e dipinto di bianco 12,5 mm C Pavimentazione in laminato 10 mm Massetto di integrazione impiantistica 60 mm Pannello isolante esp ad alta densità Pannello osb 16 mm Profili in acciaio sagomato a freddo 160 mm Pannello isolante in lana di roccia (nell’intercapedine) 120 mm Pannello osb 16 mm Materassino isolante in lana di roccia 120 mm Cartongesso stuccato e dipinto bianco 1,25 mm crdt. ridisegno Valentina Manfè
10. Vista dello spazio interno tra zona giorno e cucina. crdt. Frédéric Jauvion Atelier d’architecture 11. (pagina a fronte) Ampia a pertura vetrata a sud, tra lo spazio giorno e la terrazza coperta. crdt. Frédéric Jauvion Atelier d’architecture
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Rock Reach House Yucca Valley (Stati Uniti d’America)
01. Vista dell’abitazione situata nella comunità privata di Rock Reach, all’interno del comune di Yucca Valley.
a cura di Marta Micheletti e Giulia Simonetto Questa casa, realizzata con elementi in CFS, si trova in una regione desertica nella Yucca Valley, in California. L’azienda californiana Blue Sky Building System ha dato incarico ai progettisti dello studio o2 Architecture di ideare un prototipo di abitazione che fosse economico, durevole, di ridotte dimensioni, sostenibile e adattabile: l’obiettivo è la realizzazione di un prototipo, utile a lanciare sul mercato una linea di abitazioni “pronte da assemblare”. Blue Sky Building Systems, azienda californiana fondata da Dave McAdam, Robert Brada, Kurt Christy e Philip Sneider, ha come scopo quello di contribuire ad accelerare l’evoluzione del settore delle costruzioni. L’idea è che molti dei metodi e dei materiali utilizzati nelle costruzioni di oggi non siano più adeguati alla luce delle mutate condizioni economiche e della sempre maggiore consapevolezza del costo ambientale delle pratiche edilizie tradizionali. Blue Sky Building Systems promuove l’impiego dell’acciaio sagomato a freddo per la realizzazione delle strutture perché questo consente agli architetti
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e costruttori di creare edifici che possono essere costruiti rapidamente e attraverso processi controllati e più rispettosi dell’ambiente rispetto ad alcune lavorazioni tradizionali. La casa si trova a poco più di 4.000 metri sul livello del mare in un proprietà di 320 ettari caratterizzata dalle meraviglie del deserto: distese di massi, ginepri secolari, querce del deserto e pini. La maggior parte del paesaggio è incontaminato come tutte le terre vicine al Parco Nazionale di Joshua Three. Anche il luogo di costruzione della Rock Reach House sottolinea, dunque, la sostenibilità ambientale del sistema costruttivo impiegato. L’edificio si sviluppa su un unico piano di circa 90 m2 e si affaccia sul deserto su tutti i quattro lati grazie ad una terrazza di circa 30 m2 sulla quale si aprono tutti gli ambienti della casa. Gli ambienti interni sono tra loro articolati attraverso una serie di armadi che, di fatto, ne costituiscono le principali partizioni interne. La zona giorno è divisa dalla zona notte grazie ad una parete in bambù che, assieme alle porte, è l’unico elemento in legno della casa. La zona giorno è organizzata come un open space e ospita la cucina, la sala da pranzo e il soggiorno, che si estende all’esterno aprendo grandi pareti scorrevoli in vetro; oltre la parete di bambù sono state progettate due camere da letto di uguali dimensioni, un bagno e un modulo di impianti che contiene i macchinari per il trattamento dell’aria e la lavanderia. Il modulo degli impianti raccoglie in un unico punto dell’abitazione varie funzioni, dai servizi igienici a tutti gli impianti (termico, idrico ed elettrico, collegati a pannelli fotovoltaici e a collettori solari): è stato costruito in officina e portato in sito per il montaggio per garantire il massimo controllo delle finiture, dei dettagli tecnologici e delle prestazioni in uso. Questa scelta ha contribuito a ridurre i tempi di realizzazione in cantiere: dall’avvio della costruzione all’inaugurazione dell’abitazione sono trascorse solo otto settimane. Il telaio strutturale (chiamato Blue Sky Frame) è realizzato in acciaio zincato (classificato dall’American Society for Testing and Materials come G60 o G90) e lavorato attraverso il processo di sagomatura a freddo. Le aste di CFS sono connesse tra loro tramite bulloni: una giunzione tipo, realizzata con otto bulloni, è stata provata in laboratorio al fine di soddisfare gli standard della American Society of Professional Engineering (ASCE). I test sono stati condotto da Jong-Kook Hong e Chia-Ming Uang, dottori di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Strutturale dell’Università della California. Le lavorazioni ad alta precisione consentono di realizzare aste in CFS delle esatte dimensioni, conformi alle indicazioni date da architetti e ingegneri. Durante le fasi di sagomatura gli elementi del telaio vengono etichettati in modo tale da facilitarne il montaggio in cantiere dove, per questo motivo, non è
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nemmeno necessario realizzare misurazioni di controllo in quanto ogni punto di connessione è segnato e preparato con gli opportuni fori. In questo modo edifici in CFS possono essere costruiti in pochi giorni. Inoltre, ogni asta di CFS viene progettata anche in funzione della facile manovrabilità in cantiere; non è così stato necessario l’impiego di costose macchine di movimentazione.L’attenzione per l’ambiente di Blue Sky Frame si declina attraverso una serie di accorgimenti, la logistica di cantiere semplificata e la riduzione degli scarti di produzione è solo uno degli aspetti. Tutti gli elementi della struttura sono realizzati utilizzando fino al 70% di acciaio riciclato e, al termine del loro ciclo di vita utile, i materiali sono a loro volta riciclabili al 100%. La struttura del telaio in acciaio è molto più resistente di quella in legno, molto diffusa in America e da qualche tempo sempre più impiegata anche in Italia. Il tempo di realizzazione in fabbrica degli elementi da costruzione è molto più rapido rispetto a quello richiesto per la lavorazione del legname e consente di operare con percentuali di deformazione e tolleranze dimensionali molto più ridotte. Al confronto con un cantiere che impiega calcestruzzo e laterizi i rifiuti di cantiere sono pressoché pari a zero. Per quanto si lavori nel rispetto dell’ambiente, quando si realizza una casa, è inevitabile impattare sul territorio: la casa deve essere collegata al suolo e, inevitabilmente, le opere di fondazione modificano il terreno naturale. Per ridurre al minimo questo tipo di impatto i progettisti di Rock Reach House hanno realizzato un telaio concentrando i carichi in corrispondenza di sei pilastri d’acciaio, a loro volta collegati ai plinti di fondazione realizzati sul terreno scosceso. In questo modo i punti di contatto con il terreno sono stati ridotti al minimo indispensabile e la struttura “galleggia” ad una certa distanza dal suolo roccioso. Le fondamenta sono calcolate per rispondere ad eventuali scosse sismiche e, nonostante questo, sono significativamente meno impattanti sul terreno e sull’ambiente rispetto a quelle necessarie per sorreggere un analogo edificio realizzato con tecniche costruttive tradizionali.
> Progettisti/a:
progetto architettonico: o2 Architecture
progetto strutturale: o2 Architecture, Blue Sky Building System
> Localizzazione: Yucca Valley, California > Anno di realizzazione: progetto e fine lavori 2009 > Destinazione d’uso: casa prototipo e residenza unifamiliare > Dimensioni: 90 m2 > Realizzazione: Blue Sky Building System, telaio: FCP
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02. Planimetria. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
03. Il deserto del Mojave e la Rock Reach House.
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04. Pianta. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
05. Vista di cucina e sala da pranzo dell’abitazione. Sullo sfondo si apre una porta vetrata che da sul terrazzo.
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06. Sezione. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
07. Prospetti est, nord, ovest, sud. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
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08. Dettaglio costruttivo delle struttura in acciaio sagomato a freddo. crdt. ridisegno Valentina Manfè
09. Connessione tramite bulloni di elementi in acciaio sagomato a freddo. 10. Particolare dei bulloni che permettono l’avvitamento fra loro dei vari elementi che compongono il telaio.
11. La zona giorno, aperta sul terrazzo.
12. (pagina a fronte) Il montaggio dei pilastri.
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Residenza privata Pordenone (Italia)
01. Prospetto interno verso sud dalla corte di pertinenza. crdt. Valentina Manfè
Questo edificio residenziale unifamiliare di 214 mq è stato realizzato in provincia di Pordenone, in un quartiere residenziale decentrato rispetto al centro cittadino e a poca distanza dai colli. Il lotto, di forma trapezoidale, è tangente la strada per il lato corto e ha orientamento sud-ovest. La residenza è stata progettata con l’intenzione di legare fortemente l’edificio con il giardino, di 570 m2: ne risulta un edificio a forma di ferro di cavallo il cui asse principale, longitudinale, è orientato nord-sud. L’inclinazione delle coperture è orientata verso il cortile, chiuso su tre lati dall’edificio, a sottolineare il carattere di chiostro o giardino incluso, dichiarato nelle intenzioni del progettista. La struttura è stata realizzata con il sistema strutturale C.I.P.A.® (di SPH s.r.l.): una serie di telai portanti in acciaio sagomato a freddo. Le aste costituenti i telai strutturali vengono realizzate a partire da nastri di acciaio zincato della larghezza di 180 mm e dello spessore di 10/10 mm. Tale sistema di produzione di elementi in acciaio sottile non è ancora molto diffuso in Italia e la ditta
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fornitrice di tali profili, per garantire la qualità dei prodotti, ha accompagnato le forniture di materiali con l’attestato di Centro di Trasformazione e la marcatura CE. La struttura portante dell’edificio è quindi composta da telai verticali (pannels) opportunamente dimensionali rispettando i parametri della zona sismica 2, la copertura è realizzata con travi reticolari, sempre formate da profili C.I.P.A.® di altezza 45 cm (derivante dal calcolo); superiormente sono stati resi solidali due tavolati in OSB disposti incrociati a 45°. Il sistema descritto ha risposto perfettamente alle verifiche strutturali necessarie. I diagonali di irrigidimento sono ben visibili nelle immagini di cantiere, così come sono visibili anche le fondazioni, di ridotte dimensioni data la leggerezza della struttura, dove massima attenzione viene posta all’isolamento della struttura metallica dal calcestruzzo.
