ISSN 1826-2201
Autorizzazione Tribunale di Gorizia n. 314 del 20-12-2001 | In caso di mancato recapito restituire all’ufficio di Udine CPO detentore del conto per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Poste italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n.46 - art. 1, comma 1, DCB TS | Semestrale - anno XI - n° 21 gennaio-giugno 2012 - Euro 20,00
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VALUTAZIONE
dossier: aree tutelate e protette – prima parte
Rivista della Associazione Analisti Ambientali
EdicomEdizioni
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Sergio Malcevschi
Un campo interessante di applicazione dell’efficacia degli investimenti ambientali è quello della mobilità sostenibile, dove gli indicatori di riferimento sono in gran parte associabili al tema delle emissioni di inquinanti atmosferici e ad effetto serra. Si presentano alcuni casi studio che evidenziano le soluzioni metodologiche attuabili per eseguire un’analisi accurata in grado rendere evidente il limite fra interventi efficienti e non efficienti.
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Guglielmo Bilanzone Maria Pietrobelli Federica Benelli Rosanna Valerio
La significatività degli impatti sugli ecosistemi nelle esperienze ENEA di valutazione ambientale
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La valutazione dei benefici ambientali delle iniziative di mobilità sostenibile: aspetti concettuali e casi di studio
Uno studio sulle procedure di VIA e AIA in Lombardia: contesto e politiche di semplificazione Marina Riva Viviana Lanza
La semplificazione degli strumenti di valutazione non deve essere solo legata al livello strettamente procedurale, ma dovrebbe mirare a creare le condizioni più appropriate per la reale efficacia delle procedure e per l’intero processo decisionale. Lo studio fornisce alcuni elementi di conoscenza in grado di evidenziare: lo stato di attuazione di VIA e AIA in Lombardia, i principali problemi riscontrati per queste procedure e i possibili fattori di semplificazione in uno scenario comprensivo di diverse linee di azione.
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studi e ricerche
Indicatori del paesaggio e pianificazione territoriale Seconda parte: pianificazione provinciale – Italia settentrionale
Mario Castorina
Pietro Cordara
Dagli anni '90 l’ENEA ha continuato a maturare, su richiesta del Ministero, di enti locali e di enti parco, esperienze di metodo e di sostanza per la valutazione della significatività degli impatti sugli ecosistemi, sia in ambiti naturali, quali parchi, riserve, SIC, ZPS e zone Ramsar, sia in ambiti di “distretto produttivo omogeneo”.
Viene presentata la seconda parte della ricerca su “Indicatori del paesaggio e pianificazione territoriale”, dedicata all'esame dei Rapporti Ambientali per i Piani urbanistici delle province dell’Italia settentrionale (46 amministrazioni).
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VALUTAZIONE
Editoriale
La valutazione ambientale nella pianificazione d’area vasta A cura del gruppo di lavoro su VAS e governo del territorio dell’AAA Il trasferimento della maggior parte delle funzioni delle province a comuni o regioni e la conseguente mancanza di un livello amministrativo intermedio potrebbe influenzare notevolmente l’efficacia della VAS. Sulla base dell’analisi di diversi casi di studio si ipotizza come potrebbe essere la VAS in mancanza di un livello intermedio di governo.
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Il Piano per il Parco Nazionale dell’Alta Murgia e la procedura di VAS – Tra ridondanza di norme e processo partecipativo attraverso l’”Officina del Piano”
Giuliano Tallone Nella valutazione del sistema dei parchi a livello nazionale spesso si tende ad utilizzare chiavi di lettura più strettamente e genericamente “politiche”, sottovalutando gli strumenti tecnici sul piano amministrativo e scientifico che dovrebbero essere i veri criteri guida per esaminare l’efficacia e l’efficienza dell’attività.
Luigi Bombino, Mariagiovanna Dell’Aglio, Annagrazia Frassanito, Chiara Mattia, Luciana Zollo L’articolo evidenzia come il processo di formazione, adozione e approvazione del Piano per il Parco Nazionale dell’Alta Murgia sconti il difficile rapporto con procedure di valutazione ambientale e strategica, con altri strumenti internazionali di tutela degli ecosistemi e con l’arretratezza degli strumenti normativi tuttora vigenti. Si pone inoltre in evidenza come le proposte di Piano e di Regolamento per il Parco abbiano cercato di fare breccia nella cortina fumogena che disciplina il processo di pianificazione di un Parco Nazionale.
La Valutazione di Incidenza sul Piano per il Parco Andrea Gennai
L’articolo descrive il rapporto tra la normativa italiana sui parchi nazionali, in particolare dei Piani per i Parchi Nazionali, e le procedure di Valutazione di Incidenza di Natura 2000. Illustrando l’esperienza del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, in cui il Piano per il Parco è stato stranamente sottoposto alla valutazione di incidenza, l’autore sottolinea la necessità di un urgente aggiornamento legislativo.
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works in progress Sottovalutare il suolo, l’ecosistema ed il paesaggio impedirà la crescita e lo sviluppo del paese Appello del C.A.T.A.P. – Coordinamento delle Associazioni Tecnico-scientifiche per l’Ambiente e il Paesaggio alle autorità ed alle forze sociali italiane.
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Evoluzione di contesto delle aree protette in Italia: dalla legge quadro 394/91 a Natura 2000, alla Strategia nazionale sulla Biodiversità
Analisi appropriate per le procedure di valutazione nelle aree protette Franca Zanichelli
La complessità della situazione generale del sistema di pianificazione territoriale nel nostro Paese è tale che si assiste ovunque ad un complicato equilibrismo tra le aspettative di sviluppo invocate dal territorio e la debole volontà di conservazione del patrimonio naturale, emarginata dai tavoli decisionali che contano, talora riabilitata dal dovere di applicazione delle normative europee almeno entro le aree protette.
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Tullio Bagnati
Questa è la parte prima del dossier Parchi. Vari autori tutti direttamente impegnati nel campo della gestione delle aree protette, da una parte offrono un quadro di riferimento e di prospettiva dello stato delle aree protette, dall’altra analizzano in profondità i percorsi e le criticità procedurali e applicative di un particolare corpus di strumenti di valutazione (VAS, VIA e VI) che svolgono un particolare ruolo di aiuto alla decisione nello specifico contesto delle aree protette.
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Introduzione
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dossier: aree tutelate e protette – prima parte
Le aree protette come caprio espiatorio della crisi o come nucleo della green and smart society. L’esperienza della creazione di una rete ecologica in Friuli Venezia Giulia Pierpaolo Zanchetta
Taluni territori marginali o con problemi socioeconomici crescenti non percepiscono come la presenza di aree ad alta ricchezza biologica possa rappresentare una alternativa stabile all’attuale modello di sviluppo che così diviene il capro espiatorio per tutti i problemi strutturali e contingenti di un territorio. Tuttavia processi di progettazione dal basso riescono a far intuire che proprio gli strumenti di gestione sostenibile delle risorse naturali possono essere la carta vincente per territori finora rimasti al margine.
Attenzioni alle aree protette secondo due indicatori derivati dal Web
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VA & Web Linee Guida per la Valutazione di Impatto Ambientale a cura di Maria Belvisi
Sergio Malcevschi
Rapporti Ambientali di Organizzazioni a cura di Silvia Repossi
Rivista semestrale della
Associazione Analisti Ambientali www.analistiambientali.org Anno XI - n° 21 gennaio/giugno 2012 ISSN 1826-2201 Registrazione Tribunale di Gorizia n. 314 del 20-12-2001 numero di iscrizione ROC: 8147 Direttore scientifico Sergio Malcevschi Direttore responsabile Pietro Cordara
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Sono stati applicati al tema della aree protette, rappresentato da alcune parole-chiave, due indicatori derivati da metodi di web profiling: le variazioni nella presenza di parole-chiave negli abstract delle pubblicazioni ISI - Web of Science, che esprimono l’attenzione al tema da parte del mondo della scienza normale, e gli andamenti di Google Trends in Italia, che riflettono le attenzioni sul Web da parte del pubblico complessivo. L’interesse in campo scientifico rimane discreto, in particolare in abbinamento al sotto-tema della biodiversità.
Valutazione ambientale
VA&libri Recensioni e segnalazioni a cura di Claudia Ferluga
Comitato Tecnico Scientifico AAA Tullio Bagnati Elsa Bazzano Maria Belvisi Gabriele Bollini Pietro Cordara Piero Garbelli Eliot Laniado Marcello Magoni Nicola Nasini Aldo Ravazzi Douvan Sergio Malcevschi (Presidente CTS) Antonio Saturnino Alessandro Segale Renata Villa Renato Vismara Maria Rosa Vittadini Mario Zambrini (Presidente AAA) Maria Chiara Zerbi Redazione Claudia Ferluga Cristina Magri Nicola Nasini Segreteria di redazione e amministrazione Via I Maggio 117- 34074 Monfalcone (Gorizia) tel. 0481.484488, fax 0481.485721 e-mail: info@edicomedizioni.com Progetto grafico Ferdinando Gottard Immagini di copertina a cura di Odinea Pamici Editore EdicomEdizioni - Monfalcone (Go) www.edicomedizioni.com Prezzo di copertina Euro 20,00 Abbonamento annuale 2 numeri: Euro 40,00 Distribuzione gratuita ai soci AAA Stampa Grafiche Manzanesi - Manzano (UD) Distribuzione in libreria Joo Distribuzione - via F. Argelati, 35 - Milano La direzione lascia agli autori piena responsabilità degli articoli firmati. è vietata la riproduzione, anche parziale, di articoli, disegni e foto se non espressamente autorizzata dalla direzione. In copertina Jochen Manz, Hände an den Bäumen, 1985 (particolare), Kodachrome paper print, Galerie Mirko Mayer – Köln
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editoriale
Editoriale Sergio Malcevschi
Tema del dossier di questo e del prossimo numero sono le aree protette italiane. Si è voluto offrire materiale per rispondere ad una domanda: come devono essere considerati i parchi nell’attuale momento di collasso del modello di sviluppo tradizionale? Siamo in una fase in cui i vecchi strumenti che hanno funzionato in passato non più adeguati e devono essere sostituiti da strumenti tecnici e concettuali innovativi, capaci di rispondere ai problemi che ci stanno prendendo alla gola: il disfacimento idrogeologico dell’Italia che si combina con l’aumento degli eventi meteo-climatici estremi, un modello di spesa pubblica non più sostenibile, un’elefantiasi sempre più atrofizzante del sistema normativo-burocratico, la lievitazione esponenziale delle informazioni in cui i documenti inutili o comunque di bassa qualità sommergono e mascherano il buono ed il necessario. Sulle aree protette si è lavorato intensamente negli ultimi decenni; esse non possono certamente essere considerati uno strumento nuovo, hanno assorbito risorse pubbliche rispondendo solo in parte alle attese con cui si erano proposte, di nuovi centri di sviluppo socio-economico locale. In tempi di vacche magre, sono ancora meritevoli di investimenti? La tesi che ha promosso dossier è che i parchi in Italia, oggi, non solo mantengono le motivazioni iniziali che avevano origine nella conservazione di valori ambientali e sociali irripetibili, ma offrono anche un’opportunità irrinunciabile come aree di perfezionamento e diffusione degli strumenti in grado di ri-declinare in concreto il terreno dello sviluppo sostenibile, negli ultimi anni in appannamento. Rio+20 porrà a giugno, livello internazionale, la questione della green economy come asse centrale per una ripresa dei temi della sostenbilità nei prossimi anni. Il Web sta occupando fette sempre maggiori di PIL, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Dopo il tragico terremoto emiliano si riparla (speriamo non solo per qualche
giorno come al solito) di investimenti seri nel campo della prevenzione diffusa dei rischi fisici al territorio; ma il rischio è qui davvero quello di riprodurre l’approccio precedente, in cui le risorse vengono spese in poche protesi tecnologiche ad alto costo (scolmatori, grandi bacini ingegnerizzati che risolvono una percentuale minima dei rischi esistenti) invece che nella riabilitazione diffusa degli ecosistemi extraurbani, compito su chiamare a concorrere non solo grandi imprese ma anche il mondo rurale che ne potrebbe beneficiare anche economicamente. I parchi, e le reti ecologiche polivalenti attraverso cui si connettono al territorio circostante, sono l’occasione prioritaria per catalizzare le sinergie tra le opportunità precedenti. Drivers della green economy non sono solo nuovi prodotti a bassa intensità energetica; ma anche combinazioni intelligenti e innovative di strumenti esistenti. I parchi potranno in tanti casi funzionare come start-up in tal senso, e dovranno pertanto essere considerate luoghi primari su cui far convergere finanziamenti ed investimenti. Contiamo che le esperienze portate negli articoli proposti forniscano spunti interessanti al riguardo. Un altro tema di estrema attualità, su cui la confusione è massima e generalizzata (non solo nell’ambito dei parchi), è quello delle necessità di semplificazione amministrativa nel campo delle procedure di valutazione ambientale. Questo numero della rivista pubblica un primo articolo sulla questione (una ricerca “ad hoc” in Regione Lombardia), che potrà aiutare a riflettere meglio nei prossimi mesi, considerato anche che il tema della complicazione-semplificazione sarà l’oggetto del prossimo convegno in autunno dell’Associazione Analisti Ambientali. Sergio Malcevschi Direttore scientifico di Valutazione Ambientale malcev@gmail.com
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gestione sostenibile del territorio valutazione e contabilitĂ ambientale dossier monografici strumenti e case history studi e ricerche
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VALUTAZIONE
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studi e ricerche
La valutazione dei benefici ambientali delle iniziative di mobilità sostenibile: aspetti concettuali e casi di studio Guglielmo Bilanzone, Maria Pietrobelli, Federica Benelli, Rosanna Valerio
In molti settori della trasformazione urbanistico/territoriale, della produzione e dei servizi, la semplice attribuzione dell’etichetta “ambientale” o “sostenibile” è stata nel passato sufficiente per caratterizzare in senso virtuoso interventi, prodotti o servizi, prescindendo dalla puntuale rendicontazione degli effettivi benefici ambientali postulati da quei termini. Più recentemente, forse anche a causa dell’esito non positivo di alcune iniziative o per via dell’evidenza di impatti negativi correlati (si pensi ad esempio ad alcune fonti rinnovabili), analizzare l’efficacia degli investimenti ambientali è invece diventata una esigenza sempre più frequente se non addirittura un obbligo, soprattutto nell’ambito dei finanziamenti europei. Un campo interessante di applicazione è quello della mobilità sostenibile dove gli indicatori ambientali di riferimento sono in gran parte associabili al tema delle emissioni di inquinanti atmosferici e ad effetto serra. Un esempio italiano è quello connesso agli interventi finanziati con il Fondo Nazionale per la Mobilità Sostenibile introdotto con la legge finanziaria del 2007 nr. 296 del 1996, art. 1 comma 1121, per i quali si richiede che all’esecuzione degli interventi venga affiancata un’azione di monitoraggio e di valutazione in grado di misurare e stimare gli effettivi benefici ambientali generati dallo specifico investimento. Da notare che i termini monitoraggio e valutazione, misura e stima, non sono qui da intendere in forma alternativa ma cooperativa, perché effettivamente, per comprendere i benefici ambientali dell’attuazione di un intervento è tendenzialmente necessario eseguire sia monitoraggi – e quindi misure dirette di variabili ambientali – che valutazioni, intese come processi che implicano combinazioni di informazioni ed applicazione di modelli. Per quanto questa cooperazione sia auspicabile, è da rilevare che in alcuni casi il monitoraggio diretto può essere difficoltoso se non addirittura fuorviante ai fini del riconoscimento dei benefici ambientali; ciò a causa
Environmental benefits evaluation of sustainable mobility initiatives: conceptual issues and case studies How to make correct assessments of environmental benefits of sustainable mobility projects? The article attempts to answer this question by analyzing three case studies: a City Logistcs project, an initiative to strengthen Urban Public Transport System and a project to enhance the use of bicycles in the urban contest. These projects have been accompanied by an important action of monitoring and evaluation, and this has allowed the identification of problems and possible solutions in order to achieve realistic estimates of these benefits, especially as regards the reduction of greenhouse gas emissions and local pollutants. In particular, the inquiry focused on the risk of overestimation of the benefits as a result of oversimplified approaches to assessment. Parole chiave: mobilità sostenibile, monitoraggio, valutazione, bilancio di emissioni Key words: sustainable mobility, monitoring, evaluation, gas emission budget
della difficile ricostruzione delle relazioni causa-effetto, con evidenti ricadute sull’attribuzione del “merito” o del “demerito” di un determinato effetto. Si tratta del ben noto problema della osservabilità diretta degli effetti di un’azione come differenza fra situazione “fattuale” (ciò che accade dopo avere eseguito l’azione) e la situazione “controfattuale” (ciò che sarebbe avvenuto se l’azione non fosse stata implementata1. Per questa ragione è necessario supplire ricorrendo ad altri strumenti che, seppur indirettamente, riescano a documentare gli eventuali benefici ambientali mediante ragionevoli stime originate dall’utilizzo di dati di natura strettamente tecnica (ad esempio fattori di emissione) in associazione con gli esiti di “survey” mirate, dalle quali estrarre informazioni utili per determinare variazioni comportamentali da parte degli utenti dei servizi di mobilità sostenibile attivati. Da rilevare che il beneficio ambientale non è fra l’altro sempre scontato in quanto, superata la necessaria grossolanità di alcuni riferimenti che hanno valore a scala globale (1 km/pax su un mezzo pubblico è “in generale” meno impattante di 1/km pax su un mezzo privato), l’analisi eseguita a livello di dettaglio si scontra con la specificità delle situazioni e non è escluso che possano aversi esiti paradossali.
Di seguito si presentano alcuni casi di studio che mettono in luce tali questioni evidenziando le soluzioni metodologiche attuabili per eseguire un’analisi accurata in grado rendere evidente il limite facilmente valicabile fra interventi efficienti e non efficienti in funzione di approssimazioni progettuali o gestione poco attenta degli interventi. Tali casi di studio sono maturati in seno all’attività svolta dagli autori nell’ambito del monitoraggio/valutazione di diversi progetti di mobilità sostenibile svolti dal Cras s.r.l. – Centro Ricerche Applicate per lo Sviluppo Sostenibile. In particolare si illustreranno metodologie ed esiti di valutazioni riguardanti il tema della city logistcs, del TPL e della ciclabilità, con riferimento a specifiche iniziative attuate in tre città italiane. Si tratta di un’anteprima di un lavoro più vasto in corso di elaborazione che metterà a confronto un numero maggiore di progetti aventi a denominatore comune il tema della mobilità sostenibile.
Il caso C-Dispatch (Comune di Frosinone) Nell’ambito delle politiche di mobilità sostenibile un ruolo importante è svolto dalle iniziative note con il termine di “city logistcs” ovvero la gestione ottimale della distribuzione delle merci nel segmento del cosiddetto
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Pagina a fianco all’indice, Veliko jezero, parco del Tricorno (Slovenia). Foto di Manuela Ghirardi. A pagina 4, Cascate di Iguazú (Argentina-Brasile). Foto di Marco Pagano. A pagina 6, Pinguino di Magellano in Patagonia (Argentina). Foto di Marco Pagano. Figura 1. Progetto C-Dispatch: localizzazione elementi della sperimentazione.
stionari i cui esiti sono risultati immediatamente rappresentative della “prestazione” di uno specifico indicatore; • valutazioni derivate, ovvero basate su calcoli e stime che utilizzano le informazioni di base.
“ultimo miglio” riguardante il trasferimento delle merci dai grandi nodi di distribuzione agli esercizi commerciali al dettaglio. Si tratta di una fetta non indifferente di traffico urbano, composta da veicoli commerciali più o meno grandi che transita e sosta nei centri delle città contribuendo, oltre che all’inquinamento, anche al degrado della vivibilità delle aree urbane ed in specie dei centri storici e degli assi commerciali. Un’iniziativa dimostrativa di city logistics, corredata da una importante azione di monitoraggio e valutazione, è stata condotta fra il 2006 e il 2008 nella città di Frosinone nel corso dell’attuazione del progetto C-Dispatch “Clean Distribution of goods in Specimen Areas at the last mile of the intermodal Transport Chain”, cofinanziato dal programma europeo Life2. In estrema sintesi, trascurando in questa sede tutta la parte comunicativa e divulgativa, il progetto si è concretizzato (fig. 1) nell’utilizzo di una piattaforma logistica di smistamento e aggregazione dei carichi presso la quale i trasportatori che avevano aderito all’iniziativa depositavano i colli destinati alla
zona commerciale della città affidandoli al servizio sperimentale che provvedeva al compattamento dei carichi ed al trasporto alle destinazioni finali con l’ausilio di mezzi a basso impatto ambientale (nel caso specifico un furgone elettrico ed un furgone a metano). Tale azione sperimentale è durata alcuni mesi di cui tre considerati a regime e quindi oggetto dell’azioni di monitoraggio. In tale periodo (ma, per alcuni aspetti, anche in precedenza) sono stati indagati e valutati tre aspetti: • EF: efficienza/efficacia del servizio; • IA: impatto ambientale; • CS: costi. Tali temi sono stati qualificati mediante una serie di indicatori il cui apprezzamento è avvenuto utilizzando dati di natura e fonte diversa quali: questionari rivolti ai diversi soggetti coinvolti, dati tecnici disponibili da sistema di gestione previsto (ad. es. nr. e tipologia delle consegne) e modelli (fig. 2). La misura delle varie performance è quindi avvenuta attraverso: • valutazioni dirette, ovvero misurazioni tramite rilievi strumentali, schedature, que-
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Concentrando l’attenzione sul tema ambientale e, ancora più specificamente, sul segmento relativo alle emissioni di inquinanti gassosi – escludendo la significatività di misurazioni dirette di tipo strumentale per evidenti fattori di scala oltre che per problemi di attribuzione di nessi causali – la metodologia di analisi si è concentrata sulla stima delle emissioni e, più specificamente, sulla valutazione della variazione fra scenario “senza C-Dispatch” e “con C-Dispatch”). Ciò ha comportato la necessità di conoscere tutte le variabili in gioco e in particolare: a) le percorrenze effettuate dai vari trasportatori per recarsi alla piattaforma a partire da un “punto 0” potenzialmente comune agli itinerari dei diversi operatori; b) le percorrenza risparmiate dal trasportatore in conseguenza della consegna delle merci alla piattaforma invece che direttamente ai dettaglianti; c) le percorrenze effettuate dai due mezzi a basso impatto ambientale; d) i fattori di emissione dei mezzi coinvolti. Questo il quadro di sintesi di tali dati: • nr di viaggi dall’esterno verso la piattaforma logistica e ritorno: 105 con veicoli commerciali leggeri (< 35 q) di cui 91,4% di veicoli Euro 2 e il restante 8,6% di veicoli Euro 3; • nr. di viaggi di veicoli C-Dispatch dalla piattaforma verso via Aldo Moro e ritorno: 90,83% con veicolo a metano e 17% con veicolo elettrico; • km totali “dichiarati” dai mezzi che hanno consegnato in piattaforma: 3565 km; • km risparmiati mediante consegna in piattaforma: 10%3; • km totali percorsi dai mezzi C-Dispatch: 936 km.
Figura 2. Progetto C-Dispatch: schema del processo di monitoraggio e valutazione.
Per quanto riguarda i fattori di emissione si è fatto riferimento a quelli all’epoca presenti presso lo banca dati SINANET, deducibili dall’applicazione del modello COPERT che rappresenta uno standard di riferimento europeo per la stima delle emissioni, con integrazioni di altra fonte per ciò che concerne il mezzo a metano ed il mezzo elettrico4. In particolare ci si è concentrati su CO2 e PM10 perché maggiormente rappresentativi, rispettivamente, dei problemi di impatto globale e locale. Sulla base di questi risultati le valutazioni sono state condotte facendo riferimento al contesto locale (ovvero le emissioni prodotte dai mezzi nella zona finale di consegna delle merci) ed al contesto generale (emissioni dovute all’intero ciclo di C-Dispatch). A livello locale i benefici sono risultati chiari ed evidenti perché, ovviamente, eliminando nella zona di consegna delle merci il transito di mezzi Euro2 ed Euro3 e sostituendoli con mezzi a zero o limitate emissioni, si è verificato un indubbio miglioramento. Questo è stato stimato in misura del 43% per ciò che concerne la CO2 e del 90% per ciò che concerne il particolato. Più articolata e controversa è risultata la valutazione inerente il contesto generale. Infatti in questo caso le differenze fra lo scenario “con” e “senza” C-Dispatch sono risultate minime e fra l’altro di segno differente. Infatti mentre per il PM10 è stata verificata una leggera riduzione, per la CO2 si è dovuto constatare addirittura un leggero peggioramento (tab. 1). Visto che si mettono in campo mezzi a basse emissioni in sostituzione di mezzi molto più inquinanti il risultato appare paradossale e, per quanto siano riscontrabili dei benefici a livello locale, un esito di questo tipo potrebbe sicuramente mettere in crisi la scelta di adottare un sistema di city logistics. In realtà la sperimentazione eseguita ha potuto dimostrare che l’efficienza ecologica dei mezzi è una variabile importante ma non sufficiente per avere benefici significativi ai diversi livelli. Infatti una localizzazione non
Tabella 1 - Progetto C-Disptach: sintesi dei bilancio emissivo a livello complessivo. CO2 (g)
km Senza C-DISPATCH
Veicoli euro 2 Veicoli euro 3 Totale
3258,41 306,59 3565
CO2 (g)
km Con C-DISPATCH
Veicoli euro 2 Veicoli euro 3 Mezzo a metano Mezzo elettrico Totale
Variazione
ottimale della piattaforma logistica ha fatto sì che i km risparmiati dai mezzi tradizionali (a cui si evita di raggiungere la zona di consegna) non fossero compensati dai km aggiuntivi percorsi dai mezzi C-Dispatch. Di fatto dalla sperimentazione è risultato che l’insieme dei mezzi coinvolti percorreva più km nello scenario “con C-Dispatch” che nello scenario “senza C-Dispatch”. D’altra parte le valutazioni eseguite dimostravano che, a parità di tutti gli altri parametri, sarebbe bastato raggiungere il 18% di risparmio di km per iniziare ad avere benefici anche sulla emissione di CO2. Questo obiettivo sarebbe stato facilmente raggiungibile e superabile localizzando la piattaforma logistica in maniera
1.096.933,95 103.213,52 1.200.147,47
2932,569 275,931 780 156 4144,5
PM10 (g) 620,73 39,12 659,85 PM10 (g)
987.240,56 92.892,17 210.069,60 – 1.290.202,33
558,65 35,21 19,91 – 613,77
Peggioramento
Miglioramento
più adeguata e comunque in zona “passante”, tale da permettere ai mezzi di origine di eseguire la rottura di carico senza deviare eccessivamente dall’itinerario principale. L’individuazione di queste criticità ha permesso di concludere la sperimentazione con indicazioni utili per l’ottimizzazione di un sistema stabile di city logistics nella città individuando i requisiti localizzativi ottimali al fine dell’elevazione dei benefici ambientali. In termini più generali invece la sperimentazione è stata molto utile per dimostrare che le valutazioni di sostenibilità non possono essere banalizzate e che alcune soluzioni apparentemente benefiche possono invece risultare controproducenti.
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Il progetto “Park e bus in centro” (Comune di Velletri) Il progetto “Park e bus in centro” realizzato nel Comune di Velletri è uno dei 96 progetti di mobilità sostenibile co-finanziati dal Ministero dell’Ambiente nell’ambito del “Bando di cofinanziamento per la diffusione di azioni finalizzate al miglioramento della qualità dell’aria nelle aree urbane ed al potenziamento del trasporto pubblico, rivolto ai comuni non rientranti nelle aree metropolitane”5. Si tratta in particolare dell’attivazione di un servizio di Trasporto Pubblico ad integrazione del TPL ordinario, gratuito per un periodo sperimentale di un anno, realizzato attraverso l’istituzione di tre linee servite da altrettante navette alimentate a metano. Le tre linee (verde, rossa e blu) attraversano l’area urbana di Velletri seguendo percorsi indipendenti atti ad integrare le richieste di mobilità dei cittadini ed in specie quella riferita all’accesso al Centro storico. I tre percorsi, inoltre, intercettano diverse aree parcheggio con potenziale funzione di scambio. Il servizio ha avuto inizio il 23 ottobre 2010 e – nella fase sperimentale di cofinanziamento del MATTM – si è concluso il 31 ottobre 2011, con 309 giorni di esercizio effettivo. Il comune ha comunque garantito la prosecuzione del servizio anche oltre la fase sperimentale coperta dal cofinanziamento ed al momento è ancora attivo. Lungo l’intero corso del progetto è stata realizzata una significativa attività di monitoraggio e valutazione finalizzata sia alla stima e valutazione dei benefici ambientali indotti dalla realizzazione del progetto che, più generale, all’analisi dei livelli di utilizzo e del gradimento/accettazione sociale del progetto da parte della cittadinanza. Tale attività era esplicitamente richiesta dal bando di finanziamento nella prospettiva di supportare il Ministero dell’Ambiente – principale finanziatore del progetto – nella verifica di efficacia delle risorse stanziate.
La metodologia utilizzata ha previsto l’utilizzo contestuale di strumenti di indagine di tipo differenziato, basati su parametri quali-quantitativi derivati da indagini ad hoc, quali rilevazioni dirette ed interviste agli utenti ed ai cittadini, realizzate nel corso delle quattro campagne di monitoraggio a copertura dell’intero periodo di sperimentazione. Il primo ambito d’indagine ha riguardato la verifica dell’effettivo livello di utilizzo da parte della cittadinanza del servizio attivato. Le elaborazioni sono state effettuate a partire dalle rilevazioni quotidiane sul numero di passeggeri trasportati dalle navette nelle diverse fasce orarie della giornata. In questo modo è stato possibile verificare sia l’offerta di TPL integrativo fornita (numero delle corse giornaliere effettuate dalle singole navette), che la domanda intercettata (numero di passeggeri nelle diverse fasce orarie sui diversi percorsi), dati essenziali per le finalità di tutte le altre valutazioni. Le elaborazioni hanno evidenziato che il servizio delle tre navette ha avuto un ottimo riscontro sin dai primi mesi di attivazione: in 309 giorni di servizio sono state effettuate complessivamente 18.012 corse, per un totale di 95.625,14 km percorsi, e sono stati trasportati complessivamente 137.647 passeggeri con una media di circa 445 passeggeri al giorno. I rapporti tra numero delle corse, chilometraggi percorsi e numero dei passeggeri trasportati, non sono sempre analoghi per le singole navette. Nonostante, ad esempio, una delle navette (linea blu) abbia fatto rilevare il maggior numero di corse ed utenti, il rapporto tra corse effettuate e passeggeri trasportati risulta più efficiente in un’altra navetta (verde), che probabilmente risponde maggiormente alle esigenze del contesto locale. Interessante è stato anche rilevare, attraverso apposite interviste effettuate agli utenti delle navette, i bisogni che il servizio ha saputo cogliere, le problematiche a cui il servizio non è riuscito a dare risposta completa, le potenzialità per lo sviluppo successivo. Le
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indagini connesse all’utilizzo del servizio, hanno infatti consentito di esplorare il motivo e la modalità di utilizzo, la tipologia degli spostamenti per i quali esse sono utilizzate e, soprattutto, se è stato possibile utilizzare il bus in sostituzione del proprio mezzo di trasporto, anche con eventuale integrazione dei parcheggi di scambio. I dati mostrano ad esempio, che nonostante l’uso delle navette sia stato integrato nelle abitudini di mobilità dei cittadini, nella maggior parte dei casi, invece, i parcheggi non vengono utilizzati con la funzione di scambio. Gli utilizzatori delle navette sono principalmente casalinghe, pensionati e lavoratori dipendenti, con un’età compresa tra i 60 ed i 70 anni e tra i 30 ed i 40, che vivono in prevalenza nel centro urbano di Velletri; essi usano la navetta per commissioni (38%), acquisti (19%) e spostamenti casa-lavoro (23%). Nel 28% dei casi la navetta ha sostituito certamente uno spostamento altrimenti effettuato con il mezzo privato. Una parte importante degli utenti che non hanno dichiarato tale effetto sostitutivo dell’auto è composta da anziani che hanno approfittato del servizio per effettuare viaggi che altrimenti non avrebbero fatto. Sotto questo profilo è da rilevare la funzione sociale del servizio offerto. Un secondo ambito di indagine esplorato attraverso interviste dirette ha riguardato i livelli di qualità del servizio, valutati tramite parametri diversi di efficienza/efficacia, tra cui senz’altro quello del gradimento da parte dei cittadini, puntando a far emergere potenzialità e problematiche tipiche di un’indagine maggiormente qualitativa e con maggiori margini di soggettività. I risultati hanno messo in evidenza ampi livelli di soddisfazione generale, elevata percezione dei vantaggi offerti nell’eliminare le difficoltà di parcheggio, nell’evitare di guidare con la propria auto, con effetti anche di riduzione dei costi di trasporto. Giudizio positivi anche sulle performance del servizio, sia in termini di sicurezza che di comfort nonché di efficacia. Altri
Figura 3. Progetto Park e bus in centro: metodologia di valutazione dei benefici ambientali.
dati hanno evidenziato una percezione chiara dei benefici sia sulla vivibilità che sull’inquinamento ed attesi effetti positivi sui livelli di congestione con la consapevolezza, però, che questi sarebbero fortemente amplificati se si riuscisse a dare completa attuazione all’esercizio della prevista Zona a Traffico Limitato. Per quanto riguarda i temi più strategici per il Ministero dell’Ambiente e più rilevanti in questa sede, ovvero quelli attinenti alle questioni strettamente ambientali, l’obiettivo è stato quello di stimare quali e quanti sono stati i benefici, in termini di riduzione delle emissioni, generati dall’attivazione di un servizio nato con l’obiettivo di contribuire alla riduzione dell’impatto del trasporto privato fornendo una possibile alternativa all’uso dell’auto. L’approccio è stato necessariamente di natura deduttiva, basato sull’analisi della variazione dello scenario emissivo “con” e “senza” servizio. In sostanza sono stati associati ai chilometraggi complessivi effettuati in presenza ed in assenza dei servizio, i fattori di emissione relativi agli inquinanti oggetto di analisi, per giungere a definire e confrontare le due condizioni (fig. 3). Ma se la scelta e l’applicazione dei fattori di emissione sono passaggi relativamente agevoli e sostanzialmente standardizzati (ad esempio nell’utilizzo del modello Copert IV) ciò che richiede invece elaborazioni specifiche da adattare alla singolarità dei casi è la stima della quantità dei km realmente sottratti al trasporto privato. Tanto più raffinata è tale stima, tanto più le quantificazioni che ne derivano si avvicinano ad uno scenario realistico. Metodi rapidi e speditivi indurrebbero a ricorrere a semplificazioni della realtà, ad esempio assumendo che i km risparmiati dalle auto sarebbero pari al numero totale degli utenti delle navette, moltiplicato per il numero dei chilometri percorsi dalle stesse. Nel caso di studio, al contrario, si è operato per ridurre al massimo parametrizzazioni e standardizzazioni in favore di un approccio puntuale e basato su dati
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per leggere l’articolo completo effettivi acquisiti durante il monitoraggio della sperimentazione. Dunque si è tenuto conto delle abitudini di mobilità degli utenti, della lunghezza media dei loro spostamenti, dell’avvenuta sostituzione – totale o parziale – del viaggio in navetta con quello in auto, della tipologia di auto posseduta, e di altre informazioni di tipo qualitativo che hanno permesso di giungere ad una quantificazione realistica dei km risparmiati. Da queste valutazioni è risultato che le circa 66.000 persone che hanno effettivamente modificato il loro comportamento di mobilità hanno portato ad una sottrazione di complessiva di circa 550.000 km al trasporto privato. Tali chilometraggi sono stati poi ripartiti secondo la tipologia di auto in circolazione a Velletri – al massimo dettaglio di disaggregazione messa a disposizione dell’ACI – per restituire una stima dei benefici quanto possibile contestualizzata a livello locale. Valutati i chilometraggi risparmiati e la tipologia di autoveicoli circolanti si è proceduto alla individuazione dei benefici ambientali, rappresentati dalla quota di emissioni complessive risparmiate grazie al servizio navette, risultante come differenza tra le emissio-
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ni prodotte delle navette e le emissioni prodotte dalle auto “sottratte” alla circolazione. Sulla base di queste valutazioni si potuto stimare che con il servizio “Park e bus in centro” sono stati risparmiati 7.672,36 grammi di PM10 e circa 22.471 kg di CO2 (tab. 2). Si tratta di quantità ridotte rispetto alle esigenze di “disinquinamento” locale e globale, ma senz’altro significative se considerate come derivanti da una singola specifica misura di contrasto all’inquinamento atmosferico. Inoltre il dato deve essere letto alla luce di alcune criticità tra le quali: • il carattere di sperimentalità del servizio e la naturale fase di metabolizzazione da parte della cittadinanza; • l’assenza di azioni complementari forti (potenziamento della ZTL in corso, e dotazione di parcheggi di scambio); • la difficoltà di sviluppo del servizio nelle sue funzioni intermodali (carenza significativa di parcheggi di scambio). Tenendo conto di ciò è realistico ipotizzare che i benefici ambientali descritti possano significativamente aumentare a seguito del
Valutazione Ambientale 21 • 11
Figura 4. Progetto Park e bus in centro: scenari di riduzione delle emissioni.
Tabella 2 - Progetto Park e bus in centro: stima delle emissioni risparmiate.
CO (g) NOX (g) PM10 (g) CO2 (g)
Navetta blu
Navetta verde
Navetta rossa
- 241.783,33 - 42.121,43 - 3.130,98 - 10.203.618,63
- 212.407,38 - 42.956,74 - 2.768,27 - 11.529.661,46
- 139.669,75 - 12.368,36 - 1.773,10 - 737.835,07
miglioramento del servizio e/o delle condizioni al contorno. L’azione di monitoraggio si è quindi arricchita di alcune simulazioni basate su alcuni scenari evolutivi. Sono state considerate in particolare tre ipotesi: • semplice crescita del 30% del coefficiente di riempimento medio dei mezzi; • prolungamento dell’orario del servizio nel corso della giornata secondo le esigenze dichiarate da cittadini e commercianti; • introduzione di una quarta navetta che effettuerà un nuovo percorso sempre finalizzato a potenziare l’accesso al centro storico su mezzi di trasporto collettivi (opzio-
Totale navette - 593.860,46 - 97.446,54 - 7.672,36 - 22.471.115,16
ne già prevista nel Piano di riordino del TPL locale in corso di redazione). Considerando tali scenari di sviluppo del servizio, si è potuto rilevare un effetto moltiplicatore molto rilevante con incrementi dei benefici ambientali che giungono anche a tre volte lo scenario di base (fig. 4). Tenendo conto di queste valutazioni aggiuntive messe a disposizione dell’Amministrazione Comunale l’azione di monitoraggio ha contribuito dunque non solo alle esigenze di rendicontazione richieste dal MATTM, ma anche come importante strumento di sup-
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porto tecnico alle decisioni in materia di politiche di mobilità locale.
Il progetto “S.B.T – Salute e Benessere del Territorio: pedala in città” (Città di San Benedetto del Tronto) Nel 2009 il Comune di San Benedetto del Tronto ha partecipato al Bando di cofinanziamento rivolto ai comuni non rientranti nelle aree metropolitane lanciato dal MATTM per la diffusione di azioni finalizzate al miglioramento della qualità dell’aria nelle aree urbane ed al potenziamento del trasporto pubblico. Nel 2010 la proposta denominata “S.B.T. Salute e Benessere del Territorio: pedala in città” ha superato la selezione ministeriale6. In un contesto dove l’uso ricreativo della bicicletta è già diffuso, il progetto mirava a promuovere la ciclabilità come alternativa di mobilità urbana attraverso l’ampliamento della rete dei percorsi esistenti e la loro connessione a scala sovra-comunale. Il progetto prevedeva infatti l’integrazione dei percorsi ciclabili esistenti attraverso la realizzazione di un nuovo tratto di pista ciclabile nella zona Nord della città. Il nuovo tracciato si estende per quasi 3 km che si aggiungono ai circa 12 km di piste esistenti, che corrono sul lungomare (9,5 km) e parallelamente alla ferrovia (2,5 km). L’intervento è stato completato dalla realizzazione di due nuove postazioni di bike sharing da 10 biciclette posizionate presso parcheggi di scambio o attestamento al centro urbano (fig. 5). Il sistema è del tipo a prelievo meccanico con chiave e integra due postazioni già in uso, situate presso la stazione ferroviaria (8 biciclette) e presso la Riserva Naturale Sentina (12 biciclette). Il progetto si colloca in continuità e relazione con alcune altre iniziative portate avanti dall’amministrazione comunale, in particolare con la campagna di comunicazione “+Bici–Suv” co-finanziata dalla rete europea di CIVITAS CATALIST e con la riqualificazione del parcheggio di scambio di Piazza del Pescatore, finanziata dal POR Marche, che
Figura 5. Progetto S.B.T: interventi previsti.
appunto ospita sia la nuova pista che il bike sharing (fig. 6). Come previsto dal bando, opere e servizi sono state integrate da attività di comunicazione e sensibilizzazione finalizzate a promuovere la ciclabilità urbana e da attività di monitoraggio e valutazione ambientale finalizzate a valutare l’efficacia degli interventi e i loro effetti ambientali. Il monitoraggio finalizzato alla verifica dell’effettivo utilizzo delle opere e dei servizi attivati, alla verifica della qualità del servizio, alla stima dei benefici ambientali prodotti, si è svolto attraverso 4 campagne di monitoraggio, compiute tra ottobre 2010 e ottobre 2011. Nel corso delle campagne sono state svolte circa alcune centinaia di interviste, 4 sessioni di rilievo del traffico ciclo-veicolare in 5 punti significativi della città, e diversi sopralluoghi lungo la rete ciclabile, sia esistente che di nuova realizzazione. A supporto delle interviste sono stati utilizzati due tipi di questionario: uno finalizzato a sondare le abitudini di mobilità con particolare riferimento all’uso della bicicletta e a capire modalità e frequenza d’uso della nuova pista, l’altro finalizzato a verificare il livello di apprezzamento dei cittadini nei confronti delle opere realizzate. Le informazioni e i dati raccolti sul campo sono stati elaborati e restituiti attraverso 4 report di monitoraggio, a loro volta, preceduti da un piano esecutivo di monitoraggio. Il nuovo tratto di pista, completato in breve tempo su progetto dell’ufficio tecnico del Comune, connette il circuito ciclabile di San Benedetto con quello dell’adiacente Comune di Grottammare contribuendo così alla continuità della cosiddetta “Ciclovia Adriatica”; tuttavia non serve zone particolarmente ricche di servizi e nel corso delle rilevazione non è risultato particolarmente frequentato, eccetto che nel corso della stagione estiva. Le interviste hanno restituito nel complesso l’immagine di una città idonea alla ciclabilità, per estensione, conformazione altimetrica prevalente, distribuzione degli “attrattori di
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mobilità”, nonché di una sostanziale “attitudine culturale” alla bicicletta da parte della cittadinanza, che tende a considerarla un mezzo di trasporto a tutti gli effetti anche a prescindere dalla disponibilità di percorsi riservati. Nelle interviste effettuate è emerso che oltre la metà degli intervistati è rappresentato da “utilizzatori frequenti” che utilizzano la bicicletta quotidianamente o spesso (54%), un
quinto la utilizza raramente (20%), circa un quarto la utilizza mai o quasi mai (26%). Tuttavia i giovani tendono a utilizzare la bicicletta in misura minore rispetto agli adulti e agli anziani, solo in parte per effetto di differenti esigenze di spostamento (maggiore frequenza e maggiore distanza): tra coloro che la utilizzano quotidianamente la gran parte ha più di 60 anni (38%), mentre i giovani sotto i 20 anni sono appena il 7%.
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Figura 6. Progetto S.B.T: un tratto delle pista ciclabile.
sulla base di quelli provinciali. Per stimare le emissioni complessive “risparmiate” sono stati infine applicati i corrispondenti fattori di emissione tratti dalla banca dati COPERT espressi in “gr/km”. Il bando ministeriale chiedeva esplicitamente di quantificare sia le emissioni dei principali inquinanti locali che di anidride carbonica, dunque in base alle valutazioni effettuate il progetto ha consentito di risparmiare circa 4,35 kg di PM10, oltre a circa 58 kg di NOX, 138 kg di CO, e circa 18,7 t di CO2 (tab. 3).
Per quanto riguarda la stima dei benefici ambientali, escludendo qualsiasi possibilità di effettuare misure oggettive delle variazioni intercorse fra lo scenario “senza intervento” e lo scenario “con intervento”, è stato necessario mettere a punto una metodologia specifica, alimentata in buona parte dalle informazioni deducibili dalle dichiarazioni fatte degli intervistati. I benefici ambientali derivanti dall’attuazione del progetto sono stati espressi sotto forma di emissioni inquinanti “non prodotte” o “evitate”. La loro stima si è basata sulla valutazione della capacità del nuovo intervento di indurre modifiche nelle modalità e frequenze di utilizzo della bicicletta in sostituzione dell’auto privata e ha richiesto l’integrazione dei dati acquisiti nel corso delle 4 campagne di rilevamento con le banche dati relative alla composizione del parco auto circolante e dei relativi fattori di emissione.
La quantità di persone che a seguito dell’aumentata e migliorata offerta di ciclabilità hanno mutato (o muteranno) le proprie modalità di spostamento riducendo l’uso dell’automobile, è stata quantificata utilizzando gli esiti delle interviste ed assumendo, previa verifica di omogeneità, che il campione sottoposto ad intervista fosse rappresentativo dell’intera popolazione di San Benedetto. Il numero di km sottratti all’uso dell’auto in forza del corrispondente “effetto sostitutivo” è stato assimilato, in via cautelativa, alla lunghezza del nuovo tratto di pista, moltiplicato per una ragionevole frequenza annuale di percorrenza. Il chilometraggio “risparmiato” così ottenuto è stato successivamente ripartito in base alle caratteristiche del parco circolante come descritto dalla banca dati ACI, per cilindrata, classe emissiva e tipo di alimentazione; dove non direttamente disponibili, i dati comunali sono stati disaggregati
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Come appare evidente l’entità dei benefici ambientali connessi alla realizzazione del nuovo tratto di pista è apparentemente limitata, sebbene sostanzialmente in linea con le caratteristiche dimensionali dell’opera; si tratta infatti di un intervento di ampiezza ridotta che non determina impatti sull’assetto urbano pre-esistente, dal punto di vista visivo o funzionale, tali da attivare un cambiamento percepibile nel breve termine. Inoltre, il margine di arbitrarietà del procedimento seguito per la stima potrebbe apparire elevato tuttavia, si tratta di un limite caratteristico di qualsiasi stima che abbia per oggetto la modifica dei comportamenti individuali e comune nel monitoraggio delle misure di mobilità sostenibile. Nel caso specifico si è cercato di compensare tale limite con l’adozione di un approccio cautelativo; i risultati esposti sono infatti legati esclusivamente allo specifico intervento e non tengono conto di effetti sinergici e cumulativi che comunque possono essere ulteriormente innescati. Tenendo conto di ciò, a scopo più che altro dimostrativo della possibilità di incremento, sono state eseguite delle simulazioni ipotizzando di modificare alcune variabili. In particolare sono stati elaborati tre scenari: • uno che tenesse conto dell’”effetto sistema”, ipotizzando un miglioramento dell’interconnessione con altre porzioni del circuito ciclabile;
Tabella 3 - Progetto S.B.T.: stima delle emissioni risparmiate. Lunghezza del tragitto percorso che si ipotizza percorso in bici anziché in auto
Numero di persone influenzate Numero di auto la cui dalla realizzazione della pista circolazione viene limitata
Frequenza annuale km/anno Emissioni di percorrenza risparmiati risparmiate/anno
almeno nuovo tratto di pista ciclabile pari a 2.86 km
4% della popolazione 20-70 anni pari a 1218 persone
40 gg
• uno che tenesse conto di una massiccia campagna di promozione della mobilità ciclabile; • uno basato sull’introduzione di politiche restrittive sulla mobilità auto veicolare. Applicando questi scenari si è potuta constatare una potenzialità elevata di incremento dei benefici ambientali con punte del 133%. Tenendo conto che si tratta di scenari facilmente applicabili che possono essere fra loco cumulati si ritiene che, in definitiva, l’iniziativa abbia generato e possa generare benefici ambientali significativi in una prospettiva di più lungo periodo. Nel complesso le attività di monitoraggio del progetto a San Benedetto hanno evidenziato grandi potenzialità per la mobilità sostenibile in ambito urbano, che tuttavia richiedono anche l’attuazione di misure di tipo regolativo o incentivante in grado di potenziare il trasferimento modale dall’auto verso mezzi meno inquinanti, con riferimento alle criticità locali; ne sono appunto esempio l’introduzione di restrizioni alla circolazione e alla sosta nelle aree centrali e campagne di promozione della ciclabilità specificamente rivolte a giovani e adolescenti.
Considerazioni conclusive Tutti e tre i casi di studio proposti, confermano che, malgrado il breve periodo di osservazione – nell’ambito di fenomeni così complessi come l’inquinamento atmosferico –
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già dall’analisi dei risultati delle stime effettuate, emerge un significativo contributo delle singole misure nell’ambito della lotta all’emissione di sostanze che degradano la qualità dell’aria e/o che contribuiscono all’effetto serra. Si rilevano inoltre grandi potenzialità di crescita dei benefici ambientali, prefigurando scenari di possibile evoluzione e potenziamento dei servizi, che sarebbero senz’altro ulteriormente amplificati, qualora le misure fossero integrate in un’ottica intersettoriale, ovvero in concomitanza con la realizzazione di altre misure strutturali o gestionali di limitazione della circolazione e di potenziamento dello shift modale dal privato al collettivo. Pur tuttavia, esplorando la questione in maniera più approfondita, già le sole tre esperienze citate offrono stimoli interessanti mettendo in luce alcuni aspetti contraddittori, e probabilmente non affatto attesi. In particolare il caso dell’attivazione di un TPL integrativo sperimentato a Velletri evidenzia come sia necessaria una combinazione di più fattori per il successo di una iniziativa simile: • la componente tecnologica, rappresentata in questo caso dall’utilizzo di navette a metano; • i livelli di utilizzo del servizio attivato (coefficienti di riempimento, passeggeri/corsa, passeggeri/km, etc.)7; • la caratterizzazione del parco circolante nel contesto locale. Qualora i tre fattori citati non siano combinati in maniera adeguata, è possibile ottenere dei risultati ridotti in termini di benefici
116.116
CO (kg) NOX (g) PM10 (g) CO2 (kg)
137,76 58.079 4.350 18.671
ambientali, se non addirittura di segno negativo. Esistono infatti dei “valori soglia” sotto ai quali il servizio non è più ambientalmente competitivo o, magari, lo è solo per inquinanti di interesse locale ma non globale. Ciò è confermato – nel caso di Velletri – dalle differenze prestazionali delle tre navette, pur tutte alimentate a metano, ma con una diversa combinazione di km effettuati e passeggeri trasportati. Lì dove il coefficiente medio di riempimento delle navette è elevato, sono elevati anche gli effetti sostitutivi auto/navetta e dunque il bilancio complessivo è nettamente positivo. Qualora invece lo stesso mezzo effettui percorrenze molto maggiori non supportate da analoga risposta da parte degli utenti, i benefici ambientali sono da addurre esclusivamente al fatto di utilizzare un veicolo alimentato a metano, quindi con fattori di emissione che lo rendono altamente performante sotto il profilo ad esempio del PM10, ma molto meno su quello dei gas serra. Ragionando in termini di valori soglia (equilibrio tra emissioni prodotte dalle navette ed emissioni risparmiate alle auto) nel caso studiato si è giunti alla conclusione piuttosto paradossale che se il numero dei pax trasportati si riducesse di più del 37%, il servizio di trasporto collettivo genererebbe un aumento di emissioni di CO2! Altro esempio di contraddizione emerge dagli esiti delle attività di monitoraggio e valutazione dell’esperienza di city logistic realizzata a Frosinone. In quel caso i principali parametri da combinare sono due: • la componente tecnologica dei mezzi (alimentazione elettrica ed a metano),
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Ghiacciaio Perito Moreno in Patagonia (Argentina). Foto di Marco Pagano.
• il chilometraggio complessivo percorso (ovvero l’ottimizzazione dei percorsi e l’ottimizzazione dei carichi e quindi, ancora, la conseguente riduzione dei percorsi). La sperimentazione ha fatto emergere con molta chiarezza che, a parità di alimentazione dei mezzi di trasporto delle merci, il fattore che incide maggiormente sulle performance ambientali ed energetiche, è quello della localizzazione della piattaforma di scambio. Un’errata localizzazione può portare ad un aumento dei chilometraggi complessivi percorsi – dal carico iniziale allo scarico della merce fino a destinazione – e dunque ad un corrispondente aumento dello scenario
emissivo globale.
si è usato un approccio di tipo demoscopico.
Diverso il caso della ciclabiltà dove difficilmente può verificarsi un’inversione di segno dei benefici ambientali. Infatti essendo l’uso della bicicletta realmente ad “emissioni 0” (escludendo la quota legata al ciclo di vita dell’intervento ed alla relativa energia incorporata) anche un minimo effetto sostitutivo del mezzo privato garantisce la positività dell’intervento. Piuttosto, in quel caso è da sottolineare la maggiore difficoltà a stabilire nessi causali fra intervento infrastrutturale (la pista ciclabile) ed incremento dell’uso della bicicletta a svantaggio dell’auto. Nel caso specifico, come ampiamente descritto,
Prescindendo comunque dal merito delle singole esperienze oggetto di valutazione – che riguardino city logistic, servizi di TPL integrativo, potenziamento della ciclabilità o qualsiasi altra misura puntuale di mobilità sostenibile – l’analisi dei casi suggerisce alcuni spunti di riflessione.
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Intanto si sottolinea l’importanza delle azioni sperimentali per supportare il processo di perfezionamento delle metodologie di valutazione attraverso l’individuazione di criticità e possibili soluzioni per una corretta interpretazione dei fenomeni locali e puntuali. Infatti,
Ghiacciaio Perito Moreno in Patagonia (Argentina). Foto di Marco Pagano.
valutare gli effetti di un intervento puntuale, che si tratti di un’opera o di un servizio, offre spesso l’opportunità di realizzare survey ad hoc, che consentono di “correggere” metodologie e parametri di valutazione, restituendo risultati più realistici, in quanto supportati da un quadro informativo specifico e finalizzato. I risultati di tali valutazioni, possono quindi offrire un contributo molto importante nell’affinamento dei criteri e degli indicatori di parametrizzazione che sono invece molto preziosi nei contesti più generali, quali la valutazione dei grandi programmi di intervento di ampia scala sulle stesse tematiche. Si pensi ad esempio quanto è importante disporre di indicatori SMART8 per la stima delle performance ambientali delle azioni relative al settore dei trasporti in tutte le pianificazioni nazionali e regionali oggi orientate sia al risparmio ed all’efficienza energetica sia alla lotta all’inquinamento atmosferico9. Da un punto di vista strettamente metodologico la conclusione più evidente che viene suggerita dall’analisi dei casi di studio presentati è quella della richiesta di massima attenzione ai rischi di generalizzazione e banalizzazione delle valutazioni. In particolare è apparsa evidente l’esigenza di ragionare secondo logiche “di bilancio” in cui considerare sia gli input positivi (ad esempio i km sottratti al trasporto privato) che quelli negativi (ad esempio le emissioni generate dai mezzi pubblici) non dando per scontate le etichette ambientali facilmente attribuibili a molti interventi di mobilità sostenibile. Il tutto non per una critica sterile degli stessi ma per individuare spazi di miglioramento ed ottimizzazione.
