6° ENERGY FORUM sugli
Involucri Solari
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06 - 07 dicembre 2011, Bressanone, Alto Adige
1° Giorno - Martedì, 6 dicembre 2011 Oratore speaker
James Law, Cybertecture International, Hong Kong
Sessione 1 Sessione 2
Involucri edilizi intelligenti e adattivi
Aspetti del costo sull’integrazione del fotovoltaico nelle facciate Sessione 3
Sessione 4
Le lezioni apprese dai progetti BIPV
Sviluppi innovativi nel fotovoltaico e nelle vetrate
2° Giorno - Mercoledì, 7 dicembre 2011 Sessione 5 Sessione 6
Accessibilità e commerciabilità delle Case Energy Plus
Ventilazione naturale e comportamento termico dell’involucro
Sessione 7 Sessione 8
Illuminazione diurna e ombreggiamento avanzati
Modelli, strumenti e simulazioni per gli involucri solari
Workshop - Lunedì, 5 dicembre 2011 Integrazione redditizia delle fonti energetiche rinnovabili negli edifici esistenti grattacielo Workshop organizzato dai partner del progetto europeo Cost-Effective
Economic Forum, Monaco - Bolzano - Tel. +39 0471 340 050 - Fax +39 0471 089 703 - info@energy-forum.com - www.energy-forum.com
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Il convegno si terrà in Italiano e Inglese con traduzione simultanea in entrambe le lingue. Il costo di partecipazione è di € 480 e comprende gli atti congressuali, due pranzi e le pause caffè.
Paolo Carli Politecnico di Milano
A Cassinetta di Lugagnano, vicino a Milano, negli ultimi 9 anni, le uniche costruzioni realizzate sono state la scuola materna e un centro per anziani. Tutto il resto dell’attività edilizia è consistito in recupero e riconversione. Un Piano di Governo del Territorio a consumo di suolo zero, il primo in Italia.
Cassinetta di Lugagnano, primo Comune in Italia a consumo di suolo zero
Cassinetta di Lugagnano si trova vicino ad Abbiategrasso, a circa 20 km da Milano in direzione S-E. Ha una superficie di 3,32 km2, una popolazione di 1.883 abitanti e una densità di 567 ab/km2 (fig. 1). Cassinetta di Lugagnano è uno dei tanti Comuni che si affacciano lungo l’asta del naviglio Grande (figg. 2a, 2b), con molta campagna, o qualcosa di simile, un borgo storico compatto e interessante e, di solito, un’espansione residenziale e commerciale senza criterio. È corretto dire “di solito”, perché in questo comune la crescita edilizia incontrollata non c’è. Anzi, negli ultimi 9 anni le uniche costruzioni realizzate sono state la scuola materna e un centro per anziani. Tutto il resto dell’attività edilizia consiste in recupero e riconversione: vecchi edifici, cascine e abitazioni, tutti in pessimo stato, risistemate e restituite, almeno visivamente, alla comunità. Non a caso Cassinetta di Lugagnano è anche Riserva della Biosfera tutelata dall’UNESCO. Qui hanno un Piano di Governo del Territorio (PGT) a consumo di suolo zero, anzi, sono stati il primo Comune in Italia a proporlo, sono i capostipiti indiscussi di una scuola di gestione politicoamministrativa del territorio innovativa, votata al riuso e alla conservazione. Promotrice del PGT più innovativo d’Italia è stata la
giunta presieduta dal Sindaco Domenico Finiguerra, classe 1971. La giunta è al secondo mandato, Sindaco e Assessori sono stati eletti per la prima volta nel 2002 con il 51% delle preferenze e poi riconfermati nel 2007 con quella che si definisce una maggioranza bulgara: oltre il 63% dei voti. In occasione di questo numero de IlProgettoSostenibile, ci è sembrato opportuno cominciare ad approfondire il tema dal livello nel quale le resistenze culturali agli usi innovativi e diversi dal solito, improntati alla conservazione e decrescita invece che al consumo incessante, hanno più difficoltà ad attecchire. Il Sindaco Finiguerra, che probabilmente preferirebbe essere chiamato Domenico senza nessuna apposizione burocratica, per sfatare questa convinzione mi ha permesso di rivolgergli qualche domanda nel suo ufficio nel Municipio di Cassinetta di Lugagnano. Paolo Carli: Prima di contattarla e di pensare1 le domande più interessanti da porle, ho cercato su Google alcune informazioni. L’inserimento del nome Domenico Finiguerra ha prodotto 71800 risultati. Un suo ipotetico collega di un Comune con una popolazione simile a quella di Cassinetta di Lugagnano, con le stesse modalità di ricerca, viene citato mediamente tra le 5000 e le 8000 voci, suppergiù dieci volte meno quindi. Considerata la
visibilità che può avere un Comune come Cassinetta, qual è il motivo di questa differenza? Domenico Finiguerra: La risposta è semplice. Credo che questa nostra grande esposizione, soprattutto in rete, sia dovuta al fatto che il nostro PGT è una cosa semplice: abbiamo detto basta al consumo di territorio in un Comune della Provincia di Milano; però è una cosa talmente semplice da essere in controtendenza rispetto a quello che succede in tutta Italia. Ha per ciò incontrato l’interesse di tutte quelle realtà amministrative, politiche, di movimento ma anche di urbanisti e accademici che affermavano da tempo la stessa cosa: ovvero che si deve interrompere questo ciclo vizioso, presente soprattutto in Italia, che punta tutto sul nuovo, sulla crescita infinita, lo sprawl e la città continua. Poi è stata un’onda abbastanza anomala: sono arrivate le televisioni, i giornali e abbiamo incontrato tante altre persone incuriosite e interessate. Perché la nostra esperienza/proposta non è più solo di Cassinetta di Lugagnano. In effetti, dopo Cassinetta di Lugagnano, anche il Comune di Camigliano, nel casertano, sta redigendo un PGT a crescita zero e con gli stessi principi del vostro. Esatto. Per esempio la Provincia di Torino ha deciso e ha scritto nel PCPT un indirizzo molto secco e preciso: non si costruisce su terreno fertile ma
Figura 1. Inquadramento (tavola grafica) del Documento di Piano. Figure 2a e 2b. Schizzi progettuali (Piano del Colore) della sponda lungo il Naviglio in prossimità della piazza di fronte a Villa Clari Ronzini (2a) e di Piazza Negri (2b).
si usa quello che è già esistente. Molti Comuni stanno iniziando a proporre PGT a crescita zero. C’è Camigliano, ma anche Corbetta, un Comune della Provincia Milanese di 14000 abitanti; e in Provincia di Bergamo, a Sorza, stanno facendo la stessa cosa. Il tema della crescita zero (o della decrescita) ha una storia teorica lunga e poco conosciuta: Nicholas Georgescu-Roegen, John Ruskin in Gran Bretagna, Henry David Thoreau negli USA, Leo Tolstoy in Russia; più recentemente il thinktank Club di Roma, Jean Baudrillard, o ancora nella contemporaneità Serge Latouche e altri economisti; in che solco teorico nasce il vostro PGT? Come è nata culturalmente questa volontà? Quando abbiamo scritto il programma elettorale, nel 2002, ci siamo guardati attorno, in provincia di Milano, per vedere cosa facevano gli altri Comuni e abbiamo visto che tutti costruivano come dei forsennati. Poi c’è stato anche un ragionamento di tipo finanziario alla base. Il bilancio di un Comune che si finanzia con entrate una tantum, ovvero gli oneri di urbanizzazione, non è sostenibile. Perché il circolo vizioso è quello: il Comune non ce la fa a pareggiare il bilancio, ha però il pezzo di terreno da lottizzare, entrano gli oneri e si pareggia il bilancio. E così tutti gli anni. Però è un meccanismo che prima o poi porta al
fallimento. Alla fine la terra finisce. Emancipare il bilancio di un Comune dall’alienazione del proprio patrimonio è una cosa di buon senso, anche finanziario. Siamo partiti quindi da uno sguardo sul territorio e abbiamo deciso di scrivere questa cosa del consumo zero di territorio nel programma elettorale. Poi in questi 9 anni in cui abbiamo portato avanti la nostra visione, abbiamo incontrato tantissime altre reti in giro per il paese, studiosi, teorici e accademici: da Maurizio Pallante a Serge Latouche, Mauro Bonaiuti e Luca Mercalli, ci siamo confrontati con loro e abbiamo imparato gli uni dagli altri. Le cose che sto dicendo oggi le ho imparate nel tempo, sono il frutto di una contaminazione e di una consapevolezza dovute al fatto che la nostra esperienza si è inserita in un percorso culturale complessivo e condiviso da molte altre persone. E questo tipo di percorso ci ha dimostrato che la nostra scelta è stata giusta. Forse il punto di svolta è l’aver legato la nostra piccola esperienza di amministratori a un quadro culturale già in movimento, lo scatto in più è stato che tutta la teoria deve avere, a un certo punto, la traduzione in pratiche concrete. Bisogna entrare nella stanza dei bottoni e fare le cose. Non si può cambiare il modello solo attraverso i libri e i convegni, ma facendo leggi, delibere e mettendo in campo
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Figura 3. Naviglio Grande all’altezza della deviazione della Roggia Visconta presso Cassinetta di Lugagnano. Figura 4. Villa Visconti sul Naviglio Grande a Cassinetta di Lugagnano.
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politiche. Tutto questo genera ulteriore cambiamento, viene portato come esempio ed è uno strumento in mano alle persone, che poi vanno alle assemblee a Milano sul PGT e dicono di fare come nel Comune di Cassinetta.
da tutta Italia, stesse seguendo il nostro stesso percorso. Infatti siamo legati ad altre realtà e territori, siamo “gemellati” col movimento NO TAV, No Dal Molin, con i comitati contro le Grandi Opere ecc., quindi siamo entrati in un circuito nazionale e su queste iniziative ci siamo articolati, incrociando esperienze e mettendoci a loro disposizione.
A questo proposito, dalla teoria alla pratica: Cassinetta di Lugagnano ha una fortissima volontà di conservare tutta la SAU2 possibile, per una questione sia morfologicopaesaggistica sia alimentare. Da quest’ultimo punto di vista, alla politica di conservazione della SAU farà seguito anche una strategia alimentare per una filiera produttiva più sostenibile di quelle attualmente in atto? Non sono stati attivati direttamente da noi, ma siamo stati partner di vari soggetti che nel territorio si muovono in quella direzione. Ad esempio si è costituito un consorzio di aziende del Parco del Ticino e del Parco Sud, il Consorzio Terre e Acqua, che ha trasformato in biologico parte della propria produzione, che ha aperto B&B, che ha stretto rapporti con GAS3 e quindi la filiera corta. Da parte nostra c’è stato il ruolo dell’istituzione che facilita il processo. Noi abbiamo messo a disposizione quello che potevamo, cioè spazi e attivazione di processi per facilitare le cose, una sorta di isola protetta dove chi aveva qualcosa da condividere su questo tema poteva trovare una deriva; informazioni e aiuti per chi, da tutta la Lombardia e
Parte integrante del processo di crescita zero che avete attivato è stato il confronto con i vostri cittadini circa l’aspetto economico della gestione comunale. In un paese in cui chi paga le tasse è spesso considerato un “fesso”, che tipo di risposta avete avuto dai vostri cittadini? Noi abbiamo fatto molte assemblee pubbliche, il consiglio comunale dei ragazzi, una serie di iniziative di comunicazione e di rapporti con la cittadinanza. La gente, di fronte alla scelta tra continuare il circolo vizioso degli oneri di urbanizzazione a discapito del territorio oppure tutelare il territorio per le prossime generazioni facendo dei sacrifici, non ha avuto dubbi. In particolare, il tema delle tasse è stato affrontato in occasione della realizzazione della nuova scuola materna, di cui il Comune aveva un gran bisogno. Quando abbiamo dovuto scegliere come finanziarne la costruzione, abbiamo chiesto ai cittadini: volete che facciamo ancora la solita lottizzazione o aumentiamo l’ICI? La risposta è
stata: aumentiamo le tasse. Abbiamo portato l’ICI al massimo e con quello che entra in più nelle casse del Comune paghiamo il mutuo della scuola. E abbiamo anche aumentato l’offerta di servizi individuali. Il fatto è che non c’è mai stata, da parte dei cittadini, alcuna forma di protesta. Sostanzialmente, i politici si vergognano di chiedere le tasse ai cittadini perché negli ultimi cinquant’anni la pressione fiscale è aumentata a fronte di una continua diminuzione dei servizi pubblici. Il problema delle tasse, a mio avviso, è un problema di credibilità della classe politica. La politica italiana non è più abituata a proporre progetti di lungo periodo e a immaginare degli scenari futuri. È tutta nell’immediato, parla solo alla pancia degli elettori, cercando di accattivarsi la loro simpatia nel momento giusto; non cerca di conquistarne la fiducia per un progetto complessivo. Io sono d’accordo con l’ex Ministro Padoa Schioppa, pagare le tasse è bello. Perché è parte di quello su cui si costruisce il contratto sociale, il rapporto tra cittadini e istituzioni. Sono molto critico circa il federalismo fiscale, ma la tassa di scopo che viene prevista mi interessa molto, perché mette i cittadini nella condizione di avere una diretta traduzione di quello che pagano in cose che vedono. Anche il vicino Comune di Corbetta, che ha circa 14.000
abitanti, sta redigendo un PGT a consumo zero. Cassinetta di Lugagnano o Camigliano, che ne hanno solo circa 2000, sono molto più piccoli. Dove la piccola dimensione comunale rafforza la pratica e dove la inibisce? La piccola dimensione può sicuramente aiutare nell’avere un rapporto più diretto tra cittadini e amministratori; si possono spiegare meglio le scelte e le strategie, spiegare bene alcuni passaggi e avere un dialogo tra elettori e politici. D’altro lato però se scontenti una decina di famiglie lo avverti. Nei Comuni grandi riesci a gestire meglio questo aspetto: ma per farlo hai bisogno di corpi intermedi che facciano da filtro agendo sul territorio. In un Comune grande non basta il Sindaco che parla ai cittadini, c’è bisogno di qualcuno che si faccia carico di spiegare le cose agli elettori, di essere motore del cambiamento culturale che dovrebbe sottendere il famoso cambio di paradigma, quello che una volta facevano i partiti che oggi non ci sono più. Il cambiamento deve passare per forza attraverso un’ampia condivisione. Poi, sempre sulle difficoltà, sono convinto che in un Comune piccolo sia più difficile smettere di costruire, dal punto di vista tecnico, che in uno molto grande. Prima di tutto perché di un Comune molto piccolo (inteso come superficie di tessuto edilizio consolidato, NdA) fa molta gola l’ampio territorio a disposizione rispetto
Figura 5. Estratto del Piano del Colore (prospetto delle ville lungo il Naviglio e parte del prospetto di via Roma).
Per le immagini delle figure 1, 2, 5 e 6, si ringrazia lo studio Antonello Boatti e Silvia Paolini Architetti Associati.
Figura 6. Estratto della Guida agli elementi architettonici-costruttivi e abaco morfologico.
al costruito. Infatti, la grossa crescita dei piccoli Comuni dell’hinterland milanese degli ultimi vent’anni, è dovuta a quello. Sono passati dai 2-3000 ai 10-15000 abitanti. Rho, Pero, Opera, Cesano Boscone, molti Comuni della cintura milanese, fino a pochi anni fa erano come Cassinetta: Comuni agricoli con ampie superfici di territorio a disposizione, che però hanno subito la pressione edilizia di Milano e le continue richieste di costruzione; è molto difficile per un piccolo Comune dire “no”, dal punto di vista finanziario, ai costruttori. Invece penso che proprio in un Comune grande come Milano ci siano tutte le leve da poter azionare per evitare di aver bisogno delle lottizzazioni del territorio e degli oneri di urbanizzazione per pareggiare i bilanci. Ci sono tanti strumenti che si possono mettere in campo. Noi qui ci siamo dovuti inventare di tutto: i matrimoni a mezzanotte e i led al cimitero, nessuna spesa di rappresentanza, siti e servizi on-line che gestiamo noi del Comune, nessuna spesa di stampa né addetti; una grandissima fatica insomma per risparmiare risorse e andare avanti. Rimanendo nell’ambito dei rapporti amministrativi con altri Comuni, che tipo di rapporto intercorre tra Milano e la sua invasività territoriale rispetto a Cassinetta? Qual è, ad oggi, il vostro rapporto con la Provincia e la Regione? La redazione di un PGT così
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ideologicamente forte come è stata vista dagli organi politici sovracomunali? Malissimo. Sia da destra che da sinistra, soprattutto dalla
Provincia di Milano. Il rapporto con Milano è del tutto orfano di interlocutori. L’assenza del Sindaco di Milano, per chi come noi
propone una politica ambientale e urbanistica diversa, si sente. Il Sindaco di Milano, che avrebbe dovuto svolgere un ruolo di leadership,
non si è fatto carico di un progetto più ampio e condiviso sul territorio, propone solo una politica di grandi infrastrutture e progetti. Ad esempio, a Milano entrano 500.000 auto al giorno, ma non c’è un progetto complessivo sulla rete di piste ciclabili, in grado di raccogliere almeno quelli che abitano nella prima cintura di Comuni milanesi e che potrebbero tranquillamente andare in città in bici. Non ci si spiega perché a Monaco si possano fare 15 km in bici dal centro alla periferia senza incontrare un intoppo mentre a Milano, se provi a fare via Lorenteggio, ti asfaltano! Non c’è mai stata una politica seria di questo tipo sulla mobilità pubblica e privata. Restando in argomento, il vostro PGT non assume come destino ineluttabile la costruzione della bretella, da Cusago a Malpensa, della tangenziale Ovest di Milano, che insiste sul Cassinetta e in particolare su ampi brani di territorio agricolo. Come si configura questa volontà di non costruire con strategie urbanistiche regionali e provinciali? Dal fatto che quel progetto lo teniamo praticamente bloccato da nove anni! Il progetto è del 2001, noi ci siamo insediati nel 2002 e abbiamo dovuto subito affrontare questo problema. Abbiamo fatto ricorsi su ricorsi a tutti i livelli, ho presentato personalmente un esposto all’UNESCO4 che ha minacciato
la Provincia di revocare il loro riconoscimento in caso di costruzione della bretella; l’opposizione del territorio è poi stata massiccia. Noi abbiamo tenuto duro contro questo progetto e continueremo a farlo. E in realtà è stato anche semplice, abbiamo solo dovuto fare due esposti, uno alla Sovraintendenza ai Beni Culturali di Milano e una all’UNESCO: e questo è bastato per bloccare la macchina del progetto, il che la dice lunga anche sulla capacità di pianificazione e programmazione di Regione e Provincia se basta l’opposizione di un Comune di 1800 abitanti per bloccare tutto. In un territorio come il vostro, caratterizzato dal pregio paesaggistico, inserito nel Parco del Ticino e salvaguardato dall’Unesco come oasi di biodiversità da conservare, se un Comune molto prossimo desse l’assenso per la costruzione, ad esempio, di una centrale nucleare, molti dei vostri sforzi si rivelerebbero inefficaci. Come vi ponete rispetto a questi problemi? E ancora, il vostro Comune fa parte dell’Associazione dei Comuni Virtuosi. Che progetti o prospettive avete all’interno dell’associazione? Sono stati avviati dei progetti a rete? È anche in questo che consiste la nostra azione politica al di fuori dei confini Comunali. Abbiamo un livello di politica amministrativa comunale: la gestione del territorio, dei rifiuti
e dei servizi ai cittadini di Cassinetta di Lugagnano; poi abbiamo sempre cercato di avere un altro livello di politica perlomeno sovracomunale, se non proprio regionale e/o nazionale. Questo per cercare di non tutelare solo il nostro cortile ma anche il cortile d’Italia più in generale. Rispetto al rapporto con gli altri Comuni vicini, con alcuni è ottimo e di scambio, come l’esempio con Corbetta; per il resto, i Sindaci dei Comuni limitrofi, indipendentemente dallo schieramento politico, non mi possono vedere! Soprattutto quando si parla di urbanistica e di territori. Il partito del cemento non ha colore politico, è trasversale. Per questo noi cerchiamo di contaminare politicamente gli altri Comuni qui attorno. Ad esempio, con Settis5 abbiamo in programma una manifestazione nazionale sulla conservazione del paesaggio per cercare di formare un’opinione pubblica su questo argomento. Una delle vittorie culturali, non ancora tecnica o politica, più importanti è stata la dichiarazione di Renzi, Sindaco di Firenze, che vuole per la sua città un PGT come il nostro a consumo di suolo zero. Il fatto che Renzi, molto attento all’opinione pubblica, dichiari una cosa del genere, vuol dire che la sensibilità dei cittadini e dei politici su questo argomento sta cambiando. Sempre rimanendo sulle questioni del rapporto tra Cassinetta e il PTCP6, anche dal punto di vista del commerciale
a grande scala, avete fatto delle scelte forti come sviluppare e conservare il sistema commerciale a piccola scala e urbano. Avete subito o colto delle pressioni per ammorbidire la vostra posizione su questo punto? All’inizio le richieste di costruzioni residenziali e commerciali sono state tante, come quotidianamente succede nei piccoli Comuni. Poi, quando è emersa in maniera così chiara ed eclatante la nostra posizione, hanno smesso perfino di venire a chiedercelo. Sarà almeno un anno che non ricevo richieste di permessi di costruzione. La nostra politica urbanistica, magari inconsapevolmente, ha tenuto alla larga i veri speculatori. Minacce esplicite non ce ne sono mai state, proprio perché, attraverso l’attività politico-culturale che portiamo avanti, la nostra posizione sul tema è talmente visibile e chiara da rendere inutili certe azioni. L’assenza di zone grigie nella gestione del territorio, data la forma partecipata e limpida delle scelte e la nostra sponsorizzazione del consumo zero a livello nazionale, ha poi costruito una coerenza delle scelte comuni; abbiamo portato in piazza l’urbanistica. Entriamo nel merito quantitativo del vostro PGT, redatto dall’architetto Antonello Boatti, professore del Politecnico di Milano. Nel Documento di Piano avete quantificato in 3,6%
l’incremento di abitanti nel vostro Comune entro il 20157. Queste nuove persone verranno assorbite all’interno del territorio comunale senza dover costruire mezzo m3 residenziale. Avete fatto quindi un censimento degli edifici vuoti da recuperare? Con che criteri avverranno questi recuperi? Prima di tutto, proprio il professor Boatti e il suo gruppo hanno effettuato un calcolo per rilevare il saldo naturale del Comune e quantificare il bisogno di alloggi nel tempo, calcolando quindi il numero di vani a disposizione fino al 2015 a Cassinetta di Lugagnano. Abbiamo discusso a lungo sulle strategie di fondo, sulla difficoltà di gestire il consumo di suolo zero, programmando anche un recupero degli spazi pubblici. Inoltre, l’impossibilità di costruire per i privati ha ingenerato un fenomeno a catena di riqualificazione degli spazi e degli edifici, aumentando la qualità complessiva del Comune. Ad esempio, la scuola materna è stata costruita ex novo perché era in locali inadatti, ma negli spazi che sono stati lasciati liberi abbiamo subito organizzato la nuova biblioteca e un centro polifunzionale, nonché un punto di ristoro e di acquisto per i GAS. Lo stesso per il centro per gli anziani, anche quello ormai inadatto, che stiamo spostando in un nuovo edificio, recuperando sempre a funzioni pubbliche gli spazi liberati. Dato l’interesse paesaggistico del territorio, nonché l’essere Oasi tutelata dall’UNESCO,
stiamo anche cercando di aumentare l’offerta turistica del nostro Comune. Dal punto di vista dei criteri per il recupero degli edifici, invece, abbiamo un piano del colore molto dettagliato, redatto dallo stesso Boatti. È una specie di grande piano di recupero di tutto il centro storico, che entra molto nel dettaglio su come devono essere i colori, i materiali, le persiane, i marcapiano ecc. in maniera da mettere il privato, che vuole recuperare un edificio, in possesso di uno strumento pronto all’uso (figg. 3 e 4). Dal punto di vista dell’energia per la residenza, stiamo scrivendo ora il regolamento edilizio del Comune e sarà un regolamento che va nel senso della bioedilizia, strutturato sugli esempi dei regolamenti edilizi di Corbetta e soprattutto di Carugate. La vostra gestione del territorio e dell’edilizia comunale si basa evidentemente sul concetto delle buone pratiche, soprattutto per i privati cittadini. Avete attivato strumenti e agevolazioni in questo senso? Qualcosa come un sistema di premiazione per i comportamenti virtuosi? Purtroppo no. Abbiamo un piccolo premio per i cittadini sulla raccolta differenziata, perché siamo stati storicamente interessati all’argomento, abbiamo un sistema a punti per i rifiuti gestito da un eco-centro, siamo inseriti nel circuito del Consorzio dei Navigli e siamo stati tra le prime realtà in Italia
a partire con la differenziata e la tariffazione. Se ci fosse una quota di contributi che arriva dallo Stato ai Comuni legata a questo tipo di iniziative e al riconoscimento del bene ambientale, nascerebbero decine di progetti simili! Oggi invece i fondi che arrivano dallo Stato vanno proprio nel senso opposto, sono fondi strutturali e investimenti pensati solo per la costruzione di svincoli, bretelle, strade, capannoni ecc. Noi, quindi, abbiamo dovuto inventarci delle cose senza risorse a disposizione per fare una politica attiva di diffusione di buone pratiche. È il problema di cui si parlava prima, della mancanza di strategia di lungo periodo nella politica italiana. La mancanza di una forma di rendicontazione del valore ambientale è un problema generale. La voce economica “perdita di valore agricolo, di valore ambientale e naturale” non esiste. Quanto vale il paesaggio italiano? Potremmo vivere di questo; invece, in termini economici, vale molto di più il grattacielo a banana. E infine una domanda provocatoria. Rispetto a Expo2015, qual è la posizione del Comune di Cassinetta di Lugagnano? Bè, abbastanza ovvia, basti dire che l’unico Sindaco della provincia di Milano che si è espresso pubblicamente contro l’Expo2015 sono stato io. Mi ricordo bene la pagina del
giornale, era divisa a metà: da una parte la posizione del Sindaco di Milano e dall’altra quella del Sindaco di Cassinetta di Lugagnano; il che la dice lunga. Su quella pagina dovevano esserci altri Sindaci di città ben più importanti di Cassinetta. Al di là del titolo “Feeding the planet”, l’Expo2015 è il pretesto per un’ulteriore possibile colata di cemento sul Parco Agricolo Sud e sul Parco del Ticino; la stessa scelta di creare questa infrastruttura viabilistica, questa sorta di secondo anello (vedi la bretella da Cusago a Malpensa della tangenziale Ovest, NdA) ci sembra, in modo preoccupante, il tentativo di tracciare un nuovo confine della crescita insediativa di Milano da saturare con nuove operazioni, proprio come è successo con il primo anello tangenziale di Milano. Note 1 - Di concerto con il prof. Gianni Scudo. 2 - Superficie Agricola Utile. 3 - Gruppi di Acquisto Solidale. 4 - Come si diceva nell’introduzione Cassinetta di Lugagnano è Riserva della Biosfera tutelata dall’UNESCO. 5 - Salvatore Settis, Paesaggio Costituzione Cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Torino, Einaudi, 2010. 6 - Piano Territoriale di Cordinamento Provinciale. 7 - La normativa di riferimento stabilisce in 12 m2/ab per Comuni sotto i 10.000 abitanti lo standard residenziale. Cassinetta era a 29,17 m2/ab, col nuovo PGT a crescita zero passerà a un rapporto di circa 30,91 m2/ab.
29. ilProgettoSostenibile Il progetto locale. Valorizzare il territorio
TECNOLOGIE E INNOVAZIONE
2. 10.
Cassinetta di Lugagnano, primo Comune in Italia a consumo di suolo zero Paolo Carli
60.
Le fonti rinnovabili a servizio delle tecnologie per le strutture urbane di comunicazione Giuseppe Menta, Fabio Morea
Editoriale Gianni Scudo
68.
Sostenibilità energetica e bonifica ambientale nel recupero di aree contaminate Maria Irene Cardillo
FOCUS
STUDI E RICERCHE
12.
Il progetto locale: coscienza di luogo e autosostenibilità Alberto Magnaghi
78.
Uso del suolo e dei trasporti in forma integrata: la città policentrica e il trasporto collettivo Luca Staricco
22.
Il bioregionalismo nelle esperienze italiane ed europee David Fanfani, Claudio Saragosa
82.
Le reti territoriali come incontro tra ambiente naturale e ambiente urbano Rossella Franchino, Miriam Amorim, Matteo Nigro
30.
La rigenerazione del territorio: un manifesto per la neoruralità Giorgio Ferraresi
86.
Interventi di rigenerazione urbana: criteri per il recupero sostenibile dei centri storici Carlo Patrizio
36.
La sovranità energetica come co-agente dello sviluppo locale: metodologia e caso studio Luigi Bertazzoni, Matteo Clementi, Grazia Garrone, Gianni Scudo, Francesca Soro, Paolo Vasino
90.
Riqualificazione agro-energetica dell’ambiente urbano. Il caso del Fosso della Cecchignola a Roma Fabrizio Tucci, Francesca Romano
44.
94.
Detroit, la città in discussione: crisi urbana e agricoltura urbana Valeria Fedeli
Urban Farming: due esperienza di ricerca di riqualificazione tecnologico-ambientale a confronto Alessandra Battisti
52.
RICICLAB: un laboratorio didattico mobile sul territorio Rossana Raiteri, Andrea Giachetta
30
68
ilProgettoSostenibile Ricerca e tecnologie per l’ambiente costruito Rivista trimestrale / Anno 9 - n° 29 settembre 2011 ISSN 1974-3327
Comitato scientifico Focus: Isabella Amirante, Carlotta Fontana, Robert Hastings, Virginia Gangemi, Rosario Giuffrè, Mario Grosso, J. Lopez de Asiain, Fabrizio Orlandi, Rossanna Raiteri, Marco Sala, Mat Santamouris, Rafael Serra, Willi Weber, Simos Yannas
Registrazione Trib. Gorizia n. 5/03 del 9.9.2003 numero di iscrizione ROC: 8147
Redazione: Lara Bassi, Lara Gariup
Direttore responsabile: Ferdinando Gottard
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TESI DI DOTTORATO 100.
Eco-management dell’ambiente costruito: sistemi di rating ed indicatori ambientali per l’edilizia residenziale Simone Bernardini
101.
L’efficienza energetica nel recupero dell’edilizia storica: una proposta metodologica per il recupero energetico dei centri storici Elisa Vita Caivano
102.
Il Sistema Informativo per la manutenzione delle pavimentazioni urbane. Articolazione e criteri di stesura Lucia Carrubba
103.
Indagini fisiche per la diagnostica dello stato di conservazione della cripta del duomo di Lecce Delia D’Agostino
104.
Confronto tra i livelli di ecosostenibilità, biocompatibilità e convenienza del fotovoltaico a film sottile e di quello organico Cristian Filagrossi Ambrosino
105.
Abitare il suolo. Requisiti per un modello sostenibile d’uso abitativo del suolo Luigi Foglia
106.
Analisi della qualità acustica degli edifici italiani dal dopoguerra ad oggi e soluzioni per l’adeguamento degli edifici ai nuovi standard acustici Elisa Nannipieri
82
107.
Il progetto dell’esistente - Strumenti, processi e metodi per il recupero, la riqualificazione e l’adeguamento tecnologico, energetico e ambientale degli edifici per uffici Carlotta Pediconi
108.
Zona Mobile. Tecnologie per l’integrazione architettonica di elementi schermanti mobili Alessandro Premier
109.
Lo sviluppo delle infrastrutture / Infrastrutture per lo sviluppo Modelli e-volutivi: le micro reti locali ed i nuovi assetti, materiali ed immateriali, per le città intelligenti Maurizio Sibilla
110.
Evaluation of the Surface Albedo in a LCA Multi-scale Approach. The Case Study of Green, White and Black Roofs in New York City Tiziana Susca
111.
La città nascosta - Conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico urbano Alessandro Tricoli
108
10 _ ilProgettoSostenibile 29
Gianni Scudo Direttore scientifico
Figure 1, 2, 3. Immagini del Parco Agricolo Sud di Milano. Le foto sono state realizzate dagli studenti del Laboratorio di Urbanistica (Facoltà di Architettura e Società Politecnico di Milano, A.A. 2008-2009) tenuto dai proff. G. Ferraresi, A. Calori, F. Coviello, M. Baietto.
Editoriale
Il riemergere ciclico della crisi della città legato alla sua espansione “senza limiti”, al suo “pesante e inefficiente” sistema metabolico (in termini di spreco termodinamico dei flussi di materiali ed energia e di impronta ecologica) che tende a distruggere le stesse basi biologiche della sua vita – suolo agricolo, acqua, terra, aria, ecosistemi – ha portato a formulare conoscenze, teorie, strategie, piani e azioni incentrate su una concezione dello sviluppo locale autosostenibile inteso come equilibrio dinamico tra natura e artificio, tra campagna e città. Questo equilibrio nasce dalla “coscienza dei luoghi“ come “consapevolezza di una comunità insediata nel modo in cui i luoghi (quali patrimonio collettivo di valori identitari e di saperi) garantiscono la riproduzione biologica e sociale della comunità”, come ben sintetizzato da Alberto Magnaghi nel suo intervento Il progetto locale: coscienza di luogo ed autosostenibilità. La sovranità dell’utilizzo rigenerativo e rinnovabile delle risorse locali materiali (suolo, cibo, acqua, energia), considerata problema marginale nella modernità, diventa uno dei temi principali delle politiche, della pianificazione, delle azioni legate alla rigenerazione dei luoghi devastati dallo sviluppo senza limite, nonché uno degli elementi cardine del progetto di sviluppo di globalizzazione dal basso nel contesto transcalare che va dall’ambito della vita quotidiana al territorio bioregionale. In particolare, la struttura bioregionale diventa strumento base per affrontare la bonifica degli enormi squilibri territoriali, affidando alla riprogettazione degli spazi aperti un ruolo centrale nel progetto di territorio autosostenibile, come ben evidenziano nel loro contributo sulla Il bioregionalismo nelle esperienze italiane ed europee David Fanfani e Claudio Saragosa. In questa prospettiva le attività primarie dell’agricoltura e i nuovi rapporti di scambio città/campagna in termini culturali e materiali (nuovi stili di vita basati sui rapporti di de-intermediazione tra produttori e consumatori) diventano condizioni di base per ritornare ad “abitare la terra” in modo sostenibile, come ben sintetizza in La rigenerazione del territorio: un manifesto per la neoruralità Giorgio Ferraresi. È interessante notare che il tema della sovranità alimentare e del conflitto tra cultura/lavoro agricolo e industriale e, più in generale tra città e campagna, è ricorrente nella storia del pensiero, delle teorie e delle pratiche sociali, politiche e disciplinari “moderne” a partire dal Rinascimento (Moro, Campanella, Furier, Proudhon, Engels, Howard, Geddes) e assume un corpo significativo nella cultura anarchica a cavallo tra i secoli XIX e XX, all’interno della quale Kropotkin esercitò un’influenza molto importante. L’interesse di Kropotkin per l’autosufficienza agricola nasceva sia da motivazioni di strategia rivoluzionaria (sostenne che il fallimento della Comune di Parigi poteva essere evitato nutrendo Parigi con l’orticoltura intensiva dei dipartimenti della Senna) sia dai suoi interessi scientifici (era geografo di formazione) che lo portarono ad affrontare le questioni sociali (la teoria del mutuo aiuto contro il neodarwinismo e l’interpretazione marxista) con una forte sensibilità ambientale in riferimento all’uso delle risorse. Nel suo libro classico sull’integrazione città/campagna, lavoro manuale/intellettuale “Campi, fabbriche officine” affronta in termini radicali il ruolo della sovranità agricolo-alimentare, analizzando profondamente i complessi problemi dell’agricoltura legati alle fuorvianti politiche agrarie e territoriali che hanno portato all’abbandono della terra. Kropotkin sostiene che, per contrastare l’abbandono, è necessario riconsiderare la terra come patrimonio comune, porre l’agricoltura al centro delle attività produttive, sviluppando colture organiche intensive urbane e periurbane a partire dalle tradizioni delle colture agricole locali altamente produttive e irrobustite con le moderne tecnologie. Sostiene infine che si potrebbe facilmente arrivare a forme di autosostenibilità alimentare con poco, piacevole lavoro, diffondendo catene corte di mutualità produzione/consumo, in grado di contenere le fasi di intermediazione di mercato e quindi i prezzi: in sintesi, molti aspetti che ritornano nelle attuali pratiche
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e nel dibattito sull’importanza strategica delle filiere corte nel rafforzare lo sviluppo locale. Com’è noto, il pensiero di Kropotkin sulla mutualità agricolo-manifatturiera influenzò molti filoni utopistici della cultura ambientalanarchico/libertaria (Morris, Huxley, Orwell fino ad arrivare a Schumacher, Ward, Chapman) e una parte della storia urbana e delle teorie della pianificazione anglosassone (Mumford Howard, Geddes, Abercrombie). Uno dei contributi recenti più interessanti del filone ambiental-anarchico è il fertile libro “I limiti della città” di Murray Bookchin che, all’inizio degli anni ‘70, sviluppa il tema della sovranità agro-alimentare, affrontando in termini radicali la critica della crescita urbana senza limiti. Bookchin osserva che per nutrire la pingue popolazione delle città “l’agricoltura si deve industrializzare, ridursi a fabbrica: ciò si ottiene inondando il terreno di nocivi prodotti chimici, saturandolo con fertilizzanti inorganici, battendolo con gigantesche macchine da mietitura e livellando le campagne”1. Il tutto per produrre grandi quantità di “junk food” che, nella sua omogeneizzazione ipercalorica, determina gravi problemi di salute a una consistente parte (quella più povera) di popolazione. Bookchin sostiene che il recupero del senso dell’urbanità passa attraverso la distruzione della megalopoli “sostituita da nuove comunità decentrate, ognuna inserita con cura nell’ecosistema di cui fa parte... Queste comunità avranno le caratteristiche migliori della polis e del comune medioevale, sostenute da ecotecnologie complete in grado di portare gli elementi più avanzati delle tecnologie contemporanee – comprese fonti di energia come il vento ed il sole – su scala locale... Vi sarà un nuovo equilibrio tra città e campagna... un’ecocomunità funzionalmente interagente, che unisca il lavoro mentale e quello fisico, l’agri-
coltura e l’industria, l’individuo e la collettività”2. Dunque, nel percorso che va dalla partecipazione all’autogoverno la sovranità alimentare ha un ruolo strategico, perché l’agricoltura “locale” è presidio e rigenerazione dei luoghi e delle persone. Non a caso, nei processi di pianificazione moderni, gli esempi di sovranità alimentare urbana sono rari, vere eresie del moderno o, al massimo, risposta a emergenze, malgrado la tradizione e la diffusione quantitativamente rilevante dell’agricoltura urbana nella storia della città. Più recentemente si sono sviluppate azioni e piani di agricoltura urbana nei contesti dove esistevano forti radici agro-urbane (ad esempio nelle regione di Parigi, con la tradizione delle colture maraichere, la tradizione tedesca dei Kleingarten, quella delle città americane dell’East Cost, gli “orti di guerra”…) o nei contesti delle conurbazioni informali dei paesi emergenti africani e latino-americani nelle quali si sono sviluppati fecondi movimenti di agricoltura urbana “al femminile”, fortemente innovativi e con esiti di aggregazione sociale e di produzione agricola eccezionali3. Sulla scia della tradizione agro-urbana della costa dell’Est, il caso dell’agricoltura urbana di Detroit è molto indicativo di quanto sia possibile la riconversione agro-urbana a partire da una grande emergenza, da iniziative spontanee (ma radicate nella memoria) e da solide politiche del governo locale, come ben analizzato nel contributo di Valeria Fedeli su Detroit la città in discussione: crisi urbana ed agricoltura urbana. Anche il tema della sovranità energetica che investe i conflitti domanda/offerta tra locale e globale ha una lunga tradizione: dal ruolo del sistema agro-forestale che sostiene la città, al conflitto tra l’ideologia della produzione a grande scala di Edison e quella contrapposta a
piccola scala di Lord Kelvin, passando per le utopie anarchiche citate fino ai programmi di autonomia energetica locale. In questo quadro si colloca il contributo di Bertazzoni, Clementi, Garrone, Scudo, Soro, Vasino sulla Sovranità energetica come co-agente dello sviluppo locale: metodologia e caso studio, che fornisce strumenti per un piano energetico locale fortemente radicato alla genesi del metabolismo territoriale e alle risorse localmente disponibili. Infine, l’auto-sostenibilità implica il saper fare non solo piani e progetti, ma anche il saper costruire con la parsimonia ambientale delle risorse localmente disponibili. L’approccio e l’esperienza presentate nel contributo RICICLAB: un laboratorio didattico mobile sul territorio, di Rossana Raiteri e Andrea Giacchetta, sottolineano i caratteri di un originale approccio all’architettura ambientale partecipata: caratteri sociali del “costruire con e per la gente”, caratteri formativi del “learning by doing”, caratteri ambientali del “cerchio da chiudere” e del sito da rigenerare.
Note 1 - Bookchin pag. 147. 2 - Ibidem pag. 150. 3 - Worldwatch Institute, State of the world 2011, cap. 10 “Sfamare le città”.
Riferimenti bibliografici M. Bookchin, I limiti della città, Feltrinelli, Milano,1975. M. Bottero, Progetto ambiente, Libreria Clup, Milano, 2005. P. Kropotkin, Campi, fabbriche, officine, Edizioni Antistato, Milano, 1975 (prima ed. in inglese 1899). G. Scudo, (2009),“Crescita verso sviluppo”, in: M. Clementi, V. Dessì, M. Lavagna, La rivoluzione sostenibile. Territorio città architettura, Politecnico, Maggioli Editore, 2009. Worldwatch Institute, State of the world 2011, Nutrire il pianeta, Edizioni Ambiente, Milano, 2011.
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Il progetto locale: coscienza di luogo e autosostenibilità
Alberto Magnaghi Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio
Fare società locale Il progetto locale che ho sviluppato come approccio territorialista allo sviluppo locale autosostenibile, (Magnaghi 2010a) procede da una visione politica di nuove forme di democrazia partecipativa che prendono corpo attraverso azioni finalizzate alla crescita, al consolidamento delle società locali e al “fare società locale”. Tali società, sviluppate a partire da conflitti territoriali indotti dai processi di globalizzazione economica, nelle esperienze più avanzate, ritessono relazioni attive, affettive, sapienti, con il proprio ambiente di vita, reinterpretandone i valori territoriali attraverso la crescita di coscienza di luogo e di forme di autogoverIl progetto locale come antidoto ai guasti no, per produrre ricchezza durevole elevando la qualità della vita e il socioterritoriali della globalizzazione economica, benessere nel contesto di un sistema aperto di relazioni e di scambi. è incentrato sulla rivalutazione dei beni Questa crescita della società locale non è data: è un progetto, una chance, patrimoniali locali per modelli autosostenibili un’idea cui dare forza politica. Essa vive potenzialmente nei frammenti identitari “resistenti” all’omologazione globale in forme attive; nelle tene su forme di autogoverno a livello bioregionale. sioni alla reidentificazione delle comunità locali con i mondi e gli stili di vita legati ai luoghi; nelle pratiche di produzione di valori d’uso e di scambio in forme etiche; nelle azioni di cura dell’ambiente, del territorio e del paesaggio come beni comuni; nelle innovazioni produttive in agricoltura, nell’artigianato, nel terziario avanzato finalizzate al benessere sociale; nella ricostruzione di legami sociali e di spazio pubblico; nelle pratiche di democrazia comunitaria. Questi embrioni di società locali, agenti del cambiamento, devono essere messi in grado di crescere, con un lavoro di tessitura lillipuziana, assumendoli come nodi forti del reticolo di un mondo plurale in grado di pro-
Figura 1. Uno stralcio della “Village Millenium Map”, realizzata nel 2000 da una dozzina di artisti all’interno del “West Sussex Millenium Parish Maps Project” e che rappresenta il paese di Fernhurst e i suoi dintorni. 1
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Figura 3. Mappe di Comunità per il Piano strutturale di Montespertoli (Magnaghi 2010b).
Figura 2. Ecomusei del Salento, Piano paesaggistico Territoriale della Regione Puglia: Mappa di comunità di Neviano (Regione Puglia 2010, www.paesaggio.regione. puglia.it).
muovere una “globalizzazione dal basso”. Il patto solidale di una società locale per la valorizzazione dei luoghi non si fonda sulla conservazione di identità storiche date, ma sull’emergenza di identità condivise fra attori interessati alla costruzione del progetto, attraverso un dialogo costruttivo e creativo con i valori patrimoniali (ambientali, energetici, territoriali, urbani, rurali, paesaggistici, socioculturali) presenti nel luogo. I “nuovi abitanti” (nuovi agricoltori, nuovi produttori, nuovi consumatori) che imboccano la strada dello sviluppo locale autosostenibile, interpretano l’identità di un luogo, i suoi valori, la ricchezza del suo milieu, attenti a produrre trasformazioni che ne aumentino il valore.
Dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo: un ritorno al territorio L’autogoverno e l’autosostenibilità di un modello socioterritoriale richiedono cittadi-
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nanza attiva in grado di possedere i mezzi di produzione e riproduzione del proprio ambiente di vita. La coscienza di luogo riguarda appunto la consapevolezza di una comunità insediata del modo in cui i luoghi, intesi come patrimonio collettivo di valori identitari e di saperi, garantiscono la riproduzione biologica e sociale della comunità. La coscienza di luogo caratterizza la lunga durata delle civilizzazioni umane, dalla comunità di villaggio, alla polis, al municipium, al libero comune medievale (vertice della democrazia comunitaria). Con l’avvento dello stato moderno e della società industriale la coscienza di luogo tende progressivamente a contrarsi e ad assopirsi con l’espropriazione dei saperi tecnici e contestuali e con la generalizzazione del lavoro salariato come rapporto sociale di produzione dominante, fino a spegnersi con il fordismo attraverso il trasferimento al macchinario dei saperi produttivi dell’operaio professionale.
Nella civiltà delle macchine il trasferimento di tutte le funzioni riproduttive ad apparati tecnico-produttivi sempre più grandi e lontani dalla vita quotidiana, governati dal capitale finanziario e dalla tecnoscienza, ha assopito i saperi contestuali e di conseguenza ha aumentato la dipendenza dei singoli e delle collettività locali da apparati esterni. La perdita dei saperi ambientali progredisce con l’abbandono della cura dei luoghi da parte degli abitanti, nella loro trasformazione da comunità consapevoli delle regole riproduttive del loro ambiente di vita, in individui massificati, sorretti da protesi tecnologiche. In sostanza vengono sempre più a mancare capacità di autodeterminazione mentre crescono forme di eterodirezione. Ciò avviene attraverso un duplice processo: in primo luogo la mercificazione e privatizzazione di molti beni e servizi pubblici (come l’acqua, l’elettricità, i trasporti, l’energia, ecc.) che trasforma il cittadino da utente di un
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servizio a cliente di una merce sul mercato. Questo di solito comporta, nonostante la propaganda, un servizio peggiore e un maggior costo del bene/merce che diventa drammatico per popolazioni povere. In secondo luogo il processo di mercificazione comporta la trasformazione in multinazionali delle imprese di produzione e gestione delle merci-servizio allontanando sempre più i centri di decisione dalla portata del cittadino (dal municipio verso le grandi multiutilities), dalle fonti locali di energia alle grandi infrastrutture di trasporto a distanza. Il territorio locale non è più conosciuto, interpretato, agito dagli abitanti come produttore degli elementi di riproduzione della vita biologica (acqua, sorgenti, fiumi, aria, terra, cibo, fuoco, energia) né sociale (relazioni di vicinato, conviviali, comunitarie, simboliche). La dissoluzione dei luoghi, il loro diventare polvere amorfa, nel quadro di un generale processo di deterritorializzazione della vita, produce in ultima analisi una perdita totale di sovranità degli individui e delle comunità locali sulle forme materiali, sociali e culturali e simboliche della loro esistenza. L’agorà e la politica si allontanano vertiginosamente dalla vita quotidiana, agiscono in un iperspazio globalizzato sempre più inaccessibile, fortificato, un altrove in cui non sono più riconoscibili le forme del comando sul lavoro, le decisioni sui consumi, sulle informazioni, sulle forme riproduttive della vita. È in questo contesto di spoliazione che si verificano sintomi della rinascita della coscienza di luogo come opposizione crescente agli effetti distruttivi sulla qualità della vita nel territorio della globalizzazione economica e delle sue crisi. La riappropriazione della capacità degli abitanti di incidere sulla qualità dell’ambiente di vita richiede di ricostruire conoscenza, sapere, saper fare: richiede la riappropriazione della coscienza di luogo1 come condizione per la pro-
duzione sociale del territorio in funzione dell’elevamento del benessere2. Questo è un percorso che va dalla partecipazione all’autogoverno della propria vita (che riguarda l’alimentazione, l’energia, la riproduzione delle risorse ambientali, la manutenzione urbana e rurale e così via). L’autoriconoscimento identitario in questo percorso esce dalla fabbrica, fra uguali, e si articola nel territorio, fra un multiverso di soggetti diversi che vivono le medesime condizioni di espropriazione e che esprimono tensioni di rinascita di tracce di comunità (Bagnasco 1999), di bisogni identitari, di azioni di cura dei luoghi e dell’ambiente, in un percorso di crescita del senso di appartenenza alla società locale. “Dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo”: la formula (Becattini 1999) mi sembra una felice sintesi semantica che denota questo cambiamento radicale del conflitto, un “ritorno al territorio”e alla sua centralità politica. Il territorio della società complessa e molecolare del postfordismo è divenuto il luogo e il mezzo di produzione del valore. La “coscienza di luogo” allude al riconoscimento da parte della società insediata del valore potenziale del proprio patrimonio territoriale (ambientale, costruito, socioculturale) nella produzione di ricchezza durevole e delle proprie possibilità di autoriproduzione e dunque di autogoverno. La forma (esogena o endogena) di riappropriazione del “valore aggiunto territoriale” (Dematteis 1983) diviene l’oggetto del conflitto. Il progetto locale costruisce lo scenario politico entro cui ricomporre in forma pattizia le diverse rappresentanze di interesse nella valorizzazione e appropriazione del bene comune costituito dal patrimonio territoriale. In questo orizzonte l’insorgenza identitaria, va politicamente reinterpretata come energia costruttiva per la crescita
della coscienza di luogo e per l’affermazione di stili di sviluppo fondati sul riconoscimento delle peculiarità socioculturali, sulla cura e la valorizzazione delle risorse locali e su reti di scambio solidali e non gerarchiche fra società locali e fra municipalità. Ripartiamo dunque dagli abitanti negati, dai mille segni comportamentali e di mobilitazione che ci raccontano la loro volontà di innovare, di esistere, di produrre qualità ambientale, di riappropriarsi dell’autogoverno del loro ambiente di vita, di cibo sano, di qualità paesaggistica, di relazioni sociali e spazi pubblici, di valorizzazione dei beni comuni, di città, di ripopolamento rurale e di relazioni sinergiche fra città e campagna; in sintesi di tornare in forme nuove abitanti del territorio, della Terra come era nominata la città nel rinascimento.
La rappresentazione identitaria La coscienza di luogo, il “sentire” gli interessi dell’abitante del luogo “perché egli solo li sente, perché egli solo li intende” (Cattaneo 1973) è il percorso per ricostruire appartenenze e saperi contestuali, per reinterpretare”il paesaggio come “una parte di territorio cosi è come percepita dalle popolazioni” (Convenzione Europea del paesaggio). Per l’abitante il luogo è indivisibile e questo “sentire”, così come ad esempio si manifesta nelle mappe cognitive, come prima tappa di ricostruzione dei saperi contestuali del luogo, in particolare nelle mappe di comunità, suggerisce la necessaria ricomposizione dei saperi esperti, laddove essi misurano direttamente le proprie discipline di settore con la domanda di benessere e di felicità pubblica che promana dalla comunità territoriale in cantiere. Dunque la seconda tappa del percorso è la ricostruzione di saperi esperti nella produzione
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di rappresentazioni delle identità ambientali, territoriali e paesaggistiche che ritornino in sinergia con i saperi contestuali, rendendosi comprensibili e implementabili con questi saperi. Dalla rappresentazione funzionale alla rappresentazione identitaria è il percorso nel quale si intrecciano saperi urbanistici, storici, geografici, ecologici, antropologici sociologici, agroforestali e cosi via. La rappresentazione identitaria dei luoghi è una rappresentazione patrimoniale che diventa statutaria nel momento in cui è socialmente condivisa ed è la condizione per cui si producono scenari di trasformazione del territorio che rispondano a percorsi di riterritorializzazione fondati sulla messa in valore autosostenibile del patrimonio (terza tappa).
I saperi contestuali Lo sforzo di rieducazione dei residenti all’abitare e all’art d’édifier (Choay, 2008) non può che partire da processi partecipativi strutturati in cui gli abitanti, i bambini e i ragazzi delle scuole, ripercorrono (con i piedi, la memoria, le emozioni) e disegnano (con l’aiuto di facilitatori, artisti e storici locali, artigiani, insegnanti) i valori patrimoniali del loro territorio in un processo di reidentificazione e riapprendimento. Le esperienze di progettazione partecipata si richiamano a diverse forme di Community mapping (mappe di rischio latino americane, le Cognitive maps di Kevin Lynch, le Urban partecipatory design experiences, “common ground” network3, le parish maps (Leslie K. 2001, fig. 1), i parish plan (Countryside agency) e cosi via, per approdare in Italia alle “mappe di comunità” praticate dagli ecomusei4, organizzate per i piani paesaggistici5 (quadri conoscitivi dei “mondi di vita”, fig. 2), per i piani strutturali (mappe degli statuti del territorio socialmente prodotti, fig. 3)6. Queste rappresentazione dell’identità dei luoghi attraverso forme di arte
sociale produce crescita di coscienza di luogo e ricostruzione di saperi contestuali.
I saperi esperti I saperi esperti, nel rappresentare le identità territoriali, rispondono ai seguenti requisiti: - produrre rappresentazioni che operino il passaggio dalla mappa di funzioni alla mappa identitaria dei luoghi (fig. 4); una rappresentazione finalizzata ad evidenziare i beni patrimoniali in forma integrata: beni materiali (ambientali, territoriali, urbani, paesaggistici) e immateriali (capitale sociale, culture, caratteri del milieu socioeconomico, saperi contestuali); - includere la dimensione diacronica dell’analisi territoriale che conduce, attraverso la sequenza di cartografie rappresentative dell’organizzazione territoriale di diverse civilizzazioni storiche (fig. 5), all’individuazione di persistenze e permanenze (cognitive e materiali) che caratterizzano le identità dei luoghi e la loro dinamica co-evolutiva. Tale approccio conduce alla rappresentazione del patrimonio territoriale, che organizza in modo relazionale e sinergico l’insieme degli elementi e dei sistemi ambientali, urbani, rurali, infrastrutturali e paesaggistici formatisi mediante processi coevolutivi di lunga durata fra insediamento umano e ambiente (fig. 6). L’interpretazione morfotipologica delle relazioni fra gli elementi che compogono il patrimonio (idro-geomorfologici, ecosistemici, antropici) consente di organizzare atlanti patrimoniali alla cui base stanno figure territoriale-paesaggistiche (fig. 7) costituite dalla particolare integrazione di morfotipi ambientali, rurali, territoriali e urbani, che vanno a costituire, combinandosi in modo originale, una specifica e unica identità territoriale in chiave bioregionale. Gli atlanti (a livello regionale o sub regionale) costituiscono infine un’articolata struttura iconografica ipertestuale, organizzata attraverso
la composizione di mappe di comunità, di sintesi cartografiche dei processi di territorializzazione, di figure territoriali-paesaggistiche e delle loro regole generative e trasformative, di descrizioni dei beni immateriali e di altri strumenti di rappresentazione dei valori identitari del territorio. La rappresentazione dei valori del patrimonio come strumento di educazione al territorio è dunque la precondizione della sua cura e del suo uso durevole come risorsa ed è la base per la costruzione di scenari strategici di trasformazione basati sulla valorizzazione del patrimonio stesso in forme durevoli e autosostenibili (figg. 7, 8).
Lo statuto del territorio: un patto “costituzionale” per la valorizzazione del patrimonio territoriale La costruzione del progetto locale si fonda sul “patto” di una pluralità di attori che si realizza qualora si dia riconoscimento collettivo e valorizzazione del patrimonio territoriale come bene comune attraverso la costruzione condivisa di mappe comunitarie e di atlanti condivisi del patrimonio. Questo richiede che siano resi espliciti e socialmente prodotti gli scenari strategici della trasformazione, attraverso la volontaria e consapevole ridefinizione, da parte di ogni attore, dei propri specifici conflitti di interessi, progetti e ambiti di azione rispetto alla valorizzazione del bene comune territorio. I contratti di fiume (Magnaghi 2011) sono un esempio interessante di come scenari strategici condivisi possono consentire un patto fra gli attori che, in attività a vario titolo sul sistema fluviale (enti pubblici, autorità di Bacino, associazioni culturali, ambientaliste, sportive, ricreative, agricoltori, operatori economici e così via), possono operare congiuntamente per elevare la qualità ecologica, idraulica, energetica, fruitiva, paesaggistica del fiume (fig. 9). La trasfor-
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Figura 4. Mappe identitarie dei luoghi: i paesaggi della Regione Puglia (Regione Puglia 2010, www.paesaggio.regione. puglia.it).
Figura 6. Carte del patrimonio territoriale: il patrimonio della Provincia di Prato (PTCP di Prato, Magnaghi 2004).
Figura 5. Carte della territorializzazione: la Puglia in epoca Romana (Regione Puglia 2010, www.paesaggio.regione. puglia.it).
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mazione può avvenire se il sistema di attori (pubblici e privati), che sperimenta i nuovi istituti pattizi e partecipativi è sufficientemente complesso da assicurare la visibilità e la presenza di chi solitamente non ha voce – le componenti sociali più deboli e i loro problemi e i conflitti che ne derivano (autosostenibilità sociale) – e da garantire la denotazione e il rafforzamento delle energie innovative e potenzialmente attive nella valorizzazione del patrimonio. Il patrimonio territoriale è infatti costituito da un sistema complesso di valori identitari (culturali, sociali, produttivi, ambientali, artistici, urbanistici, paesaggistici) che il progetto reinterpreta attraverso l’attivazione delle energie locali innovative. Un patto fra gli attori, fondato sulla valorizzazione del patrimonio territoriale in quanto base materiale per la produzione della ricchezza, deve proporre l’assunzione e la ricomposizione dei conflitti producendo regole condivise di comportamento e garanzie reciproche per la salvaguardia e la valorizzazione dell’ambiente (autosostenibilità ambientale)
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e del territorio dell’abitare (autosostenibilità territoriale). Queste regole e garanzie promanano dalla costruzione stessa del progetto, nella quale si determinano le condizioni solidali e di fiducia attraverso il riconoscimento collettivo del bene comune condiviso; si verificano altresì le condizioni e le limitazioni dell’agire individuale (il produttore, l’abitante) non lesivo del patrimonio, riconosciuto appunto come bene collettivo. Il riconoscimento cosciente del territorio come bene comune (coscienza di luogo) induce comportamenti di autocontrollo sociale e guida azioni virtuose. Questo processo di autocontrollo fa evolvere i processi e gli strumenti di governo locale verso forme di produzione sociale del territorio, attraverso la costruzione collettiva dei suoi statuti (che riguardano insieme le regole di come conservare e come trasformare il patrimonio). Lo statuto del territorio è quindi un atto costituzionale, un’espressione consapevole e condivisa della “coscienza del luogo”, elaborato dagli abitanti-produttori nel processo di costruzione collettiva delle
scelte per uno stile originale di vita della società locale (Baldeschi 2011). La costruzione dello statuto del territorio diviene così l’atto fondativo del progetto locale: esso realizza il superamento di norme e vincoli esogeni all’azione sociale, individuale e collettiva, verso regole e patti per la trasformazione sorretti da un senso comune condiviso, che si costruiscono attraverso forme di autogoverno e nuovi istituti di democrazia partecipativa (autosostenibilità politica). In quanto “produzione sociale del territorio” il progetto locale utilizza indicatori della ricchezza e del benessere che non si identificano soltanto con la crescita economica (PIL), ma che ridimensionano quest’ultima rispetto ad altri requisiti: proprietà diffusa dei mezzi di produzione, riappropriazione dei saperi e delle forme sociali di riproduzione degli ambienti di vita, autogoverno e partecipazione sociale alle decisioni, qualità ambientale, territoriale e sociale, riduzione dell’impronta ecologica, cittadinanza inclusiva, sviluppo di relazioni non mercantili, e cosi via. Con questi criteri di valutazione il progetto
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locale ridimensiona il dominio del sistema economico a favore del sistema sociale e culturale, ridefinendo cosa deve crescere e cosa decrescere. Il progetto locale, verificandosi rispetto a queste misure, crea le condizioni, nel processo della sua costruzione, della trasformazione degli “stili” di vita, di consumo e di produzione, costruendo sistemi economici locali “lenti”, in grado di produrre valore aggiunto territoriale e ricchezza durevole (autosostenibilità economica). La coscienza di luogo sta lentamente, ma inesorabilmente, crescendo; questa crescita produce l’esigenza di nuovi statuti di cittadinanza a mano a mano che i risultati delle politiche delle transnazionali e dei governi sono percepiti sempre più come dannosi alla vita delle persone e al loro ambiente di vita in quanto bene comune. È nella possibilità di avvicinamento al valore d’uso di ciò che si produce e quindi alla finalità della produzione da parte di tante molecole produttive che si associano in un patto locale, che sta la chiave della ricerca di nuove aggregazioni societarie sul territorio, che riescano a produrre localmente nuovi modelli di vita di consumo e di produzione di ricchezza, dall’agricoltura al terziario avanzato.