02. Prospetti. crdt. Francesco Mariuzzo
> Progettisti/a:
progetto architettonico: Francesco Mariuzzo Architetto
progetto strutturale: Studio di ingegneria Luzzu di Oderzo (TV)
> Localizzazione: via Falcone, Caneva (PN), Italia > Anno di realizzazione: 2013 > Destinazione d’uso: abitazione unifamiliare > Dimensioni: superficie di progetto 214 m3, area totale 785 m3, volume di progetto 858 m3 > Realizzazione: Impresa edile Andrea Dall’Acqua, fornitore acciaio sagomato a freddo: SPH s.r.l. Oderzo (TV)
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03. Tavola di riepilogo dei telai realizzati in CFS. crdt. ridisegno Valentina Manfè
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04. Pianta. crdt. ridisegno Valentina Manfè
05. Montaggio delle travi reticolari realizzate con profili C.I.P.A.ÂŽ. crdt. Francesco Mariuzzo
06. (pagina a fronte) Fotografia di cantiere. crdt. MariaAntonia Barucco
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Recladding di edificio per uffici Milano (Italia)
01. Il complesso di edifici per uffici Luxottica in via San Nicolao a Milano. crdt. www.urbanlife.org
Il complesso immobiliare San Nicolao in piazza Cadorna a Milano è stato il vincitore della seconda edizione del premio Rebuild 2014 indetto dall’istituto Fraunhofer Innovation Engineering Center ed Habitech e dedicato alla riqualificazione degli edifici in chiave ecosostenibile. “Il complesso milanese degli anni ‘60, il cui progetto di recupero è […] dello Studio Progetto CMR, si è aggiudicato la medaglia d’oro nella categoria Terziario. L’edificio da tre corpi di diversa altezza – di proprietà di Beni Stabili Siiq – è stato protagonista di una serie di interventi che hanno sortito il miglioramento del comportamento termico, la produzione di energia termica e frigorifera per la climatizzazione e l’acqua calda sanitaria, la riduzione dei consumi elettrici per l’illuminazione artificiale e la tutela della risorsa potabile. Gli interventi hanno consentito di passare dalla classe G alla classe A con un valore di EPh pari a 5,62 kWh/m3a” (Mila Fiordalisi da “Il Sole 24 Ore” del 26.09.2014). L’intervento di riqualificazione degli edifici in via San Nicolao ha previsto, oltre all’adeguamento impiantistico, strutturale e funzionale, anche la realizza-
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zione di una nuova stratigrafia per le chiusure verticali, dando al complesso (di oltre 11.000 m2.) una nuova facciata. Due porzioni del complesso immobiliare si articolano su otto e nove piani fuori terra destinati a ufficio, oltre ad un piano terra adibito a parcheggio bici/moto e a negozi, e tre piani interrati; il terzo blocco edilizio è composto da due piani con giardino pensile di copertura. Il progetto, già in fase di ideazione, aveva tra gli obiettivi la definizione di un nuovo carattere moderno per il complesso di edifici. Tutta la via San Nicolao, in prossimità di piazza Cadorna, vive un periodo caratterizzato da una forte spinta alla riqualificazione edilizia e urbana, in questo va considerato anche l’innalzamento del valore degli immobili (la locazione e l’acquisto di immobili di grandi dimensioni non è un’operazione semplice, stanno infatti intervenendo compagnie di real estate italiane ed estere). L’edificio, risalente agli anni sessanta, era caratterizzato da una facciata vetrata realizzata grazie ad una fitta struttura di montanti e traversi metallici, erano presenti elementi di tamponamento in clinker nella parte basamentale. Il progetto originale mostra strutture a telaio in cemento armato e solai in laterocemento, il consolidamento di tale sistema ha previsto l’impiego di elementi in acciaio per il placcaggio e la verifica al sisma dell’intero complesso. L’organizzazione funzionale interna e tutte le partizioni che contribuiscono alla definizione degli spazi distributivi sono state completamente riprogettate. L’intervento di riqualificazione ha operato anche nella ridefinizione e rifunzionalizzazione dei piani interrati: originariamente solo un livello interrato era adibito a parcheggio, ora l’autorimessa si sviluppa su tre livelli e, per consentire ciò, è stata realizzata anche una nuova rampa di collegamento. Il progetto per il recladding delle facciate ha dovuto assolvere dunque ad due finalità: il ridisegno del prospetto e il consolidamento strutturale dell’edificio. Inizialmente, in un progetto preliminare e nei primi progetti definiti, le finestrature erano completate da elementi brise soleil ma in seguito, in fase di progettazione esecutiva, tale sistema di schermature è stato abbandonato a favore di una particolare progettazione della sezione della parete, che definisce le aperture anche attraverso una serie di strombature. Tale scelta ha consentito di migliorare notevolmente le prestazioni energetiche dell’edificio, che ora è registrato in classe A. La soluzione tecnologica LSF impiegata ha premiato garantendo una veloce esecuzione delle operazioni in cantiere, il contenimento dei costi e una resa estetica efficace e adeguata al contesto metropolitano e alla destinazione d’uso dell’immobile (oggi vi hanno sede gli uffici di Luxottica). Scendendo nel dettaglio e leggendo la soluzione tecnologica impiegata, si nota che il progetto ha impiegato l’acciaio sagomato a freddo non solo per la
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rapidità d’esecuzione garantita ma anche per il ridotto peso della stratigrafia del pacchetto-parete. Gli anni di edificazione della struttura principale in cemento armato e il necessario adeguamento sismico del complesso definirono, sin dall’avvio del processo di riqualificazione, requisiti complessi da assolvere, che hanno trovato una corrispondenza attraverso attente analisi anche nell’uso di un sistema costruttivo in CFS. In stabilimento di produzione sono stati realizzati elementi parete con strutture CFS che, una volta messi in opera, hanno assunto una funzione collaborante con i pilastri e le travi in calcestruzzo armato. Lo studio Luzzu si è occupato dell’ingegnerizzazione del progetto e l’impresa SPH s.r.l. ha prodotto, fornito e posato i profili in acciaio sagomato a freddo. La soluzione impiegata è detta C.I.P.A.® (Costruzioni In Profilati di Acciaio) ed è descritta come l’impiego di aste e di telai strutturali realizzati a partire da nastri di acciaio zincato di spessori variabili (generalmente 10/10) e della larghezza nominale di 180 mm. La trasformazione avviene con l’utilizzo di con una macchina profilatrice che taglia e fora con innesti e giunzioni sagomati, nonché marca il prodotto finito con codici utili a velocizzare l’assemblaggio in stabilimento come la messa in opera in cantiere. Tale sistema di produzione di elementi in acciaio sottile non è ancora molto diffuso in Italia e la ditta fornitrice di tali profili per il cantiere di Beni Stabili garantisce la qualità dei prodotti attraverso l’attestato di Centro di Trasformazione e la marcatura CE. Questo telaio strutturale collaborante è stato completato, in cantiere, con pannelli di fibrocemento e una controparete interna (tamponamento in cartongesso) utile per garantire una semplice integrazione impiantistica degli spazi interni. Il fronte esterno è stato completato con un rivestimento a cappotto in polistirene espanso sagomato a spessore variabile (messo in opera su pannelli di fibrocemento) e finito con betoncino. In questo modo è stato possibile realizzare le strombature che caratterizzano la facciata e che permettono di modulare le luci e le ombre in corrispondenza dei fori finestra.
> Progettisti/a:
progetto architettonico: Progetto CMR – arch. Massimo Roj
progetto strutturale: ing. Domenico Insarga, Beni Stabili Engineering – ing. Alessandro Arvalli
> Localizzazione: via San Nicolao, Milano > Anno di realizzazione: 2013/2014 > Destinazione d’uso: edificio per uffici > Dimensioni: 10.000 m2 circa > Realizzazione: Impresa edile Pozzebon Treviso, SPH s.r.l. Oderzo (TV) > Consulenti: Pozzebonre Furbishment; Calcolo strutturale Profili Sagomati a Freddo: Studio Di Ingegneria Luzzu Di Oderzo
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02. Sezione verticale del nodo tra la nuova chiusura verticale, realizzata in aste d’acciaio sagomato a freddo e il preesistente solaio di chiusura orizzontale. A Doppia lastra in cartongesso 12,5+12,5 mm Materassino lana di vetro 45 mm Profilo montante in acciaio 50x50x0.7 (int. 600 mm) Lastra in cartongesso 12,5 mm Barriera al vapore Profilo strutturale in acciao C.I.P.A.® Pannelli in lana di roccia 80 mm Barriera al vapore Lastra in fibrocemento 10 mm Cappotto in polistrirene espanso (EPS 100) 100 mm Finitura cappotto Intonaco plastico 0,8 cm B Membrana bituminosa 4 mm Pannelli isolanti in poliuretano espanso con finitura in bitume polimero 80 mm Calcestruzzo lisciato con pendenza 2%, 200 mm preesistente Solaio in laterocemento 40+180 mm preesistente Intercapedine per il passaggio degli impianti 60 mm Controsoffitto in cartongesso 12,5 mm crdt. ridisegno Valentina Manfè
03. Le strutture in CFS prima della messa in opera dei materassini isolanti in lana di roccia: è ben visibile la membrana in tessuto non tessuto tra le aste in acciaio e lo strato (esterno) in fibrocemento. crdt. SPH
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B
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04. Il prospetto su via San Nicolao degli edifici ora adibiti ad uffici di Luxottica. crdt. ridisegno Valentina Manfè
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05. Le strutture in CFS, collaboranti con il preesistente telaio in carpenteria metallica pesante. crdt. SPH
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06. Prospetto su via San Nicolao e relazione con gli edifici preesistenti. crdt. www.urbanlife.org 07. Sezione verticale del nodo tra la nuova chiusura verticale, realizzata in aste d’acciaio sagomato a freddo e il preesistente solaio di chiusura orizzontale. Sezione orizzontale della parete nord, è ben visibile la stratigrafia basata sull’impiego del sistema LSF, ancorato ai preesistenti pilastri in cemento armato. Da notare anche le strombature realizzate con il rivestimento a cappotto. Doppia lastra in cartongesso 12,5+12,5 mm Materassino lana di vetro 45 mm Profilo montante in acciaio 50x50x0.7 Lastra in cartongesso 12,5 mm Barriera al vapore Profilo strutturale in acciao C.I.P.A.® Pannelli in lana di roccia 80mm Barriera al vapore Lastra in fibrocemento 10 mm Cappotto in polistrirene espanso (EPS100) 100-300 mm Finitura cappotto Intonaco plastico 0,8 cm crdt. ridisegno Valentina Manfè
08. (pagina a fronte) Cantiere: dettaglio dei lavori sulla facciata della corte interna. crdt. Valentina Manfè
09. Immagine in cui sono ben visibile le strombature della sezione muraria.
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Autodromo Kart Adria (Italia)
01. La sequenza delle operazioni di cantiere vista nello sviluppo longitudinale dell’edificio. crdt. Valentina Manfè
Il progetto ha luogo presso l’Autodromo Adria International Raceway di Adria (RO) in località Smergoncino a Cavanella e ha visto la costruzione di un fabbricato di servizio alla pista per go-kart all’interno del complesso dell’autodromo. L’edificio, lungo 160 metri, consiste in un unico volume che ospita, al piano terra, 24 box per i kart e tutti i servizi di supporto a questo genere di attività sportiva. Al piano superiore, per offrire un adeguato servizio agli atleti e alle squadre che li assistono, sono stati realizzati altrettanti uffici (con vista sulla pista) ai quali si accede da un ballatoio servito da quattro vani scala. Un terzo livello, di dimensioni contenute, è destinato ad ospitare lo speaker delle manifestazioni e una sala TV. Le fondazioni consistono in una platea in cemento armato sulla quale sono state montate le strutture, interamente in acciaio. I 160 metri dell’edificio vedono un’orditura strutturale ritmata da moduli di 8x5 metri, ritmo interrotto in corrispondenza dei due vani scala interni che servono funzioni più articolate di quelle dei box auto e degli uffici: sono gli spazi di rappresentanza che
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vengono impiegati in occasione delle gare del circuito mondiale di kart che, nel 2014, ha visto chiudersi a Rovigo le competizioni internazionali. Per la realizzazione della struttura è stato impiegato quasi esclusivamente l’acciaio sagomato a freddo. Questa soluzione è stata scelta dalla committenza per la rapidità di montaggio: in meno di un mese di cantiere (dalla fine delle opere di fondazione) è stato possibile concludere il cantiere e inaugurare la struttura in tempo per le competizioni del circuito mondiale di kart. La struttura in acciaio sagomato a freddo è stata integrata nelle zone a grandi luci con elementi in carpenteria pesante opportunamente sagomati e realizzati. Per agevolare il lavoro di montaggio è stato impiegato il piazzale solitamente dedicato alle prove delle vetture. Riproducendo una catena di montaggio indoor, è stata strutturata una filiera di assemblaggio: i profili arrivano ad Adria sagomati e adeguatamente forati per agevolare le connessioni, scaricati sul piazzale seguono un percorso di montaggio che porta alla realizzazione di ciascuna parete. Le pareti, sollevate prima da operai e poi da mezzi meccanici, vengono poste in opera e fissate a terra. Un processo analogo è stato seguito per le travi reticolari: su un bancone due operai montatori ricevono le aste e, inserendo le viti certificate C.I.P.A.® nei fori prodotti dalla macchina pressopiegatrice, assemblano ogni trave reticolare (lunga 5 m e alta 50 cm) in 8 minuti circa. Grazie alla numerazione di ogni asta con un codice e di ogni elemento in un disegno tecnico dedicato, le opere di cantiere si svolgono in modo rapido e senza scarto di elementi o produzione di rifiuti. L’azienda S.P.H. srl ha fornito le carpenterie in acciaio sagomato a freddo. Trattandosi di un fabbricato di servizio, ove possibile, le finiture sono state realizzate con pannelli sandwich piani coibentati e con rivestimento in metallo. Altri materiali impiegati nelle opere di completamento dell’edificio sono il cartongesso e i pannelli di OSB sui quali i pavimenti sono stati completati con elementi flottanti in MD e rivestimento melamminico ad alto spessore.
> Progettisti/a:
progetto architettonico: Giovanni Casazza architetto
progetto strutturale: studio di ingegneria Luzzu di Oderzo (TV)
> Localizzazione: Adria (RO), Italia > Anno di realizzazione: 2014 > Destinazione d’uso: fabbricato a servizio pista kart > Dimensioni: 160x12 m su 2 e 3 piani > Realizzazione: Impresa: Dall’Acqua Andrea s.r.l., fornitore acciaio sagomato a freddo: SPH s.r.l.