Note 1
Cfr. in proposito: Martini A., Sisti M. (2009) Valutare il successo delle politiche pubbliche, Il Mulino, Bologna. 2 Il progetto, di importo pari a circa 1,4 mln di euro, è
stato cofinanziato al 50% da Programma europeo LIFE Ambiente (2005) e promosso e gestito da un partenariato composto dalla Provincia di Frosinone (capofila) e da ATS Società Interportuale di Frosinone s.p.a. – TECNOFER s.r.l., Cras s.r.l. – Centro ricerche applicate per lo sviluppo sostenibile, FIT Consulting s.r.l., WWFRP s.r.l, Italmondo s.r.l., Geoslab s.r.l. 3 Poiché l’adesione a C-DISPATCH ha innescato una modifica delle normali consuetudini operative di distribuzione non è stato possibile determinare con precisione quanti km sarebbero stati risparmiati se CDISPATCH non fosse esistito. Si è supplito con alcune interviste agli operatori deducendo un risparmio di circa il 10%. 4 Per ciò che riguarda il metano cfr. Euromobility e CNR (2007) “Benefici ambientali del metano per autotrazione”. Tale studio considera le emissioni di CO2 e PM10 dei mezzi a metano ridotte rispettivamente del 20% e 80% rispetto a mezzi tradizionali. Relativamente al mezzo elettrico si ricorda che questo a livello locale non è fonte di emissioni di gas mentre a livello extralocale andrebbero considerate anche le emissioni incorporate nel ciclo di vita nel mezzo ed associate ai consumi elettrici necessari per la ricarica degli accumulatori. Nel caso specifico questi contributi non sono stati considerati. 5 Il progetto di importo totale di euro 771.115,10 ha visto come beneficiario il Comune di Velletri ed ha avuto come partner cofinanziatori Cras Srl (Centro Ricerche Applicate per lo Sviluppo Sostenibile), CO.TRA.V. (Consorzio Trasporti Veliterni) e U-Space s.r.l. Il co-finanziamenti del MATTM è stato di euro 538.547,41. 6 Il progetto si è aggiudicato un contributo di circa 171.000 euro, su un budget complessivo di 283.800
euro. Si è svolto tra il 2010 ed il 2011, con la partecipazione in qualità di partner co-finanziatori anche del Cras srl, che ha lavorato principalmente al monitoraggio dell’iniziativa ed alla stima dei benefici ambientali, e della Fondazione Univerde, impegnata su attività di comunicazione e sensibilizzazione. 7 I livelli di utilizzo a loro volta dipendono da tanti fattori tra cui la adeguata progettazione del servizio per fornire una efficace risposta ad una domanda locale nota, la capillare divulgazione dell’iniziativa presso la cittadinanza, l’efficienza complessiva del servizio in termini di copertura degli orari, dei percorsi, stazioni e fermate intermedie, puntualità, etc. 8 Nella scienza delle valutazioni si suggerisce di scegliere gli IOV (Indicatori Obiettivamente Verificabili) – e relative fonti di verifica – attenendosi alla regola degli indicatori SMART, cioè: Specifici (cioè non generalissimi) rispetto all’obiettivo da misurare; Misurabili, quantitativamente e/o qualitativamente; Accessibili, cioè tali che le informazioni si possano reperire ad un costo accettabile; Rilevanti (ovvero “pertinenti”) rispetto ai bisogni informativi; Tempo-definiti, cioè con una chiara indicazione dell’orizzonte temporale di riferimento. 9 Esempio di applicazione alla scala locale è quello dei PAES (Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile), da redigersi nell’ambito del Patto dei Sindaci (www.eumyors. com).
Guglielmo Bilanzone, Maria Pietrobelli, Federica Benelli, Rosanna Valerio Gli autori operano nell’ambito del Cras srl – Centro ricerche applicate per lo sviluppo sostenibile – www.cras-srl.it – mail@crassrl
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Uno studio sulle procedure di VIA e AIA in Lombardia: contesto e politiche di semplificazione Marina Riva, Viviana Lanza
È ormai opinione diffusa che la semplificazione dei procedimenti amministrativi in materia di valutazione ambientale, orientata in particolare a una loro integrazione e coerenza, possa rappresentare per il mondo imprenditoriale un fattore determinante di sviluppo e competitività. A tal proposito, il D.Lgs. 4/2008 (in modifica al D.Lgs. 152/2006) introduceva come principio cardine quello della semplificazione dei procedimenti; il decreto correttivo del 2010 suggeriva poi alcune soluzioni volte a “facilitare gli adempimenti posti a carico dei soggetti che si pongono in relazione con l’Autorità Competente per ottenere l’approvazione di un piano, l’autorizzazione a realizzare un nuovo progetto, ovvero l’autorizzazione (o il suo rinnovo) per il funzionamento di un impianto”, sottolineando come i rimedi siano da ricercare nelle modalità con cui le procedure di valutazione ambientale hanno luogo (Bruna et al., 2009). Nell’articolato quadro degli strumenti che a livello europeo reggono valutazioni integrate, oltre alle direttive in materia di VIA e VAS, si aggiungono quelle in materia di integrazione delle autorizzazioni settoriali ambientali, di reti ambientali complesse (Habitat), di danno ambientale, di partecipazione, di ecogestione. Tra loro è quindi presente una rete assolutamente complessa di relazioni che certamente costituisce una criticità in ottica di semplificazione, ma che è di fatto irrisolvibile e va pertanto gestita. Tale complessità può facilmente generare il dubbio che una tale macchina amministrativa costituisca un handicap nel processo decisionale e più in generale un freno allo sviluppo. Altrettanto complessa risulta però in parallelo la serie di decisioni, che richiede la produzione di azioni (piani, programmi, progetti, realizzazioni, gestioni) in cui si forniscono opzioni alternative di scelta, a loro volta oggetto delle decisioni stesse. In tal senso la serie degli strumenti di valutazione rappresenta solo una versione speculare delle azioni con decisioni (Malcevschi et al., 2008). Spesso vengono imputati agli strumenti
A study about EIA and IPPC procedures in Lombardy region: context and simplification policy In the environmental procedures field, in reference to EIA and IPPC, it’s important emphasized that they are entered in a elaborate decisional process, in which they are side by side by many other evaluation tools, with different cogency and specificity. So, the simplification actions for assessment tools (especially EIA), in order to streamline the evaluation process, should not be just related to the strict procedural level but they should be aimed to create the most appropriate conditions for actual effectiveness of the procedures and for the whole decision-making process in which they are inserted. On those remarks the study provides a knowledge elements able to highlight: the status of implementation of EIA and IPPC in Lombardy, the main problems found for these procedures, as well as the possible factors of simplification, both procedural and extra-procedural, in a inclusive scenario of various lines of action. Parole chiave: semplificazione, procedure ambientali, VIA, AIA Key words: environmental procedures, simplification, EIA, IPPC
valutativi allungamenti nei tempi decisionali in realtà dovuti ad altri passaggi del percorso (gare, contenziosi, ricorsi, ...); ciò è in particolare vero per la VIA, alla quale sono attribuiti ritardi che hanno poco a che fare con i profili ambientali, dato il ruolo subordinato che essa a volte assume rispetto ad altre istanze decisionali (Zambrini, 2011). La radicata propensione della nostra cultura a ricercare interpretazione e conformità delle norme in luogo della qualità di Rapporti Ambientali e/o SIA, costituirebbe un ostacolo all’affermazione della valutazione come strumento di supporto al decisore politico (Vittadini, 2010), facendo altresì percepire la VIA, così come la VAS, dei meri adempimenti burocratici (Cirillo, 2011; Laniado et al., 2011). Partendo da queste considerazioni lo studio, di cui nella presente memoria si dà conto in forma sintetica e che è stato commissionato dal Consiglio regionale della Lombardia, fornisce materiali di conoscenza in grado di: • evidenziare agli interlocutori istituzionali lo stato di applicazione di VIA e AIA in Lombardia; • esplorare i fattori endogeni ed esogeni in grado di inficiare il previsto iter procedurale e/o l’esito positivo di una procedura
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valutativa ed autorizzativa ambientale; • individuare infine i possibili fattori di semplificazione in uno scenario inclusivo di varie linee di azione.
Numeri e statistiche su VIA e AIA in Lombardia Per rispondere agli obiettivi dello studio, tenuto conto delle analisi e delle ricerche di settore già condotte in precedenza (IReR, 2009 e 2010), sono poi state acquisite ed elaborate le informazioni più aggiornate presenti negli archivi regionali relative ai procedimenti di VIA ed AIA, ovvero: • il Sistema Informativo Lombardo per la Valutazione di Impatto Ambientale (SILVIA)1 per le procedure di VIA nel periodo compreso 1998-2010; • l’archivio regionale sulle Autorizzazioni Integrate Ambientali (AIA), messo a disposizione dagli uffici di Giunta di Regione Lombardia, D.G. Ambiente, Energia e Reti, e riferito al periodo 2004-2010. I procedimenti di VIA regionale Nell’archivio SILVIA sono disponibili le procedure di VIA (nazionale e regionale) e di Verifi-
Figura 1. Procedure di VIA regionale classificate per settore di appartenenza e depositate (1998-2010). Fonte: elaborazione Éupolis su dati SILVIA – Regione Lombardia. Figura 2. Durata mediana e numero di progetti assoggettati a VIA regionale, per anno di deposito (1998-2010). Fonte: elaborazione Éupolis su dati Regione Lombardia.
ca (regionale e provinciale) riferite al territorio lombardo nel periodo suddetto; la presente analisi fa in particolare riferimento alle procedure di VIA regionali depositate, pari in quantità a 912 in 13 anni, con una variazione tra un minimo di 5 nel 1998 e un massimo di 162 nel 2006. La Figura 1 restituisce la ripartizione delle procedure di VIA depositate in Regione Lombardia per settore di appartenenza delle opere, evidenziando in particolare le tipologie settoriali prevalenti, e cioè Trattamento, recupero e smaltimento dei rifiuti e Infrastrutture idrauliche e difesa del suolo2. Emerge in questi dati tutta la specificità della valutazione ambientale rispetto al complesso delle attività economiche lombarde: ad esempio, l’industria estrattiva, che nel 2006 in Lombardia rappresentava lo 0,2% del totale degli occupati, pesa in termini di progetti esaminati circa l’11%; ancora, l’agricoltura, silvicoltura, acquicoltura che secondo i conti economici regionali pesava per 1,6% del totale degli occupati, in questo contesto rappresenta anch’essa quasi l’11% dei progetti (IReR, 2009). La valutazione ambientale è pertanto un requisito d’attività per una tipologia ben definita di aziende che operano in settori specifici e senza un peso preminente in un’economia tradizionalmente caratterizzata dal settore meccanico e sempre di più da quello dei servizi. La distribuzione territoriale di queste procedure evidenzia la prevalenza di tipologie progettuali afferenti al settore agricolo nelle province di Cremona e Mantova, al settore energetico a Brescia e Sondrio, e a quello dei rifiuti a Brescia e Milano. Per quanto concerne lo stato complessivo delle procedure esaminate, dal 1998 al 2010 complessivamente 697 procedure di VIA regionale (quasi il 77% del totale) sono state chiuse, 66 sono ancora in corso, 47 risultano sospese, mentre ben 102 (pari all’11%) risultano concluse senza giudizio, registrando queste peraltro un aumento nel periodo considerato. È utile evidenziare che le motivazio-
ni della chiusura di una pratica senza giudizio sono molteplici: dalla carenza o non conformità della documentazione tecnica/amministrativa, al ritiro da parte del proponente per mancanza di interesse a procedere, alla presenza di motivi ostativi all’approvazione del progetto. Tra le analisi svolte di particolare interesse risulta quella relativa alla durata delle procedure valutative, calcolata (laddove vi era disponibilità del dato in archivio) come differenza in mesi tra la data di avvio e quella di chiusura. Dall’analisi di Figura 2 si può osservare come gran parte di esse in realtà si concludano oltre il tempo previsto dall’iter procedurale che, salvo interruzioni per richiesta di integrazioni, si attesta intorno ai 5 mesi. Va
infatti sottolineato che le pratiche considerate sono state in molti casi soggette a periodi di sospensione, sia per richiesta spontanea del proponente sia per necessità da parte dell’Autorità Competente di acquisire integrazioni ai documenti presentati dal proponente. In questi casi la normativa prevede tempi di espletamento procedurali più ampi: 8 mesi, nel caso di richieste di integrazioni, e 11 mesi per situazioni di particolare complessità. Verificando poi le variazioni della durata mediana delle procedure concluse, si riscontra che fino al 2006 essa cresce significativamente, passando da un minimo di 5 mesi nel 2000 a un massimo di 20 mesi nel 2006; al contrario, nel corso degli ultimi anni della serie, la durata diminuisce sino ai 9 mesi del 2010 (cfr. fig. 2). Un incremento significativo
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Figura 3. Domande di AIA per tipologia di attività dell’impianto (2004-2010). Fonte: elaborazione Éupolis su dati Regione Lombardia. Figura 4. Durata mediana e numero di domande di AIA, per anno di avvio della procedura (2004-2010). Fonte: elaborazione Éupolis su dati Regione Lombardia.
si verifica in particolare tra il 2005 e il 2006, periodo cui è associato un numero elevato di progetti depositati (114 nel 2005, 162 nel 2006 e 130 nel 2007). Il picco di durata sembrerebbe pertanto essere determinato da un contestuale e sostenuto aumento dei progetti da esaminare e, in definitiva, dall’incremento del carico di lavoro della struttura regionale preposta a valutarli. I procedimenti di AIA regionale Tra le procedure di AIA depositate nel periodo tra il 2004 e il 2010 si contano complessivamente 1658 domande (di impianti nuovi ed esistenti), in un range di variazione compreso tra un minimo di 10 (2004) e un mas-
simo di 703 (2007). Con riferimento agli ultimi anni ne sono state registrate 22 nel 2009 e 19 nel 2010, al netto di aggiornamenti, modifiche (sostanziali e non), diffide (con sospensioni e non), revoche, riesami, cessazioni di attività e infine rinnovi, le cui informazioni non risultano ad oggi desumibili dall’archivio fornito. Delle sei tipologie di attività previste nell’archivio pergli impianti soggetti ad AIA, quella risultata prevalente era la tipologia “Altre Attività”, nella quale per gran parte erano ricompresi gli impianti per l’allevamento intensivo di pollame o suini; nel grafico riportato si è pertanto ritenuto opportuno enucleare una settima categoria relativa agli
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stessi allevamenti (cfr. fig. 3) e pari al 41% del totale, con un picco di richieste di messa in esercizio nel 2007 (570 domande). A seguire risultano rilevanti anche le domande di AIA afferenti ai settori di Produzione e trasformazione dei metalli, Industria chimica e impianti chimici e infine Gestione dei rifiuti, la cui competenza autorizzativa, a differenza delle precedenti, è tuttora in capo alla Regione (e non alle Province). La distribuzione territoriale delle domande di AIA evidenzia che la provincia di Brescia dal 2004 ad oggi detiene il numero più alto di richieste di inizio attività, con un’alta percentuale nel 2007 e con una specificità per gli allevamenti zootecnici. Seguono per entità di procedure le province di Mantova, Bergamo, Cremona e Milano. Si evidenzia inoltre che gli impianti per l’allevamento intensivo sono concentrati nelle province a maggior vocazione zootecnica, quali Brescia, Mantova, Cremona e Lodi, mentre la produzione e trasformazione dei metalli è significativamente presente a Brescia. La durata mediana delle procedure autorizzative è stata calcolata come differenza in mesi tra la data di avvio delle autorizzazioni e la data di emissione dell’atto autorizzatorio (laddove disponibili in archivio tali informazioni). Ricordando che l’iter procedurale, salvo interruzioni per richiesta di integrazioni, dovrebbe durare 5 mesi, dall’analisi dei dati si osserva come le pratiche autorizzative si concludano entro il tempo previsto soltanto nel 4% dei casi. Verificando le variazioni della durata mediana delle procedure concluse nel periodo 20042010, si riscontra tuttavia che, a parte un picco nel 2005, essa si mantiene sempre su livelli inferiori ai 15 mesi, e tende a decrescere fino al 2007, raggiungendo un valore di circa 5 mesi. L’introduzione dell’AIA nel contesto legislativo nazionale è avvenuta con il D.Lgs. 59/2005 e l’Autorità Competente al suo rilascio ha dovuto ad essa adeguarsi, con le
conseguenti difficoltà dell’inizio. Questo spiegherebbe il picco della durata delle procedure nel 2005 cui peraltro è seguita una diminuzione dei tempi con probabilità riferibile alle sempre migliori performance degli uffici istruttori. L’andamento della durata mediana non segue infatti quello delle domande depositate che invece vede una crescita fino al 2007, legata al recepimento delle novità normative su AIA, e che è andato via via esaurendosi a fronte, trascorso il primo quinquennio, di domande di rinnovo qui non monitorate. In vista del provvedimento normativo regionale del 2008 in base al quale, ai sensi della l.r. 24/2006, l’esercizio delle funzioni amministrative per il rilascio dell’AIA è passato dalla Regione alle Province, l’andamento della durata mediana delle procedure registra un lieve aumento nel 2008, mantenendo comunque valori al di sotto dei 10 mesi e in continua diminuzione, sino ad arrivare ai 7 mesi del 2010 (cfr. fig. 4). La tipologia dei dati sulle domande di AIA presenti negli archivi regionali forniti non hanno consentito un’interoperabilità con il database SILVIA; un’analisi puntuale condotta in precedenza (IReR, 2009) rivela tuttavia che di tutte le procedure di VIA regionale depositate nel periodo 1998-2008, il 28%. sono riferibili a progetti sottoposti anche ad AIA (allevamenti, discariche, centrali e termovalorizzatori, trattamento e recupero rifiuti).
istituzionale, della ricerca, degli studi di progettazione, delle associazioni di categoria, nonché dei portatori di interesse collettivo per la tutela dell’ambiente. Criticità endogene Con riferimento agli attori istituzionali coinvolti a diverso titolo nell’iter procedurale, uno degli elementi critici più ricorrenti risulta legato al loro scarso coordinamento. La molteplicità di rapporti che devono instaurarsi tra gli attori di un procedimento rende difficoltosa la raccolta e condivisione dei pareri previsti prima del giudizio finale, e non sempre strumenti di semplificazione già esistenti quali la Conferenza dei Servizi riescono ad essere in tal senso efficaci. Si rileva inoltre di frequente un’inadeguatezza delle risorse umane disponibili, non solo in termini quantitativi, ma anche in termini di qualificazione del personale tecnico specializzato, spesso attribuibile al turn over degli operatori e alla loro iniziale inesperienza. La qualificazione delle risorse umane preposte alla valutazione gioca infatti un ruolo chiave nell’iter istruttorio, in quanto può accadere che l’esercizio della discrezionalità amministrativa sia lasciato all’individuo non sempre peraltro con piena potestà di rappresentanza dell’Ente di appartenenza. Con riferimento al proponente, invece, i fattori che più frequentemente concorrono ad inficiare il corretto svolgimento di un iter procedurale fanno riferimento alla complessità della materia tecnica e della normativa di riferimento, con una conseguente difficoltà a far comprendere i corretti passaggi istruttori. Si registra poi la mancanza di una semantica condivisa con una conseguente difficoltà di comunicazione tra l’Autorità Competente e il proponente così come tra gli stessi tecnici dei vari settori. Va citata inoltre la generale mancanza di linee guida specifiche a supporto del proponente (per la predisposizione degli Studi di Impatto Ambientale e dei Piani di Monitoraggio Ambientale) che siano modulate sulle specificità territoriali. Infine, si rileva una generale scarsa qualità degli
elaborati tecnici prodotti dal proponente con una conseguente richiesta di integrazioni da parte dell’Autorità Competente che prolunga i tempi istruttori. In merito a quest’ultima criticità resta da valutare il concorso di responsabilità della PA nella messa a disposizione a monte di banche dati e informazioni lacunose e scarsamente accessibili/interoperabili.
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Criticità esogene Alcune criticità emergenti dall’analisi sembrerebbero invece non essere riconducibili strettamente al procedimento valutativo o autorizzativo, pur risultando in grado di impattare sull’efficacia e l’efficienza dello stesso. In primo luogo viene rilevata una notevole complessità normativa: tra alcune norme si possono infatti riscontrare dei disallineamenti, generatori di ambiguità, che inducono ricorsi in sede giudiziaria, con esiti imprevisti e un generale scarico delle responsabilità da parte di funzionari e tecnici delle amministrazioni. Si evidenzia inoltre una criticità legata alla mancanza di strategie/obiettivi chiari, contestualizzati e condivisi, nonché di una visione comune sull’optimum ambientale (frutto di un’adeguata Analisi Costi/Benefici). L’assenza di parametri e di limiti normativi cogenti e ben definiti lascia spazio al libero arbitrio da parte delle Autorità competenti, che possono di conseguenza valutare come optimum ambientale obiettivi, interventi e compensazioni che a giudizio di altri non sarebbero tali. Un altro aspetto da non sottovalutare è il coinvolgimento del pubblico e dei decisori nel processo valutativo che, se inadeguato, comporta problemi di accettazione di piani/progetti da parte delle Comunità locali La mancanza di coordinamento tra le diverse procedure rappresenta infine una forte criticità nell’ambito del processo valutativo dei progetti (e ancor prima dei piani/programmi). Per quanto riguarda il rapporto VIA/AIA, se da un lato appare primaria l’esigenza di coordinamento tra i due procedimenti, data la sovrapponibilità dei tempi istruttori e considerato che i soggetti coinvolti nelle decisioni spesso coincidono, dall’altro appare priorita-
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Le principali criticità rilevate Nel settore ambientale gli obiettivi di maggiore semplificazione e celerità dei procedimenti scontano la presenza di elementi frenanti di vario genere, riscontrabili sia all’interno che all’esterno dell’iter procedurale. Per esplorare meglio tali criticità, non ci si è avvalsi solo dell’analisi di contesto richiamata in precedenza, ma si è ritenuto utile consultare in un tavolo di confronto, previa somministrazione di un questionario con risposte aperte, alcuni tra i principali stakeholders regionali sul tema, provenienti dal mondo
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Figura 5. Relazione tra criticità e prospettive. Fonte: elaborazione Éupolis.
• una più adeguata partecipazione di tutti i soggetti interessati, garantendo presenza, preparazione tecnica e ufficiale potere di rappresentanza dell’Ente nell’espressione del parere di competenza, riducendo così rimandi a memorie successive. • un maggior rispetto dei tempi della CdS, ottimizzando il numero di convocazioni e favorendo la partecipazione di tutti i soggetti interessati sin dalle fasi preliminari; • una più coerente motivazione delle scelte strategiche e localizzative basate su fattori più tecnici e meno politici, anche per gestire eventuali dissensi tra gli attori del processo valutativo.
ria la necessità di mantenere distinti i due procedimenti, tenendo ben presente la differenza tra prescrizioni ambientali (VIA) e prescrizioni autorizzative gestionali (AIA).
getti. Il prossimo traguardo potrà pertanto essere quello di considerare il processo decisionale nella sua interezza, e di lavorare tecnicamente e normativamente sulle connessioni ancora non compiutamente risolte.
Le soluzioni proposte in ottica di semplificazione
Strumenti per l’efficace coordinamento di attori, procedure e scenari di riferimento Le criticità via via evidenziate hanno già consentito di formulare alcune preliminari ipotesi di semplificazione a livello regionale con la l.r. 5/2010, che rilancia la Conferenza dei Servizi, quale strumento di semplificazione atto a facilitare il coordinamento istruttorio ed il confronto fra tutti i soggetti chiamati ad esprimersi sia in fase di valutazione ambientale che di autorizzazione. Tale strumento è tuttavia passibile di alcuni miglioramenti, tra cui:
Alla luce delle considerazioni fatte nei capitoli precedenti, è possibile evidenziare quelli che sembrano i principali fattori di semplificazione degli strumenti tecnico-amministrativi di valutazione/autorizzazione ambientale qui meglio indagati, sia a livello procedurale che extraprocedurale. Riordino complessivo normativo Unao delle criticità precedentemente rilevate riguarda in particolare l’eccessiva complessità della normativa di settore. Nonostante le intenzioni iniziali e i traguardi già raggiunti, il D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. non può essere ancora considerato uno strumento di riordino complessivo normativo in materia ambientale, neppure per la parte relativa alla valutazione di piani e pro-
• una maggiore chiarezza dei ruoli tra tutti i partecipanti, distinguendo gli attori dell’AIA da quelli della VIA; • una maggiore responsabilizzazione nell’espressione dei pareri basata su motivazioni il più tecnico possibili;
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Ulteriori elementi di semplificazione sono espressi nella normativa con riferimento a coordinamento e contestualità delle diverse procedure, per ridurre sia i tempi che la dispersione dell’impegno istruttorio, nonché per omogeneizzare i criteri di valutazione utilizzati nelle procedure. Individuazione di percorsi di coinvolgimento della popolazione lungo l’intero processo decisionale Per risolvere i problemi di accettazione di opere a livello locale, spesso causa di allungamento dei tempi del processo decisionale, risulta fondamentale il coinvolgimento del pubblico e dei decisori nel processo valutativo. Per le procedure di VIA la possibilità per i soggetti interessati di verificare l’effettiva consistenza delle loro preoccupazioni, sembrerebbe già oggi intervenire in modo strutturato. Le maggiori ambiguità del processo sembrano invece esserci nei passaggi intermedi tra piano (VAS) e progetto definitivo (VIA), nell’ambito dei quali vengono prese decisioni che possono generare conflitti anche forti quando ormai, a livello di VIA, il processo decisionale si trova ad un livello avanzato e gli interessi in gioco già molto forti. Per “semplificare” il processo un’ipotesi potrebbe pertanto essere quella di attivare un processo strutturato, non estemporaneo, nell’ambito del quale mettere a sistema le
previsioni e le proposte di trasformazioni territoriali riferite a un dato territorio, accogliendo le osservazioni dei cittadini già nella scelta tra le alternative progettuali, e influenzando così a monte le scelte e le politiche dell’amministrazione regionale.
È anche fondamentale che da una parte non assumano caratteri di rigidità, per poter tener conto delle complessità del territorio; e che dall’altra consentano a chi le applica di poter ritrovare riferimenti aggiornati in modo da ridurre al minimo la discrezionalità.
Predisposizione di linee guida operative dinamiche e contestualizzate Le linee guida, quali strumenti operativi e fondamentali per consolidare teoria e prassi della valutazione ambientale, giocano un ruolo chiave per un’applicazione omogenea della norma sul territorio, proponendosi di definire le modalità di presentazione ed i contenuti della documentazione da produrre. A tal fine dovrebbero prima di tutto fornire le basi per la definizione degli scenari di sostenibilità, che stanno a fondamento delle valutazioni ambientali, e quindi declinare gli obiettivi ambientali assunti ai livelli di governo superiori definendo in termini spaziali le prospettive di riequilibrio del sistema ambientale nel suo insieme (reti ecologiche polivalenti, governo ottimale del rischio idrogeologico, recupero del degrado paesaggistico). Le linee guida si pongono come strumenti di semplificazione in quanto detengono tra le altre la potenzialità di: • rendere accessibili ed interoperabili le banche dati, contenenti tutte le informazioni ambientali per l’acquisizione del quadro di contesto; • potenziare un sistema informativo georeferenziato ed interrogabile, per la raccolta delle risultanze di tutte le procedure e per la valutazione cumulativa degli effetti determinati dalla sommatoria di più impianti territorialmente vicini. Condividere una semantica di base, almeno a livello regionale, per avere definizioni uniche e condivise, pur lasciando ampia discrezionalità soprattutto con riferimento alla sitospecificità dei territori; • definire metodologie e criteri oggettivi ed univoci per la valutazione degli effetti ambientali e l’individuazione degli indicatori più idonei al monitoraggio.
Organizzazione di percorsi finalizzati di formazione e accompagnamento All’efficacia dei processi valutativi ed autorizzativi ambientali, può contribuire anche l’organizzazione di percorsi di formazione e accompagnamento, che in Lombardia trova già qualche esempio concreto soprattutto a seguito del recente conferimento di funzioni agli Enti locali su questi temi. Si pensi ad esempio al conferimento di competenze alle Province per il rilascio, rinnovo e riesame dell’AIA (l.r. 24/2006), verso cui la Regione ha esercitato una significativa azione guida, anche mediante l’istituzione di un tavolo permanente di confronto. Si pensi altresì al conferimento di competenze a Province e Comuni in materia di VIA e di Verifica (l.r. 5/2010 e successivo RR del 21 novembre 2011), in base al quale la Regione ha avviato, in collaborazione con Éupolis Lombardia, una significativa azione di accompagnamento – attraverso l’organizzazione di tavoli e la predisposizione di una piattaforma informatica di scambio e condivisione – volta a favorire la creazione di una rete stabile di relazioni tra funzionari e dirigenti di Regione, Sistema regionale allargato (ARPA, ERSAF, ASL, ...) e Province con responsabilità varie nell’ambito del procedimento VIA.
mentale che extraprocedimentale, in funzione delle quali è stato possibile individuare le soluzioni prospettabili per coordinare in modo sempre più efficace ed efficiente i procedimenti. Emerge dal presente studio la necessità di risolvere i nodi critici non solo dei procedimenti di valutazione ed autorizzazione in materia di ambiente, ma dell’intero processo decisionale; e il supporto principale muove proprio dalla semplificazione, in tutte le sue forme, procedurali e non, ma soprattutto nella sua accezione più ampia di “gestione della complessità”. I principali fattori di semplificazione dovrebbero pertanto muoversi in un orizzonte più ampio inclusivo di varie linee di azione: dal riordino complessivo normativo alla predisposizione di linee guida dinamiche e modulabili rispetto al contesto di applicazione; dal coinvolgimento delle comunità locali lungo l’intero processo decisionale, all’organizzazione di percorsi finalizzati di formazione in grado di accompagnare le nuove deleghe di funzioni ai soggetti locali, ma altresì di omogeneizzare e rendere più interlocutorio il processo decisionale. La recente attuazione, con Regolamento regionale, del conferimento di funzioni agli Enti locali in materia di VIA apre la porta a un maggior coinvolgimento e più ampia responsabilizzazione dei territori nel processo di valutazione e governo delle implicazioni ambientali dei progetti. Processo che va sicuramente stimolato, ma anche attentamente e lucidamente guidato e gestito insieme. Da una parte sembra infatti profilarsi l’opportunità di una convergenza di tali procedimenti in capo ad un unico soggetto amministrativo (RUP), almeno per ottimizzare le sinergie e omogeneizzare le basi conoscitive di riferimento per le diverse istruttorie (VIA, VAS, AIA; da analizzare poi meglio senza escludere i casi della VIC e dell’autorizzazione paesaggistica), dall’altra tuttavia si pone l’esigenza di mantenere un coordinamento forte in capo alla Regione che in qualche modo monitori costantemente gli effetti di una
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Conclusioni La metodologia di lavoro utilizzata ai fini del presente studio, ha consentito di porre l’attenzione – per quanto riguarda le procedure di valutazione ed autorizzazione ambientale – su quanto già svolto dalla Regione in ottica di semplificazione, sulle principali criticità ancora emergenti, sia di natura endoprocedi-
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Cascate di Iguazú – Gola del Diavolo (Argentina-Brasile). Foto di Marco Pagano.
ne di Incidenza, VAS e VIA. Valutazione Ambientale, n. 13, EdicomEdizioni, Milano. Malcevschi S., Belvisi M., Chitotti O.C., Garbelli P. (2008) Impatto ambientale e valutazione strategica. Il Sole 24 ore, Milano. Vittadini M.R. (2010) Processo decisionale e VAS di filiera. Valutazione Ambientale, n. 17, EdicomEdizioni, Milano. Zambrini M. (2011) La valutazione ambientale alla prova dei fatti. Valutazione Ambientale, n. 19, EdicomEdizioni, Milano.
Note 1
SILVIA è accessibile al seguente url: http://silvia. regione.lombardia.it/silvia/jsp/home.jsf 2 Questi due settori sono sostanzialmente rappresentati da opere quali discariche, inceneritori, impianti di trattamento di rifiuti con capacità superiore a 100 t/giorno, e da derivazioni di acque superficiali (da utilizzarsi per scopi non energetici) con portata superiore ai 1.000 l/s, depuratori con potenzialità maggiore di 100.000 a.e.
Ringraziamenti
maggiore prossimità del livello decisionale politico al territorio. Oltre alla messa in atto delle ipotesi di semplificazione già descritte, diventa quindi strategico il mantenimento della consapevolezza, tra tutti i soggetti implicati, in merito alle principali problematiche sui temi oggetto della presente ricerca. Diventa poi necessario monitorare passo dopo passo l’attuazione di queste deleghe, analizzarne le dimensioni più importanti, stimolare momenti e occasioni di confronto per fare il punto sulle problematiche, cercando di prevederne eventuali amplificazioni, e quindi di proporre tempestive azioni risolutive. Ciò ampliando lo sguardo anche ad altri casi italiani in cui tale convergenza di potere e di esercizio di funzioni ha già avuto luogo (es. Emilia Romagna, Piemonte).
Bibliografia Bruna L. G., Gatti R. C., Ferrucci G. (2009) Guida pratica VIA, VAS e AIA. Gruppo24ore, Milano. Cirillo M. (2011) La normativa tecnica in materia di valutazione ambientale. Valutazione Ambientale, n. 19, EdicomEdizioni, Milano. Consiglio Regionale della Lombardia “Procedure di VIA e AIA in Lombardia. Ipotesi di semplificazione”, Milano, maggio 2012, in http://www.consiglio.regione.lombar dia.it/web/crl/Servizi/Ricerche. IReR (2010) 1998-2008: dieci anni di VIA. II Fase: analisi di efficacia delle prescrizioni. Rapporto finale di ricerca, Milano (Cod. IReR 2010B024). IReR (2009) 1998-2008: dieci anni di VIA. Esperienze e insegnamenti. Rapporto finale di ricerca. Milano (Cod. IReR 2009B003). Laniado E., Arcari S., Cappiello A. (2011) Linee guida, strumenti operativi, quadri di riferimento per la valutazione di significatività degli impatti. Valutazione Ambientale, n. 19, EdicomEdizioni, Milano. Malcevschi S. (2008) Aspetti del rapporto tra Valutazio-
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Si ringrazia il Servizio Studi e Valutazione Politiche regionali del Consiglio regionale della Lombardia, che ha commissionato lo studio di cui sinteticamente si dà conto in questo documento, nonché i funzionari contattati della D.G. Ambiente, Energia e Reti e della D.G. Semplificazione e Digitalizzazione, che hanno messo a disposizione materiali e informazioni di fonte istituzionale e tecnica. Si ringraziano inoltre tutti gli stakeholders che si sono resi disponibili a compilare il questionario e a partecipare al momento di confronto finale.
Marina Riva Ricercatore Éupolis Lombardia, marina.riva@eupolislombardia.it Viviana Lanza Collaboratore di ricerca Éupolis Lombardia, viviana.lanza@eupolislombardia.it
La significatività degli impatti sugli ecosistemi nelle esperienze ENEA di valutazione ambientale Mario Castorina
La valutazione della significatività degli impatti, e quindi degli aspetti ambientali diretti e indiretti, di piani e progetti (VIA, VAS e VI), ma anche delle attività in condizioni ordinarie, straordinarie e di emergenza delle organizzazioni che si dotano di un sistema di gestione ambientale (ISO14000 o EMAS), è l’elemento comune di tutte le valutazioni ambientali e anche il più critico. Tale criticità risiede nella complessità e nella grande molteplicità di procedure di valutazione ambientale, già nel 2007 si contavano oltre 100 sistemi di VIA nel mondo (Wood et al., 2007), ma anche nella diversità di approcci al problema specifico dell’attribuzione della significatività agli impatti (Lawrence, 2007; Cloquell-Ballester et al., 2007). Come è noto, le maggiori critiche poggiano sulla soggettività delle interpretazioni, sull’arbitrarietà nella scelta delle soglie, sulla scarsità di dati, sull’impredicibilità intrinseca dello sviluppo di alcuni ecosistemi e sull’ambiguità semantica del concetto di significatività (Opdam, 2009). All’interno del processo di valutazione ambientale l’attribuzione della significatività degli effetti sugli ecosistemi, in particolari sui siti della rete ecologica Natura 2000, oggetto della VI, è l’elemento maggiormente discusso. Infatti, già l’evoluzione normativa della materia si è andata sviluppando in maniera tortuosa sia in Europa (Peterson et al., 2010) che in Italia per i diversi recepimenti regionali (Castorina et al., 2008) e per i complicati intrecci e interazioni procedurali con altre normative (Malcevschi, 2008a). Anche a livello di linee guida e di applicazioni della normativa le differenze sono molteplici in Europa (Cooper e Sheate, 2002; Kunzmann et al., 2009; Therivel, 2009; Christensen e Kornov, 2011) e in Italia (Malcevschi, 2008b). Tra i motivi che rendono dubbia, in generale, la qualità delle valutazioni sono citati (Geneletti, 2006; Wood, 2008; Söderman, 2009; Pölönen, 2009, Jalava et al., 2010): l’identificazione delle aree di studio non segue criteri ecologici; gli effetti della frammentazione degli habitat e i corridoi ecologici vengono spesso ignorati o sono consi-
Impact significance determination in the ENEA experiences of Natura Assessment Assessing the significance of impacts on ecosystems is one of the most difficult process of the environmental assessment. This is largely due to the cross-disciplinary nature of the problem and to the chronic lack of data. According to the EC guidelines the conclusions of the three stages of the Natura assessment (screening, appropriate assessment and assessment of alternative solutions) must be based only on scientific considerations, and the assessment should not be influenced by wider planning or other considerations. The process of linking Natura assessment and EIA/SEA/EMAS is still evolving and the number of guidance documents is continually increasing across the Europe, but the European regions are still far from including a shared body of tools and methods into their daily management. The ENEA (Italian Agency for the new technologies, the energy and the sustainable economic development) supported technically the Italian Ministry of Environment to identify the Natura 2000 sites in the country, and after that the Agency continued to try out methods and tools to underpin the significance assessment of impacts of plans and projects on natural areas (national and regional parks, Natura 2000 sites, Ramsar zones). Considering the flow of an impact-source, path, target the approach of the Agency was to separate the features of the last two elements from the specific environmental aspects of the proposal, but to link them to a DPSIR schema previously got ready to manage them. The fundamental argument of the ENEA is that official data and documents should be used to product more objective and comparable environmental studies and assessment. Whereas in-field research was performed it was done with the specific goal to address and stimulate the competent authorities to improve data collection, storage and publishing and to fund research toward plugging the gap of knowledge. Parole chiave: significatività degli impatti, natura 2000, biodiversità, direttiva habitat Key words: impact significance, natura 2000, biodiversity, habitat directive
derati solo gli effetti diretti in maniera descrittiva; gli effetti cumulativi sono quasi sempre ignorati; i piani di monitoraggio per valutare gli effetti della mitigazione sugli impatti previsti non considerano il controllo degli impatti non previsti; la difficoltà di accesso ai dati ripartiti tra più organismi pubblici e, soprattutto a quelli privati; la scarsa attenzione alle aree che, pur non comprese nei siti Natura 2000, partecipano a importanti funzioni per l’ecosistema e per il paesaggio. Alcuni autori hanno poi denunciato lo scarso peso della valutazione ambientale nel momento politico della presa di decisioni, pur ammettendo che la qualità degli studi ambientali può influenzare le decisioni (Wood et al., 2007; Opdam, 2009). A fronte di tali problemi, negli anni recenti la comunità scientifica ha sperimentato e messo a punto metodi orientati a ridurre la soggettivi-
tà dei criteri e l’arbitrarietà delle soglie nelle valutazioni di significatività attraverso l’uso di tecniche multicriteriali e di strumenti quali la RIAM (Kuitunen et al., 2008; Ijäs et al., 2010), l’impiego del GIS (Gontier et al., 2006; Scolozzi e Geneletti, 2011) e della fuzzy logic (Wood, 2007) o di entrambi (Bojórquez-Tapia et al., 2002) e di altri strumenti creati con lo stesso fine (Cloquell-Ballester et al., 2007). L’ENEA è l’ente pubblico di ricerca che ha supportato tecnicamente il Ministero dell’Ambiente nell’identificazione della rete Natura 2000 in Italia, attraverso il progetto Bioitaly (ENEA, 1997), ed ha ottenuto il primo finanziamento europeo per la messa a punto dei piani di gestione dei siti di importanza comunitaria (progetto LIFE B43200/97/272, Azioni su siti della regione mediterranea). Successivamente l’ENEA ha
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effettuato studi di valutazione ambientale finalizzati alla realizzazione di sistemi di gestione ambientale delle aree protette, quali il Parco Nazionale del Circeo, il Parco regionale del Po – tratto Alessandrino-Vercellese, la Riserva di Miramare, il Parco del Frignano, la laguna di Acquatina di Frigole, per citarne alcuni (Naviglio, 2003; Barbato et al., 2007), e di distretto industriale (Castorina et al., 2007), con la produzione di linee guida (UNI, 2001; Naviglio et al., 2009a). L’ENEA, inoltre, partecipa alla ricerca sugli indicatori per le valutazioni ambientali, soprattutto nei casi in cui gli obiettivi di più direttive, come per esempio quelli della direttiva Acque e di quella Habitat, debbano essere soddisfatti congiuntamente (Castorina, et al., 2010). Le esperienze qui presentate riguardano le metodologie adottate dall’ENEA per la riduzione dell’incertezza, e quindi della soggettività, nella valutazione della significatività degli impatti concernenti gli ecosistemi in alcuni casi studio. L’agenzia ha anche sperimentato metodologie innovative di comunicazione per la misura del consenso degli stakeholder verso la conservazione delle risorse naturali (CORDIS, 1999).
Metodologia adottata nei casi-studio Detto aij (i = 1,…N; j = 1,…,M) il contributo all’i.mo impatto, tra gli N identificati, da parte del j.mo aspetto ambientale del piano/progetto o prestazione/attività che si stanno valutando, e che agisce in sinergia con gli altri M-1 aspetti ambientali identificati per lo stesso impatto, la significatività dell’i.mo impatto è derivata: 1 dalla rilevanza di aij: frequenza o probabilità di accadimento, durata, intensità o dose, posizione rispetto ai limiti fissati dalla normativa cogente, efficienza/efficacia dei meccanismi di prevenzione, mitigazione e controllo, sensibilità e aspettative aziendali/sociali. In altre parole, dipende dalla parte source dell’impatto, prevalentemente di competenza ingegneristica,
gestionale e di comunicazione; 2 dal contesto delle pressioni che sinergicamente e cumulativamente agiscono nel territorio e alle quali aij contribuisce in una certa misura, cioè dalla parte path dell’impatto che è prevalentemente di competenza delle autorità territoriali; 3 dal valore ecologico, dallo stato di conservazione e dalla vulnerabilità, rispetto alla pressione specifica associata a aij, degli habitat e delle specie che subiscono l’impatto, vale a dire dalla parte target dell’impatto, che è di competenza prevalentemente naturalistica. In definitiva, la significatività degli impatti dipende dalle caratteristiche del flusso source-path-target e dalla sua correlazione. Ciò vale in tutte le fasi del processo di valutazione (screening, appropriate assessment, ecc.) a livelli crescenti di dettaglio e di quantificazione, considerando anche il grado di rispetto della normativa cogente per ciascun aspetto ambientale identificato. In tutti i casi studio presentati si è riscontrata un’eccellente capacità da parte del committente a contribuire alla caratterizzazione della parte source, quella ingegneristico-gestionale, mentre le lacunosità maggiori hanno riguardato la seconda e la terza componente della propagazione della perturbazione ambientale. È pertanto su tali settori che si è concentrata l’attività di sperimentazione dell’ENEA che, conformemente allo scopo dichiarato di voler ridurre il grado di incertezza e di rendere possibili eventuali confronti tra valutazioni, ha fondato la propria metodologia su tre strumenti: a) utilizzo dei giudizi riportati nelle schede Natura 2000 dei siti interessati alla valutazione, tali schede sono infatti l’unico documento ufficiale depositato in Italia e in Europa sullo stato di conservazione dei siti e sulla loro vulnerabilità, eventualmente integrando le informazioni ecologiche con documenti specifici, quali gli Action Plan per talune specie, i libri rossi e le linee guida ufficialmente pubblicate dalle autorità competenti;
26 • Valutazione Ambientale 21 / studi e ricerche
b) utilizzo dello schema DPSIR, georeferenziato su GIS per le aree di studio, per l’identificazione delle fonti di dati riguardanti le pressioni ambientali in atto e delle loro cause ed evoluzioni (Naviglio et al., 2009b); c) identificazione di indicatori possibilmente standardizzati o pubblicati in elenchi ufficiali, seguendo le indicazioni della norma ISO 14031 per gli ECI e quelle dell’ISPRA, da utilizzare nella descrizione dell’impatto e per il monitoraggio successivo all’adozione del piano/progetto/SGA. Si sono anche rese necessarie delle osservazioni sul campo, ma con l’obiettivo di coinvolgere nel metodo le autorità competenti e sensibilizzarle sulla necessità di migliorare la gestione dei dati e la loro fruizione: il compito di effettuare attività di ricerca non dovrebbe, infatti, spettare agli autori degli studi ambientali. L’uso pratico delle linee di indirizzo qui esposte è sviluppato nei singoli casi-studio.
Discussione dei casi-studio Valutazione della significatività per un SGA territoriale: il caso del Parco Nazionale del Circeo. L’analisi ambientale del PNC rientrava nelle attività del progetto “Parchi in qualità”, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e indirizzato a sperimentare l’applicazione dei sistemi di gestione ambientale agli enti gestori di un territorio protetto, appunto il PNC e il parco regionale piemontese del Po. L’analisi ambientale ha riguardato ben 15 dei 35 rapporti redatti per il progetto e ha considerato prevalentemente gli aspetti ambientali indiretti del gestore (Castorina et al., 2003a). Lo studio, pertanto, se per la caratterizzazione della parte source ha considerato i pochi aspetti ambientali diretti dell’ente gestore, si è sviluppato su basi statistiche campionarie sugli aspetti ambientali propri di altri soggetti operanti nel territorio e nel suo intorno lad-
Tabella 1 - Estratto della Matrice di sintesi. INDICATORI DI PRESSIONE
INDICATORI DI STATO
CRITICITÀ EVIDENZIATE
OBIETTIVI DI SOSTENIBILITÀ
Grado di frammentazione degli habitat forestali
Il corridoio più evidenziate è quello che, attraverso le zone Selva Piana, Baia d’Argento, Molella, seguendo il contorno del lago di Paola, congiunge le foreste del promontorio con la foresta MAB. In tale corridoio sono presenti, in diverso grado, edilizia residenziale e coltivi che rendono frammentari gli habitat naturali
1. Abbandonare i coltivi e rinaturalizzare il territorio demaniale. 2. Sostituire con siepi le recinsioni murarie attorno alle ville. 3. Consentire la piantumazione di sola flora autoctona nei giardini
DETERMINANTI Agricoltura e pesca Industria alimentare Altra industria Commercio Servizi turismo Servizi enti locali Gestore parco
PROBLEMATICA AMBIENTALE
CONNETTIVITÀ ECOLOGICA 1. Rapporto tra aree DELLE AREE DI SELVA PIANA naturali e aree E BAIA D’ARGENTO antropizzate (CORRIDOIO TRA FORESTA 2. Registrazione delle MAB E PROMONTORIO) recinzioni e altre barriere anti-natura
IMPOVERIMENTO DELLA QUALITÀ ECOLOGICA DELLE ACQUE SUPERFICIALI
1. Indici biologici 1. Superficie agricola Inquinamento di vario tipo di qualità ambientale utilizzata (SAU) a seconda del corso (IBE, BMWP’ e GIS) 2. Numero di imprese d’acqua: principalmente e di funzionalità di agricoltura intensiva industriale e urbano lungo fluviale (IFF) 3. Numero allevamenti l’asta del canale delle 2. TEST ECOTOSSICOLOGICI acque medie – Rio Martino intensivi sui sedimenti 4. Presenza di scarichi e principalmente di tipo 3. Parametri chimici abusivi industriali agricolo nei canali fisici e microbiologici e domestici di bonifica. La funzionalità sulle acque di alcuni corsi d’acqua è compromessa dalle opere di artificializzazione dell’alveo e delle sponde e in alcuni casi dall’intermittenza dei flussi. Si segnalano inoltre la presenza di interruzioni del continuum fluviale di vario tipo e l’ingressione di acqua marina in alcuni tratti.
dove era evidente la connessione ecologica. Per la caratterizzazioni delle parti path e target del flusso degli impatti si è promosso il coinvolgimento dei (numerosi) proprietari e gestori di dati, attraverso attività prima di sensibilizzazione e poi di organizzazione. Specificatamente, sono stati coinvolti nella raccolta e nella elaborazione dei dati: la provincia e il comune di Latina e i comuni di Sabaudia, San Felice Circeo e Ponza, l’APT di Lati-
na, la Camera di Commercio di Latina, la ASL, il Consorzio di Bonifica dell’Agro Pontino, l’ARPA Latina, l’Università La Sapienza, sede di Latina, l’Istituto Tecnico Agrario di Latina, l’Unione Industriali, le associazioni di categoria degli Agricoltori, l’ASFD. Si è fatto inoltre ricorso ai dati ISTAT quando era disponibile il tipo di disaggregazione desiderato. L’integrazione dei dati raccolti e la loro elaborazione hanno consentito la redazione
Verifica delle fonti di inquinamento puntuali e diffuse allo scopo di controllarne l’impatto per ridurlo. Azioni per la rinaturalizzazione delle sponde dei canali mediante tecniche di ingegneria naturalistica. Promozione di impianti di depurazione naturale delle acque (fitodepurazione o ecosistemi filtro).
X
X
X X X
X X
di una matrice di sintesi (tab. 1) delle principali criticità ambientali del territorio. A questo punto le 11 tipologie di funzioni dell’ente gestore, distribuite in quattro settori di attività (gestione beni e patrimonio e attività di ricerca e didattiche; divulgazione, fruizione e antincendio; tutela del territorio e protezione della fauna; amministrazione, personale, piani e programmi) sono state analizzate con riferimento a 9 tipologie di aspetto ambienta-
Valutazione Ambientale 21 • 27
Tabella 2 - Estratto della significatività degli aspetti ambientali. S correttivo sensibilità, C conformità normativa, R rilevanza, E efficienza-efficacia. Aspetto Ambientale
S
C
R
E
GSC
IU Risorse Idriche in Uscita
2
4,00
3,50
3,64
51
GESTIONE PARCO – AGRICOLTURA
Azioni di salvaguardia della qualità ecologica dei corpi idrici.
IE Risorse Idriche in Entrata
2
4,00
3,44
3,64
50
GESTIONE PARCO – AGRICOLTURA
Concertazioni e prescrizioni con gli agricoltori per la salvaguardia della qualità e quantità delle acque sotterranee.
CB Conservazione Biodiversità
3
4,00
3,25
3,64
47
GESTIONE PARCO – ALTRE ATTIVITÀ
Disturbi all’avifauna in ZPS-Ramsar causati da poligono militare, aereoporto, e automezzi.
CB Conservazione Biodiversità
3
4,00
3,25
3,64
47
GESTIONE PARCO – TURISMO
Conservazione della duna in prossimità delle spiagge.
IE Risorse Idriche in Entrata
2
4,00
IU Risorse Idriche in Uscita
2
4,00
IE Risorse Idriche in Entrata
3
RF Rifiuti urbani e speciali non pericolosi
rivista
per leggere l’articolo completo 3,25
3,64
47
GESTIONE PARCO – INDUSTRIA
Risparmio idrico su emungimenti e derivazioni per l’industria.
3,00
3,64
44
GESTIONE PARCO – INDUSTRIA
Azioni di salvaguardia della qualità ecologica dei corpi idrici.
2,80
3,28
37
AUTOMEZZI E OFFICINA
Acqua di risulta del lavaggio automezzi.
4,00
2,89
3,02
35
VIVAIO FORESTALE
Manca un contatore che rilevi i consumi d’acqua; consumo non ottimizzato.
4,00
2,50
2,71
27
GESTIONE PARCO
Mancano documentazione, archivio e valutazione dei rifiuti prodotti.
4,00
IU Risorse Idriche in Uscita
Settore parco – Filiera Descrizione sintetica
acquista
IE Risorse Idriche in Entrata
3
2,71
3,37
2,71
25
la rivista UT
Non ci sono contatori per l’acqua emunta dai pozzi.
CB Conservazione Biodiversità
3
2,50
3,50
2,45
21
GESTIONE PARCO
Attività di gestione, di salvaguardia, di comunicazione e di promozione inerenti alla conservazione delle specie, degli habitat e degli ecosistemi.