Il nuovo municipio” governa” il progetto locale Il progetto locale richiede una nuova concezione della municipalità. Il comune (municipium, sovranità del popolo), con l’avvento degli stati nazione centralizzati nella società moderna, è stato ridefinito “amministrazione locale”, ovvero ha perso il carattere di luogo dell’autogoverno della società insediata per divenire semplice amministrazione di servizi. Il progetto locale nel proporre la crescita delle società locali, ripropone in forme nuove la crescita dei poteri e delle competenze dei comuni,
in quanto espressione di autogoverno della comunità locale, e degli enti pubblici sovracomunali, in quanto espressioni delle municipalità, ovvero “locale di ordine superiore” (Giusti 1990). La condizione dell’autogoverno è che il nuovo municipio sia reale espressione della società locale e non come oggi, vittima o complice di poteri forti e dipendenze esogene. Tre movimenti dovrebbero sostanziare questa condizione: 1) scomporre il governo della grande città, della metropoli, in piccole municipalità, in grado di ricostruire relazioni conviviali di prossimità, che sta alla base di un reale processo partecipativo come forma ordinaria di governo; municipalità dotate ognuna di identità storiche, centralità, spazi e funzioni pubbliche, complessità sociale e produttiva, artigianato locale e servizi rari, relazioni di scambio con il proprio territorio agricolo e, infine, istituti di autogoverno. Una città di città che realizza relazioni multipolari al suo interno e con il territorio, superando l’organizzazione monofunzionale e dipendente delle periferie, frutto della diffusione delle conurbazioni centro-periferiche metropolitane; 2) riorganizzare il governo degli enti pubblici sovracomunali nel governo di un sistema di bioregioni urbane (sistemi vallivi, bacini fluviali, entroterra costieri, regioni urbane) fondate su reti policentriche di città. La bioregione urbana (Magnaghi 2010) realizza nuovi equilibri e nuove sinergie fra città e territorio rurale per chiudere i cicli dell’alimentazione (reti corte), dei rifiuti, dell’acqua, dell’energia; per superare i modelli regionali gerarchici centroperiferici, verso modelli complessi e multipolari di sistemi territoriali locali in grado di realizzare autosostenibilità ambientale, sociale economica e, dunque, autogoverno. Vivere la complessità della bioregione urbana,
delle sue reti di città, dei suoi spazi aperti, delle relazioni interculturali fra luoghi, significa affermare nuovi diritti di cittadinanza per abitare il territorio. Le politiche sul rafforzamento del ruolo degli spazi aperti, in particolare sul ruolo multifunzionale dell’agricoltura per una nuova ruralità (Carrosio 2009, van der Ploeg 2008) in grado di produrre qualità alimentare, ecologica, paesaggistica, energetica, fruitiva e riqualificazione/ridefinizione dei margini urbani e sul ripopolamento rurale e della montagna per la produzione di nuova territorialità sono gli assi portanti delle strategie che, dando spazio alle nuove forme della cittadinanza attiva, possono contribuire alla ricostruzione della città e del territorio; 3) valorizzare le reti delle piccole città storiche. La riqualificazione delle urbanizzazioni contemporanee che dilagano come città diffusa nei territori regionali può fondarsi in larga misura sui sistemi regionali delle piccole e medie città storiche che costituiscono l’ossatura portante di lunga durata del territorio italiano, ma anche, con le debite differenze, del territorio europeo. Queste città, che custodiscono la magnificenza civile, la qualità artistica, la memoria dei saperi contestuali, le eccellenze alimentari e artigiane, l’art d’édifier (Choay 2008) della città antica e moderna e che sono ancora dotate di relazioni equilibrate fra territorio agricolo e spazi urbani, garantendo un’alta qualità della vita, sono state progressivamente ridotte a dipendenza periferica dallo sviluppo delle aree metropolitane. Dal momento che il rango della città, nella società della conoscenza e delle reti telematiche, non dipende più dalla dimensione quantitativa della popolazione, ma dalla qualità, complessità, rarità e peculiarità delle sue funzioni, di conseguenza reti sussidiali e non gerarchiche di città piccole e medie (reti materiali e immateriali), federate in città di valle, di bacino
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Figura 7. Scenari strategici: La Val di Cornia (Magnaghi e Fantini1998). Figura 8. Bonifica e riconversione ambientale del bacino dei fiumi Lambro, Seveso Olona: Carta interpretativo-progettuale dei sistemi ambientali (Magnaghi 1995).
7
idrografico, di bioregione urbana, possono costituire un modello alternativo a quello metropolitano; dal momento che ciascuna di esse, in quanto nodo di una rete, risulta “potente” come una metropoli, pur essendo, a differenza di questa, dotata di un’alta qualità dell’abitare, del produrre, del paesaggio, del vivere collettivo e di equilibri ecosistemici; qualità che l’urbanizzazione metropolitana con la sua struttura divoratrice di energie, produttrice di congestioni e degrado ambientale, di alte impronte ecologiche, di polarizzazione ed esclusione sociale, non consente più.
Il progetto locale come progetto di territorio In questo percorso di ricostruzione del territorio e del suo autogoverno sociale il progetto, disegnato innanzitutto come scenario strategi-
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co di trasformazione, torna in primo piano, perché il progetto socialmente condiviso è la base su cui la pianificazione, in quanto processo di realizzazione del progetto, possa sussumere i soggetti sociali, economici e culturali che, avendo condiviso il quadro patrimoniale e i progetti di trasformazione, possono attuare un patto sociale per la loro realizzazione (fig. 10). Il progetto di territorio, fondandosi su una visione olistica dei luoghi, non può che essere multidisciplinare e deve dunque basarsi su una ricomposizione unitaria delle scienze del territorio, in cui tutte le variabili territoriali sono contemporaneamente in gioco. La trattazione integrata di queste variabili è essenziale per produrre progetti di territorio incentrati sulla valorizzazione (anziché la dissipazione o la semplice conservazione) dei giacimenti patrimoniali, in grado di generare nuovo “valore aggiunto territoriale”. Il progetto di ter-
ritorio, nell’accezione qui esplicitata, è materia complessa e ancora poco dotata di uno statuto scientifico multidisciplinare, rispetto al bagaglio disciplinare di progettazione della città, dominio storico dell’architettura e dell’urbanistica; troppo spesso il progetto di territorio di area vasta tende ancora a configurarsi come il risultato implicito della sommatoria, il più delle volte contraddittoria e conflittuale e al più “regolata” dai piani, di progetti settoriali attivati da specifici portatori di interessi: piani aziendali agroforestali, localizzazioni industriali, progetti della grande distribuzione, delle grandi infrastrutture, delle opere idrauliche, delle grandi operazioni immobiliari e così via, senza che le azioni settoriali facciano riferimento ad uno statuto del territorio e alle sue invarianti strutturali e identitarie e senza un disegno strategicamente unitario di trasformazione territoriale, che tenga conto di questi
Focus _ 19
Figura 9. Contratto di Fiume Olona, Lura, Bozzente, Regione Lombardia 2002 (www.contrattidifiume.it).
tivi urbani e territoriali che la compongono, con il fine di elevare la qualità dell’abitare la regione urbana come nuova condizione di vita nella produzione, nei consumi, nelle relazioni; - gli spazi pubblici, la cui ricostruzione, specifica e di relazione, è essenziale a livello di quartiere, urbano e territoriale per ricostruire i luoghi di prossimità e convivialità, sepolti dall’urbanizzazione contemporanea; - i soggetti economici e sociali portatori di innovazione verso la cura dei valori patrimoniali da attivare attraverso processi di governance allargata e di costruzione di istituti di democrazia partecipativa.
Gli equilibri ambientali e la durevolezza/ autoriproducibilità dell’insediamento (firmitas)
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statuti e che sia in grado di guidare sinergicamente le azioni di settore verso un fine socialmente condiviso. Occorre dunque ricomporre questi frammenti settoriali in una disciplina integrata che ridefinisca, sia nelle elaborazione di regole “trattatistiche” che nelle applicazioni progettuali “modellistiche”, gli elementi costitutivi del progetto territoriale. Gli elementi costitutivi sono riferibili sia alle esigenze e ai campi creativi e operativi delle attività umane (necessitas, commoditas e concinnitas per Alberti), sia agli oggetti costruiti (le categorie vitruviane di firmitas, utilitas e venustas). In entrambi i casi, vale ancora il principio dialogico per cui “non c’è edificazione senza dialogo con coloro per cui si edifica, individui singoli, comunità costituite dai membri della famiglia o dai membri della res publica” (Alberti 1989, 1485), attualizzato nel concetto di territorio come bene comune cui applicare
l’esercizio della cittadinanza attiva nelle diverse forme di partecipazione. I nuovi campi del progetto territoriale ridefiniscono le categorie “classiche” sopra richiamate riferendole alle seguenti problematiche interagenti.
Le funzioni e le prestazioni socio-economiche (utilitas e necessitas) - i requisiti prestazionali dell’organizzazione territoriale dei sistemi urbani e delle reti di città per alimentare sistemi economici a base locale per la produzione di ricchezza materiale e benessere sociale in forme durevoli e autosostenibili; - le reti connettive e di intermodalità degli scambi per l’organizzazione funzionale dei sistemi urbani e delle reti di città funzionali alla valorizzazione di sistemi economici a base locale; - le peculiari morfotipologie dei sistemi insedia-
- le risorse ambientali e paesistiche trattate in funzione della loro autoriproducibilità locale, per ridurre l’impronta ecologica attraverso la chiusura locale dei cicli ambientali, il risparmio e la produzione energetica locale, la realizzazione di insediamenti produttivi ecologicamente attrezzati; - le relazioni di reciprocità fra i sistemi urbani e gli spazi aperti agro-forestali per realizzare nuovi equilibri ecosistemici, energetici, alimentari e funzionali; - le regole per limitare e ritrovare la giusta misura degli insediamenti: regole localizzative e dimensionali; - le regole di decelerazione della mobilità, della produzione, del consumo; -gli equilibri autoriproduttivi dei bacini idrografici; - la centralità e multifunzionalità degli spazi aperti e riqualificazione delle reti ecologiche nel progetto della bioregione; - gli archetipi di territorio da ritrovare come condizioni simboliche e materiali del progetto (Marson 2008).
20 _ ilProgettoSostenibile 29
Figura 10. Schema di processo di piano per lo sviluppo locale autosostenibile (Magnaghi 2010a).
SEDIMENTI TERRITORIALI
ENERGIE INNOVATIVE E DA CONTRADDIZIONE
MATERIALI
COGNITIVI
PERMANENZE PERSISTENZE INVARIANTI STRUTTURALI
NEOECOSISTEMI AMBIENTALI
TECNOLOGIE APPROPRIATE
Figure territoriali PAESAGGIO
MILIEU
STATUTO DEI LUOGHI
PATRIMONIO TERRITORIALE
Piani, progetti e politche di settore; PIT, PTCP, PS
Istituti di Partecipazione e Concertazione Patti locali per progetti integrati
SVILUPPO LOCALE AUTOSOSTENIBILE
Parte strategica
SCENARIO STRATEGICO
Modelli di valutazione Bilanci ambientali e sociali
ATTORI SOCIALI
Parte strutturale
SAPIENZA MODELLO SAPERI AMBIEN- SOCIALE PROTALE E DUTTIVI CULTUE RALE ARTISTICI
(RITERRITORIALIZZAZIONE)
10
La qualità estetica del paesaggio urbano e rurale (venustas e concinnitas) - applicazioni integrate della Convenzione europea del paesaggio e del Codice dei beni culturali e paesaggistici: autenticità morfotipologica, definizione delle figure territoriali e paesistiche, valorizzazione progettuale dell’identità territoriale e paesistica; integrazione
fra gli approcci estetico percettivo, ecologico e storico-strutturale nella definizione del concetto di rilevanza delle tipologie di paesaggio; - i rapporti con la dimensione dell’essere umano: i codici (Parolek D. e K., Crawford 2008) per reintrodurre forma, misure e proporzioni (form-based codes, aspetti qualitativi, morfotipologici ed estetici dei regolamenti edilizi);
garantire la coesistenza e l’equilibrio fra “espace contact”,“espace spectacle”,“espace de circulation”,“espace de connexion” (Choay 2003); riproporre la magnificenza civile dello spazio pubblico (Rossi 1984); ridefinire le relazioni fra complessità e paesaggio, funzioni ecologiche e qualità estetica del territorio.
Da Patrik Geddes alla bioregione urbana Il riequilibrio delle funzioni economiche, ambientali e estetiche nel progetto di territorio trova il suo epicentro in una rinnovata visione bioregionalista. L’accezione “territorialista” di bioregione ha le sue basi negli studi di geografia ecologica di Vidal De la Blache (2008,1903), nelle esperienze della Regional Planning Association of America, nella definizione bio-antropocentrica della “sezione di valle” di Patrick Geddes (1970, 1905), il quale mette in relazione coevolutiva i caratteri puntuali della struttura idrogeomorfologica dei bacini idrografici con le culture produttive e gli stili di vita e nella “regione della comunità umana” di Lewis Mumford (1963). Per incardinare il progetto di territorio, la sua cura e il suo governo al paradigma interpretativo di bioregione, richiamo in particolare i principi geddesiani che connotano il concetto: - affermare il principio di co-evoluzione fra luogo (place), lavoro (work), abitanti (folk); - valorizzare la peculiarità e l’unicità identitaria (uniqueness) di ogni regione e di ogni città; - mettere in atto analisi di lunga durata (reliefs and contours) per scoprire le relazioni coevolutive (naturali e culturali) “al lavoro” in ogni regione; - evidenziare i principi coevolutivi di lunga durata che promanano da queste relazioni (Regional Origins) come guida per scoprire le regole riproduttive della “bioregione”. Le recenti rielaborazioni territorialiste di questi
Focus _ 21
concetti tengono conto sia della definizione di Claudio Saragosa dell’ecosistema territoriale (Saragosa 2005), nella quale il concetto di “territorio” prende il posto di quello di “ambiente”, sia della mia definizione di bioregione urbana (Magnaghi 2010) per la quale rimando al saggio di Fanfani e Saragosa su questo stesso numero della rivista. In questa dimensione il progetto locale si pone come frontiera di superamento dell’uso del territorio come mero supporto dello sviluppo economico, restituendogli centralità nella ridefinizione delle relazioni interne al sistema ecotecno-simbolico (Berque 2010); il “ritorno al territorio” attraverso la crescita della coscienza di luogo è un evento che riguarda la riconsiderazione del legame imprescindibile fra spazio e identità sociale, fra luogo e milieu socioculturale; una centralità che non solo mette in causa il primato del patrimonio territoriale nelle politiche volte alla produzione di ricchezza durevole e autosostenibile, ma che richiede anche la revisione degli statuti di molte discipline che compongono le scienze del territorio, così come si sforzano di fare gli studiosi che si sono avvicinati alla Società dei territorialisti (www.societadeiterritorialisti.it).
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Note
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consapevolezza, acquisita attraverso un percorso di trasfor-
titarie per il progetto di territorio, Alinea, Firenze.
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luogo, Bollati Boringhieri, Torino.
elementi essenziali per la riproduzione della vita individuale
Magnaghi A., a cura di (2010b), Montespertoli: le mappe di
e collettiva, biologica e culturale. In questa presa di coscien-
comunità per lo statuto del territorio, Alinea, Firenze, 2010.
za, il percorso da individuale a collettivo connota l’elemento
Magnaghi A. (2011),“Contratti di fiume e pianificazione: uno
caratterizzante la ricostruzione di elementi di comunità, in
strumento innovativo per il governo del territorio”, in
forme aperte, relazionali, solidali” (Magnaghi 2007).
Bastiani M. (a cura di), Contratti di fiume: Pianificazione strate-
2 - “La finalità fondamentale degli studi sociali e, all’interno
gica e partecipata dei bacini idrografici, Flaccovio, Palermo.
di essi, degli studi economici è…la promozione del benesse-
Marson A. (2008), Archetipi di territorio, Alinea, Firenze.
re degli abitanti di ogni luogo, in un quadro di solidarietà fra
Mumford L. (1963), La città nella storia, trad. it. Comunità,
luoghi contigui, secondo sentieri che sviluppino le esperien-
Milano. Ed or.: 1961.
ze e i valori tradizionali dei diversi luoghi” (Becattini 2009).
Parolek D. G., Parolek K. e Crawford P. (2008), Form-based
3 - http://www.england-in-particular.info/maplist.html
Codes. A Guide for Planners, Urban Designers, Municipalities
The local project: place consciousness and self-sustainability The local project is grounded upon rediscovering and putting in value local societies able to develop active relationships with their own life environment, fostering place consciousness and selfgovernment within a context of open relations and exchanges. Place consciousness means knowing how places, as common heritage (natural environment, energy, urban and rural settlements, landscape), are the base for biologic and social reproduction of each community, as well as for the production of lasting wealth. Such a consciousness grows through rebuilding both contextual knowledge (community maps, eco-museums) and expert multidisciplinary knowledge. Once socially shared, identitarian place representation becomes a “statute”. This is a necessary condition for developing “transformation scenarios” towards self-government of place’s life (food, energy, environmental resources reproduction, urban and rural maintenance, etc.). The local project redefines the role of municipalities as local community’s self-government tools, and super-local institutions as instruments of “higher level local” within a perspective of fair municipal federalism. This path requires to decompose the government of each big city, or metropolis, in smaller municipalities, where wider area institutions are meant to produce governance for each bioregional system (“valley sections”, river basins, coastal systems, urban regions).
FOCUS
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Il bioregionalismo nelle esperienze italiane ed europee
David Fanfani Claudio Saragosa Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio
Si sta sempre più sviluppando un approccio nuovo nella pianificazione del territorio. Si alimenta di una nuova sensibilità per i rapporti fra città e ambiente e fra città e città. Costituisce reti complesse di nodi insediativi che sinergicamente si autoalimentano a sostituire il modello metropolitano centro-periferico altamente entropico. Ricostruisce un percorso disciplinare che ha origini profonde nella scienze del territorio, ricucendo insieme (e innovando) ricerche che nel tempo hanno puntato a un’alternativa possibile ai processi degenerativi e deterritorializzanti che l’artificializzazione urbana ha prodotto. Seguiamone alcune tappe, partendo dalla concettualizzazione del tema dell’ecosistema territoriale [Saragosa, 2005] come base concettuale per operare nella riqualificazione degli ambienti di vita. L’approccio territorialista dell’ecosistema
urbano pone le basi per un nuovo progetto sostenibile di territorio, legato al modello della “bioregione urbana” e fondato su un nuovo “patto” fra città e campagna.
Bioregionalismo ed ecosistema territoriale
L’ecosistema territoriale è uno strumento necessario alla progettazione ecologica degli insediamenti umani, essendo la ricostruzione di un rapporto fra insediamento e ambiente di riferimento: un sistema di relazioni per la produzione locale di risorse per il metabolismo urbano, un sistema di nuova riappropriazione culturale e simbolica dell’ambiente da parte degli abitanti mediante la costruzione di nuove sapienze locali nell’utilizzazione delle risorse. La progettazione ecologica dell’insediamento, infatti, non può alimentarsi solo della necessità di una nuova sostenibilità ambientale (una più intelligente chiusura dei cicli con esperienze più durevoli), pone anche il problema di riarricchire il mondo di informazione rara, di biodiversità, di diversità delle culture, di valorizzazioni dei luoghi differenti e unici della Terra. Ogni esperienza di riorganizzazione dell’insediamento, vista in questa ottica, diviene di nuovo una esperienza unica: una autopoiesi [Maturana, Varela, 1985] irripetibile. Solo nel confronto fra le diversità può scaturire una nuova globalizzazione in cui ciò che si scambia non è l’informazione banale uguale in ogni dove, ma una serie complessa di esperienze irripetibili: le infinite esperienze, gli inesauribi-
Figura 1. Scenario di deframmentazione e riconnessione ecologica della Bioregione della Toscana Centrale. (concept ed elaborazione A. Magnaghi, G. Ruffini). 1
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Figura 2. I tipi insediativi della città della Toscana centro-occidentale (fonte D. Poli 2010): 1. il sistema policentrico della piana Firenze-PratoPistoia; 2. il sistema polinucleare dell’Arno; 3. il sistema radiocentrico con espansione lineare Pisa-Pontedera; 4. il sistema radiocentrico
con espansione a maglia della piana lucchese; 5. il sistema polinucleare della Valdinievole con espansione vivaistica. Figura 3. La città policentrica: le connessioni con i sistemi vallivi (concept ed elaborazione A. Magnaghi, G. Ruffini).
2
li modi di accoppiarsi strutturalmente con una porzione di Terra, unica ed irripetibile. In questo senso l’ecosistema territoriale si coniuga con l’evoluzione del concetto di bioregione. La bioregione si può infatti considerare un’utile metafora per descrivere e riordinare l’insediamento umano rispetto alla sua Terra di accoglienza. Quest’ultimo strumento si è evoluto disciplinarmente con contributi in più direzioni: dai primi approcci geografici alle più recenti posizioni di carattere progettuale. Con Patrick Geddes tale concetto ha assunto anche un valore orientativo per il progetto di territorio. Con la “sezione di valle”, Geddes, ha infatti invitato a riflettere sulle caratteristiche dei luoghi (place), come questi venissero utilizzati (work) dalle varie comunità insediate (folk). Nell’approfondimento e sviluppo del concetto, originariamente legato fortemente anche al movimento trascendentalista americano, hanno concorso significativamente seppure in maniera differenziata (fra i tanti) Lewis Mumford (e le esperienze correlate della Regional Planning Association of America), Ian McHarg, le scuole innovative degli ecologi e dei bioeconomisti (fra i quali GeorgescuRoegen). Più recentemente contributi importanti in questa direzione sono venuti anche da
3
economisti ambientali e agrari [fra gli altri si veda, Norgaard, 1994 e Iacoponi, 2004]. Uno sviluppo particolare si è avuto nell’ultimo scorcio del XX secolo quando una serie di autori hanno avvicinato l’approccio regionalista alla riflessione sull’emergente critica ecologica della società. È venuto quindi a coniarsi il termine di bioregione sviluppatosi prima da Alan Van Newkirk e Peter Berg e poi sviluppato con il contributo dell’ecologista Raymond Dasmann e del poeta Gary Snyder. Negli USA il perfezionamento del concetto di bioregione è avvenuto con il contributo sia dei coniugi Todd e sia di Kirckpatrik Sale nel suo testo Le regioni della natura, la proposta bioregionalista (1991). La bioregione viene definita da Peter Berg come il “territorio cui corrisponde una coscienza, un luogo ma anche idee sul come viverci che si sono sviluppate in quel luogo [...], un’economia che sia in equilibrio con l’ecosistema riducendo la dipendenza dal cibo e dall’energia di importazione [...], dei confini di tipo flessibile [...], unità sociali dotate di pieni poteri, politicamente autonome, economicamente autosufficienti, in cui i cittadini della bioregione possano comprendere e controllare le decisioni che riguardano la loro vita” [Berg, 1987]. Incrociando i temi bioregionalisti con quelli
più squisitamente socio-ecologici e municipalisti di Murray Bookchin, o con la lettura bioeconomica della decrescita proposta da Serge Latouche, o con la chiave più urbano-territoriale di Leopold Kohr si arriva, infine, alla più recente definizione di bioregione urbana.
Il concetto di bioregione urbana Si deve ad Alberto Magnaghi l’aver raffinato il concetto sino a sintetizzarlo nel modo seguente: per bioregione urbana si intende “un insieme di sistemi territoriali locali fortemente antropizzati connotanti una regione urbana, caratterizzati al loro interno dalla presenza di una pluralità di centri urbani e rurali, organizzati in sistemi reticolari e non gerarchici di città; sistemi interrelati fra loro da relazioni ambientali volte alla chiusura tendenziale dei cicli (delle acque, dei rifiuti, dell’alimentazione, dell’energia) caratterizzanti gli equilibri ecosistemici di un bacino idrografico, un sistema vallivo, un nodo orografico, un sistema collinare, un sistema costiero e il suo entroterra, ecc.” [Magnaghi, 2010]. Magnaghi ci spinge quindi a riaffrontare l’urbanizzazione contemporanea come “regione urbana” nella sua valenza “bioregionale”. Ciò
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aiuta “l’immaginazione progettuale a ridefinire la questione della crescita come questione di esplorazione e misura delle relazioni interne alla regione fra insediamento umano e ambiente, per attivare principi di bioeconomia [Georgescu-Roegen, 1982] e di economia sistemica e solidale [Bonaiuti, 2004], orientando i principi insediativi verso “l’autoriproducibilità dell’ecosistema territoriale” [Saragosa, 2005]. In questa accezione la bioregione è soprattutto uno strumento concettuale per affrontare il degrado presente nelle nostre urbanizzazioni diffuse post-urbane determinato da uno squilibrio abnorme nel rapporto fra spazi costruiti e spazi aperti, affidando alla riprogettazione degli spazi aperti (agroforestali, fluviali, naturalistici) un ruolo centrale nel progetto di territorio finalizzato all’autosostenibilità” [Magnaghi, 2010]. La bioregione urbana, quindi, è orientata alla ricomposizione dei cicli ambientali su base locale e alla riconnessione a rete del sistema insediativo esistente in un sistema di nodi sinergicamente legati fra loro. Anche la metropoli può essere riletta come un sistema di villaggi organicamente legati. Sempre Magnaghi, infatti, propone di superare l’entropica metropoli centroperiferica suggerendo una dissoluzione della grande concentrazione in quella che definisce la bioregione urbana policentrica: “La ‘bioregione urbana’ è costituita da una molteplicità di sistemi territoriali locali a loro volta organizzati in grappoli di città piccole e medie, ognuna in equilibrio ecologico, produttivo e sociale con il proprio territorio. Essa può risultare “grande e potente” come una metropoli: anzi è più potente del sistema metropolitano centro-periferico perché produce più ricchezza attraverso la valorizzazione e la messa in rete di ogni suo nodo “periferico”: evita peraltro congestioni, inquinamenti, diseconomie esterne riducendo i costi energetici e i costi da emergenze ambientali, diminuendo la
mobilità inutile alla fonte, costruendo equilibri ecologici locali, che a loro volta ridimensionano l’impronta ecologica ovvero l’insostenibilità dovuta al prelievo di risorse da regioni lontane e impoverite” [Magnaghi, 2010, pag. 187]. Questa idea di leggere la metropoli come un insieme di città ha già una storia e può essere rintracciata fin dalle originarie esperienze dell’urbanistica moderna. Già con Patrick Abercrombie, ad esempio, si ha una interessantissima esperienza di come si possa pensare ad una metropoli suddividendola in un insieme di nuclei interrelati. È noto come del County of London Plan facesse parte un “bubble diagram” disegnato da Arthur Ling and D. K. Johnson nel 1943. Il diagramma suddivideva l’intera metropoli di Londra in tanti luoghi, come una città di villaggi, ognuno dei quali aveva una propria identità specifica. Le ragioni che spingevano Abercrombie a valorizzare queste singole parti della città erano molteplici. Erano sia di carattere urbanistico, cioè il tentativo di ricucire lo sfrangiamento prodotto nel tempo da una crescita non regolata della metropoli, sia di carattere oggi diremmo ecologico, cioè nella ricomposizione del rapporto fra città e campagna mediante la ricostituzione di aree in cui si potessero produrre riserve di cibo (“fonte non solo di salute ma dello stesso piacere dell’esistenza” [Abercrombie, 1945]. Abercrombie, convinto che “i vecchi e intatti villaggi e cittadine di campagna [siano] una qualità di primaria importanza per Londra” [Abercrombie, 1945] e che fossero “luoghi di calda, umana, simpatica vita” [Abercrombie, 1945], aveva a disposizione una grande quantità di materiale, per ricostruire la rete dei nuclei interni all’area metropolitana londinese:“(i) i vecchi borghi interni, la maggior parte dei quali richiede travaso e ricostruzione; (ii) i sobborghi consolidati, che necessitano di maggior raggruppamento comunitario, ma che conten-
gono considerevoli aree a carattere statico; (iii) le cittadine esistenti più oltre, molte delle quali sono pronte e capaci di accogliere aggiunte grandi o piccole dalla Londra Interna; e (iv) le località sulle quali devono essere create comunità completamente nuove” [Abercrombie, 1945]. In questo quadro così variegato si fonda il processo di pianificazione nella valorizzazione e consolidamento di una trama urbana estremamente complessa che sarebbe stata soffocata dall’urbanizzazione intensiva che la metropoli avrebbe prodotto senza una guida certa. Ad Abercrombie, come a Howard con lo schema delle social cities (città interconnesse organizzate a grappoli), in molti riconoscono l’originaria prefigurazione di questo modello di città che, nelle stesse evidenze empiriche, ha notevolmente complessificato – e in parte messo in discussione – i tradizionali modelli “rank-size” quantitativi derivati dalla geografia economica ed urbana da Christaller in poi [Dematteis, 1990, Camagni, 1990]. Su questo tema gli estensori del progetto Eurbanet [Lambregts, 2002] sviluppano un percorso di ricerca che, ricordando questi antecedenti storici, definiscono il concetto di regione urbana polinucleare (polynuclear urban region) quale:“a territory in which a collection of historically and administratively distinct medium-sized and larger cities are located in close proximity (roughly within commuting distance) from which the larger do not differ that much in terms of size or overall economic and political importance” [Lambregts, 2002]. Lo studio porta all’individuazione di una serie di aree europee in cui una forma metropolitana può di fatto essere scomposta nell’analisi e ricomposta nel piano come una regione urbana polinucleare. Fra queste aree la ricerca propone come esemplificazione di regioni urbane polinucleari quattro aree: la Dutch Randstad, la RheinRuhr
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Figura 4. Lo scenario del green core della Toscana centrooccidentale (concept ed elaborazione A. Magnaghi, G. Ruffini).
Area, la Flemish Diamond e la GlasgowEdinburgh Region. I ricercatori di Eurbanet mettono in evidenza i vantaggi riscontrabili fra una regione urbana policentrica e una regione urbana monocentrica (tipo Parigi) e fra questi vantaggi individuano i seguenti: una diffusa offerta di servizi culturali e di svago (proprio lo sviluppo storico della regione policentrica ha dato vita a una serie articolata di sale da concerto, discoteche, biblioteche, impianti sportivi, strutture educative specializzate, ecc.); una rete già strutturata di sistemi di trasporto (la cui ulteriore strutturazione può risultare più semplice da realizzare rispetto alle regioni urbane monocentriche); la possibilità di costruire economie di aggregazione e soprattutto abbatterne le diseconomie grazie anche alla migliore capacità di dispersione di inquinanti, per esempio, prodotti dal traffico diffuso in un’area meno densa; la qualità del contesto sociale e la diversità del patrimonio culturale e storico che compone la regione polinucleare (essendo una rete di città, la regione urbana polinucleare propone una varietà di patrimoni culturali, storici molto più densa e differenziata: città universitarie, città industriali, città mercantili, città di governo, ecc.); la qualità e l’accesso alle aree rurali e naturali (a causa delle dimensioni ridotte della città, l’accesso alle aree non urbanizzate, sia naturale che rurale, è sicuramente più facile che non nelle grandi regioni urbane monocentriche).
Pianificare e progettare regioni urbane policentriche Il modello della regione urbana polinucleare non viene utilizzato solo per fini analitici, ormai è divenuto anche un modello di pianificazione in molte realtà. Questo metodo infatti risulta relativamente nuovo in quanto sfida i progetti-
sti ad esplorare “new relationships between such important elements as city and countryside, environment and infrastructure, accessibility and the urban economy, housing and recreation, and so on” [Lambregts, 2002]. Con questo spirito quindi si inizia ad interpretare e riprogettare ampie regioni europee. Fra queste, quale iniziativa più matura, spicca la Dutch Randstad. Inizialmente, la regione urbana che si estende fra Amsterdam, Rotterdam, The Hague, Utrecht, fu presa in considerazione in maniera unitaria per impedire che si formasse un’enorme metropoli che avrebbe drenato risorse dall’intera Olanda. Successivamente il modello di regione urbana polinucleare aiutò i pianificatori a pensare la grande area sia come un motore di sviluppo per promuovere un clima favorevole per investimenti innovativi, sia per incentivare la complementarità e il coordinamento fra le città che costituiscono la regione. La dichiarazione della Delta Metropolis2, l’ufficio di pianificazione della Dutch Randstad, esplicita i criteri e gli obiettivi del piano della regione urbana polinucleare. Fra i tanti punti sembra necessario sottolineare l’attenzione che si pone nella valorizzazione del mosaico di paesi, villaggi, città che, impedendo la loro unione e il loro sparpagliamento (al contrario spingendo verso una loro forma più compatta), vengono collegati a rete mediante un efficiente sistema di trasporto e di telecomunicazioni pubblico. La costellazione di insediamenti è l’asse portante di questo paesaggio culturale prodottosi in secoli di lenta costruzione di centri ad alto valore informativo, commerciale e di trasporto. Su questo solco si spinge la pianificazione, cercando di ampliare la diversità fra i vari centri urbani, permettendo comunque all’area di essere competitiva nel quadro internazionale, alimentando la sinergia fra gli insediamenti:“Synergy calls for growth in the num-
ber and the intensity of internal social relationships, growth in the participation of the population in social, economic and cultural activities and growth in complexity. These qualities contribute to a sustainable society as they create the conditions for growth in flexibility, adaptability, societal resilience and solidarity”3. La sinergia e la complementarità fra centri quindi è il principio funzionale e relazionale su cui si costruisce questa costellazione di città che, mediante un efficiente sistema di trasporto pubblico, riesce a far agire insieme i nodi della rete di città che compongono la Dutch Randstad, letteralmente “città ad anello” [Valentini, 2005, 63]. Ogni nodo della rete quindi sviluppa le proprie caratteristiche della diversità urbana ed è disposto attorno ad un “cuore verde” di circa centosessantamila ettari, costituito essenzialmente da aree agricole e da zone umide di particolare interesse naturalistico. Su questo cuore verde si articola un asse importante della pianificazione essenzialmente indirizzato al consolidamento delle aree periferiche, allo sviluppo degli elementi connettivi tra città e campagna, alla conservazione delle attività agricole esistenti. Il programma De Groenblauwe Slinger (Corridoio verde e blu) è una delle azioni che coinvolge questo territorio centrale:“Il progetto, in corso, cerca di ristabilire un equilibrio ecologico, funzionale e percettivo all’interno degli spazi costruiti e naturali di questa area, fortemente compromessa anche dalla presenza di forme intensive di agricoltura in serra, attraverso la costituzione di sistemi verdi di collegamento di spazi naturali isolati e interventi di forestazione nelle aree alterate dall’agricoltura intensiva” [Valentini, 2005, 64]. La ricostruzione di un rapporto stretto fra centri insediativi e la campagna diventa un asse fondamentale del piano, “Diversity can be reinstated and enhanced by promoting the synergy of big and small
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Figura 5. Il Master plan della “città passante” nella periferia est di Prato (fonte: Tesi di Laurea triennale F. Fontani-M. Giusti, Cdl Pianificazione di Empoli-Univ. di Firenze), Relatrice D. Poli, AA. 2008-09).
Figure 7a, 7b, 7c. Sviluppo insediativo, rete ecologica e connettività nel territorio della città della Toscana centrooccidentale: 7a. scenario evoluzione tendenza in atto; 7b. scenario sviluppo non integrato fra pianificazione territoriale e sviluppo Figura 6. Sistemi di paesaggio e nodi urbani rurale; 7c. Scenario “patto città-campagna” nello scenario (fonte I. Bernetti 2010). della bioregione urbana policentrica (elab. G. Ruffini su dati BernettiMarinelli 2009).
metropolitana di Barcellona già era dotata di un Pla General Metropolità De Barcelona (1976) in cui si tracciava un sistema complesso per le comunicazioni e il trasporto e soprattutto si individuavano sia un sistema territoriale di aree naturali (“les grans reserves territorials de caràcter estratègic: els parcs forestals Collserola, Garraf i Sant Mateu, les platges, els parcs fluvials del Besòs i del Llobregat” [Ferrer, 1997, 50], sia dei subsistemes funcionals d’hàbitat il che consisteva nell’idea di “conformar una alternativa a l’excessiva introversió de les comunitats residencials en els cascs urbans existents, i tractava d’obrir al mercat del sòl àrees de nova implantació, alternatives però no alienes al sistema de ciutats metropolitanes” [Ferrer, 1997, 50]. Il piano del 1995 si riprende alcuni obiettivi generali già individuati e li porta a maturità; in particolare definisce gli obiettivi di equilibrio generale per la Catalogna generando un sistema di vettori di mobilità territoriale attraverso la città delle città puntando a sviluppare di queste ultime le differenti culture, la sinergia fra culture diverse, la conciliazione fra lavoro e vita familiare [AA.VV., 2003].
Dalla bioregione urbana al “patto cittàcampagna”: il ruolo del territorio agro forestale
5
regions, old and new forms of agriculture, major and minor waterways and lakes, wood and parkland, interlinked by ‘blue’ and ‘green’ networks, in a coherent parkland system. A metropolitan parkland system is essential if the dynamics of urban development are to be controlled and if the land is to be used – partly thanks to sustainable agriculture – as a tool for
subdividing the city and marking the city boundaries”. Un altro esempio di pianificazione secondo il modello della regione urbana polinucleare può essere letto nel Pla territorial general de Catalunya (1995) che comprende, oltre che Barcellona, un’area molto vasta con una popolazione di circa 3,2 milioni di abitanti. L’area
Pianificare secondo il modello della regione urbana polinucleare, come abbiamo visto, sta interessando molte realtà territoriali europee. Sebbene ognuna di queste esperienze abbia sviluppato un approccio innovativo affrontando anche temi legati al ricollegamento dell’insediamento all’ambiente e agli intorni agricoli, non appare ancora ben delineato il processo legato all’interpretazione bioregionale. Nell’approccio di Magnaghi alla bioregione urbana polinucleare i nodi della rete insediati-
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Paesaggio a prevalenza di tessuto urbano Paesaggio a prevalenza di aree rurali Paesaggio a prevalenza di boschi o aree estensivizzate
Urbanizzato Urbanizzato con spazi agricoli aperti interclusi Urbanizzato con spazi agricoli disturbati Matrice agricola con rete minore disturbata Rete ecologica disturbata Matrice agricola permeabile Matrice agricola con rete ecologica minore Nodi della rete
6
7a
7b
7c
va sono invece fortemente radicati nel proprio territorio di riferimento inteso come neo-ecosistema costruito nel tempo dalla relazione complessa fra uomo e ambiente. Uno degli slogan pronunciati da Magnaghi è infatti: senza neo-ruralità niente neo-urbanità [Magnaghi, 2009]. Con ciò si intende dire che la ricomposizione urbana passa dalla ricostruzione del territorio rurale, oggi distrutto dai processi di diffusione della metropoli nelle campagne, e dalla trasformazione dei cicli di autofertilizzazione delle coltivazioni storiche in “industria verde”, entropica e deterritorializzante proprio come la metropoli urbana. La bioregione urbana non può prescindere da quelle funzioni rigeneratrici offerte dall’intorno agricolo che garantivano storicamente alla città un rapporto sinergico con il ciclo delle acque, con l’alimentazione, con i rifiuti, con la manutenzione dei cicli ecologici, con l’insieme degli scambi e flussi energetici [Mercier, 1980, Bevilacqua, 2006] ecc.5 Si tratta quindi di pensare ad un nuovo patto città-campagna, in cui il territorio, definito in negativo extra-urbano, riacquista un ruolo di relazione con la città uscendo dalla marginalizzazione in cui l’aveva relegato l’urbanistica funzionalista, che concepiva quelle aree solo come foglio bianco, aree senza una specifica connotazione in attesa solo di essere trasformate in urbano. Un nuovo patto città-campagna dovrebbe rendere attivi una serie di principi che Magnaghi
sintetizza nei seguenti punti:“-fine del territorio extraurbano, rinascita del territorio agrosilvopastorale, con nuove forme di organizzazione postindustriale del mondo rurale e dell’azienda contadina; - contributo della neo agricoltura periurbana alla definizione dei nuovi confini urbani; riduzione del consumo di suolo, chiusura locale dei cicli dell’alimentazione, dei rifiuti, dell’energia…; - le mani verdi sulla città: dal parco naturale al parco agricolo multifunzionale. Qualità alimentare, reti corte produzione-consumo, mercati locali, orti periurbani, qualità ecologica, qualità del paesaggio, mobilità dolce nel territorio rurale; restituire il territorio agricolo alla fruizione della città: il territorio aperto (agroforestale e naturale) rigenera la qualità dell’abitare la regione urbana; - abitare la regione urbana: costruire le condizioni di esistenza della regione verso la bioregione urbana policentrica (alleanza di città); - riorganizzare in modo autosostenibile il metabolismo e i cicli riproduttivi della bioregione; - ridefinirne il ruolo, la forma e le relazioni socioeconomiche rispetto a sistemi regionali policentrici, nei quali si riorganizzano costellazioni di città ognuna delle quali in equilibrio con il proprio sistema territoriale di riferimento e in relazione con tutte le altre del sistema” [Magnaghi, 2009]. La bioregione urbana policentrica si alimenta dunque della rinascita dell’intorno rurale delle singole città che la compongono e in questo
supera il doppio regime che nel tempo si è ipotizzato fra aree della conservazione (parchi naturali e centri storici) e aree dello sviluppo (l’organizzazione del territorio secondo il dominio delle leggi dell’economia), cioè fra luoghi in cui sono riconosciuti certi valori, tenuti come simulacri della natura e della cultura (e per questo mummificati), e aree senza presunte connotazioni dove le trasformazioni (dettate dalla crescita economica) possono avvenire rompendo tutte le regole e gli equilibri dinamici che il processo di territorializzazione ha prodotto nella lunga durata. Insomma la corona rurale periurbana riemerge in tutta la sua pienezza, non più distinta dualmente in parchi e aree più ordinarie a destinazione agricola quale essa sia, ma come “a single countryside” [Alexander, 1977], cioè come luogo della produzione agricola alimentare sostenibile per un mercato di prossimità e come luogo di produzione di beni e servizi vari necessari a una città che voglia ritrovare un equilibrio ecosistemico. Un esempio di questa ipotesi lo ritroviamo nello studio per la bioregione urbana della Toscana Centrale [Magnaghi, Fanfani, 2010]. Tale proposta, a partire da una esperienza di ricerca finalizzata alla definizione di un approccio integrato e innovativo alla pianificazione degli spazi aperti, critica il modello della città metropolitana come capitale regionale che periferizza, gerarchizza e banalizza il proprio
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territorio di pertinenza e, al contrario, sperimenta e propone un modello di pianificazione in cui la città metropolitana viene concepita come “centro di servizi di un sistema regionale policentrico formato da sistemi territoriali locali e reti di città” [Magnaghi, Fanfani, 2010, 36]. La città trova nel territorio agroforestale e nel suo patrimonio, ambientale, culturale e produttivo, la matrice per il riconoscimento di ambiti bioregionali vitali e sostenibili e per la ridefinizione progettuale della stessa forma insediativa. Questo modello progettuale – incentrato sullo scenario esplorativo del “green core” della toscana centrale” e del suo “ellisse urbano” (fig. 1) – si propone di elevare il livello di benessere e la qualità del vivere degli abitanti e di combattere l’insorgenza di sempre maggiori povertà legate a fattori sociali, ambientali, territoriali, urbani e paesistici. In questo gioco complesso di riattivazione di relazioni bioregionali ovviamente svolge un ruolo fondamentale la rilettura dei caratteri morfologici sia della struttura insediativa regionale, sia dei singoli nodi urbani, ognuno cresciuto con caratteri identitari unici, con una propria personalità distinta (fig. 2). Nel caso specifico della Toscana centrale, infatti, le città storicamente si sono posizionate a formare un’ellisse ideale le cui linee principali percorrono le aree pianeggianti che estendono fra Firenze-Prato-Pistoia-Lucca-Pisa e ritornano per la valle inferiore dell’Arno (PontederaFucecchio-Empoli-Signa-Firenze). In questo sistema polinucleare i centri urbani si dispongono “nella regione come “testate” di valli profonde o di nodi orografici montani o collinari, affacciati sul vasto sistema planiziale della valle dell’Arno e degli affluenti, in primis sulla riviera dell’antico lago pliocenico della piana FirenzePrato-Pistoia, lungo la faglia delimitata dall’antica Cassia [...] (fig. 3). L’identità di ogni nodo urbano è data dall’essere un crocevia (funzio-
nale, ambientale, relazionale, paesistico) fra il sistema socioproduttivo collinare e montano (verticale), di cui il nodo urbano è testata generatrice e dal quale è continuamente rigenerato, e la rete di relazioni lungo l’ellisse planiziale (orizzontale) di cui è nodo fra Firenze e il mare. Le città sono le perle, l’ellisse il filo che genera la collana, le valli la corona che nobilita il portamento della figura territoriale. Dalla Val Marina alla Val di Bisenzio, alle montagne pistoiesi, alla Val di Nievole, alla Lucchesia, alla Val d’Era, alla Val d’Elsa e alla Val di Pesa, i paesaggi della corona montana e collinare improntano di culture straordinariamente diversificate le loro capitali. Ogni nodo urbano apporta alla collana il suo specifico contributo identitario e di relazioni verticali e orizzontali. All’interno dell’ellisse uno straordinario green core (costituito da zone umide, boscate, montane, ricche trame del paesaggio agrario toscano) completa il disegno insediativo della bioregione” [Magnaghi, Fanfani, 2010, 48] (fig. 4). In questa metafora della collana e della corona si gioca la ricostruzione di una qualità dell’abitare di una realtà polinucleare complessa che altrimenti, sottoposta a stress continui, non potrà che degenerare in ingarbugliato sistema pervasivo, diffuso, illimitato, che produce solo “crescenti insostenibilità: congestioni, abnormi consumi di suolo, urbanizzazione interclusiva e frammentante del territorio rurale [...], dissoluzione degli spazi pubblici caratterizzanti la città europea, antica e moderna [...], bassa qualità dell’abitare, della mobilità e delle relazioni sociali, bassa integrazione e inclusione, forte degrado ambientale e paesistico e così via” [Magnaghi, Fanfani, 2010, 37]. Insomma uno scenario catastrofico che il modello della bioregione urbana policentrica può aiutare a scongiurare (figg. 7a, 7b, 7c).
La bioregione urbana per un nuovo progetto di territorio Il modello della città policentrica qui interseca potentemente in termini anche progettuali l’idea bioregionale, che abbiamo delineato all’inizio del testo, in particolar modo nel ruolo riservato agli spazi aperti nel processo di riconversione della conurbazione metropolitana. Si tratta quindi di riequilibrare, attraverso politiche e piani sapientemente integrati e multisettoriali – piani urbanistici e territoriali, parchi agricoli, parchi fluviali, reti connettive ecoterritoriali, progetti di paesaggio, piani di sviluppo rurale ecc., il complesso insediamento fatto di piccole e medie città, tessuto in millenni di evoluzione storica, riannodandolo agli spazi rurali, ai parchi agricoli, alle aree agroforestali. Far riemergere quindi la forza progettuale e morfogenetica degli spazi aperti mediante trattamenti integrati e interscalari al fine di: riassegnare una forma finita agli spazi urbani bloccando ulteriore consumo e frammentazione del suolo agricolo attraverso una nuova frangia urbana biopermeabile e multifunzionale; ridefinire e ampliare il concetto di spazio pubblico anche al territorio agricolo e agroforestale, strutturandone la sua continuità fruitiva e produttiva [Viljoen, 2005] (fig. 5). In questi termini il concetto di spazio pubblico è interpretato come elemento capace di far riemergere i caratteri identitari dei vari nodi e quindi di dilatare il senso dell’abitare in modo da comprendere la complessità di ambienti di vita e dei paesaggi della regione urbana; ricostruire reti connettive e di intermodalità degli scambi spingendosi sempre più verso una valorizzazione dei sistemi economici a base locale; ricostruire rapporti di reciprocità fra i sistemi urbani e gli spazi aperti agroforestali per generare di nuovo equilibri ecosistemici, energetici, alimentare; riattivare gli equilibri autoriproduttivi dei bacini
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idrografici; ricostruire il metabolismo e i cicli riproduttivi della bioregione, valutando anche la possibilità di ridurre l’impronta ecologica attraverso la tendenziale chiusura locale dei cicli ambientali ed energetici, la produzione di insediamenti produttivi ecologicamente attrezzati, la manutenzione collettiva del territorio; riorganizzare gli agropaesaggi per garantire la relazione complessiva della città polinucleare, fatta quindi di sistemi di città ognuna in equilibrio dinamico con il proprio ambiente e con il proprio territorio (fig. 6).
Terranuova, n. 35.
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Bernetti I., Marinelli N., (2010),“Esplorare il futuro del territo-
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pes. Designing urban agricolture for sustainable cities, Elsevier, Oxford (Mass).
(a cura di), Patto città-campagna. Un progetto di bioregione urbana per la Toscana centrale, Alinea, Firenze, pp. 159-182. Bevilacqua P. (2006), La terra è finita. Breve storia dell’ambiente. Laterza, Bari. Bonaiuti M. (2004),“Relazioni e forme di una economia ‘altra’. Bio-economia, decrescita conviviale, economia solidale”, in Caillé A., Salzano A. (a cura di), MAUSS 2: Quale ‘altra mondializzazione’?, Bollati Boringhieri, Torino. Camagni R. (1990),“Strutture urbane gerarchiche e reticolari: verso una teorizzazione”, in Curti F., Diappi L. (a cura di), Gerarchie e reti di città. Tendenze e politiche, Franco Angeli, Milano, pp. 49-69.
Note
Dematteis G. (1990),“Modelli urbani a rete. Considerazioni
Pur nella concezione unitaria del contributo da parte degli
preliminari”, in Curti F., Diappi L. (a cura di), Gerarchie e reti di
autori, i primi 3 paragrafi sono da attribuirsi a Claudio
città. Tendenze e politiche, Franco Angeli, Milano, pp. 27-48.
Saragosa, mentre gli altri due sono da attribuirsi a David
Ferrer A. (1997),“El Pla General Metropolità De Barcelona. La
Fanfani.
Versiò de 1976”, in Papers, Regiò Metropolitana de Barcelona,
2 - Vedi: http://www.deltametropool.nl/v1/index.php
n. 28, novembre 1997.
3 - Vedi: http://www.deltametropool.nl/v1/pages/english/
Georgescu-Roegen N. (1982), Energia e miti economici,
Declaration%20Deltametropolis.php#
Boringhieri, Torino.
4 - Vedi: http://www.deltametropool.nl/v1/pages/english/
Iacoponi L. (2004),“La complementarità fra città e campagna
Declaration%20Deltametropolis.php#
per lo sviluppo sostenibile: il concetto di bioregione”, in
5 - Magnaghi richiama a questo proposito l’affresco che rap-
Rivista di Economia Agraria, a. LIX, n. 4, pp. 443-475.
presenta l’allegoria del buon governo di Ambrogio
Lambregts B. (2002),“Eurbanet: Introduction Theoretical
Lorenzetti: in questo dipinto “è la porta della città al centro
Framework, Delft University”, in http://www.otb.tudelft.nl.
della scena: porta che evidenzia l’osmosi fra la buona con-
Magnaghi A. (2009),“Il progetto della bioregione urbana
duzione della campagna e la qualità della vita nella città.
policentrica”, in Bonora P., Cervellati P.G. (a cura di), Per una
Nell’affresco antistante del cattivo governo è una campagna
nuova urbanità. Dopo l’alluvione immobiliarista, Diabasis,
arida, piena di incendi che simboleggia la decadenza della
Reggio Emilia.
qualità urbana: il primo elemento di crisi è la campagna in
Magnaghi A., Fanfani D. (2010), Patto città campagna. Un pro-
fiamme”. Magnaghi A. (2010), Il progetto locale... op. cit., pag.
getto di bioregione urbana per la Toscana centrale. Alinea,
185-186.
Firenze.
6 - Il lavoro citato fa riferimento ad un progetto di ricerca di
Magnaghi A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza di
interesse nazionale (PRIN) coordinato da Alberto Magnaghi
luogo, Bollati Boringhieri, Torino.
e finanziato dal Ministero dell’Università ed avente come
Maturana H. R., Varela F. J. (1985), Autopoiesi e cognizione. La
oggetto “Il parco agricolo come strumento innovativo per la
realizzazione del vivente, Venezia, Marsilio.
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Experiences of Italian and European bioregionalism The growing concentration of population in urban areas - both worldwide and at European level - with its consequences in terms of environmental, social and economic imbalances, point out the necessity to redefine the territory and settlements organization forms in such a way to foster a sustainable development of the settlement seen as a whole, made up of urban, environmental and cultural features. In such a prospect the contribution recovers, starting from the concept of “territorial ecosystem”, the heuristics and operating relevance of the concept of bioregion, conceived as the territorial structure that expresses a dynamic equilibrium between the different factors that constitute a settlement, ensuring their mutual support and reproducibility. Besides this concept is strongly related to that of “urban bioregion”, developed in the context of “territorialistic approach” proposed by Alberto Magnaghi”, and stresses on the necessity of the recovery of polycentric non-hierarchical urban systems in a balanced relation with the surrounding agro-environmental region. Starting from the founding value –in morphological, functional and socio-economic terms- of the agro-environmental territory surrounding the cities, the article points out on the general guidelines for a bioregional project, aimed to a renewed “city-countryside agreement”. This is a “strategic” agreement, to deliver new productive and functional relationships of mutual support between cities and with the surrounding rural and environmental areas, in such a way to set out the long term key issues for the local identity reproduction and for sustainable local development processes.
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La rigenerazione del territorio: un manifesto per la neoruralità
Giorgio Ferraresi Politecnico di Milano, Dipartimento di Architettura e Pianificazione
Premessa Il testo che viene qui pubblicato non è un “saggio”; è un “manifesto” (o una proposta per un manifesto), è un “annuncio” della ricomparsa nel mondo dell’economia, della cultura, del progetto di territorio e della stessa città, del “soggetto agricoltura” nuovamente vivo dopo la sua marginalizzazione, la destrutturazione della sua natura, il vero e proprio genocidio nel corso del dominio nei secoli recenti del modello dell’urbanesimo industrialista e post-fordista: la rinascita cioè, dopo questa sommersione, del ruolo antico del mondo rurale e dell’attività “primaria” che genera e governa il territorio e i cicli ambientali e nutre i mondi di vita. Un ruolo antico La questione ambientale ha un nuovo nome: ma ora declinato al futuro e che nel presente è già annunciato e ha già attività primaria di produzione di qualità locale radici; e, ovviamente, presenta insieme alla sua capacità rigenerativa e ambientale e di governo dei cicli. anche le sue contraddizioni (su si dovrà ritornare). Il ruolo storico dell’agricoltura riemerge al centro E comunque, i temi di questo manifesto vivono in uno scambio fertile con i sempre più rilevanti processi sociali per la sovranità alimentare in tutto il del progetto ecologico di futuro. mondo che sono parte essenziale di sperimentazione di nuove economie e nuove forme di civilizzazione. Come ogni “manifesto” anche questo testo assume una forma retorica “assertiva” (piuttosto che argomentativa) e non ricorre a citazioni, fonti, apparati bibliografici. In realtà, questo “manifesto” è tutt’altro che privo di argomentazione: solo la rimanda ad altrove, ai fondamenti nelle sue profonde radici di ricerca. Che si possono qui richiamare in brevi parole e limitandosi al percorso principale, alla storia più interna, all’ambito di ricerca che esprime questo testo e che, se si vorrà, potrà a sua volta rimandare ad altri percorsi più articolati. Una matrice essenziale riguarda il campo della ricerca territorialista italiana nei suoi elementi essenziali: l’approccio “ecologico” e “locale”, proposto anche come alternativa alla cultura dello sviluppo illimitato, propria
Figure 1, 2, 3, 4. Immagini del Parco Agricolo Sud di Milano. Le foto sono state realizzate dagli studenti del Laboratorio di Urbanistica (Facoltà di Architettura e Società Politecnico di Milano, A.A. 2008-2009) tenuto dai proff. G. Ferraresi, A. Calori, F. Coviello, M. Baietto. 1
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dell’accezione della “modernità” dominante; la teorizzazione del territorio come soggetto vivente, complesso, non riducibile a “spazio” dei flussi funzionali allo scambio di merci; la reinterpretazione, in questa scuola, della svolta ecologica non solo come limite ma come progetto costruttivo dei luoghi dell’abitare, del primato dei mondi di vita, della emersione della bioregione e della formazione di altro valore territoriale. Basti qui citare il testo iniziale di questa scuola: A. Magnaghi (a cura di) “Il territorio dell’abitare”, Angeli 1990, primo esito di una serie ventennale di ricerche PRIN in rete nazionale e relativi testi sui temi territoriali analitici e progettuali nei quali appaiono sempre scritti della sede del Politecnico di Milano e di chi scrive queste note; sino ad arrivare alla ultima ricerca compiuta (ora altri lavori sono in corso sul PRIN “Il progetto di territorio”) sui Parchi agricoli e il ruolo dell’agricoltura in generale (4 testi, rispettivamente delle sedi di Firenze, Genova, Palermo e Milano). In rapporto (ma non solo) a questa corrente di ricerche nasce quindi l’attenzione all’agricoltura come attività primaria di generazione di territorio. In particolare, il gruppo di ricerca territorialista di Milano aveva acceso da tempo un filone di studi sul ruolo dell’agricoltura ridefinendo il concetto di “parco” del funzionalismo, discostandolo dalla funzione di “compensazione verde” del modello di sviluppo esistente e sostenendo “il coltivare” come azione fondamentale di costruzione di ambiente e di altra modalità di sviluppo sostenibile. Il testo a cura di G. Ferraresi e di A. Rossi “Il parco come cura e coltura di Territorio” (Grafo, 1993) è una tappa rilevante in tal senso che anticipa il tema del ruolo di un’agricoltura “costruente” ambiente e territorio. Ma si può citare come matrice più diretta e recente di questo “manifesto”, il testo, sempre curato da G. Ferraresi,“Produrre e scambiare valore territoriale; dalla città diffusa alla ‘forma urbis et agri’“ (Alinea, 2009), che è uno dei quat-
tro testi sopra accennati della ricerca PRIN sui parchi agricoli. Un testo che riprende quella tradizione di ricerca del gruppo di Milano e affronta il tema della neoagricoltura con un approccio teorico in termini strutturali, riprendendone anche le radici epistemologiche, delineandone la forme di razionalità sottese e riconoscendo le modificazione antropologiche nei processi sociali per la sovranità alimentare e le forme solidali di scambio introducendo, inoltre, contributi di indirizzi progettuali e di scenario, indicazioni per le politiche pubbliche, con particolare riguardo al contesto dell’area milanese e all’alternativa a questa diffusione urbana ma con ampi riferimenti internazionali. Infine va sottolineato che questo “manifesto” si apre ad una nuova lettura e ri-argomentazione, essendo stato proposto come un testo base per la discussione che conforma la nascente “Società dei territorialisti” (in particolare nella commissione “Paesaggio e nuove alleanze città/campagna”). Si consideri che questa “società” in formazione sta proponendosi (a livello nazionale e con componenti internazionali) per una nuova fase degli studi territorialisti intrecciata con le sperimentazioni e i movimenti sul campo, con un approccio allargato a molti interlocutori e largamente transdisciplinare, mentre emerge sempre più come centrale il tema del territorio come nodo e posta in gioco nelle scelte strategiche economiche e nelle forme di organizzazione sociale; in particolare intorno al tema dei beni comuni, ove il ruolo della neo-agricoltura di qualità locale e ambientale assume un forte rilievo ed è campo di pratiche di avanguardia.
economie, politiche, forme sociali, denominazione, identificazione assegnazione di senso); prodotta dalla plurimillenaria opera di “territorializzazione”, azioni antropiche nel tempo; ma non semplice accumulazione di artifici, bensì continua riconfigurazione della complessità. Questa azione costruttrice di territorio è stata nella storia l’agricoltura l’essenziale e la prima (appunto “attività primaria” in senso plurimo e denso) produttrice di cibo, materiali, governo dei cicli ambientali, matrice di luoghi, mediante trasformazione/domesticazione della natura. Fondatrice anche, in radice, dell’urbano, della città nel mito e nel suo processo di costruzione. Il territorio non esiste in natura, è un “costrutto”; e la natura nel territorio è natura seconda, riprodotta e governata. Il tempo lungo della stratificazione del territorio è dispiegato secondo il respiro e il ritmo lento della attività primaria, secondo i percorsi di “ragione” e “mito”, a formare la complessità del territorio in una sostanziale compresenza. Ma configurando epoche e tempi diversi secondo la prevalenza o l’egemonia dell’uno sull’altro di questi due poli.