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02. Inquadramento planimetrico. Localizzazione dell’edificio all’interno dell’area dell’autodromo. crdt. ridisegno Valentina Manfè
03. Piante. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
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04. Sezione tipo. crdt. ridisegno Giulia Simonetto
05. L’integrazione impiantistica nello spessore del solaio è agevolata dalle travi reticolari. crdt. MariaAntonia Barucco
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06. In questa immagine di cantiere è evidente la distinzione tra pareti portanti e pareti portate. crdt. Valentina Manfè
07. Disegni utili per il montaggio degli elementi in acciaio sagomato a freddo. crdt. ridisegno Valentina Manfè
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08. (sopra) Prospetti (in alto: quello rivolto verso la pista). crdt. ridisegno Giulia Simonetto
09. Per agevolare l’appoggio delle travi reticolari alle pareti portanti è stata messa in opera una lamiera sagomata a freddo a forma di omega. crdt. Valentina Manfè
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10. Dettaglio costruttivo connessione trave reticolare C.I.P.A. con profilo IPE 240. crdt. ridisegno Valentina Manfè
11. Immagine di cantiere scattata al piano che verrà destinato agli uffici per le scuderie automobilistiche. crdt. Valentina Manfè
12. (pagina a fronte) Il fronte dell’edificio rivolto verso il kartodromo. crdt. Valentina Manfè
06 SCENARI DI INNOVAZIONE con Chiara Trojetto
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SOSTENIBILITÁ 6.1
6.1.1 Una chiave di lettura per comprendere la complessità Affrontare il tema della sostenibilità ambientale del costruito porta a prendere in considerazione molteplici aspetti eterogenei ma strettamente connessi tra loro. Per questo motivo non è semplice parlare di sostenibilità di un edificio, di un sistema tecnologico e, scendendo ancora di scala, di un elemento tecnico o di un materiale per l’edilizia. Bisogna innanzitutto distinguere tra “altamente prestazionale” e “sostenibile”, aggettivi che mostrano molti caratteri in comune ma che nascondono una differenza sostanziale. Da tale nascosta differenza dipendono buona parte delle ambiguità quando si cerca di comunicare il valore del lavoro svolto al fine di rendere ecocompatibile un progetto, un prodotto o un processo. La differenza tra “altamente prestazionale” e “sostenibile” è riconducibile alla definizione del campo d’indagine e del contesto di riferimento in relazione ai quali si sviluppa un progetto. È chiaro che un edificio, come ogni opera dell’azione umana, viene realizzato per dare risposta a delle richieste, dei desideri o, meglio, delle esigenze. Ad ogni esigenza corrispondono uno o più requisiti: i requisiti sono qualità richieste, questioni specifiche e misurabili. La corrispondenza tra un requisito (una domanda specifica) e una prestazione (una risposta) garantisce il conseguimento di un certo livello di qualità (livelli differenti a seconda di quanto buona è la risposta data). Non è complesso fare un esempio di ciò prendendo come spunto la questione del contenimento dei consumi energetici degli edifici1. Risale al 1976 la prima legge italiana che impone il contenimento dei consumi energetici degli edifici; dopo questa legge, e in relazione all’innalzamento del costo dei combustibili fossili, sono numerose le norme e gli indirizzi in tal senso. Oggi è sempre più frequente parlare di edifici che consumano quasi zero energia (edifici Nearly
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Zero Energy Building, NZEB) o addirittura indipendenti dalle reti di servizi (edifici off grid). Limitando il ragionamento al risparmio di energia e alla riduzione dei costi in bolletta si tiene certamente conto di alcuni portatori d’interesse: coloro che devono pagare la bolletta dell’energia. Lo stesso ragionamento può essere percorso tenendo in considerazione le forme di generazione dell’energia e i costi ambientali che tali attività comportano, costi che si ripercuotono sull’intero ecosistema Terra, in questo caso si tiene conto dei portatori d’interesse che sono coinvolti in un sistema o, meglio, in un ecosistema, in cui il focus non è solo la riduzione dei costi energetici. Questi sono solo due dei possibili punti di vista dai quali guardare alle necessarie normative per la riduzione dei consumi. Progettare secondo l’uno o l’altro approccio può anche dare esiti simili ma ciò che cambia nella progettazione della sostenibilità è l’ampliamento del campo d’indagine: i limiti del progetto non si fermano alle pareti dell’edificio o al lotto di terreno a disposizione ma sono ampi quanto l’ecosistema in cui l’edificio è inserito. Questioni simili a quella energetica, impiegata come esempio, si incontrano anche nel momento della scelta del sistema tecnologico con il quale realizzare un edificio: la scelta dei materiali e dei prodotti può limitarsi a garantire straordinarie prestazioni per gli utenti dell’edificio ma, se si vuole parlare di sostenibilità, è bene ampliare i confini della propria analisi e del proprio progetto e considerare il comportamento delle parti dell’edificio durante il loro ciclo di vita2, che è più lungo del tempo in cui l’edificio verrà mantenuto in uso. 01. Il sistema tecnologico si articola in più livelli a cui corrispondono specifici gradi di complessità delle parti costituenti ciascuno di esse. crdt. Chiara Trojetto
EDIFICIO
SISTEMA TECNOLOGICO
CLASSE DI UNITÁ TECNOLOGICA
UNITÁ TECNOLOGICA ELEMENTO TECNICO
MATERIALI
06 · SCENARI DI INNOVAZIONE
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02. Realizzazione di una casa prototipo all’interno dello stabilimento di produzione. crdt. SPH Srl
Considerando il sistema Lightweight Steel Frame si può impiegare un approccio scalare per descrivere i materiali utilizzati (e dunque le loro origini, caratteristiche e prestazioni), così si tengono in considerazione gli elementi tecnici che vengono realizzati con essi, quindi le unità tecnologiche composte combinando diversi prodotti tra loro e, infine, il sistema tecnologico con il quale si realizza la costruzione. Tali scale dimensionali (e funzionali) possono essere coinvolte in un ragionamento in merito alla sostenibilità; secondo un approccio olistico, recependo le indicazioni dei teorici dei sistemi ecologici ed economici, si può guardare ad ogni materiale e ogni processo come facenti parte di un tutto più complesso, che mette in relazione ambiente e uomini attraverso una rete di interdipendenza che ci rendono portatori d’interesse di ogni cantiere e ogni edificio ovunque esso sia. La descrizione dell’edificio nelle sue parti e la descrizione di queste in modo analitico è un punto di partenza per analizzare la relazione tra il costruito, il suo indotto e l’ambiente naturale. Ogni edificio non è solo un insieme di elementi costruttivi, ma è un sistema complesso, combinazione di diverse funzioni con una propria distribuzione spaziale, articolazione morfologica e caratteristiche micro-ambientali; tale insieme viene realizzato attraverso il lavoro di un indotto (un ambiente tecnico) e ha relazioni (più spesso ripercussioni) con l’ambiente naturale. Ogni edificio è chiamato a corrispondere ad esigenze, a rispettare vincoli, all’interno di contesti specifici, anche relazionandosi a risorse limitate3; l’evoluzione delle domande in merito alla qualità degli edifici (e dei materiali da costruzione) formula quesiti relativi all’ecocompatibilità4.
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La UNI 11277 specifica che nella valutazione dell’ecocompatibilità si devono considerare “diverse categorie di impatto e le varie fasi del ciclo di vita dell’edificio”. Vi è un chiaro riferimento al passaggio di scala e all’ampliamento del campo d’indagine descritti: la compatibilità ambientale di un edificio non è una questione che riguarda l’immobile in sé, ma anche tutte le parti materiali e le azioni progettuali (e dunque immateriali o invisibili5) che lo compongono, a partire dal momento della sua ideazione sino alla demolizione (momento che viene detto di “fine vita” dell’edificio) e al progetto del riuso, del riciclo o della conduzione in discarica dei materiali e degli elementi tecnici di cui è costruito. La sostenibilità influisce sulla definizione di una buona architettura, questa deve tener conto della questione ambientale ed è legata anche all’attenzione per l’intorno; l’“intorno” dell’edificio non è solo il quartiere, la città o la regione ma è il sistema in cui l’edificio si inserisce, un sistema olistico, definito da numerose variabili interconnesse che garantisce determinate quantità e qualità di risorse naturali, dallo sfruttamento delle quali (e dall’applicazione delle
energia
rifiuti OUTPUT
materie prime INPUT
03. La complessità del sistema aumenta ampliando i confini all’interno dei quali valutare la qualità del progetto. crdt. Chiara Trojetto
acqua
emissioni in aria
emissioni in acqua qualità e prestazioni
confine ipotetico
quali) troviamo giovamento e il soddisfacimento delle esigenze. Si deve ampliare ancora il campo d’indagine e si possono affrontare tali ragionamenti non solo in funzione del luogo ma anche in relazione con il tempo. Gro Harlem Brundtland sostiene che per dare alle generazioni future la possibilità di soddisfare i propri bisogni è necessario non danneggiare oggi l’ambiente naturale: devono essere preservate le qualità, le specificità e le risorse che oggi ci garantiscono la vita e che in futuro potranno garantirla ai nostri figli e nipoti6. Quindi bisogna essere consapevoli che ciò che si progetta e si sceglie di realizzare oggi ha ripercussioni sull’ambiente (naturale e costruito) di domani.
06 · SCENARI DI INNOVAZIONE
04. Schema che sintetizza il programma dell’SB08. Si noti come la scala d’intervento e l’area d’influenza del progetto siano tra loro in relazione lungo l’asse temporale. crdt. Chiara Trojetto
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SCALA DI INTERVENTO area urbana / regione PO
TEM
contesto
E LIF
intero edificio / sistema
CLE
CY
smaltimento e riciclo
componenti
costruzione e gestione
prodotti / materiali
progetto e sviluppo
ere
ess
ben
ne
igie
nt bie
rale
atu
en
o
fici edi
l’
nel
e
ia
nom
eco
ietà
soc
am
AREA DI INFLUENZA
Strumenti per la gestione della complessità 6.1.2 Per rispondere a tale complessità “multidimensionale” sono stati messi a punto una serie di protocolli (o metodi di valutazione) e standard internazionali per la definizione, la certificazione e la comunicazione della sostenibilità di prodotti, processi ed edifici. Vanno innanzitutto distinti gli strumenti utili alla descrizione degli edifici da quelli utili alla descrizione dei prodotti e dei sistemi. Per la certificazione degli edifici non esistono ancora standard ISO, sono invece disponibili alcuni metodi di valutazione della sostenibilità del costruito. Sono dei protocolli d’adozione volontaria che, effettivamente, diventano nuovi strumenti per il progetto e per la comunicazione delle sue qualità. I metodi di valutazione della sostenibilità del costruito si differenziano tra quelli di prima e di seconda generazione. I protocolli di prima generazione nascono per un contesto specifico e, solo previe opportune modifiche, possono essere adottati altrove (ad esempio: i consumi energetici per il raffrescamento di un’abitazione e Palermo sono difficilmente raffrontabili con i consumi energetici di una casa in Canada); i protocolli di seconda generazione sono quelli sviluppati a livello internazionale e sin da subito contengono al loro interno una serie di filtri che li rendono applicabili dovunque, in modo tale che la certificazione conseguita possa essere compresa e paragonabile a tutte le altre valutazioni di sostenibilità, anche se condotte in altri Paesi o in altri contesti climatici. Sono nuovi prodotti per un nuovo mercato di progettisti e portatori d’interesse attenti alla questione ambientale e il loro fine è agevolare
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gli attori del processo edilizio nel raggiungimento dell’obiettivo comune di realizzare un buon prodotto edilizio, di valore nel tempo e adatto a rispondere alle esigenze di chi lo utilizzerà oggi e in futuro. Ogni metodo di valutazione è costituito da una serie di documenti, solitamente si hanno delle linee guida, un manuale per la progettazione sostenibile (che per le tematiche più complesse può fare riferimento ad altri manuali o documenti di approfondimento), una checklist riassuntiva di verifica della valutazione e un foglio di calcolo per la stima dei punti che determinano il giudizio sulla sostenibilità del progetto. Ciascuno di questi documenti è redatto per rispondere adeguatamente ad un interlocutore privilegiato. Il committente, sia esso pubblico o privato, sarà interessato alle linee guida in quanto sintetizzano e interpretano le esigenze alle quali il progetto andrà a corrispondere; il progettista utilizzerà il manuale per individuare i particolari accorgimenti che potranno essere adottati; la checklist è un documento riassuntivo che agevola il dialogo tra il committente e l’architetto; il foglio di calcolo dei punteggi è il documento che consente il confronto tra il progettista e l’ente che garantisce la corretta valutazione della sostenibilità dell’edificio. Infine anche il risultato della valutazione va considerato come un documento; esso è in effetti il tema principale della comunicazione e del dialogo tra le varie figure coinvolte nella vita dell’edificio: il punteggio o la serie di punteggi che si ottengono dall’applicazione del metodo danno una sintetica descrizione della qualità del costruito ed è tale esito a consentire un agile confronto tra chi progetta e costruisce l’edificio e chi lo compra, vende o utilizza. I prodotti e i processi di produzione hanno invece a disposizione una serie di normative internazionali alle quali fare riferimento, questi strumenti sono sempre di tipo volontario. Le certificazioni di sistema (dei processi di produzione) hanno come obiettivo l’organizzazione di un percorso detto “di miglioramento continuo” adatto e attuabile da un’impresa o da qualunque organizzazione vi si approcci. Non vengono posti obiettivi prestazionali da raggiungere ma viene chiesta la sottoscrizione di un protocollo che prevenga l’inquinamento e porti al miglioramento delle performance ambientali (ad esempio: la riduzione dei rifiuti). La norma internazionale di riferimento per questo genere di strumenti è la UNI EN ISO 14001:2004 ed esiste anche il Reg. CE 1221/09, una norma europea nota come EMAS e che consente l’adesione ad un sistema comunitario di ecogestione e audit. La certificazione di sistema consiste nella descrizione di ciò che si fa e nella definizione di un obiettivo; la descrizione del percorso messo in atto per raggiungere l’obiettivo consente di registrate gli eventuali errori, di imparare da
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questi e di definire nuovi obiettivi, più elevati. Sia il protocollo ISO che quello EMAS prevedono una serie di verifiche e convalide di tale percorso prima dell’attribuzione della certificazione. 05. Il processo di “miglioramento continuo” (UNI EN ISO 14001.2004). crdt. Chiara Trojetto
UNI EN ISO 14001 2004
Miglioramento continuo
riesame politica amb. verifica attuazione
pianificazione
Le etichette ambientali marchiano i prodotti: sono strumenti di comunicazione e gestione ambientale messi a punto dall’ISO per incoraggiare la domanda di prodotti dal ridotto impatto ambientale. Vengono generalmente espresse tramite loghi, simboli e dichiarazioni che vengono poi esibiti sui prodotti in modo tale da consentire all’acquirente una immediata riconoscibilità delle qualità di ciò che acquista. La ISO 14020 definisce i principi generali per lo sviluppo delle etichette ambientali e le organizza in tre tipi (o programmi) di labelling: •
etichette di tipo I (ISO 14024): sono certificazioni effettuate ad opera di un organismo indipendente e rilasciate solo a prodotti che rispettano criteri ambientali e caratteristiche funzionali prestabiliti;
•
etichette di tipo II (ISO 14021): sono autodichiarazioni per le quali non è prevista la certificazione di un organismo indipendente né una soglia minima di accettabilità. Il fabbricante dichiara gli aspetti ambientali che ritiene utile mettere in evidenza e descrive tutto ciò in un disciplinare (questo documento può anche essere pubblico, ad esempio al fine di rafforzare il valore della certificazione riportata sui prodotti);
•
etichette di tipo III (ISO 14025): prevedono la quantificazione degli impatti ambientali in conformità all’approccio LCA (Life Cycle Assessment). Anche in questo caso, come per le certificazioni di sistema, non è richiesto il superamento di una soglia minima di accettabilità ma il rispetto di un formato nella raccolta, nell’elaborazione e nella comunicazione dei dati (in modo da consentire il confronto tra i diversi prodotti). In questo caso è necessaria la verifica da parte di un organismo indipendente che
282
garantisca la conformità delle valutazioni alle procedure LCA, così come codificate dal corpo di norme ISO 140407. 06. Schema che illustra l’approccio LCA nella valutazione dei prodotti. Lo schema è stato rielaborato a partire da quello proposto da Matsushita Graphic Communications Systems Inc per The Global Development Research Center (GDRC), organizzazione no profit. crdt. Chiara Trojetto
REPERIMENTO DELLE MATERIE PRIME materie prime provenienti da cave e “materie prime seconde” provenienti da processi di riciclaggio.