CP Conservazione Paesaggio
2
2,13
3,00
3,12
20
GESTIONE PARCO
Politica di conservazione dei beni storici; Rilascio di autorizzazioni per ristrutturazioni o modifiche di edifici esistenti.
le (atmosfera, biodiversità, paesaggio, fonti energetiche, risorse idriche in entrata e in uscita, prelievo di risorse biologiche, rifiuti, salute dei cittadini, suolo). L’identificazione degli aspetti ambientali è stata svolta con metodi collaudati servendosi di check-list e interviste, mentre per la valutazione della significatività si è disposta una procedura innovativa (Castorina et al., 2003b). La procedura ha consentito la sintesi in tabelle
composte di una serie fissa di domande la cui risposta, attribuita dal valutatore sulla base dei dati raccolti, poteva essere Sì/No. Ad esempio, per quanto riguarda la conformità di un aspetto ambientale rispetto a una data norma xxx, o parte di essa se rilevante, le domande precostituite erano: 1.) l’aspetto ambientale è conforme alla norma xxx? e 2.) Ci sono sufficienti garanzie che la conformità venga mantenuta nel tempo? I 30 aspetti
28 • Valutazione Ambientale 21 / studi e ricerche
ambientali identificati sono stati così valutati, attraverso un algoritmo, con punteggi variabili da 1 a 4 rispetto al grado di conformità normativa (C), alla rilevanza (R) dell’aspetto ambientale, all’efficienza-efficacia delle misure di prevenzione, mitigazione e controllo (E). I pesi delle singole domande predisposte nella procedura erano stati attribuiti anticipatamente, a prescindere dalle successive risposte, da una commissione di
valutazione costituita da esperti della materia, sulla base delle criticità ambientali riportate nella matrice di sintesi. Il prodotto CxRxE forniva un giudizio sintetico complessivo con valori da 1 a 64 per ciascun aspetto ambientale. Per stabilire la soglia di significatività la stessa commissione di valutazione era richiesta di esprimere un giudizio di accettabilità su un campione di impatti, a prescindere dai punteggi ottenuti. L’ottimizzazione dei punteggi rispetto ai giudizi degli esperti ha fornito un valore di soglia di 20 punti per la significatività. Pertanto, sono stati valutati significativi tutti gli aspetti ambientali con un punteggio superiore a 20, con un grado di significatività crescente con il punteggio (tab. 2). Strumenti per la valutazione della significatività: il caso dell’Etna. Le attività ordinarie del Parco Regionale dell’Etna sono principalmente dirette alla concessione di autorizzazioni e alla elaborazione di pareri richiesti da altre autorità territoriali. Un cospicuo numero di tali richieste concerne la realizzazione di infrastrutture di vario tipo, che si proponevano su un territorio continuamente rimodellato a causa dell’attività vulcanica. L’ente gestore ha commissionato pertanto all’ENEA la predisposizione di uno strumento di supporto alle decisioni da integrare anche nel SGA di cui il parco aveva intenzione di dotarsi (Castorina et al., 2004). La sperimentazione ha interessato quattro siti della rete Natura 2000 appartenenti complessivamente per il 66% alla zona A, per il 28,5% alla zona B, per il 4,9% alla zona C e per il rimanente 0,06% alla zona D e che ospitano 12 habitat dell’allegato I della direttiva, di cui 4 prioritari. La prima parte dello studio dell’ENEA è stata la raccolta, la formalizzazione e l’integrazione dei dati in possesso dell’ente gestore, dell’Università di Catania e della LIPU, sezione di Catania. I dati elaborati sono stati riportati sul GIS in aggiunta alle informazioni riguardanti gli aspetti geologici, economici e sociali del territorio. Le mappe aggiunte riguardano: gli habitat, le specie di
flora e fauna, le fitocenosi, le grotte, i geotopi e i monumenti naturali presenti. Finalizzandolo alla valutazione della significatività degli impatti, si è creato un sistema di indici che, integrati tra loro per mezzo degli algoritmi del software ESRI Spatial Analyst e usando la tecnica di overlay mapping, consentono di: 1) effettuare simulazioni, 2) confrontare e valutare alternative per l’intervento proposto e 3) suggerire condizioni ottimali. Il primo indice proposto è l’Indice di Costo Ecologico (ICE) messo a punto dal’ENEA. Tale indice fa corrispondere ad ogni cella quadrata di 40 m di lato (Landsat) un punteggio che dipende dai valori naturali presenti, dalla idoneità degli ambienti ad ospitare talune specie, dalla zonizzazione e dall’uso del suolo. La vulnerabilità della porzione di territorio è misurata attraverso un indice di frammentazione degli habitat. Il confronto di tale misura con l’indice di costo ecologico attribuisce un livello di criticità all’impatto. Tale valore può quindi essere utilizzato, insieme ad altre valutazioni legate al contesto economico e sociale, per assegnare una valutazione di significatività ai possibili impatti. L’indice ICE di ogni cella è calcolato secondo l’espressione: (1) ICE = (ICEcella + 0,5 * ICEintorno) / 1.5) come media pesata dell’ICEcella proprio della cella e quello proprio delle otto celle che la circondano. L’ICEcella è calcolato attraverso l’espressione: (2) ICEcella = (2* I/4 + 3*S/6 + 0.9*F/6 + 3*E + Z/2 + U/2) / 10.9 dove I, S, F, E, Z, U sono punteggi ricavati dalle mappe sopra elencate che sono legati alla appartenenza o meno della cella ad habitat comunitari, prioritari o no, alla presenza di specie vegetali dell’allegato II, alla presenza di endemismi, alla idoneità ad ospitare zoocenosi importanti, alla presenza di emergenze naturali, alla zona di piano, alla naturalità dei suoli. I coefficienti dell’indice ICE sono stati asse-
gnati dopo la validazione effettuata da un gruppo misto di esperti ENEA, dell’ente gestore e delle associazioni ambientaliste. I valori sono normalizzati in modo da variare tra 0 ed 1. Inserendo il risultato della (2) nella (1) si ottiene il punteggio complessivo assegnato alla cella considerata. La vulnerabilità dell’habitat è misurata dalla media di tre indici: un indice di compattezza dell’areale Ic, un indice di ripartizione dell’areale Ir, un indice di frammentazione If. L’indice Ic di compattezza, derivato da quello di Patton, fornisce una misura di quanto il bordo dell’habitat sia frastagliato. L’indice Ir di ripartizione è basato sulla formula di Shannon per il calcolo della “evenness”, il valore dell’indice varia nell’intervallo [0,1] ed è tanto più elevato quanto maggiore è la frammentazione, intesa, in questo caso, come la ripartizione dell’habitat in più areali, anziché in un unico areale compatto. l’indice If di frammentazione calcola la distanza media tra i frammenti nell’ambito di un cammino minimo che unisce tra di loro tutti i frammenti di habitat all’interno del sito considerato. Una volta implementato il software, il sistema è in grado di valutare la criticità di un intervento (fig. 1) e di confrontarlo con possibili alternative, oppure di suggerire la “migliore” alternativa dal punto di vista ecologico (fig. 2). Valutazione di incidenza di un impianto FER per la produzione di elettricità: il caso di Montalto di Castro. Nell’ambito delle attività di sperimentazione previste dalle sue finalità istitutive l’ENEA ha progettato un prototipo di impianto solare termodinamico per la produzione di energia elettrica pari a 4 MW da localizzare a Montalto di Castro, nei pressi della centrale convenzionale ENEL “Alessandro Volta”. Nelle immediate vicinanze del luogo previsto per l’implementazione dell’impianto erano presenti tre siti di importanza comunitaria, di cui uno a mare nel tratto antistante la condotta di scarico delle acque di raffreddamento, pertanto i progettisti hanno affidato agli
Valutazione Ambientale 21 • 29
Figura 1. Valutazione della criticità della proposta di una struttura lineare. Figura 2. Proposta di variante “ottimale” a minor costo ecologico suggerita dal sistema (in verde).
rivista
dagli enti locali tutte le informazioni che potevano riguardare possibili effetti cumulativi (riscontrati poi in un solo progetto: un impianto di pescicoltura proposto da privati a ridosso della centrale, che prevedeva, come l’impianto proposto, il versamento di acqua calda in mare), e si è quindi proceduto all’identificazione e all’analisi degli aspetti ambientali del progetto. Per la valutazione della significatività si sono valutati i tre elementi cardine: • la probabilità, o la frequenza, di accadimento dell’evento impattante • la gravità dell’impatto • la previsione di azioni di mitigazione e di prevenzione nell’ambito del progetto
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la rivista
esperti interni dell’ente lo studio di incidenza della centrale sugli habitat e le specie presenti nei siti (Addis et al., 2003). Parte dell’indagine è stata condotta in collaborazione con l’Università della Tuscia – Scienze
ambientali. Esaminati i documenti forniti dal proponente sulle caratteristiche dell’impianto, sugli impatti previsti dai progettisti e sulle rispettive misure di mitigazione, controllo e contenimento, si sono acquisite dall’ARPA e
30 • Valutazione Ambientale 21 / studi e ricerche
La significatività dell’impatto è quindi derivata dalla possibilità dell’evento impattante e dalla sua gravità che può essere temperata o meno da misure di mitigazione. Il primo elemento fornisce una stima della probabilità di accadimento dell’evento. Se l’aspetto ambientale è conseguente ad azioni periodiche normalmente effettuate nella gestione dell’impianto allora si è presa in considerazione la frequenza dell’operazione, se invece l’aspetto ambientale è associato ad ipotetiche situazioni accidentali allora si è considerata la probabilità del verificarsi di tali situazioni e, allo stesso modo, per le condizioni di emergenza. La stima della probabilità è legata alla conoscenza dei materiali, delle tecnologie utilizzate, ad eventuali simulazioni ed analisi del rischio. Per ogni aspetto ambientale è stato assegnato, in collaborazione con i progettisti, un punteggio variabile da 1 a 5 (1. evento rarissimo e non atteso nella vita dell’impianto; 2. evento raro ma atteso almeno una volta nella vita dell’impianto; 3. evento improbabile ma atteso almeno due volte nella vita dell’impianto; 4. evento poco frequente ma comunque prevedibile; 5. evento frequente e prevedibile). Il secondo elemento, la gravità dell’impatto, è legato alla caratteristiche dell’evento impattante, (durata, intensità o estensione) e alla criticità dell’ambiente bersaglio sensibile alla pressione
cumulativa alla quale l’impatto afferisce. L’approccio alle criticità è stato il principale argomento dello studio. Si è assunto che la gravità degli impatti sugli habitat sono determinate da: • il livello di attenzione per l’habitat • il grado di conservazione • la vulnerabilità dell’habitat a taluni tipi di pressione
Tabella 3 - Attribuzione del livello di attenzione agli habitat. Rappresentatività
A Eccellente
B Buona
C Significativa
1. Molto diffuso
5
5
4
2. Diffuso
5
4
3
3. Frequente
4
3
2
4. Raro
3
2
1
5. Molto raro
2
1
Rarità
Scarso L.A.
Il livello di attenzione (tab. 3) è determinato da: 1. la rarità r% dell’habitat a livello europeo di regione biogeografia, nazionale e regionale, tali rarità sono conteggiate a partire dalle schede Natura 2000 del database dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA, 2006) filtrate per regione biogeografia, per stato e per regione amministrativa. Il livello di rarità (diffuso r% >15%; raro2 < r% < 15, molto raro 0< r% ≤2) è attribuito secondo i valori limite indicati nelle note interpretative del Formulario Standard Natura 2000 (EC, 1997) e le tre rarità sono sintetizzate in un unico indice; 2. la rappresentatività dell’habitat rispetto al tipo ecologico, riportata nella sezione 3.1 – campo “Rappresentatività” – della scheda Natura 2000 del sito. Tale valore può essere eccellente (A), buona (B) o significativa (C). Il grado di conservazione dell’habitat nel sito, che comprende lo stato di conservazione della struttura e delle funzioni dell’habitat e delle sue possibilità di ripristino, è riportato
Basso L.A.
Medio L.A.
nella sezione 3.1 – campo “grado di conservazione” – della scheda Natura 2000 del sito. La valutazione è espressa a tre livelli: Conservazione eccellente (A), Buona conservazione (B), Media o ridotta conservazione (C). L’attribuzione del valore C, media o ridotta conservazione, ad un habitat comporta che questo sia in uno stato di conservazione degradato o, se in condizioni buone, con difficili possibilità di ripristino e prospettive di conservazione delle funzioni sfavorevoli (tab. 4). Per valutare la vulnerabilità dell’habitat si sono, preventivamente, identificate le attività umane nell’intorno funzionale del sito e classificate secondo uno standard riconosciuto (ISTAT, 2007), eventualmente integrando i dati con le informazioni della locale Camera di Commercio. Si sono poi identificate, tra le tipologie di pressione che da tali attività derivano, quelle interessate dagli aspetti ambientali dell’impianto e quindi si è assegnata agli habitat una classe di sensibi-
1 Alto L.A.
Molto alto L.A.
lità rispetto a ciascuna pressione identificata. Gli esperti coinvolti hanno assegnato un punteggio di sensibilità variabile da 1 a 4 (1 nulla, 2 bassa, 3 media, 4 alta) agli habitat per ciascun tipo di pressione. Si è scelto di attribuire i punteggi di sensibilità al secondo livello del codice Natura 2000 dell’habitat. Così, ad esempio, gli habitat con codici 1150 (lagune costiere) e 1130 (Estuario) sono stati valutati come habitat della classe 11xx, ai quali è stata attribuita una sensibilità 3 rispetto al calpestio e alla compattazione del suolo, una sensibilità 2 rispetto alla introduzione di specie domestiche, una sensibilità 4 rispetto all’occupazione dei suoli, e così via. È evidente che in tali attribuzioni è presente un certo grado di soggettività che però è ben diverso, cioè inferiore in qualità, da quello delle valutazioni riportate sulla scheda Natura 2000. Infatti, sebbene anche quelle ultime provengano dal “miglior giudizio dell’esperto”, come indicato dalla DG-Ambiente nelle
Tabella 4 - Grado di conservazione degli habitat espresso in funzione dello stato della sua struttura e delle prospettive di conservazione delle funzioni attuabili mediante azioni di ripristino di vario grado (dalle Note esplicative Natura 2000). I. Prospettive di Conservazione delle Funzioni Eccellenti
III. Prospettive di Conservazione delle funzioni Sfavorevoli
ripristino medio(II)
ripristino difficile (III)
ripristino facile (I)
ripristino medio(II)
ripristino difficile (III)
ripristino facile (I)
ripristino medio(II)
ripristino difficile (III)
Eccellente A
A
A
A
A
A
A
A
A
A
A
A
B
B
B
B
B
C
Degradata B
B
C
B
C
C
C
C
C
ripristino facile (I) Struttura Habitat
II. Prospettive di Conservazione delle funzioni Buone
Buona
Valutazione Ambientale 21 • 31
note esplicative (EC, 1997), in quel caso si è trattato di un giudizio sottoscritto dalla comunità scientifica internazionale e accettato a livello europeo. In base alle caratteristiche dell’evento impattante, all’effetto cumulativo delle pressioni e tenendo conto della sensibilità dell’habitat bersaglio si è attribuito un livello di vulnerabilità (alta, media bassa) a ciascun habitat rispetto a ciascuna pressione. Il livello di attenzione e la vulnerabilità sono stati quindi incrociati, moltiplicando i rispettivi punteggi, per determinare il punteggio di gravità, che è stato suddiviso in 5 livelli (alto, molto alto, medioalto, medio, medio-basso, basso). Tale procedura si è eseguita in tutti i casi in cui lo stato di conservazione dell’habitat era valutato B (buono stato di conservazione), mentre si è convenuto che per gli eventuali habitat valutati con una A (eccellente stato di conservazione) la gravità fosse abbassata di un livello. Per gli habitat valutati con grado di conservazione C (media o ridotta conservazione) il livello di gravità è stato determinato caso per caso dal giudizio degli esperti. In tutti i casi, se l’habitat è prioritario la gravità sale di un livello. Per quanto riguarda le specie il procedimento è analogo, ma si è convenuto di determinare il livello di gravità dei possibili impatti soltanto sulle specie del sito segnalate nel campo 3.2 (Valutazione globale del valore del sito per la conservazione della specie interessata) della scheda Natura 2000 e per le quali sia stato assegnato il punteggio di valutazione (valutazione globale eccellente, buona, significativa) oppure a quelle citate nel campo 3.3 (Altre specie di flora e fauna) purché abbiano ottenuto anche una citazione nel campo 4.2 della scheda (Qualità e rilevanza). Per la valutazione della criticità si è tenuto conto, inoltre, della eventuale pubblicazione di Action Plan per talune specie, del possesso della qualifica di specie prioritaria (esclusi gli uccelli migratori che sono ritenuti tutti prioritari), dell’eventuale grado di classificazione della specie nella lista rossa IUCN
(CR critically endangred, EN endangered, VU vulnerable, NT near threatened, LC least concern, DD data deficient, NE not evacuated). Le misure di prevenzione e mitigazione previste dai progettisti possono abbattere la significatività di alcuni aspetti ambientali. Per esempio, la possibilità di una rottura nei serbatoi e nei collettori di sali fusi (290 °C 550 °C) provocata dal “colpo d’ariete” conseguente a una sovrappressione (evento raro ma atteso almeno 1 volta nella vita del’impianto) avrebbe provocato una gettata di liquido incandescente che, in base a simulazioni effettuate, poteva raggiungere e incendiare il più vicino habitat di importanza comunitaria. Tale evento impattante è stato previsto dai progettisti che hanno inserito elementi di maggiore fragilità in determinati punti dell’impianto che avrebbero ceduto in caso di sovrappressione e convogliato il liquido incandescente altrove. Tuttavia non poteva escludersi una rottura accidentale (evento rarissimo e non atteso nella vita dell’impianto) dovuta ad altre cause che, a fronte della gravità dell’evento, dovuto alla presenza a circa 20 m dalle tubazioni dell’habitat prioritario 2270 (Foreste dunari di Pinus pinea e/o Pinus pinaster) avrebbe reso significativo il possibile impatto. Pertanto è stata richiesta la realizzazione di un’ulteriore misura di mitigazione consistente nella costruzione di una barriera anti-incendio in prossimità del perimetro al confine con il bosco.
ticità è dovuta alla incompletezza delle informazioni scientifiche sugli ecosistemi oggetto della valutazione, la seconda alla variegata costellazione dei formati e delle finalità delle raccolte dati, nonché alla carenza di strumenti user-fiendly in grado di sintetizzare e di elaborare i dati provenienti da più fonti. Le informazioni mancanti e necessarie dovrebbero essere rese disponibili dalle autorità competenti, principalmente le Regioni, e il loro reperimento che richiede studi multidisciplinari certo di non breve durata, non può essere a carico dei consulenti e dei valutatori, salvo scadere nella superficialità e nell’incertezza. La Carta della Natura dell’ISPRA e l’adozione dei protocolli prescritti dalla direttiva INSPIRE sono implementazioni che vanno nella giusta direzione di soluzione del problema, ma le scale di lavoro, per la prima, sono ancora inadeguate alle finalità della valutazione e i ritardi o le resistenze a mettersi in rete, anche dal punto di vista procedurale, dei soggetti interessati alla seconda, non consentono ancora il sinergico utilizzo delle informazioni per le finalità della pubblica amministrazione. L’intento di questo lavoro è quello di suggerire ai soggetti coinvolti negli studi ambientali di perseverare nell’uso delle informazioni ufficiali disponibili, pure nella consapevolezza delle loro limitazioni, per evidenziare alle autorità competenti le loro responsabilità e stimolare così maggiori investimenti per l’aggiornamento e la fruibilità della documentazione accreditata esistente.
Conclusioni La valutazione della significatività degli impatti sugli ecosistemi richiede l’elaborazione un’elevata quantità di dati, specialmente in relazione alle parti path e target della propagazione dell’impatto. L’informazione, che spesso non è disponibile, quando è disponibile è difficilmente accessibile agli autori degli studi ambientali e agli stessi valutatori a causa di difetti nella comunicazione tra proprietari di dati e di mancanza di strumenti e metodi sintetici e speditivi. La prima cri-
32 • Valutazione Ambientale 21 / studi e ricerche
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Ringrazio il collega Maurizio Bucci per i preziosi suggerimenti.
Mario Castorina ENEA – Unità Tecnica Fonti Rinnovabili, Centro Ricerche La Casaccia, Via Anguillarese 301, 00123 RM, tel. 06 30484115 – mario.castorina@enea.it
Valutazione Ambientale 21 • 33
Indicatori del paesaggio e pianificazione territoriale Seconda parte: pianificazione provinciale – Italia settentrionale Pietro Cordara
La ricerca su “Indicatori del paesaggio e pianificazione territoriale”, iniziata nel n. 20 di Valutazione Ambientale con la sezione dedicata agli indicatori regionali, prosegue ora con la raccolta dei dati per provincia: quella qui presentata si limitata all’Italia settentrionale (46 amministrazioni, esclusa la Valle d’Aosta in cui regione e provincia coincidono), mentre la terza parte della ricerca presenterà la raccolta dati per le rimanenti province italiane (63). Per le definizioni ed i riferimenti generali e per le difficoltà incontrate nello svolgimento della ricerca si rimanda a quanto già esposto nel precedente articolo sulle realtà regionali.
Metodologia d’indagine Lo scopo della ricerca è la raccolta degli indicatori per il monitoraggio del paesaggio utilizzati nei Piani generali di livello provinciale (PTCP, PTP, PUP, ..., per brevità d’ora in poi chiamati PTCP) e la loro sistematizzazione entro categorie. La raccolta dei dati si è svolta da gennaio a marzo 2012. Per rendere coerente ed omogenea la raccolta dei dati, molto estesa, è stato necessario adottare alcuni “filtri”, che costituiscono quindi i “limiti” entro cui si è mossa la ricerca: 1) prevalenza del web: la ricerca si è limitata alla documentazione reperibile sui siti web delle province italiane; 2) prevalenza della VAS: sono stati presi in considerazione solo i Piani o le Varianti di Piani sottoposti a VAS e gli indicatori sono stati ricercati solo nei relativi elaborati tecnici (Rapporto Ambientale o talvolta Rapporto Preliminare di scoping) e non nei Piani stessi o in altro tipo di documentazione accompagnatoria: per esempio non si è tenuto conto dell’”Analisi di compatibilità ambientale” che accompagna quattro Piani provinciali del Piemonte né del “Manuale per le verifiche di sostenibilità ambientale” del Piano della provincia di La Spezia;
Landscape indicators and territorial planning - Part two: provincial planning, Northern Italy This is the second part of the research on “Landascape indicators and territorial planning”, dedicated to the examination of Environmentals Reports for the urban plans of provinces in northern Italy (46 administrations). The data collected show a strong interest in rural and natural environments and for the urban context, recovery actions and landscape improvements, the forms of protection. The most significant sets of indicators adopted by some plans are finally reported. Parole chiave: paesaggio, indicatori, pianificazione, province italiane Key words: landscape, indicators, planning, Italian provinces
3) prevalenza del monitoraggio reale: nei Rapporti ambientali sono stati selezionati solo gli indicatori per il monitoraggio effettivo dei Piani, riportati nell’apposita sezione o capitolo, non altro tipo di informazioni sugli indicatori desumibili da altre parti dei documenti di VAS; questo perché il tema degli indicatori è quasi sempre trattato con grande dovizia di particolari dal punto di vista teorico e metodologico generale, ma a tutto ciò spesso non consegue un’effettiva e coerente “costruzione” di indicatori nel capitolo del R.A. dedicato al Monitoraggio del Piano: si arriva anche al caso limite di rimandare l’individuazione degli indicatori ad un momento successivo al Rapporto Ambientale (quale?), come per tre province del Veneto; 4) prevalenza del termine “paesaggio”: data la grande quantità di indicatori che, riferiti all’ambiente in genere (es. “biodiversità”) ed al territorio (es. “urbanizzazione”), possono in linea teorica rivestire anche valenza paesaggistica, si è deciso di adottare una selezione per parole-chiave secondo la quale sono stati presi in considerazione esclusivamente gli indicatori che, nella loro denominazione o nei loro obiettivi o categorie o tematiche di riferimento (sempre limitandosi alla sezione “Monitoraggio” del Rapporto Ambientale), contenessero esplicitamente la voce “paesaggio / paesaggistico / paesistico”.
34 • Valutazione Ambientale 21 / studi e ricerche
A questa scelta selettiva si può giustamente obiettare che in molti indicatori il termine “paesaggio” sia sotteso anche se non esplicitato: ma è altrettanto vero che da parte dei ricercatori non sia possibile comprendere con esattezza tale intenzione, perché la parziale sovrapposizione di quanto fa capo al “paesaggio” con ‘“ecosistema” (più spesso denominato semplicemente “ambiente”) e con “territorio” determina una mole di voci molto estesa e quindi in definitiva di scarso interesse relativamente alla finalità di individuare indicatori mirati per il paesaggio. E proprio sotto questo profilo si può anche affermare che la presenza della voce specifica “paesaggio” fra gli indicatori costituisca, a sua volta, un indicatore sul grado di consapevolezza che il paesaggio presenti caratteristiche tali da poterlo distinguerlo dagli altri sistemi ambientali (si vedano al proposito gli Atti del Convegno del 17.11.2005 presso la Società Geografica Italiana a Roma “Ecosistema, paesaggio e territorio: tre prospettive complementari nel rapporto uomo-ambiente” a cura di Malcevschi e Zerbi); 5) voci miste: infine, qualora gli indicatori paesaggistici siano stati presentati sotto voci “miste” (tipo “Sistema ambientale e paesaggistico”), per la ricerca si sono tenuti in considerazione gli indicatori riconducibili al paesaggio, mentre sono stati scartati quelli ritenuti poco o per nulla attinenti.
Risultati della ricerca: le province dell’Italia settentrionale Su 46 province delle Regioni Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna, i PTCP di cui è stato possibile reperire la documentazione di VAS sono attualmente 32 (69,5%), vedi Tabella 1. Per quanto riguarda i PTCP con VAS si può annotare che le province più “virtuose” sono quelle della Lombardia (11 VAS su 12 Piani), del Veneto (7 su 7) e dell’Emilia Romagna (9 su 9). Fra i “senza VAS” un caso limite è rappresentato dal Friuli Venezia Giulia, che non presenta alcun Piano provinciale perché la legge regionale che li introdusse nel 1991 li subordinò alla preliminare approvazione del nuovo Piano Territoriale, mai avvenuta (il Piano Urbanistico Regionale vigente risale al 1978!), mentre la nuova Legge Urbanistica del 2007, pur mantenendo formalmente la loro previsione, li ha svuotati di contenuti riconoscendo quali livelli principali di pianificazione quello comunale e regionale. Fra i 32 Rapporti Ambientali, però, in 7 casi non è stato possibile reperire alcun indicatore, oppure fra gli indicatori reperiti non è stato individuato alcun riferimento al paesaggio: in definitiva quindi sono risultati analizzabili 25 Rapporti Ambientali di Piani provinciali che contengono indicatori per il paesaggio, su 46 province (tab. 2). Si è proceduto quindi alla schedatura degli indicatori per singola provincia applicando i “filtri” di cui si è detto in precedenza, giungendo in definitiva all’individuazione di 254 indicatori per il paesaggio.
Differenze fra indicatori a livello regionale e provinciale Il confronto fra gli indicatori regionali di cui alla precedente ricerca (n. 20 V.A.) e quelli provinciali ha evidenziato alcune differenze per motivi riconducibili essenzialmente al
Tabella 1 - Italia settentrionale: province con VAS di PTCP. PTCP
Regioni Italia settentrionale
n. province
con VAS
senza VAS
senza PTCP
Piemonte Liguria Lombardia Trentino Alto Adige Veneto Friuli Venezia Giulia Emilia Romagna Totale
8 4 12 2 7 4 9 46 (100,0%)
3 1 11 1 7 0 9 32 (69,6%)
5 3 1 1 0 0 0 10 (21,7%)
0 0 0 0 0 4 0 4 (8,7%)
Tabella 2 - Italia settentrionale: province analizzate. Regioni Italia settentrionale Province/PTCP/VAS analizzati Torino, Biella Savona Milano, Bergamo, Brescia, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio, Varese Trentino Alto Adige Trento Veneto Verona, Vicenza, Treviso Emilia Romagna Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia Totale province analizzate 25 (54,3% su 46 prov. totali) Piemonte Liguria Lombardia
cambio di scala dimensionale: mentre nel caso delle regioni gli indicatori si relazionano ad obiettivi generali ed di lunga prospettiva temporale, a scala provinciale gli indicatori presentano un dettaglio ed una diversificazione ben maggiori, nonché un’aderenza marcata agli obiettivi dello specifico Piano/territorio ed un orizzonte temporale più prossimo, ed infine un maggior ricorso alla differenziazione fra indicatori di stato e prestazionali e fra indicatori prioritari e di supporto. Tipico, ad esempio, lo sviluppo del tema degli insediamenti propriamente urbani (oltre a quelli rurali) che trova specificazioni in termini quali superfici urbanizzate, ambiente urbano, margini urbani, usi urbani; come anche quello delle tipologie architettoniche e dei manufatti di particolare valore, le prime riferite soprattutto a cascine e casali ed i secondi a centri storici, emergenze storiche, elementi storico-archeologici o interesse storico-culturale; o ancora, un’altra peculiare caratteristica degli indicatori provinciali è lo sviluppo di azioni di recupero delle situazioni di degrado.
In altri termini, il set di categorie del paesaggio utilizzato per la schedatura delle regioni conserva la sua validità teorica ed “olistica”, ma passando al livello delle province si è preferito tener conto della casistica concreta dei Piani e dei relativi indicatori: il set regionale ha quindi mostrato non incoerenza ma piuttosto qualche inadeguatezza ed ha avuto bisogno di correttivi, con ciò dimostrando ancora una volta che nel campo del paesaggio le sistematizzazioni “rigide” devono almeno in parte lasciare spazio ad una quota di flessibilità agganciata ai casi concreti. Mediando quindi fra la classificazione degli indicatori regionali e quanto emerso dall’analisi degli indicatori provinciali utilizzati nei PTCP, e proponendosi inoltre una sintesi quanto mai necessaria della quantità di dati raccolti, si è giunti ad un set di categorie la cui caratteristica principale rispetto alle categorie utilizzate per le regioni è la “trasversalità” fra le categorie naturali, antropiche, sistemiche e culturali (tab. 3). Le prime tre categorie (contesti naturale, rurale ed urbano) sono molto generali e comprendono elementi sia fisici che funzionali, mentre
Valutazione Ambientale 21 • 35
Tabella 3 - PTCP – Categorie sintetiche di indicatori per il paesaggio proposti per la ricerca per province. 1 Contesto naturale: geomorfologia, idrografia, boschi e vegetazione in genere, ecosistemi, biodiversità, reti ecologiche 2 Contesto rurale: agricoltura, insediamenti, manufatti, formazioni vegetali lineari 3 Contesto urbano: sprawl, consumo di suolo, funzioni urbane, verde urbano, centri commerciali, insediamenti produttivi (escluso contesto rurale)
rivista
4 Infrastrutture: strade, reti, piste ciclabili 5 Manufatti di rilievo, centri storici 6 Piani e programmi: o riferimenti a P. e P.
Si nota quindi che le categorie maggiormente “citate” dagli indicatori del paesaggio sono: • soprattutto il contesto naturale ed il contesto rurale; • seguono a pari “quantità” il contesto urbano, le azioni specifiche di recupero e miglioramento, le tutele a vario titolo; • quindi le infrastrutture, gli aspetti pianificatori e quelli ricollegabili al turismo; • per ultima si colloca la tematica di più difficile definizione, quella riconducibile agli aspetti visuali e di identità dei luoghi.
per leggere l’articolo completo
7 Azioni specifiche di recupero e miglioramento ambientale: compresa l’individuazione di aree e manufatti degradati e delle criticità 8 Turismo e fruizione: storia, arte, letteratura
i 254 indicatori provinciali hanno interessato le categorie 447 volte: mediamente quindi un indicatore interessa due categorie, un buon rapporto se messo in relazione al fattore “complicazione” degli indicatori (cioè: maggiormente un indicatore si rapporta a più categorie, più potrebbe esserne complicata la gestione). La percentuale di volte che i 254 indicatori si sono rapportati alle categorie è presentata in Tabella 4.
9 Aspetti compositivi e visuali, identità dei luoghi 10 Tutele o riferimento a tutele, norme di salvaguardia, ecc.
acquista
Tabella 4 - Percentuale delle volte in cui gli indicatori si sono rapportati ad una categoria. PTCP – Categorie di indicatori per il paesaggio
% delle volte in cui gli indicatori si sono rapportati alla categoria
la rivista
1
Contesto naturale
2
Contesto rurale
3
Contesto urbano
4
Infrastrutture
8,1%
5
Manufatti di rilievo
6,9%
6
Piani, programmi
7,8%
7
Recupero e miglioramento
10,3%
8
Turismo
5,6%
9
Aspetti compositivi
2,5%
10 Tutele Totale
le successive focalizzano situazioni e problematiche specifiche: in effetti, come già detto prima, è questo il quadro reale che emerge dall’esame degli indicatori provinciali. Come già si era annotato per il livello regio-
19,9%
18,3%
10,3%
10,3% 100,0% (= 447 volte)
nale, anche questi indicatori si riferiscono quasi sempre a due o più categorie contemporaneamente (es. “superfici agricole in aree tutelate” comprende le due categorie “Contesto rurale” e “Tutele”): sotto questo profilo
36 • Valutazione Ambientale 21 / studi e ricerche
Sempre sui 25 PTCP analizzati, si è anche verificato se il set di indicatori di ogni piano provinciale andasse a “coprire” o meno tutte le 10 categorie: sotto tale profilo si va da una copertura di 3 fino ad un solo caso di copertura completa (10 su 10), per una media di 6 categorie coperte su 10. Ancora una caratterizzazione dei dati raccolti, che riprende il discorso della “parola-chiave” paesaggio/paesistico/paesaggistico: si è infatti considerato se gli indicatori per il paesaggio o almeno una parte di essi siano stati raccolti sotto una tematica specifica “paesaggio” (di volta in volta chiamata anche “Obiettivo”, “Strategia” o quant’altro), ottenendo i seguenti risultati: • in 12 casi si è riscontrata una specifica tematica “paesaggio” sotto la quale sono stati raggruppati almeno una parte degli indicatori: PTCP di Biella (“Elemento di Variante: Paesaggio”), Brescia (Obiettivo:
Lago Argentino in Patagonia (Argentina). Foto di Marco Pagano.
Tutela e valorizzazione dei caratteri e degli elementi paesaggistici), Cremona, Mantova e Varese (Tema: Paesaggio), MonzaBrianza (Componente ambientale: Paesaggio), Pavia (Ambito tematico: Paesaggio), Sondrio (Settore: Paesaggio, beni culturali e materiali), Trento (Indirizzi per le strategie: Promuovere l’identità territoriale e la gestione innovativa e responsabile del paesaggio), Vicenza e Treviso (Componente: Paesaggio), Reggio Emilia (Linea strategica: Paesaggi, storia e identità); • in 5 casi il sistema Paesaggio è stato associato alla componente genericamente ambientale: Milano e Lodi (impostazione Ecologia del paesaggio), Verona e Piacenza (Tematica/componente: Paesaggio e biodiversità), Bologna (Indicatori di contesto: Ambiente e Paesaggio); • in 8 casi il tema del Paesaggio è stato esplicitato solo all’interno di altri temi non
specifici: Torino (Sistemi insediativo ed economico, Governance territoriale), Savona (Riqualificazione del sistema turistico), Bergamo (Obiettivi ambientali operativi), Lecco (Suolo, Natura, Turismo e attività economiche, Rumore), Ferrara (Rete ecologica, emittenza radiotelevisiva), Forlì Cesena (Sistema insediativo, Reticolo idrografico superficiale, Carta forestale e dell’uso del suolo), Modena (Valutazioni di efficacia ed altri generici indicatori), Parma (Ambiti rurali). Si potrà notare come le province della Lombardia presentino quasi tutte la specifica tematica “paesaggio” o “ambiente-paesaggio”. Al di là delle statistiche, infine, pensiamo sia interessante presentare concretamente alcuni esempi degli indicatori utilizzati nei Piani: non potendoli riportare tutti e 254, si è ricor-
si ad una selezione dei set di singole province che rispondessero ai seguenti requisiti quantitativi: • contenere almeno 11 indicatori (media: 10); • “coprire” almeno 7 categorie paesaggistiche (media: 6 categorie). I set di monitoraggio dei PTCP individuati con questo criterio sono otto ed è interessante constatare che, non a caso, tutti quanti hanno previsto al loro interno la specifica tematica “paesaggio” cui si accennava sopra: si conclude quindi questa seconda parte della ricerca riproducendo le schede di indagine relative ai Rapporti ambientali dei PTCP di Mantova, Treviso, Sondrio, Pavia, Cremona, Trento, Monza Brianza, Brescia. Pietro Cordara Architetto pietro.cordara@studiocordara.it
Valutazione Ambientale 21 • 37
Indicatori supporto
1.
Numero recuperi di cascine e casali / cascine e casali censiti
X
2.
Lunghezza siepi e filari per territorio provinciale
X
3.
Iniziative per il recupero di elementi storico-archeologici a fini fruitivi / totale da recuperare
4.
Aziende agricole con attività agrituristiche / totale aziende agricole
5.
Sviluppo lineare delle fasce a verde ripariali
X
6.
Percentuale di realizzazione del progetto di rete ecologica provinciale
X
7.
Superficie cave ripristinate / totale superficie cave
X
8.
Sup. zone umide / sup territoriale
X
X
Turismo, cultura, fruizione in genere
Azioni specifiche di miglioramento ambientale, individuazione e recupero aree e manufatti degradati, criticità
Piani, programmi o riferimenti a P. e P.
Manufatti di rilievo, centri storici
Infrastrutture, strade, reti, piste ciclabili
pag.260 "Programma di monitoraggio"; p.269 Ind. di stato, prioritari e di supporto, tema "Paesaggio"(3); p.270 Ind. prestazionali, prioritari e di supporto, obiettivo "Perseguire la valorizzazione del paesaggio e la costruzione delle reti ecologiche" e altre voci su paes. Se miste con ambiente, selezionate le attinenti.
Contesto urbano: sprawl, consumo di suolo, funzioni urbane, verde urbano, centri commerciali, insediamenti industriali
Note
Contesto rurale: agricoltura, insediamenti, manufatti, formazioni vegetali lineari
2009
Contesto naturale: Geomorfologia, idrografia, boschi e vegetazione in genere, ecosistemi, biodiversità, Reti ecologiche
PTCP RAPPORTO AMBIENTALE
Anno
Indicat. prioritari
PROVINCIA DI MANTOVA
Fonti
Tema: Paesaggio
PV10
sigla MAN
LOM
Categorie di indicatori
Ente
Indicatori di stato
29.02.2012
Tutele o riferimento a tutele, norme di salvaguardia, ecc.
scheda compilata il
Informazioni generali e indicatori di Piano - R.A.
Aspetti compositivi, visuali e di identità dei luoghi
PIANIFICAZIONE PROVINCIALE - SCHEDA SINTETICA DEGLI INDICATORI PER IL PAESAGGIO
X
X
X
Obiettivo generale: Perseguire la valorizzazione del paesaggio e la costruzione delle reti ecologiche
I. supp.
Obiettivo specifico: Ripristinare le cave esistenti recuperandone l'inserimento nel paesaggio
Altri indicatori
9. Sup aree boscate / sup. territoriale 10. Numero comuni che hanno inserito nel PGT azioni concrete per la realizzazione della rete ecologica provinciale 11. Sviluppo lineare corsi d’acqua con sponde rinaturalizzate / sviluppo lineare totale corsi d’acqua 12. Volume edilizio rurale in abbandono / vol. totale patrimonio edil. rurale 13. Numero edifici rurali di interesse storicoculturale tutelati / totale edifici rurali di interesse storico-culturale
X
X
rivista
X X
X X
X
X X
X
per leggere l’articolo completo
14. Sviluppo lineare infrastrutture in aree a vincolo paesaggistico o di valore naturalistico / superficie aree vincolate
n°. di volte che gli indicatori hanno interessato le categorie
X
X
X
X
8
5
0
1
2
X 2
3
2
0
2
sigla TRV
VEN
Tutele o riferimento a tutele, norme di salvaguardia, ecc.
Indicatori prestazionali
Indicatori supporto
Indic. priorit.
Obiettivo specifico: Potenziare le funzioni paesaggistica ed ecosistemica dello spazio rurale
Aspetti compositivi, visuali e di identità dei luoghi
Indicatori supporto
Indicatori prestazionali
0
0
acquista
Nell'allegato XII ci sono schede per componente ambientale - obiettivo di sostenibilità - indicatore - ecc. Non male. C'è la "Componente paesaggio", v. da 1 a 5. Si sono inoltre riportati NUMEROSI altri riferim. espliciti al paesaggio ma sotto altri temi (selezione per misti). C'è infine una citazione di indicatori dell'Ecologia del Paesaggio riferiti solo alla rete ecologica
Componente Acqua Componente Suolo
1.
2.
3.
Impoverimento della risorsa acqua - volumi di acqua gestiti per attività umane (x mantenimento corsi d'acqua nei reticoli artificiali in campagna per l'alto valore paesaggistico) Consumo di suolo: sup. aree urbanizzate, sup. aree degradate, sup. infrastrutture in area agroforestale, sup. edificato e pertinenza in in area agroforestale Abitazioni sparse in area agroforestale
Qualità dei centri storici Edifici e complessi di pregio architettonico (edilizia rurale tipica, case padronali, ville, archeologia industriale, siti archeologici, castelli e fortezze storiche) 6. Ville venete 7. Siti archeologici 8. Superficie di aree naturali (per contrastare la semplificazione paesistica) Componente 9. Volume degli edifici agricoli non più utilizzati (effetto detrattore paesaggistico) Agricoltura 10. Superfici destinate a viticoltura intensiva 11. Carico di bestiame per ha (... ridurre l'impatto paesaggistico di fabbricati ..) Componente 12. Numero e superficie aree produttive attive (... misure di decoro architettonico e Attività secondaria paesaggistico delle aree stesse) Componente 13. Flussi turistici: arrivi e presenze (... eccellenze del territorio Turismo culturali,folcloristiche, enogastronomiche, paesaggistiche, etc.) 14. Matrice, Coefficiente di frammentazione, Indicatori di biopotenzialità, Habitat Set di indicatori standard pro-capite, Indici di eterogeneità di Shannon e di equiripartizione, dell'Ecologia del Indice di sprawl, Dimensioni delle patches, Matrice-eterogeneità ((vedi pag.80, Paesaggiop nota 1.5, "La stima degli indicatori dell'ecologia del paesaggio si riferisce alla costruzione della rete ecologica presentata con il Documento di Piano". n°. di volte che gli indicatori hanno interessato le categorie Componente Paesaggio
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
4. 5.
38 • Valutazione Ambientale 21 / studi e ricerche
PV18
Turismo, cultura, fruizione in genere
Note
Azioni specifiche di miglioramento ambientale, individuazione e recupero aree e manufatti degradati, criticità
2008, agg. 2010
Piani, programmi o riferimenti a P. e P.
Anno
29.02.2012
Categorie di indicatori Infrastrutture, strade, reti, piste ciclabili
PTCP RAPPORTO AMBIENTALE, allegato XII
scheda compilata il
Contesto urbano: sprawl, consumo di suolo, funzioni urbane, verde urbano, centri commerciali, insediamenti industriali
PROVINCIA DI TREVISO
Fonti
Contesto rurale: agricoltura, insediamenti, manufatti, formazioni vegetali lineari
Ente
Contesto naturale: Geomorfologia, idrografia, boschi e vegetazione in genere, ecosistemi, biodiversità, reti ecologiche
Informazioni generali e indicatori di Piano - R.A.
Manufatti di rilievo, centri storici
la rivista
PIANIFICAZIONE PROVINCIALE - SCHEDA SINTETICA DEGLI INDICATORI PER IL PAESAGGIO
X X X X X X X
X
X X
X
5
6
2
1
4
0
2
1
Tutele o riferimento a tutele, norme di salvaguardia, ecc.
Turismo, cultura, fruizione in genere
Azioni specifiche di miglioramento ambientale, individuazione e recupero aree e manufatti degradati, criticità
Fiumi, torrenti e corsi d'acqua
X
X
Superficie territori contermini a laghi
X
X
3.
Superficie ghiacciai e circhi glaciali
X
X
4.
Ambiti di particolare interesse ambientale
X
X
5.
Territori alpini ed appenninici
X
6.
Bellezze d'insieme
7.
Bellezze individue (ex 1497/39) Luoghi dell'identità regionale
9.
Paesaggi agrari tradizionali
X X
X
X
X
13. N. di beni vincolati ed indicati nelle guide specialistiche
X
X
14. N. di beni vincolati e ritenuti di particolare rilevanza culturale
X
X
10. Viabilità di rilevanza paesistica
X
X
11. Visuali sensibili
X
15. Superficie e qualità delle aree assoggettate ai vincoli paesaggistici ed alle disposizioni dell'art.17 del Piano del paesaggio lombardo
X X
18. Numero di frange urbane destrutturate
X X
X
7
2
X X
X
X
3
2
4
5
8
sigla PV
Tutele o riferimento a tutele, norme di salvaguardia, ecc.
Aspetti compositivi, visuali e di identità dei luoghi
Turismo, cultura, fruizione in genere
Azioni specifiche di recupero e miglioramento ambientale, individuazione aree e manufatti degradati, criticità
pag.176, cap.10 "Monitoraggio", serie di tabelle, Tabella con Ambiti tematici, T6 "Paesaggio". Poi ci sono rif. sparsi: Aree protette e rete ecologica p.180, paragr. 10.2 p.183 e altri Ambiti Tematici
5
29.02.2012
Piani, programmi o riferimenti a P. e P.
Note
Contesto urbano: sprawl, consumo di suolo, funzioni urbane, verde urbano, centri commerciali, insediamenti industriali
2010
Contesto rurale: agricoltura, insediamenti, manufatti, formazioni vegetali lineari
PTCP RAPPORTO AMBIENTALE
1
Categorie di indicatori Contesto naturale: Geomorfologia, idrografia, boschi e vegetazione in genere, ecosistemi, biodiversità, reti ecologiche
Informazioni generali e indicatori di Piano - R.A.
Anno
5
scheda compilata il
PIANIFICAZIONE PROVINCIALE - SCHEDA SINTETICA DEGLI INDICATORI PER IL PAESAGGIO
Fonti
X
X X
20. Grado di inserimento paesaggistico delle aree e distretti industriali
PROVINCIA DI PAVIA
X
X
19. N. e caratteristiche degli elettrodotti
Ente
X
X
17. Numero elem. di rilevanza paesistico-testimoniale e relativo stato
21. Grado mitigazione impatto aree estrattive in attività e abbandonate 22. Grado riqualificazione ambiti caratterizzati da degrado ambientale, destinati a discariche e ad impianti smaltimento rifiuti n°. di volte che gli indicatori hanno interessato le categorie
X X
Manufatti di rilievo, centri storici
16. Numero elem. rilevanza paesistico-naturale fruitiva e relativo stato
X X
Tipologia del paesaggio
X
Infrastrutture, strade, reti, piste ciclabili
Azioni di Piano
LOM
2.
12. Indicatore di rischio del patrimonio culturale
Misure atte a rimuovere elementi e fattori di compromiss. del paesaggio
ppt Rapporto Ambientale, indicatori prestazionali (?)
sigla SON
1.
8.
Misure a tutela
Settore: Paesaggio, beni culturali e beni materiali
PV13
Beni culturali
R.P. Scoping, indic. di stato
Piani, programmi o riferimenti a P. e P.
Non si capisce bene: c'è un R.P. di scoping e una presentazione ppt di un R.A. Gli indicatori non sono coincidenti. Indic. sono: nel R.P. a pag.151, nel p.p.t. R.A. nelle ultime 3 pagg. Spesso gli indic. sono una selezione di quelli già individuati dalla Regione Lombardia
Manufatti di rilievo, centri storici
Note
Infrastrutture, strade, reti, piste ciclabili
2008, 2009
Contesto urbano: sprawl, consumo di suolo, funzioni urbane, verde urbano, centri commerciali, insediamenti industriali
PTCP RAPPORTO PRELIMINARE SCOPING E PRESENTAZIONE R.A. IN PPT
Anno
Contesto rurale: agricoltura, insediamenti, manufatti, formazioni vegetali lineari
PROVINCIA DI SONDRIO
Fonti
Vincoli fonte Reg. Lombardia
Ente
29.02.2012
Categorie di indicatori Contesto naturale: Geomorfologia, idrografia, boschi e vegetazione in genere, ecosistemi, biodiversità, Reti ecologiche
Informazioni generali e indicatori di Piano - R.A.
Aspetti compositivi, visuali e di identità dei luoghi
scheda compilata il
PIANIFICAZIONE PROVINCIALE - SCHEDA SINTETICA DEGLI INDICATORI PER IL PAESAGGIO
Indicatori di stato 1.
Estensione delle aree protette (valuta la presenza di aree di interesse naturale o paesaggistico non antropizzate)
2.
Rapporto tra superficie agricola con vincoli o tutele paesaggistiche e superficie agricola utile Rapporto tra volume patrimonio edil. rurale in stato di abbandono e patrimonio edil. rurale totale Rapporto tra numero edifici rurali di interesse storico-culturale e totale edifici rurali Rapporto tra numero di edifici rurali di interesse storicoculturale tutelati e totale di edifici rurali di interesse storicoculturale Rapporto tra superficie sottoposta a vincolo paesaggistico e superficie totale del territorio provinciale Rapporto fra superficie di nuova occupazione in aree di ricomposizione morfologica dei margini urbani e superficie totale di espansione
Settore ambientale: Aree protette
Indicatori prestazionali Ambito tematico T6: Paesaggio
3. 4. 5.
6. 7.
Indicatori prestazionali altri ambiti tematici
12
8.
Rapporto tra la superficie urbanizzata e la superficie territoriale
9.
Rapporto tra le aziende con servizi agrituristici e totale aziende agricole
X
X X
X
X
X
X
X X
X
X
X X
10. Sviluppo lineare di filari alberati
11. Numero comuni che hanno inserito nelle normative del PGT azioni concrete per la realizzazione della rete ecologica 12. Rapporto tra Km di infrastrutture in aree a vincolo paesaggistico o di valore naturalistico e la superficie delle aree vincolate 13. Numero complessivo dei comuni coinvolti negli accordi promossi dalla provincia n°. di volte che gli indicatori hanno interessato le categorie
X
X
X
X X
X
X
X
X X
2
6
2
1
0
2
2
3
0
5
Valutazione Ambientale 21 • 39
PIANIFICAZIONE PROVINCIALE - SCHEDA SINTETICA DEGLI INDICATORI PER IL PAESAGGIO
scheda compilata il
Indicatori di supporto
Tema: Paesaggio
1.
Numero di progetti di recupero di cascine/casali
X
2.
Iniziative comunali contro le violazioni in campo ambientale (abusivismo, discariche illegali, ...) Lunghezza siepi e filari per territorio comunale
X
3. 4. 5.
Indicatori prioritari
6.
Indicatori prestazionali
Indicatori di supporto
Obiettivo generale: Tutelare e valorizzare il sistema paesisticoambientale della provincia
Indicatori prestazionali:
7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.
PV7
X
sigla CRE
LOM
Tutele o riferimento a tutele, norme di salvaguardia, ecc.
Aspetti compositivi, visuali e di identità dei luoghi
Turismo, cultura, fruizione in genere
Azioni specifiche di miglioramento ambientale, individuazione e recupero aree e manufatti degradati, criticità
pag.220 "Programma di monitoraggio": par. 7.2 Indicatori di stato, tema "Paesaggio", riportati Indicatori da 1 a 5; par. 7.3 Indicatori prestazionali, obiettivo generale "Tutelare e valorizzare il sistema paesistico-ambientale della provincia", + altri indicatori con rif. esplicito al paes. (in tot. 13). Dove misto con Ambiente e simili, si è fatta una selezione (es.p.241: no n. medio capi bestiame, ecc.). Il set è di facile applicazione.
Piani, programmi o riferimenti a P. e P.
Note
Manufatti di rilievo, centri storici
2008
Infrastrutture, strade, reti, piste ciclabili
Anno
Contesto urbano: sprawl, consumo di suolo, funzioni urbane, verde urbano, centri commerciali, insediamenti industriali
PTCP RAPPORTO AMBIENTALE
Contesto rurale: agricoltura, insediamenti, manufatti, formazioni vegetali lineari
PROVINCIA DI CREMONA
Fonti
Indicat. priorit.
Ente
Indicatori di stato
29.02.2012
Categorie di indicatori Contesto naturale: Geomorfologia, idrografia, boschi e vegetazione in genere, ecosistemi, biodiversità, Reti ecologiche
Informazioni generali e indicatori di Piano - R.A.
X X
X
Lunghezza filari a gelso / totale filari x comune Iniziative comunali per il recupero di elementi storicoarcheologici a fini fruitivi / totale da recuperare Edifici di interesse storico-culturale in stato di abbandono / totale di edifici di interesse storico-culturale Superficie ambiti agricoli vincolati nel PTCP / superficie territorio comunale Superficie aree agricole esterne / superficie urbana e infrastrutturale Sviluppo lineare siepi e filari arborei / Sup. territorio comunale Sup. ambiti tutelati / sup. territorio comunale Sup. area pedonale / sup. spazi pubblici nei centri storici Aziende con attività agrituristiche / Totale aziende agricole Sup. agricola con vincoli o tutele paesaggistiche / Sup. agricola utile Km piste ciclabili in ambiti agricoli / km totali piste ciclabili
X
X
X
X
X X
X
X X
X
X
rivista
X X
X X
X X
X
X
15. Sup. a prato permanente
X
16. Sviluppo lineare delle fasce ripariali
X
X
17. Sviluppo lineare fasce alberate perimetrali dell’abitato / sviluppo lineare perimetro dell’abitato
X
X
per leggere l’articolo completo X
X
5
9
2
2007
Note
da pag.138, monitoraggio procedurale e monitoraggio delle prestazioni. Tab. 6.7 e sgg., categorie specifiche negli obiettivi. Dove misto con ambiente o turismo, selezione.
Indicatori per il monitoraggio procedurale del piano Indirizzi per le strategie: I. Promuovere l’identità territoriale e la gestione innovativa e responsabile del paesaggio
1.
Agricoltura montana
2.
Gestione ecologica
3.
Agricoltura protetta
4.
Consumo di suolo
5.
Consumo di suolo agricolo
(idem) II. Favorire sviluppo turistico basato 6. sulla sostenib. che valorizzi risorse culturali, ambient. e paesaggistiche
Indicatori prestazionali: Indirizzo: IDENTITÀ - Rafforzare la riconoscibilità dell'offerta territoriale del Trentino, valorizzandone la diversità paesistica, la qualità ambientale e la specificità culturale Strategia I - solo paesaggio, Strategia II - Turismo, cultura, ambiente, paesaggio
la rivista
Turismo ecologico
7.
Ettari di aree degradate ripristinate
8.
N°. di risanamenti e recuperi di edifici di pregio paesistico
9.
N°. di interventi di riqualificazione territoriale
Infrastrutture, strade, reti, piste ciclabili
Anno
Contesto urbano: sprawl, consumo di suolo, funzioni urbane, verde urbano, centri commerciali, insediamenti industriali
PUP - PIANO URBANISTICO PROVINCIALE RAPPORTO AMBIENTALE
4
29.02.2012
3
PV15
0
5
sigla TRE
TAA
X
X
X
X
X X
X
X X
X X
X
11. Indice di diversità ecologica 12. Km di percorsi culturali ed eno-gastronomici attrezzati inseriti nella rete informativa turistica 13. Ha di area storicamente a prato pascolo, ripristinato o destinati a colture di nicchia 14. N°. di edifici restaurati e risanati, superfici di aree di pregio paesistico ricuperate o riqualificate 15. Soddisfare il 50 % del fabbisogno edil. con il riuso del patrimonio edil. attuale intensificando l’uso di aree insediate 16. N°. di sistemi di collegamento organico non automobilistico, fra poli attrezzati e insediamento abitato 17. N° di produzioni agricole d’area introdotte organicamente nei circuiti turistici trentini 18. N°. di interventi di risanamento per spazi in aree di pregio paesistico 19. N° di edif. e strutture turistiche e per la ristorazione collegati ciclopedonalmente; Ha di aree di pregio paesistico riordinati
X
X
X X
X
X X X
X
X
X
X
X
X X
X
X X X
20. N° malghe con esercizio agrituristico
40 • Valutazione Ambientale 21 / studi e ricerche
X 2
X
10. N°. ha area a regime ecologicamente controllato e gestito
n°. di volte che gli indicatori hanno interessato le categorie
X
Categorie di indicatori
Contesto rurale: agricoltura, insediamenti, manufatti, formazioni vegetali lineari
PROVINCIA DI TRENTO
Fonti
Contesto naturale: Geomorfologia, idrografia, boschi e vegetazione in genere, ecosistemi, biodiversità, Reti ecologiche
acquista
Ente
4
scheda compilata il
PIANIFICAZIONE PROVINCIALE - SCHEDA SINTETICA DEGLI INDICATORI PER IL PAESAGGIO Informazioni generali e indicatori di Piano - R.A.
4
X
Tutele o riferimento a tutele, norme di salvaguardia, ecc.