Il ruolo storico dell’agricoltura Nel cuore del territorialismo si esprime la definizione di “territorio come soggetto vivente”, complessa interazione di sistemi ambientali, insediativi e culturali/sociali (saperi, sacralità,
La liquidazione del rurale nella “modernità” dell’urbanesimo industrialista L’epoca che stiamo vivendo (e che ora attraversa la sua crisi strutturale di sostenibilità) ha costituito una forte discontinuità rispetto a questo procedere della storia e al ruolo centrale del coltivare per trasformare la terra; una discontinuità rappresentata dalla “forma vincente” della modernità che ha impresso una smisurata velocità alla trasformazione del territorio, inusitata e mai sperimentata in epoche precedenti,. Il suo fondamento ultimo può ben essere individuato nella nascita della scienza determinista e
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Figura 5. La relazione tra domanda e offerta di prodotti agricoli di qualità all’interno del Parco Agricolo Sud Milano. Immagine elaborata da Francesco Coviello e Diletta Villa sotto il coordinamento del prof. Giorgio Ferraresi (Laboratorio di
delle sue leggi universali dopo le rivoluzioni copernicana e newtoniana; e nello sviluppo dirompente della tecnologia che l’accompagna: l’instaurazione cioè di una pretesa cognitiva assoluta e insieme di una enorme potenza trasformativa che si intendono senza limiti: certezza e infinitezza. All’espulsione del sacro immanente, del mito, si accompagna, nello stesso terreno del “razionale”, l’emergere egemone della “ragione strumentale”: volta alla produzione di cose (e delle macchine che le producono) nella loro natura di merci che percorrono il mondo come una illimitata piattaforma di scambio; il che rende astratto e riduce a spazio il territorio. Le teorie del progresso, razionalismo e positivismo, hanno nel seno della loro capacità propulsiva di innovazione questo germe di capacità distruttiva. In particolare le scienze e le tecniche di pianificazione e progettazione esprimono il dominio del razionalismo funzionalista come esito vincente, cioè la riduzione del territorio allo spazio/piattaforma percorso dai flussi di funzioni. È questo lo statuto essenziale dell’industrialismo e dell’urbanesimo dominanti: dal tardo Settecento in alcuni paesi dell’Occidente, sino al fordismo come modello potenzialmente esteso al mondo come forma unica della produzione e della organizzazione sociale connessa; statuto ulteriormente esteso e trasformato nel post-fordismo con l’inclusione crescente nel mondo delle merci dei mondi di vita e dell’intero territorio vivente. Questa invadente e insostenibile dittatura della ragione strumentale pone al centro della sua instaurazione il genocidio del mondo rurale e la liquidazione della fertilità complessa dell’attività primaria. Espropriando i “commons”, erodendo e marginalizzando il rurale e le sue culture, deportando i suoi abitanti. Si mantiene in campo l’agricoltura come
Progettazione Ecologica del territorio - Di.A.P. Politecnico di Milano) nell’ambito del Programma di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale “Il Parco Agricolo: un nuovo strumento di pianificazione territoriale per gli spazi aperti”.
agroindustria, omologazione dei suoi prodotti e loro riduzione a merci come le altre (produzione di “cose”). E si pianificano, in luogo del rurale, spazi aperti verdi (non più soggetti territoriali con forza propria) a compensazione della urbanizzazione crescente. I parchi (urbani e “naturali”) hanno questo senso. L’agricoltura perde così i suoi caratteri essenziali e distintivi, propri di ciò che costituiva il ruolo storico della sua azione. E lì sta la ragione ultima del degrado territoriale e ambientale che rende insostenibile il modello di sviluppo dominante.
La riemergenza della attività primaria come matrice di futuro: la svolta ecologica La questione ambientale ha quindi radice nella distruzione dell’agricoltura come cura del territorio, come governo dei cicli e come fonte di ricchezza. La crisi del rurale è l’altro nome della crisi ambientale. È sostanzialmente il manifestarsi nel mondo della consapevolezza della crisi ambientale nella sua radicalità a rendere di nuovo dicibile e a far riemergere il valore della ruralità. Una consapevolezza che, dopo un lungo processo, si traduce in evento epocale nel Convegno mondiale sull’Ambiente di Rio de Janeiro del 1992, ove si pone al pianeta intero la questione ambientale e si riconosce universalmente l’insostenibiltà del modello di economia e organizzazione sociale che domina la terra. Si individua anche una “Agenda del XXI secolo” per uscire dalla crisi con una diversa prospettiva generale. Un percorso difficile, misinterpretato per molti versi, con ostacoli ricorrenti e cadute rilevanti, ma che lascia comunque in campo un “principio di responsabilità“ da allo-
Figura 6. La rete delle filiere corte per il Parco Agricolo Sud Milano: scenario progettuale. Immagine elaborata da Francesco Coviello e Diletta Villa sotto il coordinamento del prof. Giorgio Ferraresi (Laboratorio di Progettazione Ecologica
del territorio - Di.A.P. Politecnico di Milano) nell’ambito del Programma di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale “Il Parco Agricolo: un nuovo strumento di pianificazione territoriale per gli spazi aperti”.
ra ineludibile. Il punto centrale della “dichiarazione di insostenibilità” fu il rifiuto della “pretesa di infinitezza” dello sviluppo che stiamo vivendo, quale modello unico estensibile ovunque; e quindi il nodo fondamentale di riposta fu l’affermazione della “necessità del limite”. Il concetto del limite necessario costituiva un punto di partenza di un possibile più complesso dispiegarsi del “progetto ecologico”. Si è dovuto però constatare che “il limite” è stato di fatto e prevalentemente interpretato in termini riduttivi, isolato dagli elementi progettuali; un concetto “in negativo”, di natura quantitativa (misurare e ridurre la capacità di carico). Ma quella svolta ecologica apriva a ben altri approcci di natura propositiva in diverse direzioni, alcune già ben esplicitate a Rio, altre poi maturate in esperienze economiche/sociali, di lotta politica e di ricerca, che riguardano e fondano il riemergere del valore del territorio e del ruolo dell’agricoltura, incrociando i percorsi fondamentali del pensiero e della pratica “territorialista”.
La ragione dei mondi di vita L’approccio ecologico (teorie e pratiche) implica uno spostamento di fondo di tipo epistemologico, un’altra dimensione del pensare e dell’agire rispetto alla dominante ragione strumentale e al suo correlato tecnologico nella “produzione di cose/merci”, ponendo invece al centro i mondi di vita e la ragione che li percorre: una razionalità comunicativa e relazionale che si esprime nella “cura”. Questa ragione si accompagna a un’altra scienza (della complessità) e a un’altra antropologia fondate sulla consapevolezza dell’internità dell’osservatore nel mondo osservato e della interazione dell’attore con il contesto/ambiente, secondo processi non lineari: un’altra alleanza
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Figure 7, 8, 9. Immagini del Parco Agricolo Sud di Milano. Le foto sono state realizzate dagli studenti del Laboratorio di Urbanistica (Facoltà di Architettura e Società Politecnico di Milano, A.A. 2008-2009) tenuto dai proff. G. Ferraresi, A. Calori, F. Coviello, M. Baietto.
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particolare. Le politiche dell’ambiente non possono che porre al centro un’attività economica pertinente e appropriata: l’agricoltura in generale come cura e coltura del territorio. Il territorio degli spazi aperti, il territorio rurale, ritorna a essere soggetto vivo e attivo, che esprime risorse interne, proprie del luogo, fonte della ricchezza che il progetto ecologico ridefinisce. 8
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tra scienza e natura/vita, che si interseca con il pensiero ermeneutico, con la fenomenologia… Questo modo di concepire il mondo, questo punto di vista “interno” riscopre la complessità del territorio e il suo valore nel coltivare e nutrire la vita, nel produrre cibo e governare i cicli ambientali, nel fertilizzare la terra. Tali sono i fondamenti di un progetto ecologico che restituisce significato fondamentale all’antico ruolo dell’agricoltura ma declinato come responsabilità presente e di futuro.
Si tratta di una riproposizione forte del tema dei “caratteri distintivi” dello spazio come definizione del luogo e della matrice locale della rigenerazione del territorio da parte della neoagricoltura. Si esplicita in particolare il valore territoriale endogeno (che risiede nei caratteri e nelle culture dei luoghi), espresso da questa produzione agricola che cura l’ambiente/territorio su cui agisce: la produzione di qualità ambientale e locale.
Biodiversità e diversità culturale: la produzione di qualità locale e ambientale, il valore territoriale Oltre il tema del “limite”, il messaggio di Rio de Janeiro esprimeva significativamente l’affermazione del valore della biodiversità, un contenuto qualitativo e progettuale non solo difensivo. I movimenti e i pensieri che hanno reso possibile quella svolta hanno sin dall’inizio intrecciato la rivendicazione della biodiversità, come ricchezza ambientale, a quella della diversità culturale e degli stili di vita, come ricchezza delle forme di civilizzazione e delle economie. Questa contestualità ha espresso il tema della sovranità (alimentare, del proprio territorio e delle sue risorse, dei beni comuni) del diritto a esprimere la propria identità e a delineare le diverse vie di sviluppo /realizzazione di sé.
Natura e territorio: la questione ambientale come questione territoriale Un’ulteriore ricorrente sottovalutazione della svolta ecologica sta nella riduzione del concetto di “ambiente” a quello di “natura”. Se ciò con cui abbiamo a che fare è storicamente “natura seconda” (riprodotta da azioni antropiche, essenzialmente governata dall’agricoltura), il nostro ambiente è territorio, insieme natura, cultura, sistemi insediativi, come si è detto. La questione ambientale è allora una questione territoriale. Il progetto ambientale riguarda quindi il ridefinire le azioni dell’uomo nei loro aspetti strutturali, economie, culture, modalità insediative, nel loro ambiente/territorio e che, prima di tutto, consistono nell’attività primaria che presiede ai mondi di vita, al governo dei cicli in
La svolta antropologica e i soggetti in campo: movimenti sociali, reti, produzione di codici e norme e politiche pubbliche Per quanto ora detto, la svolta ecologica comporta una contestuale trasformazione antropologica, che risiede nelle azioni umane di territorializzazione secondo consapevolezza e responsabilità. Questo vale per le culture, le scienze, le forme di razionalità di cui si è detto, che però prendono corpo in comportamenti e azioni di soggetti in campo: hanno sede cioè essenzialmente in processi sociali che ridefiniscono bisogni, esprimono “volizioni” che si differenziano dai modelli dominanti e che producono la valorizzazione del territorio. Il valore del territorio non è infatti il patrimonio territoriale in sé (storico, dato, che spesso è degradato, sommerso o residuo di catastrofi), ma risiede nella riapertura del ciclo di valorizzazione del territorio che i processi sociali mettono in atto. E tali processi costruiscono la sostanza dei beni comuni che non sono solo sistemi del corpo territoriale (terra, acqua, clima, centri storici…) ma anche le pratiche sociali che li attivano, ovvero “il comune” dei saperi, della conoscenza del territorio e della sua cura. In particolare nei rapporti tra domanda e offerta nelle filiere alimentari, e nello scambio che
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ne consegue tra città e contesto rurale, si esprime una autonomia e una sovranità (già richiamata) che ha una grande forza di alternativa e che istituisce alleanze tra produttori e consumatori, riconoscendo il valore delle produzioni di qualità locale ed ecologica e riconquistando la consapevolezza di territorio. Ciò ha inoltre un significato paradigmatico, oltre l’attività primaria stessa: è lo scenario del produrre e scambiare valore territoriale. In termini diversi nel mondo, ma in un crescente scambio reciproco, questi processi (esperienze di nicchia o di lotta disperata di sopravvivenza) formano reti, inducono elementi di altra economia, producendo anche strutture, forme di servizi e associazioni, luoghi di incontro “all over the word” – movimenti locali in reti mondiali –; giungendo a definire altresì statuti, codici normativi del valore delle merci e delle regole dello scambio. Ad esempio “denominazione di origine comunale”,“prezzo sorgente”,“tracciabilità del prodotto” sono indicatori che mirano a dare riconoscimento e remunerazione a chi produce qualità e ambiente, a riappropriarsi della grande quota del prezzo rapinata da trasformazione e intermediazione commerciale, a garantire prezzo equo a consumi consapevoli. Il nodo critico di questi processi (che essenzialmente nascono dal sociale e che sociali sostanzialmente rimangono) si pone nella capacità o meno di interferire, nelle politiche pubbliche e nei processi istituzionali che spesso comunque si incontrano soprattutto a livello locale. E qui si dispiega un tema ancora molto aperto, ma ricco di sperimentazioni in ambiente internazionale in ordine a processi sia “top down” che “bottom up”.
Territorio agricolo e città: “forma urbis et agri” Se il ritorno in campo della centralità dell’agri-
coltura riassegna valore intrinseco ed endogeno agli spazi aperti rurali, questo territorio, come si è già sottolineato, diviene di nuovo “soggetto” forte di una propria cultura e ragione e di una propria produzione di ricchezza. Il territorio costituisce così una alterità rispetto all’urbano dominante ed esprime una capacità di competizione, ma anche di costruzione di una nuova interazione con la città; è un soggetto che antagonizza il puro valore di rendita immobiliare degli spazi aperti periurbani (e non solo periurbani). Si può immaginare allora uno scenario territoriale a più soggetti che fuoriesca da una situazione di pervasività dell’urbano, che tuttavia nega se stesso per bulimia in un’indistinta diffusione dell’urbanizzazione senza profondità e densità culturale e funzionale: una rete senza i nodi, piattaforma territoriale senza densità, luogo senza “milieu”. In particolare, i percorsi di riconoscimento e di riappropriazione del territorio che gli scambi della sovranità alimentare attivano (anche come paradigma, si ripete,) ridanno struttura alle relazioni tra città e territorio rurale, due soggetti che ritrovano relazione. Questa è una azione rigeneratrice del territorio, ma anche di ridefinizione della città, dell’altro da sé, della sua identità e profondità. Si apre una strada di progetto che ha fondamento strutturale (espresso nel “valore territoriale”). Si intende anche sottolineare la possibilità che questa relazione tra soggetti possa riconfigurare una struttura unitaria tra città e campagna, una ricomposizione dei soggetti in rapporto fertile, uscendo dalle modeste riforme del “rururbano” indistinto, non urbano e non più rurale: una figura intersoggettiva invece che si può ridefinire come “forma urbis et agri”.
Territorial regeneration: a manifesto for neo-rurality The model of industrial and post-Fordist urbanism in recent centuries has a bitter heart and presents an original sin which is at the base of its unsustainability: throughout its creation and development it has denied and deteriorated the fundamental primary activity of supporting human life, the management of environmental cycles and territorial generation; until it has caused the radical genocide of the rural world. Furthermore it has reduced the territory to a space for the production and exchange of commodities. Now this primary activity is once again at the centre of the story in the depths of the crisis of this model where the way out is increasingly becoming clear as the reallocation of primacy to the lifeworlds and their form of rationality. A communicative reason, non-linear, contextual and orientated towards a cure that is opposed to instrumental reason which dominates the prevailing model in crisis. The ancient role of agriculture, in its complex and generative action moves in this way towards the future, in design as a creative reinterpretation of environmentalism, based on new forms of economic, civil and territorial organization: a growing ecological revolution (sustainability intended not simply as a limitation and compensation but an ecological matrix of new wealth and prosperity that induces the transformation of other economies) and anthropology (the social forms of food sovereignty and territory recognized as a common good, in an alliance between production and consumer awareness). This matrix implies a new design for the territory and cities, putting into play urban bulimia and the dominance of the real estate value of urban land and reconfiguring a new relationship between urban and rural contexts which pushes rurality to the fore and creates a relationship between complex territorial entities.
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La sovranità energetica come co-agente dello sviluppo locale: metodologia e caso studio
Gianni Scudo Matteo Clementi Politecnico di Milano, Dipartimento BEST Luigi Bertazzoni Paolo Vasino Alter Studio Architetti Associati Grazia Garrone Francesca Soro studio Architettura & Paesaggio
Energia e sviluppo locale A cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 si è sviluppato in Europa un interessante approccio allo sviluppo sostenibile localmente fondato che trova le sue radici nel movimento della controcultura americana ed europea e nelle pratiche dei movimenti ambientali più o meno radicali (dagli ecovillaggi, all’urbsturismo/albergo diffuso, ai movimenti bioregionali) e che in Italia ha avuto una serie di interessanti ricerche ed esperienze negli anni ‘70-’80 evolutesi in approcci teorici e sperimentazioni associativo-istituzionali, che vanno dal movimento dei nuovi municipi a quello della decrescita felice, dai contributi teorici dei movimenti ecoUn progetto di ricerca in ambito montano radicali di base a quelli più maturi della scuola territorialista. per la valutazione delle trasformazioni Alla base dello sviluppo sostenibile localmente fondato sta la convinnecessarie a ridurre il consumo dei combustibili zione che l’aver abbandonato la conoscenza delle caratteristiche intrinfossili, le emissioni di CO2, incrementando seche del luoghi, la cura del territorio e l’utilizzo sapiente delle risorse locali (culturali, ambientali, produttive, patrimoniali) ha portato a una l’utilizzo delle fonti rinnovabili. dipendenza totalizzante dal mondo “globale” attraverso catene di intermediazione per quanto riguarda quasi tutti gli aspetti del vivere: conoscenza, cibo, materiali, acqua energia, mobilità… In particolare, la dipendenza dall’energia esogena – che viene da lontano attraverso le reti tecniche – ha portato a “naturalizzarne” usi non razionali con grandi sprechi e impatti ambientali, mentre la tradizione insediativa era fortemente legata a un uso “parsimonioso” delle risorse, perché la stretta connessione tra flussi di energia e trasformazioni del paesaggio/risorse era ben nota e praticata particolarmente dalla cultura contadina della montagna (i saperi ambientali legati alla policoltura che massimizzava l’apporto energetico/fotosintetico attraverso rotazioni, colture promiscue, monticazione ecc.). La metodologia proposta ha l’obiettivo di fornire strumenti di progetto per (tentare di) elaborare scenari di usi multifunzionali dei nuovi paesaggi dell’energia, in grado di “metabolizzare/rinnovare” i valori intrinseci (ecologici, etico/culturali, sociali e patrimoniali) dei paesaggi tradizionali che vanno difesi e valorizzati.
Figura 1. La fascia di fondovalle con le modifiche paesaggistiche e ambientali apportate dal progetto. Figura 2. Diagramma metodologico di progetto. Figura 3. Evoluzione dei boschi e dei pascoli dal 1855 ad oggi. 1
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Il contesto territoriale Il Comune di Albosaggia si estende sul versante dal fondovalle al crinale orobico della Valtellina, di fronte al Comune di Sondrio. Ha subìto l’esodo tipico delle aree montane verso fondovalle perdendo l’uso delle risorse produttive e insediative tradizionali senza peraltro poter valorizzare la ricchezza paesaggistica e ambientale del suo territorio a uso turistico estivo/invernale, in parte a causa della critica esposizione del territorio prevalentemente a nord e nord-ovest. L’ambito-tipo di intervento è stato individuato nella media Valtellina, utilizzando come campione un Comune la cui estensione territoriale e la cui orografia potesse ben rappresentare le diverse situazioni presenti sui versanti alpini. Il Comune di Albosaggia è posto in un ambito ad altissima naturalità e di salvaguardia ambientale. Al suo interno sono presenti diversi gradi di vincolo ambientale, quali aree ricomprese nel Parco delle Orobie Valtellinesi, siti di interesse comunitario e Zone di Protezione Speciale. L’abbandono dei presìdi della mezza costa e la forte riduzione degli alpeggi in quota, dovuti
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al disuso della pratica della monticazione e degli usi agricoli e forestali correlati, fondativi dell’economia di montagna, ha avuto forti conseguenze, tra cui l’impoverimento del mosaico ambientale, l’assenza di gestione forestale, l’allontanamento della popolazione dai borghi non direttamente accessibili dal fondovalle. Il prevalente sviluppo industriale concentrato sulle aree di fondovalle ha rioccupato la popolazione lavorativa, generando su queste zone un forte carico antropico, insediativo e infrastrutturale, accompagnato dai consueti problemi ambientali. La morfologia insediativa tradizionale, organizzata per nuclei compatti distribuiti sulle fasce più esposte del territorio, ha lasciato il posto a un edificato sparso e di scarsa qualità edilizia, caratterizzato da un grande consumo di territorio e di energia. Il Comune di Albosaggia non è stato coinvolto dallo sviluppo turistico legato alla pratica dello sci, che altrove ha arricchito economicamente e impoverito territorialmente altre realtà montane, nè tantomeno è stato interessato da altre forme di turismo che valorizzasse le straordinarie ricchezze naturali.
Il percorso della ricerca1 Obiettivi Obiettivo della ricerca, commissionata al Politecnico di Milano da Regione Lombardia, Provincia di Sondrio ed Ersaf, è l’individuazione di una metodologia per la riduzione delle emissioni complessive di CO2, in termini di razionalizzazione/riduzione dei consumi (domanda) e di produzione di energia con tecnologie da fonti rinnovabili (offerta). Entrambi gli obiettivi richiedono conoscenze territoriali per bilanciare domanda/offerta. A livello di domanda, la conoscenza disaggregata dei consumi del comparto residenziale (47% delle emissioni), che costituisce un notevole problema essendo gli unici dati disponibili aggregati a scala comunale, sono ricondotti all’analisi parametrica di diversi fattori (climatici, di forma e tecnologici) che rispetto ad alcune tipologie base note (perché simulate/certificate) restituiscono una indicazione complessiva del metabolismo energetico del tessuto edificato su cui impostare strategie di intervento specifiche con risparmi superiori al 20% delle emissioni attuali. A livello dell’offerta, la produzione di energia
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Figura 4. Il Progetto Ambientale inserito nella orografia del territorio.
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termica, elettrica e di metano da fonte rinnovabile seleziona le tecnologie innovative più appropriate al potenziale territoriale locale, valorizzando la specificità del territorio indagato. Il potenziale si valuta con la mappatura della produttività territoriale delle fonti rinnovabili esistenti – sole, acqua e legno. Sovrapponendo le tre mappe della produttività si ottiene una mappa complessiva delle potenzialità energetico/territoriali che permette di elaborare uno scenario di offerta, che nel caso specifico si avvicina al 30% della domanda “ridotta”. L’analisi condotta sul territorio ha mappato le potenziali risorse del paesaggio, insediative ed energetiche sulle quali basare un neo-sviluppo locale sostenibile, evidenziandone potenzialità e criticità. La metodologia proposta permette di elaborare scenari strategici di uso delle risorse mappate reintroducendo una nuova sussidiarietà delle attività dei flussi di risorse tra i diversi ambiti del paesaggio e specificando anche precise azioni di progetto per lo sviluppo locale sostenibile basato sulla multifunzionalità agro-turistica ed energetica. I progetti specifici comprendono, ad esempio: • rigenerazione del patrimonio degli alpeggi di mezza costa (oggi parzialmente utilizzati come seconde case) per la realizzazione di attività agro-forestali e turistiche multifunzionali (riattivazione dei cicli agro-caseari, centro lavorazione e raccolta cippato, agriturismo alpino “slow” ecc.); • gestione forestale sui boschi attualmente abbandonati, con un risparmio di risorse investite in tale direzione; • promozione di pratiche agricole di eccellenza nei pascoli recuperati all’uso con produzioni alimentari di alta qualità, richieste commercialmente a scala sovracomunale; • produzione di cippato a servizio delle abitazioni di fondovalle che, interessate da interven-
ti di retrofit e dotate a piccoli gruppi di impianti di riscaldamento e cogenerazione, soddisfano così il loro intero fabbisogno; • previsione di un presidio permanente con attività legate allo sci d’alpinismo e al turismo sostenibile; • ripristino del paesaggio dell’alpeggio, attualmente a rischio di cancellazione a causa del processo di erosione dei pascoli da parte delle foreste. La risorsa energia diventa quindi in questo quadro un’opportunità per ricomporre l’unione uomo-territorio, storicamente fondante dell’economia dei territori di montagna e delle dinamiche che ne hanno determinato lo sviluppo fino al dopoguerra. Il tema energia può essere l’occasione/pretesto per rilanciare un patto/contratto su innovativi processi di sviluppo locale basato sulle specifiche risorse cognitive, ambientali, produttive e sociali del territorio.
Analisi orientata del contesto territoriale L’analisi territoriale approfondisce il concetto di paesaggio-ambiente come insieme sistemico di risorse e funzioni, antropiche e naturali, utilizzando lo strumento di diagnosi del bilancio ecologico territoriale derivante dalle analisi proprie dell’Ecologia del Paesaggio. Il confronto tra le tre soglie storiche del catasto del 1855, dell’uso del suolo del 2009 e di quello del 2020 come scenario delle azioni del Progetto Ambientale proposto, hanno consentito di individuare: - un nuovo sistema di relazioni tra l’uso delle risorse del territorio (ambientali, fisiche, geografiche, culturali, sociali ecc.); - il recupero degli elementi relitti del paesaggio-ambiente (manufatti come maggenghi, alpeggi, caselli del latte ma anche strutture e tipi di paesaggio quali prati stabili, pascoli,
boschi di latifoglie, ripe boscate, brughiere ecc.); - materiali per una pianificazione sostenibile che individua nell’utilizzo delle risorse energetiche e ambientali “residenti” uno degli assi portanti del progetto locale. Studiare e analizzare il paesaggio in modo sistemico permette di individuarne la sua capacità portante e il grado d’assorbimento dei disturbi superando il vetero approccio funzional/razionalista con un approccio olistico, nel quale il tutto é sempre maggiore della somma delle sue parti. Lo studio degli elementi del paesaggio a diverse soglie temporali ha consentito di valutare le trasformazioni avvenute nel territorio ed è stato fonte di riflessione rispetto a nuove possibilità di sviluppo ecologico e ambientale. La lettura della situazione territoriale paesaggistica del 1855 rivela con evidenza la compresenza di un numero molto alto di elementi che strutturano il mosaico ambientale con una diversificazione molto puntuale tra l’uno e l’altro rispetto all’uso e al tipo di coltura praticata. Gli elementi preponderanti dal punto di vista quantitativo sono il bosco ceduo con una copertura del 23,44%, il bosco di latifoglie con una copertura del 14,10% e le peccete con una copertura del 9,25%. Alla soglia del 2010 il paesaggio non è più di matrice agro-silvo-pastorale, ma si instaurano tre paesaggi: quello più propriamente antropizzato con lo sviluppo edilizio e produttivo, quello agricolo intensivo legato alla coltivazione delle viti e quello forestale rappresentato dalla colonizzazione boschiva nelle aree che tradizionalmente erano dedicate al bosco ceduo e al pascolo. L’apporto di energia succedanea per il mantenimento del suo stato ecologico è notevolmente aumentata, aspetto tipico di queste situazioni di abbandono del territorio montano e dei sistemi socio-economici agro-silvo-pastorali, è cioè necessaria
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un’azione esterna per il mantenimento di tale equilibrio. Alla luce del bilancio ambientale effettuato, il progetto trova nelle scelte proposte l’inserimento di nuovi elementi che possano migliorare la situazione odierna attraverso una serie di iniziative di recupero delle vocazioni tradizionali del territorio con l’obiettivo di recuperare e rivitalizzare il sistema agro-silvo-pastorale degli ambienti di montagna e il rapporto tra fondovalle, mezza costa e alta quota. La rottura delle strette connessioni uomoambiente rappresenta uno squilibrio e una destabilizzazione del territorio che si manifesta con la sempre più accentuata separazione tra gli ambienti di fondovalle, quelli di mezza costa e quelli di alta quota. Mancando la trasversalità dell’attività umana sul territorio, si sono creati tre territori distinti, non più in relazione tra loro, con caratteristiche insediative di sfruttamento intensivo nella fascia di fondovalle, di seconde case a mezza costa, mentre è rimasta marginalmente l’attività di carico degli alpeggi ad alta quota durante il periodo estivo con la relativa, ma ridotta, produzione casearia. In questo contesto, il progetto ambientale ha l’ambizione di recuperare la sussidarietà delle attività antropiche sul territorio attraverso il riconoscimento e la definizione di aree vocazionali dal punto di vista delle risorse energetiche con la proposta di una serie di interventi di miglioramento che possano riallacciare il sistema di relazioni interrotto.
Analisi orientata dei Consumi Stima del fabbisogno locale di energia L’obiettivo di favorire sistemi fondati sull’autosostenibilità energetica locale ha reso necessario comprendere quanto l’offerta potenziale rinnovabile locale possa essere utilizzabile per soddisfare la domanda locale di energia. Di
conseguenza è stato in primo luogo necessario conoscere la domanda di energia locale e quindi capire quali sono le possibilità di ridurne l’ammontare aumentando l’efficienza energetica del sistema e favorendo l’avvicinamento tra domanda di energia e offerta rinnovabile locale. Per quanto riguarda la reperibilità dei dati sui consumi locali, fortunatamente la Regione Lombardia si è dotata dell’efficace database SIRENA (Sistema Informativo Regionale ENergia e Ambiente), che riporta i consumi energetici locali aggregati alla scala comunale distinti per settori e per vettori energetici. I dati registrati in Sirena e riferiti al Comune di Albosaggia, indicano la prevalenza del settore residenziale, che da solo è responsabile del 47% del totale delle emissioni di CO2, seguito dal settore dei trasporti. A partire da tale costatazione lo studio si è soffermato sull’analisi delle possibilità di ridurre i consumi energetici dell’edificato residenziale. Il livello di definizione delle informazioni archiviate in SIRENA, non consente di definire adeguate strategie per la riduzione dei consumi energetici e di conseguenza delle emissioni di CO2 (obiettivo principale dello studio). La condizione ideale affinché ciò sia possibile presuppone di avere a disposizione informazioni sui consumi reali di ciascun edificio, in modo tale da poter definire i fattori che ne influenzano il fabbisogno e di conseguenza comprendere quali potrebbero essere le strategie di intervento più efficaci sulla base delle particolari condizioni di ognuno. Non avendo la possibilità di avere tale tipo di informazione, si è voluto intraprendere un iter sperimentale mirato alla definizione di una metodologia per la stima del fabbisogno dell’edificato residenziale. Il metodo è fondato sull’ausilio di Sistemi Informativi Territoriali (GIS), al fine di mappare quei fattori che influenzano il fabbisogno energetico dell’edifi-
cato e localizzarne la differente distribuzione sul territorio. Le elaborazioni hanno prodotto informazioni relative ai singoli edifici in specifiche banche dati georeferenziate per consentire da un lato di individuare casi studio rappresentativi delle caratteristiche rilevanti dell’edificato, dall’altro di conoscerne la differente quota percentuale di prevalenza sul totale dei manufatti edilizi esistenti. Stime specifiche del fabbisogno energetico effettuate sui singoli casi studio rappresentativi hanno permesso di individuare con minori margini di errore il fabbisogno energetico dell’edificato esistente. Ciò è stato reso possibile attraverso la messa a punto di uno specifico Sistema Informativo Territoriale in cui i differenti fattori che influenzano il fabbisogno energetico degli edifici residenziali sono stati associati a ogni singolo poligono rappresentativo dell’edificio. Tale struttura delle informazioni ha consentito di applicare i valori calcolati sui casi studio ai manufatti dalle caratteristiche simili arrivando a coprire l’intero edificato e di conseguenza di pesare la rilevanza di particolari interventi di progetto nella definizione di scenari di aumento dell’efficienza energetica dell’intero parco edilizio esistente. I risultati hanno permesso di definire le priorità da adottare alla scala comunale, fornendo informazioni utili a orientare le politiche di intervento sulla base di dati quantitativi e valutandone la rilevanza rispetto alle condizioni dell’edificato esistente. La registrazione di una differenza di valori del 5% tra i dati riportati nel database SIRENA e quelli calcolati con il metodo sperimentale appena presentato potrebbero essere un semplice caso fortunato di corrispondenza o dimostrare l’efficacia del metodo adottato. La conferma della seconda ipotesi è rimandata alla verifica di tale corrispondenza in future applicazioni della stessa metodologia in ambito lombardo.
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Figura 5. Stralcio della mappa 1:20.000 e della radiazione solare globale giornaliera nel mese di gennaio, incidente sul piano orizzontale; le isoplete sono tracciate ad intervalli regolari di 100 Wh/m2. Figura 6. La stazione di arrivo delle produzioni da microidroelettrico.
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Mappatura dei fattori che influenzano il consumo energetico dell’edificato
gole linee rappresentative delle facciate dell’edificio visto in pianta, informazioni relative alla superficie della facciata condivisa con altri edifici e alla porzione esposta all’esterno. La distinzione tra le superfici esposte e quelle condivise può essere ulteriormente arricchita con informazioni relative all’orientamento (utile ai fini della definizione di strategie di captazione solare). Gli indicatori adottati nella mappatura dei fattori di forma sono: - il coefficiente di addossamento: quota percentuale della superficie dell’involucro dell’edificio addossata ad altri edifici, sul totale delle superfici dell’involucro edilizio (presenta valori tra 1 e 0, quest’ultimo è associabili a edifici isolati); - il coefficiente di compattezza: presenta valori tra 0 e 1, quanto più la forma dell’edificio si avvicina alla compattezza di una sfera, tanto più il valore sarà prossimo a 1. - il rapporto s/v: il rapporto della superficie esposta all’esterno sul volume dello stesso edificio (tab. 1).
Una volta definito l’uso dell’edificato, in questo caso residenziale, gli altri fattori che ne influenzano il consumo energetico e che sono stati mappati al fine di individuare le caratteristiche rilevanti, sono i fattori climatici, i fattori tecnologici e i fattori di forma. Fattori climatici - Ovvero irraggiamento solare, temperatura, vento e umidità relativa. Per quanto concerne l’irraggiamento solare, la differenziazione della sua incidenza sull’edificato è stata oggetto di descrizione nelle apposite carte solari. Riguardo alla temperatura e all’umidità relativa, considerando che l’edificato è per la maggior parte localizzato nelle zone più a valle del comprensorio comunale, non sono state considerate differenziazioni mappabili sul territorio. La variazione della componente vento non è stata considerata in quanto necessiterebbe di un’adeguata campagna di rilevamento. Fattori tecnologici - Le prestazioni termofisiche dipendono molto da come sono costruiti gli edifici esistenti, in particolare dalla trasmittanza e dalla capacità termica delle tecniche con le quali si sono realizzati i diversi sottosistemi dell’edificio (ad es. attacco al suolo, involucro opaco e trasparente ecc.). In merito, informazioni utili sono state estratte dai catasti storici, attribuendo a differenti fasce storiche differenti pacchetti costruttivi. Fattori di forma - La cartografia a disposizione delle amministrazioni locali, se munita dell’altezza di gronda, consente di sintetizzare le differenti caratteristiche dell’edificato in mappe bidimensionali attraverso il calcolo di specifici indicatori di forma. Dall’altezza di gronda e di piede è possibile conoscere la superficie dei lati verticali che compongono l’edificio. L’uso dei Sistemi Informativi Territoriali consente, a partire da questo dato, di individuare e associare alle sin-
Analisi orientata delle risorse Potenziale energetico rinnovabile Il potenziale energetico locale è più sensibile alle variazioni in un contesto montano, dove la marcata differenziazione di orografia del suolo, vegetazione, condizioni climatiche e di esposizione rende evidente il cambiamento delle risorse disponibili. È però altrettanto indispensabile individuarlo all’interno di una corretta mappatura in ogni realtà territoriale, per calibrare scelte opportune e modulate, laddove si perseguano obiettivi di pieno utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili nella prospettiva di uno sviluppo autosostenibile sociale. L’approfondimento delle specificità territoriali attuali e di quelle storicamente consolidate
consente l’individuazione del potenziale espresso dal territorio rispetto alle produzioni di energia da fonti rinnovabili e una sua localizzazione precisa. Le carte raccolgono i potenziali di utilizzo del sole (radiazione solare) per tecnologie termiche e fotovoltaiche, dell’acqua per mini idroelettrico e legno (biomassa legnosa e scarti agricoli) per tecnologie di cogenerazione e produzione di biogas. Le potenzialità sono mappate con l’individuazione delle relative aree vocazionali. L’individuazione delle aree vocazionali relative al solare sono state individuate con l’ausilio strumenti informatici GIS. Trattandosi infatti del versante della valle meno esposto alla radiazione solare, tali strumenti hanno consentito di utilizzare un Digital Elevation Model della valle per effettuare la simulazione dell’attuale condizione di irraggiamento nei diversi mesi dell’anno. Al fine di tenere in considerazione le ombre portate dai rilievi montani circostanti è stato necessario mappare un area molto più vasta del comprensorio comunale. Tale modello ha permesso di simulare l’irraggiamento solare locale rappresentativo della media mensile e di sovrapporre le elaborazioni cartografiche ottenute con la carta tecnica regionale, in modo tale da poter facilmente associare le informazioni elaborate alle specifiche condizioni del contesto e alla localizzazione dell’edificato esistente. Per una più facile comprensione, le mappe elaborate sono state arricchite di isoplete che mostrano il quantitativo di irraggiamento incidente, rendendo la cartografia più facilmente comprensibile e utilizzabile. L’utilizzo di Sistemi Informativi Territoriali ha consentito inoltre di associare ai singoli poligoni rappresentativi degli edifici le condizioni di irraggiamento annuale sulle coperture, evidenziando le differenziate condizioni in cui si
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Figura 7. Pianta di progetto del Parco dell’Energia che ricomprende l’esistente tracciato del Sentiero Valtellina. Figura 8. Schema di progetto in località Campelli, con riapertura pascolo, stazione di stoccaggio e cippatura biomasse, Zero Emission Farm.
trova l’edificato all’interno del territorio comunale. L’individuazione delle aree vocazionali relative all’utilizzo dell’acqua ha comportato l’analisi del potenziale uso di impianti mini idroelettrici e della disponibilità di acqua di falda superficiale. L’analisi della biomassa ha riguardato il possibile impiego della biomassa legnosa effettivamente disponibile al prelievo e l’eventuale potenziale utilizzo dei reflui di derivazione zootecnica.
Carta e matrice delle opportunità Le mappe dei dati relativi al potenziale energetico rinnovabile vengono sovrapposte alla individuazione cartografica: - delle emergenze territoriali-aree di dissesto e a rischio idrogeologico, zone di scarso sviluppo, aree di pressione urbana, ambienti degradati o depauperati da un punto di vista ecologico e ambientale, aree eccellenti o sottoposte a vincolo; - delle preesistenze significative rispetto alle produzioni energetiche; - di produzioni i cui scarti possano essere oggetto di riuso; - di tessuto edilizio che possa essere oggetto di retrofit spinto; - di altri tipi di opportunità territoriali. La carta delle opportunità costituisce il documento base per l’individuazione delle strategie di azione e la formulazione di ipotesi progettuali puntuali.
Ipotesi progettuali Si individuano alcuni “cluster” di ipotesi progettuali che, con un mix di filiere energetiche territorializzate (sole, acqua, legno), individuano, a partire dal tema dell’energia, nuclei stimolo di sviluppo locale autosostenibile, facilmente leggibili, fruibili e comunicabili. • Cluster sentieri dell’Energia
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Progetti legati alle installazioni di fotovoltaico in chiave paesaggistica che caratterizzano il ‘Parco dell’energia’ e la costituzione del sistema dei ‘raggi energetici’. Le opere previste integrano diversi tipi di produzioni rinnovabili, quale una stazione per la produzione di biometano e le centraline di produzione da microidroelettrico, prevedendone la valorizzazione ed enfatizzandone il valore didattico divulgativo. La proposta di ricomprenderli all’interno di un unico parco tematico è tesa a fornire un’opportunità di potenziamento dell’afflusso turistico, con evidenti ricadute positive economico-territoriali. Rispetto a questa ipotesi, gli interventi potranno essere avviati dall’amministrazione pubblica con la realizzazione di un primo lotto del parco e promossa la partecipazione di privati sia nella costituzione di lotti successivi ‘sponsorizzati’, sia nell’acquisto di singoli ‘lotti fotovoltaici’ dei quali possano beneficiare in termini economici. • Cluster energia agro-forestale Sono individuate una serie di azioni che costituiscono nel loro insieme una filiera di sfruttamento delle biomasse. Si prevede la realizzazione di una Zero Emission farm in località Campelli che abbina attività di tipo agricolo e zootecnico ed aree di stoccaggio, lavorazione e cippatura delle biomasse legnose prelevate dalla foresta, relative allo sfruttamento della
risorsa e degli scarti delle manutenzioni forestali. Il materiale così lavorato viene poi messo a disposizione delle centrali di riscaldamento e/o cogenerazione a servizio di piccoli gruppi di abitazione che sono previste nel più denso edificato a fondovalle. Quale esempio concreto a verifica dei rendimenti e costi di attuazione, è stato sviluppato un progetto pilota realizzato in località Caselle Dottori a servizio di circa 20 edifici. Il modello proposto per lo sfruttamento delle biomasse e la sua implementazione non può basarsi sul solo utilizzo della risorsa legno nelle fustaie incluse nel perimetro del parco, ma deve piuttosto rivolgersi ai boschi cedui di fondovalle per il reperimento di biomasse in quantità più significative. • Cluster efficienza e fonti f.e.r. nell’ambiente costruito Progetti per l’efficienza energetica in termini di riduzione dei consumi di combustibile e di energia elettrica, che comprendono gli interventi sull’involucro edilizio per quel che riguarda i consumi per il riscaldamento, e sulle apparecchiature elettriche per quel che riguarda i consumi elettrici; integrazione di impianti fotovoltaici e solari termici su una parte delle coperture degli edifici residenziali. L’energia prodotta è espressa in termini di riduzione percentuale dell’energia combustibile importata nel caso del solare termico, mentre nel
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BILANCIO GENERALE
MWh/anno
Residenziale riscaldamento Residenziale acqua calda sanitaria Residenziale elettricità Agricoltura combustibili Agricoltura elettricità Industria combustibili Industria elettricità Trasporti combustibili (biocombustibili inclusi) Terziario combustibili Terziario elettricità
34.827 4.103 3.524 1.549 171 151 1.340 15.240
Totale combustibili Totale elettricità Totale
59.047 6.587
3.177 1.551
% sul totale dei consumi elettrici
% sul totale dei consumi di combustibile
CO2 ton emesse
% sul totale
58,98% 6,95%
5.177 610 1.818 413 88 1.760 692 3.911
32,25% 3,80% 11,33% 2,57% 0,55% 10,97% 4,31% 24,37%
782 800
4,87% 4,99%
53,50% 2,62% 2,60% 0,26% 20,35% 25,81% 5,38% 23,55%
12.653 3.399 16.052
Tabella 1. Bilancio dei consumi e delle emissioni del Comune di Albosaggia per settori (Database SERENA Regione Lombardia).
Stategie per l'efficienza energetica
MWh/anno
Interventi sull'involucro Sostituzione Apparecchiature elettriche
20.788 1.242
% sul totale dei consumi elettrici
% sul totale dei consumi di combustibile
CO2 ton emesse
% sul totale delle emissioni
35,21%
3090 641
19,25% 3,99%
18,85%
23,24% Stategia A. V. sole Fotovoltaico coperture edificato Solare termico copertura 1m2/p Fotovoltaico in copetura zef Fotovoltaico in campo libero
400 2.462 48 734
6,07% 4,17%
206 366 25 379
1,29% 2,28% 0,15% 2,36% 6,08%
0,09% 16,74% 3,15%
13 2.365 445
0,08% 14,73% 2,77% 17,59%
56 665
0,35% 4,14% 0,00% 4,49%
0,73% 11,14%
Stategia A. V. legno Biomassa combustibile zef Biomassa combustibile fondovalle Bio-metano da autotrazione
56 9.887 1.862
Stategia A. V. acqua Minidroelettrico su acquedotto Minidroelettrico torchione Geotermia a bassa entalpia
108 1.288
1,64% 19,56%
Tabella 2. Bilancio della riduzione dei consumi e delle nuove produzioni da FER, con percentuali di riduzione delle emissioni divise per ambito.
caso del fotovoltaico è stata quantificata la percentuale di riduzione dell’energia importata sul totale dei consumi elettrici. Gli interventi proposti sono sintetizzati in un masterplan delle azioni sul territorio, attraverso il quale è possibile cogliere e comunicare il sistema complessivo degli interventi e la loro localizzazione territoriale; inoltre, la loro messa a sistema all’interno di un quadro generale mette le basi per la costituzione di un percorso didattico formativo nel campo delle integrazione di tecnologie da f.e.r. nel paesaggio che dia visibilità e sostenga iniziative “virtuose” private e pubbliche anche di piccola scala ma messe a sistema all’interno di master plan di sviluppo locale.
Risparmio energetico e produzione energetica da f.e.r. secondo le ipotesi progettuali Si propone il quadro riassuntivo dello scenario futuro di riduzione delle emissioni di CO2, ottenibile attraverso le azioni precedentemente descritte (tab. 3). L’obiettivo della riduzione delle emissioni di CO2 è raggiunto con una riduzione totale delle emissioni pari a oltre il 50%. Le azioni previste, rivolte sia direttamente alla riduzione dei consumi, tramite gli interventi sull’involucro e l’efficienza degli impianti degli edifici, sia come sistemi di produzione energetica da fonte rinnovabile, hanno l’effetto di coprire il fabbisogno termico del Comune di Albosaggia per circa il 60% e quello elettrico per circa il 52%. La riduzione complessiva delle
emissioni di CO2 e di circa il 53%. L’esperienza elaborata necessiterebbe naturalmente di una verifica applicativa per testarne la validità.
Conclusioni Nel corso della ricerca e della individuazione delle ipotesi progettuali, discusse e poste al vaglio informale dell’amministrazione e della popolazione residente, è chiaramente emersa la consapevolezza che le azioni energetico/ambientali (riduzione dei consumi e delle emissioni) non hanno efficacia di per sé, cioè a livello settoriale, ma devono essere inquadrate in una strategia di proposte di sviluppo locale sostenibile che integrino nella specificità del paesaggio di Albosaggia aspetti ambientali, culturali, sociali e produttivi. In tal modo anche le proposte di un utilizzo
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Figura 9. Confronto del totale delle emissioni annuali di CO2 allo stato di fatto e allo stato di progetto nel comprensorio di Albosaggia.
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Riduzione percentuale CO2 emesse
51,40%
di cui riduz. perc. CO2 efficienza energetica edifici
23,24%
di cui riduz. perc. CO2 uso rinnovabili
28,15%
Percentuale copertura fabbisogno termico con nuovo progetto
59,27%
Percentuale copertura fabbisogno elettrico con nuovo progetto
51,92%
Tabella 3. Quadro riassuntivo dello scenario di riduzione delle emissioni di CO2.
quantitativamente rilevante di tecnologie innovative da f.e.r. possono trovare la loro collocazione come nuove tessere di paesaggi agro-energetici ben integrate alle trasformazioni proposte del paesaggio esistente. Per questo è necessario un master plan paesaggistico/energetico che si richiami agli stretti antichi/futuri legami tra energia e paesaggio – che caratterizzavano le policolture tradizionali di montagna –, che sollevi scelte così critiche per le future generazioni dalle dure pressioni dell’industria energetica, dalla disperazione degli agricoltori in bolletta e che costituisca uno strumento per stimolare sensibilità civica e la capacità degli amministratori a gestire la transizione verso forme di sviluppo locale sostenibile in grado di riappropriarsi dell’uso delle proprie risorse socio-culturali, ambientali e produttive in gran parte “espropriate” dal recente sviluppo della società globalizzante.
fino agli anni ‘60 del’900, Ramponi Arti Grafiche, Sondrio. Bottero M.(2005),“Tecnologia e sviluppo: un dibattito aperto”, in: Bottero M., Progetto ambiente, Libreria Clup, Milano. Bookchin M. (1975), I limiti della città, Fentrinelli, Milano. Cavalli R., Grigolato S. (2007), Progetto pilota legno-energia, Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-forestali, Università degli Studi di Padova. Clementi M., Scudo G.,“Solar radiation mapping at the micro-urban scale using GIS”, in: PALENC2010, Passive and Low Energy Cooling for the Built Environment, Conference Proceedings, Atene 2010. Clementi M., Scudo G.,“Ecodynamic Land Register - Current development level of the tool”, in: Renewables in a changing climate. From nano to urban scale. CISBAT 2009, Conference Proceedings, Editor EPFL, pagg. 415/420, Losanna 2009. Clementi M., Scudo G.,“ELaR. Strumento di valutazione della sostenibilità forte nella progettazione ambientale”, in: Territorio n. 52, Franco Angeli Editore, aprile 2010. Colantonio Venturelli R. (a cura di) (1993), Lothar Finke. Introduzione all’Ecologia del paesaggio, Franco Angeli, Milano. Fabbri P. (2001), Natura e cultura del paesaggio agrario: indirizzi per la tutela e la progettazione, Città Studi Edizioni, Milano. Ferraresi G. (a cura di) (2009),“Produrre scambiare valore territoriale”, in: Dalla città diffusa allo scenario di “forma urbis et agri”, Alinea, Firenze.
Note
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1 - Progetto di ricerca per la valutazione delle trasformazioni
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Architetti L. Beratazzoni, M. Clementi, G. Garrone, F. Soru, P.
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Regione Lombardia (2001), Valutazione ex-ante ambientale.
2 - Un Digital Elevation Model (DEM) è una mappa raster
SOGESID, Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di
che associa ai singoli pixel l’altezza sul livello del mare del
Sondrio, Provincia di Sondrio – Settore Lavori Pubblici,
punto rappresentato; a seconda della scala può avere diffe-
Pianificazione Territoriale ed Energia, Roma.
renti risoluzioni, 1 pixel = 40 m alla scala territoriale, fino alla
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Comunità Montana Valtellina di Sondrio.
The sovereignty of energy as the co-agent of local development: methodology and case study The objective of the research ‘Energy and environment’, commissioned by the Region of Lombardy, is the elaboration of scenarios for the reduction of CO2 emissions in the municipality of Albosaggia in Valtellina (SO) which is also conjugated to a territorial development strategy leading to the definition of Guidelines applicable in other mountain towns of Lombardy.The intervention strategies were identified from the interpretation of potential local renewable energy sources as the engines of new territorial economic and social development which enhance the specificity of the mountain system of which the municipality of Albosaggia is representative.The research is divided into the following macro-phases.The analysis of the territorial context explores the concept of landscape and environment together as a set of systemic functions and resources, both human and natural in origin, through the use of Landscape Ecology.The analysis of consumption and energy requirements has allowed for the identification of factors (climatic, technological and design) that influence them, allowing for targeted action and the reduction of said consumptions and requirements in order to increase the energy efficiency of the system.The analysis oriented to renewable local resources consists of the close examination of the specific local territory and of that historically established so as to identify the ‘vocation’ of the territory with regards to the production of energy from renewable sources (sun, water, wood).The formulation of scenarios regarding the reduction of CO2 emissions through design hypotheses has been brought together in a ‘masterplan’ and lays the groundwork for the construction of an educational and informative journey in fields of excellence from the point of view of energy and for the promotion of a tourism industry that gives visibility and supports economic initiatives.The scenarios identified show it is possible a reduction of approximately 50% of CO2 emissions coming from the municipality.
FOCUS
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Detroit, la città in discussione: crisi urbana e agricoltura urbana
Valeria Fedeli Politecnico di Milano, DIAP - Dipartimento di Architettura e Pianificazione
Detroit. Le immagini e i numeri della crisi di una città e di un intero sistema economico riempiono ormai da più di due anni le pagine della cronaca non solo locale e nazionale ma anche internazionale. La città è diventata infatti per molti l’emblema di un rovesciamento di prospettiva sull’urbano, uno dei luoghi rappresentativi di una condizione inattesa e quasi imprevedibile, uno dei contesti privilegiati dalla osservazione disciplinare, e non solo, di come una città può ‘morire’. La stampa e i media infatti hanno colto l’importanza del caso, tanto da trasferirsi in città stabilmente per osservarla, armi e bagagli, e diffondere nelle cronache popolari internazionali informazioni su una condizione urbana per molti versi drammatica, da tempo in realtà in trasformazione, e che ha fatto della città una Detroit: come una città può ‘morire’ sorta di palcoscenico per la rappresentazione degli effetti della crisi del ma allo stesso tempo trovare soluzioni per uscire sistema economico e urbano americano. da una profonda condizione di crisi. Tra queste: Altrettanto fitte e cariche di aspettative le cronache della rinascita. il rilancio dell’agricoltura urbana e il senso Cronache che ci raccontano di una città che sta esplorando le proprie possibilità e cercando percorsi per uscire da una crisi che sembra di una sfida all’idea di città e di sviluppo. richiedere soluzioni inaspettate e, a prima vista, impensabili come ad esempio il rilancio delle pratiche di agricoltura urbana, che ha riportato alla luce il ruolo di questa attività economica nella storia urbana, ma anche il senso di una riscoperta che
Figura 1. Percentuali di abitazioni abbandonate per isolato (Fonte: Data Driven Detroit - D3). 1
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Figura 2. Immagine di Detroit. (Autore: Aldoch, pubblicata sotto licenza Creative Commons CC BY 3.0 Unported http://creativecommons. org/licenses/by/3.0/deed. en).
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sfida l’idea moderna e contemporanea di città e di sviluppo.
Crisi economica e crisi urbana: il caso Detroit Negli ultimi 50 anni Detroit ha perso un milione di abitanti, secondo i dati forniti dal rapporto del Sindaco disponibile nel sito dedicato al progetto lanciato da quest’ultimo per rilanciare la città (“The Detroit work project”, dall’omonimo sito web detroitworksproject.com): circa il 57% degli abitanti ha infatti abbandonato la città. Non è un caso isolato: altre città hanno conosciuto negli USA un declino demografico altrettanto significativo e non solo nell’ultimo decennio. Ma qui i dati sono particolarmente pesanti, soprattutto se letti nell’ultima decade che ha visto una accelerazione tanto significativa da porre la questione all’inizio di ogni riflessione sul futuro della città: chi vivrà qui, “who will live here?”: è questa infatti la prima domanda del progetto che il Sindaco Bing ha lanciato per cercare di fare fronte alla “scomparsa” della città e dei suoi cittadini. Una città, per chi? E dove? 40 miglia quadrate di territorio abbandonato, l’equivalente di una realtà come San Francisco, costituiscono uno spazio inquietante a dire poco, che mina l’idea della città, la sua forma, la sua densità. E chi ci lavorerà? Con il 24% di tasso di disoccupazione, contro il 9% a livello paese, non è una domanda da poco in una città il cui nome e il cui destino sono da tempo legati a quelli all’industria automobilistica. 10.000 case da abbattere nell’agenda del sindaco (dati fonte detroitworksproject.com): questi i numeri più semplici e rappresentativi della situazione, numeri che hanno fatto il giro del mondo. Partire da questi dati e fatti molto semplici è utile per schizzare un quadro della situazione e al contempo ricostruirne alcune ragioni e condizioni che costi-
tuiscono lo sfondo all’interno del quale il tema della riscoperta dell’agricoltura urbana si colloca e assume significato, nell’ambito di una vicenda più ampia, dalle dimensioni e dai significati molteplici. La storia di Detroit infatti è legata a doppio taglio con la storia dell’automobile più che in altre città americane. Per tutta la prima metà del secolo scorso assiste alla crescita della popolazione e della propria attrattività in concomitanza con la presenza leader del settore automobilistico statunitense. A partire dalla seconda metà del secolo, Detroit vive la decrescita e la dispersione urbana legata al successo di un modello suburbano di cui l’auto costituisce uno dei vettori primari. Un modello suburbano che porta con sè effetti problematici e a volte drammatici di differenziazione e diseguaglianza sociale: come in altre città americane il nucleo urbano centrale si svuota, le famiglie benestanti, bianche, si spostano nei sobborghi, lasciando spazio a popolazioni meno abbienti, di colore. Il fenomeno a Detroit assume forme particolarmente impressionanti, tanto che negli anni seguenti la città si presenta come una delle più segregate degli Stati Uniti, con una forte presenza di popolazione nera nella città centrale, a fronte di un progressivo spostamento della popolazione bianca nei sobborghi. Basti ricordare, con Katz (2010), che il libro simbolo del fallimento del modello urbano americano e delle politiche urbane e cioè il testo scritto da Thomas J. Sugrue, The Origins of the Urban Crisis: Race and Inequality in Postwar Detroit, pubblicato nel 1996, è dedicato appunto a Detroit e costituisce un riferimento comune all’interno di quello che l’autore ricostruisce come la “narrative of failures” delle politiche urbane americane. La letteratura su Detroit è quindi da tempo una letteratura costretta ad investigare i punti
di debolezza e di rottura nella storia delle città americane, così come i momenti di successo e le aspettative: le ragioni della città, vista come luogo dello sviluppo individuale, della realizzazione del sogno americano, ma anche additata come il luogo da abbandonare, la condizione problematica da lasciarsi alle spalle, alla ricerca di un nuovo sogno peri-urbano. Si può dire quasi, in altre parole, che a Detroit, la crisi non è arrivata per caso, né per la prima volta. La questione urbana anzi è già esplosa più volte. E in maniera eclatante. Ed è rimasta per molti versi irrisolta, nel momento stesso in cui veniva apparentemente superata. La contrazione urbana è sembrata di fatto per gli Stati Uniti un destino quasi inevitabile, ma di ben altra natura rispetto a quello che oggi Detroit deve affrontare. Fino a pochi anni fa infatti la contrazione demografica costituiva quasi un indicatore del successo economico di un sistema urbano, come ricorda Kyong Park (2004, in Shrinking City Detroit, pg. 13). La dimensione problematica di questo destino appare oggi però in tutta la sua evidenza, in quanto, diversamente dal passato, a essere abbandonata è una intera città, anche quella dello sprawl e della diffusione urbana, non solo il CBD che già da tempo le città americane avevano visto in crisi (e poi recentemente in recupero, tramite alcuni importanti programmi e politiche, spesso locali). La città abbandonata è quella delle case unifamiliari del sogno americano, quella delle autostrade e del trasporto individuale, quella dei poli produttivi o terziari delle strip extra-urbane. Ed è anche la città delle politiche pubbliche di rigenerazione urbana, che si sono concentrate sulla rinascita delle aree centrali e sulla loro rivitalizzazione, e che hanno poche esperienze, di cosa significhi rigenerare e come sia possibile ricostruire il successo di una città peri-urbana. L’offerta di terra, abitazioni, spazi commer-
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ciali appare oggi del tutto sovradimensionata rispetto ai reali bisogni della regione urbana di Detroit. Cosicché l’opzione che oggi la città deve prendere in considerazione è quella di abbandonare intere parti o settori, infrastrutture e servizi. O ripensarli in modi del tutti inediti, quasi riconsegnandoli ad uno stadio preurbano. Tre in realtà sono le dimensioni che rendono particolarmente complessa la situazione di Detroit all’interno del panorama statunitense. La prima è sicuramente legata alla presenza di un vasto patrimonio di aree pubbliche, per alcuni versi un problema, per altri una risorsa. La seconda alla natura degli spazi urbani, pensati fino dall’inizio in connessione con un’idea di città dell’automobile e dello spostamento privato, in cui le infrastrutture hanno un ruolo rilevante nel disegnare la città e nel permetterne il funzionamento per garantire l’accessibilità alle risorse urbane. Terza questione che accomuna Detroit ad altre simili realtà, quali le città dell’Ohio, è il fatto di dovere fare i conti con alcuni decenni di crescita fisica a cui non ha corrisposto una crescita economica, che ha prodotto una accumulazione di problematicità ma anche di risorse: si sono accumulati spazi per istituzioni, servizi, ecc. che in questo momento non hanno più un pubblico, un senso. Detroit come Cleveland, come altre grandi città, ha svolto un ruolo di servizio alla propria area metropolitana: oggi tutto questo non ha più senso (“sprawl without growth”, pg. 10, Mallach and Brachman 2010). Di fronte a questa situazione, Detroit e altre città si ritrovano oggi a domandarsi cosa significa pensarsi più piccole – resizing – riconsiderando il proprio patrimonio costruito e non costruito, le proprie infrastrutture, i propri spazi aperti. Come si può infatti immaginare di continuare a ragionare su una città in cui un terzo della superficie è terra abbandonata, gli isolati
sono composti da lotti inutilizzati, le case rimaste in piedi sono abitate da poche persone, mentre altre cadono a pezzi senza manutenzione e senza abitanti, ma soprattutto: senza alcuna prospettiva? Una casa su quattro abbandonata significa, letteralmente, che una abitazione su quattro non è in attesa di essere affittata o venduta, semplicemente non ha speranze. D’altra parte gli ultimi dati censuari pubblicati, pure contestati dal sindaco Bing, evidenziano come Detroit sia al centro di un processo di ridimensionamento che appare quasi inarrestabile: da quarta città del Michigan è divenuta la 18esima città. Non può stupire poi molto, la proposta del sindaco di New York, recentemente formulata in occasione della pubblicazione dei dati demografici a maggio di quest’anno, di introdurre la possibilità di ripopolare la città con gli immigrati: proposta da alcuni accolta con imbarazzo, da altri con ironia, da altri ancora con argomentazioni serie (tab. 1).