USO
TRASFORMAZIONE
(dopo quello dei consumatori)
immagazzinamento dell’energia nei materiali
prodotti progettati per rendere più semplice
in trasformazione e misure per la prevenzione
il riciclo e che, nel fine vita, creino meno danni
dell’inquinamento in aria, acqua e sottosuolo.
all’ambiente.
UTILIZZO DA PARTE DEI CONSUMATORI
DISTRIBUZIONE
selezione dei prodotti che consumano meno
semplificare il packaging e rendere più efficiente
energia e che richiedono di meno energia per la
la distribuzione (anche attraverso l’uso di mezzi di
manutenzione.
trasporto basso emissivi)
Le 6.1.3 potenzialità insite nella complessità L’edificio e il sistema tecnologico sono chiamati a rispondere all’esigenza sostenibilità, riassumibile come la diminuzione dell’impatto ambientale e il risparmio delle risorse. Questo percorso è agevolato da politiche internazionali che hanno portato allo sviluppo di strumenti utili per descrivere e individuare sempre più elevati livelli di qualità ambientale di prodotti, processi ed edifici. Il mercato, attraverso le logiche della crescita e del superamento della concorrenza, agevola la diffusione e l’utilizzo di tali strumenti. Le indicazioni della ricerca e i finanziamenti dedicati all’innovazione sono fondamentali sia per innescare che per mantenere vivo il processo di miglioramento. Rispondere con efficacia ai cambiamenti dettati dalle diverse esigenze utilizzando nuove tecnologie e nuove conoscenze è un percorso obbligatorio (gli esperti di economia descrivono le ricadute che questi percorsi hanno sulla pressione della concorrenza e, in generale, sul legame tra innovazione, competitività e crescita economica). Dall’altro lato è anche possibile offrire delle
06 · SCENARI DI INNOVAZIONE
283
novità (ad esempio prodotti o processi più sostenibili) e sollecitare così nei portatori d’interesse lo sviluppo di una nuova domanda. I processi di innovazione connessi con l’esigenza di sostenibilità, come tutti i processi, sono di fatto attività di produzione e trasformazione; il numero e dalle forma degli strumenti disponibili per la certificazione mostrano una caratteristica fondamentale di tale innovazione: l’oggetto in produzione e trasformazione è la conoscenza. Attraverso la ricerca vengono generati nuovi blocchi di conoscenza, connessi tra loro, e trasformati in prodotti innovativi. Ogni processo di innovazione di un elemento tecnico coinvolge necessariamente materie prime e risorse fisiche che, certamente saranno accompagnate da nuove competenze ma la componente materiale di tale innovazione è ottenibile con relativa semplicità (è sufficiente una transazione economica). La descrizione degli edifici, dei prodotti o dei processi necessita, invece, di un’approfondita conoscenza. Senza di questa non è possibile il dialogo con i nuovi requisiti che emergono in funzione dell’esigenza di sostenibilità: la conoscenza è difficilmente acquisibile attraverso transazioni di puro mercato e l’accesso alla sue fonti è regolato da processi vari e complessi. Ogni ciclo di trasformazione o produzione di innovazione non è caratterizzato esclusivamente dai suoi input ed output: un elemento fondamentale per il sistema è il processo stesso, del quale fa parte anche l’attività di ricerca sottesa all’innovazione. La ricerca comprende aspetti vari come la conoscenza e la visione sull’idea, le risorse finanziarie, temporali, umane e tecnologiche, senza trascurare tutti gli eventuali asset complementari possibili e vantaggiosi per l’attività innovativa. Lo studio del ciclo di vita dei prodotti è una tappa importante nella storia delle valutazioni di sostenibilità, è utile a comprendere (e gestire) il ciclo di vita di un edificio, fornisce informazioni utili al dialogo fra tutti i soggetti coinvolti nel processo edilizio e favorisce la loro integrazione. Di conseguenza è più semplice l’individuazione di accorgimenti per migliorare l’organizzazione del processo che va dall’ideazione dell’intervento edilizio sino alla demolizione del costruito e non solo, perché possono (e sempre più spesso devono) essere gestite anche le fasi legate alla valorizzazione delle macerie che, altrimenti, verrebbero considerate semplici rifiuti di demolizione da convertire in discarica. 07. Schema che aiuta a definire il concetto di “innovazione semantica”. crdt. MariaAntonia Barucco
COSA
COME
processo nuovi significati nuove prestazioni
prodotto innovazione semantica
innovazione organizzativa
innovazione di prodotto
284
Questo tipo di informazioni, per la complessità e la valenza che hanno, possono essere catalizzanti un’innovazione semantica. Vale a dire che, se è possibile distinguere le innovazioni che più prettamente coinvolgono il prodotto da altre che riguardano il processo, allora è possibile individuare anche le innovazioni che vanno ad influire soprattutto sul significato che il prodotto o il processo hanno se vengono spiegati ed illustrati in virtù dell’esigenza di sostenibilità. L’aggettivo “semantica” in riferimento all’innovazione della sostenibilità pone l’accento sull’insieme di nuovi significati che un prodotto offre, siano essi determinati a priori e/o a posteriori (Barucco, 2014). L’edificio, il prodotto e il processo dal forte valore semantico possono avere funzioni o costi paragonabili a quelli offerti da beni simili ma soddisfano in misura superiore una serie di esigenze di altro tipo. Più che “funzionare meglio”, questi beni “hanno più senso”: incontrano meglio i valori insiti nel modello sociale e culturale legato alla sostenibilità, che caratterizza la nostra epoca. Per questo motivo, nelle pagine che seguono, si descrive il ciclo di vita dell’acciaio, per dare ad esso più senso in una prospettiva di progetto sostenibile dell’ambiente costruito.
06 · SCENARI DI INNOVAZIONE
285
CICLO DI VITA 6.2
La 6.2.1 produzione dell’acciaio Due processi consentono la produzione di semilavorati in acciaio: il ciclo integrale e il forno elettrico. Il ciclo integrale sfrutta come materie prime il carbon fossile e i minerali di ferro. Il primo viene trasformato in coke siderurgico mediante un processo termico di distillazione eseguito nelle cokerie e costituisce sia una fonte di calore sia l’elemento chimico riducente per trasformare i minerali di ferro in ghisa. I minerali di ferro vengono trattati nell’altoforno con un processo chimico di riduzione, che trasforma il minerale di ferro in una lega ferro-carbonio (detta ghisa) che presenta un tenore in carbonio intorno al 4-5%. All’uscita dall’altoforno la ghisa viene colata in un contenitore mobile su rotaie (il carrosiluro) che la trasporta all’acciaieria per la trasformazione definitiva in acciaio attraverso un processo di affinazione che abbassa il contenuto di carbonio e di impurità (l’acciaio ha infatti una minore quantità di carbonio rispetto alla ghisa: intorno allo 0,6-1,9% in meno). Il ciclo integrale permette di produrre un acciaio di qualità, adatto ad una vasta tipologia di impieghi. La purezza del materiale ne favorisce l’uso in ambiti in cui la duttilità è una caratteristica fondamentale, tra i quali vi è anche la realizzazione di prodotti piani per lo stampaggio a freddo. I semilavorati (bramme, billette, blumi) vengono trasformati in prodotti finiti quali tubi, rotoli, lamiere, vergelle, barre e tondini, travi e profilati. Si tratta di acciai normali suddivisibili nel seguente modo: •
acciai da costruzione con un contenuto in carbonio fino allo 0,25 %. Questi sono saldabili, malleabili, duttili e vengono utilizzati per produrre lamiere, fili, chiodi, tubi, profilati, tondini per c.a.;
•
acciai semiduri con un contenuto in carbonio compreso tra lo 0,25% e lo 0,75%, non saldabili e ben temprabili9. Vengono impiegati per la produ-
286
zione di utensili comuni quali martelli, perni o alberi motore, gli altri per utensili da taglio, macchine e cilindri di laminatoi. Il ciclo integrale è un processo complesso e di lunga durata che richiede impianti di grandi dimensioni con alimentazione ininterrotta da parte dell’altoforno. Per il miglioramento del bilancio energetico del ciclo integrale e per ridurre l’impatto ambientale della produzione dell’acciaio, i gas emessi come sottoprodotti di questa lavorazione vengono per lo più recuperati e, in seguito alla raffinazione, permettono di alimentare un gran numero di utenze. Queste caratteristiche degli stabilimenti di produzione condizionano le strategie che portano all’avvio o alla gestione di simili tipi di impianto. 08. Le lavorazioni all’interno di un’acciaieria. crdt. Paolo Andreetta
Il forno elettrico utilizza come materia prima i rottami di acciaio, questo genere di impianto è caratterizzato da una minore complessità in quanto non sono necessari macchinari per la produzione della ghisa e la sua trasformazione in acciaio. La maggior parte del metallo proveniente da forno elettrico è impiegata per la produzione di prodotti “lunghi” (barre, tondini per cemento armato, vergelle, ecc.), sono applicazioni meno sensibili alla presenza di elementi residui. I vantaggi di questo sistema, che ne hanno consentito l’affermazione, sono la minore complessità del ciclo produttivo, la rapida messa in marcia, il più agevole controllo dei processi di trasformazione chimica, l’indipendenza dell’impianto da porti o da altre infrastrutture, nonché l’accresciuta disponibilità di rottame d’acciaio in seguito allo sviluppo industriale degli ultimi decenni. Le acciaierie a forno elettrico sono di dimensioni minori rispetto agli impianti operanti tramite ciclo integrale e necessitano quindi di stabilimenti di più modesta entità, con rapporti tra investimento e capacità produttiva più facilmente gestibili. Il ciclo di vita dell’acciaio prosegue negli stabilimenti siderurgici con la lami-
06 · SCENARI DI INNOVAZIONE
287
nazione a caldo, ovvero la lavorazione dei semilavorati per deformazione plastica e la loro trasformazione in prodotti detti “finiti”. Questi sono ascrivibili in tre principali categorie: •
prodotti piani, ovvero lamiere ad alto spessore e nastri fino a 1,5 mm di spessore che vengono avvolti in rotoli (chiamati con il termine inglese coils); per raggiungere spessori minori si ricorre ad una successiva laminazione a freddo;
•
prodotti lunghi a sezione tonda, quadrata o rettangolare, ovvero barre dritte o vergelle con diametro fino a 5 mm avvolte in matasse; anche in questo caso per ottenere diametri inferiori si procede con una lavorazione a freddo;
•
tubi, ottenuti saldando dei prodotti piani o direttamente con la laminazione, dunque senza saldatura.