X
X
Aspetti compositivi, visuali e di identità dei luoghi
X
Turismo, cultura, fruizione in genere
19. Sviluppo lineare nuove infrastrutture entro aree di rilevanza ambientale e paesaggistica (rif. carte compatibilità PTCP) Altri indicatori 20. Km infrastrutture in aree a vincolo paesaggistico o di valore naturalistico / sup aree vincolate n°. di volte che gli indicatori hanno interessato le categorie
Piani, programmi o riferimenti a P. e P.
supp prior
18. Sup. macchie boscate realizzate con tipologia “imboschimento a scopo naturalistico”
Azioni specifiche di miglioramento ambientale, individuazione e recupero aree e manufatti degradati, criticità
... stretto rapporto fra attività agricola, paesaggio rurale, beni e servizi prodotti, ... non solo conservazione delle risorse paesaggistiche, ma anche relazione forte tra qualità dei prodotti e qualità del paesaggio
Manufatti di rilievo, centri storici
Indicatori di supporto
Obiettivo generale (sint.):
X 5
7
3
4
X X
3
X
X 1
6
5
0
3
PIANIFICAZIONE PROVINCIALE - SCHEDA SINTETICA DEGLI INDICATORI PER IL PAESAGGIO
scheda compilata il
5.
Lunghezza strade in aree a vincolo paesaggistico o di valore naturalistico o in aree protette/PLIS
6. 7. 8. 9. 10.
Estensione della Rete Verde Paesaggistica Comuni che hanno definito la RVP a livello comunale Comuni che hanno sottoscritto intesa ex art.32 Norme Interventi di deframmentazione Aree contermini alla Pedemontana riqualificate e valorizzate sotto il profilo paesaggistico ed ambientale Ambiti di interesse provinciale "assorbiti" nella RVP Aree interessate da programmi di azione paesaggistica Estensione Ambiti di riqualificazione paesaggistica Estensione Maglia di primo appoggio paesaggistico Estensione PLIS (Parchi Locali di Interesse Sovracomunale)
Compon. "Mobilità e trasporti"
Indicatori prestazionali Obiettivo: Realizzare la rete verde di ricomposizione paesaggistica
11. 12. 13. 14. 15.
Indicatori prestazionali
X
X
2009
Note
pag.254 "Modalità di controllo del Piano", vedi Tab. 11.1, Schema di Indicatori per il monitoraggio, Sistema misto "Ambiente-paesaggio", a pag.274 tema "Tutela e valorizzazione dei caratteri e degli elementi paesaggistici presenti sul territorio", riportati Indicatori da 1 a 24. Sono inoltre riportati ulteriori indicatori con rif. esplicito al paes. (altri 7). Indicatori prioritari e di supporto, di stato e prestazionali. 1.
Indicatori prioritari, di stato
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
Sistema: ambiente-paesaggio;
11. 12.
Obiettivo: Tutela e valorizzazione dei caratteri e degli elementi paesaggistici presenti sul territorio
13.
Altri Sistemi
supp prest
vari obiettivi anche paesaggistici: OBS 1.7, 4.2, 4.4, 7.1, 7.2,
prioritari prestazionali
prior. stato
Indicatori prioritari, prestazionali
Indicat. supp., stato
14. 15.
06
Percentuale di aree di rilevanza naturalistica rispetto alla superficie totale provinciale Superficie area di rilevanza paesistica / superficie territoriale Superficie aree agricole ricadenti in aree di rilevanza paesistica o naturalistica Numero bellezze individuate nel PTCP Superficie bellezze d'insieme nel PTCP Lunghezza totale strade classificate come viabilità di rilevanza paesistica nel PTCP Numero Comuni che individuano percorsi di interesse paesistico nei PGT Sup. ambiti tutelati / sup. territorio provinciale Superficie PLIS - Parchi Locali di Interesse Sovracomunale Numero Comuni con centri storici, nuclei di antica formazione, comparti 1930 perimetrati ai sensi della l.r. 12/2005 N°. Comuni con individuazione delle aree degradate nei PGT Iniziative comunali contro le violazioni in campo ambientale (abusivismo edilizio, discariche illegali, …) Numero di progetti di recupero di cascine e casali/cascine e casali censiti N°. Comuni che identificano elementi geomorfologici nei PGT N°. geositi riconosciuti / n°. totale geositi individuati nel PTCP
X
8
1
0
4
1
7
scheda compilata il
3
29.02.2012
1
PV6
0
sigla BRE
Tutele o riferimento a tutele, norme di salvaguardia, ecc. 1
LOM
Categorie di indicatori
X X X
X
X X X X
X
X
X
X
X X X
X X
X X
X
X
X X
X X X
X
X
X
X
X
X X X
X
X
X X
X
X
X
X X
26. Finanziamenti Provinciali per la valorizzazione dell'immagine e dell'identità locale 27. Sup. agricola con vincoli o tutele paesaggistiche / Sup. agricola utile 28. Aziende con attività agrituristiche / totale aziende agricole 29. Km piste ciclabili in ambiti agricoli / km totali piste ciclabili
X X
X
X
X
X X
X X
30. Lunghezza totale di nuove strade assoggettate a VIA o a autorizzazione paesistica /lunghezza totale nuove strade
n°. di volte che gli indicatori hanno interessato le categorie
X
X
25. Numero di progetti di infrastrutture autorizzati dalla provincia con contenuti di integrazione dell’opera nel paesaggio locale
31. Km infrastrutture in aree a vincolo paesaggistico o di valore naturalistico / superfici aree vincolate
X X
16. Iniziative comunali per il recupero di elementi storicoarcheologici a fini fruitivi / totale da recuperare 17. Edifici di interesse storico-culturale in stato di abbandono / totale edifici di interesse storico-culturale 18. Sup. ambiti tutelati / sup. territorio comunale 19. Numero di documenti di indirizzo prodotti 20. Centri storici in cui sono attive azioni a sostegno del centro commerciale naturale / totale centri storici 21. Sup area pedonale / sup. spazi pubblici nei centri storici 22. Numero progetti di riqualificazione di aree degradate con autorizzazione paesist. / Numero richieste pervenute alla Prov. 23. Numero edifici rurali di interesse storico-culturale tutelati / totale edifici rurali di interesse storico-culturale 24. Sup. zone umide / sup. territorio comunale
Aspetti compositivi, visuali e di identità dei luoghi
X X X X
Contesto urbano: sprawl, consumo di suolo, funzioni urbane, verde urbano, centri commerciali, insediamenti industriali
Anno
X
X
Contesto rurale: agricoltura, insediamenti, manufatti, formazioni vegetali lineari
PTCP RAPPORTO AMBIENTALE
Turismo, cultura, fruizione in genere
X X
Contesto naturale: Geomorfologia, idrografia, boschi e vegetazione in genere, ecosistemi, biodiversità, Reti ecologiche
PROVINCIA DI BRESCIA
Azioni specifiche di miglioramento ambientale, individuazione e recupero aree e manufatti degradati, criticità
X X
Informazioni generali e indicatori di Piano - R.A.
Fonti
X
X X
PIANIFICAZIONE PROVINCIALE - SCHEDA SINTETICA DEGLI INDICATORI PER IL PAESAGGIO
Ente
X
X
16. Estensione fasce della viabilità di interesse paesaggistico
Obiettivo: 17. Interventi di recupero del patrimonio storico culturale esistente Conservare, riqualificare, tutelare e promuovere i beni paesaggistici 18. Alberi monumentali n°. di volte che gli indicatori hanno interessato le categorie
Piani, programmi o riferimenti a P. e P.
X X
Tutele o riferimento a tutele, norme di salvaguardia, ecc.
Indicatori di stato
LOM
X
Aspetti compositivi, visuali e di identità dei luoghi
4.
sigla MZ-BR
X
Turismo, cultura, fruizione in genere
Interventi di sistemazione delle sponde dei corsi d'acqua Lunghezza siepi e filari Creazione di circuiti e sistemi di beni storico-culturali: piste ciclabili di connessione di beni st. cult. e simbolico-sociale Realizzazione RVP (rete verde paesaggistica)
PV11
Azioni specifiche di miglioramento ambientale, individuazione e recupero aree e manufatti degradati, criticità
Componente ambientale: Paesaggio
1. 2. 3.
Piani, programmi o riferimenti a P. e P.
Indicatori di stato
Manufatti di rilievo, centri storici
p.246 "Il sistema di monitoraggio e il sistema di indicatori"; p.252 "Indicatori di prestazione del Piano", Obiettivo "Realizzare la rete verde di ricomposizione paesaggistica" e varie voci paes.; p.254 "Indicatori di descrizione dell'ambiente e del territorio", c'è Componente ambientale "Paesaggio", poi altre voci paes.
Manufatti di rilievo, centri storici
Note
Infrastrutture, strade, reti, piste ciclabili
2011
Infrastrutture, strade, reti, piste ciclabili
PTCP RAPPORTO AMBIENTALE
Anno
Contesto urbano: sprawl, consumo di suolo, funzioni urbane, verde urbano, centri commerciali, insediamenti industriali
PROVINCIA DI MONZA BRIANZA
Fonti
Contesto rurale: agricoltura, insediamenti, manufatti, formazioni vegetali lineari
Ente
29.02.2012
Categorie di indicatori Contesto naturale: Geomorfologia, idrografia, boschi e vegetazione in genere, ecosistemi, biodiversità, Reti ecologiche
Informazioni generali e indicatori di Piano - R.A.
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gestione sostenibile del territorio valutazione e contabilitĂ ambientale dossier monografici strumenti e case history studi e ricerche
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VALUTAZIONE
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osservatorio VAS
La valutazione ambientale nella pianificazione d’area vasta A cura del gruppo di lavoro su VAS e governo del territorio dell’Associazione Analisti Ambientali
Valutare l’impatto ambientale del Decreto “Salva Italia” Marco Pompilio mpstudio@interfree.it Negli ultimi due numeri di questa rubrica ci siamo occupati di efficacia nei percorsi decisionali di pianificazione, e di come gli strumenti del valutatore possano contribuire a migliorarla. Abbiamo illustrato le mille difficoltà e fatiche per mettere assieme negli anni, passo dopo passo, un minimo risultato in termini di maggiore linearità nei percorsi decisionali, ed all’improvviso arriva, ad inizio dicembre, un decreto legge che rischia di annullare quanto con fatica raggiunto e di farci tornare indietro di venti anni. Non si intende qui ovviamente denigrare il Governo Tecnico (con la T maiuscola), che sta lavorando bene per questo Paese. Tuttavia, se questo Governo è, come sembra e dice di essere, specializzato in economia, su funzionamento degli enti locali e percorsi decisionali per il governo del territorio sarebbe meglio se ascoltasse chi ha esperienza in materia. La considerazione viene leggendo l’art 23 del DL 201/2011, cosiddetto “Salva Italia”, il cui testo è stato convertito in legge (L 214/2011) con pochissime modifiche nonostante le perplessità che da subito ha sollevato. Cosa c’entra tutto questo con la VAS, e con l’intento provocatorio contenuto nel titolo dell’articolo? In questa rubrica abbiamo sempre cercato di affrontare temi di attualità inerenti la VAS, ed ora a noi sembra che il tema di urgente attualità sia cosa succede ai temi di area vasta se la provincia, o il livello intermedio di governo del territorio, comunque esso si chiami, verrà svuotato di competenze. Nel numero 16 di dicembre 2009 della rivista avevamo svolto alcune riflessioni sugli impatti cumulativi, ed avevamo ipotizzato che per affrontarli in modo efficace fosse necessaria una stretta cooperazione tra pianificazione provinciale e comunale. Nei
SEA observatory In Italy a recent law defines a new role for provinces, preparing to transfer most of their functions to municipal or regional levels. The province since 1990 coordinates municipalities with regard to most of the planning and environmental issues. Lack of an intermediate administrative level between municipal and regional ones could greatly affect SEA effectiveness. As we have already seen in previous issues of this journal, province plans SEA is important to assess cumulative effects, implement tiering principles among different assessment levels, and guarantee adequate independency to environmental authority assessment. We make an attempt here to imagine how SEA could be without the intermediate level of government. Several case studies have been analyzed. Parole chiave: VAS, provincia, pianificazione Key words: strategic environmental assessment, province, planning
numeri 17 e 18 del 2010 avevamo affrontato il tema dell’autorità competente, commentando la sentenza del TAR Lombardia del maggio 2010, ed avevamo constatato la difficoltà di creare, senza l’intervento di un soggetto terzo dotato di adeguate competenze, quelle condizioni di autonomia necessarie per una valutazione che per essere efficace deve innanzitutto essere indipendente. Questo è il punto, la provincia ha una serie di strumenti a disposizione per realizzare un effettivo coordinamento della pianificazione comunale: il piano territoriale, il parere di compatibilità, parere e osservazioni nel percorso di VAS dei piani comunali, come autorità competente o come soggetto competente sui temi ambientali e territoriali. Le situazioni normative regionali sono molto differenziate, ma quasi dappertutto si può trovare la strada per un intervento della provincia sugli aspetti di area vasta, ossia quegli aspetti, come il governo delle risorse scarse e non rinnovabili, che per essere affrontati necessitano di una visione d’insieme, e di una relativa autonomia, per andare oltre i confini amministrativi dei singoli comuni. Tra le tante cose che l’art 23 introduce ve ne sono due in particolare che preoccupano in relazione all’effettiva capacità di governo degli aspetti di sostenibilità. Recita il comma 14 “Spettano alla Provincia
esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. La dizione è generica, potrebbe portare a confermare quasi tutto quello che già oggi fanno le province, ma potrebbe anche portare ad un sostanziale impoverimento. Durante la presentazione alla stampa del decreto legge il Governo ha dato un chiaro indirizzo parlando di svuotamento delle province, come anticamera alla loro abolizione con futura ed auspicata legge costituzionale. Alcune regioni hanno subito intravisto la possibilità di annettersi le competenze di coordinamento territoriale, e in tale senso si stanno già muovendo. Al momento in cui si scrive (fine aprile 2012) le funzioni sono in discussione in un disegno legge nazionale, cosiddetta Carta delle Autonomie, che sembrano confermare alle province le funzioni su coordinamento territoriale, ambiente, strade, e supporto tecnico-amministrativo ai comuni. Tuttavia non è detto che il testo finale sia questo e che comunque la Carta delle Autonomie arrivi ad essere approvata in tempo utile, prima che le regioni definiscano le funzioni con proprie norme locali. Cercando di essere ottimisti, o confidando nella razionalità del corso degli eventi, immaginiamo che le competenze di cui sopra rimangano alle province. Risolta questa que-
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A pagina 42, Ghiacciaio Perito Moreno in Patagonia (Argentina). Foto di Marco Pagano.
stione, esiste tuttavia un secondo aspetto di preoccupazione nell’attuazione dell’art 23, ossia gli organi della provincia che diventano di secondo livello, ad elezione indiretta. Se gli organi della provincia, Presidente e Consiglio, sono costituiti da eletti nei Comuni, viene meno quel minimo grado di autonomia necessario per trattare i temi di area vasta. La provincia, con le sue competenze di coordinamento, gli organi direttamente rappresentativi del complesso della comunità provinciale, e l’autorevolezza che ne consegue, svolge un ruolo di promozione dei tavoli di cooperazione tra comuni, di guida, di sollecito, e in caso di conflitto di arbitrato per l’identificazione di una soluzione, senza il quale i problemi resterebbero irrisolti. Si potrebbe immaginare una soluzione mista, con il Presidente eletto direttamente dai cittadini, ed il Consiglio che si evolve in Assemblea dei Sindaci. Questo contribuirebbe al duplice scopo di avvicinare provincia e comuni, allo stesso tempo garantendo, quando necessario, l’autorevolezza e l’indipendenza per trattare gli aspetti di area vasta. Se invece si va verso un ente con tutti gli organi eletti dai Consiglieri Comunali, come sembra emergere dal testo del DDL sulle elezioni provinciali approvato dal Governo nei giorni scorsi (metà di aprile 2012), valutato e valutatore finiscono per coincidere. L’autonomia sugli aspetti di area vasta diverrebbe concetto utopico ed impraticabile, e di fatto le province finirebbero per essere controllate dai sindaci dei Comuni più forti. Si rischierebbe così di vedere accentuati gli squilibri tra zone del territorio densamente edificate, congestionate ed inquinate, e zone a scarsa accessibilità, scarsamente dotate di servizi e soggette a fenomeni di desertificazione economica e demografica. Si andrebbe nella direzione diametralmente opposta rispetto a quanto le province hanno cercato di fare in questi venti anni, riequilibrando il territorio per valorizzare le potenzialità presenti in tutti i comuni, grandi, medi e piccoli, per creare reti di cooperazione tra i sistemi urbani ed insediativi ai diversi livelli.
I comuni piccoli, la quasi totalità degli 8100 comuni, ospitano una parte minima della popolazione ma controllano la grande maggioranza del territorio nazionale e delle sue risorse ambientali e paesaggistiche. Più che in altre nazioni, qui i centri medi e piccoli, le vallate, i sistemi di borghi, i distretti, costituiscono una delle strutture portanti non solo del territorio, ma anche del sistema economico del Paese. Con l’art 23 passa un concetto di svuotamento delle province, sull’onda di un’abile campagna stampa basata sulla falsa prospettiva di ottenere un risparmio di 12 miliardi dalla cancellazione dell’ente intermedio di governo. Nei fatti tale risparmio si restringe ad alcune decine di milioni, peraltro teorici e da dimostrare nei fatti, a fronte di un rischio di ben più elevati costi per il territorio e per l’ambiente. Un sistema di enti locali meno efficiente comporterebbe inoltre una minore competitività dei territori rispetto al contesto internazionale, ed in definitiva si tradurrebbe in un ulteriore freno alla auspicata ripresa economica. Tornando alla VAS, con il venire meno della terzietà/autonomia diventerebbe impraticabile il principio di concatenazione tra le valutazioni ai diversi livelli, introdotto dalla Direttiva Europea, e ripreso dalla norma nazionale e da alcune di quelle regionali. Un principio che, lo abbiamo già evidenziato nel n. 20 di dicembre 2011 della rivista, permetterebbe di mettere assieme competenze di comuni e provincia per affrontare gli effetti cumulativi, e per inquadrare ed affrontare gli aspetti sovracomunali in una prospettiva di area vasta, più consona a temi come quelli ambientali. Il modo in cui l’art 23 sarà attuato segnerà dunque la sorte delle province come le abbiamo conosciute dalla riforma del 1990 ad oggi. Determinerà la loro possibilità concreta di svolgere ancora un ruolo di ente intermedio di coordinamento per il governo dei temi di area vasta, e avrà di conseguenza un effetto sull’efficacia stessa della VAS. Le competenze principali in termini di scelte di uso del suolo sono da sempre collocate al
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livello comunale, dove si producono la quasi totalità dei piani urbanistici e delle valutazioni ambientali strategiche. Ma la pianificazione comunale da sola non è in grado di dare adeguata risposta alle criticità ambientali ed agli obiettivi di sostenibilità. In questi tre anni Osservatorio VAS ha evidenziato alcune delle difficoltà riscontrate nella pianificazione comunale. Le ricordiamo: • la tendenza a concentrare la VAS sulle indicazioni per la mitigazione di scelte progettuali già prese piuttosto che intervenire nelle fasi decisionali strategiche; • in molte norme regionali la VAS interviene a valle dell’adozione del piano, in una fase che è ormai di discussione sui dettagli; • la trattazione degli effetti cumulativi di tante piccole e medie trasformazioni spesso sfugge al percorso di valutazione; • il livello strutturale della pianificazione comunale spesso non contiene informazioni su dimensionamenti e destinazioni d’uso che siano sufficienti per un’adeguata previsione e valutazione ambientale degli effetti; • i principi di sostenibilità introdotti dai documenti europei, nazionali, e dai piani regionali fanno fatica ad essere tradotti in azioni concrete nella pianificazione comunale, in assenza di una interazione fluida tra i diversi livelli decisionali delle istituzioni; • mancanza nelle norme di molte regioni regole volte a garantire un’effettiva autonomia dell’autorità competente, con conseguente mancanza di controllo sulla corretta applicazione dei principi di sostenibilità. Le province attraverso i propri piani territoriali, e le relative VAS, hanno in questi anni cercato di dare risposta a queste difficoltà. Per esempio, pur tra molte difficoltà, e talvolta con armi spuntate, molti piani provinciali sono riusciti ad introdurre forme di controllo e contenimento del consumo di suolo. Si tratta di modalità e strumenti spesso sperimentali, certamente da perfezionare, ma che qualche effetto di coordinamento lo hanno raggiunto. Eliminarli, o svuotarli di efficacia,
significherebbe a questo punto allentare le briglie, con il probabile ritorno a ritmi esponenziali di crescita del consumo di suolo. I piani territoriali delle province ed i relativi percorsi decisionali hanno caratteristiche molto diverse dai piani comunali. Obiettivi e azioni dei piani provinciali si attuano solo in parte minimale attraverso le dirette competenze delle province. Più in generale richiedono per assumere valore conformativo di essere prima recepiti alla scala di maggiore dettaglio della pianificazione comunale. Da qui la necessità di costruire un sistema adeguato di strumenti attuativi per rendere più continuo ed efficace il raccordo tra i due livelli di governo degli enti locali. Le norme nazionali, e molte di quelle regionali, assegnano alla pianificazione provinciale un ruolo sui temi ambientali e di sostenibilità che va molto oltre il mero orientamento generico, e quindi tali temi sono centrali nella scelta e definizione degli strumenti attuativi. Ad esempio, se da un lato il dimensionamento insediativo dei piani è competenza assegnata in via prioritaria dalla Costituzione ai Comuni, gli effetti degli insediamenti sul consumo di una risorsa scarsa e non riproducibile come il suolo agricolo sono argomento di area vasta, dove quindi la provincia ha competenza di regolazione. La declinazione di queste caratteristiche ha portato nei piani provinciali a prevedere sistemi articolati di disposizioni (indirizzi, direttive, prescrizioni, …) per garantire nella pianificazione comunale l’esistenza di una serie di contenuti minimi sugli aspetti di area vasta. Disposizioni da controllare nella loro corretta applicazione nell’ambito delle verifiche di compatibilità previste dall’art 20 del D.Lgs. 267/2000, così come delle conferenze dei percorsi di VAS cui la provincia partecipa come autorità competente o soggetto competente sugli aspetti ambientali e territoriali. Le VAS dei piani provinciali hanno contribuito per la parte di competenza a costruire e dare efficacia a questi sistemi di disposizioni. Il principio di concatenazione tra i diversi livelli di valutazione costituisce in tale senso
strumento di grande potenzialità, offrendo l’opportunità con la VAS del piano provinciale di indirizzare e supportare le VAS dei piani comunali. Il quadro dispositivo della pianificazione provinciale, quando opportunamente sviluppato negli aspetti ambientali e di sostenibilità, fornisce gli elementi di inquadramento di area vasta per un approccio più comprensivo e strategico alla pianificazione comunale. Le indicazioni del piano provinciale, unitamente agli uffici della provincia che in sede di conferenze VAS ne verificano l’attuazione nella pianificazione comunale, consentono di ampliare la partecipazione al processo decisionale, contribuendo allo stesso tempo ad anticiparla più a monte nel percorso decisionale di pianificazione, ad una fase in cui le decisioni non si siano ancora cristallizzate. I risultati raggiunti sono il frutto di quasi due decenni di lavoro e sperimentazioni, e rischiano di andare dispersi se la funzione di coordinamento delle province sarà svuotata con l’attuazione dell’art 23. Proprio i temi ambientali e di sostenibilità sarebbero tra i più colpiti in un sistema di pianificazione dove venga meno l’istituzione preposta al coordinamento degli aspetti di area vasta. Le forme di unione tra comuni, così come una provincia con organi di secondo livello nominati dai comuni, non sarebbero altrettanto efficaci. La mancanza di autonomia comporterebbe una mancanza di autorevolezza, e di indipendenza, che sono indispensabili per promuovere e condurre a buon fine il coordinamento tra i comuni sugli aspetti di area vasta.
Ordinamento del territorio e ruolo della VAS a scala d’area vasta in Portogallo A cura di Chiara Bragagnolo, Dipartimento di Biologia, Università delle Azzorre, Portogallo chiara.bragagnolo@ing.unitn.it In Portogallo la legge base di ordinamento del territorio (Lei de Bases do Ordenamento
do Território e do Urbanismo – L. n. 48/98, e successiva modifica – L. n. 54/2007) definisce le linee generali rispetto alla politica urbanistica e di governo del territorio, così come un insieme di strumenti di gestione territoriale che la concretizzano. In particolare, la legge stabilisce tre ambiti territoriali oggetto di programmazione e pianificazione: nazionale, regionale e municipale (fig. 1). Ai primi due viene conferito un ruolo principalmente strategico, mentre la scala municipale costituisce un ambito di gestione territoriale più operativo, con l’obiettivo di definire e pianificare il regime d’uso del suolo, recependo priorità e indirizzi strategici sovraordinati e proponendo linee d’azione per uno sviluppo sostenibile del territorio a scala municipale. Nonostante il quadro normativo definisca in maniera chiara il sistema di gestione del territorio e il diverso grado di interazione e coordinamento sia tra i diversi strumenti di ordinamento territoriale sia tra questi e la pianificazione di settore (es. vi è un riferimento esplicito all’integrazione delle politiche settoriali e ambientali a scala regionale), esiste una “lacuna” nella struttura amministrativa di questo Paese che rende particolarmente complessa la pianificazione a scala d’area vasta. La ragione di questa complessità deriva dal fatto che, ad eccezione di due Regioni Autonome corrispondenti agli arcipelaghi di Madeira e Azzorre, in Portogallo non si è mai raggiunta l’implementazione delle regioni amministrative prevista dalla Costituzione (1976) contemporaneamente all’abolizione delle Province. Tralasciandone i motivi storico-culturali, questa mancanza di corrispondenza tra livello amministrativo e di governo del territorio unita all’esigenza di una maggior regionalizzazione e sussidiarietà derivante anche dalla necessità di adeguarsi alla gestione delle politiche europee di coesione, ha avuto due principali conseguenze. Da un lato, ha comportato una dispersione e sovrapposizione di competenze e servizi di carattere sovra-municipale tra diversi organi
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Figura 1. Sistema e strumenti di gestione del territorio in Portogallo.
PNPOT PSOT PEOT
PROT
PIOT PDM PU PP
Ambito nazionale: definisce il quadro strategico per l’Ordinamento del Territorio (OT) a scala nazionale, stabiliendo linee direttrici per l’ambito regionale e locale. Strumenti: Programma Nazionale di Politica di OT (PNPOT); Piani settoriali di OT (PSOT) e Piani speciali di OT (PEOT).
rivista
Ambito regionale: formula il quadro strategico per l’ordinamento del territorio a scala regionale, integrando le politiche socioeconomiche nazionali e stabilendo le linee di orientamento per l’ambito municipale. Strumenti: Piano Regionale di OT (PROT). Ambito municipale: definisce e programma l’uso del suolo, integrando quanto stabilito dagli strumenti di OT sovraordinati. Strumenti: documenti strategici a scala intermunicipale (PIOT) e municipale (PDM); e piani operativi: Piani di Urbanizzazione e di Dettaglio (PU e PP).
per leggere l’articolo completo
Ad eccezione del Programma Nazionale di Politica di OT, tutti gli strumenti di gestione del territorio descritti sono obbligatoriamente soggetti a VAS (nel caso di PU e PP, con previa procedura di screening), come previsto dal Decreto Legge n. 232/2007, che recepisce la Direttiva Europea (2001/42/CE).
istituzionali e livelli di pianificazione (es. gestione dei rifiuti; gestione delle aree protette, ecc.); dall’altro, ha dato origine alla creazione di nuovi organi e forme di governo del territorio a scala d’area vasta, come per esempio: le Aree Metropolitane (Grande Lisbona e Penisola di Setúbal, Grande Porto, Douro e Vouga) e le Comunità Intermunicipali, costituite da associazioni di municipi che in alcuni casi coincidono con le abolite province. In particolare, essendo questi livelli intermedi considerati la scala più appropriata per la risoluzione di problematiche di gestione ambientale che accomunano i singoli municipi (es. opere di urbanizzazione primarie e secondarie, trasporto pubblico collettivo, sviluppo e localizzazione di aree produttive, gestione dei rifiuti, contenimento dello sprawl, ecc.), l’attuale legge tende ad enfatizzare il ruolo strategico del cosiddetto Piano Intermunicipale di Ordinamento del Territorio (PIOT), non solo per la potenzialità d’integrazione delle strategie di OT regionali, ma soprattutto per il coordinamento e l’at-
acquista
tuazione delle azioni promosse sia dai piani di settore (es. energia, trasporti, ecc.) sia dai cosiddetti piani speciali, che riguardano principalmente la gestione di beni e risorse naturali (es. aree protette, estuari, risorse idriche, bacini idrografici, zone costiere). Inoltre viene definita come area d’intervento di un PIOT, un’area territoriale (spesso non coincidente con alcun livello amministrativo) che, per l’interdipendenza di elementi strutturanti, necessita di un coordinamento integrato. Ciononostante, attualmente sono solo due i Piani intermunicipali in vigore in tutto il territorio nazionale. Il primo, approvato nel 2003, relativo al territorio dell’Alto Douro (regione nord) corrispondente al sito Patrimonio mondiale dell’umanità, designato dall’UNESCO per la singolarità del paesaggio legata alla produzione del famoso vino Porto. Il secondo, approvato nel 2008, comprendente un territorio di circa 180 km2 delimitato secondo criteri principalmente bio-fisici e idrogeologici, in quanto territorio omogeneo che si sviluppo lungo il fiume Aveiro (regio-
la rivista
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ne centrale). La riproduzione di altre esperienze di questo tipo sembra essere ostacolata, da un lato, dalla difficoltà di conciliare visioni ed interessi politici eterogenei all’interno delle Comunità intermunicipali; dall’altro, da una visione, ancora piuttosto miope, del territorio d’area vasta come forma onerosa di gestione, aggravatasi con la recente “crisi” e recessione economica, che tende ad indebolire ulteriormente la programmazione di strategie territoriali di lungo periodo. In questo particolare contesto, dove le regioni non hanno autorità amministrativa e l’esistenza dei piani speciali favorisce già in parte l’integrazione di considerazioni ambientali considerate prioritarie a livello nazionale (aree protette, estuari, risorse idriche, zone costiere) all’interno di piani e programmi, la VAS potrebbe giocare un duplice ruolo a scala d’area vasta. Da un lato, garantendo una maggior coerenza degli obiettivi territoriali ed ambientali tra i diversi piani municipali e supportando un maggior coordinamen-
to tra le politiche territoriali ed ambientali regionali e la loro attuazione a livello locale, anche attraverso la promozione di strumenti di gestione e monitoraggio implementabili a scala intermedia (es. PIOT, Agenda 21 Locale, ecc.) mediante le già costituite Comunità Intermunicipali (24 in tutto il Paese). Dall’altro, identificando e delimitando potenziali ambiti territoriali d’azione sovra-locali ritenuti prioritari rispetto ad aspetti o criticità ambientali specifici (es. attività estrattive, rete ecologica, ecc.), ai fini di elaborare strategie di gestione e valutare tendenze evolutive nel lungo periodo. Le precedenti considerazioni sono state elaborate a partire da una lettura critica dei seguenti riferimenti bibliografici e non pretendono di essere in nessun modo esaustive. Riferimenti bibliografici Lei de Bases da Política de Ordenamento do Território e de Urbanismo. L. n. 48/98, modificata da L.n. 54/2007. Partidário, M.R., 2007. Guia de boas práticas para Avaliação Ambiental Estratégica – orientações metodológicas, 1a ed. Lisboa. Agência Portuguesa do Ambiente (APA) [http://www.apambiente.pt]. Direcção-Geral do Ordenamento do Território e Desenvolvimento Urbano (DGOTDU) e Agência Portuguesa do Ambiente (APA), 2008. Guia da Avaliação Ambiental dos Planos Municipais de Ordenamento do Território. Documentos de Orientação DGOTDU 01/2008 [http://www.apambiente.pt]. Plano Intermunicipal de Ordenamento da Ria De Aveiro, 2007. Documenti del Piano, Versione Finale. Plano Intermunicipal de Ordenamento do Território do Alto Douro Vinhateiro (PIOTADV), 2003. Documento di approvazione del Piano.
Un caso di pianificazione intercomunale nel Veneto A cura di Paola Modena, libera professionista paola.modena@progettazioneambientale.it I comuni gardesani di Castelnuovo del Garda e Peschiera del Garda (Provincia di Verona) hanno condiviso l’elaborazione del loro Piano
di Assetto del Territorio Intercomunale. Tale elaborazione è avvenuta in copianificazione con la Regione Veneto e si è avvalsa del supporto tecnico del medesimo gruppo di progettazione e valutazione in ambedue i comuni. Questa ultima condizione è tutt’altro che frequente, dato che molti piani intercomunali nel Veneto vedono il contemporaneo lavoro di diversi gruppi di professionisti, il che comporta, oltre che un inutile dispendio di risorse umane ed economiche, una scarsa integrazione delle strategie e delle metodologie per perseguire gli obiettivi comuni individuati. Si intende in questa sede ripercorrere rapidamente le fasi principali del processo di VAS del Piano di Assetto del Territorio Intercomunale, a partire dalla elaborazione del Rapporto ambientale preliminare, passando dal Rapporto Ambientale, per giungere, dopo l’approvazione di quest’ultimo unitamente al PATI, alla elaborazione, attualmente in corso, dei rispettivi Piani degli Interventi dei due comuni. Tale sintetico resoconto del processo sin qui svolto ha lo scopo di individuarne sia i buoni esiti ottenuti, sia i punti di debolezza. La costruzione del PATI dei comuni di Castelnuovo e Peschiera d/G, inizia nel 2005, praticamente in coincidenza con l’emanazione della nuova legge urbanistica regionale (LR n. 11/2004), in un momento, dunque, percepito come notevolmente innovativo, sia per l’approccio nuovo alla pianificazione (distinta in due fasi: strategica e conformativa), sia per la comparsa dei concetti di “governo del territorio” e di “sostenibilità”. L’introduzione, inoltre, della procedura di VAS dei piani costituisce una sostanziale e naturale evoluzione delle modalità di governo del territorio, che da settoriale in quanto di approccio unicamente urbanistico, diviene complessivo anche grazie ad una visione multidisciplinare. L’Autorità competente regionale (Commissione VAS) approva il Rapporto ambientale preliminare con prescrizioni per il successivo Rapporto definitivo che derivano sia dalla considerazione di elementi ritenuti significativi dalla stessa Autorità, sia dalle osserva-
zioni pervenute dalle Autorità ambientali al cui parere il Rapporto è stato sottoposto. La successiva fase di concertazione viene effettuata a partire dal mese di ottobre 2007, mediante sei incontri pubblici con i portatori di interessi locali ed aperti ai cittadini. Ogni incontro vede la trattazione di un tema territoriale specifico: es. mobilità e viabilità, attività produttive e sviluppo economico, turismo, qualità urbana. I lavori sono svolti a partire dai contenuti del Documento preliminare di piano e del Rapporto ambientale preliminare. È questo il momento della vera partecipazione costruttiva alla formazione del piano; la successiva, dopo l’adozione, corrisponde alla fase delle osservazioni. Il Rapporto ambientale è costruito, su indicazione dell’Autorità competente, su uno schema abbastanza rigido che assume le caratteristiche di un Rapporto sullo Stato dell’Ambiente per lo meno nella parte descrittiva. La parte valutativa (stato attuale, alternative di piano) è effettuata anche grazie all’applicazione “sul campo” di indicatori (ad es. IFF, da ANPA 20001, e Pressione antropica, da Lausi, Pignatti e Poldini 19782 (fig. 2)). La situazione territoriale in tal modo evidenziata, e che i comuni si trovano a dover governare, vede situazioni fra loro conflittuali: da un lato alti livelli di pressione antropica legati alla continua espansione dell’attività turistica, favorita anche dalla crescente infrastrutturazione (comunque insufficiente a gestire i volumi di traffico generati dai parchi tematici gardesani), dall’altro la richiesta dei cittadini di maggiore qualità dell’ambiente e del paesaggio. Oltre a ciò, l’amministrazione comunale di Castelnuovo d/G si trova a dover gestire le pianificazioni della precedente amministrazione, improntate ad alto consumo di territorio. Il PATI ed il Rapporto ambientale sono adottati nel febbraio del 2008. Essi prevedono, a fronte di un ulteriore consumo di suolo, se pur contenuto rispetto alle previsioni precedenti, l’istituzione di tre parchi di interesse
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Figura 2. Risultati dell’applicazione dell’Indice di Pressione antropica.
locale da considerarsi non tanto come una sorta di “spazi aperti residuali” nella matrice antropizzata, ma come capisaldi della rete ecologica comunale, elemento fondamentale della pianificazione intercomunale. Molte osservazioni dei cittadini pervenute successivamente si configurano come richieste di accordi pubblico-privato ai sensi dell’art. 6 della LR n. 11/2004. Fra queste alcune sono faticosamente gestite dalle amministrazioni e dal gruppo di progettazione, soprattutto nel caso dell’amministrazione di Castelnuovo, intenzionata a ridurre significativamente le previsioni di espansioni insediative effettuate dai predecessori.
Ciò, evidentemente, se comporta una maggiore sostenibilità ambientale del Piano, ne limita fortemente la natura strategica in quanto divengono estremamente rilevanti gli interessi dei privati. Comunque l’effetto positivo consiste nella riduzione della potenzialità edificatoria e nella costruzione di un apparato normativo fortemente improntato alla riqualificazione ambientale del contesto (Norme per la rete ecologica comunale e Prontuario del verde). Il Rapporto ambientale definitivo tiene conto delle modifiche introdotte nel piano dal recepimento delle osservazioni e, come tale, è sottoposto all’istruttoria dell’Autorità competente.
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Finalmente, in seguito ad emissione di parere motivato favorevole da parte della Commissione VAS e della Valutazione Tecnica Regionale il PATI è approvato (gennaio 2009), dopo quattro anni di elaborazione. Il parere VAS si conclude con le seguenti prescrizioni: Il Rapporto annuale previsto per il monitoraggio dovrà in generale rendere conto dello stato di avanzamento delle azioni pianificate e dei relativi effetti ambientali significativi. In particolare dovranno essere verificati i risultati in merito: 1. al completamento delle reti di collettamento dei reflui urbani e all’adeguatezza dei siste-
mi di depurazione cui questi afferiscono; 2. alla riduzione delle perdite della rete di approvvigionamento idropotabile in relazione alla possibilità di sostenere maggiori carichi insediativi senza aumentare la pressione sulle risorse; 3. alla riduzione della produzione di Rifiuti urbani ed all’incentivazione della raccolta differenziata anche nell’ambito della ricettività turistica; 4. all’attuazione di programmi di risparmio energetico, con particolare riferimento al settore dei trasporti urbani e a quello dell’edilizia, che muovano nella direzione di assicurare il contributo dei Comuni di Castelnuovo e Peschiera agli impegni internazionali di riduzione delle emissioni climalteranti; 5. alla realizzazione del sistema di parchi e spazi verdi, percorsi pedonali e ciclabili previsti e di nuova previsione; 6. all’equilibrio tra le previsioni, attuate e in attuazione, relative alla riqualificazione di parti della città costruita rispetto alle previsioni, attuate e in attuazione, relative alla occupazione di nuovi suoli. Le prescrizioni vertono, come si nota, su aspetti di generale salvaguardia ambientale ma nulla dicono in merito al controllo ed al monitoraggio delle specifiche azioni di piano. Ora entrambi i comuni si trovano nella fase di Piano degli Interventi ed è forse interessante verificare gli effetti sin qui ottenuti dal processo di VAS e quali prospettive future si possano individuare. La verifica dei risultati del processo valutativo sin qui condotto può essere riferita alla stima del perseguimento di alcuni dei criteri di efficacia del processo a suo tempo individuati dal Gruppo di lavoro VAS. Razionalità/linearità Il processo è stato scarsamente lineare e molto lungo. Anche se esisteva un buon progetto iniziale, esso è stato frequentemente modificato sulla spinta di interessi privati. Certamente le difficoltà sono derivate anche
dalla “novità” del processo sia in merito al suo carattere strategico, sia grazie al requisito della sostenibilità ambientale, sociale ed economica oggetto della preventiva valutazione strategica. Gli approcci nuovi hanno complicato l’avvio della pianificazione anche se effettuata di concerto con la Regione. Sovracomunalità La verifica delle comuni strategie attivate è positiva solo in parte. Infatti, a parte il caso delle tematiche connesse all’infrastrutturazione d’area vasta e della mobilità, proprio la natura prevalentemente negoziata della pianificazione effettuata dalle due amministrazioni ha limitato fortemente l’assunzione di strategie comuni. Trasparenza Tale requisito è stato certamente perseguito, ma sovente è stato disatteso a causa della scarsa linearità del processo, sottoposto a frequenti “cambiamenti di rotta”. Tali mutamenti, pur effettuati con correttezza da parte delle amministrazioni, non possono essere ben compresi dai cittadini a cui spesso sfuggono le complesse dinamiche che ancora governano la pianificazione urbanistica. Integrazione L’integrazione dei diversi temi di interesse ai fini del governo del territorio intercomunale e la comprensione della complessità degli aspetti oggetto di valutazione e pianificazione ha prima di tutto coinvolto il gruppo di progettazione a livello di “metodo”, prima che di contenuti. L’ottimo affiatamento all’interno del gruppo e la disponibilità dei responsabili di settore comunali ha certamente favorito l’ottenimento di buoni risultati nello svolgimento dei lavori e di accettabili contenuti degli strumenti di governo elaborati. Le maggiori difficoltà si sono riscontrate nella effettiva implementazione delle considerazioni ambientali quali elementi costituitivi della progettualità, e non come meri adempimenti normativi o, peggio, estetico/cosmetici del piano.
Terzietà La diversità fra Autorità procedente e competente (la Regione) ha certamente favorito la terzietà del giudizio sul piano. Alcune difficoltà si sono avute a causa della numerosità delle strutture regionali coinvolte attivamente dalla copianificazione: Urbanistica, Difesa del suolo, Agroambiente, Rete natura 2000 e Direzione infrastrutture per la VAS. In molti casi il percorso non è stato lineare e complicato dal diverso approccio dei settori regionali. Partecipazione Come esposto precedentemente, la fase partecipativa ha coinciso sostanzialmente con le occasioni di incontro con i portatori di interessi ed i cittadini in occasione della presentazione del Documento preliminare e del Rapporto ambientale preliminare. Gli stessi portatori di interesse hanno successivamente lamentato le scarse ulteriori occasioni di partecipazione, in quanto, non potendo intervenire sul piano in costruzione, rimane loro solo la possibilità di intervenire mediante osservazioni su un documento già “confezionato”, dopo l’adozione. Monitoraggio Pur essendo prescritto in ogni parere VAS, il piano di monitoraggio dei Piani ad oggi nel Veneto è rimasto puramente sulla carta. Il caso dei due comuni in questione non fa in questo senso eccezione: il numeroso elenco di indicatori contenuti nel Rapporto ambientale e di cui il parere VAS ha prescritto il calcolo con frequenze annuali o biennali, al momento non è stato aggiornato, se non per i parametri di legge. Dato tuttavia che oltre che per un effettivo controllo/miglioramento degli effetti della pianificazione, si ritiene che il monitoraggio sia fondamentale per assicurare trasparenza alle fasi attuative delle trasformazioni pianificate, nello specifico del PATI in esame si intende procedere a livello di Piano degli Interventi alla verifica degli aspetti ritenuti più rappresentativi della qualità dell’evoluzio-
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ne territoriale, vale a dire il consumo di suolo (calcolo della Superficie Agricola Trasformata/Superficie Agricola Trasformabile) e l’antropizzazione del territorio (Indice di Antropizzazione di cui sopra), indicatore utile alla verifica dell’andamento qualitativo del sistema ecorelazionale. Prospettive future I lavori per l’elaborazione dei Piani degli Interventi dei due comuni sono da poco iniziati ed è stato confermato lo stesso gruppo di progettazione del PATI. Ciò facilita certamente la prosecuzione e l’ulteriore implementazione delle considerazioni ambientali nei piani. Le difficoltà prevedibili, e già riscontrate a livello di PATI, sono in maggioranza dovute alla carenza o totale mancanza degli strumenti di governo di rango superiore (PTRC e PTCP), il primo molto datato ed il secondo del tutto mancante. La notevole discrezionalità dei Piani degli Interventi, soggetti all’approvazione comunale, complica certamente l’assunzione di una prospettiva d’area vasta della pianificazione locale.
l’esperienza dei Contratti di Fiume (CdF), strumenti recenti per la gestione integrata, territorializzata e partecipata delle acque, risorsa per antonomasia limitata, multifunzionale e multiscalare. Caratteristiche, queste, che rendono particolarmente evidenti l’inefficienza dei tradizionali modelli di gestione – settoriali e fortemente centralizzati – a vantaggio di forme di governance basate su una forte integrazione settoriale e una stretta cooperazione interistituzionale. Questo assunto, che si riverbera nelle politiche e nelle pratiche, è sostenuto da un cambiamento prima di tutto culturale e che si sostanzia nel passaggio da una concezione profondamente antropocentrica dell’acqua, in cui la tutela della risorsa è subordinata alla sua utilità per la società, ad una di tipo ecosistemico – attenta ai principi della sostenibilità ecologica (Steyaert e Ollivier, 20071) – senza per questo ignorare l’importanza vitale che l’acqua ha per l’uomo, né le profonde interazioni, spesso confliggenti, che l’utilizzo delle risorse idriche intrattiene con molte pratiche umane (Carter, 20072). Queste considerazioni, a loro volta, mettono in risalto le potenzialità di processi di VAS applicati a tali strumenti, nell’ambito dei quali non solo sono valutabili le ricadute ambientali delle azioni proposte, ma sono anche identificabili i trade off fra diversi obiettivi (ad esempio, sfruttamento della risorsa a fini irrigui vs tutela ecologica del corridoio fluviale) e i potenziali conflitti fra portatori d’interesse differenti. I Contratti di Fiume nascono, in Italia, sulla scorta dell’esperienza ormai trentennale dei Contrats de Rivière francesi e sotto l’impulso della Water Framework Directive (WFD 2000/60/CE), che istituisce un quadro unitario e condiviso per l’azione comunitaria in materia di acque e sancisce l’importanza del coinvolgimento dei cittadini nelle politiche di tutela e valorizzazione dei bacini fluviali. Le indicazioni della Direttiva, recepite e attuate in Italia dai Piani di Tutela delle Acque e dai più recenti Piani di Gestione di Distretto Idrografico, prevedono l’utilizzo dei Contratti di
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Fiume come strumenti di governance territoriale. Essi sono chiamati a promuovere la costruzione di scelte e strategie condivise per la gestione integrata delle acque alla scala dei singoli bacini idrografici sulla base del coinvolgimento e della partecipazione dei soggetti istituzionali, sociali, economici, ambientali e, più in generale, dei cittadini. Gli obiettivi dei CdF riguardano il miglioramento della qualità ambientale, della sicurezza, della fruibilità delle acque e dei relativi ambienti, nonché l’inversione dei processi di degrado ambientale e territoriale e la conseguente diminuzione del rischio idrogeologico. Tali obiettivi sono definiti e attuati mediante un complesso e articolato processo di cooperazione interistituzionale e multiattoriale attraverso cui si perviene all’elaborazione di uno scenario strategico di riferimento relativo all’intero bacino fluviale e alle azioni da attuare per perseguire il recupero, la tutela e lo sviluppo sostenibile del bacino fluviale. Le prime esperienze, a livello nazionale, si registrano in Lombardia e in Piemonte e danno origine, nel giro di una decina d’anni, a un vasto e piuttosto rapido contagio, quasi virale: nel 2012, a 8 anni dalla sottoscrizione del primo contratto lombardo (Olona-Bozzente-Lura) si possono contare ben 61 esperienze, censite – a diversi gradi di implementazione – in tutta Italia3. In questa sede abbiamo deciso di concentrarci sul caso Piemontese, in ragione di alcune sue caratteristiche che bene mettono in evidenza la centralità – all’interno di questi processi e della loro attuazione – dell’ente provinciale, del suo ruolo e delle sue competenze. E ci riferiremo, in particolare, al Contratto del Torrente Sangone, il primo giunto a sottoscrizione ufficiale e sul quale, considerato lo stato di maggiore avanzamento, sono già state elaborate diverse riflessioni critiche4. In Piemonte l’applicazione di questa nuovo metodo di lavoro per la gestione integrata delle acque è passato attraverso quattro esperienze pilota su altrettanti bacini: il Sangone, il Belbo, l’Orba e l’Agogna. I quattro
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Note 1
ANPA, 2000. I.F.F. Indice di Funzionalità Fluviale, Roma. 2 Lausi, D, Pignatti S, Poldini L., 1978. Carta della vegetazione dell’Alto Friuli. Zona colpita dai terremoti del maggio-settembre 1976. CNR,AQ/1/3. Roma.
VAS, programmazione negoziata e il ruolo della Provincia: il caso dei Contratti di Fiume in Piemonte A cura di Carlo Rega e Alessia Toldo – Dipartimento Interateneo di Scienze Progetto e Politiche del Territorio – DIST – Politecnico e Università di Torino. carlo.rega@polito.it Un buon esempio di quale possa essere il ruolo virtuoso e il contributo dell’ente provinciale nella gestione, a scala di area vasta, di risorse scarse e non rinnovabili arriva dal-
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Contratti pilota hanno beneficiato di un sostegno regionale che si è tradotto in un contributo economico espressamente destinato a finanziare le fasi iniziali di preparazione e di partecipazione, ma anche in un supporto di natura metodologico-organizzativa, con l’istituzione di un tavolo tecnico di coordinamento regionale, finalizzato a facilitare e migliorare il coordinamento e il coinvolgimento dei diversi settori provinciali e regionali potenzialmente interessati alle attività del Contratto. Inoltre la Regione si è impegnata nella redazione di Linee Guida5 per la costruzione dei CdF tese a orientare la costruzione di uno scenario conoscitivo e operativo condiviso (costituito da temi, strumenti e conoscenze) nonché a indirizzare i processi di formazione dei Contratti stessi. In altri termini, le Linee Guida sono state pensate per concorrere, insieme alle sperimentazioni dei CdF pilota, a realizzare una strategia regionale in grado di affrontare i problemi legati alla gestione delle risorse idriche in una maniera territorialmente integrata. La Giunta Regionale ha formalmente avviato i Contratti (con deliberazione 44-3480 del 24 luglio 2006) all’interno del programma di attività in materia di risorse idriche per il biennio 2006-2007 e alle quattro esperienze pilota si sono recentemente affiancati nuovi Contratti6, a testimoniare il successo di questo approccio e il forte interesse dei territori per queste pratiche. Per tutte le esperienze, i temi principali riguardano:(i) il miglioramento dello stato ecologico delle acque e il contenimento del rischio idraulico; (ii) la riqualificazione dei sistemi ambientali e paesistici afferenti ai corsi d’acqua; (iii) il coordinamento delle politiche e degli interventi alla scala di bacino; (iv) il rafforzamento della cultura dell’acqua e della partecipazione, attraverso azioni di sensibilizzazione, coinvolgimento e responsabilizzazione della popolazione e degli interessi presenti sul territorio. Come anticipato, l’esperienza del Sangone è, nel panorama regionale, quella che presenta un maggiore grado di avanzamento: dalle
ricerche effettuate, emerge come il ‘successo’ ottenuto, derivi sicuramente dal valore aggiunto di operare su un territorio ‘pronto’, in cui la concertazione e il coinvolgimento degli interessi rappresentano già una prassi consolidata di confronto tra le amministrazioni locali. Si tratta, nello specifico, delle esperienze pregresse promosse sia dalla Provincia (con il progetto “Sangone per tutti”, avviato nel 2001) sia, soprattutto, dal Patto Territoriale, impegnato non solo nelle tradizionali questioni connesse allo sviluppo economico, ma anche sul versante della sostenibilità ambientale e, in particolare, della riqualificazione fluviale. A partire dal 2003, le esperienze promosse dalla Provincia e dal Patto vengono messe a sistema e condivise, anche a livello formale, con la definizione di un primo “Piano di Azione” per la tutela e la riqualificazione del bacino. Sulla scorta di queste prime iniziative di cooperazione, viene avviata un’ulteriore collaborazione fra la Provincia e i comuni del Patto, ampliando il partenariato alla Comunità Montana e al Parco Fluviale del Po – tratto torinese e istituendo un tavolo di concertazione, con la volontà di perseguire obiettivi comuni di sviluppo, tutela e riqualificazione del territorio del bacino. Da qui, all’avvio formale del Contratto di Fiume, che avviene con la sottoscrizione, in data 22 gennaio 2007, del “Protocollo di intesa per dare avvio ad un percorso operativo condiviso per la sottoscrizione del Contratto di Fiume per il Torrente Sangone” tra la Provincia di Torino, l’Ente di Gestione del Parco Fluviale del Po – tratto torinese, la Comunità Montana Val Sangone e ASSOT, il passo è breve. Soprattutto, è facilitato dal fatto che, nello stesso anno, la Regione Piemonte presentava e approvava il proprio Piano di Tutela delle Acque7, introducendo i “Contratti di Fiume” intesi come uno degli strumenti per l’attuazione, alla scala locale, della governance integrata delle risorse idriche. Nei mesi successivi è stata infatti avviata la fase di coinvolgimento dei portatori di interesse locali, attraverso l’organizzazione un workshop di progettazione parteci-
pata e focus group. Il processo di confronto e dialogo con il territorio ha portato alla definizione di un Piano d’Azione che ha individuato tre strategie, cinque obiettivi generali e più di quaranta azioni specifiche. Nel mese di dicembre 2008 si è quindi tenuta la riunione conclusiva per la presentazione del testo dell’Accordo di Programma, con la partecipazione dei soggetti pubblici e privati coinvolti, mentre la firma del Contratto di Fiume è avvenuta nel marzo 2009. La condivisione e la firma del Contratto coincidono con l’avvio della fase di attuazione, che prevede lo sviluppo operativo delle singole azioni del Piano, gerarchizzate secondo il principio che attribuisce priorità temporale agli interventi immediatamente attuabili, anche al fine di ottenere risultati spendibili con la popolazione, nell’ottica di rafforzare il consenso sociale nei confronti del CdF8. La procedura di VAS del CdF è stata avviata su impulso dell’amministrazione regionale (che rappresenta l’Autorità Competente per la VAS in relazione ai CdF) ed è partita dopo la sottoscrizione del Contratto stesso, a valle quindi dei processi di concertazione già in atto sul territorio. Come detto, quella del Sangone rappresenta la prima esperienza pilota in Piemonte, e la procedura di VAS si è quindi inserita in un percorso già maturo: le linee guida (cfr. nota 5) prevedono per gli altri CdF che la VAS sia avviata prima della sottoscrizione del contratto. Dal punto di vista dell’integrazione fra VAS e CdF, emerge come questo strumento, per le caratteristiche sopra descritte, sia già di per sé strutturato secondo l’approccio metodologico e processuale che caratterizza la VAS: in particolare il CdF individua obiettivi di sostenibilità ambientale, prevede una valutazione ex-ante e in itinere delle misure previste, è basato sull’identificazione delle pressioni che incidono sulla qualità del corso d’acqua, individua indicatori di processo e di risultato, e prevede un ampio coinvolgimento partecipativo delle comunità locali, delle istituzioni e dei soggetti con competenze ambientali.