Un nuovo corso per le politiche urbane e le città negli Stati Uniti: costruire comunità sostenibili All’indomani della elezione del presidente Obama, che ha costruito la propria carriera politica, a differenza di altri presidenti, proprio in una grande e antica città degli Stati Uniti quale è Chicago, il paese è sembrato rivolgere nuova attenzione alla crisi urbana, rispetto alla quasi totale assenza di politiche urbane nell’era Bush. Obama prova a istituire in pochi mesi il White house Office for Urban Affairs e in particolare il White House Office for Automotive communities and Workers, con l’obiettivo generale di sviluppare una strategia per l’”America metropolitana”. Tassello fondamentale di questa politica, il programma community development block grant,
teso a garantire un’azione integrata sulle politiche abitative e lavorative con alcuni campi prioritari di intervento: il primo mira a riportare le città al centro delle politiche pubbliche stimolando l’economia delle regioni metropolitane (con il supporto allo sviluppo di cluster regionali per l’innovazione, alla creazione di posti di lavoro, alla promozione di formazione al lavoro e alla creazione di impresa da parte di soggetti deboli. Il secondo promuove l’Housing con la costituzione di un Affordable Housing Trust Fund per creare nuove case pubbliche, con il recupero parallelo dei sussidi al public housing e il rafforzamento delle funzioni e attività del Department of Housing and Urban Development. Il terzo mira a combattere la povertà, attraverso la promozione di ‘Promise neighbourhood”, con una serie di politiche a scala urbana per aree a forte concentrazione di povertà, accompagnate dall’innalzamento della paga minima oraria e da altre misure. Infine il tema della abitabilità e vivibilità della città viene declinato attraverso la promozione di politiche per la mobilità sostenibile, il controllo delle iniziative di recupero dei siti contaminati, l’uso di misure innovative per migliorare l’efficienza degli edifici e la promozione di comunità più sane. L’amministrazione Obama dimostra infatti di volere fare i conti con le ormai storiche ragioni della difficoltà delle politiche urbane di matrice federale e cioè il localismo, cioè la rilevanza della scala locale piuttosto che di quella federale o nazionale nei processi di rigenerazione urbana; dall’altro l’assenza di coordinamento tra politiche settoriali (Kantor, 2010). L’istituzione dell’ufficio dedicato alla città costituisce un primo passo in entrambe le direzioni (Gelli, 2009): con l’impegno all’integrazione di politiche a lungo rimaste settoriali, da un lato da parte del governo federale, dall’altro il tentativo di avvicinarsi ai governi locali. Si trat-
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City
Youngstown St. Louis Pittsburgh Cleveland Detroit Gary Buffalo Flint Cincinnati Dayton Birmingham Rochester Newark Syracuse Milwaukee Baltimore Albany Akron Erie Philadelphia South Bend
1950 1960 1970 1980 1990 2000 2007 Average annual Average annual 2007 as % population population population population population population population change 1980-2000 change 2000-2007 of peak number %* number %* population 168330 856796 676806 914808 1849568 133911 580182 163143 503998 243872 326037 332488 438779 220583 871047 949706 134995 274605 130808 2071605 115911
166689 750026 604332 876050 1670114 178320 523759 196440 502550 262332 340887 318611 405220 216038 741324 939024 129726 290687 138440 2002512 132445
139788 622236 520117 750903 1511482 175415 462768 193317 452524 243601 300910 296233 382417 197208 717099 905759 115781 275425 142254 1948609 125850
115511 453085 423938 573822 1203339 144953 357870 159611 385457 203371 284413 241741 329248 170015 636212 786775 101727 237177 119123 1688210 109727
95732 396685 369879 505616 1027974 116646 328123 140761 364040 182044 265968 231636 275221 163860 628088 736014 101082 223019 108718 1585577 105511
82026 348189 334563 478403 951270 102746 292648 124943 331285 166179 242820 219773 273546 147306 596974 651154 95058 217074 103717 1517550 107789
65056 350759 290918 395310 808327 80661 264292 104867 297304 146360 206215 204122 270007 139600 582207 637455 91023 196073 98507 1449634 97945
-1674 -5245 -4469 -4771 -12603 -2110 -3261 -1733 -2709 -1860 -2080 -1098 -2785 -1135 -1962 -6781 -333 -1005 -770 -8533 -97
-1,4 -1,2 -1,1 -0,8 -1,0 -1,5 -0,9 -1,1 -0,7 -0,9 -0,7 -0,5 -0,8 -0,7 -0,3 -0,9 -0,3 -0,4 -0,6 -0,5 -0,1
-2424 +367 -6235 -11870 -20420 -3155 -4051 -2868 -4812 -2831 -5229 -2236 -506 -1109 -2110 -1957 -576 -3000 -744 -9702 -1486
-3,0 +0,1 -1,9 -2,5 -2,1 -3,1 -1,4 -2,3 -1,5 -1,7 -2,2 -1,0 -0,2 -0,8 -0,4 -0,3 -0,6 -1,4 -0,7 -0,6 -1,5
38,6 41,0 43,0 43,2 43,7 45,2 45,6 53,2 59,0 60,0 60,5 61,4 61,5 63,3 66,8 67,1 67,4 67,5 69,2 70,0 74,0
Tabella 1. Dinamiche demografiche nelle 21 principali shrinking cities tra 1950 e 2007. Fonte: Facing the Urban Challenge, The Federal Government and America’s Older Distressed Cities, Alan Mallach, May 2010 (Appendix 1).
ta per altri versi di una risposta alle aspettative di molti esperti che da tempo sollecitano un diverso approccio alla città, evidenziando ad esempio, le potenzialità dei movimenti urbani in risposta ai fallimenti non solo delle politiche pubbliche o del mercato (Brenner, 2010), la necessità di pensare a un modello diverso di sviluppo urbano, progressista, che mette al centro vivibilità, senso civico e sostenibilità (Friedmann, 2010); dall’altro infine l’urgenza di una reinterpretazione dello spazio delle geografie urbane nel senso di un community based regionalism e della necessità di costruire coalizioni multi scalari, per rinnovare sia il senso della democrazia urbana che della giustizia sociale e ambientale (Soja, 2010). L’ultima delle iniziative promosse dal governo Obama, Partnership for Sustainable communities, lanciata nel corso del 2009 racconta molto in questo senso: la costruzione di comunità sostenibili e vivibili, in cui l’accesso alla casa, al lavoro, alla città costituiscono le priorità, viene vista come risorsa strategica per il futuro dell’intero paese1 e per la sua capacità di promuovere scelte ambientalmente e economicamente sostenibili. Partnership for Sustainable communities è oggi al terzo anno di attività dalla sua istituzione nel 2009 e ha recentemente rinnovato le risorse e gli strumenti di azione. Tra settembre e ottobre dello scorso anno infatti sono stati definiti alcuni orientamenti e azioni strategiche. Le priorità per il 2011 sono quattro: rafforzare la connessione tra le comunità sostenibili,
attraverso la creazione di lavoro, la crescita economica e lo sviluppo; la seconda priorità è legata al supporto da assicurare alle comunità perché adottino e implementino principi di vivibilità; la terza mira a semplificare l’accesso delle comunità alle iniziative e ai finanziamenti della partnership; la quarta ad allargare la collaborazione tra i dipartimenti e i livelli di governo. Gli ultimi bandi in scadenza promuovono diversi fronti progettuali2. Infine, è notizia recente, il lancio del programma, da parte del presidente Obama, Strong Cities, Strong Communities Initiative: in questo caso l’amministrazione centrale si impegna a rafforzare la capacità delle amministrazioni locali di guardare strategicamente al futuro. Finanzia infatti o fornisce direttamente l’assistenza tecnica per elaborare strategie e promuovere partnership a livello locale. Sei città sono state scelte nel luglio 2011 come contesti privilegiati di riferimento per il programma: Chester, Cleveland, Fresno, Memphis, New Orleans e Detroit, dove il Community Solutions Team avrà il compito di accompagnare sindaco e governatore nel promuovere azioni integrate di sviluppo, un programma di sviluppo di quartiere e infine lo sviluppo di infrastrutture per la mobilità sostenibile.
Detroit, riscoprendo l’agricoltura urbana La presenza e il ruolo dell’agricoltura urbana nella storia della città e in particolare della città americana moderna sono cambiati nel
tempo. Si trovano infatti ragioni e significati diversi, legati a diversi contesti spaziali e temporali. Dal tema dell’auto-sostentamento, a quello della socializzazione e della costruzione di comunità, passando dalla sicurezza alimentare, per arrivare fino a quello della rigenerazione ambientale e urbana, evidentemente le sfumature sono diverse, diverse le storie, diversi gli spazi della città e del territorio chiamati in causa. Il caso di Detroit appare in questo senso significativo: è tra gli esempi più noti nella letteratura sull’agricoltura urbana americana, quella dei Pingree Potato Patches, inaugurati proprio dal sindaco di Detroit, il quale alla fine dell’Ottocento, in un momento di grande crisi economica appronta una campagna di distribuzione di terra tesa a fornire agli abitanti uno spazio per la produzione di cibo per l’autosostentamento (Hynes 1996). Ciclo economico e grandi eventi bellici mondiali riportano a galla l’agricoltura urbana come strumento di politiche pubbliche (Lawson 2005, pg. 175181). L’idea che l’agricoltura urbana costituisca uno spazio per contrastare i rischi e le brutture della città ritorna più volte nella storia urbana americana. Dopo la seconda guerra mondiale l’agricoltura urbana, piuttosto che strumento di politica pubblica per il sostentamento, si propone come alternativa alle politiche pubbliche ed entra nella sfera della auto-organizzazione, dell’antagonismo e del movimenti-
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smo, a partire dagli anni sessanta e settanta. Le politiche pubbliche di quegli anni non ignorano comunque il tema e lo rilanciano ma, spesso, ancora con una specifica attenzione al ruolo sociale di sostegno alle classi disagiate (ad esempio il Massachusetts Farm and Gardening Act of 1974). Quello che risulta comunque evidente in questi ultimi venti anni è un fiorire di varie iniziative e reti di supporto (The Urban Agriculture Network, City Farmer, MetroAg Alliance, Growing Food and Justice for All). Diverse iniziative promosse dal Dipartimento dell’Agricoltura hanno ulteriormente consolidato il ruolo dell’agricoltura urbana; tra i più significativi in questo senso Urban Garden Program (UGP) lanciato nel 1976, a supporto, o in alternativa, a un programma lanciato alcuni anni prima e denominato Master Gardener Program. Mentre quest’ultimo reclutava volontari in grado di dare supporto a potenziali agricoltori, il primo metteva a disposizione dei veri e propri esperti formatori, pagati per supportare la crescita delle potenzialità locali.
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La storia di Detroit, non solo quella più recente, è infatti caratterizzata dalla presenza di associazioni e forme di attivazione sociale legata al ruolo della agricoltura urbana. (Detroit Agricultural Network - DAN, Earth Works Garden, Detroit Summer Initiative, Farm-a-lot...) che costituiscono esempi rilevanti di una storia di attivismo nel campo della agricoltura urbana che costituisce per alcuni versi una sorta di DNA della città. Ricostruire questo DNA ci permette di capire il ruolo assunto dall’agricoltura urbana e dell’associazionismo nell’agenda del sindaco Bing e nel progetto complessivo teso a salvare la città da una crisi urbana che, dopo quella economica del 2008, appare oggi ancora più drammatica di quanto già alcuni anni fa fosse chiaro. 5
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Figura 3. Detroit (Michigan, USA) skyline da Windsor (Ontario, Canada), immagine scattata dal Detroit River (Autore: Shakil Mustafa, pubblicata sotto licenza Creative Commons CC BYSA 3.0 Unported http://creativecommons. org/licenses/bysa/3.0/deed.en).
Figura 4. Percentuale di lotti resideziali costruiti (Fonte: Data Driven Detroit - D3). Figura 5. Condizione media delle abitazioni per blocco (Fonte: Data Driven Detroit - D3).
Particolarmente significativo in questo senso il progetto denominato Catch The spirit lanciato dal sindaco lo scorso aprile. Il progetto mira a coinvolgere tutto il mondo dell’associazionismo, di cui si riconosce il ruolo strategico per rilanciare la città: chiede a community leader e alle associazioni di adottare un parco o un terreno abbandonato o di diventare un giardiniere di comunità. Catch the spirit in realtà restituisce il senso di uno spostamento progressivo dell’azione delle associazioni, da una azione individuale a una azione in rete: da più di due anni infatti, più di 80 di questi soggetti lavorano insieme per la città in vari modi, molti sul tema della agricoltura urbana, come forma di sostentamento in primo luogo e, dall’altra, di riscoperta e rilancio delle aree abbandonate della città e di un loro ruolo. Il programma costituisce probabilmente per altro una risposta alle critiche di alcune associazioni contro alcune iniziative del sindaco, che ha sollecitato proposte e progetti da fuori città senza attivare le risorse già esistenti. Catch the spirit invece si propone proprio di mettere al centro l’azione dei volontari e delle associazioni in vari campi e la loro capacità già evidente di prendersi cura della città, tornare a darle vita. Il progetto si inserisce all’interno della cornice generale del “The Detroit works project” e cioè un insieme di azioni e interventi promossi dal sindaco Bing per ‘reinventare’ Detroit e permettere a tutti i cittadini di dare il proprio contributo. L’idea promossa dal sindaco, infatti, all’indomani dell’elezione, è quella di un coinvolgimento allargato di tutti i cittadini per la costruzione di una roadmap capace di fare uscire la città dalla crisi. Un processo bottomup che intende fornire supporto alle forze già esistenti, non duplicarle o sostituirsi ad esse, e che si basa sulla sezione di alcune dimensioni prioritarie d’azione: land use, zoning and land
development; economici recovery; neighbourhood housing activity; landscape and ecology; environmental sustainability; historical and cultural resources; services, operation and fiscal reform; transportation/transit; green and grey infrastructure. Un progetto che guarda al futuro, ma che enumera subito azioni da intraprendere: 10.000 case abbandonate da demolire nel corso del mandato del sindaco (3.000 di queste sono già state demolite dall’inizio del mandato di Bing); 6.000 nuovi posti di lavoro da creare nell’area centrale; azioni tese ad assicurare al personale e ai funzionari della pubblica amministrazione di continuare a vivere dove lavorano in un ambiente sicuro; riconquistare la fiducia pubblica; riduzione del debito pubblico attraverso un accordo tra amministrazioni locali. Un piano complesso e incrementale, che l’amministrazione aggiorna costantemente in relazione al mutare del contesto e degli effetti generati dalle diverse azioni messe in campo e che, d’altra parte, sembra per ora avere dato solo parziali risultati, come ha ammesso davanti ai giornalisti, alla fine di giugno lo stesso sindaco. Il piano passa attraverso l’identificazione di sette, massimo nove aree in cui la città deve necessariamente rilocalizzarsi, riducendosi, ridimensionandosi per funzionare al meglio. Il problema che la città deve affrontare è quello di dovere fornire servizi a parti progressivamente sempre meno abitate: la scarsezza di risorse costringe infatti l’amministrazione a dovere ridurre gli spazi di azione e a ridefinire le aree in cui concentrare in maniera efficace le proprie risorse. Lanciato nel settembre del 2009, il piano non può che apparire una soluzione drammatica quanto inevitabile: fornire incentivi che permettano alle persone di rilocalizzarsi per lasciare il presidio pubblico di circa 45 ettari di territorio urbano oggi ormai sottoutilizzato o inutilizzato.
D’altra parte il piano propone anche misure positive e innovative commisurate alle nuove condizioni della città. In particolare la realizzazione della Woodward Light Rail Project, una linea di trasporto pubblico su rotaia, il cui progetto è stato firmato proprio alla fine dello scorso marzo, costituirà un compromesso tra le varie istanze in gioco e sarà basato sulla assegnazione di una delle risorse pubbliche garantite dalla iniziativa promossa a Obama, cioè i TIGER Grant, promossi dal dipartimento per i trasporti pubblici, con un finanziamento di 25 milioni di dollari. Questo piano sarà parte di un protocollo di intesa (ROD) che detterà ordine di spesa e modalità di una serie di ulteriori risorse, messe a disposizione non solo dalla città ma anche da una vasta coalizione di attori privati. 19 stazioni lungo un percorso che lega il centro con la città, concordate con gli attori e esito di vari compromessi. Di fatto il progetto porta avanti le tre priorità espresse dalla consultazione con i cittadini iniziata nel 2010 e che aveva selezionato tre dimensioni strategiche: il riuso delle aree abbandonate, tramite il loro rinverdimento e iniziative per la sostenibilità e lo sviluppo economico; il miglioramento del trasporto pubblico con una linea regionale e il potenziamento della mobilità ciclabile; il miglioramento dei servizi con una riflessione circostanziata sui quartieri abbandonati. Fin qui niente di nuovo, se non che la linea occupa uno dei principali assi di circolazione automobilistica della città e che viene ripensato come asse del trasporto pubblico, alternativo all’uso dell’auto. Il progetto da un lato riscopre la storia delle grandi arterie stradali di Detroit, un tempo servite da uno dei più efficienti e sviluppati sistemi di trasporto pubblico locale, poi smantellato per fare spazio alle auto. Dall’altra rimette in gioco un intero immaginario urbano, perché ripensa uno spazio in maniera radicale e con esso un modello di vita urbano, così
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come fanno le iniziative di agricoltura urbana alle quali il sindaco offre il supporto e alle quali chiede supporto per reinventare territori e spazi che hanno perso le loro funzioni e che possono attraverso l’agricoltura urbana rigenerare in forma inattesa la città e fornire risorse ai suoi abitanti. D’altra parte il progetto, finanziato anche da fondi misti con un ruolo importate delle associazioni filantropiche, evidenzia un altro importante elemento del caso di Detroit, cioè le potenzialità di un rapporto tra pubblico e privato che, di fronte alla crisi, si attiva per trovare soluzioni e spazi di azione in comune. È per questo che Detroit attira oggi l’attenzione di molti studiosi, perché rimescola le carte in tavola. Mischia urbano e non urbano, politiche pubbliche e pratiche associative o individuali. Demolisce, non senza sofferenze, case abbandonate per lasciare spazio al ritorno del verde agricolo, promosso e gestito dalle associazioni locali, nonostante le difficoltà imposte dalle norme locali che limitano la possibilità di vendere i prodotti dell’agricoltura, ma con una nuova apertura da parte della città che ne ha intuito le molteplici potenzialità (sociali come ambientali). Ripensa il modello urbano, rinunciando a interi quartieri e strutture e contemporaneamente riconsidera l’offerta di città: i servizi, le infrastrutture. Trasforma un asse autostradale in un asse urbano con un tram leggero. La crisi di una città, che ha radici lunghe e ragioni multiple, ha aperto un cantiere di riflessione che per le sfide in corso e le risposte in sperimentazione non può non affascinare, con i suoi slanci, i suoi paradossi, le sue contraddizioni, chi si occupi di città.
poco, ma neppure una sfida inedita: da sempre le città sono impegnate ad alimentare o ristrutturare la city-ness of cities (Brenner, in Soureli K. and Youn E. pg. 37), ciò che rende una città tale, da essere unica e che la restituisce viva, vitale, funzionante (“city that works”, ancora il titolo del progetto del sindaco Bing). Ma da un lato oggi la sfida appare particolarmente complessa e carica di alcune novità e paradossi rispetto proprio alla idea di city-ness che abbiamo tradizionalmente in mente, rimettendo in discussione il senso dell’urbano. Dall’altro, più in generale le caratteristiche della attuale crisi, che secondo Neil Brenner comunque probabilmente non invertono le condizioni di fondo con cui la città contemporanea si confronta da tempo, portano con sé conseguenze in parte uniche: la concentrazione della crisi urbana in un’area specifica (Nord America); lo scoppio della bolla finanziaria e la crisi del sistema del subprime mortgage, infatti hanno una specifica influenza sul suolo urbano e sul mercato dei suoli urbani. Allo stesso tempo infine, come ricorda Margit Mayer, nella stessa intervista a più voci, raccolta dal numero speciale di Critical Planning,“David Harvey emphasizes that a big part of the capital surplus going into this bubble formation has been absorbed in urbanization, urban restructuring, and urban expansion”, dunque inevitabilmente la crisi ha degli effetti per molti versi impensabili e rilevanti sulla città (Mayer, in Soureli K. and Youn E., pg. 46) laddove, in particolare, secondo Soja “The current urbanization crisis significantly differs from those in the past. It needs to be understood as a crisis of regional urbanization and all that is associated with it” (Soja, in Soureli K. and Youn E, pg. 49).
go to work, see a doctor, drop by the grocery or post office, go out to dinner and a movie, and play with your kids at the park, all without having to get into your car. Livability means building the communities that help Americans live the lives they want to live – whether those communities are urban centers, small towns, or rural areas”, Secretary Ray LaHood, U.S. Department of Transportation, fonte sito web www.sustainablecommunities.gov). 2 - L’iniziativa “Capacity Building for Sustainable Communities” ad esempio, lanciata in cooperazione tra HUD e EPA, per supportare iniziative nel campo dell’housing, del trasporto locale e della vivibilità di quartiere. L’idea è quella di rafforzare le capacità messe in campo mettendole in rete, per promuovere apprendimento. Possono partecipare le organizzazioni no-profit, gli enti pubblici, le università. Altra iniziativa in questa direzione è quella del “Sustainable Communities Regional Planning Grant program”, lanciata dal HUD per promuovere progetti integrati nel campo dll’housinf, delle politiche per il lavoro e per lo sviluppo di una energia verde. Il programma HUD, Choice Neighborhood Planning Grants supporta iniziative di trasformazione e rigenerazione delle case pubbliche e le comunità che usano strumenti innovative per combattere la povertà. Nel campo della mobilità I Bus Livability Grants finanziano iniziative di rinnovamento dei mezzi di trasporto pubblico su strada, capaci di promuovere una maggiore mobilità per I cittadini ma anche iniziative con effetti sull’uso del suolo e sull’ambiente. Infine, tra altri il programma “TIGER Transportation Discretionary Grant” finanzia progetti infrastrutturali ad impatto rilevante sulle aree metropolitani o a livello regionale o nazionale, capaci di portare effetti considerevoli sia in termini di compettività economica, di sostenibilità ambientale che di vivibilità locale (fonte sito web www.sustainablecommunities.gov). Riferimenti bibliografici AECOM (2010), The Detroit work project, Phase One: Research And Priorities, Policy Audit Topic: Urban Agriculture + Food Security. DETROIT III.1, STUDIES PART 1 March 2004, in www.shrinkingcities.com Detroit Residential Parcel Survey, 2/2010, in www.detroitparcelsurvey.org Gallagher J. (2010), Reimagining Detroit Opportunities for Redefining an American City, Wayne State University. Gelli F. (2009), Le politiche urbane. Aspetti del policy-making contemporaneo e tradizioni di analisi, paper presentato al
Quella che ha davanti Detroit, in conclusione, per dirla con Neil Brenner, non è una sfida da
Note
Convegno Nazionale della Società Italiana di Scienza
1 -“Livability means being able to take your kids to school,
Politica, 17-19 Settembre 2009.
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Figura 6. Grand Boulevard looking west through the New Center in Detroit MI-Cadillac Place and the Fisher Building (Autore: Andrew Jamenson, pubblicata sotto licenza Creative Commons CC BYSA 3.0 Unported http://creativecommons. org/licenses/bysa/3.0/deed.en).
Kantor P. (2010),“City futures: politics, economic crisis, and the American model of urban development”, in Urban Research & Practice, 3: 1, 1 – 11. Katz M. B. (2010),“Narratives of Failure? Historical Interpretations of Federal Urban Policy”, in City&Community 9:1. Mallach A. (2010), Facing the Urban Challenge, The Federal Government and America’s Older Distressed Cities, Metropolitan policy program by Brookings. Mallach A., Brachman L. (2010), Ohio’s Cities At A Turning Point: Finding The Way Forward, Metropolitan policy program by Brookings. Soureli K. and Youn E. (2009), Urban Restructuring and the Crisis: A Symposium with Neil Brenner, John Friedmann, Margit Mayer, Allen J. Scott, and Edward W. Soja, Critical Planning Summer 2009. Schilling J. and Logan J. (2008),“Greening the Rust Belt: A Green Infrastructure Model for Right Sizing America’s Shrinking Cities”, in Journal of the American Planning Association, 74: 4, 451 – 466. State of the City 2010, Dave Bing, Mayor, March 23, 2010. Sugrue T. J. (2005), The Origins of the Urban Crisis, Princeton University Press and copyrighted, © 2005, by Princeton.
Detroit, the city in question: urban crisis and urban agriculture Detroit: National and International newspapers, specialised and everyday press are full of the images and facts of the crisis of the entire city and urban economical system. The city in fact has become under many respects the symbol of a reversed perspective on the urban: it has in fact become one of the most representative places of an unexpected urban condition, one of the most evident places showing how a city can die, but also find out possible new life. The article reconstructs long history of the process of shrinkage of the city, trying as well to illustrate the ways in which the city is looking to unprecedented ways to get out of the crisis. In this sense the role of urban agriculture has become a central one, both in terms of a different possible urban economy, but more interestingly in the sense of a new urban idea and model.
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Figura 7. Randolph Street Streetscape in the 1200 Block, Detroit (Autore: Andrew Jamenson, pubblicata sotto licenza Creative Commons CC BYSA 3.0 Unported http://creativecommons. org/licenses/bysa/3.0/deed.en)
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RICICLAB: un laboratorio didattico mobile sul territorio
Rossana Raiteri Andrea Giachetta Università degli Studi di Genova, Facoltà di Architettura
Prima di raccontare la storia dell’esordio di questo laboratorio, istituito da qualche mese dalla Facoltà di Architettura di Genova e dal Dipartimento DSA, è bene illustrare gli obiettivi che l’hanno generato e le parole chiave che ne hanno dettato la configurazione. Gli obiettivi e le motivazioni principali sono così riassumibili: - permettere agli studenti di inserire nel loro percorso formativo un’esperienza diretta di progettazione e costruzione di un piccolo organismo architettonico, affinché acquisiscano consapevolezza dell’intero processo realizzativo: dall’idea immaginata e rappresentata alla cosa materialmente esistente e percepibile; - favorire i rapporti tra territorio e Facoltà di Architettura e la collaboraRICICLAB, esperienza learning by doing avviata zione reciproca su temi concreti di interesse comune, promuovendo a Genova dalla Facoltà di Architettura, permette anche la partecipazione dei cittadini interessati ai singoli interventi; agli studenti di progettare e realizzare piccoli - sensibilizzare studenti, cittadini e autorità locali alla tematica della interventi territoriali sostenibili: un efficace sostenibilità ricorrendo, nella progettazione e nella realizzazione dei manufatti, prevalentemente a materiali di riciclo e di scarto, producenstrumento per la didattica del progetto. do oggetti “a costo zero”; - coinvolgere gli studenti senior e neolaureati in una attività di tutorato presso gruppi di studenti più giovani; - diffondere informazioni e documentazione su queste esperienze per mettere in evidenza quanto può
Figura 1. Lo spazio pubblico sulla passeggiata a mare di Genova Pegli riqualificato nell’ambito del lavoro di tesi che ha dato origine a RICICLAB: l’intervento ha comportato la risistemazione della copertura, l’inserimento di frangisole e protezioni laterali contro il vento, la ripavimentazione, la dotazione di nuovi elementi di arredo, il ripristino del basamento (foto di Anna Positano). 1
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Figura 2. Lo spazio pubblico sulla passeggiata a mare di Genova Pegli prima della riqualificazione: l’intervento si è reso necessario per la presenza di una copertura in eternit in cattive condizioni. Altri elementi di questa struttura (le paratie, gli arredi fissi ecc.) erano segnati da degrado,
ma il luogo aveva comunque il fascino di un ritrovo nato spontaneamente. Grazie allo spirito con il quale si è svolto il lavoro di riqualificazione, alla partecipazione e all’uso di materiali di recupero, questo fascino è stato conservato dall’intervento (foto di Rossi e Scofone).
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essere prodotto giovandosi di un rapporto di collaborazione creativa tra università e autorità locali, in un momento molto critico per la drammatica mancanza di risorse per entrambi.
Che cos’è RICICLAB? Si tratta di un laboratorio che si mette in azione nel momento in cui dal territorio si manifesta un’esigenza che può essere soddisfatta con l’intervento di un piccolo gruppo di studenti volontari utilizzando materiali di recupero e di scarto, con la collaborazione dei cittadini interessati, con la supervisione e la guida di alcuni docenti della Facoltà, di studenti o neolaureati che fanno da senior e con la partecipazione della committenza locale.
Learning by doing A proposito del primo obiettivo, che riteniamo essere il più importante, vale la pena di ribadire alcune delle motivazioni che lo sostengono. Nelle nostre facoltà molteplici fattori concorrono a negare, teoricamente e concretamente, il ruolo della cultura materiale nella formazione degli studenti e nell’approccio al progetto di architettura. In particolare, è del tutto negato il ruolo dell’esperienza diretta dello studente nella manipolazione dei materiali e dei componenti nella concezione e nella realizzazione, compresa la costruzione. Tra i fattori di carattere culturale il più importante è dovuto all’approccio dominante nei teorici del progetto che privilegiano, nella didattica, l’aspetto “compositivo” (questa è da sempre una specificità delle scuole di architettura italiane), disconoscendo qualsiasi ruolo, anche creativo, alla tecnologia e ai suoi processi, alla conoscenza della natura materiale dell’architettura nella concezione e nello sviluppo del progetto stesso. Spesso si parla di “dare
forma materiale a un progetto” (Purini), come se si trattasse di una mera traduzione di un pensiero astratto in cosa concreta, passando, comunque e inevitabilmente, attraverso una sofferta e spesso fuorviante contrattazione con “i tecnici”, alla fine della quale non mancheranno i tradimenti e le deformazioni dell’idea immateriale originaria. La dialettica complessa con tutti gli operatori coinvolti nel processo di concezione e realizzazione, per chi progetta, non è incidentale e non è rimandabile all’esperienza professionale: è un connotato caratterizzante la natura dei problemi di progettazione e occorre imparare ad affrontarlo. La disponibilità dei più sofisticati mezzi di rappresentazione tridimensionale e di simulazione visiva, paradossalmente, non aiuta a superare lo iato che esiste tra una forma, uno spazio immaginato e la sua realtà fisica sensorialmente percepibile e sperimentabile. In un dialogo (scontro) tra Christopher Alexander e Peter Einsenman (1982), Alexander, oltre ad affermare che non può immaginarsi “… un qualsiasi adeguato atteggiamento progettuale, da parte di un artista o di un costruttore, che alla fin fine non si confronti con il fatto che il costruire appartiene al regno della sensazione”, racconta che quando progetta arriva il momento in cui ha bisogno di un modello in scala reale, fatto con pezzi di legno e di materiali vari, per verificare se tutto “è veramente comodo”. Queste affermazioni sono una sorta di contrapposizione alle posizioni di Eisenman che teorizza la prevalenza dell’intelletto rispetto alla “pancia” (dell’idea produttrice di metafore rispetto alla cosa materiale, della concezione soggettiva rispetto all’uso, ecc.). Nell’insegnamento della progettazione nei paesi come il nostro, impregnato tuttora da una cultura di stampo umanistico classico, è persistente la convinzione, direi innata, che la
tecnica appartenga alla cultura bassa - la tecnica come arte meccanica e servile dell’antichità. Prevale l’interesse per la natura artisticoespressiva dell’architettura e se ne fa una base della prassi del fare architettura. L’accentuazione “compositiva”, poi, non si deve confondere con le teorie dell’architettura delle quali gli studenti sanno ben poco perché ben poco viene loro insegnato. Sebbene dalle teorie dell’architettura non ci si debbano aspettare principi che abbiano un rapporto operativo diretto con la pratica, non se ne vuole negare l’utilità formativa ed ermeneutica. Ma si tratta di cosa diversa dall’approccio compositivo. Occorre a questo punto chiarire un possibile equivoco: il problema della scarsa considerazione della natura materica e sensoriale dell’architettura, nelle facoltà italiane, non riguarda soltanto l’ambito disciplinare della progettazione (si è detto meglio, composizione) e neppure può essere ridotto a una sorta di rivendicazione della propria trascurata importanza da parte delle discipline scientifiche e tecnologiche, perché gli insegnamenti riconducibili a queste ultime sono spesso anch’essi quasi sempre confinati in un ambito di pura e a volte sterile astrazione concettuale. Se è vero, infatti, che la didattica che si occupa della composizione di forme architettoniche sovente esclude con fastidio il problema della loro consistenza fisica e fattibilità costruttiva (persino della loro gravità), è altrettanto vero che lo studio delle strutture si risolve, in molti casi, solo nell’assimilazione di formule e modelli del tutto astratti; così come lo studio degli impianti viene affrontato a partire, e rimanendo, nel campo della fisica teorica e quello degli elementi, componenti e sistemi tecnologici si riduce spesso all’analisi di rappresentazioni grafiche semplicemente in scala di maggior dettaglio, ovviamente immateriali, ma molto spesso lette e analizzate solo in quanto tali. Accade così
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Figura 3. Studenti al lavoro formative da parte dei futuri architetti per la riqualificazione (foto di Rossi e Scofone). dello spazio pubblico di Genova Pegli. Il lavoro di cantiere è stato coordinato dai tesisti che hanno ricevuto, oltre all’aiuto dei cittadini interessati, anche quello di molti loro colleghi a testimonianza dell’interesse per questo tipo di esperienze
che i neolaureati considerino la progettazione esecutiva, per non parlare di quella impiantistica e strutturale, come un territorio di inaccessibili e oscure regole esoteriche che nulla hanno a vedere con la consistenza fisica degli edifici che dunque, per loro, è altrettanto misteriosa. Il “buco nero” nella formazione della cultura materiale degli studenti-architetti si è allargato progressivamente e concettualmente anche in concomitanza, come accennato prima, con l’onnipotenza della strumentazione digitale nella produzione delle forme, prive di qualsiasi pensiero costruttivo; ma anche a causa di una strana tendenza (forse solo una moda che sta già cedendo il passo al “social housing”, sempre più trendy) che impone lo studio del progetto a una scala progressivamente più ampia, nella quale il singolo edificio non è considerato, se non come elemento di un paesaggio ben più vasto, in cui il rapporto con il territorio diventa l’unico soggetto degno di essere, se non analizzato, trasformato in immagine. Paradossalmente, proprio la disponibilità della strumentazione digitale, non limitata alla pura produzione di immagini (che rappresenta solo una piccola parte del ruolo dell’informatica lungo l’intero percorso progettuale e realizzativo), fa assumere una nuova e vigorosa necessità di introdurre nella formazione al progetto un approccio alla conoscenza diretta, manuale e sensoriale, dei materiali e delle tecniche costruttive, come antidoto all’abitudine a separare schizofrenicamente la genesi della forma da tutte le altre componenti del processo generativo dell’architettura. Le potenzialità del digitale incorporeranno, così, anche la cultura materiale con le sue limitazioni e le sue opportunità creative. Consideriamo quindi l’esperienza “manuale” un elemento fondamentale (di cui gli studenti, peraltro, sentono acutamente la necessità), per la consapevolezza della natura essenziale dei
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problemi architettonici e per poter procedere all’astrazione concettuale (learning by doing). D’altra parte è molto interessante il fenomeno di gruppi di studenti che, anche volontariamente, si creano per fare esperienze di questo genere (si veda per esempio il gruppo TYIN architects norvegese, vispo, vitale e creativo). In quasi tutte le facoltà europee esistono atelier dotati di materiali, attrezzature e assistenza tecnica per sperimentare in scale diverse quanto si progetta. Il passaggio dal progetto disegnato alla “cosa” non è per niente scontato: al contrario, può innescare interessanti retroazioni su ciò che inizialmente viene immaginato. L’esperienza diretta incide sulle potenzialità dell’immaginazione stessa e può avere ripercussioni sulla consapevolezza con cui si utilizza il mondo delle forme generabili con il computer: non più “forme” ma forme architettoniche (con buona pace di Rafael Moneo che, nel discorso tenuto in occasione del suo ingresso all’Accademia Reale di Belle Arti di San Fernando a Madrid il 16 gennaio 2005, sostiene che “qualsiasi forma è architetturizzabile …”). Murcutt racconta di avere passato un intero anno di università solo per affrontare il tema di una porta, inclusa la sua realizzazione e come questa esperienza abbia segnato il suo approccio metodologico a problemi di progettazione molto più ampi e complessi. La matrice generativa porta in sé elementi abbastanza stabili e la semplificazione didattica non deve essere una riduzione concettuale ma riguardare, semmai, la complessità delle variabili in gioco e delle loro interrelazioni, per privilegiare le possibilità di controllo complessivo da parte dello studente. Alexander ha teorizzato la possibilità di eliminare il progetto “cartaceo” come previsione e programma dettagliato e di far procedere in parallelo il processo progettuale con quello
realizzativo. Diversamente il progetto-programma finirà inevitabilmente per diventare una camicia di forza che fissa in un tempo fermo una vicenda che, invece, per la sua complessità e per le variazioni impreviste che si manifestano nel corso dello sviluppo della realizzazione, richiede continui aggiustamenti e ripensamenti. E se questo procedere in parallelo non è realistico nell’attività professionale, in una società che deve munirsi di regole e controlli preventivi (fin troppi e quindi fin troppo facilmente elusi), didatticamente è invece di estremo interesse. Le modifiche e le correzioni a quanto immaginato vengono suggerite di volta in volta da un incontro con situazioni concrete nel corso del “fare”. È però molto importante essere consapevoli e trasmettere agli studenti questa consapevolezza – che un’esperienza di questo genere ha molti limiti e non si propone, ovviamente, come esperimento totalizzante della tematica del progetto di architettura. Come già detto, la semplicità intenzionale dei temi scelti ha la funzione di permettere un controllo globale su tutta l’operazione: dalla concezione alla realizzazione con le proprie mani, al rapporto con i destinatari dell’opera e con il sito. Restano ovviamente escluse, per esempio, tutte le tematiche della gestione di un processo edilizio complesso, comprese le tecnologie appropriate a questi casi (con i necessari rapporti con l’industria) che qui non trovano spazio. D’altronde, come già accennato, la didattica delle scuole di Architettura, soprattutto del nord Europa (ma non solo), incentrata su un approccio laboratoriale, inteso proprio come un processo learning by doing con uso di materiali, macchinari, sistemi di prova ecc., è forse fin troppo pervasiva e totalizzante, a scapito di una formazione teorica più approfondita che consenta di munire i futuri architetti di indispensabili capacità ermeneutiche e di astrazio-
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Figura 4. Gli utenti hanno subito ripreso possesso del “loro” spazio pubblico sulla passeggiata a mare di Pegli dopo l’intervento che li ha resi partecipi: il loro coinvolgimento, oltre che estremamente utile per la realizzazione dell’opera, si è rivelato strumento di socializzazione efficace e non ha fatto sentire le
persone del posto, perlopiù anziani, espropriati del loro luogo di ritrovo, abituandoli per gradi alle modifiche introdotte (foto di Anna Positano).
ne dalle singole esperienze. L’approccio di RICICLAB non ha la pretesa di essere esaustivo o di costituire un’alternativa totalizzante, ma solo di colmare una grande lacuna.
Territorio e partecipazione Le situazioni difficili, se non arrivano ad un punto che non ammette più alcuna possibilità di movimento e di scelta, possono stimolare la creatività. Questa considerazione è di estrema attualità: se l’università è sempre più povera e più mortificata anche le nostre autorità locali non sanno più dove reperire risorse per affrontare problemi grandi e piccoli sul territorio di loro competenza. RICICLAB nasce anche dal connubio tra due disagi: se è impossibile dotarsi di laboratori per sperimentare spazi e materiali, per costruire prototipi, perché non approfittare delle molteplici occasioni di intervento richieste dal territorio? E, viceversa, perché chi amministra faticosamente il territorio in assenza di risorse non si dovrebbe avvalere delle competenze dell’università e della passione degli studenti? Rispetto ai prototipi di laboratorio, inoltre, ciò che gli studenti costruiscono RESTA, visibile, sperimentabile, percepibile, utilizzato, fisicamente esistente in un luogo concreto. E questo costituisce uno stimolo incredibilmente entusiasmante per chi è coinvolto in questa esperienza. Inoltre, intervenire in un territorio conosciuto e conoscibile fin nei più piccoli particolari obbliga ad un confronto minuzioso con le persone, con le condizioni specifiche, con il clima, con il paesaggio, con tutto ciò che sta intorno, consapevoli di esporsi anche a critiche e contestazioni. L’attenzione per i piccoli interventi, tra l’altro, è un antidoto alla considerazione prevalente per le grandi opere. La qualità diffusa dell’ambiente è fatta dal modo con cui si affrontano picco-
li episodi, in particolare in regioni con territori delicati come la Liguria. La pratica diffusa nelle nostre Facoltà, per altri versi lodevole, dei workshop di tre o quattro giorni in ambienti del tutto sconosciuti e complessi, favorisce la produzione creativa (quasi si trattasse di performance) di proposte generate sull’onda di una suggestione percettiva che definiremmo “turistica”. Questo approccio rischia di far cadere gli studenti nell’equivoco che questa possa essere una prassi progettuale ripetibile e normale, nel suo disimpegno e nella sua superficialità divertente. L’abitudine agli slogan sulla globalizzazione fanno perdere di vista la necessità di esercitare un umile acume interpretativo nei confronti di realtà territoriali che manifestano, invece, degli ostinati connotati peculiari da cui non si può prescindere: persone, con volti distinti, abitudini e propensioni; direzione del vento e esposizione solare; traffico; viste sull’intorno, ecc. Il confronto è minuzioso, la mediazione è necessaria. Il “gesto” solitario dell’artista non viene accettato. E non si tratta di ricorrere a mimesi stilistico-formali, ma di penetrare nella situazione specifica nella sua complessità partendo da una indispensabile capacità di ascolto, come base per scelte progettuali condivise e contrattate.
La cultura dell’ambiente Le implicazioni ambientali che RICICLAB affronta, sia come dati di partenza che possano incidere sulle scelte progettuali, sia come conseguenze derivanti da ciò che si realizza, consistono soprattutto nel reperimento e nell’uso di materiali di scarto, ma anche in un’attenta valutazione della durata e delle necessità di manutenzione. Nonostante il nome RICICLAB privilegia il riuso al riciclo, dal momento che il primo costituisce
lo stadio più economico del secondo: il riuso sottintende un riadattamento che richiede operazioni marginali di finitura, ridimensionamento e assemblaggio, mentre il riciclo può richiedere processi di lavorazione più complessi e dispendiosi in termini di bilancio energetico complessivo. Le difficoltà del riuso dipendono soprattutto dall’attività di reperimento dei materiali e nel disporre di luoghi di stoccaggio. La disponibilità di materiali in buone condizioni è sorprendentemente ricca e varia e gli studenti hanno dimostrato una grande capacità di iniziativa nell’andare in giro a cercare, anche presso grandi punti di vendita, oltre che presso le discariche, materiali disponibili. Basta sapersi interrogare sull’uso più appropriato che se ne può fare ed essere disposti ad adattare flessibilmente le idee di progetto alle potenzialità di ciò che si trova (e viceversa). D’altra parte, come si sa, Khan interrogava i mattoni affinché gli svelassero la loro vocazione: gli studenti fanno la stessa cosa con le tavole di cantiere scartate, con canne di bambù, tralicci, teli da barca, tapparelle, bancali ecc. Il ricorso ai materiali di scarto raccolti, che fanno la loro comparsa sul “cantiere”, genera una certa perplessità e un certo scetticismo iniziale nei destinatari dell’opera che, però, si trasforma presto in una divertita partecipazione alla caccia al tesoro, non appena si comincia a intravvedere che ciò che si può fare con materiali dismessi non ha niente da invidiare all’impiego di materiali nuovi. È chiaro che si tratta di un approccio ambientale che si propone essenzialmente come una dimostrazione metaforica, sia per gli studenti, sia per la popolazione e per le autorità locali interessate. Un altro principio che RICICLAB impone è di non costruire niente che non possa essere
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Figure 5, 6, 7, 8. L’intervento di Pegli è stato interamente realizzato con materiali di scarto: ogni dettaglio è stato progettato costruendolo, cercando di volta in volta soluzioni idonee in funzione della disponibilità dei materiali recuperati (figg. 5, 6, 7 di Anna Positano; fig. 8 di Rossi e Scofone).
smontato e rimosso, lasciando il luogo come prima dell’intervento (“Tocca la terra con leggerezza” insegna Murcutt).
L’idea di RICICLAB prende origine da un lavoro svolto da due studenti della facoltà di architettura di Genova, Riccardo Rossi e Amedeo Scofone, nell’ambito della loro tesi di Laurea da noi seguita di recente. Si tratta di un intervento di riqualificazione di uno spazio pubblico sulla passeggiata a mare di Genova Pegli portato avanti con la partecipazione di un gruppo di utenti e realizzato utilizzando solo materiali di recupero. Questo spazio pubblico è un luogo di ritrovo all’aperto, ma protetto, che accoglie da anni diverse persone, prevalentemente pensionati, che abitano a Pegli e che, nel corso del tempo, lo hanno adattato alle loro esigenze, arredandolo e personalizzandolo.
Riccardo e Amedeo, che conoscevano questo luogo di ritrovo, quando si è reso necessario provvedere alla rimozione della tettoia in eternit (con amianto), hanno colto l’occasione per proporsi come progettisti/esecutori della nuova struttura di copertura, suggerendo la contestuale realizzazione dei frangisole, delle pavimentazioni, delle protezioni laterali al vento, dei parapetti e delle sedute. L’intervento sarebbe così diventato non solo una semplice bonifica, ma anche un’occasione di riqualificazione di un luogo fortemente caratterizzato, anche se ormai in degrado, e importante per la comunità locale in un contesto paesaggistico di un certo pregio. La proposta di portare avanti una tesi che prevedesse la progettazione di un piccolo manufatto, attraverso un processo partecipato di costruzione diretta, con materiale di recupero, è stata subito, per noi, contemporaneamente fonte di interesse quanto di preoccupazioni. A fronte dell’importante occasione di permette-
re a due laureandi (e al numeroso gruppo di studenti che li hanno aiutati nella loro tesi) di misurarsi – alla fine del loro percorso di studi – con le ricadute concrete di un progetto, diversi erano i rischi nei quali poteva incorrere una simile operazione, soprattutto legati alla difficoltà di gestione dal punto di vista burocratico (titoli abilitativi e autorizzazioni) e dal punto di vista tecnico (capacità di eseguire in sicurezza le lavorazioni necessarie). Il fatto poi che l’oggetto di intervento fosse di ridotte dimensioni era condizione necessaria affinché lo svolgimento di un simile lavoro di tesi fosse controllabile, ma – allo stesso tempo – poteva produrre un risultato troppo modesto, sul piano della complessità progettuale, rispetto a quanto normalmente richiesto in una sessione di laurea. A convincerci della bontà dell’idea sono stati alcuni aspetti: a partire dalla circostanza che i due tesisti avessero già affrontato, insieme ad alcuni loro compagni di studio (il gruppo
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RICICLAB - il primo intervento
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Informale), un’esperienza analoga per la costruzione di un riparo per il custode di una stazione ecologica a Lungavilla (Voghera), mostrando l’effettiva capacità di recuperare materiali utili e di elaborare efficaci soluzioni progettuali ad hoc (senza incorrere in soluzioni oggi troppo naïf, da controcultura americana anni ‘60: tipo la casa di lattine, copertoni o bottiglie). Nel corso dello svolgimento dell’intervento di Pegli ci siamo resi conto dell’incredibile quantità di materiale da costruzione di buona qualità che normalmente viene considerato rifiuto: per i lavori sono stati recuperati teloni che presentavano solo alcune parti macchiate, tubi da ponteggio e vecchie tavole di cantiere ancora in ottime condizioni, addirittura legname di pregio proveniente dalla demolizione di ponti di nave; diverse ditte locali hanno approfittato volentieri dell’occasione per svuotare un po’ i loro magazzini. Soprattutto ci ha però convinto la non consueta disponibilità da parte degli amministratori e tecnici locali di Genova Pegli ad appoggiare e seguire nel suo svolgimento il progetto, comprendendo la sua utilità civica e sociale oltre che il suo interesse formativo. In particolare il presidente di circoscrizione, Mauro Avvenente, si è adoperato affinché il Comune avallasse l’intervento, predisponendo anche le misure assicurative necessarie per la copertura dei tesisti, dei loro compagni di studio che via via li hanno aiutati in cantiere e degli utenti che hanno partecipato, non solo esprimendo le loro esigenze e preoccupazioni, ma anche lavorando direttamente all’esecuzione materiale di alcune opere (qualcuno con competenze importanti, quali quella di fabbro, per esempio, maturate nel corso della passata attività lavorativa). Quanto agli utenti, la capacità di Amedeo e Riccardo di stabilire da subito con loro un rapporto di profondo rispetto, l’intervento del-
l’amministrazione e la partecipazione dell’università hanno fornito le necessarie garanzie che hanno fatto superare la normale diffidenza che all’inizio accompagna simili processi di partecipazione, permettendo così di stabilire un proficuo rapporto di collaborazione tra i diversi soggetti coinvolti. Questi fattori soprattutto sono tra quelli che hanno consentito di portare a termine, con risultati molto buoni, una tesi che, almeno a Genova, ha rappresentato un’interessante novità, permettendo di apprezzare, nel corso di svolgimento del lavoro, la grande valenza didattica dell’esperienza svolta e le caratteristiche che avrebbero potuto renderla ripetibile: chiarezza dei rapporti tra soggetti coinvolti e quindi esigenza di formalizzare precisi accordi tra università (docenti-studenti), amministrazione e utenti coinvolti; attento coordinamento e organizzazione del lavoro (stabilendo ruoli precisi nel gruppo di lavoro, anche attraverso studenti senior) in ogni sua fase; formazione degli studenti circa il corretto modo di impiego di strumenti di cantiere e dei materiali; costante controllo dell’interazione tra progetto e costruzione nelle modifiche imposte costantemente dal mutare della disponibilità di materiali di recupero e delle esigenze degli utenti; pubblicizzazione dell’intervento a livello locale in modo da rendere partecipi le istituzioni, ma anche cittadini e imprese operanti localmente, che possono mettere a disposizione materiali e competenze utili. In questo modo si è sviluppata l’idea di allargare la portata dell’esperienza svolta anche al di là della tesi, dando corpo all’iniziativa di RICICLAB per analoghe attività sul territorio. Queste ultime sono in procinto di essere avviate proprio a partire da alcune proposte formulate dalla stessa amministrazione genovese che ha seguito il progetto di Pegli e da altre che hanno avuto, e si spera avranno, modo di
apprezzare i risultati di una modalità di intervento che fa dell’attento uso delle risorse locali, materiali e umane, così come dell’interazione di diverse competenze direttamente sul campo, un efficace – oltre che economico – strumento di azione sociale e territoriale, nonché un formidabile strumento – e questo interessa più noi che le amministrazioni – per la didattica del progetto.
RICICLAB: an educational mobile workshop on the territory RICICLAB (Recycling Laboratory), born from an idea of Prof. Rossana Raiteri of the Faculty of Architecture of Genoa, is a workshop that begins to work from the moment in which the local context has a requirement that can be satisfied with the intervention of a small group of student volunteers, with the cooperation of the concerned citizens and with the supervision and guidance of some teachers and graduates as senior. The main objectives of RICICLAB are: motivating students, citizens and local authorities to the issue of sustainability using mainly recycled materials and producing "zero cost" objects; allowing students to gain awareness of the whole construction process of a small building; promoting the participation of citizens; underlining what can be produced by a creative collaboration between University and local authorities, in a critical moment for the lack of resources for both. The experience started with RICICLAB is the thesis of Riccardo Rossi and Amedeo Scofone: it’s the redevelopment of an urban area on the seaside promenade of Genoa Pegli, realized with the participation of other students and users. The project, supported by technical and communal, has been realized entirely from recycled materials.
Focus_contributi di Luigi Bertazzoni – Paolo Vasino Architetti, nel 1995 costituiscono “Alter Studio Architetti Associati”. Negli ultimi anni hanno lavorato anche nel settore ambientale e paesaggistico, svolgendo attività didattica e di ricerca all’interno del Politecnico di Milano. I principali obiettivi e contenuti della loro progettazione sono quelli dell’interazione positiva tra edificio e contesto in termini ambientali, sociali e funzionali in ottica sostenibile.
tettonica, promuovendo l’integrazione fra i diversi ambiti. Dal 2004 collabora con il Politecnico di Milano nella didattica e con incarichi di ricerca.
Andrea Giachetta Docente a contratto della Facoltà di Architettura di Genova, lavora nel campo della progettazione sostenibile; l’ultimo suo saggio è Il progetto ecologico oggi: visioni contrapposte.
Alberto Magnaghi Matteo Clementi Architetto, dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, svolge attività di ricerca presso il dipartimento BEST del Politecnico di Milano, occupandosi di strumenti di valutazione della sostenibilità ambientale a scala edilizia e territoriale.
Ordinario di Pianificazione Territoriale presso l’Università degli Studi di Firenze, fondatore della “scuola territorialista”, autore di ricerche, progetti e piani sullo sviluppo locale autosostenibile. Fra le sue pubblicazioni Il progetto locale (2000, 2010) tradotto in francese (2003), in inglese (2005) e in spagnolo (2011).
David Fanfani Ricercatore presso il Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio (DUPT) dell’Università di Firenze. Docente presso il CdL in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio (sede di Empoli). Si occupa in particolare di pianificazione integrata delle aree periurbane, tema sul quale ha prodotto numerose pubblicazioni.
Rossana Raiteri Professore ordinario, responsabile di diverse ricerche e pubblicazioni sulle tecnologie innovative in architettura, è stata Presidente del Corso di Laurea e Direttore della Scuola di Dottorato della Facoltà di Architettura di Genova.
Claudio Saragosa Valeria Fedeli Architetto, ricercatore presso il Dipartimento di Architettura e pianificazione del Politecnico di Milano dal 2007, dottore di ricerca in Pianificazione Territoriale e politiche pubbliche (IUAV 2001). Tra i suoi interessi di ricerca: la pianificazione strategica e la governance territoriale.
Giorgio Ferraresi Già Ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano, ha coordinato per un decennio il Dottorato in Pianificazione Territoriale ed Ambientale e il Laboratorio di Progettazione Ecologica del Territorio nonché progetti di ricerca di interesse nazionale e internazionale. Tra le molte pubblicazioni si segnalano, sul tema oggetto di questo numero, le due principali indicate nella “Premessa” del suo articolo.
Grazia Garrone Architetto, specializzata in Architettura Bio-climatica presso l’ANAB. Nel 2003 fonda con Francesca Soro lo studio “Architettura e Paesaggio” che svolge attività di progettazione paesaggistica e ambientale, territoriale e archi-
Ricercatore presso il Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio (DUPT) dell’Università di Firenze; professore aggregato di “Analisi urbana” e responsabile del Laboratorio di analisi urbana territoriale e professore aggregato di “Pianificazione territoriale” nel Laboratorio di pianificazione territoriale e rurale. Fra le pubblicazioni: L’insediamento umano. Ecologia e sostenibilità, Donzelli, Roma, 2005.
Gianni Scudo Professore Ordinario di Tecnologia dell’Architettura, presidente del Consiglio del Corso di Laurea in Architettura Ambientale presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano.
Francesca Soro Architetto, specializzata in Architettura dei Giardini e Progettazione del Paesaggio presso la facoltà di Architettura di Genova. Svolge attività professionale nello studio associato “Architettura e Paesaggio” e d’insegnamento e ricerca presso il Politecnico di Milano. Dal 2008 è membro della Commissione Tecnica VIA-VAS del MATTM.
Tecnologie e innovazione Le fonti rinnovabili a servizio delle tecnologie per le strutture urbane di comunicazione Giuseppe Menta, Fabio Morea calzavara S.p.A. SostenibilitĂ energetica e bonifica ambientale nel recupero di aree contaminate Maria Irene Cardillo MIC - Architetto
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TECNOLOGIE E INNOVAZIONE
Le fonti rinnovabili a servizio delle tecnologie per le strutture urbane di comunicazione Giuseppe Menta Fabio Morea calzavara S.p.A.
Nuove opportunità derivano dalla pervasività dei sistemi di comunicazione urbani. Per le strutture di comunicazione il ricorso ad alimentazione da fonti rinnovabili è possibile e diffuso tenendo in considerazione vincoli tecnologici e progettuali.
Sostenibilità è, oggi, la parola chiave nelle strategie di sviluppo nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni. Sostenibilità ambientale e sociale ma anche economica e finanziaria. Secondo l’Associazione Europea dell’Industria Fotovoltaica (Epia), con gli impianti attuali si produce in Europa meno dell’1% dell’energia necessaria. C’è spazio, quindi, per un cambio radicale nel mix energetico, un cambio che vede il fotovoltaico protagonista. Già nel 2020, l’energia dal sole potrebbe coprire oltre il 12% del fabbisogno continentale. Sostenibilità è ormai un asset strategico, tanto da diventare argomento dedicato nel bilancio dei maggiori player del settore.
Le tecnologie per la comunicazione Le strutture urbane per la comunicazione, in questo caso comunicazione a distanza o tele-comunicazione, sono in primo luogo le antenne che ci circondano, installate sui tetti o su grandi tralicci, sono questi gli elementi base di una infrastruttura tecnologica che costituisce la “rete” di telecomunicazione. Alla base di questa rete vi sono tecnologie molto avanzate per la codifica e la trasmissione dei dati. Le strutture urbane ospitano parte di queste tecnologie e vengono definite BTS, ovvero stazioni radiobase. Esse costituiscono l’interfaccia tra gli utenti, i terminali mobili e il cuore di gestione della rete (che viene infatti chiamato core). Nella parte sommitale, le stazioni radio base ospitano antenne che
normalmente sono tre, poste a una distanza angolare di 120°. Le antenne hanno la forma di pannelli stretti e allungati e, con il progredire della tecnologia e l’aumento delle frequenze di trasmissione, stanno diventando sempre di minore dimensione. Spesso le BTS ospitano anche altre tipologie di antenne, a forma di parabola, utilizzate per collegamenti punto-punto e non per la diffusione del segnale radio; collegamenti che interfacciano tra di loro diverse stazioni radio base o, queste ultime, con altre tipologie di stazione radio di livello gerarchico superiore rispetto alle BTS. Queste antenne hanno diametri che generalmente variano dai 30 cm fino ai 120-180 cm. Le antenne delle reti cellulari (non quelle paraboliche), sono l’elemento radiante, ovvero diffondono il segnale che viene generato
da un trasmettitore. In generale, sono collegate con cavi, che scendono lungo le strutture metalliche di sostegno, a una serie di apparati che fanno parte dell’”intelligenza” della rete, in particolare si occupano di regolare la parte trasmissiva. Gli apparati sono ospitati in sale dedicate chiamate “room”, dotate di condizionatori e sistemi di ventilazione tali da garantire la corretta temperatura di esercizio in qualsiasi condizione ambientale esterna. Parliamo delle “stazioni di energia”, che garantiscono l’alimentazione elettrica (tipicamente a 48 V in corrente continua), e la continuità di funzionamento al sistema anche in caso di mancanza di energia dalla rete elettrica. Le sale apparati hanno differenti configurazioni, a seconda del contesto urbano in cui sono collocate, dei piani urbanistici dei comuni e delle esigenze tecnologiche degli
Bilancio di Sostenibilità Telecom Italia 2010 Dal Bilancio di Sostenibilità 2010 di Telecom Italia sul contrasto ai cambiamenti climatici: “Il contrasto del cambiamento climatico, inteso come contenimento dell’aumento della temperatura terrestre dovuto ai processi industriali e in genere all’azione dell’uomo entro limiti ritenuti accettabili, costituisce una delle sfide che l’umanità deve affrontare, principalmente riducendo le emissioni di CO2 e di altri gas a effetto serra. Il settore dell’Information and Communication Technology (ICT) può giocare un ruolo fondamentale in questo ambito, non solo contenendo le proprie emissioni di CO2 generate in prevalenza dal rilevante fabbisogno energetico delle reti trasmissive, ma soprattutto contribuendo alla riduzione delle emissioni degli altri settori grazie all’offerta di servizi innovativi che promuovono stili di vita diversi e più sostenibili dal punto di vista ambientale.“ 1
Tecnologie e innovazione_ 61
Figura 1. Struttura wingstyle, il palo con pensilina.