I prodotti finiti rappresentano la materia prima, ovvero il materiale di partenza, delle industrie utilizzatrici. Le 6.2.2 materie prime seconde Le materie prime seconde (spesso indicate con la sigla SRM, acronimo di Secondary Raw Materials) sono gli scarti di lavorazione delle materie prime oppure i materiali derivati dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti. Il riciclo dei materiali ferrosi avviene grazie al recupero degli scarti nelle acciaierie, dei cascami di lavorazioni e al recupero di prodotti metallici usati: mezzi di trasporto, elettrodomestici, macchine di vario tipo e strutture metalliche in generale. L’acciaio deve essere prodotto una prima volta a ciclo integrale, utilizzando le materie prime presenti in natura, perché solo in questo modo è possibile ottenere le condizioni fisiche e chimiche che lo rendono performante. Dopo questa prima lavorazione i successivi cicli di produzione a partire dalle materie prime seconde sono forti del fatto che la riciclabilità dell’acciaio è vicina al 100% (contro il 20% del cemento e il 13% del legno) (BCSA, 2015). Inoltre l’acciaio non è soggetto a downcycling, termine con il quale si descrive la perdita delle prestazioni (e dunque del valore) dei materiali in seguito al riciclo; per questo l’acciaio è il materiale più riciclato al mondo e in Europa oltre il 45% della produzione siderurgica si basa sul recupero e sul riciclo dell’acciaio (Federacciai, 2011). Per questo motivo il rottame ferroso deve essere considerato come una risorsa, un bene che è costato energia e lavoro al momento della prima lavorazione tramite ciclo integrale: costi che ne fanno una merce di valore e che possono essere “ammortizzati” attraverso i cicli e i ricicli ai quali il materiale può essere
288
sottoposto durante i suoi numerosi cicli di vita. Il rapporto Federacciai spiega che “ogni tonnellata netta di rottame che lascia l’Europa costituisce di fatto una perdita in termini di costi energetici e ambientali, ponendosi in contrasto con obiettivi strategici dell’UE quali l’uso efficiente delle risorse energetiche, la realizzazione di una economia low carbon e di una società del recupero e del riciclo” (2011). La pratica del riciclo è supportata dalla direttiva europea in materia di rifiuti 2008/98/CE10 che individua le condizioni da rispettare a livello comunitario affinché una sostanza o un oggetto, soggetto ad un’operazione di recupero, possa essere considerato non più un rifiuto ma un vero e proprio prodotto da rimettere in commercio. Tale approccio viene detto end of waste e le condizioni affinché questo possa avvenire sono le seguenti: •
l’oggetto è comunemente usato per scopi specifici;
•
esiste un mercato, una domanda;
•
l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa relativa;
•
il suo utilizzo non avrà un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute dell’uomo.
In seguito a questa direttiva è stato emanato il Regolamento UE n. 333/201111 dedicato proprio ai rottami metallici, il primo in materia di end of waste: determina quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati dei rifiuti ed acquisiscono di nuovo lo status di materia prima. L’acciaio è quindi per eccellenza e per sua natura un materiale con una vita ciclica, eccone riassunte le macro fasi: •
Reperimento delle materie prime,
•
Produzione di acciaio grezzo,
•
Trasformazione e lavorazione,
•
Manifattura dei prodotti,
•
Utilizzo da parte degli utenti,
•
Dismissione,
•
Recupero,
•
Eventuale riuso,
•
Riciclo.
Gli 6.2.3 edifici Il tema di molte ricerche (in alcuni contesti anche il motore dell’attività del settore edile) è la riqualificazione, la rigenerazione e la valorizzazione degli edifici, ad esempio quelli costruiti nel dopoguerra. Ciò sposta l’attenzione dal
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289
costo di costruzione ai costi legati alla gestione, alla manutenzione ordinaria e agli interventi di manutenzione straordinaria che sono necessari per garantire alle persone certe qualità dell’abitare che gli edifici perdono nel tempo, come ogni cosa, invecchiando. Dall’altro lato non possiamo trascurare l’evoluzione delle esigenze degli utenti del costruito: se nel dopoguerra l’urgenza era quella di avere un tetto sotto il quale ripararsi, oggi le esigenze sono più articolate e dettagliate. Si conoscono i costi dell’approvvigionamento energetico, si comprende il valore di caratteristiche quali l’accessibilità e l’inclusività e, non ultima, vi è una sempre più diffusa coscienza ambientale che richiede che anche l’architettura degli edifici e delle città faccia la sua parte nella ricerca di quell’auspicato equilibrio tra l’uomo e l’ambiente. Per questo motivo, parlando del ciclo di vita degli edifici, si devono affrontare contemporaneamente due problemi: l’evoluzione delle esigenze degli utenti e dell’obsolescenza tecnica e funzionale del costruito. Per descrivere tale “doppia” complessità si riportano un’immagine e un breve estratto del lavoro del
m3
T3 m2
m1
T2
SPREAD
rrv1
rrv2
requisiti
T1
ciclo di vita
obsolescenza
09. Nel tempo i requisiti richiesti e l’obsolescenza del prodotto edilizio disegnano uno schema dalle linee con andamento divergente; in assenza di interventi di manutenzione, riqualificazione e restauro ciò porta alla messa fuori servizio del manufatto. crdt. Vittorio Manfron
rrv3
prof. Manfron (2013).
Si può immaginare che al tempo zero l’edificio o l’urbanizzazione siano stati realizzati con piena soddisfazione delle esigenze degli utenti e con adeguata qualità tecnico funzionale (succede solo nei casi migliori). A partire dalla messa in esercizio inizia da una parte l’evoluzione delle esigenze e dei relativi requisiti e dall’altra il processo di obsolescenza del manufatto. Ai nostri fini fingiamo, si perdoni la schematizzazione brutale, un’evoluzione lineare nel tempo delle due grandezze (i due segmenti inclinati). In realtà gli andamenti, comunque divergenti, sono molto più complessi: il quadro esigenziale è soggetto a mutamenti discontinui e l’andamento dell’obsolescenza, volta a volta dipendente dalle tecnologie adottate nella realizzazione dell’opera, non sem-
290
pre è proporzionale al Life Cycle (Manfron 1998). In ogni caso lo spread fra le due grandezze aumenta con il tempo e conduce alla messa fuori servizio del manufatto. Gli interventi di manutenzione (IM) effettuati, rappresentati dalle verticali tratteggiate m1, m2, m3, possono contrastare l’obsolescenza e ripristinare la qualità iniziale rappresentata dall’asse delle ascisse (anche questo succede solo nei casi migliori). Maggiormente complesso e costoso appare provvedere all’adeguamento richiesto dall’evoluzione delle esigenze, evoluzione legata a mutamenti culturali, socio–economici e produttivi: nella maggioranza dei casi questi sono difficilmente prevedibili e portano alla messa in campo di nuovi requisiti altrettanto imprevedibili. Le relative operazioni sono rappresentate nella Fig. 1 dalle verticali punteggiate rrv1, rrv2 e rrv3 e costituiscono un costo aggiuntivo ai costi di manutenzione. Si adottano abitualmente (Manfron 1995) varie e diversamente approfondite versioni del Generalized Cost (GC). Con riferimento alla Fig. 1 è opportuno che, per tener conto delle operazione IRRV, nelle formulazioni del GC gli abituali costi di costruzione (Cc) e manutenzione (Cm) vadano integrati come segue: CG = …… + Cc + Cm + Crrv + …… [1] dove sono rappresentati con Crrv i costi dei vari IRRV. Nella descrizione fornita si parla del ciclo di vita degli edifici e dei costi che, distribuiti nel tempo e definiscono una possibile “storia” degli edifici. La rappresentazione della vita degli edifici, tuttavia, appare lineare; si può pensare che questa linea retta torni ad una nuova origine ad ogni intervento di rigenerazione che conferisce all’edifico una diversa o rinnovata funzione (come nel caso dell’edificio di via San Nicolao a Milano che è stato descritto nel capitolo precedente). La crescente consapevolezza ambientale e la domanda di sostenibilità portano la ricerca ad interrogarsi sui dettagli e le parti che compongono l’edificio. La necessità di rispondere a tale domanda porta a considerare che ogni cantiere caratterizzante la vita dell’edificio può essere l’oggetto di uno studio e una fonte di informazioni da organizzare, capire e comunicare. Da queste analisi e dal progetto di questi interventi di cantiere è possibile reperire dati sulla qualità, sulla riciclabilità e sulla sostenibilità dell’edificio, dati da elaborare e tradurre per dare risposta alla domanda di sostenibilità. Sono le informazioni che consentono di parlare del costruito in base all’approccio life cycle. Per quanto complessa, l’analisi secondo l’approccio life cycle, non pare impossibile per i beni di tipo industriale che, per la specifica modalità di produzione, sono controllati fase per fase e tracciati in questo loro percorso anche attraverso feed back specialistici (si pensi, ad esempio, ad un’automobile). Applicare questo approccio al settore edile pare impossibile, vista la variabilità di ogni processo edilizio, la sua durata e il gran numero di
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persone che si relazionano con il ciclo di vita di un edifico: le informazioni utili a descrivere tale ciclo di vita sono di possibile rilevazione nei processi di nuova industrializzazione edilizia. L’industrializzazione, oggi, non è più volta alla messa a punto di macchinari (come ha dovuto fare Prouvé alla metà del 1900) ma è dedicata alla definizione e al miglioramento del collegamento tra produzione, prodotto e conoscenza: si lavora alla connessione tra hardware e software perché da tale connessione si possono trarre utili informazioni per gestire la complessità e l’onerosità della pianificazione, dell’esecuzione, del montaggio e del controllo di attività complesse quali il ciclo di vita degli edifici. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha elencato dodici strategie utili alle imprese che intendono perseguire competitività nei nuovi scenari12. Alcune di queste sottolineano le potenzialità della nuova industrializzazione edilizia che lega hardware e software. Prima tra tutti l’ottimizzazione globale dei flussi di produzione, cioè l’adozione di sistemi di produzione just in time; l’industrializzazione edilizia consente, lavorando con l’acciaio sagomato a freddo, di produrre tutti gli elementi necessari per realizzare un’abitazione in pochissimo tempo e con un margine d’errore tanto basso da potersi considerare nullo. Non è più necessario, dunque, organizzare un magazzino con scorte di edifici o di parti di edifici realizzati tutti in modo identico tra loro. A questo tema l’OCSE lega anche l’adozione del concetto di total quality per garantire che i profili in CFS siano realizzati correttamente e anche che l’acciaio con cui questi vengono realizzati sia di qualità, grazie alla cooperazione con fornitori di acciaio qualificati. In secondo luogo l’OCSE raccomanda la completa integrazione tra progettazione, ingegnerizzazione e organizzazione della produzione. Questi aspetti sono fondamentali per il progetto di qualunque edificio realizzato con tecnologia LSF. In tale percorso di integrazione è importante inserire anche l’attività di ricerca (anche con il coinvolgimento di enti e le università, specialisti esterni alla produzione) e, analogamente, è possibile considerare anche la creazione di nuove e continue forme di cooperazione con la clientela, utenti industriali e consumatori finali: terzo punto elencato dall’OCSE. È dalla definizione di nuove tecniche di produzione, ad esempio basate sulla progettazione BIM, che si riescono a combinare costi di produzione più bassi con livelli di qualità più alti, all’insegna di un’industrializzazione che lega hardware a software. E tutto ciò è imprescindibile dalla traduzione di una corretta definizione delle caratteristiche della domanda e della loro evoluzione in strategie di pianificazione e produzione13. L’innovazione, nell’ottica della sostenibilità, deve essere condivisa con terze
292
parti per produrre progetti di sistemi, sottosistemi e componenti che possano essere inclusi in un processo di progettazione e di monitoraggio che duri ben oltre la chiusura del cantiere di costruzione. E al centro dell’innovazione vi è proprio il processo edilizio, la nuova industrializzazione e le sue relazioni e ricadute sul comparto delle costruzioni e su altri settori. In tale direzione vanno gli studi dedicati all’ecologia (e all’economia) circolare.