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In tal senso, la fase di scoping è di fatto coincisa con le fasi di attivazione (gennaiomaggio 2007) e di coinvolgimento (marzomaggio 2009) del CdF, che hanno preceduto la fase di attuazione vera e propria. Durante queste fasi, sono stati coinvolti non solo numerosi soggetti competenti in materia ambientale (la Provincia di Torino – Assessorato all’Ambiente, la Regione Piemonte – Direzione Ambiente, l’Autorità di Bacino del Fiume Po, l’Autorità d’Ambito competente, l’ARPA Piemonte, l’Agenzia Interregionale per il Po – AIPO) come previsto dalla normativa, ma anche diversi portatori di interesse (associazioni ambientaliste, università, enti di ricerca, soggetti economici, liberi professionisti). Particolare interesse riveste la fase di coinvolgimento e progettazione partecipata, attuata mediante workshop impostati secondo la metodologia GOPP (Goal Oriented Planning Project), dalla quale sono scaturite le priorità d’azione del CdF. L’organizzazione di 5 focus group tematici9 ha inoltre consentito di integrare il quadro conoscitivo ambientale con apporti diversi e complementari. Da un punto di vista più prettamente valutativo, particolare rilevanza assume la fase di verifica di coerenza interna, dal momento che, come ricordato, il CdF persegue una pluralità di obiettivi – riqualificazione ambientale, diminuzione delle pressioni qualitative e quantitative, fruizione turistica – che potrebbero in parte confliggere. In questo senso il Rapporto Ambientale indica una serie di accorgimenti da seguire in fase di realizzazione di alcuni interventi (bacini di raccolta delle acque piovane, costruzione di piste ciclabili, organizzazione di eventi di sensibilizzazione lungo le sponde del fiume) affinché siano minimizzate le interferenze con gli habitat perifluviali. Il sistema di monitoraggio si articola in indicatori descrittivi o di contesto e in indicatori di processo; la scelta degli indicatori è ricaduta su tre tipologie: indicatori utilizzati nel monitoraggio regionale e quindi facilmente reperibili (indicatori di cui al D.Lgs.
152/2006 e decreti attuativi), su indicatori strettamente connessi alle azioni del Piano, oppure su indicatori di processo finalizzati a verificare lo stato di avanzamento delle singole azioni (es. numero di comuni che hanno effettuato l’individuazione cartografica delle aree demaniali e pubbliche). Lo stesso rapporto ambientale segnala come la natura del CdF imponga un successivo aggiornamento degli indicatori di monitoraggio nel momento in cui alcune azioni di piano siano definite più in dettaglio, a sottolineare la natura processuale e incrementale dello strumento evaluando, che si riflette anche sull’impostazione del monitoraggio. Come già abbiamo anticipato, le riflessioni critiche prodotte da diversi lavori di ricerca sui CdF piemontesi e, in particolare, su quello del Sangone, hanno messo in evidenza la centralità del ruolo e delle competenze dell’ente provinciale tanto nelle fasi di costruzione del Contratto, quanto in quelle di valutazione (il RA è stato redatto internamente dalla Provincia) e di attuazione concreta delle azioni. Una prima valutazione del CdF del Sangone (cfr. nota 2) rivela infatti il grande lavoro di management e di coinvolgimento attivo del territorio realizzato dai funzionari provinciali. È proprio la strutturazione stessa del Contratto, tesa alla definizione di una strategia interistituzionale in cui ad ogni livello di governo corrispondono ruoli e competenze ben definiti, che individua nelle Province gli enti preposti all’elaborazione e alla gestione dei Contratti, in quanto titolari di molte delle funzioni amministrative fondamentali in materia ambientale, fra cui quelle idriche (mentre la Regione si ritaglia un ruolo di pilotage e di definizione delle opzioni politiche di fondo su cui costruire i processi decisionali e la gestione degli stessi e i Comuni svolgono il ruolo di “collettore” di progetti, interessi e iniziative e, contemporaneamente, di raccordo con la Provincia per la definizione delle opzioni strategiche). Questa scelta risulta fortemente coerente anche con la dimensione territoriale del Contratto, rappresentata dal bacino idrografico. Si tratta di
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una dimensione certamente ottimale per la gestione della risorsa idrica, ma che ancora non rappresenta un termine di condivisione degli interessi e di costruzione di identità territoriale: in altri termini il bacino idrografico non costituisce ancora il comune denominatore delle singole realtà che lo compongono e che sovente, come nel caso del Sangone, sono eterogenee e tendono a creare aggregazioni territoriali parziali accomunate da problemi ed esigenze specifiche (legate, per esempio, ai caratteri rispettivamente montani, urbani, agricoli, etc.). L’idea è che la Provincia rappresenti l’ente in grado di tenere insieme la dimensione locale, anche di livello micro dei piccoli e piccolissimi comuni, facendola opportunamente dialogare con la scala più ampia, cioè quella del bacino, prescindendo (come peraltro fanno anche i fiumi!) dai confini amministrativi e realizzando una visione complessiva. Non solo, l’esperienza del Sangone ha inoltre rilevato un atteggiamento generalmente passivo dei comuni coinvolti, sovente anche in ragione della grande onerosità che questi processi comportano per realtà di piccole dimensioni e con poche risorse. A maggior ragione, quindi, il livello provinciale sembra essere quello più idoneo per la gestione e l’attuazione di questi processi, sia per competenze in materia, sia per le capacità e le possibilità di coordinamento orizzontale e verticale. Queste considerazioni valgono, a maggior ragione, anche per i processi di VAS associati ai CdF. Abbiamo evidenziato in precedenza come la natura stessa di tali strumenti ben si integri con gli step procedurali definiti dalla Direttiva e dal D.Lgs. 152/2006: la VAS potrebbe rappresentare un ulteriore valore aggiunto fornendo un apporto sia tecnico – in particolare in riferimento all’individuazione di trade-off, obiettivo confliggenti e individuazione di misure di mitigazione per azioni che interferiscono con gli habitat – sia in termini processuali, sfruttando le “finestre” di consultazione e partecipazione previste dalla normativa per innescare processi di reale coinvolgimento e confronto fra soggetti com-
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Alpe Prà, Parco Nazionale Val Grande. Foto di Tullio Bagnati.
petenti e pubblico. La fase di scoping in particolare, se coincidente ed integrata con quelle di attivazione e coinvolgimento del CdF, potrebbe realmente diventare un momento di definizione e selezione di opzioni davvero strategiche, ed individuare precocemente gli elementi che potrebbero ostacolare la piena attuazione delle azioni di piano. Di nuovo, alla Provincia spetterebbe in questo contesto un importante ruolo di coordinamento, regia ed anche, in una certa misura, di facilitatore e mediatore fra interessi ed obiettivi diversi. A questo proposito rilanciamo, un po’ provocatoriamente, una proposta già emersa in altre sedi di ricerca10, legata proprio ad una delle caratteristiche che rendono il caso piemontese così interessante: la volontà di estendere le modalità di azione previste dai Contratti a tutti i 34 bacini idrografici piemontesi individuati dal PTA, trasformandoli da “progetti pilota” a modalità ordinarie di gestione integrata e partecipata delle risorse idriche. La normalizzazione di pratiche straordinarie è una grande ambizione e riflette il peso, la responsabilità e la serietà delle scelte regionali in materia di governance delle acque, ma comporta – allo stesso tempo – un carico di lavoro imponente per gli enti provinciali. Perché allora non ipotizzare, in futuro e compatibilmente con le risorse disponibili, la creazione di una struttura ad hoc, all’interno della Provincia, espressamente destinata alla gestione e valutazione dei Contratti di Fiume?
Note e riferimenti bibliografici 1
Steyaert P. e Ollivier G. (2007), “The European Water Framework Directive: how ecological assumptions frame technical and social change”, Ecology and Society, 12(1). 2 Carter J.G. (2007), “Spatial planning, water and the Water Framework Directive: insights from theory and practice”, The Geographical Journal, 173(4), pp. 330-342. 3 Per un approfondimento si veda il lavoro presentato dalla Regione Campania al VI Tavolo Nazionale dei Contratti di Fiume, tenutosi a Torino il 3 febbraio 2012 http://www.regione.piemonte.it/programmazione/vetri-
na/media/files/Reg%20Campania_pompeo%20coico.pd Per un approfondimento: Regione Piemonte (2012), I Contratti di Fiume e di Lago in Piemonte politiche per la tutela e il mantenimento della risorsa acqua, Torino. http://www.ires.piemonte.it/component/content/article/ 13-ultimi-volumi-pubblicati/202-contrattofiumelago 5 A partire dal lavoro di ricerca svolto con il Dipartimento Interateneo Territorio – Politecnico e Università di Torino è stato predisposto il documento “Linee Guida regionali per l’attuazione dei Contratti di Fiume e di Lago”, approvato con D.G.R. 16-2610 del 19 settembre 2011. Per un approfondimento si veda: http://www. regione.piemonte.it/acqua/dwd/contratti/LINEE_GUID A_Contratti_Fiume.pdf 6 In particolare sono stati avviati in Provincia di Torino, il Contratto dei Laghi di Avigliana e il Contratto di Fiume della Stura; in Provincia di Biella, il Contratto di Lago di Viverone e in Provincia di Alessandria, i Contratti di Fiume dell’Erro e dello Scrivia. Altre iniziative, seppure con un carattere meno strutturato, si stanno anche mettendo in atto in altri bacini idrografici e, in particolare, nella Provincia di Cuneo. Particolarmente interessante, anche per la problematicità del caso, è l’esperienza interregionale che sta prendendo avvio con il Contratto di Fiume del Torrente Bormida, che coinvolge quattro Province, di cui tre piemontesi (Cuneo, Alessandria e Asti) e una ligure (Savona). Per la valle del Bormida, tristemente nota per l’inquinamento e il grave 4
incidente dello stabilimento chimico dell’Acna di Cengio, il Ministero dell’Ambiente, attraverso un Accordo di Programma siglato nel 2009, ha stanziato fondi per interventi in campo ambientale e di rilancio dell’intero territorio. Una parte di questi sono stati destinati, dalla Regione Piemonte, all’attivazione di un Contratto di Fiume, che muova dalle tante esperienze di concertazione e mobilitazione attive nell’area verso una strategia e un’azione comune per il recupero ambientale e il rilancio del territorio. 7 Approvato con D.C.R. n. 117-10731 del 13/03/2007. 8 Per un approfondimento sulle azioni attuate si veda http://www.provincia.torino.gov.it/ambiente/risorse_id riche/progetti/azioni_sangone 9 1) qualità ambientale del corso d’acqua 2) portata idrica 3) difesa idraulica 4) recupero della qualità ambientale del bacino e 5) promozione integrata di iniziative di fruizione ed eventi di sensibilizzazione). 10 Per approfondimenti si vedano: Governa F., Guerra S. e Toldo A. (2010), Supporto alla gestione dei Contratti di Fiume e stesura delle Linee guida per la loro attuazione, Rapporto finale della ricerca, Regione Piemonte, Dipartimento Interateneo Territorio, Politecnico e Università di Torino, Torino; e Governa F., Toldo A. (2011), “Le Linee Guida dei Contratti di Fiume in Piemonte”, in Bastiani M. (a cura di) (2011), Contratti di fiume. Pianificazione strategica e partecipata dei bacini idrografici, Dario Flaccovio, Palermo, pp. 280-298.
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gestione sostenibile del territorio valutazione e contabilitĂ ambientale dossier monografici strumenti e case history studi e ricerche
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Introduzione Tullio Bagnati
“Parchi: beni e risorse per l’Italia” è stato il tema portante dell’appena concluso VII° Congresso nazionale di Federparchi, tema che già nel titolo declina la questione cruciale del rapporto beni e risorse rispetto lo sviluppo e attualizza il core della missione delle aree protette italiane a vent’anni dalla legge quadro nazionale (L 394/91) e a quaranta dall’istituzione dei primi parchi regionali. Dall’emanazione della legge 394 per le aree protette è stato indubbiamente un grande percorso di crescita, sia quantitativo, con il nostro Paese che è passato dagli ultimi ai primi posti in Europa per superficie tutelata (le 827 aree dell’Elenco ufficiale tutelano quasi l’11% del territorio nazionale), sia come presidio attivo con politiche e interventi che hanno fornito risposte importanti atte a frenare la perdita di biodiversità, attivare progetti sostenibili e innovativi, innescare processi partecipativi utili ad innescare, in aree territoriali spesso marginali, modelli identitari a partire dall’identità medesima di “essere parco”. Un percorso che si è accompagnato e sviluppato (anche se con gravi ritardi nazionali e regionali), sotto il profilo normativo e di orientamento scientifico, con il recepimento delle Direttive Habitat e Uccelli cardini della Rete Natura 2000 e delle relative caratterizzazioni biogeografiche; riferimenti che hanno spostato l’asse di attenzione e di azione di ogni singolo parco a quello di “sistema”, e hanno definito la linea di impegno ed armonizzazione di una struttura funzionale (il parco) con una rete efficiente di correlazioni. Un riferimento di strategia ampia e globale che si è accresciuto, dopo tanti anni di attesa, con l’approvazione, il 7 ottobre 2010 da parte della Conferenza Stato-Regioni, della Strategia Nazionale per la Biodiversità ove alle aree protette viene riconosciuto un “ruolo strategico nella conservazione della biodiversità”. Ma allo stesso tempo non si può nascondere che tale processo evolutivo si sia svolto senza soluzione di continuità, soprattutto nell’ultimo decennio con una perdita di attenzione delle istituzioni statali e regionali verso le
Introduction This is the first part of the dossier parks. Various authors, all directly involved in the management of protected areas, on the one hand provide a framework and the perspective of the state of protected areas, on the other hand analyze widely the paths and the procedural criticalities of a particular set of tools for assessment (SEA, EIA, Habitat Implication Assessment) that play a particular role in decision support in the specific context of protected areas. Parole chiave: gestione delle aree protette, VAS, VIA, Incidenza Key words: protected areas management, SEA, EIA, Habitat Implication Assessment
aree protette, quando non addirittura di aperto impedimento con una riduzione drastica di risorse, riorganizzazioni poco funzionali se non strumentali, disimpegno strisciante rispetto un bene pubblico primario. A fronte di tutto ciò solo la cultura “resiliente” di chi ne ha gestito e gestisce le sorti, mutuata probabilmente inconsciamente dalla natura, ha fatto sì che i parchi non soccombessero. Ne è derivato un doppio piano di azione e attenzione: l’uno più rivolto alla gestione, l’altro attento a fare dei parchi terreno di sperimentazione, “laboratori di futuro” non dimenticando in primo luogo la lezione di Valerio Giacomini che sollecitava a “tentare la coniugazione e non la contrapposizione delle esigenze”, dove preciso intento deve essere quello di porsi “realisticamente sul piano dei rapporti uomo-natura, accettandone le implicite conflittualità come stimoli costruttivi e persino progettuali”.1 L’analisi, la tutela, il progetto e la gestione devono essere fatte a partire dall’interazione indispensabile fra uomo e natura, dai reciproci condizionamenti: e l’istituto del parco sperimenta una sintesi della integrazione tra tutti i possibili interventi. Si apre qui uno dei temi di indagine e di raccolta di esperienze tra i parchi italiani di questo dossier, quello dell’analisi e della valutazione rispetto il concetto di limite che affronta, ad esempio, Franca Zanichelli nel suo contributo sulle analisi appropriate per le procedure di valutazione, in particolare lad-
dove analizza la capacità portante di un territorio ed il concetto di limite allo sviluppo. Ma questa sollecitazione del limite è anche propedeutica alla necessità del fare, e quindi del definire nuove forme di azione e condotta per i parchi che devono muoversi entro un paradigma olistico avendo però chiaro quanto questo non possa essere alibi per supposti primati dell’uomo quale artefice degli equilibri dell’ecosistema. Tema questo che costituirà il filo conduttore della seconda parte del dossier che sarà pubblicata nel prossimo numero di Valutazione Ambientale. Gli articoli di questa parte prima del dossier Parchi, di vari autori tutti direttamente impegnati nel campo della gestione delle aree protette, da una parte offrono un quadro di riferimento e di prospettiva dello stato delle aree protette, dall’altra analizzano in profondità i percorsi e le criticità procedurali ed applicative di un particolare corpus di strumenti di valutazione (VAS, VIA e VI), strumenti che svolgono un particolare ruolo di aiuto alla decisione nello specifico contesto delle aree protette. Della necessità di un sistema nazionale delle aree protette come chiave della sostenibilità locale e qualità della vita dei territori marginali danno conto rispettivamente il contributo di Giuliano Tallone e Pierpaolo Zanchetta l’uno nell’ottica di evoluzione dalla 394 alla Strategia nazionale della Biodiversità, l’altro su un possibile processo partecipato verso
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A pagina 54, Venezia. Foto di Manuela Ghirardi. Cima Pedum (2111 m), Parco Nazionale Val Grande. Foto di Tullio Bagnati.
una green society. Sulla valutazione come problematico processo decisionale si incentra il contributo di Franca Zanichelli che a partire dal concetto di limite e dal “groviglio di desiderata delle parti” legge l’esperienza della VIA e della valutazione di incidenza come cartina di tornasole dei vari processi di contrapposizione e di ruolo nei parchi stessi. Anche la procedura di VAS del piano del Parco Nazionale dell’Alta Murgia si impernia, in un innovativo processo partecipato attraverso “l’officina del piano”, sul nesso decisionale tra i diversi strumenti di governo del territorio, in particolare quello del piano paesaggistico regionale, individuando un particolare percorso di integrazione ed intesa tra
Ente parco e Regione Puglia laddove più aperti e conflittuali sono risultati, in altri ambiti nazionali, gli effetti dell’art.145 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Aprendo però al contempo una considerazione su un “quadro di confusione procedurale” sulla VAS medesima per cui l’assoggettabilità del Piano per il Parco alla VAS e alla valutazione di incidenza “non è fatto scontato”. Anche, infine, il contributo di Andrea Gennai sulla valutazione di incidenza del piano per il parco Nazionale delle Foreste Casentinesi affronta i termini di incertezza, indeterminatezza e contraddittorietà di norme quali quelle di integrazione del DPR 357/1997 di recepimento delle Direttive Habitat ed Uccelli con la legge quadro 394/91.
Indubbiamente l’esperienza maturata nelle aree protette, specificatamente sui temi della valutazione e sulle molte incongruenze procedurali e di finalità, costituisce un importante patrimonio utile anche al legislatore che volesse intervenire fattivamente sui vari combinati disposti normativi. Note 1
Valerio Giacomini, Valerio Romani “Uomini e parchi”, Franco Angeli, V Edizione, 1992, pag. 39.
Tullio Bagnati Parco Nazionale Val Grande, direttore Consiglio Direttivo AAA direttore@parcovalgrande.it
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Evoluzione di contesto delle aree protette in Italia: dalla legge quadro 394/91 a Natura 2000, alla Strategia nazionale sulla Biodiversità Giuliano Tallone
Inquadramento normativo I riferimenti originali della normativa in materia di conservazione della natura risalgono nei primordi alla fine dell’Ottocento (Piccioni, 1999) e più recentemente a iniziative internazionali come la Convenzione di Parigi 1950 sulla protezione degli uccelli. Alla fine degli anni settanta si sviluppa, a seguito dell’impulso dato dalla Conferenza di Stoccolma del 1972, una notevole normativa internazionale in materia di ambiente e di conservazione della natura. Vanno richiamati la Convenzione di Ramsar sulla conservazione delle zone umide, la Convenzione di Washington, la Convenzione di Berna su protezione specie fauna e flora e la Convenzione di Bonn sulle specie migratrici e successivi accordi attuativi come l’importante AEWA sugli uccelli migratori tra Africa ed Europa. Da queste due ultime prendono le mosse la Direttiva Europea Uccelli Selvatici 409/79/CEE e la Direttiva Europea Habitat 42/93/CEE. Un elemento cardine è la Convenzione di Rio de Janeiro sulla Diversità Biologica del 1992, attuata attraverso il suo Protocollo di Nagoya del 2010, e con il PoW (Programme of Work) on Protected Areas. La Direttiva Habitat è stata attuata con il DPR 8 settembre 1997, n. 357 e DPR 12 marzo 2003, n. 120. In particolare per la gestione delle Zone di Protezione Speciale e delle Zone Speciali di Conservazione è stato emanato il D.M. 17-10-2007 “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)”. La materia è ordinata dai principi della Costituzione, in particolare art. 8 e 32 e Titolo V (ripartizione di competenze tra Stato e Regioni), nonché dalla legge quadro sulle aree naturali protette n. 394/91 e successive modifiche (in particolare la L. 426/98). Rilevante per alcuni aspetti è anche la legge 11 febbraio 1992 n. 157 (legge sulla protezione della fauna selvatica omeoterma e sulla caccia), che recepisce le convenzioni di Parigi e di Berna.
Context evolution of protected areas in Italy: from the framework law n. 394/91 to Natura 2000, and to National Biodiversity Strategy Protected areas in Italy are a complex system in evolution. In last 20 years their number increased from few hundred to more than 1.000. International references are conventions on biodiversity, developed from the ‘70s, and European directives “Wild birds” and “Habitat”. In 2010 Italian Government approved a National Biodiversity Strategy, at the moment very few implemented. The paper underline some guidelines – developed by environmental NGOs, staff park groups and national scientific associations – addressed to a whole implementation of the strategy on national level, including a National Taxonomic Initiative and a national agency for protected areas. Parole chiave: biodiversità, aree protette, strategie, Natura 2000 Key words: biodiversity, protected areas, strategies, Natura 2000
Quadro attuale La questione della conservazione della biodiversità, la distruzione delle foreste tropicali e la lotta alle dinamiche socioeconomiche che causano tali rischi sono un rischio peggiore del cambiamento del clima. Se esso, infatti, è teoricamente reversibile in quanto fenomeno fisico, l’estinzione richiederà processi che riguardano scale temporali di migliaia o decine di migliaia di anni. Siamo nell’Era della Sesta Estinzione globale. Inoltre, i due fenomeni sono reciprocamente e intrinsecamente connessi: il cambiamento del clima è già stimato essere la prima causa di estinzione di specie e di modificazione di ecosistemi, mentre le estinzioni e le conseguenti perturbazioni degli ecosistemi e dei conseguenti servizi ecosistemici contribuiscono all’instabilità del clima. La perdita di biodiversità è quindi il secondo grande problema globale dopo i cambiamenti climatici. L’importanza della biodiversità anche dal punto di vista economico è stata sottolineata da uno studio promosso dall’Unione Europea dal titolo TEEB – The Economics of Ecosistems and Biodiversity – il “Rapporto Stern” della Biodiversità. La tutela della biodiversità è essenziale anche dal punto di vista economico, essendo le risorse che ne provengono centrali per campi della produzione come l’agricoltura e l’industria farmaceutica, il turismo destagionalizzato di quali-
tà legato alla salvaguardia dei territori e del paesaggio, che può essere al centro delle politiche economiche del nostro Paese. Ma la biodiversità è anche al centro dei servizi ecosistemici come la depurazione dell’aria e dell’acqua, la produzione di ossigeno e il sequestro di carbonio, fonti alimentari e energetiche. L’UE sta assumendo sempre di più nel mondo un ruolo di leadership sui temi della biodiversità, anche visto l’insuccesso del mancato raggiungimento degli Obiettivi del 2010, Anno Internazionale della Biodiversità. In un panorama nel quale l’aggressione al territorio e alle risorse naturali è sempre più grande diventa sempre più importante la salvaguardia del patrimonio naturale esistente che oggi non è più legata solo all’approccio dell’ambientalismo classico, con una visione solo protezionistica ma è diventata anche il centro di un progetto che porta a farne oltre che uno strumento di conservazione anche un volano di sviluppo socio-economico. Questo è il nuovo progetto delle aree protette, in Italia, in Europa e su scala planetaria, che vedrà un confronto programmatico di ampio respiro nel prossimo World Parks Congress del 2014, a più di dieci anni dal precedente.
La Strategia Nazionale per la Biodiversità Il 15 marzo 2010 il Consiglio Europeo ha adottato conclusioni che stabiliscono un
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Riserva Integrale del Pedum, Parco Nazionale Val Grande. Foto di Tullio Bagnati.
nuovo obiettivo dell’Unione Europea per arrestare la perdita di biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici entro il 2020, anche a livello mondiale. Si delinea la visione dell’Unione Europea e si chiede una maggiore integrazione nelle politiche e strategie trasversali dell’UE. Nell’ottobre 2010 si è svolta a Nagoya, Giappone, la X Conferenza delle Parti della CBD (COP-10), nel quale l’’Italia si è comportata in modo contraddittorio, da un lato presentando una Strategia Nazionale per la Biodiversità, e dall’altro con un atteggiamento di contrasto alle proposte dell’UE. La stesura della Strategia, che si rifà alla «Carta di Siracusa per la Biodiversità» promossa dall’Italia e sottoscritta al G8 Ambiente del 2009, è stata realizzata nel corso del 2010 con un percorso di partecipazione e condivisione fra i diversi attori istituzionali, sociali ed economici interessati. Il Ministero dell’Ambiente ha presentato il 13 aprile 2010 una prima bozza della Strategia Nazionale per la Biodiversità. Quindi ha previsto l’organizzazione di tre Workshop territoriali, un incontro dedicato al coinvolgimento delle aree naturali protette e la stessa Conferenza
Nazionale per la Biodiversità. I Workshop hanno costituito delle occasioni di incontro e confronto tecnico-scientifico e si sono tenuti al nord (Padova – 6 maggio 2010), al centro (Firenze – 29 aprile 2010), al sud Italia (Napoli – 13 maggio 2010). Il Parco Nazionale del Circeo (Sabaudia – 11 maggio 2010) ha ospitato l’incontro dedicato alla raccolta dei contributi delle aree naturali protette alla definizione della Strategia Nazionale. Risultato è stato quello di elaborare una visione comune e raccogliere le osservazioni sulle 13 aree di lavoro tematiche, al fine di definire anche gli obiettivi prioritari. La Conferenza Nazionale sulla Biodiversità si è tenuta dal 20 al 22 maggio 2010 a Roma presso l’Università Sapienza. L’evento è stato articolato in tavole rotonde, tavoli tematici e sedute plenarie e in una cerimonia alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, nella giornata conclusiva, nel corso della quale è stata annunciata l’intenzione di elaborare una legge quadro che, partendo proprio dalla tutela generale della biodiversità, ridefinisca anche il sistema delle ree protette. Tale intenzione è poi rimasta tale per le note vicen-
de politiche del nostro paese. La Strategia (MATTM, 2010) è stata approvata dalla Conferenza Permanente Stato-Regioni nella seduta del 7 ottobre 2010 (Repertorio n. 181/CSR). La Strategia individua un sistema di governance che viene definita con un approccio multidisciplinare ed una forte condivisione tra le amministrazioni centrali e regionali. La Conferenza Stato-Regioni è la sede di discussione e decisione politica in merito alla Strategia. Vengono istituiti un “Comitato paritetico”, composto da rappresentanti delle amministrazioni centrali e locali, e un Osservatorio Nazionale sulla Biodiversità, che dovrebbe fornire il necessario supporto tecnico scientifico, nonché un Tavolo di consultazione con rappresentanti delle principali associazioni delle categorie economiche e produttive, ambientaliste e sociali. Ad oggi tale complessa architettura è stata attuata solo in parte, e la sua articolazione e funzionamento sono tali che per il momento essa non sembra in grado – a distanza di due anni dall’approvazione della Strategia – di imprimere quell’indispensabile impulso alle politiche nazionali che è richiesto dall’aggravarsi dei problemi di conservazione delle risorse naturali ed in particolare delle specie e degli ecosistemi che si osserva in tutto il pianeta. In particolare si è previsto che gli strumenti operativi a supporto della strategia siano soprattutto due progetti chiamati “Sistema Ambiente 2010” e “Network Nazionale della Biodiversità, di rilevante costo, sostanzialmente progetti di realizzazione di una infrastrutturazione di rete informatica nazionale e banche dati, che per la loro macchinosità e per la mancanza di sviluppo di progetti partecipativi nella loro elaborazione non sembrano all’altezza del fondamentale ruolo che ad essi sarebbe assegnato.
La scarsa attuazione della Strategia e possibili proposte strategiche per un sistema nazionale sulla biodiversità Alla luce dei ritardi, se non della sostanziale complessiva mancanza di attuazione, della
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Strategia Nazionale per la Biodiversità, è necessario ribadire che per una efficace ed efficiente politica nazionale ed internazionale di conservazione delle risorse genetiche a livello genetico, specifico ed ecosistemico è indispensabile una assunzione di responsabilità del sistema politico, scientifico ed economico nazionale che si rifletta in concrete ed incisive azioni su una scala di impegno che è totalmente diversa da quella attuale. Tali proposte sono state ripetute sistematicamente in tutte le sedi istituzionali, scientifiche e politiche nelle quali però finora si è preferito una linea di azione (o di non-azione) rassicurante, basata sull’apparenza e non sulle scelte concrete. Un quadro logico-strategico di queste proposte è stato anche descritto in un precedente volume (Tallone, 2007), e presentato tra l’altro come serie di osservazioni durante il percorso partecipativo per l’elaborazione della Strategia Nazionale (LIPU – BirdLife Italia, 2010). Nel corso della Conferenza lo schema di tali proposte, condiviso con le associazioni ambientaliste e con le principali associazioni scientifiche nazionali (SBI, UZI, SIE, ecc…) si è tradotto in un documento finale (AA.VV., 2010) indirizzato al Ministro con la richiesta di una serie di impegni concreti, anche di ordine finanziario, per la attuazione della Strategia e delle conclusioni della Conferenza nazionale: ad oggi questi impegni (complice anche il cambio di governo e la corrente congiuntura economica) sono quasi completamente inattuati. Possiamo comunque ribadire alcune azioni strategiche che potrebbero realmente sostenere un cambio di marcia nelle politiche nazionali in questo settore, che ben lungi dal rappresentare un libro dei sogni potrebbe costruire un ruolo centrale del nostro paese in ambito internazionale creando una leadership sulla filiera ricerca-industria-agricolturaterritorio. La ricerca sulla biodiversità, anche quella di base, produce ricchezza attraverso nuove conoscenze applicabili nell’agricoltura e nell’industria, per la salute umana in medicina, per la gestione del territorio. Nuovi brevetti, nuovi prodotti possono emergere da
attività indirizzate a conoscere meglio le specie, gli ecosistemi, le dinamiche dei servizi ecologici e i rapporti tra biodiversità e cambiamenti climatici. La ricerca in Italia è ferma, e i nostri giovani ricercatori vanno all’estero. Nell’ambito di un più ampio programma indirizzato a raggiungere il valore di almeno il 2% del PIL investito in ricerca, come succede in tutte le grandi potenze occidentali, si auspica quanto segue.
Industriale sulla biodiversità, ad esempio nell’area Laziale, basato sulla presenza dei grandi enti di ricerca nazionali in questo settore (ENEA, CNR), della FAO e di Bioversity (ex IPGRI) a Maccarese, che diventi un polo di attrazione per la ricerca anche internazionale in questo campo.
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1. Realizzare un programma straordinario di per investire nelle capacità e nelle esperienze L’Italia forma molti specialisti in materia di biodiversità (Laureati, Master, Dottori di Ricerca), spendendo somme ingenti nel sistema universitario, che poi vanno all’estero per lavorare, o si occupano di altro. Un programma straordinario di ricerca dovrà creare all’attuale generazione di esperti occasioni di lavoro nel nostro paese, rilanciare il settore che vive una profonda crisi per i tagli alla spesa pubblica, avviare un ciclo virtuoso nella filiera ricerca di base-ricerca applicatasettori dell’economia e della gestione del territorio, che permetta di creare economia ed ulteriori occasioni di occupazione.
5. Orientare la politica estera italiana verso una leadership sulla conservazione della biodiversità e sul contrasto ai cambiamenti climatici Obiettivo generale sarà la creazione di una leadership italiana, sulla scala di Unione Europea – che dovrà essere il principale referente ed attore per le politiche internazionali del paese – e mondiale, nel campo della tutela della biodiversità e delle risorse ambientali, associate alla qualità della vita delle persone.
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2. Iniziativa Tassonomica Nazionale Una Iniziativa Tassonomica Nazionale, per ricerche sulle specie animali e vegetali in Italia e nel mondo, sul modello della Global Taxonomy Initiative e degli analoghi progetti ad esempio negli USA. 3. Centro nazionale di eccellenza sulla ricerca applicata alla biodiversità La creazione di un Centro Nazionale di Eccellenza sulla ricerca applicata alla biodiversità, con una struttura agile ma di qualità internazionale, che trasferisca le conoscenze della ricerca alla gestione e conservazione della biodiversità e delle aree protette. 4. Distretto di Ricerca ed Industriale sulla biodiversità La creazione di un Distretto di Ricerca ed
6. Agenzia nazionale per le aree protette La realizzazione di un sistema nazionale delle aree protette è la chiave centrale per la sostenibilità locale e la qualità della vita dei territori decentrati e montani. È necessario passare da una politica “conservativa” e di tagli alle aree protette, ad un grande rilancio anche di investimento strutturale creando le condizioni finanziarie, organizzative, politiche e culturali per riportare l’Italia al centro delle politiche sulle aree protette su scala globale, anche in vista del prossimo Convegno Mondiale sui Parchi del 2013. Passaggio strategico è la creazione di una Agenzia Nazionale per le Aree Protette, già più volte proposta negli anni scorsi in particolare dall’AIDAP – l’Associazione Italiana Direttori Aree Protette –, con compiti di messa in rete dell’esistente, stimolo alle politiche nazionali e regionali, creazione e crescita di competenze con programmi di formazione continua, creazione di trasferimento tecnologico dalla ricerca alle aree protette, integrazione con le altre politiche nazionali (agricoltura, trasporti, infrastruttura, ricerca), coordinamento di progetti strategici nazionali per lo sviluppo del turismo, dell’agricoltura sostenibile, dell’educa-
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zione ambientale e della ricerca nelle aree protette. Si tratta di realizzare un “think tank” snello ed efficace di elevata qualità e bassa burocratizzazione, con funzioni di rete. Un esempio positivo di buona pratica (purtroppo ora in seria crisi) è l’Agenzia Regionale Parchi della Regione Lazio. Le strutture centrali ministeriali dovranno continuare a garantire l’indirizzo ed il controllo più strettamente amministrativo e finanziario sugli Enti Parco.
sa Conferenza Nazionale sulla Biodiversità. Ad oggi l’unica norma quadro in materia di conservazione della biodiversità è la legge n. 394/91 sulle aree naturali protette, che nei suoi articoli iniziali statuisce alcuni principi generali e recepisce alcune normative internazionali. Ma le modifiche proposte alla legge 394 – di cui si dirà più avanti – vanno in direzioni molto diverse da quella qui accennata.
7. Formazione continua per il personale delle aree protette Tra gli altri temi, indispensabile è attivare una formazione continua per il personale delle aree protette, ed integrare il personale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del Mare con quello delle aree protette nazionali.
La legge n. 394 del 1991: una retrospettiva sul ruolo della LIPU nel suo sviluppo
8. Trasferimento del CFS al Ministero Ambiente In quest’ambito, ed anche al fine di rafforzarne le funzioni di polizia ambientale nazionale a 360°, è da realizzare il trasferimento del CFS al Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio del Mare e riorganizzazione delle sue funzioni, separando quelle gestionali (che andranno integrate con quelle del sistema dei parchi nazionali) da quelle di sorveglianza. 9. Sviluppare una conoscenza e una sensibilità sul problema della crisi della biodiversità nell’educazione scolastica, nella comunicazione televisiva e giornalistica Si richiede un grande investimento anche nel sviluppare una conoscenza e una sensibilità sul problema della crisi della biodiversità nell’educazione scolastica, nella comunicazione televisiva e giornalistica. 10. Una legge quadro in materia di biodiversità Un quadro programmatico così articolato meriterebbe una revisione del quadro normativo con la presentazione di un testo di legge specifico che organizzi indirizzi, politiche e strumenti, come auspicato dalle conclusioni della stes-
Le vicende storiche dei parchi italiani risalgono all’inizio del secolo scorso (Silvestri, 2004). La LIPU alla fine degli anni ‘80 ed inizio degli anni ‘90, sotto la direzione di Marco Lambertini e con l’attività in particolare del sottoscritto che era responsabile aree protette dell’associazione, partecipò attivamente all’iter di costruzione della legge 394/91, fornendo un contributo di merito ai temi della legge soprattutto per quanto riguarda le questioni della gestione della fauna e delle strategie di conservazione della biodiversità (termine che proprio in quegli anni si iniziava ad utilizzare) in una visione di sistema. L’associazione tra l’altro fu uno dei protagonisti del tavolo interassociativo che diede un impulso sostanziale all’ultima fase di discussione della legge, nel 1990-91, portando in quella sede la propria esperienza di gestione diretta di aree protette – all’interno del sistema delle Oasi LIPU già molto articolato all’epoca, ma anche nei consigli direttivi dei parchi regionali e delle riserve naturali – e quella della rete di BirdLife International. Il lavoro dell’associazione nell’ambito del progetto europeo (e poi divenuto mondiale) per l’individuazione delle IBA (Important Bird Areas) fu il fondamento di tale contributo: i dati del progetto furono ampiamente usati a supporto della designazione di diversi dei nuovi parchi nazionali istituiti con la legge 394/91. L’associazione partecipò alla campagna nazionale di pressione in favore dell’approvazione della
legge quadro, insieme ad altre associazioni ambientaliste come Legambiente e WWF. In tale ambito partecipò a numerosi convegni nelle aree di reperimento dei nuovi parchi nazionali, con i quali si cercava di sensibilizzare e coinvolgere le popolazioni locali nelle scelte in corso in quel momento da parte del Parlamento. Tra gli altri sul Gennargentu, Pollino, Arcipelago Toscano (nel quale la LIPU aveva condotto una battaglia storica per la protezione dell’Isola di Capraia vista la sua importanza per il Gabbiano Corso – specie allora considerata minacciata a livello globale), Gargano. La LIPU partecipò anche con attività di supporto parlamentare alla stesura di emendamenti e proposte per la nascente legge quadro, in particolare per gli aspetti di conservazione della fauna e in riferimento ad alcuni dei parchi nazionali in discussione. Proprio grazie a tale attività ebbe la possibilità di inserire il proprio esperto che aveva seguito l’attività dell’associazione in favore dell’approvazione della legge (chi scrive), nella prima Segreteria Tecnica delle Aree Naturali Protette prevista dalla legge quadro. La partecipazione dei responsabili parchi delle associazioni ambientaliste nella Segreteria Tecnica era intesa, anche nella volontà dell’Ing. Bruno Agricola – allora Direttore del Servizio Conservazione Natura del Ministero (recentemente e prematuramente scomparso) –, non solo come un supporto che beneficiasse della complessiva esperienza di queste ultime, ma anche come una catena di trasmissione per attivare una positiva sinergia tra le iniziative del mondo associativo e l’organizzazione pubblica. Con il senno di poi si può dire che questa intuizione è stata probabilmente uno dei maggiori motivi di successo dell’attuazione successiva della 394/91. Nell’ambito della Segreteria Tecnica il contributo della LIPU fu soprattutto indirizzato all’inquadramento del sistema nelle politiche internazionali, ed in particolare alla coesione tra politiche delle aree protette e delle normative europee sulla conservazione della biodiversità. Proprio nello stesso periodo era in discussione a livello comunitario la diretti-
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Rio Vallerossa, Parco Nazionale Val Grande. Foto di Tullio Bagnati.
va Habitat, e il coordinamento con la nascente Rete Natura 2000 era ancora da venire, ma la LIPU era tra le associazioni quella più in connessione con le politiche comunitarie grazie alla propria partecipazione all’ICBP. La LIPU nell’ambito della Segreteria Tecnica contribuì anche alla definizione del Primo Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette (Coordinato da Nino Martino del WWF), e soprattutto all’elaborazione dei decreti istitutivi di due dei nuovi parchi nazionali, il Gargano, che effettivamente vide la luce, e il Parco Interregionale/Nazionale del Delta del Po, che invece fu uno degli insuccessi della legge quadro per l’opposizione delle realtà locali. La LIPU comunque lavorò molto per quest’ultima situazione, anche perché partecipò alla Commissione Paritetica per il Parco, che lavorò dal 1993 al 1995. In quest’ambito la LIPU sviluppò anche un importante progetto LIFE, parallelo ad analoghe iniziative di Legambiente e WWF per i parchi dell’Appennino, che sviluppò azioni di supporto soprattutto in termini di elaborazioni tecniche (il “Master Plan” del costituendo parco) e di comunicazione e partecipazione della realtà locale. Nella prima fase di vita della legge quadro l’associazione contribuì in modo decisivo anche alla gestione dei parchi nazionali dell’Arcipelago Toscano e della Val Grande, nei cui consigli entrarono in rappresentanza dell’associazione e delle altre associazioni ambientaliste proprio Marco Lambertini e il sottoscritto, che del Parco Nazionale della Val Grande fu anche primo direttore. Oggi anche un altro Consigliere Nazionale della LIPU, Rino Esposito, è diventato Direttore di un parco nazionale, il Parco Nazionale del Vesuvio. La presenza di rappresentanti della LIPU in questi venti anni ha riguardato anche altri consigli direttivi di diversi parchi nazionali (nell’ultima tornata di nomine sempre il PN Arcipelago Toscano, Il PN dello Stelvio e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise), ma l’esperienza e il contributo dell’associazione al sistema pubblico della gestione delle aree protette si sono sviluppati anche con la gestione diretta di riserve naturali regionali in
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Sicilia, e in convenzione di numerose altre aree protette, o aree e servizi di esse, in tutta Italia nell’ambito del sistema delle Oasi LIPU.
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Alcuni spunti per la valutazione del sistema e dell’efficacia della legge 394/91 dalla Relazione della Corte dei Conti sui Parchi Nazionali Nella valutazione del sistema dei parchi a livello nazionale spesso si tende ad utilizzare chiavi di lettura più strettamente e genericamente “politiche”, sottovalutando gli strumenti tecnici sul piano amministrativo e scientifico che dovrebbero essere i veri criteri guida per esaminare l’efficacia e l’efficienza dell’attività. Recentemente la Corte dei Conti – Sezione del Controllo sugli Enti, Relatore il Presidente di Sezione dott.ssa Enrica Laterza ha prodotto la propria periodica relazione alle Presidenze delle due camere del Parlamento sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di sei Enti Parco
Nazionali per il periodo 2006-2009 (Corte Conti, 2011). Queste relazioni non sono soltanto un dovuto controllo amministrativo, ma rappresentano una autorevole valutazione della gestione del sistema dei parchi nazionali nel suo complesso. Una analisi dettagliata delle indicazioni della Corte quindi rappresenta una significativa occasione di riflessione sull’andamento della reale attuazione della Legge n. 394 del 6 dicembre 1991, a vent’anni dalla sua adozione. La precedente valutazione (concernente gli esercizi finanziari 2002-2005) era stata resa con determinazione n. 98 del 2008 (Atti Parlamentari, XVI Legislatura, Doc. XV n. 60). L’esame delle gestioni dei parchi nazionali da parte della Corte avviene sulla base dei conti consuntivi (Rendiconti) dei singoli enti, e su informazioni richieste al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. La Corte sottolinea che gli enti parco nazionali sono “organismi pubblici dotati di amplissimi poteri, pianificatori ed amministrativi, sovraordinati a quelli degli enti terri-
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toriali […]. Basti pensare alla rilevanza attribuita al Piano per il parco, documento di pianificazione dell’area protetta adottato dall’ente […] ed ancora alla rilevante funzione di prevenzione degli abusi attribuita alla competenza dell’ente parco dall’art. 13” sul nulla-osta. La Corte si sofferma sulla situazione del Parco Nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu, sottolineando l’opposizione degli enti locali alla sua istituzione e alla applicazione delle misure di salvaguardia, richiamando l’ordinanza del 6.7.2006 della Corte Costituzionale che restituiva gli atti al TAR sull’impugnativa del decreto istitutivo del Parco, e la sentenza del TAR della Sardegna del 13.2.2008 che dichiarava improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, e sottolineando che non risultano successive iniziative per procedere all’intesa con la Regione Sardegna e al consenso degli enti locali interessati ai fini della delimitazione del Parco. Riconoscendo i meriti storici della 394 si dice che essa “non è stata ancora sottoposta a revisione, pur essendo emersi diversi profili di criticità nel corso della sua ormai quasi ventennale applicazione”. Viene richiamata la delega di cui alla L. 15.12.2004, n. 308, che prevedeva nella riorganizzazione ed integrazione della legislazione in materia ambientale “le discipline relative alla ‘gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna”, settori pur ricompresi tra quelli per i quali la delega legislativa era stata conferita” ma che, come sottolineano i giudici “non hanno trovato ingresso” nel D.Lgs. 3.4.2006, n. 152. La Corte segnala i punti critici della legge ad esempio nella “mancata previsione di modelli organizzativi differenziati in relazione alla dimensione territoriale e demografica, in quanto l’archetipo dell’ente pubblico disegnato dalla legge quadro, con tutta la complessità della sua organizzazione, si applica sia ai parchi comprendenti decine di comuni che a quelli costituiti da un solo comune (ad es. Maddalena e Asinara)”.
La relazione segnala come ulteriore punto critico quello delle procedure previste per la adozione degli atti di pianificazione del territorio e delle attività, in particolare del Piano per il parco, “articolate in molteplici passaggi e momenti di concertazione tra vari soggetti istituzionali coinvolti, si sono dimostrate molto lente nella fase di attuazione”. La Corte richiama poi una serie di normative che concretamente sono state prodotte negli ultimi anni e che attengono ad una serie di aspetti della gestione amministrativa degli enti parco nazionali: cinque diversi articoli o commi di leggi finanziarie o di organizzazione generale, che hanno inciso su piante organiche, meccanismi di finanziamento, ed organizzazione. Se esaminiamo l’andamento di queste norme, pare evidente che nella fase 20062008 (Governo Prodi, Ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio), pur in un momento di contrazione generale della spesa pubblica per rispondere alle generali e condivise finalità di risanamento dei conti dello Stato, per le aree protette c’è stata una significativa attenzione che ha comportato l’esclusione degli enti gestori dalle limitazioni alla spesa complessiva delle pubbliche amministrazioni, esclusioni dai limiti di prelievo dai conti di tesoreria, esclusioni dalla rideterminazione delle piante organiche di questi enti – di piccole dimensioni e poco incidenti sulla spesa pubblica – ed addirittura di integrazione delle piante organiche (Finanziaria 2008), nella misura di 120 unità, anche in deroga alla normativa vigente. Nel periodo successivo 2008-2011 (Governo Berlusconi, Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo), si è comunque intervenuti per permettere il funzionamento degli enti, ma in una logica “difensiva” da tagli già inseriti in norme come a esempio il “Taglia Enti” (D.L. 25.6.2008, n. 112, art. 26) o il taglio del 50% dei finanziamenti previsto dal D.L. 78/10, per i quali solo un intervento correttivo successivo incisivamente voluto dal Ministro Prestigiacomo, contro posizioni opposte presenti nel Governo, ha impedito che la crisi dei parchi diventasse definitiva e strutturale.
La relazione della Corte dei Conti si sofferma poi sulle norme vigenti per gli Organi dell’Ente Parco ed in particolare sulla loro durata e sulle indennità applicabili (ma la relazione non è aggiornata al recente “dibattito interministeriale” sulla vigenza o meno delle previsioni del D.L. 78/2010 in materia di taglio totale dell’indennità degli organi collegiali anche ai nostri enti). Il secondo capitolo della relazione – di interesse generale – riguarda gli strumenti di programmazione, ed in particolare del Piano del Parco, del Regolamento e del Piano Pluriennale Economico e Sociale per le attività sostenibili. La Corte rileva come “gli atti di programmazione introdotti dalla legge quadro si presentano con un forte grado di complessità anche sul piano dei contenuti. Ciò vale in particolare per il Piano per il parco, per la rilevanza degli interessi da perseguire”. E quindi “sono queste, presumibilmente, le ragioni per le quali si è verificata in concreto una eccessiva dilatazione delle varie fasi in cui si articola il procedimento delineato dal legislatore per l’adozione del Piano per il parco”. Al 2.3.2011 risultano approvati dalle Regioni, e quindi definitivamente in vigore, soltanto i piani di otto parchi. Per due il Piano è stato adottato dalla Regione, per otto il Piano è stato approvato dal Consiglio Direttivo ed è all’esame, spesso da lungo tempo, delle Regioni competenti. Su questo punto la Corte bacchetta pesantemente le Regioni. Questo richiamo non può non passare inosservato.
Conclusioni A vent’anni da quel 6 dicembre del 1991 nel quale fu approvata la legge quadro sulle aree protette n. 394 non mi sottraggo dal dare un contributo al dibattito in corso sullo stato delle aree protette italiane. La discussione in corso sulla modifica della 394 in questo periodo di crisi generale, non solo per le aree protette, permette di ragionare più in generale con una visione strategica per garantire un
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futuro alle politiche di conservazione nel nostro Paese, delle quali i parchi sono l’elemento cardine. La situazione gestionale attuale dei parchi nazionali dal punto di vista delle risorse è composta di tre elementi sostanziali: • un blocco totale delle assunzioni, che al momento è previsto fino al 2013; • la epocale “messa in sicurezza” dei fondi per il funzionamento ordinario su capitoli di spesa obbligatoria ottenuta dal Ministro Prestigiacomo e dal neo Direttore Generale del DPN Renato Grimaldi; tali fondi quindi non saranno sottoposti annualmente al decreto di riparto, ma solo ad eventuali ulteriori limitazioni della spesa pubblica che con l’ultima finanziaria escono dalla logica dei “tagli lineari” e dovranno essere oggetto di un successivo sforzo di decisione delle priorità da parte del titolare del dicastero; • la discussione sul trasferimento delle Riserve Naturali dello Stato – e dei relativi beni appartenenti al Demanio dello Stato – agli Enti Parco Nazionale, sulla base di una complessa trattativa in corso con il Corpo Forestale dello Stato e l’Agenzia del Demanio. La logica dei tagli lineari ha ridotto i bilanci alle sole spese per il personale e obbligatorie. Solo l’impegno del Ministero dell’Ambiente ha garantito che queste spese basali fossero garantite. E poi il personale: in tre anni le dotazioni organiche sono state ridotte del 30%. A questo punto diversi parchi stanno mettendo in mobilità i dipendenti (che con le nuove norme può voler dire arrivare al licenziamento). Inoltre non è più concretamente possibile attivare nessuna consulenza che possa supportare l’attività delle strutture. Per la prima volta il personale dei parchi nei mesi scorsi è sceso in piazza per protestare. Una proposta di legge è in corso di discussione al Senato, inizialmente pensata per le sole aree protette marine e poi estesa a diventare una vera e propria mini-riforma della legge 6 dicembre 1991 n. 394 sulle aree protette. La proposta prevede di sposta-
re la rappresentanza nei Consigli Direttivi sul livello locale piuttosto che, come ora, su un bilanciamento delle istanze locali con quelle nazionali del mondo scientifico, ambientalista e dei ministeri. Prevede inoltre la scelta del Direttore sul livello politico (scelta diretta da parte del Presidente), al di fuori di logiche di professionalizzazione e in totale controtendenza con quello che succede nelle altre amministrazioni. Un’altra ipotesi è cercare di rafforzare l’autofinanziamento degli Enti, con entrate da prospezioni petrolifere, impianti di biomasse, centrali idroelettriche, attività di escavazione. Come scrive il Direttore del Parco Nazionale della Majella, Nicola Cimini, “appare non solo inopportuno collegare le entrate del parco ad attività che con i parchi e con le finalità che perseguono risultano in contrasto, ma anche controproducente, in quanto potrebbe rappresentare un incentivo a tali attività”. Sottoscrivo pienamente. Ben più serio, anche se più difficile, sarebbe stato cercare di rafforzare la capacità degli enti di generare entrate dalle proprie attività, come la gestione dei beni demaniali nei parchi o i servizi per i visitatori, come avviene nei parchi americani ed europei. Un altro punto della proposta tocca la gestione faunistica, aprendo ampi spazi per attività di controllo che somigliano molto ad attività venatoria. Infine la norma prevede un “riconoscimento” di Federparchi nelle sedi istituzionali, e non a caso in quanto Federparchi è uno dei maggiori sponsor “bipartisan”, con il Sen. D’Ali e il Sen. Orsi del centrodestra e i Sen. Ferrante e Della Seta del centrosinistra, di questa modifica di legge. Insomma questa proposta piuttosto che intervenire in positivo sui nodi problematici delle attuali gestioni (burocratizzazione delle procedure, mancanza di risorse e di personale, di strumenti normativi e operativi per la gestione, di coordinamento centrale per i parchi nazionali), preferisce forzare gli aspetti che garantiscono un controllo politico locale dei parchi. Una parte rilevante della realtà che gravita intorno alle aree protette, composto da buona parte delle associazioni ambientaliste (WWF, LIPU, Italia
Nostra, FAI, ed altre) e dei dipendenti dei parchi (AIDAP – direttori, AIGAP – guardaparco, Associazione 394 e AIGAE – guide dei parchi), si oppone a questo disegno. Si cerca invece di lavorare per una visione moderna delle aree protette, che dialoghi con le realtà locali attraverso forti processi di partecipazione, ma che garantisca una gestione efficace e professionale delle attività degli organismi gestori, proprio con la logica della “performance” e della “customer care” introdotta dalla legge 15/09 e dal D.Lgs. 150/2010, la “Riforma Brunetta”. Bibliografia (libri ed articoli di riviste) AA.VV. (2010) Conferenza Nazionale Aree Protette: Documento congiunto delle associazioni scientifiche, ambientaliste e Federparchi. www.lipu.it/news/no.asp ?990 Corte dei Conti (2011) Determinazione n. 49/2011. Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria degli Enti Parco Nazionali: Monti Sibillini, Dolomiti Bellunesi, Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Pollino e Val Grande per gli esercizi dal 2006 al 2009. http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_doc umenti/controllo/sez_controllo_enti/2011/delibera_49_2011.pdf. LIPU – BirdLife Italia (2012) Osservazioni sulla bozza di Strategia Nazionale Biodiversità. www.lipu.it/pdf/Oss LIPUbozzaStrategiaBiodiversita.pdf Piccioni L. (1999) Il volto amato della Patria. Il primo movimento per la protezione della natura in Italia 18801934. L’uomo e l’ambiente – 32. Pp. 320. Università degli Studi, Camerino 1999. MATTM (2010) La Strategia Nazionale per la Biodiversità. www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/alle gati/biodiversita/Strategia_Nazionale_per_la_Biodiversita.pdf Silvestri F. (2004) Una breve storia della conservazione del paesaggio in Italia, (con particolare attenzione ai parchi naturali). Storia e Futuro, Rivista di storia e storiografia, N° 4 – aprile 2004 – www.storiaefuturo.com. Tallone G. (2007) I parchi come sistema. Politiche e reti per un nuovo ruolo delle aree protette. Pp. 316. ETS Edizioni, Pisa.