Numero di Stazioni Radio Base (BTS) in Italia
Circa 55.000
Figura 2. Telestadium è una struttura per comunicazioni che accoglie antenne, fino a tre livelli, e proiettori. È appositamente pensata per stadi, arene, impianti sportivi.
Distanza tra 2 antenne per reti GSM
Fino a 6 km in ambito urbano (decine di chilometri in ambito extraurbano)
Distanza tra 2 antenne per reti UMTS
Fino a 2 km in ambito urbano (macrocelle) 500 m in ambito urbano (micro celle)
Figura 3. Citypole, un esempio di struttura per comunicazioni che diventa arredo urbano, le antenne sono mascherate nella parte sommitale.
Altezza delle strutture (torri e tralicci)
Tra i 18 m e i 30 m; la massima altezza è ca. 100 m
Dispositivi tipicamente installati nelle strutture per un operatore
3 antenne a pannello e 3 o più ponti radio (parabole). Gli apparati sono alloggiati in un cabinet, shelter, edifici esistenti o, raramente, room sotterranee
Tabella 1. Alcuni numeri sulla rete italiana.
Operatori. Spesso vengono utilizzati shelter (sale prefabbricate), posti a fianco dei tralicci e delle torri. Questa soluzione permette facile accessibilità per operazioni di manutenzione e possibilità di espansione con il posizionamento di nuovi apparati. Con l’evoluzione tecnologica sono diventati di utilizzo comune anche apparati con caratteristiche di resistenza agli agenti atmosferici, tali da permettere l’installazione all’esterno senza la necessità di un ricovero. Questi apparati sono definiti “outdoor”; e vengono installati in piccoli contenitori da esterno, dotati di ventilazione autonoma e chiamati micro-cabinet. Non molto comuni sono le sale interrate in prossimità delle strutture, ad esempio al centro delle rotatorie lungo la rete viaria. Questa soluzione è certamente interessante dal punto di vista
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architettonico, perché permette di mascherare le room, riducendo l’impatto ambientale che contraddistingue uno shelter. Purtroppo però non si dimostra economicamente competitiva e pratica per le operazioni di manutenzione e sostituzione degli apparati. Le infrastrutture tecnologiche sopra descritte sono la “parte terminale” di una rete di telecomunicazioni cellulare. Attualmente sono utilizzati diversi standard e protocolli per la trasmissione dei dati via cellulare: il GSM, anche chiamato 2G, l’UMTS, ovvero il 3G e HSDPA, tecnologia 3.5G, in attesa dell’LTE advanced che si identifica con il vero 4G. Questi standard influenzano anche la struttura delle rete che li veicola, imponendo diverse tipologie di apparati, di potenze e consumi. Variano anche la forma e le strutture che accolgono le antenne che, in ambito
urbano, diventano più piccole ma più numerose (tab. 1). Altra tipologia di struttura per la comunicazione urbana che si vuole analizzare in questo contesto sono i pannelli pubblicitari, o informativi sia di tipo tradizionale che non, che in ambito urbano utilizzano frequentemente alimentazione da fonti rinnovabili per l’illuminazione notturna. In questo caso la tecnologia è molto semplice, perché si tratta di piccole strutture o telai che consentono l’applicazione di supporti cartacei. L’illuminazione della parte pubblicitaria è costituita da file di LED, sorgenti a basso consumo e alta efficienza, che vengono poste sul lato superiore del pannello. La progettazione di questi “totem pubblicitari” deve essere particolarmente attenta, sia per garantire una omogenea distribuzione del-
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l’illuminazione su tutta la superficie commerciale, sia per limitare al massimo i consumi, trattandosi spesso di strutture “stand alone”, non collegate alla rete elettrica per ragioni logistiche, di permessistica, o di convenienza economica. Elemento chiave anche per questi totem sono le sorgenti di alimentazione quando le stesse non sono connesse alla rete, ma costituiscono un “sistema a isola”. Spesso, infatti, i comuni non consentono l’esecuzione di scavi per la creazione di contenitori interrati per ospitare i dispositivi di alimentazione. I lavori di scavo, inoltre, possono presentare problemi sia di tipo tecnico che economico. Queste strutture sono spesso temporanee e richiedono un’installazione che consenta una facile rimozione e un successivo ricollocamento in altre zone. La soluzione più semplice è una
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Diffusione del segnale
Antenne per la trasmissione e la ricezione del segnale dagli utenti. Antenne per la creazione di “link” di servizio all’interno della rete.
Interfaccia
Cavi, tipicamente 2 per cella (trasmissione e ricezione), di dimensioni di 1/2 o 7/8 di pollice.
Room
Posta alla base contiene gli apparati tecnologici per la codifica dei segnali e la gestione delle antenne. Nella room sono installati elementi di areazione, condizionamento, sensori e la stazione di energia che fornisce l’energia per i sistemi.
Tabella 2. Elementi tipici di una struttura per telecomunicazioni.
zavorra all’interno della quale è ricavato lo spazio per l’impianto elettrico e l’alimentazione. Tale contrappeso può essere realizzato anche a stampo, per garantire un adeguato effetto estetico. L’energia viene in generale fornita da batterie di accumulatori poste all’interno dei basamenti. La ricarica delle batterie può avvenire con differenti fonti di energia, a seconda del collocamento del totem stesso. Ad esempio un piccolo modulo fotovoltaico progettato “ad hoc”, posto sul lato superiore del totem oppure fuel cell, sempre in combinazione con le batterie. La fuel cell fornirà la carica alle batterie quando queste si scaricano sotto una certa soglia. In questo modo il numero di accumulatori diventa minore e le operazioni di gestione ordinaria si semplificano e si riducono. Spesso i progettisti devono effettuare un’attenta valutazione sui costi/benefici delle diverse opportunità tecnologiche. Quanto sopra anche in funzione del limitato spazio disponibile: l’utilizzo di sole batterie richiede, infatti, una loro frequente sostituzione legata al numero di cicli di carica che ne caratterizzano la vita operativa. L’uso del fotovoltaico consente invece di raggiungere la completa autonomia del sistema nel periodo estivo e di allungare i tempi di intervento per ricarica durante il periodo invernale. La combinazione di batterie e fuel cell ha maggiori costi iniziali, ma garantisce
un’autonomia e una vita del sistema significativamente superiori. Nelle tabelle 2 e 3 vengono definiti gli elementi che caratterizzano una struttura tecnologica.
Le tecnologie per la produzione e l’accumulo dell’energia Strettamente legate alle tecnologie per la comunicazione sono le soluzioni tecnologiche che vengono adottate nel mondo delle telecomunicazioni per utilizzare fonti rinnovabili. Se ne è già parlato ma è utile approfondire alcuni aspetti che risultano rilevanti nelle fasi progettuali.
Batterie di accumulatori Le batterie di accumulatori devono trovare posto nelle strutture che ospitano apparati, siano essi connessi o meno alla rete elettrica. Nel settore fotovoltaico, oltre alle classiche batterie “piombo-acido”, sono utilizzate batterie ermetiche al Gel. Queste garantiscono una durata lunga in assenza di manutenzione e possono lavorare in qualsiasi posizione. Sono dispositivi che richiedono un attento dimensionamento perché condizionano le caratteristiche e l’affidabilità del servizio fornito. Necessitano, inoltre, di un’attenta gestione per garantirne una lunga durata, essendo esposte a continui cicli di carica e scarica. Il livello di carica (SOC,“State Of Charge” nel
Illuminazione del pannello
Tramite le tecnologie LED è possibile ottenere sorgenti ad alta efficienza che garantiscono anche consumi molto bassi; sono quindi ideali in strutture non connesse alla rete elettrica.
Generazione energia
Tramite batterie, che devono essere sostituite periodicamente, oppure tramite fuel cell, che garantiscono la necessità di minore manutenzione. Il fotovoltaico può costituire una fonte aggiuntiva per garantire maggiore autonomia. È posto generalmente in sommità alla struttura.
Tabella 3. Elementi tipici di una struttura per comunicazioni (pannello informativo con supporto cartaceo).
gergo specialistico), dovrebbe rimanere tra il 100% (massima carica) e il 30% (massima scarica non dannosa per l’accumulatore). Scariche “profonde” con SOC che scende sotto il 30% riducono drasticamente la vita utile dell’accumulatore e, di conseguenza, dell’intera batteria. Nella progettazione e nel dimensionamento delle batterie per un sistema fotovoltaico non connesso alla rete elettrica, alcuni fattori critici sono: l’affidabilità del sistema, intesa come ore o giorni in cui si prevede che l’alimentazione non sia sufficiente a far fronte ai consumi; i costi da sostenere per garantire tale affidabilità e le dimensioni del pacco batterie che verrà impiegato. Se poi le batterie sono utilizzate senza altre fonti di energia, come spesso succede, il problema principale sono i costi per la periodica sostituzione degli accumulatori esausti. In questi casi può risultare conveniente l’uso combinato di fuel cell.
Fuel cell (celle a combustibile) Le fuel cell sono dispositivi che permettono di generare elettricità utilizzando un processo elettrochimico che, attraverso una reazione chimica tra un combustibile e l’ossigeno, genera una corrente elettrica e altri prodotti di reazione. Vi sono diverse tipologie di fuel cell: un esempio sono i dispositivi che utilizzano l’idrogeno come combustibile e prendono il nome
di PEM (Proton Exchange Membrane). In questi dispositivi, le molecole di idrogeno e ossigeno reagiscono producendo elettroni e vapor acqueo. La reazione è pulita, il dispositivo è silenzioso e lavora a bassa temperatura. L’unico limite è il costo, nonché la pericolosità del combustibile e la densità di accumulo relativamente bassa. Vi è la necessità di personale qualificato per intervenire sulle bombole di stoccaggio dell’idrogeno: un gas molto reattivo che viene fornito in bombole ad alta pressione (fino a 200 bar). Un altro tipo di celle a combustibile sono quelle denominate DMFC (Direct Methanol Fuel Cell). Le DMFC utilizzano come combustibile il metanolo (un alcol, moderatamente infiammabile, con alta densità di energia rispetto all’idrogeno, che può essere manipolato con elementari misure di protezione, simili a quelle utilizzate per benzina e gasolio). In una DMFC i prodotti di reazione sono vapore acqueo e CO2 (che deriva dagli atomi di C presenti nel metanolo) e, ovviamente, energia elettrica, con un rendimento di circa il 40%. Le piccole dimensioni delle DMFC, le rendono adatte a essere utilizzate per applicazioni nelle quali lo spazio è elemento importante (tab. 4).
Fotovoltaico Nel fotovoltaico, gli elementi fondamentali da tener presente in sede progettuale sono la disposi-
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Fuel cell metanolo Fuel cell idrogeno Batterie
Peso
Volume occupato
8 kg 85 kg 270 kg
10 litri 60 litri –
Tabella 4. Raffronto tra pesi e volumi di diverse soluzioni tecnologiche per produrre 10 kWh di energia.
zione dei moduli (orientamento geografico e inclinazione), il soleggiamento e le temperature medie, nonché il rischio di ombreggiamenti legati a fattori esterni quali, ad esempio, alberi, camini ecc. In un sistema “ad isola”, senza possibilità di allacciamento alla rete elettrica si può ipotizzare, come dato progettuale di partenza, che l’impianto fotovoltaico debba avere una potenza in kW di picco con un fattore di moltiplicazione 10, rispetto al carico nominale richiesto. Questo primo dato deve essere vetrificato con simulazioni teoriche, che tengano conto dei fattori già elencati, del dimensionamento delle batterie di accumulatori e dei requisiti del sistema in termini di affidabilità.
Design urbano: necessità e opportunità Il futuro delle tecnologie nelle telecomunicazioni è ciò che gli esperti chiamano ‘Internet of People Things and services’; ovvero un insieme di tecnologie “user friendly”, che permettono di interagire con l’ambiente circostante attraverso nuovi supporti tecnologici, reti di sensori e dispositivi che costituiscono una vera e propria estensione virtuale delle funzionalità umane. Per qualsiasi nuova tecnologia, infatti, le modalità e gli strumenti di comunicazione sono elementi irrinunciabili. In questo contesto, nell’ambito delle reti per le telecomunicazioni,
assistiamo a una continua evoluzione che corrisponde a una copertura del territorio sempre più capillare con reti di antenne (stazioni radio base). Lo skyline delle nostre città è densamente popolato da antenne, torri e tralicci che permettono la raggiungibilità totale, in qualsiasi momento “always connected”. È grazie a queste tecnologie che i nostri stili di vita cambiano, le relazioni sociali si modificano, le economie trovano nuovi strumenti per svilupparsi. Comunicare non è più un servizio a valore aggiunto, ma un’esigenza, elemento essenziale, irrinunciabile ovunque ci si trovi. Per questo la rete si diffonde, ma anche l’infrastruttura che la “sostiene” cresce, evolve e migliora. Un termine ormai diffuso tra gli operatori è “co-siting”, ovvero condivisione dei siti tecnologici tra più operatori con risparmio dei consumi energetici, risparmio anche di territorio occupato dalle infrastrutture e riduzione dell’impatto visivo delle stesse. L’idea di condividere le strutture nasce dall’esigenza di aumentare la copertura del territorio, con lo scopo di fornire un servizio più efficiente e capillare. Le nuove tecnologie di trasmissione, infatti, permettono l’installazione di apparati con dimensioni e consumi ridotti e antenne con profili molto efficienti che diminuiscono i carichi da vento. Da qui la possibilità di ospitare più operatori all’interno dello stesso sito.
Il contesto urbano è pervaso da queste infrastrutture, anche per fornire informazioni ai cittadini e ai turisti e per veicolare le strategie comunicative delle amministrazioni pubbliche. Gli strumenti della comunicazione, in questo caso, sono i grandi display che vengono posti nelle vie di maggior traffico e forniscono informazioni, pubblicizzano eventi, avvertono i cittadini di possibili disagi, forniscono degli spazi dinamici per il marketing e la pubblicità. Si stanno inoltre diffondendo display interattivi, posti spesso su totem in acciaio, che forniscono informazioni su piazze e monumenti, permettono il pagamento dei parcheggi, danno informazioni ai turisti. Anche per queste strutture il ricorso ad alimentazione da fonti rinnovabili è possibile e diffusa. L’aumentare delle necessità di “interazione continua, vicina e lontana” in ambito urbano, porta a un parallelo aumento della “densità” delle infrastrutture tecnologiche necessarie a garantire questi “nuovi volumi di comunicazione”. La conseguenza diretta è la continua ricerca di nuove soluzioni atte a minimizzare l’impatto ambientale e, al tempo stesso, ad aggregare diverse funzionalità presso lo stesso sito. Un esempio su tutti è l’inserimento delle antenne in architetture verticali, moderne torri di acciaio collocabili al centro di piazze, all’interno di zone private o parcheggi. Queste strutture sono veri
e propri elementi di design, che consentono il mascheramento dei sistemi radianti, l’inserimento di lampade per l’illuminazione e, in alcuni casi, di display multifunzione. Acquistano quindi un significato nuovo agli occhi dei cittadini diventando arredo “urbano”, elemento decorativo e funzionale in luoghi pubblici, infrastrutture tecnologiche che però rendono più accoglienti e familiari i luoghi più vissuti delle nostre città. Le stesse strutture possono, oltre ad accogliere e mascherare antenne al loro interno, integrare soluzioni di alimentazione “green” ad alta efficienza, ospitate magari sulle superfici esterne attraverso rivestimenti in fotovoltaico amorfo.
Vincoli progettuali e tecnologici Le opportunità descritte derivano dall’evoluzione del concetto di città, mutato di pari passo con l’evoluzione del tessuto sociale ed economico degli insediamenti urbani. Nell’antichità romana le “urbs” erano spesso edificate a presidio delle principali vie di comunicazione, mentre oggi, nella società dell’informazione, le città sono luogo di incontro e di integrazione delle nuove tecnologie della comunicazione. La crescita tecnologica si deve confrontare con lo sviluppo urbano e demografico, con aree densamente abitate in cui gli spazi disponibili sono ridotti o zone in
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Figura 4. Mosaictower, torre di design che ospita antenne e illuminazione pubblica. È installata a Treviso presso piazza Matteotti. Figura 5. Wingstyle, palo per telecomunicazioni con pensilina, al servizio del trasporto pubblico.
cui l’esigenza progettuale di copertura si scontra con l’atteggiamento critico dei cittadini. Ritornando all’esempio delle torri di design prima descritte, è possibile provare ad esaminare alcune delle problematiche progettuali che un progettista urbano deve affrontare.
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Si parte dall’idea. Materiali innovativi, geometrie di impatto visivo e emozionale, rivestimenti di nuova concezione trovano il primo ostacolo nei vincoli funzionali imposti dagli Operatori, dalle normative strutturali e dal costo che deve essere commisurato ai ricavi generati dall’infrastruttura di comuni-
cazione. L’architetto si deve confrontare con la rigidità delle infrastrutture di sostegno delle antenne; rigidità necessaria a garantire una adeguata diffusione del segnale radio. Altro elemento imprescindibile è la “trasparenza radioelettrica” delle superfici coprenti le antenne.
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Trasparenza che non si confà con l’impiego di materiali metallici in genere. Ulteriori vincoli sono la localizzazione geografica, sempre ben definita e con limitate possibilità di spostamento, l’altezza dal suolo dei sistemi radianti, lo spazio necessario al posizionamento degli apparati e impianti tecnolo-
Tecnologie e innovazione_ 65
Figura 6. Triatower, una struttura a pianta triangolare che ospita le antenne in sommità.
gici, il reperimento di adeguate fonti di alimentazione elettrica. L’energia, il suo reperimento e gli spazi necessari per garantirla sono un altro punto chiave nella progettazione. Le domande più frequenti in questi casi sono: quanta energia consumeranno gli impianti accolti all’interno? Con quale
pattern orario? Con che grado di affidabilità dovrà essere fornita l’alimentazione? È chiaro che il progettista deve tener conto di questi vincoli. Ad esempio, se venisse richiesto di garantire energia durante la notte (illuminazione, display notturni) il sistema di accumulo, ovvero la
batteria, occuperà molto spazio, mentre per dispositivi che devono funzionare durante il giorno, i problemi non saranno nell’accumulo di energia, ma nella posizione dei moduli fotovoltaici, magari privi di un adeguato soleggiamento (ad esempio vie strette e poco illuminate o posizionamento con orien-
Applicazione
Potenza
Orari
Stazione GSM tradizionale
1500 W
H24/7 gg
garanzia di continuità
Connessione rete elettrica + stazione di energia oppure impianto FV in sito o sulla struttura
Stazione 3G evoluta
600 W
H24/7 gg
garanzia di continuità
Connessione rete elettrica + stazione di energia oppure impianto FV in sito o sulla struttura
Totem informativo
300 W
12h diurno
Elevata
Micro impianto FV + batterie + fuel cell
Pubblicità con illuminazione LED
150 W
Affidabilità
12h notturno Compromesso tra affidabilità e costi
Soluzione tecnologica
Micro impianto FV + batterie + fuel cell
Tabella 5. Esempi di richieste energetiche e di back up per infrastrutture di telecomunicazione e pubblicità.
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tamenti poco “efficienti”) (tab. 5).
Conclusioni Nuove prospettive e opportunità derivano dall’esigenza di comunicazione e dalla pervasività dei sistemi in uso nelle città moderne. Le strutture per la comunicazione forniscono spunti di design molto interessanti perché collocate in contesti che possono essere valorizzati dall’inserimento di moderne architetture. In particolare, la necessità di posizionare le antenne in supporti di una certa altezza porta a opportunità progettuali che sfruttano superfici verticali, combinazioni di materiali ed elementi strutturali per creare opere di arredo urbano. In accordo con l’evoluzione del design, l’utilizzo di tecnologie per fonti rinnovabili consente di dare una valenza nuova a questi elementi tradizionalmente visti come sole fonti di inquinamento, elettromagnetico e ambientale. Le tecnologie descritte per l’alimentazione tramite fonti rinnovabili hanno anche vantaggi in termini di affidabilità, estetica e modularità ma presentano limiti in termini di costi, di esigenze dimensionali, di necessità di particolari condizioni ambientali dai quali il designer non può prescindere.
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calzavara S.p.A. Basiliano (UD) www.calzavara.it Telecomunicazioni_ arredo urbano, strutture mascherate, alberi artificiali, camini di design Oil&Gas_ Energie rinnovabili_ strutture fotovoltaiche, strutture eoliche/minieoliche strutture anemometriche
Mosaictower Le antenne per la telefonia mobile, poiché si inseriscono come emergenze visibili nel paesaggio urbano, non possono più essere considerate semplici elementi tecnici privi di valore formale. Sono anzi veri e propri simboli della
apposite tesate in fune di acciaio. Alla base del palo sono previste delle aperture di servizio opportunamente raccordate e irrigidite. Il pannello a messaggio variabile è incastonato al palo tramite una struttura parallelepipeda di sostegno a sbalzo rispetto al palo stesso, rifinita da carter
contemporaneità, dell’odierna esistenza ubiqua, connessa, innervata di reti materiali e immateriali.
sagomati. La stella trilobata in sommità é realizzata in Vitroplex. Nella stella trilobata possono essere installate fino a 3 antenne a pannello e, in posizione
Mosaictower è un’architettura verticale a pianta triangolare, con i tre montanti
immediatamente sottostante alla sommità, 3 fari per l’illuminazione stradale,
in acciaio rivestito da carter. La struttura portante è irrigidita da tiranti trasversali in acciaio. Il rivestimento delle tre facce è composto da pannelli in vetro-
integrati e nascosti alla base della stella stessa. Il pannello a messaggio variabile può essere tradizionale in bianco e nero o a
camera antisfondamento, riempiti da oltre 500 mila tessere in vetro di
colori. In quest’ultimo caso, l’alta qualità di immagine permette anche l’impie-
Murano, che vanno a creare un mosaico sui toni fra il verde e l’azzurro. Il vano tecnico, alla base, è utilizzato per accogliere gli allacciamenti, la stazio-
go di filmati e videografica. L’informazione può essere generata in remoto o localmente. Ad esempio, le previsioni meteo o le informazioni sulla viabilità
ne di energia e alloggiare apparati e quadri elettrici di alimentazione. Il vano è accessibile attraverso le porte che si aprono su tutti e tre lati.
sono generate da una stazione remota, mentre la temperatura al suolo, l’umidità, la velocità del vento sono informazioni rilevate in sito e fornite in tempo
La sommità é in Vitroplex, un materiale plastico di colore azzurro tenue e
reale. Il pannello può operare come un concentratore/visualizzatore di infor-
aspetto satinato, trasparente alla luce e alle onde elettromagnetiche. Le antenne sono fissate su una palina posta all’interno della sommità. Quest’ultima può essere formata da tre o quattro moduli, a seconda dell’altezza della torre. Ogni modulo può ospitare fino a 6 antenne a pannello e 2 parabole con diametro fino a 60 cm.
mazioni provenienti da varie fonti (rilevatori di inquinamento, informazioni meteo, viabilità, velocità istantanea autoveicoli, disponibilità parcheggi ecc.) interconnesso in rete. La possibilità di gestione di slot temporali ne permette l’uso anche come veicolo pubblicitario. Palo con cilindro Per poter ospitare antenne di telecomunicazione e impianti per la pubblica illuminazione, è stata studiata una struttura formata da un palo troncoconico circolare, terminante con un cilindro sommitale rivestito in Vitroplex. Nel cilindro possono essere installate fino a 3 antenne a pannello e fino a 2 parabole
Palo con pannello a messaggio variabile È un palo terminante con una stella trilobata che contiene le antenne. Esternamente, la superficie del palo risulta conica, liscia, circolare e priva di qualsiasi sporgenza. I cavi di servizio sono interni alla struttura e fissati su
Figura 7. Mosaictower. Figura 8. Esempio di Flagstile con integrati un pannello a messaggio variabile e un semaforo. Figura 9. Lancepole installato al centro di una rotonda; gli apparati, che normalmente sono alloggiati in uno shelter, in questo caso trovano posto all’interno della rotonda, per ridurne l’impatto ambientale. 7
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Tecnologie e innovazione_ 67
Ø 60 cm. Sotto il cilindro sommitale possono essere alloggiati i fari per la pubblica illuminazione. Hybrid energy innovative design infrastructure È una “infrastruttura di sistema” in cui l’autonomia energetica, grazie alla ottimizzazione dei consumi con innovativi sistemi di gestione integrati a impianti
ne di energia elevata nei mesi estivi (in alcune ubicazioni), ottimo impatto visivo sull’estetica del sistema, riduzione del rischio di danneggiamento o furto. La carica della batteria dipende in questo caso dall’irraggiamento solare disponibile in ciascun sito. Per garantire la piena autonomia di funzionamento
di condizionamento passivo, si avvale esclusivamente di fonti rinnovabili quali
in tutte le condizioni meteorologiche e ambientali, è stato affiancato al sistema fotovoltaico un generatore ausiliario basato sulla tecnologia delle Fuel Cell DMFC. È un generatore alimentato da una cartuccia di “combustibile”, che
il fotovoltaico. È caratterizzata da un design unico, che offre una significativa riduzione degli
viene collegato alle batterie e provvede a ricaricarle quando l’energia fotovoltaica non è sufficiente (mesi invernali) o assente (ombreggiamenti, pioggia
spazi di impiego e si propone come infrastruttura polifunzionale. Oltre a ospi-
etc). La fuel cell DMFC è alimentata da una cartuccia a tenuta stagna, che con-
tare fino a tre gestori di telecomunicazione, è anche impianto di illuminazione pubblica e, grazie a una superficie attrezzata di oltre 30 m2, spazio di informazione pubblicitaria. La struttura occupa un’area al suolo il 50% inferiore alle normali stazioni radio
tiene metanolo liquido a temperatura ambiente. La cartuccia può essere trasportata in qualsiasi veicolo, può essere immagazzinata e gestita come una qualsiasi batteria. A testimonianza della sicurezza e affidabilità della cartuccia basti citare l’omologazione ICAO che ne consente il
e ha la possibilità di usufruire dei vantaggi derivanti dal Conto Energia per il
trasporto anche via aerea.
fotovoltaico e dagli introiti pubblicitari/informativi legati all’ampio spazio destinabile a questo uso. Illuminazione a led per bacheche pubblicitarie La tecnologia necessaria per garantire l’illuminazione di questi impianti è stata studiata con lo scopo di fornire un sistema ibrido
Un sistema ibrido fotovoltaico/batteria/fuel cell ha diversi vantaggi rispetto a un sistema standard fotovoltaico/batteria: - alimentazione che proviene principalmente dal modulo fotovoltaico, che ricarica quotidianamente la batteria. Le cartucce della fuel cell contengono metanolo ricavato da biomasse; - le batterie non vengono mai spostate, ma vengono ricaricate sul posto con il
fotovoltaico/batteria/fuel cell. La batteria viene caricata dal sistema fotovoltaico, costituito da un modulo realizzato con tecnologia CIS e potenza nominale 35 Wp. Il modulo si trova in posizione orizzontale per garantire la miglior combinazione di vantaggi: produzio-
fotovoltaico e la fuel cell; - il circuito elettrico prevede la possibilità di connessione all’alimentazione 220 V con l’aggiunta di un semplice alimentatore all’interno del quadro elettrico esistente.
Figura 10. Torre HEIDI, con installati sulla superficie pannelli fotovoltaici. Alla base è stato creato un vano per alloggiare fuel cell e apparati di rete, in sommità sono posizionate le antenne. Figura 11. Disegni di progetto di un totem pubblicitario con illuminazione a LED e alimentazione con energie rinnovabili. 10
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TECNOLOGIE E INNOVAZIONE
Sostenibilità energetica e bonifica ambientale nel recupero di aree contaminate Maria Irene Cardillo architetto
Premio dei Rotary Club organizzatori e del Comune di Carbonia, per la qualità architettonica e scientifica e per l’originalità e l’innovatività dell’utilizzo delle risorse energetiche rinnovabili.
Il Concorso Internazionale di Idee indetto dai Rotary Club di Cagliari, Carbonia e Iglesias “Serbariu: dalla Discarica all’Ecoparco” è giunto, nel dicembre 2010, alla premiazione e consegna dei progetti al Comune di Carbonia. L’iniziativa di indire un concorso d’idee, che avesse come tema la valorizzazione di un’area ex mineraria, è nata nel 2008, anno in cui si è consolidato il processo di restituzione al territorio delle aree minerarie ex carbonifere di Serbariu attraverso la cessione di tali beni al Comune di Carbonia da parte della società LIGESTRA, delegata alla gestione dei beni ex minerari dal Ministero del Tesoro. Il progetto S.E.R.B.A.R.I.U., proposto dal Team di progetto guidato
dall’arch. Maria Irene Cardillo, ha meritato il Premio e la Menzione Speciale dei Rotary Club organizzatori e del Comune di Carbonia, per la qualità architettonica e scientifica del lavoro presentato e per l’originalità e l’innovatività dell’utilizzo delle risorse energetiche rinnovabili (fig. 1).
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Il progetto architettonico La matrice di sviluppo del progetto architettonico di riqualificazione dell’area delle discariche nasce da un’attenta analisi del contesto orografico e ambientale prodotto dallo sfruttamento della miniera: l’orografia di cumulo dei detriti delle due discariche, asse sud della miniera e asse nord con presenza
di ipotesi di post mortem della discarica RSU. La struttura a L delle due discariche forma una sorta di quinta al territorio di progetto da esse perimetrato. È proprio la lettura del territorio che ha definito la matrice progettuale, a mezzo di una curva di progetto che scandisce e perimetra tutte le presenze volumetriche delle funzioni presenti nell’Ecoparco. Gli edifici sono sottesi da una copertura di tetto verde, per un integrale recupero dello spazio naturale, un contributo di progettazione sostenibile e conseguenti risparmi economici ed energetici nonché benefici di mitigazione microclimatica a mezzo della evapo-traspirazione che essi producono.
Nella zona di fulcro tra le due colline si colloca la zona di accesso visitatori all’Ecoparco. Gli edifici di accoglienza saranno caratterizzati dalla presenza di una torre, per l’ascensore panoramico che distribuisce direttamente i percorsi in quota delle due colline e dal design reinterpretato del castello di discenderia della miniera, che ancora oggi si notano nello skyline adiacente. L’Ecoparco S.E.R.B.A.R.I.U. sarà un luogo di eccellenza per la ricerca naturalistica integrata e le bonifiche ambientali ma anche un parco tematico sull’ambiente e l’energia. Tutto ciò avverrà lungo un percorso che gli utenti saranno invitati/guidati a seguire e lungo il quale incontreranno diverse attivi-
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Figura 1. Strategia di riqualificazione ambientale dell’area - Masterplan. Figure 2, 3. Dinamica dei venti nel periodo estivo (giorno-notte). Figura 4. Giardino delle miniere Schizzo di studio. Figura 5. Planimetria del Giardino delle Miniere.
Progettazione architettonica ecosostenibile e strutturale: arch. Maria Irene Cardillo Team project: Architettura MIC Maria Irene Cardillo, Roma Progettazione bioclimatica: prof. arch. Mario Grosso (Politecnico di Torino) Progettazione del verde: prof. arch. Carlo Buffa (Politecnico di Torino) www.mariairenecardillo.com
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tà, con finalità diverse. Il percorso sarà articolato in due sezioni principali: la Via della miniera - ripristino ambientale: l’ex discarica a sud; la Via dell’Energia - l’ex discarica a nord dove le strutture tecnologiche si alternano ad allestimenti, proiezioni e piccoli laboratori. Il progetto intende mettere a confronto le diverse forme di bonifica e ricerca botanico-ambientale e di energia, passando attraverso l’evoluzione delle tecniche e delle tecnologie che accompagnano la società e l’ambiente al futuro.
Localizzazione e caratteristiche geografiche del sito Il sito di progetto si colloca sul
margine occidentale dell’abitato di Carbonia, direttamente a nord del golfo di Palmas (Sant’Antioco) e a SSE del Monte Sirai. Tale localizzazione ha influenza sulla dinamica dei venti, come si evince dalla descrizione (figg. 2, 3).
Dati di riferimento Le principali caratteristiche climatiche del sito sono desumibili dai dati della stazione di riferimento (Decimomannu, CA). Si evince che le condizioni di discomfort ambientale da controllare sono principalmente quelle connesse al surriscaldamento e all’elevata umidità nel periodo estivo.Tali condizioni sono affrontabili con tecnologie basate sulla ventilazione naturale controllata e il raf-
frescamento passivo ventilativo, integrate con sistemi meccanizzati. I dati sulle frequenze dei venti dominanti sono indicati nei diagrammi anemometrici che seguono, per i mesi invernali ed estivi, alle ore 0 e 6, e 12 e 18. La velocità media del vento risulta essere: 4,2 m/s d’estate e 4,4 m/s d’inverno.
Caratteristiche locali Mentre le caratteristiche di temperatura e umidità relativa del sito di Serbariu si possono considerare analoghe a quelle della stazione di riferimento, così come i valori della velocità media del vento, i dati sulle frequenze dei venti in funzione della direzione risultano lievemente modificati per effetto delle caratteristiche orografiche. In particolare, non risultano modificate le condizioni invernali, mentre la direzione prevalente notturna-mattutina vira da N-NO a N-NE e quella diurna-pomeridiana da SSE a S-SO, in relazione alla presenza del Monte Santa Miai.
Via della Miniera Il percorso si sviluppa sull’asse della funicolare, che dalla laveria trasportava su carrelli il materiale sterile da discaricare. Con il tempo questo processo ha formato la collina sud, ora oggetto di rinaturalizzazione. Sarà un percorso attrezzato, a mobilità facilitata da marciapiedi mobili che ne renderanno più agevole il percorso. Pensiline di 5
copertura, aree di sosta ombreggiate da Sughere e punti Info caratterizzeranno il percorso fino al Focal Point in direzione del mare. Forme archetipe nuragiche vengono utilizzate per caratterizzare il primo elemento funzionale visibile della via della miniera: il Giardino delle miniere. Costituito da una sequenza di giardini tematici a carattere scientifico, sviluppa la sua presentazione attraverso un’aggregazione volumetrica su diversi livelli orografici di nuclei circolari. Il giardino sarà strutturato in un sistema di aiuole e roccaglie, riunite in settori tematici che si disporranno a formare un percorso didattico-logico (figg. 4, 5). In posizione centrale, tra le due quinte a L delle colline, al di sotto di una copertura verde a profilo curvilineo dato dalla matrice orografica di progetto, emerge l’edificio del Museo, luogo di centralità per il collegamento tematicodidattico delle funzioni all’interno dell’Ecoparco (fig. 6). L’edificio si costituisce di due blocchi costruttivi, due versanti e due accessi: la facciata S-O si apre alla quota superiore ed è caratterizzata da un solarwall® – sistema con lastra metallica di ferro ossidato microforata e la copertura vetrata, schermata all’interno da lamelle di alluminio (figg. 7-8). L’affaccio dell’edificio a N-E è caratterizzato dalla copertura in salita a tetto verde che al tempo stesso costituisce aggetto ombreggiante alla facciata, oltre a
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Figura 6. Planimetria dell’Edificio Museale. Figura 7. Accesso SUD-OVEST dell’Edificio Museale. Figura 8. Accesso nord dell’Edificio Museale.
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essere un rilevante riferimento visivo all’interno del parco. L’interno dell’edificio ospita Il museo virtuale, uno strumento che affianca la tradizionale struttura museale nello svolgimento dei compiti didattici ed espositivi. La natura interattiva e ipermediale dell’Ecoparco SERBARIU e del suo Museo Virtuale aprono le frontiere all’internazionalizzazione dell’esperienza di recupero ambientale e provvedono alla sua promozione. Una cavea circolare si delinea tra l’orografia progettata del tetto verde del Museo e le grandi terrazze panoramiche sulla collina a nord che ospitano gli edifici per la ristorazione. La cavea verrà piantumata con un bosco di Sughere. Sul versante nord della collina “della miniera”, un Bioma geodesico si adagia sulla pendenza dei fianchi della ex discarica: è una struttura portante in acciaio con rivestimento in etiltetrafluoroetilene (ETFE), materiale a doppia pellicola insufflata, ad alte prestazioni tecnologiche. Annesso, un triplo terrazzamento di strutture vivaistiche complementano la vocazione di ricerca dell’area occidentale dell’Ecoparco. L’area dei laboratori di ricerca si affaccia su uno specchio d’acqua che effettua una ricucitura microclimatica alla dorsale del parco, attraverso il collegamento al bacino di lagunaggio previsto dalla rimodellazione orografica del sito. Il parco interno è così caratterizzato da una grande zona d’acqua e
da canali che conferiscono all’intero parco una forte connotazione ecologica, naturalistica e ricreativa, oltre a costituire un segno di forte centralità e caratterizzazione visuale. Lungo le sponde del lago e dei vari canali si distribuiscono ampie fasce di vegetazione riparia e, lungo i bordi, vegetazione di tipo acquatico, quale canneti, tifa, carici ecc., utile per richiamare la fauna e l’avifauna locale e da passo. I laboratori sono posti nel progetto al confine orientale dell’area, innestandosi all’interno della presente emergenza altimetrica a forma triangolare. Essi godranno di accesso indipendente rispetto all’Ecoparco tematico. Antistante ai laboratori, una grande piazza della scienza delimitata da morbide curve di tetti verdi in quota con pensiline e sottostanti aule didattiche che ne articolano lo spazio. Sul versante sud della colline della miniera trova collocazione una centrale fotovoltaica produttiva per l’autosufficienza energetica dell’Ecoparco: sul viale adagiato sul crinale alcuni Totem
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del sole a Led colorati daranno indicazione della produzione di energia giornaliera e della CO2 non emessa e al contempo svolgeranno un ruolo divulgativo della sostenibilità energetica. Parallelamente al grande impianto FV piccoli impianti dimostrativi di celle FV a film sottile, in silicio amorfo, e degli specchio a concentrazione solare dimostreranno le innovazioni di tali tecnologie.
La centrale fotovoltaica La centrale fotovoltaica si sviluppa per un’area di circa 6.500 m2 costituita dal versante della discarica mineraria che presenta uno sviluppo prevalente nella direzione est-ovest con inclinazione costante di circa 35°. Il presente studio fa riferimento a un impianto di taglia pari a 502,32 kWp ritenendo assolutamente proporzionali, in prima istanza, costi e ricavi di impianti di taglia eventualmente superiore, stante la dimensione dell’impianto base. La disposizione planimetrica e la tipologia delle strutture impianti-
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stiche valutate evitano ogni possibile interferenza con la gestione post operativa della discarica. Il suolo di appoggio della centrale è costituito dal versante del corpo della discarica. Per questo non è stato considerato l’impiego di strutture con basamenti continui, cordoli o plinti in c.a. o palificazioni metalliche infisse in profondità. Infatti, l’utilizzo dei basamenti continui in c.a. comporta rischi di cedimenti differenziati che fratturerebbero il basamento stesso, danneggiando le strutture di appoggio dei pannelli FV. Strutture ancorate con cordoli e/o plinti gravanti sul terreno avente scarsa portanza sarebbero soggette a identico rischio. Per tali motivi, la struttura di sostegno è stata scelta in modo da ridurre al minimo i carichi statici e dinamici gravanti sul corpo discarica e da rendere massimo il grado di libertà fra gli elementi dell’impianto fotovoltaico. Il sistema proposto è in grado di mantenere inalterate le caratteristiche di stabilità al vento e alle intemperie
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Figura 9. Particolare del montaggio delle strutture Console e dei moduli (Renusol, discarica di Roncajette Padova, CPL CONCORDIA Group). Figura 10. Particolare della struttura Console (Renusol, discarica di Roncajette Padova, CPL CONCORDIA Group).
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grazie al materiale che viene utilizzato come zavorra. Vengono impiegati speciali “contenitori”, realizzabili anche in polietilene riciclato e riciclabile (particolarmente attinenti all’area in oggetto) da posizionare direttamente a terra. Il contenitore è realizzato in modo da ospitare, con inclinazione di 30°-35° (25°), un singolo modulo assicurato tramite carpenteria metallica in alluminio e bulloneria inox. Il contenitore ha una sezione laterale pseudotriangolare ed è dotato di fori di drenaggio. L’installazione prevede che il contenitore venga riempito con un primo strato di ghiaia drenante con la terra rimossa per la sua installazione dalla superficie del versante. In questo modo si stima un carico statico aggiuntivo (inteso come peso ulteriore sul terreno) pari al solo peso del cassone, del modulo e della ghiaia drenante in circa 100 kg/m2. La soluzione tecnica prescelta ha avuto importanti applicazioni su versanti di discariche europee. In particolare, nelle figure 9 e 10
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viene mostrata l’installazione nella discarica di Roncajette a Padova (CPL Concordia Group).
Strategie e tecnologie ecocompatibili di climatizzazione e ventilazione Le strategie di climatizzazione e ventilazione sono ecocompatibili e basate sia sulle tecnologie d’involucro sia sugli impianti, con funzionamento integrato e interagente con il clima esterno e le esigenze d’uso. Esse hanno come obiettivo primario quello di contribuire al comfort termoigrometrico con tecniche e sistemi che sfruttino al massimo le risorse climatiche del sito, realizzando nel contempo risparmio energetico, riduzione nell’uso di combustibili fossili e delle relative emissioni di gas serra climalteranti.
Edificio museale La complessità morfologica e d’uso dell’edificio museale richiede un sistema di climatizzazione, sia passivo sia attivo, articolato e
differenziato a livello stagionale. Le due ali dell’edificio hanno orientamento ideale per sfruttare, alternativamente, le brezze diurne e serali, in direzione NE-SO. Si prevede, pertanto, di utilizzare le facce esposte a tali brezze per l’immissione naturale dell’aria, mentre si ipotizza, nel punto d’intersezione dei due corpi di fabbrica, una parete massiva, in curva, emergente dal tetto, a cui è associata un’intercapedine d’aria e una parete vetrata, esposta a sud, che realizza un camino solare. Si ipotizzano i seguenti schemi di funzionamento, differenziati a livello stagionale. Inverno La parete SO è formata da un solarwall® – sistema con lastra metallica microforata, applicata a superficie grezza, con intercapedine d’aria collegata a plenum sulla parte superiore – con funzione di preriscaldamento dell’aria per effetto camino prodotto dall’irraggiamento solare e dall’altezza dell’intercapedine d’aria. Il plenum è
collegato a una UTA, che filtra e movimenta l’aria verso i condotti di distribuzione a soffitto. Nel locale NE, l’aria è immessa, invece, da unità ventilanti poste in adiacenza della parete del camino solare (lato nord) e, dopo aver attraversato il recuperatore di calore, è distribuita da diffusori a soffitto. La ripresa avviene da bocchette poste nelle parti inferiori delle pareti laterali collegate, tramite condotti, al recuperatore di calore da cui l’aria è introdotta nel camino solare per essere espulsa (fig. 13). Estate Si prevede VNC sia diurna sia notturna, regolata in funzione della temperatura dell’aria – interna ed esterna – e, in periodo d’occupazione, del tasso di concentrazione di CO2. L’aria, immessa dalle facciate SO e NE è estratta, naturalmente, dal camino solare. Il sistema radiante a pavimento entra in funzione quando le condizioni di temperatura interna salgono oltre il livello massimo di comfort. L’effetto radiante consente di ventilare anche quando la temperatura dell’aria immessa è superiore a tale livello (fig. 14).
Caffetteria e Ristoro Considerando l’utilizzo discontinuo dei locali caffetteria, si ipotizza un impianto di ventilazione meccanica a tutt’aria, con diffusione a soffitto ed estrazione da plenum a pavimento, impiego di collettori 11
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Figura 12. Vista interna dell’Edificio Museale. Figura 13. Schema bioclimatico dell’Edificio Museale - inverno. Figura 14. Schema bioclimatico dell’Edificio Museale - estate. Figura 15. Vista Caffetteria e Edificio Museale.
Figura 17. Vista del Bioma dai laboratori. Figura 18. Schema bioclimatico del Bioma. Figura 19. Vista interna delle Strutture Vivaistiche. Figura 20. Schema bioclimatico del Bioma. Figura 21. Accesso est del Bioma.
Figura 16. Vista del Museo e della Caffetteria dalla Sughereta.
Figura 22. Vista interna del Bioma.
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solari ad aria, con funzione di preriscaldamento dell’aria in inverno ed estrazione per effetto camino in estate. Tale sistema è associato a un recuperatore di calore, da attivarsi automaticamente quando le condizioni d’irraggiamento solare non sono sufficienti a riscaldare l’aria nei collettori. Il plenum a pavimento è collegato, attraverso il recuperatore di calore, a un torrino posto in copertura; tale torrino funziona come estrattore in inverno e presa d’immissione d’aria in estate.
Bioma e strutture vivaistiche La climatizzazione del bioma e
delle strutture vivaistiche richiede un controllo elevato e distribuito delle condizioni termoigrometriche interne tale da rendere necessario l’utilizzo di sistemi impiantistici in grado di regolare sia temperatura sia umidità dell’aria. Si ipotizza, pertanto, un impianto a tutt’aria, con estrazione naturale a effetto camino e controllo igrotermico realizzato con pompe di calore geotermiche a scambio in acqua di falda (figg. 17-22).
Laboratori Considerato l’utilizzo relativamente continuo dei locali laboratori, si ipotizza un impianto radiante a
pavimento, alimentato da pompa di calore geotermica. Tale impianto garantisce le condizioni di controllo climatico di base in inverno e quelle di picco in estate ed è integrato da un sistema di ventilazione naturale controllata (attivata, cioè, da aperture comandate da sensori di temperatura dell’aria e valori di concentrazione di CO2). Il sistema VNC funzionerà al minimo d’inverno e, nel periodo diurno, d’estate, in relazione alle esigenze di ricambio igienico-sanitario (attivazione con sensori di CO2); viceversa, opererà con il massimo delle aperture nel periodo serale-notturno (di non occu-
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pazione) d’estate, con attivazione in funzione della temperatura dell’aria esterna (inferiore a quella massima di comfort), per raffrescare la massa edilizia e rendere, quindi, gli ambienti confortevoli il mattino seguente.
Via dell’Energia Il percorso della via dell’Energia trova luogo a nord dell’ex discarica, dove il percorso distribuirà delle aree dedicate alle diverse fonti di energia sostenibile. Gli utenti del parco potranno sperimentare e informarsi sulle diverse fonti di energia sostenibile dall’uti-
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lizzo delle fonti naturali: terra, sole, acqua, vento. L’energia dalla Terra: energia fossile e geotermia; una discesa ipogea condurrà all’area divulgativodimostrativa dell’energia dalla terra. L’area dell’energia dal sole sarà caratterizzata da una struttura a cupola ellittica rivestita da membrana FV. L’area dimostrativa sottostante ospiterà allestimenti, proiezioni, piccoli laboratori e giochi interattivi dimostrativi. L’energia dall’acqua: in questa sezione i ragazzi avranno modo di giocare con esperimenti che illustreranno come sia possibile sfruttare il moto ondoso per sviluppare energia elettrica; una microturbina idraulica sfrutterà il movimento in discesa dell’acqua a scopo didattico. Allestimenti temporanei e manifestazioni tradizionali: il pianoro di recupero dalla stabilizzazione
della ex discarica RSU viene pensato come un luogo accessibile e indipendente dall’Ecoparco, per ospitare allestimenti temporanei o manifestazioni. I padiglioni rivisitano le strutture in legno delle gallerie della miniera. L’energia dal vento si trova alla fine della collina nord, nell’area con orografia più emergente ed esposta ai venti: un grande aerogeneratore e un piccolo parco di minigeneratori eolici renderanno percepibile la grande forza della natura e rafforzeranno la percezione di sostenibilità attraverso l’uso degli elementi naturali nel rispetto del nostro pianeta (fig. 23). A complemento del parco albergo: centro congressi, centro sportivo e commerciale.
Progetto di sistemazione paesaggistica e a verde Il nuovo parco assume una confor-
mazione legata alla presenza dei grandi elementi morfologici artificiali, dovuti alla presenza dei cumuli di detriti della miniera e della discarica. Esso trova un’integrazione nel sistema paesaggistico locale attraverso la strategia di progetto che unisce conservazione e innovazione. Da un lato, si intende conservare e recuperare le scarpate esterne dei rilevati, come parte ormai integrante del paesaggio attuale attraverso l’inserimento di nuove macchie di vegetazione di tipo autoctono; dall’altro lato, si disegnano le scarpate interne al parco, con una loro precisa modellazione e un assetto vegetale definito, come elementi importanti che partecipano alla definizione della forma e alla strutturazione paesaggistica del nuovo parco. Il disegno del verde dell’Ecoparco si articola in grandi elementi: le alberate, l’acqua, il grande prato
centrale per le attività ludiche e la vegetazione bassa da fiore, le grandi scarpate dei rilevati, le opere di ingegneria naturalistica, il recupero della discarica. Il risultato del progetto del verde sarà quello di dare una forte connotazione naturalistica all’area con un miglioramento del microclima locale, attraverso l’aumento dell’effetto di evapotraspirazione. Ciò favorirà un efficace sviluppo della vegetazione di nuovo impianto e la presenza di fauna anche stanziale.
Le alberate Le alberate costituiscono un elemento paesaggistico per l’intero parco. Lungo gli assi principali formati dai cumuli delle ex discariche si collocheranno quelle di specie arboree differenti secondo funzioni, forme e caratteristiche: il viale di ingresso alla zona di accoglienza lungo la S.S. n. 126 è formato da
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Figura 23. Viale dell’Energia. Figura 24. Sezione longitudinale dell’Ecoparco. Distribuzione planimetrica delle tecniche di ingegneria naturalistica. Figura 25. Schema impianto fitodepurazione. Figura 26. Verde di mitigazione ambientale.
Quercus ilex, una doppia alberata, con un sesto di impianto abbastanza diradato, che prosegue verso nord lungo le scarpate della discarica; mentre il grande viale che costeggia il lato sud del parco è costituito sul lato esterno da una alberata di Jacaranda mimosifolia, un grande segno fiorito e di colore, che identifica la presenza del parco; sul lato interno, lungo la scarpata della discarica, saranno inseriti in modo sparso nuovi lembi di vegetazione arborea e arbustiva di tipo autoctono. Entrando poi nel parco (ingresso est), a partire dalla zona dei servizi di accoglienza, la vegetazione assume un segno forte per accompagnare il visitatore: da un lato la Jacaranda, dall’altro lato inizia il viale di Washingtonia che prosegue e si sviluppa all’interno del parco. La sugherata rappresenta con forza un ampio lembo di bosco interno al parco, di nuova formazione di oltre 11.000 m2, come luogo caratterizzante e di grande effetto, in analogia ai boschi presenti sulle colline circostanti.
L’acqua Il parco interno è caratterizzato da una grande zona d’acqua centrale e da canali che conferiscono all’intero parco una forte connotazione ecologica, naturalistica e ricreativa, oltre a costituire un segno di forte centralità e caratterizzazione visuale. Lungo le sponde del lago e dei vari
canali si distribuiscono ampie fasce di vegetazione riparia e, lungo i bordi, vegetazione di tipo acquatico quale canneti, tifa, carici ecc., utile per richiamare la fauna e l’avifauna locale e da passo (fig. 25).
verde, saranno sistemati per completare il disegno delle grandi aiuole fiorite. Complessivamente la superficie interessata è di circa 16.000 m2.
La Via della miniera Il grande prato centrale La zona pianeggiante, contornata dalle due colline ottenute attraverso la risistemazione delle discariche minerarie, è formata da un grande prato delimitato da un filare di Washingtonia che riprende, anche idealmente, la presenza del viale centrale analogo della città di Carbonia. Tutta la zona a prato è di circa 70.000 m2, inclusi i tetti verdi sugli edifici e su soletta, che occupano una superficie di circa 18.000 m2: l’obiettivo del progetto è quello di realizzare un “tessuto verde”, omogeneo per scelta di specie erbacee, che si estenda indifferentemente dai prati liberi ai tetti verdi, ottenendo un effetto unitario che valorizzi anche l’attuale andamento morfologico del terreno.
Le fioriture e i colori Grande importanza è stata attribuita alla presenza di fioriture tramite l’impianto di grandi macchie di vegetazione arbustiva bassa formata da ginestre, lavande e rosmarini che disegnano ampi elementi di colore e insieme contribuiscono a rafforzare la definizione spaziale del parco e dei diversi ambiti in cui si articola. Folti gruppi di corbezzolo, sempre-
Il percorso pedonale lungo oltre 700 m è un percorso panoramico che si sviluppa lungo il crinale della discarica e inizia dal Giardino delle miniere, proseguendo un itinerario panoramico la cui vista spazia fino al mare. Alberi di quercia da sughero (Quercus suber) e Jacaranda – in voluto contrasto per forma e colore – sono utilizzati come fulcri visuali e per ombreggiare le aree di sosta.
Dettaglio opere a verde Le opere di ingegneria naturalistica: obiettivi e ambiti di applicazione Tali opere sono state utilizzate per la rimodellazione e la stabilizzazione delle scarpate che affacciano verso il parco, secondo un disegno paesaggistico regolare, per rigenerare i fronti di detriti trasformandoli in pendii inerbiti con specifiche specie erbacee e floristiche, caratteristiche degli ambienti minerari della Sardegna (fig. 24). Lo sviluppo delle palificate vive, semplici e doppie, per il consolidamento delle scarpate è di circa 10.000 m e costituisce e stabilizza il piede dei diversi gradoni delle scarpate, anche attraverso il rinverdimento con specie autoctone,
compatibili con le problematiche tipiche delle discariche minerarie per una superficie di oltre 17 ha. Tali opere, inoltre, interesseranno le ampie zone d’acqua dove saranno utilizzate opportune tecniche di consolidamento delle sponde (piantagione di canneto, fascinate vive ecc.). Il presente progetto intende inoltre realizzare una rassegna dimostrativa delle possibili tecniche di ingegneria naturalistica applicabili in Sardegna. Tali realizzazioni rappresenteranno i punti di un percorso didattico sulle differenti capacità di stabilizzazione delle specie vegetali, in base alla loro biomassa e alle caratteristiche biomeccaniche.
Grata viva Realizzazione di opera intermedia tra la stabilizzazione superficiale e quella profonda, su scarpate e versanti in erosione molto ripidi con substrato compatto, pendii e/o sponde con acclività compresa tra 45° e 55°, nicchie di frana con difficoltà o impossibilità di rimodellamento del versante, scarpate di infrastrutture viarie; adatta a zone in scavo con coltri poco profonde. L’intera superficie verrà anche seminata e in genere piantata con arbusti autoctoni. La radicazione delle piante si sostituirà nel tempo alla funzione di consolidamento della struttura in legname. L’altezza massima possibile per le grate vive non supera in genere i 15-20 m.
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Palizzata in legname con talee Si tratta di un intervento di stabilizzazione di pendii, versanti e scarpate. La realizzazione viene effettuata tramite la formazione di banchine trasversali alla linea di massima pendenza e costituite da uno scavo in contropendenza (min. 10%) nel quale viene posto a
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dimora materiale vegetale vivo (talee, piantine) e morto (ramaglie), ricoperto con il terreno derivante dallo scavo della banchina posta a monte.
Palificata viva Consolidamento di pendii franosi con palificata in tondami di castagno (o altre essenze dure) diam. 20 cm posti alternativamente in
senso longitudinale e in senso trasversale (I = 1,5-2 m) a formare un castello in legname e fissati tra di loro con chiodi in ferro o tondini diam. 14 mm; la palificata andrà interrata con una pendenza di 10°15° verso monte e il fronte avrà anche una pendenza di 20°-30° per garantire la miglior crescita delle piante. Negli interstizi tra i tondami oriz-
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zontali verranno collocate talee legnose, in misura di n. 10 a metro lineare per ciascuna fila di tronchi longitudinali, nonché piante radicate di specie arbustive pioniere. Rami e piante dovranno sporgere per 0,10-0,25 m dalla palificata e arrivare nella parte posteriore sino al terreno naturale.
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Studi e Ricerche Uso del suolo e dei trasporti in forma integrata: la città policentrica e il trasporto collettivo Luca Staricco Le reti territoriali come incontro tra ambiente naturale e ambiente urbano Rossella Franchino, Miriam Amorim, Matteo Nigro Interventi di rigenerazione urbana: criteri per il recupero sostenibile dei centri storici Carlo Patrizio Riqualificazione agro-energetica dell’ambiente urbano. Il caso del Fosso della Cecchignola a Roma Fabrizio Tucci, Francesca Romano Urban Farming: due esperienza di ricerca di riqualificazione tecnologico-ambientale a confronto Alessandra Battisti
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Luca Staricco Politecnico di Torino, DITER - Dipartimento Interateneo Territorio
Uso del suolo e dei trasporti in forma integrata: la città policentrica e il trasporto collettivo
Dalla città pedonale alla città dell’automobile Le infrastrutture di trasporto hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nel consentire e guidare l’evoluzione degli insediamenti umani in termini di dimensioni, forma, distribuzione spaziale. Secondo Newman e Kenworthy (1999), è possibile individuare nella storia tre idealtipi urbani, alla luce del mezzo di trasporto dominante nelle diverse epoche : • la città ‘pedonale’ (walking city), caratterizzata da un diametro medio che difficilmente supera i 5 km, alte densità (100-200 persone per ettaro), usi del suolo misti, fitta rete di strette strade adattata alla morfologia del sito. I sistemi ferroviari metropolitani È il tipo di città che ha caratterizzato la storia fino alla metà del XIX secolo; sono un’infrastruttura su cui è possibile • la città ‘del trasporto pubblico’ (transit city), sviluppatasi a partire dalla impostare forme insediative maggiormente seconda metà del XIX secolo in conseguenza dei processi di industriasostenibili, grazie a una pianificazione integrata lizzazione e di forte inurbamento, grazie alla comparsa del tram (dapprima trainato da cavalli, poi a vapore e infine elettrico) e del treno del territorio e dei trasporti. (dapprima a vapore, poi elettrico). Si estende per 20-30 km lungo le linee ferroviarie che si irraggiano dal centro (quello che in precedenza costituiva la città ‘pedonale’), con subcentri in corrispondenza delle fermate del trasporto pubblico caratterizzati da densità medie (da 50 a 100 abitanti per ettaro) e da usi del suolo misti; • la città ‘dell’automobile’ (automobile city), affermatasi dopo la seconda guerra mondiale grazie alla diffusione a livello di massa del trasporto motorizzato individuale, che ha permesso la decentralizzazione di attività e residenze, dapprima negli spazi compresi tra le linee radiali del trasporto pubblico, poi in sobborghi esterni fino a 50 km e oltre dal centro della città, con basse densità (da 10 a 20 abitanti per ettaro), usi del suolo separati, tessuto edificato frammentato e disperso. I processi di diffusione urbana che hanno portato, soprattutto dagli anni Sessanta e Settanta, all’affermarsi di questo terzo idealtipo sono strettamente legati al crescente tasso di motorizzazione della popolazione del mondo occidentale, anche se il sempre più ampio possesso di un mezzo motorizzato privato ha certo contribuito a tali processi senza però determinarli meccanicamente. Alla base della cosiddetta “città diffusa” vi è infatti una molteplicità di fattori: da un lato cambiamenti culturali e comportamentali, quali il desiderio di maggiore libertà individuale (nelle attività quotidiane, nella propria abitazione ecc.), di maggiori spazi a disposizione (sia all’interno sia all’esterno dell’abitazione), di un maggior contatto con l’ambiente naturale; dall’altro le diseconomie della città storica “compatta” in termini di congestione, inquinamento, conflittualità sociale ecc. (Bertuglia, Stanghellini e Staricco, a cura di, 2003). Al tempo stesso, i processi di diffusione urbana hanno potuto concretizzarsi per l’assenza negli strumenti di pianificazione urbanistica di misure volte a contenerli: in molti contesti italiani, anzi, essi sono stati esplicitamente promossi dalle amministrazioni locali, con l’obiettivo, soprattutto negli ultimi decenni, di “fare cassa” grazie agli oneri di urbanizzazione derivanti dalle nuove espansioni urbane (Giudice e Minucci, 2011). In questo processo, l’integrazione nella pianificazione degli usi del suolo e delle infrastrutture di trasporto è venuta meno: l’accessibilità e l’offerta di trasporto sono state sempre più considerate come un “diritto dovuto” (ad opera della mano pubblica e a costo zero) per ogni progettato insediamento urbanistico, di cui valersi a piè d’opera. Il territorio costruito non è stato pianificato alla luce delle condizioni di accessibilità esistenti o previste; al contrario, è l’offerta di trasporto che è stata via via costretta a “rincorrere” le espansioni urbane (Riganti, 2008).
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Figura 1. Pianificazione urbanistica e trasportistica coordinate: le 5 dita di Copenaghen. Figura 2. Diffusione urbana negli Stati Uniti. Figura 3. La riqualificazione di un’area di Portland secondo l’approccio TOD.