UNIVERSITÁ
AUT O RI
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costruttori e produttori
E I N DU ST RI
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clienti
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10. Gli attori del processo edilizio secondo le indicazioni del convegno Sustainable Building del 2005. Tutte le figure coinvolte sono sullo stesso piano, tutti sono utenti del costruito. crdt. Chiara Trojetto
06 · SCENARI DI INNOVAZIONE
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ECOLOGIA ED ECONOMIA CIRCOLARE 6.3
Progetto circolare dei materiali 6.3.1 Per costruire un’adeguata visione dell’innovazione sono fondamentali la comprensione dei bisogni e la traduzione di tali bisogni in azioni atte a soddisfarli14, perché la capacità di comunicare fonda l’innovazione dell’ecocompatibilità (Barucco, 2014). Già nel 1999 l’Agenda 21 on Sustainable Construction del CIB15 sottolineava l’importanza del superamento delle barriere professionali e del miglioramento del giudizio causa/effetto nelle relazioni decisionali. Tali auspicate strategie per l’innalzamento del livello qualitativo dell’ambiente costruito oggi sono praticabili perché coadiuvate da sistemi e modelli informatici integrati, che forniscano dati e valutazioni durante il ciclo di vita degli edifici e siano utili per lo scambio di informazioni fra i soggetti coinvolti nel processo edilizio, favorendo la loro interazione e, di conseguenza, l’individuazione di ulteriori accorgimenti per migliorare l’organizzazione del ciclo di vita degli edifici. Non solo, attraverso sistemi di tracciamento dei prodotti, è possibile mappare le materie prime e le materie prime seconde nel loro percorso prima, durante e dopo il loro impiego nelle costruzioni in LSF. Le tecnologie per fare ciò esistono e la loro mancata applicazione non è imputabile unicamente ai costi. Gli ostacoli da superare per raggiungere tale risultato sono numerosi, a partire dalla mancanza di politiche fortemente incisive, passando per l’inerzia delle istituzioni e delle prassi professionali, sino alla scarsità di informazioni e di dati. Inoltre, il quadro descritto rappresenta una prospettiva futura, una visione di un tempo e di un’edilizia in cui i portatori d’interesse hanno acquisito una altissima consapevolezza della questione ambientale e riescono a muovere l’innovazione del mercato con una forte e selettiva domanda. Tale visione futura, per quanto possa apparire distante, è la logica evoluzione di un indirizzo già intrapreso dall’industria e incentivato dagli standard
294
internazionali. Ad attestare la validità della prospettiva descritta vi è una recente innovazione nella determinazione del valore economico dei beni: tale innovazione dà evidenza economica alle informazioni e alle caratteristiche del ciclo di vita che prima erano legate quasi esclusivamente all’acquisizione di consapevolezza in termini ecologici e al dialogo con specifici clienti finali. Si parla di economia circolare (circular economy) nel momento in cui non si considerano più dinamiche economiche di tipo lineare (usa e getta). 11. I possibili confini per l’analisi del ciclo di vita dei prodotto. crdt. Chiara Trojetto
CRADLE
GATE
MATERIE PRIME
PRODUZIONE
MATERIE PRIME
PRODUZIONE
GRAVE
SMALTIMENTO USO RIUSO RICICLO
MATERIE PRIME PRODUZIONE
SMALTIMENTO
USO RIUSO RICICLO
Le caratteristiche che definiscono i beni, il modo in cui sono prodotti, assemblati, usati, dismessi ed eventualmente riusati o riciclati sono aspetti determinanti l’impatto ambientale. I confini entro i quali descrivere tale ciclo di vita devono essere ben definiti perché, all’ampliarsi dei confini, si incontrano livelli di complessità crescenti: 1. from cradle to gate, dalla culla al cancello: il destino di un elemento tecnico è monitorato nelle fasi della sua realizzazione fino al quando lascia
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la fabbrica (o il luogo in cui è stato prodotto) per essere avviato alla vendita o alla distribuzione. Questa analisi consente l’acquisizione di dati e la valutazione di attività connessi all’impatto ambientale della produzione, ne consente l’efficientamento e il confronto con produzioni simili. È certamente il tipo di analisi più diffusa tra quelle legate al ciclo di vita, in conformità agli indirizzi della ISO 14025. Questo approccio però non permette il controllo o l’analisi delle fasi del ciclo di vita in cui un elemento tecnico viene posto in opera, usato, manutenuto e gestito una volta terminata la sua vita utile. 2.
from cradle to grave, dalla culla alla tomba: il destino di un elemento tecnico è monitorato durante le fasi della produzione e fino al momento in cui la sua vita utile si conclude. Oltre a quanto descritto al punto precedente, questa analisi comporta lo studio dei processi di trasporto, gestione sul sito di cantiere e messa in opera degli elementi tecnici. Non solo, ma è necessario registrare anche le modalità d’impiego e le prestazioni del bene posto in essere nell’edificio. Questo approccio permette di controllare come un prodotto venga manutenuto, permette di conoscere i motivi della sua dismissione ma non le modalità di riuso o riciclo.
3.
from cradle to cradle, dalla culla alla culla: il destino di un elemento tecnico è monitorato dalla sua produzione fino al momento in cui comincia una “seconda vita”. Questo approccio considera tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto fino a quando i materiali che lo compongono vengono riusati o riciclati e quindi rimessi in circolo perché inseriti nel ciclo di vita di un nuovo elemento tecnico.
Gli approcci from cradle to gate e from cradle to grave descrivono modelli di tipo lineare, il terzo è un modello circolare (la complessità dell’analisi è crescente e, di conseguenza, è necessario accettare livelli di dettaglio via via meno raffinati). La trasformazione di rifiuti in risorse equivale al passaggio da un ciclo di vita from cradle to grave ad un ciclo from cradle to cradle, viviamo questo passaggio quotidianamente, attraverso la promozione di pratiche sostenibili quali la raccolta differenziata e il riciclaggio: “in sei Paesi [dell’Unione Europea] la messa in discarica dei rifiuti urbani è di fatto già abolita, con percentuali che negli ultimi vent’anni sono passate dal 90% a meno del 5% e con un tasso di riciclaggio fino a 85% in certe regioni, mentre in altri paesi oltre il 90% dei rifiuti è ancora collocato in discarica e meno del 5% riciclato” (COM (2014) 398 final/2)16.
296
12. L’approccio all’analisi del ciclo di vita dei prodotti descritto attraverso i principi dell’economia circolare. crdt. Chiara Trojetto
MATERIE PRIME
(INPUT) INGEGNO PRODUZIONE
ENERGIA MATERIALI TECNICI RICICLATI PRODOTTO
(OUTPUT) USO
SMALTIMENTO
RIUSO RICICLO
Obiettivo dell’economia circolare è preservare il valore dei prodotti e dei materiali che li compongono eliminando (virtualmente) i rifiuti, ovvero mantenendo le risorse all’interno del sistema economico anche quando il prodotto è giunto a fine vita. Ciò è possibile riconoscendo il valore dell’ingegno necessario a sviluppare innovazioni di processo, innovazioni immateriali che consentono un uso dei beni strategico e coerente con la finitezza materiale dell’ecosistema in cui viviamo. L’economia circolare distingue i materiali in di due tipi: •
consumabili, o biologici, che possono tornare nella biosfera direttamente o dopo una serie di riusi che possono includere anche l’estrazione di feedstock (materia prima per una macchina o un processo industriale) biochimici quali la digestione anaerobica e il compostaggio per la produzione di biogas;
•
durevoli, o tecnici, che non possono tornare alla biosfera poiché le materie prime che li compongono non sono organiche o rinnovabili, questi beni devono essere progettati per ricevere manutenzione, per essere riutilizzati o ridistribuiti, per essere rinnovati e, solo infine, per essere riciclati.
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13. Schema che intetizza i principi dell’economia circolare. crdt. Chiara Trojetto
materiali biologici
materiali tecnici estrazione materie prime realizzatore semilavorati
agricoltura/raccolto riciclo
realizzatore prodotto biosfera digestione anaerobica/ compostaggio
biogas
fornitore servizi
ristrutturazione/ nuova produzione riuso/ridistribuzione manutenzione
estrazione elementi chimici
consumatore utilizzatore recupero energia
smaltimento
Tali caratteristiche dei materiali definiscono le due parti dello schema dell’economia e del processo produttivo basato sulla logica del life cycle. I materiali, nel loro ciclo di vita, possono percorrere virtuosamente lo schema e le potenzialità connesse allo sfruttamento di tali percorsi possono consentirci di dividere i beni in quattro categorie. Questa suddivisione mostra quanta ricerca ed innovazione vi siano ancora da sviluppare per avviare al progetto del processo circolare: •
Golden Oldies: le “vecchie glorie”, i materiali facilmente recuperabili e con un buon livello di riciclabilità. Sono materiali già sottoposti a percorsi di riciclo ma che spesso hanno lo svantaggio di perdere qualità o di venir contaminati in modo irreversibile da altri materiali con i quali condividono parte del ciclo di vita. A questa categoria appartiene, ad esempio, la carta.
•
High Potentials: materiali utilizzati in grandi quantità ma per i quali mancano delle soluzioni sistematiche per il riciclo, per questo motivo vengono detti “ad alto potenziale”. Un esempio sono i polimeri, la cui formula complessa rende difficile la separazione tra le componenti e comporta che il riciclo ne muti la qualità e la purezza.
•
Rough Diamonds: sono, ad esempio, il biossido di carbonio, gli scarti ali-
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mentari e tutti i sottoprodotti di processi manifatturieri. Sono definiti “diamanti grezzi” perché ne sono già state comprese le potenzialità e si stanno definendo soluzioni e innovazioni tecnologiche per la loro valorizzazione e sostituzione all’utilizzo di materiali vergini. •
Future Blockbusters: materiali innovativi ad alto potenziale che permettono un miglioramento della produttività dei materiali (ad esempio tramite le stampanti 3D) e che hanno cicli di vita il più possibile estesi e che talvolta circolari possono tornare nella biosfera, come avviene per i materiali a base biologica.