Giuliano Tallone Direttore Ente Parco Nazionale del Circeo Via Carlo Alberto, 104 – 04016 Sabaudia (LT) direzione@parcocirceo.it
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Analisi appropriate per le procedure di valutazione nelle aree protette Franca Zanichelli
La complessità della situazione generale del sistema di pianificazione territoriale nel nostro Paese è sotto gli occhi di tutti. Il paesaggio, tipico bene patrimoniale nazionale, è costantemente sottoposto ad un impoverimento causato non tanto dal marcato aumento dell’antropizzazione, oggettivamente incomprimibile, quanto dall’incapacità diffusa di sviluppare adeguate politiche di coordinamento e di gestione territoriale che possano frenare il disordine edificatorio, contenere il grottesco consumo di suolo pregiato, ridurre l’incongruenza delle reti infrastrutturali, limitare il dispendio di risorse pubbliche per applicare antidoti al procurato sfascio idrogeologico. Si assiste ovunque ad un complicato equilibrismo tra le aspettative di sviluppo invocate dal territorio e la debole volontà di conservazione del patrimonio naturale, emarginata dai tavoli decisionali che contano, talora riabilitata dal dovere di applicazione delle normative europee almeno entro le aree protette. Teoricamente, il principio culturale della salvaguardia applicata a precise porzioni di territorio, costituite in forma di aree protette, contiene quel riscontro di attenzione aggiuntiva al mantenimento della qualità paesaggistica e ambientale che renderebbe più improbabile il declino strutturale e funzionale dei comprensori tutelati. La legge quadro sulle aree protette, la L. 394/91, pone infatti in capo agli Enti gestori compiti di controllo della conformità pianificatoria sottordinata e l’applicazione di idonee misure di protezione laddove, in via cautelativa, si debbano affrontare opere ed interventi che possano provocare ripercussioni sulle componenti ambientali ad elevata vulnerabilità.
Esaminare gli impatti attraverso analisi appropriate Con analoghi obiettivi di attenzione e prevenzione, lo Stato italiano ha emanato quelle norme di carattere generale che discendendo dalle direttive europee affrontano diretta-
Environmental impact: need of appropriate analysis for the evaluation in protected areas Modalities in compilation of impact analysis often don’t include an appropriate evalutation of risks run by the environmental systems in protected areas. In spite of conservation priority principles, local pressures promoting interventions on the strength of general reports and insufficient surveys are hardly managed. Parole chiave: impatti ambientali, aree protette, conservazione patrimonio naturale Key words: VIA and VINCA, protected areas, management and conservation natural heritage
mente il problema dell’impatto ambientale. Tramite oggettive procedure di valutazione degli interventi da “cantierare” si procede ad una anticipata ricognizione della condizione territoriale per esaminarne qualità e prerogative e prevedere il livello di modifica che si verificherà nel luogo prescelto per l’allestimento dell’opera e per il suo successivo funzionamento. Di norma l’analisi valutativa si estende all’intorno territoriale per far emergere eventuali effetti indiretti o collaterali. Il fine dichiarato della procedura di VIA è quello di arginare i fenomeni di depauperamento dei beni pubblici e di interesse pubblico che comportano danni alla collettività. Il D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., aggiornato al febbraio 2008, introduce infatti alcuni principi fondamentali sui quali fanno perno le prassi procedurali che accompagnano il processo valutativo: • produzione del diritto ambientale, • prevenzione e precauzione, • “chi inquina paga”, • sviluppo sostenibile, • libero accesso alle informazioni ambientali e partecipazione a scopo collaborativo • sussidiarietà e leale collaborazione, Questo elenco è del tutto congruente con i dettati dell’art. 1 della L. 394/91 che esplicitano le finalità istitutive dei parchi. Il legislatore in diversi passaggi ha evidenziato l’opportunità di sviluppare la massima trasparenza e ha introdotto precisi appelli alla realizzazione di condizioni di partecipazione delle comunità locali nell’arena decisionale. Tuttavia il richiamo al concetto di protezione incardinato al patrimonio naturale ha sempre
confinato i parchi e i sostenitori delle aree protette in uno scenario di contrapposizione tra ecologia ed economia che costituisce il pensiero diffuso per cui, di fronte alla maggiore intangibilità dei vantaggi ecologici, si preferisce solitamente la concretezza dell’economia e dello sviluppo. Un secondo piano di ragionamento è dato dalla pluralità di connotazioni che assume la parola sviluppo, con la sua accezione sostenibile. Un modello etico auspicato e condiviso ma di ardua applicazione nella contingenza delle scelte quotidiane e soprattutto di problematica convergenza interpretativa. Il riferimento conclamato allo sviluppo sostenibile è interessante sotto il profilo culturale perché lascia intravedere una significativa volontà di condizionare la pressione di crescita, di consumo di spazi liberi con i parametri della sostenibilità, i cosiddetti limiti. Qui si apre un nuovo focus interpretativo denso di contraddizioni e criticità intorno al concetto di limite per cui risulta arduo fare emergere una condivisione sancita da un effettivo sodalizio in ambito locale dell’identità di vedute sulla sostenibilità, tra cittadini, amministrazioni locali e Ente parco. Nel groviglio di desiderata delle parti si frantumano norme, buone prassi, alleanze, esperienze, coalizioni, accordi, patti, trattati, intese, ma soprattutto si innescano molto spesso processi di contrapposizione al Parco, reo confesso per statuto istitutivo, di essere prima di tutto il custode dei beni naturali, poi eventualmente un tormentato ricercatore di espedienti per metabolizzare gli impatti incipienti. In ogni caso risulta quasi sempre il
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soggetto colpevole di non dare libero sfogo alla libera iniziativa.
La capacità portante in un territorio e il concetto di limite allo sviluppo Il concetto di limite è assai chiaro nel campo delle scienze ecologiche poiché rappresenta la capacità portante di un ecosistema cioè la soglia in cui una condizione di incidenza di una pressione modifica un assetto esistente senza alterarne o distruggerne la sostanza, la consistenza, la natura, la funzionalità. Una metafora molto semplice per incrociare punti di vista distanti: taglio un albero e l’esemplare muore e non c’è più. Taglio un altro albero ma dalle radici rinascono i polloni e nel tempo possono vegetare altri esemplari sostitutivi. L’intervento di taglio è la medesima azione nei due casi ed è sempre chiaramente incidente sull’esemplare estirpato. Nel secondo caso c’è però una possibilità di recupero dovuta a diversi fattori insiti nell’albero, nella specie, nel modo di tagliarlo, nel periodo in cui lo taglio, nel luogo in cui vegeta. Il concetto di capacità portante è pertanto una qualità insita nell’ecosistema stesso. Vi sono ambiti molto vulnerabili che non sopportano impatti senza presentare effetti devastanti, come ad esempio la manomissione delle zone umide che costituiscono gli habitat maggiormente a rischio nel nostro Paese. L’abbattimento di una foresta, la cementificazione di un suolo fertile millenario, la rettificazione idraulica di un corso d’acqua comportano impatti senza possibilità di ritorno se non in tempi al di fuori della scala percettibile dalla generazione attuale. Molti impatti possono essere invece domati e assorbiti dal sistema ambientale che è dotato di due interessanti prerogative: la resistenza e la resilienza. La resistenza è la misura del livello di anticorpi di un sistema immunitario. Il soggetto che ha scarsa resistenza prende più facilmente l’influenza di un altro che non si ammala mai anche in caso di epidemia. La resilienza
misura invece la prontezza nel rimettersi in piedi dopo l’influenza. Quando andiamo ad analizzare se un intervento sia o meno impattante sull’ambiente non possiamo perciò limitarci all’applicazione di una proceduralità standardizzata che pone al centro dell’attenzione le caratteristiche dell’opera o dell’intervento e che analizza l’ambiente quasi esclusivamente per l’effetto cornice. Purtroppo è quello che accade puntualmente per tutta la corposa documentazione che viene prodotta a corredo degli iter di approvazione della maggior parte dei progetti. Le analisi delle relazioni di impatto e di incidenza spesso sono completamente prive di idonei riferimenti tecnici e scientifici agli ambiti territoriali sui quali vi saranno ripercussioni relativi all’opera. È una lacuna concettuale molto consistente che, ancora una volta, pone di fronte alla leggerezza interpretativa del concetto di impatto applicato all’ecosistema. Le relazioni ambientali normalmente predisposte difficilmente esaminano indicatori e modelli funzionali in chiave scientifica adeguata; più frequentemente vi è una pletora di informazioni generiche che rappresentano l’escamotage speditivo più facilmente applicabile per connotare la condizione ambientale di partenza. Il legislatore ha aggirato il problema della difficoltà di acquisire un’efficace misura dell’impatto ambientale rimandando la decisione sulla valutazione comparata tra diverse opzioni. In pratica si paragonano gli effetti in via deduttiva con riferimento ad alternative di localizzazione e alla opzione “zero” della non realizzazione dell’intervento.
non emerge ancora adeguatamente la connotazione dell’incidenza quale riferimento di analisi più espressivo dell’impatto. In un certo senso l’impatto è una misura di carattere fisico-anatomico mentre l’incidenza misura la condizione fisiologica di un sistema ambientale. Il problema sta nella difficoltà di filtrare idonei riferimenti interpretativi maturati dalla competenza sperimentale rispetto alle qualità sopra richiamate della resistenza e resilienza. La Valutazione di Incidenza è la procedura richiamata dalla Direttiva Habitat 92/43 per Piani e Programmi che si sviluppano nei siti della Rete Natura 2000. Anche in questo caso si assiste ad una proceduralità di routine spesso banalmente standardizzata. Molti sono convinti che compilare una modulistica predisposta sia un vantaggio operativo per comprimere i tempi di attesa per il rilascio delle autorizzazioni. Nei fatti molte procedure sono assolutamente superflue ed è inutile pretenderne la documentazione innervosendo le piccole aspettative. Vi sono però interventi che invece possono innescare pericolose derive nella qualità ambientale. La manipolazione delle falde acquifere, la semplificazione e capitozzatura dei sistemi dunali, la frammentazione di habitat forestali o steppici, il drenaggio artificiale, la gestione dei reflui, ecc. Vi è poi l’effetto negativo provocato dal sommarsi di fattori di criticità che possono derivare da impatti concomitanti. Questo livello di attenzione sfugge al controllo perché il sistema autorizzativo è impostato per trattare ogni progetto in modo a se stante, semplicemente valutando ciò che la situazione in esame rappresenta. Il gap conoscitivo può essere sciolto positivamente se il territorio da esaminare è provvisto, per qualche strano accidente, di una dotazione di informazioni ambientali adeguate. Nel caso dei territori dei parchi può essere più facile che altrove avere a disposizione buone conoscenze ambientali. I provvedimenti istitutivi delle aree protette sono quasi sempre accompagnati da dotazioni finanziarie che permettono di sviluppare banche dati
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Il problematico approccio della valutazione dell’incidenza Rimane comunque il problema di rafforzare il campo conoscitivo delle reazioni che si producono nei sistemi complessi dove si intrecciano più variabili fisico-chimiche, elementi biologici e dinamiche demografiche. Soprattutto
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Euforbie nei pressi del castello di Capraia. Foto di Franca Zanichelli.
sulla consistenza del patrimonio che dovrà essere oggetto di tutela. Gli Enti di ricerca forniscono repertori conoscitivi che i pianificatori utilizzano per realizzare gli specifici progetti di tutela: recepiscono le indicazioni tecniche e le trasformano in indirizzi, norme e regole sotto forma di Piano del Parco. Questo strumento diventa il manifesto in cui si delineano le intenzioni gestionali destinate a garantire il mantenimento in buono stato di conservazione degli habitat e delle specie presenti. Lo stato di conservazione ottimale rappresenta ora il modello funzionale di riferimento per i servizi che un ecosistema può fornire. Dalla idea di protezione scaturita con la L. 394/91 si decolla verso un concetto più moderno della biologia della conservazione
che si allinea ai principi della Direttiva 92/43 Habitat. Un sistema ambientale in buono stato di conservazione manifesta prerogative di biodiversità che sono oggettivamente riscontrabili con indici e parametri. Il compito degli Enti gestori dei siti della Rete Natura 2000 è perciò quello di non fare perdere valore al sistema e di accollarsi le azioni necessarie per garantire la condizione qualitativa dell’ambito affidato.
Mantenere lo stato di conservazione ottimale degli ambiti tutelati Come è stato ricordato, il principio della conservazione del patrimonio naturale è stato espresso in modo pionieristico dalla normati-
va nazionale sulle aree protette. Dal 1992 la Direttiva Habitat ha rivoluzionato l’approccio alla cultura della conservazione del patrimonio naturale introducendo riferimenti non solo centrati sul valore del singolo biotopo ma sui valori emergenti in un confronto allargato alla scala europea, soprattutto alla caratterizzazione biogeografica dei diversi siti. I diversi Paesi della UE sono dislocati secondo un gradiente latitudinale, dalla Finlandia alla Grecia, e longitudinale dall’Atlantico al Mar Nero che determinano situazioni bioclimatiche molto differenti. L’eterogeneità può comportare confronti e paragoni entro i singoli settori geografici. La Rete Natura 2000 costituisce proprio il sistema di siti di importanza comunitaria che rappresentano i luoghi in cui gli sforzi di con-
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Duna di Lacona. Foto di Franca Zanichelli.
tenimento del depauperamento della funzionalità ecologica dei sistemi naturali e seminaturali deve essere massima. Tale compito di manutenzione viene affidato ad un sistema di valutazione delle misure di conservazione che devono essere introdotte e fatte rispettare. Il Piano di gestione di ciascun Sito rappresenta la formula da adottare per raggiungere obiettivi che non rappresentano più solo la vocazione identitaria del singolo biotopo ma danno conto della puntuale applicazione dei dettati della normativa che è stata implementata dai singoli Stati membri per conseguire la finalità di un sistema integrato a scala sovranazionale. Questo processo è stato attivato dalla metà degli anni ‘90 ovunque in Europa e ha portato alla definizione della Rete nazionale dei Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) relative agli ambiti di importanza per la tutela dell’avifauna che utilizza rotte migratorie transcontinentali. La localizzazione di tali siti nel nostro Paese ricalca in gran parte la geografia delle Aree protette nazionali e regionali per il difficile compito affidato alle Regioni di identificare nuovi territori sui quali investire prioritariamente risorse ed energie per la salvaguardia. Un compito pressoché impossibile se si scende alla scala provinciale e comunale e che verrebbe inutilmente disatteso. Per sostenere la Rete Natura 2000 è stato messo a punto il Regolamento finanziario LIFE che sostiene economicamente i progetti che hanno come obiettivi azioni utili per la conservazione. Ormai sono quasi 20 anni che la Commissione Europea distribuisce denaro per indurre gli Stati membri ad avere attenzione per i Siti di propria competenza. La procedura di Valutazione di Incidenza è richiesta dall’Europa per responsabilizzare il soggetto che deve attestare l’incidenza negativa qualora l’intervento sia pregiudiziale per il biotopo. Per ottenere un adeguato livello di attenzione il legislatore europeo non ha esitato ad introdurre procedure di infrazione e penalità per i soggetti che non rispettano la normativa.
La scommessa di trasformare il ruolo di custodia in un ruolo di promotore È un dato di fatto per cui alla scala locale, quasi ovunque, vi è la valutazione che non è proponibile che il soggetto Parco possa avere la missione di tutelare del territorio. Il parco viene quasi sempre vissuto in antitesi, come identità distante dai custodi tradizionali, una struttura poco compresa che pone sostanzialmente limiti. Una prova significativa: buona parte degli amministratori locali che confluiscono per nomina nel sistema di governo di ciascuna area protetta sembrano interpretare una sorta di strana dicotomia del loro ruolo: partecipano alla vita amministrativa votando le delibere dell’Ente ma manifestano un crescente livello di intolleranza nei confronti del rispetto delle norme di cui dovrebbero essere vigilanti. Il recupero di una fruttuosa alleanza deve essere costruito attraverso una fase di ascolto attivo che rappresenta l’espressione delle aspettative e al tempo stesso la misura delle
coerenze delle politiche e la qualificazione delle proposte strutturate. D’altro canto non si può prescindere dal rispetto dei principi insiti nelle finalità istitutive dell’ambito protetto che obbligano l’Ente gestore al perseguimento della tutela del patrimonio naturale attraverso l’applicazione di nulla osta e pareri rispetto a norme, piani e regolamenti. È un dato oggettivo al quale spesso si risponde con uno dei consigli di Schopenhauer per ottenere la ragione: inficiamo la legge di riferimento. Con quale obiettivo? Diluire la tutela per ridurre la disparità tra ciò che avviene dentro e ciò che avviene fuori parco. Per molti è una bandiera di democrazia, sostenuta in via bipartisan, per assecondare le aspettative di sviluppo. Difficile è dire se questo approccio consentirà di arginare un modello di consumo di suolo ormai poco reversibile. Quando soffia il vento in una direzione predominante le piante della macchia costiera si appiattiscono e si compattano per soffrire meno … è una risposta ecologica funzionale!
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Duna di Lacona. Foto di Franca Zanichelli.
Attuare concretamente le politiche per la sostenibilità Quali margini di decisioni oggi possiamo utilizzare per trasformare l’approccio della valutazione degli impatti e dell’incidenza in spunti utili per il futuro dei nostri territori più pregevoli? Ogni Ente ricerca la coerenza tra le finalità istituzionali e l’uso delle risorse disponibili per pervenire al conseguimento degli obiettivi assunti a riferimento, determinando altresì una stretta composizione tra il livello decisionale e quello tecnico-operativo. Uso un’altra metafora presa a prestito da Marco Bonaiuti, docente dell’Università di Bologna. Se abbiamo una data quantità di farina, possiamo fare più pizze se aumentiamo il numero dei cuochi? O quello dei forni? Nessuna delle due alternative è valida. A meno di barare, si dovrebbero manomettere le dosi della ricetta e fare pizze più piccole. Tenendo presente che intendiamo affrontare il tema dello sviluppo, dando vita ad un piano socioeconomico realistico, dobbiamo alla
fine produrre solo le pizze che si possono fare correttamente. Quali sono i valori aggiunti? Possiamo immaginare di fare pizze farcite in modo diverso, migliorando la qualità degli ingredienti aggiuntivi, migliorando l’amalgama dell’impasto, realizzando una corretta cottura e soprattutto un servizio di accoglienza gradevole per chi le vuole gustare. Fare funzionare bene un’area protetta all’insegna dello sviluppo sostenibile vuol dire questo. È necessario però superare le distanze e fare ricorso all’”amministrazione per accordi”. Si tratta di attuare le politiche pubbliche facendo fronte alla crescente segmentazione e all’interdipendenza dei centri di decisione. La pluralità degli attori istituzionali si coordinano in modo orizzontale e pervengono ad intese che si applicano per tempi stabiliti. Un aiuto può venire dalla programmazione negoziata che stabilisce una formula d’intesa tra pubblico e privato conquistando nuova linfa al settore finanziario. Quali spunti recuperare per gettare luce sul futuro dello sviluppo locale nell’Arcipelago Toscano e come interpretare il ruolo del
Parco Nazionale? Sono convinta che i sistemi locali virtuosi convertono ed integrano spontaneamente conoscenze e organizzazione se si inducono formule chiare di interpretazione del beneficio di tutti i giocatori e se si manifesta l’obiettivo di aumentare il grado di razionalità complessiva delle scelte del comparto pubblico. È quanto esprime con forza l’economista Anna Natali nel suo contributo pubblicato nel 2007 sulla rivista della Federparchi: Parchi e sviluppo, un binomio da sempre problematico. Allineare i bisogni e rafforzare la coesione istituzionale per assumere decisioni trasparenti può essere un criterio vincente. Il Parco Nazionale può funzionare da “antenna” per fornire al sistema locale conoscenze e modelli che non sono “posseduti” ma di cui si ha bisogno. I comportamenti amministrativi di tutti i soggetti coinvolti anche con riferimento ai diversi ranghi (locale, provinciale, regionale, ministeriale) rappresentano il linguaggio che può esprimere tutto il territorio per mettere in moto azioni concrete allo scopo di dare vita a miglioramenti, innovazioni, esperienze autorevoli di democrazia partecipativa e specializzazione produttiva consona al contesto.
I correttivi, le mitigazioni e le compensazioni Il principio “chi inquina paga”, il concetto di danno ambientale e l’obbligo di rimessa in ripristino, gli interventi di mitigazione e le misure di compensazione sono correttivi dichiarati e contemplati come interventi possibili per ridurre gli effetti impattanti sull’ambiente. In questo ultimo paragrafo ci possiamo confrontare sulla volontà del legislatore di correggere ciò che non ha funzionato e di dare una lezione a chi se ne infischia delle ripercussioni delle azioni negative prodotte. Perseguire i colpevoli è un cardine fondamentale della nostra idea di giustizia anche se non avviene quasi mai la fase di recupero
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Elba, costa rocciosa a Nisportino. Foto di Franca Zanichelli.
della manomissione. Spesso i costi per le demolizioni sono così elevati che non vi è alcuna possibilità di contrastare l’abusivismo, così come il concetto di risarcimento per i danni ambientali è interpretato in modo assai superficiale per cui si fa quello che serve salvo tinteggiare di verde la superficie. Nella maggior parte dei casi ci si accontenta di maquillage ambientale con la messa a dimora di finti boschetti di origine vivaistica non necessariamente indigena! Le reti ecologiche del nostro sistema continuano a soffrire della frammentazione degli habitat che incidono pesantemente sulle possibilità di conservazione delle specie vulnerabili. Ancora una volta i parchi possono manifestare il proprio grado di affidabilità legato alla stessa finalità istitutiva. Da ciò deriva una maggiore esperienza nella realizzazione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Lo stretto rapporto con il mondo della ricerca scientifica supporta in modo efficace l’approccio sperimentale e garantisce la messa a punto di quelle best practices che hanno permesso di mantenere buoni livelli di conservazione del patrimonio naturale. Non a caso i valori di diversità biologica entro i parchi risultano particolarmente elevati. Questo grazie alla possibilità di investire risorse e intelligenze nel delicato compito di riqualificazione ambientale che contraddistingue l’operato degli Enti di gestione. Tornando al nostro albero morto la cui utilità si esaurisce in un baleno con l’utilizzo del legno, possiamo immaginare quanto sia complesso attivare lo sviluppo di nuovi esemplari vegetali per favorire l’ossigenazione, l’ombreggiatura, la mitigazione climatica, la copertura dei suoli quale antidoto alle frane. Dal punto di vista dell’energia necessaria per “dare vita” ad una nuova struttura fisiologicamente funzionante in chiave ambientale, oltre agli ingredienti economici e culturali, è necessario il fattore tempo. Costa molto riparare e non è facile riuscire a farlo in tempi utili. Questo compito affidato ai parchi è molto difficile da comunicare ed è poco compreso dalla collettività. La manutenzione ordinaria del
territorio, naturalmente esperita dal contadino nella società pre industriale, oggi è accollata alla pubblica amministrazione che non ha ne le risorse ne le capacità artigianali. Quindi si procede al balletto delle colpe istituzionali e aumenta la probabilità del “non saper fare” di fronte ai disastri ambientali. Le norme ci aiutano ma dobbiamo assumere una visione più adeguata dei benefici dello sviluppo analizzando i costi che si pagano per ottenerlo. Questa non è ecologia ma economia! La buona pianificazione e l’efficienza gestionale sono le due armi più potenti che un Parco può mettere in gioco per svincolarsi dal marchio “ecologista” e assumere un ruolo come soggetto attivo che può produrre
sviluppo economico e occupazionale compatibile, nonché un servizio importante di informazione e apprendimento permanente per la collettività.
Bibliografia Natali A. (2007) L’incontro non risolto con il paradigma dello sviluppo locale. Parchi, Vol 50, 71-78. Zanichelli F. (2011) Esperienze positive nel dialogo tra portatori di interessi. In Vallarola F. Le aree marine protette. ETS Editore, Pisa, 257-270.
Dr.ssa Franca Zanichelli direttore Parco Nazionale Arcipelago Toscano direzione@islepark.it
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Il Piano per il Parco Nazionale dell’Alta Murgia e la procedura di VAS – Tra ridondanza di norme e processo partecipativo attraverso l’”Officina del Piano” Luigi Bombino, Mariagiovanna Dell’Aglio, Annagrazia Frassanito, Chiara Mattia, Luciana Zollo
La Legge quadro sulle aree naturali protette (L. 394/1991, art. 12 c. 1) assegna al Piano per il Parco la finalità di tutela dei valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici tradizionali di un Parco Nazionale. La stessa Legge quadro prevede che la formazione del Piano avvenga mediante una procedura partecipata in cui è dapprima coinvolta la Comunità del Parco (Organo dell’Ente che comprende gli enti locali e territoriali del Parco), che contribuisce alla definizione dei criteri ed esprime parere sul Piano stesso prima dell’adozione da parte della Regione, ed in seguito i Comuni i cui territori ricadono nell’area protetta, chiamati ad esprimere eventuali osservazioni al Piano adottato dalla Regione. Il procedimento si conclude con l’approvazione del Piano da parte della Regione o delle Regioni competenti, successivamente all’esame e valutazione delle osservazioni eventualmente giunte da parte dei cittadini. Una procedura “classica” di formazione di un piano territoriale ovvero urbanistico, ancorato a schemi datati ma ancora vigenti. Nulla, del procedimento di predisposizione ed adozione/approvazione del Piano per il Parco Nazionale, è stato innovato a seguito della lunga serie di avvicendamenti ed integrazioni legislativi a livello europeo e nazionale. A partire, ad esempio, dall’incrocio delle norme da applicare nel caso in cui un Parco Nazionale sia in tutto o in parte coincidente con un Sito d’Importanza Comunitaria (S.I.C.) o con una Zona di Protezione Speciale (Z.P.S.), ambedue costituenti la Rete Natura 2000 a livello europeo ai sensi delle Direttive CEE 92/43 e 79/409. In questo articolo si tenta di mettere in evidenza come il processo di formazione, adozione ed approvazione del Piano per il Parco Nazionale dell’Alta Murgia sconti il difficile rapporto con procedure di valutazione ambientale e strategica, con altri strumenti internazionali di tutela degli ecosistemi (le citate Direttive comunitarie) e con l’arretratezza degli strumenti normativi tuttora vigenti. Allo stesso tempo, sempre in quest’artico-
The Plan for the Alta Murgia National Park and the SEA procedures – Between redundancy of rules and participatory process through the”Officina del Piano” The aim of the national Park of Alta Murgia Plan is to protect of natural, environmental, historical, cultural, traditional and anthropological values, in order to promote the sustainable social development, so it has a significant positive effect on environmental. The approval process of the Plans is established by L. 394/91, the procedure includes two consultation steps with environmental authorities e with public representatives. The Directive 2001/42/EC of the European Parliament and Council was acknowledged by Italian Government by D.Lgs. 152/2006 modified by D.Lgs. 4/2008 and by D.Lgs. 128/2010. The objective of this Directive is to ensure that an environmental assessment is carried out of certain plans and programmes, which are likely to have significant effects on the environment, before its adoption. The evaluation procedure includes two consultation steps with environmental authorities e with public representatives. The repetition of the stages of consultation make the approval a complex and redundant process. Parole chiave: Parco Alta Murgia, Piano per il Parco, Puglia Key words: Park of Alta Murgia, Park Plan, Puglia
lo, si tenta di porre in evidenza come le proposte di Piano per il Parco e di Regolamento del Parco, approvate dal Consiglio Direttivo dell’Ente Parco il 31 maggio del 2010 ed oggi ancora all’esame della Regione Puglia, il primo, e del Ministero dell’Ambiente, il secondo, abbiano cercato e cerchino ancora di fare breccia nella cortina fumogena che disciplina il processo di pianificazione di un Parco Nazionale.
Il Piano per il Parco e le relazioni Il Parco Nazionale dell’Alta Murgia (esteso per circa 68.000 ettari, cui partecipano 13 Comuni e 2 Province – Bari e BarlettaAndria-Trani –) è completamente compreso nel SIC/ZPS IT9120007 “Murgia Alta” (che è esteso per circa 125.000 ettari) ed il Piano per il Parco ed il Regolamento del Parco hanno tenuto conto di quanto previsto dal D.M. 17 ottobre 2007 “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)”, che, all’art. 3 “Definizione delle misure di conservazione per le Zone di protezione speciale (ZPS)” comma 2., prevede espressa-
mente che: “Per le ZPS o per le loro porzioni ricadenti all’interno di aree naturali protette o di aree marine protette di rilievo nazionale istituite ai sensi della legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, le misure di conservazione sono individuate ad eventuale integrazione delle misure di salvaguardia e delle previsioni normative definite dai rispettivi strumenti di regolamentazione e pianificazione esistenti”. Inoltre il Piano per il Parco ha recepito quanto previsto dal Regolamento Regionale 22 dicembre 2008, n. 28 riguardante le misure di conservazione per le ZPS, in attuazione del citato decreto ministeriale. In realtà l’incontro tra la disciplina di pianificazione delle aree naturali protette nazionali e della loro tutela e la gestione dei Siti Natura 2000, eventualmente cointeressati dal Parco Nazionale, potrebbe essere concluso qui. Il rapporto con la pianificazione paesaggistica è invece sancito dall’art. 145 “Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione” del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004), il quale prevede che le disposizioni del Piano Paesaggistico regionale, per quanto attiene alla tutela del paesaggio, siano comunque prevalenti sulle disposizioni
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contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette, sovvertendo, così, la previsione della Legge 394/1991 secondo cui il Piano per il Parco sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione. Alla luce di ciò ed al fine di avviare un percorso coerente e integrato tra Piano per il Parco ed il Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia per la gestione sostenibile del territorio, è stato stipulato da un protocollo d’intesa tra Ente Parco e Regione Puglia nel dicembre 2008 con il quale sono stati anche indicati alcuni progetti di valenza territoriale e paesaggistica. Il Piano per il Parco ed il Regolamento del Parco sono stati quindi predisposti in coerenza con gli indirizzi e gli obiettivi del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (P.P.T.R.) il cui iter di approvazione, tra l’altro, non è ancora ultimato. La facilità di integrazione tra il Piano per il Parco ed il P.P.T.R. è determinata anche dal fatto che il territorio del Parco Nazionale dell’Alta Murgia non comprende centri edificati, fatta eccezione per due complessi residenziali di villeggiatura. Tuttavia il territorio del Parco non è disabitato. Infatti circa la metà della sua superficie è costituita da aree agricole produttive, con centri aziendali di allevamento prevalentemente ovicaprino. Ciò ha imposto, per la definizione del Piano, un processo innovativo che coinvolgesse gli abitanti dell’area protetta nella condivisione della politica di conservazione ambientale e degli obiettivi e delle strategie di sviluppo sostenibile e di conservazione dei valori identitari del territorio. Questo coinvolgimento a 360 gradi degli abitanti del Parco, allevatori ed agricoltori, individuati quali custodi del territorio, era essenziale in quanto essi sono i veri e soli attuatori delle politiche di conservazione e sviluppo del Parco e senza il loro supporto e adesione al progetto alcuna azione avrebbe successo. Il Piano per il Parco è stato costruito avendo, tra l’altro, quale base conoscitiva, gli studi per il Piano condotti dal
Dipartimento di Architettura e Urbanistica del Politecnico di Bari, elaborati per la Regione Puglia tra il 1999 ed il 2002 e propedeutici all’istituzione dell’area protetta. Il Piano per il Parco ha approfondito ed integrato tali studi attraverso un processo partecipativo che ha preso in considerazione le esigenze e le aspettative delle comunità locali e degli abitanti del Parco raccolte nei tre documenti alla base della pianificazione: 1. l’Agenda Strategica, documento di sintesi sulle strategie territoriali costruito attraverso interviste e incontri, svolti da esperti del gruppo professionisti incaricati della redazione del Piano, con soggetti pubblici e privati che esercitano un ruolo importante nel territorio del Parco e validato dall’Ente Parco e dai Sindaci dei Comuni del Parco; 2. i Seminari tematici partecipativi “Verso il Piano del Parco”, anche questi svolti da esperti del gruppo di lavoro e accuratamente documentati; 3. la Carta delle istanze, nella quale sono sistematizzate e, ove possibile, “georiferite” proposte e segnalazioni emerse durante la fase conoscitiva.
data nei Paesi europei più avanzati, ha consentito di realizzare un Piano costruito dal basso tentando di disciplinare in modo innovativo la convivenza tra le dinamiche naturali e quelle antropiche in un’area di grande fascino paesaggistico e di grande valore ambientale a livello continentale. Le proposte di Piano per il Parco e di Regolamento del Parco che ne sono scaturite sono state approvate con Deliberazione del Consiglio Direttivo n. 09/2010 del 31/05/2010. Sulla proposta di Piano è stato poi acquisito il parere favorevole della Comunità del Parco con richiesta di alcune integrazioni alle disposizioni attuative. Successivamente la proposta di Piano per il Parco è stata depositata presso la Regione Puglia per l’avvio del procedimento di adozione e di approvazione, previo espletamento della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.); la proposta di Regolamento, acquisito il parere della Comunità del Parco, è stato invece inviato al Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare per l’avvio del procedimento di approvazione d’intesa con la Regione Puglia. Ad oggi, l’istruttoria regionale sul Piano è completata e l’adozione dello strumento di pianificazione non dovrebbe tardare; la proposta di Regolamento, invece, deve ancora completare la fase istruttoria da parte del Ministero.
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Il Gruppo di lavoro incaricato della stesura del Piano e del Regolamento ha prodotto, sulla base di questo tessuto di conoscenze, una serie di “progetti” contenuti nel Piano e proposti in accordo con soggetti pubblici e privati, che costituiscono una traccia ineludibile per l’attuazione dello strumento di pianificazione. Durante l’elaborazione della fase progettuale sono state individuate e studiate alcune aziende pilota nel settore agro-zootecnico, al fine di acquisire ulteriori conoscenze specifiche sulle realtà aziendali più rappresentative del tessuto produttivo dell’Alta Murgia, consentendo la formulazione di una disciplina il più possibile aderente alle esigenze concrete degli agricoltori e degli allevatori, senza mai perdere di vista le finalità conservazionistiche e di tutela paesaggistica. Questa procedura di pianificazione, consoli-
Il Piano per il Parco ed i cittadini del Parco La proposta di Piano è stata inoltre presentata alla cittadinanza di ciascuno dei 13 Comuni afferenti al Parco mediante l’iniziativa “Murgia in Piazza” consistente in una serie di eventi itineranti. Ciascun appuntamento è stato strutturato in due fasi: 1. una fase tecnica, con l’organizzazione di seminari illustrativi sui contenuti del Piano per il Parco e del Regolamento del Parco cui erano chiamati a partecipare i detentori di interessi a livello istituzionale, di categoria e personale; 2. una fase di animazione in Piazza, con l’al-
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lestimento di una mostra itinerante, inerente alle tematiche del Piano per il Parco, con l’intervento di artisti di strada che hanno realizzato spettacoli molto coinvolgenti. Questa fase divulgativa ha avuto una durata di cinque mesi, da settembre 2010 a gennaio 2011, e per la sua realizzazione è stata siglata una convenzione con alcune associazioni del territorio per le seguenti attività: 1. Allestimento di una segreteria tecnica con funzioni di coordinamento; 2. Progettazione di eventi e seminari divulgativi su “il Piano del Parco ed il Regolamento del Parco”; 3. Organizzazione di escursioni nel territorio del Parco; 4. Produzione di materiale divulgativo sui contenuti del Piano; 5. Inaugurazione dell’Officina del Piano per il Parco, a Ruvo di Puglia, quale centro operativo nel quale strutturare, a regime, la divulgazione del Piano e del Regolamento e mettere a punto i progetti individuati dal Piano. Le escursioni all’interno del Parco hanno avuto la funzione di avvicinare la popolazione dei Comuni del Parco ad un territorio che, sebbene appena extra moenia, alquanto sconosciuto, nonché di far conoscere concretamente e criticamente le motivazioni alla base delle proposte contenute nel Piano e nel Regolamento. Tutte le operazioni sono state pubblicizzate attraverso una sezione creata ad hoc sul sito web istituzionale del Parco www.parcoalta murgia.it/officinadelpiano; ogni mese sono stati realizzati pieghevoli e manifesti per illustrare le attività pianificate nei diversi Comuni. Il materiale è stato distribuito in tutti i Comuni del Parco e nei Comuni limitrofi attivando un servizio di volantinaggio di affissione pubblica in ogni Comune. In questo contesto è stata anche attivata una pagina Facebook dell’Officina del Piano per il Parco. Il calendario delle presentazioni pubbliche è
Tabella 1 - Calendario delle presentazioni pubbliche. Data
Comune
Sede
29/10/2010
Poggiorsini
Sala consiliare comunale
04/11/1210
Gravina in Puglia
Sala consiliare comunale
5/11/2010
Altamura
Sala consiliare comunale
19/11/2010
Toritto
Sala consiliare comunale
26/11/2010
Cassano delle Murge
Sala consiliare comunale
03/12/2010
Grumo Appula
Sala della cultura
13/12/2010
Ruvo
Sala consiliare comunale
17/12/2010
Bitonto
Sala degli specchi Municipio
08/01/2011
Santeramo in Colle
Palazzo Marchesale
11/01/2011
Corato
Sala conferenze biblioteca comunale
20/01/2011
Andria
Chiostro San Francesco
21/01/2011
Minervino Murge
Sala consiliare comunale
28/01/2011
Spinazzola
Sala comunale polifunzionale Innocenzo XII
illustrato nella Tabella 1. Il 14 gennaio 2011 è stata inaugurata a Ruvo di Puglia (uno dei 13 Comuni del Parco) la sede dell’Officina del Piano per il Parco ove ogni cittadino può tuttora consultare i documenti e la cartografia di Piano e ricevere risposte ai vari quesiti. Il Piano con tutti i suoi elaborati è stato reso disponibile, fin dal mese di giugno 2010, sul sito web istituzionale dell’Ente (www.parco altamurgia.gov.it) consentendo a chiunque di visionarlo scaricarlo ed eventualmente formulare quesiti o richiedere chiarimenti. I quesiti più frequenti hanno riguardato la nuova zonazione ed i vincoli relativi.
La V.A.S del Piano per il Parco: dal male il bene? Contemporaneamente a questo processo di formazione e di divulgazione del Piano per il Parco, è stata avviata, ai sensi della Direttiva
2001/42/CE recepita in Italia dal D. L.vo n. 152/2006, modificato e integrato con il D.L.vo n. 4/2008 e con il D. L.vo n. 128/2010, la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS). Infatti la Direttiva prevede che siano sistematicamente sottoposti a VAS i piani e programmi che: • siano elaborati nei settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli e che definiscano il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE (Direttiva concernente la Valutazione di Impatto Ambientale), • “per i quali, in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 92/43/CEE” (cosiddetta direttiva “Habitat”)”.
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Figura 1. Schema di approvazione del Piano per il Parco e della procedura di VAS.
PROCESSO DI PIANO (L. n. 394/91)
90 gg Art. 9
rivista
SCOPING + REDAZIONE RAPPORTO AMBIENTALE
AVVIO FASE DI ADOZIONE DEL PIANO E DEL RAPPORTO ABIENTALE
DEPOSITO DEL PIANO
PRESENTAZIONE DELLE OSSERVAZIONI
per leggere l’articolo completo 40 gg
CONSULTAZIONE SOGGETTI COMPETENTI SUL RAPPORTO AMBIENTALE
60 gg art. 10
40 gg
PARERE SULLE OSSERVAZIONI
30 gg
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PRONUNCIA SULLE OSSERVAZIONI + APPROVAZIONE DEL PIANO D’INTESA CON L’ENTE PARCO (zona A, B, C,) E CON I COMUNI (zone D)
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90 gg Art. 12
VALUTAZIONE DEL RAPPORTO AMBIENTALE E PARERE MOTIVATO
EVENTUALE REVISIONE DI PIANO
AUTOR ITÀ COMPETENTE (Regione Pug lia – Ufficio VIA /VAS)
REGION E PUGLIA Ufficio Parchi
180 gg Art. 12
PROCESSO DI VALUTAZIONE (D. L.vo n. 152/2006)
AUTOR ITÀ PR OC ED ENTE (Regione Pug lia – Ufficio Parchi)
EN TE PAR CO (proponente nella VAS)
REDAZIONE DEL PIANO DEL PARCO
E
APPROVAZIONE DEL PIANO E DEL RAPPORTO AMBIENTALE
ATTUAZIONE E GESTIONE DEL PIANO
Eventuali azioni correttive
MONITORAGGIO E VALUTAZIONE
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dossier
L’assoggettabilità del Piano per il Parco alla V.A.S. ed alla Valutazione di Incidenza non è fatto scontato. Se, infatti, è pur vero che si tratti di un Piano territoriale che definisce anche il regime edificatorio e di trasformazione del territorio, non v’è dubbio che il Piano per il Parco sia soprattutto uno strumento di tutela ambientale e paesaggistica. Alla luce di tale considerazione, in molte esperienze ed in molte discipline regionali sulla V.A.S., il Piano per il Parco viene escluso dall’assoggettamento alla stessa V.A.S. ed alla Valutazione di Incidenza. Nel caso del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, la presenza del Sito Natura 2000, per metà della propria estensione, all’interno del Parco e l’assenza di una disciplina regionale sulla V.A.S. hanno spinto l’Ente e la stessa Regione Puglia ad optare per l’assoggettamento del Piano alla procedura individuando l’Ente Parco quale Autorità proponente, il Servizio Assetto del Territorio della Regione Puglia quale Autorità procedente ed il Servizio Ecologia della Regione Puglia quale Autorità competente. La Valutazione di Incidenza deve essere compresa nella procedura di V.A.S. a condizione che il Rapporto Ambientale ne contenga in forma riconoscibile i contenuti specifici e che sia data evidenza dell’integrazione procedurale nelle modalità di informazione del pubblico. Obiettivo dell’Ente è far sì che, svolta la procedura valutativa strategica e d’incidenza sull’intero Piano, ne siano esclusi i suoi progetti e le sue azioni attuative. In questo quadro di confusione procedurale nessun processo di semplificazione è nel frattempo intervenuto, anche a livello regionale, con la definizione di regole interpretative certe al fine di delineare una sequenza di fasi che riducessero ed armonizzassero i momenti di consultazione e tracciassero un iter certo per tutti i processi di valutazione simili. Il caso del Piano per il Parco Nazionale dell’Alta Murgia, non è in realtà isolato. La confusione imperversa per tutti gli Enti Parco che si accingono a dotarsi del Piano di gestione. Regioni ed Enti Parco hanno infatti
stabilito differenti procedure e, in taluni casi, lo svolgimento della procedura di Valutazione di Incidenza, nell’ambito della procedura di V.A.S. presso la Regione competente, è stato avocato dal Ministero dell’Ambiente ritenendo che il Piano per il Parco Nazionale fosse un Piano “di rilevanza nazionale” di competenza ministeriale ai sensi del D.P.R. n. 357/1997. Al procedimento di formazione del Piano per il Parco, in linea generale semplice seppur articolato in più fasi, derivante da una legge ormai datata, si è sovrapposto un secondo procedimento riguardante la V.A.S. che dovrebbe accompagnare la “costruzione” del Piano ma che, in realtà, viene sempre più interpretato come processo a se stante. Ne conseguono la ridondanza di fasi consultative, l’illusione di una partecipazione pubblica effettiva alle scelte di pianificazione e la confusione di ruoli tra i vari attori del procedimento. Infatti, a norma dell’art. 5, c. 1, lett. q) del D. L.vo n. 152/2006 è individuata quale Autorità procedente nella V.A.S. la pubblica amministrazione che recepisce, adotta ed approva il Piano qualora diversa dall’amministrazione pubblica che lo elabora. Nel caso di un Piano per il Parco Nazionale l’Autorità procedente coincide con l’Autorità competente ponendo così nel nulla la terzietà di quest’ultima, voluta fortemente dalla Direttiva comunitaria. E, ad oggi, non si vedono luci di armonizzazione delle norme all’orizzonte. La soluzione adottata dalla Regione Puglia, e prima citata, è stata una risposta che ha risolto il problema in modo empirico, lasciando intatti i nodi. Lo schema del percorso formativo e valutativo del Piano che ne è derivato è sintetizzato nella tabella seguente nella quale si evidenziano le diverse fasi e la ridondanza di alcuni passaggi (fig. 1). L’incertezza in merito all’assoggettamento del Piano per il Parco Nazionale dell’Alta Murgia a procedura di V.A.S. ed in merito alla modalità operativa da adottare per armonizzare il processo di formazione con quello di valutazione, evitando la ripetizione di fasi di
consultazione che potessero determinare il continuo riassestamento dei contenuti attraverso il recepimento di eventuali osservazioni accoglibili, ha fatto sì che il processo di V.A.S. non assecondasse la fase di predisposizione del Piano. Tale processo ha avuto inizio quando il Piano per il Parco era già stato stato predisposto determinando una situazione sicuramente anomala ma nella quale i soggetti coinvolti sono stati comunque chiamati ad esprimere osservazioni non solo sui contenuti del Rapporto Ambientale ma anche sui contenuti della proposta di Piano già disponibile. Verrebbe da dire che non tutto il male vien per nuocere se è vero, com’è vero, che nella costruzione di un Piano di gestione particolarmente complicato, quale quello del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, le ripetizioni di procedure di consultazione hanno, sì, dilatato i tempi e richiesto più energie intellettuali ed umane, ma hanno costretto, in molte occasioni, a rimettere in discussione problemi apparentemente risolti in precedenti incontri. Un’esperienza, peraltro ancora in itinere ed in via di conclusione, che ha rafforzato il rapporto tra Ente Parco e territorio e che ha consentito di sperimentare in corso d’opera alcune azioni contenute nella proposta di Piano, certificandone la validità e l’efficacia concreta.
Luigi Bombino, Mariagiovanna Dell’Aglio, Annagrazia Frassanito, Chiara Mattia, Luciana Zollo Funzionari del Servizio Tecnico dell’Ente Parco Nazionale dell’Alta Murgia. luigibombino@parcoaltamurgia.it; mariagiovannadellaglio @parcoaltamurgia.it; annagraziafrassanito@parco altamurgia.it; chiaramattia@parcoaltamurgia.it; luciana zollo@parcoaltamurgia.it
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La Valutazione di Incidenza sul Piano per il Parco Andrea Gennai
Il titolo di questo articolo è, a tutti gli effetti, molto simile alla figura retorica dell’ossimoro ma, nello spiegare il perché, arriveremo a comprendere come sia possibile invece che nella prassi della pianificazione nelle aree protette avvenga ciò che in linea teorica non dovrebbe avvenire. Per illustrare la questione della valutazione di incidenza del Piano per il parco, ci riferiremo ai piani per i Parchi nazionali, di cui alla legge n° 394 del 6 dicembre 1991 “Legge quadro sulle aree protette” con alcuni riferimenti specifici al caso del Piano per il Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Il non facile obiettivo che qui ci si propone è quello di identificare o, piuttosto, di creare un legame tra la citata legge quadro sulle aree protette e la normativa relativa a “Natura 2000”, costituita dalle Direttive europee 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 e 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, dal DPR 357 del 8 settembre 1997 e dalle normative regionali di applicazione. Si tratta di norme che, col loro combinato disposto, riguardano gran parte dei Parchi nazionali italiani (all’interno dei quali sono stati individuati in gran numero Siti di Importanza Comunitaria e Zone di Protezione Speciale) e che però il legislatore non ha saputo, o forse non ha voluto, compiutamente sposare tra loro, lasciando abbondanti margini di incertezza, indeterminatezza e talvolta di contraddittorietà. Nonostante le normative di cui sopra siano ormai consolidate nel panorama legislativo italiano, l’applicazione di tali dispositivi risulta infatti, nel concreto, ancora piuttosto parziale e, soprattutto, non univoca, sia nel tempo che nello spazio. Circoscrivendo un argomento piuttosto vasto e complesso, cercheremo dunque sostanzialmente di rispondere alla domanda: “Il Piano per il Parco va sottoposto alla valutazione di incidenza ? E se si, secondo quale procedura ?”
The assessment of the implications of the Park’s Management Plan The article describes the relationship between the italian legislation about national parks, expecially about the National Parks management plans, and the Natura 2000 procedures of assessment of implications. Describing the experience of the Foreste Casentinesi National Park, in which the management plan was strangely subjected to the assessment of the implications, the author points out the need for an urgent legislative update. Parole chiave: valutazione di incidenza, Natura 2000, parchi nazionali Key words: assessment of implications, Natura 2000, national parks
Gli aspetti giuridici La legge 394/91, sebbene integrata e rivista attraverso la legge 426/98, è nata quando la normativa su “Natura 2000” era in Europa ancora in formazione. Le previsioni dell’articolo 12 della L. 394/91 relative al Piano per il Parco non potevano quindi in alcun modo prevedere specifiche particolari relative ad una normativa che ancora non esisteva. Il DPR 357/97, così come le conseguenti normative regionali, invece ha visto la luce quando le aree protette ed i Parchi nazionali in particolare erano già in gran parte istituiti e stavano già sperimentando le difficoltà di attuare il processo di pianificazione così come previsto dalla legge; il DPR 357/97 avrebbe quindi avuto la possibilità di integrare positivamente la L. 394/91 dando esplicitamente un contributo alla risoluzione di quei problemi che ancora oggi molti Parchi nazionali si trovano ad affrontare. Questo però non è avvenuto ed il ruolo assegnato alle aree protette dal DPR 357/97 non è stato dunque contestualizzato nel panorama legislativo già presente, creando certamente più di un problema. Il comma 2 dell’articolo 4 del DPR 357/97 prevede infatti che: “2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base di linee guida per la gestione delle aree della rete «Natura 2000», da adottarsi con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, ……… adottano per le zone speciali di conservazione, entro sei mesi dalla loro designa-
zione, le misure di conservazione necessarie che implicano all’occorrenza appropriati piani di gestione specifici od integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all’allegato A e delle specie di cui all’allegato B presenti nei siti.” Lo strumento di conservazione delle ZSC è dunque costituito dalle misure di conservazione predisposte dalle regioni o dalle province autonome, così come fino alla trasformazione dei pSIC e dei SIC in ZSC è demandata alle regioni l’adozione di misure per evitare il degrado degli habitat e la perturbazione delle specie. Epperò, in base al comma 3 dell’articolo 4 del DPR 357/97, emerge in tutta chiarezza che: “3. Qualora le zone speciali di conservazione ricadano all’interno di aree naturali protette, si applicano le misure di conservazione per queste previste dalla normativa vigente. Per la porzione ricadente all’esterno del perimetro dell’area naturale protetta la regione o la provincia autonoma adotta, sentiti anche gli enti locali interessati e il soggetto gestore dell’area protetta, le opportune misure di conservazione e le norme di gestione.” Tale importantissimo comma 3 sta in effetti alla base dell’asserzione iniziale del presente articolo, secondo la quale valutare l’incidenza del Piano per il Parco costituisce, in linea teorica almeno, un autentico paradosso. Le “misure di conservazione per queste previste dalla normativa vigente” non sono infatti
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altro se non quelle contenute nel Piano per il Parco e nel correlato Regolamento. Il Piano per il parco dunque viene identificato dal DPR 357/97 come lo strumento unico nel quale vengono ricomprese anche le misure di conservazione e di gestione da assegnare alla Zona Speciale di Conservazione che ricade nel Parco in questione. Secondo questa impostazione e coerentemente con il più elementare senso della logica, il Piano per il parco costituisce, o dovrebbe costituire, lo strumento unico di gestione del sito (pSIC, ZPS o ZSC a seconda delle situazioni). Se così è, parlare di valutazione di incidenza di tale Piano è, come detto, praticamente un ossimoro. A dir la verità il DPR 357/97, all’articolo 5, comma 2 prevede che “I proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e faunistico-venatori e le loro varianti, predispongono, secondo i contenuti di cui all’allegato G, uno studio per individuare e valutare gli effetti che il piano può avere sul sito, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Gli atti di pianificazione territoriale da sottoporre alla valutazione di incidenza sono presentati, nel caso di piani di rilevanza nazionale, al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e, nel caso di piani di rilevanza regionale, interregionale, provinciale e comunale, alle regioni e alle province autonome competenti.” Nella versione italiana della norma su “Natura 2000” dunque sembrerebbe, almeno ad una lettura non coordinata e per niente critica, che tutti i piani richiedano la procedura di Valutazione di Incidenza. Basta però osservare la norma comunitaria di origine del nostrano DPR, ovvero la “Direttiva Habitat”, per notare che, all’articolo 6, comma 3, si prevede che: “Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di con-
servazione del medesimo”. Secondo la norma originaria e, anche in questo caso, secondo il semplice buon senso, un piano che fosse direttamente connesso e necessario alla gestione del sito non dovrebbe essere sottoposto alla Valutazione di Incidenza. Ecco dunque che dalla lettura coordinata delle norme comunitarie ed italiane, emerge con tutta chiarezza la soluzione: la questione, così come esposta, sembrerebbe definitivamente risolta. Il Piano per il Parco non deve essere sottoposto a Valutazione di Incidenza, essendo questo il Piano di gestione del sito, direttamente connesso alla sua conservazione. Nella realtà però, purtroppo, così non è.
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chiarito nella Direttiva Habitat, che per i siti all’interno dei parchi non vi fosse bisogno del piano di gestione e delle misure di conservazione, essendo tale ruolo svolto dal Piano per il parco. Eppure, l’assenza nei piani approvati (o nelle loro bozze provvisorie) di espliciti riferimenti alla normativa di Natura 2000, ha aperto la discussione sulla necessità, opportunità o addirittura obbligatorietà di sottoporre tali Piani alla procedura di Valutazione di Incidenza.
Il caso del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna
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Nonostante la legge 394/91 preveda tempi contingentati per l’approvazione del Piano per il parco (sono previsti solo diciotto mesi dall’insediamento degli organi per la sua predisposizione), la quasi totalità dei parchi nazionali italiani ha incontrato enormi difficoltà nel processo di stesura e di approvazione di tale Piano, arrivando quasi sempre ad impiegare molti anni e, in molti casi, a non concludere nemmeno l’iter previsto dalla legge. In questo lungo periodo che va dalla metà degli anni ‘90 ad almeno la metà del primo decennio del nuovo secolo, la normativa di “Natura 2000” si è nel frattempo strutturata e diffusa nella prassi (percorso che a dir la verità è ancora lontano dalla sua completa definizione), trovando quasi tutti i piani per i parchi a metà o alla fine del loro iter. Ecco dunque che si è verificata la strana condizione per la quale i piani per i parchi, che per il DPR 357/97, come prima chiarito, dovevano fungere anche da misure di conservazione e di gestione delle Zone Speciali di Conservazione, non avevano al loro interno alcun riferimento esplicito a tutto il complesso tema di “Natura 2000”. Molte normative regionali prevedevano esplicitamente, ribadendo il concetto ben
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Il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, ben si presta come esempio di questa situazione, avendo attivato per primo, a livello nazionale assieme al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, la procedura per sottoporre il Piano alla Valutazione di Incidenza. Il Piano per il Parco nazionale delle Foreste Casentinesi è stato predisposto dal Consiglio Direttivo dell’Ente, secondo l’iter previsto all’art. 12 della legge 394/91, alla fine dell’anno 2002 ed inviato alle Regioni competenti (Emilia-Romagna e Toscana) all’inizio del 2003. Dopo un lungo periodo in cui tale Piano è stato fermo degli uffici regionali, per ragioni legate al lungo commissariamento cui l’Ente è stato sottoposto, nel 2007 (e quindi ben 4 anni dopo che lo avevano ricevuto) le stesse Regioni hanno sollevato la necessità di sottoporlo alla procedura di Valutazione di Incidenza, proponendosi come gli enti cui spettava la valutazione stessa. A seguito di una divergenza di vedute tra Parco nazionale ed uffici regionali ed ai conseguenti chiarimenti forniti dal Ministero dell’Ambiente, lo stesso prendeva chiaramente posizione affermando che per i piani per i Parchi nazionali (nel caso in questione si trattava inoltre di un Parco insistente su due regioni) la competenza per la Valutazione di Incidenza era effettivamente del Ministero stesso.