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L’insostenibilità della città diffusa Questo modello insediativo è ormai diffusamente riconosciuto come insostenibile, rispetto a tutte e tre le dimensioni della sostenibilità. Dal punto di vista economico, esso comporta più alti costi di gestione rispetto alla città densa e compatta: a causa della bassa densità di residenti e attività, è richiesta una maggiore lunghezza media delle reti di urbanizzazione (per l’acqua, l’elettricità, il telefono, la banda larga ecc.) a parità di numero di abitanti, così come sono più elevati i costi per garantire efficaci servizi di emergenza (pronto soccorso, vigili del fuoco ecc.). In termini ambientali, l’ampia diffusione dell’edificato fa crescere il consumo di suolo, frammenta maggiormente gli ecosistemi interrompendone in più punti la continuità dei corridoi ecologici, comporta più consistenti rischi di deturpazione del paesaggio. Anche in un’ottica sociale il modello della città diffusa presenta impatti negativi: lo sviluppo di un tessuto che alterna villette mono o bifamiliari, capannoni, architetture rurali, centri commer-
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ciali, aree interstiziali agricole abbandonate, senza un disegno unitario e coerente e senza alcun richiamo ai segni e alle maglie storiche del territorio crea un ambiente anonimo e privo di identità, di luoghi di aggregazione, di senso di appartenenza da parte dei residenti. Il maggiore fattore di insostenibilità della città diffusa è però un altro, legato alle forme di mobilità che in essa si realizzano. In questo tipo di insediamenti è di fatto impensabile poter garantire un servizio di trasporto pubblico efficace ed efficiente: a causa della dispersione delle residenze e delle attività, le origini e le destinazioni degli spostamenti sono distribuite su ampie porzioni di territorio, e dunque richiedono una rete estremamente diffusa e fitta di linee di autobus e altri mezzi collettivi; al tempo stesso, la bassa densità residenziale fa sì che il numero potenziale di utenti per queste linee sia molto limitato. In sostanza, per essere efficace il trasporto pubblico in queste aree dovrebbe avere livelli di servizio analoghi – e forse maggiori – rispetto a quelli normalmente assicurati nella città storica o più com-
patta, con però un numero di utenti molto minore che ne rende impossibile l’efficienza di gestione. In alcuni contesti, caratterizzati da densità non troppo ridotte, si è provato a servire le aree a urbanizzazione diffusa creando una vera e propria rete di linee di autobus, in grado di servire non solo gli spostamenti radiali dai sobborghi verso la città centrale, ma anche quelli tangenziali sobborgo-sobborgo, attraverso un miglior coordinamento degli orari e delle rotte. I risultati di queste politiche trasportistiche sono però limitati; è stato dimostrato come sia riconoscibile una chiara correlazione tra la densità residenziale e il consumo pro-capite di energia per i trasporti: al decrescere della prima, la seconda cresce esponenzialmente (Newman e Kenworthy, 1988).
Città policentrica e sistemi ferroviari: il modello delle 3D Alla luce di questi costi insostenibili, le strategie dell’Unione europea pongono lo sprawl
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Figura 4. Il Sistema ferroviario metropolitano di Torino. Figura 5. La stazione “Zoologischer Garten” a Berlino.
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come una delle sfide più importanti da superare (European Environment Agency, 2006), e in tal senso promuovono un modello insediativo alternativo, quello del policentrismo o “diffusione concentrata” (Breheny, ed., 1992; Jenks e Dempsey, 2005). Tale modello costituisce una mediazione tra la città compatta e quella diffusa, attraverso l’integrazione di: • nuclei edificati dotati di “forza centripeta”, a densità medio-alte e usi del suolo misti, incentrati sui nodi della rete del trasporto collettivo; • nuclei non edificati dotati di “forza centrifuga”, ossia aree agricole di maggior pregio e aree di interesse ambientale e naturalistico, strutturate in cinture verdi (green belts) che possono prevenire i processi di disseminazione residenziale intorno e tra i nuclei centripeti. In questo modello di assetto territoriale, la distribuzione degli usi del suolo favorisce l’uso del trasporto collettivo, anziché di quello privato, perché garantisce alte densità di residenze e attività intorno ai nodi della sua rete. Si tratta inoltre di un utilizzo maggiormente equilibrato (in entrambe le direzioni – da e verso la città centrale – anche nelle ore di punta), perché gli attrattori di traffico non sono concentrati solo nella città centrale, ma anche nei sub-centri esterni (Davico, Mela e Staricco, 2009; Davico e Staricco, 2006). Alla base di una città policentrica può esserci sia un decennale processo di pianificazione pubblica (come nel caso di Stoccolma e di Copenaghen, dove l’integrazione tra pianificazione e usi del suolo è stata promossa sin dal dopoguerra, e dove tuttora quasi il 60% degli spostamenti casa-lavoro avviene tramite trasporto pubblico), sia l’iniziativa di imprenditori privati (come a Tokyo, dove consorzi privati recuperano nel settore immobiliare i propri investimenti nel settore ferroviario, attraverso l’aumento di valore del suolo che questi ultimi garantiscono).
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Per valorizzare al massimo la sinergia tra modello insediativo e trasportistico è cruciale la progettazione degli ambiti di accessibilità pedonale intorno ai nodi delle linee di forza del trasporto collettivo, in particolare attorno alle stazioni dei treni metropolitani e regionali, che dovrebbero supportare una quota consistente dei flussi di mobilità di breve-medio raggio (quelli che oggi si svolgono prevalentemente tramite trasporto motorizzato privato). In particolare, gli approcci del Transit Oriented Development e delle Transit Development Area nel mondo anglosassone (Curtis, Renne e Bertolini, eds., 2009) hanno mostrato che i sistemi ferroviari metropolitani e regionali fun-
zionano al meglio quando sono sostenuti da una pianificazione territoriale e urbanistica volta a promuovere, nelle aree circostanti le stazioni entro un raggio di percorrenza pedonale di 8-10 minuti (circa 500-750 metri), un tessuto insediativo caratterizzato dalle cosiddette 3D: • una densità medio alta, così da garantire un elevato bacino di potenziali utenti del treno che non abbiano necessità di usare l’automobile per accedere alle stazioni; • un’adeguata diversità degli usi del suolo, tale da permettere agli utenti del treno di assolvere presso le stazioni di partenza e/o di arrivo a una molteplicità di bisogni (legati non solo a
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Figura 6. La Stazione Università a Napoli.
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residenza e lavoro, ma anche ad acquisti, tempo libero, cura dei figli ecc.) e da garantire una frequentazione dell’area continua nella giornata, migliorandone vivibilità e sicurezza. Le aree prossime alle stazioni dovrebbero ospitare i principali generatori e attrattori di mobilità: attività commerciali, centri per convegni, strutture per il tempo libero, ospedali, sedi universitarie ecc.; soprattutto nel caso di reti ferroviarie a struttura radiale, funzioni terziarie di rango sovralocale dovrebbero essere collocate anche presso alcune stazioni minori, così da attrarre flussi dal nodo centrale e favorire un uso del servizio di trasporto più bilanciato in senso bidirezionale; • un design dell’ambiente urbano che favorisca l’accessibilità pedonale e ciclabile alle stazioni, attraverso il disegno della rete viaria e degli spazi pubblici, la permeabilità tra interno ed esterno degli edifici, la sovrapposizione e la connessione dei flussi pedonali da/verso la stazione con quelli da/verso gli altri contenitori dell’area.
I sistemi ferroviari nelle città metropolitane italiane Nel corso degli anni Duemila molte città metropolitane italiane hanno avviato progetti volti a razionalizzare e potenziare le proprie linee su ferro, in molti casi approfittando di interventi infrastrutturali promossi da RFI (realizzazione di “passanti” ferroviari all’interno della città, creazione di nuove linee e stazioni dell’alta velocità ecc.) (De Luca e Pagliara, 2007; Legambiente, 2010). Questi progetti di razionalizzazione sono impostati non più sulla tradizionale pianificazione linea per linea, ma su una loro organizzazione in veri e propri “sistemi” ferroviari metropolitani (SFM, sul modello della RER parigina e delle S-Bahn tedesche, austriache e svizzere), incentrati in
primo luogo sul cadenzamento dell’orario: le partenze dei treni dalla stessa stazione avvengono a minuti fissi di ogni ora, ad esempio sempre al minuto 30 di ciascuna ora (oppure ai minuti 15 e 45, se si programmano due corse per ora). L’intervallo di passaggio dei treni è generalmente di 30 minuti, che possono diventare 15 nelle ore di punta. Il rilancio dei SFM può costituire per tali aree (che sono state caratterizzate negli ultimi decenni da intensi processi di diffusione urbana) l’occasione di promuovere al contempo forme insediative maggiormente conformi al modello policentrico, che come si è detto da un lato sono più sostenibili in sé, dall’altro lato favoriscono la crescita dell’utenza degli stessi SFM. Se si analizzano gli strumenti urbanistici adottati a livello comunale o provinciale, emerge come molte di queste aree non abbiano finora colto le potenzialità di questo approccio e costruito strategie territoriali orientate in tal senso. Vi sono però alcune eccezioni interessanti. La Provincia di Bologna ha impostato il proprio Piano territoriale di coordinamento provinciale su un modello insediativo policentrico funzionale proprio a promuovere forme di mobilità più sostenibili: i Comuni nei loro strumenti urbanistici devono commisurare la propria capacità insediativa in funzione delle potenzialità d’incremento residenziale entro un raggio di 600 metri di tutte le stazioni del SFM. Le norme del PTCP di Venezia prescrivono che i Piani di assetto territoriale comunali conformino le loro previsioni localizzative dei poli di servizi sovralocali a criteri di prossimità: distanza inferiore a 500 metri da stazioni ferroviarie metropolitane o 250 metri da fermate di altri sistemi di trasporto pubblico in aree urbane. Il PTCP di Torino prospetta l’opportunità di sviluppare i centri di interscambio modale come “centri di servizi intercomunali”. Il PTCP della Provincia di Napoli ha promosso strategie
di densificazione nelle aree servite dal trasporto su ferro; in particolare nel comune di Napoli il progetto “Stazioni dell’arte” ha riqualificato numerose stazioni metropolitane e ferroviarie (e le aree urbane circostanti) a partire dall’esposizione al loro interno di opere di arte contemporanea, in una sorta di museo decentrato distribuito sull’intera città.
Riferimenti bibliografici Bertuglia C. S., Stanghellini A., Staricco L. (a cura di) (2003), La diffusione urbana: tendenze attuali, scenari futuri, Angeli, Milano. Breheny M. J. (ed.) (1992), Sustainable Development and Urban Form, Pion, London. Curtis C., Renne J., Bertolini L. (eds.) (2009), Transit Oriented Development. Making it Happen, Ashgate, Aldershot. Davico L., Mela A., Staricco L. (2009), Città sostenibili. Una prospettiva sociologica, Roma, Carocci. Davico L., Staricco L. (2006), Trasporti e società, Roma, Carocci. De Luca M., Pagliara F. (2007), La ferrovia nelle aree metropolitane italiane. Atti del XIV Convegno nazionale SIDT, Napoli, 19 febbraio 2007, Aracne, Roma. European Environment Agency (2006), Urban Sprawl in Europe. The Ignored Challenge, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg. Giudice M., Minucci F. (2011), Il consumo di suolo in Italia, Sistemi editoriali, Pozzuoli. Jenks M., Dempsey N. (2005), Future Forms and Design for Sustainable Cities, Elsevier, Amsterdam. Legambiente (2010), Rapporto Pendolaria 2010. La situazione e gli scenari del trasporto ferroviario pendolare in Italia, Roma. Newman P., Kenworthy J. (1988),“The Transport Energy Trade Off: Fuel Efficient Traffic Versus Fuel Efficient Cities”, in Transportation research, 22, 163-174. Newman P., Kenworthy J. (1999), Sustainability and Cities. Overcoming Automobile Dependence, Island Press, Washington. Riganti P. (2008), Città, attività, spostamenti. La pianificazione della mobilità urbana, Carocci, Roma.
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Rossella Franchino Matteo Nigro Seconda Università degli Studi di Napoli, Facoltà di Architettura
Le reti territoriali come incontro tra ambiente naturale e ambiente urbano
Miriam Amorim Universidade Federal do Vale do Sao Francisco, Juazeiro (Brasile)
Reti infrastrutturali vs ambientali: un modello complesso1 La ricerca, svolta in collaborazione tra la Facoltà di Architettura della Seconda Università degli Studi di Napoli - Aversa (CE) - Italia (prof. Rossella Franchino e dott. Matteo Nigro) e l’Universidade Federal do Vale do São Francisco - UNIVASF - Juazeiro - Brasile (prof. Miriam Amorim) ha riguardato in generale l’applicazione sperimentale dello sviluppo del concetto di rete ambientale2 come estensione del modello di rete infrastrutturale a una realtà urbana di particolare rilievo dal punto di vista ecologico-naturale quale quella di Petrolina e Juazeiro, due città nel nord-est del Brasile separate dal fiume Rio São Francisco e apparteIl lavoro affronta la ristrutturazione del sistema nenti a due Stati federali diversi, dove il fiume segna il confine di stato. delle reti territoriali per orientare il processo Tale fiume lungo circa 830 km e con un bacino idrico di circa 641.000 di riconversione finalizzato alla conservazione km2 ricopre un ruolo molto importante per le due urbanizzazioni poste delle risorse naturali e alla connessione alle sue sponde. Le due città, sorte proprio grazie alla presenza del fiume, Petrolina 114 tra i valori ambientali e paesaggistici delle aree. anni fa e Juazeiro poco di più, sono disposte su due strisce con un’altissima urbanizzazione ed entrambe circondate dalla foresta tropicale e incontaminata del bioma Caatinga che è l’unico bioma esclusivamente brasiliano (caratteristico della regione denominata Sertão), il che significa che gran parte del suo patrimonio biologico non si trova in nessun altro luogo del pianeta. La parola Caatinga significa “foresta grigia” ed è esplicativa in quanto la vegetazione che caratterizza questa foresta si presenta per gran parte dell’anno secca e senza foglie mentre assume la colorazione verde in inverno, nella stagione delle piogge. La Caatinga occupa un’area di circa 750.000 km2 ed è dominata da tipi di vegetazione secca, con erbe, arbusti di circa 3-7 m di altezza, latifoglie, con molte piante spinose, ad esempio legumi, intervallate da altre specie, come il cactus e le bromeliacee. I due centri urbani di Petrolina e Juazeiro presentano caratteristiche bioclimatiche molto favorevoli allo sviluppo della biodiversità locale e sono di un’indubbia bellezza paesaggistica per le risorse naturali presenti nel territorio. Proprio per questa particolarissima condizione ambientale risultano essere un caso studio interessante per l’applicazione del concetto di rete ambientale intesa come incontro tra il sistema infrastrutturale del territorio e quello naturale del paesaggio. Laddove quest’incontro non avviene le cause della frammentazione vanno a colpire la biodiversità locale che risulta minacciata dall’urbanizzazione tanto da alterare gli habitat naturali. L’attività scientifica è consistita nell’analisi preliminare delle infrastrutture a rete (in particolare trasporto e viabilità), nella classificazione degli elementi infrastrutturali, vuoti urbani e verde esistente, nello studio del livello di frammentazione ambientale del territorio, nell’analisi degli impatti attraverso il bilancio ambientale, nella individuazione degli indicatori fisici-ambientali, nella determinazione degli interventi di riqualificazione delle reti infrastrutturali e nella definizione di un progetto di reti ambientali per il territorio in esame. In particolare, la fase di analisi ambientale è stata condotta mediante l’applicazione di uno strumento di gestione volontario, il Bilancio ambientale, sviluppato con le metodiche CLEAR (City and Local Environmental Accounting and Reporting, metodo finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma LIFE). Il metodo CLEAR prevede la realizzazione di un modello di bilancio ambientale flessibile, un bilancio “su misura”, e consente di effettuare un’analisi ambientale ben strutturata mediante un elaborato preventivo
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Figura 1. Caratteri ambientali dell’insediamento Petrolina. Figura 2. Reti ambientali Petrolina. Figura 3. Reti ambientali Juazeiro.
e uno consuntivo. La costruzione del bilancio ambientale per Petrolina e Juazeiro ha previsto, inoltre, anche la suddivisione in otto aree di competenza per le quali sono stati individuati diversi indicatori fisici di efficacia divisi in base alle specificità di ogni tematica rispetto ai principi dello sviluppo sostenibile. A questa prima fase di analisi, in cui sono stati costruiti i bilanci ambientali, sono seguite quelle di individuazione delle problematiche e di definizione delle ipotesi di intervento, il tutto verificato e coerente con i bilanci ambientali elaborati sia per Petrolina che per Juazeiro. Per quanto riguarda il concetto di rete ambientale, che nasce dalla integrazione tra le reti infrastrutturali e quelle ecologiche e del paesaggio, essendo l’ambito molto vasto, si è effettuata una restrizione del campo occupandosi principalmente del rapporto tra le reti viarie e del trasporto e quelle ecologico-naturali. Al fine dell’individuazione delle problematiche ambientali delle reti infrastrutturali viarie e del trasporto è stato esaminato il loro stato di fatto e il relativo impatto che esse hanno sulle matrici ambientali acqua, aria e suolo e la frammentazione territoriale causata dalle reti per la sua peculiarità di costituire la principale causa della perdita della biodiversità e di alterazione delle funzionalità ecosistemiche. Dallo studio della gerarchia strutturale dei due centri urbani oggetto del lavoro di ricerca è scaturita l’ipotesi di progetto che è consistita nella costruzione di una rete di ambienti naturali che con la relazione tra corridoi ecologici e infrastrutture viarie creano un equilibrio e una convivenza più prossima tra le complessità delle dimensioni urbana e naturale. La metodologia di sviluppo di tale lavoro scientifico ha previsto l’adozione di pratiche partecipative che hanno coinvolto ricercatori, tecnici, Enti locali e abitanti. Il lavoro finale, inoltre, è stato presentato in Brasile con un
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Figura 4. Flora del bioma Caatinga nella stagione secca. Figura 5. Flora e fauna del bioma Caatinga nella stagione delle piogge.
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evento scientifico che è stato apprezzato e divulgato dalla stampa e dai media locali.
to del suolo specialmente nelle aree di protezione, situate ai margini del fiume São Francisco che hanno determinato notevoli problematiche di inquinamento ambientale soprattutto per quanto riguarda la qualità delle acque di approvvigionamento, lo smaltimento di quelle reflue e l’igiene urbana nel suo complesso. Sistema di trattamento delle acque: in Brasile, nonostante l’importanza della salute e dell’ambiente, i servizi sanitari di base non sono adeguati. Più della metà della popolazione brasiliana non possiede una rete di smaltimento delle acque reflue e l’80% dei residui generati sono versati direttamente nei fiumi senza nessun tipo di trattamento. La città di Petrolina è dotata di un sistema di potabilizzazione delle acque gestito dal 1978 dalla Compesa - “Companhia Pernambucana de Saneamento”. Il sistema si compone di un punto di captazione nel fiume São Francisco, due stazioni di trattamento delle acque, una maglia di distribuzione con più di 900 km di rete. Nella città di Juazeiro i servizi di distribuzione e trattamento delle acque e di smaltimento sanitario sono di competenza del “Serviço Autônomo de Água e Esgoto” - SAAE che possiede una stazione di trattamento centrale e alcune stazioni periferiche compatte per la captazione, il trattamento e la distribuzione delle acque. Juazeiro ha attualmente una popolazione di 230.000 abitanti e il sistema di trattamento delle acque é lo stesso costruito nel primo decennio degli anni ‘60, quando la popolazione era meno della metà di quella attuale. Prospettive e azioni per il miglioramento e la conservazione della qualità ambientale: la città di Petrolina è la seconda dello stato di Pernambuco per il controllo e la concessione di permessi ambientali nei processi dei progetti per imprenditoria, contribuendo conseguen-
Petrolina e Juazeiro, aspetti ambientali3 Le città di Petrolina e Juazeiro sono le città del polo chiamato “Pólo de Irrigação do Vale do Rio São Francisco” situato nel semiarido del nord-est del Brasile, nella ecoregione del Submédio São Francisco, che è considerato il maggior e più dinamico polo di frutticultura irrigata del Brasile e il maggior agglomerato urbano della zona del semiarido. Le autorità pubbliche federali del Brasile hanno concentrato la loro attenzione sul potenziale agricolo della regione a partire dagli anni ‘70 accentuando gli investimenti sulle infrastrutture, sull’irrigazione e sostenendo il settore privato. Gli interventi del governo brasiliano hanno determinato una profonda trasformazione della regione, ne hanno modificato completamente la struttura economica, trasformando il polo in un’isola di sviluppo nel mezzo dell’area semiarida. Ciò ha determinato una grande migrazione verso questa regione che ne ha aumentato la densità di popolazione anche nella zona rurale. Lo sviluppo del settore agricolo ha fatto nascere, inoltre, delle industrie di raccolta e distribuzione dei prodotti. Il settore urbano ha attraversato una trasformazione radicale, migliorando aspetti come sistemi di comunicazione e trasporto, elettricità, commercio e installazione di aree industriali. I grandi investimenti pubblici e privati hanno generato notevoli impatti sociali ed economici in questa area, ma anche problematiche per la qualità dell’ambiente e in alcuni casi anche situazioni di vero e proprio degrado ambientale. Nelle città di Petrolina e Juazeiro si sono sviluppate alcune attività di potenziale impatto ambientale, per esempio industrie di cuoio e di canna da zucchero, come anche di sfruttamen-
temente alla garanzia della qualità ambientale. Mentre le ricerche dell’IBGE dimostrano grande disuguaglianza nella distribuzione dei servizi nelle grandi regioni del Brasile, il Comune di Petrolina si presenta come un’area dotata di buoni servizi igienici di base per le acque e la gestione dei rifiuti solidi. La situazione di Juazeiro è invece in evoluzione; è in corso, infatti, un adeguamento dei servizi ambientali secondo i progetti per “universalização de coleta e tratamento de esgotos” (acque reflue) e “implantação do Aterro Sanitário” (rifiuti). Per il futuro, per entrambe le città, occorre un accordo di azioni integrate per la protezione dell’ambiente e la mitigazione degli impatti ambientali che si può attuare attraverso l’implementazione di azioni e programmi che permettono lo sviluppo di attività socio-economiche con il minimo impatto negativo sull’ambiente e sull’ecosistema urbano.
Bilancio ambientale: costruzione e applicazione4 Oggi si assiste a una crescente attenzione da parte delle amministrazioni pubbliche verso il tema della responsabilità in campo ambientale e sono sempre più numerose le istituzioni che cercano di comunicare ai propri cittadini le loro azioni, le scelte e i risultati conseguiti. L’importanza del rapporto tra ambiente ed economia (due dei tre assi dello sviluppo sostenibile) diviene sempre più evidente. Come contributo importante in questa direzione esiste un nuovo strumento di governance: il bilancio ambientale, un documento informativo nel quale sono descritte le principali relazioni tra la città e l’ambiente, pubblicato volontariamente allo scopo di comunicare direttamente con il pubblico interessato. Il Bilancio Ambientale è costituito da due
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Figura 6. Collegamenti tra Petrolina e Juazeiro. Figura 7. Juazeiro. Figura 8. Petrolina.
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documenti principali, il Bilancio preventivo e Il Bilancio consuntivo. Il Bilancio Ambientale preventivo stabilisce i limiti di sfruttamento delle risorse naturali e di immissione di inquinanti nell’ambiente. Per ogni risorsa vengono fissati gli indicatori ritenuti più adeguati, il valore attuale e i target da raggiungere nel breve e medio periodo. Definisce, inoltre, le politiche pubbliche ambientali da attuare nel corso di uno o più anni. Il Bilancio Ambientale consuntivo riprende lo schema di quello preventivo evidenziando però il grado di perseguimento dei target individuati e lo scostamento tra i target da raggiungere e quelli effettivamente riscontrati. Per la costruzione del bilancio preventivo è indispensabile stabilire le condizioni organizzative del processo attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro intersettoriale che viene inserito in una rete di istituzioni e attori locali che collaborano insieme, nel rispetto dei principi della progettazione partecipata. Dall’analisi delle risorse si possono poi fare delle considerazioni sugli interventi progettuali da proporre in base al target di riferimento, alle popolazioni locali e alle caratteristiche del territorio. Ogni azione ambientale proposta viene riferita soltanto al suo contesto perché risponde a delle specifiche esigenze. Poiché il bilancio ambientale è un documento che registra ciò che avviene all’ambiente di una determinata area in un anno (ad esempio
quanti rifiuti sono stati prodotti, quanta acqua è stata consumata, quanto suolo è rimasto inedificato, se e come è aumentato o diminuito il verde, il livello di inquinamento dell’aria, quanta energia è stata prodotta e consumata, quante risorse sono state sottratte oppure rese disponibili) deve essere costruito con una struttura sistematica che non contiene solo dati numerici (fisici e/o monetari), ma anche indicazioni circa i risultati ambientali delle politiche attuate o da attuare da parte dell’amministrazione pubblica. Per misurare queste azioni e gli impatti che esse hanno sul sistema naturale si deve ricorrere all’uso di indicatori ambientali che danno delle misure precise e permettono di valutare i benefici e non delle azioni. Tali indicatori ambientali sono dunque strumenti al servizio degli amministratori locali e, indirettamente, dei cittadini portatori di interessi che vivono e operano sul territorio. È importante tenere presente che nella costruzione di un indicatore ambientale si deve fare sempre riferimento a dei parametri concreti di misurazione per stabilire i reali dati di cui si ha bisogno per poi analizzare le problematiche e proporre degli interventi di risposta. Il bilancio ambientale offre la possibilità di rappresentarlo con diversi sistemi. In questo lavoro di ricerca sono stati sperimentati più metodi ognuno dei quali risulta adatto a determinati aspetti del bilancio ambientale nella divisione in tre fasi concettuali e applicative che sono quella
dell’analisi, dell’individuazione delle problematiche e degli interventi progettuali proposti. Note 1 - Paragrafo elaborato da Rossella Franchino. 2 - “Per rete ambientale si intende un nuovo tipo di rete che nasce dalla integrazione tra le reti infrastrutturali e le reti ecologiche e del paesaggio, che tenga conto non soltanto degli approvvigionamenti e dei flussi di materia e di energia ma anche delle esigenze dei sottosistemi ambientali acqua, aria e suolo” (dal testo Le reti ambientali nel progetto di riqualificazione urbana, autore: Rossella Franchino - Arte Tipografica Editrice - Napoli 2006). 3 - Paragrafo elaborato da Miriam Amorim. 4 - Paragrafo elaborato da Matteo Nigro. Bibliografia Amorim M. C. C., Leno J., Martins L. M., A. Ferraz Júnior, 2009, Plano de Controle ambiental: gestão das águas de esgotos sanitários em região semárida do Brasil. 25º Congresso Brasileiro de Engenharia Sanitária e Ambiental. Recife, PE, de 20 a 25 de Setembro de 2009. Franchino R., Le reti ambientali nel progetto di riqualificazione urbana, Arte Tipografica Editrice, Napoli 2006. Franchino R., Amorim M., Nigro M., Le reti ambientali come incontro tra due complessità - Environmental network as a match between two complexities, La scuola di Pitagora editrice, Napoli 2011. Lima J. P. R., Miranda E. A. A.,“Fruticultura irrigada no Vale do São Francisco: incorporação técnica, competitividade e sustentabilidade” in Revista Econômica do Nordeste. V-32, n. Especial. Fortaleza: novembro 2001, p. 611-632. Il Bilancio Ambientale negli Enti Locali - Linee guida - ISPRA (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ISPRA, Settore Editoria 2009. Metodo CLEAR - Dalla contabilità alla politica ambientale, coordinamento testi: Ilaria Di Bella, Paola Fraschini, Edizioni Ambiente 2003.
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Carlo Patrizio Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, CRITEVAT sede di Rieti Istituto Nazionale di Bioarchitettura
Interventi di rigenerazione urbana: criteri per il recupero sostenibile dei centri storici
Nelle discipline del progetto, sia alla scala urbana che a quella edilizia, il tema dell’intervento sul patrimonio esistente, per coloro che a diversi livelli e con differenti competenze vi si sono cimentati, ha rappresentato da sempre una sfida – spesso impervia – tra le istanze della conservazione e le spinte all’innovazione; tra i cultori dell’intangibilità dell’originario valore storico-documentale di un edificio e coloro che, invece, si mostrano disponibili a sacrificare tali valori con sospetta e colpevole superficialità; e ciò in nome di una modernità – talvolta almeno chiassosa – che spesso è apparsa funzionale solo alla rendita immobiliare. D’altronde, è sotto gli occhi di tutti che i centri storici delle nostre città, soprattutto quelli minori, sovente si trovino in condizioni di forte degrado ambientale, cui spesso si intrecciano anche fenomeni L’articolo propone un nuovo strumento altrettanto significativi di disagio sociale. interpretativo per i centri storici: Quando invece, più recentemente, la politica e il mondo professionale dalla dimensione storico-architettonico-edilizia, e della ricerca scientifica hanno compreso che le azioni di trasformazioal loro valore paesaggistico-territoriale, ni e di modificazione del territorio dovessero avere nella sostenibilità il loro registro fondamentale, la loro qualità irrinunciabile, quella dialettialla "rigenerazione urbana". ca (innovazione/conservazione), invero un po’ accademica, è stata superata da una nuova prassi del “fare città” ; e il dibattito che essa aveva alimentato ha ceduto il passo a un confronto, sicuramente più utile del precedente e, nondimeno, più stimolante sul piano disciplinare, su quali possano essere i criteri paradigmatici per una re-integrazione dell’edificio storico, finalmente inteso come un componente del più ampio sistema territoriale, nel cui contesto è fisicamente collocato, storicamente datato, antropologicamente stratificato e infine, socio-econoFigura 1. Il centro storico micamente integrato. di Mesagne, lambito dalla Via Appia, Con questa chiave di lettura, appare evidente il cambio di prospettiva: non mette più conto stabilire se si con gli assi principali debba “conservare” o “innovare” questo o quell’edificio (monumentale o meno), quanto piuttosto se si della sua struttura urbana. In giallo, l’edificio debba riconoscere valore alla sua potenzialità di essere re-integrato in un “corpus” urbano che ne trascene la piazza oggetto de le dimensioni fisiche e i suoi stessi valori storici, per interpretare invece la sua qualità più significativa: dell’intervento cioè quella di essere un elemento di un sistema, la rappresentazione di una stratificazione del tessuto il di riqualificazione. quale è allo stesso tempo edilizio, urbano, storico, culturale, ambientale, territoriale. Anzi, si potrebbe ben Figura 2. L’edificio dire che non è più neanche il singolo testo architettonico a dover essere al centro dell’attenzione dei e la Piazza Commestibili prima dell’intervento decisori politico istituzionali e dei progettisti, ma un intero sistema, complesso e integrato, composto non di recupero solo da edifici differenti, pur tra loro interrelati, ma comprensivo anche di altre componenti, prime fra e di rigenerazione urbana. In giallo, si riconoscono tutte quelle ambientali e antropiche. alcune pesanti alterazioni Sotto questa luce, la dialettica tra conservazione e innovazione lascia spazio al problema dell’integraziodella pavimentazione lapidea originale. ne. Le modalità con cui sapremo integrare i monumenti e le città storiche, la qualità delle relazioni che sapremo rigenerare tra di essi e anche tra essi e le urbanizzazioni più recenti: queste saranno i nuovi struFigura 3. La pianta menti paradigmatici con cui misurare tutti gli interventi sul patrimonio storico; queste saranno i nuovi del piano terra dopo l’intervento di recupero strumenti concettuali attraverso cui rileggere i singoli organismi architettonici come parte di un sistema previsto nel progetto territoriale, al quale appartengono anche i centri storici, in grado di garantire da una parte l’identità di di variante. lunga durata agli abitanti di un luogo, dall’altra una nuova tappa al percorso co-evolutivo che si stratifica Figura 4. La pianta sul patrimonio territoriale e sul suo valore relazionale1. In un certo senso si potrebbe ben dire che è prodel piano copertura prevede la realizzazione prio la dimensione territoriale dell’intervento nei Centri Storici e il suo valore strategico che consentono di un giardino pensile, di superare la vexata questio sottesa alla dialettica innovazione/conservazione. Sottrarre un Centro che sarà realizzato nel secondo lotto di lavori. Storico al rischio dell’abbandono, al pregiudizio del degrado sociale, al pericolo del decadimento fisico
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appare un’operazione rivolta più alla reintegrazione di un sistema territoriale, altrimenti smagliato nella sua continuità fisica, funzionale e simbolica, che un intervento teso esclusivamente a restituire valore storico a un edificio, fosse anche monumentale. Le diverse dimensioni del sistema territoriale obbligano tutti gli attori (decisori politico-istituzionali, progettisti, soggetti sociali ed economici, abitanti) a immaginare interventi “pluri-obiettivo” che siano in grado di rimettere in valore i beni patrimoniali di un territorio; dove per patrimonio territoriale si deve intendere la stratificazione sintetica di tutti gli atti dell’abitare che si producono nel contesto del paesaggio naturale, del paesaggio costruito e del paesaggio culturale. Si tratta, in ultima analisi, di un approccio epistemologicamente del tutto differente: interventi introversi, esclusivamente orientati alla dimensione del singolo oggetto architettonico e quindi inviluppati nella dialettica, tutta disciplinare, innovazione/conservazione, oppure programmi e azioni che, con atteggiamento olistico, sappiano integrare soluzioni progettuali interdisciplinari, in grado di affrontare il tema del recupero dei Centri Storici in
termini di strategie complesse e complessive, fino alla elaborazione di veri e propri piani di gestione? Com’è noto, l’olismo è quella concezione secondo cui il tutto è un’entità più ampia della somma delle singole parti di cui esso si compone. Ecco dunque la questione centrale del ragionamento che stiamo conducendo: ogni volta che si passa a un sistema di ordine superiore (dall’edificio al centro storico, dal centro storico alla città, dalla città al territorio) non possono rimanere validi ed efficaci gli stessi strumenti interpretativi e di intervento. Dal concetto di re-stauro o re-cupero si passa allora all’approccio proprio della rigenerazione, dove le stesse differenze lessicali non sono casuali. Non si tratta più di “ridare stabilità” o di “riprendere” in uso un bene patrimoniale che aveva perso le sue funzionalità essenziali, semmai bisogna assicurare con un processo nuovamente generativo, una reinterpretazione originale di tutto un contesto attraverso la trasformazione attiva di un paesaggio (urbano, nel caso dei Centri Storici) che – solo – ne può conservare i suoi caratteri identitari. In questo senso, i processi di rigenerazione
urbana appaiono delle strategie più dinamiche rispetto ai classici progetti di restauro o ristrutturazione. Questi ultimi avevano come terminale l’organismo architettonico o il comparto urbano, nel caso della ristrutturazione urbanistica, intesi nella loro fisicità; anche quando si finiva col decidere interventi di sostituzione, ciò avveniva considerando solo aspetti di carattere strettamente disciplinari, come ad esempio il programma funzionale, i costi, le quantità da insediare, nei casi migliori anche i valori storico-documentali o storico-monumentali. I nuovi programmi di Rigenerazione Urbana invece, muovendo dalla urgenza di ridurre il consumo di territorio necessario per le trasformazioni urbane, offrono uno strumento integrato e meta-disciplinare per pianificare lo sviluppo di quella data porzione di territorio, ma lo fanno avendo a riferimento della loro azione non solo e non tanto gli elementi che rappresentano la fisicità di un quartiere, ma anche e soprattutto un tessuto economico, sociale e culturale e, nel caso dei centri storici, anche un tessuto paesaggistico sul quale si intrecciano i caratteri identitari durevoli dell’abitare. Nei Programmi di Rigenerazione
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Urbana, il centro storico non è più solo una “riserva di storia”; esso è invece un pezzo di territorio da restituire ai processi produttivi e riproduttivi dei suoi abitanti. Proprio nell’integrazione di tali processi, impossibili da rappresentare attraverso modelli statici, risiede nello stesso tempo la dinamicità e l’originalità dell’approccio della rigenerazione urbana. Le stesse dinamicità e originalità che sono contenute in ciò che appare molto simile ad un vero e proprio atto ri-creativo, compiuto non già dal progettista/pianificatore, ma da un soggetto locale e plurale che, pure attraverso il contributo di saperi esperti, tuttavia non rinuncia a esercitare in prima persona la fondamentale facoltà dell’abitare, intesa come processo complesso e integrato di identificazione in un luogo, di costruzione di un immaginario e, infine, di autoriconoscimento in una visione di futuro. Lo strumento della rigenerazione urbana è sicuramente future-based nella misura in cui esso stabilisce, attraverso la partecipazione degli attori sociali, un modello per mezzo del quale prendersi nuova cura di quella parte del patrimonio territoriale oggetto di intervento,
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perché possa essere trasmesso alle generazioni future arricchito eppure integro. E risulta anche un tipico processo dal basso (bottom up), in quanto sinergicamente promosso da una pluralità di soggetti portatori di interessi, primo fra tutti l’Ente Locale, i quali, in un quadro generale organico e sistematico, si producono in un atto corale riguardante non solo la dimensione fisica dell’intervento di riqualificazione, ma anche quella socio-economica e culturale; in una parola, producono territorio o “atti di nuova territorializzazione”2. E ciò, in un contesto nazionale nel quale il sistema legislativo produce solo provvedimenti “spot o di natura derogatoria (…), dal cd. Piano casa al decreto sviluppo”3, sembra ancora più innovativo rispetto a una prassi diffusamente costituita solo da strumenti regolativi. Da quanto esposto fin qui, risultano evidenti almeno tre implicazioni concettuali irrinunciabili della rigenerazione urbana: lo strumento della partecipazione, il carattere della sostenibilità e il valore aggiunto della integrazione. A tale riguardo va anzitutto (e banalmente) ricor-
dato che di per sé i programmi di rigenerazione, al pari di ogni altro intervento di riqualificazione, consentono di evitare altro sicuro consumo di suolo; in questo senso essi assicurano la dimensione della sostenibilità ambientale. Inoltre, la sistematica messa in atto di processi di pianificazione e progettazione partecipata appare una strada indispensabile per il conseguimento di quel carattere di programma integrato che, solo, assicura la soluzione del disagio sociale e il risultato dell’inclusività. Infine, l’integrazione: le istanze della sostenibilità ambientale, quelle dell’inclusione sociale, le componenti culturali e simboliche di ogni intervento di rigenerazione che si voglia attuare in un Centro Storico devono trovare l’interesse convergente degli operatori economici, degli abitanti e degli Enti Locali. Ciò solo può garantire una gestione nel tempo dell’intervento che sia positiva e orientata al mantenimento degli obiettivi programmati e messi a fondamento della rigenerazione stessa. È questa, appena enunciata, la caratteristica fondamentale dell’approccio strategico, inteso come strumento metodologico per la pianificazione
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Figure dalla 5 alla 9. Prospetti e prospettive della nuova piazza. È visibile il ballatoio, in acciaio e legno, alla quota del giardino pensile.
Piazza Commestibili, Mesagne (BR) Progetto architettonico: Simonetta Dellomonaco e Luigi Pasimeni Progetto strutturale: Carlo Patrizio Progetto architettonico e strutturale di variante: Carlo Patrizio Direzione Lavori: Carlo Patrizio Impresa appaltatrice: IMER Service srl, Martina Franca (TA) Direttore tecnico: geom. Paolo Bottoni
Figura 10. La passerella di collegamento tra i due bracci dell’edificio è realizzata mediante un sistema reticolare tridimensionale. 10
di interventi che abbia tra i suoi caratteri più significativi la costruzione di una visione condivisa del futuro di un territorio e contemporaneamente – non secondaria – la capacità di rendere praticabili, fattibili e durevoli gli interventi pianificati. Viene a essere così assicurata anche la declinazione degli aspetti sociali ed economici della sostenibilità.
La rigenerazione di Piazza Commestibili a Mesagne (BR) Nel luglio 2008, la Regione Puglia, su impulso dell’Assessorato alla Qualità del Territorio e in linea con le politiche di radicale e avanzato rinnovamento nella gestione del territorio, messe in atto sino a quel momento a partire più o meno dal 2005, si è dotata di un testo normativo importante ed efficace, proprio per disciplinare gli interventi di rigenerazione urbana4. Detta legge è stata poi finanziata mediante interventi ricadenti in capo all’Asse VII del P.O. Fesr 2007-2013 della stessa Regione Puglia e ha trovato risposta ampia e consenso unanime presso gli Enti Locali interessati. Tra questi, il Comune di Mesagne che, nel corso della seconda metà del 2010, si vedeva riconoscere il finanziamento degli interventi di completamento della riqualificazione urbana di Piazza Commestibili che aveva già avviato con un primo lotto per mezzo di altre risorse. Si tratta di un luogo urbano posto nel cuore della città storica, il quale indubbiamente rappresenta un sito di altissimo valore identitario per tutti i mesagnesi. La piazza infatti ha ospitato a lungo, nei decenni passati, il mercato ortofrutticolo della città e, per quanto lo spazio che essa descrive sia stato in quegli anni impropriamente occupato da chioschi e baracche di natura provvisoria e di nessuna qualità, è stato comunque il crocevia del commercio alimentare al minuto per intere generazioni. Proprio il
recupero dell’unità spaziale della antica piazza, ottenuta anche attraverso la rimozione definitiva di quelle baracche, è stata una delle più importanti scelte effettuate nel progetto di recupero, per il quale è stata necessaria una Variante in corso d’opera in seguito al ritrovamento di reperti archeologici rinvenuti durante le operazioni di scavo per la realizzazione delle nuove fondazioni. È stata quindi confermata la scelta di utilizzare la superficie di copertura dei due bracci di cui si compone l’edificio per altrettanti giardini pensili che saranno realizzati nel secondo e ultimo lotto dei lavori, al fine di migliorare le prestazioni energetiche dei locali al piano terra e soprattutto per mitigare il cosiddetto effetto “isola di calore”. Al contrario, ha dovuto invece subire una vera e propria riprogettazione in sede di variante, il ballatoio di collegamento posto alla stessa quota dei giardini pensili, ora interamente realizzato in aggetto dall’edificio esistente anziché essere appoggiato a pilastri di nuova realizzazione, come inizialmente previsto. Si tratta di un innesto architettonico di rilevante importanza nel quadro generale del progetto di recupero, cui viene demandato il compito di rappresentare nello stesso tempo il legame con il passato e uno slancio innovativo che data inequivocabilmente l’intervento. Da una parte infatti, la passerella è realizzata in acciaio, un materiale cioè tipico dei mercati di fine ottocento/inizi novecento; dall’altra, è stata progettata con un design che allude linguisticamente agli interventi high-tech delle grandi città europee, senza tuttavia assumerne gli eccessi o rievocare la chiassosità di taluni di essi. Questo atteggiamento, rivolto alla ricerca di un equilibrio più pacato e rassicurante, ha costituito la cifra generale del progetto di variante, con cui si è scelto di non realizzare, nel centro storico di una piccola città contadina del nostro Sud operoso, un intervento che potesse
apparire invece rappresentativo di una opulenza globalizzata, a-topica e a-cronica. Al contrario, è stato realizzato un recupero che fosse il più rispettoso possibile di un luogo urbano di raro pregio, nel quale ogni altra addizione sarebbe risultata quantomeno ultronea, se non pregiudizievole di una tensione e di un equilibrio tra le diverse parti che non sono sembrati ammettere modificazioni pesanti. L’edificio, completati i lavori con il secondo lotto, ospiterà circa quindici locali commerciali di vicinato; essi faranno da cornice permanente a una fruizione collettiva della nuova piazza che tutti aspettano di poter riutilizzare al più presto e compiutamente e che tuttavia ha già iniziato a ospitare manifestazioni ed eventi all’aperto proponendosi all’attenzione degli abitanti come luogo di aggregazione e di qualità. Al recupero urbano di Piazza Commestibili, la nuova Amministrazione Comunale attribuisce un alto valore strategico per il suo potenziale di rigenerazione, non solo in riferimento a quella puntuale centralità urbana, ma per il rilancio di tutto il Centro Storico, inteso come motore di uno sviluppo locale da perseguire sia sul piano sociale che sul versante economico/produttivo. E anche nel tessuto sociale della città c’è molta attesa per il suo completamento, segno evidente che i processi partecipativi messi in atto, da una parte, stanno già mostrando il loro esito positivo e dall’altra, stanno producendo ulteriore aggregazione sociale organizzata, ad esempio con la fondazione di un’associazione dei commercianti delle vie vicine. Note 1 - Cfr. A. Magnaghi, Il Progetto locale, Bollati Boringhieri, 2010. 2 - Cfr. ibidem. 3 - Cfr. A. Barbanente,“Sulla riqualificazione urbana” in Urbanistica Informazioni n. 237, 2011 4 - Cfr. la LR 21 del 29/07/2008, pubblicata sul BUR n. 124 del 01 agosto 2008.
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Fabrizio Tucci Francesca Romano Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Dipartimento DATA
Riqualificazione agro-energetica dell’ambiente urbano. Il caso del Fosso della Cecchignola a Roma
La questione agro-energetica sta conquistando il dibattito culturale e scientifico di questi ultimi anni per la sua versatilità e programmabilità nel tempo e per la sua potenziale efficacia nell’integrarsi con le forme di produzione energetica rinnovabile più consolidate, quali quelle provenienti dall’impiego pulito di sole, vento, acqua ed energia del sottosuolo. Confrontarsi con i temi dell’agro-energetico significa in particolare interfacciarsi con le diverse forme di produzione di energia da biomassa oggi note, da quelle propriamente denominate biomassa energetica (o più precisamente biomassa da colture energetiche agricole e forestali) a quelle, apparentemente secondarie ma dalle grandi potenzialità di sviluppo, che investono la biomassa da scarti organici come rifiuti di tipo organico, liquami zootecnici, fanghi di depurazione. Il tema agro-energetico nella riqualificazione Per il perseguimento degli obiettivi di un equilibrato, controllato ed ambientale dei paesaggi urbani sta diventando efficace sviluppo dell’applicazione agro-energetica nei nostri territori, centrale nel dibattito scientifico e nelle politiche finanche periurbani, occorre la chiarezza di alcune scelte strategiche: d’intervento dove protagoniste sono le energie - favorire una seria regolamentazione degli usi del suolo alle diverse scale che magari indirizzi la scelta delle aree da impiegare a biomasse rinnovabili da biomassa, geotermia e solare. energetiche verso terreni non più fertili, o inquinati, o comunque non adatti alle colture alimentari; - puntare sulla produzione di colture energetiche suscettibili di essere stoccate in impianti di trasformazione (digestione anaerobica, combustione, produzione di olio vegetale combustibile); - ridurre i costi di produzione, riutilizzando i residui organici nel suolo, quali liquami zootecnici e fanghi di depurazione, e utilizzare gli scarti delle filiere in campo zootecnico come mangimi e come fertilizzanti; - studiare col giusto equilibrio le potenzialità di produzione agro-energetica, mettendo nel bilancio della valutazione i diversi fattori in gioco, e non esclusivamente quelli della convenienza economica: al momento il bioetanolo prodotto dalla canna da zucchero e il biodisel prodotto dall’olio di palma sono competitivi con il prezzo dei carburanti di origine fossile, e rendono spesso ben più delle coltivazioni tradizionali, ma non sempre è bene favorirne, ovunque e comunque, la loro produzione; - affinare le tecniche di recupero dell’energia da conversione del legame chimico presente nelle biomasse, nella consapevolezza che oggi sono possibili diversi tipi di conversioni energetiche, alcune già applicabili a livello industriale, mentre altre non ancora pienamente attuabili a livello tecnologico e non convenienti dal punto di vista economico rispetto all’utilizzo di combustibili fossili che, fino a prova contraria, rimangono l’ineliminabile fattore di paragone per il quale non si riesce ad abbattere la resistenza a considerare tra i costi di un qualsiasi sistema produttivo anche e soprattutto quello ecologico-ambientale.
Conversione energetica e filiere di biomassa Nella produzione di energia da biomassa occorre ricordare che vi sono due grandi categorie di conversione fisico-chimica. La conversione termochimica presuppone l’impiego di biomassa a basso grado di umidità e un buon potere calorifero, tutti fattori che limitano la scelta facendola preferenzialmente ricadere sulle specie legnose, tanto più che allo stato attuale delle tecnologie offre garanzia di affidabilità a livello industriale solo la combustione. Come noto, dal processo di combustione delle biomasse legnose in caldaia viene prodotto il calore necessario per fornire la quantità di vapore necessario per alimentare una turbina generatrice di energia elettrica.
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1 Figura 1. Masterplan di progetto del parco agroenergetico lungo l’alveo del Fosso della Cecchignola. Figura 2. Sezioni, stralcio planimetrico e dettagli degli orti urbani improntati a un’ottimizzazione degli aspetti di efficacia ecologica ed efficienza energetica.
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L’altra tipologia di conversione fisico-chimica è quella di natura biologica dell’energia presente nelle biomasse, attraverso la quale si possono ottenere dei biocarburanti. Il processo parte dalla trasformazione della cellulosa in zuccheri semplici, passa per la fermentazione di questi con l’aggiunta dei lieviti, e si completa con la produzione di alcool. Il biodisel deriva dalla
spremitura dei grassi vegetali e animali. Per quanto riguarda gli oli vegetali derivanti da colza e girasole le rese per ettaro sono basse, perciò la diffusione del biodisel è poco sviluppata senza l’aiuto di sostanziosi contributi pubblici. Il biogas viene prodotto dalla digestione anaerobica delle biomasse vegetali ricche di cellulosa e amido, dalle quali si può
ottenere biogas con più del 50 % di metano. In coerenza con i caratteri della produzione di biomassa e delle modalità di conversione energetica, si stanno sviluppando, anche e soprattutto a livello progettuale, diverse potenziali filiere agro-energetiche la cui programmazione, prefigurazione e attuazione può incidere fortemente sui processi di trasforma-
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zione paesaggistica e ambientale di un contesto urbano o perturbano. Nella filiera del legno (short rotation forestry) si impiegano biomasse vegetali di origine forestale, quali cippato di pioppo, salice, robinia, gelso (piante a rapido accrescimento e basse percentuali di umidità) e dall’impiego di potature. Per le colture dedicate, dopo alcuni anni dall’impianto si passa alla ceduazione, poi alla cippatura e allo stoccaggio, e il prodotto finale, il pellet, viene impiegato per produrre energia. La raccolta del prodotto può essere a una o due fasi: la prima si esegue con taglio, cippatura e raccolta in contemporanea a febbraio/marzo con essiccazione in cumulo, nel campo; la seconda prevede la raccolta con cippatura a giugno, fase che da una parte risulta particolarmente vantaggiosa nel far diminuire la percentuale di umidità dalla biomassa, ma dall’altra si presenta onerosa e complessa nel necessitare di operazioni a più riprese, con gli sprechi di risorse e di tempo derivanti dalla movimentazione dei mezzi. Ad oggi il prodotto di scarto è la cenere, che al momento viene classificata come rifiuto. Nella filiera del biogas combustibile si impiegano biomasse vegetali come il triticale, il sorgo, il mais e gli scarti organici quali liquami zootecnici, fanghi di depurazione, rifiuti umidi urbani. Si parte da biomasse per lo più erbacee, le quali in assenza di ossigeno vengono “digerite”, cioè scomposte e ridotte, per produrre acido acetico e idrogeno. Questi acidi vengono poi trasformati in metano e anidride carbonica (gas). Tali sostanze gassose vengono impiegate in tre modi principali: per la produzione di energia elettrica e termica tramite dei co-generatori; per la produzione di energia esclusivamente termica attraverso le caldaie; per la produzione di energia meccanica nel campo dei trasporti per l’autotrazione di mezzi.
Il gas può essere prodotto anche dalla fermentazione di scarti organici (urbani, zootecnici, industriali). Ad oggi lo scarto stesso della filiera ha una seconda vita ed essendo ricco di azoto, fosforo e potassio può essere utilizzato come concime per le diverse filiere energetiche e non solo. Un ciclo che si chiude senza sprechi. Nella filiera del biocombustibile (olio vegetale) si impiegano biomasse vegetali come la colza, il girasole, la soia ecc. In questo caso si parte da biomasse il cui frutto può offrire dell’olio attraverso l’estrazione per spremitura meccanica a freddo. L’olio viene raffinato e successivamente può avvenire la sua combustione in gruppi elettrogeni a motore diesel. Il prodotto finale è un biocombustibile che può essere impiegato per la produzione di energia elettrica, termica e per l’autotrazione (biodisel). Lo scarto, un panello proteico, può essere impiegato nel campo zootecnico, in sostituzione della farina di girasole, miscelato con il mais.
rettili in via d’estinzione, di pascoli e di aree agricole non irrigue che con le loro rotazioni segnano il passare del tempo e delle stagioni. Ci troviamo nel XII Municipio, nel bacino idrografico del Fosso della Cecchignola, tra l’area del Vulcano Laziale e la porzione di territorio a sud di Roma, tra i confini della Riserva Naturale Laurentino Acqua Acetosa Ostiense a ovest e i confini della Riserva del Parco dell’Appia Antica a est; a ridosso dei noti quartieri romani di Fonte Meravigliosa, Cecchignola Sud, Colle di Mezzo, Giuliano Dalmata, Laurentino. Questi si affacciano sul lembo di terra oggetto del nostro studio, che va sempre più stringendosi verso la via Laurentina, un eccezionale corridoio verde di connessione tra le due riserve, un corridoio che va tutelato e salvaguardato per la sua valenza faunistica, vegetazionale, ecologica e paesaggistica, e allo stesso tempo per il ruolo di garante dell’effettiva connettività funzionale fra due brani di città, in termini di transito e interscambio. L’area si presenta come un tipico eco-mosaico ambientale, caratterizzato principalmente da una matrice agropastorale a sfruttamento semi-intensivo, che si estende per la maggior parte del territorio in esame, e da un complesso costituito per lo più da vegetazione arbustiva e arborea, il quale si snoda lungo l’alveo del Fosso della Cecchignola. La matrice predominante è quella agropastorale, dove si vanno a inserire dei rigogliosi frammenti forestali di vegetazione igrofila, i quali si articolano principalmente lungo il fosso, costituendo una fascia ripariale, per la maggior parte continua e integra. Presenta inoltre un ruolo di connettività per numerose specie faunistiche. Vi sono presenti una serie di zone di bosco, bosco ripariale e roveto che occupano le aree non coltivate ma molto a ridosso di quest’ultime. Un’ampia fascia dell’alveo vede la presenza di vegetazione arborea
Un caso di studio per l’integrazione ambientale delle filiere energetiche di biomassa Una recente ricerca applicata (responsabile prof. Fabrizio Tucci, coordinamento operativo arch. Francesca Romano) ha avuto per oggetto un esempio di campagna romana, dove le relittuali tracce di storia e natura si fondono insieme, dove l’uomo con le sue ampie cementificazioni ha alterato un paesaggio “forse” di troppo poco valore. Un territorio sempre più compromesso, dove il Piano Regolatore di Roma vigente (2008) prevede una strada a più corsie e nuovi insediamenti edilizi. Questo vorrà dire la fine delle tracce dell’antico alveo del Fosso della Cecchignola scavato nel tufo nel corso dei secoli, dei boschetti relittuali ripariali a Olmo minore e Salice bianco, di uno straordinario habitat per molte specie di uccelli e
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Figure dalla 3 alla 7. Alcune immagini della valle lungo l’alveo del Fosso della Cecchignola (Roma).
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boschiva, con numerose essenze igrofile, sempre più rare a Roma. Dallo studio del PRG del Comune di Roma si evince che il futuro prossimo dell’area in esame sarà caratterizzato da una strada trasversale che attraverserà tutta l’area a ridosso del Fosso della Cecchignola. Analizzando tuttavia il PTP della Regione Lazio, le aree in cui è prevista la grande strada di nuovo intervento risultano classificate come: paesaggio naturale di continuità e paesaggio agrario di valore; aree boscate, aree di interesse archeologico, corsi delle acque pubbliche con relative fasce di rispetto ecc. Questo denuncia una mancanza di dialogo tra il Comune e la Regione o la completa disattenzione di entrambi...? In accordo con gli intenti della Regione, e in coerenza con gli studi condotti nella prima fase della ricerca applicata, abbiamo sviluppato una sperimentazione progettuale che partisse dagli esiti dello studio fisico dell’area, della sua morfologia e geologia, delle sue trasformazioni, dei suoi segni ormai ben definiti e stabili, e tenesse fortemente conto del suo valore paesaggistico e culturale e delle sue potenzialità agro-ambientali, cercando di capire e interpretare un territorio, ricco e fiorente, ma allo stesso tempo fragile per l’eccessiva vicinanza con il sistema insediativo; quel sistema che per replicazione quasi casuale si è insinuato disarmonicamente in questo territorio, lasciandovi tracce e ferite profonde. La proposta di riqualificazione ambientale parte da un disegno di masterplan, che prefigura una riappropriazione dai tratti morfologici e dai caratteri ecologici netti nelle porzioni di territorio più compromesse dall’uomo, proprio a ridosso dell’edificato, e che si va invece a dissolvere per essere inglobato dalla natura nei punti – ormai pochi - dove essa ha ancora una certa predominanza.
Il filo conduttore della sperimentazione è rappresentato da una serie di percorsi che si intersecano, che ci portano a scoprire le componenti più nascoste dell’area, fino ad arrivare a quelle più fruibili e alla portata di tutti; é un viaggio esplorativo e conoscitivo di un territorio che si mostra così com’è, ricco di storia e natura, sostenuto – è questa la novità proposta – dall’immissione del tema delle agro-energie. È noto che l’inserimento del tema agro-energetico in un contesto urbano comporta la disponibilità di ingenti spazi per poter puntare su una buona efficienza dei risultati. In questo senso è stato strategico considerare l’adiacente Tenuta di S. Alessio, che ad oggi in buona parte resta tutelata (67 ha) grazie alla presenza al suo interno dell’Istituto Agrario “Giuseppe Garibaldi”, primo di Roma, dei primi anni del ‘900. L’istituto si presenta come una serie di lotti adibiti a colture diverse, quali mais, erba medica, orzo, che vengono impiegate nel centro zootecnico del centro; poi vi sono orti, frutteti, vigneti, oliveti e una piccola parte adibita alla coltura forestale di conifere. Inoltre vi è la presenza di bovini da latte e da carne. Tutto ciò ha portato a ipotizzare un polo agro-energetico sperimentale e didattico per gli studenti, dove i lotti esistenti prevedano l’introduzione di colture energetiche a rotazione quali mais, sorgo, girasole e triticale, per l’avviamento della filiera del biogas e del biocombustibile. Gli scarti delle conversioni, insieme ai liquami zootecnici, possono essere utilizzati per le concimazioni della tenuta e per le aree agricole limitrofe. Inoltre il pannello di scarto può essere utilizzato per l’alimentazione zootecnica dell’Istituto. Le conversioni energetiche possono essere effettuate all’interno della stessa tenuta, a km zero, negli spazi nati dal recupero dei capannoni fatiscenti ove si prevede la realizzazione di appositi impianti.
È previsto anche uno spazio per la filiera del legno (short rotation forestry), dove i legnami sono conferiti sia dalle potature Municipali sia dai boschetti a turno breve che si trovano dislocati nel versante ovest del parco, in prossimità della via Laurentina. I boschetti di Salice bianco (Salix alba) e Pioppo Bianco (Populus alba), ben inseriti in un ambiente in parte igrofilo, oltre alla funzione energetica fungono da cuscinetto, filtro e protezione dalle pressioni antropiche per l’intero parco, in quanto collocati in prossimità dei margini tra il parco stesso e il sintema insediativo. Il cippato servirà per produrre energia termica che, attraverso un sistema di teleriscaldamento, potrà riscaldare le serre, le strutture dell’istituto e tre Licei scolastici a ridosso della Tenuta. Il tema delle energie e dell’agricoltura trova ampio spazio anche all’interno del parco stesso, in un’area oggi semi-naturale per la presenza di ovili in lamiera e tracce del passaggio a quattro ruote dell’uomo. Qui si ipotizza la realizzazione di una serie di orti urbani ben strutturati, gestiti direttamente dai cittadini di zona con assegnazione su prenotazione. Ognuno dei settanta orti, di circa cinquanta m2, prevede una sua perimetrazione ben definita, un camminamento in blocchetti di tufo, un casino per la raccolta attrezzi con cisterna per accumulo delle acque piovane che potranno essere usate per l’irrigazione, e uno spazio per il compostaggio. In quest’area inoltre saranno previste due strutture con copertura in pannelli fotovoltaici: una come punto ristoro e market dei prodotti degli orti per chi volesse venderli; un’altra come punto di stoccaggio per le potature del parco, prima di portarle nel polo agro-energetico, e per la raccolta dei rifiuti organici dei cittadini e dei supermercati del Municipio per il compostaggio, il cui prodotto potrà essere rivenduto ai cittadini e ai vivai della zona, tutto a km zero.