Già nel 1999 la CIB A21 auspicava l’ottimizzazione del ciclo ci vita dei materiali in relazione a fattori come il clima, la cultura, le tradizioni costruttive e il livello di sviluppo industriale. Dal 1999 ad oggi il riciclo in edilizia non è ancora una pratica consolidata ad eccezione che nell’impiego di macerie derivanti dalle costruzioni e dalle demolizioni: i materiali subiscono un processo di downcycling e vengono utilizzati come aggregati ed inerti. Sempre la CIB A21 stima che l’85% dei chili di materiale di cui è fatto un edificio possa essere riciclato (non attraverso processi di downcycling), ciò oggi è attuabile solo per una casistica limitata di edifici e non per mancanze nelle tecniche di riciclo ma per scarsa informazione in merito alla consistenza materiale degli edifici oltre che per la mancanza del progetto del fine vita della costruzione. A valle di questi strumenti e spunti è possibile individuare alcune potenzialità degli edifici realizzati in LSF. L’acciaio è una “vecchia gloria” in quanto il suo uso è ormai da decenni consolidato e così anche il riciclo, incentivato dall’alto valore economico del materiale. Il sistema costruttivo, basato sull’impiego di pacchetti tecnologici stratificati a secco, consente di annoverare gli edifici in acciaio sagomato a freddo tra i “diamanti grezzi” dell’edilizia perché sono alte le potenzialità di riciclo dei materiali ricavati da una demolizione selettiva, più simile ad uno smontaggio che all’accumulo di macerie. L’impiego di software, non solo nella fase di produzione, consente di monitorare l’edificio in fase d’uso e di conoscere, arrivati alla dismissione, parti e impianti degli edifici in LSF: in virtù di questa mappatura puntuale il sistema tecnologico e costruttivo che prevede l’impiego di acciaio sagomato a freddo per usi strutturali può essere annoverato tra i Future Blockbusters del processo edilizio circolare e dell’economia circolare. Tornando alla scala del materiale, al fine di ridurre il consumo delle risorse, la CIB A21 consiglia di limitare l’uso di sistemi produttivi dalla tecnologia energeticamente costosa e ridurre l’impiego di materiali dall’elevata embodied energy17 (EE, energia incorporata che viene misurata attraverso il rapporto tra l’energia impiegata e la massa di materiale prodotta) o dalla scarsa capacità di
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299
mantenimento dell’energia intrinseca al trascorrere del tempo (durevolezza) e al susseguirsi dei cicli di reimpiego o riciclo (no downcycling). Il progettista è chiamato ad impiegare i materiali meno “energivori” e, qualora decidesse di mettere in cantiere materiali dal ciclo produttivo energeticamente dispendioso o, più in generale, alimentato da risorse non rinnovabili, questi dovrebbero essere impiegati in modo tale da poterne prevedere il reimpiego o, se questo non è possibile, il riciclo. L’acciaio è un materiale dall’elevato costo energetico iniziale: quando si produce acciaio da materie prime vergini si ha un valore di embodied energy pari a 35,3 MJ/kg. Sappiamo però che, mediamente, parte dell’acciaio impiegato in edilizia è riciclato e quindi costa meno energia: la sua embodied energy è pari a 24,4 MJ/kg. Ancora più rilevante è il dato che illustra il potenziale di miglioramento connesso con il riciclo e i processi di riciclo che possono essere avviati a catena, a valle delle future e successive demolizioni selettive: l’acciaio riciclato ha una embodied energy di soli 9,5 MJ/kg (Hammond, 2008). A questi dati possono essere affiancati quelli delle emissioni in atmosfera di gas e sostanze, emissioni di cui viene registrato l’ammontare attraverso un’equivalenza e che vengono quindi descritte in chilogrammi di anidride carbonica equivalente (kgCO2), questo parametro per la misurazione dei materiali è conosciuto come embodied carbon. Produrre un chilo di acciaio vergine comporta l’emissione di 2,75 kg di CO2 equivalente (si potrebbe quindi sostenere che un chilo di acciaio vergine, “pesa” sull’ambiente ben più di un chilo). L’acciaio comunemente impiegato in edilizia registra una embodied carbon di 1,77 kgCO2/kg e l’acciaio riciclato si dimostra il più “leggero”, con 0,43 kgCO2/kg (Hammond, 2008). 35
EMBODIED ENERGY MJ/kg
30 25
3,0
EMBODIED CARBON kgCO2/kg
2,5 2,0
20
1,5
15
vetro
legname di normale impiego in edilizia
acciaio riciclato
acciaio di normale impiego in edilizia
vetro
legname di normale impiego in edilizia
0,0 acciaio riciclato
0,5
0 acciaio di normale impiego in edilizia
5
acciaio vergine
1,0
10
acciaio vergine
14. Dati di Embodied Energy ed Embodied Carbon di acciaio, legno e vetro. I dati qui schematizzati derivano dal documento redatto dal prof. Hammond per l’Universit di Bath nel 2008. crdt. Chiara Trojetto
L’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni connesse all’impiego di acciaio riciclato portano a considerare questo materiale, soprattutto quello che è già oggi in uso, come una vera e propria miniera di materie prime secon-
300
15. Il bilancio dei materiali e dell’impatto ambientale generato da Sekisui nel 2012 per la produzione di 45.300 abitazioni. crdt. Chiara Trojetto
MATERIALI carta
MATERIALI 1.095.200 t 752,4 t
ENERGIA 862.947 GJ
carta
6.000 t
legno
175.600 t
plastica
23.800 t
metalli
293.000 t
vetro e ceramica
292.900 t
altro
303.900 t
ENERGIA 802.440 GJ
ENERGIA 572.020 GJ
elettricità
50.326 MWh
elettricità
49.138 MWh
benzina
10.380 kl
benzina
87 kl
gas
723.000 m3
gas
3.223.000 m3
kerosene
874 kl
olio pesante
1.077 kl
olio fluido
98 kl
GLP
2.519 t
SVILUPPO E PROGETTAZIONE
PRODUZIONE IN STABILIMENTO
RIFIUTI 646,9 t
RIFIUTI 21.374 t
carta
468,2 t
carta
200 t (100%)
bottiglie
33,1 t
legno
8.893 t (100%)
lattine
56,1 t
plastica
527 t (100%)
bottiglie in PET
27,6 t
metalli
4.930 t (100%)
tazzine in carta
8,3 t
vetro e ceramica
3.921 t (100%)
rifiuti generici
33,6 t
liquame
2.523 t (100%)
rifiuti incombustibili
20,0 t
altro
380 t (100%)
olio fluido
15.232 kl
TRASPORTO
(tra parentesi il tasso di riciclo)
CO2
CO2
CO2
ammontare delle emissioni di CO2 risultanti
ammontare delle emissioni di CO2 risultanti
ammontare delle emissioni di
dal consumo di energia
dal consumo di energia
CO2 risultanti dal consumo di
44.650 t-CO2
38.467 t-CO2
energia
39.967 t-CO2
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301
MATERIALI i materiali da costruzione sono consegnati da aziende fornitrici
ENERGIA 802.440 GJ
ENERGIA 450.535 GJ
elettricità
17.487 MWh
elettricità
12.575 MWh
benzina
10.464 kl
kerosene
4.577 kl
olio fluido
1.411 kl
olio pesante
2.753 kl
olio fluido
4.576 kl
COSTRUZIONE
OCCUPAZIONE
DEMOLIZIONE E SMALTIMENTO
RIFIUTI 58.876 t
Il grado di impatto ambientale nella fase di
RIFIUTI 228.600 t
occupazione dell’edificio
legno
44.100 t (93%)
metalli
4.800 t (100%)
vetro, ceramica,
35.100 t
carta
7.120 t (100%)
legno
10.175
t
12.570
t
(100%) plastica (100%)
terra, sabbia cartongesso
6.900 t (100%)
metalli
4.274 t (100%)
calcestruzzo
122.400
materiali ceramici
9.597 t (100%)
(100%)
cartongesso
12.203
altri materiali edili
t
(100%) altro
t
15.300 t
(tra parentesi il tasso di riciclo) 2.937 t (100%)
(tra parentesi il tasso di riciclo) CO2
CO2
ammontare delle emissioni di CO2 risultanti
ammontare delle emissioni di CO2 risultanti
dal consumo di energia
dal consumo di energia
34.611 t-CO2
35.627 t-CO2
302
de, pronte per essere impiegate per la realizzazione di beni durevoli, dei quali è importante progettare attentamente il ciclo di vita (dei tempi e dei modi di manutenzione, dismissione, riutilizzo e riciclabilità). Progetto circolare degli edifici 6.3.2 Per pensare al costruito in un’ottica life cycle non è sufficiente affrontare le analisi dei materiali e degli elementi tecnici che compongono i pacchetti costruttivi. L’edificio e anche le modalità d’uso e di gestione del patrimonio edilizio di un Paese possono essere letti ed analizzati per comprendere la propensione alla riqualificazione e al prolungamento del ciclo di vita del costruito. Nella descrizione del processo edilizio e dell’economia circolare è necessario sostituire il concetto di consumatore con quello di utilizzatore. L’esempio più semplice per capire tale differenza è il car sharing, ormai diffuso in molte città; lo stesso è pensabile anche per tutti i beni che non vengono posseduti ma che si ha la possibilità di utilizzare per il tempo necessario a soddisfare il proprio bisogno. Il legame tra tali ragionamenti e lo sviluppo del settore delle costruzioni porta a valorizzare i beni e le risorse sottoutilizzate come, ad esempio, gli alloggi sfitti: è una delle iniziative raccomandate dalla Piattaforma europea sull’efficienza e sull’impiego delle risorse18, piattaforma dove viene data molta importanza anche alla gestione dei rifiuti di costruzione e demolizione. In Europa la metà dei materiali estratti e del consumo energetico nonché un terzo del consumo idrico sono utilizzati per la costruzione e l’uso degli edifici, un settore che genera inoltre circa un terzo di tutti i rifiuti19. Uno degli obiettivi al 2020 che l’Unione Europea pone agli Stati Membri è portare al 70% il volume dei materiali trasformati attraverso il riciclo; tra le misure individuate per raggiungere tale soglia si sottolineano l’aumento delle tasse sul collocamento in discarica dei rifiuti da costruzione e demolizione e, per migliorare la qualità dei materiali riciclati, verranno imposti degli obblighi supplementari di separazione dei rifiuti nelle grandi opere di demolizione20. Accanto ai parametri prestazionali che descrivono il funzionamento in fase d’uso degli edifici acquisiscono rilievo gli studi e i progetti che garantiscono la qualità della costruzione in un contesto più ampio, legato anche alla consistenza materiale dei manufatti. Con il diffondersi degli edifici NZEB e la conseguente riduzione dell’allarme dedicato ai consumi energetici, la valutazione delle prestazioni ambientali degli edifici darà sempre più rilievo alla progettazione della gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione, in questo modo si potrà aumentare la percentuale di materia da convertire attraverso il recupero
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303
o il riciclo. Ad avvallare tale prospettiva vi sono gli indirizzi dell’Unione Europea che, tra gli obiettivi strategici, annovera l’avvio di programmi di ricerca e lo sviluppo dei settori industriali afferenti al progetto e al controllo del fine vita degli edifici sono dedicati a questo tema anche alcuni approfondimenti
16. In Europa la metà dei materiali estratti, metà del consumo energetico e un terzo del consumo idrico sono imputabili al settore edile e al mantenimento in funzione del patrimonio edilizio esistente. Il settore edile genera un terzo di tutti i rifiuti prodotti in Europa. crdt. Chiara Trojetto
RIFIUTI
della commissione per l’efficienza energetica degli edifici21.
CONSUMO
MATERIALI
CONSUMO
ENERGETICO
ESTRATTI
IDRICO
= imputabile al settore edile in Europa
Il diffuso stile di vita che si basa sul modello take – make – use – dispose (prendi – produci – usa – getta) dipende dalla disponibilità degli input di risorse e prescinde dal controllo degli output. Ciò determina un modello industriale ed economico che sociologi ed economisti criticano, sottolineandone la distanza dai modelli organici o biologici in cui ogni output diviene (sempre) input attraverso processi correlati o successivi al primo preso a riferimento. L’insostenibilità dell’approccio lineare è evidente nel momento in cui si constata che le risorse sono, nella maggioranza dei casi, esauribili e non provenienti da fonti rinnovabili: fare riferimento a nuovi input può essere considerato fuorviante la ricerca di uno sviluppo sostenibile22. Devono essere individuati materiali e tecniche costruttive che consentano l’assenza o la ridotta produzione di rifiuti, soluzioni e che agevolino il riuso e il riciclo. A tali scopi, gli edifici LSF possono essere descritti come Future Blockbusters, beni dall’alto potenziale, in quanto consentono di progettare nel dettaglio le soluzioni per il monitoraggio e il mantenimento in funzione dell’edificio, consentono inoltre un più agevole riciclo ed eventualmente anche recupero e riuso dei profili e delle parti dell’edificio assemblate a secco. Nel contesto Europeo e in quello Italiano, in particolare, l’attenzione per la conservazione del patrimonio edilizio esistente pare un’indicazione scontata: (non solo) per tradizione si procede più di frequente alla riqualificazione che alla demolizione e nuova costruzione. In altre nazioni, in cui tutto ciò non è prassi, si stanno costruendo politiche ad hoc per incentivare lo sviluppo di cicli di vita lunghi per il parco immobiliare esistente. Il Giappone tali politiche stanno trovando riscontro negli interesse di alcuni
304
grandi investitori, in uno degli ultimi Sustainability Report23 la Sekisui House descrive le azioni intraprese per arrivare ad un recycling-oriented industrial system, un sistema industriale impostato in modo da consentire e favorire il riciclo. I Sustainability Report sono documenti pubblicati annualmente riguardanti le azioni a favore della sostenibilità ambientale in programma o attuate e monitorate nel tempo, vi si leggono indirizzi in merito: •
alla raccolta di rifiuti del settore edile per l’alimentazione di nuovi cicli produttivi24.
•
all’impiego del sistema detto IC-tag, che consente la misurazione, la suddivisione e la gestione accurata del volume di rifiuti prodotto in ogni cantiere. In questo modo è possibile tracciare con dettaglio il ciclo produttivo che porta le macerie da demolizione a divenire materia prima seconda e, successivamente, nuovo prodotto25.
•
al programma Everloop, con il quale l’azienda ricompra le case Sekisui costruite anni o decenni prima e le rinnova. Ciò consente di ridurre del 70% il volume dei rifiuti condotti usualmente in discarica in cantieri simili; viene inoltre allungata la vita utile delle parti strutturali in acciaio sagomato a freddo che, all’occorrenza, vengono implementate con aste di nuova concezione, che fungono da dissipatori delle onde sismiche.