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Il Piano per il Parco delle Foreste Casentinesi, come detto redatto prima che le tematiche di “Natura 2000” si affermassero come la normativa prevedeva, è stato dunque integrato da un documento denominato “Parere specialistico sugli aspetti naturalistici e relazione per la Valutazione d’Incidenza Ecologica del Piano del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna”. Tale corposo documento, predisposto da una nutrita equipe interna di esperti, ha avuto il ruolo di evidenziare come nel Piano per il Parco fossero presenti le valutazioni, gli obiettivi ed i contenuti propri del piano di gestione e delle misure di conservazione previsti dalla normativa di “Natura 2000”, sebbene non fossero esplicitati come tali. Nel valutare il Piano per il parco, integrato dal documento di cui sopra, il Ministero dell’Ambiente ha svolto una lunga e dettagliata istruttoria che si è concretizzata nell’emanazione di un decreto, del 26 giugno 2008, del Direttore Generale per la Protezione della Natura, denominato “Valutazione di incidenza del Piano per il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna”. Il decreto ministeriale in questione contiene alcuni passaggi di estremo interesse, che merita citare e commentare. Tra le premesse più importanti, il decreto evidenzia come per ciascuna delle criticità rilevate nei diversi siti che interessano il Parco nazionale, il Piano preveda effettivamente le relative misure di conservazione. Tale verifica in realtà, per quanto opportuna, non costituisce affatto una Valutazione di Incidenza ma piuttosto una verifica dell’efficacia del Piano stesso in relazione alle finalità di “Natura 2000”. Trattasi di una verifica certo meritoria, relativamente alla quale però non si riscontra alcuna espressa previsione normativa. Come visto precedentemente, la legislazione comunitaria e nazionale piuttosto prevede che per le aree protette le misure di conservazione non servano se sono già contenute nel Piano del Parco, ma non pone questo requisito quale condizione per l’assoggetta-
mento del Piano stesso alla procedura di Valutazione di Incidenza. Il Piano per il Parco, in altre parole, deve obbligatoriamente rivestire il ruolo di piano di gestione e conservazione del sito, ma qualora questo non si verifichi per carenza di contenuti o per altra ragione, i soggetti interessati dovranno e potranno ricorrere contro l’adozione dell’atto secondo le procedure previste dalle vigenti leggi; di certo, nessuna norma prevede che sia la Valutazione di Incidenza a verificare la sussistenza di tali requisiti. In ogni caso, immediatamente dopo tale verifica, il decreto, sempre nelle premesse, recita: “valutato che l’analisi effettuata può configurarsi come fase di screening per la Valutazione di Incidenza e che di fatto le previsioni del Piano del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi sono coerenti con le finalità di conservazione dei siti natura 2000 presenti nel territorio”. Sempre di seguito, un’ulteriore premessa costituisce la verifica di coerenza delle misure di conservazione del Piano con i criteri minimi uniformi per le misure di conservazione come dettati dal Decreto Ministeriale del 17/10/2007 “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a ZSC e a ZPS”. Ancora una volta, l’articolato del decreto mira a verificare l’efficacia del Piano per il Parco quale misura di conservazione, tanto che la premessa del decreto termina con la seguente dicitura: “Ritenuto pertanto che il Piano per il Parco delle Foreste Casentinesi, integrato dei contenuti presenti nella relazione per la Valutazione di Incidenza, si possa configurare come strumento di gestione dei siti Natura 2000 presenti nel territorio del Parco”. Appare chiaro dunque, alla luce dell’articolato del decreto ed in particolare dell’ultimo paragrafo, che il Piano per il parco viene ufficialmente riconosciuto quale strumento
unico di gestione dei siti “Natura 2000”. In tale ipotesi però, secondo quanto prima evidenziato, è altrettanto evidente che tale Piano non deve e non può essere sottoposto alla Valutazione di Incidenza, in quanto altrimenti si configurerebbe un corto circuito normativo che rischierebbe di diventare davvero paradossale. Tale paradosso si è invece concretizzato, in quanto il Decreto nel dispositivo finale recita: “ La Valutazione di Incidenza del Piano per il Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, è stata espletata con esito positivo. Il Piano per il Parco…integrato dalla relazione per la Valutazione di Incidenza, si configura quale idoneo strumento di gestione dei SIC e delle ZPS del Parco”. Non vi è dubbio alcuno della costruttiva e positiva volontà, da parte degli Uffici del Ministero dell’Ambiente, di superare lo scoglio di un Piano nato a cavallo della normativa comunitaria e nazionale di “Natura 2000” e bisognoso quindi di un ufficiale riconoscimento. È però altrettanto chiaro che l’impostazione derivante da tale decreto non può in alcun modo costituire un precedente teso a sancire la necessità di sottoporre i Piani per i parchi alla Valutazione di Incidenza. Sarebbe, con un paragone forse irriguardoso, come richiedere il certificato antimafia al Procuratore Generale Antimafia. Certamente vi è la necessità (o quantomeno l’opportunità, visto che non ci sono esplicite disposizioni di legge in materia) che qualche soggetto attesti che le misure previste dal Piano per il Parco siano effettivamente cogenti rispetto alle finalità di conservazione degli specifici siti interni all’area protetta alla quale il Piano si riferisce, ma tale procedura non può in alcun modo essere definita come Valutazione di Incidenza, in quanto questa è esclusa, fin dalla direttiva comunitaria di origine, per i Piani direttamente connessi alla gestione del sito. Tale attestazione può e deve essere fatta dal
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soggetto che approva il Piano (nel caso dei Parchi nazionali è la regione o le regioni) oppure dal Ministero vigilante, ma di certo non ha nulla a che vedere con la Valutazione di Incidenza. Quale ulteriore elemento di confusione, giova citare infine l’ultimo capoverso del dispositivo del decreto: “ Gli interventi che attuano le linee gestionali, individuate dal Piano per il Parco nazionale……possono essere esonerati dal completamento dell’intera procedura di Valutazione di Incidenza in quanto direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti nel sito, come previsto dall’art. 5, comma 3 del DPR 357/97”. Accade dunque che il Piano, riconosciuto come strumento unico di gestione del sito “Natura 2000”, venga sottoposto alla procedura di Valutazione di Incidenza (sebbene fermatasi alla fase di screening) con il medesimo decreto che sancisce il fatto che gli interventi previsti dal Piano non debbano invece esserlo, non tanto in quanto già indirettamente valutati ma perché esonerati essendo direttamente connessi e necessari alla gestione e conservazione dei siti.
Già questa situazione appare chiaramente illogica, laddove fa si che il soggetto che effettua gli studi, delinea le misure di conservazione ed attua i monitoraggi, non sia quello che poi valuta l’incidenza degli interventi su tutti questi aspetti. La frammentazione normativa determinata poi dal fatto che numerosi parchi nazionali sono a cavallo di due o più regioni, fa sì che a seconda del versante amministrativo il Parco si trovi a seguire procedure diverse. Sempre nel caso delle Foreste Casentinesi, il Parco nazionale infatti è stato “delegato” (su questo aspetto torneremo più avanti) dalla Regione Emilia-Romagna all’effettuazione della Valutazione di Incidenza per gli interventi ma non per i piani, mentre nell’altro versante la Regione Toscana ha assegnato il ruolo di valutatore all’ente che approva i progetti (quindi molto spesso i piccoli comuni montani, con uffici tecnici costituiti da 1-2 persone), lasciando al Parco l’onere/onore di emettere un parere obbligatorio ma non vincolante. Orbene, questa situazione presenta alcuni profili di dubbia legittimità. Innanzitutto la Regione Emilia-Romagna ha deliberato una delega di funzione a favore di un Ente, quello di gestione dell’area protetta nazionale, di rango gerarchico non inferiore, al quale l’assegnazione di funzioni può avvenire solamente tramite intesa e certamente non per delega. A prescindere dal difetto procedurale, appare ovvio però che tale previsione risulti la più congrua in relazione alle competenze che l’Ente Parco ha in materia, rispetto a tutto quanto sopra enunciato. Non esiste, evidentemente, un soggetto più competente del parco alla Valutazione di Incidenza dei progetti relativi ad interventi nei siti dallo stesso Parco gestiti. Analogo ragionamento poteva essere fatto per la Valutazione di Piani, cosa che però non è avvenuta, evidentemente perché la Regione Emilia-Romagna ha ritenuto più conveniente una diversa soluzione. Il secondo profilo di dubbia legittimità, è legato al fatto che i Comuni ai quali la Regione
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Toscana ha assegnato il compito di effettuare la Valutazione di Incidenza per gli interventi nei siti di “Natura 2000”, anche se ricadenti in aree protette, quasi sempre non hanno al loro interno un’organizzazione degli uffici e le professionalità necessarie a svolgere in modo idoneo tale delicatissimo compito. Sembra cioè concretizzarsi, in modo assai evidente e macroscopico, una “incompetenza funzionale” nei confronti di tali piccoli Enti, che snatura completamente il senso stesso della Valutazione di Incidenza. Un piccolo Comune non possiede cioè l’organizzazione e le professionalità per espletare la funzione che la legge regionale, inopinatamente, gli affida. Su tale aspetto si è espressa criticamente anche la Consulta Tecnica per le aree protette e la biodiversità della Regione Toscana, senza peraltro ottenere alcun risultato. Resta quindi il fondato dubbio sul reale motivo per il quale il legislatore, nazionale prima e regionale poi, non ha ritenuto di assegnare direttamente agli enti parco il compito di effettuare le Valutazioni di Incidenza, stante invece il fatto che ha assegnato agli stessi soggetti il compito di redigere ed adottare le misure di gestione, di conservazione e di monitoraggio dei siti “Natura 2000”. Come spesso succede nel nostro Paese, la prassi poi ci fornisce soluzioni originali ed efficaci, che risolvono problemi legislativi che appaiono immodificabili. Nel caso infatti dei Parchi nazionali, è emersa la consuetudine di inglobare il parere e le prescrizioni, come detto non vincolanti, che emergono dalla procedura di Valutazione di Incidenza, all’interno del Nulla Osta emesso ai sensi della legge 394/91, che riveste invece la funzione di parere vincolante. Quello che potrebbe sembrare un sotterfugio (far diventare vincolante il parere di Valutazione di Incidenza inglobandolo nel Nulla Osta ex L. 394/91) non costituisce invece, anche alla luce di quanto argomentato fino ad ora, alcuna forzatura. Il Piano per il Parco, come detto, riveste il ruolo di Piano di gestione e conservazione del sito, per cui nel verificare la coerenza tra l’intervento proposto e
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La Valutazione di Incidenza degli interventi Dall’ultima considerazione del citato decreto, relativa alla Valutazione di Incidenza degli interventi attuativi del Piano, scaturisce la successiva ed importante questione del ruolo del Parco nelle procedure di valutazione dei singoli interventi. Secondo il combinato disposto delle varie normative, il soggetto gestore dell’area protetta redige le misure di gestione e conservazione del sito ed è sentito con un parere obbligatorio ma non vincolante sulla Valutazione di Incidenza degli interventi, però non è titolare del rilascio del parere vero e proprio di Valutazione, che resta in capo alle regioni od ai soggetti da queste individuati.
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Alpe La Trecciura, Parco Nazionale Val Grande. Foto di Tullio Bagnati.
le previsioni del Piano, si effettua sostanzialmente anche la Valutazione di Incidenza. Su questa strada, certamente antesignana di futuri adeguamenti normativi, si sono incamminati moltissimi parchi nazionali che sono riusciti così a garantire la piena efficacia e funzionalità di tutta la normativa su questo argomento. Il contributo che i Parchi hanno dato al raggiungimento degli obiettivi di arresto della perdita di biodiversità, che nelle aree protette si è manifestata a differenza del restante territorio, è dovuto anche a soluzioni come quella illustrata.
Conclusioni L’esempio sopra illustrato del Piano per il Parco delle Foreste Casentinesi è obiettivamente emblematico di come si è dovuto operare a causa di una situazione di grande confusione, dovuta come detto principalmente al mancato coordinamento, giuridico e tem-
porale, delle normative sulle aree protette e su “Natura 2000”, come se fossero materie non in gran parte coincidenti (per merito e per aree geografiche interessate). Le analisi critiche al decreto sopra citato infatti non mirano certo a biasimare il corposo gruppo di lavoro che ha lavorato intensamente per portare a conclusione il pesantissimo iter per l’approvazione del Piano per il parco; tali critiche sono invece indirizzate verso il legislatore, che non solo non ha avuto l’accortezza di meglio integrare fin da subito, all’interno del DPR 357/97, le due materie, ma che a tutt’oggi non sembra intenzionato a farlo. Come noto, il disegno di legge di modifica della Legge 394/91 “Legge quadro sulle aree protette”, affronta numerosi aspetti ma ben si guarda, nonostante le fortissime sollecitazioni che provengono da chi nelle aree protette opera ogni giorno, dall’affrontare l’urgentissimo aspetto dell’integrazione delle politiche delle aree protette con quelle di origine comunitaria della conservazione di specie e di habitat. La sfida di “Natura 2000”, che si basa sull’in-
sieme di norme sulla conservazione di habitat e specie e sulle misure per l’incentivazione economica degli interventi e sulle condizionalità, si è rivelata un potentissimo strumento per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. È assolutamente urgente ed indifferibile quindi che il legislatore intervenga per rafforzare questo strumento, integrando le politiche e le norme, onde evitare differenze interpretative ed applicative, con grave danno alla salvaguardia della biodiversità. L’esperienza maturata nelle aree protette in questi anni è tale che potrà certamente essere un prezioso patrimonio sia, come detto, per il legislatore che volesse intervenire risolutivamente nella materia, sia per i gestori dei siti esterni alle aree protette, che forse hanno potuto disporre, in media, di minori energie da dedicare a questo importante tema. Andrea Gennai Responsabile Servizio Pianificazione e Gestione delle Risorse del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi andrea.gennai@parcoforestecasentinesi.it
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Le aree protette come capro espiatorio della crisi o come nucleo della green and smart society. L’esperienza della creazione di una rete ecologica in Friuli Venezia Giulia Pierpaolo Zanchetta
Biodiversità, linguaggio e civiltà La biodiversità è un tema che a piccoli passi sta uscendo dalla nicchia dei tecnici di settore e degli appassionati e i primi passi di tale evoluzione sono rappresentati dalla contaminazione tra biodiversità ed altre discipline: le ricerche di Howard Gardner sull’intelligenza naturalistica e lo studio di Larry J. Gorenflo, della Penn State University sulla corrispondenza tra hot spot di biodiversità e diversità linguistica sono due esempi di come biodiversità, linguaggio e civiltà sono temi fortemente interconnessi come aveva già anticipato Gregory Bateson. Tuttavia già quando la biodiversità diviene tema di divulgazione per un pubblico generico ci si rende conto di come questa componente fondante della nostra organizzazione sociale sia percepita ancora in termini negativi (la natura cattiva) o romanticamente distorti (l’antropizzazione dell’animale buono). Un momento in cui diviene necessario un confronto pubblico sul tema del rapporto tra l’uomo, le sue attività, le sue aspettative ed il contesto naturale è quello di formazione di strumenti che hanno lo scopo istituzionale di disciplinare la tutela delle aree naturali, le modalità di fruizione delle stesse, i modi in cui i settori produttivi si devono rapportare con gli elementi territoriali ad alta naturalità. Rispetto al più consueto rapporto tra ambiente e attività umane dove l’aspetto della tutela della salute pubblica riconduce il confronto al conflitto tra diritto al lavoro e diritto alla salute, il rapporto tra natura e attività umane pone direttamente il problema se la conservazione della natura è una precondizione del benessere socioeconomico o è un bene superfluo e sacrificabile in particolare in momenti di crisi, ma in realtà anche in momenti di crescita economica. Se l’individuazione e la pianificazione dei Parchi e delle Riserve naturali ha riguardato e riguarda prevalentemente territori a più alta naturalità (6% del territorio regionale), destando in particolare l’opposizione iniziale del mondo venatorio, la pianificazione dei siti Natura 2000 caratterizzati da habitat secon-
The protected areas as a scapegoat for the crisis or as the core of the green and smart society. The experience of creating an ecological network in Friuli Venezia Giulia Some marginalized areas or with arising socio-economic problems do not understand that the presence of high biological richness areas can be a stable alternative to the current model of development which becomes the scapegoat for all the problems of a territory. However, design processes from the bottom make it clear that the very sustainable managements tools of natural resources may be the solution for marginalized territories. Parole chiave: biodiversità, piani di gestione, rete ecologica Key words: biodiversity, management plan, ecological network
dari di carattere agricolo o forestale con un’estensione di circa il 18% della regione ha scatenato la contrarietà di quasi tutte le categorie economiche con l’eccezione proprio di alcuni rappresentanti del mondo venatorio.
Misure di conservazione e piani di gestione in Friuli Venezia Giulia L’approccio nella formazione degli strumenti di gestione dei siti Natura 2000 nella regione Friuli Venezia Giulia ha avuto una gestazione lunga con diversi affinamenti che sostanzialmente hanno comportato una progressiva semplificazione ma anche una maggiore focalizzazione verso gli obiettivi propri di conservazione previsti dalle Direttive Habitat e Uccelli. Si è così passati da una prima generazione (precedente al 2008) di grandi piani complessi (Carso, Magredi di Pordenone, Risorgive dello Stella), che prevedevano un forte coinvolgimento del personale interno all’Amministrazione impegnato in analisi specialistiche, e che nelle intenzioni dovevano diventare dei piani di gestione complessiva di quei territori, ad una seconda stagione che ha visto l’affidamento di incarichi esterni per la redazione di un Manuale di gestione delle aree protette e dei siti Natura 2000 con
applicazione sperimentale nei due siti della Laguna di Marano e Grado e di Val Cavanata e Banco Mula di Muggia (2008). Anche in questo secondo momento il piano aveva un carattere generalista, disciplinando nel dettaglio le principali attività che si svolgono in queste aree come pure alcune attività esterne al sito. Nessuno dei piani fin qui descritti aveva visto fino a quel momento un riconoscimento amministrativo. È dopo l’emanazione delle due leggi regionali n. 14/2007 e n. 7/2008 che viene definita una procedura di adozione e approvazione dei piani di gestione, la loro cogenza nel quadro amministrativo, i rapporti con gli altri strumenti di pianificazione. Dal 2008 l’Amministrazione regionale cerca di finalizzare maggiormente i piani al loro scopo principale di conservazione degli habitat e delle specie tutelate dalle direttive Habitat e Uccelli pur in un contesto di mosaico ecologico che considera i rapporti seriali e catenali senza i quali non si da conservazione efficace. Si avviano quindi dei complessi processi partecipativi su aree sulle quali si era già lavorato come il Carso, i Magredi di Pordenone e su tutta l’area montana a partire dalle Alpi Carniche mentre, con esperienze direttamente condotte dagli Enti gestori dei Parchi naturali regionali, processi analoghi vengono svolti nei siti Natura 2000 delle Dolomiti Friulane, della Forra del Cellina,
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delle Prealpi Giulie, della Val Alba (Zuc del Bor). Le scadenze comunitarie per dotare la rete di misure di conservazione o piani di gestione entro il 2009 per l’area biogeografica alpina e 2010 per l’area biogeografica continentale, e la necessità di dare copertura ad alcuni progetti Life in corso da parte della Regione e del Comune di Rivignano nel sito delle Risorgive dello Stella, ha portato all’adozione a fine 2011 di quattro piani di gestione (Risorgive della Stella, Paludi di Gonars, Palude Selvote e Val Cavanata e banco Mula di Muggia) e all’approvazione delle sole misure di conservazione per tutti i siti della regione biogeografica alpina mentre per quella continentale l’approvazione è prevista entro il 2012. Intanto a partire da monte verso la pianura e la costa prosegue la formazione dei piani di gestione che comunque non interesseranno tutti i siti della regione ma solo quelli più complessi e problematici. Per gli altri saranno sufficienti le misure di conservazione sito specifiche. Tutta questa attività pur con grandi difficoltà anche di impostazione ma con ritmi e coinvolgimento di personale, professionisti, amministrazioni e popolazione sempre crescente, pur in un quadro di risorse via via più limitato, sta dando degli esiti diretti ed indiretti molto interessanti. In primo luogo fa conoscere una delle principali politiche territoriali dell’Unione Europea che va sotto la sigla di Natura 2000 portando a confrontarsi direttamente non solo con la legislazione ma anche con le prassi tecniche di livello comunitario derivate spesso dal pragmatismo anglosassone più che dal formalismo latino. In secondo luogo determina uno sforzo inedito di raccolta di dati naturalistici ambientali e territoriali di dettaglio con la formazione di cartografie informatizzate e banche dati che vanno a costituire un sistema informativo ramificato a scala comunitaria impensabile fino a pochi anni fa. Per tutti vale il visualizzatore web Natura 2000 viewer che consente di navigare tra cartografie e dati naturalistici alimentati a partire dalle attività che si
svolgono sul territorio di tutte le regioni d’Europa. Infine questo complesso processo di pianificazione settoriale, che interessa aree problematiche e complesse come quelle montane ma anche quelle lagunari e carsiche, pur con una iniziale conflittualità viene ben presto riconosciuto come un’attenzione da parte della pubblica amministrazione e una possibile risposta ad una serie di problemi che solo ad una adeguata scala possono trovare una concreta risposta. Questo porta spesso tali piani di gestione a caricarsi di aspettative superiori alle effettive possibilità e competenze ma fa emergere in modo interessante l’esigenza di una forma di pianificazione di area vasta adeguata alle effettive dimensioni del problemi territoriali. Spesso si contestano i contenuti di questi piani ma raramente se ne contesta l’utilità.
Il processo partecipativo Definire le modalità di gestione conservativa di queste aree significa porre in relazione un poderoso quadro di conoscenza territoriale, che nonostante tutti gli sforzi appare sempre inadeguato tale è la complessità del sistema che ci troviamo a governare, con le istanze di comunità locali chiamate ad essere gli attori spesso inconsapevoli e alle volte recalcitranti di tale gestione. Un aspetto non secondario riguarda quindi la necessità di attivare un processo partecipativo per la condivisione delle politiche di conservazione dei siti Natura 2000. Rispetto ad altre forme di pianificazione quella delle aree naturali vive una contraddizione di fondo in quanto gli obiettivi di dettaglio e alcune strategie attuative sono già predefinite nella stessa normativa comunitaria e nazionale che ha istituito rete Natura 2000. Lo spazio partecipativo si riduce quindi alla definizione di obiettivi secondari e alla scelta delle strategie attuative di obiettivi predefiniti. Per quanto l’attivazione del processo può essere precoce ad ogni formalizzazione di documenti normativi, rimane sempre spiazzante per
chi sovrintende alla formazione del piano, stimolare un’ampia partecipazione per poi spiegare come il compito collettivo è quello di attuare scelte derivanti da studi tecnico scientifici predefiniti. Per far fronte a tale contraddizione, il tentativo è quello di condividere a posteriori gli obiettivi comunitari di tutela della biodiversità con una sforzo di convincimento notevole considerando che il valore che si pretende di far riconoscere è il più delle volte percepito come la “banalità” del proprio territorio alla quale non si è mai attribuito un particolare valore. È l’occhio da fuori, dove fuori significa di un altro posto ma anche di un’altra formazione tecnica, che scopre valori locali sconosciuti o, ancora meglio, stimola la riscoperta di luoghi e valori dimenticati o semplicemente taciuti. Durante la presentazione di un video sulla flora e la fauna dei Magredi di Pordenone un agricoltore che quotidianamente frequenta quelle campagne ha cercato di svelare quella che per lui appariva come un tentativo di truffa: tutti quegli animali non ci sono mai stati nei Magredi perché lui non li ha mai visti e non ne ha mai sentito mai parlare. In tal senso le ricerche citate in premessa sull’intelligenza\conoscenza naturalistica e sul rapporto biodiversità lingua possono tornare utili per capire il rapporto esistente tra una popolazione e il proprio territorio analizzando il lessico utilizzato per descrivere un luogo ed in particolare le componenti naturali di quel luogo che rappresentano lo strato più profondo della conoscenza locale. Non avere nomi per indicare una pianta o un uccello significa avere reciso quel legame che comunque univa la biosfera con l’antroposfera (nella quale collochiamo anche il territorio e la cultura agricola contemporanea) mentre già vediamo le generazioni più giovani muoversi preferibilmente in una tecnosfera in cui vige un lessico ancora più lontano dal mondo naturale. L’occhio da fuori deve quindi guadagnarsi la fiducia facendosi accettare come l’occhio che mancava per riconoscere gli elementi che possono rappresentare una nuova risorsa per il territorio.
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Difendersi dalle aree protette Nel processo di formazione partecipata degli strumenti di pianificazione/gestione di questa innovativa rete di aree naturali, si innescano dinamiche complesse di identificazione e rifiuto con la componente naturale del proprio territorio. Le principali forme con le quali nelle diversi parti della regione i vari soggetti sociali si sono espressi possono essere sintetizzati nelle seguenti categorie. • “Se si è conservata è merito nostro e quindi non serve alcuno strumento di gestione”: l’affermazione è vera e va sostenuta, tuttavia è necessario anche far notare che le nuove pressioni generate dalle modifiche tecnologiche o socioeconomiche necessitano di strumenti nuovi. Inoltre spesso è proprio l’abbandono di certe pratiche tradizionale che sta mettendo a rischio habitat e specie e quindi è necessario ripristinarle o sostituirle con altri sistemi. • “La nostra categoria è la più titolata a tutelare la natura o il territorio e quindi affidate la gestione a noi”: anche tale affermazione va sostenuta ma facendo notare che tutte le categorie la usano e che quindi il problema sta nell’integrare i saperi e le pratiche comprendendo vicendevolmente i limiti di tale asserzione. È positivo che si sviluppi un dibattito tra categorie diverse per evitare le contrapposizioni nette tutti contro uno. • “Qualsiasi previsione di tutela blocca ogni azione di sviluppo quindi non ci può essere una posizione di compromesso”: questa affermazione è in netto contrasto con la prima e comunque difficilmente il quadro proposto corrisponde al vero. Spesso è sostenuta con immagini di sviluppo irrealistiche per le zone in questione. Rimanda comunque ad un problema generale di compensazione territoriale tra aree di sviluppo naturalmente avvantaggiate e aree che inevitabilmente svolgono altre funzioni ma non per questo devono rimanere marginalizzate. • “Non c’è alcun elemento da proteggere e quindi ogni proposta di tutela è inutile”: è
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facile trovare alleati locali che invece hanno una maggiore attenzione per il proprio territorio. “Le componenti naturali non hanno alcun valore rispetto alle componenti socioeconomiche”: questa affermazione spesso non viene esplicitamente espressa ma viene pensata e determina altre strategie. È comunque un’idea diffusa in ampi strati della società e quindi anche nelle amministrazioni pubbliche. “La tutela va a beneficio delle aree sviluppate ma a pagare sono sempre le aree depresse”: l’affermazione è fondata ma va ribaltato il concetto sottolineando che non è la politica di protezione che porta ad una minore competitività ma che la minore competitività è un dato strutturale di alcune aree che devono trovare, anche attraverso la valorizzazione degli elementi naturalistici, una via alternativa. Rimane comunque il tema della compensazione territoriale tra aree forti e aree deboli. “La tutela è necessaria ma la mia attività non ha alcun effetto, i veri impatti sono altri”: spesso la triste realtà è che un moderato impatto vicino ad una risorsa di valore è peggiore di un grande impatto lontano da punti sensibili. “Si limitato le attività più povere mentre le grandi opere si fanno comunque”: anche questa è una triste realtà ma, così come al punto precedente, si deve tenere conto che le grandi opere dovrebbero portare anche a grandi benefici e forse la verifica da fare è proprio questa. “La specie più minacciata è l’uomo e quindi è questo che andrebbe protetto”: sostenere che l’uomo insieme ai topi sono le specie che meno temono l’estinzione non è una buona strategia comunicativa anche perché in realtà non è alla specie uomo che ci si riferisce ma alle popolazioni locali che indubbiamente soffrono un certo grado di marginalità economica e sociale e che come nelle aree montane registrano dei dati di crollo demografico che può essere interpretato proprio come una tendenza
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all’estinzione locale. Il problema non è il dato oggettivo della marginalità ma il fatto che la causa di tale marginalità non viene ricercata e riconosciuta come un complesso di cause strutturali e contingenti ma viene proiettata di volta in volta verso cause immaginarie come la tutela di un territorio, la diversità linguistica o culturale, una particolare ossessione della burocrazia verso quei territori. Tra queste sicuramente il formalismo di certi apparati burocratici è collettivamente riconosciuta come una causa di inefficienza del sistema che ovviamente tende a prevalere proprio dove trova un tessuto economico e sociale meno preparato a confrontarsi con un sistema normativo alle volte mastodontico.
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Se limitiamo lo sguardo ad un contesto locale interessato dalla presenza di una o più aree naturali tutelate emerge con chiarezza come la principale motivazione, non tanto di un passato di arretratezza, quanto dell’impossibilità di impostare da ora in poi una forte strategia di sviluppo economico viene ritenuta proprio dalla presenza di un’area naturale oggetto di una politica di tutela. I rappresentati delle categorie produttive e sociali ovviamente non distinguono le complesse competenze e le strutturazioni interne della pubblica amministrazione e quindi operano una efficace sintesi di tutti i vincoli, le richieste di autorizzazioni, i dinieghi ottenuti anche nelle materie più diverse che possono attenere il vincolo idrogeologico, quello paesaggistico, il nullaosta idraulico, la norma urbanistica, ecc. È scorretto da parte del rappresentante della pubblica amministrazione richiudersi nella propria materia di stretta competenza cercando in tal modo una assoluzione dall’accusa di essere lui l’ostacolo al benessere locale. Il coordinamento delle politiche territoriali infatti dovrebbe essere uno dei compiti principali della pubblica amministrazione che non può nascondersi dietro alla frammentazione delle competenze per non riconoscere il disegno complessivo che i cittadini percepiscono nella loro vita quotidiana. In un contesto in cui i
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momenti di effettiva partecipazione pubblica alle scelte sono limitati a poche occasioni c’è il rischio che proprio il primo ad attivare un percorso virtuoso faccia da catalizzatore di tutte le mancate risposte percepite dal cittadino. Alle volte quindi l’opposizione ad una ennesima norma che tende a regolamentare l’attività sul territorio è frutto della percezione di un quadro normativo troppo complesso, dell’inefficacia dello stesso rispetto agli obiettivi che si era posto, di una frustrazione derivante da altri contesti che qui trova modo di esprimersi. Tutto questo “non detto” è comunque materia di riflessione e lavoro costruttivo per chi opera nel campo della regolamentazione degli usi del territorio che deve sempre essere finalizzato al conseguimento di un benessere collettivo il più ampio possibile. Se depuriamo le espressioni di insofferenza verso la conservazione della natura da quella consistente parte fondata comunque sulla malafede o sulla difesa di privilegi locali, dobbiamo ammettere che molte istanze sono dettate da una sincera idea che si stia compiendo un abuso a nome di interessi forti e lontani. Con l’aggravarsi della crisi economica tale sentimento è ancora più radicato in quanto risultano ancora più incomprensibili certe scelte della pubblica amministrazione. È necessario quindi attaccare a fondo certe visioni e anche certi luoghi comuni per costruire una cultura della tutela del territorio come valore su cui fondare lo sviluppo delle comunità locali. Anche in questo caso ci aiuta il raffronto tra biodiversità e diversità linguistica. L’architetto Moreno Baccichet ha osservato che nel Friuli Venezia Giulia, ma questo può valere in molte altre realtà, viene data una grande importanza alla tutela della lingua, delle tradizioni, delle culture locali ma in tutto questo non viene riconosciuto il territorio come il principale prodotto di una tradizione, di una cultura e di una lingua. La museificazione della cultura locale sembra essere quindi la cinica premessa per lo smantellamento dei suoi elementi fondatori come il paesaggio, l’assetto territoriale, la presenza di elementi naturali.
Vorrei ma non posso
Verso una green society?
Oggi la dimensione globale della crisi, il fatto che situazioni di disagio economico siano ben precedenti all’individuazione di una certa valenza naturalistica, il fatto che in certi contesti non sia possibile applicare modelli di sviluppo di forte industrializzazione e che quindi modelli alternativi sono gli unici che possono avere successo in aree a maggiore naturalità strutturale come in montagna, sono ragionamenti che collettivamente si cerca di nascondere in quanto ci portano ad ammettere che il mancato sviluppo di certe aree è un fatto strutturale dovuto ad elementi morfologici, climatici o di distanza da alcuni assi e poli di comunicazione, non solo e non tanto viabilistici. Inoltre ci sono cause storiche ed errori di visione per alcuni fenomeni di marginalizzazione come nel caso in cui si è puntato tutto su modelli di sviluppo non adatti alle condizioni territoriali e locali, ad esempio nel caso dell’industrializzazione della montagna come principale e alle volte unica politica di sviluppo. Ecco che quindi l’introduzione di politiche di tutela di un territorio diventano un capro espiatorio non solo per le limitazioni effettivamente introdotte ma anche per tutto il contesto di problemi di sviluppo che si coagulano nel momento in cui viene proposta una politica unitaria su vaste aree che fino a quel momento erano rimaste nel disinteresse collettivo. È stata significativa la vivace opposizione dei tecnici forestali nella formazione dei piani di gestione dei siti Natura 2000 per l’area montana del Friuli. Si contestava in particolare il fatto che si potessero introdurre elementi limitativi all’attività forestale all’interno dei siti, quando l’attività stava attraversando un momento di grande difficoltà in tutta l’area montana. La preoccupazione era quindi quella di non potere fare dentro un SIC quelle operazioni forestali che da anni non si stavano facendo in aree economicamente ben più interessanti esterne ai siti Natura 2000. Insomma un’opposizione preventiva e quasi una ricerca di una giustificazione per difficoltà economiche del tutto indipendenti da una qualche politica di tutela naturalistica.
Fino a questo momento abbiamo disegnato un quadro sostanzialmente negativo e pessimista del rapporto tra tutela del territorio, e dei suoi elementi più deboli costituiti dalle parti a più alta naturalità o biodiversità, e comunità locali. In realtà abbiamo voluto sottolineare in particolare le dinamiche che si instaurano nei primi momenti del processo partecipativo, ai quali segue una fase più costruttiva dove invece prevalgono le proposte per farsi effettivamente attori della gestione in particolare quando si comprende il potenziale economico e la competitività insita nel far parte di una rete di aree naturali diffusa, codificata e conosciuta a livello comunitario. Il tema del reale peso economico delle aree naturali protette è oggetto di sempre maggior interesse come dimostra lo studio TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity study) presentato alla Conferenza delle parti della Convenzione sulla biodiversità a Nagoya nel 2010. Riconoscere le aree naturali come i principali fornitori di Servizi ecosistemici significa anche riconoscere la necessità di internalizzare tale credito economico che le aree deboli vantano verso le aree forti. Questo passaggio è fondamentale come premessa per poter in parallelo sviluppare quell’economia slow e diffusa che trova nella gestione delle aree ad alta biodiversità, costituite in tutta Europa soprattutto da habitat di tipo secondario e quindi da ecosistesmi agricoli e forestali, il principale fattore di conservazione naturalistica ma anche di rilancio di aree in fase di marginalizzazione. In un disegno di green economy e green society un sistema regionale di aree naturali tutelate non deve costituire un problema ma bensì una delle risposte del nuovo mosaico socioeconomico che gradualmente va a sostituire la old society.
Pierpaolo Zanchetta Regione Friuli Venezia Giulia pzanc@mac.com
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gestione sostenibile del territorio valutazione e contabilitĂ ambientale dossier monografici strumenti e case history studi e ricerche
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works in progress
Sottovalutare il suolo, l’ecosistema ed il paesaggio impedirà la crescita e lo sviluppo del paese
Appello del Coordinamento delle Associazioni tecnico-scientifiche per l’Ambiente ed il Paesaggio (C.A.T.A.P.) alle autorità ed alle forze sociali italiane – Gennaio 2012
Premesse L’attuale situazione di crisi economica ed ambientale che sta attraversando il nostro paese, richiede un nuovo atteggiamento nei confronti dell’utilizzo delle risorse e della gestione del territorio, sia per prevenire disastri sempre più frequenti, sia per indicare nuovi percorsi di sviluppo del paese, sia per migliorare la qualità di vita della popolazione anche in periodi di crisi. Non basta riproporre la crescita dell’attuale modello economico, sia pure con le necessarie liberalizzazioni. Occorre che essa sia in quota significativa il risultato di innovazione, qualità, risparmio di spese riparatorie evitabili, sostenibilità nel tempo. Se così non sarà la crescita sarà quella del debito nazionale e dei disastri ambientali. La cura e la salvaguardia del suolo, dell’ecosistema e del paesaggio nei loro aspetti culturali, naturalistici ed ecologici garantiscono il contesto funzionale e di qualità entro cui possa svilupparsi un’economia non malata, basata sulle risorse proprie di ogni territorio. Un ambiente curato e ben mantenuto, progettato secondo forme appropriate e non forzando le leggi naturali, crea valore aggiunto e nuova ricchezza, che darà cosi il suo contributo positivo anche al PIL. Provvedere a interventi di riassetto idrogeologico significa rimettere in funzione una parte fondamentale dell’ecosistema, quindi assumere decisioni migliori per il territorio nel suo complesso favorendo il rapporto tra le popolazioni e i propri luoghi di vita (il proprio paesaggio). Ciò eviterà sprechi nelle risorse da destinare alla crescita economica e ad uno sviluppo durevole e sostenibile. Con l’aumento delle burrasche cli-
matiche ed economiche, deve cambiare Il modo in cui il Paese tratta questi aspetti, pena l’aumento insostenibile delle perdite in vite umane, dei costi economici, dei danni permanenti alle risorse che stanno alla base della vita di tutti. Rimangono a tal fine pilastri irrinunciabili la Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 (recepita in Italia nel 2006). e la Strategia Europea per lo Sviluppo sostenibile, nella prospettiva della nuova conferenza ONU di Rio de Janeiro (Rio +20) sullo sviluppo sostenibile che si terrà nel giugno 2012. Occorre arrestare i fenomeni di degrado e perdita del suolo risorsa non rinnovabile in grado di svolgere funzioni ecologiche fondamentali quali la produzione di biomassa, l’opera di filtraggio, l’azione tampone e di trasformazione delle sostanze inquinanti, la capacità di fungere da riserva genetica a protezione della biodiversità. Oltre a preservare il suolo dalla sua completa eliminazione occorre anche difenderlo dalle cosiddette “minacce” (erosione contaminazione, impermeabilizzazione, compattazione, perdita di sostanza organica, diminuzione della biodiversità, frane, alluvioni e processi di desertificazione). Un suolo di buona qualità è in grado di proteggere le falde acquifera e la catena alimentare da inquinamento e sostanze tossiche ma anche regolare i flussi idrici superficiali. Per ottenere questo molto spesso basta seguire comportamenti di buone pratiche gestionali attuabili in maniera semplice senza aggravio di costi. È evidente che un suolo, anche se in una proprietà privata, ha funzioni di bene pubblico e la sua eliminazione comporta un danno per la comunità. Danno che sarà maggio-
re se sono elevate le capacità produttive, protettive e naturalistiche del suolo. In questa ottica è chiaro che se vi fossero costi diversi a seconda delle diverse caratteristiche pedologiche si otterrebbe grazie alla leva economica una concentrazione delle nuove costruzioni sui suoli meno “interessanti”, salvaguardando al contempo gli altri. La Capacità d’uso dei suoli rappresenta senza dubbio uno strumento che dovrebbe essere utilizzato per collegare gli aspetti economici con quelli ambientali di conservazione della risorsa. Oggi, nelle fasi di urbanizzazione i costi pagati sono indipendenti dalle qualità degli ecosistemi e delle loro componenti, che vengono per sempre eliminati alla produzione di servizi quali, l’accumulo di acqua e carbonio, filtro degli inquinanti, stabilizzazione di versanti, miglioramento del clima, conservazione di risorse rinnovabili e non, ecc. In questa ottica è chiaro che se i valori (e quindi i costi delle aree) fossero diversificati a seconda della qualità degli ecosistemi, si salvaguarderebbero spontaneamente i siti di maggior importanza. Il concetto dei “servizi degli ecosistemi” rappresenta sempre più uno strumento da collegare non solo con quelli ambientali di conservazione delle risorse, ma anche agli aspetti economici più generali, diventando un caposaldo, nell’innesco di uno sviluppo economico durevole in alternativa ad una crescita insostenibile. Le soluzioni agli attuali problemi del territorio fondate su logiche di protesi tecnologica dovranno essere affiancate e/o sostituite da logiche in cui l’ecosistema, il paesaggio ed il territorio siano considerati, nelle loro interrelazioni, come un organi-
smo da nutrire e da curare con altre forme di medicina. Obiettivo diventa il massimo abbattimento del rischio diffuso a parità di spesa, raggiungibile sfruttando meglio le capacità bio ed eco-tecniche delle unità paesistico-ambientali. Decisioni urgenti Diventano necessarie ed urgenti le seguenti decisioni: 1. produrre quanto prima l’aggiornamento della Strategie nazionale per lo sviluppo sostenibile, previsto da anni dal Testo Unico in materia di ambiente (D.Lgs. 152/06 e s.m.) e le sue declinazioni a livello regionale. In esso il riassetto idro-geo-morfologico, le reti ecologiche polivalenti (ecologiche, paesaggistiche e territoriali), dovranno svolgere un ruolo centrale nelle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici in affiancamento alle politiche per la riduzione delle emissioni climalteranti; ciò servirà anche per rendere più efficienti ed efficaci i processi decisionali e le procedure tecnico-amministrative di valutazione che li accompagnano (VIA, VAS, valutazioni di incidenza, relazione paesaggistica ecc.); 2. nella programmazione degli interventi per la crescita economica, puntare sulle risorse che già ci sono e che rendono l’Italia unica: il paesaggio, i suoi prodotti tipici e il patrimonio naturale ed artistico, che possono essere trasformati in potenti motori di attrazione di capitali esteri oltre che di turisti; 3. potenziare la ricerca nel settore eco-paesaggistico come investimento a breve ritorno;
Valutazione Ambientale 21 • 85
A pagina 84, Portogallo. Foto di Manuela Ghirardi.
il rapporto tra paesaggio, ecosistema, informazione, scienza e cultura dovrà costituire un preciso ambito di investimento; le ricerche di base ed applicative in questo campo dovranno avere almeno pari rilevanza rispetto a quelle di altri campi del sapere e dovranno a pieno titolo essere riconosciute come componente di una green economy capace di aiutare la crescita e lo sviluppo del paese; 4. investire sulle sinergie tra Ministeri diversi, tra Enti, associazioni tecnico-scientifiche, organizzazioni di categoria, attori privati, al fine di integrare e ottimizzare al massimo le politiche del territorio, riducendo la polverizzazione delle risorse economiche e dei conflitti che scaturiscono da strategie e obiettivi nati in sedi diverse; 5. avere più protezione civile preventiva, meno protezione civile “post mortem”; prevedere per la prevenzione una quota significativa minima obbligatoria nei capitoli di bilancio relativi; 6. aumentare il ruolo relativo della manutenzione e degli interventi diffusi nei meccanismi di spesa; la quota di queste spese dovrà aumentare significativamente a scapito di quella destinata alle grandi opere le quali, seppure necessarie, spesso producono distorsioni nei cicli e nei flussi naturali innescando nuovi problemi; si risolvano rapidamente sul piano normativo gli eventuali problemi
formali, quali quelli legati alla natura delle spese (ordinarie o di investimento); è necessario inoltre svincolare le opere di manutenzione del territorio dai limiti del Patto di stabilità; 7. prevedere esplicitamente un ruolo per l’agricoltura multifunzionale, la nuova Politica Agricola Comunitaria (PAC) individua gli agricoltori come operatori della manutenzione dell’ambiente extraurbano, evitando spese riparatorie altrimenti maggiori da realizzate con opere pubbliche. È necessario che le norme di recepimento che verranno scritte nel 2012, dovranno essere il risultato di un confronto multisettoriale ed interdisciplinare che sappia tener conto del carattere trasversale che connota paesaggio ed ecosistemi; 8. Introdurre il valore degli ecosistemi e delle risorse nei bilanci economici e nelle valutazioni costi-benefici Occorrono riforme capaci di collegare il valore degli ecosistemi alle loro specifiche qualità e ai servizi erogati alle popolazioni. Ciò è necessario per conservare lo stock di capitale naturale funzionale allo sviluppo economico e alla qualità della vita e ottenere il giusto denaro da investire in adeguate opere di compensazione; 9. evitare i consumi di suolo ingiustificati, e prevedere compensazioni multifunzionali per quelli non eliminabili; per ogni opera pubblica e priva-
86 • Valutazione Ambientale 21 / works in progress
ta che nonostante le limitazioni produca consumo di suolo (risorsa non rinnovabile che svolge funzioni ecologiche fondamentali), dovrà essere prevista all’origine una quota di spesa per compensazioni per l’incremento dei servizi ecosistemici e paesaggistici sia locali che nell’ambito di reti ecologiche polivalenti; 10. commisurare il costo di un suolo da urbanizzare alle sue qualità produttive, protettive e naturalistiche. Oggi nelle fasi di urbanizzazione i costi pagati sono indipendenti dalle qualità delle terre che vengono per sempre eliminate alla produzione e alle funzioni di accumulo di acqua e carbonio e di filtro degli inquinanti. Occorrono riforme capaci di collegare il costo del suolo alle sue specifiche qualità, per ottenere denaro da investire nelle opere di compensazione; 11. fare in modo che le nuove riforme che coinvolgeranno gli enti locali in modo che ne riducano, per quanto possibile, la dipendenza economica dei comuni da nuove costruzioni e dagli oneri di urbanizzazione; questa condizione ha reso troppi comuni “schiavi” delle imprese di costruzione e ha determinato il consumo di suolo forsennato degli ultimi 15 anni, causa prima dell’aumento di vulnerabilità del territorio, dell’aumento di rischio idrogeologico e del consumo di paesaggio e dei costi considerevoli che
paghiamo oggi e continueremo a pagare nei prossimi anni; 12. valorizzare nel modo più efficiente ed efficace le competenze disponibili; la progettazione, la realizzazione, la gestione del paesaggio e dell’ecosistema dovranno integrarsi all’approccio ingegneristico classico; dovranno essere valorizzate le competenze esistenti, sin qui marginalizzate, relative alla geologia ambientale, alle scienze del suolo, alle tecniche naturalistiche, all’architettura del paesaggio, al governo delle reti ecologiche polivalenti, ai metodi di valutazione a supporto delle esigenze della governance; 13. formare gli specialisti di settore; occorre introdurre la formazione permanente delle figure professionali transdisciplinari per valutare, pianificare, progettare, gestire, la complessità dei sistemi paesistico ambientali e controllare la qualità e il “giusto prezzo” delle prestazioni professionali richieste dalle PA. Nel rispetto delle professionalità tecniche necessarie alla corretta soluzione dei problemi, coinvolgere tutte le forze sociali disposte a collaborare, valorizzare nel modo più efficiente ed efficace le risorse umane del volontariato, sia quelle già esistenti ed organizzate che fanno capo alla Protezione civile, sia altre da promuovere a livello locale per effettuare interventi di manutenzione preventiva dei
bacini montani e di altre aree a rischio, comprese quelle urbane; 14. prevedere azioni per informazione, cultura, partecipazione come parte di ogni progetto; una quota delle spese generali per le opere di interesse pubblico dovrà essere destinata ad attività di comunicazione, allo scopo di migliorare la conoscenza del territorio e la cultura diffusa sui temi ecopaesaggistici; ciò richiederà un coinvolgimento, per quanto possibile ordinario, sia di operatori dei media, sia di soggetti collettivi portatori di valori ambientali; 15. incentivare e premiare chi contribuisce al miglioramento ambientale; le pubbliche amministrazioni, interverranno con facilitazioni e benefit verso le imprese, gli operatori economici e privati cittadini che investono nella sostenibilità ambientale, nella cura e manutenzione dell’ambiente e del
paesaggio. Si sollecita inoltre ad introdurre, all’interno del sistema normativo per l’ambiente e il paesaggio, indirizzi e regole orientate al “far bene”. Ciò si lega alla necessità di introdurre criteri di qualità per il controllo di piani, progetti, realizzazioni e monitoraggi; 16. prevedere un corretto inserimento paesaggistico ambientale come criterio ordinario nei progetti e nelle realizzazioni; per ogni opera pubblica e privata che produce trasformazioni, dovrà essere prevista all’origine una quota di spesa destinata al corretto inserimento nel paesaggio e nell’ecosistema; tale quota non dovrà essere considerata un extracosto, ma un elemento necessario del progetto per il raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico che eviteranno spese riparatorie successive; un buon inserimento basato sulla com-
prensione delle relazioni tra opera e contesto, risulta in genere meno costoso delle soluzioni progettuali ordinariamente adottate; 17. usare sistematicamente criteri ecosostenibili nella realizzazione degli interventi; nelle realizzazioni, prevedere ogni volta possibile interventi di rinaturazione e di ingegneria naturalistica intesi come utilizzo delle piante vive autoctone con funzione antierosiva, stabilizzante e di consolidamento combinata con l’innesco di ricostruzione di ecosistemi paranaturali integrati al contesto; 18. spendere meglio le scarse risorse disponibili; le voci precedenti non dovranno essere considerate come costi aggiuntivi, ma come opportunità di risparmio a breve termine rispetto a costi evitabili o differibili; a parità di spesa complessiva destinata alle opere pubbli-
che, la quota destinata ad interventi diffusi a difesa del territorio capaci di produrre benefici immediati dovrà aumentare nei prossimi due anni rispetto a quella destinata ad altre infrastrutture che, anche ove considerate di interesse strategico, produrranno i loro effetti su orizzonti temporali più lontani. C.A.T.A.P. Coordinamento aperto tra associazioni tecnico-scientifiche direttamente interessate al buon governo dell’assetto fisico del territorio e, più in generale, di quello degli ecosistemi e del paesaggio in Italia. Ne fanno attualmente parte le seguenti associazioni: AAA (Associazione Analisti Ambientali) AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio) AIP (Associazione Italiana Pedologi) AIPIN (Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica) AIN (Associazione Italiana Naturalisti) SIEP (Società Italiana di Ecologia del Paesaggio) SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale)
Associazione Analisti Ambientali La AAA è un’associazione tecnicoscientifica, apolitica, senza scopo di lucro, che persegue obiettivi di carattere culturale e informativo sulle valutazioni ambientali ed il governo del territorio. La complessità delle tematiche ambientali necessita di un approccio di tipo interdisciplinare. Questa esigenza ha spinto, nel 1987, alcuni rappresentanti di diverse discipline scientifiche a fondare la AAA quale tavolo di incontro e di raffronto. La AAA riunisce persone ed enti attivi nel campo dell’analisi e valutazione ambientale, indipendente-
mente dalla loro specializzazione, al fine di favorire, su una base concreta ed interdisciplinare, il sorgere di una vera cultura integrata dell’ambiente. La AAA vuole essere un punto d’incontro per tecnici, operatori nelle amministrazioni, ricercatori e professionisti che lavorano in campo ambientale per meglio agire nella sempre maggiore complessità della materia e un’occasione per partecipare alla costruzione di basi tecniche efficaci e condivise. Possono essere soci le persone, gli
studenti laureandi e dottorandi fino ad anni ventotto, gli Enti che condividono gli scopi dell’Associazione e che intendono contribuire alla sua attività. Associarsi significa condividere e perseguire gli obiettivi dell’Associazione per una maggiore forza e consapevolezza della comunità tecnica e scientifica.
Promozione Iniziative: Elsa Bazzano – Tel. 335.5295256 Gestione delle quote di iscrizione: Fulvia Vezzulli – Tel. 02.77790321 Rivista “Valutazione Ambientale”: Pietro Cordara – Tel. 040.3728944 Sede: c/o FAST - P.le Morandi n. 2 - 20121 Milano Fax: c/o FAST 02.782485
Per contattare l’Associazione
e-mail: aaa@analistiambientali.org
Segreteria: Cristina Magri – Tel. 335.8331577
Sito: www.analistiambientali.org
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VA & Web
VA&Web Strumenti e Tendenze
Attenzioni alle aree protette secondo due indicatori derivati dal Web Sergio Malcevschi
Premessa Sul piano teorico la governance delle aree protette guarda ad approcci ampi capaci di combinare i sistemi naturali e quelli umani in termini co-evolutivi (ved ad esempio PLUMMER FENNEL 2009); la partnership tra turismo, aree protette, manager e comunità viene data come contributo forte alla sostenibilità delle aree protette (vedi ad esempio PFUELLER et al. 2011). Quanto è l’attuale livello di interesse suscitato dai parchi? Fino a che punto il tema dei parchi ha il sostegno dell’attenzione del pubblico e degli stakeholders per candidarsi a costituire una colonna della green economy, asse portante dello sviluppo sostenibile? Analizzando alcuni vettori informativi disponibili sul Web, diventa possibile verificare i livelli di attenzione rivolti a parole-chiave rappresentative di determinate aree di interesse. Compito del presente articolo sarà quello di aggiungere alla copiosa massa di studi al riguardo condotta con strumenti tradizionali (analisi delle presenze turistiche, inchieste) anche i risultati dell’applicazione di due indicatori derivati dal Web, tra loro diversi e complementari: • le variazioni nella presenza di parole-chiave negli abstract delle pubblicazioni ISI, accessibili attraverso il Web, che esprimono l’attenzione al tema da parte del mondo della scienza normale; • gli andamenti di Google Trends in Italia, che riflettono i volumi delle ricerche sul Web da parte del pubblico generico per le parolechiave cercate, quindi l’attenzione per il tema. Si rimanda agli altri lavori del progetto WPP www.webprofileproject.eu) per una discussione sui punti di forza
The attention to protected areas according to two indicators derived from the Web Two indicators drived from web profiling methods have been applied to the issue of protected areas, represented by certain key words: the changes in the presence of key words in the abstracts of the pucliation ISI - Web of Science, which express attention to the subject from the world of science, Google Trends developments in Italy, reflecting the attention of the public on the Web. The interest in the scientific field remain fairly good, especially in combination with the sub-theme of biodiversity. The Google Trends data show a reduction in Italy in recent years in the attention on the Web for some terms considered (parks, reserves, farms, mountains), an equal attention for the term park and an increase for the term sea. We suggest some possible further studies. Parole chiave: aree protette, web profiling Key words: protected areas, web profiling
e di debolezza sotto il profilo tecnico dei vettori infomativi (WIC: Web Information Carriers) utilizzati. Dinamiche nelle pubblicazioni scientifiche Sono state analizzate le variazioni nella presenza di alcune parolechiave nei titoli e negli abstract della letteratura scientifica, così come presente nel data-base ISI – Web of Science. Le parole chiave (in inglese) erano “protected areas”, “tourism”, “biodiversity” e la combinazione della prima con le altre due precedenti. Il risultato è riportato in Tabella 1. L’interpretazione dei dati è aiutata dai due rapporti finali, dove “A” (ultimo quinquennio rispetto al periodo 1985-2006) esprime l’emergenza dei temi nell’arco degli ultimi decenni, e “B” (ultimo biennio rispetto al precedente) esprime l’interesse recente per i temi stessi. In sostanza si vede come, nella letteratura scientifica, nell’ultimo quinquennio tra le parole-chiave cercate quelli più emergenti sono stati i temi delle aree protette e dei loro abbinamenti, soprattutto con la biodiversità. In coda per la dinamica il turismo
in quanto tale, che pur ha generato complessivamente un numero ragguardevole di articoli (il doppio di quelli relativi alle aree protette). Considerando l’ultimo biennio (indicatore B), si assiste invece ad un sostanziale allineamento delle dinamiche di interesse. L’incremento rispetto al biennio precedente è discreto (intorno al 30%) e coinvolge tutte le parole-chiave considerate, comprese quelle relative al turismo. Andamenti delle attenzioni su Google Trends Il lavoro successivo, in progress, ha utilizzato come vettore informativo Google Trends in Italia, normalizzando ed elaborando i dati da esso derivabili. Le attenzioni da parte del pubblico su specifici temi si traducono anche in ricerche sul Web, che avvengono normalmente mediante la digitalizzazione di parole-chiave che rappresentano i temi stessi Google Trends funziona solo con parole-chiave di ampia diffusione, che generano elevati volumi di ricerche sul Web; ad esempio già un termine come “biodiversità”, che come abbiamo visto era il più presente nell’indagine precedente,
pone problemi di analisi: i volumi di ricerca relativi in Italia da parte del pubblico complessivo non sono sufficientemente rappresentativi. Si sono così analizzate, rispetto alle precedenti, alcune parole-chiave italiane di interesse per le aree protette ma più legate alla vita ordinaria della gente. La Figura 1 mostra gli andamenti delle ricerche sul Web in Italia con le parole-chiave Parchi e Parco nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2012, così come dai grafici direttamenti forniti da Google Trends. Il diagramma ha in ordinata SVI (Search Volume Index), ovvero l’indice convenzionale usato da Google Trends per rappresentare le variazioni nel tempo delle ricerche sul Web da parte del pubblico. La figura riporta anche i volumi relativi complessivi delle ricerche nel periodo 2004-2012: quelle per il plurale parchi sono state inferiori, il 18% rispetto a quelle per il termine parco al singolare. In Figura 2 sono state calcolate le variazioni su base annuali per i due termini, ponendo per ciascuno il 2007 = 100. Come si vede, negli ultimi anni vi è
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A pagina 88, Atlanta (USA). Foto di Manuela Ghirardi. Figura 1. Andamento dei volumi di ricerca sul Web in Italia per i termini “Parco” e “Parchi”, secondo l’indice SVI (Search Volume Index) di Google Trends. Figura 2. Variazioni dei volumi di ricerca sul Web in Italia normalizzato per “parco” e “parchi” rispetto al 2007 (posto = 100), così come riportato da Google Trends.