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Alessandra Battisti Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Laboratorio AMSA
Urban Farming: due esperienze di ricerca di riqualificazione tecnologico-ambientale a confronto
Nel 2008, per la prima volta nella storia, si è verificato che più della metà della popolazione del mondo vivesse all’interno di città e metropoli, ed entro il 2030 questo dato è destinato ad aumentare, secondo il “Rapporto sullo stato della popolazione mondiale 2007”1, fino a portarsi a 5 miliardi di abitanti concentrati nei grandi agglomerati urbani, con sviluppi concentrati soprattutto in Africa e in Asia. La crescita vertiginosa del sistema urbano accentratore sta rivoluzionando i modelli di consumo in termini sia di quantità che di qualità, e le nostre città, luoghi consolidati del vivere comune, espressione tra le più alte della società umana, pur con tutti i loro aspetti sociali e varietà culturali, con la loro ricchezza della conoscenza, della creatività e capacità d’innovazione sono tra i principali produttori delle cause del cambiamento cliL’Urban Farming rappresenta una nuova matico, dei veri e propri mostri ecologici energivori con un consumo concezione dimensionale e spaziale del progetto ingente di materie prime e di superficie, con scarsità di terre coltivabili urbano in cui, attraverso una rinnovata cultura e conseguente crisi alimentare nonché con una elevata produzione di dell’abitare, è possibile rivisitare le modalità sostanze inquinanti e montagne di rifiuti. Per tentare di far fronte agli insostenibili consumi energetici e agli effetti delle emissioni in atmodi fruizione e di uso della forma urbana. sfera di gas inquinanti dovuti in larga misura all’impiego dei combustibili fossili – pratiche, dati ed eventi negativi che più di altri hanno connotato il passaggio di millennio – già da tempo è emersa la necessità da un lato di promuovere pianificazioni energetiche di lungo periodo, dall’altro di prevedere adeguati incentivi all’innovazione tecnologica e alla ricerca pluridisciplinare integrata, e infine di pensare a una riconsiderazione complessiva degli attuali stili di vita. In questa ottica legata indissolubilmente al cambiamento delle abitudini e dell’educazione energetico-alimentare, quale risoluzione delle principali questioni ambientali, si è andata via via sempre più affermando negli ultimi decenni la concezione spaziale dell’urban farming, in sintesi il potenziamento e l’evoluzione di spazi urbani designati alla produzione agricola e all’allevamento. Un processo complesso che necessita di un confronto interdisciplinare per il vaglio sulle opportunità offerte dalle nuove tecnologie dedicate all’agricoltura e di precisazioni sul possibile ruolo del concetto di urban farming in termini di ricaduta sul progetto urbano, che si pone potenzialmente come un confronto tra i binomi dialettici – fino a oggi non pienamente risolti – tra città e campagna, tra produzione e agricoltura, tra fabbrica e fattoria, tra artificio e natura. L’urban farming si viene così a qualificare come una nuova concezione spaziale, di rinnovata cultura dell’abitare, come un complesso e rivisitato modo di concepire, ideare, realizzare e usare l’ambiente urbano che necessita dell’elaborazione di aggiornati codici etici ed estetici e di specifici indirizzi operativi, finalizzati a orientare le trasformazioni urbane – e, in senso lato, dell’ambiente costruito – a partire dal riconoscimento del fondamentale ruolo ecologico, strutturante, sociale, economico e figurativo degli spazi deputati alla coltivazione agricola e all’allevamento, letti come formidabili contenitori/produttori di risorse non solo naturali, ma anche economiche, sociali e culturali. L’agricoltura del resto è il primo settore a risentire dei cambiamenti climatici insieme al complesso dei settori produttivi ed economici e le conseguenze sulle differenti fasce sociali rendono ineludibile il coinvolgimento pieno e risolutivo dell’intero sistema produttivo ed energetico sia dei paesi industrializzati Figura 1. Ricerca che di quelli emergenti e in via di sviluppo. di Riqualificazione Di fronte a questi scenari, il settore agricolo può assumere un ruolo particolarmente importante nella traarchitettonico-ambientale di Malgrotta, Laboratorio sformazione dell’ambiente costruito e della società, chiamando l’architetto, ideatore e manutentore del AMSA. tessuto urbano, a rispondere a nuove sfide e a nuove opportunità, ribaltando i possibili svantaggi diretti Responsabili scientifici: Proff. A. Battisti, F. Tucci. dal punto di vista produttivo proprio in funzione dell’azione di presidio territoriale che caratterizza le atti-
Studi e Ricerche _ 95
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vità di coltivazione e di allevamento, frutto di una più ampia rivoluzione del sistema economico, configurando risposte appropriate come: la cosiddetta produzione a “km zero”, ovvero l’opportunità di ridurre o addirittura azzerare gli spostamenti di prodotti materiali e immateriali e il relativo tasso di inquinamento nelle società; gli orti domestici; le coltivazioni biologiche; le tecniche agricole soil-less, in altre parole gli orti senza terra; le vertical farm ecc. In questo senso l’urban farming contribuisce in modo diretto a: • la massimizzazione della produzione alimentare in un modo che sia economicamente fattibile ed ecologicamente sostenibile. Promuovendo la sostenibilità ambientale a livello locale anche dal punto di vista economico; • la riduzione delle emissioni di gas inquinanti: grazie all’elevata capacità di assorbimento CO2 degli spazi coltivati e a verde; attraverso la valorizzazione delle diverse biomasse per finalità energetiche, da impiegarsi in sostituzione di fonti fossili di energia; mediante l’adozione di pratiche agricole che favoriscano il sequestro del carbonio nelle piante coltivate; • il filtraggio e la depurazione delle acque: la
possibilità di trasformare le acque meteoriche che contengono sedimenti che defluiscono dalle superfici impermeabili che possono essere contaminati da inquinanti quali metalli pesanti e idrocarburi, le acque scure e grigie in acqua nuovamente disponibile; • la stabilizzazione delle polveri: le superfici coltivate contribuiscono a risanare la qualità dell’aria dell’ambiente urbano essendo grado di purificare l’aria dalle polveri, dai fumi e dai particolati in essa intrappolati; • il filtraggio e la depurazione dell’aria: la biomassa di foglie e steli di una coltivazione, a seconda della specie, della stagione e del regime colturale, svolge un’efficiente azione filtrante nei confronti degli inquinanti; • la dissipazione del calore e mitigazione della temperatura: le superfici coltivate grazie al processo di evapotraspirazione riescono ad assorbire calore in maniera rilevante, producendo così il raffreddamento delle superfici e dell’aria circostante; • l’abbattimento del rumore: le superfici vegetate e le masse verdi sono in grado di assorbire i suoni meglio delle superfici rigide, riducendo significativamente i rumori in ambito urbano;
• l’azione psicologica: in numerose occasioni è stato dimostrano che la presenza di piccole coltivazioni da far gestire direttamente ai cittadini negli spazi urbani comporta negli individui benefici psicologici, estetici, terapeutici e talvolta anche economici; • la creazione di nuove opportunità lavorative: gli interventi di riqualificazione della città offriranno nuove modalità di auto-produzione energetica e agro-alimentare in grado di creare un bacino di occupazione locale; • la possibilità di coltivare in spazi ridotti: cortili, patii, terrazze, tetti, rappresentano spazi coltivabili interessanti per soluzioni tipo-tecnomorfologiche in condizioni di scarso accesso a suoli fertili; • la valorizzazione degli edifici: un aspetto di importanza non trascurabile è legato al notevole apprezzamento per gli spazi vegetati e coltivati, pensiamo al fenomeno dell’edible landscaping, in altre parole la coltivazione di piante alimentari e da frutto per scopi esteticopaesaggistici al posto delle, o in combinazione con, le classiche piante ornamentali, o al riutilizzo di edifici abbandonati. • la promozione di attività di formazione e par-
96 _ ilProgettoSostenibile 29
Figure 2, 3. Ricerca interuniversitaria di cooperazione internazionale. Riqualificazione architettonico-ambientale della Favela della Mangueira, Laboratorio AMSA. Responsabili scientifici: Proff. A. Battisti, F. Tucci.
tecipazione della comunità locale. Inoltre, l’urban farming stimola a esplorare l’avanguardia di idee innovative per i dispositivi e i materiali e l’impiego di tecnologie sperimentali come le coltivazioni aeroponiche2, idroponiche3 e/o acquaponiche4, processo questo che permetterà: • l’intensificazione dei cicli colturali, con fornitura continua non stagionale di prodotti agricoli con incrementi di produzione dovuti alla precocità di produzione rispetto alla coltivazione tradizionale, e alla possibilità di coltivare in qualsiasi momento dell’anno a prescindere dalla stagionalità del prodotto; • l’eliminazione della eventualità di danni alla produzione agricola dovuto a catastrofi naturali quali siccità, alluvioni o epidemie; • la riduzione delle emissioni di CO2 grazie all’eliminazione dell’uso di macchinari inquinanti quali trattori, aratri e mezzi per il trasporto delle merci su lunghe distanze; • il contributo alla ricostruzione degli equilibri ecosistemici globali attraverso la diminuzione delle terre coltivate in maniera tradizionale e un minore consumo di suolo permesso dallo sviluppo in verticale della produzione ; • l’aumento della produzione per unità di superficie determinata dalla ottimizzazione della densità colturale ottenuta con i dispositivi di coltivazione innovativi e dalla gestione controllata del rifornimento di acqua e nutrienti; • l’offerta di prodotti biologici: non è necessario l’uso di fertilizzanti, diserbanti o pesticidi; minimizzazione dell’incidenza delle malattie trasmesse dal terreno, tipiche delle coltivazioni tradizionali; • la riduzione considerevole del consumo e delle perdite di acqua e nutrienti, con diminuzione dei costi di produzione ed eliminazione dei rischi d’inquinamento. Proprio in questa direzione si inquadrano le
due ricerche di sperimentazione progettuale proposte sul tema della riqualificazione architettonica, ecologica ed energetica attuata attraverso l’urban farming applicato nei due contesti urbani periferici della Mangueira a Rio de Janeiro e di Malagrotta a Roma all’interno di due realtà distinte sui diversi piani sociali, culturali, climatici ed economici, ma che ha interessato concetti comuni di salvaguardia delle risorse naturali e ambientali e di miglioramento delle condizioni sociali ed economiche dei cittadini. La ricerca è stata condotta nel corso del 2010 dal Laboratorio AMSA del Dipartimento DATA dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza in collaborazione con l’Università di Rio de Janeiro e lo studio dell’architetto Mario Jauregui - Atelier Metropolitano; un partenariato di lavoro portatore di know how specializzato nel campo, l’Università Federal de Rio de Janeiro e lo Studio di Progettazione di Jorge M. Jauregui per tutte le operazioni svolte negli ultimi anni sul recupero delle favelas a partire dall’operazione Favela Bairro e per essere stati simbolo dei processi partecipativi e gestionali nei processi/progetti di riqualificazione urbana nel Brasile degli ultimi venti anni, e il dipartimento di Roma per la lunga tradizione negli studi/piani/progetti/ di recupero del tessuto urbano formale e informale, unitamente alle recenti innovazioni di metodo e tecnologiche. Il lavoro di ricerca ha avuto come obiettivo principale quello di riqualificare i tessuti informali attraverso l’urban farming, riportando la produzione agricola in città in funzione della rigenerazione urbana in chiave di sostenibilità ambientale energetica e sociale. Per quel che riguarda la realtà brasiliana presa in esame nell’ambito della ricerca, si è operato nell’area della Favela della Mangueira a Rio de Janeiro, in collaborazione con l’Università Federal de Rio de Janeiro e lo Studio di
Progettazione di Jorge M.Jauregui - Atelier Metropolitano. L’area oggetto dell’intervento di riqualificazione carioca si estende nella parte nord-est della città di Rio de Janeiro, in un ambito denso di attività, caratteristico della realtà urbana e sociale di Rio de Janeiro, che coniuga al suo interno in un dialogo stravagante la realtà formale dall’area sportiva dello Stadio del Maracanà e della centralità del polo universitario federale, con il tessuto informale della Favela della Mangueira con le scuole di danza, e in particolare la scuola di Samba della Mangueira, tra le più famose al mondo, le abitazioni di fortuna arroccate sul morro e i piccoli laboratori artigiani e meccanici disposti lungo il vallo ferroviario. Dall’altra parte del mondo, l’area di studio e progetto romana nella periferia nord-ovest a ridosso della Via Aurelia, appena al di fuori del Grande Raccordo Anulare e in adiacenza anch’essa a una linea ferroviaria, quella che collega la capitale d’Italia al porto di Civitavecchia. L’area è caratterizzata dai classici insediamenti spontanei abusivi della città di Roma, che si contraddistinguono per la bassa densità e la scarsa qualità edilizia e urbanistica, nonché dalla presenza di vaste aree utilizzate a cave e contraddistinte da importanti alterazioni della morfologia originaria dei luoghi. Occorre premettere che l’analisi della sostenibilità dei processi produttivi agricoli applicati alla rifunzionalizzazione dei tessuti informali non è semplice; infatti, grande importanza è stata data alla scelta degli indicatori con cui questa potesse essere stimata, rispetto alle chiavi di lettura: architettonico-produttiva, ecologicoambientale, economico-sociale; anche in rapporto alla scala di intervento in cui si è venuti a operare che va dalla circoscritta scala di quartiere locale, al livello regionale, nazionale, fino ad arrivare nel confronto diretto tra le due real-
Studi e Ricerche _ 97
2
tà a quello globale. Questo determina, inevitabilmente, l’emergere di interessi differenti da parte di chi è chiamato a operare la valutazione come la popolazione, la cooperativa, gli Enti locali, la Regione, il Governo, l’Unione Europea, la Comunità internazionale. Per questo l’adozione di politiche e lo sviluppo in senso sistemico di strategie, azioni e strumenti ha permesso di immettere all’interno di realtà insediative marginali e fortemente compromesse dal punto di vista del tessuto urbano, dell’aspetto paesaggistico e del contesto socio-culturale, attività di produzione agroenergetiche in grado di creare un indotto economico e paesaggistico che potesse fare da volano al recupero sociale. L’utilizzazione del potenziale agroenergetico ha comportato un riadattamento degli assetti insediativi a partire da quelli ad alta concentrazione urbana attraverso l’attivazione di strategie e azioni finalizzate a limitare l’occupazione del suolo e a riqualificare l’edificazione esistente, preservando e rafforzando le aree libere a completa tutela del territorio; una politica di prevenzione, attenta e oculata ad alto equilibrio ecologico, mirata all’ottimizzazione della chiusura dei cicli di funzionamento e autoregolazione (approvvigionamento di risorse materiali e immateriali, accumulo differenziato, smaltimento e riciclaggio dei rifiuti, gestione dei cicli ecologici delle acque, produzione efficiente ed efficace di energia), procedendo, caso per caso all’approfondimento delle possibilità agronomiche di valorizzazione, alla valutazione del relativo grado di facilità dell’inserimento delle colture nei diversi tessuti e realtà
3
urbani; all’incremento della biodiversità complessivamente realizzabile; al possibile risparmio totale nell’impiego di mezzi tecnici (ad esempio di concimi minerali e fitofarmaci) effettivamente conseguibile; alla riduzione dei rischi di erosione del suolo e di inquinamento delle acque realizzabili; all’eventuale inserimento delle colture da biomassa in programmi di rinaturalizzazione di aree improduttive e/o di fitodepurazione delle acque; alla maggior quota di trattenimento della CO2 possibile. Il lavoro è da inscriversi, dunque, nel quadro delle sperimentazioni progettuali rivolte alla definizione di modelli insediativi sostenibili, efficaci ed efficienti sotto il profilo energetico e ambientale e capaci di rappresentare configurazioni spaziali urbane ad alto gradiente ecologico.
2 - Aereoponico = Aereo (aria) & ponics (lavoro). Le radici crescono in una camera chiusa oscurata all’interno della quale vengono spruzzate le sostanze di nutrimento che possono essere assorbite più velocemente dalle piante, la produzione è più veloce della tecnica idroponica, e il consumo di acqua ed energia è ridotto. 3 - Idroponico = Hydro (acqua) & ponics (lavoro). Le piante crescono in sacche in genere realizzate con fibra di cocco. Un gocciolatoio somministra acqua e nutrienti che variano in base alla pianta, all’ora del giorno, alle condizioni climatiche esterne, il tutto controllato da un sistema di BMS. 4 - Aquaculture (coltivazione di pesci) & hydroponics (coltivazioni piante). Sistema che coniuga insieme le vasche di allevamento di pesci con il sistema di coltivazione idroponico. È costituito da: un biofiltro, che trattiene le sostanze solide dall’acqua e i microrganismi, trasformando i rifiuti dei pesci in un’acqua con concime per le piante; da tubi di trasporto dell’acqua e del concime dal filtro ai vassoi di coltivazione; vassoi di coltivazione: le piante assorbono le sostanze nutritive dall’acqua che è pronta per tornare alle vasche di allevamento dei pesci;tubi di trasporto dell’acqua che ritorna pulita vasche ei pesci. All’interno si impiegano efficienti
Note
HDI (144 kWh/giorno), lampade fluorescenti (28,8 kWh/gior-
1 - Rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per le popolazio-
no) o LED (3,5 kWh/giorno). Usa l’80% di acqua in meno
ni (Unfpa).
rispetto i sistemi tradizionali.
progettare e costruire edifici a energia quasi zero trova le
risposte su
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2012
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Tesi di Dottorato Simone Bernardini Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Elisa Vita Caivano Politecnico di Bari Lucia Carrubba Università degli Studi di Palermo Delia D’Agostino Università del Salento Cristian Filagrossi Ambrosino Università degli Studi di Napoli “Federico II” Luigi Foglia Seconda Università degli Studi di Napoli - SUN Elisa Nannipieri Università degli Studi di Firenze Carlotta Pediconi Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Alessandro Premier Università degli Studi di Ferrara Maurizio Sibilla Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Tiziana Susca Politecnico di Bari Alessandro Tricoli Università degli Studi di Palermo
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Università: Università “La Sapienza” di Roma Dipartimento: DATA - Dipartimento di Design, tecnologia dell’Architettura, Territorio ed Ambiente Corso di Dottorato: Progettazione Ambientale Ciclo di Dottorato: XXII Anno discussione tesi: 2010 Tutor: prof. Fabrizio Orlandi Co-tutor: prof.ssa Eliana Cangelli Parole-chiave: sistemi di certificazione di sostenibilità ambientale; livelli di soglia; pratica corrente e migliorativa
Eco-management dell’ambiente costruito: sistemi di rating ed indicatori ambientali per l’edilizia residenziale Simone Bernardini Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Argomento. L’ambito di sperimentazione in
3) Definire l’attuale livello di sostenibilità ambienta-
niche e i principi della bioedilizia, coinvolgendo i
esame si inserisce all’interno di un quadro pro-
le del patrimonio regionale E.R.P. e misurare il
comuni e gli operatori privati in programmi di
grammatico generale definito dal D.G.R. 133/2010
potenziale di miglioramento.
riqualificazione con particolare riguardo a inter-
in applicazione del “Sistema di Certificazione di
venti di social-housing da parte delle ATER.
sostenibilità ambientale degli edifici” con il quale
Destinatari. La costituzione di specifici tavoli tec-
la Regione Lazio prevede procedure concorsuali
nici con le Direzioni provinciali ATER, di concerto
Risultati. La ricerca ha riesaminato l’attuale
per integrare gli obiettivi di ripristino ambientale.
con la “Direzione Regionale Piani e Programmi di
Sistema Regionale di Certificazione della
La ricerca si è articolata attraverso lo studio e la
Edilizia Residenziale” della Regione Lazio, ha con-
Sostenibilità Ambientale - Regione Lazio calibran-
definizione di modalità d’intervento funzionali al
sentito di attivare un processo cognitivo sinergi-
do, secondo un approccio prestazionale, livelli di
miglioramento delle prestazioni tecnologiche,
co utile alla nascita di strategie comuni in riferi-
soglia aderenti a pratiche costruttive locali.
ambientali ed energetiche e ha focalizzato le ana-
mento alle recenti disposizioni regionali contenu-
È possibile affermare che i criteri di valutazione
lisi su Norme e metodi di riferimento per la valu-
te D.G.R. 133/2010. Inoltre, i risultati ottenuti
del Protocollo sono opportuni per il territorio
tazione del livello di sostenibilità degli edifici resi-
saranno destinati a progettisti e pubbliche ammi-
regionale e coerenti con il quadro normativo per
denziali pubblici in relazione agli obblighi deri-
nistrazioni con il fine di fornire uno strumento
quanto non perfettamente proporzionati nei pesi.
vanti dall’applicazione del regolamento sulla
integrato per stimare oggettivamente la qualità
A conclusione dello studio è stato realizzato un
Certificazione Ambientale ex art. 9 L.R. 6/2008
ecologica di una costruzione.
Report di valutazione d’indirizzo alla progettazione per valutare il livello di performance energetico-
della Regione Lazio. Lo strumento assunto come scenario di riferimento è il protocollo regionale
Punti di forza e di debolezza. A partire dal
ambientale del patrimonio di ERP Lazio.
sulla Bioedilizia, Protocollo ITACA Lazio.
repertorio dei casi studio è stato possibile defini-
Inoltre, nelle schede del Report sono messi a
re il livello di qualità ambientale ed energetica
disposizione dei progettisti elenchi di materiali
Obiettivi. In sintesi, le tematiche mirano a tre
del patrimonio ERP evidenziando uno standard
ecologici di riferimento e soluzioni tecnico-costrutti-
principali obiettivi.
prestazionale appena soddisfacente per i limiti
ve a basso impatto ambientale per il consegui-
1) Stabilire livelli di benchmark per edifici residen-
richiesti dalle normative in vigore.
mento di livelli migliorativi.
ziali aderenti al territorio regionale per: 1a - defini-
Il punto di debolezza è nella mancanza di una
re la prestazione minima di riferimento in base
politica sul tema della bioedilizia chiara e coeren-
alle norme legislative e tecniche vigenti e alle
te oltre a una scarsa sensibilità sul tema della
peculiarità costruttive locali; 1b - definire il livello
maggior parte degli operatori; tale mancanza è
di soglia 0 in riferimento alle comuni pratiche
peraltro evidenziata dall’assenza di una filiera
costruttive locali.
locale del “riciclo-riuso”. Va però sottolineato che
2) Revisionare i pesi del Protocollo e proporre adat-
da gennaio 2010 la Regione Lazio ha inteso
tamenti rispetto al quadro legislativo-normativo
incentivare il miglioramento della qualità archi-
Simone Bernardini architetto, libero professionista, dottore di ricerca in Progettazione Ambientale presso l’Università “La Sapienza” di Roma, collabora a studi e ricerche nell’ambito delle attività del dipartimento DATA sulla progettazione dell’ambiente naturale e costruito e nel campo dell’architettura bioecologica e delle tecnologie per l’ambiente.
e tecnico-scientifico regionale.
tettonica del patrimonio edilizio, secondo le tec-
sim.bernardini@gmail.com
Tesi di Dottorato _ 101
Università: Politecnico di Bari Dipartimento: Dipartimento di Architettura e Urbanistica Corso di Dottorato: Ingegneria Edile Ciclo di Dottorato: XXII Anno discussione tesi: 2011 Tutor: prof. ing. Fabio Fatiguso Co-tutor: dr. eng. Olaf Boettcher Parole-chiave: recupero sostenibile; centri storici; efficienza energetica
L’efficienza energetica nel recupero dell’edilizia storica: una proposta metodologica per il recupero energetico dei centri storici Elisa Vita Caivano Politecnico di Bari
Argomento. La ricerca multi-disciplinare affronta
caso di studio, individuazione ed analisi degli edi-
ro e manutenzione dell’edilizia storica, per i quali
il tema del recupero e della valorizzazione del-
fici storici oggetto di studio, definizione di tipolo-
i risultati della ricerca possono costituire il punto
l’edilizia storica nell’ottica di una corretta applica-
gie di comportamento energetico, proposizione
di riferimento metodologico e operativo per la
zione dei principi di efficienza energetica, ben
di soluzioni tecnologiche tipo per il miglioramen-
loro attività.
considerando la evidente difficoltà di conciliare la
to dell’efficienza energetica nei casi di studio,
conservazione di valori architettonici, storici e
generalizzazione dei risultati ed infine definizione
Punti di forza e di debolezza. I risultati della
tecnico funzionali degli edifici con la sempre
di linee guida operative per il recupero “energeti-
ricerca e la metodologia proposta, ben si presta-
maggiore necessità di garantire un ridotto consu-
co” degli edifici storici finalizzata alla redazione di
no a costituire una struttura su cui formulare una
mo energetico e prestazioni sempre più elevate e
un repertorio di buone pratiche e di un manuale
guida informatizzata per la gestione dei problemi
specifiche.
informatizzato per gli interventi.
di retrofit energetico dell’edilizia storica, uno strumento indirizzato a professionisti, enti locali che
Particolare rilievo è stato dato alla definizione di una metodologia di approccio al problema del
Obiettivi. Gli obiettivi hanno riguardato la quali-
si trovano a confrontarsi con i temi inerenti al
recupero eco-efficiente dell’edilizia storica, alla
ficazione energetica degli edifici dei centri storici
miglioramento dell’efficienza energetica degli
proposizione di criteri, linee guida e strumenti
volta al miglioramento delle prestazioni dei sub-
edifici appartenenti al patrimonio edilizio storico.
per garantire interventi appropriati e tesi al
sistemi e alla loro efficienza e sono riassumibili
miglioramento dell’efficienza energetica negli
nei seguenti punti: verifica e quantificazione, dal
Risultati. A conclusione del progetto di ricerca
edifici storici nel rispetto dei caratteri costruttivi,
punto di vista energetico, dell’edilizia storica e dei
sono stati raggiunti i seguenti risultati:
strutturali, architettonici e formali.
singoli componenti architettonici; valutazione dei
- la definizione di appropriate procedure e propo-
Sono state pertanto affrontate le principali pro-
materiali degli involucri edilizi storici e dei sistemi
ste operative sotto forma di linee-guida, repertori
blematiche relative alle prestazioni energetiche
tecnologici per qualificare le scelte di intervento
di buone pratiche e manuale informatizzato per
offerte dai subsistemi edilizi (anche attraverso la
di recupero in funzione dell’efficienza energetica;
gli interventi.
valutazione delle caratteristiche di tipo passivo
estensione dei risultati alle tipologie più caratteri-
- l’individuazione e sperimentazione di soluzioni
peculiari degli edifici storici, costruiti “senza
stiche per forma, tipologia, anno e tecniche di
tecnologiche e prodotti compatibili per il conse-
impianti”). La metodologia elaborata e tutte le
realizzazione; creazione di linee guida, criteri, defi-
guimento delle qualità prestazionali ricercate.
soluzioni analizzate sono state poi sperimentate
nizione di un sistema di interventi (di tipo
su un concreto caso di studio, il centro storico di
manualistico) per il recupero degli edifici storici
Molfetta, in terra di Bari, al fine di valutare la com-
nell’ottica dell’efficienza energetica.
Nel dettaglio, lo studio è stato articolato nelle fasi
Destinatari. I destinatari della ricerca sono prin-
di analisi dello stato dell’arte, definizione di un
cipalmente industrie, enti pubblici, gestori di
approccio metodologico relativo al recupero
patrimoni immobiliari e professionisti progettisti
Elisa Vita Caivano, dottore di ricerca in Ingegneria Edile al Politecnico di Bari. Lavora sui temi della sostenibilità e dell’efficienza energetica nei processi di recupero nell’edilizia storica. Nel 2008 e 2010 ha studiato presso l’IEMB - Institut für Erhaltung und Modernisierung von Bauwerken e.V. di Berlino.
energetico dell’edilizia storica diffusa, scelta del
operanti nel campo della conservazione, recupe-
elisacaivano@gmail.com
patibilità ambientale delle soluzioni proposte.
102 _ ilProgettoSostenibile 29
Università: Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Genova, Palermo Dipartimento: Dipartimento di Configurazione ed Attuazione dell’Architettura Corso di Dottorato: Recupero Edilizio e Ambientale Ciclo di Dottorato: XX Anno discussione tesi: 2008 Tutor: prof. arch. Vittorio Fiore Parole-chiave: manutenzione urbana; conoscenza; programmazione
Il Sistema Informativo per la manutenzione delle pavimentazioni urbane. Articolazione e criteri di stesura Lucia Carrubba Università degli Studi di Palermo
Argomento. Il percorso di ricerca si è articolato
Obiettivi. Obiettivo dichiarato della tesi è la defi-
descrivere i contenuti delle voci riportate nelle
nella strutturazione di un Sistema Informativo
nizione di uno strumento utile alla conoscenza
schede; gli Indicatori Urbani per il controllo pre-
applicabile a diversi contesti urbani, basato su
delle pavimentazioni stradali ed alla programma-
stazionale e la definizione del guasto urbano e la
caratteri selezionati come comuni alle componen-
zione dei relativi interventi manutentivi finalizza-
Matrice delle interferenze che analizza le connes-
ti urbane e sull’individuazione dei sistemi aggre-
to a prevenirne degradi e guasti, nell’ottica sia
sioni tra i vari elementi tecnici.
gati, applicando una metodologia che consenta
della tutela e dell’efficienza di un contesto urbano
Punto di debolezza della ricerca è la mancata
di adottare “interventi contestualizzati” vaglianti le
che della sicurezza dei propri cittadini.
informatizzazione e relativa applicazione dello strumento sul piano operativo. Questi due aspetti
possibili ricadute sugli elementi coinvolti. Finalizzato alla conoscenza per la conseguente
Destinatari. Lo strumento intende rappresentare
non hanno infatti, permesso di sperimentare il
conservazione, lo strumento s’inserisce nell’ambi-
un valido supporto decisionale per tutti i gestori
prototipo e valutarne i risultati conseguibili.
to tematico della Manutenzione Urbana, discipli-
della manutenzione urbana: Pubbliche
na di grande interesse ed attualità, in linea con
Amministrazioni Comunali e Provinciali,
Risultati conseguiti. Il principale risultato della
una sempre maggiore sensibilità alle relazioni tra
Soprintendenze BB.CC.AA. Ai Bb.Cc.Aa; Società
ricerca è stato la strutturazione di un Sistema
architettura e contesto, volta a programmare e
miste di gestione delle reti urbane: società di
Informativo, inteso quale Sistema di relazioni tra i
garantire nel tempo il mantenimento della “quali-
gestione acque, gas, energia elettrica, telecomuni-
flussi informativi, elaborata ad hoc secondo gli
tà” del sistema, perseguendo allo stesso tempo la
cazioni; Ricercatori, studiosi e professionisti incari-
specifici dati afferenti la diversa natura e le diffe-
salvaguardia dell’identità urbana.
cati della manutenzione.
renti caratteristiche delle pavimentazioni stradali. Si è inteso dunque, fornire un metodo comune
In quest’ottica la tesi ha affrontato le problematiche che emergono costantemente nell’ambito
Punti di forza e di debolezza. L’originalità dello
flessibile secondo le esigenze del luogo, che in
della gestione degli interventi manutentivi delle
studio consiste nell’individuazione di criteri per
netta contrapposizione con le attuali prassi ope-
pavimentazioni urbane, interventi che spesso non
un’organizzazione della conoscenza basata sul
rative, potesse fondere i propri principi con quelli
pongono adeguata attenzione agli aspetti gestio-
rapporto che si instaura tra sistema urbano e
della conoscenza (del patrimonio), della preven-
nali, trascurando il coordinamento derivante dalla
sistemi edilizi che lo compongono, con attenzio-
zione (dei possibili guasti), della tempestività
complessità dell’intero sistema dei sottoservizi.
ne alla versatilità necessaria nel continuo passag-
(dell’intervento) e della tutela (della città).
Entrando nel merito dell’articolazione dello stru-
gio tra scala edilizia e scala urbana. Il Sistema, da
mento, i contenuti dell’informazione sono stati
strumento contenuto negli orientamenti norma-
articolati sulla base della normativa UNI specifica
tivi cogenti, si evolve in questo studio da sempli-
Lucia Carrubba, architetto, dottore di ricerca in Recupero Edilizio e Ambientale, master in Esperto di Nanotecnologie per i Beni Culturali. Dal 2005 è cultore e svolge attività di ricerca presso
per l’ambito edilizio e secondo alcune esperienze
ce insieme di schede a sistema di relazioni che
operative adottate dalla Regione Lombardia e da
instaurano e regolano i flussi informativi.
alcuni Comuni siciliani. La selezione delle informa-
Altri punti di forza sono rappresentati dall’intro-
zioni contenute è derivata invece, da sopralluoghi
duzione in ambito urbano di sistemi già assodati
l’Università di Palermo. È autore di diverse pubblicazioni su riviste e atti.
e contatti diretti con diverse realtà comunali.
a scala edilizia come i Ricognitori per classificare e
luciacarrubba@libero.it
Tesi di Dottorato _ 103
Università: Università del Salento - Scuola Superiore ISUFI Dipartimento: Scienza dei Materiali - Ingegneria dell’Innovazione Corso di Dottorato: Conoscenza e valorizzazione del patrimonio culturale Ciclo di Dottorato: XXII Anno discussione tesi: 2011 Tutor: prof.ssa Rosella Cataldo Co-tutor: ing. Paolo Maria Congedo Parole-chiave: monitoraggio ambientale; indagini fisiche; studio dei processi di degrado per il recupero di edifici storici
Indagini fisiche per la diagnostica dello stato di conservazione della cripta del duomo di Lecce Delia D’Agostino Università del Salento
Argomento. Il crescente interesse per l’idonea sal-
segue: monitoraggio microclimatico; documenta-
quelli relativi al campionamento e all’analisi delle
vaguardia degli edifici storici e la loro valorizzazio-
zione grafica del degrado; campionamento e ana-
efflorescenze saline cristallizzatesi. Nella parte
ne fa sentire oggi con maggiore impellenza l’esi-
lisi delle efflorescenze; modellazione fisica e simu-
finale della ricerca si è cercato d’individuare le
genza di attuare una valutazione delle condizioni
lazioni numeriche con codici di fluidodinamica
soluzioni più idonee per migliorare le condizioni
ambientali attenta e capace di intervenire ade-
computazionale (CFD).
microclimatiche ai fini della corretta conservazio-
guatamente nei confronti di opere e monumenti
ne e del superamento dei problemi emersi nel-
soggetti a subire nel tempo danni spesso irrepara-
Destinatari. La metodologia di ricerca e l’approc-
l’analisi del monumento. Mediante modelli di
bili di natura meccanica, chimica e biologica.
cio interdisciplinare del lavoro rivestono interesse
simulazione in 3 dimensioni (3D) con codici di
Il progetto di ricerca ha l’intento primario d’inda-
per i ricercatori e gli studiosi che si occupano del
fluidodinamica computazionale (CFD), la distribu-
gare sullo stato di conservazione della Cripta sot-
settore e, principalmente, progettisti e tecnici che
zione spaziale dei parametri termoigrometrici è
tostante il Duomo di Lecce, attualmente chiusa al
operano nel campo del restauro e della conserva-
stata analizzata per diverse configurazioni di
pubblico, attenendosi alle tematiche della scienza
zione dei beni storici ed architettonici.
entrata ed uscita dell’aria all’interno della Cripta,
della conservazione del patrimonio architettoni-
determinando la più idonea alla conservazione
co e ponendosi l’obiettivo di creare un ambiente
Punti di forza e di debolezza. Il punto di forza
del monumento. A corredo dell’interpretazione
quanto più possibile consono a garantire il
del lavoro svolto è il carattere interdisciplinare e
degli esiti delle simulazioni effettuate mediante il
miglior compromesso tra tutela del monumento
innovativo della ricerca, che coniuga metodolo-
codice di fluidodinamica computazionale (CFD
e delle opere d’arte e relativa fruizione culturale.
gie d’indagine proprie della fisica, della chimica,
Fluent), è venuta incontro anche una serie di
del restauro architettonico e della modellistica
osservazioni presentate dalla normativa vigente
Obiettivi. La ricerca si è avvalsa di metodologie
fluidodinamica applicate allo studio dello stato di
non esclusivamente italiana in tema di conserva-
interdisciplinari non distruttive di ordine chimico-
conservazione dei monumenti.
zione dei beni culturali ed ecclesiastici al fine di
fisico atte a fornire una diagnostica quanto più
Il punto di debolezza è legato al tempo necessa-
una loro migliore tutela.
approfondita della situazione ambientale della
rio per realizzare la ricerca, alla necessità di
Cripta, con lo scopo di arrivare a dei risultati che
disporre di apposita strumentazione di monito-
costituissero la base per la pianificazione di azioni
raggio ambientale da posizionare accuratamente
mirate a recuperare e conservare il monumento.
per almeno un anno nell’edificio esaminato ed
L’approccio storico-artistico ha mosso la ricerca
alla difficoltà di relazionare e interpretare i nume-
nella sua fase iniziale volta a risalire alle origini
rosissimi dati provenienti dalle diverse indagini.
questa indagine preliminare e dai rilievi sul
Risultati. Il monitoraggio microclimatico è stato
campo sono state approfondite con un iter speri-
messo in relazione sia coi risultati relativi alla
Delia D’Agostino, conseguiti i diplomi di Laurea in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e di Laurea Specialistica in Valutazione d’Impatto e Certificazione Ambientale, si è interessata nel Dottorato di Ricerca di conservazione e valorizzazione di beni architettonici ed ambientali mediante
mentale multidisciplinare che si è avvalso di una
mappatura dei cambiamenti spaziali e temporali
indagini chimico-fisiche.
metodologia che può essere schematizzata come
del degrado riscontrato sulle murature, sia con
delia.dagostino@email.it
del monumento. Le problematiche emerse da
104 _ ilProgettoSostenibile 29
Università: Università degli Studi di Napoli “Federico II” Dipartimento: Dipartimento di Configurazione ed Attuazione dell’Architettura Corso di Dottorato: Tecnologia dell’Architettura Ciclo di Dottorato: XXII Anno discussione tesi: 2010 Tutor: prof. arch. Dora Francese Parole-chiave: valutazione sostenibilità; architettura fotovoltaica
Confronto tra i livelli di ecosostenibilità, biocompatibilità e convenienza del fotovoltaico a film sottile e di quello organico Cristian Filagrossi Ambrosino Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Argomento. Qualsiasi riflessione sul rapporto tra
Il settimo livello fornisce, per ogni indicatore, una
Altra novità è quella di aver dedicato un’intera
produzione industriale e ambiente deve partire
scala di valori che va da 1 a 5.
sezione del metodo all’approfondimento dei
dal presupposto, fermo e irrinunciabile, che vede,
L’ottavo viene riempito, in fase di valutazione, con
parametri di tipo formale, geometrico e cromati-
come afferma Ezio Manzini, la sostenibilità
i punteggi relativi a ogni indicatore.
co, che determinano un equilibrato inserimento
ambientale come un obiettivo da raggiungere e
Il metodo è stato testato confrontando l’applica-
del sistema fotovoltaico all’interno dell’organi-
non, come oggi molto spesso è intesa, come una
zione di due diverse tecnologie fotovoltaiche,
smo edilizio.
direzione verso cui andare. In questo senso non
CIGS (film sottile) e DSSC (a coloranti organici,
Sarebbe opportuno, infine, testare la validità del
tutto quello che apporta un qualche migliora-
ottenuti dal succo dei mirtilli), su uno stesso caso
metodo, applicandolo su casi studio in cui sia pre-
mento in tema ambientale, magari quello più
studio: il Museo della Migrazione di Ventotene.
visto l’utilizzo di pannelli fotovoltaici integrati
immediato e appetibile, può essere considerato
come serramento o copertura vetrata, in modo
sostenibile. Sempre più oggi, dunque, per gli
Destinatari. Sono in primo luogo i progettisti e le
da poter verificare la bontà della parte relativa al
addetti ai lavori diventa fondamentale trovare
Pubbliche Amministrazioni, che possono disporre
Benessere, sviluppata in maniera completa nella
strumenti flessibili e di facile utilizzo attraverso i
di uno strumento semplificato ed intuitivo per
ricerca, ma non applicata per le contingenze del
quali riuscire a valutare, a 360°, gli impatti delle
controllare, già in fase di ideazione, gli impatti
caso studio scelto.
proprie scelte progettuali.
ambientali, sociali ed economici delle proprie scelte confrontando in maniera diretta le diverse
Risultati attesi. Nell’ottica di spendibilità della
Obiettivi. La ricerca si è prefissata l’elaborazione
alternative progettuali.
ricerca sul mercato il metodo di valutazione, è
di un metodo semplificato per la valutazione
Inoltre, dal momento che il risultato finale resti-
stato implementato all’interno di un foglio di cal-
della sostenibilità delle tecnologie fotovoltaiche
tuito dal metodo di valutazione è un vero e pro-
colo che ha consentito l’automazione di tutte
applicate in architettura, che tenga conto non
prio marchio, anche le aziende del settore foto-
quelle formule (medie e pesatura) che sono alla
solo degli input (materia ed energia) e degli out-
voltaico possono trovare in esso uno strumento
base dei sistemi a punteggio. In realtà, però, il
put (inquinamento ambientale e tossicità) ma
utile per validare la qualità ambientale dei propri
risultato finale atteso della ricerca è la creazione e
anche dell’applicazione all’interno dell’organismo
prodotti.
la commercializzazione di un vero e proprio software informatico, supportato da relativi database
architettonico, la contestualizzazione del prodot-
informazionali.
to nella realtà climatica, introducendo anche ele-
Punti di forza e di debolezza. Alcuni aspetti del
menti per una valutazione degli impatti tecnici
metodo di valutazione si pongono, su tutti, come
ed economici.
fattori di novità nel panorama attuale degli stru-
La matrice consta di otto livelli gerarchici a casca-
menti di verifica.
ta: categorie che descrivono il bersaglio degli
In primo luogo il tentativo di “sintetizzare” in un
eventuali impatti (l’uomo, l’ambiente e la sfera
unico strumento tutti gli aspetti che possono
tecnico-economica); classi di esigenze; esigenze;
determinare il successo globale di un prodotto
Cristian Filagrossi Ambrosino, è Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura presso il Dipartimento di Configurazione ed Attuazione dell’Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II.
requisiti; parametri; indicatori.
fotovoltaico rispetto ad un altro.
cristian.filagrossi@gmail.com
Tesi di Dottorato _ 105
Università: Seconda Università degli Studi di Napoli - SUN Dipartimento: Dipartimento di Restauro e Costruzione dell’Architettura e dell’Ambiente Corso di Dottorato: Tecnologie dell’Architettura e dell’Ambiente Ciclo di Dottorato: XXIII Anno discussione tesi: 2010 Tutor: prof. arch. Maria Isabella Amirante Co-tutor: prof. arch. Sergio Rinaldi Parole-chiave: progetto di suolo; qualità ambientale; rigenerazione urbana
Abitare il suolo. Requisiti per un modello sostenibile d’uso abitativo del suolo Luigi Foglia Seconda Università degli Studi di Napoli - SUN
Argomento. I processi che sottendono l’attuale
macro sistemi ambientali e mettendo in campo
stato di frammentazione, diffusione e dispersione
un approccio multiscalare che offra una risposta
in grado di conformare exempla in cui rileggere
della città contemporanea hanno col tempo
alle aspettative di una rigenerata qualità ambien-
una completa ottimizzazione delle potenzialità
nella pratica progettuale e costruttiva realmente
“smagliato” il confine del vivere urbano, fino a
tale nelle aree urbane marginali e degradate. Una
emergenti in risposta alla complessità del proget-
renderlo sempre più labile e indistinto. Lungo tali
reinterpretazione, questa, di un mutamento tetto-
to abitativo di suolo.
margini, in quello che è stato definito terrain
nico/sistemico indotto da textures di soluzioni
vague, il progetto di suolo offre oggi la possibilità
insediative in sequenza dinamica che,“rimodel-
Risultati attesi. I risultati attesi dall’applicazione
di strutturare rinnovate relazioni tra insediamenti
lando la terra”, prefigurano topografie urbane non
dello strumento di analisi/valutazione e del
urbani e paesaggio, innescando processi capaci
rigidamente lineari, a cui si affida il compito di
modello concettuale di sintesi qui proposti inten-
di individuare nuove centralità.
riscoprire e reinterpretare le qualità identitarie
dono individuare le rispondenze tra le possibili
In quest’ampio quadro concettuale, il presente
residue, in modo da organizzare la discontinuità
strategie tecnologico-progettuali e le prestazioni
lavoro di ricerca intende focalizzare l’attenzione
marginale in un nuovo ordine qualitativo.
energetiche e ambientali derivanti da un uso abi-
sulla dimensione abitativa del suolo – interpre-
tativo del suolo, qui vagliato come potenziale
tando quest’ultimo come materiale ed elemento
Destinatari. La ricerca, tramite la definizione
promotore di un rigenerato urban landscape.
primario da plasmare in geografie/topografie
strutturata di un quadro integrato di requisiti
Il riequilibrio delle densità abitative potrà inte-
artificiali – con l’intento di ottimizzare gli aspetti
ambientali specifici, intende proporre un innova-
grarsi, così, allo sviluppo di spazi pubblici, di siste-
qualitativi che rendono le soluzioni insediative
tivo approccio metodologico a supporto dell’atti-
mi produttivi agricoli distribuiti e di reti ambien-
integrate al suolo in grado di intervenire nella
vità del progettista, che sia in grado di ottimizza-
tali, provvedendo, al contempo, a un necessario
riorganizzazione delle identità marginali urbane.
re gli aspetti qualitativi emergenti da sistemi
controllo nelle fasce sensibili del territorio – nelle
insediativi integrati al suolo.
aree residuali e di frangia – che le preservi dal degrado.
Obiettivi. Muovendo da un approccio sistemico e da un’ottica esigenziale-prestazionale, s’intende
Punti di forza e di debolezza. L’originalità del
proporre un metodo volto all’integrazione dei
processo di ricerca consiste nel perseguimento di
saperi e delle conoscenze, capace di fornire
due obiettivi strategici: da un lato, lo sviluppo di
un’appropriata chiave di lettura e di controllo
un approccio metodologico integrato per la
delle logiche che sottendono i processi di trasfor-
messa a punto di uno specifico quadro di requisi-
mazione dei luoghi e d’ibridazione sistemica, poi-
ti ambientali; dall’altro, la costruzione di un
ché in grado di incidere positivamente sul riasse-
modello concettuale capace di introdurre una
sto del rapporto uomo-natura-citta`.
prospettiva di ricerca innovativa e sostenibile per
In tale prospettiva sono vagliati gli ambiti di una
un uso abitativo del suolo: le Architetture
progettualità sostenibile del suolo, definendo un
Subsuperficiali. Occorre, tuttavia, specificare che,
Luigi Foglia, architetto, primo premio Archiprix Italia 2008, dottore di ricerca con riconoscimento europeo (Doctor Europaeus) in Tecnologie dell’Architettura e dell’Ambiente, svolge attività di ricerca nell’ambito della Progettazione Ambientale.
carattere di indagine che spazia dai micro ai
ad oggi, si riscontra una carenza di riferimenti
luigi.foglia@gmail.com
106 _ ilProgettoSostenibile 29
Università: Università degli Studi di Firenze Dipartimento: Dipartimento di Tecnologia dell’Architettura e Design “Pierluigi Spadolini” Corso di Dottorato: Tecnologia dell’architettura e Design Ciclo di Dottorato: XXII Anno discussione tesi: 2010 Tutor: prof. Simone Secchi Parole-chiave: isolamento acustico; tecnologie costruttive; classificazione acustica degli edifici
100
100 98
90 80
85
88 88
77
70 60 Anni 50
50
Anni 60
Anni 70
Anni 80
40
anni 90
Anni 00
30 20
17
10 0
0
1
5
2
2
0 0,8
3
5
3
2
Parete in elementi di Parete in pannelli di Parete in pannelli di calcestruzzo laterizio cartongesso o blocchi di gesso
0 0,2
3
5
7
8
Parete in blocchi di calcestruzzo
Analisi della qualità acustica degli edifici italiani dal dopoguerra ad oggi e soluzioni per l’adeguamento degli edifici ai nuovi standard acustici Elisa Nannipieri Università degli Studi di Firenze
Argomento. Alcuni Paesi Europei hanno pubbli-
per far fronte al problema del rumore negli edifici
cato regolamenti per la corretta progettazione
residenziali; l’analisi delle soluzioni costruttive, dei
stenti; la necessità di ampliare il database di misu-
acustica degli edifici da affiancare alle norme tec-
materiali edili e delle prestazioni acustiche delle
re effettuate in opera su edifici realizzati dopo
effettuare maggiori misure in opera su edifici esi-
niche per la valutazione previsionale delle presta-
partizioni verticali, orizzontali, interne ed esterne
l’entrata in vigore del DPCM 5/12/97 con i risultati
zioni acustiche. Lo strumento è stato valutato
degli edifici italiani realizzati dal dopoguerra ad
di collaudi effettuati nelle regioni meridionali.
positivamente da progettisti e imprese, dimo-
oggi; l’individuazione di soluzioni applicabili a
strando che un’accurata scelta delle soluzioni
edifici esistenti per risanare il clima acustico inter-
Risultati. La ricerca ha evidenziato una significa-
progettuali con le indicazioni per una corretta
no, e infine progetti di risanamento acustico di
tiva crescita del livello di qualità acustica degli
messa in opera può ridurre sensibilmente il
edifici tipo per ogni decennio.
edifici negli anni ma il raggiungimento degli standard minimi riguarda ancora una piccola per-
rischio di rumori molesti. L’Italia necessita di un documento simile ma con soluzioni tecniche che
Destinatari. I destinatari sono gli operatori coin-
centuale degli edifici costruiti. Inoltre, intervenire
tengano conto della pratica esecutrice tipica del
volti nel processo di progettazione e di costruzio-
sul patrimonio edilizio esistente per migliorare la
nostro contesto nazionale.
ne degli edifici residenziali.
qualità acustica è possibile anche se il corretto
La ricerca analizza le soluzioni costruttive e i
Il prodotto della ricerca sarà utile: al progettista
isolamento acustico di una unità immobiliare già
materiali edili utilizzati nelle costruzioni italiane
come strumento d’indirizzo per individuare le
costruita e abitata è un’operazione onerosa che,
dal dopoguerra a oggi e determina l’andamento
soluzioni tecnologiche adatte a migliorare il con-
oltre tutto, riduce i volumi dei vani. La nuova
delle prestazioni acustiche delle partizioni verti-
fort acustico interno di edifici residenziali; al diret-
norma sulla classificazione acustica potrebbe
cali, orizzontali, interne ed esterne degli edifici
tore dei lavori per evitare errori durante la posa in
incentivare la qualificazione dell’esistente crean-
costruiti nei decenni passati, al fine di definire
opera; alle pubbliche amministrazioni per riquali-
do un rapporto di trasparenza con l’utente oltre
soluzioni tipo per gli interventi di miglioramento
ficare le abitazioni di edilizia popolare costruite
che allineare l’Italia agli altri paesi europei.
acustico negli edifici esistenti.
negli anni ‘50,‘60,‘70.
Migliorare il confort interno degli edifici garanti-
Obiettivi. La ricerca mira a fornire sia una pano-
Punti di forza e di debolezza. La ricerca prende
ramica completa della qualità acustica degli edifi-
forza dai seguenti punti: l’aver determinato solu-
ci esistenti sia gli strumenti utili a progettisti e
zioni acusticamente migliorative applicate a edifi-
imprese per risanare acusticamente il patrimonio
ci esistenti e modulate sulla norma UNI 11367;
edilizio esistente.
l’aver creato un database delle prestazioni acusti-
Nello specifico, gli obiettivi della ricerca sono
che degli edifici costruiti nell’ultimo decennio;
stati: la messa a punto di un quadro riassuntivo e
l’aver avuto la possibilità di sperimentare in opera
comparativo delle classificazioni acustiche adot-
e in laboratorio alcune delle soluzioni risanative
tate dai diversi paesi europei; lo studio delle solu-
proposte.
occupandosi prevalentemente dello studio delle prestazioni acustiche dei componenti edilizi.
zioni costruttive proposte dai vari paesi europei
I punti di debolezza sono, invece: la necessità di
elisa.nannipieri@taed.unifi.it
rebbe un maggior stato di benessere tra la popolazione.
Elisa Nannipieri, laureata con lode in Architettura presso l’Università degli Studi di Firenze, è dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Design. Dal 2005 collabora con il Laboratorio di Fisica ambientale per la Qualità Edilizia presso il dipartimento TAeD,
Tesi di Dottorato _ 107
Università: Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Dipartimento: DATA – Design Tecnologia dell’Architettura Territorio Ambiente Corso di Dottorato: Progettazione Ambientale Ciclo di Dottorato: XXII Anno discussione tesi: 2010 Tutor: prof. arch. Fabrizio Orlandi Co-tutor: prof. arch. Giorgio Peguiron Parole-chiave: retrofit energetico; gestione e controllo dei processi di trasformazione
Il progetto dell’esistente - Strumenti, processi e metodi per il recupero, la riqualificazione e l’adeguamento tecnologico, energetico e ambientale degli edifici per uffici Carlotta Pediconi Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Argomento. Il dottorato di ricerca in
prestazionale energetico raggiungibile; definizio-
come valida alternativa a risoluzioni drastiche
Progettazione Ambientale è una specificità acca-
ne di un modello tecnico valutativo/operativo e
come la dismissione e l’abbattimento. Ciò detto il
demica ventennale propria del dipartimento
di indirizzi tecnici e tecnologici di progetto.
modello potrebbe essere sviluppato anche su edi-
alla risoluzione di problematiche ambientali atti-
Destinatari. La ricerca in una prima fase valuta
do un documento più efficace in termini di otti-
nenti al settore disciplinare della Tecnologia
l’attitudine alla trasformazione energetica (tecnolo-
mizzazione del processo di trasformazione ener-
dell’Architettura. Gli ambiti scientifici di applica-
gicamente preposti alla trasformazione ed ener-
getico/ambientale del patrimonio nazionale.
zione fanno riferimento a tematiche ambientali
geticamente poco efficienti) del patrimonio italia-
relative all’individuazione di un modello operati-
no esistente (direzionale), individuando una tipo-
Risultati. La ricerca compie una ricognizione sullo
vo in grado di definire opportunamente strategie
logia edilizia come la più vantaggiosa in termini di
stato dell’arte relativo a ricerche nazionali e inter-
di controllo e gestione dei processi di trasforma-
fattibilità economica e presenza sul territorio.
nazionali in materia ed è finalizzata a verificare se
zione; in particolare alla definizione di soluzioni
Pertanto, il modello operativo, potrebbe essere
dai principi teorici e dalle applicazioni pratiche è
tecnologiche relative all’attività di recupero ener-
utilizzato da Enti Pubblici e/o Privati proprietari di
possibile estrapolare criteri e parametri qualitativi
getico e ambientale del patrimonio edilizio esi-
beni immobili edificati tra i primi anni ‘60 e i primi
e quantitativi per la valutazione degli interventi e
stente, le soluzioni rilevano inoltre l’incidenza
anni ‘80 con destinazione d’uso direzionale.
per la definizione di un apparato di supporto
DATA, l’offerta scientifica e formativa è dedicata
fici aventi altre caratteristiche costruttive fornen-
economica di ogni singola strategia in relazione
metodologico-applicativo progettuale per il recu-
all’intervento globale. Ai fini di validare il modello,
Punti di forza e di debolezza. L’ambito di speri-
pero eco-sostenibile; tale modello consiste in una
esso è stato utilizzato (caso applicato) in un pro-
mentazione in esame costituisce un tema di ricer-
selezione mirata di indirizzi, strumenti e linee
getto di retrofit come elemento strategico per la
ca di estremo interesse per la risoluzione di pro-
guida da utilizzare a livello applicativo. Nel com-
definizione delle scelte d’intervento.
blematiche relative al progetto dell’esistente, la
plesso la duplice valenza della ricerca, quella di
ricerca insiste sull’analisi di edifici la cui diffusione
ordine teorico e quella di ordine tecnico pratico,
Obiettivi. La ricerca ha perseguito un obiettivo
è concentrata tra i primi anni ‘60 e i primi anni ‘80
appare come un ulteriore contributo per la deter-
generale relativo alla definizione di linee guida
e si presta, per condizione di degrado fisico,
minazione di strumenti d’intervento per la proget-
proprie del progetto di retrofit energetico/ambien-
dispendio economico gestionale e scadimento
tazione e il controllo degli interventi di retrofit.
tale. Per definire il modello, si sono individuati
funzionale, a definire e ad applicare nuovi metodi
obiettivi intermedi: definizione e individuazione
relativi a processi di riqualificazione e rifunziona-
di requisiti e di parametri valutativi e operativi
lizzazione del singolo edificio come di interi com-
Carlotta Pediconi, architetto, svolge sia l’attività di libero professionista nell’ambito delle tematiche relative alla Progettazione Ambientale sia l’attività di professore a contratto e di coordinatore di ricerche presso il Dipartimento DATA - Università degli Studi
relativi a determinati scenari di sviluppo suppor-
parti edilizi. Il fatto che il dibattito architettonico è
tati dall’analisi di casi studio dedicati; analisi e
spesso incentrato sul tema delle condizioni gene-
valutazione del patrimonio edilizio nazionale
rali del patrimonio immobiliare postbellico
direzionale, individuando l’indicatore di attitudi-
“demolire e/o conservare”, determina un’ulteriore
di Roma “La Sapienza”.
ne alla trasformazione in relazione al risultato
ragion d’essere di questa ricerca, il cui fine si pone
carlotta.pediconi@libero.it
108 _ ilProgettoSostenibile 29
Università: Università degli Studi di Ferrara Dipartimento: Dipartimento di Architettura Corso di Dottorato: Tecnologia dell’architettura Ciclo di Dottorato: XXII Anno discussione tesi: 2010 Tutor: prof. Pietro Zennaro Parole-chiave: schermature solari; facciate; qualità ambientale
Zona Mobile. Tecnologie per l’integrazione architettonica di elementi schermanti mobili Alessandro Premier Università degli Studi di Ferrara
Argomento. La ricerca si occupa dell’integrazio-
logie esistenti sul mercato non ancora catalogate.
nere un sistema di linee guida per il progetto di
ne delle schermature mobili esterne nei prospetti
L’obiettivo principale della ricerca è stato però
architettura focalizzata su questo tema specifico. I
architettonici. Essa si sviluppa prevalentemente
individuare quelle tecnologie che sono in grado
limiti riguardano essenzialmente la collocazione
intorno al tema della qualità ambientale, stretta-
di definire dei parametri architettonici decisivi
prevalente nella contemporaneità, negli interven-
mente limitata alla integrazione architettonica di
per la scelta di un sistema di schermatura esterno
ti di restauro è necessario effettuare un’analisi
questi elementi con i prospetti degli edifici.
rispetto ad un altro, capaci di favorirne l’integra-
storica caso per caso. È presente comunque
Riguarda in prevalenza la qualità degli spazi aper-
zione nel prospetto, nel contesto e con la cultura
un’analisi storica dei vari sistemi di schermatura.
ti ma anche di quelli confinati.
e la tradizione dei luoghi. Lo scopo finale della
Quando si parla di qualità ambientale spesso
ricerca è stato produrre delle linee guida per il
Risultati attesi. I dati emersi dalle analisi sui casi
significa interessarsi di benessere fisiologico lega-
progetto di architettura, che si sono tradotte
studio sono stati elaborati in grafici e sono stati
to alle condizioni microclimatiche, nel senso che
anche in un software di agevole utilizzo.
confrontati trasversalmente producendo i risultati scientifici che sono alla base del sistema di linee
recentemente la ricerca tende a concentrarsi solo su aspetti energetici. Questi aspetti qui sono
Destinatari. La ricerca si rivolge prevalentemen-
guida approntato. Tali risultati si sono tradotti in
lasciati in disparte, poiché l’orientamento che pri-
te a quattro settori della filiera che va dalla pro-
un’analisi stocastica del campione indagato rap-
vilegia il risparmio energetico e il benessere
duzione all’uso di questi sistemi. I settori sono:
presentata sotto forma di percentuali. Si è potuto
microclimatico purtroppo trascura un aspetto
produzione, vendita/installazione, progettazione
quindi elaborare un sistema di linee guida per il
ritenuto in questa sede particolarmente strategi-
architettonica e istituzioni. Il settore a cui si rivol-
progetto che è stato modellato per confronto tra
co, cioè che nella maggior parte dei casi le prote-
ge prevalentemente la ricerca è quello della pro-
i dati statistici emersi dalla ricerca e un sistema di
zioni solari non rientrano all’interno di un proget-
gettazione. Per il settore della produzione la ricer-
tipologie di facciata diviso tra prospetti con aper-
to di architettura, così come non si tiene conto di
ca può essere utile a perfezionare alcune linee
ture piccole o medie e prospetti con aperture
quanto esse possano condizionare l’aspetto dei
immesse sul mercato. Il settore degli installatori e
grandi.
luoghi: dalla singola facciata, al fronte urbano, alla
dei venditori può sfruttare la ricerca per una cre-
città.
scita culturale. La ricerca può essere utile alle isti-
In questa ricerca si sono presi in considerazione
tuzioni locali (Comuni, Province, Soprintendenze
tutti i principali aspetti che riguardano il settore
ecc.) per implementare e perfezionare i regola-
delle schermature: storia, produzione, normativa,
menti attinenti alle schermature.
bibliografia, software e la progettazione ambien-
Obiettivi. Uno degli obiettivi è stato implemen-
profilo dell’integrazione con l’edificio e il suo con-
tare la classificazione dei sistemi schermanti, pre-
testo. Presenta una classificazione dei sistemi
Alessandro Premier, architetto libero professionista, è dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura. Attualmente è professore a contratto di Progettazione dei Sistemi Costruttivi presso l’Università IUAV di Venezia, Facoltà di Architettura.
sente nelle norme UNI, con la definizione di tipo-
schermanti aggiornata. È la prima ricerca a conte-
premier@iuav.it
tale, intesa dal punto di vista architettonico.