È difficile comparare le sfide proposte dall’Unione Europea con quelle che Sekisui traduce dagli indirizzi di Governo, sono molto differenti i contesti, le tecniche costruttive tradizionali, la dimensione delle imprese di costruzione e l’idea stessa di casa. Sekisui House dà importanza al prolungamento del ciclo di vita del patrimonio immobiliare offrendo una lettura delle prestazioni degli edifici anno per anno e descrivendo l’andamento generale nei Sustainability Report redatti con scadenza annuale. Questi dati, oltre a mostrare il livello di meticolosità della valutazione, rendicontano gli sviluppi delle azioni volte a ridurre le emissioni di CO2 e a limitare gli sprechi di materiali26. Tali analisi vengono condotte su tre livelli: il primo è di stretta competenza di Sekisui, il secondo è legato alle attività di Sekisui e dei suoi partner e l’ultimo imputabile ai fornitori esterni. Restando in un’ottica di convenienza aziendale è utile notare che le emissioni inquinanti e il consumo di materie prime non sono la prima preoccupazione di chi ha il compito di curare il profitto. Ciò che preoccupa maggiormente è il calo del valore degli immobili al trascorrere del tempo: ad un certo punto della sua vita utile, variabile a seconda di molteplici fattori, un edificio esce dal mercato, non è più vendibile o affittabile se non è “sostenibile”. Le caratteristiche che conferiscono valore agli immobili nel tempo (e dunque possibilità di profitto per l’impresa) sono dettagliate attraverso la raccolta di
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dati durante tutte le fasi di progetto, costruzione e uso. È possibile conoscere esattamente costi, quantità ed elementi tecnici posti in opera; in base a questi dati vengono offerte soluzioni di manutenzione e riqualificazione programmata a 5 anni (obbligatoria per legge in Giappone), a 10, 20, 30 e 60 anni. Rientrano il tale progetto i piani di gestione della durabilità pianificata, alcune soluzioni per sfruttare la flessibilità degli spazi e adattarsi alle esigenze degli utenti (che si evolvono nel tempo) oppure operazioni di recupero e manutenzione programmate e, all’occorrenza, radicali. Vengono inoltre fornite numerose specifiche in merito a quanti e quali materiali da costruzione saranno recuperabili al fine vita dell’edificio, proponendo anche delle stime sul rientro dei costi derivante da tale operazione. È difficile considerare un edificio come un prodotto industriale ma le innovazioni (anche quelle già in essere nel settore edile italiano) consentono di parlare della progettazione, della realizzazione e della manutenzione del costruito adottando alcune delle strategie individuate in questo particolare caso studio giapponese. Si possono conoscere già in fase di progetto i costi energetici, emissioni, aspetti puntuali e dettagli tecnici dell’edificio. Questi ci consentono la descrizione di ogni nuovo intervento (anche sul patrimonio edilizio esistente) con un livello di dettaglio mai raggiunto prima. La tradizione abitativa e costruttiva europea (ed italiana in particolar modo) porta all’ideazione di edifici dal ciclo di vita lungo, questo schema è innovativo e auspicato in alcuni contesti esteri. Siamo invece deboli dal punto di vista della corretta gestione dei materiali quali beni dal ciclo di vita lungo e articolato (troppo spesso materie prime seconde preziose finiscono in discarica). Al confronto: è molto più complesso variare un aspetto culturale (quale quello del breve ciclo di vita delle abitazioni giapponesi) che imparare a leggere dati già potenzialmente disponibili (quali quelli relativi alla tracciabilità dei materiali attraverso i cicli d’uso). Con l’appoggio delle innovazioni software e la tradizionale propensione al lungo ciclo di vita degli edifici non è difficile individuare prospettive di sviluppo per un’industria edilizia caratterizzata da un approccio all’ecologia e all’economia circolare, quale quella che impiega l’acciaio sagomato a freddo.
306
17. Parole e concetti chiave per attuare una transizione verso il progetto circolare. crdt. Chiara Trojetto
aumentare il lasso di tempo durante il quale i prodotti garantiscono le prestazioni per l’assolviDURABILITÁ
mento delle quali sono stati progettati e realizzati (le azioni di manutenzione e riparazione hanno quindi un ruolo molto importante)
SOSTITUZIONE MERCATO ECO-DESIGN RIDUZIONE E SEPARAZIONE RACCOLTA E SEPARAZIONE SIMBIOSI INDUSTRIALE NUOVI MODELLI DI BUSINESS
ridurre l’utilizzo di materiali rischiosi o difficili da riciclare a favore di materiali più adatti; creare o incentivare mercati per materiali riciclati; progettare prodotti che agevolino le operazioni di riparazione, aggiornamento, miglioramento, restauro, riuso e riciclo; incentivare la riduzione dei rifiuti e la differenziazione degli stessi direttamente da parte dei consumatori; incentivare i sistemi automatizzati di raccolta e separazione dei rifiuti che minimizzino i costi delle successive operazioni di riciclo e riuso; facilitare i cluster industriali che trattano i sottoprodotti al fine di prevenirne la riduzione a rifiuto; incoraggiare il noleggio e il leasing come alternative al possesso dei prodotti, dunque, un nuovo tipo di rapporto tra le imprese e i consumatori.
1. L. 30 aprile 1976, n. 373 (G.U. n. 148 del 7 giugno 1976) recante “Norme per il contenimento del consumo energetico per usi termici negli edifici”, poi abrogata dall’art. 37 della L. 10/91, che per la per la prima volta affermò il principio del risparmio energetico quando all’art. 1 impose esplicitamente che “al fine di contenere il consumo energetico per fini termici negli edifici, sono regolate dalla presente legge le caratteristiche di prestazione dei componenti, l’installazione l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici per il riscaldamento degli ambienti e per la produzione di acqua calda per usi igienici e sanitari, alimentati da combustibili solidi, liquidi o gassosi...” introducendo concetti moderni in tema di progettazione degli impianti ed isolamento termico degli edifici. la valutazione del ciclo di vita, in inglese Life Cycle Assessment (LCA), è definito dal SETAC come un procedimento oggettivo di valutazione di carichi energetici ed ambientali relativi ad un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale. (SETAC, 1993). 2. Edificio: “insieme integrato di prodotti edilizi organizzati che deve soddisfare alcune esigenze all’interno di vincoli ben precisi, nel rispetto di una disponibilità di risorse limitate all’interno di un contesto specifico”. UNI 10838.1993. Una caratteristica delle costruzioni che la norma UNI 11277 descrive come la “compatibilità tra il contesto costruito e l’ambiente fisico”. La norma UNI 11277 è stata pubblicata nel 2008 e titola “Sostenibilità in edilizia – Esigenze e requisiti di ecocompatibilità dei progetti di edifici residenziali e assimilabili, uffici e assimilabili, di nuova edificazione e ristrutturazione”. 3. “che cos’è la tecnologia invisibile? Sono i saperi, l’organizzazione e l’intelligenza che concorrono alla realizzazione di un progetto di architettura: i saperi che consentono di finalizzare materiali, macchine e procedimenti, l’organizzazione che fornisce strumenti utili per mettere insieme un gruppo di uomini in grado di concepirlo e costruirlo e l’intelligenza necessaria a far si che esso sia ragionevolmente sicuro, appropriato e duraturo. La tecnologia invisibile, insomma, è quanto di immateriale vi è in un processo produttivo e, in questo contesto, in quello di produzione di un’opera di architettura” (Sinopoli, 2000). 4. In conformità alla definizione di sviluppo sostenibile del Brundtland Report: “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni” (ONU,1987). 5. La serie di norme ISO 14040 Gestione Ambientale – Valutazione del ciclo di vita – Principi e Quadro di Riferimento descrive come realizzare uno studio di LCA completo per qualsiasi tipologia di prodotti, indipendentemente dalla loro natura. 6. Gli “asset complementari” sono i beni necessari per derivare valore da un investimento primario (Teece, 1998). Per esempio, per ricavare valore dalle automobili sono necessari investimenti complementari notevoli in autostrade, strade, stazioni di servizio, officine e in una strutture normativa per impostare standard e controllare i conducenti (Laudon, 2006).
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7. La tempra è un trattamento termico che migliora le proprietà meccaniche di resistenza e flessione, si applica anche a vetro e leghe. 8. Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive. 9. REGOLAMENTO (UE) N. 333/2011 DEL CONSIGLIO del 31 marzo 2011 recante i criteri che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. 10. Rapporto OCSE: “Technology and Economy”, 1992. 11. Le altre sei “regole d’oro” definite dall’OCSE sono: 6: La decentralizzazione del processo decisionale, con responsabilizzazione dei dipendenti. 7: L’esternalizzazione di attività imprenditoriali, attraverso accordi e joint-venture con i fornitori di componenti e materiali a monte e con i distributori a valle. 8: La attivazione di cooperazioni e di processi di esternalizzazione delle attività a piccole imprese del settore. 9: Un basso livello di divisione del lavoro all’interno dell’impresa e l’organizzazione del lavoro in team. 10: L’attribuzione di una maggiore importanza e di maggiori investimenti in addestramento, che si confaccia alle vocazioni dei formandi. 11: La valorizzazione delle competenze di impiegati ed operai, di cui va valutato impegno, competenza e produttività. 12: L’adozione di nuove modalità di gestione del personale. 12. Si noti la somiglianza tra questa considerazione e la definizione di “requisito”: “traduzione di un’esigenza in fattori atti a individuarne le condizioni di soddisfacimento da parte di un organismo edilizio o di sue parti spaziali o tecniche, in determinate condizioni d’uso e/o di sollecitazione” (UNI 10838:1999). 13. International Council for Research in Building and Construction (www.cibworld.nl). 14. COM(2014) 398 final/2: Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni – “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti”. 15. L’energia globale di un materiale prende in considerazione l’energia utilizzata per la costruzione dell’impianto di estrazione e prima lavorazione; quella consumata nell’estrazione e trasporto; quella necessaria per i servizi di supporto e trasporto in cantiere; quella occorrente per il trasporto di risorse necessarie per utilizzare quel dato materiale. 16. Molti documenti, tra cui il Manifesto della Piattaforma, sono disponibili alla pagina http://ec.europa.eu/environment/ resource_efficiency/re_platform/index_en.htm. 17. COM(2011) 571, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni – “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” 18. COM(2007) 860 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni – “Mercati guida: un’iniziativa per l’Europa” 19. COM(2014) 398 final/2: Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni – “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti”. 20. COM(2014) 445 final: Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Opportunità per migliorare l’efficienza delle risorse nell’edilizia”. 21. Ellen MacArthur Foundation, Towards the circular economy – Accelerating the scale-up across global supply chains, Isle of Wight (UK), 2014 22. Sustainability Report 2012, Sekisui House LTD. 23. Risale al 2004 il permesso governativo per fare ciò e la Sekisui House vanta di essere stata la prima impresa ad aver ottenuto questo nullaosta. 24. Lo sviluppo di prodotti per l’edilizia a partire da materiali grezzi riciclati ha consentito di realizzare Platama Powder©, gesso fatto con cartongesso dismesso e gusci di uova. 25. Dalla lettura degli ultimi quattro Sustainalbility Report si può notare che, all’aumento del numero degli immobili, non corrisponde un proporzionale aumento delle emissioni di CO2 e dei consumi energetici totali (questi risultano pressoché invariati). 26. DIRETTIVA 2009/125/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO. del 21 ottobre 2009 relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia. Essa riguarda tuttavia solo alcune categorie di prodotti: alimentatori esterni, elettrodomestici, dispositivi di riscaldamento e raffreddamento, consumo di energia elettrica, prodotti per l’illuminazione domestica e l’industria dei servizi.
310
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Tutte le immagini utilizzate all’interno del presente volume riportano i crediti che rimandano agli autori delle immagini stesse. Le immagini che non riportano specifici crediti sono state reperite in archivi disponibili gratuitamente on line. Le icone utilizzate sono reperibili nel sito thenounproject.com: Man – created by Matt Brooks, Truck – created by Veronika Karenina, Factory – created by Owen Payette McGarry, Boxes – created by Lorena Salagre, Gears – created by Max Hancock, Precious-Ore – created by Deivid Saenz, Barrel – created by Karthik, Family – created by Yi Chen, Create database – created by Ilsur Aptukov, Coal-Trolley – David Chapman, Leaf Created by Dmitry Baranovskiy, Wheat Created by The Crew at Fusionary, Earth Created by Ben King, Flame Created by Nadav Barkan, Compost-Bin Created by Hannah Coward, Wrench Created by John Caserta, Delivery Created by Rafael Farias Leão.
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Sitografia
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www.construiracier.fr
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www.cssbi.ca
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www.foursteelwalls.co.uk
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www.nash.asn.au
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www.steelconstruction.info
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www.steelconstruct.com
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www.steelframing.org
Compagnie e società internazionali •
www.arcelormittal.com
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www.constructitalia.it
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www.aegismetalframing.com
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www.ruukki.com
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www.scottsdalesteelframes.com
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www.sekisuihouse.co.jp
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www.tatasteelconstruction.com
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www.tetaecoliving.it
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www.sistemacipa.it