Figura 4. Variazioni dei volumi di ricerca sul Web in Italia normalizzato per “oasi” e “agriturismo” rispetto al 2007 (posto = 100), così come riportato da Google Trends. Figura 5. Andamento stagionale nel dei volumi di ricerca sul Web in Italia per “parco” e “parchi”, su dati del periodo 2004.2012 derivati da Google Trends. In ascissa le percentuali degli intervalli emi-mensili rispetto all’anno medio.
Figura 3. Andamento stagionale nel dei volumi di ricerca sul Web in Italia per “parco” e “parchi”, su dati del periodo 2004.2012 derivati da Google Trends. In ascissa le percentuali degli intervalli emi-mensili rispetto all’anno medio. Tabella 1 - Numero di articoli nel data-base ISI – Web of Science contenenti nei titoli o negli abstract le parole-chiave indicate negli anni indicati. protected + + areas tourism biodiversity
ISI-WOS
tourism
biodiversity
2.511 3.549
167 249
766 1.398
6.845 7.153
18.804 24.105
2007 2008 2009 2010 2011
517 589 726 794 923
28 39 58 53 71
192 223 275 331 377
870 1.291 1.470 1.676 1.846
3.686 4.191 4.730 5.491 6.007
A: 07-11 / 85-06 B: 10-11 / 08-09
1,41 1,31
1,49 1,28
1,83 1,42
1,04 1,28
1,28 1,29
1985-2006 2007-2011
parco
stata una riduzione significativa delle ricerche per parchi, sino ad arrivare nel 2011 al 58% del volume nel 2007, mentre ciò non è avvenuto per parco. Per quest’ultimo termine vi è stato solo un leggero calo fino al 2009, seguito da un’altrettanto leggera ripresa fino al 2011. Alcune ulteriori indicazoni sulle modalità delle ricerche sul Web di parco e parchi da parte degli italiani possono derivare dall’analisi degli andamenti stagionali ricorrenti al riguardo. Già una lettura visiva della precedente Figura 1 consentiva di ipotizzare alcuni andamenti ripetitivi, con massimi e minimi negli stessi mesi nel corso dei vari anni. Nella Figura 3 si riportano i risultati
parchi
ottenuti suddividendo l’anno in 24 periodi, in pratica dividendo i mesi a metà, e calcolando le medie nel corso degli anni con dati disponibili, esprimendoli in ordinata come percentuale degli intervalli emi-mensili sull’arco dell’intero anno-tipo. Il profilo stagionale risulta praticamente identico per entrambi i termini considerati. Si rileva un doppio picco di attenzione, il principale nella prima metà di agosto ed un secondo come rilevanza ad aprile, ricollegabili presumibilmente ai principali periodi di fruizione. Per un’intepretazione più avanzata dei risultati esposti, si è ripetuta l’analisi con altri due termini almeno in parte collegabili ai precedenti:
oasi
agriturismo
120%
120% 100% 100% 100%
100% 100%
92%
86%
85%
83%
100%
90%
71%
80%
89% 89% 77% 76%
80% 60%
58%
60%
73%
66%
71% 62%
60%
40%
40%
20%
20% 0%
0% 2007
2008
2009
2010
parco %
2007
2011
2008
parchi %
2009
2010
agriturismo %
oasi %
9,0%
9,0%
7,5%
7,5%
6,0%
6,0%
4,5%
4,5%
3,0%
3,0%
2011
1,5%
1,5% G
F
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Figura 6. Variazioni dei volumi di ricerca sul Web in Italia normalizzato per “mare” e “montagna” rispetto al 2007 (posto = 100), così come riportato da Google Trends. Figura 7. Andamento stagionale nel dei volumi di ricerca sul Web in Italia per “mare” e “montagna”, su dati del periodo 2004.2012 derivati da Google Trends. In ascissa le percentuali degli intervalli emi-mensili rispetto all’anno medio.
oasi ed agriturismo. In Figura 4 sono riportate le variazioni annuali, mentre in Figura 5 i profili di ricorrenza stagionale. Per entrambi i termini si riscontrano una discreta riduzione delle ricerche negli anni e profili di ricorrenza tutto sommato abbastanza vicini a quelli per parchi. Vista la similarità dei risultati, può venire il dubbio che ciò dipenda da cause esterne che provocano deformazioni costanti dei dati, indipendenti dalle attenzioni effettivamente attribuite ai termini considerati. Si è pertanto ripetuta l’analisi con i medesimi procedimenti per altri due termini comunque interessanti ai fini dell’indagine: mare e montagna. In Figura 6 sono riportate le relative variazioni annuali, mentre in Figura 7 i profili di ricorrenza stagionale. Assistiamo in questo caso a risultati diversi rispetto ai precedenti, Mentre anche le ricerche per montagna mostrano una significativa riduzione nel periodo considerato, ciò non è vero per mare, che ha generato progressivamente più attenzioni nel medesimo periodo. I profili di ricorrenza stagionale sono in linea con le attese teoriche:
• un incremento progressivo per “mare” sino ad “agosto”, con un brusco crollo successivo e l’inizio di un nuovo ciclo di attenzione; • un doppio massimo per “montagna”, uno estivo ed uno invernale. Considerazioni conclusive I risultati esposti suggeriscono alcune conclusioni provvisorie. Ricerche che analizzano dati derivati dal Web possono fornire interessanti indicazioni sulle dinamiche di attenzione relative alle aree protette ed al loro ruolo rispetto ai cambiamenti in corso. Il tasso di incremento dell’interesse in campo scientifico rimane discreto, pur perdendo qualcosa rispetto ai periodi precedenti. Sembra importante soprattutto poter meglio sviluppare approcci che considerno i sistemi socio-ecologici nel loro complesso, visto che il successo nella conservazione dei valori ambientali protetti dipende dalle decisioni umane. Meno scontati sono stati i risultati ottenuti elaborando i dati forniti da Google Trends. Considerando l’arco temporale dal 2007 al 2011, si è prodotta una progressiva e significativa
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riduzione delle attenzioni sul Web per molti dei termini considerati: parchi, oasi, agriturismo, montagna; le attenzioni per parco sono rimaste tutto sommato costanti, mentre quelle per mare sono progressivamente aumentate. Sono stati elaborati anche profili di ricorrenza stagionale, che hanno presentato una discreta convergenza tra parco, agriturismo, oasi, differenti da quelli ottenuti per mare e montagna. Quanto detto, suggerisce l’interesse di possibili approfondimenti quali • l’applicazione delle analisi come quelle effettuate ad un quadro più ampio di termini, in modo da disporre di riferimenti intepretativi più competi; • analisi integrative con strumenti di web profiling differenti da quello usato che consentano di individuare meglio le cause delle tendenze e comunque delle variazioni significative intervenute; ciò consentirebbe di approfondire singole esperienze non analizzabili con Google Trends; • monitoraggi costanti nel tempo per alcune delle parole-chiave in giuoco, che consentano di riconoscere in tempo reale nuove
tendenze e variazioni significative nelle attenzioni che si manifestano attraverso il Web per il settore in oggetto. Va da sé che analisi come quelle suggerite sono da considerare integrative e non sostitutive rispetto a quelle ottenibil con strumenti tradizionali (analisi delle prsenze, mediaanalysis, inchieste ad hoc), differenti dal web profiling, che consentano di verificare convergenze o specificità dei risultati. Riferimenti ECWPP – 2012 – Environmental and Cultural Web Profile Project. www.web profileproject.eu Pfueller S. L.; Lee D.; Laing J. – 2011 – Tourism Partnerships in Protected Areas: Exploring Contributions to Sustainability. ENVIRONMENTAL MANAGEMENT, 48, 4: 734-749. Plummer R.; Fennell D. A. – 2009 – Managing protected areas for sustainable tourism: prospects for adaptive comanagement. JOURNAL OF SUSTAINABLE TOURISM, 17, 2: 149-168.
Sergio Malcevschi Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia sergio.malcevschi@gmail.com
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VA&Web Linee Guida per la Valutazione di Impatto Ambientale a cura di Maria Belvisi maria.belvisi@apat.it
Si riportano alcune linee guida di interesse per importanza e novità ai fini della trattazione tecnica di aspetti della Valutazione ambientale. I collegamenti diretti agli indirizzi indicati possono essere effettuati sul sito e-Savia/Linee Guida (www.e-savia.org/files_online/SAVIA_GL.htm). Lignes directrices sur l’évaluation écologique rapide de la diversité biologique dans les eaux intérieures, côtières et marines Rapport technique Ramsar nº 1 Série des publications techniques de la CBD nº 22 2010 – Secrétariat de la Convention de Ramsar Gland, Suisse Juin 2010 http://www.ramsar.org/pdf/lib/lib_r tr01_f.pdf
La linea guida, che fa parte di una serie di guide, redatte su richiesta della Conferenza delle Parti per la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) e della Conferenza delle Parti della Convenzione di Ramsar, si prefigge l’obiettivo di fornire uno strumento utile ai soggetti che dovonoprendere decisioni operazionali rapide di tipo conoscitivo, valutativo e di monitoraggio in materia di Diversità biologica delle acque interne e degli ecosistemi in zone costieri o limitrofe marine. La guida, di 56 pagine, è articolata in 8 capitoli e due appendici. Dopo una breve introduzione sugli orien-
tamenti della Convenzione sulla Biodiversità e una presentazione dei contenuti e della portata delle linee guide presentate nella intera serie, il terzo capitolo illustra il concetto di valutazione rapida, definita come una valutazione sinottica avviata d’urgenza in un intervallo di tempo breve al fine di produrre risultati affidabili e applicabili in funzione di un obiettivo definito. Il quarto capitolo affronta i nove fattori essenziali da tener in conto: (1) tipi di valutazione rapida che si possono utilizzare (studi teorici, riunioni di esperti, acquisizione di conoscenze specialistiche e di informazioni disponibili), (2) svolgimento della valutazione che si deve articolare in tre tappe: concezione/preparazione, messa in opera e rapporto, (3) l’inventario, la valutazione e il monitoraggio, (4) costo della valutazione rapida che potrebbe essere anche più onerosa rispetto ad una valutazione di tipo tradizionale, (5) ampiezza scala spaziale di indagine, (6) raccolta dati e accesso ai dati, (7) verifica dei dati, (8) affidabilità dei dati, (9) diffusione dei dati. Il quinto capitolo affronta il tema di quando è necessario utilizzare questo tipo di valutazione. Interessante a questo proposito una tabella che illustra la qualità dei dati e delle informazioni che possono essere raccolte ai fini di una “valutazione rapida” per inventariare le zone umide e per la valutazione dei dati principali riferibili alle caratteristiche biofisiche e la gestione delle zone umide. Viene altresì sottolineata l’importanza di raccogliere anche dati sugli aspetti socio-economici e culturali della biodiversità.
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Nel medesimo capitolo vengono anche esaminati, brevemente, i fattori di pressione quali quelli che minacciano la diversità biologica delle zone umide, il rapporto della valutazione rapida con il monitoraggio e con l’evoluzione temporale della diversità biologica, gli aspetti stagionali ed infine vengono espresse alcune considerazioni relative agli piccoli Stati insulari in via di sviluppo. Il sesto capitolo affronta il quadro concettuale della “valutazione rapida”. Una serie di schemi e tabelle riassumono, in modo sufficientemente dettagliato, le principali tappe essenziali da seguire per una “Valutazione rapida”. Il settimo capitolo offre una serie di riflessioni sulle risorse temporali, economiche, umane, sulla portata dei dati e informazioni necessarie (portata tassonomica, geografica, scelta del sito), sui campionamenti e l’analisi dei dati. Il capitolo otto elenca le referenze bibliografiche utilizzate. L’appendice 1 illustra, in modo dettagliato, i metodi e gli indici da utilizzare nelle analisi valutative, mentre l’appendice 2 illustra in modo approfondito, sia pur in forma tabellare, i metodi di campionamenti degli habitats, delle caratteristiche delle zone umide e dei differenti taxons dipendenti dalle zone umide (qualità delle acque, tipo di habitat e di zona umida, macrofite, macro-invertebrati epifiti, rettili e anfibi, uccelli, mammiferi.). Per ogni singolo metodo vengono fornite informazioni circa l’applicabilità al tema zone costiere, il tipo di applicazione, il tempo di analisi, il costo, la tipolo-
gia di zona umida, l’expertise necessaria, la possibilità di prelievo, la qualità della strumentazione necessaria, esempi di fornitori (indicazione eventuale del sito) e il riferimento metologico bibliografico. Habitats Regulations Appraisal of Plans Guidance for Plan-Making Bodies in Scotland prepared by David Tydesley and Associates http://www.snh.gov.uk/docs/B698 695.pdf
La guida è stata predisposta dallo Steering Group composto da CASA Planning and Environment, City of Edinburgh Council (per COSLA), The Highland Council (per COSLA), Jacobs RTPI in Scotland, Scottish Environment Protection Agency, Scottish Government and Scottish Natural Heritage (Chair and Project Manager). La linea guida, di 62 pagine, si prefigge l’obiettivo di costituire uno strumento utile alle Autorità proponenti in material di pianificazione al fine di applicare quanto previsto dall’ articolo 6(3) della Direttiva
Habitat riguardo alla valutazione di incidenza da effettuare nell’ambito della procedura di VAS. La guida si articola in sei sezioni e quarto appendici. La guida, nella prima sezione, illustra i tredici passi, schematizzati in un apposita figura, del processo di valutazione di incidenza da implementare per rispondere ai requisiti richiesti dalla legislazione vigente in materia. In questa sezione vengono anche identificate le aree protette a cui si applica la Direttiva Habitat (segnatamente SIC, ZPS e zone Ramsar). Il capitolo richiama l’attenzione sul fatto che è essenziale applicare il processo della valutazione di incidenza in parallelo con il processo di VAS affinché le due procedure si integrino al meglio pur rimanendo trattate separatamente. La seconda sezione descrive nel dettaglio la fase preliminare (Passo primo) con esempi, schemi applicativi e raccomandazioni (selezione dei siti da assoggettare a valutazione di incidenza in funzione del tipo di piano con l’ausilio di un apposita checklist, acquisizione delle informazioni necessarie, discussioni sui metodi da attuare e scopi della valutazione. La terza sezione affronta i passi 2, 3 e 4 che forniscono le basi per impostare le fasi successive di screening, scoping e di come correttamente attivare le dovute consultazioni. La sezione 4 illustra gli step da 5 a 7 fornendo indicazioni dettagliate su come attuare al fase di screening, analizzano in modo sistematico tutti gli elementi del Piano. Lo scopo è di identificare quando e, in caso affermativo, quali aspetti del piano dovrà essere soggetto ad una valutazione successiva in quanto l’azione individuata è suscettibile di avere un impatto significativo su uno o più siti
di Natura 2000, tenendo conto degli interventi di mitigazione che potranno essere incorporati dal piano nel corso del processo valutativo. La sezione 5 affronta i successivi passi 8 e 9 che riguardano la fase di scoping e la valutazione di incidenza vera e propria richiesta dalla direttiva habitat. Il metodo illustrato offre un ausilio alle autorità proponenti nell’identificazione delle misure di mitigazioni e delle procedure affinché il piano non possa avere ripercussioni negative sull’integrità dei siti di Natura 2000. La sesta sezione, che copre i passi da 10 a 13, afferisce agli aspetti partecipativi e alla preparazione della proposta della Relazione di incidenza, a come tenere in conto delle variazioni da apporre al Piano ai fini del processo valutativo del Piano e di come finalizzare l’approvazione del Piano stesso. La guida offre, in un settima sezione, anche suggerimenti per garantire la conformità alla norma. Le quattro appendici riguardano rispettivamente la prima il glossario dei termini utilizzati, esempi di piani che possono essere assoggettati alla procedura di incidenza, un esempio di relazione di incidenza e le procedure da applicare in casi eccezionali. Linee Guida Regionali per la Valutazione di incidenza http://www.norme.marche.it/Deli bere/2010/DGR0220_10.pdf
Le linee guida, di 42 pagine, si prefiggono la finalità, esplicitate nel capitolo 1, di supporto tecnico di
riferimento per la redazione e la valutazione dello Studio di incidenza di cui all’art. 5 del DPR n. 357/97 per individuare e valutare gli effetti che un piano od un intervento può avere su uno o più siti di Natura 2000. Il secondo capitolo offre alcune definizioni, tra cui si segnalano quella relativa alla Incidenza significativa e quella relativa alla integrità di un sito Natura 2000. La prima è intesa come la probabilità che ha un piano o progetto di produrre effetti significativi sull’integrità di un sito Natura 2000, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o interventi. Il concetto di ciò che è “significativo” dovrebbe essere interpretato in modo obiettivo, non legandolo a formule discrezionali. Contestualmente la significatività dipende sia dalla distribuzione e dallo stato delle risorse naturali che caratterizzano il sito, dunque agli obiettivi di conservazione del sito stesso, in considerazione della coerenza ecologica della rete dei siti Natura 2000 delle Marche, sia delle caratisti che del singolo piano o progetto di intervento, oggetto del procedimento di Valutazione di incidenza. La seconda definizione definisce l’integrità come una qualità o una condizione di interezza o completezza nel senso di coerenza della struttura e della funzione ecologica di un sito Natura 2000 in tutta la superficie o di habitat, complessi di habitat e/o popolazione di specie per i quali il sito è stato individuato. Nel terzo capitolo la guida elenca le normative e i documenti di riferimento a livello comunitario, nazionale e regionale. Il quarto capitolo dà indicazioni sulle esclusioni dalle procedure valutative. Si escludono gli interventi, oltre a quelli previsti dal
piano di gestione o dalle misure di conservazione, direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione sufficiente delle specie e degli habitat presenti in un sito di Natura 2000, quali quelli riferiti ad alcune categorie di opere tra cui si segnalano quelli definiti Generali, inerenti attività agro-silvo-pastorali, interventi su infrastrutture,interventi di gestione faunistica, varianti ai Piano urbanistici comunali. Il capitolo 5 precisa i Piani o interventi ubicati all’esterno dei siti di Natura 2000 ai quali applicare la Valutazione di incidenza. Il capitolo 6 illustra la procedura per la valutazione applicata ai Piani (fase di valutazione appropriata, fase di valutazione per soluzioni alternative) e quella da applicare agli interventi (fase di screening, fase di valutazione appropriata, fase di valutazione per soluzioni alternative). Il capitolo 7 è interamente dedicato al contenuto dello studio di incidenza per i Piani (Generalità, descrizione dell’ambito di rifermento del Piano, Relazione sulle caratteristiche del Piano, relazione sulle trasformazioni territoriali, descrizione delle caratteristiche dei siti Natura 2000, o loro porzioni, interessati dalle previsioni del Piano, elaborati tecnici e cartografici, verifica di compatibilità, individuazione degli impatti, Mitigazioni e compensazioni). Il capitolo 8 intitolato “Valutazione degli impatti per i Piani” propone una checklist, con l’individuazione delle cause e dei fattori di impatto, l’individuazione degli impatti e degli indicatori. Il capitolo 9 definisce del contenuto dello studio di screening per gli interventi (Generalità, descrizione
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dell’ambito di rifermento dell’intervento, Relazione sulle caratteristiche dell’intervento, relazione sulle trasformazioni territoriali, descrizione delle caratteristiche dei siti Natura 2000, o loro porzioni, interessati dall’intervento, elaborati tecnici e cartografici, verifica di compatibilità, individuazione degli impatti). Il capitolo 10 riguarda l’aspetto valutativo degli impatti significativi per gli interventi proponendo una checklist, con l’individuazione delle cause e dei fattori di impatto, l’individuazione degli impatti e degli indicatori. Nel capitolo 11 viene riportato il contenuto dello studio di incidenza per gli interventi (approfondimenti dello studio di screening o studio di incidenza, illustrazione delle soluzioni alternative, mitigazioni, compensazioni). Il capitolo 12 dà indicazioni su come redigere lo studio per la valutazione di incidenza Una serie di tavole e tabelle completano la guida. Deliberazione della Giunta Regionale n. 1191 del 30-07-2007 Approvazione Direttiva contenente i criteri di indirizzo per l’individuazione la conservazione la gestione ed il monitoraggio dei SIC e delle ZPS nonché le Linee Guida per l’effettuazione della Valutazione di Incidenza ai sensi dell’art. 2 comma 2 della L.R. n. 7/04. http://www.regione.emilia-roma gna.it/wcm/natura2000/pagine/nor mativa/norme/norme_rer/2vi/DelG R_1191_2007.pdf
Con la deliberazione vengono approvate una Direttiva, di 100 pagine, costituita da quattro allega-
ti (A, B, C e D), rispettivamente contenenti: •“Indirizzi per la predisposizione delle misure di conservazione e dei piani di gestione dei siti della Rete Natura 2000”; • “Linee Guida per la presentazione dello studio d’incidenza e lo svolgimento della valutazione d’incidenza di piani, progetti ed interventi”; • “Indirizzi procedurali per l’individuazione dei nuovi Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e delle Zone di Protezione Speciale (ZPS), l’aggiornamento della bancadati ed il recepimento della Rete Natura 2000 negli strumenti di pianificazione generali e di settore”; • “Indirizzi per lo svolgimento del monitoraggio delle valutazioni d’incidenza effettuate; Il primo allegato (A), dopo una breve esposizione dei concetti generali, affronta il tema delle Misure generali e specifiche di conservazione dei siti Natura 2000. Il secondo allegato (B) tratta le vere proprie Linee Guida per la presentazione e lo svolgimento della valutazione d’incidenza di Piani, progetti ed interventi. Tale guida si articola in 8 capitoli. Dopo una breve permessa, il capitolo 2 affronta l’iter procedurale, con i differenti livelli di approfondimento, della valutazione d’incidenza di Piani, Progetti ed interventi (Livello 1 Fase di pre-valutazione, livello 2 Fase di valutazione di incidenza, Livello 3: Fase di analisi delle soluzioni alternative, Livello 4: Fase di definizione delle misure di Compensazione). Il capitolo è arricchito da numerosi schemi, tabelle e moduli. Tra questi si segnala gli Schemi n. 1: Contenuti dello studio di incidenza e n. 2: Contenuti della valutazione di incidenza. Il terzo capitolo tratta delle Autorità compe-
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tenti alla Valutazione di incidenza di piani, Progetti e interventi. Il quarto capitolo illustra gli aspetti procedurali, in particolare i rapporti tra Piano e Progetto, tra Valutazione d’incidenza e procedura di “silenzioassenso”,tra Valutazione d’incidenza, nullaosta e parere espressi dall’Ente gestore dell’area naturale protetta, tra la Valutazione d’Incidenza e la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA)e il rapporto tra Enti locali, Regione, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed Unione Europea, la tempistica ed infine l’esplicitazione della Valutazione d’incidenza. Il quinto capitolo definisce l’ambito di applicazione dei Piani, progetti ed interventi in particolare individuando (Tab. E) le Tipologie di Progetti ed interventi ricadenti all’interno dei siti Natura 2000 che non determinano incidenze negative significative sui siti stessi e (tab. F)le Tipologie di Piani, Progetti ed Interventi che possono determinare incidenze negative significative sui siti Natura 2000, anche se ubicati all’esterno dei siti stessi, soprattutto se ricadenti nelle loro vicinanze Il capitolo 6 individua i criteri per l’effettuazione della Valutazione di incidenza di Piani, progetti ed interventi. Si segnalano le tabelle riguardanti (Tab. G) le Condizioni affinché un habitat naturale o seminaturale sia considerato d’interesse comunitario, (Tab. H) le Condizioni affinché una specie animale o vegetale sia considerata d’interesse comunitario, (Tab. I) – Condizioni per l’ottenimento di uno stato di conservazione soddisfacente di un habitat, (Tab. L) – Condizioni per l’ottenimento di uno stato di conservazione soddisfacente di specie animali e vegetali, (Tab. M) Fattori di degrado
di un habitat, (Tab. N) Fattori di perturbazione delle specie animali e vegetali, (Tab. O) Criteri di valutazione della significatività dell’incidenza di un piano, di un progetto o di un intervento, (Tab. P) Tipologie degli effetti di un piano, di un progetto o di un intervento su di un sito, (Tab. Q) Indicatori per la valutazione della significatività dell’incidenza ambientale, (Tab. R) Criteri d’impostazione di soluzioni progettuali alternative, (Tab. S) Tipologie delle misure di mitigazione, (Tab. T) Condizioni per l’applicazione delle misure di mitigazione, (Tab. U) Tipologie delle misure di compensazione, (Tab. V) Requisiti minimi per la definizione delle misure di compensazione. Il capitolo 7 è dedicato alla sorveglianza e alle sanzioni di competenza del Corpo Forestale dello Stato e degli altri soggetti cui è affidata per legge la vigilanza ambientale, in particolare gli Enti gestori dei siti Natura 2000 (Province ed Enti gestori delle aree naturali protette). Il capitolo 8 riguarda la comunicazione, l’informazione e trasparenza. Meritevole di attenzione è la proposta di matrice (Tab. Z) fornita per poter ricostruire l’intero iter procedurale. L’allegato C fornisce indirizzi procedurali per l’individuazione di nuovi SIC e ZPS, l’aggiornamento della Banca-dati e il recepimento della Rete Natura 2000 negli strumenti di panificazione generali e di settore. L’ Allegato D dà indirizzi per lo svolgimento del monitoraggio delle valutazioni d’incidenza effettuate, al fine di poter monitorare nel tempo l’efficacia delle misure di mitigazione e di compensazione previste nelle valutazioni di incidenza e di poter anche consentire un’analisi dei provvedimenti presi e della cor-
Cascate di Plitvice (Croazia). Foto di Manuela Ghirardi.
retta gestione dei siti Natura 2000, ogni autorità che approva i piani, i progetti o gli interventi soggetti a valutazione di incidenza, comprese le pre-valutazioni. Deliberazione G.R. n. 667 del 18 maggio 2009; Disciplinare tecnico per la manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua naturali ed artificiali e delle opere di difesa della costa nei siti della Rete Natura 2000 (SIC e ZPS)” http://www.regione.emilia-roma gna.it/wcm/natura2000/pagine/nor mativa/norme/norme_rer/3discipli nari/Del_GR_667_2009.pdf
La Deliberazione della Giunta Regionale n. 1191 del 30 luglio 2007 descrive le modalità operative della valutazione di incidenza e individua l’autorità competente di ogni specifico caso (piano, progetto o intervento). Per alcuni progetti e interventi viene stabilito a priori che la loro attuazione non possa determinare un’incidenza negativa significativa sui siti; queste attività sono elencate nella Tabella E della citata Deliberazione n. 1191/2007. Per queste attività non è quindi necessaria la Valutazione di incidenza (i soggetti gestori dei siti Natura 2000 possono escludere, o modificare in senso più restrittivo, le tipologie d’intervento indicate nella Tabella E, attraverso le misure specifiche di conservazione o l’eventuale piano di gestione del singolo sito Natura 2000. Per quanto concerne gli interventi periodici e ricorrenti che rientrano in attività di manutenzione ordinaria, come quelli relativi alla manutenzione dei fiumi, dei canali o dei sentieri, rea-
lizzati al fine di mantenere i corsi d’acqua o la rete sentieristica in efficienza, con la Delibera G.R. n. 1191/2007 la Regione EmiliaRomagna ha direttamente elaborato nel 2009 un disciplinare tecnico concernente gli interventi di manutenzione ordinaria degli ambienti pertinenti ai corsi d’acqua e alle opere di difesa della costa. Si è ritenuto interessante segnalare, in questa sede, anche il contenuto del disciplinare tecnico riguardanti queste attività che non necessitano di una Valutazione di incidenza. La deliberazione stabilisce, tra l’altro, che gli interventi previsti nel Disciplinare tecnico, qualora progettati ed eseguiti secondo le disposizioni tecniche (modalità, frequenza, intensità, periodo, ecc.) in esso contenute, comprese le prescrizioni, non necessitano di una pre-valutazione o di valutazione di incidenza, anche se ricadenti all’interno di siti della Rete Natura 2000, che gli interventi che non rientrano tra le tipologie descritte nel Disciplinare tecnico o che non rispettano le disposizioni tecniche (modalità, frequenza, intensità, periodo, ecc.) in esso contenute, comprese le prescrizioni, qualora ricadenti all’interno di siti della Rete Natura 2000 possono essere approvati solo previa prevalutazione o valutazione di incidenza, da effettuarsi da parte dell’Ente competente ai sensi della L.R. n. 7/04 e della propria deliberazione n. 1191/07, che la valutazione di incidenza degli interventi che non rientrano tra le tipologie descritte nel Disciplinare o che non rispettano le disposizioni tecniche in esso contenute, comprese le prescrizioni, può avere valenza pluriennale, che il Disciplinare tecnico allegato si applica sia per gli interventi rica-
denti all’interno delle ZPS, sia per quelli ricadenti nei SIC; che il Disciplinare tecnico, costituendo un documento a carattere sperimentale la cui applicazione concreta sul territorio necessita di un monitoraggio, potrà essere integrato e modificato in futuro, qualora la Regione ne ravvisi l’opportunità a seguito di verifiche tecniche specifiche. La delibera approva la valutazione di incidenza del Disciplinare tecnico prevista dalla normativa vigente, in quanto gli interventi indicati nel Disciplinare non hanno incidenze negative significative su habitat e specie animali e vegetali di interesse comunitario presenti nei siti della Rete Natura 2000 (SIC e ZPS) e, quindi, le opere sono da considerarsi compatibili con la corretta gestione dei suddetti siti, a condizione che vengano rispettate tutte le disposizioni tecniche esecutive indicate; Il disciplinare, di 31 pagine, si articola in 5 capitoli. Il primo introduttivo, illustra le finalità generale, definisce l’ambito di applicazione e indica prescrizioni di carattere
generale da considerarsi prescrizioni tecniche obbligatorie per tutti i progetti e gli interventi indicati nel Disciplinare. I capitoli successivi, per ciascun tipo di intervento quali il taglio della vegetazione in alveo e ripariale, gli espurghi e risagomature di canali artificiali, la manutazione delle opere idrauliche e la manutenzione delle opere di difesa della costa, fornisce indicazioni sulla ubicazione degli interventi, sulle tipologie di vegetazione esistenti, sulle modalità di intervento ammesse, sulle prescrizioni specifiche, e sulle buone pratiche da seguire e propone criteri di intervento e modalità gestionali che possono orientare il soggetto proponente l’intervento ad attuare tutti gli accorgimenti opportuni per ridurre le conseguenze negative dell’intervento di manutenzione allo scopo, se attuate, di rendere gli interventi di manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua più compatibili con le esigenze di conservazione degli ambienti naturali e della presenza delle specie animali e vegetali di interesse conservazionistico presenti nei corsi d’acqua.
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VA&Web Rapporti Ambientali di Organizzazioni a cura di Silvia Repossi silviarepossi@virgilio.it
La sezione fornisce una selezione di documenti di reporting ambientale reperibile su web prodotto in differenti processi volontari. La versione direttamente cliccabile si trova sulla corrispondente sezione di www.e-savia.org. Asja Ambiente Italia S.p.A – Dichiarazione Ambientale 2011 Asja Ambiente Italia S.p.A (2011) http://www.asja.biz/subcategoria.p hp?id=30&idioma=it
La presente Dichiarazione Ambientale costituisce il documento redatto da Asja Ambiente Italia S.p.A nell’ambito della registrazione si sensi del Reg. EMAS III, 1221/2009. Il gruppo Asja progetta, costruisce e gestisce impianti di produzione di Energia Elettrica da Fonti Rinnovabili, in Italia e all’estero. Il sito web propone i contenuti inerenti la registrazione EMAS dell’azienda in modo piuttosto interessante: in primis è possibile prendere visione di un breve video che fornisce le principali informazioni sulle attività del gruppo. Segue l’accesso a tre distinte sezioni, che riportano rispetivamente: a) la descrizione della società, degli intenti e delle attività ambientali per la prevenzione dell’inquinamento, b) i dati ambientali prestazionali degli impianti di Asja Ambiente Italia S.p.A. (al 31/12/2010), c) le schede
descrittive degli impianti produttivi di Asja Ambiente Italia S.p.A. Unica nota negativa: le ultime due sezioni devono essere richieste via e-mail e non sono immediatamente disponibili alla consultazione. La veste grafica risulta gradevole e funzionale. Altro potenziale difetto per il lettore appare il fatto che la sezione Generale “Clean Commitment” contiene unicamente informazioni inerenti i cambiamenti o aggiornamenti sui contenuti descrittivi della società, rispetto ai contenuti delle precedenti revisioni. Tuttavia sul sito non è possibile accedere alle edizioni passate, che contengono le informazioni non ripetute nella presente revisione. Ferrovie dello Stato Italiane – Rapporto di sostenibilità 2010 Ferrovie dello Stato Italiane (2011) http://www.fsitaliane.it/cms/v/inde x.jsp?vgnextoid=768468ae9d50a1 10VgnVCM10000080a3e90aRCRD
Il presente Documento, che costituisce la settima edizione redatta dal gruppo FS, è stato predisposto
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a livello volontario, nell’ambito di un percorso di crescente attenzione ambientale dell’azienda, che si sta tra l’altro progressivamente dotando di un Sistema di Gestione Ambientale. Questa edizione del Rapporto di Sostenibilità segna il raggiungimento di un importante traguardo, quale il conseguimento del massimo livello applicativo dello standard Global Reporting Initiative – GRI (istituzione indipendente con lo scopo di sviluppare e promuovere linee guida per la redazione di bilanci di sostenibilità, collabora ufficialmente con l’UNEP e con il programma Global Compact per la responsabilità sociale delle imprese, patrocinato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite).
2010/index.asp?gr=149&pag=149 Il documento riguarda l’area omo-
Il Rapporto offre in modo chiaro informazioni relative alla Responsabilità Economica, Sociale, Ambientale e di Prodotto del Gruppo FS. In particolare il documento presenta oltre 500 indicatori chiave di performance ambientale (KPI), selezionati per valutare la performance di sostenibilità del Gruppo e definiti seguendo le Linee Guida GRI, le analisi di significatività effettuate dall’Union Internationale des Chemins de fer (UIC), e le indicazioni derivanti dai principali portatori di interesse, la cultura interna al Gruppo, le analisi delle attività di competitors, peers e best performers.
I Comuni considerati sono registrati EMAS dal 2009 ad eccezione di Taio e Tres che conseguono quest’anno lo stesso traguardo. La registrazione EMAS degli Enti Locali della Val di Non è iniziata nel 2006 con un progetto che ha visto nella Comunità della Valle il coordinatore di un sistema di Gestione Ambientale di tipo integrato (SGAI). Il SGAI è stato successivamente potenziato al fine di favorire i Comuni nell’attuazione di interventi a livello delle sei “aree omogenee” identificate per perseguire il miglioramento continuo delle prestazioni ambientali della Valle nel suo insieme.
Area omogenea Predaia: comuni di Coredo, Sfruz, Samarano, Taio e Tres (TN) – Dichiarazione Ambientale 2012 Area omogenea Predaia (2012) http://www.comune.coredo.tn.it/com
La veste grafica della Dichiarazione appare talmente semplice da risultare quasi scarna, ma la lettura del documento è resa agevole soprattutto da un linguaggio snello, che presenta anche i precisi e numero-
genea della “Predaia” che comprende i Comuni di Coredo, Sfruz, Smarano, Taio e Tres, siti in Val di Non (TN).
VA&libri Recensioni e segnalazioni a cura di Claudia Ferluga claudia.ferluga@fastwebnet.it
si riferimenti legislativi in modo chiaro e accessibile anche a un lettore non esperto. Interessante l’approccio a doppia scala, per cui l’analisi degli aspetti ambientali significativi è stata svolta sia per i singoli Comuni che per l’area omogenea, adottando le stesse modalità di valutazione a entrambi i livelli. Un altro elemento di facilitazione alla lettura è dato dalla presentazione di obiettivi di miglioramento, azioni intraprese e obiettivi raggiunti non in sezioni distinte del testo, ma unitamente alla trattazione dei vari temi ambientali. Utile la tabella di sintesi conclusiva riportante le prescrizioni di legge applicabili agli aspetti ambientali trattati. Apple – Apple e l’ambiente Apple – (2012) http://www.apple.com/it/environ ment/
Nell’ambito della comunicazione ambientale a carattere volontario, sono sempre più numerose le aziende che scelgono di utilizzare un canale più dinamico del classico rapporto cartaceo o di una sua riproduzione informatica su pdf, sfruttando le potenzialità offerte da strutture ipertestuali. La nota multinazionale informatica, nel suo sito web comprende un’intera sezione ben strutturata in cui informa il lettore circa le proprie prestazioni e circa il proprio impegno in campo ambientale, mirato al contenimento
delle emissioni di gas serra. La sezione offre quattro percorsi di lettura: nella prima l’impatto ambientale dell’azienda viene presentato in ottica di ciclo di vita dei prodotti, con dati e informazioni relativi alle attività di fabbricazione, trasporto, uso del prodotto, riciclo/smaltimento e delle strutture di appoggio; la seconda parte presenta un approfondimento relativo agli obiettivi e alle azioni finalizzate alla riduzione dei consumi energetici. Interessante la terza sezione, nella quale sono a disposizione schede monografiche (in lingua inglese) per ciascuno dei prodotti in vendita focalizzate sulle emissioni di gas serra, sull’efficienza energetica e dei materiali, sull’eventuale presenza di sostanze regolamentate, sull’ultima fase del ciclo di vita del prodotto. Nell’ultima parte sono presentati i progressi ambientali conseguiti nel tempo, a partire dalla prima emissione della Politica Ambientale dell’azienda nel 1990. Si può notare come il sito web sia stato predisposto nel rispetto delle linee guida Global Reporting Initiative (GRI) Sustainability Guidelines (G3), configurandosi in sostanza come un vero e proprio Rapporto Ambientale a carattere volontario, pur presentadosi in una veste non usuale.
Centro di Ricerca sui Consumi del Suolo (CRCS) Rapporto 2010 Andrea Arcidiacono, Damiano Di Simine, Federico Oliva, Stefano Pareglio, Paolo Pileri, Stefano Salata
Il fenomeno dell’uso del suolo in Italia, riferito alle superfici agricole e di suolo naturale trasformate dall’urbanizzazione, sta portando a una crescente preoccupazione: attraverso il Rapporto 2010, sull’onda del successo del primo rapporto pubblicato nel 2009, il Centro di Ricerca sui Consumi del Suolo (CRCS) ribadisce che conoscere quanto suolo viene “consumato” è fondamentale. Il volume nasce all’interno del progetto “Criteri, metodi e procedure per il rilevamento del consumo di suolo su base Comunale” dell’Area Ambente di Fondazione Cariplo e ha come partner Legambiente Lombardia, il Dipartimento di Architettura e Pianificazione dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e Politecnico di Milano e si avvale dell’adesione e sostegno di istituzioni pubbliche ed enti di ricerca. Il progetto vuole inquadrare il significato del “consumo del suolo” e il danno che esso produce, sviluppando una convergenza di dati per una corret-
ta quantificazione del fenomeno e cercando di elaborare e proporre misure di contabilità e di rendicontazione pubblica. Si vuole di fatto stimolare le pubbliche amministrazioni affinché elaborino e impieghino politiche e strumenti atti a conoscere e contenere il consumo del suolo. Il libro è strutturato in quattro sezioni che affrontano il tema tenendo conto dello scenario europeo e analizzando in particolare le regioni italiane che dispongono di dati confrontabili. Nella prima parte viene ribadito, attraverso i contributi e le riflessioni degli autori, che per limitare il consumo del suolo è importante discutere, conoscere e agire tempestivamente poiché i suoli naturali e agricoli che vengono urbanizzati perdono irreversibilmente le proprie capacità biologiche e fisiche. Il consumo del suolo altera inoltre il paesaggio e con esso l’identità storica dei luoghi e in definitiva la qualità dell’abitare. La mancanza o l’insufficienza di dati è ancora un forte limite sia per la piena consapevolezza della dimensione del problema che per l’innesco di politiche di regolazione e gestione. Il numero, la cifra, la misura sono un passaggio delicato per uno scienziato o per uno studioso che lo produce e studia, quanto lo sono per un politico che lo interpreta e ne trae linee d’azione o per un cittadino che li legge e si fa un idea sull’ambiente in cui vive e di come viene curato. I numeri hanno una valenza e una rilevanza sociale. Perciò definire una misura e generare di numeri di conseguenza sono azioni di grande responsabilità. Lo scenario europeo viene affrontato nella seconda sezione del rapporto. Il vocabolario di aggettivi come
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“intercluse, “abbandonate”, “residuali”, “marginali”, ecc. è particolarmente fiorito in Europa negli ultimi anni: è evidente una dimensione precaria dei suoli. Nasce così un’attivazione di decisioni e interventi per valorizzare gli spazi “non usati” dando loro un valore economico attraverso la loro urbanizzazione. Nell’ultimo rapporto SOER di EEA si sottolinea quanto la perdita di preziosi servizi ecologici a seguito delle trasformazioni dei suoli liberi in urbanizzati sia cruciale quanto sottovalutato. I processi di impermeabilizzazione conseguenti all’urbanizzazione e la realizzazione di infrastrutture vengono riconosciuti dall’Europa tra le principali minacce per i suoli. Nel rapporto si analizzano i progetti finalizzati al monitoraggio dei cambiamenti egli assetti dell’uso del suolo come Corine Land Cover e Lucas e si descrive la situazione in alcuni stati come la Germania, la Grecia, la Slovenia, la Gran Bretagna, la Svezia e l’Austria e il caso viennese. La terza parte consiste nei “Quaderni del Rapporto 2010” ovvero gli atti dei due seminari organizzati dal CRCS nel 2010, occasioni di confronto e dibattito che hanno avuto una grande partecipazione. Il primo seminario “Misurare il consumo del suolo” svoltosi a giugno 2010 aveva come obiettivo mettere a confronto differenti esperienze di analisi di usi del suolo per mettere a fuoco sia una definizione condivisa del fenomeno sia un metodo di misura scientificamente affidabile. Obiettivo del secondo seminario “Esperienze di misura e governo del consumo di suolo alla scala locale”, svoltosi nell’ottobre 2010, è stato quello di presentare esperienze di misura delle dinamiche di urbaniz-
zazione condotte in riferimento al livello comunale confrontando casi virtuosi. Lo scenario italiano viene affrontato attraverso la presentazione, nella parte finale del volume, dei dati sul consumo del suolo di quattro Regioni attualmente in possesso dei geodatabase territoriali sull’uso del suolo in almeno due soglie temporali, con simili metodologie di compilazione: Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Sardegna. Il rapporto mantiene una buona qualità dei dati, in maggior parte sintetizzati negli spazi, sotto forma di schede, che una sola pubblicazione può contenere e cerca di dare un buon bilanciamento tra la componente numerica, descrittiva e cartografica. In questo modo si è ottenuta una presentazione omogenea che aggiorna e supera il precedente rapporto presentando le versioni più aggiornate sul consumo del suolo delle Regioni Lombardia ed Emilia Romagna, la presentazione secondo metodologia differenziale dei dati della Regione Friuli Venezia Giulia e l’introduzione della Regione Sardegna. Vengono infine fatti degli approfondimenti territoriali per le Regioni Marche e Toscana che hanno sviluppato su iniziativa propria e che dimostrano il crescente interesse verso la conoscenza qualitativa e quantitativa del fenomeno. Come ricorda uno degli autori, “Il Rapporto 2010 apre lo sguardo alle esperienze europee, estende le misure quantitative riferite al nostro Paese, testimonia il confronto scientifico sui metodi di misura e sulle prassi di governo, sviluppa una serie di approfondimenti qualitativi”. Una panoramica aggiornata, quindi, sulla problematica del “con-
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sumo del suolo” e le questioni connesse alla perdita e alla degradazione di superfici idonee alla produzione agricola e all’espressione di biodiversità e qualità paesaggistica. Le unità del paesaggio Analisi geomorfologia per la pianificazione territoriale e urbanistica Giuseppe Gisotti
è ormai convincimento generale che non si possono effettuare scelte territoriali corrette senza una completa ed esauriente conoscenza delle caratteristiche geologiche e podologiche e senza sufficiente valutazione e quantificazione dei parametri geoambientali. L’autore parte dal presupposto che è necessario partire da una rigorosa descrizione dei vari ambienti geologici e podologici italiani per lo studio e la realizzazione di interventi per la realizzazione di insediamenti e infrastrutture civili, industriali o rurali, interventi di sistemazione e bonifica di terreni dissestati o degradati, di opere antinquinamento. Lo scopo dell’opera è quello di introdurre il tema della comprensio-
ne del paesaggio fornendo al lettore una sintesi delle chiavi di lettura necessarie per la corretta interpretazione delle forme che caratterizzano il territorio italiano. Vengono perciò illustrati i principali fattori che sono alla base del modellamento del territorio, fornendo di volta in volta alcuni esempi pratici che rendono più chiara la trattazione. Si propone una rigorosa correlazione fra i parametri naturali del territorio, cioè roccia-suolo-acqua-climavegetazione, che contribuisce alla corretta comprensione dei processi evolutivi o degenerativi dell’ambiente, al fine di poter impostare azioni preventive o razionali interventi di risanamento, all’occorrenza. Vengono individuate unità geo-morfologiche fondamentali del territorio italiano, assimilabili alle unità di paesaggio, e mediante delle schede vengono messi in evidenza i parametri, ossia degli elementi del paesaggio, che ne definiscono le potenzialità e le limitazioni d’uso, spesso correlate fra loro in un rapporto di “causa-effetto”: erodibilità, forme di rilievo, permeabilità, idrologia superficiale e sotterranea, caratteristiche geotecniche, stabilità geomeccanica, clima, suolo, vegetazione, processi geomorfologici. La metodologia proposta, descritta nella prima parte del libro, considera solo le componenti geologiche e podologiche per valutare, nelle grandi linee, la potenzialità e le limitazioni d’uso del territorio, come contributo alla pianificazione e gestione dello stesso. Si combinano le componenti più determinanti dell’ambiente per giungere a individuare la potenzialità e i limiti riferibili a una data regione geografica
Pinguini di Punta Tombo in Patagonia (Argentina). Foto di Marco Pagano.
nella sua omogeneità geologica. Nell’ambito di ogni unità geomorfologica, la combinazione o l’esame comparato dei vari parametri territoriali forniscono gli orientamenti di fondo circa l’uso dell’unità. Lo scopo è quello di non consumare, esaurire, inquinare, degradare irrimediabilmente le risorse naturali. Nel lavoro di aggregazione e classificazione eseguito nel volume, oltre al fattore litotecnico si è tenuto conto, dove possibile, sia dell’età della roccia, che talvolta ha un grande peso anche se non esclusivo sulle caratteristiche meccaniche dei sedimenti, sia dell’ambiente di sedimentazione e più in generale di formazione di roccia, quindi del fattore genetico. Nello stesso tempo si è cercato di non perdere di vista l’aspetto podologico, in modo da creare categorie omogenee di rocce, accomunate dalla stessa natura mineralogica e, quindi, chimica, e dallo stesso grado di consistenza. Questi gruppi (o associazioni) litologici omogenei vengono adottati come unità geomorfologiche fondamentali dell’Italia. Sulla base di queste unità vengono descritti i paesaggi tipici, mettendo in evidenza i vari parametri che li contraddistinguono. La seconda parte del volume è così rappresentata da una serie di schede descrittive che riprendono i complessi litologici aventi caratteristiche tecniche similari e interessati da processi geomorfici analoghi. Per ciascuna unità vengono riportare varie denominazioni che si trovano nelle normali carte geologiche e vengono così accomunate formazioni diverse oppure viene considerata una stessa formazione che ha però nomi diversi secondo il luogo. Poiché il criterio prevalente è quello
geomorofologico, si inizia dalla costa proseguendo con la pianura alluvionale, le zone pedemontane, la collina e quindi la montagna. La terza parte del volume è dedicata alla descrizione dei parametri. Una volta individuate le unità di paesaggio si mettono in luce le loro principali potenzialità mediante l’analisi dei parametri, ovvero componenti del territorio. Questi sono elementi del paesaggio quali forme del terreno, le formazioni geologiche, i suoli, il reticolo idrografico, la vegetazione, ecc. L’analisi delle loro caratteristiche positive o negative, del loro stato di eventuale degradazione, delle loro attitudini, permette di effettuare un collegamento e un confronto tra tali caratteristiche ai fini della corretta utilizzazione del territorio, in modo da essere in grado di fare un bilancio finale delle informazioni ottenute e, quindi, valutarne la potenzialità ma anche la vulnerabilità. L’autore, comunque, ribadisce che ciò ha un valore essenzialmente geologico; saranno necessarie altre analisi per giungere a una visione sintetica delle potenzialità del territorio sulla quale si baserà la corretta pianificazione e gestione di questo. Uno degli obiettivi dell’opera è quello di fornire ai professionisti uno strumento per inquadrare il territorio da loro esaminato secondo le limitazioni e le potenzialità che derivano dall’approccio geologico ma che sfociano in altre discipline che caratterizzano il territorio e ne controllano gli usi, come la difesa del suolo, l’uso razionale delle acque e delle risorse e delle risorse minerarie, la gestione dei suoli, ecc. Per ciascuna unità geomorfologia vengono perciò proposti dei parametri che permettono un “giudizio di valo-
re” sullo “stato” di ciascuna unità. Lo scopo che si propone l’autore per questa pubblicazione è anzitutto quello di ricercare ed evidenziare l’influenza del substrato geologico, inteso essenzialmente nel suo aspetto litologico, sulle “forme del rilievo terrestre” o “forme del terreno” landforms. Quindi si tratta di un approccio culturale, trasversale rispetto alle materie umanistiche e tecnico-scientifiche. L’analisi geologica dei paesaggi risulta utile per mettere in luce la componente geologica di un paesaggio composito, analizzandola sia nei suoi vari processi che hanno condotto alle attuali forme del rilievo sia nelle sue interrelazioni con altre componenti del paesaggio. Ma serve anche interpretare, classificare, valutare, rappresentare e gestire i paesaggi chiaramente geologici, secondo criteri che si
possono selezionare di volta in volta a seconda del contesto culturale ed operativo in cui si lavora, come ad esempio il tipo di progetto o di piano. Si propone, in questo volume, una rigorosa correlazione fra i parametri naturali del territorio contribuendo alla corretta comprensione dei processi evolutivi o degenaritivi dell’ambiente, al fine di poter impostare azioni preventive e interventi di risanamento. Il testo è destinato a chi opera nelle discipline di geologia, ingegneria civile e idraulica, agronomia, architettura del paesaggio, urbanistica e, in genere, a tutti quelli che sono interessati alle scienze dell’ambiente e del territorio ed è caratterizzato dalla semplicità della metodologia seguita, che individua, nelle aree geologicamente omogenee, la chiave di lettura del territorio.
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Valutazione Ambientale Valutazione Ambientale è una rivista promossa dall’Associazione Analisti Ambientali, che vuole offrire un’occasione ai lettori per lo sviluppo delle tematiche attinenti la valutazione ambientale nel governo del territorio e dell’ambiente, in primo luogo: • la valutazione ambientale di piani (VAS) e progetti (VIA); • altre valutazioni specializzate di carattere ambientale che intervengono nel processo decisionale (Valutazioni di Incidenza, AIA, ecc.); • le azioni volontarie di partecipazione delle organizzazioni pubbliche e private alla governance complessiva dell’ambiente (Agende 21 locali, certificazioni di qualità ecc.). • le prospettive sisteniche nei sistemi di area vasta (paesaggio, agricoltura, energia, reti ecologiche ecc.) e le loro implicazioni per lo sviluppo sostenibile; • gli strumenti ambientali trasversali che accompagnano il processo valutativo (indicatori, monitoraggio, contabilità ambientale ecc.). La rivista affronta i temi seguendo i seguenti criteri di base: - il rigore metodologico come premessa, nella consapevolezza di muoversi su aree di frontiera dal punto di vista tecnico-scientifico; - la trasversalità rispetto ai differenti strumenti di governo che necessitano di valutazioni in materia di ambiente: la V.I.A. (Valutazione di Impatto Ambientale), la V.A.S., l’I.P.P.C., le componenti ambientali e gli strumenti della pianificazione territoriale, e gli strumenti per gli accordi volontari (certificazione EMAS ecc.); - l’interdisciplinarietà come regola operativa; - l’attenzione agli strumenti innovativi (Internet in primo luogo) attraverso cui si producono conoscenze e valori sul territorio). Valutazione Ambientale punta a raccogliere l’interesse di chi sul tema ambientale opera in termini di forte contenuto teorico (l’Università e gli Istituti di Ricerca, ad esempio), come di quelli che si trovano “in trincea” ad affrontare la complessità dei casi concreti (le società specializzate, i professionisti), valorizzando e mettendo in circolazione anche l’esperienza acquisita da coloro che negli uffici tecnici di ministeri, regioni ed enti locali svolgono, attraverso la valutazione ambientale, un difficile lavoro di salvaguardia del territorio. I contributi sottoposti alla rivista sono giudicati dagli editori, di intesa con il comitato editoriale e referees indipendenti. Valutazione Ambientale ha una periodicità semestrale.
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