Punti di forza e di debolezza. È la prima ricerca a trattare il tema delle schermature solari sotto il
Tesi di Dottorato _ 109
Università: Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Dipartimento: DATA - Design Tecnologia dell’Architettura Territorio e Ambiente Corso di Dottorato: Progettazione Ambientale Ciclo di Dottorato: XXIII Anno discussione tesi: 2011 Tutor: prof. Fabrizio Orlandi Parole-chiave: tecnologia superiore; tecnologie alternative; città intelligenti
Lo sviluppo delle infrastrutture / Infrastrutture per lo sviluppo Modelli e-volutivi: le micro reti locali ed i nuovi assetti, materiali ed immateriali, per le città intelligenti Maurizio Sibilla Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Argomento. La ricerca si colloca nell’ambito della
tivamente, articolando i caratteri spaziali ed
Gestione Tecnologica Ambientale dei Processi
ambientali a cui esso è connesso. In particolare,
energetiche.
Insediativi, affrontando il tema di rilevante con-
riscoprendo la condizione “locale” per l’organizza-
Risultati attesi. L’introduzione del nuovo model-
temporaneità dell’evoluzione da un sistema ener-
zione dell’assetto urbano, attraverso il carattere
lo infrastrutturale comporterà importanti ricadute
getico centralizzato, a base di combustibili fossili
interdisciplinare ed a-scalare proprio del progetto
sulle sfere dell’abitare. Sotto il profilo morfologico
e gestione passiva, verso un sistema decentrato,
ambientale.
– tecnologico, la condizione geografica locale non diviene più un aspetto connesso alla sensibi-
supportato da fonti energetiche rinnovabili e gestite attraverso la configurazione di micro reti
Destinatari. I risultati della ricerca sono rivolti a
lità individuale-occasionale, ma collettiva-struttu-
locali. L’attualità del tema, definita quale “evolu-
supportare i soggetti (pubblici e/o privati) interes-
rale per l’assetto urbano. Sul piano dell’approvvi-
zione” in quanto costruzione di sistemi di organiz-
sati a rispondere sia alla contemporanea domanda
gionamento energetico, la Generazione
zazione sempre più complessi, mette a sistema
istituzionale, nelle specifiche implicazioni dell’asse
Distribuita (DG), svolgerà un ruolo chiave copren-
priorità di interventi strategici inquadrati da una
tematico Smart Cities del 7°PQ, sia come contribu-
do una vasta gamma di tecnologie da integrare
combinazione di direttive europee, sulla base
to della gestione Tecnologica Ambientale da decli-
nel sistema territorio-città-edificio. Dal punto di
delle quali, i Programmi Quadro hanno elaborato
nare all’interno dei Programmi Urbani Integrati di
vista economico-gestionale, la nuova configura-
specifici assi tematici. La ricerca è rivolta alle inte-
prossima generazione.
zione infrastrutturale, consentirà di aggregare in un unico profilo diverse micro-unità autogestite
razioni tra l’asse delle Smart Cities e quello delle Smart Grid, prospettando un processo teso verso
Punti di forza e di debolezza. L’indagine si avvia,
(Virtual Power Plant), che non avrebbero peso eco-
la smaterializzazione delle infrastrutture che
costruendo e analizzando lo scenario dei riferi-
nomico e contrattuale prese singolarmente. Sul
segna la necessità di ridefinire il quadro teorico
menti teorico-scientifici e normativi del panorama
piano procedurale una tale innovazione richiede-
ed operativo di riferimento, trattandosi di forme
internazionale e nazionale, sul tema dell’innova-
rà una specifica filiera produttiva locale, in grado
infrastrutturali del tutto inedite.
zione energetica. In quest’ottica, la tesi costituisce
di fornire le risorse, materiali ed immateriali, al
un contributo originale nella configurazione di
processo di trasformazione e ri-generazione
Obiettivi. Ridefinire il quadro teorico-operativo
ipotesi per lo sviluppo e nell’esplorazione delle
ambientale, economica e sociale.
significa indagare sul complesso delle relazioni
possibilità operative connesse all’elaborazione di
tra le istanze della progettazione degli insedia-
un modello insediativo basato su micro reti locali.
menti, con approvvigionamento energetico di
Dalla ricerca applicata si è proceduti alla selezione
tipo tradizionale e le specificità del nuovo model-
di casi di studio, come supporto per la falsificazio-
lo. L’Obiettivo è strutturare l’iter progettuale del
ne delle ipotesi, da cui è emersa una fase forte-
nuovo modello infrastrutturale: da un lato,
mente embrionale di trasferimento tecnologico
costruendo un quadro delle barriere sociali, tec-
tra Smart Grid e processi di trasformazione urba-
nologiche, normative e di mercato allo sviluppo
na, il cui sviluppo, anche sul breve periodo, è supe-
sa come occasione di ricerca applicata.
dell’infrastruttura decentrata; dall’altro, più opera-
rabile solo attraverso chiari indirizzi di politiche
mauriziosibilla@libero.it
Maurizio Sibilla è architetto. Si specializza nel 2007 con il Master in Ecologia del paesaggio e pianificazione ambientale. Dottorando in Progettazione Ambientale, svolge attività professionale spesso inte-
110 _ ilProgettoSostenibile 29
Università: Politecnico di Bari Dipartimento: Dipartimento di Architettura e Urbanistica (DAU) Corso di Dottorato: Ingegneria Edile Ciclo di Dottorato: XXII Anno discussione tesi: 2011 Tutor: prof. G. R. Dell’Osso; S. R. Gaffin Parole-chiave: valutazione del ciclo di vita; albedo superficiale; isola di calore urbana
Evaluation of the Surface Albedo in a LCA Multi-scale Approach. The Case Study of Green, White and Black Roofs in New York City Tiziana Susca Politecnico di Bari
Argomento. L’albedo superficiale dei materiali da
impatti su i cambiamenti climatici dovuti alla
costruzione non è considerata nelle valutazioni
variazione di albedo. Modellazione dello stesso
put della ricerca sono: progettisti, pianificatori
LCA ‘tradizionali’. Il mio lavoro di ricerca è incen-
all’interno del software SimaPro 7.1, metodo
urbani, amministrazioni pubbliche interessate ai
trato sull’implementazione metodologica della
Impact 2002+.
temi ambientali e sociali. Nonché, società di svi-
LCA considerando l’albedo superficiale in un
Tre modelli climatologici sono stati applicati al
luppo di software LCA e la comunità scientifica
approccio multi-scala. In particolare, ho studiato
caso di studio articolato come segue.
interessata in valutazioni di sostenibilità ambien-
l’albedo superficiale dei solai di copertura degli
- Micro-scala: si sono confrontati gli impatti relati-
tale.
edifici considerando gli effetti che questo ha su:
vi alla fase d’uso e manutenzione dei tre solai di
scala globale - effetti sulla chimica atmosferica;
copertura in una valutazione LCA a 50 e 100 anni.
Punti di forza e di debolezza. L’introduzione
microscala - consumi energetici dell’edificio e
Un modello climatologico esistente e un modello
dell’albedo superficiale nelle valutazioni LCA e
manutenzione dei solai; scala urbana - effetti sul
sviluppato ad hoc sono stati applicati per valutare
l’approccio multi-scala alla valutazione degli
clima urbano, in particolare sulle isole di calore, e
gli impatti evitati relativi all’aumento dell’albedo
impatti ambientali di prodotto, sono stati giudica-
sulla salute umana.
superficiale sui cambiamenti climatici.
ti innovativi rispetto alla letteratura esistente.
L’idea di ricerca è nata dalla constatazione che
- Scala urbana: è stato applicato un modello cli-
Inoltre, i risultati della ricerca hanno dimostrato
LCA considera parzialmente il sistema di relazioni
matologico in grado di quantificare la diminuzio-
che l’albedo superficiale ha un peso significativo
esistenti tra edificio, o sue parti, e il contesto.
ne di temperatura derivante dalla conversione a
sulla valutazione finale dei carichi ambientali.
Mediante l’approccio multi-scala si è considerata
scala urbana dei solai di copertura neri in solai
parte delle relazioni tra edificio e il contesto in cui
bianchi. Mediante analisi statistiche ed epidemio-
Risultati. La valutazione dell’albedo pesa in
questo è inserito. I risultati teorici sono stati appli-
logiche sono stati calcolati gli effetti positivi sulla
modo significativo nelle valutazioni LCA dei tre
cati a un caso di studio condotto in collaborazio-
salute umana derivanti dalla mitigazione dell’iso-
solai di copertura. L’approccio multi-scala e l’arric-
ne con la Columbia University presso la NASA;
la di calore urbana.
chimento metodologico proposto della LCA è il
Destinatari. I possibili utilizzatori finali degli out-
primo passo verso un’applicazione olistica della
ovvero, si sono confrontate le prestazioni ambientali di tre tipologie di solai installati a New
Obiettivi. - Migliorare e ampliare il metodo LCA,
LCA nel settore edilizio e verso la definizione di
York City: tetto nero; bianco e verde.
definendo una metodologia per la valutazione
una LCA urbana.
La ricerca è stata articolata nelle seguenti fasi:
dell’albedo superficiale;
fase di osservazione e studio dell’isola di calore di
- quantificare l’influenza dell’albedo urbana nella
New York City e delle temperature superficiali del
valutazione LCA di un solaio di copertura valutato
tetto nero, bianco e verde; studio dei modelli cli-
in ambiente urbano;
matologici per la definizione delle relazioni tra
- dimostrare come l’impatto relativo a un prodot-
variazione di albedo ed effetti sulla chimica atmo-
to – nel caso di studio presentato, un solaio – pos-
sferica e sul clima urbano; sviluppo di un modello
sano dipendere dalle interazioni col contesto in
Tiziana Susca è dottore di ricerca in Ingegneria Edile al Politecnico di Bari. 2006-2008: ha collaborato come tutor ai corsi di Architettura e Progettazione Urbanistica. 2009-2010: ha studiato presso la NASA e il CCSR della Columbia University a New York.
climatologico ad hoc per la valutazione degli
cui questo è inserito.
tiziana.susca@libero.it
Tesi di Dottorato _ 111
Università: Università degli Studi di Palermo Dipartimento: Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia (DPCE) Corso di Dottorato: Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi Ciclo di Dottorato: XXI Anno discussione tesi: 2010 Tutor: prof. arch. Giuseppe De Giovanni Co-tutor: prof. arch. Giuseppe Carta Parole-chiave: archeologia urbana; valorizzazione del patrimonio archeologico; città storica
La città nascosta - Conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico urbano Alessandro Tricoli Università degli Studi di Palermo
Argomento. Le problematiche connesse alla con-
sa per la messa a punto di una metodologia d’in-
servazione ed alla valorizzazione dei contesti
tervento capace di tenere in considerazione sia le
di degrado dell’ambiente urbano.
archeologici, che già presentano un alto grado di
caratteristiche dei beni archeologici che i diffe-
Risultati attesi. I risultati attesi dallo studio pos-
complessità nei siti di collocazione extraurbana,
renti tipi di contesti urbani dove gli interventi di
sono essere riassunti nei seguenti punti: 1) fornire
assumono un significato del tutto specifico quan-
valorizzazione hanno luogo.
una solida base operativa, finora piuttosto lacunosa, a tutti gli architetti coinvolti nella valorizza-
do hanno come scenario la città contemporanea. Se le ragioni della tutela non possono chiaramen-
Destinatari. La ricerca può essere facilmente
zione dei beni archeologici urbani. Non si attende
te essere messe in discussione, tutto quello che
recepita sia da tutti quei professionisti (archeolo-
un risultato di tipo manualistico, quanto una
ne segue è affidato a procedure aperte, dai mol-
gi, architetti, urbanisti) che vogliono avere un pre-
sorta di atlante delle esperienze del recente pas-
teplici indirizzi (conservazione, valorizzazione,
ciso quadro di riferimento in materia di valorizza-
sato ritenute significative (sia in positivo che, tal-
musealizzazione), dalle molteplici modalità (rin-
zione dei siti archeologici urbani.
volta, in negativo); 2) dotare le Amministrazioni
terro dei ritrovamenti, realizzazione di strutture
Anche le Amministrazioni Pubbliche e le
Pubbliche ed in generale tutti i promotori di uno
protettive temporanee o permanenti, creazione
Soprintendenze possono recepire alcune delle
studio sintetico in grado di indirizzarne le scelte
di musei in situ ed altro ancora) e dai molteplici
indicazioni della ricerca, cercando di valutare le
secondo processi e obiettivi di qualità architetto-
attori (archeologi, architetti, urbanisti, soprinten-
opportunità proposte come possibili strategie
nica ed urbana; 3) costituire un invito per le
denze, autorità politiche). In questo quadro è
per la gestione delle aree archeologiche urbane.
amministrazioni ed i promotori privati a costituire in sede locale una piattaforma condivisa per la
necessario indagare il ruolo dell’architetto, la cui preparazione e sensibilità devono fare dell’archi-
Punti di forza e di debolezza. Tra i principali
salvaguardia del patrimonio archeologico urba-
tettura il medium fra la conservazione e la fruizio-
punti di forza della ricerca possono essere indica-
no; 4) portare all’attenzione del pubblico interes-
ne del patrimonio archeologico e la città.
ti: 1) l’ampia analisi di casi studio, che ha preso in
sato il ruolo dei beni archeologici urbani come
considerazione, attraverso una serie di sopralluo-
momento fondamentale dello sviluppo culturale
Obiettivi. La ricerca si pone l’obiettivo di mettere
ghi, numerosi progetti realizzati in Italia ed
e dell’integrazione fra i paesi europei.
a punto un codice di buone pratiche per gli inter-
Europa; 2) il sistematico confronto tra il quadro
venti di valorizzazione dei siti archeologici urbani,
normativo italiano e quello dei principali Paesi
a partire dall’analisi dettagliata di un numero
stranieri.
significativo di casi di studio europei. Si tratta di
Tra i punti di debolezza della ricerca si possono
un’operazione complessa, basata su fonti di diver-
elencare: 1) la mancanza, durante la fase della
so tipo: contatti diretti con progettisti, direttori di
ricerca, di un più sistematico supporto sulle que-
musei ed archeologi, ma soprattutto l’osservazio-
stioni archeologiche; 2) l’assenza di un approfon-
ne diretta tramite sopralluoghi condotti ripetuta-
dimento specifico sulla conservazione materiale e
mente per ogni singolo caso di studio.
sul restauro dei ritrovamenti archeologici, con
Alessandro Tricoli ha conseguito nel 2003 la laurea in architettura presso l’Università IUAV di Venezia con una tesi sul recupero di un quartiere storico di Pechino. Nel 2010 ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca in Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi presso l’Università di Palermo.
Naturalmente quest’analisi costituisce la premes-
particolare riferimento alle specifiche condizioni
alessandro_tricoli@yahoo.it
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PS29
DATA ....................................................
ilProgettoSostenibile
raccolta indici 01-28
ilProgettoSostenibile | indici 01-28
01. Il Sole
02. Tecniche e materiali del recupero
03. Intrecci
Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Carlotta Fontana
Editoriale Gianni Scudo
Argomenti Verso una merceologia solare sostenibile Giorgio Nebbia / Università di Bari
Argomenti Recupero e sostenibilità Carlotta Fontana / Politecnico di Milano
Argomenti Mobilità sostenibile. Strade a diversa velocità Lucia Martincigh / Università degli Studi Roma Tre
Città e territorio Kyoto: per una politica energetica sostenibile Gianni Silvestrini / Politecnico di Milano
Conservazione e manutenzione del costruito Stefano Della Torre, Gianfranco Minati / Politecnico di Milano
L'analisi e il progetto della città sostenibile Sergio Porta / Politecnico di Milano
La carta del "Nuovo Municipio" Giorgio Ferraresi / Politecnico di Milano
Città e territorio Vivere l'archeologia industriale Simonetta Licata / Politecnico di Milano
Architettura Illuminazione nei musei Mike Wilson / London Metropolitan University Diagnosi della doppia pelle Marco Filippi, Valentina Serra, Carlo Micono / Politecnico di Torino Tecniche Luce e innovazione Alessandro Rogora / Politecnico di Milano Impianti innovativi ed integrati per il comfort Giuliano Dall'O', Annalisa Galante / Politecnico di Milano Il fotovoltaico in Italia: stato attuale e prospettive Nicola Aste / Politecnico di Milano Fotovoltaico ibrido a confronto Lavinia Chiara Tagliabue / Politecnico di Milano
Architettura Luce e clima nei progetti dello studio Pica Ciamarra Luciana De Rosa / Università di Napoli “Federico II” Tecniche e materiali Malte e intonaci: fra tradizione e innovazione Gilberto Quarneti Lorena Bauce / Politecnico di Milano Vernici e pitture per pavimenti in cotto e legno Paolo Gasparoli / Politecnico di Milano Cere e protettivi Luigi Melzi Tipologie dei prodotti biocompatibili Lorena Bauce / Politecnico di Milano Impianti di climatizzazione e recupero Giuliano Dall'O', Annalisa Galante / Politecnico di Milano
Riqualificazione urbana fotovoltaica Francesco Giusiano / Università di Parma Emanuele Pigaiani, Marzia Polinelli / Politecnico di Milano
Impiantistica elettrica e recupero edilizio Alessandro Prati / Università di Mantova
Legislazione e normativa La delega al Governo in materia ambientale Corrado Baldi / Politecnico di Milano
Rubriche Ricerca e sostenibilità in architettura Mario Grosso / Politecnico di Torino Ancora sulla Delega in materia ambientale Corrado Baldi / Politecnico di Milano
Città e territorio La greenway Milano-Pavia-Varzi Katherina Ziman Scudo La costruzione in terra in Catalogna Albert Cuchi / Università Politecnica di Catalunya Architettura Risanare con la terra cruda Barbara Narici Costruzione in bambù a Vergiate Neri Braulin / Politecnico di Milano Valeria Chioetto / EMISSIONIZERO Tecniche Tecniche per il comfort negli spazi urbani Valentina Dessì / Politecnico di Milano Componenti in terra industrializzati Sergio Sabbadini / Politecnico di Milano Materiali isolanti e fibre in edilizia Ilaria Oberti / Politecnico di Milano Schermi di protezione solare Alessandro Rogora / Politecnico di Milano Lo schermo verde: uso della vegetazione per la protezione solare Antonella Bellomo / Politecnico di Milano Rubriche Ancora a proposito del condono Corrado Baldi / Politecnico di Milano La valutazione dei progetti di ricerca europei Mario Grosso / Politecnico di Torino
ilProgettoSostenibile | indici 01-28
04. Acqua
05. Metodi e strumenti per il progetto pubblico
06. Energia!
Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Gianni Scudo
Argomenti Il costo in acqua delle merci e dei servizi Giorgio Nebbia / Università di Bari
Argomenti La dimensione ambientale nei programmi complessi Andrea Calori / Politecnico di Milano
Argomenti Ipotesi di sviluppo locale: l'esperienza francese dei Pays Francesco Coviello / Politecnico di Milano
Acqua per la città: una lunga storia Federico M. Butera / Politecnico di Milano
Città e territorio HQE2R - Un approccio a scala di quartiere Antonella Grossi, Sandra Mattarozzi / ICIE Nicoletta Ancona / Nuova QUASCO
Recupero e valorizzazione del "sistema rurale" Simonetta Licata
Città e territorio Il restauro dell'ecosistema dei Sassi di Matera Pietro Laureano Il Contratto di Fiume Olona-Bozzente-Lura Andrea Calori / Politecnico di Milano Architettura Lungo il fiume, il marketing della sostenibilità Carlotta Fontana / Politecnico di Milano Panta Rei Centro di educazione ambientale Rainer Toshikazu Winter Il progetto di rivitalizzazione di Valle Pezzata Matteo Clementi / Politecnico di Milano Tecniche Acqua indesiderata Lorena Bauce / Politecnico di Milano Impianti luce ed acqua: tra creatività e rigide norme Alessandro Prati, Alessandro Rogora / Politecnico di Milano Savonarola water story Erich Trevisiol / Università IUAV di Venezia Rubriche Ancora sul condono (e tre) Corrado Baldi / Politecnico di Milano
HQE2R - Il caso studio di Mantova Daniela Gabutti / Politecnico di Milano Stato dell'arte delle Agende 21 in Italia Sonia Cantoni Architettura L'integrazione delle tecnologie energetiche sostenibili in architettura Brian Ford / Università di Nottingham Interventi di edilizia residenziale pubblica in Lombardia Anna Delera, Alessandro Rogora / Politecnico di Milano Tecniche e materiali La valutazione dell'ecocompatibilità Roberto Giordano / Politecnico di Milano Paolo Revellino, Stefano Rossi Utilizzo del terreno per il raffrescamento estivo degli edifici Adriana Angelotti, Giulio Solaini / Politecnico di Milano Pavimentazioni fredde nel clima che cambia Gianni Scudo, Valentina Dessì / Politecnico di Milano Rubriche La valutazione d'ecocompatibilità come stimolo all'integrazione nel progetto Mario Grosso / Politecnico di Torino
Città e territorio Sostenibilità a livello locale: risultati incoraggianti Giuliano Dall'O', Annalisa Galante / Politecnico di Milano Ciclabilità urbana, il Bici Plan di Pordenone Marco Passigato / Università degli Studi di Verona L'esperienza del Gruppo per la moderazione del traffico nella Svizzera italiana Paolo Della Bruna, Lorenzo Custer Architettura Illuminazione pubblica solare fotovoltaica a Cornellà de Llobregat Alessandro Rogora / Politecnico di Milano La sostenibilità come scelta politica Francesca Sorricaro Tecniche e materiali Dentro il solare termico Chiara Wolter, Marco Calderoni Tecnologie di isolamento dell'involucro opaco Luca Pietro Gattoni / Politecnico di Milano Vetri ad alte prestazioni energetiche Alessandro Dama, Lorenzo Pagliano / Politecnico di Milano Rubriche L'efficienza energetica nella valutazione d'ecocompatibilità dei progetti edilizi Mario Grosso / Politecnico di Torino
ilProgettoSostenibile | indici 01-28
07. Aria
08. Leggero e pesante
09. Prevenire, curare
Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Gianni Scudo
Argomenti L’Italia in vista del Protocollo di Kyoto Gianni Silvestrini / Politecnico di Milano
Argomenti Architettura della leggerezza, architettura del peso Maria Bottero / Politecnico di Milano
Argomenti Temporaneo per necessità, temporaneo per scelta Alessandra Zanelli / Politecnico di Milano
La città sostenibile Federico Maria Butera / Politecnico di Milano
Città e territorio La strategia idrica del Parco Güell Albert Cuchì, Claudio da Silva / Università Politècnica di Catalunya
Città e territorio Per la riqualificazione di Mirafiori G. Cavaglià, C. Azzolino, A. Lacirignola / Politecnico di Torino
Città e territorio Impianti eolici di piccola taglia Riccardo Battisti / Università di Roma “La Sapienza” Ventilazione naturale e raffrescamento strutturale: una procedura di calcolo Mario Grosso, Francesco Caliero / Politecnico di Torino Architettura Architettura del vento Mario Buono / Seconda Università degli Studi di Napoli Tecniche e materiali Aria calda dal sole Gianni Scudo / Politecnico di Milano Tecnologie per la ventilazione meccanica ed ibrida Valentina Raisa / Università di Ferrara Ruote termiche, scambiatori, recupero calore aria/aria Paola Caputo / Politecnico di Milano La nuova frontiera dei generatori di calore Giuliano Dall’O’, Gabriella Calsolaro / Politecnico di Milano Rubriche Riflessioni sulla Legge della Regione Lombardia n. 12/2005 Corrado Baldi / Politecnico di Milano Alle radici della progettazione ambientale Carlotta Fontana / Politecnico di Milano
I trabocchi, archetipi costruttivi della leggerezza M. Cristina Forlani / Università degli Studi di Chieti-Pescara Architettura Costruire con il cartone: il dopo scuola di Westcliff on Sea Neri Braulin / Politecnico di Milano Valeria Chioetto / EMISSIONIZERO Cupole per una chiesa in Africa Giovanna Sacchi Tecniche e materiali Sistemi costruttivi in legno Cristina Benedetti / Università “La Sapienza” di Roma
Edifici vulnerabili - Criteri di prevenzione dei rischi Carlotta Fontana, Alessandra Cattanei / Politecnico di Milano Architettura Un sistema costruttivo in bambù e terra Alex Riolfo / Università di Genova Tecniche e materiali La protezione delle superfici Paolo Gasparoli / Politecnico di Milano Un'introduzione alle tecniche anti-inondazione Daniele Bocchiola, Renzo Rosso / Politecnico di Milano
Sistemi costruttivi leggeri e pesanti alternativi Alessandro Rogora / Politecnico di Milano
Il cantiere edilizio sostenibile Rossella Franchino, Sergio Rinaldi, Antonella Violano / Seconda Università di Napoli
Il recupero ai fini antisismici del massone Gianni Scudo, S. Sabbadini, A. Bonomini, A. Drei / Politecnico di Milano
L'effetto dell'orientamento sul comfort termico estivo G. Ruggeri, L. Pagliano, P. Zangheri, S. Piardi, S. Pangrazzi / Politecnico di Milano
ilProgettoSostenibile | indici 01-28
10-11. Certificazione energetica
12. Il crudo e il cotto
13. Costruire la transizione energetica
Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Gianni Scudo
Argomenti Da Kyoto alla certificazione energetica degli edifici Gianni Silvestrini / Politecnico di Milano
Argomenti L’innovazione delle tecnologie edilizie in terra Gianni Scudo / Politecnico di Milano
Argomenti Un nuovo paradigma energetico - La sfida del XXI secolo Federico M. Butera / Politecnico di Milano
Certificazione energetica degli edifici: a che punto siamo Giuliano Dall'O' / Politecnico di Milano
L’innovazione delle tecnologie del laterizio Giorgio Zanarini / Consorzio Alveolater
Politiche d’incentivazione dell’uso razionale e delle fonti rinnovabili Gianni Silvestrini / Kyoto Club
Metodi Il processo di riqualificazione energetica e ambientale degli edifici nell'area romana Fabrizio Orlandi, Daniela Caputo / Università “La Sapienza” di Roma
Città e territorio Cultura tecnologica e progetto: il laterizio nel territorio del centro Italia Andrea Campioli / Politecnico di Milano
La certificazione energetica degli edifici in Provincia di Milano Sergio Zabot / Provincia di Milano Strumenti di valutazione dell'ecocompatibilità nel progetto di architettura Gabriella Peretti, Elena Montacchini / Politecnico di Torino La certificazione energetica degli edifici sul fabbisogno di raffrescamento Mario Grosso / Politecnico di Torino Programmi e prospettive di certificazione energetica nel Mezzogiorno d'Italia Virginia Gangemi, Giuseppina Crisci / Università “Federico II” di Napoli Architettura Il centro servizi Environment Park Stefano Dotta / Environment Park Tecniche e materiali Eco-efficienza dell'isolamento termico nella realizzazione di chiusure opache in Italia Monica Lavagna / Politecnico di Milano Tecniche e materiali innovativi/ecocompatibili per il controllo delle chiusure trasparenti Fabrizio Tucci / Università “La Sapienza” di Roma
Architettura Archivolti in laterizio locale Fabrizio Carola / N:EA Tecniche e materiali Blocchi “a freddo” con materiali di recupero Alessandro Rogora / Politecnico di Milano Costruire e riqualificare con inerti da demolizione Caterina Frettoloso, Sergio Rinaldi / Seconda Università di Napoli Studi di termointonaci a base di argilla Sergio Sabbadini, Andrea Torri / Politecnico di Milano Intonaci termici a legante idraulico Lorena Bauce, Paolo Gasparoli / Politecnico di Milano Intonaci di terra e gesso Alezio Rivolti / Politecnico di Torino Viviana Tosco
Attori della transizione energetica Il ruolo degli Enti Locali Beppe Gamba / Kyoto Club Il ruolo degli imprenditori Claudio De Albertis / Politecnico di Milano Il ruolo dei consumatori Pieraldo. Isolani / Adiconsum Il ruolo del progetto Giancarlo Chiesa, Marcella Capobianco / Politecnico di Milano Architettura La certificazione energetica degli edifici: vincolo o opportunità per il progettista? Adriana Angelotti, Chiara Lamparelli, Sara Tommasi / Politecnico di Milano Il linguaggio dell’innovazione energetica in architettura Alessandro Rogora / Politecnico di Milano Tecniche e materiali Struttura ed involucro opaco nella transizione energetica Gianfranco Di Cesare / ANDIL Efficienza dell’involucro: interventi regolamentari finalmente efficaci Sergio Mammi / ANIT Blocchi in laterizio ad alte prestazioni termoigrometriche Giorgio Zanarini / Alveolater Gli schermi esterni per le facciate vetrate e il loro dimensionamento Valentino Manni / Politecnico di Torino
ilProgettoSostenibile | indici 01-28
14. Ambiente, paesaggio, turismo
15. Riqualificazione urbana ecosostenibile
16. Architettura ecocompatibile
Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Gianni Scudo
Argomenti Ambiente e paesaggio Maria Bottero / Politecnico di Milano
Argomenti Ecoefficienza dei sistemi insediativi Fabrizio Orlandi / Università “La Sapienza” di Roma
Argomenti Progettazione ambientale: strumenti e tecniche Gianni Scudo, Gian Luca Brunetti / Politecnico di Milano
La città-natura per il turismo sostenibile: fenomeni e strategie Armando Sichenze, Ina Macaione / Università degli Studi della Basilicata
I Contratti di Quartiere a Milano e la partecipazione non attuata Anna Delera / Politecnico di Milano
Metodi Strumenti di valutazione del comportamento energetico Paola Caputo / Politecnico di Milano
Metodi Metodologie di riqualificazione energetica Tae Han Kim / Politecnico di Milano
Strumenti di valutazione del comportamento luminoso Alessandro Rogora / Politecnico di Milano
Città e territorio Presente e futuro degli hammam nel Mediterraneo, fra religione, cultura e turismo Jean Bouillot Il paesaggio dei cittadini europei F. Alberti La Marmora La sostenibilità ambientale del settore alberghiero Claudio Cuffaro, Leonardo Lo Coco / Università degli Studi di Palermo Maria La Gennusa, Gianfranco Rizzo / Ingegneri Ambientali Palermo Architettura Il recupero dell'ambiente nelle strutture agrituristiche Simonetta Licata Tecniche e materiali Strutture turistiche temporanee sulla costa Rossella Franchino, Antonella Violano / Seconda Università degli Studi di Napoli Considerazioni sulle tecniche per la progettazione dei sentieri Paolo Alleva, Carlo Salmoiraghi Tecnologie per la riconfigurazione ecocompatibile dei litorali sabbiosi Renata Valente / Seconda Università degli Studi di Napoli Lo sviluppo dei centri turistici costieri Antonella Serafino / Politecnico di Milano
I metodi di valutazione rapida degli edifici Maria Fianchini / Politecnico di Milano
Strumenti di valutazione dell'ecocompatibilità ambientale del ciclo di vita dell'edificio Roberto Giordano, Mario Grosso / Politecnico di Torino
Nuove metodologie per partecipare la sostenibilità: dalle teorie di Alexander al Quartaccio di Roma Milena De Matteis / Università di Roma Tre
Strumenti e metodi per la valutazione del comfort termico negli spazi urbani Valentina Dessì, Gianni Scudo / Politecnico di Milano
Architettura Il verde come strumento di riqualificazione Maria Livia Olivetti / Università Roma Tre
Architettura Cantine Barone Pizzini a Provaglio d'Iseo Alessandro Rogora / Politecnico di Milano
Tecniche Il verde parietale come elemento di controllo dei caricihi termici Federica Ariaudo, Gian Vincenzo Fracastoro / Politecnico di Torino
Tecniche Applicazioni sperimentali di Progetti Interoperabili IFC Ezio Arlati / Politecnico di Milano
Il progetto architettonico degli impianti a energia solare Niccolò Aste / Politecnico di Milano Energie rinnovabili per sostituire le centrali nucleari di Hessen Francesca Sartogo
Ecoefficienza degli involucri leggeri, opachi e trasparenti Fabrizio Tucci / Università “La Sapienza” di Roma Prestazioni termiche e profilo ambientale dei materiali isolanti Monica Lavagna / Politecnico di Milano
ilProgettoSostenibile | indici 01-28
17-18. Edilizia scolastica ecocompatibile
19. Strutture ricettive ecocompatibili
20. Edifici e aree produttive
Focus Edilizia scolastica. Linee guida per salvaguardia e rispetto dell’ambiente naturale / Paola Gallo / Università di Firenze
Focus Le strutture ricettive eco-compatibili: obiettivi e criteri progettuali / Manuela Franco / Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Focus Valutazione ambientale e requisiti di sostenibilità delle aree produttive / Elisa Conticelli, Simona Tondelli / Università di Bologna
Hotel, acqua, risparmio e buon senso / Luca Maria F. Fabris, Elvira Pensa / Politecnico di Milano / Emanuele Naboni / Lawrence Berkeley National Laboratory
Linee guida per le aree produttive ecologicamente attrezzate / Paola Gallo / Università degli Studi di Firenze
Strategie e metodi di verifica di eco-sostenibilità e biocompatibilità per le scuole in area mediterranea / Dora Francese - Università Federico II di Napoli La valutazione del comfort ambientale e delle prestazioni energetiche degli edifici scolastici esistenti / Gabriele Bellingeri - Università di Roma 3 Una gestione energetica sostenibile per l’edilizia scolastica / Marco Filippi - Politecnico di Torino / Enrico Fabrizio Università di Torino Considerazioni sulla climatizzazione naturale degli edifici scolastici / Gian Luca Brunetti / Politecnico di Milano Il raffrescamento passivo degli edifici scolastici / Mario Grosso, Mario Voerzio / Politecnico di Torino Scuola e salute. Rischio radon e tecniche di bonifica / Carlo Bigliotto / ARPA Veneto / Giovanni Zannoni / Università IUAV di Venezia Ricerca Salubrità indoor in ambiente scolastico / Daniela Giannone / Università degli Studi di Napoli Federico II
Impianti di trigenerazione per il risparmio energetico nel settore alberghiero in aree mediterranee / E. Cardona, A. Piacentino, F. Cardona / Università degli Studi di Palermo Controllo intelligente nella gestione energetica degli alberghi / C.G. Giaconia, A. Di Stefano, G. Fiscelli, M. La Gennusa, G. Scaccianoce / Università degli Studi di Palermo Qualità ambientale degli edifici: analisi della trasferibilità dell’ecolabel europeo per i servizi turistici / M. Cellura, G. Peri, G. Rizzo / Università degli Studi di Palermo Studi e ricerche L’Ecomuseo riconsiderato per un turismo sostenibile / Francesca Muzzillo Sostenibilità e turismo: la costa come sistema ricettivo / Stefano Giussani
Strumenti di autovalutazione dell’eco-efficienza degli edifici scolastici / Silvia Tedesco - Politecnico di Torino
Argomenti Il marchio Ecolabel europeo per il servizio di campeggio / Stefania Minestrini
L’utilizzo continuo delle strutture scolastiche / Fabio Albani / Politecnico di Milano
Il progetto Eco.Ri.Ve Ecolabel per la Ricettività in Veneto / A.Scipioni, A. Mazzi, A. Morelli
Argomenti Ecosistema scuola 2008. Il rapporto sull’edilizia e i servizi scolastici in Italia / Monica Pergoloni, Vanessa Pallucchi / Legambiente nazionale Scuola e formazione
Il progetto EcolabelPIEMONTE per le strutture ricettive in Piemonte / Cosimo Biasi, Alessandra Mazzotta La certificazione ambientale nel settore turistico in FVG / Enrico Artini, Barbara Lazzarini, Roberto Sbruazzo
Il Sistema di Gestione Ambientale d'area per l'attuazione e il controllo delle aree industriali eco-compatibili / Manuela Franco / Università degli Studi di Napoli "Federico II" Edifici industriali: dall’evoluzione storica alle ipotesi di riconversione ambientale / Annarita Ferrante / Università di Bologna Fonti energetiche rinnovabili per le le realtà industriali / Elisa Tomasinsig / C.E.T.A. Dall’igiene del lavoro alla sicurezza sul lavoro / Ferdinando Terranova / Università “La Sapienza” di Roma Studi e ricerche La riqualificazione sostenibile degli edifici industriali / Orio De Paoli, Elena Montacchini Uno strumento di valutazione multidisciplinare per le nuove Aree produttive ecologicamente attrezzate / Angelamaria Molinari, Maurizio Riverditi, Enrica Vesce Sperimentazione sostenibile: un padiglione in bambù, acciaio e pannelli fotovoltaici / Alex Riolfo Argomenti Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate: l’esperienza della Regione Toscanabe la Rete CARTESIO / Aldo Nepi Le Aree Ecologicamente Attrezzate nella Regione EmiliaRomagna / Donato Pulacchini
Il marchio di qualità ambientale Green Key / C.P. Mazza
Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate in Provincia di Milano / Renato Galliano
Modalità di gestione innovativa per l’edilizia scolastica / Rossella Maspoli / Politecnico di Torino
L’analisi ambientale del comparto turistico e gli strumenti per un turismo sostenibile / Anna Di Lauro, Stellio Vatta, Nicola Skert, Barbara Lazzarini, Donatella Ducourtil
Piani Particolareggiati per Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate nel Comune di Monte San Vito (AN) / Francesca Sorricaro
La riqualificazione delle strutture scolastiche. L’esperienza del Comune di Roma / C. Cecilia Cuccaro - Comune di Roma
Le politiche per l’ambiente e lo sviluppo del turismo sostenibile a Jesolo / Daniela Giacomin
Il progetto SAVE BESTCert per la diagnosi e certificazione energetica. L’esperienza della Provincia di Pordenone / Sergio Bergnach, Stefano Contin / Provincia di Pordenone
Il turismo sostenibile nelle aree protette: la Carta Qualità del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi / Enrico Vettorazzo
Il programma ASI ECOSOSTENIBILE per la gestione degli agglomerati industriali / Maria Teresa di Mattia, Felice Lucia, Salvatore Puca
I progetti del Ministero dell’Ambiente per le scuole / Carmelo Spitaleri - Ministero dell'Ambiente
Il bando di finanziamento della Compagnia di San Paolo per gli asili nido in Piemonte / A. Ricci / Compagnia di San Paolo L’esperienza della progettazione partecipata a Reggio Emilia / Anna Bigi, Luisa Gazzetti - Comune di Reggio Emilia Progetti e Tecnologie Strutture in legno - Nido aziendale a Colognola ai Colli (VR) / Strutture leggere in legno multistrato - Scuola elementare e media a Gambellara (VI) / Sistema costruttivo in legno, finiture in terra cruda e sistemi radianti ecologici - Centro intergenerazionale a Basiglio (MI) / Strutture in legno - Scuola media a Montebello Vicentino (VI) / Sistemi di isolamento termico per esterni - Scuola elementare a Brugnera (PN) / Isolamento in fibra di legno - Scuola media a Imola (BO) / Isolamento in fibra di kenaf - Scuola media a Imola (BO) / Isolamento in legnomagnesite - Scuola dell’infanzia a Cardano al Campo (VA) / Isolamento in lana di legno mineralizzata - Scuola elementare a Bagnolo in Piano (RE) / Rivestimento in mattoni faccia a vista a pasta molle - Scuola dell’infanzia a Pozzuolo Martesana (MI) / Rivestimento in fibra di gesso - Scuola Professionale provinciale a Bolzano (BZ) / Vernici naturali Scuola elementare a Bagnolo in Piano (RE) / Impianti di riscaldamento radianti a soffitto - Asilo nido a Casalecchio di Reno (BO) / Illuminazione naturale - Scuola elementare a Bagnacavallo (RA) Dossier Edilizia scolastica ecocompatibile nella provincia di Brescia / Carlo Lazzaroni, Raffaella Merigo
Il turismo sostenibile nelle aree protette: il marchio di qualità ambientale delle Cinque Terre / Luca Natale Il turismo sostenibile nelle aree protette: le fattorie del Panda / Roberto Furlani, Rita Minucci Piccoli comuni: prove di sviluppo locale / Andrea Trisoglio Tecnologie open source per la valorizzazione delle risorse culturali / Nicola Maiellaro Amazon Eco Park: architettura sostenibile ed ecoturismo / Fernando Recalde
Aree industriali ed edifici pluriaziendali: tra risparmio di suolo ed efficienza energetica. L’esperienza di Bolzano / Giovanni Sarti Incentivazione delle Fonti Energetiche Rinnovabili per le Piccole e Medie Imprese / Carmelo Spitaleri L’edilizia sostenibile protagonista del Premio all’Innovazione Amica dell’Ambiente / Andrea Danese Progetti e tecnologie Laminato in zinco-titanio - Centrale del latte di Vicenza Strutture in legno - Edificio per uffici “Bioffice” a Correggioverde di Dosolo (MN)
Progetti e tecnologie Strutture in legno lamellare - Complesso turistico sportivo a Sottomarina di Chioggia (VE) / Strutture prefabbricate in legno - Agriturismo “Corte all’Olmo” a Cá di David (VR) / Edifici prefabbricati - L’azienda vinicola Pittaro a San Martino al Tagliamento (PN) / Malte, intonaci e finiture di calce idraulica naturale - Art Hotel a Varese / Decorazione e protezione murale - Royal Hotel Carlton a Bologna / Vernici naturali - Agriturismo e Centro Culturale Tirtha a Pescantina (VR) / Parquet su sabbia - Agriturismo Pianconvento a Monteguidi - Bagno di Romagna (FC) / Impianti solari termici - Albergo “Villa Tramonto “a San Vincenzo (LI)
Illuminazione naturale - Ampliamento e riqualificazione del centro commerciale "Centro Nova" a Castenaso (BO)
Dossier Riqualificazione ambientale e sostenibile del fronte mare di Palau / Giovanna Piga
Dossier Riqualificazione bioecologica palazzina direzionale Fenice Spa
Strutture in legno lamellare - Stabilimento Melinda a Segno di Taio (TN) Isolamento termico a cappotto - Stabilimento del Gruppo Marposs a Travagliato (BS) Pavimenti in legno biocompatibili - Edificio commercialedidattico Cerchi nel grano (MI) Teli e guaine traspiranti - Sede CME a Scandiano (RE) Fonti energetiche rinnovabili - Uffici e laboratori Rainbow
ilProgettoSostenibile | indici 01-28
21. Integrazione delle energie rinnovabili
22-23. Il recupero “ambientalmente sostenibile”
24. Acqua e architettura. Risparmio, recupero...
Focus Microgenerazione distribuita: integrazione morfologica e tecnologica / Adriano Magliocco / Università degli Studi di Genova / Giacomo Cassinelli / Università degli Studi di Genova
Focus Nuove tendenze nel segno della conservazione integrata / Stefano Della Torre / Politecnico di Milano
Focus Editoriale Gianni Scudo
L’integrazione del fotovoltaico in architettura / Gabriella Peretti / Politecnico di Torino Gestione e controllo dell’illuminazione naturale / Alessandro Rogora / Politecnico di Milano Integrazione delle tecnologie da fonti energetiche rinnovabili nel progetto urbano: valutazione di ecocompatibilità dal processo (VAS) al progetto / Gianni Scudo / Politecnico di Milano / Marco Carpinelli / Environment Il fotovoltaico organico. Sperimentazione e innovazione applicata al caso di “Ventotene isola ad emissioni zero” / Fabrizio Tucci / Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Lo sviluppo sostenibile delle rinnovabili nelle realtà locali: l’esempio delle isole Egadi / Mario Gamberale, Simona Salteri, Alessandro Vezzil / AzzeroCO2 Studi e Ricerche La fattibilità tecnica ed economica del fotovoltaico in Italia / Guglielmina Mutani, Alessandro Bua Progetto e monitoraggio estivo di uno scambiatore geotermico ad aria / Luca Raimondo Tecnologie elettroniche per le energie rinnovabili e per l’efficienza energetica / Giordano Torri Argomenti Utilizzo del fotovoltaico per l’illuminazione pubblica. Un sistema energetico sostenibile nel Parco Nazionale delle Cinque Terre / Marco Stamegna Il teleraffrescamento: un sistema energetico integrato sul territorio / Franco Ricci Opportunità per le Pubbliche Amministrazioni nell’impiego delle fonti energetiche rinnovabili / Francesco Belcastro Le politiche della Regione Lazio per la promozione delle energie rinnovabili / Filiberto Zaratti Risparmio energetico e fonti rinnovabili negli edifici scolastici. Il caso della Provincia di Firenze / Luigi Tacconi Il fotovoltaico sui tetti delle scuole della Provincia di Firenze / Francesca Vagaggini “Sardegna al Sole”: un gruppo d’acquisto per il fotovoltaico in Ogliastra / Antonino Mameli Incentivare il fotovoltaico attraverso la concessione d’uso di superfici degli edifici pubblici. Il progetto del Comune di Lodi / Matteo Zanchi
L’approccio prestazionale alla risorsa culturale / Andrea Canziani, Matteo Scaltritti / Politecnico di Milano Crespi d’Adda: dal piano di Gestione UNESCO alla valorizzazione culturale / Paolo Gasparoli / Politecnico di Milano Conservare le preesistenze, interpretare le assenze / Caterina Frettoloso / Seconda Università degli Studi di Napoli Il recupero per la fruizione: il Castello Caracciolo di Montefredane / Antonella Violano / Seconda Università degli Studi di Napoli Il recupero delle case di terra: dalla conoscenza delle tecniche tradizionali all’innovazione per uno sviluppo sostenibile / Maria Cristina Forlani / Università degli Studi di Chieti-Pescara Studi e Ricerche Restauro e sostenibilità / Maurizio De Vita, Virginia Neri / Università degli Studi di Firenze Recuperare le tradizioni locali: linee guida per gli interventi sul patrimonio rurale / Giovanna Franco / Università degli Studi di Genova Criteri, metodi di calcolo e criticità normative per il recupero sostenibile degli edifici / Martina Basciu, Claudia Loggia, Vittorio Tramontin / Università degli Studi di Cagliari Compatibilità ambientale: un confronto fra tegole in cemento e tegole in laterizio / Giovanni Zannoni / Università IUAV di Venezia Tecnologie sostenibili per le analisi diagnostiche e gli interventi conservativi / Luciano Cessari, Elena Gigliarelli / CNR Un confronto tra prodotti isolanti sulla base di indicatori energetico ambientali / Carlo Caldera, Alice Gorrino / Politecnico di Torino Argomenti Il Protocollo per la Valutazione Energetico Ambientale della Regione Friuli Venezia Giulia / Luciano Pozzecco, Paolo Tomasella / Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Il recupero degli immobili ai fini della Comunità Ospitale / Maurizio Capelli / Borghi Autentici d'Italia Recupero delle tradizioni costruttive del territorio. Il caso di Novi Ligure / Gaia Bollini / Isidoro Parodi / Comune di Novi Ligure
Lo sfruttamento della geotermia profonda in Friuli Venezia Giulia / Tiziano Tirelli, Daniele Tirelli
Riqualificazione degli edifici scolastici. L’esperienza della Regione Veneto / Ernesto Antonini, Marco Boscolo / Università degli Studi di Bologna / Piercarlo Romagnoni / Università IUAV di Venezia
Progetti e Tecnologie Impianto solare ibrido - Complesso residenziale il “Borghetto” a Castel San Pietro Terme (BO)
Il progetto per la ricostruzione di una struttura turisticoricettiva nel territorio del Parco naturale regionale Sirente Velino / Fabio Armillotta, Carmela Palmieri / C.A.Sa.
Energie rinnovabili - Cantina Barone Pizzini a Provaglio d’Iseo in Franciacorta (BS)
Gli interventi di edilizia sostenibile previsti dal “Piano casa” della Regione del Veneto / Marco Frau, Fabio Mattiuzzo, Claudio Perin / Regione Veneto
Impianto fotovoltaico - Stabilimento Neri Industria Alimentare a Lamporecchio (PT) Dossier Una scuola sostenibile a Imola / Andrea Dal Fiume, Mario Grosso, Luca Raimondo
Acqua: una "coperta troppo corta" che richiede nuovi modelli di gestione / Giulio Conte / Ambiente Italia Le miniere dell'acqua di Riudoms: la gestione dell'acqua come elemento generatore del paesaggio / Albert Cuchì / Universitat Politécnica de Catalunya La gestione della complessità nel progetto sostenibile del ciclo delle aqque meteoriche urbane: tecnologie, strumenti e metodi / Francesca Perricone / Università degli Studi “La Sapienza” di Roma Riqualificazione ambientale e paesaggistica di corsi d'acqua in ambito urbano: esperienze a confronto / Federica Larcher / Università degli Studi di Torino / Elena Montacchini / Politecnico di Torino Il ciclo idrogeologico nell'ambiente costruito: il ruolo del verde pensile / Luca Lanza, Anna Palla / Università degli Studi di Genova Idropaesaggi, una nuova geografia per il Parco del Lura / Monica Manfredi / Politecnico di Milano Studi e Ricerche Requisiti, indicatori e strumenti per la valutazione dell'ecocompatibilità dei prodotti edilizi / Roberto Giordano, Gabriella Peretti / Politecnico di Torino L'acqua in alta quota / Daniela Bosia / Politecnico di Torino / Barbara Martino / École d’Architecture de Grenoble Valutazione di sostenibilità, etichette ecologiche e risorsa acqua in edilizia. La situazione per il risparmio idrico / Sara Scapicchio / Università degli Studi di Napoli “Federico II” Risparmio idrico e uso dell'acqua piovana in edilizia / Anna Frangipane / Università degli Studi di Udine Il parametro acqua nel progetto di architettura sostenibile / Dora Francese, Claudia Balestra, Luca Buoniconti / Università degli Studi di Napoli Rinascere. Vivendo sul'acqua / Luca Maria Francesco Fabris / Politecnico di Milano Argomenti Le Case dell'Acqua / Tiziano Butturini, Paola Barbato Cara acqua (del rubinetto), T.V.B. Ti Voglio Bere! / Claudio Filippone, Alessandra Mazzotta / Centro Studi Ambientali Torino L'acqua da risorsa ad opportunità: le Expo di Saragozza e di Shangai / Oriana Giovinazzi / Centro Internazionale Città d’Acqua Dossier Centro per minori a Lodi / Lara Gariup
ilProgettoSostenibile | indici 01-28
25. Housing sociale innovativo sostenibile
26. Mediterraneo tra mito e risorsa
27. L’impronta ambientale del costruito
Focus Editoriale Gianni Scudo
Editoriale Gianni Scudo
Focus Editoriale Gianni Scudo
Città, laboratori di coesione sociale? Welfare locale e questione urbana / Valeria Fedeli / Politecnico di Milano
Focus Le Corbusier, fra civiltà macchinista e mito del Mediterraneo / Maria Bottero / Politecnico di Milano
L’edilizia sociale: un servizio come e per chi / Gabriele Rabaiotti / Politecnico di Milano
La cultura urbana islamica nelle città mediterranee / Giulia Annalinda Neglia / Politecnico di Bari
Chi costruisce la casa sociale? Nuovi attori e nuovi ruoli nelle politiche abitative / Francesca Santaniello / Politecnico di Milano
Tecnologie a progetto per l’ambiente mediterraneo / Mario Losasso / Università degli Studi di Napoli Federico II
I nuovi requisiti tipologici per l’housing sociale / Anna Delera / Politecnico di Milano
Escursionismo e architettura vernacola in Catalogna cento anni fa / Jaume Rosell, Ramon Graus / Universitat Politècnica de Catalunya
Requisiti di sostenibilità ambientale in edilizia: dall’efficienza alla sufficienza / Gianni Scudo, Alessandro Rogora / Politecnico di Milano
La sostenibile “pesantezza”delle architetture progettate e costruite con il clima nell’area mediterranea / Gian Luca Brunetti / Politecnico di Milano
Strategie per la realizzazione e riqualificazione dell’alloggio sociale: sperimentazioni progettuali in Campania / Claudio Grimellini, Bianca Marenga, Cristian Filagrossi Ambrosino / Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Valutazione energetica degli edifici in ambito mediterraneo / Valentina Gianfrate, Paola Gallo / Università degli Studi di Firenze
Abitare Mediterraneo: un progetto di edilizia residenziale pubblica ecocompatibile / Lorenzo Capobianco, Antonella Violano / Seconda Università degli Studi di Napoli Strategie di low energy low cost per il retrofitting del social housing / Alessandra Battisti, Fabrizio Tucci / Università degli Studi “La Sapienza” di Roma Vienna, un esempio europeo di continuità nell’innovazione del Social Housing / Lina Scavuzzo / Politecnico di Milano Studi e Ricerche Strategie di riqualificazione degli insediamenti di edilizia sociale costruiti nella seconda metà del ‘900 / Emanuele Piaia / Università degli Studi di Ferrara Le dighe del quartiere Diamante a Genova Begato: problemi di manutenzione e di riqualificazione / Giovanna Franco / Università degli Studi di Genova Social housing fra costo, qualità e sostenibilità / MariaAntonia Barucco / Università IUAV di Venezia Tecnologie Edifici in legno: tecniche costruttive / Antonio Frattari / Università degli Studi di Trento Tecnologie innovative in legno: caratteristiche e principi costruttivi degli edifici in x-lam / Davide Di Fabio / Università Politecnica delle Marche
Dell’architettura di vetro e del Mediterraneo / Federico M. Butera / Politecnico di Milano Studi e ricerche Spazi aperti next generation: la climatizzazione di microambienti non confinati / Alessandro Mazzotta / Politecnico di Torino Spazi aperti urbani performativi / Renata Valente / Seconda Università di Napoli Smart skin envelope. Integrazione architettonica di tecnologie per il risparmio energetico / Marco Sala, Rosa Romano / Università degli Studi di Firenze Arte edificatoria e coralità nella tradizione costruttiva dell’Italia meridionale / Francesco Polverino / Università degli Studi di Napoli "Federico II"
Dossier Il progetto Housing Sociale / a cura di Giordana Ferri
L’evoluzione degli indicatori di benessere: dall’economia agli indici di sostenibilità / Paco Melià / Politecnico di Milano Metodi di valutazione e indicatori dell’impronta ambientale a scala urbana / Paola Caputo / Politecnico di Milano Valutazione della sostenibilità degli edifici: lo sviluppo normativo CEN / Mario Grosso / Politecnico di Torino Net Zero Energy Building:metodi e strumenti per l’analisi energetica nel processo edilizio / Roberto Giordano, Silvia Tedesco / Politecnico di Torino LEED: un approccio olistico alla certificazione energetica. Metodologia di un rating system per gli edifici storici / Stefano Rugginenti, Chiara Franchini / Politecnico di Milano Criteri di ecologicità e certificazione ambientale dei prodotti edilizi /Andrea Campioli,Monica Lavagna / Politecnico di Milano Studi e ricerche Opportunità e criticità nell’analisi del bilancio energetico di un edificio / Jacopo Gaspari, Dario Trabucco / Univerità IUAV di Venezia Integrazione tra LCA e LCC: sviluppo di un modello di valutazione economico-ambientale / Francesca Thiébat / Politecnico di Torino La selezione dei materiali nei sistemi di certificazione energetico ambientale / Adriano Magliocco, Eleonora Ardissone, Chiara Piccardo / Università degli Studi di Genova
Sostenibilità prefabbricata: il progetto di ricerca KIT haus Plus / Davide Di Fabio, Fausto Pugnaloni, Roberto Fioretti, Paolo Principi / Università Politecnica delle Marche
Studi di Sostenibilità Ambientale per i Piani Particolareggiati: il caso dei Progetti Urbanistici Operativi della Regione Liguria / Andrea Giachetta / Università degli Studi di Genova
Tecnologie Tecnologie di raffrescamento passivo degli edifici / Mario Grosso / Politecnico di Torino
Il “cantiere LEED”: attività ed esempi di misure per costruire in modo sostenibile / Michela Dalprà / Università degli Studi di Trento
Tecnologie per il raffrescamento solare degli edifici / Giuseppe Oliveti, Natale Arcuri, Marilena De Simone, Roberto Bruno / Università della Calabria
Modelli di architettura sostenibili: il protocollo di certificazione energetico ambientale ITACA Marche sintetico / Davide Di Fabio, Fausto Pugnaloni, Roberto Fioretti, Paolo Principi / Università Politecnica delle Marche
Strategie bioclimatiche di raffrescamento naturale in un progetto di edilizia residenziale / Maria Irene Cardillo
Il progetto SOFIE / Ario Ceccotti / Università IUAV di Venezia Il legno, materiale locale per il progetto contemporaneo / Adriano Magliocco, Daniela Benghi, Simone Polleri / Università degli Studi di Genova
Dalla pianificazione strategica alla VAS: verso una nuova razionalità di Piano / Maria Rosa Vittadini / Università IUAV di Venezia
La facciata a velo d’acqua dell’Atelier Fleuriste di Chieri (TO) / Corrado Curti, Luca Raimondo
Paesaggi e passaggi d’acqua: il Velino e lo spazio pubblico della città di Rieti / Alessia Ferretti / Università “La Sapienza” di Roma Tecnologie Il verde pensile / Matteo Fiori / Politecnico di Milano Mitigazione dell’inquinamento urbano con le piante / Rita Baraldi, Francesca Rapparini, Camilla Chieco, Annalisa Rotondi / IBIMET - CNR Coperture a verde pensile: prestazioni idrologiche / Luca G. Lanza, Anna Palla / Università degli Studi di Genova Il verde verticale: effetti energetici di un sistema di rivestimento / Ugo Mazzali, Fabio Peron,Valeria Tatano / Università IUAV di Venezia
ilProgettoSostenibile | indici 01-28
28. Recupero e conservazione tra innovazione e... Focus La manutenzione preventiva del patrimonio archeologico: criticità e proposte operative / Paolo Gasparoli / Politecnico di Milano Il paesaggio come bene comune: un valore da ridefinire / Carlotta Fontana / Politecnico di Milano La valutazione delle prestazioni energetiche negli edifici storici: sperimentazioni in corso / Rajendra Adhikari, Valeria Pracchi, Alessandro Rogora, Elisabetta Rosina / Politecnico di Milano Patrimonio architettonico minore e paesaggio: da esigenza culturale ad opportunità di sviluppo economico / Lelio Oriano Di Zio / architetto restauratore e paesaggista Funzioni compatibili e integrate negli interventi sul patrimonio storico: il caso dell’ex-chiesa dell’Addolorata a Montefredane / Maria Isabella Amirante, Antonella Violano / Seconda Università degli Studi di Napoli Riqualificazione energetica di edifici di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata. Esempi di intervento a Savona / Adriano Magliocco, Andrea Giacchetta / Università degli Studi di Genova Riqualificazione energetica e architettonica dei grands ensambles degradati. L’esperienza francese / Anna Delera, Roberto Rota / Politecnico di Milano Tecnologie e innovazione LIDEA: impianto sperimentale per la produzione combinata di energia elettrica e calore / Leo Brattoli / AREA Science Park Studi e Ricerche Analisi termofluidodinamica delle condizioni microclimatiche interne in edifici storici / Delia D’Agostino, Rosella Cataldo, Paolo Congedo / Università del Salento La “strategia dell’addizione” nei processi di riqualificazione energetica del costruito / Jacopo Gaspari / Università IUAV di Venezia Nuove frontiere del recupero edilizio nell’integrazione delle tecnologie per la gestione idrica / Francesca Perricone / Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Verifica del comfort termico negli uffici del Politecnico di Torino / Guglielmina Mutani / Politecnico di Torino Lorenzo Cazzetta / architetto Retrofit energetico e qualità del costruito: le linee guida per l’edilizia scolastica della Provincia di Torino / Alessandro Mazzotta, Maria Luisa Barelli, Barbara Melis / Politecnico di Torino Limiti tecnologici e contenuti innovativi nei sistemi costruttivi tradizionali: il caso studio di Ferrara / Veronica Balboni, Marco Zuppiroli / Università degli Studi di Ferrara Il dottorato e le tecnologie per l’ambiente costruito: un dialogo fruttuoso tra ricerca, istituzioni e realtà produttiva Maria Luisa Germanà / Università degli Studi di Palermo Tesi di dottorato